3°capitolo
Dio disse: «Sia il
firmamento in mezzo alle acque per separare le acque dalle acque». Dio fece il
firmamento e separò le acque, che sono sotto il
firmamento, dalle acque, che sono sopra il firmamento. E
così avvenne. Dio chiamò il firmamento cielo. E fu
sera e fu mattina: secondo giorno.
A volte, si perde la concezione del reale e tutto diventa
più insicuro.
A volte, ci si scorda del proprio essere e si fluttua
leggeri in mezzo alla vita.
A volte, si ha tanta paura da cercare in tutti i modi di
annullarsi completamente.
Basta poco.
Basta niente.
E ciò che siamo è dimenticato da
ciò che non vogliamo più essere.
Ed ecco che ci annulliamo.
E siamo come racchiusi in qualcosa
più piccolo di noi, ma che non ci soffoca.
Diventiamo nulla, per il puro piacere di non essere più.
Dormire è differente da questo sonno incatenato alla nostra
anima.
Ecco.
Sono proprio le catene attorno al nostro cuore che, durante
il percorso di vita che ci ritroviamo sperduti ad affrontare, crescono e
stringono e tentano di soffocarci lentamente.
Annullandoci, crediamo di annullare anche le catene.
Ma non possiamo annullare noi
stessi né le catene.
Non più di quanto possiamo annullare il cielo e la terra.
Restiamo racchiusi lontani dal nostro io per
poco tempo.
Finché non ritorna la paura.
E il ricordo di tutti i perché che ci
hanno portato a racchiuderci.
Così, chi aveva cercato di annullarsi, soffocato ancora
dalle catene, capendo di esserci ancora, si era ribellato alla creazione di ogni cosa e aveva cercato la distruzione.
Distruzione.
Distruzione.
Distruzione.
Distruzione. Era questo che l’aveva portato fin là. Cercando
la distruzione. Di sé stesso. E ancora non aveva
raggiunto il suo scopo.
Debole.
Bastardo.
Così veniva chiamato. Sempre. Anche quando non c’era nessuno, continuava a sentire tante
voci che continuavano a ripeterglielo.
Debole.
Bastardo.
Era lui stesso a ripetersi continuamente quegli appellativi.
Era giusto così.
Debole.
Lo era diventato.
Bastardo.
Lo era sempre stato.
Idiota. Era solo un idiota. Era debole, bastardo e idiota.
“Ti sei svegliato finalmente…”. Una voce. Un uomo.
Il ragazzo aprì gli occhi, sbattendo le palpebre per
abituarsi alla luce.
“Come ti chiami?”
Nessuna risposta.
“Di dove sei?”
Silenzio.
“Come ci sei finito qua?”
Il ragazzo serrò seccamente le labbra.
I suoi occhi si spostavano da un punto all’altro.
Nervosamente.
“Vuoi sapere dove sei?” Michael lo guardò, quasi divertito
dal suo smarrimento.
Lo sguardo del ragazzo si posò definitivamente su di lui.
Attendeva che continuasse.
“Sei in una caverna che amo chiamare casa mia, nelle terre
d’Irad, ma penso che tu
questo lo sapessi. Hai salvato la vita a mia figlia e lei ti ha portato fin qui
per curarti. Sei qui ormai da un’intera giornata.”
Il ragazzo continuava a guardarlo dritto negli occhi.
“Spiacente, non c’è molto altro da dire.” Michael stava
cominciando a seccarsi dell’insistenza di quello sguardo.
“Kaleb”
Michael lo guardò sorpreso. Per la prima volta il ragazza aveva parlato.
“Come?”
“Il mio nome è Kaleb, è l’unica domanda alla quale posso
rispondere” rispose continuando a guardarlo negli
occhi.
“Michael. Il mio nome è Michael Grant.”
“Solo Kaleb. Il mio nome è solo Kaleb.”
Michael lo guardò interrogativamente, ma preferì non
chiedere altro.
“Papà! Sono tornata!”
Kira non sentiva niente.
“Papà?”
Si addentò nella caverna e vide suo padre in piedi e lo
sconosciuto seduto sul letto che si fissavano.
“Ti sei svegliato finalmente!” esclamò allegramente.
Suo padre sembrò accorgersi solamente in quel momento della
sua presenza e le venne incontro.
Il ragazzo sul letto, invece, le aveva appena
gettato un’occhiata, impassibile.
“Kira, questo ragazzo si chiama Kaleb.”
“Piacere!” Kira gli tese la mano, ma lui non accennò a
muoversi, sebbene i suoi muscoli, sotto la fasciatura che lei e suo padre
avevano apportato, fossero tesi, pronti a scattare al
minimo segnale di pericolo.
Kira lasciò cadere la mano, scoraggiata. Il suo sorriso,
fino a poco prima raggiante, ora andava rimpicciolendo.
“Io mi chiamo Kira Grant.” Continuò imperterrita.
Kaleb sbuffò impercettibilmente.
“Grazie per avermi salvato la vita…”
Kaleb la guardò. Si, era la stessa ragazza che l’aveva
portato in spalla fino a là. La stessa che lo aveva
allontanato dall’annullamento che tanto desiderava. Debole. Bastardo.
“Idiota…” sussurrò, rivolto alla ragazza.
“Cosa ci facevi in mezzo al nulla
da sola? Idiota… mi hai costretto a salvarti. Idiota…” lo sguardo del ragazzo era glaciale, vi guizzava solo una piccola scintilla di
rabbia. Fuoco.
“Io…io…ma…” Kira era sorpresa, non sapeva
cosa rispondere.
“Come ti permetti! Se non fosse per lei a quest’ora non saresti vivo!” Michael era scattato alle parole di
scherno del ragazzo.
Kaleb sogghignò. Nei suoi occhi nulla. Poi
una risata che crebbe e crebbe e crebbe, fino a diventare assordante.
Rideva per l’assurdità delle parole di quell’uomo. Rideva per l’ingenuità di
quella ragazza.
Rideva perché non sapeva piangere.
Kira e Michael erano sconcertati.
Loro non capivano cosa significasse quella risata.
Diabolica. Ecco com’era quella risata.
Diabolica.
Kaleb si calmò e continuando a sghignazzare disse “Non sarei vivo…”
“Stupida ragazza… tu non saresti viva se quel vampiro ti
avesse trovata da sola… stupido padre, mandi tua
figlia a prendere l’acqua quando sai che le tenebre hanno racchiuso la luce. E tu, dovresti saperlo bene. Tu…stupido prete…”
Continua...
Vi è piaciuto? spero di continuare presto....comunque adesso si capisce un pò di più no? ^-^"
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