A Love Story

di PepermintSmile
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** capitolo uno ***
Capitolo 2: *** capitolo 2 ***
Capitolo 3: *** capitolo 3 ***
Capitolo 4: *** - Capitolo Quattro - ***



Capitolo 1
*** capitolo uno ***


A Love Story

A   Love  Story

≈ Capitolo Uno ≈

 

Sharpay Evans fece scorrere con gesto impaziente le dita sul bordo del bicchiere d’acqua che stava bevendo, tamburellando le unghie perfettamente curate dell’altra mano sul tavolo. Il suo gemello non era mai arrivato tardi ai loro incontri e non avrebbe voluto iniziare ora quella tradizione.

Non fu delusa. Un cameriere guidò un giovane uomo con capelli biondo miele e un semplice completo marrone fino al tavolo e lo lasciò con un menù. Sharpay si tolse gli occhiali da sole con gesto teatrale.

“Cosa ti ha trattenuto?” Chiese con tono frizzante, stirandosi una ciocca di capelli. “Veniva quasi da pensare che ti fossi perso nella metropolitana.

“Sono stato trattenuto.” Rispose brevemente, facendo correre gli occhi sul menù. “Lillian aveva una riunione genitori-insegnanti.

Sharpay roteò gli occhi.

“Onestamente, Ryan; non devi andare ad ogni singolo incontro. È all’asilo, accidenti. Lui si strinse nelle spalle, mantenendo l’attenzione sul menù. “E perché sei così concentrato su quello stupido menù? Come se potessi permetterti una qualsiasi delle cose che stanno lì sopra. Gli lanciò un’occhiata calcolatrice. “E pensare che una volta ti saresti vergognato di indossare scarpe nere e giacca marrone…Sono sorpresa che i tuoi gusti si siano abbassati fino a questo punto.

Ryan lasciò cadere il menù sul tavolo.

“Oh, piantala, Shar.” La rimbrottò. “Sai che questo è il massimo che posso fare in questi giorni… con le… cose che stanno come stanno…” Imbarazzato, nascose il viso dietro alla lista dei dessert.

Sharpay sospirò di nuovo e cessò i rimproveri.

“Ryan” Disse dolcemente, la voce abbassata di un tono. “Hai solo ventidue anni e sei il padre di una vivace bambina di quattro. Dovresti come minimo aspettarti che io mi preoccupi, ogni tanto.

“Veramente, vorrei solocce tu la smettessi di farlo. Faccio abbastanza per tutti e due.

Lei rise piano, ma poi divenne seria.

“Lei ti ha… contattato?” Domandò con delicatezza.

“Credevi veramente che lo avrebbe fatto, dopo quattro anni?” Sospirò lui.

“Ryan, lo sai che vorrei aiutarti a pagare la retta…”

“Come ben sai, non accetterò il tuo aiuto. Questa è la mia vita –la mia bambina- e le controllo io.

“Beh, non è che tu stia facendo un gran bel lavoro, al momento. Grugnì Sharpay, pentendosi immediatamente delle proprie parole. “Ryan, non intendevo in quel senso…”

“Lo so, lo so, ma il punto è che hai ragione. È solo che veramente non voglio pensarci ora.

“Beh, qualcuno deve farlo e quel qualcuno potrei benissimo essere io. Ryan, hai bisogno di una persona che ti aiuti a cavartela. A Lilly serve una madre!”

“E pensi che non lo sappia?” Chiese Ryan con voce rotta, gli occhi che iniziavano ad annebbiarsi. “Credi che non noti quando diventa confusa quando vede le mamme delle sue piccole amiche accompagnarle all’asilo? Tutto ciò che ha lei è un padre che non ha mai nemmeno messo piede al college e sta ancora cercando un lavoro!”

“A proposito, come è andato il colloquio di oggi?”

“Non molto bene. Volevano qualcuno che avesse esperienza.”

“Per vendere pianoforti? Buon Dio, chi pensavano avrebbe risposto all’annuncio, Ray Charles?” Ryan rispose con un piccolo sorriso. “Ti hanno già richiamato?”

“Non ancora. Spero di sopravvivere almeno una settimana.

Cadde il silenzio.

“Vuoi che ti ordini una tazza di caffè o qualcosa del genere?” Si offrì alla fine la sorella.

“Sai che non sarei in grado di restituirti i soldi.

“Lo so.” Ryan sospirò e scosse la testa.

“No, grazie, dovrei già essermene andato. “Voglio riempire ancora un paio di moduli per richieste di lavoro, cercando di indovinare quali verranno rifiutate per prime.” Sharpay annuì e il suo esile fratello si alzò in piedi.

“Di’ a Lilly che le voglio bene. E, Ry…” Il giovane si voltò a guardarla. “Quel piccolo angelo è fortunato ad avere un papà come te. I suoi occhi si illuminarono e le sue mani presero a scavare nelle tasche.

“Quasi dimenticavo… Chealsea mi ha portato questa foto di Lilly l’altro giorno e ne ho fatta fare una copia per te.

Sharpay prese la fotografia dalle sue mani. Una dolce, piccola bambina le sorrideva con un sorriso fin troppo familiare e le sue corte trecce bionde le ricadevano sbarazzine dietro alle orecchie.

“Ti assomiglia davvero tanto. Ryan sorrise, fiero, alla fotografia. “Ma… ha anche gli occhi di sua madre.” Il suo sorriso scemò e lui sospirò pesantemente.

“Sì, lo so. Degli occhi così belli…” Con un rapido abbraccio laterale, Ryan Evans se n’era andato.

Sharpay lo seguì per un momento, poi riportò lo sguardo sulla foto. Scuri occhi color cioccolato splendevano sul viso infantile della ragazzina. Scacciando dalla testa quei pensieri, la vice presidente del design alla New York Fashion Company, finì l’acqua e aprì il portafoglio, dandosi mentalmente istruzioni per la giornata che l’attendeva.

 

®

 

Kelsi Nielsen salutò allegramente i suoi alunni e accatastò con ordine gli spartiti. La signora Shepherd si spostò al suo fianco.

“Le parole non possono esprimere quanto sei apprezzata, mia cara. Disse la donna più anziana, gli occhi brillanti d’affetto. Kelsi ride; un suono felice e cristallino.

“Sono io a doverla ringraziare. Assolutamente adoro lavorare con i bambini ed è così bello aver trovato un lavoro esterno al college.

“Dormo tranquilla la notte sapendo che i miei studenti sono in buone mani. Affermò fieramente la signora Shepherd, spingendo in fuori il petto. Kelsi arrossì di modestia, gli occhi nocciola illuminati dai complimenti. “Se solo avessi qualcuno che ti aiuti… allora sì che potrei davvero rilassarmi.

La compositrice resistette alla tentazione di roteare gli occhi.

“Signora Shepherd, sono perfettamente in grado di andare avanti senza un uomo al mio fianco. Lo faccio fin dai tempi del liceo. Si fidi, sono totalmente soddisfatta di lavorare da sola.

“Un giorno troverai il tuo compagno, non ti arrendere, tesoro. Salterà fuori quando meno te lo aspetti, quindi stai ben attenta a tenere la mente aperta.”

Arrendendosi, Kelsi rispose che lo avrebbe fatto e trasportò le borse della collega fino alla sua minuscola macchina.

Mentre stava salutando la piccola BMW, qualcosa all’angolo del suo campo visivo catturò la sua attenzione. In mezzo al gruppo di tenere madri che raccoglievano i propri bambini, un giovane uomo sembrava stranamente fuori posto. Non poteva avere più dei suoi anni e sedeva pazientemente su una panchina, aspettando.

Kelsi iniziò ad avvicinarglisi, ma una bambinetta con capelli identici a quelli di lui uscì correndo tra la confusione nel cortile della scuola. L’uomo si alzò e la accolse tra le braccia, facendole giocosamente il solletico. Lei squittì, deliziata, e gli lanciò le braccia al collo. Dopo aver strofinato i nasi l’uno contro l’altro, la coppia continuò la propria strada attraverso il parcheggio.

Kelsi riconobbe la bambina: Lillian Evans, una delle più portate per la musica della sua classe.

“Quel ragazzo deve essere il suo fratello maggiore. Pensò e decise di cogliere al volo l’occasione di conoscere la famiglia di Lilly.

“Mi scusi.” Chiamò forte, correndo fino a loro, mentre il fratello maggiore si voltava in obbediente risposta al suo richiamo.

Ora, ad una distanza tanto ravvicinata, il respiro di Kelsi le morì in gola. Quello era Ryan Evans, lo stesso re del teatro che aveva un tempo conosciuto alla vecchia East High. Era certamente cambiato. Aveva l’aria di chi ha perso molto peso in poco tempo e i suoi semplici vestiti lo rendevano quasi irriconoscibile. Aveva ancora un cappello posato sulle ciocche dorate, ma non sembrava più qualcosa di estraneo a qualsiasi catalogo: il berretto da postino avrebbe potuto benissimo essere presente sugli scaffali di qualsiasi negozio dai prezzi ridotti. Tutta la sua tenuta parlava di economica trascuratezza, ma i suoi pallidi occhi blu conservavano lo stesso incontrollabile ottimismo che avevano quattro o cinque anni prima.

Tutta l’innocenza, però, se n’era andata.

“Kelsi!” La salutò, inarcando le sopracciglia per la sorpresa. Kelsi aggiunse mentalmente ‘voce più bassa’ alla sua lista di cambiamenti. “Che ci fai qui?”

“È la mia maestra di musica.” Intervenne Lilly, sorridendo e rivelando un largo spazio tra gli incisivi.

“Non avevo idea che lavorassi qui.” Disse Ryan con genuina meraviglia, liberando una mano per stringere quella di lei. “Quando hai iniziato?”

“Solo qualche settimana fa. Rispose Kelsi. “Fai le commissioni per i tuoi o qualcosa del genere?” Le sopracciglia di lui si corrucciarono per la confusione. “Intendo dire, ti hanno mandato a prendere la tua sorellina all’asilo?” Il giovane deglutì, a disagio, ma prima che potesse parlare, Lilly trillò.

“Papy, di che parla? Tu non hai una sorellina, solo una gemella, vero, papy?”

“Sì, tesoro, hai ragione; solo zia Sharpay.”

“Solo zia Sharpay, nessun altro.” Affermò Lilly e guardò, raggiante, Kelsi, come se l’intera questione fosse risolta.

“É…È tua?” Esalò la sua vecchia compagna di classe, vacillando all’indietro.

“Sì.” Rispose Ryan, sentendo le sue guance prendere fuoco.

“Io…io…” Kelsi non riuscì a formare altre parole, oltre a quella. Ammutolita e stupefatta, mosse qualche paso incerto indietro, prima di cominciare una corsa verso l’edificio scolastico.

Lillian inclinò il capo.

“Perché è scappata, papy?” Ryan la guardò, ma non rispose. “Papy?”

Ryan tornò alla realtà.

“Perché è scappata? È perché…è perché ha scoperto il tesoro sepolto nel divano del salotto.

“Oh, no” Lo sa anche lei?!

“Sì e dovremmo correre a casa e dissotterrarlo per primi! Non possiamo lasciare che la signorina Kelsi lo trovi! Forza, capitano Lillian, dobbiamo tornare alla nave!”

“Prepara la partenza!” Strillò la bambina gioiosamente e si strinse forte a Ryan, mentre lui si dirigeva verso la macchina e ve la faceva entrare. Si fermò, poi, a lato della portiera, lo sguardo ancora fermo sull’ormai vuoto edificio dell’asilo.

“Dai, papy, dobbiamo arrivare per primi!” Ryan annuì, entrò nel loro unico mezzo di trasporto e accelerò sulla strada principale, lasciandosi alle spalle l’asilo di Westbrook.

 

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Capitolo 2
*** capitolo 2 ***


≈ Capitolo Due ≈

Capitolo Due

 

Tabitha fece cadere la cenere della sua sigaretta ed esalò abilmente una larga nuvola di fumo.  Sentendo dei passi pesanti nel corridoio, si strinse di più nel cappotto e aprì come per caso la porta d’ingresso. Ma, naturalmente, erano Ryan e Lilly; Lilly, che al momento stava seduta sulle spalle di suo padre, sbraitando ordini come “Tutti sul ponte! Gettate l’ancora! Tutti a tribordo! Abbassate le vele!”

La donna sbuffò, divertita, e il fumo riempì l’aria ancora un volta.

“Un’altra avventura in mare aperto, Ryan?” Lo prese in giro. Ryan sorrise appena.

“Andiamo a dissotterrare il nostro tesoro, per essere precisi.”

Tabitha osservò le grandi borse sotto i suoi occhi e come le sue gambe sembrassero pronte a crollare a terra da un momento all’altro. La sua testa si alzò verso di lui in un gesto ricco di significato. Ryan colse la sua occhiata e posò con attenzione Lillian sul pavimento.

“Vai a perlustrare il territorio, capitano; ti raggiungo tra un minuto.”

Lilly lo salutò, prese la chiave giusta dal mazzo che lui le porgeva e scomparve oltre la porta dell’appartamento.

Una volta che la piccoletta fu fuori dal campo uditivo, Tabitha pose la sua domanda.

“Come è andato il colloquio di oggi?” Lo stringersi nelle spalle di Ryan confermò i suoi sospetti.

Tabitha fece correre un dito tra i folti ricci rossi e spostò il peso dalla gamba sinistra alla destra.

“Sai che ti dico? Quando il tesoro sarà completamente allo scoperto, manda Lilly da me che le preparo la cena

Quando lui aprì la bocca per protestare, lei gli posò semplicemente un lungo dito –terminante in un purpureo artiglio- sulle labbra. “Lo so che non hai i soldi per pagarmi. Lasciamelo fare come amica; non mi aspetto nessuna restituzione.”

“Sono solo stanco di accettare tutta questa carità.” Sbadigliò Ryan.

“Tu sei malato e basta.” Lo corresse Tabitha e gli appoggiò una mano tiepida sulla fronte.

“Non sono malato.” Insisté Ryan, spostandola. “Solo un po’ stanco.”

“Quand’è stata l’ultima volta che hai dormito per cinque ore di fila?” Lui si strinse nelle spalle e lei lasciò sfuggire dalla propria bocca alcuni anelli di fumo. “Se vuoi essere un padre migliore, vai a dormire. Ti condanno ad una notte tranquilla, stasera, pirata.”

Ryan la guardò ma realizzò che qualsiasi resistenza sarebbe stata inutile. La ringraziò e continuò lungo la strada per il suo appartamento da scapolo.

La donna di mezza età guardò l’orologio e scivolò di nuovo all’interno del proprio soggiorno, spegnendo la sua soap opera per cercare nella dispensa qualcosa che potesse attirare una bambina dell’asilo.

L’ex ballerino appoggiò la propria sottile ed esausta figura contro la porta e voltò la testa per esaminare il proprio dominio. Era decisamente ‘vissuto’, come lo definiva Sharpay. La pittura era scrostata e il divano non conteneva più alcuna imbottitura (era stata asportata tutta a causa di svariate azioni di pirateria). Scatole aperte e strapiene erano accatastate in ogni angolo e si potevano a stento muovere due passi senza inciampare in un giocattolo. Il muro era ricoperto di disegni e la luce era leggermente pallida a causa della mancanza di alcune lampadine.

La loro casa.

Ryan chiuse gli occhi per un brevissimo secondo.

“Papy, che c’è? Hai sonno?” Ryan costrinse le proprie palpebre a sollevarsi di nuovo e sorrise a sua figlia.

“Un pochino, tesoro. Ma che cos’hai lì?” Il viso raggiante, Lillian gli mostrò, orgogliosa, un nuovissimo animale di pezza.

“Ho trovato un gattino! Era nascosto insieme al tesoro!”

“Non ci credo!” Ryan si abbassò al suo livello. “È un maschio o una femmina?”

Lilly riflettè per un po’ sulla risposta da dare.

“Una femmina. A Mr. Teddy serve una fidanzata.”

“E come si chiama?”

“Beh… qual è il nome di mia madre?”

La domanda colse Ryan totalmente impreparato.

“Vuoi chiamare il gattino come la tua mamma?” Lilly annuì, seria.

“Sì. Tutti gli altri bambini a scuola parlano delle loro mamme.” Seguì una pausa imbarazzata che solo Ryan notò.

“Tu… vuoi una mamma?” Domandò cautamente.

“Naa.” Rispose la bambina immediatamente, continuando a rimirare il gattino. “Ci rovinerebbe tutto il divertimento, non trovi?”

“Penso di sì…” Rispose lui, incerto. “Ma questo è divertente, vero? Solo noi due?”

Le trecce di Lilly saltellarono.

“Certo, signore!”

“Solo noi due, un pirata e una giovane di alti natali!”

“Io voglio essere il pirata!” Protestò Lilly.

“Ma io non posso essere la ragazza.” Puntualizzò Ryan. “Quindi mi toccherà fare il pirata, questa volta.” Disse, per poi sollevare la bambina ridacchiante sulle proprie spalle. “Arr, ti ho presa, signorinella!”

“Oh, qualcuno mi salvi!” Strillò lei, ovviamente senza alcun desiderio di essere davvero salvata.

“Ti farò camminare sulla passerella!” Ringhiò Ryan, tenendola per le braccia ed ignorando i minuscoli talloni che battevano contro i suoi fianchi. Una volta in camera da letto la lasciò cadere (con molta attenzione) sul suo lettino. “Ora preparati per la cena: mangerai con la famosa Lady Tabitha, questa sera!”

Dieci minuti e due canzoni dopo, Tabitha sentì bussare alla propria porta. Quando aprì si trovò davanti una piccola bambina con un semplice vestito blu e un mazzo di fiori in mano che le rivolgeva un sorriso a ventisei denti.

“Che cosa sono?” Rise Tabitha, mentre Lilly le piazzava i fiori sotto al naso.

“Papà ha detto che te li manda per ringraziarti.” La donna roteò gli occhi.

“Immagino che sarai affamata. Entra, sei capitata giusto quando stavo finendo di preparare le polpette di patate al formaggio!”

“Evvai!” Lilly saltò dentro, sollevando il vestito per poter correre meglio.

Due ore dopo, Tabitha si portò un dito alle labbra, mentre Lilly apriva la porta del proprio appartamento. Prendendo in braccio la bambina, entrò in punta di piedi nella camera da letto principale.

Ryan giaceva senza camicia sul letto, le lenzuola sparpagliate attorno a lui.

Lilly si agitò tra le braccia di Tabitha, costringendo la donna a metterla giù, poi si arrampicò fino al padre addormentato e si accoccolò tra le sue braccia.

Scuotendo la testa, Tabitha liberò le lenzuola e le distese sulla piccola famiglia.

“’notte.” Sussurrò. Lilly sorrise, per poi voltare il viso contro il petto nudo di Ryan.

Sulla porta, Tabitha si voltò per guardarli ancora una volta.

“Sono quasi il perfetto ritratto di famiglia.” Pensò. “Ma manca loro ancora qualcosa… o qualcuno.”

Uscendo, si chiuse la porta alle spalle.

 

®

 

Ryan tossicchiò, lisciandosi la cravatta, sistemando la sedia più lontano dietro al bancone che poté e si guardò intorno. Un cimitero sarebbe sembrato un concerto rock, paragonato al negozio di strumenti musicali. Le sue dita scattarono, innervosite dalla mancanza di rumore, e presero a tamburellare sulla sua coscia.

Dopo quarantacinque minuti di assoluto silenzio e dopo essere caduto per tre volte dalla sedia, perso nei suoi pensieri, decide di testare l’equipaggiamento. Raccolse due nuovissime, lucenti bacchette per la batteria e le fece roteare abilmente tra le dita di una mano. Girellando, si trovò come per caso davanti ad una batteria e colpì uno dei lucidi piatti.

Un sorriso da bambino gli attraversò il viso. La tentazione era troppo forte e un’innocente suonata di batteria non avrebbe fatto male a nessuno. E, sperava, nemmeno una suonata di batteria in modalità fortissimo.

Solo quando le persone che passavano per strada iniziarono ad osservarlo attraverso la vetrina Ryan prese in considerazione l’idea di interrompere il suo controllo. Si allontanò dalla zona dove aveva suonato fino ad allora la chitarra elettrica e, uscendo dall’area chitarre, si avviò verso le tastiere.

Le sue dita si fermarono a pochi centimetri dai tasti di plastica. Una voce dentro alla sua testa prese a canticchiare allegramente il fin troppo familiare ritornello provato un infinito numero di volte su una tastiera simile a quella.

 

I’ve never had someone

That knows me like you do

The way you do

 

Sorrise a se stesso: si era quasi dimenticato di “Twinke Towne”. Nella sua mente, poteva facilmente ricreare i corridoi della East High e rivedere lui e la sua gemella scivolare tra gli altri nelle loro pazze, stilose e fiammanti uniformi. Rise forte, ripensando ai suoi jazz-squares e agli altri spettacolari passi di danza che amava.

Curioso, si alzò e trovò una porzione libera di tappeto. Prendendo un profondo respiro, eseguì un jazz-square più facilmente di quando era una matricola. Ridendo, tra adrenalina e ricordi, Ryan eseguì una serie di jazz-squares fino ai grandi pianoforti.

 Realizzando quanto idiota dovesse sembrare, il vecchio re del teatro si chinò sugli strumenti.

Fu come se ogni energia avesse abbandonato il suo corpo. Si calmò improvvisamente, ricordando un’altra scena, non così familiare e non così ben provata, della sua vita al liceo. Guardò con espressione vuota per parecchi minuti l’avorio davanti a lui, rima di realizzare ciò che stava facendo.

Sospirando, si riportò alla mente un’altra delle sue canzoni preferite ed iniziò a cantare per il suo pubblico di canne, ottoni, legni e plastica.

 

My gift is my song

And this one’s for you

And you can tell everybody

That this is your song

It may be quite simple but

Now that it’s done

I hope you don’t mind

I hope you don’t mind

That I put down in words

How wonderful life is

Now you’re in the world…

 

“Mi scusi.” Una sottile, anziana voce lo raggiunse dall’ombra. Per come Ryan reagì, la figura di lui avrebbe potuto aver appena lanciato un urlo. Imbarazzato oltre misura, il giovane incespicò oltre la panchina e cadde lungo e tirato per terra. Rialzandosi, si guardò intorno per vedere dove fosse finita la sua giacca. Incrociò le dita, pregando che il capo non passasse di lì proprio in quel momento; cartellino del nome per terra, camicia leggermente aperta, scarpe abbandonate in un angolo… la situazione non sembrava granché professionale.

Sarebbe stato licenziato di certo.

Ryan si sistemò in modo da nascondere la propria metà inferiore dietro al pianoforte.

“Come posso servirla?” Ryan biascicò il saluto d’uso, evitando di farsi vedere. L’alta, anziana signora rise con gentilezza.

“Veramente, stavo chiedendomi se non potrebbe farmi un favore. Sono la signora Shepherd, l’insegnante di musica dell’asilo di westbrook che è appena andata in pensione.” Ryan inarcò le sopracciglia ma non diede altra risposta. “Per caso ti ho sentito cantare e suonare il pianoforte, pochi secondi fa.” Ryan si sentì bruciare di umiliazione. “E ho pensato che potresti essere un perfetto assistente per la nuova maestra. La ragazza che ha preso il mio posto potrebbe trovarsi un po’ sovraccaricata da sola e penso che un assistente le farebbe comodo.”

Ryan si sentì come un pesce rimasto di colpo all’asciutto e la sua bocca si spalancò contro la sua volontà.

“Lei… lei mi sta offrendo un lavoro?”

Lei annuì, tutta contenta.

“Certo, devi ancora riempire i moduli, ma questo non è un problema. Per favore, di’ di sì!”

“Dovrei...dovrei prima lasciare questo lavoro.” Balbettò lui, cercando disperatamente una scusa.

La donna rise.

“Mio caro ragazzo, potevo sentirti suonare la chitarra dall’altra parte della strada. Non avrai bisogno di dare le dimissioni.”

 

®

 

Kelsi lanciò una pallina di carta verso il cestino dei rifiuti, mancandolo clamorosamente. Sospirando, spostò dal proprio grembo le dodici cartellette e si alzò per buttare efficientemente nella spazzatura la notevole quantità di tiri andati a vuoto. Lamentandosi, lo avvicinò alla cattedra, in modo da non doversi alzare di nuovo.

Alcuni colpi risuonarono sulla porta.

“Avanti.”

La signora Shepherd ridusse leggermente la propria statura in modo da non picchiare la testa sul montante della porta, seguita da qualcuno parecchio più basso.

“Ryan, che ci fai qui?”

“Gli ho offerto un lavoro come tuo assistente!” Esclamò la signora Shepherd con giubilo, dando un paio di buffetti sulla spalla dell’ex attore mortalmente a disagio.

“Ma signora Shepherd, le ho detto un’infinità di volte che me la cavo benissimo da sola! Non ho bisogno di un assistente; preferisco mille volte lavorare per conto mio! Mi dispiace per il tempo che hai perso, Ryan, ma non ho bisogno di te.”

La chitarrista dai capelli grigi prese l’indietreggiante padre per la coda del cappotto.

“Sii ragionevole, Kelsi. C’è qualcosa di personale che ti impedisce di volere Ryan Evans come collega?”

Kelsi squittì.

Non c’era niente di veramente sbagliato con Ryan; lui per primo non era mai stato cattivo con lei al liceo. Certo, forse all’epoca era leggermente effeminato, ma era solo a causa del fatto che veniva perennemente ignorato…e a causa di Sharpay. Non le aveva mai detto niente di particolarmente maleducato, ma non erano mai stati amici del cuore.

E poi si ricordava del loro ultimo incontro. Che brutta impressione doveva aver avuto di lei vedendola scappare via solo perché aveva scoperto… Lilly.

Ci sarebbe stato molto disagio tra loro, non avrebbe mai funzionato.

“Kelsi, non hai risposto alla mia domanda. Hai qualcosa di personale che ti impedisce di lavorare con Ryan?”

Kelsi guardò il ragazzo in questione che la stava guardando a sua volta con gli occhi curiosi, come se anche lui avesse voluto conoscere la risposta.

Gli occhi azzurri di lui penetrarono nella sua mente e, mentre ogni resistenza crollava, la signorina Nielsen sospirò.

“No. Non ho niente di personale contro Ryan.” Il suo coetaneo si rilassò, sollevato.

“Dubiti delle sue doti musicali?”

“Oh no!” Aveva assistito ad abbastanza spettacoli dei gemelli per sapere che lui che lui era un esperto in quel campo.

“E allora qual è il problema?”

“Vorrei saperlo.” Pensò Kelsi. “Nessuno, suppongo.” Fu ciò che disse ad alta voce, accettando la sconfitta.

“Eccellente! Allora siamo d’accordo. Apprezzerei che tu gli dessi i moduli da riempire. E poi voi due potrete passare quel che resta di questo giorno grigio parlando dei piani per il secondo semestre. Ryan… cioè, signor Evans, ti dispiacerebbe se parlassi da sola con Kelsi per un minuto?”

“Per niente.” Rispose lui in fretta e uscì velocemente dalla stanza.

La signora Shepherd prese le mani di Kelsi nelle proprie.

“Mia cara, non avrei lasciato questo posto con tanta allegria se non fossi stata sicura di lasciarti in buone mani.”

“Ma signora Shepherd, le cose saranno così… imbarazzanti...”

“Non dire sciocchezze. Ti auguro con tutto il cuore che tutto vada per il meglio. E fuori dal mondo del lavoro… penso che voi due dovreste conoscervi meglio.”

“Ma…”

“Basta con i ma.” Kelsi sorrise e la settantenne insegnante di musica si prese un secondo per abbracciare un’ultima volta l’aula con lo sguardo.

“Mi mancherà questo posto… ho cos’ tanti ricordi qui.” Kelsi annuì comprensivamente. “Oh, beh, dovrei andare.”

Dopo aver baciato la sua discepola sulla fronte, la signora Shepherd lasciò l’asilo.

Ryan rientrò, un po’ vergognoso, e si sedette all’indiana sul tappeto accanto a Kelsi.

“Sembrate molto affezionate l’una all’altra.”

“Conosco quella signora da tanto tempo, è naturale che siamo diventate amiche.” Pausa. “Senti, Ryan, a proposito dell’altro giorno…”

“Dimenticalo.” La bloccò. “È solo naturale reagire in quel modo.”

“È solo che non avevo idea…” Questa volta, si fermò da sola. “In ogni modo, il passato è passato. Da dove iniziamo?”

“Che ne dici di pulire questo disordine?” Suggerì Ryan, un sorriso aperto in volto. “E dovremmo iniziare a pianificare, suppongo.”

“Odio organizzare i file!” Si lamentò la giovane, lasciando cadere sul tavolo una pila di cartellette. “È lavoro da vecchi!”

“Di certo sei diversa dalla maniaca dell’ordine che eri al liceo.” Rise lui.

Kelsi roteò gli occhi.

“E tu di certo sei diverso dal costruitissimo bel ragazzo che faceva quasi fatica a rivolgermi la parola.”

“Ora ti sto parlando, no?” Domandò, sulla difensiva.

“E questi file assomigliano molto ad un porcile, non ti pare?”

Dopo essersi guardati per due o tre minuti, Ryan si arrese e scoppiò a ridere, subito seguito da Kelsi.

“Perché non ci dimentichiamo delle vecchie differenze e basta?” Propose Kelsi, tendendo una mano al suo nuovo collega.

Che la strinse.

“D’accordo. Però dobbiamo comunque mettere questi file da qualche parte.”

“Te l’ho detto, non voglio mai più riorganizzare una cartelletta del genere in tutta la mia vita!”

“Non ho parlato di organizzazione, ma finiremo nei guai se lasciamo la stanza in disordine. Facciamo almeno finta di tenerla a posto.”

Kelsi ridacchiò.

“Ok, tu prendi questa pila e io quella.”

Ryan si allontanò dalla cattedra, ma non aveva programmato il cestino della spazzatura, posizionato proprio dietro alle sue gambe. Inciampò, cadendo sulla schiena.

Nemmeno Kelsi si ricordò dell’esistenza della piccola pattumiera, così incespicò nei propri piedi, atterrando sopra di lui.

Ridendo della propria totale assenza di grazia, Ryan si puntellò sui gomiti e Kelsi si spostò i capelli dal viso.

I loro occhi si incontrarono.

“Oh, Signore…” Strillò la mente di Kelsi. Il suo cuore prese a battere come se avesse voluto uscirle dal petto e lei arrossì, rendendosi conto di quanto vicini fossero i loro corpi. Lui sembrava così… così caldo e il suo viso continuava ad avvicinarsi. “Oh, Signore…”

 

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Capitolo 3
*** capitolo 3 ***


sample

L'autrice ringrazia tutti per i commenti... e io pure!!!!!

˜ Capitolo Tre ˜

Il secondo prima che il loro nasi si sfiorassero, Ryan schizzò via e si alzò di colpo in piedi.

"Scusa… sono claustrofobico." Si giustificò, chinandosi a raccogliere i fogli sparsi sul pavimento.

"Da quando?" Chiese Kelsi, divertita, accucciandosi accanto a lui.

"Da quando…" La voce di Ryan calò di un tono. Come poteva spiegare qualcosa che lui stesso non capiva? E come era successo? All’epoca, non aveva i pensieri molto chiari…

Il diciassettenne Ryan Evans barcollò sul posto, un bicchiere vuoto stretto in mano. Non aveva idea di perché fosse andato alla festa di Chealsea, se non che Sharpay lo aveva voluto lì. Aveva bevuto diversi bicchieri di quello che qualcuno gli aveva comunicato essere un semplice punch di frutta e che, però, non sembrava affatto punch di frutta.

Gli occhi molto appannati, Ryan provò a camminare in linea retta fino al divano per stendersi, ma il pavimento continuava ad ondeggiare avanti e indietro. Era come se non avesse più alcun controllo sul suo corpo. Accidentalmente, andò a sbattere contro una ragazza piuttosto carina; la stessa ragazza, in effetti, che lo aveva invogliato a bere, bicchiere dopo bicchiere, il cosiddetto punch.

"Scusi." Riuscì a biascicare e stava per andarsene, quando la ragazza lo trascinò indietro.

"Non dirlo nemmeno." Sussurrò, seducente, nel suo orecchio. "Vieni con me."

Trascinò un Ryan intontito e perplesso fino ad una stanza vuota e chiuse a chiave la porta alle loro spalle. Prese con delicatezza il bicchiere dalla sua mano e lo gettò in un cestino poco lontano.

"Cosa…" Riuscì a mormorare il ragazzo, prima di perdere tutto lo spazio personale che avesse mai avuto. Era tutto intorno a lui: la bocca che si muoveva sulla sua, le sue mani che gli correvano lungo tutto il corpo, la sua camicia improvvisamente sparita, la camicia di lei improvvisamente sparita. Il suo mondo non divenne altro che una macchia nel momento esatto in cui lei lo fece cadere sul letto.

"Da… da un po’." Evitando lo sguardo interrogativo di Kelsi, Ryan raddrizzò i file nelle proprie mani. "In che parte dell’armadio li dovrei mettere?"

Con gli argomenti imbarazzanti lasciati alle spalle, Kelsi si accorse ben presto che era incredibilmente facile parlare con Ryan di qualunque cosa (escluso il modo in cui Lilly era venuta al mondo).

I due riportarono alla mente i tempi del liceo, accennando appena alla vecchia indifferenza.

"Avevi paura di io e Sharpay?"

"Di me e Sharpay. E sì, ne avevo, che tu ci creda o no."

"Capisco e condivido la tua paura di Shar; ma perché anche di me?"

"Non è che tu fossi spaventoso o minaccioso come Sharpay… è solo che eri talmente distante…Nessuno ti parlava molto, non hai mai davvero avuto relazioni sociali oltre alla tua gemella; immagino che tutti noi non abbiamo mai tentato di conoscerti perché eri… bizzarro."

"Non sapevo che la tranquillità ispirasse terrore." Scherzò Ryan.

Kelsi arrossì.

"Perché l’ho fatto?" Si ragguagliò mentalmente "Stupida Kelsi; bel modo di gridare al vento i tuoi sentimenti!"

Ryan sbattè un paio di volte le palpebre, senza avere idea di perché Kelsi fosse arrossita.

Dopo aver brevemente ripassato i piani per il semestre, i due giovani insegnanti decisero di andare ad un vicino Starbucks. Chiacchierarono davanti ai loro drink, discutendo di musica, arte, film e libri e semplicemente divertendosi un mondo. Scoprirono di avere gusti musicali piuttosto simili (escluso il modo di cantare "What I’ve been looking for") e lo stesso desiderio di assistere ad alcuni spettacoli di Broadway.

Fin troppo presto per Kelsi, Ryan controllò l’orologio sul display del cellulare, rendendosi conto di quanto tardi si stesse facendo.

Scusandosi per aver parlato così tanto ("Non farlo, è stato bello!"), Ryan uscì dal bar, lasciando un’ammutolita, felicissima, spumeggiante, brillante, radiosa, estatica Kelsi Nielsen seduta al tavolo. Nel momento in cui il click della porta avvertì che questa si era chiusa, Kelsi recuperò dalla borsa il proprio cellulare e chiamò una della poche ragazze di cui sapeva di potersi fidare.

"Ehi, Gabbi? Sì… Non indovinerai mai chi la signora Shepherd ha assunto come mio assistente…"

Nemmeno venti minuti dopo, la signora Richards camminò pesantemente fino alla porta e la aprì, trovandosi davanti una ragazzo in età da college immerso in un bomber nero di parecchie taglie troppo grande su cui si poteva leggere DRAMA in grandi lettere bianche.

"Buongiorno." La salutò. "Sono venuto a prendere Lilly."

"Oh, certo, solo un minuto. Vieni dentro, le ragazze sono di sopra a guardare Nickelodeon."

Ryan camminò oltre la soglia della casa a tre piani.

"Così, tu devi essere il fratello maggiore di Lilly, giusto?" Lui aprì la bocca per rispondere, ma, evidentemente, la signora Richards considerava la propria domanda come puramente retorica. "Sì, sì; Daphne adora giocare con la tua sorellina. Lilly è una bambina così dolce…"

"Grazie, ma io non sono…"

"Mi potresti lasciare, per favore, il vostro numero di telefono e l’indirizzo prima di partire?"

Ryan affondò le mani nelle tasche dei pantaloni cargo, cercando un pezzo di carta o una penna, ma la signora Richards lo aveva battuto sul tempo. Gli porse un’elegante penna ed una piccola agenda.

"Vediamo… L-i-l-l-y…E-v-a-n-s…e qual è il vostro numero di telefono…uhmm…e l’indirizzo?"

"4675 Kempwood Boulevard PO Box #7923"

La penna esitò e Ryan notò una dolorosa espressione di sdegno sul viso fiero della donna. Tuttavia, finì di scrivere le informazioni, prima che due bambine ridacchianti corressero giù per la scala a chiocciola.

"PAPY!" Squittì Lilly, approdando tra le sue braccia aperte. Uno sguardo terrorizzato stravolse il viso della signora Richards.

"Schizzo!" Ryan abbracciò forte la bambinetta, baciandola sui capelli chiarissimi. "La ringrazio così tanto per aver lasciato venire Lilly a casa sua, signora Richards. Sembra essersi divertita un mondo; dovremmo farlo di nuovo. Arrivederci!" Uscì, poi, chiudendo precipitosamente la porta sull’espressione mortificata della madre della migliore amica di sua figlia.

"Voglio venire e giocare ancora!" Esclamò Lilly, agitandosi, felice, tra le braccia di suo padre. Ryan guardò indietro, verso l’alta casa.

"Ho paura che vedrai Daphne solo a scuola, per un po’."

"Ma perché? Sono stata brava!" Piagnucolò la piccola.

"Lo so, tesoro, non è colpa tua. È mia. È tutta colpa mia."

®

Quando Lilly saltò sulle sue gambe, Ryan riuscì miracolosamente a non far cadere la gigantesca scodella di glassa.

"Tanti auguri a me! Tanti auguri a me!" Cantò forte, zampettando per tutta la cucina.

"La ragazza che compie gli anni non avrà una torta di compleanno se non la smette di stare tra i piedi al suo povero padre." Rise Ryan.

Lilly ridacchiò e scomparve dalla stanza.

Scuotendo la testa, il giovane continuò a mescolare la glassa al cioccolato fatta in casa.

Il telefono squillò.

"Se continuo così, la torta non sarà mai pronta." Si lamentò Ryan e, dopo aver sistemato la ciotola in equilibrio su una gamba piegata ed essersi leccato un po’ di cioccolato dalle dita, afferrò la cornetta. "Villa Evans, chi parla?"

"Ciao Ryan, sono Kelsi."

"Ehi, Kelsi, che succede?"

"Chiamavo per fare gli auguri a Lillian. Posso parlarle?"

"Sì, ti prego, fallo. Sta rimbalzando su tutti i muri e io sto provando a preparare una torta." Detto ciò, chiamò la bambina e le porse il telefono. Dieci minuti dopo Lillian, coprendo delicatamente con una mano il ricevitore del telefono, tirò un po’ la stoffa dei pantaloni del padre.

"Papà, non hai detto che potevo invitare un’amica a venire con noi a Fiesta Texas questo pomeriggio?" Sussurrò.

"Sì."

"Possiamo portare la signorina Kelsi con noi?"

"Ehm… immagino di sì…" Rispose Ryan, incerto. "Vuoi davvero portare un’insegnante al tuo viaggio di compleanno a San Antonio?"

"Ma lei non è solo un’insegnante!" Ritorse Lilly. "È davvero divertente!"

Ryan rise.

"Ok, può venire."

"Evvai!" Lilly spostò la mano dal microfono. "Signorina Kelsi, vuoi venire con me e il mio papà a Fiesta Texas?" Un altro rumoroso suono di giubilo confermò che la signorina Kelsi li avrebbe accompagnati durante la loro escursione di compleanno.

Kelsi raggiunse l’appartamento degli Evans in perfetto orario, in mano dei biscotti e un regalo incartato a regola d’arte. Quando la sopra citata carta fu strappata, il dono rivelò di essere una piccola arpa da braccio, completa di un libro di esercizi.

"Così puoi avere un tuo strumento da suonare quando vuoi."

"E cosa si dice, Capitano?"

"Grazie!" Lilly si sistemò l’arpa tra le braccia e corse al davanzale più vicino per provarla.

Ryan sorrise a Kelsi, comunicandole attraverso gli occhi cristallini tutta la gratitudine che provava nei suoi confronti.

Una volta che il piatto di deliziosi biscottini al cioccolato fu completamente vuoto, tutti e tre si sistemarono nella piccola macchina della piccola famiglia Evans. Dato che il veicolo non era provvisto di un lettore CD e che la ricerca di un canale radio decente fu presto abbandonata, la maggior parte del lungo viaggio fu spesa cantando. Kelsi non rimase colpita solamente dal numero di canzoni che Lilly conoscesse, ma da quanto fosse migliorata la voce di Ryan. Non che avesse mai avuto una brutta voce, ma in qualche modo era diventata ancora più pura e più forte. Ogni nota la faceva rabbrividire, specialmente quelle basse, che ora venivano raggiunte con grande facilità.

Fu veramente dura trattenere l’entusiasmo di Lilly quando il parco entrò nel suo campo visivo, dato che non era mai stata in un posto del genere prima di allora. Si agitò sul sedile, afferrando una manica della maglia di Ryan e pregandolo di aumentare l’andatura.

Armato di uno zaino contenente soldi, snack, un kit di primo soccorso, tutti i loro costumi, gli asciugamano, la crema solare e due buoni libri, Ryan si spostò gli occhiali da sole sulla testa.

"Ho idea che sarà un lungo, lungo giorno." Sospirò, facendo ridere Kelsi.

Dato che era mezzogiorno, il momento più caldo della giornata, il gruppetto decise di dirigersi per prima cosa verso il parco acquatico. Quando riemersero dalla loro permanenza in bagno, Kelsi indossava un carinissimo costume verde con corti calzoncini dello stesso colore, Lilly un costume intero a fantasia floreale e Ryan un paio di calzoncini da bagno neri e una canottiera bianca un po’ spiegazzata, oltre ad un ben visibile sguardo di ammirazione nei confronti di Kelsi.

"Che cosa guardi?" Domandò la ragazza, le guance in fiamme per l’imbarazzo, sistemandosi i pantaloncini, ben conscia del proprio aspetto.

"Niente… è che sei… molto carina." Rispose Ryan debolmente, tossicchiando. "Bene. Lilly, che vuoi fare?"

Non contava quanto intensamente ci avesse provato; Kelsi trovava veramente difficile non scannerizzare Ryan dalla testa ai piedi.

Specialmente dopo che ebbe raggiunto gli scivoli acquatici.

Lilly insistette affinché sia Ryan sia Kelsi scivolassero insieme a lei e il tutto si era concluso con loro tre che si schizzavano a vicenda nella piscina in un ammasso confuso.

A quel punto, la giovane maestra di musica mandò al diavolo tutti i tentativi di evitare ogni contatto fisico con Ryan: Lilly era davvero determinata a passare l’intero giorno del suo compleanno con le sue due persone preferite e davvero non capiva perché, all’inizio, Kelsi fosse così restia a salire sullo scivolo dietro a Ryan e a sistemare le gambe intorno ai suoi fianchi.

Dopo due ore di intensi giochi d’acqua, Ryan le guidò ad una piccola piscina per bambini, così che lui e Kelsi potessero riposarsi senza doversi preoccupare eccessivamente di Lilly.

La loro crema solare doveva aver già smesso di fare effetto da un po’e Ryan domandò alla ragazza, con fare casuale, di riapplicargliela. E così di nuovo, la timida, modesta Kelsi si ritrovò a doversi mordere le labbra quando lui si tolse la maglietta, rivelando il torace magro ma muscoloso.

Le sue mani quasi tremavano quando si spruzzò un po’ della fredda crema sui palmi ed iniziò a stenderla sul collo e sulla schiena di lui.

"Uff…" Mormorò Ryan sul proprio asciugamano.

"Cosa?"

"Hai le mani fredde."

"Fattene una ragione." Rise lei, continuando a spalmare la lozione.

"Sembra più uno scrub che un’applicazione di crema solare." Commentò il giovane dopo un po’.

"Potresti smettere con i commenti, per favore?" Rise Kelsi, dando un leggero pizzicotto alla pelle diafana. "Dovresti essermi semplicemente grato perché ti sto aiutando." Detto ciò, scese dalla sdraio. "È il mio turno ora."

Lui sollevò la testa di scatto.

"Come, prego?"

Lei sorrise con un pizzico di perfidia.

"Tu ti sei fatto mettere la crema sulla schiena e ora devi ricambiare il favore." Rispose, picchiettando con una mano la tela della sdraio dietro di lei. Deglutendo, Ryan raccolse la crema, si sedette e spremette un po’ il tubetto. Mentre le sue grandi mani le massaggiavano la schiena, la pelle d’oca si fece strada, non notata, sulle braccia della compositrice.

Tutt’ad un tratto, la ragazza lanciò un gridolino.

"Che succede?" Chiese Ryan, preoccupato.

"Fa il solletico!" Lei ridacchiò, agitandosi sull’asciugamano.

Uno sguardo vagamente malvagio si impossessò del viso del signor Evans.

"Cosa, questo?" Chiese, muovendo le dita di nuovo sui suoi fianchi.

"Sì, quello!"

"Oh, di certo questo non fa il solletico!" Rise lui, continuando con la sua piccola tortura. Lei squittì, tentando di spingerlo via.

"Smettila!" Esalò la ragazza, provando senza successo a riprendere fiato. Lui rise più forte, ma non si fermò.

Le coppie più vecchie si sorridevano a vicenda, ammirando con tenerezza la sconfitta ragazza con il costume verde e il ragazzo con i calzoncini neri impegnati nella loro disperata battaglia a colpi di solletico.

Nella vicina piscina, Lilly delucidò i suoi nuovi amici.

"Vedete?" Domandò, orgogliosa. "Il mio papà è innamorato della signorina Kelsi. Mi chiedo se si baceranno… così poi dovranno solo sposarsi!"

"Ryan?" Chiamò piano Kelsi, mentre i tre stavano tornando alla macchina.

Lilly si era velocemente addormentata tra le braccia di suo padre: la prima, avventurosa giornata del suo quinto anno aveva letteralmente sfinito la piccola Evans.

"Da quanto lavoriamo insieme, ormai? Quattro mesi?"

"Tre." La corresse lui.

"…Ryan?"

"Mmmh?"

"Grazie per avermi portata con voi oggi. Mi sono davvero divertita tanto."

Il sorriso di Ryan avrebbe facilmente sciolto un panetto di burro."

"Nessun problema. Non sarebbe stato nemmeno lontanamente così bello senza di te."

Kelsi arrossì violentemente e nessuno dei due disse un’altra parola finché non furono alla macchina.

Ryan depositò l’addormentata Lilly sul sedile della macchina e chiuse la portiera. Kelsi raggiunse la parte opposta e allungò un braccio per afferrare la maniglia, ma il giovane uomo catturò la sua mano.

Lei lo guardò, curiosa, negli occhi chiari.

Prendendo tra le mani tiepide il suo piccolo viso, Ryan si chinò a baciare Kelsi sulle labbra –il suo primo vero bacio da quattro anni e per, lei, il primo in assoluto.

Ora, da che mondo è mondo, si dice che i primi baci fanno schifo, ma nel caso di Kelsi e Ryan non fu affatto così. Nacque come dolce ed innocente, per poi crescere velocemente in intensità.

Ben presto, le braccia di Kelsi erano attorno al collo di Ryan e lui era appoggiato alla macchina , le proprie braccia intorno alla vita di lei. La sua lingua si mosse appena su quella di lei e, quasi senza che i due se ne accorgessero, il bacio divenne sempre più profondo finché, alla fine, non si separarono in cerca d’aria.

"…wow…" Esalò Kelsi, prima di catturare ancora le irresistibili labbra di Ryan con le proprie, desiderando che potessero restare così per sempre, persi in un intenso bacio in mezzo ad un parcheggio deserto.

®

Insultandosi per la propria orrenda calligrafia, Ryan tentò di decifrare la lista della spesa nel reparto cereali del grande magazzino HEB.

Era passata una settimana da quando lui e Kelsi si erano baciati nel parcheggio del Fiesta Texas e Lilly al momento si trovava a casa di un’amica (non Daphne) così che lui potesse sbrigare alcune faccende. Non le aveva ancora detto quello che provava per Kelsi, dato che anche lui doveva ancora dare un nome preciso ai propri sentimenti.

Sospirando, scelse una grande scatola di Kix e fece un salto dalla sorpresa quando un volto fin troppo familiare apparve al posto dei cereali.

"Gabriella!" Esclamò Ryan, lasciando cadere la scatola. Piccole e gialle palline golose e per niente salutari presero a rotolare sul pavimento.

Ignorando la sorpresa dipinta sul viso di lui, la ragazza guardò il contenitore di cartone con disapprovazione.

"Kix? Oh, no, signor Evans, i Kix non sono una buona colazione per una bambina piccola."

Ryan aprì la bocca per protestare ma, con suo sommo terrore, Gabriella posò una mano delicata ma forte sulla sua nuca, portando le labbra su quelle di lui.

La scatola di cereali che era stata appena raccolta, cadde di nuovo dalle sue mani paralizzate.

Contro la sua volontà e malgrado il suo cervello strillasse in protesta, Ryan chiuse gli occhi, permettendo a Gabbi di baciarlo e baciandola a sua volta.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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Capitolo 4
*** - Capitolo Quattro - ***


≈ Capitolo Quattro ≈

Ed eccoci al quarto capitolo…Un messaggio perla mia unica commentatrice:Pepermint ha scritto dieci capitoli e…eccome se me lo immagino!!!! Sbav sbav!

Temperance

 

≈ Capitolo Quattro ≈

 

 

Fu Gabbi ad allontanarsi per prima.

“Pensavo che avessi una ragazza.” Sussurrò, sorridendo. Gli occhi di Ryan  si aprirono di scatto.

“Pensavo che tu avessi un ragazzo.” Puntualizzò lui. “Che ci fai qui, comunque?”

Lei si strinse nelle spalle e si chinò per aiutarlo a raccogliere i Kix sparsi a terra.

“Compro della verdura.” Rispose, semplicemente. “E ti aiuto a fare buoni acquisti. Suggerirei i Corn Flakes con l’uvetta per Lilly.

Arrossendo, Ryan ripose bruscamente la busta strappata nella scatola.

“Non mi servono i tuoi consigli.”

“No?” Constatò, più che veramente chiederlo, Gabriella, posando una scatola di cereali con l’uvetta nel carrello. Ryan lo prese e lo ripose sullo scaffale.

“No, non mi servono. E ti sarei grato se rimanessi fuori dalla mia vita. Grazie.” Prese a spingere con determinazione il carrello lungo il corridoio, ma Gabbi lo prese per un braccio.

“Certo, come no.” Prendendolo per il colletto della maglia, lo trascinò alla sua altezza e gli si avvicinò al punto che i loro nasi si sfiorassero, cosicché Ryan potesse sentire il suo fiato sul collo. Il respiro gli si fermò in gola.

Alla fine, Gabriella lo lasciò andare.

Mmmh…” Disse piano, con un sorriso vittorioso. “Vedo come non mi vuoi nella tua vita.

Ryan bloccò la sua mano proprio mentre stava per rimettere i Corn Flakes nel carrello.

“Gabbi, che cosa vuoi?” Sibilò.

Lei rise semplicemente, facendogli venire la pelle d’oca.

“Beh, mi ero solo fermata per salutarti. E per dirti che la tua piccola fidanzata mi ha chiamata circa una settimana fa e mi ha raccontato tutto del vostro incidente nel parcheggio” Sul viso di Ryan si sarebbe potuto friggere un uovo. “Ti sto solo ricordando dei doveri che hai…sai, verso la ragazza che si è portata a spasso Lilly per nove mesi. Non dimenticartelo; a Lilly serve una madre. E chi potrebbe essere meglio di quella vera? Sa almeno come mi chiamo, Ryan? Pensaci, ok?”

Gabbi si voltò per andarsene, ma si fermò improvvisamente.

“Vorrei soltanto vedere di nuovo la mia bambina. Sussurrò tristemente, gli occhi leggermente annebbiati.

Poi, di colpo, si voltò e lanciò le braccia al collo di Ryan, baciandolo appassionatamente sulle labbra. Colto di sorpresa, ricadde all’indietro, atterrando sull’osso sacro. Nello stesso momento, sentì qualcosa di rigido scivolargli tra le mani.

“Ciao amore. Bisbigliò Gabbi. “Ti amo… Davvero.” Appoggiò un’altra vota le labbra sulle sue e un secondo dopo era sparita dietro l’angolo, lasciando il povero Ryan seduto sul pavimento dell’HEB nella sezione cereali, una scatola di Corn Flakes all’uvetta stretta in mano.

 

®

 

C’era decisamente qualcosa che non andava con Ryan, Kelsi ne era certa. Non era stato completamente lui per tutto il giorno, era andato a sbattere contro i muri, inciampato nei banchi e così via. Aveva addirittura sbagliato ad accendere il riscaldamento per la prima volta!

Kelsi era determinata a scoprire il perché di quello strano comportamento e quale momento migliore di quello, dato che la scuola era finita e Lilly era stata portata a casa da una vicina di nome Tabitha?

Ryan?” Lui sobbalzò per quella che forse era la milionesima volta quel giorno.

“Eh?”

“Che cos’hai?” Gli chiede lei dolcemente, passandogli le dita tra i capelli –amava che lo facesse.

Tuttavia, per qualche strana ragione, lui si strinse nelle spalle e si allontanò da lei.

“Non ho niente, sono solo stanco.”

“Avanti, lo vedo che qualcosa non va. Starai molto meglio se me ne parli.”

“No, mi sentirò esattamente allo stesso modo. Rispose Ryan, burbero, affondando le mani nelle tasche. “Non mi va di parlarne.

Seguì una lunga, imbarazzante pausa.

“È per la madre di Lilly, non è vero?” Ryan girò velocemente sui tacchi, dandole la schiena. “Ryan…è tutto ok, capisco.

Un accidenti capisci!” Sbottò il giovane, arrabbiato, gli occhi improvvisamente illuminati d’ira repressa. “Non hai la minima idea di cosa ho passato negli ultimi cinque anni! Non hai risparmiato fino allo sfinimento, non ti sei fatta il culo per procurare una casa per la tua bambina Non ti sei mai preoccupata, rasentando l’isteria, del fatto che un giorno non saresti riuscita a portare a casa abbastanza soldi per pagare l’affitto o per nutrirla, non hai mai dovuto convivere con la paura che i servizi sociali te la portassero via! Tu non hai idea di cosa voglia essere dire genitori soli a vent’anni!”

“Ma è anche colpa tua, lo sai!” Esalò Kelsi, cercando di credere in ciò che le era sempre stato detto, fin da bambina era stata cresciuta nella convinzione che tutto quello fosse sbagliato. “Tu sei andato a letto con lei e…”

“ERO UBRIACO!” La forza delle sue parole lasciò Kelsi a bocca aperta. “Sono andato a una festa e, dopo avermi rintronato per bene, la futura mamma di Lilly ha deciso che sarebbe stato carino divertirsi un po’ con l’innocente, ingenuo Ryan Evans!” Zittì la ragazza che aveva aperto la bocca per parlare. “Sì, lo so che non avrebbe mai dovuto succedere. So che ‘il sesso prima del matrimonio è un terribile peccato’.” Recitò, imitando la madre di Kelsi. “Ma desiderare che non sia mai accaduto vorrebbe dire desiderare anche che Lilly non ci fosse. E io amo Lilly più della mia stessa vita. Non rinuncerei a lei per niente al mondo. Per qualche secondo, si limitò a rspirare pesantemente. “Non capisci? Da un errore è nato il regalo più bello.

Quindi non hai rimpianti?” sussurrò Kelsi, la mente ancora terribilmente confusa. “Nemmeno uno?”

Ryan si fermò.

“Vorrei solo che Lilly fosse venuta al mondo in modo un po’ più rispettabile…e che potesse avere una madre.

Kelsi si morse il labbro inferiore, in conflitto con se stessa.

“Vorresti che sua madre tornasse da te?” Domandò alla fine.

“Io..Io non lo so più.” Sospirò lui.

“Anche dopo tutto quello che ti ha fatto, tu la vuoi ancora?!”

“Stanne fuori, Kelsi.”

Come puoi essere così indeciso?!?!” Gridò Kelsi. “La risposta ti guarda negli occhi ogni giorno. Come puoi pensare anche solo per un secondo di volere di nuovo con te la mamma di Lilly?”

Ryan provò a pensare a qualcosa da dire ma non gli venne in mente nulla. Lanciò a Kelsi uno sguardo tormentato e uscì di corsa dalla stanza.

“Non sono affari tuoi! Sta’fuori dalla mia vita!”

Fu allora che Kelsi realizzò perché non poteva risponderle: lui stesso non lo sapeva. I suoi sentimenti e la sua testa non riuscivano a trovare un accordo.

 

Ryan sbatté la porta del proprio appartamento, facendo tremare gli occhiali posati sul comodino. Imprecando sotto voce, tirò un calcio al già malmesso divano e tirò un pugno al muro. Stringendo le nocche sanguinanti, riuscì finalmente a ritrovare un po’ di calma e si fasciò la mano con una benda presa dal kit di primo soccorso che Tabitha gli aveva regalato per Natale.

Dopodichè, girovagò per un po’senza scopo nella camera da letto. All’improvviso, un pensiero lo colpì e il giovane si mise a frugare nello scatolone che campeggiava nell’angolo finché non l’ebbe trovato. Eccolo lì, il suo annuario dell’ultimo anno. Girò febbrilmente le pagine fino a raggiungere la sezione “Vita Quotidiana”. Lei era sempre là e lo guardava dalle pagine. Era una foto in bianco e nero di Gabriella, seduta tra le sue gambe e appoggiata a lui. Le sue braccia erano intorno a lei e le loro teste riposavano, amabilmente appoggiate l’una all’altra.

A lato dell’immagine si trovava una nota in corsivo, scritta con una penna rosa.

 

Ryan,

Ti amo più di quanto tu possa immaginare. Questo è stato il migliore anno di tutto il liceo per me, il mio anno come tua ragazza. Sei stato più che ragionevole a proposito del nostro segreto e io lo apprezzo moltissimo. Mi mancherai da morire quando sarò al college.

Ti amo troppo

Gabbi M.

 

Gli occhi di Ryan si inumidirono e lui li asciugò immediatamente.

L’aveva amato davvero. Non subito quella sera, ma dopo si erano davvero trovati benissimo insieme. L’ultimo anno era stato anche il suo preferito…

Incastrata tra le pagine c’era una foto di Gabriella nella sua felpa con la scritta DRAMA, accoccolata contro di lui, entrambi mezzi addormentati sul divano di Chad. La mano di Gabriella era chiusa intorno alla sua e la sua altra riposava, protettiva, sulla spalla di lei.

Sorridendo, Ryan alzò per qualche secondo gli occhi dalla fotografia e qualcos’altro catturò il suo sguardo. In una cornice, appollaiata sulla sua sveglia, c’era un’altra foto.

Quest’ultima era stata scattata davanti al Tornado al Fiesta Texas. Lilly, Ryan e Kelsi erano seduti su uno dei sedili della giostra e sorridevano, felici, alla macchina fotografica. Una delle braccia di lui era intorno a Lilly, mentre l’altra abbracciava Kelsi all’altezza delle spalle.

Ryan spostò lo sguardo dalla ragazza nell’annuario a quella nella cornice.

I suoi occhi bruciavano di lacrime mai versate e alla fine il ventitreenne Ryan Evans fece qualcosa che non si permetteva da almeno tre anni: pianse.

Appoggiò la testa al cuscino e prese a singhiozzare come un bambino. Il suo cuore era spezzato in due e non aveva idea di quale strada scegliere per rimetterlo insieme.

Secondo la logica, Kelsi era l’ovvia risposta, ma i suoi battiti aumentavano anche al pensiero di Gabriella. Perché doveva essere tutto così difficile?

Rimase a letto per quasi un’ora prima di realizzare che avrebbe dovuto andare a recuperare Lilly da Tabitha. Così si asciugò gli occhi, buttò giù un bicchiere d’acqua e bussò alla porta della vicina.

Lilly volò immediatamente tra le braccia del padre.

“Perdonate il ritardo.” Si scusò, ben cosciente dello sguardo preoccupato di Tabitha puntato sui suoi occhi rossi e gonfi. “Ti sei divertita, Capitano?” Chiese, tirando su col naso e passandosi di nuovo una mano sugli occhi.

Perché doveva essere così emotivo?

“È stato fantastico!” Cominciò Lilly e ben presto si perse nella storia di lei e Tabitha che catturavano un ladro nel bagno. Ryan ascoltò attentamente, per quanto possibile, onde poi assicurarsi di nascondere per bene l’annuario prima che Lilly entrasse nella stanza.

Dopo una lunga e crudele lotta con i cuscini e uno sfiancante nascondino, Ryan riuscì a mettere Lilly a letto. Normalmente la bambina si sarebbe appallottolata tranquillamente e addormentata nel giro di cinque minuti, ma quella sera la figlia di Ryan si mise a sedere, più sveglia che mai.

Papy?”

“Sì, principessa?”

“Perché tu e la signorina Kelsi siete arrabbiati?”

Ryan si ritrovò a cercare disperatamente una risposta.

“Non eravamo d’accordo su una cosa.” Decise, infine.

“Come qualche volta succede a noi?”

Lui ride.

“Sì, proprio così.”

E allora quando farete pace? Perché le persone che si amano fanno sempre pace, vero, papy?” Ryan la guardò sorpreso.

Le persone che si amano…

Dove aveva sentito quella frase? E l’aveva appena associata a lui e Kelsi

Penso…penso di sì, tesoro.”

Perché tu ami la signorina Kelsi, vero, papy?” Ryan non rispose. “Papy?”

Alla fine, alzò lo sguardo nei suoi occhi color del cioccolato e sorrise. I suoi occhi…così belli e così familiari…

“Sì, Lillian, io amo la signorina Kelsi.”

“Quanto amavi la mia mamma?” Era per caso stata nel suo cervello?

“Sì.” Rispose a fatica, passandosi una mano tra i capelli. “Sì, Lilly.”

“E allora chiamala!” Concluse Lilly, incrociando solennemente le braccia sopra alle coperte.

“Non pensi che sia un po’ tardi?”

“Chiamala e scusati! Non dormirò finché non l’avrai fatto!”

Ryan sospirò e rise allo stesso tempo.

“Vedo che hai ereditato la cocciutaggine di tua madre. Lilly ridacchiò. “Va bene, va bene, chiamerò la signorina Kelsi. Però promettimi che andrai dritta a letto. Lilly annuì e si nascose sotto alle lenzuola. Ryan la baciò sulla fronte e le augurò sogni d’oro, poi spense la luce e si chiuse la porta alle spalle.

L’uomo si ammonì da solo.

“Avanti, Ryan Evans, rimettiti in sesto.” Sollevò la cornetta e compose il numero di casa Nielsen, dove Kelsi viveva con i suoi genitori.

“Pronto?”

“Buonasera, Kelsi è in casa?”

“Solo un minuto.”

“Chi parla?” Oh, Signore, era lei…

“Ciao…sono Ryan.”

“Oh…ciao Ryan.” Silenzio. “Guarda, a proposito di questa mattina, effettivamente non erano affari miei e…”

“Non ti scusare. È colpa mia…non avrei dovuto rovesciarti addosso il mio stress e la mia indecisione…Mi dispiace davvero tanto.”

Kelsi non rispose subito.

“È tutto ok, dispiace anche a me. Immagino che fossi solo gelosa…e spaventata.”

“Gelosa di chi? E spaventata di cosa?”

“Spaventata da cosa. Ed ero gelosa della madre di Lilly che ha ancora il tuo affetto…e spaventata che possa tornare e che tu vada con lei.”

Ryan si morse il labbro inferiore.

“Ehi, Kels, posso richiamarti?” lei rise appena a causa del soprannome.

“Certo. Solo non metterci troppo.” Lui annuì e solo dopo si rese conto che lei non poteva vederlo.

Aveva bisogno di fare mente locale prima di parlare con lei di quell’argomento.

Ryan uscì sul minuscolo balcone sul retro dell’appartamento. Collassando in una poltroncina, si prese la testa tra le mani, cercando di prendere una decisione.

Udì bussare sul muro accanto a lui.

“Posso entrare?” Guardò in alto e vide Tabitha sorridere da sopra la ringhiera.

Se proprio vuoi.” Mormorò, riassumendo la posizione di poco prima. Tabitha scavalcò il parapetto e gli sedette a lato.

“Raccontami tutto.” Disse, accarezzandogli con dolcezza i capelli. Il suo affetto materno fu sufficiente a farlo scoppiare di nuovo a piangere; non ce la facev a davvero più.

“Non so da dove cominciare.”

“L’inizio, di solito, è la scelta migliore. Suggerì lei. “Vieni, sdraiati qui sulla panchina e posa la testa sulle mie gambe. E poi potremo parlare.”

Ryan obbedì diligentemente e sospirò. Era dai tempi della scuola che non si metteva in quella posizione…

“Beh, è iniziato tutto quando Gabriella mi ha preso da parte una mattina, sei settimane dopo la festa di Chealsea…”

 

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