Sin Pecado

di mis_sfortune
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Beyond The Bounds ***
Capitolo 2: *** Phenomenon ***
Capitolo 3: *** Dominion ***



Capitolo 1
*** Beyond The Bounds ***


Change is what the world awaits
Could that be peace or war?
The answer no one knows
Trusting the break of dawn
The blue bird flies away

“Dicono... Dicono che hanno trovato il cadavere della traditrice in fondo alla Via Purificatio. Sangue ovunque. E la sua combriccola di guardiani... due a galleggiare sulle acque del canale, altri tre sbranati da Efrey Oltana, li ho visti coi miei occhi al teleschermo. Nessuno ha trovato sir Auron, in compenso. Bah, guarda, una tragedia, ma in fondo se lo meritavano! Arrivare a uccidere il maestro Kinoc... C'erano fin troppe aspettative sulla figlia del grande invocatore Braska, magari la fama le ha dato alla testa. Spero quantomeno che qualcuno porti il Bonacciale, e in fretta. Sin ci sta portando via tutto... Ho sentito di una ragazza di Luka che ha deciso di partire dopo il casino dell'operazione Mihen. Ehi Zareb, mi stai sentendo?”

Il giovane uomo portò alle labbra la sigaretta e tirò una boccata di fumo, soffiandola pigramente. Si voltò verso l'amico, cercando di seppellire il fastidio per la di lui evidente logorrea, e si limitò ad annuire.

Il bancone di un bar, a Spira, era il posto meno adatto per dimenticare le proprie disgrazie. Magari altrove il dolore si smezzava: ma a Spira no, perché Sin colpiva tutti, indiscriminatamente. Uccideva sacerdoti, pescatori, giocatori di blitz, mercanti. Sterminava Guado, Albhed, Ronso, persone comuni. Polverizzava vecchi, bambini, donne, uomini. Nessuno si sottraeva alla sua forza punitiva. Lo stesso nome di questa creatura, Sin, 'peccato', ricordava a tutti, vivi e morti, che c'erano delle colpe da espiare. Della vanità dell'intelletto umano. Della sete di potere. Della rivalità indefessa tra i due polmoni del mondo: Zanarkand, terra di invocatori, e Bevelle, signora delle macchine.

Forse, pensava Zareb, Yevon ha voluto invocare Sin per distogliere le attenzioni. Era necessaria la presenza di Sin affinché gli uomini non combattessero più tra loro. Qualcosa, però, ancora non gli quadrava. Zanarkand è un cumulo di rovine; Santa Bevelle è ancora in piedi. A noi viene proibito l'uso delle macchine per agevolarci; eppure i templari hanno fucili e macchine proibite . E le ho viste coi miei occhi, senza il bisogno di un fottutissimo teleschermo. Un altro tiro di sigaretta, mentre svuotava il bicchiere del suo amaro.

“Io vado” mormorò lapidario, mentre alzava i tacchi e usciva da quella bettola. Kilika non era stata così squallida dai tempi dell'ultimo monsone, quando l'alluvione aveva spazzato via il ponte sul porto e, a schiena piegata come un disgraziato, l'aveva riparato insieme a suo padre. Ma poi Sin si era portato via, insieme alle passerelle traballanti, anche lui, quando aveva attaccato l'isola sei mesi prima.

Zareb aveva visto la figlia del grande invocatore Braska, mentre danzava sull'acqua, trapassare le anime dei defunti. Trapassare anche quella di suo padre. Non credeva che la morte potesse infondere questo senso di... fascinazione.

Quando uscì dalla locanda, l'alba rosseggiava in lontananza e pesanti occhiaie adombravano il suo volto. Non era riuscito a prendere sonno: l'evento aveva causato troppa confusione e il villaggio era effettivamente piccolo. Qualcuno era dispiaciuto, qualcun altro scioccato, qualcun altro ancora nel suo dispiacere sosteneva la causa del clero. Zareb non riusciva a credere che da mille anni viveva in un mondo in cui il senso comune era determinato da precetti infondati: Bevelle era tanto dalla parte di Sin quanto lo poteva essere Zanarkand. In un certo senso, il giovane appoggiava la posizione degli Albhed, anche se reputava i loro metodi troppo fondamentalisti.

Si chiedeva da che parte lui stesse. Dopo l'operazione Mihen aveva disertato. Era stato un vigliacco, ma quel fallimento aveva portato a una catastrofe. Era anche lui un traditore. Come la figlia di Braska.

Diede un ultimo tiro alla sigaretta di foglie di palma, poi la gettò in mare. Quando il mozzicone creò, tuffandosi, dei cerchi concentrici intorno a sé, Zareb si avvicinò allo specchio d'acqua, inginocchiandosi davanti ad esso.

Aveva i capelli neri e lunghetti, che si arricciavano tutti intorno al suo viso spigoloso, e gli occhi blu appesantiti dalle borse violacee. Il labbro inferiore sporgeva leggermente, una barbetta incolta a coprirgli la mascella. A torso nudo, la pelle olivastra appena illuminata dal sole, indossava un paio di pantaloni harem color verdone e una fascia rossa al braccio destro. Quel fiocco brillante era come un memento, a ricordargli la vergogna di essere appartenuto alla Milizia e aver abbandonato i suoi compagni nella lotta contro Sin.

Al pensiero, la sua bocca si piegò in una smorfia sprezzante. Si allontanò verso la giungla con i pugni nelle tasche e i muscoli intirizziti dalla brezza mattutina. La giornata era lunga e doveva pianificare il suo spostamento.

Non poteva più rimanere a Kilika. Nonostante il sole, gli alberi, il mare. Nonostante avesse passato l'infanzia a salire i gradini del tempio, a giocare a blitzball nel suo spiazzo, ad ammirare la statua del grande Ohalland.

Ma Zareb doveva. Doveva andare via.

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Capitolo 2
*** Phenomenon ***


Don't let these spiders crawl up beside us
They want to bite us, inject the virus
Raise up your lighters, praise to the righteous
Need you to guide us, get prepared to go

Il rancore dei morti è la condanna dei vivi.

Mentre i corpi si decompongono, la carne divorata dai vermi e le ossa sbriciolate, le anime dei defunti si sgretolano in lunioli, in cerca di una guida per raggiungere l'Oltremondo. Spesso questa condizione non si verifica e, impastati di energia negativa, i lunioli si uniscono gli uni con gli altri e si trasformano in mostri.

Era stato comprovato scientificamente, ma in quel momento non importava a nessuno. Con la carabina tra le braccia, Haru misurava a passi lesti la via Purificatio, aspettando che i suoi subordinati ultimassero l'ispezione. Quella circostanza lo metteva a disagio, trattenendolo in un “fuori luogo” dal quale avrebbe preferito uscire. Il comandante era morto, l'esercito in subbuglio, Kelk Ronso autoesiliato sul Gagazet. E Yuna, e i suoi guardiani...

Un rumore di passi gli fece sollevare lo sguardo: era il maestro Seymour, affiancato dalle sue guardie del corpo. Haru rimase attonito, soffocando un singhiozzo.

Quell'uomo non gli era mai piaciuto, men che meno dopo i mormorii che aveva sentito in caserma. Girava voce che volesse sfruttare la talentuosa invocatrice per trasformarsi in Sin. Qualcosa dentro il ragazzo si era spezzato.

No, non è possibile, si diceva, una goccia di sudore a imperlargli la tempia. Avranno sentito male, sono state giornate parecchio stressanti e la stanchezza gioca brutti scherzi. Ma perché non riusciva ad allontanare dalla mente l'idea che, in questo pettegolezzo, ci fosse un fondo di verità?

“Buon giorno, Capitano”, lo salutò Seymour, curvando la bocca in un sorriso senza denti. Ad Haru parve di vedere, stampato sul volto del maestro, un paio di vermi striscianti. Quelle labbra erano maledette: avevano baciato un padre e una moglie, e le mani della stessa persona, affilate come spade, li avevano uccisi. Haru si giudicava una persona piuttosto saggia e imperturbabile, ma mantenerla di fronte a un individuo simile, per giunta maestro di Yevon, era a dir poco complicato. Dopo aver inserito la sicura, indossò il fucile usando una tracolla e si avvicinò al gruppo appena arrivato.

“Maestro...” cominciò, dopo essersi profuso in una riverenza non sentita. “Perché buttare i cadaveri in acqua? Perché lasciarci anche gli altri? Non è... non è stato abbastanza?” domandò pallido come un cencio. L'odore era pestilenziale.

“Perché ai traditori, Capitano, non è concesso l'onore di una degna sepoltura” miagolò Seymour, ammirando il canale pregno di sangue. “Le conviene abituarsi a quanto dico. Sarà di monito anche per coloro che rifiuteranno i precetti di Yevon e l'autorità dei maestri. Oh”. Lo sguardo del mezzo Guado oltrepassò Haru. “I suoi uomini hanno finito il lavoro”. Alle sue spalle, un gruppetto di templari camminava verso di loro con passo bieco e sconsolato. Non si sentiva di criticarli: respiravano morte da almeno 16 ore.

“Rompete le righe” ordinò Seymour. “Vi assegnerò altri compiti a breve. Ho come il timore che Yuna mi causerà più problemi da morta che da viva”. Gli sfuggì una risatina isterica.

È un pazzo, si diceva Haru guardandolo attonito. È un folle, e i prossimi siamo noi. Fece un cenno ai soldati. “Maestro”. Insieme si inchinarono unendo le mani su di una sfera immaginaria. Uscirono poi dalla Via Purificatio alla luce di un sole opaco.

Haru si tolse l'elmo dalla testa, sbuffando infastidito. Nonostante le nuvole oscurassero il cielo sopra Bevelle, i suoi capelli brillavano come fili d'oro. Socchiuse i suoi occhi verdi, mentre sentiva un leggero vento tirargli la lunghissima treccia annodata da una corda azzurra.

“Capitano...” Il suo sottoposto, il tono rassegnato, faceva da tramite per sé e i compagni. Nonostante avesse solo 25 anni, soldati molto più vecchi riponevano in Haru piena fiducia.

“Non so cosa dire” proferì lapidario. “Dobbiamo limitarci a eseguire gli ordini, anche se questo comporta fare del male a qualcuno”. Una pausa che durò un'eternità. “No, non so cosa sto dicendo, lascia perdere. Ne riparleremo quando i miei vestiti non saranno infracidati di morte”.

Si levò un coro altisonante: “Sissignore”.

Mentre si dirigeva verso la caserma, il ragazzo snudò le mani foderate: quasi a convincersi che la morte di cui voleva disfarsi fosse rimasta sui guanti.

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Capitolo 3
*** Dominion ***


In the heat of the night
In the heat of the day
When I close my eyes
When I look your way
When I meet the fear that lies inside
When I hear you say
In the heat of the moment [...]
Some say prayers
I say mine

Non c'era stata la minima conversazione per tutta la mattina. Le parole erano rimaste sospese tra loro, come un peso greve che non intendeva sollevarsi e sparire, sublimandosi nell'etere.

Adara aveva indugiato in un angolo della nave tutto il tempo, immobile, a sgranare gli anelli della catena. Aveva i capelli neri ordinati in treccine, decorate con fili colorati e perle di vetro, legate poi in alto sulla testa, e lasciate ricadere sulle spalle come una fontana di ciocche sottili. Indossava una canotta rossa, sfrangiata sulla schiena, e dei pantaloncini neri, accompagnati da un paio di gambali e schinieri borchiati. Sulla pelle nuda della spalla destra risaltava il tatuaggio di un ramo di fiore di ciliegio, finemente dettagliato. I lobi delle orecchie erano trapassati da grossi dilatatori di legno scuro.

Leila stava affacciata sul parapetto dell'imbarcazione, gli occhi azzurri fissi sulle onde, i capelli mossi castani che fluivano al vento. Il suo collo era avvolto da numerose collane di pietre intarsiate col simbolo di Yevon. Portava un vestito azzurro con motivi floreali, legato da una cintura color cuoio fasciante: l'abito era molto somigliante a uno yukata, ma con le maniche e la gonna più corte. Il colore dei sandali alla schiava richiamava il colore dell'obi.

“Invocatrice...” Un marinaio si avvicinò a Leila a mezzogiorno, l'espressione evidentemente turbata. “Si sta avvicinando una tempesta, le converrebbe entrare in coperta”.

La ragazza non riusciva ad alzare lo sguardo, ma si convinse ad allontanarsi dal ponte della nave. Quando entrò in cabina, Adara era già seduta su una panca a gambe accavallate e braccia incrociate. Era scura in volto, stizzita, come se tutto ciò che le stava attorno fosse una spina nel fianco. Leila se ne accorse e le si avvicinò.

“La nostra vita...” iniziò a dire. La sua voce era dolce come un fiume di latte e miele. “... è bizzarra. Nella scelta del nostro percorso ci consacriamo alla morte. E prima di farlo affrontiamo mille pericoli. Rischiamo di essere rapiti, traditi... Uccisi prima del tempo”. Aveva il tono di chi si stava scusando per essersi macchiato di una colpa.

“Yuna era la prediletta di Seymour” intervenne Adara con freddezza. “C'è qualcosa che non mi torna ed è ovvio che c'entri Bevelle”. Si alzò dal suo posto e si mosse incontro a Leila, poggiandole una mano sulla spalla. “Non ti preoccupare, non permetterò che ti facciano del male”.

“Non rischierai ulteriormente per me”. La voce non perse la sua dolcezza, ma aveva acquisito un tono fermo e deciso.

Ci fu uno scambio di occhiate tra le due. Nonostante l'una fosse la guardiana dell'altra, entrambe tacevano un patto di reciproca protezione, quantomeno inconscia. Mentre il compito di Leila era di pregare Yevon, Adara poteva rivelarsi una spietata assassina: alla gamba destra portava una fondina con cinque coltelli. Non che le piacesse uccidere, ma era pronta a sacrificare la vita di altri a patto che la sua invocatrice fosse immacolata e al sicuro. I rapimenti dell'ultimo periodo l'avevano allarmata non poco e i momenti in cui sorvegliava l'amica si erano raddoppiati, triplicati a seguito della morte della figlia di Braska.

In poche ore si alzò il vento, mentre un forte acquazzone si scatenava. Leila cercò di scacciare dalla mente un orribile pensiero: l'idea che le forze della natura si stessero mettendo contro di lei per ostacolarle il viaggio, come se la malvagità degli uomini, per cui avrebbe lottato, e la spietatezza di Sin non fossero abbastanza. Tentò invece di concentrarsi sulla prova che l'aspettava a Besaid, sulla voce dell'intercessore che la chiamava, cantando incessantemente l'inno. Non era molto preoccupata a riguardo: lo spirito di Ifrit era stato un osso duro e la preghiera era durata più di due ore. Valefor, dal canto suo, si prestava molto bene agli invocatori principianti. Leila era sicura, se non certa, del suo successo.

“Ho un dubbio”. Adara interruppe il flusso dei suoi pensieri. “Credi sia il caso di andare a Besaid?”

“Cosa vorresti dire?” Doveva allenarsi per l'invocazione suprema. Era ovvio che fosse il caso.

“Besaid è l'isola in cui Yuna ha vissuto per anni. Non conosciamo ancora le ripercussioni sociali che la sua morte può aver avuto” spiegò la guardiana mentre batteva ripetutamente la punta del piede sul pavimento. “Ancora non è chiaro da che parte stiano gli abitanti”.

“Il tempio...?” Leila avrebbe preferito non immaginare, ma uno scomodo scenario le si figurò davanti agli occhi.

“Già, potrebbero non farci passare. O potrebbero addirittura considerare la nostra presenza sull'isola ostile”.

“Ribellarsi a Yevon?” Non osava pensarci.

“No. Ma qualsiasi invocatore può essere visto con sospetto. Seymour è molto amato, Mika gli ha fatto una bella pubblicità”. Adara sbuffò, quasi a soffiare via i nomi che avevano toccato le sue labbra. “Nessuno potrebbe più tollerare un simile affronto nei confronti del clero”.

“Ma chi penserebbe mai di fare del male ai Maestri?” La voce di Leila fu spezzata da qualcosa, vagamente simile a un singhiozzo nascosto.

Adara si avvicinò all'invocatrice, più di quanto non lo fosse già, gli occhi verdi pericolosamente vicini ai suoi, tanto che Leila poteva coglierne i più veloci battiti di ciglia. “Io. E non farti domande, non serve” sibilò con odio. “Prima di arrivare a Zanarkand, spezzerò loro l'osso del collo”. Nel dire ciò afferrò la catena che aveva legata attorno ai fianchi. “Non faranno danni, mai più”. E si allontanò con passo indurito verso la sala motori.

Leila rimase spiazzata, una lacrima le aveva percorso la gota. A poco, pensava, serviva cambiare vita, allontanarsi dalle proprie radici e tingere i capelli per nascondere il dolore di un'Albhed.

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