Detective Conan World

di KiarettaScrittrice92
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Ti prego non ti sposare ***
Capitolo 2: *** Verso una nuova vita ***
Capitolo 3: *** Sorpresa di Tanabata ***
Capitolo 4: *** La maledizione delle donne ***
Capitolo 5: *** Ran e Sonoko nella leggenda ***
Capitolo 6: *** Senza di lei ***
Capitolo 7: *** Un bacio rubato ***
Capitolo 8: *** Mi concedi questo ballo? ***
Capitolo 9: *** Il principe misterioso ***
Capitolo 10: *** Chakemate ***
Capitolo 11: *** Perché mi fai questo? ***
Capitolo 12: *** Run Ran ***
Capitolo 13: *** Segno scarlatto ***
Capitolo 14: *** Mi hai rubato il cuore ***
Capitolo 15: *** Allenamenti extra ***
Capitolo 16: *** Ci sarò sempre ***
Capitolo 17: *** Cristalli ***
Capitolo 18: *** Il detective e il ladro ***
Capitolo 19: *** Un ottimo piano B ***
Capitolo 20: *** Attrazione pericolosa ***
Capitolo 21: *** First Lesson ***
Capitolo 22: *** Little Nekomata ***
Capitolo 23: *** Passione segreta ***



Capitolo 1
*** Ti prego non ti sposare ***


Ti prego non ti sposare

 

«Come sarebbe a dire che non puoi? – urlò furioso il ragazzo – Ho aspettato dieci maledettissimi anni che arrivasse questo momento, e ora mi dici che non puoi?»
«Te l’ho spiegato! È impossibile: è passato troppo tempo dall’assunzione della pillola, non farebbe alcun effetto, non quello che ho fatto finora.» rispose la ragazza di fronte a lui con aria dispiaciuta.
«Ma domani Ran si sposa! Non posso lasciarglielo fare!» urlò ancora.
«Shinichi mi dispiace…» cercò di dire, mentre il ragazzo sospirava rumorosamente.
«È inutile che mi chiami Shinichi… Rimarrò Conan a vita, no? Tanto vale che me ne faccia una ragione…» disse, la sua voce all’improvviso era diventata triste.
Senza rivolgere neanche un saluto alla ragazza si voltò e uscì da casa del dottor Agasa, lasciandola da sola. Era inutile sperare che si rassegnasse all’idea di perdere Ran, quella donna dai capelli bruni e gli occhi color del cielo mattutino era ormai nel cuore di quel ragazzo da anni e lei non avrebbe mai potuto sostituirla.
Eppure non poteva vederlo in quel modo: non avrebbe sopportato di vedere il suo Shinichi in quello stato per tutta la vita, nel vedere la donna della sua vita con un altro. Lei avrebbe potuto vivere con quel dolore, l’aveva sempre fatto, ma lui no. Cosa poteva fare per non farlo più soffrire?
 

Entrò in casa sua, non sapeva perché l’aveva fatto, forse per far finta che quei dieci anni non fossero passati, che lui aveva diciassette anni per la prima volta. Si buttò sul divano e vide la spia rossa della segreteria lampeggiare. Premette il tasto per sentire la registrazione e subito il suo cuore si fermò nel sentire quella voce: singhiozzava, stava singhiozzando mentre diceva quelle parole.
«Shinichi… è la tua ultima occasione… Ti prego maledizione rispondi… Io domani mi sposo… Se quello che mi hai detto a Londra dieci anni fa vale ancora qualcosa allora chiamami…»
Il ragazzo si schiaffò il cuscino sulla faccia infuriato e lanciò un urlo, che risultò ovattato dalla stoffa del cuscino.
Come poteva chiamarla? Era già da qualche anno che non la poteva più chiamare, la voce dello Shinichi adulto doveva essere diversa da quella dello Shinichi diciassettenne e, non sapendo in che modo sarebbe cambiata la voce, non poteva usare il farfallino. Oltretutto il giorno prima aveva fatto l’errore più grande della sua vita, mandandole un messaggio di congratulazioni per il suo matrimonio. Ma cos’altro avrebbe potuto fare? Dirle di non sposarsi? Dirle che per dieci anni le aveva mentito su tutto? Cinque anni prima, quando l’organizzazione fu sconfitta era stato sul punto di dirglielo, ma la paura di perderla per sempre l’aveva bloccato, ma ora la stava perdendo lo stesso. Cosa doveva fare?
Ad un tratto il cellulare nella sua tasca squillò, lesse il nome sul display e di nuovo tornò quella sensazione di disagio. Premette il tasto verde e rispose:
«Ran-neechan hai bisogno di qualcosa?»
«Conan-kun sei in ritardo!» sbraitò invece Sonoko dall’altro capo del telefono.
«Oh cavolo! Arrivo subito!» esclamò, per poi chiudere la chiamata e uscire di corsa da villa Kudo, per poi fiondarsi a casa di Sonoko.
Arrivò lì col fiato corto, suonando il campanello, subito dopo una bella donna con i lunghi capelli biondi che le cadevano sulla spalla gli andò ad aprire. Era assurdo quanto Sonoko fosse diventata davvero bella crescendo, niente però al confronto della sua migliore amica.
Il ragazzo ebbe appena il tempo di entrare all’ingresso di casa che la vide. Era splendida: quel vestito di raso bianco aderente al corpo perfetto che si allargava sui fianchi, le spalline di pizzo stavano in orizzontale coprendole l'avambraccio, le scarpe col tacco la rendevano leggermente più alta. Il viso stupendo e ormai maturo da donna perfettamente truccato era semi nascosto dal velo, retto sulla testa da una coroncina in argento.
«Come sto?» chiese mentre le sue guance s’imporporavano.
«Sei stupenda!» rispose lui senza riuscire a dire altro.
«Bene, allora è tutto pronto! Ran cambiati così conserviamo tutto. Conan posso parlarti?» disse Sonoko tutto d’un fiato, trascinando il ragazzo in un’altra stanza.
«Mi dici che intenzioni hai? Se non fai qualcosa la perderai per sempre!» disse non appena furono soli; era da un sacco che Sonoko sapeva, dalla sua ultima trasformazione sei anni prima: l’aveva visto tornare Conan e lui le aveva fatto giurare di non dire nulla a Ran.
«Cosa dovrei fare? Non posso dirle la verità, la perderei comunque. Almeno in questo modo rimarrò sempre vicino a lei senza che mi odi.»
«Non odierà Conan, ma odierà comunque Shinichi! E poi vuoi dirmi che sopporterai di vederla tra le braccia di Ryan per tutta la vita? – lui rimase zitto, non sapendo assolutamente che rispondere – Ecco appunto… Ascolta io ho giurato di non dire niente e non mancherò al mio giuramento, ma non permettere che il primo belloccio venuto dall’America ti rubi sotto il naso la ragazza della tua vita. Te ne pentirai per tutta la tua esistenza!» concluse per poi andarsene e lasciarlo da solo.


Il grande giorno arrivò in fretta, anche troppo in fretta per i gusti di Conan. Si era appena infilato la giacca blu scuro, perfettamente intonata coi pantaloni, ed inforcò gli occhiali: quei maledetti occhiali che celavano la sua identità, sospirando esasperato. Sarebbe riuscito a fingere così tanto? Sarebbe riuscito ad essere felice in un giorno del genere? Scosse la testa. Doveva essere felice, doveva esserlo per Ran. Con uno sforzo immane tirò su i due angoli della bocca e uscì dalla sua stanza.
Ad aspettarlo fuori c’era Yukiko che, come a voler aumentare la sua frustrazione, lo guardava con uno sguardo rassicurante e quasi di compassione.
«Come stai?» gli chiese aggiustandogli il colletto della camicia.
«Benissimo mamma! E ora andiamo che siamo in ritardo.» rispose lui con tono scontroso, per poi allontanarsi dalla donna.


Tutti gli invitati e lo sposo erano davanti alla chiesa ad attendere di entrare poco prima dell’arrivo della sposa. Ancora mancava una buona mezz’ora all’inizio della cerimonia perciò erano tutti fuori a godersi quella bella giornata di sole.
«Conan che ti prende?» chiese Ayumi rivolgendosi all’amico.
Lui alzò lo sguardo. Era bellissima: il vestito rosa confetto le fasciava solo l’indispensabile del suo bel corpo da adolescente.
«Niente Ayumi…» rispose tornando poi a guardare il vuoto.
Non passò che qualche minuto che la voce di Ayumi lo distolse nuovamente dalla sua depressione solitaria.
«Ai ma come diavolo…?»
Il ragazzo rialzò lo sguardo. Davanti a lui c’era Ai, ma non era vestita per il matrimonio, anzi indossava un paio di jeans e una camicetta abbottonata male, come se si fosse vestita di corsa; i capelli erano spettinati e i suoi occhi verdi erano marcati da un paio di occhiaie.
«Ai che cavolo è successo?» chiese sconvolto, ma lei, senza fiatare, lo prese per il braccio e lo trascinò lontano dalla folla.
Solamente quando furono lontani la ragazza aprì la mano che non gli teneva il braccio, mostrando una capsula bianca.
«Questa è tua… Ci ho passato tutta la notte e tutta stamattina per crearla, ma ora credo che sia pronta.»
Il ragazzo rimase con la bocca spalancata e gli occhi sgranati per qualche secondo guardando quella piccola pillola, poi spostò lo sguardo sulla ragazza che gli stava sorridendo. Preso da un moto di gioia l’abbracciò con foga.
«Grazie, grazie, grazie!» disse senza trovare altre parole.
«Sì, sì, prego! – disse lei staccandosi dall’abbraccio – E ora muoviti! In macchina c’è il dottor Agasa con l’acqua e un nuovo abito. Vai, torna adulto e riprenderti la tua Ran!»
«So esattamente cosa fare! Grazie mille davvero… Non saprò mai come ringraziarti.» concluse poi, correndo verso il maggiolone giallo del dottor Agasa parcheggiato lontano da occhi indiscreti.
La ragazza tirò un sorriso: non serviva ringraziarla, bastava rivedere la gioia nei suoi occhi, quello era il regalo migliore.


La cerimonia era iniziata da poco. Ran era entrata già da più di qualche minuto in chiesa accompagnata da un elegantissimo Kogoro e dalla classica marcia nuziale. Quando arrivò la fatidica domanda.
«Se c’è qualcuno contrario a questo matrimonio parli ora o taccia per sempre.» disse il reverendo.
Proprio in quel momento la voce di un uomo echeggiò nella chiesa: proveniva dagli alto parlanti e tutti i presenti, compresi gli sposi, iniziarono a guardarsi intorno per capire chi fosse a parlare.
«Pensi davvero che avrei smesso di amarti Ran? Io non posso vivere neanche un giorno senza di te. Conoscerti e starti vicino è stata la cosa più bella che potesse capitarmi. Ti ho vista ridere, ti ho vista piangere, ti ho vista infuriarti, ti ho vista scherzare. E sai qual è la cosa migliore di tutto questo? Che mi piaci proprio così come sei. Mi piaci perché sei sensibile e sai capire al volo le persone. Mi piaci perché sei combattiva, ma come tutti soffri. Mi piaci perché faresti di tutto per la gente che ami. E io ho fatto l’errore più grande della mia vita ad allontanarmi da te.»
Ran aveva già le lacrime agli occhi, e continuava a guardarsi intorno, poi ad un tratto lo vide uscire da una porta laterale in fondo alla chiesa e avvicinarsi lentamente all’altare dove si trovavano lei e Ryan. Sembrava un’altra persona: lei si ricordava il ragazzo sveglio e aitante, ma ad avvicinarsi a lei era un uomo con un accenno di baffi scuri sotto il naso, eppure non avrebbe mai potuto confondere quegli occhi azzurri come l’oceano con quelli di nessun altro.
«Lo so che non è il momento adatto per chiedertelo, ma lo farò comunque, in modo che tutti ne siano testimoni.» disse tenendo il microfono in mano e continuando a camminare.
Appena fu davanti a lei s’inginocchio e proseguì.
«Ran Mouri vuoi sposarmi?»
A quelle parole i parenti dello sposo e il parroco rimasero basiti e sconvolti, mentre tutti gli invitati da parte di Ran esplosero in un fragoroso applauso, mentre Ran, continuando a piangere, senza riuscire a fermare le lacrime fece sì con la testa.

 

Angolo dell'autore:
28/01/14

È vero, l'idea mi è venuta guardando un pezzo dell'OAV "10 anni dopo", ma vi assicuro che non volevo assolutamente copiarlo.
Oltretutto questa è la mia prima vera one-shot quindi vi prego non scannatemi XD
Spero davvero vi piaccia, perché ci ho messo tanto impegno ^^
Un bacione da me e dal mio onii-san Kaito ;)
KiarettaKid

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Capitolo 2
*** Verso una nuova vita ***


Verso una nuova vita

«Takagi, mi stai ascoltando sì o no?» chiese nervoso l’ispettore Megure, facendolo riscuotere dai suoi pensieri.
«Sì scusi ispettore, oggi proprio non è giornata.» rispose passandosi una mano sulla faccia esasperato.
«Ascolta Takagi, so che sei nervoso, ti posso capire. Risolvi questa faccenda e potrai avere il resto della giornata libera, ok?» lo rassicurò Megure dandogli una pacca sulla spalla.
«Sarà fatto ispettore!» rispose mettendosi sull’attenti  e uscendo dall’ufficio.

 

L’auto rallentò proprio davanti alla banca, di fronte alla porta di vetro scorrevole c’erano due uomini che discutevano animatamente: uno vestito elegantemente e l’altro con un abbagliamento spartano, vicino a loro dei poliziotti in divisa che cercavano di calmare le acque. Takagi scese dalla sua vettura e si avvicinò al gruppo.
«Signori posso sapere che accade?» chiese.
«Accade che questo farabutto ha rapinato la mia banca questa notte!» sbraitò l’uomo elegante puntando il dito contro l’altro.
«Le ho detto che non è vero!» rispose esasperato l’accusato.
«Un momento, uno alla volta signori. – fece Takagi, nel tentativo di calmare i due uomini, che sembravano quasi pronti ad arrivare alle mani – Signore se si tratta di rapina perché ha chiamato la omicidi?» chiese al proprietario della banca.
«Perché la mia guardia giurata che stava davanti al caveau è stata uccisa.» rispose l’uomo ricomponendosi e sistemandosi la giacca.
«Bene, allora passiamo ai fatti. Lei è?» chiese ancora Takagi.
«Mi chiamo Toshiro Makuri e sono il proprietario di questa banca. Sta mattina quando sono venuto ad aprire ho trovato il caveau spalancato e senza più soldi e una delle mie migliori guardie morta. Ho chiamato subito la polizia e sono arrivati loro.» disse indicando i poliziotti in divisa.
Takagi perciò si rivolse ai suoi colleghi.
«Si sa qualcosa di come si sono svolti i fatti?»
«Assolutamente sì: il caveau non presenta segni di scassinamento, al contrario, molto probabilmente è stato aperto dall’interno, abbiamo infatti scoperto un tunnel che arriva proprio dentro di esso.»
«E quel tunnel conduce proprio a casa sua!» disse il proprietario puntando di nuovo il dito verso l’altro uomo.
«Ma io le ho detto che non ho fatto nulla!» protestò ancora quello, facendo sospirare, con tono quasi esasperato, Takagi.
«Signore si calmi. – disse rivolgendosi al proprietario, poi si voltò verso l’altro uomo – Lei è?»
«Mi chiamo Mozuni Funame. Le assicuro agente che non posso essere stato io, questa notte ero a casa di mia sorella, abbiamo festeggiato il suo compleanno e ho passato la notte lì, lei glielo potrà confermare.»
«Ma qualcuno ha scavato un tunnel da casa sua alla banca, com’è possibile?» chiese ancora Takagi.
«Non lo so!»
«Ha dato a qualcuno le sue chiavi di casa?»
«Ovviamente no! Però abito al piano terra, è anche possibile che siano entrati dalla finestra. Lascio sempre la finestra aperta la mattina prima di uscire per andare a lavoro.»
In quello stesso istante un martello pneumatico di un cantiere lì vicino iniziò a trivellare il cemento.
«Bene, – urlò Takagi per farsi sentire – gli agenti vi scorteranno dentro la banca, rimanete lì finché non ve lo dico. Dobbiamo risolvere questa faccenda!»
Dopo aver detto questo si chiuse in macchina. I doppi vetri della sua auto permettevano di aver un minimo di pace per le orecchie e il suono di quel maledetto martello pneumatico era ovattato, abbastanza basso da poter ragionare. Eppure non ebbe neanche il tempo di iniziare a pensare a qualcosa che gli arrivò un messaggio sul cellulare, prese l’apparecchio telefonico e lesse velocemente.
«Oh perfetto, ci mancava anche questa!» si lamentò ad alta voce.
Con uno sbuffo digitò un numero sulla tastiera e si avvicinò l’apparecchio all’orecchio.
«Pronto?» rispose una voce femminile dall’altra parte.
«Yumi, sei in centrale?»
«Sì Takagi, perché?»
«Puoi chiedere all'ispettore Megure se può trovare qualcuno che mi dia il cambio per il caso?»
«Oh andiamo Takagi, cosa direbbe Sato se fosse lì?» lo rimproverò lei.
«E proprio di Sato che mi preoccupo e in questo momento del caso non me ne frega molto.» brontolò invece Takagi.
«E invece ti sbagli! Sato vorrebbe che tu risolvessi il caso prima di raggiungerla. Ora scusami ma devo correre in ospedale!» disse per poi chiudere la chiamata.
«Certo, lei corre in ospedale e io sto qui senza sapere che fare.» sbuffò.
Rimase a rimuginare una decina di minuti, poi prese una decisione: sapeva che non era molto professionale, ma doveva sbrigarsi e, oltretutto, l’ispettore Megure lo faceva sempre.
Prese di nuovo il cellulare e digitò un altro numero.
«Pronto?» questa volta la voce era maschile.
«Ah Kudo, so che sei incasinato, tra i vari preparativi del matrimonio eccetera, ma avrei bisogno del tuo aiuto. Ho un caso strano da risolvere e lo devo fare in fretta.» spiegò velocemente l’agente.
«Fammi indovinare, sta arrivando?»
«Esatto! E non vorrei perdermelo.»
«Tranquillo, ti aiuto volentieri, anzi a dirti la verità mi stavo annoiando. Ran è da mezz’ora che continua ad assillarmi sul fatto che non sa decidere tra crema e panna per il colore delle tovaglie al ricevimento.»
Takagi fece una risata nervosa, era talmente teso che non riusciva neanche a ridere come si deve. Spiegò tutto ciò che aveva sentito fino a quel momento a Shinichi, che però come al solito rimase completamente zitto, anche dopo la fine del racconto, tanto che per un attimo Takagi pensò che fosse caduta la linea.
«Shinichi ci sei?» chiese.
«Sì scusa, stavo ragionando… Takagi ha mai letto l’avventura della lega dei capelli rossi?»
«La lega dei capelli rossi?»
«Esatto, è una delle avventure di Sherlock Holmes. Degli uomini avevano creato un gruppo chiamato “Lega dei capelli rossi” e avevano assunto un uomo che mostrava le caratteristiche per farne parte. Gli diedero un compito semplice e strano pagandolo una buona cifra, ma ad un tratto lo licenziano all’improvviso senza nessuna spiegazione reale. Alla fine Holmes scopre che durante l’assenza dell’uomo in casa, che impiegava a fare il lavoro datogli, il gruppo aveva organizzato una rapina partendo da casa sua.”
«Ma certo! – disse Takagi dandosi un colpo sulla testa – Il ladro era senz'altro qualcuno che conosceva le abitudini dell’inquilino e che quindi sapeva benissimo a che orario usciva e rientrava in casa!»
«Esatto, in questo modo avrebbe agito indisturbato.»
«Perfetto! Grazie Kudo, sei stato di grande aiuto.»
«Non c’è di che agente Takagi, quando vuole.» rispose il ragazzo per poi riattaccare.
Ora aveva il caso in pugno. Certo sarebbe stato difficile individuare il colpevole tra tutti i conoscenti dell’uomo, ma con un paio di ricerche ben mirate in centrale il problema si sarebbe potuto risolvere. 
Per l’ennesima volta l’agente dal completo grigio prese il cellulare e digitò un numero.
«Ah ispettore Megure, credo di essere arrivato alla soluzione del caso, ma ci vorrà più tempo del previsto, bisognerebbe intraprendere le pratiche d’indagine sui movimenti di certe persone.»
«Perfetto Takagi, sapevo di poter contare su di te! Manda una mail alla centrale coi nominativi e poi sei libero: ho saputo che devi sbrigarti.»
«Già, lo farò subito ispettore, arrivederci.»
«Ah Takagi…»
«Sì?»
«Congratulazioni!» disse Megure dall’altro lato della cornetta, facendolo arrossire.
«Grazie ispettore.»
Takagi chiuse la chiamata e inviò velocemente la mail, mentre si dirigeva dentro la banca. Appena vide uno dei suoi colleghi in divisa parlò.
«Il caso è sospeso, potete mandare entrambi a casa, le altre istruzioni fatevele dare dall’ispettore Megure, io sono in ritardo per un appuntamento.» snocciolò in fretta, poi corse di nuovo fuori e si fiondò in macchina.

 

Arrivò davanti alla porta bianca col fiato grosso e la faccia sudata, davanti ad essa c’era l’agente Yumi, ovviamente ancora in divisa.
«Sono in ritardo?» chiese a mezza voce.
«Sei arrivato appena in tempo!» sorrise la collega.
Da oltre la porta, si sentì un vagito e poco dopo un’altro, dopodiché un pianto inarrestabile. Il cuore di Takagi iniziò a martellare frenetico, ma si avvicinò alla porta e abbassò la maniglia per poi aprirla: ad accoglierlo ci fu un’infermiera col camice verde. 
«Lei è il padre?» chiese.
«Sì…»
«Prego entri, congratulazioni!» le sorrise.
Lui si avvicinò, sdraiata sul letto c’era la sua Miwako, con in braccio uno scricciolo avvolto in un’asciugamano bianca.
«Takagi, ho partorito io non tu, come diavolo sei messo?» chiese Sato con il suo solito tono ironico, ma lui non riusciva a parlare: aveva occhi solo per quel piccolo pargoletto tra le braccia della madre.
«È bellissima non è vero?» chiese di nuovo lei, questa volta con tono dolce.
«Bellissima?» chiese stupito lui guardando finalmente la moglie.
«Eh sì, lei è la nostra piccola Misaki… Fai ciao a papà Misaki?» disse prendendo la manina minuscola della figlia e muovendola su e giù.

Angolo dell'autore:
04/02/14
Questa fanfic la dedico a Chiara, che me l'ha chiesta con tanta insistenza ^^
Ammetto che non sono molto brava con la coppia in questione.
Insomma sebbene adori la coppia TakagixSato non riesco a trasmettere gli stessi sentimenti che trasmetto con la coppia ShinxRan.
Spero comunque che vi sia piaciuta
Un bacione da me e dal mio onii-san Kaito ;)
KiarettaKid

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Capitolo 3
*** Sorpresa di Tanabata ***


Sorpresa di Tanabata

Era il 7 Luglio, il giorno della festa di Tanabata. Ran aveva insistito che quell’anno facessero un albero di bambù anche a casa. Quella mattina perciò in un angoletto dell’agenzia Mouri c’era un piccolo albero di bambù, piantato nel suo bel vaso marrone e decorato di tanti cartoncini dai mille colori.
La ragazza aveva invitato tutti gli amici e parenti a festeggiare quella festa assieme, sapeva che quella casa era un po’ piccola per tutti quegli ospiti, ma per una volta voleva godersi quella giornata, senza andare a quelle sfavillanti fiere piene di gente in cui ti perdi e non sai che fare per la troppa folla. 
Tutti perciò avevano scritto il loro desiderio sul foglietto colorato, appendendolo all’albero. L’ultimo a sistemare il suo desiderio fu Genta, a cui cadde lo sguardo su un cartoncino rosa, firmato dalla sua piccola amica.

Ieri avrei scritto di voler riavere Conan tra noi, ma oggi voglio solo che tutti siano felici!

Il bambino robusto si avvicinò all’amica e gli chiese il motivo di quel cambio d’idea.
«Ma come? Hai letto il mio desiderio?» chiese Ayumi offesa.
«Sì, scusami… Non l’ho fatto apposta…» borbottò imbarazzato, facendola sorridere.
«Non importa, comunque non posso dirtelo, è un segreto mio e di Conan-kun.» disse lei facendo l’occhiolino all’amico.
«Uffa… Ho capito...» protestò con tono deluso Genta allontanandosi.
«Allora avete appeso tutti i vostri desideri per stanotte?» chiese poco dopo Ran entrando insieme a Sonoko, Kazuha e Amuro con dei vassoi pieni di stuzzichini e patatine, al seguito c’era Eri con due bottiglie di bibite e i bicchieri.
Solo i tre bambini risposero con un sonoro ed estasiato sì, mentre Ai e gli adulti guardavano divertiti la loro reazione.
La giornata passò veloce, tra chiacchiere, risate e giochi da tavolo e la sera arrivò altrettanto velocemente. Si affacciarono tutti alla grande vetrata dell’agenzia, un po’ pigiati per quanti erano. 
Il cielo limpido di quella sera di luglio permetteva di vedere tutte le stelle, comprese Altair e Vega, che quella sera erano luminose come non mai. Mentre erano tutti assorti ad ammirare quello spettacolo, come il resto della città, arrivò un messaggio al cellulare di Amuro: lesse veloce quella breve mail sul suo cellulare poi, rimettendoselo in tasca, si rivolse a tutti i presenti.
«È ora di festeggiare sul serio, che ne dite se andiamo al piano di sopra?» propose.
Prima di mettersi a guardare le stelle avevano infatti preparato un piccolo buffet post cena, per passare la notte di Tanabata insieme. Molti accettarono la proposta e iniziarono ad allontanarsi dalla vetrata.
«Ran, tu non vieni?» chiese Sonoko, vedendo l’amica che non voleva muoversi da lì.
«Sì sì, andate, vi raggiungo subito, voglio solo stare un po’ da sola.» disse quasi con un sussurro.
Amuro a quella frase sorrise, era proprio la reazione che si aspettava; anche Ai e Ayumi si guardarono con aria complice. 
Salirono tutti, tranne loro tre, che appena usciti dalla porta d’ingresso dell’agenzia si fermarono alle scale, per vedere scomparire gli amici oltre la porta di casa Mouri. Quando anche l’ultimo degli invitati di Ran fu in casa, Amuro scese velocemente le scale, per poi mettere la testa fuori in strada: sul lato destro dell’ingresso all’agenzia c’era un ragazzo dai capelli castani che appena vide il ventenne lo salutò con un sorriso, per poi risalire le scale con lui.
Ayumi aspettò di vedere il ragazzo apparire all’uscio della porta, appena lo vide lo salutò con un sorriso dolcissimo, muovendo la mano e senza fiatare, lui ricambiò, facendole poi l’occhiolino. Dopo quel breve saluto Ai, Ayumi e Amuro proseguirono verso il terzo piano, raggiungendo gli altri, mentre il ragazzo aprì lentamente e senza fare rumore la porta dell’agenzia.
Ran era ancora affacciata, l’aria fresca le accarezzava il viso e muoveva leggermente i suoi lunghi capelli castani: era talmente assorta nei suoi pensieri che non si accorse che qualcuno si era affacciato vicino a lei ad ammirare le stelle.
«Finalmente Altair e Vega sono di nuovo assieme…» disse, facendola voltare di scatto non appena riconobbe la sua voce. 
Quel sorriso divertito per la sorpresa riuscita, quei capelli ribelli e castani, quegli occhi azzurri come l’oceano.
«Shi… Shinichi…!» lui per tutta risposta, aumentò l’estensione del suo sorriso.
Ran senza più parole, buttò le braccia al collo del ragazzo, scoppiando a piangere. Shinichi non disse nulla, rimase in silenzio, ricambiando solo quel disperato abbraccio, cingendola con le braccia. Aspettò che Ran, da sola, smettesse di sfogare tutta quella disperazione e tristezza che aveva accumulato in quell’anno.
Solo quando lei si staccò da quell’abbraccio e si asciugò le lacrime che ancora le rigavano il viso, le rivolse la parola.
«Scusami. Scusa per quello che ti ho fatto passare… Ma ti prometto che da ora in poi non me ne andrò più.»
A quella frase la ragazza non diede una risposta: semplicemente lo guardò per qualche secondo, con quegli occhi violetti e l’espressione seria; poi si allontanò da lui dirigendosi verso il piccolo albero di bambù e togliendo da esso un foglietto rosso.
Solo allora tornò alla finestra, con quel desiderio in mano.
Shinichi ebbe appena il tempo di leggere la frase scritta sul quel cartoncino che Ran lo lanciò fuori dalla finestra, lasciandolo in balia del leggero vento di quella sera, che lo fece volare solo un po’ più in là, facendolo atterrare sotto la luce gialla di un lampione.
Dopodiché si voltò di nuovo verso di lui e, sempre con quello sguardo serio, gli prese il viso tra le mani e lo baciò.

Vorrei solo rivedere il “mio” Altair, per potergli dire ciò che provo.
Ran


Angolo dell'autore:
25/02/14
Mi chiedo da quanto tempo questa one-shot era sopita nella mia testa, senza avere la possibilità di uscire.
Devo ringraziare la pagina di FaceBook "L'universo di Detective Conan" che grazie al suo concorso "La domenica delle leggende" è riuscita a farmela scrivere.
Spero di continuare a partecipare a questo concorso in modo che io possa darvi altre chicche del genere ^^
Un bacione da me e dal mio onii-san Kaito ;)
KiarettaKid

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Capitolo 4
*** La maledizione delle donne ***


La maledizione delle donne

«Non c’è nessuna maledizione di Kuchisake, qui si tratta di omicidio!» disse la ragazzina con aria convinta guardando intensamente quell’impaurito ispettore.
«Come scusa?» chiese l’uomo, sbattendo le palpebre con aria stupita, scaturita dall’affermazione fatta da quella ragazza dall’aria impertinente.
«Ho detto che non si tratta di una maledizione, tutti gli elementi fanno pensare ad un omicidio e il colpevole è ancora in questo giardino.»
Tutte le persone che si trovavano lì trattennero il fiato a quelle parole. Solo dopo qualche secondo qualcuno prese il coraggio e sbuffando parlò.
«Tsè… Ispettore, perché dovrebbe dare retta a questa mocciosa!» a quelle parole la ragazza lo linciò con lo sguardo, uno sguardo tremendamente serio, che metteva in soggezione.
«La verità viene sempre a galla, caro ispettore, e in questo caso è chiara come il sole. – disse la ragazzina tornando a rivolgersi al capo della polizia – L’assassino ha approfittato della leggenda di Kuchisake per commettere il suo crimine e va punito come deve.»
L’uomo ingoiò un po’ di saliva: quella ragazzina metteva davvero i brividi, era la prima volta che la vedeva, eppure avrebbe giurato che aveva qualcosa di familiare.
«Sentiamo, come la pensi tu?» chiese l’ispettore.
«Io non penso, io osservo e quindi so… L’assassino ha bussato alla porta con il coltello già in mano e quando la vittima ha aperto la porta è stata pugnalata immediatamente, dopodiché l’assassino le ha fatto quelle ferite sulle guance per far ricadere la colpa sulla maledizione.»
«E questo spiegherebbe le tracce di sangue schizzate all’ingresso e il ritrovamento del corpo della vittima sullo zerbino della porta, ma come fai a sapere che l’assassino è uno di loro?» chiese ancora l’ispettore indicando con un gesto della mano le altre tre persone che c’erano oltre a loro due.
«Perché è un dato di fatto, ispettore. – continuò lei – Non le pare strano che la vittima abbia ancora le scarpe, pur essendo in casa? Questo vuol dire che era appena tornata. I qui presenti, la sorella e i due amici, hanno affermato di essere usciti con la vittima questo pomeriggio, ciò vuol dire che qualcuno deve aver accompagnato l’uomo a casa, e poi bussando nuovamente alla porta ha ucciso la vittima.
«Perciò ci basterà sapere chi ha riaccompagnato a casa il signor Nishima e avremmo scoperto l’assassino! – esclamò entusiasta l’ispettore, per poi rivolgersi alle tre persone – Allora chi ha accompagnato il signore a casa?»
I tre si guardarono sbigottiti, come se cercassero di capire cosa stesse chiedendo l’ispettore, poi scoppiarono tutti e tre a ridere, chi con un riso più forzato, chi proprio di gusto.
«Ispettore, sta scherzando spero. – rispose l’uomo che aveva parlato all’inizio – Nishima non si farebbe mai accompagnare a casa da uno di noi, lui vuole sempre passeggiare da solo fino a casa dopo un’uscita insieme. Le avevo detto che non doveva dare retta a questa ragazzina.»
Ad un tratto qualcuno sbucò dal retro del giardino.
«No,  Asumi non ha sbagliato!» a quella frase tutti si voltarono verso il nuovo arrivato e la ragazzina sorrise nel vederlo.
Era un uomo alto e slanciato, lo stesso sguardo deciso della ragazza, si avvicinò a loro con passo tranquillo e sicuro, le mani nelle tasche dei pantaloni, quando arrivò vicino al gruppetto riprese a parlare.
«L’assassino è davvero venuto fino a qui ed ha bussato alla porta del signor Nishima per poi pugnalarlo all’ingresso, ed è anche uno di voi tre, ma i fatti non sono andati esattamente nel modo in cui ha descritto lei.» concluse poggiando una mano sulla spalla della ragazza che lo guardò un po’ delusa.
«Le abbiamo già detto che nessuno lo ha accompagnato a casa!» sbraitò l’uomo stufo di tutta quella che a lui sembrava una pagliacciata.
«Infatti, ho detto che non è andata esattamente come ha spiegato lei.» rispose lui con tono severo.
«Ma allora come si spiega la cosa delle scarpe?» chiese l’ispettore stupito dall’arrivo dell’uomo.
«Semplice, ispettore Yamamura, qualcuno gli aveva dato appuntamento e gli aveva detto che sarebbe passato a prenderlo a casa,  e così è stato.»
«Oh beh, questo spiegherebbe tutto. – disse l’ispettore mettendosi una mano sotto il mento e fingendosi pensieroso – Ma chi sarebbe l’assassino, e come hai fatto a capirlo.»
«In questo caso devo ammettere che ho avuto un po’ di fortuna.» disse l’uomo con un tono mite della voce.
«Fortuna?» chiese l’ispettore.
«Esatto. Io penso che l’assassino abbia dato appuntamento al signor Nishima con un biglietto, scrivendogli l’ora in cui sarebbe passato a prenderlo. Ovviamente quel biglietto doveva sparire, altrimenti avrebbe potuto essere una prova schiacciante. Per questo motivo l’assassino, fingendosi addolorato alla vista del corpo senza vita della vittima, si è chinato su di essa e ha sottratto quel foglio dalla sua tasca della giacca. Altrimenti non si spiegherebbe perché in questo momento quella destra è più allargata della sinistra.»
Tutte le persone presenti nel giardino si voltarono verso l’unica donna, oltre alla ragazzina, presente.
«Non ha le prove… Sono… sono tutte ipotesi…» balbettò la donna, che ancora aveva le lacrime agli occhi.
«Ha ragione, sono solo ipotesi, – rispose con un sorriso tranquillo l’uomo – forse per dimostrarci che sono ipotesi infondate potrebbe mostrarci cosa stringe convulsamente dentro la tasca dei suoi jeans.»
La donna si guardò la mano sinistra, che era infilata nella tasca dei jeans, ed era stretta a pugno, poi rialzò lo sguardo lentamente e l’ispettore capii che c’era qualcosa che non andava.
«Signorina, la prego di mostrarci il contenuto della sua tasca.» disse avvicinandosi e mostrando il palmo della mano rivolto verso l’alto in attesa di ricevere qualcosa.
«È vero, sono stata io. – sospirò la donna, tirando fuori un pezzo di carta stropicciato e porgendolo all’ispettore Yamamura – Aveva minacciato di rovinarmi la carriera da imprenditore se non gli avessi dato tutti i soldi dell’eredità di nostro padre, diceva che a me non sarebbero serviti, visto che il lavoro andava bene.» dopodiché scoppiò a piangere buttandosi a terra.
Solo in quel momento due poliziotti si avvicinarono a lei e dopo averle messo le manette la accompagnarono alla volante, mentre l’ispettore Yamamura si avvicinò all’uomo che aveva risolto il caso.
«Grazie mille dell’aiuto Shinichi, questa storia m’inquietava parecchio.»
«Ispettore Yamamura, dovrebbe imparare che le leggende sono leggende e la realtà non si basa mai su di esse.»
«Hai ragione. – disse, poi posò lo sguardo sulla ragazzina – E lei?»
«Ah già, quasi dimenticavo... Ispettore Yamamura, le presento mia figlia Asumi Kudo.»
«Ovviamente… – disse con un sorriso l’uomo, riconoscendo finalmente gli occhi azzurri e decisi della ragazzina in quelli dell’uomo di fianco a lei – Hai del talento piccola.» proseguì lui facendole un complimento.
«Lo so benissimo!» disse gonfiando il petto con aria altezzosa.

 

Angolo dell'autore:
06/03/14
Ecco qui un'altra one-shot per tutti i miei lettori. Anche questa parteciperà al concorso "La domenica delle leggede", che la volta scorsa ho vinto ^^
Ovviamente il collegamento è alla leggenda di Kuchisake, e mi dispiace solo che sia così piccolo, ma questa volta davvero non avevo idee in testa.
Spero comunque che vi piaccia ^^
Un bacione da me e dal mio onii-san Kaito ;)
KiarettaKid

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Capitolo 5
*** Ran e Sonoko nella leggenda ***


Ran e Sonoko nella leggenda


I due bambini andarono insieme dalla madre, mano nella mano. 
«Mamma, ci racconti la leggenda di Tsuki e Ohoshi?» chiese la femminuccia con quegli occhioni che imploravano e facevano intenerire sempre la madre. 
«Di nuovo?» chiese divertita la donna, che aveva raccontato ai due bambini quella leggenda, proprio il giorno prima. 
«È bella!» esclamò il bambino convinto, supportando la sorella. 
«E se invece vi raccontassi un’altra versione di quella leggenda?» chiese la madre sedendosi a terra, in modo che fosse alla stessa altezza dei suoi bellissimi figli. 
«Esiste un’altra versione?» chiese la femminuccia più piccola, che aveva la stessa pelle scura e gli stessi capelli castani del padre. 
La madre la avvicinò a sé mettendosela in braccio, mentre il bambino si sedette di fianco a loro. 
«È successo a me e a Ran...»
«Ran-neechan ti ha rinchiuso in una bara di pietra?» chiese sconvolta la bimba, facendo scoppiare a ridere la madre.
«No tesoro, – disse la donna dopo essersi ripresa dalla risata – ma se non fosse stato per lei non sarei qui a raccontarvelo.»
«Dai racconta!» disse eccitato il maschio mettendosi le manine sotto il mento e poggiando i gomiti sulle gambe. 
«Eravamo in un viaggio in crociera insieme a tutti e per passare il tempo abbiamo deciso di giocare a nascondino; a me era toccato contare assieme ad un’altra persona e dopo aver finito di farlo ci siamo divisi per cercare tutti. Non ci mettemmo molto a trovare tutti, ma ovviamente la più difficile fu Ran.»
«Ran-neechan gioca bene a nascondino!» disse decisa la bimba che conosceva le doti di Ran quando giocava con loro. 
«Parecchio brava, e lo era fin da piccola, – disse con un sorriso la madre – così per cercarla l’altra persona ed io ci siamo divise, ma successe un imprevisto. Quando andai nella stiva delle scialuppe qualcuno mi colpì alla testa e persi i sensi.»
«Ti voleva fare del male?» chiese il bambino sempre più curioso. 
«Non credo, semplicemente ero nel posto sbagliato al momento sbagliato. Comunque, quando ripresi i sensi mi ritrovai rinchiusa in un posto lungo e stretto.»
La bambina in braccio a Sonoko trattene il respiro e poi parlò. 
«La bara di pietra…»
«Esatto, era una cassa di metallo che si tiene nelle navi da crociera dove ci si mettono le persone morte.»
«Perciò Ran ti è venuta a salvare?»
«Sono venuti tutti in realtà, mi chiamarono attraverso una ricetrasmittente e gli dissi dove mi trovavo, ovviamente non sapevo in che luogo ero, gli dissi soltanto che avevo freddo e che mi trovavo in una scatola lunga e stretta. Per fortuna mi trovarono in tempo.»
«Wow che storia!» disse entusiasta il bambino, mentre i suoi occhi verdi come quelli della madre si illuminavano. 
«Ran rimase tutto il tempo vicino a me, finché non mi ripresi del tutto.»
«Proprio come Tsuki e Ohoshi.» sorrise felice la bambina.

 

Angolo dell'autore:
14/03/14
Eccomi di nuovo qui con un altra fanfic per la domenica delle leggende.
Per chi fosse interessato, la scorsa settimana sono arrivata seconda.
Ma la ff arrivata prima era stupenda e commovente e consiglio a tutti di andarla a leggere.
Spero che anche questa vi piaccia ^^
Un bacione da me e dal mio onii-san Kaito ;)
KiarettaKid

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Capitolo 6
*** Senza di lei ***


Senza di lei


Shinichi era chinato sui quei documenti, che raccontavano dettagliatamente uno dei tanti casi che aveva tra le mani. Stava seduto sulla sua comoda poltrona girevole davanti alla scrivania in mogano del suo ufficio: era talmente concentrato su quei documenti che non si accorse che la sua segretaria era entrata e l’aveva chiamato.
«Signor Kudo!» ripeté la donna.
«Dimmi Kasumi…» rispose finalmente senza però alzare lo sguardo dai quei documenti.
«Gli appuntamenti di oggi sono finiti, quindi pensavo…»
«Puoi andare a casa, allora.» disse senza farla finire.
La donna un po’ delusa, diede le spalle alla scrivania e uscì dall’ufficio, solo in quel momento lui alzò lo sguardo verso la bellissima donna che stava uscendo. Sorrise pensando che era fortunato ad avere una segretaria così efficiente, attraente e allo stesso tempo sensibile come lei.
Erano ormai tre anni che lavorava assieme a lui e, fin dall’inizio, lei aveva provato a fargli delle avance molto sentite. Lui avrebbe ricambiato volentieri quell’amore sincero, non fosse per il fatto che nel suo cuore c’era solo una persona.
Ad un tratto, mentre faceva quei pensieri, dalla radio accesa nel suo ufficio partì una delle tante canzoni che trasmettevano nella stazione, era una canzone italiana.

Io come un albero nudo senza te,
senza foglie radici ormai.
Abbandonata così,
per rinascere mi servi qui.

Rimase ad ascoltarla: attirato da quelle prime parole e da quella melodia malinconica. Rimase ad ascoltarla: impotente, sconvolto. Quella canzone l’aveva colpito.

E mi manchi amore mio,
tu mi manchi come quando cerco Dio,
e in assenza di te
io ti vorrei per dirti che
tu mi manchi amore mio,
il dolore è forte come un lungo addio,
e l’assenza di te
è un vuoto dentro me.

Strinse i pugni innervosito da quanto facevano male quelle parole, mentre l’immagine di quella ragazza stupenda, dagli occhi violetti e i lunghi capelli castani, inondò la sua mente senza lasciare possibilità di fuggire da quei pensieri. Rivide i momenti migliori che aveva vissuto con lei.

E mi manchi amore mio,
così tanto che vorrei seguirti anch’io
e in assenza di te
il vuoto è dentro me.

Il suo viso sporco di sangue, si piantò di nuovo nei suoi pensieri per l’ennesima volta. Erano passati tantissimi anni, troppi ormai, eppure quell’immagine era talmente vivida nei suoi pensieri da sembrare reale.

Grido il bisogno di te,
perché non c’è più vita in me.

Una lacrima gli rigò il viso, una sola, che cadde sul documento che pochi minuti prima stava osservando, creando un piccolo cerchio più scuro sul foglio di carta.
Quando la canzone era ormai alle ultime note si alzò deciso dalla scrivania, raccolse tutti i documenti e li ripose nel cassetto per poi chiuderlo a chiave. Dopodiché afferrò la giacca dall’appendiabiti e uscì dal suo ufficio.
L’aria fredda di quel pomeriggio gli investì il viso, ma non se ne curò. Salì in macchina e mise in moto. Per tutto il tragitto quella maledetta immagine che avrebbe voluto dimenticare per sempre rimaneva fissa davanti a lui.
I soliti pensieri lo pervasero, quel senso di colpa che lasciava un macigno sul cuore. Era colpa sua, era solo colpa sua se non c’era più: non l’aveva saputa proteggere ed era solo colpa sua.
«Non meriti di stare a questa veglia! Se mia figlia non c’è più è colpa tua!» gli aveva urlato Kogoro Mouri il giorno della veglia funebre e quelle parole continuavano a tormentarlo, perché era vero, era solo colpa sua.
Arrivò a destinazione e sistemò la macchina nell’immenso parcheggio semivuoto.
Con movimenti veloci e quasi nervosi si avvicinò al cancello, aprendolo con la mano destra, per poi iniziare a percorre i vialetti del cimitero, con passo spedito. Sapeva benissimo dove andare, ormai quella lapide l’avrebbe trovata ad occhi chiusi in quell’immenso giardino di pietre.
Arrivato a destinazione si buttò in ginocchio davanti alla lapide in marmo bianco.
«Perdonami Ran… Perdonami… Lo so, dovrei andare avanti… Dovrei accettare gli inviti di Kasumi, voltare pagina… Ma non ci riesco… In fondo Takahama non ha mai tradito Akiko, giusto?»
La sua voce iniziò a tremare e, come un moto di sfogo, tirò un pugno a terra.
«Mi manchi Ran… Sono passati dieci anni… ma continui a mancarmi…»
Alzò lo sguardo e vide il suo viso sorridergli. Quella foto rappresentava la vera essenza del sua Ran: era la foto di quando indossava il costume di scena della recita scolastica.

Qui giace Ran Mouri, grande combattente e dolce ragazza.

La sua principessa. Il suo unico amore.

 

Angolo dell'autore:
20/03/14
Lo so è tristissima... Però ogni tanto è giusto cambiare genere, non posso fare sempre la romanticona sdolcinata no?
Anche questa parteciperà alla domenica delle leggende e, per chi fosse interessato, la scorsa settimana ho nuovamente vinto il concorso ^^
Spero che comunque la ff vi sia piaciuta, e magari vi abbia fatto uscire qualche lacrimuccia, dato che io ne ho buttate giù tantissime scrivendola...
Un bacione da me e dal mio onii-san Kaito ;)
KiarettaKid

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Capitolo 7
*** Un bacio rubato ***


Un bacio rubato
 

«Sul serio Shinichi, dovremmo studiare!» disse Ran esasperata, continuando a guardare il ragazzo che, con aria tranquilla, stava sfogliando un libro dopo l’altro, per poi rimetterli nella libreria.
«Ran, sei davvero una noia quando fai così, lo sai?» sbuffò lui, posando un altro libro.
«Ma insomma è da venti minuti che sei lì a fare niente, mi dici cosa diavolo cerchi?» rispose scocciata la ragazza.
Shinichi non rispose, poi tutt’a un tratto esclamò soddisfatto.
«Trovato!»
«Cosa?» chiese Ran, che a quel punto si era incuriosita.
«Il vecchio libro di matematica di mio padre...»
«A che ti serve?» chiese con aria dubbiosa la ragazza.
«Poi vedrai... Andiamo nello studio e iniziamo a metterci sotto!» disse il ragazzo entusiasta.
Ran con un po’ di difficoltà prese tutti i libri che servivano loro per studiare: una pila di sette libri che le arrivava fino al viso, coprendoglielo.
Il ragazzo sbuffò.
«Dammi qua...» disse per poi prendere i libri dalle braccia della ragazza e porgerle solo il libro che aveva preso dalla libreria.
«Ma Shinichi, riuscivo a portarli!» protestò lei seguendo il ragazzo verso lo studio.
«Eh Ran, basta... Possibile che ti lagni per ogni cosa? Fammi fare il cavaliere ogni tanto.» disse lui prima scocciato e poi nell’ultima frase con quella sua aria sboronica e saccente.
Ran a quel sorrisino ironico arrossì un po’, poi a testa bassa seguì Shinichi fino allo studio.
Si sedettero alla scrivania e poggiarono i libri su di essa.
«Allora, da cosa cominciamo?» fece Shinichi rivolgendosi all'amica.
«Beh potremmo iniziare da storia dato che è la più lunga... Però prima mi dici a che serve questo?» chiese tirando su il vecchio libro di matematica.
Shinichi allora lo aprì esattamente a metà e Ran notò che in mezzo alle pagine c’era un foglio con sopra tutte le formule possibili e immaginabili che avevano studiato.
«Mio padre lo usava per fregare i professori...»
«Shinichi, non vorrai copiare ad un esame!?» chiese scandalizzata Ran, facendolo sogghignare divertito.
«Tranquilla, ma ci serviranno comunque per studiare, almeno non dovremmo cercarle una per una nel libro.» dopodiché prese il libro di storia.

 

Rimasero a studiare quella materia per più di un’ora e Shinichi, forse per distrazione, forse per noia aveva appena sbagliato una data. Ran l’aveva subito corretto e aveva iniziato ad insultarlo in tutti i modi.
«Insomma Shinichi, dovresti concentrarti, manca meno di un mese all’esame, se continuiamo di questo passo non sapremo neanche la metà del programma...»
Lei continuava a parlare e parlare e parlare, ma lui non la stava ascoltando: si era incantato a guardare il suo viso furioso che gli sputava addosso tutta la sua frustrazione, quel viso che anche in un momento di rabbia era davvero stupendo.
Ad un tratto si stufò di quel brontolio e con tre gesti veloci, lanciò il libro di storia che aveva in mano sulla scrivania, mise la mano destra dietro la nuca di Ran e la baciò. La ragazza, ovviamente, si zittì e le sue guance s’imporporarono d’imbarazzo.
Quando si staccarono erano entrambi paonazzi. Ran fece un colpo di tosse nervosa, afferrò il libro che fino a poco prima aveva Shinichi e ci si nascose dietro, mormorando un:
«Beh forse è meglio ricominciare a studiare...»
Shinichi mosse la testa con un segno di assenso e ripresero tranquilli gli studi, sebbene il pensiero che ora ronzava ad entrambi in testa era che si erano dati il loro primo, vero, bacio.

 

Angolo dell'autore:
07/04/14
Ciao a tutti ^^
Era da un po' che non scrivevo, vero?
Il punto è che dopo che sono finite le domeniche delle leggende, non avevo più nulla che m'ispirasse una one-shot...
Poi però ecco che quella dolcissima immagine sulla rivista Media Factory mi ha ispirato e quindi eccomi qui ;)
Spero davvero che questa piccola perla vi sia piaciuta ^^
Un bacione da me e dal mio onii-san Kaito ;)
KiarettaKid

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Capitolo 8
*** Mi concedi questo ballo? ***


Mi concedi questo ballo?
 

Era una sala enorme e tutti stavano già danzando sulle note di un elegante valzer, mentre Ran era seduta su una delle tante sedie posizionate a bordo della sala. 
Indossava un’elegantissimo vestito rosso, di quelli che si legavano dietro al collo lasciando metà schiena scoperta, si allargava alla vita e la parte inferiore aveva uno spacco a balze che partiva dal ginocchio. I capelli erano tirati su da una bellissima spilla d’oro che s’intonava con la catenina che portava al collo. Per concludere il tutto indossava un paio di scarpe aperte rosse, con il tacco.
Si guardava attorno, come se volesse cercare qualcuno, anzi in realtà cercava davvero qualcuno: Sonoko le aveva detto che aveva invitato anche Shinichi e, visto che erano già a metà giugno, era dalla fine della scuola che non lo vedeva.
Ad un tratto qualcuno si avvicinò a lei, proprio mentre era girata dall’altro lato, non appena sentì i passi della persona si voltò e lo vide. 
Era un ragazzo alto, slanciato, capelli castani, occhi azzurri come l’oceano e un aria ribelle. Indossava un elegantissimo completo bianco dalle finiture nere che s’intonavano col papillon che aveva sotto il colletto della camicia, e all’occhiello aveva una bellissima rosa rossa.
Era proprio il suo Shinichi, con le guance imporporate d’imbarazzo che le tendeva la mano con fare elegante.
«Mi concedi questo ballo?» chiese con voce sommessa.
La ragazza arrossì altrettanto, ma posò la sua mano sul quella del ragazzo e si alzò dalla sedia.
Si diressero lentamente al centro della pista e quando furono in mezzo alla folla il ragazzo la fece voltare di fronte a lui e, cingendole la vita con l’altra mano, la spinse verso di se. Ran poggiò il suo palmo sulla sua spalla e poi iniziarono a danzare.
Era Shinichi che, come da tradizione, conduceva Ran e la ragazza si stupì del fatto che se la cavava anche bene. 
I due si guardavano intensamente negli occhi, tanto che per quei pochi minuti sembrò loro di essere i soli in quell’enorme sala, con solo la musica del valzer a far loro compagnia. Si muovevano leggiadri ed eleganti e si sorridevano a vicenda.
Quando la musica si concluse e tutti applaudirono i musicisti, che si trovavano ad un angolo della sala, loro fermarono solo i piedi rimanendo però in quella particolare posizione.
Passò non più di qualche secondo, poi Shinichi si avvicinò lentamente a lei e la baciò.

 

Angolo dell'autore:
29/06/14
Eccomi qui con un'altra one-shot conclusa.
Devo ringraziare Anna-chan per avermi dato questa meravigliosa idea.
Spero con tutto il cuore che vi sia piaciuta e che continuerete a seguirmi ^^
Un bacione da me e dal mio onii-san Kaito ;)
KiarettaKid

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Capitolo 9
*** Il principe misterioso ***


Il principe misterioso

Il cellulare di Ran fece un suono breve e acuto, ma la ragazza non se ne preoccupò, continuando a dipingere il cartone che aveva di fronte di verde.
«Che fai non vedi chi è?» chiese Sonoko indicando il telefono dell’amica sul tavolo di fianco a lei.
«Lo guardo dopo…» rispose lei con aria distratta.
«E se fosse il tuo tesoruccio? – chiese la ragazza allungando la mano verso il telefono – Vediamo un po’…»
«Smettila!» disse Ran strappandole il cellulare di mano, prima che leggesse il messaggio, sapeva benissimo chi era ad averle mandato quel sms: era da quattro giorni che, a quell’ora, le arrivava quel messaggio da un numero sconosciuto, sempre lo stesso, qualcuno stava facendo un conto alla rovescia.
«Meno tre… – lesse Sonoko alle sue spalle – che vuol dire? Ah, non mi dire che hai invitato qualcun altro al ballo…!?»
«Sonoko smettila! Non ho invitato nessuno e non ho idea di chi sia il mittente di questo messaggio.»
«E il tuo tesoruccio?» chiese Sonoko con il suo sorriso malizioso.
«Sonoko la vuoi smettere di parlarne? Lo sai benissimo che ormai lo sento solo per telefono! Non verrà…»
«Ma andiamo Ran l’ultima volta che l’hai visto due anni fa gli hai confessato il tuo amore. È mai possibile che lui non abbia detto nulla?»
La ragazza imbarazzata da quel ricordo al tempio di Kyoto, riprese il pennello e ricominciò a dipingere.
«Cosa doveva dire… Lui mi aveva già detto che mi amava… L’ha fatto molto prima di me…»
«Ma non è possibile che dopo che vi siate confessati reciprocamente il vostro amore non vi vediate! Insomma è assurdo…»
«Sonoko basta!» disse Ran infuriata buttando il pennello a terra e andandosene via.
Lo sapeva benissimo che non era normale, ma lei cosa ci poteva fare? Era Shinichi che ad ogni sua proposta di vedersi in due anni, diceva sempre che non poteva e che era impegnato. Era anche arrivata a pensare che lei non gli interessasse più. Ora era da un mese che non lo sentiva più, neanche per telefono: il suo cellulare era staccato e non l’aveva più chiamata in nessun modo.
Le lacrime iniziarono a spuntare dagli occhi, quando Sonoko la raggiunse.
«Scusa Ran… Non ne parlo più ok? Forza torniamo a lavorare. Questo sarà il miglior ballo della storia del liceo Teitan!»
Lei si asciugò le lacrime e sorrise, facendo un cenno di testa. Ed entrambe si rimisero a dipingere i cartelloni.

 

È arrivata l’ora…
Ran lesse quel messaggio, mentre era alla stazione, ma mise subito il cellulare in tasca per salutare il bambino che si stava affacciando dal finestrino del treno in partenza.
«Ciao Conan! Mi raccomando fai il bravo!»
«Ok Ran… Divertiti al ballo!» le rispose con un sorriso il bambino occhialuto poggiando il suo cellulare sulle gambe e salutando con la manina.
Quando il treno partì, Kogoro e Ran tornarono a casa con la macchina affittata.
La giornata passò talmente veloce che a Ran sembrò quasi fosse volata.
Era già infilata dentro il suo bellissimo abito. Un paio di scarpe rosa pallido col tacco, un vestito rosa confetto con la gonna di tulle e il corpetto che stringeva alla vita e le sorreggeva il suo seno perfetto. I capelli castani, ornati da una coroncina d’oro, le cadevano sulle spalle che erano coperte da delle spalline a palloncino, mentre il viso delicato era truccato da un rossetto rosa che le colorava ancora di più le labbra, e un ombretto lilla che s’intonava perfettamente coi suoi occhi.
Una perfetta principessa delle favole.
«Wow Ran… Sei uno schianto!» esclamò Sonoko vedendola avvicinarsi al grande arco di palloncini verdi che annunciavano l’ingresso al ballo studentesco.
«Grazie! – rispose lei – Neanche tu sei niente male…»
«Vero? – disse guardando con aria compiaciuta il suo vestitino attillato da fata – Beh così posso essere la tua fata madrina.» aggiunse, facendo scoppiare a ridere entrambe, dopodiché oltrepassarono l’arco ed entrarono nell’edificio, quello stesso edificio che un mese prima avevano affittato per il ballo e che avevano decorato in ogni suo dettaglio andando lì ogni pomeriggio dopo la scuola.
Proprio all’ingresso, un enorme cartellone verde con la scritta bianca citava: Ballo delle Fiabe. Dentro lo spettacolo era stupendo e le due ragazze si guardarono compiaciute e orgogliose del loro lavoro.
La sala era enorme, costellata di alberi di cartapesta messi lungo i muri. I lunghi tavoli, contenenti le vivande avevano delle tovaglie bianche ed erano proprio davanti agli alberi. Nella parete al lato opposto dell’entrata c’era un piccolo palco, dove a fine serata sarebbero stati incoronati il re e la regina della serata, mentre di fianco c’era la console, dietro cui stava un ragazzo vestito da folletto, che Ran conosceva bene: era Kikuito, il migliore amico di Shinichi alle medie, che ora andava in una sezione diversa dalla loro. Al centro si estendeva la pista da ballo, non aveva nulla di speciale tranne per il fatto che se si alzavano gli occhi verso l’alto si vedeva un manto di edera che copriva tutto il soffitto da cui sbucavano le piccole luci bianche che illuminavano in modo tenue tutta la sala.
Man mano che il tempo passava arrivava sempre più gente. Rospi, gnomi, streghe, elfi, cavalieri, persino draghi: di certo i costumi non mancavano.
Poi quando era passata ormai quasi un ora e mezza dall’inizio della serata, Kikuito decise di abbassare la musica.
«Ok ragazzi… scusate… Un attimo di attenzione per favore… – disse al microfono della console – Mi rivolgo a tutte le principesse, mettetevi al centro della sala e chiedo agli altri di spostarsi sui lati.»
Dopo un po’ di bisbigli e di caos, al centro della sala rimasero sei ragazze, tra cui anche Ran.
«Vi chiederete perché vi ho chiesto questo… Beh, mie care donzelle, vi presento il principe misterioso!»
A quelle parole nel locale entrò un ragazzo vestito da principe. Indossava un paio di scarpe nere, un elegante pantalone blu e una giacca dello stesso colore. Alla cintura portava un fioretto, tipica arma da principe. Le spalline con le frange erano argentate e una fascia azzurra gli tagliava in diagonale il petto. Sul viso aveva una maschera argentata e si avvicinava pian piano alle ragazze al centro della sala. Una mano era tranquillamente appoggiata sull’elsa della spada, mentre l’altra stava lungo il fianco.
«Lui sceglierà una principessa tra di voi sta sera.» disse nuovamente Kikuito.
Forse per quella sorpresa improvvisata o forse per il fascino di quel misterioso principe, Ran iniziò a sentire il cuore martellarle in petto.
Il ragazzo arrivò davanti a loro, che rimasero tutte ferme e paralizzate dal terrore. Lui fece avanti e indietro un paio di volte, nel silenzio più assoluto, poi prese una decisione e tese la mano alla principessa scelta.
Ran sgranò gli occhi quando vide la mano del ragazzo proprio di fronte a lei. Non fu la sola, tutti trattennero il fiato. 
Ma sì, in fondo non era così male avere un cavaliere per il ballo, fece spallucce e poggiò la sua mano su quella del principe. Subito ci fu un’applauso di ovazione, poi la musica ripartì e tutti si dimenticarono di loro, tranne Sonoko che ogni tanto lanciava un occhiata alla coppia, curiosa come non mai.
I due ballavano tranquillamente sulle note dolci di quella canzone, fin quando Ran non decise di rompere il ghiaccio.
«Posso almeno sapere il nome del mio accompagnatore, oppure rimarrà misterioso fino alla fine?» domandò, ma il ragazzo sorrise divertito e le fece fare una giravolta, senza dire una parola.
«Ok non lo vuoi dire… – disse Ran un po’ delusa – Beh io sono Ran, Ran Mouri 5B.» disse specificando la sua sezione.
Lui non rispose, ma continuando a ballare, la strinse di più a sé. A quel gesto il cuore di Ran ricominciò a martellare frenetico.
Ballarono tutta la sera, senza fermarsi mai; ogni tanto rallentavano, ma continuavano a danzare.
Verso il tardi, quando la serata si era fatta intensa e stava ormai arrivando alla sua conclusione, la musica si abbassò di nuovo.
«La nostra giuria è pronta!» disse Kikuito indicando tre ragazzi sul palchetto, in realtà erano due ragazze e un ragazzo e una delle due era Sonoko.
«Lascio la parola a loro per annunciare il re e la regina del ballo!»
Sonoko, che era quella in mezzo si schiarì rumorosamente la voce e parlò.
«Bene… Dopo avervi visto danzare e chiacchierare, possiamo dire ufficialmente che la coppia che ha vinto… per i miglior costumi, il romanticismo, il talento nel ballo e il feeling, sono… – fece una lunga pausa lasciando tutti sulle spine – Il principe misterioso e la principessa rosa!» esclamò poi.
Ran non ci poteva credere: rimase con gli occhi sgranati a guardare Sonoko sul palco vestita da fata. Fu il principe che dovette prenderle la mano e trascinarla sul palco. Dopo aver risalito la scaletta e aver affiancato Sonoko e il resto della giuria, questa si congratulò con loro.
«Facciamo i complimenti a Ran Mouri e…?» Sonoko si girò verso il principe a quanto pareva nemmeno lei sapeva chi fosse.
Di nuovo una pausa lunghissima, in cui il principe sembrava stesse pensando se svelare la sua identità o rimanere un mistero, poi decise: prese il microfono a Sonoko e parlò, con un tono di voce strano, come se cercasse di non far capire il suo timbro.
«Prima però voglio fare una cosa…» lasciò il microfono a Sonoko e si avvicinò a Ran, la prese per la vita e con un movimento velocissimo la baciò. Il gesto era stato talmente veloce che Ran non ebbe neanche il tempo di capire che stava succedendo.
Scoppiò un altro applauso, in cui Kikuito alla console arrivò addirittura a urlare come se fosse allo stadio, mentre Sonoko spalancò la bocca sconvolta.
Appena si staccarono il principe la guardò divertito: Ran aveva dipinta sul viso un’espressione sconvolta e stupita. Fu lei, presa dall’esasperazione, ad alzare la mano e togliere la maschera argentata al ragazzo.
«Shinichi?!» chiese sconvolta, quando fu trafitta da quegli occhi azzurri.


Angolo dell'autore:
26/07/2014
Eccomi qui con questa one-shot. 
Visto che ho perso quella vecchia del ballo in maschera ho deciso di farne una simile, ma un po' più romantica.
Come quella perduta, anzi direi al suo posto, la one-shot parteciperà alla "Maratona di Ballo ShinRan" indetto dallo Shinichi&Ran Official Italian Fan Club.
Spero davvero che vi sia piaciuta! 
EDIT. Ho fatto una piccola correzione citando la confessione di Ran, sebbene quando scrissi questa storia (la data la vedete in alto) non si sapeva ancora di Kyoto.

Un bacione da me e dal mio onii-san Kaito ;)
KiarettaKid

 

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Capitolo 10
*** Chakemate ***


Checkmate

«Ai tu ci sarai domani alla festa a casa di Ayumi?» chiese il bambino grassoccio all’amica.
«Mi spiace, ho promesso al dottor Agasa che lo avrei aiutato a sistemare casa.» rispose la bambina dai capelli ramati.
«Ma è Halloween, non puoi fare un eccezione?» intervenne Mitsuhiko dispiaciuto della risposta.
«No, sono di parola e non portò esserci, sono sicura vi divertirete lo stesso anche senza di me.» rispose Ai.
Non poteva immaginare cosa sarebbe successo quella sera a casa Yoshida.

 

Era la notte di Halloween, il signore e la signora Yoshida erano usciti la sera e avrebbero fatto tardi con degli amici. Avevano intimato ad Ayumi e agli amici invitati a casa sua per un pigiama party, di non aprire a nessuno e di rimanere in casa.
I quattro bambini erano seduti sul pavimento della cameretta dell’unica femmina tra di loro. 
«Devo raccontarvi una cosa strana che mi è successa oggi. Un signore per strada mi ha fermato e mi ha dato questo pacchetto. Ha detto che era qualcosa a cui teneva molto e che avrei dovuto prendermene cura.» disse la bambina mostrando un pacchetto ricoperto da una carta blu e grosso quasi la metà di lei.
«Non mi fido…» disse il lentigginoso con tono scettico.
«Sei il solito esagerato Mitsuhiko, magari è un cucciolo.» lo rimproverò Genta.
«No, ha ragione Mitsuhiko. Quale persona darebbe un pacco del genere a una bambina dicendo quelle parole?» disse Conan.
«Che faccio?» chiese allora intimorita la bambina.
«Aprila! Ma con cautela…» le suggerì il bambino occhialuto.
Lei la scartò con mani tremanti: era un’enorme scatola bianca con sopra un biglietto.

If I had a world of my own, every will be nonsense. Nothing will be what it is, because everything will be what it isn’t.

«È inglese… non capisco cosa dice.» disse la bambina passando il biglietto al più intelligente dei quattro.
«Se avessi un mondo tutto mio, ogni cosa non avrebbe senso. Nulla sarebbe com’è, perché tutto sarebbe come non è.» lesse Conan.
«Che vuol dire? – chiese Genta – È un indovinello?»
«Può darsi… – pensò ad alta voce Mitsuhiko – Conan tu che ne dici?»
«Ho già sentito questa frase da qualche parte.» rispose il bambino occhialuto che sembrava parecchio pensieroso e concentrato.
«Davvero? Dove?» chiese nuovamente Genta.
«Non me lo ricordo… Beh inutile pensarci ora. Ayumi apri la scatola, sempre molto lentamente.»
La bambina aprì cautamente la scatola, ma il suo contenuto stupì tutti, tranne un eccitatissima Ayumi.
«È una bambola! Una stupenda bambola!» disse prendendola in braccio e abbracciandola forte.
Aveva i capelli dorati e mossi due occhi azzurri che si chiudevano quando era messa in orizzontale e un bellissimo vestitino azzurro.
«Giuro che non capisco…» disse Mitsuhiko stupito.
«Cosa c’è da capire? – chiese Genta – Forse quella bambola apparteneva alla figlia o alla moglie del signore e per non buttarla l’ha regalata ad Ayumi.»
«E il biglietto allora? Cosa vuol dire?»
«Ah che c’importa, pensiamo a divertirci ora!» disse il bambino robusto, deciso.

 

La serata passò veloce, tra storie dell’orrore, giochi da tavolo e risate. Quando si fece mezzanotte fu Conan a suggerire di andare a letto e i bimbi accettarono di buon grado, visto la stanchezza accumulata. In poco tempo, Ayumi era sotto le coperte del suo letto e i tre maschi erano nei loro sacchi a pelo per terra.
Presero sonno quasi subito, ma quella pace non durò che pochi minuti. Conan si svegliò: un leggero rumore di passi l’aveva fatto sobbalzare e decise di andare a vedere chi fosse, anche se molto probabilmente era tutta suggestione.
Non ebbe neanche il tempo alzarsi del tutto che la voce di Ayumi lo fece saltare in aria.
«Conan che fai?» chiese a voce abbastanza alta da svegliare gli altri due bambini. 
«Niente, niente credevo di…» non ebbe il tempo di finire la frase che si sentì un frastuono di vetri infranti.
La bambina lanciò un grido acuto, mentre Mitsuhiko urlò solamente:
«Cos’è stato?»
Senza pensarci due volte, Conan corse verso il luogo da cui aveva sentito provenire il suono, seguito ovviamente dagli altri tre bambini. Era lo specchio del soggiorno: la cornice sembrava ammaccata e lo specchio era in mille pezzi.
«Ma cosa diavolo…» disse Mitsuhiko guardando quel macello.
Ayumi lanciò un altro urlo e tutti si voltarono verso di lei. La bambina con mano tremante indicò la parete in cui prima c’era lo specchio: a caratteri rossi e grandi c’era scritto qualcosa.

We are all mad here…

«Siamo tutti matti qui…» lesse Conan in giapponese e ad alta voce.
«Siamo tutti matti? Che vuol dire?»
«Non lo so, ho di nuovo la sensazione di aver già sentito questa frase.» mormorò Conan grattandosi nervosamente la testa.
Poi qualcosa li fece saltare in aria di nuovo: un fischio assordante, come di vapore che esce da una stretta apertura.
Conan corse verso la cucina, seguito come al solito dagli altri. Sul fornello c’era una teiera in metallo e il fuoco era acceso. Il bambino occhialuto allungò la mano sulla manopola e lo spense, poi urlò.
«So che sei qui! Fatti vedere! Ti diverti così tanto a spaventare quattro bambini?»
A quelle parole la finestra della cucina si spalancò con una raffica di vento, facendo entrare un foglio di carta. Genta e Mitsuhiko corsero a chiudere la finestra, mentre Conan prese in mano il foglio e lesse:
«Ti va una partita a scacchi?»
«Ti sembra il momento di giocare a scacchi?» chiese Genta irritato.
«Ma no, è scritto sul foglio! You must be a game of chess? – disse rileggendo il foglio in inglese ­­­– Ayumi hai una scacchiera in casa?» chiese poi.
«Ce n’è una in marmo nello studio di papà…» rispose la bambina, ormai completamente terrorizzata.
Il gruppo si diresse verso lo studio del signor Yoshida.
La porta, che solitamente era chiusa a chiave, a detta della bambina, era spalancata. Entrarono timorosi e rimasero paralizzati appena furono tutti dentro: al lato della scacchiera in cui vi erano i pezzi neri vi era la nuova bambola di Ayumi.
La porta si chiuse, sbattendo alle loro spalle.

 

Lo scempio che ci fu dentro quella camera è meglio che io non lo descriva, ma vi posso assicurare che nessuno dei quattro bambini sopravvisse quella sera.
Il dolore dei genitori dei tre studenti delle elementari fu grande, quello di Ran verso il suo fratellino adottivo ancora di più. Nessuno però seppe cosa accadde quella notte, perché quando i signori Yoshida tornarono lo specchio in soggiorno era di nuovo intatto, la teiera era al suo posto e la bambola era sparita.

Era rimasta solo la scatola aperta nella camera di Ayumi, con dentro un biglietto in cui era scritto.

In contrary was what it is it wouldn’t be and what it wouldn’t be it would… You see? This is Wonderland


Angolo dell'autore:
01/10/2014
Questa one-shot horror è vecchiotta, ma ho deciso di postarla solo ora.
Con questa avevo partecipato a un contest horror, ed è stata la prima fanfic del terrore che io abbia mai scritto. Non ricordo però in che posizione sono arrivata al contest XD
Comunque l'ho fatta finire male perché ovviamente una ff horror che non finisce male non renderebbe. Spero comunque che vi sia piaciuta.
Un bacione da me e dal mio onii-san Kaito ;)
KiarettaKid

 

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Capitolo 11
*** Perché mi fai questo? ***


Perché mi fai questo?

La neve continuava a cadere, come faceva ormai da una settimana. Odiava la neve, quasi quanto odiava il Natale. In quel periodo dell’anno la sua magia era completamente inutile: tutta la positività, la gioia e la purezza di quei momenti, annullavano completamente i suoi poteri, non permettendole di fare neanche il più banale degli incantesimi.
Per fortuna, almeno, era a casa per le vacanze; vacanze di festività che lei ovviamente non voleva festeggiare. Se ne stava chiusa in casa, con l’unica compagnia di Igor, che le portava da mangiare.
«Signorina, perché non esce?» le propose il suo assistente quel giorno.
«Uscire? Con quella neve bianca che ricopre tutto? Piuttosto mi trasformo in un rospo.» protestò la ragazza dai capelli rossi.
«Beh, la neve l’ha già affrontata egregiamente durante la settimana bianca con i suoi compagni, l’anno scorso, una passeggiata non le farebbe male.»
«Si dà il caso che l’anno scorso avevo già un incantesimo pronto da attuare, che avevo preparato prima che il periodo Natalizio iniziasse, mentre ora mi ritrovo a mani vuote e senza la minima possibilità di usare la magia... Comunque forse hai ragione... Visto che ormai è sera, tanto vale farmi una passeggiata.»
Si alzò, si mise il suo mantello scuro da passeggio, tirando su il cappuccio e con passo calmo e svogliato uscì di casa.
Più che sera era notte, ormai erano quasi le undici, eppure c’era davvero troppa gente per i suoi gusti: che ci faceva tutta quella gente a quell’ora ancora in giro? Poi si ricordò: era la Vigilia, la Vigilia di Natale. Non festeggiandolo non si era fatta i calcoli, non si era comportata come tutte le persone che la circondavano, che attendevano quel giorno con trepidazione da molto tempo.
Sbuffò e una nuvoletta di condensa uscì dalla sua bocca. Perché diavolo era uscita? Tutta quella gioia, tutto quel ridere e scherzare, tutta quella tranquillità, non era il suo mondo. Lei era la serva di Lucifero, una delle migliori streghe rosse che esistessero al mondo, la discendente della grande famiglia Koizumi e quell’ambiente la disgustava.
Decise che non avrebbe sprecato quell’uscita, se doveva stare fuori lo avrebbe fatto, ma non voleva avere nessun contatto fisico o visivo con quelle persone così gioiose e trepidanti, che aspettavano una banalissima festa.
Così iniziò a camminare per la città, cercando un tetto accessibile dalle scale antincendio, finché non lo trovò. Con calma si arrampico per in sette piani di scale, finché non arrivò sul tetto, anche quello era ricoperto di maledettissima neve: cercò di toglierne un po’ per potersi sedere, ma ottenne solo delle mani infreddolite e bagnate ed un posto a sedere ancora più umido di prima.
Rimase lì, seduta, per chissà quanto tempo, a guardare le luci di Tokyo, almeno quelle visibili dal basso palazzetto. Poi ad un tratto sentì il rumore di una porticina aprirsi e dei passi ovattati dalla neve. 
Si voltò e rimase sconvolta da quello che vide, o meglio da chi vide. Sentì uno strano calore alle guance e si girò subito dal lato opposto, sperando che non avesse visto il suo rossore.
«Che ci fai tu qui?» chiese.
«Due piani più sotto, stavamo festeggiando la Vigilia con Aoko. Piuttosto tu che ci fai qui... Pensavo che odiassi il Natale.» rispose il ragazzo, continuandosi ad avvicinare.
«Infatti è così, ma ero stufa di rimanere rinchiusa in casa.» rispose secca, subito dopo lui la raggiunse sedendosi vicino a lui.
Ci furono svariati minuti di assoluto silenzio, in cui neanche si guardarono negli occhi, poi fu di nuovo lei a parlare.
«Come facevi a sapere che ero qui?»
«Ti ho vista sulla scala antincendio dalla finestra.»
«Perché sei venuto? Dopotutto tu non mi sopporti no?» domandò e subito lo sentì ridere: quel riso sommesso che si sente appena.
«Chi ti ha detto che non ti sopporto?»
«Boh, non so, forse questi due anni insieme? Da quando ti conosco non ho fatto altro che intralciare la tua doppia vita, da ladro gentiluomo e da studente liceale.» rispose lei.
«È vero... E devo ammettere che quando hai smesso di farlo, cinque mesi fa, mi è dispiaciuto. Pensavo che non ti saresti mai arresa.»
«Che senso avrebbe? Ho tutti gli uomini ai miei piedi, di uno solo non me ne faccio nulla.» a quelle parole lui le prese il mento e la voltò verso di lui. 
I loro occhi s’incrociarono e nel vedere quei due zaffiri azzurri, avvertì di nuovo la sensazione di rossore sulle guance, ma questa volta non aveva modo di nascondersi, mentre lui con l’altra mano, fece apparire una rosa.
«È un peccato... Perché io davvero non vorrei vedere tutti gli uomini ai tuoi piedi.»
«Per-Perché?» chiese lei e si morse la lingua per aver esitato, facendo vedere di nuovo la sua debolezza.
«Perché il tuo cuore è l’unico gioiello che non riuscirei a restituire al proprietario.» sussurrò dolcemente e subito dopo, senza nessun preavviso, la baciò.
Akako rimase sconvolta: aveva gli occhi spalancati e non poteva credere a quello che stava succedendo. Come al solito si trattenne dal versare lacrime, fortuna che aveva un ottimo autocontrollo. Anche solo una piccola goccia versata dai suoi occhi, le avrebbe fatto perdere definitivamente i suoi poteri da strega rossa, ma quella gioia rimase comunque incontenibile. Chiuse gli occhi contenta: ora poteva dire di amare il Natale.


Angolo dell'autore:
20/12/2014
Tengo tantissimo a questa fanfic perché è la mia prima KaitoxAkako che scrivo! Se penso che solo fino all'anno scorso ero una KaitoXAoko ancora mi vengono i brividi XD
Comunque sia questa fanfic ha partecipato al Contest "Natale in Love" del DCF ed ha perso miseramente... Ma pazienza :) L'importante è che piaccia a voi ^^
Un bacione da me e dal mio onii-san Kaito ;)
KiarettaKid

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Capitolo 12
*** Run Ran ***


Run Ran

Tutto era successo quella stessa mattina, mentre Shinichi stava facendo colazione: il notiziario alla tv faceva solo da sottofondo al suo pasto, finché una notizia non attirò la sua attenzione. 
«È un virus ancora sconosciuto. Si manifesta con febbre alta e giramenti di testa, dopo poche ore si perdono i sensi e al risveglio si iniziano a vedere i veri sintomi del…»
«Oh ma andiamo! – disse il ragazzo spegnendo la TV – Posso accettare tutto, ma arrivare a dire che rischiamo di diventare zombie proprio no. Questo notiziario sta diventando davvero ridicolo ogni giorno che passa.»
Il ragazzo però si dovette ricredere in davvero poco tempo.
Improvvisamente, proprio mentre dava l’ultimo sorso al suo caffellatte, il campanello di casa Kudo iniziò a trillare, era un suono continuo e acuto, come se qualcuno si fosse attaccato all’interruttore, costringendolo ad andare ad aprire.
«Che c’è…?» appena aperta la porta Ran entrò in casa chiudendosela alle spalle, con sguardo terrorizzato.
«Ran che diavolo succede?» chiese Shinichi, stupito di vedere la ragazza ridotta in quello stato, indossava la divisa alla meno peggio: la camicia era abbottonata storta e un lembo di essa fuoriusciva dalla gonna, mentre la cravatta verde era ancora appesa al collo come una sciarpa.
«Papà… Stamattina quando sono andata a svegliarlo era seduto sul letto con lo sguardo perso, pensavo che avesse fatto un incubo o qualcosa di simile… Ma… Quando mi sono avvicinata ha tentato di mordermi…»
«Che cosa?!» chiese sconvolto il ragazzo.
«Era… Era pallido, sembrava sudare e… e ansimava in modo strano… Per questo mi sono avvicinata e poi… Sembrava… Sembrava uno…»
«…uno zombie…» completò la frase Shinichi.
«Sì...» rispose lei con tono sommesso.
Il ragazzo era sconvolto, possibile che quella notizia fosse vera?
«Ieri sera che ha fatto?» chiese.
«È andato a giocare a mahjong dai suoi amici, non so che ora ha fatto, io sono andata a letto molto prima che tornasse.» dopo quella breve spiegazione, per qualche minuto regnò il silenzio, poi Shinichi decise di riaccendere la tv per ottenere altre notizie.
«…le forze dell’ordine stanno cercando di contenere la fiumana di gente infettata che si sta riversando sulle strade. All’aeroporto di Tokyo si stanno radunando le persone ancora sane, da lì partiranno gli aerei per allontanarsi dalla capitale e tenere la città in quarantena appena possibile. L’ultimo aereo partirà tra 12 ore, precisamente alle 19. Se siete in ascolto e siete ancora sani, recatevi velocemente all’aeroporto. Vi ricordiamo che il virus viene trasmesso attraverso un morso degli infetti…» il ragazzo spense di nuovo il televisore.
«Non posso credere che una cosa del genere possa succedere sul serio… – sospirò il ragazzo, passandosi una mano sul volto – Forza andiamo!» concluse prendendole la mano.
«Dove?» chiese lei confusa.
«All’aeroporto!» detto ciò uscirono di casa. 
Non ebbero nemmeno il tempo di uscire dal cancello che due uomini pallidi e zoppicanti si avvicinarono a loro.
«Merda!» imprecò Shinichi, trascinando Ran dall’altro lato ed iniziando a correre.

 

Ormai correvano da più di due ore, il cuore sembrava dover esplodere in petto ad entrambi. Per andare più veloce si lasciarono la mano, ma a quanto parve non fu una buona idea. Ran inciampò sui suoi stessi piedi, per via della stanchezza e delle gambe pesanti, lanciando un breve urlo.
«Raaan!!» urlò Shinichi, tornando indietro ed aiutandola a rialzarsi, mentre uno zombie si avvicinava pericolosamente a loro: era una donna, i cappelli spettinati, la pelle pallida, gli occhi scavati e due occhiaie pronunciate, indossava ancora il pigiama.
Shinichi fece rialzare Ran e le urlò di correre, poi sentì un dolore lancinante al braccio. Tirò una gomitata alla donna che aveva dietro, facendole mollare la presa sul suo braccio, dopodiché si abbassò la manica e ricominciò a correre, raggiungendo Ran.
Non mancava molto all’aeroporto, ma il ragazzo sapeva che ormai non sarebbe mai più uscito da quella città. Nonostante ciò, comunque, non si sarebbe fermato: non finché Ran non fosse stata al sicuro. A quanto diceva il notiziario aveva ancora un paio di ore prima che il virus facesse il suo effetto e lo facesse crollare a terra privo di sensi per poi svegliarsi come uno di loro. Fino a quando non avesse visto Ran varcare la soglia dell’aeroporto al sicuro da tutta quella follia, non si sarebbe fermato.
Ci volle un’altra mezz’ora per arrivare. Arrivati all’ingresso accadde: le porte si aprirono al presentarsi di Ran davanti ad esse, ma appena Shinichi mise i piedi sopra il tappetino nero di gomma che si trovava proprio davanti all’ingresso dell’aeroporto, un’allarme assordante iniziò a suonare e una voce metallica riecheggiò ripetendo sempre la stessa frase.
«ATTENZIONE, ALLARME VIRUS! ATTENZIONE, ALLARME VIRUS!»
Ran si voltò sconvolta verso il ragazzo. Lui le sorrise, in modo mesto e si alzò la manica della camicia, mostrando il morso, già sanguinolento e infetto.
«Scusami…» sussurrò.
«No… no… – iniziò a balbettare Ran in preda al panico, poi due braccia la afferrarono per farla entrare dentro l’aeroporto al sicuro, solo a quel punto iniziò a urlare – No! No! Salvatelo! Vi prego! Vi scongiuro, salvatelo! Shinichiiiiiiiiii!» le porte di vetro si chiusero e Ran riuscì a vedere il ragazzo dire due parole. 
Vide le sue labbra muoversi, velocemente, ma era facile capire il labiale di quelle parole. Lingua tra i denti, che poi si ritira, bocca aperta, labbra che si ritirano indietro e bocca che crea un cerchio. Ti amo.
Subito dopo due zombie si accanirono sul corpo non ancora trasformato del ragazzo.
«Nooooooooooooo!!!» urlò la ragazza, con le lacrime agli occhi, mentre vedeva il ragazzo che amava smembrato in mille pezzi da quelle creature che non erano più umane, mentre il vetro che la separava dall’esterno non le faceva sentire le sue urla disperate di dolore.


Angolo dell'autore:
18/01/2015 
È stata una vera faticaccia scrivere questa fanfic. Non sono un'esperta di zombie, per farlo ho dovuto chiedere dei consigli tecnici al mio ragazzo e a mio fratello XD
Comunque sia ci tenevo a scriverla, visto che parteciperà al contest DCZ della pagina "We Love Detective Conan" spero di aggiudicarmi un posto nel podio ^_^
Un bacione da me e dal mio onii-san Kaito ;)
KiarettaKid

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Capitolo 13
*** Segno scarlatto ***


Segno scarlatto
 

I due novelli sposi stavano ballando in mezzo alla sala assieme a tutti i loro invitati, quando qualcuno picchiettò sulla spalla di lei. I due si voltarono e videro la loro interlocutrice: una bellissima donna, dalla chioma biondo platino, due occhi color del ghiaccio e un rossetto scarlatto che s’intonava col bellissimo vestito che indossava.
«Ti dispiace se te lo rubo per un ballo?» chiese alla ragazza vestita di bianco.
«Certo che no!» sorrise lei, si sporse verso il suo neo-marito stampandogli un piccolo bacio sulle labbra, e si allontanò.
«Cosa ci fai qui?» chiese il ragazzo prendendole la mano sinistra e mettendogli la sua dietro la schiena.
«Questa domanda è perché non mi vorresti qui o solo perché sei stupito di vedermi?» chiese la donna con tono offeso mettendogli la mano destra sul suo braccio sinistro, iniziando a ballare con lui, lentamente. 
«No, cosa dici? Certo che son felice di vederti. All’uscita della chiesa ti ho cercato, ma tra la confusione degli invitati e di quel cretino di Hattori che mi ha infilato il riso pure nel colletto della camicia, non mi sono accorto che c’eri. Pensavo non fossi venuta.»
«E mi sarei persa il matrimonio del mio detective preferito? Mai!» fece lei, facendolo sorridere.
Era davvero strano come si sentiva in presenza di quella donna: era una sensazione che non aveva avuto mai con nessun’altra persona in vita sua. Se pensava a tutto quello che avevano passato assieme ancora gli venivano i brividi lungo la schiena, eppure era passato già più di un anno.
«A che pensi?» gli chiese la donna risvegliandolo dai suoi pensieri.
«Al rapporto che abbiamo instaurato io e te da quando mi hai salvato la vita.»
«Non mi dirai che il piccolo detective si è innamorato…» disse con tono malizioso, facendolo ridere.
«Smettila di prendermi in giro, non sto scherzando. Insomma non ti sembra strano che io abbia detto a te cose che non riesco a dire né a Ran né a mia madre?»
«E di cosa ti stupisci scusa? Sebbene abbia vissuto meno tempo con te di loro, rimango quella che ti conosce di più e che ti capisce al volo.»
«Già hai ragione… – sospirò il ragazzo – Ed ogni tanto mi chiedo ancora come fai.»
«Non è sempre stato così sai?» sorrise la donna.
«Davvero?» il ragazzo sembrava parecchio stupito.
«C’è stata una volta che mi hai colto letteralmente di sorpresa, la prima volta che ci siamo visti.»
Il ragazzo provò a tornare indietro nel tempo. Ricordava perfettamente la prima volta che si erano incontrati: era stato in uno dei teatri di Brodway a New York, quando con Ran e sua madre erano andati per vedere lo spettacolo The Golden Apple, eppure non ricordava nessun gesto o comportamento che avesse potuto stupirla.
«A quale momento ti riferisci?» domandò, facendola sorridere di nuovo.
«A quando tu e Ran mi avete salvato anche se io ho tentato di uccidere entrambi.»
Il ragazzo rimase ancora per qualche secondo interdetto, poi qualcosa s’illuminò nei suoi occhi e comprese.
«Non mi dire che il serial killer giapponese eri tu…»
«Ero proprio io.»
«È per questo motivo che per tutto questo tempo mi hai risparmiato la vita, eri in debito con me e Ran.» dedusse il ragazzo.
«Non essere sciocco! Se fosse stato così non te l’avrei risparmiata così tante volte.»
«Allora perché?» chiese Shinichi di nuovo stupito.
«Perché ho imparato a conoscervi e siete le persone migliori che abbia mai conosciuto. Ammetto che a Ran mi sono affezionata fin da subito per la sua innocenza genuina, mentre tu… beh... All’inizio con te avevo davvero solo un debito, ma con il passare del tempo mi sono accorta che sei molto più saggio, umile e altruista di molti adulti che conosco.»
Il ragazzo sorrise, un po’ imbarazzato.
«Sono davvero felice di averti conosciuta Sharon.»
«Anche io Shinichi.» gli sorrise la donna per poi stampargli un bacio sulla guancia, lasciandogli il segno scarlatto del rossetto.

 

Angolo dell'autore:
24/02/2015 
Allora... che dire? Dopo aver finito "
Kokoro no uragiri" volevo fare una piccola pausa prima di iniziare a postare un'altra long fic, e quale modo migliore di farlo se non con una one-shot?? Ovviamente questa storia non è una vera e propria ShinRan (sebbene si svolge al loro matrimonio), ma ultimamente grazie ad una persona, a cui dedico questa storia, ho iniziato a soffermarmi di più del solito sul rapporto che hanno Shinichi e Vermouth e inizio a vederli non più solo come due persone che si rispettano a vicenda, ma anche come due persone che si ammirano a vicenda e che se volessero potrebbero avere un'amicizia così intima da essere incomprensibile agli altri.
Perciò questa è per te amico mio ^_^
Un bacione da me e dal mio onii-san Kaito ;)
KiarettaKid

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Capitolo 14
*** Mi hai rubato il cuore ***


Mi hai rubato il cuore
 

Sdraiato sul suo letto in camera sua.
Ormai è notte fonda, eppure non riesce a prendere sonno. Ciò che è accaduto la notte prima continua a tornargli in mente, come se qualcuno si stesse divertendo a premere il tasto rewind del suo cervello. Ancora non riesce a credere di aver fatto una cosa simile, non lui.
La notte prima, per la milionesima volta, aveva tentato di sventare un piano di Kid e si poteva dire che c’era riuscito, sebbene ancora non si spiegasse perché il ladro bianco rinunciasse sempre così in fretta al proprio bottino. Non fosse per il fatto che ad un certo punto, per colpa del proiettile che, l’assassino di turno, aveva sparato con la sua pistola, la vasca dell’acquario s’incrinò dando la possibilità alla pressione dell’acqua di rompere in mille pezzi il vetro.
In poco tempo l’acqua cominciò a inondare l’intero locale, che fu evacuato in fretta e furia.
Iniziò a correre pure lui, trascinato dal resto della folla e tentando di non perdere di vista Ran, ma fu tutto inutile. 
Ad un tratto la potenza dell’acqua fece crollare una trave proprio addosso a lui e ad altre due povere vittime. Gli altri due svennero sul colpo, mentre lui si ritrovò solo con un dolore lancinante all’altezza del polpaccio e l’impossibilità di muoversi.
Era sicuro di essersi rotto qualche osso della gamba, ma quello che lo preoccupava di più era il fatto che, sebbene il locale fosse grosso, ben presto si sarebbe riempito completamente d’acqua arrivando a sommergerlo. Alcune ondate già gli colpivano il viso.
Pensava di essere spacciato, soprattutto quando, dopo vari minuti sotto il livello dell’acqua, non riuscì più a trattenere il respiro e fece quel moto involontario e sbagliatissimo di aprire la bocca per cercare dell’ossigeno che non c’era, ingoiando così soltanto acqua. La sentì inondargli i polmoni facendoli bruciare, a quel punto svenne.
Non seppe esattamente come l’avesse portato fuori da lì, ma ad un certo punto sentì la sua voce chiamarlo: era un suono lontano, ovattato, forse era solo la sua immaginazione, forse era già morto e stava solo sognando.
«Kudo-kun! Kudo-kun! Non puoi lasciarmi così, non te lo permetto!»
Sentì una forte pressione al petto, fatta due o tre volte. Poi percepii qualcosa di morbido e carnoso sfiorargli le labbra per poi soffiargli aria nei polmoni. E di nuovo: pressione al petto e aria dalla bocca, pressione al petto e aria dalla bocca.
Finalmente dopo l’ultima immissione di aria, sentì i polmoni ricominciare a funzionare e sputacchiò via un po’ d’acqua.
Sentì quella stessa voce, che lo aveva chiamato, liberarsi in un sospiro di sollievo, poi pian piano aprì gli occhi e lo vide. Due occhi azzurri e splendenti, il viso candido, i capelli castani e bagnati appiccicati alla fronte. Non ragionò, in un’unico veloce gesto, si mise seduto, gli afferrò la giacca bianca e lo attirò a sé, per poi baciarlo.
Dopo, vi fu solo stupore e imbarazzo da parte di entrambi, fino a che la voce di Nakamori non li riportò alla realtà e Kid dovette scappare via per non farsi prendere.
Come aveva potuto farlo? Per quale motivo l’aveva fatto? Possibile che la realtà fosse che la sua ossessione per Kid non dipendesse dalla voglia di vederlo dietro alle sbarre, ma di averlo tutto per sé?
Una mano guantata gli copre gli occhi.
«Indovina chi è?»
Il suo cuore sembra fare una capriola e subito inizia ad accelerare il battito.
Eh sì… Forse quell’abile ladro gli aveva rubato il cuore…

 

Angolo dell'autore:
22/10/2015 
Oh insomma… Sapevate che prima o poi l’avrei fatta. Io stravedo per la coppia Yaoi ShinKaito :D
Ci tenevo davvero a farla, e visto che qualcuno mi ha detto che gli mancavano le mie fic di Detective Conan e che per ora non ho intenzione di scriverne o postarne delle altre, ho pensato che una one-shot l’avreste comunque apprezzata.

Un bacione da me e dal mio onii-san Kaito ;)
KiarettaKid

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Capitolo 15
*** Allenamenti extra ***


Allenamenti extra
 

Gli allenamenti erano appena finiti. Tutti i suoi compagni di squadra erano tornati agli spogliatoi, ma lui no.
Non è che non fosse stanco, o sudato. Anzi, lui forse era quello che s’impegnava più degli altri, che metteva tutto se stesso in ogni singolo allenamento: per questo motivo rimaneva sul campo anche dopo gli allenamenti dell’intera squadra.
Il pallone di cuoio bianco coi pentagoni neri rimbalzava leggero sulle sue ginocchia, poi sui suoi piedi e di nuovo sulle ginocchia. Palleggiava in modo talmente tranquillo che quella sfera sembrava una bolla di sapone leggerissima, o un palloncino.
Dopo un paio di quei palleggi scagliò il pallone nella porta di fronte a lui, con un colpo di collo. La sfera di cuoio schizzò veloce nella direzione predestinata, fermandosi solo quando fu bloccata dalla rete bianca.
Senza aspettare che potesse stare troppo tempo senza proprietario, si avvicinò di nuovo ad esso e, ricominciando a palleggiare, tornò indietro.
Continuò così per una buona mezz’ora. Una mezz’ora di allenamento in più rispetto ai suoi compagni di squadra. Forse esagerava nell’impegnarsi così tanto, forse sarebbe bastato il normale allenamento, ma lui era il numero 10 ed era una responsabilità enorme che gli impediva di deludere i suoi compagni di squadra o la scuola.
Quando si fermò, ancora sudato e con il fiatone, si avvicinò alla panchina in cui aveva lasciato la sua bottiglietta d’acqua vuota, perché usata durante l’allenamento di squadra e l’afferrò deciso. Dopo averla presa, si diresse verso i rubinetti che stavano vicino al campo e ne aprì uno dei tanti riempiendo così il cilindrò di plastica trasparente.
«Sempre più degli altri, eh?» gli chiese una voce inconfondibile alle sue spalle, che lo fece voltare, mentre chiudeva il rubinetto.
Davanti a lui c’era lei: una ragazza che non era affatto sconosciuta. Ogni pomeriggio veniva al campo alla fine dei suoi allenamenti e non fosse bastato quell’incontro giornaliero, loro andavano in classe assieme e se ancora fosse poco, la conosceva da quando erano bambini.
Indossava ancora la divisa scolastica e gli stava porgendo un’asciugamano bianca con un sorriso dolcissimo.
«Il miglior allenamento è quando si è da soli e concentrati.» sentenziò lui, per poi bere dalla bottiglietta appena riempita che con un paio di sorsi svuotò quasi nuovamente.
«Lo so ma, ogni tanto potresti allenarti un po’ meno.» protestò lei con voce sommessa.
Il ragazzo prese l’asciugamano dalle sue mani e la scrutò interrogativo e indagatore.
«Perché?» chiese.
«Beh… Se non ti allenassi sempre magari potremmo… Non lo so… Potremmo farci una passeggiata assieme…» disse titubante lei arrossendo, com’era bella quando le succedeva: le sue gote s’imporporavano facendo risaltare ancora di più i suoi occhi violetti.
«Va bene. – le rispose deciso – Domani niente allenamento extra. Domani la priorità va alla mia fidanzata.» disse avvicinandosi a lei e stampandole un leggero bacio sulle labbra.

 

Angolo dell'autore:
3/6/2016 
Anche se non ho specificato i nomi si capisce di chi parlo vero?
Era da un po' che non scrivevo una one-shot di Detective Conan, e sentivo la mancanza di questo fandom, quindi girando tra le immagini ShinRan che avevo mi sono imbattuta in una in cui Ran progeva un'asciugamano al suo amoruccio. Al che mi son detta: "È da una vita che voglio scrivere una shot in cui Shinichi si allena a calcio, perché non farla?"
Spero quindi che vi sia piaciuta!
Un bacione da me e dal mio onii-san Kaito ;)
KiarettaKid

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Capitolo 16
*** Ci sarò sempre ***


Ci sarò sempre
 

Shinichi ingoiò l’ennesimo grumo di saliva, mentre quelle maledette lacrime che non aveva mai versato in vita sua, continuavano a torturargli il viso, rigandolo e bagnandolo. Le sentiva rotolare giù, per poi percepirle al limite del mento e vederle fare tanti cerchi concentrici scuri sul tavolo di legno, che man mano sommandosi creavano una grossa macchia più scura.
Sentì un movimento dall’altro lato del tavolo, ma non alzò lo sguardo, non sapeva se fosse perché non ne aveva voglia o perché non ci riusciva, ma i suoi occhi azzurri e offuscati dalle lacrime si erano calamitati sulla superficie ruvida e piena di venature.
«Come stai?» domandò una voce che conosceva benissimo, a cui però non rispose, non ne aveva le forze. Che avrebbe dovuto rispondergli poi, non sapeva nemmeno lui come stava. Si sentiva a pezzi, come se l’unica sua motivazione di vita fosse svanita nel nulla. E alla fine era andata proprio così, insomma non era il tipo da pensare di togliersi la vita, non l’avrebbe mai fatto, ma di certo perdere colei che la rendeva speciale era stato un colpo troppo grande da sopportare; un colpo che l’aveva lacerato dall’interno e che ancora bruciava atrocemente.
L’altra persona gli prese la mano, che teneva sul tavolo, con le sue, stringendola dolcemente.
«Kudo-kun… Se c’è qualsiasi cosa che io posso…» alzò lo sguardo, vedendo quel viso molto simile al suo, riflettere tutta la tristezza che sentiva dentro, ma mostrando anche molta apprensione e quasi, dolcezza.
Ingoiò nuovamente la saliva, cercando di parlare, nonostante il dolore fastidioso poco sotto il pomo d’adamo che gli provocava il trattenere le lacrime.
«Non dovresti essere qui, se ti vede la polizia…» bloccò le sue parole, quando l’altro strinse più forte la sua mano e scosse la testa.
«Tu sei più importante.» 
Erano successe tante cose in quell’ultimo mese, non sapeva come ma in qualche modo il legame tra loro due era cambiato: Kaito Kid, o meglio Kaito Kuroba, non era più il suo rivale, colui che voleva a tutti i costi incastrare ed arrestare per dimostrare di essere il migliore; non lo vedeva più in quel modo. Da quando, per un suo errore, o forse un suo merito nonostante non ne andasse fiero, era riuscito a rivelare a tutti la sua identità, qualcosa tra di loro non era più come prima.
Kaito gli aveva spiegato il motivo per cui era diventato un ladro, e per quanto ancora non apprezzasse quella sua decisione, Shinichi rivide nel rivale se stesso, entrambi combattevano un’associazione criminale, entrambi dovevano affrontare una battaglia più grande di loro. Ma se lui aveva degli alleati, come Shiho che mesi prima era finalmente riuscita a farlo tornare adulto, Kaito combatteva la sua battaglia da solo. Per questo motivo aveva deciso che non l’avrebbe più inseguito.
Ma poi era successo l’impensabile. Nell’ultimo caso, nel tentativo di sgominare l’organizzazione, la sua più grande paura si era fatta realtà e lei era rimasta coinvolta, prendendosi quel proiettile destinato a lui.
«Non… non riesco nemmeno a ragionare…» disse, trattenendo i singhiozzi.
Il ragazzo di fronte a lui emise un sospiro e lui percepì nuovamente la stretta delle sue mani sulla sua. Ci furono lunghi secondi di silenzio, quasi come se Kaito stesse cercando le parole giusta da dire.
«So esattamente cosa si prova a perdere qualcuno di così importante... – cominciò, staccando finalmente una delle mani dalla sua e allungandola sul suo viso, nel tentativo di asciugargli alcune lacrime col pollice – L'ho provato sulla mia stessa pelle quando avevo appena otto anni e nel modo più atroce possibile.»
Shinichi sollevò nuovamente lo sguardo, cominciando a sentirsi in colpa per quella sua scenata. Nonostante il dolore che stava provando non accennava ad attenuarsi, qualcosa nel suo stomaco gli dava un’orribile sensazione di rimorso.
«Scusa Kuroba-kun... – disse rompendo ogni contatto con l’altro e asciugandosi lui stesso le lacrime, con i dorsi delle mani – Sono uno stupido... Io...» non ebbe il tempo di finire la frase.
Improvvisamente la sirena delle auto della polizia che si stavano avvicinando si sollevò dalla strada sottostante e poco dopo, nel momento esatto in cui tornò il silenzio, la voce dell'ispettore Nakamori rimbombò attraverso l’altoparlante.
«Kid, sappiamo che sei lì dentro. Esci fuori senza fare storie o ti farò pentire di essere nato.»
Kaito sorrise a quell’ultimo commento del poliziotto: tra di loro c’era un conto in sospeso, ben più grande del semplice poliziotto che cerca di acciuffare il ladro, visto che ormai tutti sapevano che per un sacco di tempo era stato compagno di classe e amico d'infanzia di sua figlia. Persino Shinichi lo sapeva.
«Ricordati Kudo, – disse avvicinandosi a lui, i loro nasi erano a pochissimi millimetri di distanza – io ci sarò sempre.» dopodiché fece l’occhiolino e scappò via.

 

Angolo dell'autore:
2/6/2020 
Lo so, nemmeno ci credete che sono tornata su questo fandom XD Sappiate che ho intenzione di rimettermi sotto (almeno con le one-shot) quindi vi prometto che Detective Conan tornerà tra le mie scritture (ho in progetto già un'altra storia).
Intato per questa one-shot (e probabilmente molte delle successive), devo ringraziare la prima iniziativa del gruppo Facebook "Detective Conan Fanfiction (Italian Fan)" che ha fornito una semplice e meravigliosa immagine di due mani che stringono un'altra mano su una superficie di legno.

Sinceramente non so se vedere questa shot come una ShinKaito, ma ci tenevo a mostrare un po' il loro rapporto.
Un bacione da me e dal mio onii-san Kaito ;)
KiarettaKid

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Capitolo 17
*** Cristalli ***


Cristalli
 

Due occhi azzurri come zaffiri lo osservavano dall’altro lato; uno sguardo che mostrava dubbi e insicurezze. 
Continuava ad osservare quel ragazzo, come fosse la prima volta. Il completo di un bianco immacolato che in qualche modo non sembrava più rappresentare il candore di una volta, come se si fosse macchiato di colpe più grandi di lui; sotto di esso la camicia azzurra, lo stesso colore dei calzini e della fascia in feltro che aveva sul cilindro. E poi c’era quel monocolo, che una volta sembrava dargli un’aria da nobile, aristocratico, ora lo rendeva quasi ridicolo ai suoi occhi.
Si domandò cosa fosse cambiato, da quando vedeva con quegli occhi colui che gli aveva cambiato la vita.
C’era qualcosa in quel fisico slanciato e quegli abiti eleganti che lo rendeva triste, deluso, come se non avesse mai più potuto apprezzare ciò che facesse. Una parte del suo cuore era legata a lui, ma l’altra si domandava per quale motivo avesse iniziato ad essere un ladro e perché stava continuando a farlo. Per cosa poi? Non si rendeva conto che in quel modo stava deludendo tutte le persone che aveva attorno, lui compreso?
Sollevò la mano, passandosela sui capelli castani e l’altro fece lo stesso, facendo scivolare il cilindro dal capo, che cadde senza alcun rumore. Per un attimo chiuse gli occhi, mordendosi il labbro, come non volesse più guardare quell’immagine che lo aveva tanto deluso.
Non appena li riaprì, scaraventò la stessa mano che poco prima era tra i suoi capelli contro il ragazzo.
Dall’esatto punto in cui il suo pugno incontro la superficie liscia del vetro, esso s’incrinò diramandosi in tanti frammenti. Tolse le nocche sanguinanti dalla loro posizione e tornò ad osservare l’immagine riflessa, su cui finalmente vedeva solo Kaito Kuroba.
Perché alla fine lui era quello: un insieme di frammenti che assomigliano a cristalli.

 

Angolo dell'autore:
4/6/2020 
Questa corta drabble è stata praticamente scritta ad istinto, infatti non ne vado molto fiera (avrei potuto seriamente essere più dettagliata e più prolissa), ma nonostante tutto mi piace così.
Anch'essa è merito del gruppo Facebook "Detective Conan Fanfiction (Italian Fan)", che questa volta ha indetto un meraviglioso progetto, ossia il "Kaito Kuroba Month" (di cui trovate il banner sotto), a cui questa settimana ha dedicato il prompt alla parola "cristalli".

Un bacione da me e dal mio onii-san Kaito ;)
KiarettaKid

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Capitolo 18
*** Il detective e il ladro ***


Il detective e il ladro
 

Se solamente l’anno prima qualcuno gli avesse chiesto di immaginarsi la sua vita sentimentale nel futuro prossimo, mai sarebbe arrivato a quella conclusione. Insomma, il Kaito di un anno prima, follemente innamorato della sua amica d’infanzia, o almeno così credeva, non avrebbe potuto immaginare nemmeno lontanamente cosa sarebbe accaduto da lì a qualche mese.
Eppure le cose avevano preso quella piega assurda ed inspiegabile, portandolo lì, per l’ennesima volta. Sì, perché non era certo la prima volta, in quattro mesi, che si ritrovavano in quella situazione.
Era a cavalcioni su di lui e il suo sguardo intenso e possessivo sembrava quasi ordinargli di fare qualcosa.
Allungò le mani con un gesto ormai sicuro, lasciandosi trascinare da quella passione che ormai li avvolgeva ogni volta, cominciando a sbottonargli la camicia. L’altro si chinò velocemente su di lui e in un moto quasi istintivo, chiuse gli occhi, aspettandosi da un momento all’altro la morbidezza delle sue labbra e la delicatezza della della sua lingua sulla bocca, ma quella sensazione non arrivò.
Anzi ne percepì un’altra, nuova, meno dolce e più irruente. Si era gettato sul suo collo, come un vampiro famelico e voglioso del suo sangue, ma invece di affondare i canini, come le creature leggendarie, questi cominciò a succhiargli la carne con una passione mai avuta prima.
Sin dal primo morso e risucchio delle labbra, Kaito percepì una scossa elettrica partire dal quel punto esatto e diradarsi in tutto il corpo, costringendolo a stringere con i pugni le lenzuola del letto su cui era sdraiato e trattenendo un gemito di piacere, che gli sfuggi appena tra i denti.
A quel suo lamento, l’altro alzò il volto per qualche secondo dal suo collo e lo guardò nuovamente con quello sguardo voglioso, ma questa volta la linea della bocca, che prima era seria, mostrava un’accenno di sorriso che, accompagnata al sopracciglio destro alzato, sembrava sfidarlo.
Kaito non ebbe il tempo di dare nessuna risposta a quegli occhi o a quell’espressione, perché lui si dedicò nuovamente al suo collo, poco più in basso rispetto a prima, ricominciando a mordere e a succhiare con ancora più passione.
Avvertì di nuovo quel fremito e in qualche modo riuscì a bloccare l’ennesimo gemito in gola, ma questi come a volersi sfogare comunque in un’altro modo, scese in basso, fino a dolergli in mezzo alle gambe.
Lanciò un’occhiata sui suoi pantaloni, notando subito la protuberanza che si era creata.
Era assurdo come quel ragazzo lo facesse letteralmente impazzire. Più la passione e la veemenza del suo amante si faceva intensa, più Kaito sentiva il suo corpo fremere e scaldarsi, quasi febbricitante, come una ragazzina alla sua prima volta. 
Si era sempre definito un maschio alfa, sicuro e intraprendente, e in realtà nella vita lo era: in fin dei conti quando loro due erano rivali era sempre stato lui ad avere la meglio, ma da quando avevano cominciato ad avere quel rapporto, palco dei migliori momenti roventi della sua vita, si era reso conto che lui era solo l’agnellino sacrificale nelle mani della bestia. E doveva ammetterlo, più di una volta si era sorpreso a fantasticare sul quell’atletico e caldo corpo che lo sovrastava, magari dopo averlo legato al letto. 
A quel pensiero, accompagnato da un risucchio più deciso del suo amante, Kaito emise un gemito più forte degli altri, roco e asmatico, mentre percepiva una sensazione di umido nei pantaloni.
Che assurdità, un ladro che vuole farsi dominare da un detective.

 

Angolo dell'autore:
7/6/2020 
E siamo di nuovo qui con un'altra storia per il "Kaito Kuroba Month" indetta dal gruppo Facebook "Detective Conan Fanfiction (Italian Fan)".
In questo caso siamo nuovamente con un'immagine che questa volta ritraeva un collo pieno di quelli che sembravano palesemente succhiotti e niente... La mia mente perversa (non credo più di essere, solamente la ragazza dolce e romanticona che scriveva momenti shinran) ha pensato subito a una kaishin molto hot.
Perciò spero davvero che vi sia piaciuta.

Un bacione da me e dal mio onii-san Kaito ;)
KiarettaKid

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Capitolo 19
*** Un ottimo piano B ***


Un ottimo piano B
 

Aveva fallito. Non riusciva a capacitarsene, ma in qualche modo quei lunghi mesi di furti incredibili, di illusioni al limite della realtà e di bugie a fin di bene, erano crollati in un attimo. Spazzati via da una ragazzina che amava e odiava allo stesso tempo.
Se avesse pensato alla fine del suo essere Kaito Kid e al momento in cui sarebbe stato smascherato, avrebbe scommesso tutto su chi avrebbe potuto riuscirci: Hakuba, Kudo, forse addirittura Akako… ma di certo, non lei.
Avrebbe dovuto pianificare un piano B, come aveva sempre fatto, ma la fretta della sua nuova vittima aveva velocizzato anche le sue preparazioni, impedendogli di organizzare tutto al meglio.
Ora, quel gioiello che era quasi sicuro fosse Pandora, stava sfuggendo nelle mani sbagliate, lontano da lui, mentre quella ragazza a cui teneva più di qualsiasi gemma preziosa, lo guardava sconvolta e con le lacrime agli occhi e il suo cilindro stretto tra le mani.
«Per tutto questo tempo… Ho creduto in te, per tutto questo tempo…» biascicava, tra un singhiozzo e l’altro.
Tentò di allungare una mano guantata verso di lei, ma questa si scostò, corrucciando lo sguardo.
«Hai idea di quante volte io abbia litigato con mio padre, per colpa tua?!» gli domandò adirata, ma aveva tutta l’aria di essere una domanda retorica.
«Aoko… Ascolta… Ti giuro che c’è una spiegazione a tutto questo…» cercò di dire.
In quel preciso momento, però, qualcosa lo distrasse. Alle spalle della ragazza si era aperta una possibilità: la sua occasione di risolvere la situazione e recuperare la gemma, per distruggerla una volta per tutte.
«Avanti, spiegamela! Perché tutto ciò che vedo io è un grandissimo bugiardo!» sbraitò lei, aveva smesso di piangere ed ora nel suo sguardo c’era solo quella furia che solitamente dedicava solo a lui durante le loro litigate quotidiane.
«Hai ragione, – disse allargando le braccia e avvicinandosi a lei  – ti ho mentito! Sono un bugiardo…» continuò, mentre lei indietreggiava nel tentativo di mantenere le distanze.
La prese al volo, nel momento esatto in cui stava per cadere fuori dalla finestra alle sue spalle, costringendola ad aggrapparsi a lui, proprio come quella volta che erano fuggiti dalla torre di Tokyo, solo che in quel caso lei era svenuta e di certo non si dimenava come una folle urlando di lasciarla andare.
«Se ti lascio adesso ci rimani secca, stupida!» la rimproverò lui, facendola zittire, solo per qualche secondo.
«Sei tu lo stupido! – esclamò, arrossendo vistosamente – E poi mi dici che intenzioni hai?» a quella domanda lui sorrise, quel sorriso che gli veniva sempre bene e che mostrava tutta la sua esuberanza.
«Ho un’affare da sistemare… ed ho bisogno del tuo aiuto, mon cher.»
«Uuuh… L’idiota parla anche francese, oltre ad essere il più grande bugiardo della storia.» lo prese in giro lei, facendolo ridere nuovamente.
Avvistò immediatamente la moto dell’uomo di Snake che stava filando tra il traffico di Tokyo, sfuggendo alla polizia, troppo lenta per raggiungerla. Con un po’ di fatica, visto che aveva le braccia impegnate a tenere Aoko, manovrò l’aliante, facendolo svoltare a destra, in modo che seguisse il veicolo.
«Bene Aoko, ho bisogno che quando ci avviciniamo, tu allunghi le mani e prenda la gemma.» disse in modo rapido e conciso.
«Cosa?! Scordatelo! Non sarò mai complice di un tuo maledetto furto! Ti ricordo che io odio sia te che Kaito Kid!» rispose lei a tono, incrociando le braccia.
«Insomma Aoko, lo vuoi capire o no che non è affatto come credete tu e tuo padre? Non sono diventato un ladro per diventare ricco, è una cosa molto più seria…» cercò di spiegarsi, nonostante il suo sguardo era completamente rivolto alla motocicletta sotto di loro, che stava guadagnando terreno.
Lei, sciolse leggermente le braccia, mentre anche il suo volto si ammorbidiva in un’espressione di curiosità e stupore.
«In che senso più seria?» domandò.
«Hai la mia parola che se risolviamo questa questione ti racconterò tutto, ma ora ti prego aiutami!» insistette lui, rivolgendole uno sguardo serio e deciso. Per un attimo si perse in quei suoi meravigliosi occhi blu, ma quando finalmente gli sorrise di nuovo, facendo un cenno di testa, ritornò in sé.
«Bene. Ora ti giro, tu aggrappati all’aliante e quando ti allunghi, ti tengo io, ok?» subito dopo, fece come aveva detto.
Si avvicinarono alla motocicletta, ma ovviamente il suo occupante si accorse della loro presenza, tirando fuori dalla tasca una pistola. Il primo colpo schizzò fuori dalla canna dell’arma, ma Kaito virò con l’aliante, evitandolo, mentre la ragazza lanciava un grido di terrore.
«Andiamo Aoko, mi riavvicino, ce la puoi fare.» insistette lui.
«Stai scherzando vero? Quello lì ha una pistola!» mugugnò, spaventata.
«Fidati di me, non permetterò che ti accada nulla. Hai la mia parola.»
«Detto da uno che non mi ha mai detto di essere Kaito Kid…» fece seccata, emettendo uno sbuffo e tendendosi nuovamente con le mani verso il baluginio della sacca agganciata alla parte posteriore del sellino.
La vide sfiorare appena la gemma, quando un’altro colpo di pistola fece deviare nuovamente il loro volo.
«Accidenti, c’ero quasi…» si lamentò.
«Credo abbiamo l’ultima possibilità.» commentò lui, alzando lo sguardo e notando più avanti l’imbocco della superstrada. La ragazza ebbe appena il tempo di domandare il perché, poi imitandolo si diede la risposta da sola.
Calarono nuovamente sul veicolo e Aoko si allungò verso la borsa, mentre lui la reggeva dalla vita: sentiva chiaramente ogni muscolo dei suoi fianchi tendersi, mentre tutte le sue attenzioni erano rivolte alle sue dita affusolate che sfioravano la gemma, senza però riuscire a toccarla.
«Aoko!» gridò, vedendo l’uomo caricare nuovamente l’arma.
«Presa!» esclamò lei, subito dopo, sollevando il diamante leggermente azzurrino, grande quanto una palla da tennis.
Il colpo della pistola partì nello stesso momento in cui lui si sollevava e cambiava traiettoria con l’aliante. Percepì immediatamente un bruciore lancinante al fianco destro, all’altezza della coscia, ma non vi badò e continuò a volare, sicuro che l’uomo non li avrebbe potuti più seguire.
Le sirene della polizia si stavano facendo più vicine, quando lui atterrò con Aoko su un tetto, chiudendo l’aliante; l’adagiò a terra e, stremato, si sedette, osservando il punto dolorante.
«Kaito, ma sei ferito!» esclamò preoccupata la ragazza, chinandosi subito su di lui.
«Tranquilla, è solo un graffio. – la rassicurò, osservando meglio la ferita; il proiettile l’aveva preso di striscio e nonostante dolesse mostruosamente, non sembrava affatto una ferita grave o profonda – Tu, piuttosto, stai bene?» domandò riportando le sue attenzioni su di lei, che rispose con appena un cenno di testa.
Poi, come se si fosse appena ricordata cosa avevano appena fatto sollevò la pietra, osservandola con aria terrorizzata, quasi si aspettasse che da un momento all’altro che andasse in fiamme. In quel preciso momento la luce della luna di quella sera colpì la gemma, creando davvero un bagliore rosso fuoco al suo interno.
Aoko lanciò un grido, sempre più spaventata, ma lui con un’espressione soddisfatta, avvicinò l’indice all’orecchio e parlò.
«Jii, ce l’abbiamo fatta! Abbiamo trovato Pandora… Vieni a prenderci.» concluse,  per poi chiudere la comunicazione con un sospiro.
«Pandora?» la ragazza corrucciò lo sguardo, confusa.
Lui per tutta risposta allungò la mano, attendendo che lei la colmasse con il diamante.
«Avanti Aoko, hai la mia parola che appena saremo al sicuro ti spiegherò tutto.» disse, muovendo le dita, incitandola a darglielo, quando lei sembrava restia.
Sbuffò e poggiò la gemma sulla sua mano, ma senza smettere di guardarlo male, quasi come se tutto quello che fosse successo dal momento in cui avevano lasciato il palazzo in poi non fosse mai accaduto. 
Lui le sorrise divertito, avvolgendo le dita guantate di bianco contro la superficie cristallizzata del diamante.
«Sei stata un ottimo piano B, mia agguerrita principessa.» aggiunse con un occhiolino.

 

Angolo dell'autore:
16/6/2020 
Mi ci sono volute due settimane del "Kaito Kuroba Month" indetto come sempre dal gruppo Facebook "Detective Conan Fanfiction (Italian Fan)".
Ho dovuto unire il prompt della settimana scorsa "Ok, so I lied" e quello di questa, ossia "Piano B", ma finalmente mi è uscita una bella one-shot e, incredibilmente, è una KaitoxAoko.
Spero quindi vi sia piaciuta.

Un bacione da me e dal mio onii-san Kaito ;)
KiarettaKid

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Capitolo 20
*** Attrazione pericolosa ***


Attrazione pericolosa
 

Sapeva bene quanto a sua sorella non piacesse quel rapporto e se c’era una cosa che le pesava di più era il deluderla, visto che Akemi era sempre stata la persona a cui teneva di più al mondo da quando avevano perso i genitori. Sapeva anche che non sarebbe stata l’unica a vedere di malocchio quella loro relazione, non solo perché lui era molto più grande di lei, ma anche per la sua indole da pazzo criminale.
Eppure non poteva farci assolutamente nulla, ogni volta che era vicino a lui si sentiva elettrizzata e febbricitante; un’eccitazione che nascondeva anche una paura incontrollabile, come se il suo subconscio fosse consapevole che, assieme a lui, la sua vita sarebbe stata costantemente in pericolo, rendendolo ancora più virile ai suoi occhi. Proprio come era accaduto quel giorno.
Dopo il suo solito lavoro di routine al laboratorio, nel tentativo di dare un senso agli studi dei suoi genitori e creare così il veleno chiamato putoxina, aveva deciso di distrarsi un po’, per questo motivo era andata al poligono di tiro che si trovava nella struttura e sfogare la tensione di quelle lunghe ore al computer sulle sagome di cartone.
Arrivata all’ingresso aveva afferrato una delle pistole a disposizione e dopo essersi posizionata in uno degli scompartimenti, indossò le cuffie e sollevò l’arma.
Inspirò profondamente, trattenendo il fiato subito dopo, poi chiuse l’occhio destro e prese la mira. Il colpo partì, colpendo sul bordo la sagoma al fondo della stanza. Sbuffò, scocciata di quel pessimo risultato, poggiò l’arma sul ripiano e si tolse il camicie, buttandolo sulla sedia alle sue spalle. Dopodiché sciolse un po’ le braccia, muovendole convulsamente e riprese in mano la pistola, riprovando il tiro, ma nemmeno in quel caso il colpo andò a buon fine.
«Sei troppo rigida, Sherry…» disse una voce glaciale alle sue spalle, dandole il solito brivido adrenalinico lungo la schiena.
Si voltò, vedendolo togliersi l’impermeabile, che indossava quasi sempre, e metterlo sulla stessa sedia dove lei aveva lasciato il camicie bianco.
Rimase quasi incantata, ad osservare quei muscoli scolpiti che caratterizzavano le sue braccia; soprattutto quando in un gesto veloce li tese un attimo per portarsi i capelli argentei dietro le spalle, in modo che non gli dessero fastidio. Si avvicinò a lei, e in un attimo, quelle stesse possenti braccia l’avvolsero, aiutandola a sostenere la pistola.
«Non devi trattenere il respiro… – le sussurrò all’orecchio – Devi regolarizzarlo.»
Con la sensazione delle sue lunghe dita, leggermente ruvide, che le sfioravano le mani, seguì il suo consiglio, cercando di rilassarsi e di regolarizzare il respiro. Non appena si sentì pronta, chiuse nuovamente l’occhio per prendere meglio la mira e spinse il grilletto.
Il colpo riecheggiò di nuovo nella stanza, ovattato solamente dalle cuffie che ancora indossava, ma questa volta colpì il suo obbiettivo in pieno centro.
«Bel colpo dolcezza… – si complimentò lui, facendola sorridere di soddisfazione, mentre lui le sfilava la pistola di mano – Ma vedi, se vuoi essere sicura al cento per cento di uccidere qualcuno, dovresti mirare alla testa.» concluse, posizionando la pistola proprio sotto il suo volto; probabilmente se avesse chinato la testa, avrebbe percepito la canna, ancora rovente, sul suo mento.
«È così che uccidi i traditori, quando lui te lo ordina?» domandò, il cuore le martellava frenetico e non sapeva se fosse per la paura o per l’adrenalina.
«Sarà così che ti ucciderò se proverai a tradire l’organizzazione…» ghigno lui, mentre un ciuffo di capelli sfuggiva dalla presa dell’orecchio, scivolando davanti ai suoi freddi occhi verdi.
Shiho si voltò e allungò la mano verso il suo volto, con un sorriso ancora più serafico, dopodiché prese possesso delle sue labbra, lasciandosi subito trasportare dalla passione. Le loro labbra cominciarono ad assaporarsi, le loro lingue a inseguirsi, in una danza vecchia come il mondo. Quando Gin, preso dalla frenesia del momento, poggiò la pistola sul ripiano e la prese in vita, sollevandola, in modo che si potesse sedere anche lei su di esso, portandola alla sua altezza.
Non appena sentì le sue natiche toccare la piattaforma di legno, con un gesto veloce allungò la mano sull’arma incustodita, puntandola al petto dell’uomo e staccandosi da quel bacio.
«Prima dovrai riuscire a prendermi…» gli sussurrò, quasi in un sospiro eccitato.

 

Angolo dell'autore:
18/6/2020 
Stacco un attimo dal mese dedicato a Kaito, per provare a scrivere qualcosa che non avevo mai fatto e che mi è stato chiesto da una mia lettrice. Sinceramente è la prima volta che scrivo una GinxShiho, nonostante siano parecchio shippabili ho sempre visto il loro rapporto molto malato, quindi le alternative erano o questo, o una violenza di Gin su Shiho (e già ho faticato a scrivere queste cose in "Kokoro no uragiri").
Perciò spero davvero che questa one-shot vi sia piaciuta, perché è stato davvero difficile scriverla.

Un bacione da me e dal mio onii-san Kaito ;)
KiarettaKid

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Capitolo 21
*** First Lesson ***


First Lesson

 

«Tocca a te.» disse la voce dal tono leggermente disinteressato, del suo compagno di stanza.
Saguru sollevò lo sguardo dal suo libro che era intento a leggere, osservando il tavolino di fronte a lui e studiando ogni pezzo, bianco o nero, presente sulla scacchiera.
«Bella mossa quella di mettermi in scacco la regina con alfiere e cavallo…» commentò, mentre sulla sua bocca si formava un leggero sorriso.
«Ancora mi domando come tu possa giocare e leggere allo stesso tempo.» commentò il suo sfidante, mentre lo osservava passarsi la mano libera tra i capelli biondo cenere, in un gesto spontaneo che faceva sempre quando cercava di concentrarsi e apparire attraente allo stesso tempo.
«Un detective deve essere pronto a gestire più situazioni contemporaneamente.» rispose semplicemente lui, per poi prendere tra le dita il suo cavallo bianco e metterlo davanti alla regina, in modo che la proteggesse.
Dopo aver fatto quella mossa tornò al suo romanzo, ma questa volta la sua attenzione alle parole scritte sul libro che teneva in mano durò ben poco, perché i rintocchi del Big Ben risuonarono per tutta la zona, facendo voltare entrambi verso la finestra ad osservare la maestosa torre dell’orologio.
Era stato fortunato, quasi tre mesi prima a trovare un appartamento così centrale, a soli due ponti da quello di Westmister, con una vista mozzafiato sulla parte più bella di Londra, ossia quella del parlamento, ma soprattutto aveva avuto molta fortuna a trovare un coinquilino abbastanza ricco, come lui, con cui potesse dividere la caparra dell’affitto; il tutto prima che arrivasse il suo compleanno.
«Credo di non avertelo mai chiesto… – disse il suo avversario, tornando a concentrarsi sulla scacchiera – Perché, dopo aver fatto tutte le superiori in Giappone hai deciso di trasferirti definitivamente qui a Londra? Soprattutto senza invitare nessuno in un giorno speciale come oggi...» pose la domanda, mentre con riluttanza mangiava il cavallo bianco, conscio che aveva perso la partita.
«Non c’era niente per me a Tokyo. – cominciò lui, chiudendo il libro e poggiandolo sul tavolino – E poi, Londra è sempre stata la mia maestra di vita. La magnificenza di questa città non ha paragoni, qualche volta vinci e qualche volta impari, ma non ti delude mai, neanche quando passi il ventesimo giorno della tua nascita in tranquillità.» sorrise Saguru Hakuba, chiudendo la partita con il suo scacco matto.

 

Angolo dell'autore:
26/08/20

Questa flash fic ha partecipato alla Challenge #piùgioiaperSaguruHakuba indetta dalla pagina FB Detective Conan Fanfiction (Italian fan).
Ho scelto, tra le varie proposte, il tema London, riversando in Saguru tutto l'amore incondizionato che provo per questa meravigliosa città.

Un bacione da me e dal mio onii-san Kaito ;)
KiarettaKid

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Capitolo 22
*** Little Nekomata ***


Little Nekomata

 

Nessuno poteva immaginarlo, nemmeno quegli sciocchi dei suoi finti genitori o la ragazza che per molti anni aveva considerato davvero come una sorella avevano mai sospettato nulla.
Era riuscita a vivere la sua vita come una normale ragazza umana, per quanto il ruolo che le era stato assegnato le permetteva; era sicura che nessuna ragazza di sedici o diciassette anni passava le ore in laboratorio a fare stupidi esperimenti per creare e testare veleni, d’altro canto però se c’era una cosa che gli yokai sapevano fare meglio era creare maledizioni e veleni, senza considerare la possibilità di avere una fornitura infinita di topi come cavie che soddisfano il suo istinto felino.
Quella sua vita che ai suoi occhi appariva perfetta, però, fu sconvolta dalla cruda realtà. Aveva vissuto troppo tempo sotto quelle mentite spoglie, quasi umanizzandosi, e quando l’unica persona che la legava alla razza umana le fu strappata, uccisa da quelle stesse persone che l’avevano accolta nei loro ranghi, la sua vena demoniaca tornò a galla.
Nessuno le aveva dato la notizia, fu un caso fortuito scoprirlo; mentre passava per il corridoio principale del covo dell’organizzazione, diretta al suo laboratorio, udì alcuni uomini parlarne, dicendo che visto che non avevano più bisogno di lei, era stata uccisa da uno dei loro uomini migliori. Presa da un moto di rabbia strinse i pungi, percependo subito le sue unghie feline, graffiarle i palmi di quelle deboli mani umani, mentre passava la lingua sulle sue zanne.
Si diresse al laboratorio, come prestabilito, progettando già la sua vendetta. Ognuno di loro l'avrebbe pagata, li avrebbe uccisi uno per uno e dopo di loro si sarebbe accanita su ogni essere umano che avrebbe incontrato. Nessuno di loro meritava di sopravvivere: erano tutti dei vili ratti che pensavano solo a se stessi e ai loro beni.
Il primo uomo lo uccise proprio lì, nel suo laboratorio, non appena mise piede nella stanza, quando però la portarono in una cella dell'edificio, una specie di sgabuzzino puzzolente e vuoto, sentì la sua vena demoniaca riemergere completamente.
Nel buio quasi assoluto di quella stanzetta, il suo aspetto mutò completamente: la folta bicoda spuntò nella parte più bassa della schiena, muovendosi subito frenetica e tra i capelli ramati un paio di orecchie triangolari da gatto fecero capolino. Il suo corpo sinuoso e l'aspetto felino la rendevano quasi attraente, non fosse stato per gli affilati artigli che le erano comparsi al posto delle unghie e le zanne affilate su cui passò la lingua, come se già assaporasse l'idea di affondarle nelle carni di ogni membro di quell'organizzazione. Tutto questo, mentre un solo pensiero inondava la sua testa: vendetta!
Solo dopo parecchie ore, qualcuno venne ad aprirle, forse per portarle qualcosa da mangiare. Cibo da umani, no, lei voleva carne, carne fresca. Attraverso il suo udito sviluppato percepì i passi da parecchio lontano, assieme al tintinnio delle chiavi che sarebbero servite all’uomo per aprire lo sgabuzzino. Poco dopo lo schioccare della serratura che si apriva, la avvisò che stava per entrare e si nascose in un’angolo all’ombra, proprio come quando un predatore si acquatta per sorprendere la preda.
L’ignara vittima, infatti, entrò titubante dentro la stanzetta, cercando con lo sguardo la prigioniera, senza però trovandola. Si inoltrò ancor di più nell’oscurità, in fin dei conti la stanza era alquanto piccola e chiusa a chiave, non poteva certo scappare in alcun modo.
Fu un attimo, non appena fu abbasta vicino, la nekomata si lanciò verso il suo collo azzannandolo. Il vassoio, che l’uomo aveva tra le mani, con sopra il pasto, cadde a terra con un clangore, spargendo quello che sembrava un passato di verdure e un tozzo di pane per terra.
L’uomo cercò di liberarsi, mentre le sue urla strazianti risuonavano in tutto il piano; ma lei con un gesto veloce, mise fine alla sua vita, trapassandolo da parte a parte con gli artigli affilati e la stessa mano, mentre lui spirava in un’ultimo rantolo.
Non passò molto, che qualcun altro, probabilmente attirato dalle urla del collega, raggiunse la stanza. Ebbe appena il tempo di vedere le folte code che si muovevano e il volto della ramata che si alzava dal corpo esanime dell’uomo, la sua bocca coperta di sangue rosso e vivido. Si voltò, tentando di scappare, ma la giovane yasha fu più veloce e dopo essergli saltata letteralmente sulle spalle, lo azzannò sulla spalla: alla luce a neon del corridoio il rosso del sangue sembrava ancora più vivido, risvegliando l’animale che era in lei. 
Più ne uccideva, più provava soddisfazione e in poco tempo, decimò i membri di quell’organizzazione che aveva osato intrappolarla con false promesse.
Si lasciò lui per ultimo, voleva assaporare l’idea di ucciderlo dopo tutti gli altri, voleva vedere la paura nei suoi occhi, sapendo che sarebbe toccato a lui. Ma quando aprì la porta del suo ufficio lui era tranquillamente seduto sulla sedia girevole, fumando una sigaretta ed osservandola serio con in suoi occhi di ghiaccio.
Si leccò le zanne, pensando a come non vedeva l’ora di vedere i suoi lunghi capelli argentei tingersi del rosso del suo stesso sangue. Dopodiché avanzò lentamente verso di lui, le code che frustavano l’aria, sinuose e ormai mezze rosse di liquido ematico seccato.
«A quanto pare la micetta si è arrabbiata.» commentò divertito lui, mostrandole un leggero ghigno. Per tutta risposta, dalla sua bocca uscì solamente un verso soffuso, come un gatto che soffia il suo disappunto.
L’uomo spostò la mano libera dalla sigaretta sotto la giacca, pronto ad afferrare la pistola, ma lei fu più veloce e con un perfetto colpo di artigli, che grazie alla sua capacità di mutare si erano allungati per un attimo, gliela taglio di netto.
Emise un gemito, ma si trattenne dall’urlare o dire qualsiasi altra cosa, mentre l’arma cadeva a terra assieme al suo arto. Lasciò la cicca, portandosi l’unica mano sana verso il moncherino sanguinante.
Con un’altro scatto lei lo blocco alla sedia, tenendogli un piede, munito ancora di tacchi, sul petto e ficcandogli le unghie proprio sotto il mento, dove il suo pomo d’adamo sporgeva sulla gola.
«Non credere che ti ucciderò così in fretta. – sibilò carica di rabbia, la voce completamente diversa da quella della ragazza che era stata costretta a impersonare per anni – Patirai le pene dell’inferno.»

 

Angolo dell'autore:
22/10/20

Io ho passato le pene dell'inferno per scrivere questa one-shot, tra una specie di blocco e il fatto che non sapevo come descrivere il massacro (che alla fine ho pure accorciato perché stavo finendo le idee) sono impazzita.
Comunque sia, questa storia partecipa alla #trickortreatchallenge indetta dalla pagina facebook "Detective Conan fanfic (italian fan)" a cui dovreste fare una statua, visto che è grazie a loro se ho ripreso a scrivere su Detective Conan XD 
Spero comunque che vi sia piaciuta.

Un bacione da me e dal mio onii-san Kaito ;)
KiarettaKid

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Capitolo 23
*** Passione segreta ***


Passione segreta

 

Quella notte Shinichi dormì a malapena, combattuto tra la frustrazione di essere stato battuto anche quella volta e la nascosta eccitazione che sentiva. Sapeva che il giorno dopo sarebbero dovuti partire e già si domandava quando l’avrebbe rivisto.
La mattina arrivò fin troppo in fretta e la frenesia della preparazione dei bagagli lo stava stressando. Quel svuotare gli armadi, piegare e riporre nella valigia era un qualcosa che lo aveva sempre innervosito, per questo motivo lui solitamente lasciava tutti gli indumenti nel bagaglio, anche se il soggiorno era lungo.
«Ascolta, visto che la mia valigia è già pronta, vado un’attimo di sopra a salutare un amico, ok?» fece, rivolto a quella che ufficiosamente era la sua fidanzata.
«Va bene. – rispose Ran avvicinandosi a lui – Ma mi raccomando torna presto perché tra poco dobbiamo andare.» aggiunse, baciandogli le labbra.
Il ragazzo sorrise, dopodiché uscì dalla camera e fece un piano di scale, ritrovandosi a quello di sopra. Sapeva benissimo quale fosse la sua camera, perché quel maledetto gli aveva lasciato un biglietto in tasca, quando il giorno prima l’aveva fatto svenire.
Bussò e ad aprire fu proprio lui, in jeans e con sopra solamente una camicia sbottonata: probabilmente si stava cambiando. Lo invitò ad entrare e lui lo seguì in silenzio, osservando il suo petto e i suoi addominali in bella vista.
Fu un attimo, nel momento in cui si chiusero la porta alle spalle, andarono l’uno verso l’altro intrecciandosi in un abbraccio talmente sentito da non poter fraintenderlo in nessuno modo.
«Non riesci proprio a stare alla larga da me, eh Kudo?» domandò, rimanendo avvinghiato lui.
«In realtà ero venuto per dirti di smetterla di farmi svenire ogni qualvolta devi rubare un gioiello, quella era una mia prerogativa una volta.» si lamentò, ma era chiaro che non erano quelle le sue intenzioni, visto ciò che stava facendo.
«Sei veramente scarso a mentire lo sai? – fece lui, allontanandosi leggermente in modo da guardarlo in faccia, ma continuando a lasciare le braccia attorno alla parte alta dei suoi fianchi – E comunque ti ho detto di Pandora e sai anche benissimo che non rubo mai nulla per davvero, quindi ancora mi domando perché devi sempre metterti in mezzo.» aggiunse con uno sbuffo, un qualcosa che fece prendere Shinichi di coraggio.
«Non mi dispiacerebbe affatto metterti un paio di manette ai polsi e catturarti per sempre.» disse e il suo tono di voce si era fatto basso e deciso, mentre lo guardava con uno sguardo leggermente più intenso. Lo vide sorridere, serafico, e in un attimo avvicinò nuovamente il capo al suo spostandolo leggermente sulla destra e sussurrandogli qualcosa all’orecchio.
«Mi spiace Kudo, ma anche lì sarei io a comandare la partita.» solamente con quella frase Shinichi sentì un brivido percorrergli tutto il corpo e fermarsi proprio in mezzo alle gambe.
«Tu…» riuscì appena a sussurrare, ma la sua voce uscì maledettamente smorzata.
«Immagina cosa succederebbe se fosse il ladro ad ammanettare il detective. – continuò lui imperterrito – Non hai idea di quante cose potrei…»
«Kaito! Cosa diavolo stai facendo?!» una voce acuta interruppe ogni altro gesto e discorso, sorprendendo il ragazzo con già una mano sulle natiche dell’altro.
«A-Aoko… – disse allontanandosi da Shinichi – Io… Insomma noi? Che c’è?» concluse, tentando di cambiare discorso.
«Che c’é?! E me lo chiedi? Tu stavi…» anche la ragazza venne interrotta, da un leggero bussare.
Sulla soglia della porta della stanza che Aoko aveva lasciato aperta c’era Ran.
«Scusate, ma… Shinichi noi dovremmo andare.» disse tranquillamente, non sapendo il motivo di quella discussione che aveva interrotto.
«Sì dammi solo il tempo di…» cercò di dire.
«Vai tranquillo Kudo, me la cavo io.» lo rassicurò Kaito, facendogli l’occhiolino.
Il giovane detective sospirò, allontanandosi a malincuore da lui. Forse era proprio il caso che cominciassero entrambi a pensare di smetterla con quella stupida copertura dei perfetti fidanzati, ma a quanto sembrava il momento non era quello.
«Cosa stava succedendo?» domandò Ran, mentre erano entrambi in ascensore.
«Nulla… Non ti preoccupare.» rispose lui, accennando quello che era evidentemente un finto sorriso.

 

Angolo dell'autore:
14/6/21

La verità è che questa one-shot me la sono sognata qualche notte fa XD Nel sogno andava in modo leggermente diverso il finale, ma diciamo che non ho saputo gestirlo appieno, soprattutto perché volevo rimanere nei caratteri delle povere due fanciulle...
Comunque ditelo che vi mancavano le mie yaoi di loro due <3 A me tantissimo!

Un bacione da me e dal mio onii-san Kaito ;)
KiarettaKid

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