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Sharpay Evans fece
scorrere con gesto impaziente le dita sul bordo del bicchiere d’acqua che stava
bevendo, tamburellando le unghie perfettamente curate dell’altra mano sul
tavolo. Il suo gemello non era mai arrivato tardi ai loro incontri e non
avrebbe voluto iniziare ora quella tradizione.
Non fu delusa. Un
cameriere guidò un giovane uomo con capelli biondo miele e un semplice completo
marrone fino al tavolo e lo lasciò con un menù. Sharpay si tolse gli occhiali
da sole con gesto teatrale.
“Cosa ti ha
trattenuto?” Chiese con tono frizzante, stirandosi una ciocca di capelli.
“Veniva quasi da pensare che ti fossi perso nella metropolitana.”
“Sono stato
trattenuto.” Rispose brevemente, facendo correre gli occhi sul menù. “Lillian
aveva una riunione genitori-insegnanti.”
Sharpay roteò gli
occhi.
“Onestamente, Ryan; non
devi andare ad ogni singolo
incontro. È all’asilo, accidenti.” Lui si strinse
nelle spalle, mantenendo l’attenzione sul menù. “E perché sei così concentrato
su quello stupido menù? Come se potessi permetterti una qualsiasi delle cose
che stanno lì sopra.” Gli lanciò un’occhiata
calcolatrice. “E pensare che una volta ti saresti vergognato di indossare
scarpe nere e giacca marrone…Sono sorpresa che i tuoi gusti si siano abbassati
fino a questo punto.”
Ryan lasciò cadere il
menù sul tavolo.
“Oh, piantala, Shar.”
La rimbrottò. “Sai che questo è il
massimo che posso fare in questi giorni… con le… cose che stanno come stanno…”
Imbarazzato, nascose il viso dietro alla lista dei dessert.
Sharpay sospirò di
nuovo e cessò i rimproveri.
“Ryan” Disse
dolcemente, la voce abbassata di un tono. “Hai solo ventidue anni e sei il
padre di una vivace bambina di quattro. Dovresti come minimo aspettarti che io
mi preoccupi, ogni tanto.”
“Veramente, vorrei
solocce tu la smettessi di farlo. Faccio abbastanza per tutti e due.”
Lei rise piano, ma poi
divenne seria.
“Lei ti ha…
contattato?” Domandò con delicatezza.
“Credevi veramente che
lo avrebbe fatto, dopo quattro anni?” Sospirò lui.
“Ryan, lo sai che
vorrei aiutarti a pagare la retta…”
“Come ben sai, non
accetterò il tuo aiuto. Questa è la mia vita –la mia bambina- e le controllo
io.”
“Beh, non è che tu stia
facendo un gran bel lavoro, al momento.” Grugnì
Sharpay, pentendosi immediatamente delle proprie parole. “Ryan, non intendevo
in quel senso…”
“Lo so, lo so, ma il
punto è che hai ragione. È solo che veramente non voglio pensarci ora.”
“Beh, qualcuno
deve farlo e quel qualcuno potrei benissimo essere io. Ryan, hai bisogno di una
persona che ti aiuti a cavartela. A Lilly serve una madre!”
“E pensi che non lo
sappia?” Chiese Ryan con voce rotta, gli occhi che iniziavano ad annebbiarsi.
“Credi che non noti quando diventa confusa quando vede
le mamme delle sue piccole amiche accompagnarle all’asilo? Tutto ciò che ha lei
è un padre che non ha mai nemmeno messo piede al college e sta ancora cercando
un lavoro!”
“A proposito, come è
andato il colloquio di oggi?”
“Non molto bene.
Volevano qualcuno che avesseesperienza.”
“Per vendere
pianoforti? Buon Dio, chi pensavano avrebbe risposto all’annuncio, Ray
Charles?” Ryan rispose con un piccolo sorriso. “Ti hanno già richiamato?”
“Non ancora. Spero di
sopravvivere almeno una settimana.”
Cadde il silenzio.
“Vuoi che ti ordini una
tazza di caffè o qualcosa del genere?” Si offrì alla fine la sorella.
“Sai che non sarei in
grado di restituirti i soldi.”
“Lo so.” Ryan sospirò e
scosse la testa.
“No, grazie, dovrei già
essermene andato. “Voglio riempire ancora un paio di moduli per richieste di
lavoro, cercando di indovinare quali verranno
rifiutate per prime.” Sharpay annuì e il suo esile fratello si alzò in piedi.
“Di’ a Lilly che le
voglio bene. E, Ry…” Il giovane si voltò a guardarla. “Quel piccolo angelo è
fortunato ad avere un papà come te.” I suoi occhi si
illuminarono e le sue mani presero a scavare nelle tasche.
“Quasi dimenticavo…
Chealsea mi ha portato questa foto di Lilly l’altro giorno e ne ho fatta fare
una copia per te.”
Sharpay prese la
fotografia dalle sue mani. Una dolce, piccola bambina le sorrideva con un
sorriso fin troppo familiare e le sue corte trecce bionde le ricadevano
sbarazzine dietro alle orecchie.
“Ti assomiglia davvero
tanto.”Ryan sorrise, fiero,
alla fotografia. “Ma… ha anche gli occhi di sua madre.” Il suo sorriso scemò e
lui sospirò pesantemente.
“Sì, lo so. Degli occhi
così belli…” Con un rapido abbraccio laterale, Ryan Evans se n’era andato.
Sharpay lo seguì per un
momento, poi riportò lo sguardo sulla foto. Scuri occhi color cioccolato
splendevano sul viso infantile della ragazzina. Scacciando dalla testa quei
pensieri, la vice presidente del design alla New York Fashion Company, finì
l’acqua e aprì il portafoglio, dandosi mentalmente istruzioni per la giornata
che l’attendeva.
®
Kelsi Nielsen salutò
allegramente i suoi alunni e accatastò con ordine gli spartiti. La signora Shepherd
si spostò al suo fianco.
“Le parole non possono
esprimere quanto sei apprezzata, mia cara.” Disse la
donna più anziana, gli occhi brillanti d’affetto. Kelsi ride; un suono felice e
cristallino.
“Sono io a doverla
ringraziare. Assolutamente adoro lavorare con i bambini ed è così bello
aver trovato un lavoro esterno al college.”
“Dormo tranquilla la
notte sapendo che i miei studenti sono in buone mani.”
Affermò fieramente la signora Shepherd, spingendo in fuori il petto. Kelsi
arrossì di modestia, gli occhi nocciola illuminati dai complimenti. “Se solo
avessi qualcuno che ti aiuti… allora sì che potrei davvero rilassarmi.”
La compositrice
resistette alla tentazione di roteare gli occhi.
“Signora Shepherd, sono
perfettamente in grado di andare avanti senza un uomo al mio fianco. Lo
faccio fin dai tempi del liceo. Si fidi, sono totalmente soddisfatta di
lavorare da sola.”
“Un giorno troverai il
tuo compagno, non ti arrendere, tesoro. Salterà fuori quando
meno te lo aspetti, quindi stai ben attenta a tenere la mente aperta.”
Arrendendosi, Kelsi
rispose che lo avrebbe fatto e trasportò le borse della collega fino alla sua
minuscola macchina.
Mentre stava salutando
la piccola BMW, qualcosa all’angolo del suo campo visivo catturò la sua
attenzione. In mezzo al gruppo di tenere madri che raccoglievano i propri
bambini, un giovane uomo sembrava stranamente fuori posto. Non poteva avere più
dei suoi anni e sedeva pazientemente su una panchina, aspettando.
Kelsi iniziò ad
avvicinarglisi, ma una bambinetta con capelli identici a quelli di lui uscì
correndo tra la confusione nel cortile della scuola. L’uomo si alzò e la
accolse tra le braccia, facendole giocosamente il solletico. Lei squittì,
deliziata, e gli lanciò le braccia al collo. Dopo aver strofinato i nasi l’uno
contro l’altro, la coppia continuò la propria strada attraverso il parcheggio.
Kelsi riconobbe la
bambina: Lillian Evans, una delle più portate per la musica della sua classe.
“Quel ragazzo deve essere
il suo fratello maggiore.” Pensò e decise di cogliere
al volo l’occasione di conoscere la famiglia di Lilly.
“Mi scusi.” Chiamò
forte, correndo fino a loro, mentre il fratello maggiore si voltava in
obbediente risposta al suo richiamo.
Ora, ad una distanza
tanto ravvicinata, il respiro di Kelsi le morì in gola. Quello era Ryan
Evans, lo stesso re del teatro che aveva un tempo conosciuto alla vecchia
East High. Era certamente cambiato. Aveva l’aria di chi ha perso molto peso in
poco tempo e i suoi semplici vestiti lo rendevano quasi irriconoscibile. Aveva
ancora un cappello posato sulle ciocche dorate, ma non sembrava più qualcosa di
estraneo a qualsiasi catalogo: il berretto da postino avrebbe potuto benissimo
essere presente sugli scaffali di qualsiasi negozio dai prezzi ridotti. Tutta
la sua tenuta parlava di economica trascuratezza, ma i suoi pallidi occhi blu
conservavano lo stesso incontrollabile ottimismo che avevano quattro o cinque
anni prima.
Tutta l’innocenza,
però, se n’era andata.
“Kelsi!” La salutò,
inarcando le sopracciglia per la sorpresa. Kelsi aggiunse mentalmente ‘voce più
bassa’ alla sua lista di cambiamenti. “Che ci fai qui?”
“È la mia maestra di
musica.” Intervenne Lilly, sorridendo e rivelando un largo spazio tra gli
incisivi.
“Non avevo idea che lavorassi qui.” Disse Ryan con genuina meraviglia, liberando
una mano per stringere quella di lei. “Quando hai iniziato?”
“Solo qualche settimana
fa.” Rispose Kelsi. “Fai le commissioni per i tuoi o
qualcosa del genere?” Le sopracciglia di lui si corrucciarono per la
confusione. “Intendo dire, ti hanno mandato a prendere la tua sorellina
all’asilo?” Il giovane deglutì, a disagio, ma prima che potesse parlare, Lilly
trillò.
“Papy, di che parla? Tu
non hai una sorellina, solo una gemella, vero, papy?”
“Sì, tesoro, hai
ragione; solo zia Sharpay.”
“Solo zia Sharpay,
nessun altro.” Affermò Lilly e guardò, raggiante, Kelsi, come se l’intera
questione fosse risolta.
“É…È tua?” Esalò
la sua vecchia compagna di classe, vacillando all’indietro.
“Sì.” Rispose Ryan,
sentendo le sue guance prendere fuoco.
“Io…io…” Kelsi non
riuscì a formare altre parole, oltre a quella. Ammutolita e stupefatta,
mosse qualche paso incerto indietro, prima di cominciare una corsa verso
l’edificio scolastico.
Lillian inclinò il capo.
“Perché è scappata,
papy?” Ryan la guardò, ma non rispose. “Papy?”
Ryan tornò alla realtà.
“Perché è scappata? È
perché…è perché ha scoperto il tesoro sepolto nel divano del salotto.”
“Oh, no” Lo sa anche
lei?!”
“Sì e dovremmo correre
a casa e dissotterrarlo per primi! Non possiamo lasciare che la signorina Kelsi
lo trovi! Forza, capitano Lillian, dobbiamo tornare alla nave!”
“Prepara la partenza!”
Strillò la bambina gioiosamente e si strinse forte a Ryan, mentre lui si
dirigeva verso la macchina e ve la faceva entrare. Si fermò, poi, a lato della
portiera, lo sguardo ancora fermo sull’ormai vuoto edificio dell’asilo.
“Dai, papy, dobbiamo
arrivare per primi!” Ryan annuì, entrò nel loro unico mezzo di trasporto e
accelerò sulla strada principale, lasciandosi alle spalle l’asilo di Westbrook.
Tabitha fece cadere la cenere della sua sigaretta ed esalò
abilmente una larga nuvola di fumo.Sentendo dei passi pesanti nel corridoio, si strinse di più nel cappotto
e aprì come per caso la porta d’ingresso. Ma, naturalmente, erano Ryan e Lilly;
Lilly, che al momento stava seduta sulle spalle di suo padre, sbraitando ordini
come “Tutti sul ponte! Gettate l’ancora! Tutti a tribordo! Abbassate le vele!”
La donna sbuffò, divertita, e il fumo riempì l’aria ancora
un volta.
“Un’altra avventura in mare aperto, Ryan?” Lo prese in giro.
Ryan sorrise appena.
“Andiamo a dissotterrare il nostro tesoro, per essere
precisi.”
Tabitha osservò le grandi borse sotto i suoi occhi e come le
sue gambe sembrassero pronte a crollare a terra da un momento all’altro. La sua
testa si alzò verso di lui in un gesto ricco di significato. Ryan colse la sua
occhiata e posò con attenzione Lillian sul pavimento.
“Vai a perlustrare il territorio, capitano; ti raggiungo tra
un minuto.”
Lilly lo salutò, prese la chiave giusta dal mazzo che lui le
porgeva e scomparve oltre la porta dell’appartamento.
Una volta che la piccoletta fu fuori dal campo uditivo,
Tabitha pose la sua domanda.
“Come è andato il colloquio di oggi?” Lo stringersi nelle
spalle di Ryan confermò i suoi sospetti.
Tabitha fece correre un dito tra i folti ricci rossi e
spostò il peso dalla gamba sinistra alla destra.
“Sai che ti dico? Quando il tesoro sarà completamente allo
scoperto, manda Lilly da me che le preparo la cena
Quando lui aprì la bocca per protestare, lei gli posò
semplicemente un lungo dito –terminante in un purpureo artiglio- sulle labbra.
“Lo so che non hai i soldi per pagarmi. Lasciamelo fare come amica; non mi
aspetto nessuna restituzione.”
“Sono solo stanco di accettare tutta questa carità.” Sbadigliò
Ryan.
“Tu sei malato e basta.” Lo corresse Tabitha e gli appoggiò
una mano tiepida sulla fronte.
“Non sono malato.” Insisté Ryan, spostandola. “Solo un po’
stanco.”
“Quand’è stata l’ultima volta che hai dormito per cinque ore
di fila?” Lui si strinse nelle spalle e lei lasciò sfuggire dalla propria bocca
alcuni anelli di fumo. “Se vuoi essere un padre migliore, vai a dormire.
Ti condanno ad una notte tranquilla, stasera, pirata.”
Ryan la guardò ma realizzò che qualsiasi resistenza sarebbe
stata inutile. La ringraziò e continuò lungo la strada per il suo appartamento
da scapolo.
La donna di mezza età guardò l’orologio e scivolò di nuovo
all’interno del proprio soggiorno, spegnendo la sua soap opera per cercare
nella dispensa qualcosa che potesse attirare una bambina dell’asilo.
L’ex ballerino appoggiò la propria sottile ed esausta figura
contro la porta e voltò la testa per esaminare il proprio dominio. Era
decisamente ‘vissuto’, come lo definiva Sharpay. La pittura era scrostata e il
divano non conteneva più alcuna imbottitura (era stata asportata tutta a causa
di svariate azioni di pirateria). Scatole aperte e strapiene erano accatastate
in ogni angolo e si potevano a stento muovere due passi senza inciampare in un
giocattolo. Il muro era ricoperto di disegni e la luce era leggermente pallida
a causa della mancanza di alcune lampadine.
La loro casa.
Ryan chiuse gli occhi per un brevissimo secondo.
“Papy, che c’è? Hai sonno?” Ryan costrinse le proprie
palpebre a sollevarsi di nuovo e sorrise a sua figlia.
“Un pochino, tesoro. Ma che cos’hai lì?” Il viso raggiante,
Lillian gli mostrò, orgogliosa, un nuovissimo animale di pezza.
“Ho trovato un gattino! Era nascosto insieme al tesoro!”
“Non ci credo!” Ryan si abbassò al suo livello. “È un
maschio o una femmina?”
Lilly riflettè per un po’ sulla risposta da dare.
“Una femmina. A Mr. Teddy serve una fidanzata.”
“E come si chiama?”
“Beh… qual è il nome di mia madre?”
La domanda colse Ryan totalmente impreparato.
“Vuoi chiamare il gattino come la tua mamma?” Lilly annuì,
seria.
“Sì. Tutti gli altri bambini a scuola parlano delle loro
mamme.” Seguì una pausa imbarazzata che solo Ryan notò.
“Tu… vuoi una mamma?” Domandò cautamente.
“Naa.” Rispose la bambina immediatamente, continuando a
rimirare il gattino. “Ci rovinerebbe tutto il divertimento, non trovi?”
“Penso di sì…” Rispose lui, incerto. “Ma questo è
divertente, vero? Solo noi due?”
Le trecce di Lilly saltellarono.
“Certo, signore!”
“Solo noi due, un pirata e una giovane di alti natali!”
“Io voglio essere il pirata!” Protestò Lilly.
“Ma io non posso essere la ragazza.” Puntualizzò Ryan.
“Quindi mi toccherà fare il pirata, questa volta.” Disse, per poi sollevare la
bambina ridacchiante sulle proprie spalle. “Arr, ti ho presa, signorinella!”
“Oh, qualcuno mi salvi!” Strillò lei, ovviamente senza alcun
desiderio di essere davvero salvata.
“Ti farò camminare sulla passerella!” Ringhiò Ryan,
tenendola per le braccia ed ignorando i minuscoli talloni che battevano contro
i suoi fianchi. Una volta in camera da letto la lasciò cadere (con molta
attenzione) sul suo lettino. “Ora preparati per la cena: mangerai con la famosa
Lady Tabitha, questa sera!”
Dieci minuti e due canzoni dopo, Tabitha sentì bussare alla
propria porta. Quando aprì si trovò davanti una piccola bambina con un semplice
vestito blu e un mazzo di fiori in mano che le rivolgeva un sorriso a ventisei
denti.
“Che cosa sono?” Rise Tabitha, mentre Lilly le piazzava i
fiori sotto al naso.
“Papà ha detto che te li manda per ringraziarti.” La donna
roteò gli occhi.
“Immagino che sarai affamata. Entra, sei capitata giusto
quando stavo finendo di preparare le polpette di patate al formaggio!”
“Evvai!” Lilly saltò dentro, sollevando il vestito per poter
correre meglio.
Due ore dopo, Tabitha si portò un dito alle labbra, mentre
Lilly apriva la porta del proprio appartamento. Prendendo in braccio la
bambina, entrò in punta di piedi nella camera da letto principale.
Ryan giaceva senza camicia sul letto, le lenzuola
sparpagliate attorno a lui.
Lilly si agitò tra le braccia di Tabitha, costringendo la
donna a metterla giù, poi si arrampicò fino al padre addormentato e si
accoccolò tra le sue braccia.
Scuotendo la testa, Tabitha liberò le lenzuola e le distese
sulla piccola famiglia.
“’notte.” Sussurrò. Lilly sorrise, per poi voltare il viso
contro il petto nudo di Ryan.
Sulla porta, Tabitha si voltò per guardarli ancora una
volta.
“Sono quasi il perfetto ritratto di famiglia.” Pensò. “Ma
manca loro ancora qualcosa… o qualcuno.”
Uscendo, si chiuse la porta alle spalle.
®
Ryan tossicchiò, lisciandosi la cravatta, sistemando la
sedia più lontano dietro al bancone che poté e si guardò intorno. Un cimitero
sarebbe sembrato un concerto rock, paragonato al negozio di strumenti musicali.
Le sue dita scattarono, innervosite dalla mancanza di rumore, e presero a
tamburellare sulla sua coscia.
Dopo quarantacinque minuti di assoluto silenzio e dopo
essere caduto per tre volte dalla sedia, perso nei suoi pensieri, decide di
testare l’equipaggiamento. Raccolse due nuovissime, lucenti bacchette per la
batteria e le fece roteare abilmente tra le dita di una mano. Girellando, si
trovò come per caso davanti ad una batteria e colpì uno dei lucidi piatti.
Un sorriso da bambino gli attraversò il viso. La tentazione
era troppo forte e un’innocente suonata di batteria non avrebbe fatto male a
nessuno. E, sperava, nemmeno una suonata di batteria in modalità fortissimo.
Solo quando le persone che passavano per strada iniziarono
ad osservarlo attraverso la vetrina Ryan prese in considerazione l’idea di
interrompere il suo controllo. Si allontanò dalla zona dove aveva suonato fino
ad allora la chitarra elettrica e, uscendo dall’area chitarre, si avviò verso
le tastiere.
Le sue dita si fermarono a pochi centimetri dai tasti di
plastica. Una voce dentro alla sua testa prese a canticchiare allegramente il
fin troppo familiare ritornello provato un infinito numero di volte su una
tastiera simile a quella.
I’ve never had someone
That knows me like you do
The way you do
Sorrise a se stesso: si era quasi dimenticato di “Twinke
Towne”. Nella sua mente, poteva facilmente ricreare i corridoi della East High
e rivedere lui e la sua gemella scivolare tra gli altri nelle loro pazze,
stilose e fiammanti uniformi. Rise forte, ripensando ai suoi jazz-squares e
agli altri spettacolari passi di danza che amava.
Curioso, si alzò e trovò una porzione libera di tappeto.
Prendendo un profondo respiro, eseguì un jazz-square più facilmente di quando
era una matricola. Ridendo, tra adrenalina e ricordi, Ryan eseguì una serie di
jazz-squares fino ai grandi pianoforti.
Realizzando quanto
idiota dovesse sembrare, il vecchio re del teatro si chinò sugli strumenti.
Fu come se ogni energia avesse abbandonato il suo corpo. Si
calmò improvvisamente, ricordando un’altra scena, non così familiare e non così
ben provata, della sua vita al liceo. Guardò con espressione vuota per parecchi
minuti l’avorio davanti a lui, rima di realizzare ciò che stava facendo.
Sospirando, si riportò alla mente un’altra delle sue canzoni
preferite ed iniziò a cantare per il suo pubblico di canne, ottoni, legni e
plastica.
My gift is my song
And this one’s for you
And you can tell everybody
That this is your song
It may be quite simple but
Now that it’s done
I hope you don’t mind
I hope you don’t mind
That I put down in words
How wonderful life is
Now you’re in the world…
“Mi scusi.” Una sottile, anziana voce lo raggiunse
dall’ombra. Per come Ryan reagì, la figura di lui avrebbe potuto aver appena
lanciato un urlo. Imbarazzato oltre misura, il giovane incespicò oltre la
panchina e cadde lungo e tirato per terra. Rialzandosi, si guardò intorno per
vedere dove fosse finita la sua giacca. Incrociò le dita, pregando che il capo
non passasse di lì proprio in quel momento; cartellino del nome per terra,
camicia leggermente aperta, scarpe abbandonate in un angolo… la situazione non
sembrava granché professionale.
Sarebbe stato licenziato di certo.
Ryan si sistemò in modo da nascondere la propria metà
inferiore dietro al pianoforte.
“Come posso servirla?” Ryan biascicò il saluto d’uso,
evitando di farsi vedere. L’alta, anziana signora rise con gentilezza.
“Veramente, stavo chiedendomi se non potrebbe farmi un
favore. Sono la signora Shepherd, l’insegnante di musica dell’asilo di
westbrook che è appena andata in pensione.” Ryan inarcò le sopracciglia ma non
diede altra risposta. “Per caso ti ho sentito cantare e suonare il pianoforte,
pochi secondi fa.” Ryan si sentì bruciare di umiliazione. “E ho pensato che
potresti essere un perfetto assistente per la nuova maestra. La ragazza che ha
preso il mio posto potrebbe trovarsi un po’ sovraccaricata da sola e penso che
un assistente le farebbe comodo.”
Ryan si sentì come un pesce rimasto di colpo all’asciutto e
la sua bocca si spalancò contro la sua volontà.
“Lei… lei mi sta offrendo un lavoro?”
Lei annuì, tutta contenta.
“Certo, devi ancora riempire i moduli, ma questo non è un
problema. Per favore, di’ di sì!”
“Dovrei...dovrei prima lasciare questo lavoro.” Balbettò
lui, cercando disperatamente una scusa.
La donna rise.
“Mio caro ragazzo, potevo sentirti suonare la chitarra
dall’altra parte della strada. Non avrai bisogno di dare le dimissioni.”
®
Kelsi lanciò una pallina di carta verso il cestino dei
rifiuti, mancandolo clamorosamente. Sospirando, spostò dal proprio grembo le
dodici cartellette e si alzò per buttare efficientemente nella spazzatura la
notevole quantità di tiri andati a vuoto. Lamentandosi, lo avvicinò alla
cattedra, in modo da non doversi alzare di nuovo.
Alcuni colpi risuonarono sulla porta.
“Avanti.”
La signora Shepherd ridusse leggermente la propria statura
in modo da non picchiare la testa sul montante della porta, seguita da qualcuno
parecchio più basso.
“Ryan, che ci fai qui?”
“Gli ho offerto un lavoro come tuo assistente!” Esclamò la
signora Shepherd con giubilo, dando un paio di buffetti sulla spalla dell’ex
attore mortalmente a disagio.
“Ma signora Shepherd, le ho detto un’infinità di volte che
me la cavo benissimo da sola! Non ho bisogno di un assistente; preferisco mille
volte lavorare per conto mio! Mi dispiace per il tempo che hai perso, Ryan, ma
non ho bisogno di te.”
La chitarrista dai capelli grigi prese l’indietreggiante
padre per la coda del cappotto.
“Sii ragionevole, Kelsi. C’è qualcosa di personale che
ti impedisce di volere Ryan Evans come collega?”
Kelsi squittì.
Non c’era niente di veramente sbagliato con Ryan; lui per
primo non era mai stato cattivo con lei al liceo. Certo, forse all’epoca era
leggermente effeminato, ma era solo a causa del fatto che veniva perennemente
ignorato…e a causa di Sharpay. Non le aveva mai detto niente di particolarmente
maleducato, ma non erano mai stati amici del cuore.
E poi si ricordava del loro ultimo incontro. Che brutta
impressione doveva aver avuto di lei vedendola scappare via solo perché aveva
scoperto… Lilly.
Ci sarebbe stato molto disagio tra loro, non avrebbe mai
funzionato.
“Kelsi, non hai risposto alla mia domanda. Hai qualcosa di personale
che ti impedisce di lavorare con Ryan?”
Kelsi guardò il ragazzo in questione che la stava guardando
a sua volta con gli occhi curiosi, come se anche lui avesse voluto conoscere la
risposta.
Gli occhi azzurri di lui penetrarono nella sua mente e,
mentre ogni resistenza crollava, la signorina Nielsen sospirò.
“No. Non ho niente di personale contro Ryan.” Il suo
coetaneo si rilassò, sollevato.
“Dubiti delle sue doti musicali?”
“Oh no!” Aveva assistito ad abbastanza spettacoli dei
gemelli per sapere che lui che lui era un esperto in quel campo.
“E allora qual è il problema?”
“Vorrei saperlo.” Pensò Kelsi. “Nessuno, suppongo.” Fu ciò
che disse ad alta voce, accettando la sconfitta.
“Eccellente! Allora siamo d’accordo. Apprezzerei che tu gli
dessi i moduli da riempire. E poi voi due potrete passare quel che resta di
questo giorno grigio parlando dei piani per il secondo semestre. Ryan… cioè,
signor Evans, ti dispiacerebbe se parlassi da sola con Kelsi per un minuto?”
“Per niente.” Rispose lui in fretta e uscì velocemente dalla
stanza.
La signora Shepherd prese le mani di Kelsi nelle proprie.
“Mia cara, non avrei lasciato questo posto con tanta
allegria se non fossi stata sicura di lasciarti in buone mani.”
“Ma signora Shepherd, le cose saranno così… imbarazzanti...”
“Non dire sciocchezze. Ti auguro con tutto il cuore che
tutto vada per il meglio. E fuori dal mondo del lavoro… penso che voi
due dovreste conoscervi meglio.”
“Ma…”
“Basta con i ma.” Kelsi sorrise e la settantenne insegnante
di musica si prese un secondo per abbracciare un’ultima volta l’aula con lo
sguardo.
“Mi mancherà questo posto… ho cos’ tanti ricordi qui.” Kelsi
annuì comprensivamente. “Oh, beh, dovrei andare.”
Dopo aver baciato la sua discepola sulla fronte, la signora
Shepherd lasciò l’asilo.
Ryan rientrò, un po’ vergognoso, e si sedette all’indiana
sul tappeto accanto a Kelsi.
“Sembrate molto affezionate l’una all’altra.”
“Conosco quella signora da tanto tempo, è naturale che siamo
diventate amiche.” Pausa. “Senti, Ryan, a proposito dell’altro giorno…”
“Dimenticalo.” La bloccò. “È solo naturale reagire in quel
modo.”
“È solo che non avevo idea…” Questa volta, si fermò da sola.
“In ogni modo, il passato è passato. Da dove iniziamo?”
“Che ne dici di pulire questo disordine?” Suggerì Ryan, un
sorriso aperto in volto. “E dovremmo iniziare a pianificare, suppongo.”
“Odio organizzare i file!” Si lamentò la giovane, lasciando
cadere sul tavolo una pila di cartellette. “È lavoro da vecchi!”
“Di certo sei diversa dalla maniaca dell’ordine che eri al
liceo.” Rise lui.
Kelsi roteò gli occhi.
“E tu di certo sei diverso dal costruitissimo bel ragazzo
che faceva quasi fatica a rivolgermi la parola.”
“Ora ti sto parlando, no?” Domandò, sulla difensiva.
“E questi file assomigliano molto ad un porcile, non ti
pare?”
Dopo essersi guardati per due o tre minuti, Ryan si arrese e
scoppiò a ridere, subito seguito da Kelsi.
“Perché non ci dimentichiamo delle vecchie differenze e
basta?” Propose Kelsi, tendendo una mano al suo nuovo collega.
Che la strinse.
“D’accordo. Però dobbiamo comunque mettere questi file da
qualche parte.”
“Te l’ho detto, non voglio mai più riorganizzare una
cartelletta del genere in tutta la mia vita!”
“Non ho parlato di organizzazione, ma finiremo nei guai se
lasciamo la stanza in disordine. Facciamo almeno finta di tenerla a posto.”
Kelsi ridacchiò.
“Ok, tu prendi questa pila e io quella.”
Ryan si allontanò dalla cattedra, ma non aveva programmato
il cestino della spazzatura, posizionato proprio dietro alle sue gambe.
Inciampò, cadendo sulla schiena.
Nemmeno Kelsi si ricordò dell’esistenza della piccola
pattumiera, così incespicò nei propri piedi, atterrando sopra di lui.
Ridendo della propria totale assenza di grazia, Ryan si
puntellò sui gomiti e Kelsi si spostò i capelli dal viso.
I loro occhi si incontrarono.
“Oh, Signore…” Strillò la mente di Kelsi. Il suo cuore prese
a battere come se avesse voluto uscirle dal petto e lei arrossì, rendendosi
conto di quanto vicini fossero i loro corpi. Lui sembrava così… così caldo
e il suo viso continuava ad avvicinarsi. “Oh, Signore…”
L'autrice
ringrazia tutti per i commenti... e io pure!!!!!
˜ Capitolo Tre ˜
Il secondo prima che il loro nasi si
sfiorassero, Ryan schizzò via e si alzò di colpo in piedi.
"Scusa… sono claustrofobico." Si
giustificò, chinandosi a raccogliere i fogli sparsi sul pavimento.
"Da quando?" Chiese Kelsi, divertita,
accucciandosi accanto a lui.
"Da quando…" La voce di Ryan calò di un
tono. Come poteva spiegare qualcosa che lui stesso non capiva? E come era
successo? All’epoca, non aveva i pensieri molto chiari…
Il diciassettenne Ryan Evans barcollò sul posto, un bicchiere vuoto stretto
in mano. Non aveva idea di perché fosse andato alla festa di Chealsea, se non
che Sharpay lo aveva voluto lì. Aveva bevuto diversi bicchieri di quello che
qualcuno gli aveva comunicato essere un semplice punch di frutta e che, però,
non sembrava affatto
punch di frutta.
Gli occhi molto appannati, Ryan provò a
camminare in linea retta fino al divano per stendersi, ma il pavimento
continuava ad ondeggiare avanti e indietro. Era come se non avesse più alcun
controllo sul suo corpo. Accidentalmente, andò a sbattere contro una ragazza
piuttosto carina; la stessa ragazza, in effetti, che lo aveva invogliato a bere,
bicchiere dopo bicchiere, il cosiddetto punch.
"Scusi." Riuscì a biascicare e stava per
andarsene, quando la ragazza lo trascinò indietro.
"Non dirlo nemmeno." Sussurrò, seducente,
nel suo orecchio. "Vieni con me."
Trascinò un Ryan intontito e perplesso fino
ad una stanza vuota e chiuse a chiave la porta alle loro spalle. Prese con
delicatezza il bicchiere dalla sua mano e lo gettò in un cestino poco
lontano.
"Cosa…" Riuscì a mormorare il ragazzo, prima di perdere tutto lo spazio
personale che avesse mai avuto. Era tutto intorno a lui: la bocca che si muoveva
sulla sua, le sue mani che gli correvano lungo tutto il corpo, la sua camicia
improvvisamente sparita, la camicia di lei improvvisamente sparita. Il suo mondo non
divenne altro che una macchia nel momento esatto in cui lei lo fece cadere sul
letto.
"Da… da un po’." Evitando lo sguardo
interrogativo di Kelsi, Ryan raddrizzò i file nelle proprie mani. "In che parte
dell’armadio li dovrei mettere?"
Con gli argomenti imbarazzanti lasciati
alle spalle, Kelsi si accorse ben presto che era incredibilmente facile parlare
con Ryan di qualunque cosa (escluso il modo in cui Lilly era venuta al mondo).
I due riportarono alla mente i tempi del
liceo, accennando appena alla vecchia indifferenza.
"Avevi paura di io e Sharpay?"
"Di me e
Sharpay. E sì, ne avevo, che tu ci creda o no."
"Capisco e condivido la tua paura di Shar;
ma perché anche di me?"
"Non è che tu fossi spaventoso o minaccioso
come Sharpay… è solo che eri talmente distante…Nessuno ti parlava molto, non hai
mai davvero avuto relazioni sociali oltre alla tua gemella; immagino che tutti
noi non abbiamo mai tentato di conoscerti perché eri… bizzarro."
"Non sapevo che la tranquillità ispirasse
terrore." Scherzò Ryan.
Kelsi arrossì.
"Perché l’ho fatto?" Si ragguagliò
mentalmente "Stupida Kelsi; bel modo di gridare al vento i tuoi
sentimenti!"
Ryan sbattè un paio di volte le palpebre,
senza avere idea di perché Kelsi fosse arrossita.
Dopo aver brevemente ripassato i piani per
il semestre, i due giovani insegnanti decisero di andare ad un vicino Starbucks.
Chiacchierarono davanti ai loro drink, discutendo di musica, arte, film e libri
e semplicemente divertendosi un mondo. Scoprirono di avere gusti musicali
piuttosto simili (escluso il modo di cantare "What I’ve been looking for") e lo
stesso desiderio di assistere ad alcuni spettacoli di Broadway.
Fin troppo presto per Kelsi, Ryan controllò
l’orologio sul display del cellulare, rendendosi conto di quanto tardi si stesse
facendo.
Scusandosi per aver parlato così tanto ("Non farlo, è stato bello!"), Ryan
uscì dal bar, lasciando un’ammutolita, felicissima, spumeggiante, brillante,
radiosa, estatica Kelsi Nielsen seduta al tavolo. Nel momento in cui il
click della porta
avvertì che questa si era chiusa, Kelsi recuperò dalla borsa il proprio
cellulare e chiamò una della poche ragazze di cui sapeva di potersi
fidare.
"Ehi, Gabbi? Sì… Non indovinerai mai chi la signora Shepherd ha assunto come mio
assistente…"
Nemmeno venti minuti dopo, la signora
Richards camminò pesantemente fino alla porta e la aprì, trovandosi davanti una
ragazzo in età da college immerso in un bomber nero di parecchie taglie troppo
grande su cui si poteva leggere DRAMA in grandi lettere bianche.
"Buongiorno." La salutò. "Sono venuto a
prendere Lilly."
"Oh, certo, solo un minuto. Vieni dentro,
le ragazze sono di sopra a guardare Nickelodeon."
Ryan camminò oltre la soglia della casa a
tre piani.
"Così, tu devi essere il fratello maggiore di Lilly, giusto?" Lui aprì la
bocca per rispondere, ma, evidentemente, la signora Richards considerava la
propria domanda come puramente retorica. "Sì, sì; Daphne adora giocare con la tua sorellina. Lilly
è una bambina così dolce…"
"Grazie, ma io non sono…"
"Mi potresti lasciare, per favore, il
vostro numero di telefono e l’indirizzo prima di partire?"
Ryan affondò le mani nelle tasche dei
pantaloni cargo, cercando un pezzo di carta o una penna, ma la signora Richards
lo aveva battuto sul tempo. Gli porse un’elegante penna ed una piccola
agenda.
"Vediamo… L-i-l-l-y…E-v-a-n-s…e qual è il
vostro numero di telefono…uhmm…e l’indirizzo?"
"4675 Kempwood Boulevard PO Box
#7923"
La penna esitò e Ryan notò una dolorosa
espressione di sdegno sul viso fiero della donna. Tuttavia, finì di scrivere le
informazioni, prima che due bambine ridacchianti corressero giù per la scala a
chiocciola.
"PAPY!" Squittì Lilly, approdando tra le
sue braccia aperte. Uno sguardo terrorizzato stravolse il viso della signora
Richards.
"Schizzo!" Ryan abbracciò forte la
bambinetta, baciandola sui capelli chiarissimi. "La ringrazio così tanto per
aver lasciato venire Lilly a casa sua, signora Richards. Sembra essersi
divertita un mondo; dovremmo farlo di nuovo. Arrivederci!" Uscì, poi, chiudendo
precipitosamente la porta sull’espressione mortificata della madre della
migliore amica di sua figlia.
"Voglio venire e giocare ancora!" Esclamò
Lilly, agitandosi, felice, tra le braccia di suo padre. Ryan guardò indietro,
verso l’alta casa.
"Ho paura che vedrai Daphne solo a scuola,
per un po’."
"Ma perché? Sono stata brava!" Piagnucolò
la piccola.
"Lo so, tesoro, non è colpa tua. È mia. È
tutta colpa mia."
®
Quando Lilly saltò sulle sue gambe, Ryan
riuscì miracolosamente a non far cadere la gigantesca scodella di
glassa.
"Tanti auguri a me! Tanti auguri a me!"
Cantò forte, zampettando per tutta la cucina.
"La ragazza che compie gli anni non avrà
una torta di compleanno se non la smette di stare tra i piedi al suo povero
padre." Rise Ryan.
Lilly ridacchiò e scomparve dalla
stanza.
Scuotendo la testa, il giovane continuò a
mescolare la glassa al cioccolato fatta in casa.
Il telefono squillò.
"Se continuo così, la torta non sarà mai
pronta." Si lamentò Ryan e, dopo aver sistemato la ciotola in equilibrio su una
gamba piegata ed essersi leccato un po’ di cioccolato dalle dita, afferrò la
cornetta. "Villa Evans, chi parla?"
"Ciao Ryan, sono Kelsi."
"Ehi, Kelsi, che succede?"
"Chiamavo per fare gli auguri a Lillian.
Posso parlarle?"
"Sì, ti prego, fallo. Sta rimbalzando su
tutti i muri e io sto provando a preparare una torta." Detto ciò, chiamò la
bambina e le porse il telefono. Dieci minuti dopo Lillian, coprendo
delicatamente con una mano il ricevitore del telefono, tirò un po’ la stoffa dei
pantaloni del padre.
"Papà, non hai detto che potevo invitare
un’amica a venire con noi a Fiesta Texas questo pomeriggio?"
Sussurrò.
"Sì."
"Possiamo portare la signorina Kelsi con
noi?"
"Ehm… immagino di sì…" Rispose Ryan, incerto. "Vuoi davvero portare un’insegnante al tuo
viaggio di compleanno a San Antonio?"
"Ma lei non è solo un’insegnante!" Ritorse Lilly. "È davvero divertente!"
Ryan rise.
"Ok, può venire."
"Evvai!" Lilly spostò la mano dal microfono. "Signorina Kelsi, vuoi venire
con me e il mio papà a Fiesta Texas?" Un altro rumoroso suono di giubilo
confermò che la signorina Kelsi li avrebbe accompagnati durante la loro
escursione di compleanno.
Kelsi raggiunse l’appartamento degli Evans
in perfetto orario, in mano dei biscotti e un regalo incartato a regola d’arte.
Quando la sopra citata carta fu strappata, il dono rivelò di essere una piccola
arpa da braccio, completa di un libro di esercizi.
"Così puoi avere un tuo strumento da
suonare quando vuoi."
"E cosa si dice, Capitano?"
"Grazie!" Lilly si sistemò l’arpa tra le
braccia e corse al davanzale più vicino per provarla.
Ryan sorrise a Kelsi, comunicandole
attraverso gli occhi cristallini tutta la gratitudine che provava nei suoi
confronti.
Una volta che il piatto di deliziosi
biscottini al cioccolato fu completamente vuoto, tutti e tre si sistemarono
nella piccola macchina della piccola famiglia Evans. Dato che il veicolo non era
provvisto di un lettore CD e che la ricerca di un canale radio decente fu presto
abbandonata, la maggior parte del lungo viaggio fu spesa cantando. Kelsi non
rimase colpita solamente dal numero di canzoni che Lilly conoscesse, ma da
quanto fosse migliorata la voce di Ryan. Non che avesse mai avuto una brutta
voce, ma in qualche modo era diventata ancora più pura e più forte. Ogni nota la
faceva rabbrividire, specialmente quelle basse, che ora venivano raggiunte con
grande facilità.
Fu veramente dura trattenere l’entusiasmo
di Lilly quando il parco entrò nel suo campo visivo, dato che non era mai stata
in un posto del genere prima di allora. Si agitò sul sedile, afferrando una
manica della maglia di Ryan e pregandolo di aumentare l’andatura.
Armato di uno zaino contenente soldi,
snack, un kit di primo soccorso, tutti i loro costumi, gli asciugamano, la crema
solare e due buoni libri, Ryan si spostò gli occhiali da sole sulla
testa.
"Ho idea che sarà un lungo, lungo giorno."
Sospirò, facendo ridere Kelsi.
Dato che era mezzogiorno, il momento più
caldo della giornata, il gruppetto decise di dirigersi per prima cosa verso il
parco acquatico. Quando riemersero dalla loro permanenza in bagno, Kelsi
indossava un carinissimo costume verde con corti calzoncini dello stesso colore,
Lilly un costume intero a fantasia floreale e Ryan un paio di calzoncini da
bagno neri e una canottiera bianca un po’ spiegazzata, oltre ad un ben visibile
sguardo di ammirazione nei confronti di Kelsi.
"Che cosa guardi?" Domandò la ragazza, le
guance in fiamme per l’imbarazzo, sistemandosi i pantaloncini, ben conscia del
proprio aspetto.
"Niente… è che sei… molto carina." Rispose
Ryan debolmente, tossicchiando. "Bene. Lilly, che vuoi fare?"
Non contava quanto intensamente ci avesse
provato; Kelsi trovava veramente difficile non scannerizzare Ryan dalla testa ai
piedi.
Specialmente dopo
che ebbe raggiunto gli scivoli acquatici.
Lilly insistette affinché sia Ryan sia
Kelsi scivolassero insieme a lei e il tutto si era concluso con loro tre che si
schizzavano a vicenda nella piscina in un ammasso confuso.
A quel punto, la giovane maestra di musica
mandò al diavolo tutti i tentativi di evitare ogni contatto fisico con Ryan:
Lilly era davvero determinata a passare l’intero giorno del suo compleanno con
le sue due persone preferite e davvero non capiva perché, all’inizio, Kelsi
fosse così restia a salire sullo scivolo dietro a Ryan e a sistemare le gambe
intorno ai suoi fianchi.
Dopo due ore di intensi giochi d’acqua,
Ryan le guidò ad una piccola piscina per bambini, così che lui e Kelsi potessero
riposarsi senza doversi preoccupare eccessivamente di Lilly.
La loro crema solare doveva aver già smesso
di fare effetto da un po’e Ryan domandò alla ragazza, con fare casuale, di
riapplicargliela. E così di nuovo, la timida, modesta Kelsi si ritrovò a doversi
mordere le labbra quando lui si tolse la maglietta, rivelando il torace magro ma
muscoloso.
Le sue mani quasi tremavano quando si
spruzzò un po’ della fredda crema sui palmi ed iniziò a stenderla sul collo e
sulla schiena di lui.
"Uff…" Mormorò Ryan sul proprio
asciugamano.
"Cosa?"
"Hai le mani fredde."
"Fattene una ragione." Rise lei,
continuando a spalmare la lozione.
"Sembra più uno scrub che un’applicazione
di crema solare." Commentò il giovane dopo un po’.
"Potresti smettere con i commenti, per
favore?" Rise Kelsi, dando un leggero pizzicotto alla pelle diafana. "Dovresti
essermi semplicemente grato perché ti sto aiutando." Detto ciò, scese dalla
sdraio. "È il mio turno ora."
Lui sollevò la testa di scatto.
"Come, prego?"
Lei sorrise con un pizzico di
perfidia.
"Tu ti sei fatto mettere la crema sulla
schiena e ora devi ricambiare il favore." Rispose, picchiettando con una mano la
tela della sdraio dietro di lei. Deglutendo, Ryan raccolse la crema, si sedette
e spremette un po’ il tubetto. Mentre le sue grandi mani le massaggiavano la
schiena, la pelle d’oca si fece strada, non notata, sulle braccia della
compositrice.
Tutt’ad un tratto, la ragazza lanciò un
gridolino.
"Che succede?" Chiese Ryan,
preoccupato.
"Fa il solletico!" Lei ridacchiò,
agitandosi sull’asciugamano.
Uno sguardo vagamente malvagio si
impossessò del viso del signor Evans.
"Cosa, questo?" Chiese, muovendo le dita di
nuovo sui suoi fianchi.
"Sì, quello!"
"Oh, di certo questo non fa il solletico!"
Rise lui, continuando con la sua piccola tortura. Lei squittì, tentando di
spingerlo via.
"Smettila!" Esalò la ragazza, provando
senza successo a riprendere fiato. Lui rise più forte, ma non si
fermò.
Le coppie più vecchie si sorridevano a
vicenda, ammirando con tenerezza la sconfitta ragazza con il costume verde e il
ragazzo con i calzoncini neri impegnati nella loro disperata battaglia a colpi
di solletico.
Nella vicina piscina, Lilly delucidò i suoi
nuovi amici.
"Vedete?" Domandò, orgogliosa. "Il mio papà è innamorato della signorina
Kelsi. Mi chiedo se si baceranno… così poi dovranno solo sposarsi!"
"Ryan?" Chiamò piano Kelsi, mentre i tre
stavano tornando alla macchina.
Lilly si era velocemente addormentata tra
le braccia di suo padre: la prima, avventurosa giornata del suo quinto anno
aveva letteralmente sfinito la piccola Evans.
"Da quanto lavoriamo insieme, ormai?
Quattro mesi?"
"Tre." La corresse lui.
"…Ryan?"
"Mmmh?"
"Grazie per avermi portata con voi oggi. Mi
sono davvero divertita tanto."
Il sorriso di Ryan avrebbe facilmente
sciolto un panetto di burro."
"Nessun problema. Non sarebbe stato nemmeno
lontanamente così bello senza di te."
Kelsi arrossì violentemente e nessuno dei
due disse un’altra parola finché non furono alla macchina.
Ryan depositò l’addormentata Lilly sul
sedile della macchina e chiuse la portiera. Kelsi raggiunse la parte opposta e
allungò un braccio per afferrare la maniglia, ma il giovane uomo catturò la sua
mano.
Lei lo guardò, curiosa, negli occhi
chiari.
Prendendo tra le mani tiepide il suo
piccolo viso, Ryan si chinò a baciare Kelsi sulle labbra –il suo primo vero
bacio da quattro anni e per, lei, il primo in assoluto.
Ora, da che mondo è mondo, si dice che i
primi baci fanno schifo, ma nel caso di Kelsi e Ryan non fu affatto così. Nacque
come dolce ed innocente, per poi crescere velocemente in intensità.
Ben presto, le braccia di Kelsi erano attorno al collo di Ryan e lui era
appoggiato alla macchina , le proprie braccia intorno alla vita di lei. La sua lingua
si mosse appena su quella di lei e, quasi senza che i due se ne accorgessero, il
bacio divenne sempre più profondo finché, alla fine, non si separarono in cerca
d’aria.
"…wow…" Esalò Kelsi, prima di catturare
ancora le irresistibili labbra di Ryan con le proprie, desiderando che potessero
restare così per sempre, persi in un intenso bacio in mezzo ad un parcheggio
deserto.
®
Insultandosi per la propria orrenda
calligrafia, Ryan tentò di decifrare la lista della spesa nel reparto cereali
del grande magazzino HEB.
Era passata una settimana da quando lui e
Kelsi si erano baciati nel parcheggio del Fiesta Texas e Lilly al momento si
trovava a casa di un’amica (non Daphne) così che lui potesse sbrigare alcune
faccende. Non le aveva ancora detto quello che provava per Kelsi, dato che anche
lui doveva ancora dare un nome preciso ai propri sentimenti.
Sospirando, scelse una grande scatola di
Kix e fece un salto dalla sorpresa quando un volto fin troppo familiare apparve
al posto dei cereali.
"Gabriella!" Esclamò Ryan, lasciando cadere
la scatola. Piccole e gialle palline golose e per niente salutari presero a
rotolare sul pavimento.
Ignorando la sorpresa dipinta sul viso di
lui, la ragazza guardò il contenitore di cartone con disapprovazione.
"Kix? Oh, no, signor Evans, i Kix non sono
una buona colazione per una bambina piccola."
Ryan aprì la bocca per protestare ma, con
suo sommo terrore, Gabriella posò una mano delicata ma forte sulla sua nuca,
portando le labbra su quelle di lui.
La scatola di cereali che era stata appena
raccolta, cadde di nuovo dalle sue mani paralizzate.
Contro la sua volontà e malgrado il suo
cervello strillasse in protesta, Ryan chiuse gli occhi, permettendo a Gabbi di
baciarlo e baciandola a sua volta.
Ed eccoci al quarto capitolo…Un messaggio perla mia unica commentatrice:Pepermint ha scritto dieci
capitoli e…eccome se me lo immagino!!!! Sbavsbav!
Temperance
≈
Capitolo Quattro ≈
Fu Gabbi ad allontanarsi per prima.
“Pensavo che avessi una ragazza.” Sussurrò, sorridendo. Gli
occhi di Ryansi aprirono di scatto.
“Pensavo che tu avessi un ragazzo.” Puntualizzò lui.
“Che ci fai qui, comunque?”
Lei si strinse nelle spalle e si chinò per aiutarlo a
raccogliere i Kix sparsi a terra.
“Compro della verdura.” Rispose, semplicemente. “E ti aiuto a fare buoni acquisti. Suggerirei i CornFlakes con l’uvetta per
Lilly.”
Arrossendo, Ryan ripose
bruscamente la busta strappata nella scatola.
“Non mi servono i tuoi consigli.”
“No?” Constatò, più che veramente chiederlo, Gabriella,
posando una scatola di cereali con l’uvetta nel carrello. Ryanlo prese e lo ripose sullo scaffale.
“No, non mi servono. E ti sarei grato se rimanessi fuori dalla mia vita. Grazie.” Prese a spingere con
determinazione il carrello lungo il corridoio, ma Gabbi lo
prese per un braccio.
“Certo, come no.” Prendendolo per il colletto della maglia,
lo trascinò alla sua altezza e gli si avvicinò al punto che i loro nasi si
sfiorassero, cosicché Ryan potesse sentire il suo
fiato sul collo. Il respiro gli si fermò in gola.
Alla fine, Gabriella lo lasciò andare.
“Mmmh…” Disse piano, con un
sorriso vittorioso. “Vedo come non mi vuoi nella tua vita.”
Ryan bloccò la sua mano proprio mentre stava per rimettere i CornFlakes nel carrello.
“Gabbi, che cosa vuoi?” Sibilò.
Lei rise semplicemente, facendogli venire la pelle d’oca.
“Beh, mi ero solo fermata per salutarti. E per dirti che la tua piccola fidanzata mi ha chiamata circa una
settimana fa e mi ha raccontato tutto del vostro incidente nel parcheggio” Sul
viso di Ryan si sarebbe potuto friggere un uovo. “Ti
sto solo ricordando dei doveri che hai…sai, verso la ragazza che si è portata a
spasso Lilly per nove mesi. Non
dimenticartelo; a Lilly serve una madre. E chi
potrebbe essere meglio di quella vera? Sa almeno come mi chiamo, Ryan? Pensaci, ok?”
Gabbi si voltò per andarsene, ma si fermò improvvisamente.
“Vorrei soltanto
vedere di nuovo la mia bambina.”Sussurrò
tristemente, gli occhi leggermente annebbiati.
Poi, di colpo, si
voltò e lanciò le braccia al collo di Ryan,
baciandolo appassionatamente sulle labbra. Colto di sorpresa, ricadde
all’indietro, atterrando sull’osso sacro. Nello stesso momento, sentì qualcosa
di rigido scivolargli tra le mani.
“Ciao amore.” Bisbigliò Gabbi. “Ti amo… Davvero.” Appoggiò un’altra vota
le labbra sulle sue e un secondo dopo era sparita
dietro l’angolo, lasciando il povero Ryan seduto sul
pavimento dell’HEB nella sezione cereali, una scatola di CornFlakes all’uvetta stretta in mano.
®
C’era decisamente qualcosa che non
andava con Ryan, Kelsi ne
era certa. Non era stato completamente lui per tutto il
giorno, era andato a sbattere contro i muri, inciampato nei banchi e
così via. Aveva addirittura sbagliato ad accendere il riscaldamento per la
prima volta!
Kelsi era determinata a scoprire
il perché di quello strano comportamento e quale momento migliore di quello,
dato che la scuola era finita e Lilly era stata portata a casa da una vicina di
nome Tabitha?
“Ryan?” Lui sobbalzò per quella
che forse era la milionesima volta quel giorno.
“Eh?”
“Che cos’hai?” Gli chiede lei dolcemente, passandogli le
dita tra i capelli –amava che lo facesse.
Tuttavia, per qualche strana ragione, lui si strinse nelle
spalle e si allontanò da lei.
“Non ho niente, sono solo stanco.”
“Avanti, lo vedo che qualcosa non va.Starai molto meglio se me ne
parli.”
“No, mi sentirò esattamente allo stesso modo.” Rispose Ryan, burbero,
affondando le mani nelle tasche. “Non mi va di parlarne.”
Seguì una lunga, imbarazzante pausa.
“È per la madre di Lilly, non è vero?” Ryan
girò velocemente sui tacchi, dandole la schiena. “Ryan…è
tutto ok, capisco.”
“Un accidenti
capisci!” Sbottò il giovane, arrabbiato, gli occhi improvvisamente
illuminati d’ira repressa. “Non hai la minima idea di cosa ho passato negli
ultimi cinque anni! Non hai risparmiato fino allo sfinimento, non ti sei fatta
il culo per procurare una
casa per la tua bambina Non ti sei mai preoccupata, rasentando l’isteria, del
fatto che un giorno non saresti riuscita a portare a casa abbastanza soldi per
pagare l’affitto o per nutrirla, non hai mai dovuto convivere con la paura che
i servizi sociali te la portassero via! Tu non hai idea di cosa voglia essere dire genitori soli a vent’anni!”
“Ma è anche colpa tua, lo sai!” Esalò Kelsi,
cercando di credere in ciò che le era sempre stato
detto, fin da bambina era stata cresciuta nella convinzione che tutto quello
fosse sbagliato. “Tu sei andato a letto con lei e…”
“ERO UBRIACO!” La forza delle sue parole lasciò Kelsi a bocca aperta. “Sono andato a
una festa e, dopo avermi rintronato per bene, la futura mamma di Lilly ha
deciso che sarebbe stato carino divertirsi un po’ con l’innocente, ingenuo RyanEvans!” Zittì la ragazza che
aveva aperto la bocca per parlare. “Sì, lo so che non avrebbe
mai dovuto succedere. So che ‘il sesso prima
del matrimonio è un terribile peccato’.” Recitò,
imitando la madre di Kelsi. “Ma desiderare che non sia mai accaduto vorrebbe dire desiderare anche che Lilly
non ci fosse. E io amo Lilly più della mia stessa
vita. Non rinuncerei a lei per niente al mondo.” Per
qualche secondo, si limitò a rspirare pesantemente.
“Non capisci? Da un errore è nato il regalo più bello.”
“Quindi non hai rimpianti?” sussurrò
Kelsi, la mente ancora terribilmente confusa.
“Nemmeno uno?”
Ryan si fermò.
“Vorrei solo che Lilly fosse venuta al mondo in modo un po’
più rispettabile…e che potesse avere una madre.”
Kelsi si morse il labbro
inferiore, in conflitto con se stessa.
“Vorresti che sua madre tornasse da te?” Domandò alla fine.
“Io..Io
non lo so più.” Sospirò lui.
“Anche dopo tutto quello che ti ha
fatto, tu la vuoi ancora?!”
“Stanne fuori, Kelsi.”
“Come puoi essere
così indeciso?!?!” Gridò Kelsi.
“La risposta ti guarda negli occhi ogni giorno. Come puoi
pensare anche solo per un secondo di volere di nuovo con te la mamma di Lilly?”
Ryan provò a pensare a qualcosa da
dire ma non gli venne in mente nulla. Lanciò a Kelsi uno sguardo tormentato e uscì di
corsa dalla stanza.
“Non sono affari tuoi! Sta’fuori dalla
mia vita!”
Fu allora che Kelsi realizzò
perché non poteva risponderle: lui stesso non lo sapeva. I suoi sentimenti e la
sua testa non riuscivano a trovare un accordo.
Ryan sbatté la porta del proprio
appartamento, facendo tremare gli occhiali posati sul comodino. Imprecando
sotto voce, tirò un calcio al già malmesso divano e tirò un pugno al muro.
Stringendo le nocche sanguinanti, riuscì finalmente a ritrovare un po’ di calma
e si fasciò la mano con una benda presa dal kit di
primo soccorso che Tabitha gli aveva regalato per
Natale.
Dopodichè, girovagò per un po’senza
scopo nella camera da letto. All’improvviso, un pensiero lo colpì e il giovane
si mise a frugare nello scatolone che campeggiava nell’angolo finché non l’ebbe
trovato. Eccolo lì, il suo annuario dell’ultimo anno.
Girò febbrilmente le pagine fino a raggiungere la sezione “Vita Quotidiana”.
Lei era sempre là e lo guardava dalle pagine. Era una foto in bianco e nero di
Gabriella, seduta tra le sue gambe e appoggiata a lui. Le sue braccia erano
intorno a lei e le loro teste riposavano, amabilmente
appoggiate l’una all’altra.
A lato dell’immagine si trovava una nota in corsivo, scritta
con una penna rosa.
Ryan,
Ti amo più di quanto
tu possa immaginare. Questo è stato il migliore anno
di tutto il liceo per me, il mio anno come tua ragazza. Sei stato più che
ragionevole a proposito del nostro segreto e io lo apprezzo moltissimo. Mi
mancherai da morire quando sarò al college.
Ti amo troppo
Gabbi M.
Gli occhi di Ryansi inumidirono e lui li asciugò immediatamente.
L’aveva amato davvero. Non subito quella sera, ma dopo si
erano davvero trovati benissimo insieme. L’ultimo anno era stato anche il suo
preferito…
Incastrata tra le pagine c’era una foto di Gabriella nella
sua felpa con la scritta DRAMA, accoccolata contro di lui, entrambi mezzi
addormentati sul divano di Chad. La mano di Gabriella
era chiusa intorno alla sua e la sua altra riposava, protettiva, sulla spalla di lei.
Sorridendo, Ryan alzò per qualche
secondo gli occhi dalla fotografia e qualcos’altro catturò il suo sguardo. In
una cornice, appollaiata sulla sua sveglia, c’era un’altra foto.
Quest’ultima era stata scattata
davanti al Tornado al Fiesta Texas. Lilly, Ryan e Kelsi erano seduti su uno
dei sedili della giostra e sorridevano, felici, alla macchina fotografica. Una
delle braccia di lui era intorno a Lilly, mentre
l’altra abbracciava Kelsi all’altezza delle spalle.
Ryan spostò lo sguardo dalla
ragazza nell’annuario a quella nella cornice.
I suoi occhi bruciavano di lacrime mai versate e alla fine
il ventitreenne RyanEvans
fece qualcosa che non si permetteva da almeno tre anni: pianse.
Appoggiò la testa al cuscino e prese a singhiozzare come un
bambino. Il suo cuore era spezzato in due e non aveva idea di quale strada
scegliere per rimetterlo insieme.
Secondo la logica, Kelsi era
l’ovvia risposta, ma i suoi battiti aumentavano anche al pensiero di Gabriella.
Perché doveva essere tutto così difficile?
Rimase a letto per quasi un’ora prima di realizzare
che avrebbe dovuto andare a recuperare Lilly da Tabitha.
Così si asciugò gli occhi, buttò giù un bicchiere d’acqua e bussò alla porta
della vicina.
Lilly volò immediatamente tra le braccia del padre.
“Perdonate il ritardo.” Si scusò, ben cosciente dello
sguardo preoccupato di Tabitha puntato sui suoi occhi
rossi e gonfi. “Ti sei divertita, Capitano?” Chiese, tirando su col naso e
passandosi di nuovo una mano sugli occhi.
Perché doveva essere così emotivo?
“È stato fantastico!” Cominciò Lilly e ben presto si perse
nella storia di lei e Tabitha
che catturavano un ladro nel bagno. Ryan ascoltò
attentamente, per quanto possibile, onde poi
assicurarsi di nascondere per bene l’annuario prima che Lilly entrasse nella
stanza.
Dopo una lunga e crudele lotta con i cuscini e uno
sfiancante nascondino, Ryan riuscì a mettere Lilly a
letto. Normalmente la bambina si sarebbe appallottolata tranquillamente e
addormentata nel giro di cinque minuti, ma quella sera
la figlia di Ryan si mise a sedere, più sveglia che
mai.
“Papy?”
“Sì, principessa?”
“Perché tu e la signorina Kelsisiete arrabbiati?”
Ryan si ritrovò a cercare
disperatamente una risposta.
“Non eravamo d’accordo su una cosa.” Decise, infine.
“Come qualche volta succede a noi?”
Lui ride.
“Sì, proprio così.”
“E allora quando farete pace?
Perché le persone che si amano fanno sempre pace,
vero, papy?” Ryan la guardò
sorpreso.
Le persone che si
amano…
Dove aveva sentito quella frase? E l’aveva appena associata a lui e Kelsi…
“Penso…penso di sì, tesoro.”
“Perché tu ami la signorina Kelsi, vero, papy?” Ryan non rispose. “Papy?”
Alla fine, alzò lo sguardo nei suoi occhi color del
cioccolato e sorrise. I suoi occhi…così belli e così
familiari…
“Sì, Lillian, io amo la signorina Kelsi.”
“Quanto amavi la mia mamma?” Era per caso stata nel suo
cervello?
“Sì.” Rispose a fatica, passandosi una mano tra i capelli.
“Sì, Lilly.”
“E allora chiamala!” Concluse Lilly,
incrociando solennemente le braccia sopra alle coperte.
“Non pensi che sia un po’ tardi?”
“Chiamala e scusati! Non dormirò finché non l’avrai fatto!”
Ryan sospirò e rise allo stesso
tempo.
“Vedo che hai ereditato la cocciutaggine di tua madre.” Lilly ridacchiò. “Va bene, va
bene, chiamerò la signorina Kelsi. Però promettimi
che andrai dritta a letto.” Lilly annuì e si nascose
sotto alle lenzuola. Ryan la
baciò sulla fronte e le augurò sogni d’oro, poi spense la luce e si chiuse la
porta alle spalle.
L’uomo si ammonì da solo.
“Avanti, RyanEvans,
rimettiti in sesto.” Sollevò la cornetta e compose il numero di casa Nielsen, dove Kelsiviveva con i suoi genitori.
“Pronto?”
“Buonasera, Kelsi è in casa?”
“Solo un minuto.”
“Chi parla?” Oh, Signore, era lei…
“Ciao…sono Ryan.”
“Oh…ciao Ryan.” Silenzio. “Guarda, a proposito di questa mattina, effettivamente non erano
affari miei e…”
“Non ti scusare. È colpa mia…non avrei dovuto rovesciarti addosso il mio stress e la mia indecisione…Mi dispiace davvero tanto.”
Kelsi non rispose subito.
“È tutto ok, dispiace anche a me.
Immagino che fossi solo gelosa…e spaventata.”
“Gelosa di chi? E spaventata di
cosa?”
“Spaventata da
cosa. Ed ero gelosa della madre di Lilly che ha ancora
il tuo affetto…e spaventata che possa tornare e che tu vada con lei.”
Ryan si morse il labbro inferiore.
“Ehi, Kels, posso richiamarti?”
lei rise appena a causa del soprannome.
“Certo. Solo non metterci troppo.” Lui annuì e solo dopo si
rese conto che lei non poteva vederlo.
Aveva bisogno di fare mente locale prima di parlare con lei
di quell’argomento.
Ryan uscì sul minuscolo balcone
sul retro dell’appartamento. Collassando in una
poltroncina, si prese la testa tra le mani, cercando di prendere una decisione.
Udì bussare sul muro accanto a lui.
“Posso entrare?” Guardò in alto e vide Tabitha
sorridere da sopra la ringhiera.
“Se proprio vuoi.” Mormorò,
riassumendo la posizione di poco prima. Tabitha
scavalcò il parapetto e gli sedette a lato.
“Raccontami tutto.” Disse, accarezzandogli con dolcezza i
capelli. Il suo affetto materno fu sufficiente a farlo scoppiare di nuovo a
piangere; non ce la facev a davvero più.
“Non so da dove cominciare.”
“L’inizio, di solito, è la scelta migliore.” Suggerì lei. “Vieni, sdraiati qui
sulla panchina e posa la testa sulle mie gambe. E poi
potremo parlare.”
Ryan obbedì diligentemente e
sospirò. Era dai tempi della scuola che non si metteva in quella posizione…
“Beh, è iniziato tutto quando
Gabriella mi ha preso da parte una mattina, sei settimane dopo la festa di Chealsea…”