Salto nel vuoto

di Lucilla17
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** 1-Risveglio ***
Capitolo 2: *** 2_New life, Old life ***



Capitolo 1
*** 1-Risveglio ***


Ho avuto l’ispirazione improvvisa e ho deciso di iniziare questa storia. Spero che vi piaccia!!
Recensite numerosi per sapere i vostri pareri!!!!
Buona lettura=)
 
 

1_Risveglio

 
Quel 5 luglio uscì di casa con l’intenzione di passare una giornata di sano shopping con le sue amiche. Erano secoli che non passava un po’ di tempo tra ragazze.
Alla fine del vialetto infilò la mano sinistra nella borsetta e ne estrasse le chiavi della Mercedes cabriolet blu parcheggiata sul ciglio della strada. Quello era uno dei suoi gioielli più preziosi. Un regalo che i suoi parenti e il nuovo marito di sua madre, soprattutto, avevano pensato di farle per compleanno.
Aprì lo sportello e si mise al volante. Guidò fino in centro, quando si accorse che il traffico era stato deviato su una strada particolarmente trafficata per via dei lavori in corso davanti a una gioielleria.
-Così arriverò in ritardo!- imprecò tra sé.
Restò in attesa davanti ad un semaforo per parecchi minuti, quando il segnale di verde le diede via libera.
Premette l’acceleratore per avanzare. Era esattamente al centro dell’incrocio che un’altra auto, proveniente dalla corsia opposta le stava venendo addosso.
Fece in tempo solo a notare che si trattava di un’utilitaria viola melanzana. Orrenda. Del resto dell’incidente non ricordava niente.

 

Respirava ancora.
Sentiva un profumo strano.
Un odore che lei odiava.
Medicine. Era in un ospedale.
Non aveva le forze di aprire gli occhi, non ne aveva neanche la voglia a dire la verità.
Non sentiva rumori. Alle sue orecchie giungeva solo il cupo rimbombo del suo cuore. Battito dopo battito. Con quel rumore nella testa si addormentò o forse perse i sensi. Non lo sapeva.
Recuperò la lucidità che le sembrava passato un secolo. Continuava a sentire l’odore di medicine e il suo cuore battere. Poi… sentì un’altra cosa. Una fitta. Ma non riusciva a comprendere bene da quale parte del suo corpo venisse.
Si ostinava a non aprire gli occhi. Come se volesse continuare a dormire.
E anche il suo cuore continuava imperterrito a tamburellarle nel petto.
Un grido disperato le salì però alla gola. Aveva smesso. Non lo sentiva più. Non batteva più. Lei però continuò a pensare. Di certo non era morta. Ma il suo cuore non batteva più.
Improvvisamente come a dimostrarle che era davvero così sentì un nuovo suono. Un campanello di richiamo per le infermiere.
Quel grido era ancora lì, lo percepiva. Non lo espresse. E che motivo c’era? Di cosa aver paura?
Non poteva di certo essere morta se continuava a parlare nella sua testa e se continuava a respirare!
Con questa certezza si addormentò di nuovo.

 
Aprì gli occhi di scatto, senza battere ciglio. Prese un lungo respiro riempiendo i polmoni d’aria.
Eppure quel gesto le apparve da subito superfluo, quasi come se non ne avesse realmente bisogno.
Si alzò seduta e stavolta il grido che aveva trattenuto tanto in gola ebbe voce.
Fu un grido di paura, di terrore.
In fondo chiunque urlerebbe spaventato se si trovasse steso su un tavolino metallico circondato di lenzuola bianche da cui si intravedono arti umani pallidi.
Era confusa oltre ogni dire, non sapeva che pensare, magari stava sognando. Un dolore non indifferente al collo le fece immediatamente cambiare opinione.
Si toccò la pelle al lato destro del collo e sentì distintamente dei segni.
Si alzò, instabile sulle gambe e con un giracapo terribile. Tutta al stanza girava e se non si fosse aggrappata al tavolino metallico sarebbe crollata a terra. Fece trascorrere qualche minuto, cercando di capire che cosa le era successo e dove si trovava. L’ultimo ricordo che aveva era un’auto viola che le veniva addosso all’incrocio principale di Alden Road. E poi… un flash che le fece male alla testa. Ricordava il suono dell’ambulanza… un ragazzo che le teneva il capo appoggiato alle sue gambe per non farle male… infermieri… infine più niente. 
Come il mal di testa era venuto, svanì con i ricordi.
Si sentì più stabile e decise di voler almeno uscire da quel posto, per iniziare.
Raggiunse la porta a vetri ma sul punto di aprirla, un giovane con il camice bianco e lo stetoscopio al collo la precedette dall’esterno. Trovandosela di fronte si spaventò non poco.
-Mi scusi signorina, ma lei cosa ci fa qui?- le chiese corrugando le sopracciglia.
-Io… ecco, non dovrei essere qui in effetti…- rispose incerta e abbassò lo sguardo smarrita.
-Capisco, a volte non è facile perdere un caro a cui si teneva molto.- la consolò premuroso -Venga, esca da qui, non fa bene a una ragazza giovane come lei stare in un obitorio.-
A quella parole quasi non svenne. Un obitorio. Si era svegliata in un obitorio.
Non era possibile, lei era viva. Camminava, pensava, aveva addirittura parlato con un medico!
Forse si era sbagliata e dopo essersi svegliata aveva iniziato a vagare per l’ospedale fin lì. sì, doveva essere così, si convinse.
Il medico le tenne la porta aperta per lasciarla passare e le consigliò di riposarsi, non aveva una bella cera.
Percorse tutti i corridoi per trovare la reception. Stava per uscire dalle porte scorrevoli ma un dettaglio scioccante la bloccò al bancone d’ingresso, con lo sguardo fisso alla parete. O meglio, al calendario.
Il 29 agosto.
Ok. Poteva essere stata in osservazione per un po’ di tempo. Un incidente stradale di quelle proporzioni non era una passeggiata.
2016.
Qui sì che c’era davvero qualcosa che non andava.
-Scusi- si rivolse alla segretaria -quel calendario è fallato.-
La donnina che con tranquillità stava leggendo una rivista di gossip alzò lo sguardo su di lei squadrandola per un  attimo -Come prego? Cara dovresti farti controllare, sei molto pallida sai?-
-Grazie, ma sto bene. Dicevo che il calendario lì dietro segna l’anno sbagliato. Indica ben otto anni di troppo.-
La segretaria si voltò alle spalle guardando l’oggetto, poi ridacchiando si voltò di nuovo.
-Oh no, questo calendario va benissimo! È vero che tutti vorrebbero che il tempo non passasse ma…-
Non si sprecò neanche a sentirla blaterare.
Non era possibile! No, non poteva esserlo! Se erano nell’anno 2016 significava che lei era stata in ospedale tutto quel tempo. Ma com’era possibile? Lei credeva che non fosse passato neanche un mese! Si svegliava ogni tanto. Certo non lo dimostrava perché teneva sempre gli occhi chiusi ma lei si svegliava!
Che fine aveva fatto la sua vita? Perché le sembrava che tutto intorno a lei non fosse più lo stesso? Che cosa era successo?
Sapeva che l’ospedale distava soli venti minuti da casa sua e percorse tutta la strada di corsa. Almeno la sua famiglia doveva sapere che era viva, che non stava più male.
Si ritrovò davanti alla villetta bianca e al giardino tagliato da poco. Almeno la sua casa non era cambiata!
Mosse qualche passo sul vialetto d’accesso fino a fermarsi a metà. Una consapevolezza raccapricciante che si faceva strada insinuandosi dentro di lei. Aveva corso tanto ma non aveva il fiatone.
E il cuore. Non batteva. Non aveva battuto più dal momento in cui nel sogno l’aveva sentito fermarsi.
Ma poi, era davvero un sogno?
Che cosa le era successo? Come per risposta un nuovo flash le tornò in mente.
Il ragazzo che le teneva fermo il capo dopo l’incidente era piegato su di lei. E le sussurrava qualcosa. Non ricordava tutto ma alcune parti del discorso le erano rimaste come impresse a fuoco nel profondo della mente.

-…Mia vampira, quando sarai pronta per risorgere ci reincontreremo…-
Cadde in ginocchio sull’erba fresca tenendosi una mano al collo e l’altra ad asciugarsi le lacrime che scorrevano copiose sulle sue guance.
Il segno sul collo, il cuore, l’obitorio, l’anno… tutto prese un senso davanti ai suoi ricordi frammentati dell’incidente.
La sua vita era finita. Era stata trasformata in un vampiro.
E a questo non c’era via d’uscita.
Guardò un’ultima volta la sua casa poi voltò le spalle e fuggì.
Dalla sua famiglia che stava affrontando il suo lutto.
Dai suoi amici che non avrebbe più rivisto.
Dalla sua vita, ormai conclusa.
Da se stessa.

Ormai Emilie Sherrington era morta.

 

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Capitolo 2
*** 2_New life, Old life ***


Questo secondo cap giunge in ritardo, ma davvero non mi veniva in mente il modo giusto per metterci quello che volevo senza anticipare troppo. Credo di esserci riuscita.
So che nel primo la situazione era davvero piena di incognite, ma credo che quasi tutte troveranno risposta molto avanti perché quello che presento ora è un altro aspetto della situazione.
P.S: siccome per descrivere la protagonista non mi veniva in mente niente, ho preso come modello Amanda Seyfried, che come caratteristiche dovremmo starci.

Recensite e fatemi sapere come vi pare la storia, pure se per adesso è moooolto enigmatica e incasinataJ

 

2_New life, Old life

 
Era passata appena una settimana.
Non aveva più una casa.
Né amici.
Aveva vagato per tutto il tempo per la città, fermandosi a volte in biblioteca, a volte al cinema.
Si era resa conto che il sonno non era una necessità, non lo sentiva. Come non sentiva la fame. Per ora, si diceva spesso. Perché prima o poi avrebbe necessitato anche lei di nutrirsi e lo sapeva cosa avrebbe cercato per soddisfare il suo bisogno.
Anche in quel momento, passeggiando solitaria per osservare le vetrine dei negozi, scintillanti di luci e oggetti costosi.
Decise di entrare in una boutique, la sua preferita, quella che durante la sua vita frequentava spesso con le sue amiche.
Ripensando ai giorni che aveva vissuto e a quanto le sue amiche le mancassero sentì le lacrime affacciarsi agli angoli degli occhi. E le lacrime scesero copiose lungo le guance.
Era ferma davanti ad uno specchio appeso alla parete all’interno del negozio. E guardava l’immagine che rifletteva: una ragzza che sarebbe dovuta essere lei. Ma non riusciva a riconoscerla. I lunghi capelli un tempo castano chiaro erano biondi e le scendevano in morbide onde oltre le spalle. La pelle così pallida e lattea la rendeva simile a una bambola. E pensare che durante le vacanze passava ore a farsi la lampada con la sua migliore amica! Eppure ciò che la sconvolse di più fu guardarsi negli occhi, quegli occhi che non le appartenevano più. Come fumo, erano grigi, scuri, così diversi dai suoi verdi.
Non poteva sopportare ulteriormente di vedersi così. Era come se tutta lei fosse sbiadita.
Corse fuori dal negozio e lungo tutto il viale fino a girare dietro un locale. Lì, di fronte a un muro si gettò seduta a terra e si strinse le ginocchia al petto. Solo allora, dando sfogo a tutta la tristezza e la rabbia che aveva represso da quando era fuggita dall’ospedale, capì.
Inutile lottare.
Inutile cercare un senso a tutto.
Doveva solo accettarlo e andare avanti. Che altra scelta aveva in fondo?
Lei era morta. Lei non era più lei. Era un… Si sfiorò con i polpastrelli i fori al lato del collo e smise di piangere.
-Tanto non serve a niente. Devo trovare un posto dove andarmene. Ma perché poi? Io non esisto.-
Alzò il capo e si appoggiò al muro con lo sguardo rivolto al cielo. E come il sole si stava preparando a tramontare così un’idea si apprestava a sorgere nella sua mente.
Si rimise in piedi, spolverandosi i jeans e s’incamminò con una nuova luce negli occhi verso il parco della città.
Mancava solo un centinaio di metri fino ai cancelli d’ingresso, quando una coppia di anziani signori la bloccarono per un polso.
Presa di sorpresa si voltò di scatto, ma vedendo chi fosse si tranquillizzò.
-Cara- le disse il signore –sono giorni che non ci vieni a trovare, ti sei forse stancata di due poveri vecchi bacucchi come noi?-
-Come prego? Scusate ma credo che mi abbiate scambiato per un’altra.- cercò di andarsene per la sua strada, ma i due noon ne volevano sapere di lasciarla andare.
-Ieri dovevi venire alla casa di cura per farci visita ma non sei venuta, ti è successo qualcosa?-
Vedendo la coppia tanto dolce decise di fermarsi a spiegare loro il malinteso.
-Mi dispiace, vedete però io non sono vostra figlia o nipote. Io in questa città…-
Cosa?, si disse. Cosa stava per dire? Che non aveva nessuno? E i suoi genitori? I suoi amici? I suoi parenti? Era davvero sola?
-Io sono qui solo di passaggio. Il mio nome è…- esitò.
I due anziani la guardarono pieni di comprensione vedendola così in difficoltà. Forse avevano capito l’errore, ma quella che avevano davanti somigliava davvero alla loro nipote.
-Cara, scusaci. Tu somigli molto a nostra nipote Margaret. Abitiamo qui da tanti anni, ormai conosciamo tutti, ma purtroppo la nostra vista e memoria dei volti comincia a fare i capricci. Sei sicura però di non essere Margaret?-
-Mi dispiace davvero ma non sono vostra nipote. Mi chiamo…- pensò un attimo –Livia.-
Non seppe dire perché disse un altro nome e non il suo. Forse si rese conto che non c’era motivo di dire Emilie. E perché poi? Era morta. O almeno così tutti credevano. E se qualcuno l’avrebbe vista, dubitava che avrebbe capito che fosse lei.
Era giunto il momento di iniziare una nuova vita. Quella in cui lei era rinata. E non era più Emilie.
Era Livia. Solo Livia.
Lentamente l’idea di morire davvero affogata nel laghetto del parco svanì. Come nebbia.
Salutò calorosamente la coppia che se ne andò mano nella mano e senza saperlo le avevano dato più di quanto credevano. Una ragione per restare viva. O per non morire.
Si accoccolò su una panchina e chiuse gli occhi, con la speranza che magari il sonno, quel giorno, sarebbe arrivato. 
 

Fu un richiamo a destarla.
Non aveva dormito. Non essattamente almeno. Ma i suoi sensi erano come scesi in uno stato di ibernazione. E una luce strana, pura, li aveva infiammati.
Tutto attorno a lei era buio, silenzioso. Doveva essere notte fonda.
L’unica fonte d’illuminazione splendeva sopra la sua testa: la luna.
La osservò a lungo e dentro di lei sentì farsi largo un istinto primitivo con una forza incontrollabile. Non sapeva riconoscerlo, stava prendendo il sopravvento sul suo coprpo e sulla sua mente.
Infine un solo imperativo che risuonò nelle sue orecchie come una condanna e allo stesso tempo come un’assoluzione: uccidi.
E così fece, durante tutta la notte.
Si alimentò e acquisì forze che non credeva di volere ottenere.
Si liberò della sua vecchia volontà di controllarsi e cercare di sottomere ciò che era.
Fece spazio in sé alla sua brama di sangue, alla sua spietatezza nell’ottenerlo.
Si abbandonò completamente ai sensi, al fiuto della preda, al sentore delle vene pulsanti che sentiva sotto le mani nel momento in cui posava le dita bianche sul collo della vittima per prepararsi a mordere.
E godette nell’affondare i canini nella pelle e nella carotide, nell’assorbire la sua fonte di sostentamento.
Quella notte, con la luna piena, un nuovo vampiro era sorto.
Quella notte la vita passata fu affogata nel sangue di una nuova esistenza.

 

Infine, all’alba del giorno che seguì, Livia si pulì le labbra rosse delle ultime gocce e sorrise.
Qualunque cosa fosse diventata, l’accoglieva a braccia aperte.
Senza rimorso.
In fondo, perché averne? Il vampiro che era aveva sostituito un fantasma. Uno spettro. Che giaceva in una tomba.
Ora voleva solo trovare chi l’aveva trasformata. E forse, fargliela pagare.

 

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