A Midgar non nascono fiori

di V a l y
(/viewuser.php?uid=7566)

Disclaimer: Questo testo proprietà del suo autore e degli aventi diritto. La stampa o il salvataggio del testo dà diritto ad un usufrutto personale a scopo di lettura ed esclude ogni forma di sfruttamento commerciale o altri usi improri.


Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Capitolo I ***
Capitolo 2: *** Capitolo II ***
Capitolo 3: *** Capitolo III ***



Capitolo 1
*** Capitolo I ***


Questa fanfiction si ambienta molto prima di Final Fantasy VII, in un arco di tempo che prende anche il Crisis Core. Non ho mai giocato a Crisis Core, né a Before Crisis, quindi è probabile che durante la storia qualcosa non quadri. Volevo quindi avvisarvi che mi atterrò SOLO al videogioco originale, il che mi lascia più libertà creativa. Il protagonista è Tseng, personaggio di cui si sa poco in FFVII e che presumo verrà maggiormente approfondito in CC (a cui ricordo non averci giocato), quindi farò leva su quei pochi elementi che mi sono rimasti nel primo, vecchio, indiscusso videogioco per dargli un mio personale profilo psicologico.
In ogni caso non giocherò mai a CC perché non la PSP. xD
La storia sarà incentrata sulla sua vita nei Turk, da quando entra a far parte dell'organizzazione. Ovviamente tutt'attorno gireranno altri personaggi, come Reno e Rude che mi sono fondamentali ai fini della storia (ma anche perché, semplicemente, li amo) e in più qualche personaggio originale.
Forse si era capito, ma anche Aeris farà il suo ruolo nella scena, per non dire decisivo...
Gh, bene, questo è tutto, oltre il fatto, se vi va di saperlo, che ciò che mi ha spinto maggiormente a tentare di scrivere questa storia, a parte che un pochino mi sono segretamente innamorata della coppia Tseng/Aeris, è che tratterò di argomenti come il lolitismo e il gangsterismo, roba che mi è sempre piaciuta affrontare senza aver mai trovato occasione...
L'occasione è questa. Spero sia di vostro gradimento!
(Per chi legge/eva “L'amante”, è in fase di, diciamo, “allestimento” xD Ma appena finisco di correggerla la continuerò!)


-----------------------------------------------------------------------







Tseng odiava i bambini. Tseng odiava i bambini persino quando lui stesso era bambino. Odiava i loro piagnistei esagerati, le loro stupide risate facili, la loro voce effeminata e acuta. Li odiava perché erano stati l'unica compagnia durante la sua infanzia, trascorsa in un putrido orfanotrofio da quattro soldi nei quartieri bassi di Midgar. La solitudine gli aveva temprato lo spirito, l'indifferenza gli aveva giovato un'inaspettata razionalità precoce; era già predisposto per diventare un guerriero perfetto.
La prima volta che era entrato nell'esercito, per poter varcare il più presto possibile il mondo degli adulti, aveva solo quattordici anni. La prima volta che aveva ucciso a sangue freddo nel campo di battaglia ne aveva quasi quindici. Al ritorno si era invaghito di una donna che era la moglie del suo superiore. Si chiamava Jane, e ogni notte che andava a trovare il marito in caserma passeggiava in mezzo ai soldati con una femminilità esasperante. Di Jane ricordava le meravigliose tette che straripavano da una scollatura sempre troppo stretta e sottile e i capelli raccolti in una ciocca di lato. Non combinò niente con lei, perché era fedele a suo marito, o per lo meno questa era la scusa che usava per dover scaricare qualcuno. A Jane, si sapeva, piacevano gli uomini muscolosi e adulti; al tempo Tseng contava i peletti sotto il suo mento con le dita di una sola mano.
Qualche mese dopo conobbe una paesana a Kalm Town, una certa Rosalia, che aveva qualche anno più di lui. Si ubriacarono e scoparono fino all'alba nel fienile di uno sconosciuto. Partì per un altro paese e non la vide più.
A sedici anni aveva già fatto tutto ciò che potrebbe aver fatto un uomo di quarant'anni: aveva ucciso, aveva visto morire, aveva avuto donne, le aveva abbandonate, aveva vinto una medaglia come miglior sparatore e una per il sangue freddo nelle situazioni più disperate, e nella sua solitudine, durante la guerra, quando passava il postino che recapitava le lettere dei soldati ai loro cari, scriveva poesie perché non aveva nessuno a cui scrivere.
Presto fu che per queste sue premature abilità militari il presidente della ShinRa lo contattò per chiedergli di diventare un membro dei Turk. Erano un'associazione d'elite atta a distruggere senza esitazioni qualunque intralcio per la ShinRa. Appena il presidente gli disse che era un duro lavoro da veri uomini, Tseng accettò.
Aveva sedici anni, qualche incerto pelo in più sotto il mento, una pistola nuova a canna lunga, bellissima, che brillava di un argento puro e smagliante, e un elegantissimo completo blu con cravatta. Era il suo primo giorno da Turk e lui era perfetto.
Mentre passeggiava con gli altri Turk per la città di Midgar le persone retrocedevano intimorite, e ciò lo faceva sorridere un po'. Sistemava la pistola nella fondina e sedeva in un bar assieme ai suoi colleghi. Nello squallido locale risuonavano canzoni blues di un cantante slang, note graffiate da un vecchio giradischi; le donne ballavano, gli uomini le guardavano, e anche quando non ballavano le guardavano lo stesso. L'atmosfera era sudicia, cupa ed adulta, puzzava di testosterone. A Tseng piaceva così.
Era tutto perfetto, fin quando non gli affibbiarono un compito deplorevole. Il capo si presentò nel suo piccolo ufficio con delle scartoffie in mano, gettandole sgraziatamente sul tavolo davanti a sé.
“La tua missione,” disse.
La sua prima missione.
Preso da un febbrile eccitamento, Tseng non riuscì a nascondere la propria contentezza. Afferrò i fogli, divorandoli con gli occhi uno ad uno. L'estasi finì appena adocchiò una foto, leggendo attentamente qualche rigo sopra sperando di aver malinteso.
“Devo fare da balia a una mocciosa?” domandò incredulo.
“Non darti tutte queste arie, sei un moccioso anche tu,” lo riprese il capo strizzandogli le gote, ridacchiando sotto i denti appena lo vide ritrarsi in maniera stizzita. Dopo che vide il capo uscire dalla stanza, Tseng osservò nuovamente la foto, leggendo a bassa voce un nome.
“Aeris Gainsborough.”
Era un accozzamento di due parole qualunque, come lo erano stati Bernie Crane, Melvin Harris e Cesar Robina, uccisi con un colpo di pistola sulla nuca, oppure Chang-ho Lee, l'uomo degli approvvigionamenti militari, morto dopo aver schiacciato con il piede una mina. Nomi che a volte risuonavano nella mente di Tseng e che nulla gli lasciavano se non un pensiero fugace prima di sparire. Aeris Gainsborough, oltre ad essere un'accozzaglia qualunque, era pure una mocciosa. Doveva pedinarla con un collega perché secondo il rapporto c'erano alte probabilità che avesse a che fare con un pericoloso intrigo internazionale. Non se la bevve, ovviamente; l'unica azione pericolosa che poteva fare quella bambinetta era togliere la testa alla sua bambola. Ma se la ShinRa non voleva dirgli la verità, allora avrebbe dovuto conquistare a forza la loro fiducia. A denti stretti prese la giacca dall'attaccapanni, si sistemò la fondina sulla cintura ed uscì.



Aspettava appoggiato a un muro, osservando vigile la casa colorata davanti a sé. Abitazione 134, la tana della famigerata piccola criminale. Era grande, bella, non aveva niente a che vedere con le catapecchie di Midgar; era decisamente fuori luogo (“come me,” pensava Tseng, abituato durante una missione a fare ben più che questo).
“Sei un tipetto piuttosto silenzioso,” ponderò il collega vicino a lui. Tseng gli rivolse lo sguardo per un solo attimo, facendo subito tornare l'attenzione alla casa.
“Forse.”
“Io alla tua età ero un casinista della madonna. La gente mi chiamava Altoparlante Dimmick!”
A Dimmick piaceva scherzare e ridere. Altoparlante era il soprannome di Alabama Dimmick; tutti lo chiamavano semplicemente Al. Era un uomo che aveva ormai raggiunto la seconda età, e come persona in bilico tra gli anni racchiudeva in sé la spensieratezza di un giovane e la saggezza di un adulto. Alabama Dimmick era come un padre giocoso, era il più anziano dei Turk.
“A proposito,” disse di nuovo questi, “quanti anni hai esattamente?”
Domanda che a Tseng non piaceva mai.
“Sedici.”
L'uomo sospirò vistosamente, facendo cenno di diniego con la testa.
“Ultimamente la ShinRa sta reclutando un sacco di ragazzini... ce n'è stato uno, poco tempo fa, che è entrato nelle grazie del presidente ed era appena un bambino...”
“Io sono stato scelto per le mie abilità,” precisò austeramente Tseng.
“Lo so, lo so...” ribadì sorridente l'altro Turk, addentando il suo panino. Quando ebbe finito di mangiare, gettò con noncuranza la carta per terra.
“E' solo che è strano vedere un tipo della tua età così serio. Di solito a sedici anni siamo tutti spensierati e un po' più scemi, pieni di sogni... il mio sogno era diventare un eroe o un regista,” confessò Al, ridendosela perché il destino, come una barzelletta, gli aveva affibbiato tutt'altro lavoro. Ma a lui non dispiaceva ciò che era diventato, vedeva ancora uno scopo personale nel suo lavoro. Certe volte, però, rimpiangeva quella sua caparbia stupidità adolescente che guardava con occhi radiosi il mondo e la vita.
“Tu, invece, sei diverso dai tuoi coetanei...” valutò con sincerità Al. Un gesto secco della mano di Tseng lo fece zittire. Sotto l'uscio del portone della casa colorata si presentò una persona. Era una giovane donna che vestiva di stracci casalinghi, aveva i capelli raccolti in uno chignon, il fisico minuto nascosto da abbondanti panni e uno sguardo ricco soltanto di sgomento.
“Hanno mandato un altro Turk...” affermò a denti stretti la donna.
“Io e la signora ci conosciamo da molto,” informò scherzosamente Al a Tseng.
“Vi prego di andarvene immediatamente,” disse la donna con la voce che le tremava. Tseng la osservava dall'alto in basso con austerità e una punta di supponenza. La rendeva nervosa, quello sconosciuto. Ad Elmyra non piacevano i suoi occhi scuri e sottili, troppo indagatori e troppo inesplicabili.
“Mamma,” s'intromise fievolmente una vocina dietro la donna. Una bambina si era aggrappata alla sua gonna e si era sporta di lato. Scrutava curiosa Tseng. Come altezza arrivava a malapena al bacino di sua madre, le mani erano minute e deboli sotto la stretta del tessuto. Aveva all'incirca sei anni.
“Torna a casa, Aeris,” le raccomandò la donna con preoccupazione. Ma la bambina non si mosse. Come calamitato da una sfida personale, Tseng avanzò di qualche passo verso di lei.
“Fermo!” urlò la donna, cacciando da dietro la schiena una pistola che puntò al Turk. Tseng si fermò.
“Perché continuate a perseguitarci? Siamo gente comune, io una normale casalinga e lei una bambina come altre!”
“Avanti, Elmyra, butta giù la pistola...” consigliò paternamente Al, facendo gesto di calmarsi.
“Non abbiamo fatto niente di male!” continuò a strillare Elmyra con la bambina ancora nascosta dietro la propria sottana.
Tseng spostò lo sguardo da Aeris ad Elmyra con un sangue freddo che non aveva niente di umano, e come un calcolo studiato e perfetto sfoderò anch'egli la sua automatica dalla fondina. La mira della donna tremolava ed era incerta, mentre la sua era stabile e perfetta.
“Getta l'arma,” disse soltanto il Turk. Elmyra aveva il cuore in gola, il fiato incastrato nei polmoni e la vista leggermente annebbiata. I pensieri le si offuscarono e sarebbe stato solo l'istinto a decidere se obbedire oppure commettere una pazzia. Man mano Tseng le si appropinquava e man mano la mente della donna diveniva sempre meno lucida. Elmyra ed Al avevano il fiato sospeso, l'una ancora ferma nella posizione precedente e l'altro che aveva impugnato la sua pistola, pronto ad usarla per qualche sfortunata evenienza, pregando che essa non fosse mai arrivata.
La donna, poi, sparò. Fu un colpo rapido ed inaspettato, che però beccò appena di striscio la guancia di Tseng. Questi le si avventò contro, facendo leva sul suo braccio, bloccandole ogni possibile movimento per farle cadere la pistola. Elmyra si ritrovò accasciata al suolo, prostrata come un nemico sconfitto, mantenuta dalla morsa del Turk.
“Una casalinga normale non porta una pistola,” esplicitò quest'ultimo con voce leggermente alterata, colpendola con il manico della pistola sulla spalla. La donna urlò di dolore senza poter reagire in alcun altro modo.
Sì sentì un ulteriore colpo di pistola e un attimo dopo la spalla di Tseng cominciò a sanguinare. Il Turk, scosso, liberò Elmyra e si portò la mano sulla ferita. La pallottola l'aveva preso al centro della spalla e l'aveva perforato di qualche centimetro.
“Tseng!” urlò angosciato Al, riponendo l'arma ed accorrendo da lui. Il ferito alzò lo sguardo e vide davanti a sé la bambina, immobile, in piedi, con le braccia tese in avanti e le piccole mani che reggevano la pistola ancora fumante. L'espressione di Aeris fu indicibile. L'orrore e il panico si erano impadroniti di lei al punto di immobilizzarla completamente.
Elmyra le si gettò addosso, buttandole via la pistola e abbracciandola in ginocchio per rassicurarla e farsi rassicurare. La madre nascondeva il volto sulla piccola spalla della figlia dallo sguardo di Tseng, mentre la bambina era rimasta ferma dov'era a fissare il ragazzo.
Preso da un insolito raptus omicida, il Turk agguantò nuovamente l'automatica per mirarla sulla bambina. Il viso diventava sempre più paonazzo, la presa più indecisa, il grilletto ogni secondo più duro.
“Aeris... Gainsborough...”
Un'accozzaglia di parole diabolica. Non aveva pronunciato nessun nome in vita sua con quella collera. Il fiato scivolò dalla sua gola e le forze gli vennero a meno.
Poi fu buio.














Questo è ciò che accade quando gioco a GTA. XD Commenti o consigli graditi come sempre. :)


Ritorna all'indice


Capitolo 2
*** Capitolo II ***


Elmyra fremette, seduta, impugnando con forza il grembiule da cucina che indossava all'altezza delle gambe. Il corpo era rigido, i muscoli tesi, le mani due violente tenaglie.
Lo sconosciuto le passò davanti per la terza volta. Rovistava tra le sue cose in cerca di qualche prova che – loro lo sapevano – non esisteva. Tanto per rendere più efficiente il lavoro che stavano compiendo, o forse semplicemente meno corrotto di quello che era in realtà con fin troppo palesamento. Per tutta casa Gainsobough c'era un via vai di guardie, di uomini delle forze dell'ordine e di ispettori.
La donna buttò lo sguardo sul dirigente della ShinRa appollaiato sul divano del salotto, che osservava di sottecchi tutta la situazione. Appena questi notò gli occhi della padrona di casa su di sé sorrise facendo cenno con la testa. L'arriso che voleva sembrare affabile non risultò tale, ma solamente viscido e crudo. Elmyra fremette nuovamente e spostò nervosamente lo sguardo sul tavolo vicino a sé, sul quale era posata la sua pistola racchiusa in un sacchetto di plastica. L'uomo che la sorvegliava di fianco se ne avvide e la richiamò con tono seccato. “Alla seconda che ti becco ti faccio male,” le aveva detto, ma la seconda era già passata cinque volte fa. Probabilmente persino quel brutale gorilla si era accorto che la povera donna non era più accecata da alcun impeto di violenza, non dopo ciò che era accaduto qualche ora prima.
Lo spavento si era impossessato di lei e la paura aveva nuovamente superato la rabbia. Non era tipo da maneggiare una pistola, né tanto meno da manette, le quali, durante tutta la durata delle due ore, le stavano stringendo così tanto i polsi da lasciarle il segno.
Voleva sparire, sprofondare da qualche parte nascosta da tutti, strangolarsi con il suo grembiule, tornare in vita e riabbracciare la figlia. Si poteva morire per poco? Nelle situazioni paradossali come quella qualsiasi via di fuga, anche la più assurda ed impossibile, sembra sempre una soglia facilmente raggiungibile.
“Signora Gainsborough,” pronunciò un uomo che le si era avvicinato silenziosamente da dietro, con una penna in mano e un taccuino nell'altra. “Non abbiamo trovato nessun indizio in casa sua, quindi ci atterremo soltanto alle testimonianze.”
Elmyra lo sapeva. E sapeva anche che la sua testimonianza contro qualunque altra di un membro della ShinRa era vana.
“E' stata autodifesa...” mormorò con la testa bassa.
“Lei ha sparato per autodifesa?” domandò l'ispettore.
“Ha sparato sua figlia,” precisò qualcun altro. Si trattava di Al, ora davanti al portone d'ingresso, la postura comoda e naturale come quella del dirigente della ShinRa. Avevano l'aria di quei trionfanti che vincono senza aver neppure cominciato a combattere.
“La... bambina?!” affermò frastornato l'ispettore. L'avevano presa, parlando di protezione, poi l'avevano tolta alla madre, parlando di disposizione. Al pensiero che si sentisse sola, spaventata, lontana o abbandonata, Elmyra lasciò ancora una volta fuoriuscire il suo istinto materno, senza riflettere sul fatto che Aeris non era realmente sua figlia, che la ShinRa comandava su chiunque, che i Turk avevano una pistola carica proprio sopra i loro pantaloni.
“Aveva paura di quei due Turk!” urlò, alzandosi di scatto dalla sedia. Fu trattenuta per le spalle dall'uomo che la sorvegliava, ma ciò non bastò a farla smettere di parlare.
“Ogni giorno pedinano me e mia figlia, me la vogliono prendere e vogliono farle del male! Sono assassini spietati, sarebbero capaci di fare qualunque cosa! Tutti lo sanno, persino lei, signor ispettore! Annoti sul suo taccuino ciò che le ho appena detto e che già conosceva!” strillò a quest'ultimo con tono di sfida, riversando su di sé l'attenzione di tutti. L'investigatore cominciò a sudare freddo; muovere anche un solo dito verso il taccuino significava una condanna a morte certa. Fu salvato, per così dire, dall'arrivo del Turk, dietro cui si nascose.
“Adesso basta, Elmyra,” le consigliò Al dopo essersi appostato di fronte a lei.
“No! Io ho il coraggio di dire la verità, e la verità è che siete tutti dei criminali! Voi Turk, voi della ShinRa, e aiutandoli anche voi delle forze dell'ordine!” ingiuriò la Gainsborough. Al la schiaffeggiò forte, facendola cadere sulla sedia. Si chinò verso di lei, verso quel volto ancora più impallidito dal terrore, e stentoreo le ammonì:
“Qualunque cosa dici verrà usata contro di te.”
La donna lo fissò inebetita, sfiorandosi appena con i polpastrelli la guancia dolente. Il Turk le si allontanò e le disse, poi, prima di uscire dalla casa:
“Trovati un avvocato.”
Elmyra non disse più nulla; aveva le lacrime che le pizzicavano gli occhi, ma anche la fermezza che bastava per non farle uscire. Il dirigente della ShinRa la rassicurò dicendole che se fosse restata calma sarebbe andato tutto bene, e sorrise, viscidamente e crudamente.
Elmyra riprese a stringere il suo grembiule, maledicendolo mentalmente perché non arrivava alla gola.



Percepiva un lieve sentore di gomma e disinfettante, l'ineguagliabile odore dell'ospedale. Tseng era rimasto ad occhi chiusi, immobile, ad inalare quella cappa per mezz'ora, non riuscendo a fare altro fin quando le palpebre non obbedirono al cervello e si aprirono, lentamente, tremolanti. Dinanzi a lui c'era un cigolante ventilatore da soffitto arrugginito con eliche un po' distorte. Rimase un'altra mezz'ora così, a seguire il roteare rumoreggiante del ventilatore, senza pensare. Il perché era lì era l'unica domanda che si poneva mentalmente.
Qualcuno bussò alla porta ed entrò. Erano Al e il suo inconfondibilissimo passo strisciato per terra con tacchi pesanti.
“Tseng!” lo chiamò con rassicurazione. “Cristo, mi hai fatto prendere un infarto! Mi sei caduto davanti come una pera cotta!”
Il giovane ferito, senza dire ancora nulla, continuava a guardare verso l'alto.
“Dove sono?” chiese poi.
“Sei in un ospedale collocato nell'edificio stesso della ShinRa. Così i dipendenti saranno sicuri che se moriranno non moriranno qui, o almeno si abbasseranno le probabilità,” rispose Al, e rise, quel roboante riso sinceramente divertito che era di Alabama Dimmick.
Tseng sorrise, o almeno ciò erano sembrate le striature nel suo viso, e aiutandosi con le braccia, con sforzo quasi immane, si mise con la schiena sul muro.
“Quanto tempo ho dormito?” chiese.
“Abbastanza da permettere a noi Turk di divertirci mentre la ShinRa sta usando altri mezzi per il loro ultimo caso. In vacanza il capo è stato stranamente più gentile, ha offerto birra a tutti e si è dato da fare con un sacco di donne, sai, quelle del Settore 6... per lo meno una decina!”
Quindi è passato poco tempo, pensò Tseng, ma si trattenne la spiacevole considerazione nei riguardi del suo odioso capo per sé. Non fosse stato il suo superiore ma uno stronzo qualunque allora la cosa sarebbe stata diversa...
“Ma ora si torna al lavoro. Devo andare a testimoniare al tribunale per il caso Gainsborough. Indovina dov'è collocato il tribunale?” chiese ironicamente Al.
“Non lo so, Dimmick, in qualche posto dove i dipendenti saranno sicuri che se verranno arrestati non verranno arrestati lì o per lo meno si abbasseranno le probabilità?” tentò seraficamente Tseng.
Alabama si sganasciò dalle risate, rudi, potenti e quasi spaventose. “Non sembri tipo da umorismo, ma ti è uscita bene, ragazzino; ti è uscita proprio bene!” e tra un riso e l'altro, quasi involontariamente, aveva portato lo sguardo sul suo orologio da polso.
“Merda. Se non mi presento tra qualche minuto mi uccidono, e lo fanno qui, altro che ospedale collocato nell'azienda che rassicura i dipendenti!” e si avviò ancora divertito verso la porta.
“Dimmick, che mi è successo esattamente?” chiese Tseng prima che uscisse.
Al rimase per un attimo fermo, girato di schiena. “Lascia perdere,” disse solamente. “Pensa soltanto a riposarti. Anche i cowboy a volte devono riposare!” e finito di dire ciò, arrangiò scherzosamente una finta pistola con le dita.
Fu in quel momento che Tseng rammentò tutto, appena dopo che il collega aveva chiuso la porta: il sangue vischioso che gli macchiava la manica della camicia, il fiato e il sudore più pesanti del solito, la pistola che gli danzava davanti per colpa di un oscuro gioco di gravità instabile, e più di ogni altra cosa ricordava un nome: Aeris Gainsborough. Agguantò il lenzuolo quasi strappandolo, irretito da una rabbia che l'aveva reso dissennato, poi si rimise subito composto, com'era sempre abituato a fare da soldato perfetto che era. Restò venti minuti a pensare, poi scese dal letto e afferrò la giacca blu posata sullo schienale di una sedia. Quando se la infilò la spalla gli dolette per un attimo; emise un rantolo rauco e sofferente, ma non se ne badò. Indossata la giacca con sotto nient'altro che delle bende che gli ricoprivano metà busto, si avviò verso la porta.
Il corridoio brulicava di ogni sorta di lavoratore. C'erano uomini in giacca e cravatta, contabili, ragionieri e magistrati adempi a calcolare le finanze della ShinRa; donne succinte ed eleganti, segretarie, avvocatesse, prostitute raccolte per strada che si trovavano lì per chissà quale ostico compito; lunghi camici bianchi che toccavano quasi terra, matematici e scienziati con in mano sempre una cartella, che fosse clinica, che fosse sulla meccanica, che fosse un'azzardata ipotesi o che fosse una scoperta celeberrima; infine spazzini e lavacessi che forse una volta, prima di essere stati degradati a quei lavori sgradevoli, erano qualcosa di più.
Tseng s'imboccò in quella marmaglia senza che nessuno facesse caso a lui e al suo volto irato e insidioso, tanto erano affaccendati nel loro lavoro. Prese le scale, seguì le indicazioni ed infine fu davanti al grande portone giudiziario della ShinRa Corporation. La porta aveva entrambe le grosse ante di legno aperte e chiunque, interessato o passante, poteva assistere al grande teatro che si era allestito all'interno. Erano tutti ammassati come delle formiche sopra un briciolo di pane, seduti su file di sedie congiunte, appoggiati al muro o in piedi nel retro; il loro briciolo di pane, la loro pagnotta personale, era la curiosità di quel fatto un po' strano. Era una donna, si sussurravano l'un l'altro, che aveva sparato a un funzionario di tutela e ricerca – per non dire assassinio e spionaggio – della ShinRa. Altri puntualizzavano che a sparare non era stata la donna, ma sua figlia, di soli sei anni. Al aveva finito di testimoniare giusto in quel momento e stava sedendosi in mezzo all'uditorio. Un avvocato tutto pomposo, grasso e tarchiato disponeva con enfasi le sue considerazioni del caso. Era l'avvocato della ShinRa, mentre quello dato all'accusata per obbligata protezione giudiziaria era un uomo emaciato e paonazzo, un po' stempiato, che se ne stava raggomitolato in un angolo estremo della stanza accanto alla cliente, seduto come un cane in procinto di essere bastonato. Tseng entrò nella stanza e si nascose da tutti come tutti, in mezzo a tutti, in piedi vicino alla parete della porta.
“Che merde, mi verrebbe voglia di ucciderli,” sentì dire da qualcuno seduto poco distante da lui. Era un tizio di strada, uno dei tanti che viveva nelle catapecchie di Midgar, con gli scarponi di cuoio sporchi di fango ben in vista appoggiati sullo schienale della sedia di fronte. Aveva l'aria di incauto menefreghismo di tutti bulli a metà strada tra i bambini e gli adulti, che vivono quindi di puerilità e fermezza. Quegli stessi che se mandati davanti a un plotone d'esecuzione avrebbero continuato a difendere le loro idee a voce alta e rabbiosa, anche con le canne dei fucili puntate su di loro. Quel ragazzino dalla cresta alta era accompagnato da un suo simile: aveva ciuffi pencolanti rossi infuocati, un vestito umile e sporco come quello del compagno e un paio di occhiali da sole.
“E' vero, sono delle teste di cazzo che lavorano solo secondo i loro interessi,” disse questi, sgangherato come l'altro, le braccia dietro la testa e la postura maleducatamente rilassata. “L'altro giorno c'è stata una sparatoria tra bande. Sono morte un sacco di persone, civili compresi. C'era una donna con un bambino; cristo, un bambino che riusciva appena a camminare. Sono morti così, tutti, annebbiati dalla rabbia e dalla fame – perché è questo che fa agire così: la fame –, ma quando qualche caro ha chiesto un processo, quelli della ShinRa hanno risposto che non ce n'era bisogno, che il caso era chiuso. Hanno tristemente arginato la cosa in un articolo di giornale e hanno arrestato i sopravvissuti di entrambe le bande, senza processo. E guarda ora, solo perché hanno ferito un Turk... guarda come si sfoggia quell'avvocato grasso, guarda cosa hanno messo in scena solo per questo.”
Il tono del ragazzo era gravoso. Poteva passare qualunque riccone della ShinRa, poteva essere il presidente stesso, non gliene sarebbe importato niente, persino se fosse stato un Turk. E lo aveva, in effetti, proprio dietro la schiena, che ascoltava senza dire niente. Ascoltava e basta, come aveva sempre ascoltato gli ordini di un superiore, le prediche di un generale, le suppliche di un nemico che stava per morire, i racconti sconci dei soldati che giocavano a carte. Ascoltava con la testa alta, senza esprimersi, arrabbiarsi, amareggiarsi o eccitarsi come i porci che giocavano a scala quaranta mentre descrivevano minuziosamente ogni amplesso avuto nella settimana, con la moglie di casa o la puttana del giorno. Rimaneva impassibile e silenzioso, perché anche se al tempo aveva solo quindici anni era lui il più adulto di tutti.
Non avrebbe ucciso quei due vandali di strada, a meno che non gli fosse stato ordinato. Per il resto lasciava scorrere le cose, come una macchina umana che non ha reazioni se non stabilite da qualcun altro.
“Appena avremo l'età per essere indipendenti, ce ne andremo, Johnny. Ci prendiamo una macchina e scappiamo da questo inferno,” esordì quello con la cresta. “Sì,” rispondeva l'altro, “cazzo, sì!”
Ripeteva quella cantilena invigorito da quella sola cosa che poteva appagare la loro giovinezza. Era l'unica prospettiva che riusciva a illuminare i loro occhi.
“E con quale coraggio!” urlò improvvisamente Palmer, l'avvocato della ShinRa, rivolgendosi alla giuria, uscendo dal tono altolocato e ampolloso precedente attirando l'attenzione di Tseng. Gesticolava teatralmente come un attore melodrammatico. “Con che coraggio possiamo lasciare quella povera bambina nelle mani di una madre così snaturata, che porta con sé una pistola! Si comincia così e si finisce per farla diventare una piccola assassina! La sua innocenza, così unica e preziosa, viene calpestata a questo modo per colpa di una donna degenerata! Dobbiamo difendere quella povera figlia, accudirla tra le nostre sicure mani, provvederla di ogni sicurezza e bene materiale e renderla il più possibile una bambina felice. L'infanzia è un passo importante per un essere umano, che non dev'essere mai stroncato. Pensate al bene della bambina, signori giurati, e al bene di qualunque altro bambino che potrebbe trovarsi al posto suo.”
Con queste parole colme d'enfasi terminò la sua artificiosa messa in scena, ispirando aria con eloquenza, finendo poi di sospirare con rammarico.
“E con questo ho finito!” riferì al giudice, rimettendosi comodo sulla sua sedia accanto ad Al. I giurati uscirono dalla sala in fila per entrare in una stanzetta piccola ed emaciata, a decidere attorno a un tavolo il verdetto. Bastò poco, forse neppure un minuto: erano già usciti e si erano già riposizionati nell'aula del tribunale. Il più anziano di tutti si alzò e aprì un foglio piegato in quattro.
“Riteniamo l'accusata colpevole, in quanto non ha dimostrato adeguata assistenza a sua figlia,” riferì a tutta la sala. Non ci fu neppure il tempo che qualcuno si opponesse che il giudice decise, subito:
“La pena sarà un mese di arresti domiciliari, mentre qualche entità superiore provvederà al bene della figlia, che la accudirà in un luogo più adeguato di casa sua. Il caso e chiuso.”
Dalla sua alta cattedra con scanno il giudice batté il martello della fine del processo. Seguì un nervoso confabulatorio generale, considerazioni dapprima sussurrate, poi proferite a voce alta, e le prediche di una donna che per un mese non avrebbe più rivisto sua figlia.
“Le faranno del male! Le faranno del male!” urlava Elmyra con tormento bloccata da una guardia, con le braccia aperte in direzione della figlia, mentre tre addetti della ShinRa trascinavano Aeris per un braccio per il corridoio gremito di gente arrabbiata, tra le due file di pancate. Per un momento, per colpa di tutte quelle persone, i tre che dovevano occuparsi di Aeris restarono bloccati nella marmaglia, inveendo contro di loro, minacciandoli con manganelli e arresti imminenti. Si fermarono proprio di fronte al portone d'ingresso, dove si trovava Tseng, a un metro da loro. La bambina era sconvolta e spaventata, racchiusa in una gabbia umana di sconosciuti che si affollavano tutti addosso a lei. Buoni, cattivi, lei non capiva nulla. Lo sconforto derivava dal fatto che l'avevano tolta dalle braccia della madre. La stretta della guardia attorno al suo esile polso era accanita e le faceva male. Tra tutto quell'abbaiare collettivo, quella folla impazzita, quel reclusorio di gente accalcata, Aeris poté solo intravedere una persona già conosciuta. Veniva tirata e sballottata, ma in qualche modo riusciva a mantenere gli occhi fissi su Tseng. Allungò la mano libera sulla manica del ragazzo, trattenendola debolmente tra le dita, lo sguardo che scongiurava un aiuto. Il Turk la fissò, pacato e disinteressato, si scrollò di dosso la bambina facendo un movimento secco con il braccio e con l'apatia con cui l'aveva guardata se ne uscì dalla porta.
Fuori dall'aula, per un attimo, un solo attimo, l'indifferenza si distrusse in un indecente sorriso di insana soddisfazione.













-------------------------------------------------------
Li avete riconosciuti i tre personaggi secondari di FF7, vero? XD Ci ho messo un bel pochetto per pubblicare il secondo capitolo, ma sono in periodo esami... anzi, non avrei neppure dovuto permettermi di scrivere questo secondo capitolo. XD Quindi avviso che molto probabilmente il terzo arriverà un po' a rilento come il secondo...
Per il resto:
@j3nnif3r: “Io vorrei incoraggiare il pairing TsengxRosalia! XDDD”
xDDDDD Ecco la mia soap su di loro in due righe: dal loro ultimo amplesso lei è rimasta incinta, tornerà da lui a chiedergli di fidanzarsi; dapprima Tseng è esitante, poi accetta e nascerà una bellissima bambina dai lineamenti asiatici che chiameranno, guarda caso, Yuffie. I due vivono felici, fin quando dei malfattori rapiscono la bambina e un famoso imperatore di un certo paese chiamato Wutai la salva, allevandola come sua figlia. Rosalia, straziata dal dolore, si suicida. Tseng, affranto, continua il suo lavoro da Turk, pensando sempre e continuamente a lei.
Questo è ciò che è successo tra i due...
...
...
No, non è vero. xD
Però le date tra la nascita dell'ipotetica bambina e Yuffie coincidono, oltretutto i lineamenti asiatici li hanno sia lei che Tseng (o almeno così me li sono sempre immaginati, visto i nomi che hanno...), quindi, chissà, potrebbe anche essere vero... xD
Sono felicissima che la mia storia ti piaccia. *_* Tseng è un personaggio di cui fino a qualche settimana fa non mi sarei degnata neanch'io, e, sì, Elmyra, una sciocchezza, per lo meno una volta, penso io, la deve aver fatta. Non è umanamente possibile che sia sempre restata calma dopo anni e anni di minacce e persecuzioni, su. XD Il fatto che la ShinRa recluta ragazzini e bambini è un elemento ripreso dall'altra mia oneshot su Reno, che sarà collegata con questa longfic. Volevo dirlo all'inizio, ma me ne sono scordata. XD
@BaschVR: spero di aver aggiornato abbastanza presto secondo i tuoi desideri. XD Grazie dei complimenti (davvero ti piace così tanto? Me felice! *_*) e ancora più super-iper-mega-extra-ultra-strafelice che anche la tua fanfiction sia incentrata sulla coppa TsengxAeris. Giuro che quando ho letto questa frase son saltata di gioia! XD Ed è bello che, sì, entrambi abbiamo avuto la medesima idea vista da due punti distinti. Anche la tua storia mi ha presa (l'ho già detto nei commenti, ma tant'è xD) e la seguirò come tu stai facendo con la mia! :)
@MoMomaramao: “complimenti, mi piace molto questo pairing... sebbene, devo ammettere che non l'avevo mai preso in considerazione prima di dieci minuti fa XD”
Ma LOL! XDDDDD Be', io non l'avevo preso in considerazione prima di qualche giorno antecedente alla data di pubblicazione del primo capitolo, quindi più o meno siamo sulla stessa onda. XD
“sparato con un calcio rotante tra i miei preferiti!”
E io pregherò Chuck Norris affinché questa storia sia di tuo gradimento! *_*
*comincia a sentire una potente presenza attorno a sé*
*ha invocato il nome del Dio in modo blasfemo, senza inchinarsi o baciare una sua foto*
*si rende conto del danno che ha fatto*
*comincia a pregare sperando di non essere punita con un calcio rotante* xD
Grazie della recensione!
@Hely: amore mio! *_* Tseng mi ha sempre un po' dato questa impressione. Mi sa di persona talmente austera e attaccata al lavoro e a quei valori di adulto che, inevitabilmente, odia tutti i bambini. XD Anch'io ho un po' tentennato per la reazione che ha avuto alla fine del capitolo con Aeris, ma d'altronde ho anche ponderato che siccome è una persona tutta d'un pezzo, fin troppo, indifferente e perfetta come una macchina da guerra, potrebbe aver avuto quella reazione esagerata proprio perché si è tenuta dentro qualunque possibile emozione umana per troppo, sfogandola in modo aggressivo e quasi pazzo. Anch'io ho sempre tifato per i Turks, comunque. XD Alabama è un personaggio secondario di cui mi sono molto affezionata anch'io, anche per via di certe situazioni che avverranno in futuro... *si tappa la bocca perché se non lo fa comincia a spoilerare tutto* xD Grazie della recensione, Hely! :D
@Youffie: mi mancavano, seriamente, mi mancavano le tue recensioni chilometriche! ç_ç
“ELMYRA HA LE PALLE, MA AERIS CE LE HA QUADRATE.”
Auhauhauha! XD Più che palle è stata abbastanza incauta, la bambina, ma da una parte, è vero, una persona del genere deve per forza tenere, detto alla maniera nostra, i pall' a sott'. XD Concordo col fatto che lui, tra i Turks, sia sempre stato quello meno amato, perfino meno di Elena. Un gran peccato. u_u Da una parte non mi lamento neppure più di tanto, perché fino a qualche giorno prima della pubblicazione neppure io ci avevo mai pensato a lui (XD), ma dall'altra spero davvero di farlo piacere di più. E soprattutto son già felice che lo sprazzo che ho dato di lui sia già bastato di per sé per fartelo un po' piacere! *_*
Già, solo dieci anni tra i due... me infelice! XD La mia prima idea era una differenza d'età maggiore, ma poi sarei stata poco coerente con il videogioco; l'età di Tseng non viene mai detta, ma non gli darei mai una quarantina d'anni, ecco. XD Però il lolitismo rimane lo stesso! *_*
Stessa considerazione l'ho avuta anch'io. Insomma, a parte che ho appurato con altri che Aeris 'sto stinco di santo non lo è mai stata (gh xD), ma in ogni caso, vivendo in un ambiente così crudo e malfamato, per forza certe situazioni ti portano ad agire in modo poco decoroso... magari l'ho estremizzata troppo, ma il fatto che anche questo elemento ti sia piaciuto mi porta a pensare: e chi se ne frega se ho esagerato! XD
“Ora manca solo la parte sul por- CIOE'.”
*si schiarisce la voce, alza il capo orgogliosa e porta un megafono davanti alla bocca*
PORNOOOO! XD Scene erotiche ci saranno, l'ho già assicurato. Cioè, intendevo dire detto. xD
Il mio stile è cambiato? Non come un pokemon; intendi quindi come un digimon? *_* *adorava i digimon quando andava alle medie* xD Ora che me lo dici ci faccio caso... Da una parte credo di essere un po', senza essere troppo pretenziosi, maturata, ma dall'altra credo sia anche per via di ciò che devo trattare. Ne Il blouson noir e la bambina, per esempio, il dramma è meno presente, gioco più sulle situazioni che sulla storia in sé (anche se comunque ho già deciso che ci saranno scene pesanti, che per quel che mi riguarda possono anche mandare un po' alla malora la fanfiction, rendendola improvvisamente più tagliente, ma non me ne importa niente, è un'idea che ho nella testa da troppo xD), e per questo, essendo il “clima” più calmo e divertente, ho anche un tipo di scrittura più... sì, diciamolo... scema. xD
Comunque, se ho davvero uno stile più cinico come dici te posso solo essere più contenta, perché si incalzerà meglio con le idee che ho in mente per questa storia. *_*
Grazie per la super recensione! xD

Ritorna all'indice


Capitolo 3
*** Capitolo III ***


La pioggia, cupa e acida, scrosciava sul vetro sporco della finestra chiusa. Le gocce si infrangevano sporche e guizzanti, creando stradine imprecise d'acqua che si intersecavano, si dividevano e si ricongiungevano. Acqua color verde oliva che puzza di smog, pensò Tseng. Era la prima volta che vedeva piovere a Midgar.
Della pioggia aveva solo un ricordo di guerra. Si rovesciava impetuosa sui berretti dei soldati, riduceva la terra in fanghiglia melmosa che si attaccava prepotente ai lembi dei calzoni e agli scarponi di cuoio, gelava le loro pelli già tirate, incanutiva ogni colore attorno a loro. I cani non riuscivano più a sentire alcun odore e giravano confusamente il muso in cerca di uno straccio di suolo conosciuto. Le grida del sergente, dieci metri avanti alla truppa, diventavano un suono fioco ed ovattato sotto il forte acquazzone. Allora cominciava a gesticolare con impeto, affinché i suoi soldati intendessero gli ordini.
In quei giorni piovosi, al fine di identificarsi a vicenda nonostante l'oscurità e le uniformi imbrattate di fango, ognuno dei soldati si metteva sul colletto una strana acqua di colonia - il pao-a, un intruglio inventato dagli abitanti di Cosmo Canyon - per compensare la mancanza di vista con l'olfatto e non confondersi per nemici durante le battaglie.
L'odore del pao-a era intensissimo. Tseng lo sentiva invadergli le narici dal colletto ed arrivargli al cervello, annebbiandogli le funzioni motorie. Era peggio di quelle droghe che a volte i soldati depressi solevano usare per dimenticarsi della loro condizione. Ridevano come invasati, mentre le bombe piovevano su di loro. Tseng era l'unico della sua età nella caserma a non aver mai vacillato nella tristezza.
L'afrore del sigaro che stava fumando Al gli ricordava un po' il pao-a. Non per l'aroma, quello non era confrontabile con nessuno, ma per la durezza con cui gli raschiava le narici e soggiogava tutti gli altri odori. Quei sigari erano costosissimi. Al li aveva acquistati in una bancarella di Costa Del Sol anni prima e da allora non riusciva più a disfarsene. Li manteneva con cura in una scatola di legno pregiato e li guardava affascinato, con lo stesso ardore che può avere un uomo nel contemplare la donna che ama. Ne aveva preso uno dalla scatola qualche minuto prima, l'aveva rigirato tra il pollice e l'indice con lentezza e veemenza; l'aveva acceso, e il fumo, in pochi minuti, aveva invaso la piccola stanza chiusa e spoglia in cui si trovavano. Alabama assaporava ogni boccata con grande trasporto.
“Tseng,” lo chiamò dopo aver chiuso la scatola di sigari. “Sembri distratto.”
Il giovane Turk andò in avanti con la sedia su cui era seduto, sistemandosi la postura, e riemerse gli occhi nelle pile di fogli poggiati sul tavolino scalcagnato.
“Che guardavi oltre la finestra?” domandò Al curiosamente.
“Niente. Pensavo.”
“Pensavi?”
“Sì. Ricordavo.”
Al rise chiassosamente, sbuffando fumo intenso come una vecchia locomotiva arrugginita. “Hai solo sedici anni!”
“E allora?” chiese Tseng.
“Avevi il viso di un nostalgico! Chi ha così tanta nostalgia a soli sedici anni non sopravviverà mai a trenta!” spiegò Alabama, che i suoi trent'anni li aveva superati da molto tempo e con essi quasi tutte le sue nostalgie. Al viveva di sigari e risate, e questo bastava.
Tseng non capiva cosa ci fosse di tanto assurdo nel vivere con meditazione. Non aveva nulla a che fare con la nostalgia, perché altrimenti avrebbe presupposto un volere dichiarato di tornare nel passato. Tseng non aveva rimpianti, né felici storie da raccontare, né desideri andati persi. Ma da qualche giorno succedeva che rimuginasse lo stesso ricordo: il sangue che scorreva lungo il suo braccio, la canna della pistola ancora fumante, le mani minute di Aeris, le sue dita che riuscivano a malapena a racchiudere il manico dell'arma. Più evitava quella bambina, passeggiando nei corridoi larghi tra le sedi più affollate della ShinRa, più ci ripensava.
Non riusciva a concentrarsi. Si piegò in avanti per poter in qualche modo afferrare meglio le parole scritte sulla carta. Lesse le prime tre righe e scartò il foglio in mezzo ai tanti sparsi disordinatamente sul tavolo.
“Neppure qui. Io penso che non abbia lasciato prove,” considerò Tseng.
“Continua a cercare,” lo incitò Alabama, “abbiamo raccolto tutti i documenti di casa Gainsborough, è possibile che se ne possa trovare qualcuna.”
“Probabilmente le ha buttate tutte. Non avrebbe senso averle conservate,” constatò il ragazzo. Al non disse nulla, continuò il lavoro di ricerca. Gli ordini superiori non si discutevano, lo sapeva anche Tseng. La nuova missione, se così poteva definirsi, era trovare qualche testimonianza cartacea che riconducesse alla pistola che Elmyra aveva comprato. C'erano molti negozi bellici a Midgar e non era difficile procurarsi un'arma; a gestirli era la ShinRa stessa sotto comando di Scarlet. Il vero problema di fondo del caso Gainsborough non era un'illegalità, visto che l'azienda gestiva segretamente anche il mercato nero, ma che tutto ciò che non faceva parte della ShinRa era una concorrenza e doveva essere eliminata. Scarlet sapeva che nessun loro negozio d'armi aveva venduto una pistola ad Elmyra, perché seguiva attentamente ogni loro mossa.
“Guarda questa...” disse Tseng con in mano una lettera chiusa. Al se ne appropriò e la soppesò pensieroso.
“Non c'entra nulla con le indagini,” valutò, e la mise tra gli scarti.
“Ma potrebbe trattarsi di una finta lettera. Almeno aprila per constatare,” suggerì il Turk giovane.
“Non c'è n'è bisogno, è di Eloi, suo marito,” spiegò il Dimmick. “Qualche anno fa mi hanno incaricato di intercettare le lettere che mandavano ad Elmyra per scoprire qualcosa su sua figlia, ma non hanno mai parlato di lei. Sono sicuro che è Eloi e non ha niente a che fare con la storia della pistola, conosco la sua calligrafia a menadito.”
La memoria fotografica era l'abilità speciale di Al. Aveva imparato da subito a riconoscere la marca dei suoi sigari preferiti, l'uomo che le vendeva, la moglie che i giorni dispari della settimana lo sostituiva. Registrava mentalmente i volti delle persone che conosceva; a volte le salutava a distanza di anni, ma loro non si ricordavano più di lui. Allora Alabama diceva “Altoparlante” e tutti cominciavano a rammentare qualcosa e a ridere. “Altoparlante Dimmick! Mi ricordo di te!” enunciavano sempre con allegria, “quello che non smetteva mai di parlare!”
Era un'abilità che calzava con la sua personalità, perché Al adorava stare con la gente.
“E tu?” chiese a Tseng animatamente. “Qual è la tua abilità speciale?”
“Non lo so, non credo di averne.”
“Avanti! Tutti hanno una personale abilità speciale!”
Tseng rifletté silenziosamente fissando un punto impreciso della parete sguarnita che aveva davanti. “Una volta una ragazza mi ha detto che sono bravo a lasciare le donne.”
Alabama Dimmick rise inaspettatamente, come succedeva sempre. Nessuno immaginava mai quando sarebbe arrivata una sua risata. “Sei una sorpresa vivente, spezzacuori! E' questa la tua personale abilità speciale!”
Il chiasso non fece udire ai due l'arrivo di una terza persona. La porta si era aperta cigolando ed era apparso un uomo con l'uniforme di Turk.
“Alabama, perché te la ridi tanto?” domandò con voce bassa e melliflua.
“Spezzacuori qui presente se la fa con più donne di te!” rispose l'altro indicando Tseng. “Sei stato via per ore, hai detto che saresti tornato subito,” soggiunse, cambiando tono di voce.
“Richiami della natura, non ci si può fare niente,” spiegò l'uomo, chiudendosi la zip dei pantaloni.
“Vilen, sei più stitico dei poveracci del Settore 5, che scommetto cagano più di te anche se non mangiano un cazzo!”
Vilen ridacchiò, e ogni volta che succedeva sembrava la risata di un pazzo: la bocca socchiusa si ampliava leggermente creando un sorriso, le labbra si spianavano fino a mostrare tutti i denti, facendo sembrare il tutto il ringhio di un cane. Le sopracciglia si abbassavano e gli occhi strabuzzanti e grossi luccicavano per un lampo, una frazione di tempo cortissima per essere colta, ma tutti quelli che si imbattevano nel sorriso di Vilen la percepivano, inconsciamente, quando un brivido attraversava le loro colonne vertebrali.
Era il terzo entrato nei Turk, il più giovane dopo Tseng: una persona emaciata, pallida, con le guance infossate e gli occhi sporgenti. Su Vilen non esisteva storia, esistevano solo leggende. Parlavano di un uomo che aveva venduto la propria auto a degli armaioli in cambio di mitragliatrici, che poi usò per ucciderli per riprendersi la macchina solo perché nelle altre che aveva trovato mancava l'aria condizionata. Altre parlavano di un uomo che rimaneva appostato ore davanti alla porta del capo per avere per primo le missioni e poterle scegliere, prediligendo sempre quelle di assassinii. Raccontavano che scherzava con le vittime, ci giocava e che nessuna di esse da morta era più riconoscibile per come quel sadico pazzo amava trastullarle. Vilen era una leggenda, forse solo una voce infondata e un ammonimento per i bambini di Midgar, ma a volte si chiedevano quale fosse la sua vera storia, o almeno cercavano di trarcene una pur di riconoscere quelle leggende solo leggende. Questo neppure i Turk lo sapevano. Lui, semplicemente, un giorno era entrato in ufficio con la divisa e la targhetta col suo nome attaccata al taschino della giacca e sorpreso aveva detto: “e voi chi siete?”. L'aveva chiesto con l'aria naturale di chi si trova disturbato da qualcosa, non con il dolo di chi si trova a disturbare.
Vilen si sedette su una sedia lontano dai due e cominciò a giocherellare con una penna. Non faceva mai niente, in effetti, oltre uccidere ed andare in bagno.
“Ehi, guarda,” riferì a un tratto Al con serietà a Tseng, che si avvicinò a guardare il foglio che aveva trovato. “Bingo.”
Il pezzo di carta, scritto a mano, recava un nome, un indirizzo e le parole Colt M1911. I due si alzarono e si avviarono al quartier generale della ShinRa.
“Ah, grazie dell'aiuto, Vilen,” riferì scherzosamente Al. Vilen continuava a concentrarsi sulla punta della penna, annuendo senza aver ascoltato.



Tseng e Alabama si fermarono al terzo piano, davanti alle alte vetrate chiuse dell'edificio. Fuori, sulla pista d'atterraggio, un elicottero era appena decollato.
“E' già arrivato,” mormorò Al.
“Chi?” chiese Tseng.
“Hojo. Scommetto che non vedeva l'ora di tornare qui.”
“E chi è?”
“Uno scienziato. E' riuscito a trovare un modo per creare le materie e... altro ancora.”
“Altro ancora?”
“Non so cosa. Solo il capo lo sa, lui ha accesso a tutte le informazioni. Se vuoi sapere le cose puoi solo tendere l'orecchio o spiarli con discrezione.” Alabama sorrise, lanciando uno sguardo complice a Tseng. “Possiamo dirigerci al piano terra per andare in bagno, come fa sempre Vilen, e passare casualmente per la pista d'atterraggio...”
Il giovane Turk annuì con un sorriso compassato. Raggiunsero l'ascensore e scesero al piano terra. L'atrio era stracolmo di gente, più del consueto. I due Turk si fecero facilmente spazio tra la folla: bastava la loro divisa e potevano permettersi qualunque privilegio in mezzo ai lavoratori della ShinRa. Si affacciarono al grande portone e lì, vicino all'elicottero, video Palmer sorridere cerimoniosamente e fare più di una volta la riverenza al nuovo arrivato. Questi gesticolò e disse qualcosa di malevolo – non si sentiva nulla, ma dalla faccia si capiva che fosse qualcosa di malevolo. Aveva il volto rustico e aspro, la fronte alta e sporgente, sintomo di intelligenza e richiamo di bruttezza. Poteva essere la descrizione semplice e completa del suo carattere, di un uomo geniale che non vedeva oltre la scienza e aveva da sempre agito ignobilmente; era un'esplicita carogna inumana, lo si capiva subito dagli occhi glaciali che aveva mentre sorrideva - non dei sorrisi veri e propri, erano piuttosto arrisi machiavellici e crudi, che pure dovevano tralasciare qualche sentimento, e invece nulla - e dal modo in cui trattava inutilmente male chiunque gli passava davanti. Persino Palmer, uno dei maggiori esponenti della ShinRa, che era con lui accondiscendente come un cane.
In quel posto tutti erano i cani della ShinRa, ma alcuni di loro, come Palmer, potevano permettersi di ringhiare o mordere quando capitava. Invece l'avvocato si sottometteva, sorridendo sempre, mellifluamente e artificiosamente. Tseng capì, in poco meno di un minuto, che quell'uomo, quell'Hojo, possedeva abbastanza attenzioni da parte della ShinRa da potersi permettere quei comportamenti. Era uno scienziato elitario, non come quelli che vedeva per i corridoi.
Hojo e Palmer varcarono il possente portone d'ingresso e Tseng ed Alabama li seguirono, confusi tra la gente, lontani appena qualche metro dalle schiene degli inseguiti.
“E' tutto pronto a puntino, praticamente mancava solo lo scienziato,” riferì Palmer.
“Perfetto, non vedo l'ora di entrare nella stanza e non vedere più la tua faccia.”
Palmer sfoderò uno dei più bei sorrisi forzati mai fatti. “Aeris è in giardino,” disse. “Tra qualche minuto andiamo a prenderla, ma prima dobbiamo spiegarti alcune cose a riguardo del funzionamento di certe macchine. Si sa, la tecnologia della ShinRa è avanzata rispetto a qualunque altra!”
L'insolito collegamento tra Aeris e macchine nella frase fecero aggrottare la fronte di Tseng. Quando l'avvocato schiacciò il pulsante dell'ascensore ed entrò assieme allo scienziato, Alabama tese un braccio davanti al giovane Turk per fermarlo, fino a che le porte non si richiusero.
“Quella bambina... che avrà a che fare con quel pazzo?” domandò Al un po' scosso. Tseng non disse nulla, guardava pensieroso l'ascensore chiuso. Il Dimmick si grattò la nuca e sospirò.
“Dobbiamo andare al quartier generale,” gli rammentò.
“Vai tu,” disse Tseng, “io devo fare altro.”
Alabama ridacchiò di rimando. “Vai a sedurre giovani donne, spezzacuori?”
Tseng fece un sorriso accennato, continuando a guardare Al mentre rideva a voce alta in mezzo alla folla e s'incamminava per le larghe scalinate bianche del gigantesco atrio dell'edificio.



Camminava sull'erba fresca, curatissima. Era finta, probabilmente, oppure la ShinRa dava cura solo a ciò che rientrava nel perimetro dell'edificio, trascurando il resto, Midgar compresa. Tseng guardò in alto e vide che tutto era racchiuso in una serra. Era un bel coacervo di botanica, arbusti, alberi e felci di ogni specie. Il ragazzo, da lontano, distinse subito Aeris, un piccolo puntino rosa in mezzo a tanto verde, rannicchiata a fissare una pianticella bianca. Hojo si presentò poco dopo assieme a due sottoposti. La bambina alzò la testa a fissarli, con la stessa infantile e malaccorta curiosità con cui stava osservando la pianta. Lo scienziato si fermò a due passi da lei.
“Chi sei?” chiese la bambina con semplicità.
“Sono uno scienziato che ha come cavia un'insolente,” rispose ironicamente. Aeris aggrottò la fronte basita. Hojo si chinò e le prese rudemente il piccolo volto con la mano bianca e callosa, avvicinandolo a sé per osservarla meglio. Fu colto per la prima volta dopo molti anni da un sentimento vivo. Sorrise, come se si trovasse di fronte alla più grande opera d'arte di tutti i tempi. La bambina tremava sotto la stretta ferrea dell'uomo.
“Meraviglioso...” enunciò.
Tseng lo percepì concretamente quel guizzo nei suoi occhi che tutti, tempo dopo, avrebbero sostenuto inesistente, affermando che quell'uomo aveva abbandonato anni prima qualunque emozione per la pazzia.














-------------------------------------------------------
Non dovrei neppure esprimermi, mi odio da morire... *scappa*
A parte il mio vergognoso ritardo, propongo un brindisi a quella buon anima di Youffie che mi ha fatto leggere l'anteprima di due bellissime fanfiction Tseng/Aeris (amarti è dir poco; se avessi saputo ieri quello che avresti fatto oggi ti avrei ringraziato anni prima perché adesso non è abbastanza. Lei capirà il significato di queste parole xD) e in più due autori che iniziano per BBBBBI hanno messo le loro fanfiction, e uno di loro è Tseris, e, sì, insomma, mi mettono sempre di buon'umore queste cose, e mi sento ispirata. xD
Il capitolo era abbastanza, come dire... poco movimentato? D'altronde è una fase d'accordo, non potevo fare altrimenti. Spero di non avervi annoiati; nel prossimo capitolo ci sarà più “azione”, statene certi! :D
Basch, detto BBBBBasch, ma detto anche Terenzio: Sul serio, dopo questo capitolo stavo per mettere la storia tra i preferiti... ma poi mi sono ricordato che l'ho già fattoXDXDxD
Elmyra: Oh, la mia bambinella sta diventando grande, riesce persino a sparare alle persone!!! Cara Aeris, ammazza la mia amica che non mi presta il servizio di piatti in ceramica!!XDXD Aeris: Si mamma! Ma che meraviglioso quadretto familiare! *O*
Con i suoi pensieri, con le sue azioni, hai fatto capire il tormento che può provare in una situazione del genere. E ti ringrazio per questo, perché hai donato emozioni ai personaggi, cosa che molte volte non accade. *___* Sono felicissima di ciò. Ci metto tanto cuore a far trasparire le emozioni di qualcuno, qui ci ho messo il massimo... contenta che ci sia riuscita, allora! :D
Tseng è sempre lo stesso freddo, taciturno, diabolico, grandissimo personaggio del primo capitolo. E sottolineo grandissimo <3
Tseng è per questo un gran personaggio, che per adesso non ha vacillato nemmeno per un attimo, dimostrando una fortissima personalità. Ma in futuro, vacillerà? Lo vedremo. Uhh, sei un... veggente? Uh! xD Be', come si suol dire, lo vedrai. :D E sono contentissima di aver almeno azzeccato l'età dei personaggi. xD
Grazie tantissimo per l'accurato commentino, spronano l'autore a continuare. Ovviamente se non avessi scritto niente, io avrei aggiornato tra 4 anni e mezzo. xD Son sempre belle queste genere di recensioni, e non sono il numero a deciderlo, ma ciò che è scritto. Questa tua recensione, per me, vale 10 normali. <3 E ora non ringraziarmi, ma io ringrazio te. ;D
MoMomaramao: eh, lo sò che l'effetto è fortemente voluto, ma... QUANTO è ANTIPPPPPATICO TZEEEENG!!!(sclera) HAUHAUh xD sì, è voluto, tanto per contrastare meglio lo Tseng che diverrà in seguito. :D Non dirò nulla, a parte che certe cose, da lui, non ve le aspettereste nemmeno... e giuro che compenserà tutta l'antipatia avuta nel capitolo precedente. xD
(come avrete notato, sono in un momento molto femminist-picchia l'uom-ammazza ammazza, per cui ogni mio commento sarà votato alla violenza indiscriminata su chiunque osi farsi portatore del velopendulo U.u) ...pure Reno? *sguardo eloquente* Grazie per il femmi-commento xD
Ino_Chan: Per prima cosa, devo scusarmi per non aver recensito il primo capitolo XD *__* Contentissima che tu ti sia presa il disturbo, davvero. <3
(adoro Tseng, peccato che su di lui ci siano così poche storie *.*) *____* Qualcuno che lo dice, lo dice! *abbraccio solidale e forte forte*
e soprattutto realistica, scritta con uno stile che si avvicina molto ad un film.. <333 mi stai ammazzando di complimenti, grazie! *_*
Insomma, come si è capito, mi è piaciuta molto XD Felicissima! Spero che questo lo sia stato altrettanto! :D Grazie del commento! :*
j3nnif3r: Non è normale che io mi commuova quando leggo le comparsate dei personaggi secondari, vero? ç.ç Johnny!!! *o* Sì, lui, Johnny! *_* Sapevo che l'avresti riconosciuto, TU potevi! xD
E' vero, non è "ufficiale" che si prenda i bambini perduti in giro per Midgar, ma con Cissnei l'ha fatto quindi è verosimile! XD *_* Ho involontariamente scoperto un altro sprazzo di vita di Cissnei. xD
E, uhm, l'idea di Tseng come vero padre di Yuffie comunque mi turba! XDD xDDDD
Bella, bella. Continua presto che io mi nutro di belle storie, eh. Wow, come al solito detto da te è sempre una bella sorpresa... grazie! E grazie del commento, grazie grazie grazie! :***
Taiga Aisaka: Dopo lo shock nell'aver letto che mia "cugina" Rosalia si è fatta Tseng, posso dichiarare che mia cugina è molto fortunata; un po' meno il suo futuro sposo XD Mi ero dimenticata di tua cugina, è vero! xD
Magnifico il background di Tseng (molto azzeccato, secondo me) :D All'inizio l'avevo pensato diversamente, ma un orfanotrofio era forse più adatto proprio perché giustificava la sua mancanza di "carattere" (in senso di caratterizzazione, non di spina dorsale xD) che invece una famiglia, con nuclei più intimi, può darti... Be', comunque grazie! :D
E poi... Elmyra spacca! ahuahuaha! XDDD
Quella donna l'ho sempre considerata una grande e sono felicissima di constatare che non sia una casalinga mongola o indifesa. Quanto hai ragione! *_* io dico che per tenersi Aeris per tutti quegli anni in casa propria doveva per forza avere due palle quadrate, per forza. u_u
Tseng la odia a morte, ma nemmeno lei scherza XD Ma noi sappiamo che tutto finirà in pop porno, vero? Tu dici...? *sguardo gnorri*
Piantandola qua, la storia mi piace un casino *_*. Il tuo stile è maturato tant che mi commuovo ç_ç Nei preferiti, assolutamente. <3333
Palmer è un avvocato? O_O Ahuahhua, ma anche no. xD L'ho immaginato io avvocato, così da dargli una specie di passaggio che lo porterà a diventare membro ufficiale della ShinRa! :D
Ed io che credevo fosse buono solo a ciarlare e a pretendere il thè da Shera in casa di Cid XD Appunto. xD
Mi è piacita un sacco la scena iniziale con Elmyra (si è capito che io stimo questa donna?XD) e poveretta mi sono anche immedesimata in lei ç_ç Già. L'ho sempre vista un po' così, durante il gioco, sebbene venga presa poco in considerazione :( (anch'io me la stimo xD)
Hai descritto la ShinRa come penso sia: un'organizzazione cruda, violenta, maledetta se posso dirlo sì *_* E in più ipocrita e sfruttatrice, in questo capitolo. Cerco sempre di dare un senso di sporcizia all'azienda, che è propria della ShinRa, in fondo! O almeno è ciò che sentivo mentre giocavo al primo, inestimabile gioco. xD
La scena finale poi è <3. Adoro il sadico e Tseng lo è al punto giusto *ç*. E' il più bono di tutti i Turks. (se la gioca con Reno. Rufus non lo conto perché è il capo *ç*) HAuahu! xDDD Credo che neppure lui stesso si sarebbe aspettato tanto sadismo. xD Sì, è il più bon... gnoc... fi... arrap...
E' il più attraente. xD Con Reno, ma certo! *_* Grazie della recensione pornofigliamia! *_____* Grazie!

Ritorna all'indice


Questa storia è archiviata su: EFP

/viewstory.php?sid=273748