Dance of death

di BehindInfinity
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** professionista ***
Capitolo 2: *** ti credevo morto ***
Capitolo 3: *** Non credo che ne avrai più bisogno ***



Capitolo 1
*** professionista ***


Diciamo che ho sempre avuto un sesto senso a fiutare i massacri e le morti di massa intorno a me. Come una specie di istinto che mi porta sul luogo del misfatto per osservare, studiare, valutare il lavoro appena compiuto; anche se va contro la mia più profonda natura, raramente mi intrometto nei lavori altrui, raramente uccido le vittime lasciate in fin di vita o quelle sfuggite alla mano dell’omicida. Ovvio che una persona normale avrebbe i brividi al solo pensiero di uccidere qualcuno che non conosce, che vede per la prima volta, che non gli ha mai fatto nulla, ma che semplicemente si trova davanti a lui; bè, ad essere sinceri, una persona normale non si muove seguendo l’odore del sangue che un massacro di sconosciuti genera, non si presenta sulla scena del crimine pensando “ah, questo assassino è proprio un fesso! Ha lasciato tutti in fin di vita”

Quando entrai in quella villetta circondata da un, qualcuno lo definirebbe delizioso, giardino pieno di fiori, capii immediatamente che quello che avevo davanti era il lavoro di un professionista; la porta era stata aperta dall’interno e la donna, una vecchia sugli 80 anni, che giaceva sul pavimento non ebbe neppure il tempo di riconoscere chi aveva suonato il campanello, visto che il visitatore gli aveva reciso la gola con un profondo, netto, fatale taglio di coltello.

Bastò quello a farmi capire che chiunque avesse fatto quell’azione era un bravo assassino, insomma, non era il solito parente schizzato che uccideva per una parte dell’eredità o perché semplicemente aveva perso quel tanto di razionalità che gli permetteva di non prendere un coltello e cacciarlo in un punto a caso del petto del malcapitato.

Superai il cadavere e, affacciandomi sul soggiorno, vidi la sagoma di un uomo seduto sul divano, immobile; non controllai, ma potei giurare che anch’egli aveva un taglio identico al collo. Mi guardai intorno; sarebbe stata una casa accogliente se non ci fossero stati quei due cadaveri in giro, una normale casa di quelle che non vedevo da… anni, diciamo.

Iniziai a muovermi verso la cucina quando dei passi che scendevano le scale mi costrinsero a immobilizzarmi dov’ero; la cadenza di quei passi e il modo tranquillo in cui scendevano le scale mi portarono subito a immaginare che la persona che stava arrivando era quella che aveva tagliato le gole ai proprietari della casa. La fuga era fuori discussione, un solo lancio con quel coltello e potrei giurare che la precisione mi avrebbe quanto meno perforato un polmone, se non il cuore. E poi mi sarebbe piaciuto proprio vedere in faccia quella persona che avevo fino a quel momento stimato per la sua bravura e la sua precisione nell’uccidere.

Poco meno di una manciata di secondi e avevo davanti agli occhi il professionista dell’omicidio, un uomo dall’età indecifrabile, piuttosto alto e muscoloso, con un coltello a serramanico sanguinante ancora in mano; aveva qualcosa di famigliare, non saprei dire cosa, ma appena lo vidi pensai “Io ti conosco” e potei giurare di aver visto sul suo volto la stessa espressione stupita, mentre si fermava e rinfoderava l’arma in un fodero attaccato alla cintura. Non so per quanto tempo ci fissammo, potevano essere dai 5 minuti a qualche secondo scarso, ero troppo intento a riportare alla mente il ricordo di dove l’avevo visto e, pur non ricordadomene, ero certo di averlo visto più di una volta…

Maledetta memoria che mi ha distratto! Mentre ero perso nei miei pensieri per dargli un’identità, avanzò all’improvviso, prendendomi il volto con la mano e scaraventandomi a terra; sbattei lo zigomo sul pavimento, non si ruppe per miracolo, e rialzai lo sguardo in tempo per vedere il calcio che mi stava per arrivare all’altezza delle costole. Gli afferrai la caviglia e gli diedi uno strattone abbastanza forte da farlo cadere a terra; cadde di schiena, urlando qualche parolaccia, ma il danno era piuttosto ridotto per farlo stare a terra. Ci rialzammo praticamente insieme; ho sempre odiato fare strategie di battaglia, preferisco un’azione rapida e diretta a lunghi rimugina menti confrontando la mia stazza a quella dell’avversario, la mia agilità e cazzate varie. Mi guarda in torno, alla ricerca di un’arma e la cosa più vicina che vi trovai fu un grosso libro con gli angoli della copertina ben fatti; lo afferrai, senza togliere lo sguardo di dosso dal mio avversario che, con mia grande sorpresa, non sfoderò il coltello.

Ero abituato a maneggiare armi pesanti e scomode, quel libro si rivelò quindi una buona scelta; mi avvicinai, fingendo di volerlo colpire direttamente sul volto e, quando si ritrasse per evitare il colpo, fui abbastanza veloce per sorprenderlo con tutto il peso del libro sul lato destro della sua faccia. Si sbilanciò e gli diedi un altro colpo nello stesso punto, facendolo sbattere contro il muro, dove un sonoro “crack” accompagnò la rottura dello zigomo. Del suo zigomo.

Era un professionista, l’avevo già detto, ma non potevo aspettarmi una risposta così rapida; abbassai la guardia quel tanto che bastava per permettergli di afferrarmi la nuca e spingere la mia testa contro la superficie di vetro di un acquario. Sentì i minuscoli frammenti di vetro entrarmi nella pelle e il mio sangue che si mescolava all’acqua che si riversava per terra; presi anche un pesce in faccia prima di sentire l’altra mano afferrarmi la spalla e lanciarmi all’indietro. Era piuttosto forte e la caduta fu violenta, specialmente perché la schiena colpì lo spigolo di un piccolo tavolo d’acciaio e la testa atterrò con un tremendo tonfo sul pavimento; la vista si annebbiò per qualche secondo e, attraverso la nebbia, ruiscì a intravedere la sagoma dell’uomo morto sul divano e il mio aggressore che si avvicinava. Non appena mi fu abbastanza vicino da chinarsi su di me alzai le gambe, appoggiate sul tavolo, e gli assestai un potente calcio sulle costole; sputò qualche goccia di sangue e indietreggiò, dandomi il tempo di alzarmi e di afferrare un orrendo soprammobile di vetro dal tavolo e lanciandoglielo addosso, colpendolo in piena faccia e andando in mille pezzi. Un’altra parolaccia e si mise le mani sul viso sanguinante; era il momento giusto per attaccarlo di nuovo, ma la botta al pavimento di poco prima si fece sentire, provocandomi una dolorosa fitta alla testa. Chiusi gli occhi, sacramentando tra me e me e quando li riaprii per guardare la situazione del mio avversario, lo vidi in piedi a pochi passi, con il palmo della mano teso verso di me: “Ora basta” mi disse, tamponandosi le ferite alla faccia con l’altra mano: “è abbastanza” “è abbastanza un cazzo!” gli risposi, tenendomi la testa tra le mani a causa di un’altra fitta: “Dopo avermi fatto un male boia dovrei abbracciarti e baciarti e amici come prima?” Mi guardò con un’espressione tra lo stupito e il perplesso, abbassando la mano: “Ora finiamo la faccenda” continuai, ma lui scosse la testa: “Allora sei scemo” sentenziò, strappandosi un pezzo di stoffa dalla manica e passandoselo sul viso. Ovviamente questa frase mi fece arrabbiare ancora di più: “Ma che cosa vuoi?!” gridai, avvicinandomi e lui mi guardò ancora: “Non mi riconosci?” “Sei tu lo scemo”.

Ma quando si coprì la bocca con la stoffa e la mano con la fronte, lasciando scoperti solo gli occhi mi ricordai immediatamente dove l’avevo visto e l’unica cosa che riuscii a dire fu “Oh cazzo”.

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Capitolo 2
*** ti credevo morto ***


“Vuoi un caffè?” non risposi, ancora piuttosto scioccato, ma lui si mosse verso la cucina, continuando a medicarsi la faccia e sicuro che la mia non-risposta corrispondesse a un sì, come era sempre stato. Lo seguii verso la cucina, continuando a massaggiarmi la testa, mentre lui scavalcava il cadavere di un altro uomo, avvicinandosi ad uno strano apparecchio: “Ti credevo morto” gli dissi: “Anche io” rispose infastidito frugando in un armadietto senza voltarsi: “Come hai fatto a tornare in vita?” “Lo prendi sempre senza zucchero?” un’altra cosa che mi aveva sempre dato sui nervi è quando mi ignorava: “Ti ho chiesto come cazzo hai fatto a tornare in vita!” mi lanciò un’occhiata veloce, per poi tornare a lavorare con dei pacchetti: “Perché non me lo racconti prima tu?” “Perché sono stato io a farti la domanda per primo” “è un argomento che non mi interessa. Tu l’hai introdotto, se vuoi una mia risposta, voglio sapere prima la tua. Altrimenti non vedo perché io debba essere obbligato a raccontare una cosa che non mi interessa mentre tu no”.

Sia maledetto tu e la tua dannata logica inversa; neanche un minuto che ti parlo e già voglio ucciderti, un nuovo record: “Jashin non lascia morire i suoi figli, mi ci è voluto un po’ di tempo prima di ricompormi e uscire da quella dannata buca” mentre raccontavo, mi sembrava di sentire ancora il dolore del mio corpo ricomporsi e la fatica prima di poter respirare di nuovo. Non che respirare fosse un’azione fondamentale per me: “e ora eccomi qui” “Per quanto sia un padre che vuol bene ai suoi figli, Jashin ci ha messo 5 anni prima di farti rivivere” “Sai che non mi piace questo tipo di sarcasmo” “Sai che non mi piaci tu” allungò la tazza di caffè verso di me e l’afferrai: “Mi hanno distrutto 4 cuori” non potei trattenere una risata, mentre lui mi lanciò uno sguardo furioso: “La mia fortuna è che quell’imbecille di Kakashi non sa che il cuore si trova a sinistra e non a destra, così il suo colpo è andato a vuoto” mentre parlava faceva dondolare il suo piede vicino al cadavere dell’uomo, muovendogli la testa: “Mi fecero l’autopsia e, quei grandi medici erano troppo impegnati a controllare l’effetto della mossa del loro bambino prodigio sulla mia schiena per accorgersi che c’era ancora un cuore. E che, soprattutto, batteva, piano, ma batteva” risi di nuovo, immaginandomi un’equipe di espertissimi medici aprirgli la schiena e discutere l’entità della ferita, mentre lui era ancora vivo: “Mi volevano lasciare lì per continuare a studiarmi, ma non gli diedi quest’opportunità; dopo un paio di giorni, uccisi uno di quegli stronzi che mi giravano intorno e me ne sono andato” “E poi?” “Sono scomparso dalla circolazione, ho cambiato il mio aspetto, mi sono preso un altro nome e ora uccido gente per chiunque mi offra una cifra abbastanza alta da spingermi a uccidere” Mentre raccontava, mi immaginavo tutti i passaggi della sua esistenza, nella minima precisione; lo conoscevo abbastanza bene da poter visualizzare come abbia agito: “Effettivamente, senza quella specie di turbante tipo Lawrence d’Arabia non ti avevo riconosciuto” risi, mentre finivo il mio caffè. Gli posi la tazza vuota e, appena si voltò, non potei evitare di sottolineare il suo cambiamento d’abbigliamento: “davvero, non ti avrei mai riconosciuto…non avrei mai immaginato di poterti vedere senza cappuccio e, soprattutto, non avrei mai immaginato che tu avessi i capelli” mentre ridevo delle mie stesse parole, la mia stessa tazza di caffè mi volò a pochi centimetri dal volto, schiantandosi contro il muro alle mie spalle: “Un’altra battutaccia del genere e, ti giuro, ti appendo al muro, come un poster. Sai che lo faccio” “Certo, certo, questa del poster l’avrai ripetuta fino allo sfinimento” indietreggiai, avevo capito di averlo provocato abbastanza da farlo arrabbiare quanto bastava per scatenare una rissa. Uno dei miei passatempi preferiti, lo ammetto: “Vieni qui, stronzo, vieni!” lo istigai: “Appendimi al muro! Forza! Non c’è più nessuno che ti rimprovera se uccidi un tuo compagno” afferrò un gruppo di coltelli dal ceppo sul piano cottura e me li lanciò addosso. Uno solo mi colpì di striscio alla spalla e mentre mi voltai, lo vidi prendere una specie di forchettone, pronto a cacciarmelo negli occhi, se una voce proveniente dal piano superiore non l’avesse fermato. Ci voltammo entrambi verso il soffitto: “Complimenti” fischiai: “Bel lavoro. Lasci anche la gente viva”. Approfittò della mia distrazione per infilzarmi la spalla col forchettone; indietreggiai urlando: “Stronzo!” “Non lascio mai il lavoro incompleto” sibilò, avanzando verso le scale, ignorando completamente i miei sforzi di liberarmi dell’arma.

Non potei fare altro che seguirlo al piano di sopra. Con un forchettone nella spalla.

 

 

Ecco alcune risposte alle domande nelle recensioni (grazie a chiunque abbia letto la prima parte del racconto XD)

 

A Xellor: sinceramente non avevo pensato alla falce… purtroppo è rimasta un particolare rimosso fin dalla stesura dello scheletro della storia, quindi mi sa che non lo sapremo mai XD. Grazie della lettura^^

 

A ElderClaud: grazie per la segnalazione del rating, penso proprio che la debba cambiare in giallo^^ per quanto riguarda l’ambientazione, si svolge in un mondo più vicino al nostro che a quello originale di Naruto (ho pensato che avrebbe reso il tutto un po’ più veritiero).  Grazie della recensione^^

 

A eneaelia: è incredibile trovare un altro fan sia dei Maiden che di Kill Bill! >.< e ti assicuro che appena finita questa storia andrò a leggere anche quella che mi hai consigliato XD. Questa parte del racconto è forse quella che risente di più delle influenze di Kill Bill (pensa solo al combattimento tra la Sposa e Vernita…) e non ho potuto resistere a inserire la battuta di Vernita sul caffè^^ grazie della lettura^^

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Capitolo 3
*** Non credo che ne avrai più bisogno ***


Riuscii a togliermi quel maledetto arpione solo alla fine della rampa di scale, con un urlo liberatorio, giusto in tempo per prendermi e un’occhiataccia: “Vuoi stare zitto?!” “Scusa, mi ero tolto un forchettone dalla spalla… pezzo di…” mi fece segno di tacere, mentre ci avvicinavamo ad una stanza con la porta spalancata. Si sentiva un uomo intonare una specie di cantilena, tipo una delle mie, accompagnato da uno strumento che non riuscii a riconoscere. All’improvviso la voce non si sentì più e venne sostituita da una musica assordante. Ancor prima di affacciarsi all’interno, esclamò un poderoso “Vaffanculo” e prima ancora che io potessi chiedere spiegazioni, entrò nella stanza, prendendo a calci un ulteriore cadavere, un ragazzetto sui 13 anni, sgozzato. Si avvicinò ad un grosso stereo da dove veniva la musica e, dopo aver schiacciato qualche tasto, la musica si spense ed estrasse un cd: “Lo sapevo” sorrise: “ Iron Maiden. Lo prendo io, con tutto rispetto” guardò il ragazzino senza vita: “Ma penso che a te non serva più” si mise quell’affare in tasca e poi si voltò per uscire: “Non pensavo ti piacesse quel tipo di musica” gli dissi, mentre si avvicinava. Mi guardò e notai un’espressione molto amareggiata nei suoi occhi: “Non hai mai saputo molto di me…” iniziò a scendere le scale, ma io non mi mossi: “Sono una persona diversa da quando lavoravamo insieme” urlai: “Cinque anni sotto terra mi hanno dato il tempo di riflettere” Mi affacciai sulle scale e lo vidi fermo agli ultimi due gradini che mi osservava perplesso: “Oh, ma che bello” disse, poi aggiunse, urlando e sparendo dalla mia visuale: “E chi se ne frega”. Quando lo raggiunsi, stava mettendosi una giacca: “Poi non è vero che non so niente di te. In cinque anni ho perso un po’ di memoria…” “No, non hai la memoria breve, semplicemente non ti sei mai interessato alle abitudini altrui e questa è un’altra cosa che non ho mai sopportato di te” Afferrai una statuetta da una mensola accanto a me e gliela lanciai in testa, colpendolo in pieno: “E sei anche permaloso” aggiunse senza voltarsi: “E tu sei un imbecille di prima categoria” questo bastò a farlo fermare: “Perché?” “Perché questa gente la potevi uccidere più velocemente, senza usare il coltello… un’arma così stupida e antiquata…” sfoderò il coltello e si avvicinò talmente tanto che potei sentire il suo fiato caldo sulla faccia. Mi mise la lama davanti agli occhi e riuscivo a vedere i miei stessi occhi riflessi sul grigio lucido: “siamo in pieno centro città” disse: “un esplosivo, o l’ingresso in casa urlando avrebbe attirato l’attenzione prima che finissi il lavoro. Il coltello no…” passò il dito sul filo della lama: “Il coltello è un amico muto che non ti tradisce mai”.

Un movimento veloce e ripose l’arma nel fodero, tornando verso la porta: “un’altra cosa che non mi è mai piaciuta di te” disse, già in giardino: “è la tua mancanza di tattica. Addio” “ohi, ohi fermo là!” uscì dalla casa, ma lui non si fermò: “Volevo proporti una cosa. Ascoltami” sbuffò, ma questa volta si fermò e si voltò a guardarmi: “Muoviti” “Vendichiamoci” trattenne a stento una risata: “Scusa?” “Siamo morti entrambi e nessuno ci ha mai cercati né aiutati” “Me ne sono andato proprio per evitare di dare spiegazioni” “Ciò non toglie che ci siamo fatti un culo tanto per l’organizzazione e, una volta morti, nessuno ci ha più considerati” vedevo che questo discorso non lo attirava più di tanto, così giocai la mia ultima carta: “Pensa ai tuoi soldi” il suo sguardo si fece più recettivo: “Quanti ricercati hai eliminato e quanti soldi guadagnato? Quanto ti è rimasto materialmente?”

Alzò lo sguardo, capivo che stava riflettendo, poi mi fece cenno di seguirlo. Fu in quel momento che notai un grosso cane immobile accanto alla casa, sdraiato sopra una specie di osso-giocattolo: “Anche il cane?” “No, mi piacciono i cani. Per questo nell’esca c’era solo del sonnifero” si avvicinò alla bestia e gli passò la mano sulla testa: “Andiamo a prendere i miei soldi e a cercarti dei vestiti nuovi. Quella camicia che hai è orrenda…” “L’ho fregata in un cortile” “è orrenda lo stesso. Devi cambiarla e anche quei pantaloni, sono luridi” ci allontanammo lungo la strada, incrociando di tanto in tanto qualche sconosciuto “ E poi?” alzò le spalle: “andiamo a riprenderci i miei soldi” “E basta?” “E se ci rimane tempo la testa del nostro ex capo, se ne hai voglia” “ovvio” “Bene. Andiamo”

 

Fine

 

Un ringraziamento speciale a tutti coloro che hanno letto questo mini racconto, a quelli che lo leggeranno e un abbraccio a tutti coloro ai quali è piaciuto^^. ah, un'ultima cosa: il titolo, da dove viene? non ho avuto il tempo di citarla, ma è proprio la canzone che il ragazzino stava ascoltando prima di venire sgozzato, Dance of Death, dall'omonimo grande album, ovviamente degli Iron Maiden.

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