Dance of death di BehindInfinity (/viewuser.php?uid=53248)
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** professionista ***
Capitolo 2: *** ti credevo morto ***
Capitolo 3: *** Non credo che ne avrai più bisogno ***
Capitolo 1 *** professionista ***
Diciamo
che ho sempre avuto
un sesto senso a fiutare i massacri e le morti di massa intorno a me.
Come una
specie di istinto che mi porta sul luogo del misfatto per osservare,
studiare,
valutare il lavoro appena compiuto; anche se va contro la mia
più profonda
natura, raramente mi intrometto nei lavori altrui, raramente uccido le
vittime
lasciate in fin di vita o quelle sfuggite alla mano
dell’omicida. Ovvio che una
persona normale avrebbe i brividi al solo pensiero di uccidere qualcuno
che non
conosce, che vede per la prima volta, che non gli ha mai fatto nulla,
ma che
semplicemente si trova davanti a lui; bè, ad essere sinceri,
una persona
normale non si muove seguendo l’odore del sangue che un
massacro di sconosciuti
genera, non si presenta sulla scena del crimine pensando “ah,
questo assassino
è proprio un fesso! Ha lasciato tutti in fin di
vita”
Quando
entrai in quella
villetta circondata da un, qualcuno lo definirebbe delizioso, giardino
pieno di
fiori, capii immediatamente che quello che avevo davanti era il lavoro
di un
professionista; la porta era stata aperta dall’interno e la
donna, una vecchia
sugli 80 anni, che giaceva sul pavimento non ebbe neppure il tempo di
riconoscere chi aveva suonato il campanello, visto che il visitatore
gli aveva
reciso la gola con un profondo, netto, fatale taglio di coltello.
Bastò
quello a farmi capire
che chiunque avesse fatto quell’azione era un bravo
assassino, insomma, non era
il solito parente schizzato che uccideva per una parte
dell’eredità o perché
semplicemente aveva perso quel tanto di razionalità che gli
permetteva di non
prendere un coltello e cacciarlo in un punto a caso del petto del
malcapitato.
Superai
il cadavere e,
affacciandomi sul soggiorno, vidi la sagoma di un uomo seduto sul
divano,
immobile; non controllai, ma potei giurare che anch’egli
aveva un taglio
identico al collo. Mi guardai intorno; sarebbe stata una casa
accogliente se
non ci fossero stati quei due cadaveri in giro, una normale casa di
quelle che
non vedevo da… anni, diciamo.
Iniziai
a muovermi verso la
cucina quando dei passi che scendevano le scale mi costrinsero a
immobilizzarmi
dov’ero; la cadenza di quei passi e il modo tranquillo in cui
scendevano le
scale mi portarono subito a immaginare che la persona che stava
arrivando era
quella che aveva tagliato le gole ai proprietari della casa. La fuga
era fuori
discussione, un solo lancio con quel coltello e potrei giurare che la
precisione mi avrebbe quanto meno perforato un polmone, se non il
cuore. E poi
mi sarebbe piaciuto proprio vedere in faccia quella persona che avevo
fino a
quel momento stimato per la sua bravura e la sua precisione
nell’uccidere.
Poco
meno di una manciata di
secondi e avevo davanti agli occhi il professionista
dell’omicidio, un uomo
dall’età indecifrabile, piuttosto alto e
muscoloso, con un coltello a
serramanico sanguinante ancora in mano; aveva qualcosa di famigliare,
non
saprei dire cosa, ma appena lo vidi pensai “Io ti
conosco” e potei giurare di
aver visto sul suo volto la stessa espressione stupita, mentre si
fermava e
rinfoderava l’arma in un fodero attaccato alla cintura. Non
so per quanto tempo
ci fissammo, potevano essere dai 5 minuti a qualche secondo scarso, ero
troppo
intento a riportare alla mente il ricordo di dove l’avevo
visto e, pur non
ricordadomene, ero certo di averlo visto più di una
volta…
Maledetta
memoria che mi ha
distratto! Mentre ero perso nei miei pensieri per dargli
un’identità, avanzò
all’improvviso, prendendomi il volto con la mano e
scaraventandomi a terra;
sbattei lo zigomo sul pavimento, non si ruppe per miracolo, e rialzai
lo
sguardo in tempo per vedere il calcio che mi stava per arrivare
all’altezza
delle costole. Gli afferrai la caviglia e gli diedi uno strattone
abbastanza
forte da farlo cadere a terra; cadde di schiena, urlando qualche
parolaccia, ma
il danno era piuttosto ridotto per farlo stare a terra. Ci rialzammo
praticamente insieme; ho sempre odiato fare strategie di battaglia,
preferisco
un’azione rapida e diretta a lunghi rimugina menti
confrontando la mia stazza a
quella dell’avversario, la mia agilità e cazzate
varie. Mi guarda in torno,
alla ricerca di un’arma e la cosa più vicina che
vi trovai fu un grosso libro
con gli angoli della copertina ben fatti; lo afferrai, senza togliere
lo
sguardo di dosso dal mio avversario che, con mia grande sorpresa, non
sfoderò
il coltello.
Ero
abituato a maneggiare
armi pesanti e scomode, quel libro si rivelò quindi una
buona scelta; mi
avvicinai, fingendo di volerlo colpire direttamente sul volto e, quando
si
ritrasse per evitare il colpo, fui abbastanza veloce per sorprenderlo
con tutto
il peso del libro sul lato destro della sua faccia. Si
sbilanciò e gli diedi un
altro colpo nello stesso punto, facendolo sbattere contro il muro, dove
un
sonoro “crack” accompagnò la rottura
dello zigomo. Del suo zigomo.
Era
un professionista,
l’avevo già detto, ma non potevo aspettarmi una
risposta così rapida; abbassai
la guardia quel tanto che bastava per permettergli di afferrarmi la
nuca e
spingere la mia testa contro la superficie di vetro di un acquario.
Sentì i
minuscoli frammenti di vetro entrarmi nella pelle e il mio sangue che
si
mescolava all’acqua che si riversava per terra; presi anche
un pesce in faccia
prima di sentire l’altra mano afferrarmi la spalla e
lanciarmi all’indietro.
Era piuttosto forte e la caduta fu violenta, specialmente
perché la schiena
colpì lo spigolo di un piccolo tavolo d’acciaio e
la testa atterrò con un
tremendo tonfo sul pavimento; la vista si annebbiò per
qualche secondo e,
attraverso la nebbia, ruiscì a intravedere la sagoma
dell’uomo morto sul divano
e il mio aggressore che si avvicinava. Non appena mi fu abbastanza
vicino da
chinarsi su di me alzai le gambe, appoggiate sul tavolo, e gli assestai
un
potente calcio sulle costole; sputò qualche goccia di sangue
e indietreggiò,
dandomi il tempo di alzarmi e di afferrare un orrendo soprammobile di
vetro dal
tavolo e lanciandoglielo addosso, colpendolo in piena faccia e andando
in mille
pezzi. Un’altra parolaccia e si mise le mani sul viso
sanguinante; era il
momento giusto per attaccarlo di nuovo, ma la botta al pavimento di
poco prima
si fece sentire, provocandomi una dolorosa fitta alla testa. Chiusi gli
occhi,
sacramentando tra me e me e quando li riaprii per guardare la
situazione del
mio avversario, lo vidi in piedi a pochi passi, con il palmo della mano
teso
verso di me: “Ora basta” mi disse, tamponandosi le
ferite alla faccia con
l’altra mano: “è abbastanza”
“è abbastanza un cazzo!” gli risposi,
tenendomi la
testa tra le mani a causa di un’altra fitta: “Dopo
avermi fatto un male boia
dovrei abbracciarti e baciarti e amici come prima?” Mi
guardò con
un’espressione tra lo stupito e il perplesso, abbassando la
mano: “Ora finiamo
la faccenda” continuai, ma lui scosse la testa:
“Allora sei scemo” sentenziò,
strappandosi un pezzo di stoffa dalla manica e passandoselo sul viso.
Ovviamente questa frase mi fece arrabbiare ancora di più:
“Ma che cosa vuoi?!”
gridai, avvicinandomi e lui mi guardò ancora: “Non
mi riconosci?” “Sei tu lo
scemo”.
Ma
quando si coprì la bocca
con la stoffa e la mano con la fronte, lasciando scoperti solo gli
occhi mi
ricordai immediatamente dove l’avevo visto e
l’unica cosa che riuscii a dire fu
“Oh cazzo”.
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Capitolo 2 *** ti credevo morto ***
“Vuoi
un caffè?” non risposi,
ancora piuttosto scioccato, ma lui si mosse verso la cucina,
continuando a
medicarsi la faccia e sicuro che la mia non-risposta corrispondesse a
un sì,
come era sempre stato. Lo seguii verso la cucina, continuando a
massaggiarmi la
testa, mentre lui scavalcava il cadavere di un altro uomo,
avvicinandosi ad uno
strano apparecchio: “Ti credevo morto” gli dissi:
“Anche io” rispose
infastidito frugando in un armadietto senza voltarsi: “Come
hai fatto a tornare
in vita?” “Lo prendi sempre senza
zucchero?” un’altra cosa che mi aveva sempre
dato sui nervi è quando mi ignorava: “Ti ho
chiesto come cazzo hai fatto a
tornare in vita!” mi lanciò un’occhiata
veloce, per poi tornare a lavorare con
dei pacchetti: “Perché non me lo racconti prima
tu?” “Perché sono stato io a
farti la domanda per primo” “è un
argomento che non mi interessa. Tu l’hai
introdotto, se vuoi una mia risposta, voglio sapere prima la tua.
Altrimenti
non vedo perché io debba essere obbligato a raccontare una
cosa che non mi
interessa mentre tu no”.
Sia
maledetto tu e la tua
dannata logica inversa; neanche un minuto che ti parlo e già
voglio ucciderti,
un nuovo record: “Jashin non lascia morire i suoi figli, mi
ci è voluto un po’ di
tempo prima di ricompormi e uscire da quella dannata buca”
mentre raccontavo,
mi sembrava di sentire ancora il dolore del mio corpo ricomporsi e la
fatica
prima di poter respirare di nuovo. Non che respirare fosse
un’azione
fondamentale per me: “e ora eccomi qui”
“Per quanto sia un padre che vuol bene
ai suoi figli, Jashin ci ha messo 5 anni prima di farti
rivivere” “Sai che non
mi piace questo tipo di sarcasmo” “Sai che non mi
piaci tu” allungò la tazza di
caffè verso di me e l’afferrai: “Mi
hanno distrutto 4 cuori” non potei
trattenere una risata, mentre lui mi lanciò uno sguardo
furioso: “La mia
fortuna è che quell’imbecille di Kakashi non sa
che il cuore si trova a
sinistra e non a destra, così il suo colpo è
andato a vuoto” mentre parlava
faceva dondolare il suo piede vicino al cadavere dell’uomo,
muovendogli la
testa: “Mi fecero l’autopsia e, quei grandi medici
erano troppo impegnati a
controllare l’effetto della mossa del loro bambino prodigio
sulla mia schiena
per accorgersi che c’era ancora un cuore. E che, soprattutto,
batteva, piano,
ma batteva” risi di nuovo, immaginandomi un’equipe
di espertissimi medici
aprirgli la schiena e discutere l’entità della
ferita, mentre lui era ancora
vivo: “Mi volevano lasciare lì per continuare a
studiarmi, ma non gli diedi
quest’opportunità; dopo un paio di giorni, uccisi
uno di quegli stronzi che mi
giravano intorno e me ne sono andato” “E
poi?” “Sono scomparso dalla
circolazione, ho cambiato il mio aspetto, mi sono preso un altro nome e
ora
uccido gente per chiunque mi offra una cifra abbastanza alta da
spingermi a
uccidere” Mentre raccontava, mi immaginavo tutti i passaggi
della sua
esistenza, nella minima precisione; lo conoscevo abbastanza bene da
poter
visualizzare come abbia agito: “Effettivamente, senza quella
specie di turbante
tipo Lawrence d’Arabia non ti avevo riconosciuto”
risi, mentre finivo il mio
caffè. Gli posi la tazza vuota e, appena si
voltò, non potei evitare di
sottolineare il suo cambiamento d’abbigliamento:
“davvero, non ti avrei mai
riconosciuto…non avrei mai immaginato di poterti vedere
senza cappuccio e,
soprattutto, non avrei mai immaginato che tu avessi i
capelli” mentre ridevo
delle mie stesse parole, la mia stessa tazza di caffè mi
volò a pochi
centimetri dal volto, schiantandosi contro il muro alle mie spalle:
“Un’altra
battutaccia del genere e, ti giuro, ti appendo al muro, come un poster.
Sai che
lo faccio” “Certo, certo, questa del poster
l’avrai ripetuta fino allo
sfinimento” indietreggiai, avevo capito di averlo provocato
abbastanza da farlo
arrabbiare quanto bastava per scatenare una rissa. Uno dei miei
passatempi
preferiti, lo ammetto: “Vieni qui, stronzo, vieni!”
lo istigai: “Appendimi al
muro! Forza! Non c’è più nessuno che ti
rimprovera se uccidi un tuo compagno”
afferrò un gruppo di coltelli dal ceppo sul piano cottura e
me li lanciò
addosso. Uno solo mi colpì di striscio alla spalla e mentre
mi voltai, lo vidi
prendere una specie di forchettone, pronto a cacciarmelo negli occhi,
se una
voce proveniente dal piano superiore non l’avesse fermato. Ci
voltammo entrambi
verso il soffitto: “Complimenti” fischiai:
“Bel lavoro. Lasci anche la gente
viva”. Approfittò della mia distrazione per
infilzarmi la spalla col
forchettone; indietreggiai urlando: “Stronzo!”
“Non lascio mai il lavoro
incompleto” sibilò, avanzando verso le scale,
ignorando completamente i miei
sforzi di liberarmi dell’arma.
Non
potei fare altro che
seguirlo al piano di sopra. Con un forchettone nella spalla.
Ecco
alcune risposte alle
domande nelle recensioni (grazie a chiunque abbia letto la prima parte
del
racconto XD)
A
Xellor: sinceramente non
avevo pensato alla falce… purtroppo è rimasta un
particolare rimosso fin dalla
stesura dello scheletro della storia, quindi mi sa che non lo sapremo mai XD.
Grazie della lettura^^
A
ElderClaud: grazie per la
segnalazione del rating, penso proprio che la debba cambiare in
giallo^^ per
quanto riguarda l’ambientazione, si svolge in un mondo
più vicino al nostro che
a quello originale di Naruto (ho pensato che avrebbe reso il tutto un
po’ più
veritiero). Grazie
della recensione^^
A
eneaelia: è incredibile
trovare un altro fan sia dei Maiden che di Kill Bill! >.<
e ti assicuro
che appena finita questa storia andrò a leggere anche quella
che mi hai
consigliato XD. Questa parte del racconto è forse quella che
risente di più
delle influenze di Kill Bill (pensa solo al combattimento tra la Sposa
e Vernita…) e non ho
potuto resistere a inserire la battuta di Vernita sul
caffè^^ grazie della
lettura^^
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Capitolo 3 *** Non credo che ne avrai più bisogno ***
Riuscii
a togliermi quel
maledetto arpione solo alla fine della rampa di scale, con un urlo
liberatorio,
giusto in tempo per prendermi e un’occhiataccia:
“Vuoi stare zitto?!” “Scusa,
mi ero tolto un forchettone dalla spalla… pezzo
di…” mi fece segno di tacere,
mentre ci avvicinavamo ad una stanza con la porta spalancata. Si
sentiva un
uomo intonare una specie di cantilena, tipo una delle mie, accompagnato
da uno
strumento che non riuscii a riconoscere. All’improvviso la
voce non si sentì
più e venne sostituita da una musica assordante. Ancor prima
di affacciarsi
all’interno, esclamò un poderoso
“Vaffanculo” e prima ancora che io potessi
chiedere spiegazioni, entrò nella stanza, prendendo a calci
un ulteriore
cadavere, un ragazzetto sui 13 anni, sgozzato. Si avvicinò
ad un grosso stereo da
dove veniva la musica e, dopo aver schiacciato qualche tasto, la musica
si
spense ed estrasse un cd: “Lo sapevo” sorrise:
“ Iron Maiden. Lo prendo io, con
tutto rispetto” guardò il ragazzino senza vita:
“Ma penso che a te non serva
più” si mise quell’affare in tasca e poi
si voltò per uscire: “Non pensavo ti
piacesse quel tipo di musica” gli dissi, mentre si
avvicinava. Mi guardò e
notai un’espressione molto amareggiata nei suoi occhi:
“Non hai mai saputo
molto di me…” iniziò a scendere le
scale, ma io non mi mossi: “Sono una persona
diversa da quando lavoravamo insieme” urlai:
“Cinque anni sotto terra mi hanno
dato il tempo di riflettere” Mi affacciai sulle scale e lo
vidi fermo agli
ultimi due gradini che mi osservava perplesso: “Oh, ma che
bello” disse, poi
aggiunse, urlando e sparendo dalla mia visuale: “E chi se ne
frega”. Quando lo
raggiunsi, stava mettendosi una giacca: “Poi non è
vero che non so niente di
te. In cinque anni ho perso un po’ di
memoria…” “No, non hai la memoria breve,
semplicemente non ti sei mai interessato alle abitudini altrui e questa
è
un’altra cosa che non ho mai sopportato di te”
Afferrai una statuetta da una
mensola accanto a me e gliela lanciai in testa, colpendolo in pieno:
“E sei
anche permaloso” aggiunse senza voltarsi: “E tu sei
un imbecille di prima
categoria” questo bastò a farlo fermare:
“Perché?” “Perché
questa gente la
potevi uccidere più velocemente, senza usare il
coltello… un’arma così stupida
e antiquata…” sfoderò il coltello e si
avvicinò talmente tanto che potei
sentire il suo fiato caldo sulla faccia. Mi mise la lama davanti agli
occhi e
riuscivo a vedere i miei stessi occhi riflessi sul grigio lucido:
“siamo in
pieno centro città” disse: “un
esplosivo, o l’ingresso in casa urlando avrebbe
attirato l’attenzione prima che finissi il lavoro. Il
coltello no…” passò il
dito sul filo della lama: “Il coltello è un amico
muto che non ti tradisce
mai”.
Un
movimento veloce e ripose
l’arma nel fodero, tornando verso la porta:
“un’altra cosa che non mi è mai
piaciuta di te” disse, già in giardino:
“è la tua mancanza di tattica. Addio”
“ohi, ohi fermo là!” uscì
dalla casa, ma lui non si fermò: “Volevo proporti
una
cosa. Ascoltami” sbuffò, ma questa volta si
fermò e si voltò a guardarmi:
“Muoviti” “Vendichiamoci”
trattenne a stento una risata: “Scusa?”
“Siamo morti
entrambi e nessuno ci ha mai cercati né aiutati”
“Me ne sono andato proprio per
evitare di dare spiegazioni” “Ciò non
toglie che ci siamo fatti un culo tanto
per l’organizzazione e, una volta morti, nessuno ci ha
più considerati” vedevo
che questo discorso non lo attirava più di tanto,
così giocai la mia ultima
carta: “Pensa ai tuoi soldi” il suo sguardo si fece
più recettivo: “Quanti ricercati
hai eliminato e quanti soldi guadagnato? Quanto ti è rimasto
materialmente?”
Alzò
lo sguardo, capivo che
stava riflettendo, poi mi fece cenno di seguirlo. Fu in quel momento
che notai
un grosso cane immobile accanto alla casa, sdraiato sopra una specie di
osso-giocattolo: “Anche il cane?” “No, mi
piacciono i cani. Per questo
nell’esca c’era solo del sonnifero” si
avvicinò alla bestia e gli passò la mano
sulla testa: “Andiamo a prendere i miei soldi e a cercarti
dei vestiti nuovi.
Quella camicia che hai è orrenda…”
“L’ho fregata in un cortile”
“è orrenda lo
stesso. Devi cambiarla e anche quei pantaloni, sono luridi”
ci allontanammo
lungo la strada, incrociando di tanto in tanto qualche sconosciuto
“ E poi?”
alzò le spalle: “andiamo a riprenderci i miei
soldi” “E basta?” “E se ci
rimane
tempo la testa del nostro ex capo, se ne hai voglia”
“ovvio” “Bene. Andiamo”
Fine
Un ringraziamento speciale a tutti
coloro che hanno
letto questo mini racconto, a quelli che lo leggeranno e un abbraccio a
tutti
coloro ai quali è piaciuto^^. ah, un'ultima cosa: il titolo, da dove viene? non ho avuto il tempo di citarla, ma è proprio la canzone che il ragazzino stava ascoltando prima di venire sgozzato, Dance of Death, dall'omonimo grande album, ovviamente degli Iron Maiden.
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