Leonetta- Un' altra dimensione: Dove sono finita?

di blackswam
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Quando il destino ti comanda, tu seguilo. ***
Capitolo 2: *** Il lieto fine esiste soltanto per chi ha fede. ***



Capitolo 1
*** Quando il destino ti comanda, tu seguilo. ***


Image and video hosting by TinyPicNota autrice: Oneshot fresca, fresca! ° si inchina°
Anzi avrebbe dovuto essere una oneshot, ma si è riscoperta molto lunga e non voglio farvi affaticare quindi la divido in due parti e volevo dedicala a una delle mie coppie preferite LeonxVioletta Non tutti li amano insieme come me, ma per me questi due fanno scintille. La storia non so se è molto originale, oppure se possa piacervi, ma spero di aver colpito qualcosa che possa spingervi a leggerla e adorarla. Sottolineo che gli errori potranno esserci e mi scuso umilmente per quelli. Non sono una scrittrice, non sono brava, scrivo per ispirazione provando a non commetterli.
La mora si trova catapultata in un altra dimensione, molto più calda e interessante. Riavrà con se persone molto importanti per lei, che aveva perso e adesso ritrovato. Incontrerà persone nuove, giuste per lei ritrovando la Violetta bambina che si era persa nel suo buco di dolore. I suoi sorrisi era veri, smaglianti e di questi lei si sente soddisfatta.
Buona lettura!







Leonetta- Un' altra dimensione: Dove sono finita?

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C'era una volta in un regno molto lontano
Tanto tempo fa,
L'odore afrodisiaco delle rose che penetravano nelle sue narici riuscivano a farla rilassare. Il respiro era regolare mentre insipirava con il bacino in movimento. I lunghi capelli, bagnati, ricadevano sulle sue spalle entrando in contatto con la schiena anch'essa brandita di sudore.
Lo scrosciare dell'acqua di una fontanella li vicino era come una melodia piacevole per le sue orecchie. Sfila le cuffie, ormai diventate inutili visto perché non ci si ascoltavano nessuna musica, unisce davanti a se le mani raccogliendo un po' di quell'acqua dolce e fredda. Ne beve un sorso e se ne porta un po' sul viso. Rinfrescandolo, soprattutto al contatto con la follata di vento, l'unica e rara, a causa dell'aria calda che circondava il parco. Si rimise le cuffie, scostandosi la ciocca di capelli castani, e riprende la sua corsetta quotidiana.
Violetta Castillo. Vent'anni. Capelli castano, occhi marrone chiaro, abbastanza alta e magrolina.
E' una donna che cura molto il proprio benessere, del proprio corpo, alla propria reputazione. E' una di quella persone che frequentano posti giusti, persone giuste, ragazzi giusti. Sono quelle persone che non hanno un proprio obbiettivo, sono frivole attaccate soltanto al denaro. Conoscono soltanto la parola: Perfezione senza però comprenderne davvero il significato. L'essere perfetto non potrà mai nascere nel nostro mondo perché altrimenti si è noiosi, monotoni, fastidiosi. L'odio, l'amore, la gelosia sono tutti sentimenti che ci rendono veri e vivi. Però lei non riusciva a comprenderlo troppo occupata a rinchiudersi nel guscio creatosi all'età di sette anni, dopo la tragedia della notte del suo compleanno, o meglio la notte dell'incidente.
Era nell'auto, insieme ai suoi genitori quando andarono a sbattere contro un albero.Secondo i medici i due sono morti sul colpo mentre lei era rimasta convalescente per molti mesi. Al suo risveglio si era ritrovata stesa su un letto d'ospedale. Era spaventata da tutti quei marchingegni attaccati al proprio corpo, ma la voce del dottore era riuscita a calmarla. Con parole lente e concise provarono a spiegarle l'accaduto, ma lei non riusciva a comprendere. La sua mente era come al riposo, addormentata, e non riuscivano a connettersi con il proprio cervello.
« Dove sono? Mamma, papà dove siete? », queste erano le uniche parole che sapeva pronunciare.
Non riusciva più a salutare, a sorridere, a piangere. Era come spenta. Un giorno però la verità gli fu sbattuta sul suo piccolo fragile faccino. Doveva comprendere la dura realtà che nulla sarebbe stato come prima. Le cose furono più dure e cruenti quando tremando aveva afferrato la mano di quella donna che sarebbe stata la sua nuova madre. Una sostituta.
La sua nuova casa era accogliente, ma sarebbe stato difficile abituarsi. Lei era abituata al silenzio, alla tranquillità, ad essere coccolata e messa sempre al centro dell'attenzione. Però con quattro figli, come fratelli, non era pressoché facile.
Lucas, il più grande aveva dieci anni, Marie la secondogenita ne aveva sette, i più piccoli Sophie e Matias avevano quattro e tre anni. Erano tutti felici della sua comparsa, sembrano accettare la situazione, ma la mora pensava che era tutta finzione. Scoprire che erano come lei, orfani, la faceva sentire meglio. Lucas si occupava di inserirla in famiglia, gli raccontava del suo arrivo in quella casa dandole coraggio, riuscendosi anche se la mora non l'avrebbe mai ammesso piuttosto si morderebbe un braccio.
La vita scorreva veloce e gli anni passavano e la dolce bambina diventava una donna. Una donna non perfetta, ma molto bella. La bellezza, però, può dare alla testa soprattutto se alimentate dalle persone che ti circondano e degli amici che frequenti. Violetta era cresciuta sana e forte, in una famiglia che non gli aveva fatto mancare niente. Affetto, amore, fratellanza.
Aveva perso i contatti con tutti i suoi fratelli che nutrivano speranza in un suo cambiamento. Marie attendeva l'arrivo della sua migliore amica, nonché sorella, ma ormai si era fatta una nuova vita e non si dedicava più a questi pensieri.
« Buonasera signorina Castillo.», sorride salutandola il custode del condominio.
La mora ricambia il sorriso salutandolo con la mano libera, mentre l'altra era occupata a reggere la bottiglia d'acqua appena riempita alla fontanella. Dopo aver vagato alla ricerca della chiavi sulla sua borsetta, entra nel suo appartamento.
« Sono a casa.», sussurra al vento.





« Pronto?», domanda la mora all'altra cornetta del telefono. « Parlo con Violetta Castillo?», chiede la voce ben utile da capire che apparteneva a una donna.
« Camilla?», chiede la mora dondolando i piedi sul letto stringendo la cornetta sull'orecchio e la spalla mentre con le mani si spalmava lo smalto sulle dita.
« Hei, magrolina.», la canzonò la rossa sfottendola con il suo stesso nomignolo.
« Non chiamarmi così con quel tono divertito. E' un nomignolo stupido.», sorride la mora facendo la finta offesa. « Si certo, scusa. », ride Camilla alzando lo sguardo all'aria.
« Come mai mi hai onorato di una tua chiamata?», domanda infine la mora curiosa.
« Non posso parlare con una mia vecchia amica?», chiede scherzosa la rossa. « Okay basta con gli scherzi. Ho bisogno del tuo aiuto.»
« Di che si tratta?», chiese allarmata la mora. « Nulla di preoccupante. E' soltanto un favore da niente.»
« Ah si, sentiamo?», sospira la mora stendendosi con la schiena sul lettino. La sua migliore amica, Camilla, rompeva secondo lei tutti i santi giorni rovinando le sue bellissime giornate.
« Come tu ben sai domani inizia il mio primo giorno da ragazza indipendente. Ho bisogno del tuo aiuto con i bagagli e gli scatoloni. », dice la rossa pregandola con la voce.
« Non hai qualcuno che le porti per te?», domanda esausta e annoiata Violetta.
« Indipendente. Devo fare tutto da sola altrimenti i miei mi riprendono con se. », dice innervosita ricordando la loro chiacchierata giorni fa. « Va bene, a domani.», sospira la mora attaccando dopo il saluto della rossa.





Il tintinnio della pioggia che picchiettava sulla finestra l'aveva svegliata dal suo sogno. Erano le otto del mattino, cosa dal non credere notando il buio fitto fuori dalla dimora. Tra un ora avrebbe dovuto alzarsi da quelle calde e morbide coperte, avrebbe dovuto vestirsi, lavarsi e farsi nuovamente il bagno per aiutare una delle sue più care amiche a traslocare.
« Ma chissene.», pronuncia prima di rilanciarsi sul lettino con la faccia sul cuscino.
Il rumore del telefono che suonava a intermittenza interrompe nuovamente il suo sonno. Con gli occhi ancora chiusi, tenta di aprirli trovando tutto ombrato.
« Si?», chiede senza pensarci. « Si può sapere dove cazzo sei?», chiese una voce urlando dall'altra parte del telefono.
« Scusami, ma chi sei?», chiede sbadigliando la mora stropicciandosi gli occhi con il dito. « Camilla. Trasloco. Ti dici qualcosa?», urla nuovamente la voce.
« Oh cavolo, arrivo subito. », salta dal letto vestendosi a gran velocità.
In tredici minuti si ritrova a correre sulla pioggia fredda, con l'ombrello stretto tra le mani, le scarpe che picchiettano sulle pozzanghere. Per rendere il cammino più veloce si spintona tra la gente.
« Permesso.», ripeteva mentre si scansava dalla massa. « Permes- », un gran mal di testa, persone che correvano spaventati sul suo viso, erano sfuocati poi il buio.





« Violetta svegliati! Il sole ha già toccato il cielo. », urla una voce fastidiosa per la mora che apre le tapparelle facendo penetrare i raggi del sole sul viso della ragazza.
« No, vi prego. Ho ancora sonno.», sospira la mora rimanendo ad occhi chiusi. « Chi sei? », chiede non riconoscendo la voce.
« La fata turchina. Tua madre, no?», la canzonò la donna ormai sulla quarantina d'anni. Aveva dei capelli castano chiaro, lisci, che ricadevano sulle spalle.
Violerra balza dal letto spalancando gli occhi trovandosi davanti il viso sorridente della madre, rimane sorpresa di ritrovarsi nella sua camera come se nulla fosse accaduto. Era cresciuta sotto quel tetto, su quelle soffici coperte, sotto le cure di quella donna che l'aveva tenuta dentro di se per nove mesi, sotto le cure di quel padre rigido e geloso amante dei dolci. « Mamma.», dice come per dare confermava a ciò che stava guardando. L'istinto di abbracciarla non poteva essere represso, infatti eccola li, appollaiata sulle sue braccia, incerte e immobili, che la guardavano sorpresa.
« Hei, cos'è tutto questo affetto?», domanda scherzosa la signora Castillo. La mora non risponde stringendosi a lei, bagnandole la maglia strofinandoci talvolta il naso. « Mi sei mancata.», ripete disperata. Singhiozzava, felice e contenta. Sapeva di vivere in un sogno, il quale non avrebbe mai voluto svegliarsi, ma voleva vivere quei attimi come se fossero veri. Dovevano essere veri.
« Dimmi Mamma che cosa ci fai qui? E' un sogno oppure sono in paradiso?», domanda Violetta. La donna appoggia la mano sulla fronte della figlia. « No, non hai la febbre.», contasta la donna preoccupata.
« Mamma sto bene, ma come ci sono finita qui?», chiede incuriosita la mora. La signora Castillo guardava preoccupata la figlia. « Caro, nostra figlia sta delirando. Chiama un dottore, un ambulanza, i vigili del fuoco.», la mora sorride credendo di essere in un sogno. « Oh cazzo, Camilla!», esclama Violetta dandosi non dei lievi pizzicotti sul braccio.
« Ahi.», strilla addolorata. Per essere un sogno il dolore era parecchio reale. Dopo aver tentato per parecchie volte si massaggia il braccio dolorante guardandosi intorno stranita.
« Violetta, tesoro non ti senti bene?», chiese preoccupata il signor Castillo sedendosi sul bordo del letto accarezzando i capelli castani della figlia. « Si, sto bene.», risponde Violetta spenta.
« Tesoro, vuoi fare colazione?», gli occhi di Violetta si illuminarono sobbalzando dal letto e correndo le scale verso la cucina. « Visto cara, è tornata.», sorride il signor Castillo.





Erano ore che Violetta passeggiava nella sua città natale, non trovando nessuna sorta di cambiamento. Tutto era al solito posto, o quasi tutto. Perché i suoi genitori era ancora vivi? Perché viveva ancora nella sua vecchia casa? E' madre Carmela? Lucas, Marie, Sophie e Matias?
« Deve essere un sogno, è l'unica spiegazione.», ripete nella sua mente non riuscendo a convincersene ancora una volta.
Aveva compreso di trovarsi in un nuovo spazio temporale, dove nulla è accaduto. Sembra quasi che il destino abbia voluto accontentarla e vivere la sua vita semplice e serena.
« Se è un sogno meglio viverlo pienamente.», afferma nei suoi pensieri. « Cosa potrei comprare in questi negozi?», si chiese ironica dirigendosi verso un negozio di vestiti.
Era tornata a casa per le sei precise, con le buste appese tra i polsi e arrivavano fino all'avambraccio. Era stanca, gli mancava molto la compagnia di Camilla che spesso si offriva di aiutarla. Portando lei quasi tutte le borse.
« Chissa se potrei incontrare la Camilla di questo mondo.», sorride portandosi una mano sulle labbra dubbiosa. « Domani, quando mi sarò addormentata, inizierò a cercarla.»
« Sono a casa.», sussurra quasi. « Bentornata.», la salutano i suoi genitori.
Il padre stava leggendo un giornale sul divano mentre la madre era di spalle a cucinare qualche intruglio per stasera. Quasi le vennero le lacrime agli occhi. Era abituata ad entrare in casa e trovarla sempre vuota, le sue parole erano sempre buttate al vento, ma non stavolta.
Terminato di cenare saliva le scale con più serenità. Avevano parlato per tutta la cena, facendo battutine che divertivano la mora assaporando il calore di una famiglia. Aveva salita le scale quasi tremando, credendo che al suo risveglio tutti questi sentimenti, queste emozioni possano scomparire. Abbandona i folti capelli sul cuscino chiudendo con gli occhi socchiusi e lentamente si lascia andare a un sonno molto profondo.
Al suo risveglio aveva trovato le persiane aperte, mentre cercava di coprirsi con il cuscino per non far penetrare i raggi del sole sulla sua pelle.
« Mmh, mamma?», domanda cercandola con la mano. « Mamma! Papà!», strilla quasi per farsi sentire. « Lo sapevo, era tutto solo un sogno.», sospira affranta.
« Tesoro, ti sei svegliata?», chiese una voce. « Mamma?», domanda speranzosa la ragazza. « Eh certo chi dovrei essere?», la mora si lascia cadere sul letto battendo i piedi contenta.
Violetta si alza dal letto dirigendosi verso il piccolo barcone della sua camera beandosi dell'aria fredda e calda della città. Non riusciva a comprendere molte cose, soprattutto del motivo per cui si trovava li, ma non le importava. La notte precedente aveva sperato con tutta se stessa che accadesse e nuovamente qualcuno lassù l'aveva accontentata.
« Buongiorno.», la saluta una voce al suo fianco. Era un ragazzo alto, sbilanciato, capelli castano scuro occhi verdi. Era bello, tremendamente bello. La stava osservando da parecchi minuti, con le mani appoggiate sulla ringhiera appoggiando il gomito sul questa e il palmo sotto in mento. « Buongiorno.», saluta a sua volta Violetta scostando lo sguardo.
« Leon Vergas, il tuo vicino.», lo saluto lui porgendole la mano stretta dalla mora. « Violetta Castillo.», si presenta a sua volta la bionda sorridendo.
« Vivi solo?», domanda Violetta sporgendosi per trovare qualche altra figura umana nella casa non trovandone. « Si, mi sono appena trasferito.»
« Capisco.», dice la mora facendo per andarsene, ma la voce del moro la ferma. « Qualche volta potremmo berci un caffè insieme, ti va?», domanda il moro speranzoso.
« Con immenso piacere. », sorride la mora allontanandosi con un sorriso.

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Capitolo 2
*** Il lieto fine esiste soltanto per chi ha fede. ***


Image and video hosting by TinyPicNota autrice: E' finita e non riesco a credere di averlo terminato in soli due giorni. Brava me, allora. ° sorride raggiante° Prima, però, voglio ringraziare le meraviglie che hanno seguito questa fiction, coloro che mi riempiono di complimenti e mi danno un motivo per scrivere. Non sapendo, però, che anche loro hanno del talento. Io mi baso a scrivere su ciò che penso, facendo errori dietro l'altro, ma nonostante tutto voi mi seguite e leggete con curiosità, non sapete la mia soddisfazione. Il finale è un lieto fine, come sempre. Ho cercato di non allungarla molto, altrimenti sarebbe diventata una storia in piena regola e voi avreste anche potuto stancarvi nella lettura. La storia sembra che vi sia piaciuta, come anche il primo capitolo, adesso vedremo se anche il secondo e nonché l'ultimo riesca ad incantarvi.
Buona lettura!




Leonetta- Un' altra dimensione: Dove sono finita?

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« Buonasera, vorrei sapere se qui abita la signorina Camilla Torres.», chiede la mora sporgendosi verso lo sportello di vetro dove dentro presiedeva il custode seduto sulla poltrona girevole.
Stava bevendo il tè, con i piedi appoggiati sulla scrivania, parlando al telefono dal quale la mora presumeva fosse qualcuno della sua famiglia. Il vecchio, massaggia frettoloso la sua lunga barba bianca - che lo faceva assomigliare a mago Merlino- e dopo aver riattaccato dedica la sua attenzione alla donna che aspettava spazientita battendo il piede sul pavimento.
« Chi desidera saperlo?», domanda lui severo perdendo il sorriso dolce che aveva poco fa. « Violetta Castillo.», rivela tranquilla la mora.
« Mi spiace, ma la signorina Torres non abita più qui da parecchi anni.», afferma l'uomo sistemando le carte in un cassetto. « Come sarebbe a dire? Dove potrei trovarla sa per caso dove abita?», domanda furiosa la mora.
L'anziano porta le mani incrociate davanti al viso guardando la mora con sguardo truce e indifferente. Del tipo: Non ho tempo da perdere con te, sparisci!
« Fare il custode deve essere un lavoro parecchio noioso.», sostiene la mora dentro i suoi pensieri notando le mani dell'uomo consumate, ruvide e sottili. Le unghie era rovinate per il troppo mangiucchiare, si vedeva che la noia l'aveva stremato.
« Non so. Ricordo soltanto che dopo la tragedia una donna, con i servizi sociali, vennero a prendere la bambina.», prosegue il custode mettendo in azione il cervello collegandosi alla memoria arrugginita. « Tragedia?»
« Si, la famiglia Torres fu soggetta ad un tragico incidente d'auto tredici anni fa. », annuisce il vecchio per confermare i suoi stessi ricordi. « Incidente d'auto, ma come? Mi scusi, un ultima cosa, per casa ricorda il nome della donna che era venuta a prendere la bambina?»
« Carmela.», sussurra al vento visto perchè la mora non lo stava più ascoltando.



Era impossibile non ricordarsi di un luogo nel quale aveva vissuto per tanti anni. Violetta rigirava le strade di Buenos Aires senza una metà precisa vagando chissà dove alla ricerca di chissà che cosa. Cercava di non sestare sospetti, di sembrare naturale salutando ogni tanto qualcuno che conosceva. Stanca e affamata si siede su una panchina affondando i suoi dispiaceri nell'hamburger soffermandosi a pensare agli ultimi avvenimenti.
' D'improvviso si era ritrovata con due genitori, sani e freschi, ignari di quello che era accaduto davvero. La sua migliore amica, adesso, stava patendo le sue stesse sofferenze vivendo in quella che un tempo era la sua famiglia.'
« E' tutto così strano.», sospira masticando sconsolata il pezzo di carne. « Cosa è strano?», domanda una voce familiare dietro le sue spalle.
« Leon?», urla sorpresa la mora soprattutto quando rimase ad osservare il moro, dietro le sue spalle, sporgersi verso di lei e attentare il suo panino. « E allora questa tazza di tè?»
Violetta era ormai stufa di restare sola a rimuginare nel passato. Stufa di dover parlare con se stessa, di non avere un confidente con cui sfogarsi, magari si sarebbe comprata un manichino.
Sarebbe stato meglio di niente, no?
E' così che adesso si ritrovava seduta li, sulla sedia del bar, con il ragazzo dai occhi verdi più belli che si fossero visto sulla faccia della terra che sorseggiava candidamente il suo tè.
« Mmh, allora? Non hai risposto alla mia domanda.», afferma lui risvegliandola dai suoi pensieri. « Eh, cosa?»
Il moro non smise di guardarla rimanendo zitto aspettando una spiegazione da parte sua. Violetta però sapeva che non poteva rivelargli la verità altrimenti si sarebbe trovata la polizia dietro al collo.
« Ti interessa?», chiede girando la zolletta dello zucchero sul suo caffè diventato freddo. « Non dovrebbe?», alza il sopracciglio il moro ridendo scherzoso.
« Sei bravo a rispondere a una domanda con un altra domanda. Ti viene naturale oppure lo fai apposta?», domanda con lo stesso tono Violetta. « Quanti anni hai?», tagliò corto il moro.
« Venti. Non disturbati a rivelarmi la tua. Costatando la tua curiosità dovresti essere sulla sessantina, giusto?», chiede divertita la mora con il semplice intento di provocarlo. « Ah si, ti sembro un anziano?»
« Bhè... », dice la bionda sporgendosi verso di lui toccando i suoi capelli. « I capelli bianchi c'è l'hai. », ammise la mora sorridendo.
Il moro divertito anch'esso si sbottona la camicia sotto lo sguardo imbarazzato della ragazza sentendo lo sguardo dei presenti puntati su di loro. Cerca di nasconder il suo viso sul menù, sgattagliolando sotto il tavolino scivolando dalla sedia.
« Ti sembra il corpo di un vecchio decrepito?», domanda portandosi la mano calda della mora sul petto nudo. « No.», ammette rossa in volto nascondendosi nuovamente sul quel pezzo di carta.
Rimasero in silenzio per parecchio tempo godendosi dell'aria che accarezzava i loro capelli e ascoltando le chiacchiere degli impiccioni alle loro spalle.
« Ventitré.», dice Leon lasciando sorpresa Violetta. « Non che mi importasse saperlo.», dice la mora sorridendo internamente bevendo il suo caffè.



Il parco di Buenos Aires era sempre famoso per la sua bellezza incorniciata dalle persone che vi ci abitavano e che si radunavano lì per rilassarsi e passare il tempo. Al centro del parecchetto c'era un piccolo parco-giochi che i bambini usavano come semplice hobby per divertirsi. La mora, trascinata dai numerosi ricordi che affollavano la sua mente, come ipnotizzata si siede sull'altalena stringendo le catene con forza guardandosi il panorama davanti a se. Leon- che non l'aveva lasciata un attimo sola- era seduto accanto a lei condividendone i ricordi e le emozioni.
« Perchè quel tono triste, brutti ricordi? Forse qualche bambino brutto ti ha rubato la bambola? Oppure ti ha tirato le treccine?», chiede scherzoso. « Idiota!», esclama dandogli un leggero pugno sulla spalla.
« Ahi!», strilla il moro portandosi la mano sulle spalle fingendo di accarezzarla per alleviare il dolore. « Oltre che brutta, brontolona sei anche manesca. Un vero maschiaccio.», osserva con tono scherzoso. « Tu, sempre fragile come un vecchiarello. Scommetto che in un combattimento corpo a corpo vincerei senza problemi. »
« Ma in questo mado dimostri di essere un maschiaccio, maschiaccio.», sottolinea provocandola. « Tze, parla per te vecchio!»
« Però è sorprendente come una magrolina come te possa aver così tanta forza.», ricordandosi il pugno di pochi minuti fa. « Sei tu che sei troppo deboluccio.», alza le spalle noncurante.
« E tu?», chiede d'improvviso la mora. « Cosa?», domanda curioso Leon.
« Veniva qui da piccolo?», dice Violetta voltando la testa verso di lui. « Si, per un certo periodo.», risponde affranto.
Il suo tono non ammetteva nessuna domanda. Sembrava una storia dolente che non poteva essere ripresa tanto facilmente senza piagnistei- da parte sua- e senza visi addolorati. Sorride amara verso il ragazzo stringendo le catene continuando a dondolarsi.
« Hai fratelli oppure sorelle?», chiede lui. « Vuoi sapere i fatti della mia vita?», ride Violetta.
« Eddai voglio solo conversare.», sospira Leon imbronciato. « No, sono figlia unica.», se almeno Sophie, Matias, Lucas e Marie possono definirsi tali.
Non in questo mondo però.
« Posso capirti.», ammette lui sorridendo smettendo di dondolarsi seguito a ruota dalla mora.
Verde con il marrone. Scontro infuocato e avvincente.
Lentamente i loro visi, come marionette, si avvicinavano azzerando la loro distanza che diventava sempre più vicina cozzando le loro labbra.
« Vuoi baciarmi?», domanda lei scherzosa. « Forse e tu?», sussurra sulle sue labbra. « Forse... », ammise la mora con il suo stesso tono.
Lentamente le labbra si incontrano, quasi si strofinano pronti per unirsi in un unico bacio.
« Camilla! Muoviti oppure facciamo tardi.», urla una voce a poca distanza dai due giovani.
La mora dalla sorpresa spinge il ragazzo che cade dietro la sella che impreca massaggiandosi la testa. Violetta dopo essersi scusata corre verso la direzione delle due ragazze correndo a passo veloce non ascoltando le grida del ragazzo alle sue spalle che correva verso la sua direzione.



Dopo aver pedinato le due ragazze era arrivata alla conclusione che era stata la sorella peggiore del mondo. Camilla era splendida, con i suoi capelli rossi, e al suo fianco Marie sorrideva raggiante trascinandola da un negozio all'altro. Quella stessa Marie di cui aveva perso i contatti.
« Perché stiamo pedinando queste due ragazze?», domanda Leon curioso. « Shh, ti farai sentire e abbassati.», e lo tira per la manica facendolo sedere accanto a se dietro al cespuglio.
« Ti hanno fatto qualcosa ti male e ti vuoi vendicare? Oppure due tue amiche alle prese con un appuntamento?», chiese il moro. « Nessuna delle due. Credo che nemmeno mi conoscano.», rivela tirando il ragazzo per la manica.
« Si stanno spostando vieni seguiamole.», dice dirigendosi verso un locale dove le ragazze si erano sedute per bere un frullato. « Bene, così non dovrebbero scoprirci.», dice la mora aggiustandosi il giubbotto marrone sul collo, mettendosi gli occhiali da sole e coprendosi con il menù.
« Perché questo travestimento?», prova a chiedere Leon travestito più o meno allo stesso modo. « Rende tutto più eccitante.», ammise allegra.
Le pedinarono tutto il giorno osservando i loro visi allegri, come conservavano con complicità non curandosi della sua presenza. Non aveva mai avuto questo rapporto con entrambe.
« Cosa ho sbagliato?», si chiede internamente. Togliendosi gli occhiali vede da lontano Sophie e Matias rispettivamente diciassette e sedici anni. Erano cresciuti e lei non era stata molto al lungo per contemplare la loro crescita.
Aveva avuto la sua occasione di avere dei fratelli e l'aveva persa. Non appena questo sogno finirà lei tornerà alla sua sgradevole vita, sola, rimpiangendo il suo sbaglio finchè ha vita.
« Leon, andiamo a casa.», sospira amareggiata seguita dal ragazzo che prese ad accarezzagli il braccio. Con le mente all'aria camminava senza mente in azione le gambe che si muovevano da sole. Immersa nei suoi pensieri non si rende conto di aver sbattuto la faccia sul petto di qualcuno.
« Mi scusi. », dice la mora dispiaciuta trovandosi davanti una donna dai lunghi capelli rossi. « No, tranquilla.»
« Camilla?», pronuncia senza pensarci la mora. « Scusa ci conosciamo?»
Niente incidente, niente migliore amica.
Niente incidente, niente fratelli.
« No, mi sarò sbagliato.», dice correndo rifugiandosi sotto un balcone. « Certo che quando corri sei veloce.», osserva Leon con l'affanno e i capelli bagnati visto perché aveva preso a piovere.
Rimasero li, fermi, con la schiena rivolta al muro rifugiandosi dalla pioggia. La mora quasi dimenticava la presenza del ragazzo che non l'aveva lasciata per tutto il pomeriggio. L'aveva trascinato in ogni dove, comandandola a bacchetta e travestendolo con strani costumi.
« Perchè?», incomincia Violetta. « Perchè sei rimasto con me tutto il tempo?», chiede stanca e sbalordita la mora.
« Perchè sei interessante. Perchè con te mi diverto perchè...», fa un momento di paura fissandola dritto nei occhi. « con te riesco ad essere me stesso.», sospira.
« Grazie per essere rimasto con me.», ammette Violetta. « E' stato un piacere.»



« E' così tu vieni da un' altra dimensione?», urla quasi Leon sbalordito. «Shh, non urlare oppure ti prendono per uno psicopatico.», gli tappa la bocca Violetta.
« E allora tu sei una psicopatica?», domanda scherzoso portandosi il palmo della mano sul mento sorridendo. « Certo che no.», arrossisce la mora.
« Quello che ho detto è la pura verità. Non so se sia un sogno, o un incubo, ma non appartengo a questo posto. », spiega a parole sue la mora.
« Aspetta, aspetta ricapitoliamo. I tuoi genitori sono morti, ma adesso inaspettatamente sono resuscitati. La tua migliore amica, non ti riconosce ed gli è stato dato il tuo destino.», la ragazza annuisce. « Da non crederci.», però in qualche modo aveva fiducia nelle sue parole e cercava di aiutarla e confortarla.
« Voglio tornare nel mio mondo, voglio risistemare tutto con la mia famiglia. Leon ho fatto molti sbagli e devo rimediare.», confessa Violetta. « Ti aiuterò. », afferma deciso il moro anche se a malincuore perchè così facendo non l'avrebbe rivista più.
Restarono rinchiusi nella camera della ragazza per parecchie ore cercando in modo di far tornare quest'ultima nella sua dimensione. Leon era seduto sulla sedia a gambe incrociate, una matita sulle labbra e un foglio tra le mani. Violetta era stesa sul letto, stringe sul petto il suo cuscino a forma di cuore e attendeva il responso da parte del ragazzo.
« Non ne ho idea.», ammise il moro sconsolato lasciandosi cadere meglio sulla poltrona. « Ci deve essere qualcosa che ti ha spinto fin qui in questo mondo. Una botta in testa, magari.», la ragazza a quella informazione sobbalza.
« Una botta in testa, ma certo.», strilla contenta. « Magari sbattendo la testa contro il muro potrò ritornare nel mio mondo.»
« Potrebbe funzionare, ma non farti molto male.», le dice con fare preoccupato portandosi un dito sulle labbra. La ragazza annuisce pronta a dirigersi verso il muro.
Risultato? Un forte mal di testa.
« Botta in testa, fallito. », scrive Leon sul quel suo - stupido a detta di Violetta- foglio bianco.
La signora Castillo bussa alla porta entrando nella stanza con dei deliziosi biscottini caldi.
« I tuoi genitori, certo.», sorride soddisfatta il moro. « Cosa?»
« Loro sono la chiave che ti hanno portato qui. La voglia di rivederli, il dolore era troppo forte e in un lasso di tempo molto breve i due tipi di dolori: fisici e mentali si sono uniti in un tutt'uno trasportandoti in un mondo che tu stessa hai creato. Violetta sei tu a manovrare tutti noi.», dice Leon sicuro delle sue parole.
« Stai dicendo che posso tornare a casa? Basta soltanto che lo voglia?», il ragazzo annuisce. « Esatto. La voglio di tornare deve essere così potente da superare il tuo dolore.»
« Leon, grazie.», sorride sincera la mora. « Lo sai che farei di tutto per te.»



« Mamma, papà?», li richiama la ragazza. « Si, tesoro?»
« Sappiate che vi vorrò sempre bene e dovunque io sia non vi dimenticherò mai. Questi momenti passati insieme mi hanno riportato a tanti vecchi ricordi, mi hanno resa felice. E... », calde lacrime scendono dai suoi occhi lucidi e rossi. « E vegliate sempre su di me come avete sempre fatto. Addio.», sorride osservando le immagini dei suoi genitori illuminarsi per poi dissolversi.
« Violetta?», la richiama Leon. « Leon, mi dispiace.», sussurra disperata.
« Tu hai manovrato tutti noi, sei capaci di manovrare le nostre mosse, ma non le emozioni.», sorride guardandola portandosi una mano sul cuore. « Ti amo davvero, e so che un giorno ci rincontreremo. Addio.»
Un fascio di luce penetra nei suoi occhi che li porta a chiudersi per non diventare cieca.
Un mare di persone la stavano fissando preoccupati mentre qualcuno l'aiutava ad alzarsi.
« Sono tornata.», sospira felice.



Passarono due mesi dal rinnovamento della sua vita.
Era andata a vivere dalla sua amica Camilla e insieme pagavano entrambe la metà dell'affitto grazie a un lavoroccio partime. Però Violetta non si sentiva completa, sentiva che dentro di se qualcosa mancava. Aveva riallacciato il rapporto con i suoi fratelli, ormai si vedevano tutti i giorni e dava consigli di vita alla piccola Sophie ormai maggiorenne. Marie, invece, si era sposata e spesso la sera la chiamava per discutere di bambini e di come lei ne sarebbe stata la madrina.
Però non si sentiva soddisfatta. Un elemento importante mancava per completare la sua vita. A interrompere i suoi pensieri e monologhi personali fu il suonare della porta.
« Si?», chiede la mora. « Sono il nuovo vicino.»
Una voce familiare. No, non poteva essere.
« Leon?», chiese con le lacrime agli occhi e le mani sulle labbra. « Come fa a conoscere il mio nome?», ma non ottenne risposta soltanto uno stretto abbraccio. « Hei, anche essendo così magrolina, « Ti amo, Leon Vergas.», ammette felice. « Non so perchè, ma anch'io Violetta Castillo.»
E adesso si che la sua vita è perfetta.



Fine.

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