Salto nel vuoto di Lucilla17 (/viewuser.php?uid=54674)
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** 1-Risveglio ***
Capitolo 2: *** 2_New life, Old life ***
Capitolo 1 *** 1-Risveglio ***
Ho
avuto l’ispirazione
improvvisa e ho deciso di iniziare questa storia. Spero che vi
piaccia!!
Recensite numerosi per
sapere i vostri pareri!!!!
Buona lettura=)
1_Risveglio
Quel
5 luglio uscì di casa con l’intenzione di passare
una giornata di sano shopping
con le sue amiche. Erano secoli che non passava un po’ di
tempo tra ragazze.
Alla
fine del vialetto infilò la mano sinistra nella borsetta e
ne estrasse le
chiavi della Mercedes cabriolet blu parcheggiata sul ciglio della
strada.
Quello era uno dei suoi gioielli più preziosi. Un regalo che
i suoi parenti e
il nuovo marito di sua madre, soprattutto, avevano pensato di farle per
compleanno.
Aprì
lo sportello e si mise al volante. Guidò fino in centro,
quando si accorse che
il traffico era stato deviato su una strada particolarmente trafficata
per via
dei lavori in corso davanti a una gioielleria.
-Così
arriverò in ritardo!- imprecò tra sé.
Restò
in attesa davanti ad un semaforo per parecchi minuti, quando il segnale
di
verde le diede via libera.
Premette
l’acceleratore per avanzare. Era esattamente al centro
dell’incrocio che
un’altra auto, proveniente dalla corsia opposta le stava
venendo addosso.
Fece
in tempo solo a notare che si trattava di un’utilitaria viola
melanzana.
Orrenda. Del resto dell’incidente non ricordava niente.
Respirava
ancora.
Sentiva
un profumo strano.
Un
odore che lei odiava.
Medicine.
Era in un ospedale.
Non
aveva le forze di aprire gli occhi, non ne aveva neanche la voglia a
dire la
verità.
Non
sentiva rumori. Alle sue orecchie giungeva solo il cupo rimbombo del
suo cuore.
Battito dopo battito. Con quel rumore nella testa si
addormentò o forse perse i
sensi. Non lo sapeva.
Recuperò
la lucidità che le sembrava passato un secolo. Continuava a
sentire l’odore di
medicine e il suo cuore battere. Poi… sentì
un’altra cosa. Una fitta. Ma non
riusciva a comprendere bene da quale parte del suo corpo venisse.
Si
ostinava a non aprire gli occhi. Come se volesse continuare a dormire.
E
anche il suo cuore continuava imperterrito a tamburellarle nel petto.
Un
grido disperato le salì però alla gola. Aveva
smesso. Non lo sentiva più. Non
batteva più. Lei però continuò a
pensare. Di certo non era morta. Ma il suo
cuore non batteva più.
Improvvisamente
come a dimostrarle che era davvero così sentì un
nuovo suono. Un campanello di
richiamo per le infermiere.
Quel
grido era ancora lì, lo percepiva. Non lo espresse. E che
motivo c’era? Di cosa
aver paura?
Non
poteva di certo essere morta se continuava a parlare nella sua testa e
se
continuava a respirare!
Con
questa certezza si addormentò di nuovo.
Aprì
gli occhi di scatto, senza battere ciglio. Prese un lungo respiro
riempiendo i
polmoni d’aria.
Eppure
quel gesto le apparve da subito superfluo, quasi come se non ne avesse
realmente bisogno.
Si
alzò seduta e stavolta il grido che aveva trattenuto tanto
in gola ebbe voce.
Fu
un grido di paura, di terrore.
In
fondo chiunque urlerebbe spaventato se si trovasse steso su un tavolino
metallico circondato di lenzuola bianche da cui si intravedono arti
umani
pallidi.
Era
confusa oltre ogni dire, non sapeva che pensare, magari stava sognando.
Un
dolore non indifferente al collo le fece immediatamente cambiare
opinione.
Si
toccò la pelle al lato destro del collo e sentì
distintamente dei segni.
Si
alzò, instabile sulle gambe e con un giracapo terribile.
Tutta al stanza girava
e se non si fosse aggrappata al tavolino metallico sarebbe crollata a
terra.
Fece trascorrere qualche minuto, cercando di capire che cosa le era
successo e
dove si trovava. L’ultimo ricordo che aveva era
un’auto viola che le veniva
addosso all’incrocio principale di Alden Road. E
poi… un flash che le fece male
alla testa. Ricordava il suono dell’ambulanza… un
ragazzo che le teneva il capo
appoggiato alle sue gambe per non farle male…
infermieri… infine più
niente.
Come
il mal di testa era venuto, svanì con i ricordi.
Si
sentì più stabile e decise di voler almeno uscire
da quel posto, per iniziare.
Raggiunse
la porta a vetri ma sul punto di aprirla, un giovane con il camice
bianco e lo
stetoscopio al collo la precedette dall’esterno. Trovandosela
di fronte si
spaventò non poco.
-Mi
scusi signorina, ma lei cosa ci fa qui?- le chiese corrugando le
sopracciglia.
-Io…
ecco, non dovrei essere qui in effetti…- rispose incerta e
abbassò lo sguardo
smarrita.
-Capisco,
a volte non è facile perdere un caro a cui si teneva molto.-
la consolò
premuroso -Venga, esca da qui, non fa bene a una ragazza giovane come
lei stare
in un obitorio.-
A
quella parole quasi non svenne. Un obitorio. Si era svegliata in un
obitorio.
Non
era possibile, lei era viva. Camminava, pensava, aveva addirittura
parlato con
un medico!
Forse
si era sbagliata e dopo essersi svegliata aveva iniziato a vagare per
l’ospedale fin lì. sì, doveva essere
così, si convinse.
Il
medico le tenne la porta aperta per lasciarla passare e le
consigliò di
riposarsi, non aveva una bella cera.
Percorse
tutti i corridoi per trovare la reception. Stava per uscire dalle porte
scorrevoli ma un dettaglio scioccante la bloccò al bancone
d’ingresso, con lo
sguardo fisso alla parete. O meglio, al calendario.
Il
29 agosto.
Ok.
Poteva essere stata in osservazione per un po’ di tempo. Un
incidente stradale
di quelle proporzioni non era una passeggiata.
2016.
Qui
sì che c’era davvero qualcosa che non andava.
-Scusi-
si rivolse alla segretaria -quel calendario è fallato.-
La
donnina che con tranquillità stava leggendo una rivista di
gossip alzò lo
sguardo su di lei squadrandola per un
attimo -Come prego? Cara dovresti farti controllare, sei
molto pallida
sai?-
-Grazie,
ma sto bene. Dicevo che il calendario lì dietro segna
l’anno sbagliato. Indica
ben otto anni di troppo.-
La
segretaria si voltò alle spalle guardando
l’oggetto, poi ridacchiando si voltò
di nuovo.
-Oh
no, questo calendario va benissimo! È vero che tutti
vorrebbero che il tempo
non passasse ma…-
Non
si sprecò neanche a sentirla blaterare.
Non
era possibile! No, non poteva esserlo! Se erano nell’anno
2016 significava che
lei era stata in ospedale tutto quel tempo. Ma com’era
possibile? Lei credeva
che non fosse passato neanche un mese! Si svegliava ogni tanto. Certo
non lo dimostrava
perché teneva sempre gli occhi chiusi ma lei si svegliava!
Che
fine aveva fatto la sua vita? Perché le sembrava che tutto
intorno a lei non
fosse più lo stesso? Che cosa era successo?
Sapeva
che l’ospedale distava soli venti minuti da casa sua e
percorse tutta la strada
di corsa. Almeno la sua famiglia doveva sapere che era viva, che non
stava più
male.
Si
ritrovò davanti alla villetta bianca e al giardino tagliato
da poco. Almeno la
sua casa non era cambiata!
Mosse
qualche passo sul vialetto d’accesso fino a fermarsi a
metà. Una consapevolezza
raccapricciante che si faceva strada insinuandosi dentro di lei. Aveva
corso
tanto ma non aveva il fiatone.
E
il cuore. Non batteva. Non aveva battuto più dal momento in
cui nel sogno
l’aveva sentito fermarsi.
Ma
poi, era davvero un sogno?
Che
cosa le era successo? Come per risposta un nuovo flash le
tornò in mente.
Il
ragazzo che le teneva fermo il capo dopo l’incidente era
piegato su di lei. E
le sussurrava qualcosa. Non ricordava tutto ma alcune parti del
discorso le
erano rimaste come impresse a fuoco nel profondo della mente.
-…Mia
vampira, quando
sarai pronta per risorgere ci reincontreremo…-
Cadde
in ginocchio sull’erba fresca tenendosi una mano al collo e
l’altra ad
asciugarsi le lacrime che scorrevano copiose sulle sue guance.
Il
segno sul collo, il cuore, l’obitorio,
l’anno… tutto prese un senso davanti ai
suoi ricordi frammentati dell’incidente.
La
sua vita era finita. Era stata trasformata in un vampiro.
E
a questo non c’era via d’uscita.
Guardò
un’ultima volta la sua casa poi voltò le spalle e
fuggì.
Dalla
sua famiglia che stava affrontando il suo lutto.
Dai
suoi amici che non avrebbe più rivisto.
Dalla
sua vita, ormai conclusa.
Da
se stessa.
Ormai
Emilie Sherrington
era morta.
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Capitolo 2 *** 2_New life, Old life ***
Questo
secondo cap giunge in ritardo, ma davvero non mi veniva in mente il
modo giusto
per metterci quello che volevo senza anticipare troppo. Credo di
esserci
riuscita.
So
che nel primo la situazione era davvero piena di incognite, ma credo
che quasi
tutte troveranno risposta molto avanti perché quello che
presento ora è un
altro aspetto della situazione.
P.S:
siccome per descrivere la protagonista non mi veniva in mente niente,
ho preso
come modello Amanda Seyfried, che come caratteristiche dovremmo starci.
Recensite
e fatemi sapere come vi pare la storia, pure se per adesso è
moooolto
enigmatica e incasinataJ
2_New
life, Old life
Era
passata appena una settimana.
Non
aveva più una casa.
Né
amici.
Aveva
vagato per tutto il tempo per la città, fermandosi a volte
in biblioteca, a
volte al cinema.
Si
era resa conto che il sonno non era una necessità, non lo
sentiva. Come non
sentiva la fame. Per ora, si diceva spesso. Perché prima o
poi avrebbe
necessitato anche lei di nutrirsi e lo sapeva cosa avrebbe cercato per
soddisfare il suo bisogno.
Anche
in quel momento, passeggiando solitaria per osservare le vetrine dei
negozi,
scintillanti di luci e oggetti costosi.
Decise
di entrare in una boutique, la sua preferita, quella che durante la sua
vita
frequentava spesso con le sue amiche.
Ripensando
ai giorni che aveva vissuto e a quanto le sue amiche le mancassero
sentì le
lacrime affacciarsi agli angoli degli occhi. E le lacrime scesero
copiose lungo
le guance.
Era
ferma davanti ad uno specchio appeso alla parete all’interno
del negozio. E guardava
l’immagine che rifletteva: una ragzza che sarebbe dovuta
essere lei. Ma non
riusciva a riconoscerla. I lunghi capelli un tempo castano chiaro erano
biondi
e le scendevano in morbide onde oltre le spalle. La pelle
così pallida e lattea
la rendeva simile a una bambola. E pensare che durante le vacanze
passava ore a
farsi la lampada con la sua migliore amica! Eppure ciò che
la sconvolse di più
fu guardarsi negli occhi, quegli occhi che non le appartenevano
più. Come fumo,
erano grigi, scuri, così diversi dai suoi verdi.
Non
poteva sopportare ulteriormente di vedersi così. Era come se
tutta lei fosse sbiadita.
Corse
fuori dal negozio e lungo tutto il viale fino a girare dietro un
locale. Lì, di
fronte a un muro si gettò seduta a terra e si strinse le
ginocchia al petto. Solo
allora, dando sfogo a tutta la tristezza e la rabbia che aveva represso
da
quando era fuggita dall’ospedale, capì.
Inutile
lottare.
Inutile
cercare un senso a tutto.
Doveva
solo accettarlo e andare avanti. Che altra scelta aveva in fondo?
Lei
era morta. Lei non era più lei. Era un… Si
sfiorò con i polpastrelli i fori al
lato del collo e smise di piangere.
-Tanto
non serve a niente. Devo trovare un posto dove andarmene. Ma
perché poi? Io non
esisto.-
Alzò
il capo e si appoggiò al muro con lo sguardo rivolto al
cielo. E come il sole
si stava preparando a tramontare così un’idea si
apprestava a sorgere nella sua
mente.
Si
rimise in piedi, spolverandosi i jeans e
s’incamminò con una nuova luce negli
occhi verso il parco della città.
Mancava
solo un centinaio di metri fino ai cancelli d’ingresso,
quando una coppia di
anziani signori la bloccarono per un polso.
Presa
di sorpresa si voltò di scatto, ma vedendo chi fosse si
tranquillizzò.
-Cara-
le disse il signore –sono giorni che non ci vieni a trovare,
ti sei forse
stancata di due poveri vecchi bacucchi come noi?-
-Come
prego? Scusate ma credo che mi abbiate scambiato per
un’altra.- cercò di
andarsene per la sua strada, ma i due noon ne volevano sapere di
lasciarla
andare.
-Ieri
dovevi venire alla casa di cura per farci visita ma non sei venuta, ti
è
successo qualcosa?-
Vedendo
la coppia tanto dolce decise di fermarsi a spiegare loro il malinteso.
-Mi
dispiace, vedete però io non sono vostra figlia o nipote. Io
in questa città…-
Cosa?,
si disse. Cosa stava per dire? Che non aveva nessuno? E i suoi
genitori? I suoi
amici? I suoi parenti? Era davvero sola?
-Io
sono qui solo di passaggio. Il mio nome è…-
esitò.
I
due anziani la guardarono pieni di comprensione vedendola
così in difficoltà. Forse
avevano capito l’errore, ma quella che avevano davanti
somigliava davvero alla
loro nipote.
-Cara,
scusaci. Tu somigli molto a nostra nipote Margaret. Abitiamo qui da
tanti anni,
ormai conosciamo tutti, ma purtroppo la nostra vista e memoria dei
volti
comincia a fare i capricci. Sei sicura però di non essere
Margaret?-
-Mi
dispiace davvero ma non sono vostra nipote. Mi chiamo…-
pensò un attimo –Livia.-
Non
seppe dire perché disse un altro nome e non il suo. Forse si
rese conto che non
c’era motivo di dire Emilie. E perché poi? Era
morta. O almeno così tutti credevano. E se qualcuno
l’avrebbe vista, dubitava che avrebbe capito che fosse
lei.
Era
giunto il momento di iniziare una nuova vita. Quella in cui lei era
rinata. E non
era più Emilie.
Era
Livia. Solo Livia.
Lentamente
l’idea di morire davvero affogata nel laghetto del parco
svanì. Come nebbia.
Salutò
calorosamente la coppia che se ne andò mano nella mano e
senza saperlo le
avevano dato più di quanto credevano. Una ragione per
restare viva. O per non morire.
Si
accoccolò su una panchina e chiuse gli occhi, con la
speranza che magari il
sonno, quel giorno, sarebbe arrivato.
Fu
un richiamo a destarla.
Non
aveva dormito. Non essattamente almeno. Ma i suoi sensi erano come
scesi in uno
stato di ibernazione. E una luce strana, pura, li aveva infiammati.
Tutto
attorno a lei era buio, silenzioso. Doveva essere notte fonda.
L’unica
fonte d’illuminazione splendeva sopra la sua testa: la luna.
La
osservò a lungo e dentro di lei sentì farsi largo
un istinto primitivo con una
forza incontrollabile. Non sapeva riconoscerlo, stava prendendo il
sopravvento
sul suo coprpo e sulla sua mente.
Infine
un solo imperativo che risuonò nelle sue orecchie come una
condanna e allo
stesso tempo come un’assoluzione: uccidi.
E
così fece, durante tutta la notte.
Si
alimentò e acquisì forze che non credeva di
volere ottenere.
Si
liberò della sua vecchia volontà di controllarsi
e cercare di sottomere ciò che
era.
Fece
spazio in sé alla sua brama di sangue, alla sua spietatezza
nell’ottenerlo.
Si
abbandonò completamente ai sensi, al fiuto della preda, al
sentore delle vene
pulsanti che sentiva sotto le mani nel momento in cui posava le dita
bianche
sul collo della vittima per prepararsi a mordere.
E
godette nell’affondare i canini nella pelle e nella carotide,
nell’assorbire la
sua fonte di sostentamento.
Quella
notte, con la luna piena, un nuovo vampiro era sorto.
Quella
notte la vita passata fu affogata nel sangue di una nuova esistenza.
Infine,
all’alba del giorno che seguì, Livia
si pulì le labbra rosse delle ultime gocce e sorrise.
Qualunque
cosa fosse diventata, l’accoglieva a braccia aperte.
Senza
rimorso.
In
fondo, perché averne? Il vampiro che era aveva sostituito un
fantasma. Uno spettro.
Che giaceva in una tomba.
Ora
voleva solo trovare chi l’aveva trasformata. E forse,
fargliela pagare.
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