Runaway

di unicornuke
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Capitolo 1 ***
Capitolo 2: *** Capitolo 2 ***
Capitolo 3: *** Capitolo 3 ***
Capitolo 4: *** Capitolo 4 ***
Capitolo 5: *** Capitolo 5 ***
Capitolo 6: *** Capitolo 6 ***



Capitolo 1
*** Capitolo 1 ***


Quella mattina mi svegliai di soprassalto, turbata da un incubo. Aprii gli occhi ad una triste mattinata di routine con il respiro affannato da quel brutto sogno. Mi tolsi le calde coperte di dosso e un brivido mi percorse entrando in contatto con l'aria fredda di camera mia. Mi misi addosso un maglione e mi diressi verso la finestra per tirare su la saracinesca. Con la manica dell'indumento pulii il vetro appannato e guardai il panorama: dal cielo infestato di nuvole scure cadeva sulla grigia città una pioggerellina impregnata di smog; una tipica mattinata di settembre. Mi stiracchiai e scesi le scale dirigendomi in cucina per la colazione. Accesi il fornello e misi a scaldare il latte, presi un pacco di biscotti dal cassetto e mi sedetti a tavola. Mamma e papà erano già andati a lavorare. Una volta consumato il pasto mi lavai e vestii, mi misi lo zaino in spalla, presi un ombrello e mi incamminai verso la scuola. Era iniziata da poco questa tortura, e non mi ero ancora riabituata alla noiosa routine scolastica.
Arrivai a destinazione con qualche minuto di ritardo e varcai la soglia scusandomi con la professoressa. Mi sedetti al mio posto e dopo una, due, tre, quattro, cinque lunghissime ore di interminabili lezioni potei tornare a casa.
Uscendo di fretta dal quel maledetto edificio mi scontrai distrattamente con un ragazzo che stava entrando a scuola, ma non ci feci troppo caso e, quando timidamente mi sorrise scusandosi, gli risposi con uno scocciato “non fa niente”.
Continuai la mia passeggiata, ma la figura sfuggente di quel ragazzo mi era rimasta impressa nella mente. La sua immagine in me era confusa, non lo ricordavo nei particolari; provai a tracciare astrattamente la sua figura. L'unica cosa che ricordavo era qualcosa di verde. “I suoi occhi!”, pensai e sorrisi da sola. Aveva gli occhi verdi e un bel sorriso. Questo era tutto ciò che riuscivo a ricostruire di lui.
Arrivai a casa e lanciai il pesante zaino per terra, mentre sentivo la voce del ragazzo dagli occhi verdi rimbombare in testa. Come poteva un incontro così insignificante ossessionarmi a tal punto? 

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Capitolo 2
*** Capitolo 2 ***


Per pranzo riscaldai un pezzo di pizza avanzato dalla serata precedente. Mi sedetti a tavola e fissai il piatto. Nonostante avessi fame, non riuscivo a mangiare. Avevo lo stomaco chiuso.
Improvvisamente suonò il telefono, interrompendo il flusso dei miei pensieri. Risposi: era mia madre. Come di consuetudine mi chiese come fosse andata a scuola e concluse la chiamata raccomandandosi che io facessi i compiti. Sbuffando misi a posto il telefono e aprii i libri.
Erano ormai le sei di sera, e io non avevo ancora mangiato nulla. Studiando mi ero tenuta lontana dal pensiero dell'incontro del ragazzo con gli occhi verdi, e ne ero piuttosto soddisfatta. Sentii aprire la porta e un allegro “buonasera!” risuonò in tutta la casa; mia madre era tornata dal lavoro. La accolsi con un sorriso e la abbracciai. Preparammo insieme la cena e, una volta finito di mangiare, mi diressi quasi correndo in camera mia. “Vado a dormire, sono stanca”, urlai dal piano di sopra. Non ricevetti alcuna risposta, ma non ne sentii il bisogno.
Mi infilai il pigiama e mi misi sotto il mio adorato piumino, presi in mano l'iPod e cercai una canzone da ascoltare. Persi velocemente interesse nell'ascoltare musica: ero tormentata da quel pensiero. Quel ragazzo. Perché mi aveva colpita così tanto? Cosa c'era di tanto speciale in lui?
Mi addormentai con queste domande che mi ronzavano in testa.


Otto meno un quarto del mattino. “Sono in ritardo!”, esclamai. Corsi giù dalle scale, presi una merendina, lo zaino e uscii di casa. In tutta fretta feci il primo tratto di strada. Attraversai sulle strisce e davanti a me, sul marciapiede, c'era un ragazzo con i capelli verdi fluorescenti. “Ma che...?”, dissi a bassa voce. Mi sentì e si girò di scatto. Sorrise: era il ragazzo con gli occhi verdi. Come avevo potuto non notare i suoi capelli fosforescenti? Mi stupii di me stessa.
Spalancai gli occhi e mi scappò un “oh dio”, lui scosse la testa ridendo. Si girò e continuò a camminare e così feci io, dietro di lui.
Silenzio totale. Osservavo la sua sagoma che muoveva un passo dopo l'altro di fronte a me. Era alto, molto alto, e magro. Le sue braccia muscolose gli scivolavano lungo i fianchi mentre teneva le mani dentro le tasche dei suoi jeans neri. Portava una camicia a quadri. I suoi capelli erano buffissimi, tutti disordinati e di quel colore assurdo.
Improvvisamente il ragazzo con gli occhi verdi si girò, spaventandomi. Mi rivolse lo sguardo:“comunque piacere, Michael”. “Angela”, sorrisi.
Wow, Michael.
Arrivammo insieme all'ingresso della scuola. Andammo ognuno nella rispettiva classe.
Al suono dell'ultima campanella non riuscii a non sorridere al pensiero di poterlo rivedere. 

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Capitolo 3
*** Capitolo 3 ***


Salutai i miei compagni di classe distrattamente e corsi verso la porta della classe. Scesi di tutta fretta le troppe rampe di scale che mi dividevano da Michael, ehm... volevo dire “dall'uscita”. Uscii nel piazzale antistante alla scuola e cercai il colore acceso della sua chioma fra mille ragazzi che parlano, che fumano, che scherzano e che, stanchi, vanno a casa. Il mio sguardo ispezionava ogni singola persona su quel piazzale in vano: Michael non c'era. Delusa, imboccai la via verso casa.
Camminavo piano, rilassata dal rumore della città. Faceva freddo, ma non mi importava, non avevo alcuna premura di arrivare alla mia meta. Avevo preso un otto in latino dopo ore e ore di studio dedicato, ripetizioni e molto impegno, ma non ero soddisfatta. Sono proprio una stupida.
Arrivai all'uscio di casa mia e entrai, trovandomi davanti un biglietto firmato da mamma:”Ciao Angela, stasera io e papà andiamo ad un evento e poi a cena fuori. Faremo tardi, comportati bene e fai i compiti! Un bacio”. Un'altra serata da sola. Meglio così.
Mangiai e, assonnata, mi buttai sul letto. Accesi il telefono, avevo una notifica su Facebook: le solite richieste di giochi. Non li blocco solo virtualmente, gli blocco la respirazione se mi mandano ancora solo una di queste sciocchezze. Scocciata, lanciai il telefono sul comodino e mi addormentai.
Aprii gli occhi dopo (o almeno così mi sembrava) una ventina di minuti, capendo di sbagliarmi guardando l'ora: otto e mezza di sera. Oh dio, devo fare i compiti! Mi misi al lavoro.
Finii di studiare all'una di notte e, sfinita, mi addormentai sul divano.
La mattina seguente mi svegliai più presto del solito ed in condizioni pietose: due paia di occhiaie nere cerchiavano i miei occhi castano scuro e un candido pallore caratterizzava la pelle del mio viso. Nonostante sembrassi un cadavere, decisi di non truccarmi quel giorno. Non sono mai stata una persona che dà peso al giudizio altrui.
Erano le sette e mezza del mattino, ero estremamente in anticipo dato che la scuola distava pochi minuti dalla mia abitazione e le lezioni sarebbero cominciate alle otto, ma decisi comunque di partire. Oltrepassai l'uscio e chiusi la porta dietro di me con un giro di chiavi. Le odio queste giornate, sono tutte uguali. Sbuffando cominciai la mia consueta passeggiata. Ero particolarmente di buonumore quella mattina, nonostante il classico nervosismo causato dal estremamente ripetitiva quotidianità scolastica. La mia immotivata euforia mi spinse a guardarmi intorno. Osservai le automobili che mi sfrecciavano accanto, sollevando qualche goccia di pioggia dall'asfalto umido per la pioggia della sera precedente. Assistetti all'apertura dei negozi: il giornalaio sistemava i quotidiani appena arrivati, il fiorista annaffiava le piante, il fornaio esponeva le sue deliziose creazioni nella vetrina del suo forno. Sciami di persone ben vestite e con in mano valigette nere e borse correvano di fretta davanti ai miei occhi. Gli scuri e le saracinesce dei palazzi che mi circondavano mano a mano erano aperti da volti assonnati. Era tutto così magnificamente vivo.
Attraversai la strada trafficata sulle solite strisce, ero quasi arrivata a scuola, quando qualcosa mi fermò. Una mano sulla spalla. Il cuore cominciò a battermi all'impazzata, mi girai e lo vidi. Mi si illuminò lo sguardo. Michael. “Mi hai spaventata!” dissi ridendo e tenendo una mano sul petto. “Scusami!”, sorrise. “Non pensavo ti preoccupassi per così poco”, mi provocò. “Ma figurati!...” Camminavamo, ormai, uno di fianco all'altro. Era vicinissimo a me, scrutai l'incantevole armonia dei suoi lineamenti. Quanto sei bello, santo cielo. Eterni secondi di silenzio. Con la coda dell'occhio lo vidi pensieroso, poi parlò:“Come stai?” Fu questa breve e banalissima frase che mi ricordò in che condizioni ero uscita di casa. Bene. “Sì, bene... tu invece?” “Non c'è male”, disse volgendo lo sguardo al pavimento. Sembrava turbato, ma preferii non intromettermi troppo in ciò che sembrava mi volesse nascondere. Lo guardai negli occhi e gli sorrisi. Ricambiò lo sguardo con un sorriso forzato. Se stai male tu, sto male io.
Una volta arrivati a scuola, corse immediatamente in classe congedandosi con un “ciao” piuttosto apatico. Ricambiai il saluto e salii in classe.
Che cosa gli è successo? Perché il suo umore è cambiato così drasticamente da un momento all'altro? Che cosa mi nasconde? O forse semplicemente non gli piaccio? Che ossessione che sei, Michael.

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Capitolo 4
*** Capitolo 4 ***


Le prime due ore mi subii la professoressa di matematica, poi un'ora di latino, un'altra di italiano e per concludere la pesante giornata, due di ginnastica. Avevo dormito poche ore la notte precedente e a malapena riuscivo a tenere gli occhi aperti, quindi preferii dirigermi direttamente a casa.
Camminavo velocemente, non vedevo l'ora di sdraiarmi sul letto e dormire per sempre. Sì, per sempre. Arrivai a destinazione, entrai, lanciai lo zaino e il borsone di ginnastica a lato della porta, mi tolsi le scarpe e mi addormentai sul divano.
Tre ore dopo mi svegliai e trascorsi il tempo restante di quella giornata tra faccende domestiche e compiti. Andai a dormire alle dieci di sera, non avendo ancora completamente smaltito il sonno accumulato dopo la precedente nottata passata in bianco.

Sette di mattina. Yaaaawwwwnnnn! Dopo essermi alzata, mi diressi verso la finestra, tirai su la saracinesca e ne spalancai le vetrate: venni accecata dalla forte luce del sole.Finalmente una bella giornata! Il bel tempo aveva avuto un influsso positivo sul mio umore. Mi vestii e truccai al meglio e andai a scuola. Non incontrai Michael durante il tragitto, quel giorno.
Arrivata in classe non ebbi nemmeno il tempo di varcare la soglia che la mia migliore amica, Giulia, mi si avvicinò mostrandomi un foglietto di carta ripiegato su sé stesso, con su scritto “per Angela”. “Guarda cosa hanno lasciato sul tuo banco!”, mi disse euforica. La osservai curiosa:”Cosa c'è scritto dentro? Chi me l'ha lasciato?” “Non lo so. Non ho guardato, è per te, devi leggerlo tu”, rispose e me lo porse sorridendo. La campanella suonò e andai a sedermi al mio posto. Entrò in classe la professoressa e, dopo averla salutata in coro ai miei compagni, nascondendo il biglietto dietro all'astuccio, lo aprii. Non riuscii a trattenermi dal sorridere leggendone il contenuto. “Lo so che è da sfigati, ma ti lascio il mio numero qui, scrivimi quando puoi, Michael xx.” Oh, Michael...
Arrivarono i tanti attesi dieci minuti di ricreazione. Giulia subito mi corse incontro:”Angela! Cosa c'è scritto? Chi te l'ha mandato? Racconta, racconta!” La guardai e risi, lei insistette:”Ti prego, uffa!” Non le avevo ancora raccontato di Michael, quindi nel momento in cui pronunciai il suo nome, in risposta alle sue domande, mi chiese confusa:“E chi sarebbe Michael?” “Un ragazzo che ho conosciuto”, sorrisi. “E non mi hai detto nulla? Ora mi spieghi!” “Ti dico dopo, all'uscita da scuola.” “Ok, buona lezione.” “Anche a te”, sorrisi e la abbracciai. Volevo troppo bene a quella ragazza. Ci conoscevamo da quando avevamo sei anni e mi era sempre stata accanto, nel bene e nel male. Ero legatissima a lei, la nostra amicizia era più forte di qualsiasi altra cosa. Aveva i capelli lunghi e lisci, rossi naturali (che io le ho sempre invidiato), gli occhi grandi e scuri e un sorriso stupendo.
Suonò l'ultima campanella della giornata, quella che è un po' come se ti dicesse “la tortura è finita!” Scesi le scale e la aspettai all'ingresso dell'edificio. Attendendola, vidi uscire anche Michael, che mi salutò facendomi l'occhiolino. Notai un cambiamento in lui: i suoi capelli verde acceso erano ora lilla. Gli sorrisi e gli feci cenno che mi piacevano.Adoro la sua stranezza. Mi ringraziò con un sorriso e imboccò la via verso casa.
Giulia dopo qualche minuto mi raggiunse. Le proposi di passare il pomeriggio da me e lei accettò, avevo proprio bisogno della mia migliore amica per trovare il coraggio per scrivere a Michael.
Ci dirigemmo a casa mia. Durante la passeggiata le parlai di Michael, lo descrissi come “il ragazzo alto con i capelli colorati”, ma lei sostenne di non averlo mai visto a scuola. “Come ho fatto a non notare un ragazzo con i capelli lilla? Oh dio”, disse lei ridendo. “In effetti,” continuai io “neanche io l'avevo mai visto prima di questo lunedì. Oggi siamo giovedì, quattro giorni fa.” “Forse è nuovo”, ipotizzò Giulia. “Potrebbe esserlo.”
Arrivammo a casa mia e, dopo aver mangiato, ripresi in mano il biglietto di Michael e salvai il suo numero in rubrica. “Scrivigli!”, mi incitò Giulia. Indugiai un po', poi lei mi convinse e gli mandai un messaggio.

Hey, sono Angela :)
“Nah, non mi convince!”
Hey, sono Angela. Come stai? :)
“Troppo banale.”
Ciao Michael, sono Angela.
“Troppo formale.”
Ciao Michael! Sono Angela. Carino il biglietto, hahaha :) x
“Senti, questo va bene, ora lo mandi e la smetti di romperti e di rompermi le balle!”
“Ma Giul...”
“No, niente ma. Muoviti!”

Ciao Michael! Sono Angela. Carino il biglietto, hahaha :) x [sent 14:03 pm]

“Fatto. Che ansia”, mi lamentai.
“Ora aspetta”, disse Giulia.
Attesi e attesi. Mi sentii una stupida quando, dopo ore, non avevo ancora ricevuto una risposta.

 

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Capitolo 5
*** Capitolo 5 ***


Passarono, da quel che mi sembrava, infinite ore. Alle sette Giulia dovette tornare a casa, lasciandomi pericolosamente da sola con i miei pensieri.
Saltai la cena e decisi di lavarmi e mettermi subito a letto. Una volta sdraiatami, mi ricordai di non aver spento la luce al piano di sotto, quindi dolente scesi e risalii le scale. Qualcuno mi aiuti. Varcai per la seconda volta la soglia di camera mia, entrando contemporaneamente al suono della notifica appena comparsa sullo schermo del mio cellulare. Mi buttai nel letto e presi il telefono, notando che un numero sconosciuto mi aveva scritto un messaggio.

Non mi scrivi? :D x [received 09:32 pm]

Chi sei? [sent 09:34 pm]

Tic tac, tic tac, tic tac...

Lascia stare, ciao. [received 9:55 pm]

Ma questo, o questa, ha problemi. Rimasi a fissare lo schermo cercando di capire che cosa ci fosse di sbagliato nella mia risposta, ma non capii. Non riuscii a continuare la conversazione, non sapendo cosa dire. Sempre a me i disagiati, sempre a me. Mi addormentai.

Sette del mattino, venerdì! Finalmente, pensai stiracchiandomi. Come di routine mangiai, mi lavai e mi preparai per la scuola, per poi incamminarmi.
Lo vidi e lo chiamai:“Hey, Michael!” Non si girò. Non mi sente. “Michael!”, “Michael!”, “Michael...” Niente. “Ti giri o lo fai a posta?”, dissi rivolgendomi a lui, ridendo. Eravamo troppo vicini perché non mi sentisse, eppure non mi rispose. Lo guardai confusa, ma tutto ciò che vedevo era la sua sagoma alta che camminava decisa davanti a me. Forse non mi ha risposto al messaggio perché è arrabbiato... Provai ad aumentare il passo per affiancarlo, ma non me lo permise, camminando velocemente a sua volta. “Cosa hai?”, gli chiesi. Non aprì bocca. Ok, allora. Raggiungemmo l'ingresso della scuola, non mi salutò e si diresse nella sua classe, salendo le scale correndo. Delusa, feci lo stesso.
Entrai in classe e salutai scocciata i miei compagni, mi sedetti al mio posto e Giulia mi si avvicinò, notandomi giù di morale. “Cosa succede?”, mi domandò dolcemente. “Lasciamo stare, penso sia meglio pensare ad altro”, risposi e le sorrisi forzatamente. Lei prese una sedia, si mise accanto a me, appoggiò una mano sulla mia spalla e guardandomi negli occhi, disse:”A me non puoi dire così. Parlamene. È per il messaggio di Michael?” “No.” “E per cosa?” Sospirai. “Venendo a scuola mi ha completamente ignorata e non ho idea del perché. Forse è per questo che ieri non mi ha risposto, forse è perché ce l'ha con me, forse perché ho fatto qualcosa di male, che ne so!”, alzai la voce. “Calmati,” intervenne Giulia placidamente “magari è solo una giornata no per lui, dagli tempo e vedrai che le cose si aggiusteranno. Poi ne riparliamo a ricreazione, ok?” “Ok.”

Ricreazione. “No, ne parliamo all'uscita, non me la sento adesso e poi abbiamo poco tempo”, dissi a Giulia. “Va bene...”, rispose.

Durante le due ore successive continuai a pensare che io con Giulia non volevo parlare, io non volevo parlare proprio con nessuno. Dovevo tirarmi su da sola, senza l'ausilio di nessuno.

Al suono dell'ultima campanella scappai letteralmente fuori e a passo svelto mi diressi verso la mia abitazione. Tirai un sospiro di sollievo quando varcai l'uscio e, accaldata, mi tuffai sul divano. Presi in mano il cellulare, Giulia mi aveva chiesto dove fossi finita. Decisi di non rispondere. Ma non ce la fa a capire che voglio stare da sola?

 

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Capitolo 6
*** Capitolo 6 ***


Erano passate ore dall'uscita da scuola e Giulia mi aveva intasato il telefono tra notifiche di messaggi e chiamate perse. Io non avevo risposto nemmeno ad uno dei suoi tanti tentativi di contattarmi e sì, mi sentivo una pessima amica, ma non ero in vena di parlare. Sono fatta così: non voglio pesare sugli altri con i miei problemi e preferisco risolverli autonomamente.
Passai quelle maledette ore vuote a pensare a quale fosse il problema. Perché allontano sempre le persone? Una lacrima scivolò attraverso la mia guancia, lasciando una scia bagnata dietro di sé. Portai la mano al viso e me la asciugai singhiozzando. Sospirai nel tentativo di calmarmi. Rilassati, Angela, rilassati. Respira, prendi fiato. Piangere è inutile e lo sai. Avevo sempre odiato le persone che in risposta ad una qualche sofferenza scoppiavano in lacrime, sono sempre stata dell'idea che, come si suol dire, è inutile piangere sul latte versato. Che schifo.
Giulia tiene veramente molto a me. Ed io cosa faccio? La ignoro, perdendo tempo a pensare ad un ragazzo che conosco a malapena e a cui probabilmente non importa nulla di me. Sono una stupida, sono esattamente il tipo di persona che odio, il tipo di persona che vorrei non esistesse. Do troppa importanza a chi mi odia e troppo poca a chi mi ama. Penso solo a me stessa, penso alle mie necessità e tratto le persone di conseguenza al mio umore. Ho sprecato un pomeriggio a pensare alla causa dell'arrabbiatura di Michael, mentre...

Oh Dio,urlaii messaggi! Presi in mano il telefono e rilessi le due distinte conversazioni. Per avere la conferma della mia intuizione, scrissi al numero che non mi aveva risposto.

Scusa per il disturbo, non ti chiami Michael, vero? Penso di aver ricevuto il numero sbagliato e vorrei che tu me ne dessi la conferma, grazie mille! [sent 6:34pm]

Non sono Michael, mi dispiace, hai proprio sbagliato numero! [received 6:45pm]

Ecco qual era la causa del comportamento schivo di Michael. Tirai un sospiro di sollievo e sorrisi. Ora sapevo cosa fare! Scrissi a Michael, scusandomi.

Ciao Michael, mi dispiace che tu sia arrabbiato con me, il numero che mi avevi dato era sbagliato o io l'ho letto male e ho mandato un messaggio alla persona sbagliata, scusami tanto! [sent 6:48pm]

Devo prepararmi alla possibilità che non mi risponda.

Va bene, sta tranquilla. Mi dispiace di essermela presa, ma tengo alla nostra amicizia. [received 6:53pm]

Wow...

Vale lo stesso per me. [sent 6:56pm]

Scusami, ora devo andare. Ci vediamo domani mattina, al solito. Buona cena, anche se in anticipo :) [received 7:00pm]

A domani :) [sent 7:01pm]

A domani” suona quasi come una promessa.

Ero veramente felice di aver risolto con lui, così, quella sera, andai a dormire senza preoccupazioni.


Buongiorno mondo! Mi sentivo quasi una di quelle persone che la mattina sono super pronte ad iniziare un'altra giornata, ma quasi. Non vedevo l'ora di incontrare Michael. Appena finii di prepararmi, mi diressi a passo svelto verso il nostro consueto punto di incontro. Aspettai qualche minuto, essendo in anticipo, poi lo vidi comparire in fondo alla strada. Lo salutai e lui ricambiò con la sua solita cordialità. Sembrava quasi non fosse mai successo nulla. Non ricordo nemmeno di cosa parlammo, tanto ero felice che tutto fosse tornato alla normalità.
Una volta arrivati a scuola, 
lo salutai, e sentii una fitta al petto. Cercai di calmare la pressione che il dolore mi faceva sentire al petto avvicinando una mano alla zona interessata e, mentre salivo le scale, questa si attenuò. Avevo un cattivo presentimento. Entrai in classe e impallidii, una volta saputa la notizia.
Niente più tornerà alla normalità. 

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