Genesis Hale and The Awakening of Chaos

di ChildOfTheDeath
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo ***
Capitolo 2: *** Chapter one- Castle of Glass ***
Capitolo 3: *** Chapter two- Losing your memory ***
Capitolo 4: *** Chapter three- It's my life ***
Capitolo 5: *** Chapter four- Don't you worry child ***
Capitolo 6: *** Chapter five- This is war ***
Capitolo 7: *** Chapter six- How to save a life ***
Capitolo 8: *** Chapter seven- Gods and Monsters ***
Capitolo 9: *** Chapter eight- Unbreakable ***
Capitolo 10: *** Chapter nine- Miss Independent ***
Capitolo 11: *** Chapter ten- Bleeding Out ***
Capitolo 12: *** Chapter Eleven- In the End ***
Capitolo 13: *** Chapter Twelve- Nobody's Home ***
Capitolo 14: *** Chapter thirteen- Monster ***
Capitolo 15: *** Chapter fourteen- Teenage Dream ***



Capitolo 1
*** Prologo ***


PROLOGO

 

 

 

 

 

 

 

 

Il mondo è rosso attorno a me. La sabbia bruciata vortica nell’aria, mentre l’incendio divampa, distruggendo New York. Il Central Park non esiste più ormai; è diventato una landa brulla senza vita. La gente grida, urla… Le fiamme lambiscono i corpi delle persone, ma io non posso fare niente. Sono bloccata nella sabbia. Sono bloccata, e il sole mi acceca. Un sole troppo luminoso, troppo grande. Un sole che uccide. La mia pelle brucia, ma è impossibile muoversi. E’ come se la sabbia mi ancorasse al terreno, è come se Madre Terra volesse risucchiarmi, per non lasciarmi andare mai più.

<< Sta arrivando. >> E’ una voce. Una voce femminile, che sussurra al mio orecchio. Volto la testa di scatto, ma accanto a me non c’è nessuno.

<< Manca poco. >> La voce è tranquilla. Non è troppo alta, ma nemmeno troppo bassa. E’  rassicurante, come se sapesse esattamente quello che sta succedendo. Il tono è quello di una donna. Una giovane donna, annoiata quasi. 

<< La Morte sta arrivando, ti aiuterà. >> Continua, insinuante. Rabbrividisco, nonostante il caldo cocente. Alzo lo sguardo verso New York. Riesco a vedere tutta la città da quassù, ma non so dove sono. In alto, sicuramente. Ma la sabbia continua a lambire le mie caviglie, senza lasciarmi scampo.

<< Fatti vedere. >> Dico. Il suono delle mie parole mi rassicura. Sono ancora in grado di parlare.

<< Non posso farmi vedere. Aspettala. Aspetta la Morte, dovrebbe già essere arrivata da te. >> Continua, imperterrita.

<< Aspettala, e andrà tutto bene. >> Poi sento una brezza gelida sulla nuca, e la ragazza è sparita. E’ come se la sua incombente presenza fosse scomparsa all’improvviso. Non l’ho mai vista, ma so che è stata qui. Improvvisamente mi sento assalire dal panico.

Sto sprofondando. La sabbia mi sta inghiottendo. Scotta, e io grido. Grido con tutto il fiato che ho in gola, mentre il mostro rosso mi trascina con se. Mi gremisce con le sue braccia ineffabili, impedendomi di respirare, impedendomi di vedere.

<< Aiuto! >> Urlo, sperando che la ragazza sia ancora qui con me.

<< Ti prego, aiutami! >> Mi divincolo, ma non faccio altro che sprofondare sempre più.

<< Salvami! >> Grido, un’altra volta. Ma il mostro mi afferra per le caviglie, e dà un ultimo strattone, più forte degli altri. La sabbia si chiude sopra di me, e tutto diventa nero.

Poi il nulla.

 

<< Genesis? Per l’amor del cielo, ragazzina! >> La voce petulante di Moira mi fece tornare alla realtà. Fu come riuscire a respirare di nuovo. Battei le palpebre un paio di volte, e poi presi un respiro profondo. Pensavo che le visioni non mi avrebbero mai più tormentata. I medici mi avevano imbottito di farmaci. Mi avevano detto che non sarebbe successo di nuovo. Che non sarebbe successo mai più.

<< Ehm… sì? >> Domandai, cercando di risultare il più naturale possibile. Poi mi guardai attorno. Mark mi fissava con aria disgustata, con una mano appoggiata sulla portiera, e una piede ormai posato sul marciapiede. Certo. Eravamo a scuola. La nuova fantastica scuola. Mio padre non aveva voluto che tornassi alla Ross High School. “Troppe voci, troppi pettegolezzi.” Diceva. “Qui invece nessuno saprà del tuo difetto, tesoro.” Si ostinava a chiamarlo così. Gli incubi, le voci, le visioni… Secondo lui erano soltanto dei difetti. Secondo me invece era pazzia. Pura e semplice pazzia. Io ero pazza, ma ormai ci avevo fatto l’abitudine.

<< Sei sorda per caso? Vai con Mark, forza, e comportati come una persona normale. Non voglio fare una brutta figura a causa tua. >> Sibilò Moira, lanciandomi un’occhiata fulminante dallo specchietto retrovisore. Alzai le mani in segno di resa, aprendo la portiera. Guardai mio padre, sperando che dicesse qualsiasi cosa. Magari una frase rassicurante, un sorriso fiducioso… Ma si limitò soltanto ad un cenno svogliato della mano. Dovetti trattenere una risatina amara.

<< Muoviti, stramboide. >> Sentii il fiato caldo di Mark nell’orecchio, e sobbalzai. Saltai giù dall’auto nuova di zecca, evitando la gamba del mio fratellastro, tesa tra i miei piedi. Mark aveva due anni più di me, e da quanto avevo sentito dire era considerato una specie di divinità da tutta la scuola. Non capivo cosa la gente trovasse in lui. Era biondo, aveva gli occhi azzurri ed era alto… Ma era la cattiveria fatta a persona. Di quelli che si divertivano a bruciare la ali alle farfalle, o a tormentare i fratelli. Magari le sorelle. O le sorellastre, più precisamente. Mi lasciava lividi in luoghi strategici, che nessuno poteva vedere. Una volta mi aveva sostituito lo shampoo con la candeggina, per non parlare…

<< Ehi, Donovan! Come va, bello? >> Fui costretta a scansarmi di scatto, mente una montagna di muscoli senza cervello si abbatteva su Mark. Doveva essere uno dei suoi tanti amici della squadra di football. Cominciarono a sghignazzare e a darsi pacche un po’ troppo forti sulle spalle. Nessuno mi degnò di uno sguardo. La campanella della prima lezione squillò nel cortile, e un coro di esclamazioni sdegnate proruppe nell’aria. Ah, il primo giorno di scuola… Sempre uno spasso.

<< Beh, allora io vado. >> Borbottai, grattandomi la nuca. Mark mi mostrò i denti, come se volesse azzannarmi, e poi tornò a chiacchierare amabilmente con il suo amicone. Notai altri gorilla decerebrati che si avvicinavano ai due. Era davvero arrivato il momento di tagliare la corda. Mi dileguai, diretta verso l’entrata della Goode High School di Manhattan. A detta di Moira era uno dei migliori licei della città e bla, bla, bla. A me sembrava soltanto un covo di ricchi e viziati figli di papà, ma avevo preferito non dirglielo.

Mi sistemai la cartella sulle spalle, cominciando a salire le scale dell’ingresso. Quella giornata era cominciata malissimo, e avevo il cattivo presentimento che non avrebbe fatto altro che peggiorare. Era forse il karma? Magari un’entità sconosciuta e superiore ce l’aveva con me. Forse ero stata troppo cattiva, e l’universo voleva punirmi. Certo, non si poteva dire che fossi una santarellina, ma non avevo mai ucciso nessuno. Nemmeno picchiato, se è per questo. Il mio “difetto” mi aveva sempre impedito di avere amici, o una vita sociale normale. Alle elementari le altre bambine mi invitavano ai pigiama-party, ma non ci potevo andare. Gli incubi la notte mi perseguitavano, e mi sarei svegliata in lacrime, o addirittura con le convulsioni. Dovevo sempre rifiutare, e ad un certo punto loro avevano smesso di chiamare. L’estate era appena passata, e io l’avevo trascorsa in un centro di cura psichiatrico, o manicomio, per chi accetta il fatto che i pazzi esistono ancora. La mia compagna di stanza aveva tentato di suicidarsi sei volte in due mesi, e il cibo faceva schifo. I dottori e gli psicologi mi avevano diagnosticato una specie di psicosi acuta, che mi faceva vedere e sentire strane cose. Mi avevano imbottita di farmaci, come un tacchino. Gli incubi, le visioni e le voci non mi avevano più tormentata. Fino a quella mattina.

<< Sta arrivando. >> La voce. La voce della visione.

<< Lei è qui. La Morte ti è vicina. Sta arrivando. >> No, fuori dalla mia testa. Fuori. Dalla. Mia. Testa.

<< Levati dai piedi, ragazzina. Blocchi il passaggio. >> Qualcuno mi piombò addosso, facendomi barcollare. Alzai lo sguardo verso al ragazzo che mi fissava con aria truce. Era alto, molto più di me, e aveva l’aria da rocker mancato. Giubbetto da aviatore, capelli neri spettinati e occhiaie scure che lo rendevano inquietante.

<< Agli ordini, Mr. Simpatia… >> Borbottai tra i denti, scostandomi. Ad un tratto non ero più molto sicura che quel giorno sarebbe andato tutto bene. Nessuno, a parte Mark, sapeva delle mie stramberie, ma una visione poteva cogliermi durante un’interrogazione, o avrei potuto incantarmi davanti alla cuoca che distribuiva il cibo a mensa. O peggio… Soprattutto quando ero piccola, le visioni e gli incubi mi sembravano talmente reali che mi mettevo a piangere e urlare. Con il tempo la situazione era migliorata, perché avevo imparato a distinguere gli orrori partoriti dalla mia mente e la realtà. Non che durante le visioni non avessi paura, ma perlomeno sapevo che non erano altro che una folle attività del mio cervello.

La seconda campanella, quella delle otto e cinque, cominciò a trillare all’impazzata, rischiando di rompermi un timpano. Sospirai, abbassando lo sguardo. Non volevo entrare a scuola. Avrei preferito scappare al Polo Sud, o andare a vivere come una clochard a Parigi. Oppure sarei potuta diventare un’artista di strada. Tutto, ma non volevo più quella vita.

<< Forza e coraggio, Genesis Hale. >> Sospirai tra me e me.

<< E che la fortuna possa sempre essere a tuo favore. >> Aggiunsi.

Citare frasi tratte da Hunger Games? Mai un buon presagio.

 

 

<< Ciao sorellina. >> Chiusi l’armadietto con un colpo secco, voltandomi di scatto. Mark mi fissava dall’alto in basso, con le braccia incrociate sul petto. Lo guardai in faccia, diffidente. Non avevo fatto niente quella mattina. Niente esplosioni, niente risse, niente feriti… Proprio niente di niente. Me ne ero stata buona e tranquilla nel mio angolino, passando da lezione a lezione con la testa fra le nuvole. Insomma, un banalissimo primo giorno di scuola.

<< Mark, stavo giusto per… >> Provai a sgusciare via, ma le sue mani andarono a schiantarsi ai lati della mia testa. Oh, cavolo. Sbirciai oltre le sue spalle. Una specie di gorilla in tenuta sportiva ghignava sotto i baffi, mentre Pamela, la ragazza del mio fratellastro, rideva come un’oca giuliva, insieme alla sua amica Michelle. Erano spesso state ospiti a casa nostra, sospettavo che fosse per la vasca idromassaggio e per la piscina all’aperto. Pamela era una biondina tutta tette e niente cervello, capo cheerleader. Michelle aveva i capelli rossi e una miriade di lentiggini. La sua bellezza era più naturale di quella di Pamela, ma entrambe avevano il quoziente intellettivo pari a quello di un comodino.

<< Stammi a sentire, ragazzina. >> Cominciò Mark, ringhiandomi praticamente in faccia. Odiavo quando si comportava in quel modo. Un conto era affrontarlo a casa, da solo. Ma quando ci si metteva con le scenate in pubblico… Effettivamente negli ultimi giorni era stato piuttosto indifferente nei miei confronti. Che stesse architettando qualcosa?

<< Questo è il mio territorio, qui comando io. Prova a fare una delle tue stramberie in pubblico, e ti giuro che ti farò pentire di essere nata. >> Sibilò. Mi aveva afferrata per le spalle, stringendo un po’ troppo forte. Cercai di divincolarmi, con scarso successo. Fui tentata di sputargli in faccia, ma non avrei certamente migliorato la situazione.

<< Lasciami andare, Mark. >> Mi limitai a dire, freddamente. Lui sorrise, maligno. Oh, oh.

Quel mezzo sorrisetto non prometteva nulla di buono.

<< Come vuoi tu, sorellina. >> Poi mi lanciò praticamente via, e fui spinta brutalmente all’indietro, crollando contro a qualcuno. Sentii Pamela che si complimentava con il suo ragazzo, mentre il gorilla giocatore di football scoppiava a ridere sonoramente. Poi ritornai velocemente alla realtà. Prima cosa da fare: analizzare la situazione.

Ero indubbiamente sul pavimento della scuola, e avevo un braccio piegato in una posizione fastidiosissima, sotto al corpo di qualcun altro. Udii il povero malcapitato grugnire qualcosa del tipo “Diis Immortales! “, ma probabilmente avevo battuto la testa. Poi il tipo si districò dal groviglio di arti che formavano i nostri corpi, e si tirò velocemente in piedi. Aprii gli occhi, confusa. Era il rocker mancato, quello che mi aveva urtato all’ingresso della scuola. I suoi occhi scurissimi mi stavano lentamente incenerendo. Sembrava che stesse decidendo se staccarmi direttamente la testa o se farmi morire in modo più atroce e doloroso.

<< Guarda dove metti i piedi, imbranata! >> Esclamò. Poi mi afferrò per un braccio, e mi rimise in piedi con una forza davvero sorprendente. Non che pesassi molto, ma lui era talmente magro che sospettavo non riuscisse a tenere in mano nemmeno un pezzo di carta. Mi sistemai la maglietta sgualcita, e poi affrontai il tipo.

<< Mi stai forse pedinando? >> Domandai, con aria di sfida. Potevo anche essere intimorita da Mark, ma non mi sarei mai fatta mettere i piedi in testa da un perfetto sconosciuto. Lui mi mostrò i denti, quasi volesse azzannarmi. Si avvicinò di un passo. Non mi ero accorta che fosse così alto.

<< Credo che sia tu che stai pedinando me, piuttosto. >> Ribatté, piccato. Sbuffai, accennando ad una risatina. Chi si credeva di essere? Ok, forse quell’aria così tetra e lugubre poteva mettere un po’ di paura. Senza contare poi… era un anello col teschio quello che gli vedevo al dito?

<< Perché dovrei? E comunque un gentiluomo mi avrebbe chiesto se mi sono fatta male. >> Risposi, indignata. Le sue labbra si distesero in un ghigno ironico. Osservandolo meglio non era poi così male. I capelli neri gli incorniciavano il viso pallidissimo, creando un contrasto spaventoso ma bellissimo al tempo stesso. Sembrava che un pittore avesse utilizzato la tecnica del chiaroscuro per dipingere le fattezze del suo volto. I suoi tratti erano  spigolosi, ma armoniosi ed eleganti. Le occhiaie scure attorno agli occhi lo rendevano inquietante, ma quasi sexy. Sì, beh, insomma… Era carino.

<< Di solito il gentiluomo che c’è in me emerge quando c’è una donna in pericolo. >> Cominciò.

<< Per caso tu hai visto una donna da queste parti?  >> Domandò poi, mentre il suo sorrisetto si allargava. Che razza di…

Qualcosa cominciò a suonare dalla tasca dei suoi jeans strappati. Il rocker mancato abbassò lo sguardo, e sembrò fissare il suo cellulare per un’eternità. Quando rialzò la testa era visibilmente impallidito, e mi fissava come se fossi un mostro. Inarcai le sopracciglia, sorpresa. Ma cosa diavolo gli era preso?

<< Beh? Non rispondi al cellulare? >> Chiesi, allargando le braccia. Lui sembrò riscuotersi al suono della mia voce. Alzò il mento, assumendo una posizione superba e fiera. Il sorrisetto sarcastico tornò a dipingersi sulle sue labbra.

<< Devo andare. >> Disse semplicemente. Ma prima di girare i tacchi mi si avvicinò, quasi minaccioso.

<< Lo scarso equilibrio è sintomo di labirintite. Ti consiglio di andare da un medico. >>

Che razza di stronzo.

NOTE AUTRICE

Allora, che ve ne pare? Non so nemmeno come mi sia venuta in mente questa storia. Comunque, se il capitolo vi è piaciuto recensite. Anzi, recensite anche se non vi è piaciuto, accetto le critiche costruttive. 

Bacioni e buone vacanze a tutti :)

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Capitolo 2
*** Chapter one- Castle of Glass ***


CHAPTER ONE- Castle of Glass

 

 

 

 

 

 

 

 

 

<< E’ arrivata, non è vero? >> La voce della ragazza sussurra nelle mie orecchie, come se volesse prendermi in giro. Mi guardo attorno. Il sole sta tramontando, ma fa comunque molto caldo. Da quassù riesco a scorgere tutta New York. E’ deserta. Gli antifurti delle automobili suonano all’unisono, per poi spegnersi uno dopo l’altro. Granelli di sabbia scura vorticano nell’aria, mossi da un vento sferzante.

<< Chi? Chi è arrivata? >> Chiedo. Questa volta riesco a camminare. Faccio un passo in avanti, stringendo le mani alla ringhiera di una balaustra. Non riesco a capire dove mi trovo. L’Empire State Building mi fissa, da lontano. E’ uno dei pochi grattacieli rimasti in piedi. Me ne rendo conto soltanto adesso. E’ come una specie di gigante della città, che veglia su ciò che è rimasto della sua casa.

<< La Morte, ovviamente. E’ l’unica che può aiutarti. >> Risponde la ragazza. Mi mordo un labbro. Odio non riuscire a vederla. So che lei sta cercando di aiutarmi, ma è… frustrante.

<< Aiutarmi a fare cosa? >> Domando, a bassa voce. La ragazza ridacchia, poi è come se qualcuno mi avesse messo tra le mani un binocolo. Stringo gli occhi, sporgendomi sempre di più. Guardo sotto di me, ma all’improvviso il terreno è vicinissimo. C’è qualcosa, a qualche metro da me. E’ un corpo umano, sembra respirare ancora. Allungo una mano, quasi a voler aiutare quel poveretto.

<< Se fossi in te non mi avvicinerei. >> Suggerisce la ragazza. Il mio istinto dice che dovrei ascoltarla, ma non posso lasciare lì quell’uomo. Muove un braccio, cominciando a strisciare nella mia direzione. Non riesco a vederlo in volto, perché i capelli lunghi gli coprono il viso. Deve essere gravemente ferito, anche se non vedo sangue da nessuna parte. L’uomo emette un lamento di pura sofferenza.

<< Devo aiutarlo! >> Esclamo. Allungo la mano, sporgendomi sempre di più. Sono quasi completamente al di là della balaustra. Se cadessi morirei sicuramente, ma qualcosa mi dice che non succederà. Adesso sono in bilico, ancora qualche centimetro e precipiterò verso il basso. L’uomo d’un tratto alza il viso verso di me, fissandomi negli occhi.

Urlo.

Urlo perché quello che ho davanti non è un essere umano. No, è… un mostro. La pelle è bianca, quasi trasparente. Casca, come se fosse stata corrosa dall’acido. Gli occhi sono rossi ed iniettati di sangue, privi di una qualsiasi luce vitale. Batte i denti, come se avesse fame. Fame di me. Emette ancora quel lamento, tirandosi in piedi. Provo a tornare indietro, ma ormai è troppo tardi.

Sto precipitando tra le braccia del mostro.

 

Mi svegliai di soprassalto, con il cuore che mi batteva in gola. Il sudore freddo mi scivolava lungo la spina dorsale, facendomi rabbrividire. Deglutii, mettendomi a sedere. Ormai ero diventata di nuovo pazza, era ufficiale. Prima le visioni, poi  la voce, e infine gli incubi. Avevo sprecato un’estate rinchiusa dentro ad uno stupido manicomio, e non era servito a niente. Tutto era ricominciato, senza nessun preavviso, senza che avessi potuto prepararmi. Quanto ero stata stupida… ad illudermi che la mia vita sarebbe tornata normale. Che sarei potuta diventare una comune sedicenne.

Una grossa goccia di pioggia mi cadde sul naso, facendomi ricordare dove fossi. Avevo deciso di saltare le lezioni pomeridiane, rifugiandomi in cortile. Mi ero sdraiata sotto la chioma di una grande quercia, decisa ad osservare il cielo azzurro tutto il pomeriggio. Purtroppo mi ero assopita, e nel frattempo grossi nuvoloni neri si erano radunati sopra la mia testa, minacciando di esplodere da un momento all’altro. Sbuffai, mettendomi a sedere. Sapevo già che mio padre avrebbe fatto una scenata, dopo aver scoperto quello che avevo fatto, ma non mi interessava più di tanto. Avrei potuto dire che stavo male, e che avevo bisogno di aria fresca.

<< Ma io ho fame, Pam! Da quant’è che non ci facciamo un bello spuntino? >> Sentii la voce di Michelle provenire da sinistra. Mi nascosi subito dietro al tronco della quercia, stupendomi di me stessa. Potevo semplicemente andarmene indisturbata, eppure qualcosa mi diceva che sarei dovuta rimanere ferma immobile, finché quelle due non se ne fossero andate.

<< Da tanto tempo, compagna. Ma non preoccuparti, tra poco potremo mangiare chiunque vogliamo. >> Rispose Pamela, utilizzando un tono rassicurante e sognante allo stesso tempo. Mangiare… chiunque!? Quella cheerleader doveva avere qualche rotella fuori posto. Magari era caduta facendo la piramide speciale, o forse aveva ingoiato un pon-pon.

<< Tra poco quanto, Pam? Sono passati tre anni dall’ultima volta, non ricordi? >> Michelle sembrava piuttosto seccata. Le due erano sedute su una panchina, con le mani in grembo e le gambe accavallate. La pioggia, che si faceva sempre più battente, non sembrava disturbarle più di tanto.

<< Lo so, Michelle. E mi ricordo anche il suo gusto… >> Pamela ghignò, strizzando l’occhio alla sua amica dai capelli rossi. Cominciavo seriamente ad avere paura. Evidentemente non ero l’unica ad essere pazza, in quel posto.

<< Oh, sì! E ti ricordi come si lamentava? Come piangeva? >> Michelle sembrava persa nei ricordi, e sorrideva in modo quasi maniacale. Speravo stessero parlando di un cucciolo di cane. Sarebbe stato comunque un gesto orribile, ma sempre meglio che mangiare un essere umano.

<< Me lo ricordo come se fosse successo ieri, sorella. >> Pamela scoppiò a ridere, passandosi una mano tra i capelli biondi.

<< Non sai quanto mi manca il sapore di semidio. Spero che lui sorgerà presto, perché non vedo l’ora di mangiare ancora un po’. >> S-sapore di semidio? Ma cosa diamine!? Quelle due erano persino più inquietanti di me. Forse stavano soltanto scherzando, ma la scintilla nei loro occhi era di puro odio e desiderio. Mossi un passo all’indietro, attenta a non emettere alcun suono. La cartella era rimasta a qualche metro di distanza, ma l’avrei lasciata lì.

<< Se continuiamo a pensarci ci verrà ancora più fame. Nel frattempo è divertente prendersi gioco degli umani. Sono così… stupidi. >> Pam fece una smorfia di disgusto, arricciando il suo nasino alla francese.

<< Come Mark? Già, ma non capisco perché non provi a succhiargli il sangue. Non devi per forza ucciderlo, sai? >> Domandò Michelle, quasi irritata. D’accordo, Mark era un grandissimo stronzo che meritava il peggio, ma… succhiargli il sangue? Forse quelle due erano ubriache. Dovevo scappare. Chiamare la polizia o cose del genere. Feci un altro passo all’indietro, e andai a sbattere contro qualcosa di solido. Spalancai la bocca per urlare, ma una mano me la tappò prima che potessi emettere un solo suono. Mi divincolai, ma un braccio si chiuse attorno alla mia vita, impedendomi di fare un solo movimento.

<< Stai zitta, ragazzina! >> La voce del rocker mancato si insinuò nelle mie orecchie. Strabuzzai gli occhi. Cosa ci faceva lì? Mi aveva forse seguita?

<< Se urli saremo in grossi, grossissimi guai. Perciò, o stai zitta, o sarò costretto a darti una botta in testa. E credimi, non sarà una belle esperienza. >> Ringhiò ancora nel mio orecchio, rabbrividii sentendo il suo fiato sul collo. Soppesai per un attimo la situazione. Effettivamente lui non mi stava picchiando, né cercava di stuprarmi o uccidermi. Molto probabilmente voleva soltanto aiutarmi. Alzai gli occhi al cielo, e poi annuii. La sua mano si spostò dalle mie labbra, e riuscii a respirare come prima. Lanciai un’occhiataccia al suo braccio, ancora stretto attorno a me. Lui alzò le mani, in segno di resa.

<< Dobbiamo scappare. >> Mormorò, tirandomi dietro alla corteccia.

<< Non vengo da nessuna parte con te. >> Ribattei a bassa voce, incrociando le braccia al petto. Non sarei scappata con un perfetto sconosciuto. Per quanto ne sapevo poteva anche essere un maniaco. Lui sembrò sul punto di darmi sul serio una botta in testa, ma strinse i denti, e sospirò.

<< Qui sei… siamo in pericolo. E’ già un miracolo che quelle due non ci abbiano notato, se… >>

<< Quelle due, Nico di Angelo? Pensavo che ti ricordassi i nostri nomi. >> La voce bassa e sibilante di Pam mi fece gelare il sangue nelle vene. Il rocker mancato- che a quanto pare si chiamava Nico di Angelo- si voltò di scatto. Nel girarsi riuscì ad aprire il suo zainetto e ad estrarre da esso una spada nera lunga più o meno sessanta centimetri. Spalancai la bocca, incredula. Stavo avendo un’altra visione?

<< L’ultima volta che vi ho viste eravate nel Tartaro. >> Disse lui, in tutta tranquillità. Nel Tartaro!?

<< Ma ora siamo qui. >> Ribatté Michelle, arrotolandosi una ciocca rossa attorno alle dita… artigliate. Inciampai nei miei stessi piedi, e se non fosse stato per il tronco dell’albero sarei certamente caduta a terra. Pamela e Michelle si stavano trasformando. I loro capelli caddero in ciocche rade sul terreno, mentre i canini spuntavano dalle labbra. Le gambe divennero una specie di miscuglio bronzeo e peloso… e gli occhi. Gli occhi erano rossi. Rossi come il sangue.

<< Ti ho già infilzata una volta, Michelle. Ti assicuro che non ho problemi nel ripetermi. >> Nico mi spinse all’indietro, e poi fece roteare la spada, con una naturalezza incredibile. Osservai la lama fendere l’aria, quasi incantata. Era così letale… Eppure così bella. Come il suo proprietario.

<< Allora fatti avanti, figlio di Ade. >> Intervenne Pamela, sorridendo. Per un attimo tornò ad essere la bellissima ragazza di prima, ma durò soltanto pochi secondi. Nico sembrava quasi stordito.

<< A te la prima moss… >> Ma non terminò la frase, perché Michelle si era lanciata all’attacco. Mi nascosi saggiamente dietro all’albero, cercando d non andare in iperventilazione. Poteva essere una delle mie visioni. Credevo di riuscire a distinguerle dalla realtà, ma forse non era così.

 Quei… mostri. Non erano gli stessi di quello che avevo visto nell’incubo. Questi sembravano intelligenti, e sapevano parlare. Davano la caccia a noi. E poi… Figlio di Ade. Le parole di Pamela rimbombavano inesorabili all’interno della mia scatola cranica. L’ultima volta che avevo controllato, Ade era un dio greco. E non ero sicura che gli dei greci potessero avere figli. A dire il vero ero abbastanza certa che gli dei greci non esistessero affatto.

<< Attenta! >> Gridò Nico Di Angelo, senza successo. Due mani artigliate mi afferrarono per le spalle, e fui scagliata via con forza, sbattendo la schiena contro il manto erboso del cortile della scuola. Quando il mondo smise di girare riuscii ad alzarmi in piedi. Il sangue mi scorreva inesorabilmente lungo le braccia. Lento, cremisi. Quasi ipnotico. Pamela, da lontano, rideva sguaiatamente. Il rocker mancato aveva ingaggiato un combattimento con Michelle. Sembrava che lui stesse avendo la meglio, ma il mostro-cheerleader non demordeva. Indietreggiai, inciampando nei miei stessi piedi.

<< Vai da qualche parte? >> Mi voltai di scatto, mentre il mio cuore perdeva un battito. Pamela mi fissava, ghignando. Come diavolo aveva fatto a muoversi così velocemente? O forse ero io che mi ero lasciata distrarre.

<< C-cosa vuoi da me? >> Balbettai. Che domanda idiota. Ovviamente sospettavo che volesse mangiarmi per pranzo, o cose del genere. Mi sembrava di essere una di quelle stupide protagoniste dei film dell’orrore di serie B. Pamela scoppiò a ridere, ma quel suono assomigliava più ad un ragliato.

<< E’ da tanto che non mangio, ragazzina. Ovviamente Di Angelo sarebbe uno spuntino migliore, ma vai bene anche tu. >> Cominciò. Dovevo pensare, e velocemente. Non potevo scappare, perché lei mi avrebbe raggiunta subito, e Nico non poteva aiutarmi, perché stava già tentando di decapitare Michelle.

<< P-perché sarebbe uno spuntino migliore? >> Parlare. Dovevo parlare il più possibile. Nei film i buoni si salvavano sempre parlando. Ovviamente ho sempre pensato che i cattivi fossero dei grandi idioti, insomma… Lasciarsi sprecare un’occasione del genere…

<< Perché è figlio di uno dei tre pezzi grossi. E’ uno importante, capisci? Tu… tu sei soltanto un’insulsa indeterminata, ma sempre meglio di niente. >> Tre pezzi grossi? Indeterminata? Non ero io quella pazza. Era l’universo che aveva perso la testa. Ormai ero giunta alla conclusione che non stavo avendo una visione. La paura, l’adrenalina, il terrore viscerale… Erano troppo forti, troppo reali.

<< Oh. E quando mi determineranno? >> Chiesi, quasi dimostrandomi delusa, anche se in realtà non avevo la minima idea di cosa si stesse parlando. Con la coda dell’occhio scorsi Michelle esplodere in una polvere grigia. Nico si accasciò contro l’albero. Era pallidissimo, persino più di prima.

<< Non ha importanza, tanto adesso diverrai il pranzo del capo delle Empuse. Dovresti ritenerti fortunata. >> Empuse? Avevo già sentito quel nome da qualche parte.

<< Beh, capo delle Empuse, non so se te ne sei accorta, ma la tua amica laggiù è appena morta. Kaput. >> Incrociai le braccia al petto, sorridendo.  Pamela non sembrò troppo turbata dalla notizia. Si limitò a fare una smorfia con la sua bruttissima faccia.

<< Ha fatto il suo dovere, come le avevo detto. >>

<< Non sei un gran bel capo. Per esempio, dove sono le tue amiche? >> Domandai, sibilando tra i denti. Non so dove trovassi il coraggio di fare ciò che stavo facendo, né come le parole riuscissero ad uscire dalla mia gola. Era come se qualcuno le stesse sussurrando nelle mie orecchie. Fissai Pamela dritta negli occhi, e lei vacillò, come se l’avessi colpita con un gancio destro.

<< Loro… loro sono… >> Stava davvero balbettando? Sembrava quasi che i nostri ruoli si fossero invertiti.

<< Non ci sono, ecco tutto. Guarda come ti sei ridotta… Stare con un umano  come mio fratello? Per di più della peggior specie. Tu non conti niente. >> Ringhiai, facendo un passo in avanti. Pamela indietreggiò, punta nel vivo.

<< Nessuno ti vuole, nessuno ti cerca. Sei soltanto una sgualdrina. >> Continuai, imperterrita ed impietosa. Vidi una lacrima brillare sulla guancia incartapecorita della cheerleader. Stava… piangendo? Avevo appena fatto piangere un mostro. Una data da segnare sul calendario.

<< Stai zitta, piccola mezzosangue! Io ti… >> Ma non concluse mai la frase, perché la lama nera della spada di Nico Di Angelo si abbatté contro la sua gola, tagliandole di netto la testa. Pamela esplose in una nuvoletta, senza lasciare più nessuna traccia. Io e il ragazzo rimanemmo a fissarci per un attimo che sembrò infinito. Lui sembrava stanchissimo, ma sulle sue labbra era dipinta un’espressione combattiva. Come se fosse la millesima volta che uccideva un mostro. Come se facesse parte di quel mondo da sempre.

<< Io non credo di… >> Crollai in ginocchio, percossa dai brividi. La scarica di adrenalina era passata, e solo in quel momento il mio cervello riuscì a metabolizzare quello che avevo appena visto. Ricacciai indietro un conato di vomito, infilando le unghie nel terriccio. Mi impedii fermamente di piangere, e cominciai a fare dei respiri profondi. Perlomeno sapevo di non essere io, quella pazza. Sapevo che era l’intero universo ad avere qualche rotella fuori  posto. Magari le visioni, gli incubi, le voci… Avevano una spiegazione.

<< Ti fa male? >> Nico mi sfiorò le spalle, e sentii una scarica di dolore propagarsi per tutto il mio corpo.

<< No, finché non me l’hai ricordato. >> Rantolai, mordendomi a sangue un labbro inferiore. Lui sospirò, accovacciandosi accanto a me. Infilò la sua spada nera nello zainetto, e poi tirò fuori qualcos’altro. Era una fialetta piccola e di vetro, contenente un liquido dorato, che sembrava miele. Il ragazzo la stappò con un gesto sicuro e preciso.

<< Bevi un sorso. >> Ordinò. Aveva il tono di uno che non avrebbe accettato alcuna obiezione.

<< Perché dovrei? >> Per quanto ne sapevo poteva essere droga da stupro. Nico mi lanciò un’occhiataccia che avrebbe ammazzato un piccione in volo. Deglutii, e poi afferrai la fialetta. L’odore non era per niente cattivo. Chiusi gli occhi, e mandai giù tutto d’un fiato. Avrei voluto gustarne di più il sapore, perché quella roba era davvero buonissima. Il dolore diminuì di colpo, e la nebbiolina che mi invadeva il cervello si diradò, facendomi tornare la mente lucida.

<< Come…? >>

<< Nettare d’ambrosia. Vitale per i semidei. >> Spiegò brevemente lui. Non sembrava molto propenso a dare spiegazioni. Piuttosto aveva molta fretta, ma non capivo perché. Forse sarebbero arrivati altri mostri.

<< Adesso dobbiamo andare, questo posto non è sicuro. >> Mi afferrò per un braccio, tirandomi in piedi con una facilità disarmante. Mi divincolai dalla sua stretta. Non sapevo se essere terrorizzata o curiosa. Diciamo che in quel momento le mie sensazioni erano un mix letale di quelle due emozioni.

<< Non vengo da nessuna parte con te. >> Ribattei prontamente, indietreggiando. Sì, mi aveva salvato la vita, ma forse anche lui si sarebbe trasformato in un orrendo vampiro spelacchiato. E poi la sua spada non mi piaceva per niente. Chissà quante mostri- e forse anche persone- aveva decapitato o trapassato come uno spiedino.

<< La storia della botta in testa vale anche adesso. >> Minacciò. Incrociai le braccia al petto, facendogli capire che non avrei fatto un singolo passo. Mi fissò per un istante, e nei suoi occhi scuri scintillò una vasta gamma di emozioni. Rabbia, paura... Esasperazione.

<< Tu non capisci. C’è un posto, qui vicino; il campo Mezzosangue, a Long Island. E’ casa tua. E’ casa… nostra. >> Il fatto che avesse pronunciato la parola “nostra” con molta esitazione, non mi aiutò affatto a fidarmi.

<< Io sono un semidio, figlio di una divinità e di un essere umano. >> Disse. Fui tentata di mettermi a ridere istericamente, ma a giudicare dalla sua espressione forse avrei fatto meglio a scoppiare a piangere. O stare zitta. Effettivamente Pamela l’aveva chiamato “Figlio di Ade”. Ade era una divinità greca. Il dio degli inferi.

<< Le divinità greche esistono ancora. Esistono da sempre. Si sono soltanto trasferite durante i secoli. Il Monte Olimpo, Roma… e adesso vivono al seicentesimo piano dell’Empire State Building. >> Spiegò, con naturalezza. Lo fissai, con gli occhi sgranati. Di sicuro si aspettava quella reazione, perché rimase impassibile. Beh, mi risultava molto difficile credere a quello che diceva. Ma del resto avevo appena visto due cheerleader trasformarsi in mostri orrendi. Come potevo essere sorpresa?

<< Anche tu sei una semidea, ragazzina. E lo so per certo. >> Mi sembrò come se mi avessero rovesciato in testa un secchio di acqua gelida. Ero sicura che l’avrebbe detto. Quelle parole erano in sospeso nell’aria attorno a noi. Ma non potevo accettare una cosa del genere. Si stava sbagliando, sicuramente.

<< Hai sbagliato persona, mi dispiace. Io non sono una semidea, sono una semplice adolescente newyorkese. >> Protestai, scuotendo la testa. Mi soppesò per un momento, e l’ombra di un sorriso apparve sulle sue labbra sottili.

<< Quando mi hanno detto chi sono davvero avevo dieci anni. Ero stato rinchiuso per oltre quarant’anni in un casinò di Las Vegas. So come ci si sente. >> Cominciò, facendo un passo nella mia direzione.

<< So come ci si sente, quando tutto ciò che credevi vero si rivela una bugia. Quando scopri che… che le persone che ti circondavano ti hanno mentito per gran parte della tua vita. >> Nella sua voce c’era una nota, a malapena repressa, di un grande dolore. Mi guardò negli occhi. I suoi erano dei pozzi profondi. Troppo profondi, per un ragazzo che doveva avere più o meno la mie età. Erano gli occhi di un vecchio, oppure di qualcuno che è stato costretto a crescere troppo in fretta.

<< Mi dispiace. >> Suonò più come una domanda, che come un’affermazione.

<< Mi dispiace, ma non sono la persona che cerchi. Mio padre fa l’avvocato, non ho mai conosciuto la mia vera madre. Lei se n’è… >> Mi bloccai, con le parole che mi erano rimaste impigliate in gola. Se n’è andata dopo avermi messo alla luce. Io non avevo mai conosciuto la mia vera madre. In casa non c’erano sue foto, mio padre ne parlava molto raramente. Diceva che gli aveva rovinato la vita. Che aveva rovinato la vita anche a me.

<< Beh, adesso sappiamo che il tuo genitore divino è una dea. >> Nico si strinse nelle spalle, poi si mise in spalla lo zaino. Mi resi conto solo in quel momento che perdeva sangue dal costato. E diventava sempre più pallido.

<< Io… >> Ma non riuscivo a dire niente.

<< So che non ti fidi di me. Nemmeno io lo farei se fossi nei tuoi panni. Andiamo da tuo padre, d’accordo? Lui saprà darti risposte. >> Propose. Abbassai lo sguardo. Come avrei potuto fidarmi di un uomo che- a quanto pareva- mi aveva mentito per sedici anni? Osservai il ragazzo di sottecchi, e poi sospirai.

<< D’accordo. >> Dissi.

<< Andremo da mio padre. >>

 

 

 

 

 

 

NOTE AUTRICE

Allora, che ve ne pare? Nico è un tizio piuttosto inquietante, se fossi in Genesis nemmeno io mi fiderei più di tanto. Spero che il capitolo vi sia piaciuto, lasciate una recensione, anche piccola piccola.

Bacioni 

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Capitolo 3
*** Chapter two- Losing your memory ***


Chapter two- Losing your memory

 

 

 

 

 

I would have died,
I would have loved you all my life

Your losing your memory now


 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

<< Niet! Voi no entrare qui conciati così! >> Sbraitò Ana, la nostra governante. Ana era una donnona russa; un metro e novanta per ottantacinque chili. Se non fosse stato per la corporatura da armadio sarebbe anche stata carina. Era bionda, aveva gli occhi azzurri e le guance rosate.

<< Ana, ti prego. Devo parlare urgentemente con mio padre. >> Lei, in risposta, si piazzò di fronte alla porta a braccia incrociate. Alzai gli occhi al cielo. Effettivamente Nico ed io non eravamo conciati molto bene. Le ferite non mi facevano più male, ma ero sporca di sangue e di fango. Lui invece sembrava sul punto di svenire, e continuava a sanguinare. Gli avevo suggerito di prendere quel fantomatico nettare d’ambrosia, ma io l’avevo consumato tutto.

<< Niet. Voi lerci, voi sporcare tutto. Io avere appena pulito! >> Ringhiò tra i denti, agitando forsennatamente lo strofinaccio davanti alle nostre facce. Cominciai a battere un piede per terra, mentre Nico crollava addosso a me, facendomi barcollare. Era ancora sveglio, ma a quanto pareva si reggeva in piedi a malapena.

<< Ana, ti prego… >>

<< Genesis? Cosa fai qui? >> Ana si spostò, e mi trovai di fronte mio padre. Deglutii, guardandolo negli occhi. Io e lui eravamo stati sempre diversi, soprattutto fisicamente. Lui non era molto alto, ed era piuttosto tarchiato. Io, invece, avevo le gambe lunghissime, e sembravo uno stecco. Da lui avevo ereditato soltanto i capelli neri come il carbone, mentre gli occhi… Beh, i suoi erano color nocciola. I miei erano viola. Non azzurri, o grigi. Viola.

<< Dobbiamo parlare, adesso. >> Dissi. La mia voce risuonò spaventosamente fredda. Non ero mai stata una tipa solare e gentile, piuttosto tendevo ad essere scontrosa e sarcastica. Lui mi guardò, come se fossi impazzita. Il suo sguardo poi si posò su Nico. Sospettavo che avesse capito di cosa volevo parargli, e il rocker mancato ne era la conferma.

<< Genesis, ho un cliente. >> Mi supplicò con gli occhi. Certo, tipico. Lui non affrontava mai i problemi di petto. Preferiva nascondere la testa sotto la sabbia, facendo finta che le difficoltà non esistessero. Se mia madre era davvero una dea, non capivo come avesse potuto innamorarsi di lui.

<< Non. Mi. Interessa. >> Scandii ogni parola lentamente, perché quella frase gli rimanesse bene impressa nel cervello. Lui deglutì, sciogliendo il nodo alla cravatta.

<< Andiamo in soggiorno. Forse è meglio fare una chiacchierata. >>

 

Nico si accasciò sul divano, chiudendo gli occhi. Sperai con tutto il cuore che non fosse svenuto, altrimenti non avrei davvero saputo cosa diavolo fare. Non credevo che senza di lui sarei riuscita ad arrivare al campo mezzosangue.

<< Sbrigatevi. Non abbiamo tutto il giorno. >> Tossicchiò, sbattendo le palpebre. Oh, grazie al cielo. Ana sbatté sul tavolo il vassoio del the freddo, guardando con aria truce me e il ragazzo. Afferrai subito una tazza, bevendo il liquido con avidità. Non pensavo di avere così sete. Nico mi imitò, e sembrò riprendere giusto un po’ di colore in viso.

<< Lui… lui dice che mamma era una dea. Una dea greca, intendo. E’ vero? >> Chiesi a mio padre, con voce stanca. Erano soltanto le cinque del pomeriggio, ma mi sembrava di non dormire da più di tre giorni. Quelle poche ore erano state spossanti, eppure avevo il presentimento che le mie peripezie non sarebbero finite lì. Lui si passò una mano tra i capelli brizzolati, sospirando. Ad un tratto sembrava invecchiato di dieci anni. Annuì, lentamente. Abbassai lo sguardo, sentendo le lacrime bruciarmi gli occhi.

<< Me ne innamorai subito. Lei era forte, intelligente, bellissima… Vi assomigliate molto, sai? Tu hai i suoi stessi occhi. >> Lo sguardo di mio padre era distante, come se fosse preso da ricordi lontanissimi, che si facevano sempre più evanescenti.

<< La conobbi a Santa Fe, ero in viaggio di lavoro. Girai gli Stati Uniti con lei. Quando scoprì di essere incinta ero così felice… >> La sua voce era fievole, quasi rotta dall’emozione.

<< Le chiesi di sposarla, ma lei rifiutò. Disse che doveva andarsene, che sarebbe tornata dopo aver partorito. >> Chiuse gli occhi, come per voler scacciare via il pensiero di quella brutta esperienza.

<< Non lo ha mai fatto. Ti trovai davanti alla porta di casa, avvolta in un suo maglione. >> Fu come ricevere uno schiaffo. Non solo mio padre mi aveva mentito per anni; mia madre mi aveva abbandonata come si fa con gli orfani. Come si fa con i problemi indesiderati.

<< Lasciò soltanto un biglietto. C’era scritto di chiamarti Genesis. >> La voce di mio padre si faceva sempre più fievole, mano a mano il discorso proseguiva. Persino Nico sembrava sorpreso.

<< E poi? >> Domandai, morendomi un labbro. Mio padre si strinse nelle spalle, quasi sconsolato. Chissà quante volte aveva ripensato a quella storia. Chissà quante volte si era chiesto come mai gli era capitato tutto questo.

<< E poi non l’ho mai più vista, né sentita. Lei… Lei non mi ha ma detto chi fosse. Mi mostrava sempre le immagini degli dei tramite i messaggi-iride, affinché potessi crederle. >> Non avevo idea di cosa fosse un messaggio-iride, ma in quel momento non mi interessava affatto.

<< Ma non voleva che conoscessi la sua vera identità, e non voleva che ti dicessi cosa sei veramente. Me lo fece promettere. >> Ed ecco che arrivava la parte delle scuse. Sul mio volto, quasi involontariamente, si dipinse una smorfia amara. Peter Hale non era mai stato un buon padre. Ora cominciavo a capire il perché. Cominciavo a capire come mai aveva sposato Moira, e come mai a volte si comportava freddamente con me. Come mai era così distaccato.

<< E’ molto strano che i mostri non l’abbiano mai trovata. Mano a mano un semidio cresce, più il suo odore si fa forte, e più mostri attira. Sedici anni… sono davvero troppi. >> Nico scosse la testa, passandosi una mano tra i capelli scuri. Mio padre sembrò rendersi conto della sua presenza soltanto in quel momento. Gli lanciò un’occhiata a metà tra il sospettoso e l’intimidito.

<< Suppongo che tu sia un… satiro, forse? >> Domandò. Nico inarcò le sopracciglia, quasi divertito.

<< No, sono un semidio, e devo portare sua figlia al Campo Mezzosangue. I mostri potranno anche non accorgersi di lei, ma io sono come un faro per loro. Metti qualcosa in valigia, e andiamo. >> Poi si alzò in piedi, mettendomi fretta. Sbuffai, passandomi una mano sugli occhi. Quella situazione era davvero surreale. Io ero una… semidea. Questo comportava il fatto che mia madre fosse una dea vera e propria. Chissà che razza di poteri aveva. Speravo non quelli di avere visioni e sentire voci inesistenti.

<< O-ok. >> Balbettai. Poi mi alzai in piedi, e salii le scale fino alla mia camera. Presi uno zainetto dall’armadio, e poi pensai a cosa mi sarebbe servito. Di certo un po’ di vestiti di cambio, magari lo shampoo e il bagnoschiuma, lo spazzolino… Avevano le salviette e gli accappatoi? E i tampax? Ne infilai un pacchetto per sicurezza, pregando che quel fantomatico campo fosse ben fornito.

<< Devi smetterla di agitarti. Ti ho detto che la morte ti aiuterà. Ti salverà. >> Raddrizzai di scatto la schiena, mentre piegavo la maglia del pigiama. Mi guardai intorno, sperando di vedere la ragazza. Ma,  come al solito, niente di niente.

<< Non manca molto. Il momento è quasi arrivato. Fortunatamente c’è la Morte, senza di lei saresti perduta. >> Chiusi la cerniera dello zaino con un colpo secco, tentando di non farmi venire una crisi isterica. Ormai avevo accettato il fatto di non poter vedere la ragazza, ma, per quanto ne sapevo, forse la voce non era un parto folle della mia mente. Forse voleva davvero avvertirmi, dirmi che stava per succedere qualcosa. Avrei preferito che non parlasse per enigmi.

<< Oh, devo andare! A presto, Genesis. E fidati di me. >> Fui tentata di scagliare la spazzola che avevo in mano addosso all’aria. Se mai quella voce si fosse tramutata in una persona, se la sarebbe vista molto brutta.

<< Il tizio inquietante dice che dobbiamo muoverci. >> Sobbalzai, voltandomi di scatto. Mio padre era appoggiato allo stipite della porta, e nei suoi occhi c’era lo sguardo più angosciato che avessi mai visto.

<< Sì, arrivo. >> Sospirai, caricandomi lo zaino in spalla. Scesi le scale di corsa, seguita da mio padre.

<< Non c’è più tempo da perdere, andiamo. >> Disse Di Angelo. Con mia enorme sorpresa notai che mio padre ci seguiva fuori dalla porta. Si diresse a passo sicuro verso la Mercedes metallizzata. Ci avrebbe dato un passaggio, a quanto pareva. Lasciai Nico sul sedile del passeggero, dato che conosceva bene la strada. Io mi sistemai dietro, allungando le gambe il più che potevo. Passai la maggior parte del viaggio a tentare di decifrare le scritte sui cartelli stradali. Oh, giusto. Ho dimenticato di dire che ero dislessica, e iperattiva. Come se non bastasse.

Nico borbottava qualche indicazione di tanto in tanto. Mio padre stringeva il volante talmente forte da farsi diventare le nocche bianche. Forse, dopotutto, gli sarei mancata. Ero sua figlia, del resto.

<< Siamo arrivati, ci lasci qui. >> L’auto inchiodò in mezzo al nulla, mentre il sole cominciava a tramontare dietro all’orizzonte, regalando alla strada un aspetto quasi mistico. Uscii dalla macchina, con lo zaino in spalla. Mio padre mi abbracciò. Fu uno dei pochi abbracci che ci eravamo mai dati. Quando io ero piccola la nostra relazione era migliore. Non aveva ancora sposato Moira, e mi dedicava moltissimo tempo. Sospirai, sciogliendo il nodo che mi si era formato in gola.

<< Mi dispiace, Gen. Mi dispiace di averti mentito. >> Disse. Mi sembrava che la sua voce stesse tremando, ma forse era soltanto l’effetto della suggestione. So che avrei dovuto dirgli che andava tutto bene, ma non lo feci.

<< Ti perdonerò. Dammi soltanto un po’ di tempo, d’accordo? >> Domandai, con le lacrime agli occhi. Lui annuì, e poi mi lasciò andare.

<< Ci si vede, papà. >> Sussurrai, prima di voltarmi, e seguire il rocker mancato all’interno del bosco.

 

<< C’è qualcosa che non va. >> Nico Di Angelo ruppe il silenzio tombale della foresta, portando una mano all’elsa della sua spada. Si guardò attorno, guardingo. Sembrava essersi ripreso, ma era ancora pallido e stanco. Camminavamo nel bosco da circa un quarto d’ora. Lui aveva detto che per raggiungere il campo servivano venti minuti. Scrollò la testa.

<< Stammi più vicina, e cammina il più veloce possibile. Non manca molto. >> Ubbidii, titubante. La luce del tramonto era parzialmente filtrata dalle chiome degli alberi, ma si vedeva ancora benissimo. Strinsi le braccia attorno al corpo, rabbrividendo. Era tutto tranquillo. Tutto, a parte Nico. Sembrava piuttosto in ansia, e continuava a guardarsi attorno con fare circospetto.

<< Ehi, qui non c’è nessuno e poi… >> Non feci in tempo a finire la frase, perché il ragazzo mi si gettò addosso, scaraventandomi lontano. Lo sentii grugnire dal dolore, prima che si rialzasse come un fulmine. Fece roteare la spada, guardando il cielo. A mezz’aria era sospesa una creatura orrenda. Non sapevo chi fosse più brutta, tra quella cosa e Pamela o Michelle. Era un orribile mostro alato. Al posto dei capelli aveva dei… serpenti?

<< Diis Immortales! >> Sibilò lui tra i denti, assumendo la posizione di guardia.

<< Scappa. >> Sussurrò. Cosa? No. Non mi sarei comportata come quel pomeriggio a scuola. Non l’avrei lasciato solo.

<< Ma… >>

<< Ho detto scappa! >> Gridò, a voce decisamente più alta. Digrignai i denti, ma poi decisi di ascoltarlo. Del resto sarei stata solo di intralcio. Non possedevo una spada, e di certo non ero in grado di combattere contro quel coso. Mi rialzai subito, e corsi via, ad una velocità che credevo di non poter raggiungere. Proseguii sempre dritta, pensando che fosse la direzione giusta da prendere. Dopo un minuto cominciavano a farmi male i polmoni. Guardai il cielo per un istante, ma si rivelò un errore madornale. Inciampai in una radice, cadendo rovinosamente a terra. Il mio braccio andò a sbattere contro un masso, e per un attimo vidi soltanto rosso. Quando mi rialzai gocciolavo sangue sul terreno. Non osai nemmeno guardare la ferita.

<< Genesis! >> Un tornado mi afferrò per il braccio sano, trascinandomi via. Non sapevo nemmeno come riuscissi ancora a muovere le gambe, ma ressi, fino a che Nico non si fermò, stremato. Il mostro lo colpì alle spalle, con un artigliata alla schiena. Il ragazzo cadde, privo di sensi.

“ Ragiona, Gen. Ragiona. “ Mi dissi. Non sarei morta quella sera. Non uccisa da una gallina spelacchiata. La creatura si lanciò contro Nico, ma io mi parai davanti al suo corpo, con gli occhi spalancati. La gallina sembrò quasi sorpresa, e si bloccò. Cercai il suo sguardo, fissandola negli occhi. Riversai tutto il mio odio e la mia rabbia repressa su di lei. Era come se un flusso si stesse formando tra di noi. Un flusso che faceva transitare tutti i miei pensieri più oscuri verso di lei. Il mostro emise un verso stridulo.

<< Stupido pollo. >> Sibilai, avanzando. Continuai a tenere il contatto visivo, ma sentivo le forze venire meno. Il flusso di emozioni mi stava abbandonando, ma allo stesso tempo si portava via i residui di forza rimasti nel mio corpo. Una freccia colpì il mostro nella schiena, e io caddi. La gallina si dissolse in una nuvola di polvere.

<< Per Zeus, ci mancava poco e vi faceva a fettine. >> Vidi una ragazza. Aveva i capelli argentei legati in una lunga e setosa treccia. Lei sorrise soddisfatta, incrociando le braccia al petto. La vidi afferrare Nico per le braccia. Avrei voluto protestare, ma non ne avevo la forza. Poi mi sentii prendere da sotto le ascelle. Venni trascinata sul terreno per un breve tragitto, e poi mi fermai.

<< E’ stato un piacere, Genesis Hale. Ci rivedremo presto. >> Aprii la bocca, per parlare, ma era come se le mie labbra fossero incollate tra di loro.

Alzai un braccio, in direzione della bella giovane. Lei mi fece l’occhiolino, e poi si chinò su di me.

<< Buona fortuna. >> Furono le ultime parole che riuscii a sentire, prima che l’universo diventasse un grande buco nero.

 

 

 

 

 

 

 

NOTE AUTRICE

Salve a tutti! Allora, chi sarà questa misteriosa ragazza? E chi è la madre di Gen? Per non parlare della voce. Eh, sente le voci, povera sta ragazza. Comunque, spero che il capitolo vi sia piaciuto. Bacioni e ci sentiamo al prossimo!

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Capitolo 4
*** Chapter three- It's my life ***


Chapter three- It’s my life

 

 

 

 

 

It's my life

It’s now or never

I ain't gonna live forever

 

 

 

 

 

 

 

 

Sto scappando. Il vento e la sabbia schiaffeggiano il mio volto, ma non posso fermarmi. Accanto a me corre qualcuno. E’ la ragazza del bosco, quella che ha ucciso il mostro alato. So che è spaventata, ma non lo dà a vedere. Grida qualcosa che non riesco a sentire, poi si ferma di scatto, cadendo a terra. Il mostro rosso l’ha artigliata per una gamba. La sabbia la risucchia, mentre lei si dimena, cercando di uscire.

<< Non muoverti! >> Urlo. Muoversi è peggio. Lei si aggrappa al terreno con tutta la forza che ha. Il sudore le cola lungo la fronte, e i suoi occhi dorati sono spalancati per il terrore. Le prendo una mano, e poi comincio a tirare. E’ come lottare contro un tornado. Riesco a sentire la sabbia che risucchia sempre di più, mentre il sole cocente mi brucia la nuca.

<< Non ce la farai mai, è troppo forte! >> Sbraita lei, tra le lacrime. Scuoto la testa. Non posso abbandonarla. Lei mi ha salvato la vita. Afferro i suoi polsi, e tiro di nuovo. Il mostro rosso mi strattona in avanti, facendomi cadere. Ritraggo le mani, prima che la sabbia risucchi anche quelle.

<< Dobbiamo andare. >> Nico compare al mio fianco, magicamente.

<< No! Non possiamo lasciarla qui. >> Ma la ragazza sprofonda sempre di più, e non possiamo farci niente.

<< Genesis, dobbiamo andarcene. Adesso. >> Nico mi trascina via, mentre io cerco di divincolarmi.

<< No! >> Urlo. Anche lei grida, ma la bocca le si sta riempiendo di sabbia.

<< No! >> Ma il mio grido si perde nel rumore assordante che provoca il terreno sotto di noi, sfaldandosi. Precipitiamo nel buio. Verso l’ignoto.

Verso la morte.

 

 

 

 

 

<< Potremmo provare con uno schiaffo. >>

<< Oh, Leo, stai zitto, ti prego. >>

Spalancai gli occhi, inspirando una grande boccata d’aria. Tossii, come per sputare via la sabbia che mi era rimasta in bocca. Ma in gola non avevo assolutamente niente, se non un groppo che non aveva alcuna intenzione di sciogliersi. Sbattei le palpebre un paio di volte, finché il mondo attorno a me non si mise a fuoco. Nella stanza c’erano quattro persone. Due ragazzi e due ragazze. Uno era alto, con i capelli scuri e dei meravigliosi occhi verdi. L’altro invece sembrava più piccolo, e aveva tratti elfici che lo rendevano carino in modo provocante. Le due ragazze sembravano uno l’opposto dell’altra. La bionda con gli occhi grigi aveva un’espressione seria e concentrata; la mora con gli occhi azzurri, invece, mi sorrideva. Mi sembrava di essere diventata un fenomeno da baraccone.

<< Considerando i soliti standard, direi che si è svegliata prima del previsto. >> Riconoscevo quella voce. Era quella che avevo sentito prima. Leo, forse? Mi fece l’occhiolino, incrociando le braccia al petto.

<< Già. E sembra anche in buone condizioni. >> Commentò l’altro ragazzo, quasi sorpreso.

<< Guardate che sono qui. >> Borbottai, irritata. Mi alzai dal letto sul quale ero distesa, allungandomi verso l’alto, come un gatto. Stranamente mi sentivo nel pieno delle mie energie, come se gli eventi del giorno precedente non mi avessero affatto provata.

<< Percy Jackson, molto piacere. >> Il tipo con gli occhi verdi mi strinse una mano, sorridendomi. Probabilmente aveva più o meno tre anni più di me, o forse anche quattro.

<< Genesis Hale, il piacere è tutto mio. >> Risposi, non troppo convinta. Sembrava un bravo ragazzo, ma quel sorrisetto dipinto sulle labbra era il classico da combina-guai.

<< Loro sono Annabeth Chase, Leo Valdez e Piper McLean. >> Indicò rispettivamente la bionda, l’altro tizio e infine la mora. Erano tutti piuttosto carini. Mi chiedevo se anche loro fossero semidei. Anzi, mi chiedevo dove diavolo fossi finita, e che fine avesse fatto Nico Di Angelo.

<< Suppongo che avrai molte domande da porci. Ma prima di tutto… Ti fa male qualcosa? Riesci a camminare? >> Domandò Annabeth, posandosi una mano su un fianco. Nei suoi occhi grigi brillava una scintilla di curiosità e pragmatismo, ma soprattutto grandissima intelligenza.

<< Sto bene. Dove mi trovo? >> Chiesi, impaziente. Volevo sapere che posto era quello. Cominciai col guardarmi attorno. Due file di letti correvano lungo i muri di quella specie di lunga capanna di legno. Sui comodini erano poggiate boccettine di vario tipo, mentre dall’altra parte della stanza un ragazzo biondo ci lanciava occhiatacce ammonitrici, chinato su una ragazzina dai capelli ricci, che non sembrava stare troppo bene. Forse ero capitata in una specie di infermeria.

<< Sei al campo Mezzosangue. >> Spiegò Piper, gentilmente.

<< Dai, usciamo! >> Esclamò Leo. Seguii l’allegra combriccola fuori dall’infermeria. L’aria intorno a me era frizzante, e leggera. Il sole splendeva alto nel cielo, inondando di luce l’ampia vallata. Dalla posizione in cui mi trovavo riuscivo a scorgere un gruppo di costruzioni poco lontano, alla mia sinistra c’era una dolce collina ricoperta di fragole, e poi, dietro alle case, c’era un grande lago. Era un posto bellissimo.

<< Oh. Wow. >> Mi limitai a commentare, meravigliata. Sentii un boato provenire da lontano, e poi delle urla. Non erano urla spaventate però. Piuttosto erano delle specie di ululati di scherno.

<< Chissà cosa ha combinato Clarisse. >> Percy si grattò la nuca, sorridendo.

<< Allora, Nico ci ha detto che hai sedici anni, giusto? >> Chiese Annabeth, forse un po’ troppo velocemente. Piper le lanciò un’occhiataccia.

<< Ehm… Sì. Voi siete semidei? >> Domandai. Non avevo intenzione di subire un terzo grado. Prima mi dovevano delle spiegazioni.

<< Tutti quanti. Io sono figlio di Poseidone, dio del mare. >> In effetti i suoi occhi mi ricordavano l’oceano. L’oceano più profondo. Chissà se conosceva suo padre, o se non l’aveva mai visto… Avevo così tante domande da fare…

<< Io sono figlia di Atena, mentre Piper è figlia di Afrodite. >> Spiegò Annabeth, quasi compiaciuta. Se non ricordavo male Atena era la dea della saggezza, mentre Afrodite, ovviamente, quella dell’amore e della bellezza.

<< Efesto presente. >> Leo alzò la mano, sorridendo scherzosamente. E io? Io di chi ero figlia? Mio padre non me l’aveva voluto dire. Sospettavo che nemmeno lui sapesse chi fosse davvero mia madre, ma non potevo esserne sicura. Piper mi strinse gentilmente una spalla, come se sapesse cosa stavo pensando.

<< Non preoccuparti. Fra poco sarai riconosciuta dal tuo genitore divino. E’ soltanto questione di qualche giorno. >> Disse. Le sue parole sembrarono stranamente convincenti. Quasi troppo convincenti. La guardai, sospettosa. Non ne ero sicura, ma era come se quella ragazza riuscisse a trasmettermi una sensazione di sicurezza che non volevo provare. La paura teneva in vita le persone. Era rimasta una delle mie poche sicurezze.

<< Voi… voi vivete qui? >> Chiesi. Quei ragazzi avevano tutti più o meno la mia stessa età. Teoricamente avrebbero dovuto frequentare le scuole superiori, come me.

<< Alcuni di noi restano qui tutto l’anno, altri soltanto l’estate. >> Rispose prontamente Annabeth.

<< E come fate con la scuola? >> Domandai, passandomi una mano tra i capelli. Erano tutti sporchi, e appiccicosi. Improvvisamente provai il cocente desiderio di farmi una lunga e rilassante doccia calda.

<< Io vado all’università; Piper e Leo studiano in un liceo in città. Anche tutti gli atri fanno così, ad eccezione di chi vive più lontano. >> Continuò lei, imperterrita. Tutti gli altri. Chissà quante persone vivevano al campo Mezzosangue. E chi era il gestore? E qual era l’età media di un semidio?

<< Quanti siete qui? >>

<< Oh, solitamente sui trecento. Nell’ultimo periodo i nuovi arrivati stanno aumentando. >> Una scintilla di inquietudine brillò nei suoi occhi tempestosi.

<< Sai, periodi di pace del genere non capitano da molto, molto tempo. >> La sua voce si affievolì improvvisamente, e abbassò lo sguardo. Percy le passò un braccio attorno alle spalle, tirandola più vicina, mentre lei si posava le mani in grembo. Il ragazzo le lasciò un bacio sui capelli, sussurrandole qualcosa nell’orecchio. Mi ritrovai a sorridere, quasi colpita dalla tenerezza di quella copia. Sembravano così diversi… Eppure insieme stavano benissimo.

<< Non dovremmo presentarle Chirone? >> Domandò Piper, allegramente. Stava cercando di alleggerire l’atmosfera.

<< E il signor D. >> Ricordò Leo, ridacchiando.

<< Chi osa nominare il mio nome invano? >> Mi voltai. Un vecchio signore dall’aria annoiata ci fissava, con le sopracciglia inarcate. La camicia hawaiana gli si chiudeva a malapena sulla pancia prominente, e i pantaloni cachi gli davano l’aria da turista tedesco in vacanza alle Maldive. Teneva in mano un calice dorato, e ci fissava come se fossimo dei noiosissimi piccioni newyorkesi.

Ma lo notai a malapena.

Accanto a lui, infatti, c’era un… uomallo? Era una creatura mezza umana e mezza equina. Il suo didietro e le gambe erano quelle di un cavallo, mentre dal busto in su era un uomo dalla barba bianca e dagli occhi saggi e profondi.

<< Signor D.,  Chirone. >> Salutò Percy, portandosi una mano alla fronte. Il signor D, ovvero il tipo in camicia, inarcò ancora di più le sopracciglia.

<< Ciao Perry Johnson. E poi chi abbiamo qui… Lee Valois, Annabel Mase e Polly McQueen. La solita noia, insomma. >> Strabuzzai gli occhi, trattenendo una risata. Speravo che quel tipo stesse scherzando.

<< Percy Jackson, signore, Percy Jackson. >> Sbuffò Percy. Il signor D. agitò una mano, stringendosi nelle spalle. Poi bevve un sorso dal calice, e fece una smorfia.

<< Tu devi essere la nuova arrivata. Ti sei ripresa? >> Chiese gentilmente Chirone. Batté lo zoccolo a terra, come a volersi presentare. Annuii, ancora incapace di proferire parola.

<< Io sono Chirone. Addestro voi eroi. Il signor D. invece è il direttore del campo. >> Spiegò, dando una pacca sulla spalla al tizio. Lui sbuffò.

<< E odio voi eroi. >> Gli fece eco, alzando gli occhi al cielo. Chissà chi era quel tipo. Se fossi stata nei ragazzi gliene avrei già dette quattro, ma a quanto pareva era uno che valeva molto al campo mezzosangue.

<< Non ho trovato niente. >> Sobbalzai, andando a sbattere contro Leo. Nico era comparso dal nulla, come se si fosse teletrasportato. Stava decisamente meglio rispetto al giorno precedente, anche se forse aveva bisogno di farsi uno spuntino. Si passò una mano tra i capelli spettinati, e poi piantò la sua spada nel terreno.

<< Mio padre non ne sa niente. Ho chiesto anche ad alcune anime, ma… >> Scosse la testa, non concludendo la frase. Aveva chiesto a delle anime!? Beh, in effetti suo padre era Ade. Nico poteva vedere i morti. Doveva essere una cosa piuttosto inquietante. E chissà dove finivano, i defunti. A quel punto non sapevo più cosa credere.

<< D’accordo, proverò ad occuparmene io. >> Sospirò Annabeth, per poi lanciarmi uno sguardo curioso e un po’ esasperato. Ero abbastanza sicura che stessero parlando di me. Chirone dovette accorgersi della mia confusione, perché mi sorrise, rassicurante.

<< Nico, accompagna Genesis a fare un giro del campo. >> Disse al ragazzo, che mi osservò con aria assente. Poi alzò gli occhi al cielo, e annuì. Si incamminò subito verso il gruppo di costruzioni che avevo visto prima, e dovetti quasi correre per stare al suo passo.

<< Come hai fatto a comparire dal nulla, prima? >> Domandai, affiancandolo. Lui affondò le mani nelle tasche dei jeans strappati, e si strinse nelle spalle, continuando a guardare dritto davanti a sé. Inarcai le sopracciglia, aspettando una risposta. Non poteva comportarsi in modo così maleducato.

<< Magia. >> Disse, qualche secondo dopo. Mi morsi un labbro. Non ero sicura che stesse scherzando. Insomma, avevo appena scoperto di essere una semidea. Ma il suo tono era palesemente sarcastico, così decisi di lasciar perdere.

Nico si fermò nello spiazzo formato dalle casupole che avevo visto da lontano. Erano diciotto, e sembravano tutte molto accoglienti. Ce n’era una circondata da fori profumati, mentre sulla porta di un’altra era appesa la testa impagliata di un cinghiale. Avevo già capito che ogni casa corrispondeva ad un dio. Erano una sorta di abitazione? E Annabeth mi aveva detto che al Campo c’erano circa trecento persone, perciò… c’erano più figli di uno stesso dio, o dea.

<< Tu per ora rimarrai nella casa di Ermes, che è quella laggiù. >> Indicò una delle costruzioni in legno, con una smorfia quasi disgustata. Se non ricordavo male Ermes era il dio dei ladri e dei viandanti. Perché sarei dovuta rimanere lì? Lui sembrò leggermi nel pensiero.

<< Gli indeterminati stanno lì, finché non vengono riconosciuti. >>

<< E tu? Tu dove stai? >> Chiesi, incrociando le braccia al petto. Nico mi lanciò un’occhiata quasi divertita, e poi indicò una casa dalla parte opposta dello spiazzo. Era di sicuro la casetta di legno più inquietante che avessi mai visto in vita mia. Sul muro erano incastonate ossa e anche qualche teschio, mentre le pareti nere sembravano emanare un’aura di terrore e pericolo.

<< Essendo l’unico figlio di Ade, vivo da solo. >> Non sembrava affatto che gli dispiacesse.

<< L’unico? Vuoi dire che non ce ne sono mai stati? >> Domandai, sorpresa. Mi chiesi come ci si dovesse sentire, ad essere figlio del dio degli inferi. Nico si rabbuiò improvvisamente, e nelle sue iridi scure passò una scintilla di dolore, e rabbia repressa.

<< L’unico ancora in vita. >> Il suo tono lugubre mi fece quasi spaventare. Quel ragazzo doveva averne passata tante, nella sua vita. Mi chiesi quanti anni avesse. Gliene davo diciassette, ma in quel momento sembrava più vecchio di cinque anni.

<< Non… non hai fratelli o sorelle, perciò? >> Fu la domanda più stupida che avessi mai fatto. Lui strinse talmente forte l’elsa della sua spada da farsi diventare le nocche completamente bianche. Poi mi fissò negli occhi. Fu quasi come essere risucchiata da quel buco nero pieno di dolore, rabbia e… paura?

<< Non più. >> Rispose, aspramente. Poi, senza un’altra parola, cominciò a camminare nella direzione opposta. Lo inseguii, indecisa su cosa dire. Forse era meglio rimanere in silenzio. Evidentemente aveva avuto una famiglia. Una famiglia che forse non c’era più. O che lo aveva abbandonato. In quel momento mi ritenni quasi fortunata. Ero sempre cresciuta negli agi, e nella protezione di mio padre. Poteva non avermi amato, ma si era preso cura di me. Gli dovevo ricordare molto mia madre. Chissà come era stato, crescere la figlia di una donna che lo aveva abbandonato.

<< Di Angelo! >> Abbaiò qualcuno. Mi abbassai appena in tempo per schivare un giavellotto che si infilzò a pochi metri dalla rete di pallavolo nel mezzo dello spiazzo. Nico proruppe in una serie di imprecazioni censurabili, e poi si stampò sul volto un sorriso talmente macabro da farmi battere più forte il cuore.

<< Clarisse. >> Si limitò a borbottare. La ragazza che ci aveva raggiunti aveva la corporatura di un armadio. I capelli castani le ricadevano liscissimi sulle spalle, tenuti indietro da una bandana. Gli occhi scuri erano piccoli ed infossati. Teneva le braccia incrociate, mostrando i suoi bicipiti non proprio femminili.

<< Oh, la novellina non è ancora scappata? >> Domandò, accorgendosi di me solo in quel momento. Le rivolsi un sorrisetto sarcastico.  Avevo avuto a che fare con molti bulli nella mia vita. Riuscivo a riconoscerne uno al primo sguardo. Nico non sembrava molto turbato dalla sua presenza, però. Piuttosto era molto infastidito.

<< Molto piacere, mi chiamo Genesis Hale. >> Le tesi una mano, sbattendo le ciglia. Non bisognava fare il suo stesso gioco. Non avrebbe fatto altro che favorirla. Clarisse sembrò sorpresa, ma strinse comunque la mia mano.

<< Clarisse La Rue, figlia di Ares. >> Si presentò. Oh, ecco, figlia del dio della guerra. Si capivano molte cose. Qualcuno urlò il suo nome, dicendole di sbrigarsi. Mi alzai in punta di piedi, cerando di vedere cosa ci fosse alle sue spalle. Sembrava una sorta di arena. Riuscii a vedere due pareti di arrampicata  che svettavano oltre i pini, e più lontano, vicino al mare, una serie di canoe disposte lungo la spiaggia.  Clarisse sollevò un polverone mentre correva via, e sospettavo che l’avesse fatto apposta. Nico era parecchio confuso. Come se non si aspettasse quella reazione da parte sua.

<< Spera di non incontrarla in giro spesso. Se la prende con i nuovi arrivati. >> Commentò Di Angelo, con tono aspro. Oh, santo cielo.

<< E adesso dove andiamo? >>

<< All’arena. >>

<< Arena? >>

<< Vedrai, ti piacerà. >> Ma a giudicare dal suo tono, sarei sicuramente scappata via.

In lacrime.

 

 

 

 

 

 

 

 

<< Io sono Connor Stoll, lui è mio fratello Travis. >> Connor Stoll mi diede una pacca sulla spalla, che non fece altro che inquietarmi ancora di più. Non che quei due fossero antipatici o scortesi, ma i loro sorrisetti criptici mi spaventavano. La cabina di Ermes era la più “popolata” al campo. Nico mi aveva spiegato che Ermes era il dio dei ladri e dei viandanti, per questo i non-determinati stavano nella sua cabina.

<< Qui non c’è molto spazio, ma ti abbiamo preparato una branda. >> Disse Connor. O forse era Travis? Quei due erano identici. Osservai con aria scettica il materasso appoggiato per terra. Annabeth aveva detto che i nuovi arrivati continuavano ad aumentare, perciò nella cabina di Ermes c’era sempre meno spazio. Non capivo perché non potessi chiedere ospitalità a qualcun altro. Per esempio la cabina di Era si presentava completamente vuota, ma quando avevo avanzato la proposta di stabilirmi lì, Percy era sbiancato immediatamente, cominciando a scuotere la testa come un forsennato.

<< Oh. Grazie. >> Mi limitai a sorridere, fingendomi riconoscente. I due mi fecero l’occhiolino in contemporanea, poi si allontanarono, facendo lo sgambetto ad un bambinetto che passava in quel momento. La mia vicina di branda doveva avere più o meno dodici anni. Mi fissava terrorizzata. Sospirai, immaginando cosa stesse provando. Mi guardai attorno, pensando che non avrei avuto un momento di privacy. Non avrei potuto mettermi a piangere in santa pace. Perché era quello che volevo fare. Soltanto piangere.

<< Mi chiamo Emma. >> Disse la bambina, arrotolandosi una ciocca di capelli biondi attorno all’indice. La fissai con aria assente.

<< Genesis. Sei arrivata da poco? >> Le chiesi. In realtà non mi interessava, ma non volevo rimanere in silenzio. Il brusio all’interno della cabina era quasi rassicurante. Impediva ai miei pensieri di schizzare in direzioni pericolose, di prendere sentieri impervi, da cui non si poteva più tornare.

<< Sono qui dall’altro ieri. Non mi hanno ancora riconosciuta. >> Abbassò lo sguardo, come se la considerasse una vergogna. Avrei voluto dirle che sarebbe andato tutto bene, ma rimasi in silenzio. Non potevo rassicurare qualcuno, quando ero io ad avere un disperato bisogno di sentirmi dire che era soltanto un incubo. Che la mia vita sarebbe tornata alla normalità. Prima di togliere la maglietta e di infilarmi quella del pigiama mi guardai attorno. Nessuno sembrava fare caso a me.

Mi sedetti sul materasso, passandomi una mano tra i capelli bagnati. Al campo mezzosangue si facevano i turni per le docce. La cabina di Ermes era l’ultima, perciò ero stata costretta a lavarmi con l’acqua gelida, dopo cena. Avevo mangiato poco e malvolentieri, perché il mio stomaco era chiuso in una morsa. Mi era stato detto di sacrificare un po’ del mio cibo al mio genitore divino, ma non l’avevo fatto. Mia madre mi aveva abbandonata. Perché sarebbe dovuto importarmi di lei?

Sospirando, mi sdraiai sul mio letto improvvisato. Emma mi sorrise timidamente, poi si chinò, rimboccandomi le coperte. Mi venne da ridere. Da quanto qualcuno non mi rimboccava le coperte? Dieci anni? Forse anche di più. Ricambiai il sorriso, ma i miei occhi rimasero impassibili. L’ultima cosa a cui riuscivo a pensare in quel momento era la felicità. Connor spense la luce della cabina, ma nella stanza non calò il silenzio. Il brusio non fece altro che aumentare, divenendo un sordo rumore di sottofondo. Una ninnananna, quasi.

Mi addormentai con la voce della ragazza che mi sussurrava in un orecchio.

<< Ci vedremo presto, Genesis. Fidati di me. >>

 

 

 

 

NOTE AUTRICE

Ciao a tutti :3 Alur, cosa dire? Finalmente, dopo lunghe peripezie, i nostri eroi sono giunti tutti interi (più o meno), al campo. Dato che io amo Percy, Annabeth e compagnia bella non potevo non inserirli nella storia, anche se ovviamente avranno un ruolo marginale. Il signor D. è il mio idolo come al solito, e Nico è sempre così dolce e gentile, non è vero? Nel prossimo capitolo ci sarà una semi-sorpresa. Non saprete ancora a chi appartiene la voce, quello si scoprirà più tardi, ma… Beh, non vi dico niente. Grazie per avere letto questo capitolo e ci sentiamo al prossimo

Bacioni

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Capitolo 5
*** Chapter four- Don't you worry child ***


Chapter four- Don’t you worry child

 

 

 

 

 

 

I still remember how it all changed 
My father said 
Don't you worry, don't you worry child
 


 

 

 

 

 

 

 

 

 

Quando mi svegliai il mio cuscino era bagnato di lacrime. Non avevo avuto incubi, stranamente, ma non era mattino. Anzi, non ero nemmeno sicura che mancasse poco tempo all’alba. Sbattei le palpebre, confusa. Dalle finestre della cabina di Ermes filtrava la luce lunare, ma non c’era alcuna traccia del sorgere del sole. Apparentemente tutti stavano dormendo, persino Travis e Connor Stoll. Travis aveva la faccia pasticciata di nero, mentre un ragazzo sui diciassette aveva scritto sulla schiena un: “SONO UN IDIOTA”,  a caratteri cubitali. Mi passai una mano tra i capelli, alzandomi in piedi. Emma si mosse nel sonno, ma continuò a dormire beatamente. Forse avrei dovuto semplicemente tornarmene a letto, ma non lo feci. Scavalcai due ragazzini che si erano addormentati per terra, l’uno sull’altro. Uscii dalla cabina di Ermes in punta di piedi. L’aria frizzante della notte mi pungolò le gambe nude, facendomi rabbrividire. Perché ero lì fuori? C’era qualcosa… Come un ricordo, o un sogno. Qualcosa che mi diceva di proseguire verso la collina di fragole e poi nel bosco. La voce di Nico mi rimbombò come un eco nella scatola cranica. “Non uscire mai la notte, o potresti fare una brutta fine. “ Ma la ignorai. La ignorai mentre i miei piedi pestavano le fragole mature, sporcandosi di rosso. Arrivai all’entrata nel bosco, in una radura.

<< Genesis. >> Mi voltai di scatto. Era una donna. Seduta su un masso, con i piedi a penzoloni nell’erba smeraldina. La luce della luna le rischiarava i capelli rossi come il fuoco, mentre la veste bianca le accarezzava il corpo sinuoso. Era la creatura più bella che avessi mai visto in vita mia. La sua voce era morbida, e insinuante. Mi avvicinai, senza nemmeno rendermene conto.

<< So che sei confusa. >> Disse, alzandosi in piedi. La sua voce non era particolarmente dolce. Piuttosto un po’ severa e forse preoccupata. Annuii, confusa.

<< Chi sei? >> Domandai a bassa voce. Quasi avessi paura che qualcuno potesse sentirci, e far scappare la bella donna dai capelli rossi, e gli occhi… Occhi viola. Lei rise, scuotendo la testa. Forse si era accorta dello sguardo stralunato che le avevo rivolto. Quegli occhi erano esattamente come i miei. Attorno alla pupilla c’era un cerchio color ghiaccio, e poi le pagliuzze grigie sparse nel violetto delle iridi.

<< Penso che tu lo abbia capito. >> Mi fece l’occhiolino, e allora mi resi conto di quanto sembrasse giovane. Dimostrava almeno venticinque anni, ma sapevo che in realtà era più antica del tempo stesso. O forse no. Crono era il titano del tempo, e Nico sosteneva che i titani fossero i progenitori degli dei.

<< C-cosa ci fai qui? >> Balbettai, con le lacrime agli occhi. Mano a mano si avvicinava riuscivo a scorgere tutte le somiglianze che c’erano tra noi. L’altezza, la fossetta sulla guancia sinistra quando sorrideva, il modo di piegare la testa mentre osservava qualcuno… Esattamente come facevo io.

<< L’ultima volta che ti ho vista è stato sedici anni fa. Direi che sei cresciuta piuttosto bene. >> Commentò, squadrandomi da capo a piedi. Sembrava quasi soddisfatta.

<< Potevi… Non lo so, venire a trovarmi qualche volta. >> Ribattei, con voce piccata. Una strana rabbia cominciava montarmi dentro. Quella donna mi aveva lasciata sola quando mio padre aveva sposato Moira e io piangevo ogni notte contro il cuscino. Mi aveva lasciata sola quando Mark mi picchiava e mi lasciava pizzicotti dappertutto. Mi aveva sempre lasciata sola.

<< Non potevo, Genesis. A dire il vero non dovrei nemmeno essere qui, ma ormai è troppo tardi per tornare sui miei passi. >> Si strinse nelle spalle, come se stesse parlando a se stessa.

<< E allora perché sei qui? Cosa devi dirmi? >> Domandai. Lei sorrise, di nuovo. Un sorrisetto alla Monna Lisa che avrebbe irritato anche la più ragionevole delle persone.

<< Beh, volevo che mi vedessi almeno una volta. >> Si limitò a borbottare. Una risatina amara mi gorgogliò in gola. Ma stava scherzando? Volevo che mi vedessi almeno una volta. Che razza di madre degenere era? Un tuono squarciò il silenzio tombale della notte, in lontananza.

<< Papà è arrabbiato. >> Si morse un labbro, rabbuiandosi improvvisamente.

<< Gli dei sono irrequieti in questo periodo, Genesis. Devi stare attenta. >> Alzò lo sguardo al cielo, con le labbra carnose strette in una linea sottile. Mi rivolse uno sguardo quasi ironico, gettandosi la massa di capelli infuocati su una spalla.

<< Devo andarmene. >> Annunciò poi.

<< Cosa? No! Aspetta, non mi hai nemmeno detto chi sei! >> Protestai. Poteva avere almeno la decenza di dirmi che dea fosse.

<< Tempo al tempo, figlia mia. >> Poi sorrise un’ultima volta, sarcastica, e scomparì, lasciandomi sola nel buio. Lanciai un urlo di frustrazione, dando un calcio al terreno soffice.

Cosa avevo fatto per meritarmi tutto quello?

 

 

 

 

 

 

 

Sapevo che andare sulla spiaggia non sarebbe stata una buona idea, ma non avevo alcuna intenzione di rientrare nella cabina di Ermes. I miei piedi nudi lasciavano le impronte sulla sabbia umida, mentre le onde placide del mare mi trasmettevano un senso di pace che non volevo provare. Perché ero arrabbiata. Molto arrabbiata. Non facevo altro che pensare a mia madre, a chi diamine fosse e come mai mi avesse abbandonata come si fa con i cuccioli di cane in autostrada. Mi passai una mano tra i capelli, sospirando. Chissà come sarebbe diventata la mia vita dopo aver scoperto di essere una semidea. Chirone mi aveva detto che avrei cominciato l’addestramento al più presto, e che dovevo assolutamente trovare la mia arma. Alla sola idea di impugnare una spada come quella di Nico mi si accapponava la pelle, ma se volevo essere in grado di difendermi dai mostri sarei stata costretta ad imparare come si combatteva.

<<CRAAAAAAAACH. >> Sobbalzai, alzando gli occhi verso al cielo. Poi mi tappai le orecchie. Erano in due. Due volatili con la testa di donna. Tenevano degli stracci tra gli artigli acuminati, e si dirigevano a tutta velocità verso di me. Mi diedi della stupida almeno un centinaio di volte, mentre cominciavo a scappare. Nico me l’aveva detto. Le… arpie, o qualcosa del genere, diventavano abbastanza intrattabili quando un semidio disturbava il loro lavoro di pulizia.

<< Spuntino di mezzanotte. >> Gracchiò una di loro. Ok, era decisamente arrivato il momento di mettersi a correre. Mentre scappavo in direzione delle cabine sentivo lo sbattere furioso delle ali delle arpie. Incespicai nella sabbia, ferendomi quando i miei piedi incontrarono lo sterrato del cortile. La cabina di Ermes era ad una cinquantina di metri da me. Troppo lontano. Era strano che riuscissi a ragionare lucidamente. La mia mente lavorava in modo frenetico, ma ero concentrata. Poi la vidi. Quella casupola scura, che si confondeva con il buio della notte. Era lì, a qualche metro di distanza. Ripresi a correre, sentendo un artiglio tagliente sfiorarmi la schiena. Quando raggiunsi la cabina di Ade cominciai a battere freneticamente i pugni sulla porta.

Ti prego, ti prego, ti prego, ti prego.

L’uscio si spalancò. Non feci nemmeno in tempo a vedere che aspetto avesse Nico Di Angelo, perché mi ritrovai spiaccicata contro al muro, con una spada color ossidiana puntata alla gola.

<< Per Zeus! Mi vuoi spiegare qual è il tuo problema, ragazzina!? >> Mi ringhiò in faccia, non appena si rese conto che effettivamente ero io. Con la coda dell’occhio riuscii a constatare che la porta era chiusa, e quei mostri orrendi non potevano più farmi del male. Mi resi conto che negli ultimi due giorni avevo rischiato di morire tre volte. Un record.

<< S-solo per curiosità… C’è un motivo per cui la tua spada è ancora puntata al mio collo? >> Balbettai, con il cuore che mi batteva a mille. Le arpie potevano anche farmi paura, ma lo sguardo oscuro di Nico mi terrorizzava. Non che fossi intimidita. Assolutamente no. Il ragazzo sospirò, abbassando l’arma. Chiusi gli occhi, tirando un respiro profondo.

<< Cosa ci facevi là fuori? Ti avevo detto che non si può uscire la notte. >> Disse, glaciale. Deglutii. Non potevo dirgli che avevo incontrato mia madre. Si sarebbe scatenato il putiferio. Chirone mi aveva detto che era molto strano che all’età di sedici anni non fossi ancora stata riconosciuta. Molto sbagliato.

<< Non riuscivo a dormire. >> Mi inventai. Lui mi fissò dritto negli occhi. Avrei tanto voluto abbassare lo sguardo, ma non ci riuscivo. Quei buchi neri mi scavano dentro, impedendomi di pensare. Erano come delle finestre a doppio vetro. Potevano guardare la tua anima, ma era impossibile riuscire a penetrarli. Mi accorsi solo in quel momento che lui mi stava ancora addosso. Decisamente troppo vicino.

<< E secondo te dovrei crederci? >> Domandò, retorico. Lo spinsi via, e quando le mie mani toccarono il suo petto nudo mi sentii arrossire fino alla punta dei capelli. Ringraziai il cielo che fosse troppo buio perché riuscisse a vedermi.

<< Lascia perdere, me ne vado. >> Mi voltai di scatto, con le gambe che tremavano. Una mano calda e asciutta mi afferro il polso, impedendomi di abbassare la maniglia.

<< Non puoi. Le arpie saranno in allerta, ti attaccheranno non appena avrai messo un piede fuori di qui. >> Si giustificò. Il suo tono di voce era piatto, come se quel dato di fatto non gli facesse né freddo né caldo.

<< Quindi? >> In realtà ero grata che non mi permettesse di uscire. Avrei avuto il terrore di percorrere quei pochi metri da sola, al buio. Ovviamente non l’avrei ammesso mai e poi mai, ero fin troppo orgogliosa.

<< Non so. >>

<< Mi stai dicendo che dovrei rimanere qui? >> Chiesi, incrociando le braccia al petto. Vidi la sua sagoma stringersi nelle spalle, ma sapevo che probabilmente mi stava maledicendo in antico greco, o cose del genere.

<< Dormi per terra. >> Annunciò. Fui tentata di mollargli uno schiaffo, anche se non sapevo esattamente dove fosse la sua faccia

<< Cosa!? >> Esclamai, indignata. Ma che razza di cavaliere era?

<< Vuoi tornare fuori? >> Chiese, la voce come miele spalmato sul ghiaccio. Mi trattenni dal pestare i piedi per terra come una bambina di dieci anni.

<< Va bene. >> Sibilai tra i denti. Lui si diresse verso quello che doveva essere un armadio. Aprì le ante, e frugò per qualche istante. Poi mi ritrovai un cuscino in faccia. Sputacchiai, stringendolo sottobraccio.

<< Buonanotte. >> Borbottò lui. Si sdraiò sul suo letto, prono. Non era un matrimoniale, ma sempre meglio che dormire sulla pietra fredda. Sbuffai, sistemandomi per terra. Mi rannicchiai in posizione fetale, rabbrividendo quando le mie gambe nude entrarono in contatto con il marmo scuro.

Mi veniva da piangere. Non per Nico, o per le arpie… Non facevo altro che ripensare a mia madre. A quella donna che mi aveva abbandonata senza darmi alcuna spiegazione. E non mi era parsa nemmeno troppo dispiaciuta quella sera. Anzi, il suo sguardo era quasi divertito, mentre mi parlava. Una lacrima di rabbia scivolò lungo la mia guancia. Repressi un singhiozzo frustrato, nascondendo il volto nel cuscino. Poi mi passai una mano sulle gambe gelide, cercando di far passare la pelle d’oca.

<< Odio la mia coscienza. >> Si lamentò Nico, facendomi sobbalzare. Mi voltai verso di lui. Era seduto, con una gamba a ciondolare dal bordo del letto.

<< D’accordo, puoi dormire nel mio letto. Ma giuro che se ti azzardi a toccarmi ti taglio una mano. >> Ringhiò. Fui tentata di rifiutare l’offerta. Il mio orgoglio urlava di rimanere lì per terra, a costo di patire il freddo. Strinsi i pugni, annuendo. Mi alzai in piedi, avvicinandomi incerta al letto ad una piazza e mezza. Grazie al cielo ci stavamo anche in due. Mi sdraiai sull’orlo, infilandomi sotto al lenzuolo. Dire che fossi imbarazzata era un eufemismo.

<< Nico? >> Sussurrai.

Stai zitta. Mormorò l’orgoglio nella mia testa. Mi sembrava di avere un angioletto buono su una spalla, e quello cattivo sull’altra. Come nelle stupide commedie da quattro soldi che guardava Moira la sera.

<< Cosa vuoi? >> Grugnì lui.

<< Grazie. >> Dissi, a voce un po’ più alta. Poi infilai una mano sotto al cuscino, chiudendo gli occhi. Forse sarei addirittura riuscita a prendere sonno. La situazione non era esattamente delle più confortevoli, considerando che ero tesa come una corda di violino, ma una cosa era certa.

Lì dentro ero al sicuro.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

NOTE AUTRICE

Ed eccomi di nuovo qui con il quarto capitolo! Vi avevo detto che ci sarebbe stata una mezza sorpresa. Finalmente è apparsa la madre di Genesis, alleluia! Il problema è che è una grandissima stronza e non le ha detto assolutamente niente, ma ehi, si tratta sempre di una dea. Quando mai gli dei sono carini e gentili? Comunque, Nico diventa sempre più gentile e carino, non è vero? Spero che il capitolo vi sia piaciuto, mi lasciate una recensione? *occhi da cucciolo*

Bacioni

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Capitolo 6
*** Chapter five- This is war ***


Chapter five- This is war

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

To the right, to the left 
We will fight to the death 
To the Edge of the Earth 
It's a brave new world  from the last to the first 


 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Fu la luce del sole a farmi svegliare. Non doveva essere tardissimo, ma nemmeno troppo presto. Forse le otto del mattino, o le sette e mezza. Sbattei le palpebre, irritata. Stavo dormendo davvero benissimo. Ero comoda, al caldo, con un paio di braccia forti che mi stringevano e…

Un attimo.

Un paio di che cosa!? Il cuore mi saltò in gola, mentre tentavo di capire in che posizione fosse il mio corpo. Innanzitutto sapevo di avere la testa nascosta nell’incavo del collo di Nico, e una gamba attorcigliata alle sue. Il suo braccio destro era infilato sotto la mia vita, mentre la mano sinistra era posata sul mio fianco. Sotto la maglietta, che si era sollevata di qualche centimetro. Sotto la maglietta. A giudicare dalla vampata di calore che sentii assalirmi le guance, ero decisamente diventata bordeaux .

 Tirai un respiro tremolante. Per prima cosa Nico non doveva per alcun motivo svegliarsi. Sbaglio o la sera prima mi aveva minacciato di tagliarmi una mano, se l’avessi solo sfiorato? Con tutta la delicatezza possibile provai a districare la gamba dalle sue. Il ragazzo mugolò, infastidito. La sua mano risalì fino allo stomaco.

Oh. Santo. Cielo.

 Strinsi i denti, pregando con tutto il cuore che non aprisse gli occhi. Diedi uno strattone un po’ più forte, sperando che bastasse a liberarmi. Nico spalancò le palpebre.

Merda.

<< Cosa… ? >> La sua voce era arrocchita ed impastata, resa più profonda dal sonno. Impiegò qualche secondo a capire che in che razza di situazione ci fossimo cacciati. Con mia enorme soddisfazione lo vidi arrossire, mentre si rendeva conto della mano sulla mia pelle nuda, e di una gamba che era scivolata tra le mie. Alzai lo sguardo verso di lui. Quando le nostre iridi si incontrarono ci allontanammo di scatto entrambi, quasi ci fossimo scottati. Nico si alzò in piedi, fissandomi con aria a metà tra il furioso e l’imbarazzato.

<< Dovrei tagliarti una mano. >> Commentò, con le mani sui fianchi. Gli lanciai un’occhiataccia, mentre il mio sguardo scivolava sul torace nudo. Non gli stavo fissando gli addominali appena pronunciati e la v del bacino. Assolutamente no.

<< Oh, tu invece puoi toccarmi indisturbato? >> Domandai, incrociando le braccia sullo stomaco. Poi mi alzai in piedi. Un po’ troppo velocemente, dato che le mie articolazioni anchilosate ripresero vita scricchiolando.

<< Questa cosa non capiterà mai più. >> Constatò. Il suo sguardo indugiò sulle mie gambe. Sulle mie gambe nude. Avrei voluto prendere a testate il muro. Non solo avevo dormito nello stesso letto di Nico Di Angelo. Ero persino in mutande.

<< La Morte non potrà farti del male. E’ l’unica in grado di aiutarti. Tu e la Morte siete legati dal destino. Vivete insieme, o perite insieme. >> Oh, no. Non in quel momento, per favore. Come al solito non riuscii a fare in meno di guardarmi attorno, sperando di scorgere la ragazza a cui apparteneva quella voce. Niente, come sempre.

<< Cosa c’è? >> Domandò acidamente Nico, anche se mi sembrava un pochino esasperato.

<< Niente. >>

<< Piuttosto, controlla che fuori non ci sia nessuno in vista, così posso andare a prepararmi per la caccia. >> A quanto pareva al Campo Mezzosangue prendevano le competizioni con parecchia serietà. La caccia alla bandiera era una delle sfide storiche tra semidei, tanto che al falò della sera prima qualcuno aveva già cominciato a progettare strategie per vincere. Nico aprì la porta di qualche centimetro, sbirciando fuori.

<< Margaret della cabina di Demetra sta litigando con Trevis Stoll. Se ti sbrighi non ti vedranno. >> Disse, richiudendo l’uscio. Annuii.

<< Ehm… >> Cominciai. Il ragazzo inarcò le sopracciglia, facendomi segno di uscire.

<< Grazie per non avermi cacciato. >> Prima di andarmene gli lanciai un’occhiata di sottecchi.

Stava sorridendo.

 

 

 

 

 

 

 

 

<< Resto dell’idea che tu non debba combattere. >> Percy e Annabeth battibeccavano da almeno dieci minuti. Il ragazzo, per qualche arcano mistero, non voleva assolutamente che la figlia di Atena- a capo della squadra blu- scendesse in campo per la caccia alla bandiera. La bionda, dal canto suo, si limitava ad alzare gli occhi al cielo e a scuotere la testa. Quei due erano davvero buffi.

<< Non sto morendo, Testa d’Alghe. >> Lo rimbottò, infilandosi l’elmo. Con quel gesto aveva certamente suggellato la sua vittoria. Non capivo come facesse ad indossarlo con tanta facilità. Era pesantissimo, così come il pettorale, e mi provocava un fastidioso prurito alla testa.

<< Ma se qualcuno ti ferisce… >>

<< Percy, è inutile. Non abbandonerò la mia squadra. >> Raddrizzò lo spalle, e batté il suo pugnale sullo scudo, per chiamarci all’adunata. La squadra blu, della quale faceva parte anche Ermes, perciò io, era composta da otto cabine. Oltre alla mia, quella di Atena e quella di Poseidone, c’era Demetra, Apollo , Iride, Eolo e Nyx. Adrian Petrov, l’unico figlio di Nyx, si era già presentato. Un biondino alto e dal fisico asciutto, con la pelle color delle stelle e due occhi blu cobalto, come il cielo notturno.

<< Ci divideremo in tre sotto-squadre!  >> Gridò Annabeth. La squadra rossa era dall’altra parte del bosco, perciò poteva urlare quanto voleva e non rischiava di rivelare la nostra posizione. Aveva mandato il suo ragazzo a nascondere la bandiera in una grotta sotto al ruscello. L’aveva scoperta Percy quasi per sbaglio, ma era un nascondiglio perfetto. Dal pertugio poteva passare soltanto una persona, e soprattutto si trovava abbastanza in profondità, in una pozza naturale formata dal ruscello.

<< Demetra, Iride, Eolo e Poseidone formeranno un cordone difensivo attorno alla pozza. Dovrete stare almeno a trecento metri di distanza, altrimenti rischiereste di rivelare la posizione della bandiera. >> Spiegò. Percy fece per protestare, ma Annabeth lo zittì con una manata sul braccio. Era evidente che quel ragazzo non era molto propenso a starsene fermo ad aspettare che i nemici arrivassero. Preferiva combattere in prima linea.

<< I figli di Apollo proveranno a creare diversivi, state attenti a non farvi confondere il cervello dai figli di Ecate. Manderanno in prima linea Nico, sicuramente, perciò Atena, Ermes e Nyx andranno in attacco. >>  Continuò. Quella ragazza era nata per fare la leader. Lo si vedeva dal portamento fiero, dal collo lungo ed aggraziato, e dal tono sicuro con cui dava gli ordini. A nessuno sarebbe mai venuto in mente di contraddirla. Nessuno a parte Percy, forse.

<< I più piccoli della cabina di Ermes aiuteranno i figli di Apollo, gli altri con noi. Adesso andiamoci a disporre, veloci! >> Gridò. La sua voce non era troppo severa, ma il suo tono era indubbiamente molto autoritario.

Incrociai le braccia al petto, indecisa sul da farsi. Tecnicamente non era una “giovane” della cabina di Ermes, ma al campo mezzosangue ero una novellina. Sbuffai. Sarei andata con la squadra d’attacco, non avevo alcuna intenzione di stare in mezzo ai dodicenni. Strinsi tra le mani l’elsa della mia arma. Era una spada, lunga circa una sessantina di centimetri. Appena l’avevo presa in mano avevo capito che era fatta apposta per me. Perfettamente bilanciata, aggraziata e lavorata finemente, non come altre armi grezze che avevo trovato nel deposito. Sull’elsa c’era scritto χαρούμενος, in greco.

Gioiosa.

 Appena mi ero accorta di riuscire a leggere il greco antico avevo quasi avuto un infarto, ma Piper mi aveva spiegato che tutti i semidei erano in grado di comprendere quella lingua. Era quello il motivo per cui eravamo dislessici. Mi sistemai meglio l’elmo, raggiungendo il nutrito gruppo di offesa.

<< Cerca di non farti ammazzare, eh? >> Connor Stoll (o Travis, facevo fatica a distinguerli) mi diede una pacca sulla spalla, rischiando di farmi cadere. Inarcai un sopracciglio.

<< Ammazzare? Non credo che ci sia qualcuno di talmente pazzo da uccidermi. >> Perché non si poteva uccidere nella caccia alla bandiera. Vero? Connor mi fece l’occhiolino, prima di saltare in groppa a suo fratello Travis, o forse viceversa. Deglutii. Tutta la calma di cui avevo fatto sfoggio fino a quel momento evaporò come neve al sole. Al solo pensiero di trovarmi di fronte ad una mandria di figli di Ares mi sentii svenire. Erano grossi, tatuati e mi facevano davvero tanta paura.

<< Stai bene? >> Adrian Petrov mi affiancò, con l’elmo sotto braccio. Aveva diciassette anni, ma ne dimostrava di meno, con quel sorrisetto sbarazzino e gli occhi giocosi. Si passò una mano tra i capelli, lanciandomi uno sguardo divertito.

<< Domanda di riserva? >> Domandai. Stavo iniziando a sudare freddo.

<< Vedrai che ti divertirai. >> La sua voce venne sovrastata dal suono profondo e antico di un corno.

La caccia alla bandiera era cominciata.

 

 

 

 

 

 

 << Spostati! >> Riuscii ad abbassarmi in tempo prima che un pugnale mi penetrasse nel cranio. Sentii vibrare la lama a qualche centimetro dalla testa, e non mi fermai nemmeno a staccarla dalla corteccia dell’albero. Cominciai a correre in direzione opposta. Avrei dovuto ricordarmi di ringraziare il figlio di Atena che mi aveva avvisato. Se non fosse stato per lui sarei diventata uno spiedino di semidea. Connor aveva deciso di farci sparpagliare per confondere le prime linee della squadra rossa, ma non aveva messo in conto il fatto che i figli di Ares fossero davvero tanti, e davvero arrabbiati. Grazie al cielo non mi ero ancora imbattuta in…

<< Vai da qualche parte? >> Come non detto. Nico Di Angelo aveva l’aria parecchio rilassata, di uno che sapeva che avrebbe vinto in qualsiasi caso. Iniziai a sudare freddo. Un conto era sfuggire ad una mandria imbufalita di figli del dio della guerra. Loro agivano d’impulso, guidati soltanto dall’istinto e dalla voglia di sangue. Ma lui no. Lui era intelligente. Fui tentata di scoppiare  a piangere ed implorarlo di lasciarmi andare, ma avevo ancora una dignità.

<< Non pensavo che Annabeth ti avrebbe mandata all’attacco. Una mossa molto azzardata, da parte sua. >> Commentò. Nemmeno lui aveva l’elmo. Io l’avevo perso mentre schivavo un fendente di un figlio di Efesto.

<< Non si sottovalutano gli avversari. >> Ribattei, alzando fieramente la testa. Lui mi fissò a lungo, con un sorrisetto indecifrabile dipinto sulle labbra. Ovviamente stavo soltanto bleffando, perché nemmeno in un milione di anni sarei mai riuscita a batterlo in un duello. C’era soltanto un modo per uscirne indenne: scappare a gambe levate. Ero più minuta di lui, perciò più veloce. C’era anche da dire che dalla sua il ragazzo aveva l’altezza e i muscoli decisamente più allenati dei miei.

<< Vai in difesa, Genesis. Rischi di farti male qui. >> Suggerì. Strinsi i denti. Non avrebbe dovuto dirlo. Se c’era una cosa che mi faceva davvero incazzare era che la gente  mi trattasse come un’idiota che non sapeva badare a sé stessa. E sì, probabilmente agii d’impulso, e probabilmente non avrei mai dovuto farlo, ma mi ritrovai a muovermi ancora prima che il mio cervello ordinasse ai muscoli di scattare.

 Provai un fendente sulla sinistra, perché aveva il fianco scoperto, ma lui parò con facilità. Mi lanciò uno sguardo sorpreso, mentre le nostre lame cozzavano.

<< Sei veloce. >> Commentò. Tentai di capire se fosse sarcastico, ma sembrava piuttosto serio. Sorrisi, prima di affondare sull’altro lato. Quando Gioiosa e la sua spada entrarono in contatto le scintille volarono dappertutto, mentre l’adrenalina mi pompava nelle vene. Non pensavo che combattere si sarebbe rivelato così tanto divertente. Il fatto era che… mi piaceva. Mi piaceva davvero sentire il cuore battere forte, la mente analizzare con freddezza la situazione… Mi faceva sentire viva.

<< Non puoi battermi. >> Disse, in tutta tranquillità. Lo sapevo. Sapevo che non sarei mai riuscita a sconfiggerlo, ma come al solito il mio stupido orgoglio decise di fare di testa sua.

Così mi lanciai in avanti, quella volta tentando un colpo centrale. Nico fece un giro su se stesso, aggraziato, e poi colpì la mia spada. Gioiosa volò a qualche metro di distanza, andandosi a piantare nel terreno. Mi ritrovai con la schiena contro alla corteccia di un pino dall’aria malaticcia, la spada puntata alla gola. Mollai un calcio sullo stinco al figlio di Ade, ma lui non fece una piega.

<< Te l’ho detto. Non puoi battermi. >> Il sorrisetto era sparito dalle sue labbra. Il suo tono era serio. Troppo serio. Inquietante. Stavo per ribattere, nonostante la mia posizione piuttosto infelice, ma rimasi con la bocca spalancata. Adrian alzò la spada, e Nico si voltò appena in tempo per parare il fendente. Approfittai di quel momento per recuperare Gioiosa, e correre via. Sicuramente Petrov se la sarebbe cavata meglio di me.

<< Non così in fretta! >> Oh, andiamo! Clarisse La Rue ghignava. Avrei preferito diecimila volte continuare a combattere contro Nico. Clarisse era come gli altri figli di Ares, ma con una piccola variante. Era dotata di materia grigia, ed in quanto dotata di materia grigia sapeva che non avrei mai tentato di attaccarla. Riuscii a malapena a parare il suo affondo, con le braccia che mi tremavano per lo sforzo.

<< Ti hanno lasciata sola, povera insulsa indeterminata? >> Sputò, velenosa. Digrignai i denti.

<< Scommetto che non ti riconosceranno mai. Insomma, chi vorrebbe mai una figlia… Come te? >> Il suo sguardo di superiorità mi fece venir voglia di sputarle in faccia, mentre la rabbia mi montava dentro.

<< Stai zitta, Clarisse. Zitta. >> Sibilai tra i denti. Poi successe una cosa strana.

Mi ritrovai a fissarla negli occhi, con tutto l’odio che ero capace di provare. La mano cominciò a tremarle furiosamente, e la sua spada cadde con un tonfo sordo sul manto morbido del bosco.

<< T-tu… >> Balbettò lei. L’unica cosa di cui ero certa era che non avrei mai dovuto smettere di fissarla dritta nelle pupille.

<< Adesso mi porterai alla bandiera della vostra squadra. >> Ordinai, con la voce che non sembrava la mia. Provavo la stessa sensazione di quando avevo fatto piangere Pamela. Era come se le parole mi venissero sussurrate dall’esterno, ma non c’era nessuna voce. Come se le parole venissero da dentro di me. Clarisse annuì, con lo sguardo vacuo. Poi si voltò, cominciando a correre dalla direzione in cui era arrivata. Come facevo a sapere se mi stava prendendo in giro? Sbuffai, cominciando a seguirla. Nonostante non la stessi più fissando negli occhi qualcosa mi diceva che il collegamento tra noi non si era interrotto. Passammo quasi inosservate in mezzo alla battaglia. Trevis Stoll lanciò un grido di gioia quando riuscì a disarmare Leo Valdez, che si guardava attorno con aria piuttosto spaesata. Non avevo l’elmo, perciò i membri della squadra rossa non potevano accorgersi che in realtà ero delle schiere nemiche. Ci fermammo dopo qualche minuto. Mi portai una mano al petto. Mi facevano male i polmoni. Sentii una fitta alla testa, che rischiò di farmi cadere a terra. Il mondo smise di vorticare dopo qualche secondo, ma le mie gambe sembravano di gelatina.

<< E’ lì. >> Clarisse indicò la bandiera rossa, ficcata in bella mostra nel terreno. Probabilmente i figli di Ares pensavano che nessuno dei blu sarebbe riuscito ad arrivare fino a lì. Che razza di idioti. Come si faceva a sottovalutare Annabeth Chase?

<< Grazie. >> Dissi, prima ancora di rendermene conto. Grazie.

Davvero Genesis? Davvero?

Mi avviai in direzione della bandiera cercando di mostrare un’andatura sicura. La verità era che mi sentivo sempre più debole. Quando raggiunsi il mio obbiettivo tirai un sospiro di sollievo. Con una strattone estrassi l’asta dalla terra, sollevando la bandiera perché chi era nei dintorni riuscisse a vederla.

<< Clarisse! >> Abbaiò un figlio di Dioniso, che aveva assistito attonito alla scena.

<< Ma sei impazzita!? >> Esclamò, raggiungendola. Clarisse sembrò uscire dalla sua trance soltanto in quel momento.

<< Cosa… cosa è successo? >> Sembrava piuttosto confusa. Poi Alex Rider, un figlio di Apollo, fece irruzione nella radura.

<< Abbiamo vinto! >> Gridò, con le braccia al cielo. In qualche secondo quel piccolo angolo di bosco si riempì di semidei con l’elmo blu. C’era chi urlava a squarciagola, chi dava il cinque ai suoi compagni e chi ghignava in direzione della squadra rossa. Poi c’ero io, che non mi reggevo più in piedi.

<< Genesis! Sei stata bravissima! >> Annabeth si era tolta l’elmo, e i suoi capelli biondi mi fecero il solletico alle guance mentre mi abbracciava.

<< Ti senti  bene? >> Domandò dopo avermi lanciato una breve occhiata. Annuii, cercando di mostrami felice. La verità era che non mi sarei retta in piedi un minuto di più. La figlia di Atena mi sorrise di nuovo, poi raggiunse di corsa Percy, gettandogli le braccia al collo.

Caddi in ginocchio, con le mani che mi tremavano furiosamente. Avevo la vista annebbiata, e mi accorsi di essere sdraiata per terra soltanto perché sentivo i fili d’erba dietro i capelli. Provai a rialzarmi, ma i muscoli non rispondevano ai miei ordini. Cosa mi stava succedendo?

<< Ehi! La nuova sta male! >> Era la voce di Leo Valdez. Sentii uno scalpiccio di passi, poi vidi Piper chinarsi su di me, con aria piuttosto preoccupata.

<< Per gli dei! Genesis, non preoccuparti. >> Mi sorrise rassicurante. Mugolai qualcosa di insensato. Volevo dormire. Soltanto dormire.

<< Qualcuno vada a chiamare Chirone! >> Strillò.

<< Resta sveglia, d’accordo? >> Annuii, mentre gli occhi mi si chiudevano.

Poi più niente.

 

 

 

 

 

 

 

NOTE AUTRICE

Bonjour ma cher! Come state? Allora, pubblico oggi perché ieri sono stata a Milano a fare un po’ di sano shopping (alla fine ho comprato solo una maglietta, ma pazienza). Comunque, in questo capitolo cominciamo a capire meglio i poteri di Genesis e il rapporto tra lei e Nico (sempre un amore di ragazzo) comincia ad evolversi. Nel prossimo capitolo ci sarà una grande sorpresa :3

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Capitolo 7
*** Chapter six- How to save a life ***


Chapter Six- How to save a life

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

He will do one of two things 
He will admit to everything 
Or he'll say he's just not the same 
And you'll begin to wonder why you came 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

[IL CAPITOLO CONTIENE SPOILER DI HOUSE OF HADES ]

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Sono nel bosco. Lo so perché i pini con gli aghi gialli, malati, svettano sopra la mia testa. Abbasso lo sguardo. Sabbia. Sabbia arancione scuro. Perché nel bosco c’è la sabbia? Comincio a camminare, ma è molto buio. Credo che sia notte. Ad un tratto sento un fruscio dietro di me. Mi volto di scatto, ma non c’è nessuno. Deglutisco, continuando a muovere velocemente le gambe. Non so dove sto andando. So soltanto che non posso rimanere ferma, altrimenti farò una brutta fine.

<< La Morte non è qui. Sei in pericolo. >> Ancora la voce della ragazza, che mi si insinua nel cervello. Il cuore comincia a battermi a mille, e mi ritrovo a correre. C’è qualcosa nel bosco. Qualcosa che mi sta inseguendo. Non lo vedo, ma riesco a percepirlo.

<< Non può proteggerti in questo momento. Devi scappare. Scappa, e aspettala. Arriverà prima o poi, arriverà. >> E per la prima volta colgo una nota di panico nella voce della ragazza. Sento lacrime bollenti cominciare a scorrere lungo le mie guance, mentre incespico nella sabbia gelida.

<< La Ladra è vicina. Raggiungi la Ladra. Insieme sarete più forti. >> Adesso sta urlando. E’ terrorizzata. Qualcuno mi afferra per un braccio, e io comincio a gridare.

<< Sono io! Sono io! >> Riconosco quella voce. E’ la giovane con i capelli argentei e gli occhi di falco. Mi stringe in un abbraccio. Tremiamo tutte e due, piangiamo tutte e due.

<< Stai insieme alla Ladra, finché la Morte non ti raggiunge. Non vi dovete muovere, capito? Dovete stare qui finché la Morte non arriverà! >> Sussurra la voce.

<< Andrà tutto bene. >> Mormora la ragazza dagli occhi gialli. Crolliamo entrambe sulla sabbia, ancora avvinghiate.

<< La Morte non può proteggerti per sempre. >> Dice la voce.

<< La Morte può perire. >>

 

 

<< Mmm… >> Sbattei le palpebre, brontolando. Quando riuscii a mettere a fuoco la vista mi resi conto di essere al chiuso. Una marea di occhi curiosi mi fissavano, in attesa che dicessi qualcosa. Riconobbi Emma, la mia vicina di branda, poi Trevis e Connor, Adrian e altra gente che non conoscevo.

<< Quanto ho dormito? >> Domandai, mettendomi a sedere. La sensazione di debolezza sembrava soltanto un brutto ricordo. Il buco nello stomaco invece era un brutto presente. Morivo di fame.

<< Tre ore. >> Risposero in coro i miei spettatori. Mi passai una mano tra i capelli, sbadigliando. Mi sentivo riposata, come dopo i sonnellini pomeridiani.

<< Che ore sono? >> Chiesi. Speravo vivamente che mancasse poco alla cena, perché altrimenti avrei rischiato di azzannare qualche figlio di Ermes.

<< Le quattro e mezza di pomeriggio. Chirone ha detto di portarti da lui non appena ti saresti svegliata. >> Annunciò Connor. Alzai gli occhi al cielo, ma rimasi in silenzio. In effetti capivo la loro preoccupazione. Non era normale svenire in quel modo. In realtà sapevo cosa era successo. Non avevo retto lo sforzo fatto per… soggiogare Clarisse? Non trovavo il termine adatto per spiegarmi ciò che avevo fatto. Era come se la mente della figlia di Ares si fosse piegata al mio volere.

<< Riesci a camminare? >> Domandò Adrian, premuroso.

<< Sto bene. >> Mi alzai in piedi, stiracchiandomi. Mi infilai velocemente le Converse bianche ai piedi del letto, e poi seguii i fratelli Stoll e il figlio di Nyx fuori dalla cabina di Ermes. Mi fissavano come se fossi potuta cadere da un momento all’altro.

<< Sto bene, davvero. >> Riprovai, ma le loro espressioni non cambiarono nemmeno un po’. Attraversammo il cortile con la rete da pallavolo, e rischiai di beccarmi una schiacciata di un figlio di Ipno in faccia. Schivai il pallone appena in tempo, sbuffando. Superammo il campo di fragole e poi raggiungemmo la casa grande. Nico l’aveva chiamata così quando ci eravamo passati davanti, due giorni prima. Mi chiesi che fine avesse fatto. Un ghigno malsano mi si dipinse sulle labbra, pensando all’espressione che gli si doveva essere dipinta sul volto quando aveva scoperto di aver perso.

<< Genesis Hale, ci hai fatto spaventare, lo sai? >> Chirone batté lo zoccolo mentre mi vedeva arrivare.

<< Sto bene. >> Ripetei per la millesima volta. Cominciava davvero ad essere irritante. Odiavo avere gli occhi della gente addosso, e soprattutto non sopportavo quando le persone si preoccupavano per me. Non volevo essere un peso.

<< Clarisse ci ha raccontato quello che è successo. >> Iniziò Annabeth, con un tono a metà tra il diffidente e l’incuriosito. Percy le lanciò un’occhiata di avvertimento.

<< Era legittima difesa. >> Protestai, incrociando le braccia sullo stomaco.

<< Non ti stiamo accusando, Genesis. >> Precisò Chirone, con gentilezza.

<< Invece la stiamo accusando. >> Non mi ero nemmeno accorta della presenza del Signor D. Mi guardava come si guarda un moscerino spiaccicato sul parabrezza dell’auto.

<< Non so come ho fatto, davvero. Non mi era mai successa una cosa del genere. >> Mi strinsi nelle spalle, allargando le braccia. Ed era vero. Sapevo cosa avevo fatto, ma non come ci fossi riuscita.

<< Si sistemerà tutto quando verrai riconosciuta. Solo allora potremo comprendere a fondo i tuoi poteri. >> Nitrì il direttore del Campo, sorridendomi.

<< Che sono molto interessanti, se devo dire la verità. >> Si intromise Annabeth. Percy si limitava a fissarci con aria piuttosto confusa.

<< Io non riesco ancora a capire come tu abbia fatto a ridurre Clarisse in quel modo. Hai la mia stima, ragazza. >> Percy mi fece l’occhiolino, battendomi il cinque. Trattenni una risatina, mentre la sua ragazza alzava gli occhi al cielo.

<< Annabeth, ti ricordo che hai l’ecografia tra un’ora. >> Chirone spostò lo sguardo sulla figlia di Atena. Ecografia? Voleva dire che era…

<< Sì, passa a prenderci Sally. >> Sorrise lei, con una mano che scattava automaticamente alla pancia. Non doveva essere di molti mesi. Non si vedeva alcun rigonfiamento.

<< Secondo me in questo periodo sei stata troppo stressata. Se state male… >>

<< Percy, qui l’unico stressato sei tu. >> Lo prese in giro la bionda, per poi lasciargli un bacio sulla guancia. Mi chiesi quanti anni avessero. Sui venti, forse. Ventuno, più probabilmente.

<< Oh, Genesis. Mi ero dimenticata di ridarti la tua spa… >> Annabeth rimase bloccata con la mano a mezz’aria, gli occhi strabuzzati e lo sguardo puntato sull’iscrizione intagliata sull’elsa. Inarcai le sopracciglia.

<< Dove l’hai trovata? >> Domandò, facendosi improvvisamente seria.

<< In armeria. Era nascosta sotto un mucchio di scudi e… >>

<< Sai a chi apparteneva? >> Chiese, con gli occhi che le brillavano. Scossi lentamente la testa. Non ero sicura di voler conoscere la risposta.

<< Ad Alessandro Magno. >>

Oh.

<< E sai di chi era figlio Alessandro Magno? >>

<< Eris. Era figlio di Eris. >> Mormorò Chirone.

Fantastico. Davvero fantastico.

 

 

 

 

 

 

Quella sera, dopo cena, tutti mi guardavano come se mi fossi immersa nei glitter e lasciassi scie dorate ovunque mi girassi. Le voci si spargevano in fretta, al campo mezzosangue. Non sapevo chi avesse detto cosa, ma restava il fatto che appena mi avvicinavo a qualcuno, quello o quella mi guardava spaventato e faceva finta di non avermi visto. Dopo ciò che era successo con Clarisse avevano tutti paura di me. Chirone, Annabeth e Percy avevano tenuto la bocca chiusa riguardo alla storia della spada.

Gioiosa.

Ad Alessandro Magno sarebbe venuto un colpo se avesse saputo chi avrebbe ereditato la sua arma più potente. Una sciocca ragazzina che a malapena riusciva a tenerla in mano. E poi c’era la storia del figlio di Eris… La dea della discordia. Nessuno aveva detto chiaramente che c’era un motivo ben preciso se avevo scelto quella spada, quasi inconsciamente. Ma io lo sapevo. Sapevo benissimo cosa pensavano. Non era una coincidenza. C’era un’altissima probabilità che anche io fossi figlia di Eris. Fino a quel punto il ragionamento filava liscio, ma poi Annabeth mi aveva spiegato che la dea era stata bandita nel Tartaro dopo aver dato alla luce il grande condottiero. E non credevo che mio padre fosse andato a farsi un giretto nell’abisso della morte e l’avesse incontrata.

<< Genesis! >> Squittì una voce nasale ed acuta. Alzai lo sguardo. Una figlia di Afrodite, a giudicare dai capelli lisciati con la piastra e gli occhi a mandorla esaltati da uno strato esagerato di eyeliner. Drew. Si chiamava Drew.

<< Posso sedermi con te? >> Domandò, con un sorriso falsissimo stampato sulle labbra carnose. Mi feci da parte, lasciandole un po’ di posto sul tronco su cui mi ero appollaiata.

<< L’altro giorno ti ho vista uscire dalla cabina di Ade. >> Cominciò, con un ghigno malefico che le si allargava sulla faccia, tagliandole il volto. Mi sentii il cuore in gola. Non l’aveva detto a nessuno, vero? Perché l’ultima cosa che volevo era che la gente pensasse che- oltre ad essere pericolosa- io mi comportassi da sgualdrina con i ragazzi.

<< Ehm, sì. Dovevo chiedere una cosa a Nico. >> Spiegai, ostentando naturalezza. Lei mi sorrise di nuovo. Un sorriso di chi la sapeva lunga.

<< Ti consiglio di non frequentare quel tizio, Gen. >> Gen? Si era messa a darmi soprannomi?

<< Non lo frequento. >> Risposi, con freddezza.

<< Ti spezzerà soltanto il cuore. Non sei proprio il suo tipo. Lui ha… altri gusti. >> Si arrotolò una ciocca di capelli attorno al mignolo, sbattendo le ciglia come Bambi.

<< Quali gusti? >> Chiesi, prima di riuscire a mordermi la lingua. Teoricamente non mi sarebbe dovuto affatto interessare dei gusti di Nico. Non eravamo nemmeno amici.

<< Beh, non ti ha detto che a lui piacciono i ragazzi? E’ innamorato da anni di Percy . >> Drew si portò una mano alla bocca, fingendosi sorpresa. Mi sentii come se mi avessero appena versato un secchio di acqua gelata in testa. Aprii la bocca per dire qualcosa, ma le parole mi rimasero incastrate  in gola. Non poteva dire sul serio. Io… lui…

<< Devo… Devo andare. >> Mi alzai di scatto, stringendo i pugni. Perché non me l’aveva detto? Mi allontanai a grandi passi, con gli occhi lucidi e il batticuore. Dovevo assolutamente parlare con Nico. Ero furiosa. Quello era stato un colpo davvero basso da parte sua, perché… Beh, in realtà non c’era un perché. Non era obbligato a dirmi che fosse gay. Come mi ero ripetuta un migliaio di volte, non eravamo nemmeno amici.

<< Ti devo parlare. >> Mi sentii afferrare per un braccio, ma non mi girai nemmeno per vedere chi fosse.

<< Io non voglio parlare con te. >> Tentai di liberarmi dalla sua stretta, senza successo. Nico mi trascinò alla spiaggia, sordo ai miei lamenti e alle minacce. Non mi mollò nemmeno quando giurai che mi sarei messa a gridare.

<< Devi dirmi cosa stavi facendo ieri notte. E non inventarti che non riuscivi a dormire, Genesis. Tanto non ci credo. >> Mi fissava, con le braccia incrociate al petto e un’espressione indecifrabile dipinta sul volto. Di solito per me le persone erano come un libro aperto. Uno sguardo, e riuscivo a comprendere le loro emozioni. Con lui era diverso. Era come se tra noi ci fosse un muro di vetro opaco, che mi impediva di guardarlo bene.

<< Perché dovrei fidarmi di te? >> Sibilai, facendo un passo indietro.

<< Perché ti ho salvato la vita. >> Disse, serio. Fui tentata di scoppiargli a ridere in faccia. Con che coraggio poteva dire una cosa del genere?

<< Però ti sei dimenticato di dirmi che ti piacciono i maschi, no? >> Sputai, con cattiveria. Ed ecco che cominciavo a comportarmi in modo irrazionale. Come un’adolescente in piena crisi ormonale. Oh, un attimo. Io ero  un’adolescente in piena crisi ormonale. Il ragazzo barcollò all’indietro, come se gli avessi appena dato uno schiaffo.

<< Chi te l’ha detto? >> Chiese, a bassa voce.

<< Pensavo che ti fidassi di me. >> Ribattei, senza rispondergli. Dei, la frase più ipocrita che avessi mai detto. Come poteva fidarsi di me se io non mi fidavo di lui?

<< Ti crea qualche problema? Che ad un ragazzo piacciano altri ragazzi? >> Domandò dopo un attimo di silenzio.

<< Sì! >> Esclamai.

<< Intendo… no, non ho niente contro gli omosessuali. >> Era vero. Love is equal, giusto? Ma mi creava qualche problema il fatto che lui fosse gay. Non sapevo nemmeno il perché, ma ogni volta che ci pensavo mi si contorceva lo stomaco in una morsa, e mi veniva voglia di piangere.

<< Comunque, io non sono gay. >> Aggiunse, in tutta tranquillità. Lo fissai, allibita. Si divertiva così tanto a prendermi in giro?

<< Drew mi ha detto che hai una cotta per Percy! >> Sbottai. Dannazione! Non avrei mai dovuto rivelargli chi fosse stato a spifferare il segreto. Forse Drew non sarebbe sopravvissuta alla notte.

<< Non sono innamorato di Percy. Non più. >> Voltò la testa, come se non riuscisse più a guardarmi. Poi si incamminò verso il mare, sedendosi sul bagnasciuga. Lo raggiunsi quasi di corsa, lasciandomi cadere accanto a lui.

<< Perché ti piaceva? >> Domandai. Se fossi stata in lui mi sarei già data una botta in testa. Perché non riuscivo a farmi gli affari miei?

<< Perché era l’unico a cui importava qualcosa di me. >> La sua voce era bassa, ma chiara. Mi sentii stringere il cuore. Non avevo mai sentito un tono così pieno di sofferenza. Era come se Nico Di Angelo non avesse mai conosciuto la felicità in vita sua.

<< Quando compresi di amarlo mi diedi dell’idiota, lo sai? Lui aveva… >> Si fermò, passandosi una mano tra i capelli. Rimasi in silenzio, sdraiandomi sulla sabbia. Non avevo mai visto così tante stelle. A New York c’era sempre troppa luce, ma lì… Mi chiesi se su qualche altro pianeta ci fosse qualcuno che- come me- guardava il cielo, e pensava a come sarebbe stato scappare in un’altra galassia. Cominciare una nuova vita.

<< Aveva promesso che avrebbe protetto mia sorella. Poi lei è morta. >> Sbatté un pugno sulla battigia, facendomi rabbrividire. Mi morsi un labbro, evitando di guardarlo.

<< E’ successo durante la guerra contro i Titani, un paio d’anni  prima della battaglia di New York. >> Spiegò. La battaglia di… Oh. Sì, i tasselli del puzzle cominciavano a tornare ai propri posti. Mi ricordavo di quel giorno. Tutta la città si era improvvisamente addormentata. Io ero a casa malata, perciò non avevo dato troppo peso al fatto che all’improvviso fossi crollata a peso morto sul letto.

<< Poi c’è stata la battaglia contro Gea e i Giganti. >> Continuò. Sembrava che stesse recuperando frammenti dei suoi ricordi e li stesse buttando fuori tutto d’un fiato. Come se non li volesse più nella sua anima.

<< Sono stato nel Tartaro. Anche Percy ed Annabeth ci sono stati. >> Tornai a sedermi, con gli occhi spalancati.

<< Sei… Sei stato nel Tartaro!? >> Non è che sapessi molto sull’abisso della morte, ma di certo non era un bel posto. Lui ignorò la mia domanda.

<< Quando la guerra contro Gea è finita, Annabeth si svegliava urlando nel bel mezzo della notte. Mi ricordo che Percy doveva sempre correre ad abbracciarla. >> Un sorrisetto amaro gli si dipinse sulle labbra. Aveva lo sguardo perso nel buio, come rapito dai ricordi.

<< Io invece non avevo nessuno che mi asciugasse le lacrime quando avevo gli incubi. >> Ringhiò, con un tono improvvisamente più aggressivo. Abbassai lo sguardo.

<< Tu non volevi che qualcuno ti asciugasse le lacrime. >> Sussurrai. Sentii i suoi occhi perforarmi la nuca. Poi ridacchiò. Una risatina macabra, che faceva accapponare la pelle.

<< Non ho bisogno di uno psicologo, Genesis. >> Disse, con l’asprezza nella voce. Scossi la testa.

<< No, infatti. >>

<< Tu hai soltanto bisogno di un amico. >>

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

NOTE AUTRICE

Et voilà! Piaciuta la sorpresa? Non so, Alessandro Magno mi è simpatico, l’ho studiato in seconda in storia. Vabbuà, comunque. Genesis e Nico hanno una conversazione piuttosto illuminante, mi scuso per gli spoiler, ma servivano. Spero che il capitolo vi sia piaciuto :3

Bacioni

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Capitolo 8
*** Chapter seven- Gods and Monsters ***


Chapter seven- Gods and Monsters

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

In the land of Gods and Monsters, 
I was an Angel. 
Living in the garden of evil, 
screwed up, scared, doing anything that I needed. 
Shining like a fiery beacon.


 

 

 

 

 

 

 

 

La ragazza dai capelli rossi mi fissava incuriosita. Forse perché appena l’avevo sentita parlare mi ero resa conto che era lei. Era lei la proprietaria della voce che tormentava i miei incubi e anche la mia realtà. La guardavo da un po’, con la mano ancora stretta nella sua.

<< Ehm… Non mi hai ancora detto come ti chiami. >> Fece presente. Tirai subito indietro il braccio. Possibile che lei non sapesse chi ero io? Del resto mi aveva detto almeno un milione di volte di fidarsi di lei. Si chiamava Rachel. Rachel Elizabeth Dare.

<< T-tu… Tu sei quella che mi parla. >> Sussurrai. Nico mi lanciò un’occhiata confusa, con le braccia incrociate al petto. Percy ed Annabeth se ne erano andati da un pezzo, dopo aver accolto con baci e abbracci Rachel. Da quello che avevo capito la rossa era l’Oracolo di Delfi. In pratica aveva visioni e riusciva a predire il futuro.

<< A dire il vero è la prima volta che ti vedo. >> Si grattò la nuca coperta da quella massa informe di ricci, con aria piuttosto spaesata. Mi stava prendendo in giro? Mi aveva tormentata per giorni e non sapeva nemmeno chi fossi? Era impossibile che mi fossi confusa. Era la sua voce. Riconoscevo quel tono innocente ma allo stesso tempo di una che la sapeva lunga.

<< Mi chiamo Genesis Hale. >> Dissi. Forse sentendo il mio nome si sarebbe… non so, ricordata di qualcosa, o lo stupido criceto che aveva in testa avrebbe cominciato a correre, ridando vita ai neuroni.

<< Oh. Beh, Genesis Hale, ti assicuro che non ti conosco. Avrei ricordato quei tuoi strani occhi. Sono molto particolari, potrei fare una foto? >> Domandò. La mia mascella si irrigidì. Non mi sarei sorpresa se mi avesse chiesto anche l’autografo.

<< No, ascolta. Io sento la tua voce, capisci. Mentre sogno, e anche mentre sono sveglia. Tu mi parli, mi dici qualcosa riguardo alla Morte, e… >> Sapevo che quello che stavo dicendo suonava in modo davvero folle, ma era la pura verità. Quella ragazza mi doveva delle spiegazioni.

<< Genesis, mi vuoi spiegare di cosa stai parlando? >> Domandò Nico, con una mano infilata tra i capelli scuri. Gli lanciai un’occhiataccia, ignorandolo.

<< Mi dispiace, ma non… >> Ad un tratto si interruppe, come se si fosse improvvisamente ricordata qualcosa di molto importante. Chiuse gli occhi per un attimo, e quando li riaprì era come se mi avesse vista per la prima volta.

<< Nell’ultimo periodo faccio sogni confusi. Adesso che ci penso… E’ la tua voce. Sì, è la tua voce che mi chiama. E’ come se tu volessi avvertirmi, ma mi sveglio sempre prima che tu riesca a dire qualcosa di sensato. >> Mormorò, parlottando tra sé e sé. Abbassai lo sguardo, confusa. Voleva dire che noi due comunicavamo l’una con l’altra ma non ce ne rendevamo conto? Aveva forse a che fare con il fatto che molto probabilmente ero figlia di Eris? Ma qual era il collegamento tra me e l’Oracolo di Delfi? Troppe domande, e nessuna risposta.

<< Cosa… Da quando senti le voci? >> Chiese Nico. Sembrava persino più stupito di me, il che da una parte mi dava soddisfazione, dall’altra mi terrorizzava. Di Angelo era uno che dava l’impressione di avere sempre una soluzione a portata di mano. Io invece brancolavo nel buio.

<< Da sempre. >> Risposi distrattamente. La verità era che continuavo a fissare Rachel Elizabeth Dare, come per riuscire a scrutare la sua anima. O la sua mente. Non ci assomigliavamo per niente. Anzi, eravamo due opposti. Lei era bassa e minuta, con ricci informi, occhioni verdi e i tratti elfici. Io ero molto più alta, e la curva del mio naso era decisamente più marcata della sua.

<< E ti sei dimenticata di metterci al corrente di questo particolare? >> Sibilò Nico, con aria stralunata. Mi morsi un labbro.

<< Credo che tu stia cercando di dirmi qualcosa, Genesis. Qualcosa che io non posso vedere. >> Disse Rachel, con le mani incrociate al petto. Aveva la fronte corrugata in una buffa espressione pensosa. Mi chiesi quanti anni dovesse avere. Gliene davo una ventina.

<< Tu sei l’Oracolo, Rachel! >> Esclamò il ragazzo, sull’orlo dell’esasperazione.

<< Lo so, ma ho percepito uno strano cambiamento negli ultimi mesi. Come se qualcosa stia sfuggendo dal mio controllo. >> Scosse la testa, allargando le braccia. Sbuffai. Mi faceva male  il collo, e sapevo che di lì a poco avrei avuto un gran mal di testa. Dovevamo parlare con Chirone. Non lo conoscevo affatto, ma emanava un’aura di tranquillità che mi faceva sentire quasi al sicuro.

<< Cosa ti dico nei tuoi sogni? >> Domandai alla ragazza. Lei si strinse nelle spalle.

<< Niente. >>

<< Urli. Urli e basta. >>

 

 

 

 

 

 

 

<< Fatemi capire. Io dovrei andare sull’Olimpo- che si trova al seicentesimo piano dell’Empire State Building- per farmi analizzare il cervello dal dio dell’ipnosi? >>

<< Esattamente. >> Annuì Chirone, mentre il signor D. alzava gli occhi al cielo, con le braccia incrociate sulla pancia prominente. Avevo scoperto che la D. stava per Dioniso, perciò quello a cui avevo dato del turista ciccione era il dio del vino. Non sapevo cosa diavolo ci facesse al campo mezzosangue, ma quando glielo avevo chiesto aveva minacciato di trasformarmi in una vite.

<< Non dovremmo prima contattare Zeus? >> Domandò Nico. Era appoggiato ad una colonna del porticato della casa grande da un tempo che mi sembrava davvero infinito. Sospirai, lasciandomi cadere le mai in grembo. Poi accavallai le gambe.

<< Già fatto. Non c’è tempo da perdere. Ipno aspetta Genesis e Rachel. >> Spiegò. Decisamente la proposta non mi allettava. Non volevo che un dio mi leggesse il cervello, ma a quanto pareva era l’unico modo per capire come mai il collegamento tra me e la Dare fosse bloccato.

<< E io cosa faccio ancora qui, se posso sapere? >> Si informò il figlio di Ade. Gli lanciai un’occhiata, ma la sua espressione era ancora indecifrabile. Mi ricordavo benissimo della chiacchierata della sera precedente, in spiaggia. Il nostro rapporto era ancora più teso del solito.

<< Non posso lasciarle andare da sole, non sono pronte a combattere in caso di necessità. Andrete con un viaggio nell’ombra. >> Annunciò il centauro, accarezzandosi la folta barba bianca. Un che cosa?

<< Dovevo immaginarlo. >> Commentò Di Angelo. Poi squadrò Rachel con aria decisamente poco amichevole, e lanciò a me uno sguardo annoiato. Si massaggiò la base del naso con aria piuttosto stanca.  

<< Forza, andate. >> Incitò Chirone. Strabuzzai gli occhi.

<< Cosa? Ora!? >> Esclamai. Ma non ero pronta! Non che sapessi come prepararmi ad un incontro con il dio dell’ipnosi, ma pensavo che avrei avuto più tempo per riflettere.

 Rachel si alzò in piedi, scuotendo la criniera di ricci rossi che le incorniciava il volto. Poi afferrò Nico per un braccio. Il ragazzo mi prese per mano, guardando dritto davanti a sé. Gli stavo per chiedere cosa diamine gli fosse preso, ma improvvisamente il mondo svanì. Mi ritrovai in un tunnel nero, fatto di oscurità. Fu soltanto un istante, ma sentii lo stomaco sottosopra, e quando toccai il cemento con le ginocchia avevo la pelle d’oca. Alzai lo sguardo. L’Empire State Building, il grattacielo più alto di New York, si ergeva di fronte a noi in tutta la sua maestosità.

<< Dimmi che non stai per vomitare. >> Borbottò Nico, ma mi aiutò a rialzarmi. Scossi la testa, passandomi una mano tra i capelli. Sospirai, osservando le ultime luci del tramonto farsi sempre più deboli. Stava per calare la notte, ma nonostante quello la città non dava segno di volersi spegnere. New York non si spegneva mai. Era sempre viva. Mi mancava.

<< Non potevi teletrasportarci direttamente sull’Olimpo? >> Domandai, nervosa. Ero sempre stata molto brava a nascondere le mie emozioni. Con il passare degli anni ero riuscita a costruirmi una corazza di titanio, che non lasciava trasparire assolutamente niente. Molti dicevano che ero una persona fredda, ma volevo soltanto proteggermi. Non era mai stato facile nascondere ai miei compagni di classe le visioni, o i sogni. Avevo fatto l’errore di rivelarlo ad una bambina che credevo mia amica, e da quel momento in poi la mia vita scolastica era stata simile ad un incubo. Mi ero ripetuta milioni di volte che se fingevo di non soffrire, allora avrei davvero cessato di provare dolore. Avevo finito per crederci.

<< No, avremmo rischiato di essere fulminati, o cose del genere. Forza, andiamo. >> Rachel ed io seguimmo Nico all’interno dell’atrio del grattacielo. Il ragazzo si diresse con passo sicuro verso la scrivania della sicurezza, scambiò qualche parola con il custode e poi si fece consegnare una chiave dorata.

<< Apre la porta dell’universo degli unicorni rosa? >> Domandai, sarcastica. Rachel scoppiò a ridere, mentre Di Angelo mi lanciava un’occhiata fulminante, ma l’angolo sinistro della sua bocca si piegò leggermente verso l’alto. Entrammo in un ascensore grande e spazioso. La cabina era impreziosita da intarsi color oro, che rendevano l’ambiente calmo e confortevole. Confortevole finché non partì un’orrenda musichetta che assomigliava in modo inquietante ad una canzone di High School Musical.

<< Devo convincere Apollo a cambiare il gingle. Sta diventando fastidioso. >> Commentò la ragazza a bassa voce. Feci per rispondere, ma Nico inserì la chiave nella serratura, e l’ascensore partì a razzo verso l’alto. Mi aggrappai con forza al braccio di Rachel, ma non ebbi nemmeno il tempo per chiudere gli occhi che eravamo già arrivati.

<< Cavolo. La prossima volta che capita una cosa simile avvisatemi. >> Sbuffai. Poi le porte della cabina si spalancarono, e rimasi senza parole.

Di fronte a noi si mostrava un paesaggio mozzafiato. Sulle basse collinette erbose erano sparpagliate casupole di pietra bianca. Piccoli ruscelli scorrevano qua e là, mentre in cima alla collinetta più alta si ergeva un maestoso tempio greco, su modello del Partenone di Atene. Mi sembrava di essere entrata in un presepe.

<< Muoviamoci. >> Si limitò a dire Nico, cominciando ad incamminarsi. Incontrammo satiri, ninfe d’acqua e strane creature verdi con le orecchie a punta. Rachel mi disse che erano le ninfe delle piante; le driadi. Qualcuna di loro mi salutò con aria amichevole. Quando arrivammo di fronte all’enorme portale del tempio iniziarono a tremarmi le gambe.

<< Forse dovremmo tornare indietro. >> Provai, inciampando nei miei stessi piedi.

<< Non preoccuparti, Genesis. Andrà tutto bene. >> Sorrise Rachel, ma sembrava che stesse tentando di rassicura se stessa, più che me. Di Angelo, dal canto suo, premette le mani sul portone, e poi diede una spinta poderosa. Ci trovammo davanti alla sala del trono. Era grande. Davvero, davvero grande. Mi sembrava di essere entrata in un vero e proprio tempio greco. L’aura di potere che sprigionavano le pareti era quasi percepibile con il tatto, ma non fu quello a colpirmi. Gli dei erano seduti sui loro troni. Erano in tredici, parlavano tutti tra di loro. C’era chi chiacchierava amabilmente e chi litigava. Ma ero certa di una cosa: erano lì per vedere me. Nico si schiarì la gola.

<< Buonasera a tutti. >> Disse, a testa alta. Doveva essere stato in quel luogo molte volte. O almeno abbastanza da potersi permettere di interrompere una riunione divina.

<< Figlio di Ade. >> Aveva parlato un uomo dalla lunga barba bianca e gli occhi elettrici, come dei fulmini. Lo riconobbi subito, anche se non l’avevo mai visto prima. Era Zeus, il re degli dei.

<< Nico, non pensavo che ci saresti stato. >> Commentò un uomo con il naso adunco e i capelli scurissimi. Doveva essere Ade, suo padre.

<< Quindi questa sarebbe la ragazzina che ha soggiogato mia figlia!? >> Improvvisamente troppe paia di occhi presero a fissarmi con aria guardinga. Ares mi guardava con un’espressione di totale disprezzo. Magari avrei potuto soggiogare anche lui, ma ne dubitavo fortemente.

<< Ares, ti prego, non iniziare. >> Il tizio che aveva parlato era un hippy dall’aria piuttosto svalvolata. Sembrava che una strana nebbiolina magica lo avvolgesse da capo a piedi, e fissava me e Rachel con uno sguardo trasognato.

<< Io sono Ipno, e schiarirò le vostre menti. >> Sorrise, con tono calmo e conciliante. Inarcai un sopracciglio. Ci mancava pure che facesse il segno della pace.

<< Io resto dell’idea che non sia saggio fare una cosa del genere. >> Decretò una bella donna dai capelli scuri e gli occhi grigi. Assomigliavano moltissimo a quelli di Annabeth.

<< Oh, allora fermiamoci subito! >> Sbottò un uomo abbronzato con le iridi color del mare. Il suo tono era palesemente sarcastico.

<< Del resto quello che vuoi tu è legge qui dentro. >> Ringhiò poi. La donna fece per ribattere, ma Zeus alzò una mano, intimando il silenzio.

<< Dovete inginocchiarmi di fronte a me, qui in mezzo. Così tutti potranno vedere. >> Spiegò gentilmente Ipno. Lanciai a Nico un’occhiata di panico, ma lui non sembrò farci molto caso. Rachel mi trascinò per terra con lei. Avevo paura. Molta paura. E se quel tizio avesse sbagliato qualcosa? Magari mi avrebbe bollito il cervello e avrei vissuto il resto della mia vita come un’ameba, sdraiata in un letto d’ospedale circondata soltanto da…

<< Genesis, rilassati. Se sei agitata renderai tutto più difficile. >> Sussurrò la ragazza.

<< E tu come lo sai, potr… >> Ma le parole mi morirono in gola quando Ipno poggiò una mano umidiccia e fredda sulla mia testa.

Il mio mondo esplose.

 Ad un tratto mi trovai in un abisso nero e senza fondo, risucchiata da un tornado di oscurità. Avrei voluto urlare, ma un peso mi opprimeva il petto, impedendomi quasi di respirare. Le mie ginocchia toccarono all’improvviso qualcosa di solido. Un pavimento.

Mi guardai attorno, ma era troppo buio per riuscire a vedere anche ad un palmo del mio naso.

<< Rachel? >> Sussurrai.

<< Non vedo niente. >> Mormorò lei. Tentai di capire da dove provenisse la sua voce, ma era come se fosse rimbombata dappertutto. Come se si trovasse ovunque. Mi alzai in piedi, barcollando. Cosa era quel posto? Ero caduta nel mio subconscio? Avevo la bruttissima impressione di essere finita in un film di Saw l’Enigmista.

<< Cosa dovremmo fare? >> Mormorai. Aspettai qualche istante, ma nessuno rispose.

<< Rachel? >> Domandai, a voce più alta. Niente. All’improvviso l’oscurità divenne più schiacciante. Non ero mai stata claustrofobica, ma in quel momento cominciò a mancarmi il fiato. Feci un passo in avanti, ma andai a sbattere contro qualcosa. Era una lastra di vetro. Mi voltai.

Ero in gabbia.

<< Rachel! >> Gridai, battendo un pugno contro il vetro. Improvvisamente il volto della ragazza comparve dall’altra parte. Sembrava spaventata quanto me. Cominciai a tempestare di colpi la parete, ma non si incrinava nemmeno di un millimetro. Lei rimaneva immobile, con le mani poggiate sul vetro e un’espressione terrorizzata dipinta sul volto elfico.

Urlai, in preda alla frustrazione. Provai anche con i calci, ma non c’era niente da fare. Poi Rachel diede un colpetto al vetro. Fu un attimo, ma riuscii a vedere un’intricata ragnatela di crepe che si diramava come un labirinto frastagliato, lungo la lastra. Poi andò tutto in pezzi.

Io stavo andando in pezzi.

Un dolore lancinante mi colpì alla testa, tanto da farmi piegarmi in due, in preda ai conati di vomito. Gridai con tutto il fiato che avevo in gola, prendendomi il capo tra le mani. Era come avere un martello penumatico piantato al centro del cranio. Mi smuoveva le viscere, distruggendo tutto quello che di vitale c’era in me. Poi udii una voce. All’inizio era soltanto un sussurro, ma cresceva di intensità, finché non si trasformò in un urlo imperioso.

<< Abbastanza! >> Sbraitò, e poi vidi una luce accecante.

Impiegai un po’ per rendermi conto che ero di nuovo nella sala del trono, insieme a Rachel. Lo sapevo perché qualcuno mi stringeva la mano talmente forte da farmi male, e udivo voci bisbigliare, altre gridare. Sbattei le palpebre un paio di volte. Ipno era di fronte a me, ma guardava alle mie spalle, con gli occhi spalancati in un’espressione spaesata. Mi voltai piano, con la testa ancora tra le mani.

Ed eccola lì, in tutto il suo splendore.

Mia madre aveva le braccia incrociate al petto, e un sorrisetto sarcastico dipinto sulle belle labbra, quel giorno dipinte di rosso fuoco. Non indossava l’abito bianco, ma un paio di jeans a sigaretta e una felpa della WESC. Conciata così sembrava avere al massimo vent’anni. Rabbrividii, sentendo qualcosa di caldo colarmi lungo il collo. Istintivamente portai una mano alla gola. Un liquido bagnato e viscoso mi sporcò le dita. Sangue. Sfiorai la pelle. Sentii dei piccoli taglietti, dove Ipno aveva infilato le unghie.

<< Ma siete impazziti, per caso? Avete rischiato di farle rimanere perse per sempre  nella loro mente. >> Ringhiò mia madre, passandosi una mano tra i capelli fulvi. Erano di una tonalità più scura di quelli di Rachel. A volte mi sembravano quasi viola, ma era soltanto un gioco di luci.

<< Eris. >> Sibilò Zeus, alzandosi di scatto.

Bene. Ogni dubbio era fugato. Ero figlia della dea della discordia, scappata dal Tartaro per farsi mettere incinta da uno studente newyorkese della facoltà di giurisprudenza. Che storia avvincente.

<< Papino, fratelli miei. >> Sorrise Eris. Era bellissima. Bella quasi quanto Afrodite.

<< Vi sono mancata? >>

E poi nella sala del trono scoppiò il pandemonio.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

NOTE AUTRICE

Taaaaaa-dan! E finalmente si è scoperto a chi appartiene la voce e siamo sicuri al trecento per cento che Genesis è figlia di Eris. Mettiamoci il cuore in pace. Nel prossimo capitolo comparirà anche una nostra vecchia conoscenza, vedrete. Vi ringrazio per essere arrivati fino a qui e ringrazio i miei fedeli recensori, tutti quelli che seguono, ricordano, preferiscono e leggono questa storia :3 Grazie mille, davvero!

Bacioni

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Capitolo 9
*** Chapter eight- Unbreakable ***


Chapter Eight- Unbreakable

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Where are the people that accused me? 
The ones who beat me down and bruised me 
They hide just out of sight 
Can't face me in the light 
They'll return but I'll be stronger 


 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

<< Come osi, Eris? >> Gli occhi di Zeus sprigionavano scintille. Letteralmente. Lui e Poseidone erano l’uno accanto all’altro; il primo che stringeva in mano la folgore divina, il secondo il suo inseparabile tridente dall’aria piuttosto letale. Strisciai all’indietro, incontrando le gambe di Ipno, che si spostò subito, come se l’avessi scottato.

<< Bla, bla, bla. >> Mia madre alzò gli occhi al cielo, in un gesto teatrale. Il suo sguardo vagò per la sala del trono, ma non si soffermò su un punto particolare.

<< Tutte le volte la stessa storia. >> Sbuffò. Sembrava offesa, ma io sapevo che non era così. Li stava soltanto prendendo in giro. Non era forse nella sua natura? Creare discordia, provocare litigi, risse… Eris. Quella era Eris, e probabilmente si poteva dire lo stesso di me.

<< Stai bene? >> Sobbalzai, sentendo la voce di Nico nell’orecchio. Annuii, aggrappandomi al suo braccio mentre mi aiutava a rialzarmi. Rachel era già in piedi, e fissava mia madre come si fissa una diva del cinema oppure il diavolo fatto a persona. Non sapevo quale delle due.

<< Sei scappata sedici anni fa, e ho lasciato correre. Non la passerai liscia questa volta. Soprattutto ora che sappiamo che questa ragazzina è tua figlia. >> Tuonò Zeus, furioso. Per quanto i poteri di Eris potessero essere forti, non credevo che fosse saggio inimicarsi il re degli dei. E ovviamente lo sapeva anche lei, perché si limitò a sorridere con falsa dolcezza.

<< Chiedo il tuo perdono, padre. Ma come puoi biasimarmi? Essere bandita nel Tartaro per un piccolo misfatto? Mi sembra un po’ esagerato. >> La sua voce era come miele. Si gettò i capelli sulle spalle, e ammiccò in direzione di Ares. Avevo letto da qualche parte che quei due erano stati pappa e ciccia un tempo. Beh, il dio della guerra con la dea della discordia… Una coppia vincente.

<< Comunque, non è per questo che sono qui. >> Tagliò corto. Guardò per un istante nella mia direzione, ma forse me l’ero soltanto immaginato. La odiavo. Non riuscivo a fare a meno di detestarla. Perché si comportava come se non esistessi? Ero la sua unica figlia. E se davvero aveva amato mio padre, perché non era mai tornata a fargli visita? Del resto aveva dimostrato che scappare dal Tartaro non era poi così difficile.

<< Chaos si sta risvegliando. >> Disse semplicemente, come se stesse parlando di quanto fosse bello il tempo quel giorno. Nella sala del trono calò un silenzio tombale. Poi Ade scoppiò a ridere sonoramente, seguito a ruota da Demetra. Zeus sembrava sempre più infuriato.

<< Andiamo, Eris. Sai fare di meglio. >> Sibilò il dio degli inferi. Abbassai lo sguardo. Chaos… Chaos non era un titano, e nemmeno il padre dei titani. Chaos era… tutto. Quello che c’era stato prima e quello che ci sarebbe stato dopo. Gli dei erano riusciti a domare il suo potere, imponendo l’ordine sulla terra. Ma l’ordine era nato dal caos. Dalla distruzione totale.

Improvvisamente il sangue mi si gelò nelle vene, e barcollai.

Le visioni.

Me ne resi conto soltanto in quel momento. Nelle mie visioni e negli incubi vedevo la distruzione, il caos. La sabbia che abbatteva tutto ciò che ostacolava il mio cammino. Che fosse quello il destino del mondo? Forse le voci, i sogni… Tutto quanto,  non erano soltanto un parto folle della mia mente. Forse significavano qualcosa. E Nico e la ragazza… Che ruolo avevano in tutto quello? Che ruolo avevo io, in tutto quello? La consapevolezza mi investì come un’onda ghiacciata.

<< E’ vero. >> Dissi, a voce alta. Lo sguardo scuro del ragazzo mi perforò la nuca, mentre l’espressione di Rachel rimase neutra. Anche lei aveva avuto visioni simili alle mie. Ne ero sicura.

<< Visto? >> Eris incrociò le braccia al petto, soddisfatta. Il volto di Atena era impassibile.

<< Perché dovremmo credere a tua figlia? >> Domandò Zeus, allargando le braccia in un gesto teatrale. Mi schiarii la gola.

<< Lo so, d’accordo? Lo so e basta. >> Sbottai. Perché non volevano darmi ascolto? Capivo che non si fidassero di mia madre, ma io non avevo alcun motivo di mentire. Ci fu un attimo di silenzio. Zeus sospirò, guardandomi negli occhi. I suoi emanavano una carica spaventosa di elettricità statica.

<< Faremo qualche controllo. >> Annunciò infine, lasciandosi cadere sul suo trono.

<< Cosa!? >> Esclamò Afrodite, basita.

<< Non vorrai davvero farci scomodare per le fandonie di questa ragazzina, vero? >> Altre imprecazioni infastidite riempirono l’aria dell’Olimpo. Strinsi le braccia attorno al corpo, serrando la bocca e impedendomi di dire qualcosa di poco carino, che mi avrebbe fatto fare una bruttissima fine.

<< Silenzio! >> Gridò Zeus. Ade alzò gli occhi al cielo, stravaccandosi sul suo trono, a gambe larghe.

<< Quando tutto andrà in rovina, non ditemi che non ve l’avevo detto. >> Sorrise mia madre. Poi si dissolse in un battito di ciglia. Poseidone batté un pugno sul bracciolo di pietra della sua grande sedia regale.

<< Voi. >> Zeus ci indicò. Rachel mi strinse un braccio, quasi spaventata. Ci avrebbe fulminati tutti e tre? Non credevo. Ade si sarebbe infuriato.

<< Sparite subito dalla mia vista, prima che vi incenerisca. >> Ringhiò, accarezzandosi la folta barba candida con una mano.

Brutto vecchiaccio.

Io volevo soltanto aiutarli, perché si ostinavano a non capire?

<< Tu non puoi… >> Nico mi strinse talmente forte il polso da farmi perdere la voce. Era un avvertimento, lo sapevo.

<< Grazie per il vostro tempo. >> Disse poi. Trascinò fuori me e Rachel. Mi rilassai soltanto quando fummo di nuovo in ascensore. Non mi ero nemmeno accorta che tutti i miei muscoli fossero in tensione.

<< Questo è un bel caos. >> Sospirò la rossa.

Già.

Un gran bel caos.

Nel vero senso della parola.

 

 

 

 

 

 

<< La mangi quella? >> Emma indicò la fetta di torta abbandonata con aria triste nel mio piatto. Non avevo toccato cibo quella sera. Avevo lo stomaco stretto in una morsa, e lo sguardo di tutti addosso. Chirone aveva spiegato solo ad Annabeth e Percy ciò che era successo sull’Olimpo, ma- nonostante quello- mi sentivo osservata e giudicata. Non mi piaceva affatto quella sensazione. Spinsi il piatto verso di lei, facendole un debole sorriso. Era stata riconosciuta quel pomeriggio. Figlia di Nyx. La prima sorella di Adrian. Ma il tavolo di Nyx a mensa non c’era, perciò stavano entrambi con noi di Ermes. O meglio, con loro di Ermes.

<< Sei sicura di sentirti bene? >> Chiese, infilzando il cioccolato con la forchetta.

<< Sì, sono soltanto un po’ stanca. >> Mi strinsi nelle spalle, passandomi una mano tra i capelli. Stanca, spossata, triste, arrabbiata. E un’altra infinita lista di aggettivi negativi che probabilmente non conoscevo nemmeno. E anche confusa. Confusa perché Ipno aveva spezzato il blocco nella mia testa, e Rachel ed io riuscivamo a comunicare con la mente, o nei sogni. La cosa mi spaventava parecchio. Non eravamo in grado di leggerci nel pensiero a vicenda, grazie agli dei, ma… Era una cosa piuttosto inquietante. Senza contare il fatto che nessuno sapeva come mai io e lei fossimo collegate. Rimaneva un mistero, persino per gli dei.

<< Questo pomeriggio sei sparita. Abbiamo fatto un po’ di pratica con la spada, è stato divertente. >> Sorrise, mettendo in mostra delle adorabili rughette accanto agli occhi. Adesso che ci pensavo lei e Adrian non erano poi così tanto diversi. Gli occhi di Emma erano un po’ più chiari di quelli del ragazzo, ma i capelli erano dello stesso biondo acceso. Mi massaggiai la base del naso, esausta.

<< Forse dovrei andare a riposare. Ci vediamo dopo. >> Dissi. Poi mi alzai in piedi di scatto, guadagnandomi occhiate confuse da parte di Emma e dei ragazzi seduti vicino a me. Connor e Trevis non sembravano rimasti spaventati da quello che avevo fatto a Clarisse. Anzi, erano quasi entusiasti. La stessa cosa si poteva dire per la maggior parte dei figli di Apollo e di Ermes, ma gli altri… Non feci nemmeno in tempo a fare un passo, perché qualcuno mi urtò, rovesciandomi sulla t-shirt un bicchiere di the freddo. Alzai lo sguardo, con una marea di epiteti poco carini che minacciavano di uscirmi dalla bocca.

<< Oddio, mi dispiace tanto! >> Drew mi fissava con lo sguardo di scuse più falso che aveva nel repertorio.

<< Lascia stare. >> Mi limitai a borbottare tra i denti, voltandomi. Non volevo litigare lì, in mezzo a tutti. Non era il momento. Drew mi afferrò un polso, costringendomi a voltarmi.

<< Davvero, non l’ho fatto apposta. Però, sai… Ti dovresti cambiare la maglietta. Magari potresti spogliarti qua, tanto so che non ti fai problemi, no? >> Chiese, con voce maligna. La guardai con gli occhi sbarrati, divincolandomi dalla sua presa. Cosa stava tentando di insinuare? Una serie di bisbigli si diffuse tra i presenti. Un sorrisetto amaro mi si dipinse sulle labbra. Ma certo, aveva raccontato a tutti della storia di Nico. Perché doveva essere così cattiva?

<< Devi essere molto coraggiosa per avvicinarti a me. O molto stupida, piuttosto. >> Sibilai, a testa alta. Ma non avevo intenzione di farle niente.

<< Andiamo, Gen! Sappiamo tutti come ti piace toglierti i vestiti davanti ai ragazzi. >> Ridacchiò. Strinsi i pugni. Attorno a noi era calato il silenzio più assoluto. Feci un respiro profondo, tentando di calmarmi. Poi la fissai dritta negli occhi.

<< Sai una cosa, Drew? Quello è il falò, puoi benissimo buttartici dentro. >> Ringhiai, per poi girarmi. Ma non mi mossi. Non mi mossi, perché una sensazione di gelo mi strisciò nelle vene, impedendomi di fare un solo passo.

Cosa avevo fatto?

Deglutii, voltandomi. Sapevo benissimo cosa avrei visto.

Drew si dirigeva con passo svelto verso il grande fuoco dove si sacrificava il cibo per i nostri genitori. Ci fu un attimo di silenzio assoluto, poi un figlio di Ecate lì vicino decise di prendere in mano la situazione, e corse in direzione della figlia di Afrodite. Fece in tempo a tirarla indietro, ma la mano della ragazza finì comunque troppo vicina ad una fiamma. Drew gridò, scoppiando a piangere subito dopo. Alzai lo sguardo, rendendomi conto che tutti fissavano un punto sopra la mia testa.

Era una mela. Una mela d’oro, che brillava come un ologramma. Il pomo della discordia.

<< Sei un mostro! >> Gridò qualcuno, e mi sentii crollare il mondo addosso.

Non riuscivo più a muovermi. Avrei tanto voluto gridare che non l’avevo fatto apposta, che mi dispiaceva moltissimo. Ma non ci riuscivo. Le parole mi erano rimaste bloccate nelle corde vocali, mentre un respiro traballante cercava di venir fuori dalla mia gola. Ma niente. Sentivo i polmoni scoppiare, e gli occhi mi si erano offuscati di lacrime. Le cose intorno a me ad un tratto si erano fatte più confuse, come se continuassero incessantemente a muoversi, senza darmi un punto di riferimento. Sentii qualcuno afferrarmi per la vita, e trascinarmi via. La mia schiena toccò qualcosa di ruvido.

<< Guardami. >> Alzai gli occhi, incontrando quelli di Nico Di Angelo. Rantolai, cercando disperatamente di respirare. Perché non ci riuscivo? E tremavo, tremavo incontrollatamente. Mi sembrava di essere in uno di quegli orribili incubi in cui cerchi di scappare, ma i muscoli non rispondono al tuo comando.

<< Non… Non riesco a respirare… >> Ansimai tra i denti, aggrappandomi alle sue spalle.

<< E’ un attacco di panico, Genesis. Respira quando respiro io. >> Scivolai lungo il tronco dell’albero, mentre il ragazzo si inginocchiava accanto a me. Poi chiuse gli occhi, e cominciò ad inspirare ed espirare con lentezza. Feci la stessa cosa, al ritmo delle sue spalle che si alzavano e si abbassavano. Passò qualche istante, e la vista tornò nitida. Le mani smisero di tremare convulsamente, e finalmente un gran fiotto d’aria mi riempì i polmoni. Non avevo mai avuto un attacco di panico in vita mia. Non pensavo che potessero essere così spaventosi.

<< Come… Come facevi a saperlo? >> Domandai, dopo essermi assicurata di riuscire a parlare senza scoppiare in lacrime. Come aveva fatto a capire che sarei potuta esplodere da un momento all’altro? Nico si sedette di fronte a me, scostandosi i capelli dalla fronte.

<< Te l’ho letto negli occhi. >> Mormorò. Poi allungò una mano verso di me, ma sembrò ripensarci. Il braccio gli ricadde lungo il fianco. Voltai la testa. Riuscivo ancora a sentire il vociare vicino al falò. Le discussioni, i bisbigli sussurrati tra i denti e gli sguardi spaventati, o confusi. Una figlia di Eris. Eris, quella che aveva causato la guerra di Troia; Eris, quella che si divertiva a scatenare il caos. La donna dai capelli rossi e dagli occhi viola. Mia madre.

<< Dovresti andartene. >> Dissi ad un tratto, con voce sorprendentemente ferma, e fredda. Evitai accuratamente di guardarlo in faccia. Non volevo che a lui succedesse ciò che era successo a Clarisse e a Drew. Non volevo che a nessuno succedesse una cosa del genere.

<< Non ho paura di te, ragazzina. >> E ancora una volta, sembrò potermi leggere nel pensiero. Gli rivolsi un’occhiataccia. Gli credevo, ma non potevo fare a meno di considerarlo un idiota. Aveva visto cosa potevo fare. Sarebbe dovuto scappare via, e non rivolgermi mai più la parola. Mi chiesi se sarebbe stato quello il mio destino. Vivere da sola, emarginata, senza alcun amico. Mi alzai in piedi, insieme a Nico.

<< Non riesco a controllarlo, Nico. Non ce la faccio. Sono pericolosa. >> Sibilai, spintonandolo all’indietro. Lui non si mosse nemmeno di un centimetro. Storsi il naso. Poteva anche essere piuttosto magro, ma era ben piazzato. L’esperienza nel Tartaro doveva essergli stata molto utile sotto quel punto di vista.

<< Quindi adesso ti comporterai come una di quelle stupide adolescenti tormentate che credono di avere tutto il mondo contro? Scusa se te lo dico, ma… che noia. >> Ringhiò. Inarcai un sopracciglio, quasi divertita.

<< Come te? >> Chiesi, con le labbra tese in una linea sottile. Nico avanzò di un passo, facendomi indietreggiare. Posò le mani ai lati della mia testa, fissandomi dall’alto. Deglutii, perché quegli occhi neri avevano il potere di cancellare la mia capacità di intendere e di volere.

<< Non scherzare con il fuoco, Hale. >> Sibilò. La mia mascella si irrigidì, mentre pensavo a qualcosa di arguto e sarcastico da ribattere.

<< Chi si comporta come un adolescente tormentato, ora? >> Domandai a bassa voce, optando per la tecnica della manipolazione.

 Nico gettò la testa all’indietro, e scoppiò a ridere. Rimasi interdetta, udendo in silenzio quel suono stranamente musicale. Era una risata roca, di gola. Piuttosto macabra se dovevo essere sincera, ma nonostante il tono lugubre sembrava la melodia di uno strumento solenne e maestoso. Come un organo, per esempio.

<< Hai coraggio, Genesis. Non c’è che dire. >> Ghignò. Poi fece un passo indietro, permettendomi finalmente di calmare il tremito nel mio respiro. Per la prima volta da quando lo conoscevo, nella sua voce udii un tono diverso. Di ammirazione, quasi.

<< Domani ti aspetto fuori dalla cabina di Ermes alle otto in punto. >> Annunciò semplicemente, prima di voltarsi.

<< Cosa? >> Domandai, con aria sorpresa. Si aspettava davvero che lo avrei fatto? Quel ragazzo doveva capire che odiavo prendere ordini. Più mi si imponeva qualcosa, più io tendevo a fare l’esatto contrario.

<< Ordini dall’alto. >> Si strinse nelle spalle, e poi si allontanò, con la mano stretta attorno all’elsa della sua spada, che spuntava dal fodero.

Osservai la sua maglietta nera per un po’, finché non sparì in mezzo agli alberi. Solo allora mi permisi di sedermi per terra. In quel momento avrei potuto piangere. Perché nessuno mi avrebbe vista, e non avrei fatto la figura dell’idiota. Ma non versai nemmeno una lacrima. La gente dice che piangere fa bene, aiuta a sfogarsi. Ma non è vero. Se piangi vuol dire che hai perso le speranze, che non hai più la forza per affrontare la tua vita. Che sei debole. E io non volevo essere debole. Avrei imparato a difendermi e a combattere. Chirone mi avrebbe aiutato a capire qualcosa di più riguardo alla mia natura e ai miei poteri. E Nico… Beh, Nico era Nico. Non sapevo perché, ne da dove nascesse quella sensazione, ma ero certa che mi capisse. Lui sapeva cosa stavo passando; forse era per quello che sembrava riuscire a leggermi nel pensiero senza alcuno sforzo. E di una cosa ero certa.

Mi fidavo di lui.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

NOTE AUTRICE

Eeeeeccomi qui a rompere, di nuovo. Allora, spero che il capitolo vi sia piaciuto. Finalmente qualcuno si decide a parlare con gli dei, che ovviamente non ascoltano. Poi Drew sarebbe da prendere a bastonate, ma pazienza. Nel prossimo capitolo ci sarà un’altra mini-sorpresa. Grazie mille ai miei fedeli recensori e lettori, e a chi segue, preferisce o ricorda questa storia :3

Bacioni

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Capitolo 10
*** Chapter nine- Miss Independent ***


Chapter Nine- Miss Independent

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

‘Cause she walk like a boss,
Talk like a boss,
Manicure nails just sent the pedicure off,
She’s fly effortlessly,
An’ she move like a boss,
Do what a boss.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Adrian e la ragazza dai capelli d’argento sono nel bel mezzo della tempesta. La sabbia imperversa, spazzata da raffiche fulminee di vento. Non so nemmeno come riesco a vederli. Non so nemmeno dove mi trovo io, dove sia il mio corpo, la mia mente. Adrian si preme contro la ragazza, tenendola stretta. Forse ha paura che quel suo corpicino minuto potrebbe essere spazzato via da un momento all’altro.

<< Adrian! >> Grido, ma la mia voce si perde nell’aria, insieme alla sabbia infuocata. Improvvisamente i miei piedi toccano qualcosa di solido. Il terreno. E comincio a sentirli. Sento i granelli che mi feriscono, che cercano di entrarmi negli occhi per accecarmi. Incespico nei miei stessi piedi, tentando di non cadere. So che non devo cadere, altrimenti la sabbia mi risucchierebbe.

<< Lux! >> Urlo. E non so come faccio a sapere il nome di quella ragazza. Non ne ho la minima idea, ma sono sicura che si chiami così. Perché i suoi capelli argentei risplendono nella tempesta, e gli occhi di falco scintillano. Come una stella. Come la luce. Ma lei non si volta. Continua a camminare insieme al figlio di Nyx. E non posso fare niente per avvisarli.

Lo vedo. Stanno andando dritti nelle braccia di quei mostri dall’aspetto umano. Le loro ombre emergono nella tempesta, come un presagio di morte. Sono in tanti. Sulla ventina. Io riesco a sentire i loro versi disgustosi, ma Adrian e Lux sembrano assordati dal rumore della sabbia che percuote i loro corpi.

<< Lux! >> Sbraito, mentre la gola mi si riempie di granelli roventi. Comincio a tossire, inginocchiandomi. Vorrei alzarmi e correre verso di loro, ma non posso. Sento la sabbia sprofondare sotto di me. Grido di nuovo, sperando che mi sentano. Ma Adrian continua a trascinare Lux verso i mostri. Dritti nelle loro braccia.

<< Adrian, no! >> Sbraito, ma è troppo tardi.

Prima che il terreno si spalanchi sotto di me li sento gridare.

Non ho fatto in tempo a salvarli.

 

 

 

 

<< Genesis! Genesis, per gli dei! >> Qualcuno mi stava scuotendo violentemente per le spalle. Sbattei le palpebre, e rimisi a fuoco il mondo. Tossii un paio di volte, sputando la sabbia inesistente. Nico mi fissava con gli occhi spalancati. Avevo avuto una visione. Mi era sembrata molto più reale delle altre. Speravo soltanto di non aver cominciato ad urlare come una pazza nel bel mezzo dell’arena.

<< Pensavo di doverti dare uno schiaffo. >> Sbottò, facendo roteare la spada con la mano. Deglutii, chinandomi a raccogliere Gioiosa. Nico mi stava insegnando a duellare. Non era decisamente male come spadaccino, ma non si poteva dire altrettanto della sua abilità nell’insegnare. Si limitava a parare i miei colpi senza fare assolutamente niente. Come se starsene lì impalato mi avrebbe aiutata. Strinsi l’elsa della mia arma con forza. Mi avrebbe condotto di nuovo alla realtà. Il cuore mi batteva ancora a mille, e da un momento all’altro mi aspettavo di veder comparire mostri di qualsiasi tipo, e sabbia ovunque. Per la prima volta, dopo tanti anni, avevo paura di una visione.

<< Scusa. Possiamo continuare. >> Borbottai, massaggiandomi il collo con una mano. Attorno a me l’arena era perfettamente normale. Chirone stava visionando gli allenamenti dei più piccoli, mentre Percy spiegava ad un nutrito gruppo di undicenni come maneggiare una spada senza mozzarsi la mano. Gli altri semidei si addestravano normalmente, chi con impegno, chi con svogliatezza. Non potevo biasimarli. Le spade erano pesanti come dei macigni. Mi faceva un male cane il braccio sinistro, ma non l’avrei mai ammesso. Almeno non di fronte a Nico.

 << Hai visto qualcosa, vero? >> Domandò lui, con le braccia incrociate al petto. Gli rivolsi un’occhiataccia. Poi spostai il peso del corpo sul piede destro, e mi lanciai in avanti. Nico parò il fendente, rischiando di farmi perdere la presa su Gioiosa. Un sorrisetto si dipinse sulle sue labbra sottili.

<< Come ti ho già detto, sei molto veloce. Ma non abbastanza. >> Poi, per la prima volta dopo due ore, fece un affondo, che schivai per un pelo. Lo guardai con gli occhi strabuzzati, abbassando lo sguardo. Il mio pettorale era tagliato su un fianco. Aveva praticamente rischiato di infilzarmi. Ringhiai, dandomi lo slancio con tutta la forza che avevo. Nico riuscì a fermare Gioiosa di piattone, ad un centimetro dal suo naso. Sorrisi, trionfante. Non gli avevo nemmeno fatto un graffio, ma era decisamente meglio dei risultati precedenti.

<< Cosa hai visto? Dovresti dirmelo. Potrebbe essere importante. >> Disse. Mi abbassai appena in tempo per evitare un fendente che mi avrebbe mozzato la testa. La situazione mi piaceva. Finalmente il figlio di Ade si stava dando da fare, e non mi trattava come una bambina incapace. Forse aveva capito che adoravo le sfide, e non mi tiravo mai indietro. Davo il meglio di me quando c’era qualcosa in palio.

<< Vedo cose senza alcun senso. Non significano niente. >> Risposi, provando con un affondo laterale. Ancora niente di niente. Però i miei movimenti erano diventati più fluidi. Maneggiare la spada non era più così difficile.

<< Le cose senza alcun senso significano guai. Credimi. >> Asserì a mezza voce. Poi con un colpo fulmineo colpì Gioiosa. Il mio polso si piegò, come fatto di burro, e la spada volò a qualche metro di distanza, rischiando di colpire in pieno un piccolo figlio di Apollo. Strinsi i denti. La situazione stava diventando davvero frustrante. Ma se non potevo combattere con una lama, l’avrei fatto con il corpo. Alzai il braccio, con il pugno chiuso.

<< Cosa credi di fare? >> Nico mi afferrò il polso, a pochi centimetri dal suo volto. Dannazione. Perché riusciva sempre ad anticiparmi? Perché Eris non mi dava una mano? Poteva, non so, fargli cadere in testa una pesante mela d’oro. L’avrebbe steso, e io mi sarei presa il merito. Genesis Hale riesce a sconfiggere Nico Di Angelo. Un evento che sarebbe stato ricordati dai posteri. Tentai di mollargli un pugno con l’altra mano, ma niente da fare.

<< Non riesci nemmeno a sfiorarmi con la spada e vuoi sconfiggermi in un corpo a corpo? >> Domandò, con un ghigno che gli si formava sulla faccia. Sbuffai dal naso, inferocita. Quel ragazzo aveva l’irritante potere di riuscire a farmi saltare i nervi. In un angolo recondito e oscura della mia mente, una vocina sussurrava di soggiogarlo, maligna. Ma non l’avrei mai fatto. Avevo deciso che avrei fatto ricorso al mio… potere  soltanto in caso di estremo pericolo. Senza contare il fatto che sarei sicuramente svenuta sul posto. Meglio risparmiare le energie. Alzai lo sguardo, fissando i miei occhi nei suoi. Sembrò sorpreso.

<< Perché non fai la tua magia? >> Chiese, con un tono a metà tra il serio ed il sarcastico. Non distolsi lo sguardo, e non sbattei le ciglia nemmeno una volta. Forse se gli avessi fatto credere di volerlo soggiogare avrebbe abbassato la guardia. Ghignai, mentre la presa sui miei polsi si allentava di poco. Fu un attimo, ma bastò perché contrattaccassi. Feci lo sgambetto a Nico, che perse l’equilibrio, cadendo all’indietro. Sfilai la sua spada dai passanti della cintura, ma lui riuscì ad afferrarmi per un braccio, e rovinammo a terra insieme.

<< Ah! >> Esclamai, trionfante.

Chi ha vinto ora, Di Angelo?

La lama era puntata alla sua gola, mentre il mio braccio era premuto sul suo petto, per tenerlo fermo. Se non fossi stata per terra mi sarei sicuramente messa a ballare. Nico sembrava divertito. Avrebbe potuto liberarsi in pochi secondi, ma non lo faceva. Mi piacque pensare che in realtà ero troppo forte per lui e non riusciva nemmeno a muovere un muscolo. Sì, come no.

<< Tutto qui? Non cerchi nemmeno di liberarti? >> Domandai, facendo una smorfia. Le mie ginocchia nude sfregavano sullo sterrato, sbucciandosi. Mi resi conto solo in quel momento della posizione piuttosto… compromettente in cui eravamo finiti. Praticamente ero a cavalcioni sul suo bacino, con le gambe che stringevano ai lati delle sue cosce. Abbassai la testa, in modo che i capelli ricadessero dalle spalle e mi coprissero le guance, diventate bordeaux.

<< Non si rubano le armi degli altri. >> Si limitò a bofonchiare, guardandomi dal basso. Poi, con uno scatto repentino, mi piegò il polso, riappropriandosi della sua spada. Mi ritrovai distesa sulla schiena dopo due secondi, con la testa che mi girava per il cambio veloce di posizione. Poi Nico mi tirò in piedi, per un polso.

<< Il tentativo è apprezzabile. >> Sorrise. Eravamo talmente vicini che riuscivo a vedere le venature grigiastre nei suoi occhi scurissimi. Deglutii. Eravamo davvero troppo vicini.

<< Nico! >> Oh, grazie agli dei. O forse grazie a Percy. Il figlio di Poseidone aveva il fiatone, e il viso tutto rosso. Gesticolava forsennatamente, non riuscendo ad articolare nemmeno mezza parola.

<< Devi venire alla casa grande, subito. Tu non hai idea… >> Ansimò, portandosi una mano al petto. Quella mattina non si era fatto la barba. Storsi il naso. Non volevo essere Annabeth quando lo baciava, si sarebbe punta tutte le guance.

<< Sì, arrivo. >> Mi lanciò uno sguardo veloce prima di voltarsi. Pensava davvero che non l’avrei seguito? Dovetti quasi correre per stare al passo di quei due, ma la cosa sembrava davvero piuttosto importante. Che avesse a che fare con la mia visione? Magari Rachel aveva finalmente pronunciato la profezia, o era successo qualcosa di grave che avrebbe messo in pericolo il Campo, oppure… Sentii un tuffo al cuore.

Nel cortile della casa grande, accanto a Chirone e il Signor D., c’era lei.

Lux.

Con i jeans a sigaretta, una canottiera nera e attillata, l’arco sotto braccio e le frecce dietro alla schiena. La lunga treccia argentea le ricadeva sulla spalla, e gli occhi di falco sembravano sorridere. Il suo sguardo si soffermò su di me per un secondo, ma saettò repentinamente da un’altra parte. Si puntò su Nico, che sembrava avere appena visto un fantasma. Il ragazzo aprì la bocca, mimando qualcosa con le labbra, poi lasciò cadere la spada. Rimase immobile per qualche altro istante, poi raggiunse Lux con tre rapide falcate, e la abbracciò. La abbracciò come se non la vedesse da anni, come se gli fosse mancata terribilmente, come se avesse creduto di non rivederla mai più. Una strana sensazione si affacciò alla bocca del mio stomaco, facendomi irrigidire la mascella.

<< Nico… Non respiro… >> Rantolò lei, ma le sue braccia erano avvolte attorno alle schiena del ragazzo. Lo stava abbracciando, con slancio e trasporto. Altra fitta alla bocca dello stomaco.

<< E’ davvero bello rivedere tutti quanti, ma dovrei parlare con lei. >> Il suo dito indice puntava verso di me. Deglutii. Mi sentivo persino più osservata del solito. Quando mi fu davanti riuscii a vederla bene per la prima volta. Era bella, bellissima. Con la pelle ambrata e i tratti regali. Gli occhi dorati risaltavano come due fanali, contornati da folte ciglia scure. Per non parlare dei capelli, talmente chiari da sembrare d’argento.

<< Io mi chiamo… >>

<< So chi sei. >> La interruppi.

<< Ti chiami Lux. Lux Atkin. >>

 

 

 

<< Quindi sei figlia di Lete. >> Ripetei per la millesima volta. Lux ed io eravamo in spiaggia, sedute sulla sabbia. Lei non aveva perso tempo. Si era fatta prestare un costume da una figlia di Afrodite e stava prendendo il sole in tutta tranquillità. Ovviamente aveva un fisico da far invidia a quello di una modella, cosa mi aspettavo.

<< E sei scappata dal campo due anni fa. >> Continuai. Lux mi aveva detto tutto quanto. Di come due anni prima se ne fosse andata senza spiegazioni, di come fosse riuscita a sopravvivere per strada e ad entrare in contatto con suo padre, il dio del fiume Lete. Aveva sedici anni, come me. Non riuscivo ad immaginarmela da sola a combattere contro i mostri. Sembrava troppo delicata anche solo per sopravvivere ad una notte in campeggio. Ma guardandola negli occhi si capiva di che pasta era fatta.

<< Ti ho tenuta d’occhio, lo sai? Me l’ha detto mio padre, che siamo destinate a qualcosa di importante. >> Spiegò, stringendosi nelle spalle. Già, me l’avevano detto in tanti. Soltanto che nessuno mi aveva chiesto cosa volessi io. Perché tutto quello che desideravo era una vita tranquilla a New York, le estati passate a divertirmi al Campo. Poi sarei andata a studiare genetica ad Harvard, mi sarei laureata. Avrei trovato l’uomo della mia vita e avrei messo su famiglia. Sarei morta circondata dall’affetto dei miei cari. Ma erano soltanto sogni ad occhi aperti, e lo sapevo benissimo.

<< Sai cosa succederà? >> Sussurrai, sciogliendomi i capelli, prima legati in una disordinata coda di cavallo. Lux mi lanciò uno sguardo di sottecchi, sfiorando l’orlo del bikini con un dito, pensierosa.

<< Mio padre crede che nel Tartaro ci sia qualcosa che non va, ma non riesce a capire. Sostiene che Circe abbia fatto un incantesimo per nascondere la verità. >> Cominciò, con le parole che le scivolavano lentamente fuori dalle labbra. Appoggiai i gomiti alla sabbia, godendomi il calore del timido sole di settembre. Mi sarebbe piaciuto fingere di essere in spiaggia a chiacchierare con una nuova amica.

<< Com’è possibile che gli dei non percepiscano il risveglio di Chaos? Non dovrebbero controllare anche il Tartaro, o cose del genere? >> Domandai, lasciando scivolare qualche granello tra le dita dei piedi nudi. Lux scosse la testa.

<< Il Tartaro è terra di nessuno, e se Circe ha davvero fatto un incantesimo è molto probabile che anche gli dei stessi siano all’oscuro di tutto. >> Storse il naso, scrollando le spalle. Era evidente che anche lei era confusa quanto me.

<< Però tu sai qualcosa, non è vero? >>

<< So che tu hai delle visioni. Mi vedi. >> Asserì, sicura. Annui, lanciandole un’occhiata di sottecchi.

<< Vedo te, Nico e Adrian. >> Elencai. Ancora non riuscivo a capire cosa centrasse il figlio di Nyx. Su di lui non era stata pronunciata alcuna profezia, ma poi mi ricordai che Rachel non aveva speso alcuna parola nemmeno su di me.

<< Siamo i prescelti per fermare Chaos. >> Spalancai gli occhi nell’esatto momento in cui Lux pronunciava quella frase maledetta. Non avrebbe dovuto farlo. Perché quelle parole erano nell’aria,  ma non ero ancora pronta per sentirle. Improvvisamente mi ritrovai il peso di tutto il mondo sulle spalle. Se i miei incubi e le visioni si fossero rivelati la realtà… Beh, l’umanità sarebbe stata molto vicina all’estinzione.

<< Non sappiamo nemmeno se stia succedendo sul serio. E senza una vera e propria profezia… >> Scossi la testa.

<< Non possiamo fare niente. >> Concluse Lux per me. Mi sentivo come sull’orlo di un precipizio. Avrei potuto fare un passo indietro, e fingere che non stesse succedendo niente, oppure buttarmi nel vuoto, e andare incontro al mio destino. Ma la scelta più facile non era quella giusta.

<< Ma perché noi? Intendo, Nico è figlio di Ade. E’ potente. Ma tu… io? >> Allargai le braccia. Lux mi guardò, divertita.

<< Io sono in grado di rubare i ricordi, Genesis. Qualsiasi ricordo. Potrei guardare in faccia un uomo e fargli dimenticare come si parla, o come si cammina. E da quanto ho sentito tu non sei da meno. Nico mi ha raccontato quello di cui sei capace. >> Disse, a mezza voce. Nico le aveva parlato di me?

<< Sembrava molto felice di vederti. >> Commentai, con la voce più velenosa di quanto volessi. E di nuovo quella strana  sensazione alla bocca dello stomaco, e la voglia di prendere a pugni il bel faccino di quella ragazza.

<< Stare qui a fare niente mi fa sentire impotente. >> Sbottò, ignorando la mia affermazione. Beh, non aveva tutti i torti. Nonostante avessi il terrore di ciò che il futuro avrebbe potuto riservarmi, non sopportavo la finta “tranquillità” degli ultimi giorni.

<< Penso che dovremmo goderci la pace, finché dura. >> Borbottai, fissando il vuoto. Una scintilla di inquietudine illuminò gli occhi di falco della figlia di Lete, che si alzò in piedi di scatto.

<< Vado a farmi un bagno. >> Disse, stiracchiandosi. La guardai dal basso, stupita. Poi la osservai tuffarsi in acqua, con eleganza. Abbassai gli occhi, fissando con aria assente la sabbia cosparsa sulle mie mani.

In quel momento sembrava del tutto innocua.

Ma io sapevo benissimo che non era così. Poteva radere al suolo un’intera città, spazzare via la civiltà. Nascondere i segreti più oscuri.

Uccidere.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

NOTE AUTRICE

Taaaaaaaa-daaaaaaan *rullo di tamburi*, abbiamo scoperto chi è Lux! Adesso non resta che convincere gli dei. Riusciranno i nostri eroi nella loro ardua impresa? Lo scopriremo nella prossima puntata. Grazie mille per aver letto il capitolo, e come al solito ringrazio i miei fedeli recensori, chi segue, preferisce e ricorda questa storia!

Bacioni :3

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Capitolo 11
*** Chapter ten- Bleeding Out ***


Chapter Ten- Bleeding Out

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

When the day has come 
But I’ve lost my way around 
And the seasons stop and hide beneath the ground 
When the sky turns gray 
And everything is screaming 
I will reach inside 
Just to find my heart is beating


 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Ricapitolando:

a)     Sono a New York.

b)     Sono a New York con Nico Di Angelo.

c)     Nico Di Angelo mi ha appena offerto un gelato.

 

Appoggiai i gomiti al bancone del bar, passandomi una mano tra i capelli. Lanciai un’occhiata preoccupata all’orologio da parete attaccato di fronte a me. Erano le cinque e mezza del pomeriggio. Entro le sette saremmo dovuti ritornare al campo mezzosangue, altrimenti il “piano” sarebbe andato a monte. Quella mattina ero stata buttata giù dal letto da un Trevis più iperattivo del solito, che mi aveva comunicato in meno di trentacinque secondi che quel giorno era il compleanno di Nico, ma con lui tra i piedi era impossibile organizzargli la festa a sorpresa, perciò dovevo trovare il modo di distrarlo. Avevo impiegato un’ora e mezza per convincerlo ad accompagnarmi a “fare shopping in città” perché “ti prego, Nico, sai che mi odiano tutti, sei l’unico che non ha paura di me”. Avrei voluto tanto darmi un migliaio di botte in testa, perché mi ero comportata da bambinetta capricciosa, ma era l’unico modo perché si decidesse a dirmi di si.

<< Non ti ho mai vista qui, prima. >> Mi voltai di scatto. Un ragazzo biondo mi sorrideva. Era abbronzato, e indossava un’uniforme scolastica, con la cravatta annodata male. Doveva avere più o meno la mia età.

<< New York è una grande città. >> Mi strinsi nelle spalle, ma ricambiai il sorriso. Lui era piuttosto carino. Si grattò la testa, quasi imbarazzato. Lasciò scivolare lo zainetto su una spalla sola, poi appoggiò un braccio accanto al mio, sul bancone.

<< Beh, vengo qui tutti i giorni da più o meno due anni, e mi sarei ricordato di te. >> Mi lanciò un’occhiata birichina.

<< Credimi. >> Aggiunse poi, e mi squadrò da capo a piedi, senza curarsi troppo del fatto che sembrasse un maniaco. Mi sentii arrossire istantaneamente. Poi ridacchiai come un’idiota, cercando disperatamente qualcosa da dire. Ero una vera frana con i flirt. Nessun ragazzo mi aveva mai abbordata in quel modo. Anzi, nessun ragazzo mi aveva mai abbordata. Nelle scuole che avevo frequentato il popolo maschile preferiva le cheerleader alle sfigate con le visioni.

<< Mi chiamo Genesis, piacere di conoscerti. >> Gli strinsi la mano, con insolita sicurezza. I suoi occhi erano di un bel castano scuro, ma niente a che vedere con quelli di Nico. Stop. Perché stavo pensando a Nico?

<< Mattew, il piacere è tutto mio. >> La sua mano indugiò a lungo nella mia. Sorrisi come un’ebete. Dovevo sembrare una ragazzina alla sua prima cotta, così raddrizzai le spalle e mi schiarii la gola, trasformandomi in una donna vissuta ed esperta. Ma chi volevo prendere in giro?

<< Sei qui da sola? Perché sarei davvero contendo di offrirti un caffè, o un frappè. Insomma, quello che vuoi! >> Esclamò, sbattendo le ciglia. Oh, ma ci stava davvero provando? Insomma. Un ragazzo carino ci stava provando. Con me. Volevo dirgli che in realtà c’era Di Angelo nei paraggi, che non avevo tempo per un caffè e che non saremmo mai potuti uscire insieme, perché quasi sicuramente sarei stata braccata da mostri vari e avrei potuto avere una visione nel bel mezzo del Central Park, ma non lo feci. Che male c’era a desiderare di volersi sentire normale, almeno per un momento?  Aprii la bocca, per dirgli che mi avrebbe fatto molto piacere, ma qualcuno mi precedette.

<< No, non è qui da sola. E no, tu non le offrirai proprio niente. >> La voce di Nico mi fece rizzare i peli sulle braccia. Digrignai i denti.

<< Scusalo, oggi è di cattivo umore. >> Sorrisi, in direzione di Mattew, poi mi voltai verso il figlio di Ade, che teneva in mano un frullato alla fragola e un cono due gusti cioccolato e nocciola, come gli avevo chiesto. Mi piazzò in mano il gelato, poi posò il bicchiere sul bancone, lanciando al povero malcapitato un’occhiata che avrebbe ammazzato un piccione in volo.

<< Non sapevo che avessi il ragazzo. >> Commentò Mattew. Non capivo se fosse spaventato o arrabbiato. Forse un po’ tutte e due. Sorrisi, pestando un piede a Nico. Come si permetteva di rovinarmi il flirt?

<< Non è il mio ragazzo. Siamo soltanto… >> Mi bloccai. Cosa eravamo noi due? Amici? Conoscenti? Non ne avevo la minima idea.

<< Amici? >> Suggerì il biondo, con aria più rilassata. Tirai un mezzo sospiro di sollievo, felice che non fosse scappato a gambe levate. Non sarebbe stato carino abbandonare Nico nel giorno del suo compleanno, e non volevo farlo. Ma procurami il numero di quel tipo non mi sembrava un reato punibile con la pena di morte.

<< Ascolta, se oggi sei impegnata posso lasciarti il mio numero, così ci si sente più tardi. >> Suggerì Mattew, allargando le braccia.

<< Oh, sarebbe… >>

<< Una pessima idea. >> Sibilò il ragazzo dietro di me, afferrandomi per un polso. Provai a divincolarmi, ma lui era troppo forte. Fui tentata di rovesciargli il frappè in testa, ma non avevo voglia di scatenare una lite furibonda in un bar nel centro di New York.

<< Amico, stai tranquillo, non sono un maniaco. >> Provò a difendersi Mattew, alzando le mani in segno di resa. La presa sul mio polso non fece altro che stringersi. Magari avrei potuto estrarre Gioiosa dallo zainetto, e dare una botta in testa a Nico con il piattone. Chissà cosa avrebbero visto gli umani. Magari io che picchiavo un tipo dall’aria inquietante con una mazza da baseball.

<< Genesis, dobbiamo andare. >> Si limitò a ringhiare il figlio di Ade. Poi, prima che potessi scusarmi o dire qualcos’altro, mi trascinò via, afferrando il suo frappè con la mano libera. Mi lasciò andare soltanto quando fummo sul marciapiede, lontani dall’entrata del bar. Assaggiai il mio gelato, cercando di non farlo sciogliere tra le mie mani. Poi mi piantai davanti a Nico, assumendo un’aria feroce. Per quanto me lo permettesse il cono che avevo tra le mani, ovviamente.

<< Ma sei impazzito? Quel ragazzo era carino! Voleva soltanto scambiare due parole, e tu l’hai fatto spaventare.  >> Sbottai, con voce un po’ troppo alta. Nico mi guardò dall’alto, incrociando le braccia al petto. Poi ghignò.

<< Scambiare due parole? Mi prendi in giro? >> Domandò, sarcastico. Inarcai un sopracciglio.

<< Quel tizio ti fissava come se fossi un pezzo di carne dal macellaio. Ci mancava poco e ti avrebbe sbavato addosso. >> Ringhiò, con cattiveria. Poi sorseggiò un po’ della sua bevanda, con espressione truce. Dovevamo sembrare ridicoli.

<< E anche se fosse? Saremmo potuti uscire insieme, e poi… >>

<< Oh, ti prego, Genesis. Era un mortale. Credi davvero che saresti potuta uscire con lui? Non so se te ne sei accorta, ma non fai più parte di quel mondo! >> Esclamò, scuotendo la testa. Socchiusi gli occhi, ma poi abbassai lo sguardo. Sapevo che lui aveva ragione. Non potevo mettermi con un umano, e anche solo farci amicizia sarebbe stato pericoloso per entrambi.

<< Scusa se per una volta ho provato ad essere normale. >> Sputai tra i denti. Poi girai i tacchi. Speravo con tutto il cuore che Nico non mi seguisse, ma in due falcate mi aveva già raggiunta. Alzai la testa, orgogliosamente.

<< Central Park è dall’altra parte, ragazzina. E poi non dirmi che ti sei offesa. >> Il suo tono era quasi divertito. Fissai il cielo, come per chiedere aiuto agli dei. Però mi bloccai, evitando di fare la figura dell’idiota. La mia teatrale uscita di scena era stata indubbiamente rovinata.

<< Certo che mi sono offesa, mi hai rovinato il flirt! >> Esclamai, passandomi una mano tra i capelli. Nico alzò gli occhi al cielo, poi mi affiancò. Dovevamo sembrare proprio una coppia strana. Nonostante fosse ancora il cinque settembre- perciò faceva caldo- lui indossava i jeans neri strappati,  un giubbino di pelle che mi sarei messa soltanto in inverno inoltrato e pesanti anfibi ai piedi. Io, invece, avevo una semplice canottiera bianca e un paio di shorts da battaglia, di quelli che si comprano al mercatino dell’usato per qualche dollaro.

<< Non ti chiederò scusa, se è questo che vuoi. >> Ribatté, risoluto. Oh, ma sentitelo un po’.

<< E’ quello che fanno le persone normali. >> Sibilai. Per colpa sua non stavo nemmeno riuscendo a gustarmi quel buonissimo e dolce gelato, che si stava rapidamente squagliando sulla mia mano.

<< Primo, non sono normale. >> Cominciò, alzando il pollice.

<< Secondo, non mi dispiace, perciò non vedo il motivo per cui dovrei scusarmi. >> Concluse, soddisfatto delle sue argomentazioni. Fui tentata di strozzarlo, ma non mi sembrava il caso, nel bel mezzo di New York. Avevo detto a Trevis che ero la persona meno indicata per uscire con Nico. Per un momento avevo pensato di chiedere a Lux di prendere il mio posto, ma poi era tornata la brutta sensazione alla bocca dello stomaco. Al solo pensiero di lei e il figlio di Ade in giro per Manhattan mi veniva voglia di picchiare qualcuno.

<< Lascia perdere. >> Mi limitai a borbottare. Il Central Park distava più o meno venti minuti di cammino. Venti minuti che passarono in assoluto silenzio. Stranamente, però, non era uno di quei silenzi tesi ed imbarazzanti. Era più una specie di momento di riflessione per entrambi. Ognuno era immerso nei suoi pensieri.

 Avrei tanto voluto parlare di qualcosa, perché il mio cervello continuava a settarsi sulla modalità “Risveglio di Chaos” e “Profezie e imprese.”, “Apocalisse” e via dicendo. Con mia enorme sorpresa mi trovai a rimpiangere la mia vecchia vita. Di cosa mi lamentavo? Di Mark che mi faceva i dispetti e di mio padre che si mostrava freddo nei miei confronti? Mi venne da ridere e da piangere allo stesso tempo. Non sentivo Peter Hale da cinque giorni, eppure mi sembrava passata un’eternità. Osservai una coppietta felice che si teneva per mano, poi una madre che trascinava sua figlia lontano dalla strada, sgridandola per essere scesa dal marciapiede. Io non sarei mai stata quella madre, molto probabilmente. Non sapevo nemmeno se sarei vissuta abbastanza da compiere i miei diciassette anni, o da innamorarmi e avere dei bambini. Una vita normale. Lanciai un’occhiata di sottecchi a Nico. A volte lo ammiravo per la sua forza. Dopo tutto quello che aveva passato riusciva ancora a trovare il coraggio per andare avanti.

<< Come fai? >> Domandai, senza quasi nemmeno accorgermene. Il ragazzo mi guardò.

<< Riesci a non farti scalfire da niente. >> Continuai, a mezza voce. Lui sorrise. Un sorriso amaro.

<< Otto anni di esercizio. >> Rispose, stringendosi nelle spalle. Varcammo il cancello di Central Park senza accorgercene. Alle sei e venti avremmo preso il pullman per tornare a Long Island, perché Nico era stanco, e non era sicuro di riuscire a trasportare entrambi con un viaggio nell’ombra, fino al Campo. Aprii la bocca per parlare, ma le parole mi si bloccarono in gola. Mattew se ne stava appoggiato al tronco di un albero, e mi fissava. Sorrideva, come uno che la sa lunga. Inarcai le sopracciglia.

<< Vuole davvero essere picchiato? >> Chiese Nico, sbuffando. Il biondo ci fece un cenno con la testa, invitandoci a raggiungerlo. Il figlio di Ade ed io ci scambiammo un’occhiata. Poi ci dirigemmo verso Mattew. Dovevo piacergli proprio tanto. Magari ci aveva seguito per tutto il tempo, o forse ero troppo egocentrica, e lui aveva semplicemente scelto di passare un pomeriggio al parco.

<< Non c’è bisogno che tiri fuori la spada, Nico. >> Sorrise Mattew, facendoci l’occhiolino. Nico strabuzzò gli occhi. Poi il sedicenne biondo che ci trovavamo davanti scomparve, lasciando il posto ad un ragazzo sui venticinque, molto più bello e molto più abbronzato. E biondo. Davvero tanto biondo. L’avevo già visto nella sala del trono, sull’Olimpo. Era Apollo.

<< Miglioro di giorno in giorno con i travestimenti, lo so. >> Alzò i pollici, passandosi una mano tra i fluenti capelli color oro.

<< Divino Apollo. >> Nico sembrava accigliato, e preoccupato. Beh, non lo biasimavo. Aveva rischiato di scatenare una rissa con un dio. Il dio del sole, ma pur sempre un dio.

<< Ho scritto un haiku per questa occasione, volete… >>

<< No, grazie. >> Lo interruppi, un po’ troppo bruscamente. Ero piuttosto irritata. Pensavo di piacere davvero a “Mattew”. Invece Mattew era uno stupido dio che si divertiva un mondo a prendermi in giro, probabilmente perché non aveva il permesso di parlare con me, perciò era dovuto ricorrere ad uno stratagemma per sfuggire agli occhi vigili di quell’isterico di suo padre. La vita era ingiusta.

<< Come vuoi. >> Apollo si strinse nelle spalle. Poi frugò nelle tasche, estraendo un piccolo contenitore di plastica. Sembrava quello per le pastiglie.

<< Non ho molto tempo, ma voglio aiutarvi. Gli dei pensano che sia una cattiva idea interagire con voi in questo momento, ma non mi interessa. >> Sorrise, smagliante. Almeno Apollo era un gran figo, senza ombra di dubbio.

<< Non potevi inviarci un messaggio iride? >> Chiese Nico, con le braccia incrociate al petto. La sua maschera imperturbabile era tornata a coprigli il viso. Se era spaventato, in quel momento, non lo dava affatto a vedere.

<< Nah, troppo rischioso. E poi mi sono divertito di più così. Comunque, Genesis, c’è un motivo per cui tu e Rachel siete collegate. >> Tagliò corto. Deglutii. Volevo davvero sapere perché?

<< Me lo chiese tua madre, perché tu fossi preparata a ciò che ti aspettava. Con l’aiuto di Circe preparammo un incantesimo, attraverso il quale i mostri non avrebbero sentito il tuo odore, e il collegamento con l’Oracolo si sarebbe presentato solo al momento giusto. >> Sparò tutto d’un fiato. Spalancai la bocca, incapace di parlare. Apollo sapeva già che io e Rachel eravamo collegate? E perché aveva accettato di aiutare mia madre? Non riuscivo a capire.

<< Ma… Mia madre era stata bandita, perché hai deciso di aiutarla? >> Sussurrai, quasi per paura che qualcuno mi ascoltasse. Apollo scosse la testa, per dirmi che quello non era il momento giusto per parlarne. Ogni volta che scoprivo qualcosa, le domande quadruplicavano.

<< Non posso dirti molto altro, soltanto che credo ad Eris perché… Rachel mi ha detto delle visoni, quelle che condivide con te. Sto cercando di convincere gli altri dei… Ma non è facile. Per niente. >> Si passò una mano tra i capelli, mostrando i bicipiti gonfi e dolcemente scuriti dalla luce del sole.

<< Ma a te devono credere. Che motivo avresti di mentire? >> Intervenne Nico, scuotendo la testa. Sbuffò, scostandosi dalla fronte una ciocca di capelli color del petrolio.

<< Gli dei sono diffidenti per natura. Se non agisco con cautela penseranno che io sia passato dalla parte di Eris. Che io sia un traditore. >> Spiegò. Non mi era difficile immaginare che il resto del consiglio non gli avrebbe creduto. Ero stata nella sala del trono per nemmeno mezz’ora, eppure avevo capito di cosa erano capaci gli dei.

<< Quindi… Le visioni non sono mie, ma di Rachel? >> Domandai, mordendomi un labbro.

<< Esattamente. E lei le condivide attraverso il vostro collegamento, senza accorgersene. >> Annuì Apollo. Sospirai. Almeno quel mistero era chiarito. Restava soltanto da capire per quale motivo mia madre sapeva già ciò che sarebbe successo, e come mai Circe aveva accettato di aiutarla. Mi sentii girare la testa. Troppe domande e troppe poche risposte.

<< Devo andare adesso, si sono accorti che manco. >> Alzò gli occhi al cielo. Poi mi mise in mano il contenitore di plastica. Magari custodiva informazioni top-secret che ci avrebbero permesso di fare un po’ di luce su quell’intricato mistero. Mi sembrava di dover sciogliere un nodo complicato. Uno di quelli in cui basta trovare l’estremità del filo, e tirare. Ma io non sapevo dove si trovava quell’estremità, né se avrei avuto la forza per riuscire  a tirare.

<< Devi proteggerla, Nico. >> Apollo si rivolse al figlio di Ade, la cui bocca era distesa in una linea sottile. Impiegai un po’ per capire che si stava riferendo a me.

<< E buon compleanno! >> Ammiccò. Poi scomparve, così come aveva fatto Eris. Battei un piede per terra, frustrata. Aprii il palmo della mano, osservando la boccetta che mi aveva consegnato.

XANAX, COMPRESSE.

Non sapevo se ridere o piangere. Mi aveva regalato un contenitore di pasticche per gli attacchi di panico. Ma mi stava prendendo in giro? Srotolai il biglietto avvolto attorno alla boccetta.

Prendine un paio quando la paura diventa ingestibile. Ti serviranno.

La calligrafia era pulita e ordinata. Chi si credeva di essere? Il mio dottore? Fui tentata di scagliare via le pastiglie, ma mi bloccai. Mi bloccai, ripensando a quando avevo avuto l’attacco di panico al falò. Alla sensazione di annegare, alla sensazione che il mondo continuasse a muoversi senza lasciarmi via di scampo, e che i miei polmoni non fossero più in grado di svolgere il loro compito. Non volevo più sentirmi così. Impotente, debole.

<< Dovremmo tornare al campo. >> Mormorò Nico, con lo sguardo perso nel vuoto. Annuii, sospirando.

C’era una festa a sorpresa a cui partecipare.

 

 

 

 

 

 

 

L’orologio vicino allo specchietto retrovisore segna le ventitré e trenta. Mark sembra di cattivo umore, mentre mastica a bocca aperta la sua gomma alla fragola. Sono le sue preferite. Gli tocco un braccio, ma lui rimane fermo. Non si accorge che sono lì. Nemmeno il taxista lo fa. Ai loro occhi sono invisibile.

<< Scendi subito. Devi scappare. >> La voce di Rachel mi si insinua nel cervello. Lo so. So che sono in pericolo, lo sento fin nelle ossa. Provo ad aprire la portiera, ma le mie dita sembrano fatte di fumo. Il conducente suona sul clacson, sbuffando. Siamo intrappolati nel traffico di New York. Batto sul finestrino, ma nessuno si accorge di me.

Devo scappare, devo scappare. Morirò. Morirò se non scappo.

<< Ci vuole ancora molto? >> Borbotta il mio fratellastro, irritato. Adesso sono le ventitré e trentatré, sta per succedere qualcosa di brutto.

<< Vattene subito! >> Strilla la voce. Le lacrime mi bagnano le guance.

<< Non posso! >> Grido, disperatamente. Prendo a gomitate la portiera, ma non succede niente. Scalcio, contro al vetro del finestrino, ma non faccio altro che ferirmi i piedi. Salto addosso a Mark, ma lui non mi sente. Non può sentirmi. Sono fatta di fumo, non esisto.

Ventitré  e trentasei. Il taxista apre la bocca per parlare, ma si interrompe.

Una raffica di vento gelido penetra nella vettura. I finestrini esplodono in una pioggia di schegge. Sta cominciando. Mark urla, coprendosi la testa. La sabbia lo colpisce negli occhi, mentre io mi lancio fuori dal taxi. Atterrò sul cemento, e improvvisamente riesco a sentire di nuovo. Il sangue che mi cola dalle dita tagliate, il dolore alla spalla su cui sono caduta. E poi la sabbia.

Sono le ventitré e trentasette.

E’ così che segna l’orologio di un grattacielo di cui non mi ricordo il nome.

Non riesco ad alzarmi in piedi, perché il mostro rosso mi ha afferrato una caviglia. Tendo le mani verso Mark, che sta scappando. Lui mi guarda. Continua a fissarmi, con occhi vitrei. Poi se ne va, di corsa. Grido con tutto il fiato che ho in gola.

Sono le ventitré  e trentanove.

Un anziano signore viene risucchiato dalla sabbia.

Ventitré e quaranta; un’esplosione sconquassa New York.

E’ l’inizio della fine.

Chaos si è risvegliato.

 

 

 

 

Spalancai gli occhi, con il respiro incastrato in gola. L’autobus si fermò con uno scossone, ma io non mi mossi. La mia testa era appoggiata alla spalla di Nico. Mi ero addormentata durante il viaggio verso Long Island.

<< Stai piangendo. >> Disse il ragazzo. Sentivo le guance bagnate di lacrime, e un peso esattamente al centro del petto. Feci una smorfia. Almeno non mi ero messa ad urlare in mezzo a tutta quella gente. Sollevai la testa, asciugandomi il volto con l’orlo della canottiera.

<< Era soltanto un incubo. >> Sussurrai, ma la mia voce era ancora spezzata. Quel sogno mi era sembrato più reale dei soliti. Come se fossi davvero in quel taxi, ma nessuno riuscisse a vedermi. Come se una parte di me fosse volata fino a laggiù, mentre il mio corpo rimaneva da qualche altra parte. Mi guardai le mani. Niente sangue, niente tagli. Ma bruciavano ancora.

<< Non è mai soltanto un incubo, Genesis. >> Commentò il figlio di Ade. Sentivo il suoi occhi su di me, ma non avevo il coraggio di alzare la testa. Aveva ragione. Non avevo mai fatto un sogno così preciso, e mi ricordavo tutto quanto. L’orario dell’orologio sul taxi, quello del grattacielo… E la data. Il cinque settembre. Quel giorno. Significava qualcosa? Perché se Apollo e mia madre avessero avuto ragione, in meno di quattro ore sarebbe accaduta una catastrofe.

La sabbia avrebbe invaso New York, la gente sarebbe morta, e io non sarei stata in grado di fare niente. Perché ero troppo debole, troppo inutile… Perché il peso da portare sulle spalle era troppo gravoso per me. Sentii una sensazione di gelo strisciarmi nelle vene. Aprii lo zaino in fretta e furia, poi estrassi il contenitore con le pasticche. Ne mandai giù due in un colpo solo, ad occhi chiusi.

<< Cos’è quello schifo? >> Nico mi strappò di mano la boccetta di plastica. Appoggiai la testa al sedile, con il fiatone. Il cuore mi batteva ancora a mille, ma per lo meno riuscivo a respirare senza problemi. Lo Xanax aveva bloccato l’attacco di panico che stava per assalirmi in pullman.

<< Me le ha date Apollo. Sono per gli attacchi di panico. >> Spiegai brevemente, stringendomi nelle spalle. Una voce metallizzata avvisò che la fermata  successiva era quella di Lons Island. Altri dieci minuti a piedi e saremmo arrivati al Campo senza spargimenti di sangue.

<< Non dovresti prenderle, altrimenti non imparerai mai a controllarli. >> Scosse la testa, con tono di disapprovazione. Mi riconsegnò il contenitore, che ficcai prontamente nella tasca dei pantaloni. Volevo avere le pastiglie a portata di mano. Nico non capiva. Non sarei mai stata così forte. Forse lui si era già sobbarcato il peso del mondo sulle spalle, ma io non sarei stata in grado di reggere a lungo. Non ero un eroe. Non volevo esserlo.

<< Non riuscirò mai a controllarli. Sono troppo… Debole. >> Sputai, stringendomi le braccia attorno al torace. Poi l’autobus si fermò a Long Island, e scesi a grandi passi, afferrando lo zainetto. La fermata era praticamente in mezzo al nulla, ma di sicuro da quel punto avremmo raggiunto il campo senza difficoltà.

<< Non è vero. >> Ribatté il figlio di Ade. Nonostante stessi quasi correndo, lui non faticava a stare al mio passo. Ridacchiai. Una risatina piuttosto amara.

<< Sì, invece. E non c’è bisogno che fingi per farmi stare meglio, davvero. >> Mi stavo comportando come l’adolescente tormentava di cui parlavamo qualche sera prima, ma non mi interessava. Volevo soltanto stare da sola, e pensare a come sistemare quel casino della mia vita. E poi avrei dovuto avvertire Chirone del mio incubo, pregare che Rachel pronunciasse la stupida profezia, parlare con Lux… Nico mi afferrò per un polso, facendomi fermare bruscamente.

<< Tu hai davvero una concezione sbagliata di te stessa. >> Commentò. Alzai lo sguardo. Eravamo molto vicini. Più vicini di quanto le norme sociali avrebbero consentito. Ma eravamo amici. Soltanto semplicissimi amici. Eravamo usciti come amici, e saremmo tornati a casa come amici. Niente di particolare.

<< Sono realista. >> Asserii a mezza voce. Non ero mai stata una persona coraggiosa, né particolarmente bella o brillante. A parte la pazzia ero una banalissima adolescente newyorkese. A scuola c’erano tantissime ragazze molto più carine di me, che avevano ottimi voti a scuola e ottenevano borse di studio per lo sport. Io non avevo mai spiccato in niente.

<< No, sei coraggiosa. >> Mi corresse lui. E per la prima volta sulle sue labbra si formò un sorriso sincero. Un sorriso comprensivo, e quasi dolce. Avevo l’impressione che in Nico Di Angelo bruciasse ancora il fuoco. Era soltanto nascosto da una spessa lastra di ghiaccio, che ero riuscita a scalfire. Abbassai lo sguardo, scuotendo la testa, ma il figlio di Ade mi infilò un dito sotto al mento, costringendomi a fissarlo.

<< Quella ragazza che ha sconfitto un’Empusa, che ha affrontato Clarisse, che ha avuto il fegato di contestare Zeus… Non è coraggiosa? >> Domandò. Mi sentii le lacrime agli occhi, perché quella era sicuramente la cosa più dolce che qualcuno mi aveva mai detto.

<< Cercavo soltanto di salvarmi la vita. >> Ribattei debolmente.

<< Cercavi di fare la cosa giusta. >> La sua fronte si posò sulla mia. Sentivo i suoi capelli ribelli sfiorarmi le guance. Ci separava soltanto un respiro, un soffio. I nostri nasi si toccavano quasi, mentre lo fissavo negli occhi, incantata.

<< D-dovremmo andare… >> Balbettai senza troppa convinzione.

<< Già, dovremmo. >> Ripeté, ma il suo tono era piatto. Chiusi gli occhi.

Ok, d’accordo.

Volevo baciarlo.

Morivo dalla voglia di baciarlo. Mi chiedevo come mi sarei sentita, se il tremore a tutto il corpo sarebbe sparito o se le farfalle allo stomaco si sarebbero placate. Il cuore mi batteva a mille, come a voler scappare dalla mia cassa toracica. Ma era sbagliato. Era tutto sbagliato. Ci conoscevamo da cinque giorni, continuavamo a litigare e probabilmente di lì a poche ore saremmo morti tutti. Non potevamo stare insieme. Non in quel modo. E poi io non gli piacevo. Lui non mi piaceva. O almeno credevo.

<< Nico. >> Soffiai. Mancava davvero poco. Quattro, cinque centimetri. Chiusi di nuovo gli occhi, mentre si avvicinava sempre di più.

<< Ragazzi, finalmente! >> Spalancai le palpebre, e saltai all’indietro. Trevis Stoll ci salutava da lontano con la mano. Cosa ci faceva lì? Mi lanciò un’occhiataccia d’avvertimento. Probabilmente avevamo tardato per la festa.

<< Vi stavamo aspettando! >> Esclamò.

<< Per cosa? >> Di Angelo sembrava sospettoso.

<< Oh, vedrai. >>

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

NOTE AUTRICE

Zalve a tutti :3 allora, piaciuto questo capitolo? Apollo è sempre il solito gran figo, e finalmente si decide a spiegare qualcosa a Genesis. Nel prossimo capitolo succederà un gran casino, vedrete. Ringrazio i miei lettori, i miei recensori, chi segue, preferisce e ricorda questa storia. Grazie di cuore, tanti bacioni :3

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Capitolo 12
*** Chapter Eleven- In the End ***


Chapter eleven- In the End

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Time is a valuable thing
Watch it fly by as the pendulum swings
Watch it count down to the end of the day
The clock ticks life away


 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

<< E’ felice. >> Disse Annabeth, a mezza voce. Teneva in mano un bicchiere di aranciata, ma non aveva ancora bevuto niente. Seguii il suo sguardo tempestoso, trovandomi a fissare Nico. Il cortile della casa grande non era mai stato così tanto pieno di gente. Praticamente tutto il campo era stato invitato alla festa a sorpresa, perciò l’ambiente era un pochino sovraffollato. Due enormi tavoli da buffet erano stati posizionati al centro, e i semidei ballavano a ritmo di musica, o chiacchieravano amabilmente. La figlia di Atena sorrise. Era un sorrisetto tenero, quasi materno. Mi chiesi se sapesse che quel ragazzo era stato innamorato di Percy, ma credevo di si. Era troppo intelligente per non averlo capito.

<< Organizzate feste a sorpresa per tutti quanti? >> Domandai, incrociando le braccia al petto. Nico sembrava totalmente fuori dal suo elemento e molto imbarazzato, in mezzo a tutta quella gente che gli faceva gli auguri e batteva pacche sulle spalle, ma sorrideva. Un sorriso impercettibile, ma raggiungeva gli occhi.

<< Nah, soltanto per quelli speciali. >> Annabeth mi fece l’occhiolino. Dava l’impressione di essere rilassata, ma sapevo che non era così. Lo si notava dalla scintilla di inquietudine che le balenava ogni tanto nelle iridi, o dalla postura tesa delle spalle. Non la biasimavo. Non era un bel periodo per chi sapeva cosa stava succedendo.

<< Hai paura? >> Chiesi, senza quasi pensarci. Forse avevo semplicemente bisogno di qualcuno con cui sfogarmi, di qualcuno che provasse i miei stessi sentimenti. Non volevo parlarne con Nico, perché lui mi considerava abbastanza forte da riuscire a cavarmela da sola. Avrei voluto credergli, ma non era vero.

<< Non per me. Ho paura per Percy, per nostro figlio, per i miei amici… Il solito. >> Si strinse nelle spalle. Le lanciai un’occhiata di sottecchi. Non sembrava incinta. La pancia non si vedeva ancora, e poi era molto giovane. Lei e il suo ragazzo avevano ventuno anni, ma sembravano una coppia molto consolidata. Dovevano averne passate tante insieme.

<< Sono sicura che andrà tutto bene. >> Mormorai, ma lo dissi soltanto per convincere me stessa. Annabeth sorrise. Un sorriso falso, e tirato. I suoi occhi rimasero vigili ed inquieti. Mi strinse la spalla per un momento.

<< Vado a vedere dov’è Leo. Non vorrei che avesse fatto esplodere qualcosa. >> Poi si allontanò. Sapevo che la sua era soltanto una scusa per rimanere sola, ma non dissi niente.

Inclinai la testa, finché la mia nuca non toccò  il tronco a cui mi ero appoggiata. Le fronde degli alberi coprivano parzialmente il cielo, ma si vedevano le stelle. Era luminose, ed immobili. Mi sarebbe piaciuto essere una stella. Sembravano così lontane ed intoccabili… Come se niente e nessuno potesse sfiorarle. Brillavano di luce propria, ed erano bellissime. Sarebbero rimaste per sempre lassù, proprietarie di un piccolo pezzo di universo. Diedi un calcio alla corteccia, sbuffando. Perché stavo facendo pensieri poetici sulle stelle? Avevo cose più importanti a cui pensare. Per esempio, erano le undici e trenta. Nella visione alle undici e trenta il mondo stava cominciando ad andare in rovina. Per il momento non c’era stato alcuno spargimento di sangue, niente tempeste di sabbia o mostri che risorgevano dalle profondità della terra. Ma io non ero per niente tranquilla. Avevo persino rifiutato l’enorme ed invitantissima fetta di torta al cioccolato che Rachel aveva minacciato di infilarmi in gola, perché non ero sicura che sarei riuscita a tenerla nello stomaco. Mi passai una mano tra i capelli, ripensando alla giornata trascorsa. Mi ero divertita, se si escludeva la parte in cui Apollo mi consegnava le pasticche di XANAX. Nico si era comportato complessivamente bene, e avevamo parlato come due persone civili. Ci mettevamo a litigare per cose stupidissime, ma finiva tutto in una risata e sguardi divertiti. Avrei voluto che durasse di più. Strinsi i denti. Non dovevo pensare a lui in quel momento. Non in quel modo.

<< Genesis, vieni con noi, dai! >> Emma sbucò dal buio, prendendomi per mano. Sorrisi, dandole un buffetto in testa. Aveva dodici anni, ma sembrava molto più piccola. Mi sentivo come in dovere di proteggerla. Mi ricordava me quando ero più giovane. Così ingenua ed innocua… Ancora inconsapevole del fatto che alcune persone potessero essere davvero cattive. Adrian mi salutò da lontano. Stava parlando con Lux. Lei rideva. Un sorriso bellissimo, che le illuminava il volto perfetto.

<< Agli ordini, Em… >>

Poi qualcosa dentro di me si spezzò.

Mi inginocchiai, con il fiato bloccato in gola.

Mi sembrava di essere tornata a qualche giorno prima, quando Ipno aveva spezzato il blocco. Ma quella volta era più forte. Come se migliaia di persone stessero gridando nelle mie orecchie contemporaneamente, come se qualcuno si stesse divertendo a trapanarmi il cervello con un martello pneumatico. Sentii la gola bruciare, e mi resi conto soltanto in quel momento che stavo urlando. Sentivo la voce di Emma che cercava di farsi strada in quel mare di dolore, ma non capivo cosa stesse dicendo. Mi aveva afferrata per un braccio, mi parlava. Volevo soltanto che smettesse di fare male. Volevo svenire, volevo cessare di sentire. Qualsiasi cosa, ma non quella tortura. Ondate rosso fuoco si abbattevano su di me, scuotendomi dall’interno. Mi sembrava di distruggermi in mille piccoli pezzi di ossa e anima. I polmoni mi facevano male da tanto stavo urlando, ma volevo coprire il suono di quel dolore. Basta, basta.

<< Genesis! >> Sentii una presa sulle braccia. Una presa troppo forte.

 Erano i mostri.

 I mostri delle mie visioni che reclamavano vendetta. Reclamavano il mio corpo, per trascinarmi con loro nel Tartaro. Gridai qualcosa di insensato, perché non riuscivo a parlare. Cercai di liberarmi, ma gli artigli che mi avevano afferrata non mi lasciavano scampo. Strinsi i denti, scalciai, colpii l’aria… Ma niente. Lo sapevo. Sapevo che prima o poi sarebbe successo.

Dov’era Nico? Avevo bisogno di lui. Apollo gli aveva detto di proteggermi, perché mi aveva abbandonata? Sbraitai il suo nome, disperatamente. I mostri mi stavano trascinando via, mi avrebbero uccisa. Non avrei mai più visto mio padre, non avrei avuto una vita. Non volevo morire. Non volevo provare quel terrore viscerale, non volevo avere paura. Ma erano dappertutto, con la loro pelle butterata e la bocca spalancata in un’espressione ripugnante. E non potevo scappare, non potevo fare niente. Soltanto urlare il suo nome, sperando che riuscisse a sentirmi.

<< Genesis, sono qui! >> Una voce umana.

Spalancai gli occhi, e improvvisamente tutto si fermò.

Il mondo tornò il luogo che era veramente. Niente rosso, niente dolore, niente mostri… Soltanto una marea di facce terrorizzate che mi fissavano, ad occhi sgranati. Ero in ginocchio, con le unghie piantate nei palmi delle mani. Il sangue mi colava lungo i polsi, lento, cremisi… Vitale. Con la coda dell’occhio scorsi Rachel. Era pallidissima, aggrappata ad un braccio di Piper. Poi trovai il coraggio di alzare lo sguardo. Nico mi fissava, e per la prima volta nelle sue iridi scorsi una scintilla di vera paura. Repressi un singhiozzo, e lui se ne accorse.

 Improvvisamente mi sentii crollare. Tutti i semidei del campo mi avevano vista in quello stato pietoso, sapevano che avevo un punto debole. Avevano capito che qualcosa in me non andava, e non soltanto perché ero una figlia di Eris. Perché avevo avuto una visione nel bel mezzo di una festa, e dopo anni ci ero ricascata. Mi era sembrata così vera… Così reale. Mi sentii mancare il respiro. La mia mano scattò verso la tasca dei jeans, dove tenevo le pastiglie di XANAX. Nico mi afferrò il polso prima che potessi fare un solo movimento.

<< Sta succedendo. >> Mimai con le labbra. Poi mi alzai di scatto, liberandomi dalla sua presa. Non ci fu nemmeno bisogno di prendere a spintoni la calca, perché al mio passaggio si apriva un sentiero tutto mio. Alzai gli occhi, arrivata al centro del cortile della casa grande. Sentii soltanto un colpo al cuore, ma la mia mente analizzò freddamente la situazione.

C’era la sabbia.

Tanta sabbia.

Si abbatteva contro la barriera del campo mezzosangue, non riuscendo a scalfirla, ma il bosco circostante era percosso dalle ventata infuocate. Il cielo notturno era illuminato di rosso e arancione, ma non dai bagliori del tramonto. Era come se qualcuno avesse deciso di rovesciare un enorme  secchio di vernice addosso al mondo. Guardai l’orologio. Erano le ventitré, trentanove minuti e cinquanta secondi.

Nove.

Sapevo cosa sarebbe successo. Il legame tra me e Rachel sembrava essere diventato incandescente. Le parole dell’Oracolo di Delfi risuonarono nell’aria, leggere come il vento, ma allo stesso tempo pesanti come un macigno.

<< Nel diciottesimo giorno dell’angelo, i semidei oscuri alla chiamata risponderanno. >> Il diciottesimo giorno dell’angelo; il compleanno di Nico.

Otto.

<< Il calice della vita nascosto sarà nella terra della morte, dove l’antico potere regna senza Sorte. >> Non avevo bisogno di abbassare lo sguardo per sapere che più o meno tutti erano sul punto di vomitare, o di svenire. Mi sentivo così anche io.

Sette.

<< Il padre del mondo si sta risvegliando, i cinque semidei sconfiggerlo dovranno. >>

I cinque semidei. Nico, Lux, Adrian, me… Ne mancava uno.

Sei.

<< Il figlio della Morte, Paladino, protegge gli altri contro il suo destino. >> Cosa significava? Stavo cominciando ad odiare le profezie.

Cinque.

<< La Ladra di ricordi giurerà vendetta. >> Lux.

Quattro.

<< La figlia della Notte ad uccidere sarà costretta. >> Una sensazione di gelo mi investì. Il quinto semidio era un altro figlio di Nyx. Emma, la sorellina di Adrian.

Tre, due, uno.

 << Il sangue della bambina maledetta verrà versato. >>

<< Soltanto così il mondo può essere salvato. >>

Zero.

La tempesta di sabbia cessò improvvisamente, come avevo previsto. Un silenzio tombale calò sul campo mezzosangue. Un silenzio che valeva più di mille grida, esclamazioni, gemiti o parole. Ma dentro di me il tornado imperversava ancora, lasciandomi al posto del cuore e dello stomaco una landa brulla e desolata. Avevo pregato così tanto per la profezia… Ma mi ritrovavo a fare i conti con le conseguenze. Non avevo più scuse. Il giorno seguente si sarebbe tenuto il consiglio di guerra, con tutti i semidei, e avremmo organizzato l’impresa. Però io non ero pronta. Non sapevo combattere i mostri, non sapevo dove si trovasse questo calice della vita… Ma Rachel era stata chiara. Non c’era via di scampo.

Il mio sangue doveva essere versato, per la salvezza del mondo.

Io dovevo morire.

 

 

 

 

 

 

<< L’importante è mantenere la calma. >> Sospirò Chirone per l’ennesima volta. Mantenere la calma? Sul serio? Il mondo stava andando a scatafascio e lui pretendeva che ci sedessimo attorno ad un tavolo a sorseggiare camomilla. Bella strategia. Clarisse La Rue sembrava pensarla come me, perché sbuffò sonoramente dalle narici, come fanno i tori.

<< Devono partire, subito. >> Sibilò tra i denti, indicandoci con un ampio gesto teatrale. Io e i miei quattro nuovi compagni di avventura ce ne stavamo uno accanto all’altro. Il gomito di Adrian mi sfiorava le costole, mentre la mia mano e quella di Nico continuavano a toccarsi fugacemente, come se nessuno dei due volesse davvero quel contatto. Emma sembrava la più terrorizzata di tutti, e soltanto a vederla mi si strinse il cuore. Aveva soltanto dodici anni. Era una bambina. Non che noi altri fossimo così grandi, ma io e Lux perlomeno potevamo essere definite adolescenti, Adrian aveva diciassette anni e Nico era appena diventato maggiorenne. Sapevamo badare a noi stessi.

<< Non sappiamo nemmeno cosa cercare, come possiamo partire? >> Domandò il figlio di Nyx, passandosi una mano tra i capelli biondi. Mi trovai ad annuire. Aveva ragione. Cosa era un calice della vita? Per non parlare poi della terra della morte. Non credevo si trattasse del Tartaro. Sarebbe stato troppo… Scontato. E poi da quanto ne sapevo nel Tartaro non c’era la sabbia. Soltanto rocce, fiumi infernali e mostri.

<< Adrian ha colto il punto. >> Borbottò Percy. Lui, Annabeth e Clarisse non avrebbero preso parte all’impresa, ma erano i veterani del campo mezzosangue, e i migliori combattenti. La figlia di Atena e quella di Ares erano strateghe coi fiocchi, mentre Percy aveva coraggio da vendere. Quando avevano la mia età erano stati degli eroi. Al solo pensare quella parola mi vennero i brividi. Sembrava così strana ed irraggiungibile…

<< Ma non possiamo nemmeno aspettare molto, potrebbe scoppiare un’altra tempesta. >> Fece notare Lux. Era la prima volta che la vedevo con i capelli sciolti, senza la treccia. Così sembrava molto più giovane della sua età.

<< Togli il “potrebbe”. >> Intervenni, con tono monocorde. Nico mi lanciò un’occhiata. In quel momento avevo bisogno di Rachel, per capire se lei aveva avuto qualche visione che a me non era arrivata. Chirone aveva contattato Ipno dopo la mia performance da cantante lirica, quando il dolore alla testa mi aveva fatto desiderare di morire. Il dio aveva supposto che il mio corpo non era preparato per accogliere lo spirito dell’Oracolo, perciò aveva tentato di espellerlo, come si fa con le tossine. E per espellerlo aveva bloccato il collegamento tra me e Rachel, facendomi provare quella straziante ed insopportabile sofferenza.

Divertente, vero?

<< Io credo… >> Cominciò Chirone, passandosi una mano sul volto. Sembrava molto stanco.

<< Che dovreste andare tutti quanti a dormire. E’ mezzanotte passata, e ci aspettano giorni duri. >> Concluse, battendo a terra uno zoccolo.

Non potevo dirmi più d’accordo, ma non sarei mai riuscita a prendere sonno, ne ero sicura. Nonostante a malapena mi reggessi in piedi, sarebbe stato impossibile addormentarsi. Non dopo tutto quello che era successo quella sera. Avrei ripensato alla profezia, al suo significato, a mia madre… Mio padre. Sentii un tuffo al cuore, e la morsa che stringeva il mio stomaco mi artigliò con più forza. Come avevo fatto a dimenticarmene? Mio padre era a New York durante la tempesta. E se fosse stato fuori casa? Se la sabbia l’avesse risucchiato?

Si sentì un coro di buonanotte mormorati a mezza voce. Adrian ed Emma si allontanarono velocemente. La piccoletta era aggrappata al braccio di suo fratello, come se lo considerasse un’ancora di salvezza. Lux si passò una mano tra i capelli, poi scosse la testa. Mi lanciò uno sguardo d’intesa, ma non disse niente. Legò la lunga chioma argentea in una coda sbarazzina, e si diresse verso la cabina di Ermes a grandi passi.

<< Genesis… >> Disse Nico, una volta che fummo rimasti soltanto io e lui. Scossi la testa.

<< No. Non adesso. Devo restare sola. >> Non aspettai di sentire la sua risposta.

In realtà non volevo restare sola. L’unica cosa che desideravo con tutto il cuore era di scoppiare a piangere contro la sua spalla, e autocommiserarmi per il resto della mia vita. Ma non potevo. Perché probabilmente mio padre era ferito e spaventato, aspettando che qualcuno lo aiutasse. Forse avrei dovuto semplicemente odiarlo, e smettere di preoccuparmi per lui, ma non ci riuscivo. Mi aveva supplicato di perdonarlo, e io gli avevo chiesto di darmi tempo. Forse quel tempo era scaduto. Non potevo lasciarlo solo. Dovevo almeno assicurarmi che stesse bene, e dirgli di chiudersi in casa per il resto dei suoi giorni. Corsi nella cabina di Ermes. Grazie agli dei c’era la solita confusione, nonostante quello che era successo, perciò nessuno mi prestò troppa attenzione. Ficcai Gioiosa nello zainetto, insieme ad una felpa e una barretta di cioccolato che avevo conservato dalla sera prima. Una risatina amara mi sfuggì dalla labbra. Ma dove stavo andando? Al campo scout? Al posto del cioccolato mi sarebbe stata più utile una fiala di nettare d’ambrosia, ma non potevo concedermi il lusso di fare una sosta in infermeria.  Non ci avrei messo tanto. Un salto a casa, e poi sarei tornata al campo. Nessuno si sarebbe accorto della mia assenza.

Riuscii ad arrivare alla barriera senza troppi problemi. Mi imbattei soltanto in un figlio di Dioniso completamente ubriaco, che quando mi vide si limitò a ridacchiare, e a mollarmi una pacca amichevole sulla spalla. Per fortuna non aveva il caratteraccio di suo padre, che era stato convocato sull’Olimpo di grande urgenza. Immaginai l’espressione che doveva aver fatto Zeus quando si era accorto che mia madre ed io avevamo ragione. Un sorrisetto macabro mi si dipinse sulle labbra.

Attraversai il bosco con la mia spada stretta in mano, sobbalzando ad ogni minimo scricchiolio. Arrivai indenne alla fermata dell’autobus. Ero sicura che sarebbe passato nonostante quello che era successo. La tempesta era stata soltanto un avvertimento, un assaggio di quello che sarebbe successo dopo. Chaos si stava divertendo a giocare al gatto e al topo. Aspettai più o meno dieci minuti, con lo sguardo fisso sul mio orologio. Mancava poco all’una, ma non ero più stanca. L’inquietudine e la voglia di agire mi tenevano sveglia e vigile, pronta ad affrontare qualsiasi minaccia. Non che sapessi cosa avrei fatto se mi fossi imbattuta in un mostro. Probabilmente sarei scappata a gambe levate, o cose del genere. Mentre mi sedevo sul sedile consunto, vicino alla cabina dell’autista, pensai che non ero tagliata per fare l’eroe.

Per niente.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

NOTE AUTRICE

Ciaaaoooo :3 innanzitutto mi scuso per la profezia. Io e le rime non andiamo per niente d’accordo, ho fatto del mio meglio, lo giuro. Nel prossimo capitolo succederà un altro casino in mezzo al casino. Un casino più piccolo, ma pur sempre incasinato. Spero che il capitolo vi sia piaciuto, e come al solito ringrazio i miei recensori, chi segue, preferisce, ricorda o leggere questa storia. Grazie mille!

Bacioni

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Capitolo 13
*** Chapter Twelve- Nobody's Home ***


Chapter Twelve- Nobody’s Home

 

 

 

 

 

 

 

 

What's wrong, what's wrong now?

Too many, too many problems.

Don’t know where she belongs, where she belongs.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

<< Genesis. >> Mark mi fissava con gli occhi strabuzzati. Aveva il volto tirato e stanco, ma il suo sguardo di disprezzo non era cambiato per niente. Giocherellai con le cordicelle che pendevano dal mio zainetto della Eastpack, nervosamente. Non pensavo di trovare proprio lui alla porta. Speravo che mi avrebbe aperto direttamente mio padre, in modo da non dover dare troppe spiegazioni.

<< Posso entrare? >> Domandai, schiarendomi la gola. Lui rimaneva immobile, a fissarmi. Alzai gli occhi al cielo, rifiutando di aspettare un minuto di più. Lo sorpassai, scostandolo con una spallata, poi mi feci spazio all’interno dell’ingresso. Non era cambiato assolutamente niente, se non il fatto che non consideravo quel luogo casa mia. Non più. Ana stava spolverando le scale che portavano al piano superiore, borbottando di tanto in tanto imprecazioni in russo.

<< Mark! Chi è alla porta? >> La voce di Moira, squillante e fastidiosa, proveniva dalla cucina. Mi sistemai meglio lo zaino in spalla, stringendo Gioiosa nella mano sinistra, fino a farmi diventare le nocche bianche. Avevo paura che un mostro saltasse fuori dal pavimento e cercasse di uccidermi. Mentre camminavo, sul parquet rimasero delle impronte di sabbia. Le mie Converse si erano sporcate per colpa dei granelli che inondavano i marciapiedi  di New York. I netturbini stavano già cominciando a spazzare le strade, ma il lavoro era piuttosto lungo e noioso.

<< Ciao. >> Mi appoggiai allo stipite della porta, facendo un cenno della mano in direzione della mia matrigna. Lasciò cadere per terra il bicchiere di vino che teneva in mano, spalancando la bocca, come se avesse visto un fantasma. Di sicuro era stata felicissima quando me ne ero andata, probabilmente si aspettava di non rivedermi mai più. Anzi, credevo proprio che avesse organizzato una festa quando mio padre le aveva detto che non sarei più tornata. Con tanto di abito da sera e cocktail con gli ombrellini colorati.

<< Esci subito da casa mia. >> Sibilò Moira, con i capelli biondi che le fluttuavano attorno al volto. Inarcai le sopracciglia. Non mi sarei fatta intimidire da quella pazza isterica.

<< Non è casa tua, è casa di mio padre. >> Risposi, facendo roteare la spada. Lei deglutì con aria melodrammatica, fissando la lama scintillante della mia arma. Non ero sicura che lei vedesse Gioiosa, più probabilmente una mazza da baseball, o cose del genere. I mortali non erano in grado di ammirare il mondo nella sua totalità ed interezza. Me lo aveva detto Leo.

<< Chiamo la polizia! >> Sbraitò, afferrando il telefono appoggiato sul tavolo della cucina. Si sentì un forte trambusto al piano superiore, poi qualcuno che scendeva le scale di corsa. Mi voltai appena in tempo per vedere mio padre che inciampava nelle stampelle. Lo afferrai per un braccio, impedendogli di cadere.

<< Sei davvero qui. >> Mormorò. Mi strinse talmente forte da farmi male alle costole. Ricambiai l’abbraccio, insicura. Sentii un’ondata di sollievo investirmi, rendendomi conto che lui stava bene. Probabilmente si era slogato una caviglia, o rotto la rotula, ma stava bene. Era vivo.

<< Dovevo controllare che tu stessi bene. >> Mi limitai a sussurrare. Quando si sciolse dall’abbraccio notai che aveva gli occhi pieni di lacrime. Mi invitò a sedermi in cucina, sotto lo sguardo stralunato di Moira, che teneva ancora in mano il telefono. Voleva sicuramente lanciarmelo in testa, stile arma contundente. Ana, che doveva assolutamente pulire il pavimento della cucina, ci servì da bere, guardandomi come se mi avesse vista per la prima volta. Non pensavo che si sarebbe dimenticata di me così facilmente, del resto mi aveva urlato contro almeno diecimila volte perché il pavimento della mia stanza era sempre disseminato di vestiti.

<< Come ti trovi al… in quel posto? >> Domandò, a bassa voce. La mia matrigna uscì dalla stanza, furibonda. Grazie agli dei, avevamo bisogno di un po’ di privacy.

<< Posso sapere come mai Ana è ancora qui? E perché eravate tutti svegli? Manca poco alle due. >> Borbottai, stringendo tra le mani la mia tazza di cioccolata calda. Non faceva freddo, ma avevo comunque i brividi. La bevanda dolce mi scaldò lo stomaco, facendomi rilassare.

<< E’ rimasta bloccata qui a causa della tempesta. Ha già pulito tutto questa mattina, ma credo che sia spaventata. Sta cercando qualcosa da fare. Comunque, non hai risposto alla mia domanda. >> Mio padre si strinse nelle spalle, poi mi lanciò uno sguardo molto triste. Forse gli mancavo sul serio.

<< Sto bene, papà, non è per me che devi preoccuparti. >> Sospirai, con voce improvvisamente cupa. Avevo smesso di avere paura per me stessa un po’ di tempo prima. Mi ero sempre considerata una persona piuttosto egoista, ma in quei cinque giorni qualcosa in me era cambiato. Era poco tempo, ma non ero più la ragazzina di qualche mese prima, che si faceva maltrattare da Mark e passava le estati in manicomio.

<< Quello che è successo a che fare con loro, vero? >> Indicò il soffitto, con aria spaventata. Ridacchiai, scuotendo la testa. Ovviamente si stava riferendo agli dei e all’Olimpo. Annuii, lentamente. Non avevo intenzione di spiegargli tutto quanto. Non avrei fatto altro che terrorizzarlo ancora di più; avevo soltanto bisogno che mi ascoltasse.

<< Non posso scendere nei particolari, ma la tempesta non è stato un episodio isolato. >> Cominciai, passandomi una mano tra i capelli.

<< Ce ne saranno altre, sempre più violente e pericolose. Dovete chiudervi in casa. Fate scorte di cibo, e soprattutto acqua, molta acqua. >> Sparai tutto d’un fiato, sporgendomi verso mio padre. I suoi occhi color nocciola si spalancarono, in un’espressione stupita e spaventata allo stesso tempo.

<< M-ma… Cosa dirò a Moira? E poi ho il lavoro, non posso… >> Cominciò a balbettare, scuotendo la testa con troppa veemenza. Finii la cioccolata calda con rimpianto, ne avrei voluta ancora. Poi riappoggiai la tazza sul tavolo, lentamente.

<< Papà. >> Lo interruppi, con durezza.

<< Non ci sarà più nessun lavoro. Si sta scatenando l’Apocalisse, e non abbiamo molte possibilità di sopravvivere. Prometti che farai quello che ti ho detto, ti prego. >> Gli strinsi l’avambraccio, incatenando il mio sguardo al suo, perché capisse quello che cercavo di comunicargli. Poi sfiorai l’elsa di Gioiosa, cercando di infondermi sicurezza

<< Non posso, Genesis. Cerca di capirmi. >> Rispose infine, con la voce spezzata. Strinsi la mascella, distogliendo gli occhi.

<< Tu non… Almeno comincia a fare le scorte, per favore. >> Esclamai, con voce piuttosto tirata. Lui mi fissò per un lungo istante, appoggiando la schiena alla sedia, con aria esausta. Si passò una mano tra i capelli brizzolati. Sembrava molto più vecchio rispetto all’ultima volta in cui l’avevo visto.

<< Ci proverò, ma… >> Si bloccò, perché Moira sbraitò qualcosa a gran voce.

<< Peter, la polizia vuole parlare con noi! >> Gridò. La sua voce proveniva dall’ingresso. Mio padre mi lanciò uno sguardo di scuse, poi si alzò, aiutandosi con le stampelle. Per un momento pensai che sarei rimasta in cucina, ma non volevo lasciarlo solo. E poi una strana sensazione di inquietudine si era improvvisamente impossessata di me. Come se ci fosse qualcosa che non andava.

<< Agenti, cosa posso fare per voi? >> Sentii l’uomo domandare, con voce estremamente cordiale. Era sempre stato molto gentile con le autorità, forse perché era un avvocato e aveva imparato molto bene a fare buon viso a cattivo gioco.

<< Mia figlia? Oh, mi dispiace, ma non è qui ora. Vede, è partita per una gita scol… >> Il corpo di mio padre volò per tutto l’ingresso, andandosi a schiantare contro le scale. Tornai in cucina correndo, afferrando Gioiosa con forza.

<< Genesis Hale! Sappiamo che sei qui! >> Quelle voci… Pamela e Michelle. Ma Nico le aveva uccise quel giorno a scuola.

Perché erano ancora vive? Perché erano tornate a cercarmi? Deglutii, cercando di ragionare a mente lucida. Non potevo scappare dall’ingresso principale, perché era bloccato dalle Empuse. Osservai le scale per un istante. Camera mia dava sul giardinetto sul retro, e dalla mia finestra potevo saltare fino ai rami del grande olmo che cresceva lì da molto tempo. Poi non mi restava altro da fare che correre fino alla fermata del pullman, sperando di seminare i mostri. Non potevo trattenerli a lungo in casa, o qualcuno si sarebbe fatto seriamente male.

<< Eccoti, ragazzina. >> Ringhiò una terza voce, sconosciuta. Mi sentii il cuore in gola.

Cazzo.

Erano in tre. Si erano portate un’altra amichetta con cui giocare. Calcolai brevemente le speranze che avevo di riuscire a sorpassarle per salire le scale. Molto scarse, ma non avevo altra scelta. Gli occhietti rossi del mostro si puntarono su di me. Pensai di utilizzare il mio potere, ma eravamo tre contro uno, e poi ero troppo lontana. Deglutii, poi mi lanciai all’attacco. Con un fendente laterale feci spostare l’Empusa, che mi lasciò spazio per scappare attraverso la porta della cucina, e raggiungere di corsa le scale. Parai un artigliata di Pamela con il piattone, poi cominciai a salire i gradini a due a due. Sentii unghie affilate e lunghissime infilarsi nel polpaccio. Gridai, dando uno strattone. La mia pelle si lacerò completamente, ma perlomeno ero riuscita a liberarmi. Però c’era qualcosa che non mi tornava. Pamela e l’altro mostro erano al piano di sotto, ma non avevo ancora visto…

<< Dove scappi, dolcezza? >> Michelle non si era ancora trasformata. Indossava una divisa da poliziotta, che- per quanto detestassi ammetterlo- le stava d’incanto.

 Non impiegò molto a diventare un’orribile creatura spelacchiata, con gli occhiali da sole. Dannazione. Doveva aver intuito qualcosa riguardo al soggiogamento. Se non riuscivo a guardarla negli occhi, non avrei mai potuto piegarla al mio volere, sempre che avessi le forze per farlo. Mi lanciai in avanti, con un affondo mirato. Michelle si scostò appena in tempo, e la lama cozzò di striscio contro al suo fianco. Il mostro produsse un sibilo disgustato, osservando qualche goccia di sangue scivolarle lungo le gambe pelose.

<< Oh, adesso sai combattere con la spada? Davvero ammirevole. >> Ghignò Michelle, scoppiando in una risata che assomigliava ad un ululato. Deglutii. Non avevo speranze contro di lei. Con la coda dell’occhio mi guardai alle spalle. Pamela e l’altro mostro erano sul fondo delle scale, e mi fissavano con odio. Ero in trappola.

<< Che bello rivederti, Michelle. Sai che stai bene con la divisa da poliziotta? >> Cominciai, con tono stridulo. Il panico nella mia voce era chiaramente percepibile, ma non avevo altra scelta, se non perdere tempo per farmi venire in mente qualcosa.

<< Lo so. A dire il vero mi dona molto più della divisa da cheerleader. >> Sorrise lei. Un sorriso orribile e spaventoso, ma evitai di dirglielo.

<< Già, lo credo anche io. Quei pon-pon erano orribili, in effetti. >> Risposi, gesticolando.

<< Sono d’accordo! E poi… >> Si bloccò.

<< Oh, aspetta. Stai cercando di fare quel giochino anche con me. >> Ringhiò, su tutte le furie.

Poi, con uno scatto fulmineo, venni artigliata per la gamba, e Michelle mi lanciò giù dalle scale. Atterrai sul pavimento dell’ingresso, battendo una spalla. Vidi soltanto puntini rossi per un istante, e quando rinvenni il dolore era come un potente e rimbombante rumore di sottofondo. Strinsi i denti, rialzandomi. La gamba destra mi cedette per un attimo, ma riuscii a rimanere in piedi. Il sangue mi colava sulla pelle, ed ero piuttosto sicura che la mia spalla non stesse affatto bene. C’era il rischio che mi fossi slogata l’articolazione, o cose del genere. Allontanai Pamela con un fendente, che la colpì allo stomaco, poi indietreggiai. C’era la possibilità di uscire dalla finestra della cucina, anche se avrei impiegato tempo ad aprirla, e mi sarei dovuta arrampicare sui fornelli. Riuscii ad abbassarmi in tempo per schivare cinque artigli diretti al mio viso, ma mi ero dimenticata che loro avessero un vantaggio numerico. Errore madornale. Il dolore alla schiena fu acuto e bruciante, mentre cadevo sul pavimento freddo. Altro sangue. Dovevo assolutamente trovare il modo di scappare, o non sarei sopravvissuta. Mi voltai, stringendo Gioiosa con forza. Se l’avessi persa sarebbe stata davvero la fine.

<< Ultime parole? >> Domandò Pamela, piantandomi uno zoccolo peloso contro al collo. Annaspai in cerca d’aria, ma lei premeva troppo forte.

<< Vai al Tartaro. >> Ma quella non era la mia voce. Una lama nera come l’ossidiana si abbatté sulla gola della biondina, recidendo di netto la testa. Approfittai di quel momento per rialzarmi, e ficcare la mia spada nel cuore della terza Empusa, che non avevo mai visto prima. Speravo di aver colpito il punto giusto, e quando il mostro esplose in una nuvoletta mi permisi di respirare di nuovo, cadendo in ginocchio.

<< Non posso lasciarti sola un secondo e tu combini un fottuto casino! >> Ringhiò Nico, infilzando Michelle nella schiena, uccidendola una volta per tutte.

<< Oh, chiudi quella bocca! >> Sbraitai, chinandomi su me stessa. L’adrenalina mi stava abbandonando, insieme ai residui di energia che mi erano rimasti in corpo. Il dolore peggiore era quello alla spalla, che, sommato ai vari tagli che avevo sulla coscia, sui polpacci e sulla schiena, rendeva la vita un vero schifo.

<< Diis Immortales, quanto sangue… >> Imprecò il ragazzo, chinandosi accanto a me. Strinsi i denti, ignorando il bruciore a tutto il corpo. Del resto era stata colpa mia se ero finita in quella situazione. Avevo immaginato che sarebbe andata a finire così, ma non potevo rinunciare a vedere mio padre. Sarebbe stato peggio di qualsiasi ferita.

<< Sto bene. >> Borbottò il mio orgoglio, al mio posto. Il figlio di Ade mi lanciò un’occhiataccia, sollevandomi senza sforzo, e dirigendosi in salotto a passo spedito. Un divano era già occupato da mio padre, in evidente stato confusionale. Mark fissava il vuoto, Moira piangeva disperatamente e Ana mi trucidò con lo sguardo quando Nico osò posarmi sulla poltrona libera, sporcando la pelle italiana di sangue. Rischiai di urlare quando la mia spalla toccò lo schienale.

<< Bevi. >> Il ragazzo mi consegnò una fialetta di nettare, che buttai giù tutto d’un fiato. Il dolore diminuì, trasformandosi in un sordo e fastidiosissimo brusio di sottofondo. Nico era piuttosto incazzato. Lo si notava dai movimenti bruschi, e dall’espressione dura dipinta sul bel volto. Chissà come faceva a sapere che ero andata da mio padre. Forse mi conosceva meglio di quanto io conoscessi me stessa.

<< Qui servono i punti. >> Mormorò, pensieroso, fissandomi la gamba con aria preoccupata.

<< Tu. Vammi a prendere un kit ti pronto soccorso. >> Ordinò a Mark. Lui, dal canto suo, rimase fermo immobile, con la bocca spalancata nell’espressione più ebete che avessi mai visto. Se non fosse stato per il male e la stanchezza sarei scoppiata a ridere e gli avrei fatto una foto.

<< Ora. >> Ringhiò Nico, facendo scattare i denti. Il mio fratellastro si riscosse, e sparì di corsa. Sicuramente non era preoccupato per me. Era molto più probabile che fosse terrorizzato dal neo-diciottenne, che in quel momento incarnava il perfetto stereotipo del figlio di Ade. Mark tornò in fretta, consegnando al ragazzo una cassettina rossa con una croce bianca sopra.

<< Da quando sai mettere i punti? >> Chiesi, cercando di sembrare divertita.

<< Farà abbastanza male. >> Mi avvertì, ignorando la mia domanda.

<< Non ho paura del dolore. >> Bugia.

<< Cercherò di metterci poco. >> Continuò, imperterrito. Annuii, e chiusi gli occhi mentre Nico infilava il filo da sutura nella cruna dell’ago.

Poi iniziò a cucire, e io mi morsi una mano per non mettermi ad urlare, mentre lacrime silenziose mi bagnavano le guance. Durò pochi minuti, ma a me sembravano passate ore quando il ragazzo recise il filo con i denti, rimettendo tutto al suo posto. Rimasi immobile per un istante, stringendo con tutta la forza che avevo il bracciolo della poltrona, mentre il bruciore diminuiva. Ne avevo decisamente abbastanza di soffrire per quella giornata. Improvvisamente mi sentii stanchissima. Mi sarei voluta addormentare su quella poltrona, e rimanere lì a poltrire per il resto della mia vita. Mi alzai a fatica, appoggiando tutto il peso del corpo sulla gamba buona.

<< Cosa credi di fare? >> Nico mi fissava con le sopracciglia inarcate.

<< Tornare a casa? >> Domandai, sarcastica. Scossi la testa, lanciandogli un’occhiataccia.

<< Non puoi camminare ora, ti salterebbero i punti. >> E mentre me lo spiegava, con tono monocorde, mi prese in braccio, mettendosi in spalla il mio zainetto. Avrei voluto dirgli che piuttosto che farmi trasportare da lui mi sarei messa a strisciare come un verme, ma avevo la lingua impastata, e mi si chiudevano gli occhi. Allungai un braccio verso mio padre, che si era addormentato, con le stampelle accanto al divano. Chissà cosa aveva fatto alla gamba.

<< Non tornare mai più, Genesis Hale. Non fai più parte di questa famiglia. >> Disse Moira, con voce maligna. Forse aveva ragione. Non ero mai stata una buona figlia, non avevo mai portato gioie in casa. Forse il mio posto non era mai stato sotto quel tetto di quella villetta di New York. E allora qual era, il mio posto? Il Campo Mezzosangue, dove tutti sembravano avere paura di me? A chi appartenevo? Chi si sarebbe preso cura di me? Magari avrei semplicemente dovuto imparare a non affezionarmi, a contare soltanto sulle mie forze. Mi sentii gelare, ma non risposi, mentre avvolgevo le braccia attorno al collo di Nico, nascondendo la testa contro al suo petto.

Il dondolio della sua andatura era così rilassante che temetti sul serio di scivolare tra le braccia di Morfeo. Sfregai il naso contro alla scapola del figlio di Ade, e lo sentii rabbrividire. Impossibile. Forse era soltanto l’effetto della stanchezza. Il viaggio nell’ombra non fu traumatico come al solito. Sentii soltanto una stretta allo stomaco, ma durò pochissimi secondi. Quando arrivammo al Campo non c’era nessuno ad aspettarci. Evidentemente Nico aveva preferito venire a cercarmi per conto suo. Decisione saggia. Era inutile mettere in allarme Chirone e gli altri soltanto perché ero preoccupata per mio padre e avevo deciso di fare una gita fuoriprogramma a New York. L’ambiente rischiarato dalla luna era silenziosissimo. Persino nella cabina di Ermes non si sentiva volare una mosca. Non volevo tornarci. Volevo restare con Nico.

<< Posso… Posso dormire da te stanotte? >> Mormorai, con la voce ovattata dal tessuto della sua maglietta. Di sicuro se fossi stata lucida non glielo avrei mai chiesto, ma del resto era vero. Non volevo svegliarmi in preda agli incubi e agli attacchi di panico. Con lui non sarebbe mai successo, perché mi faceva sentire protetta. E in quel momento l’unica cosa di cui avevo bisogno era un luogo sicuro dove riposare.

<< Ah, Genesis. Cosa devo fare con te? >> Sussurrò, ma il suo tono era divertito.

Quando aprì la porta della cabina di Ade tirai un mezzo sospiro di sollievo. Quel posto era inquietante, con le pareti nere e la quantità industriale di pugnali sparsi un po’ dappertutto, ma non mi interessava. Mi fece sdraiare sul suo letto, e sentii freddo senza il suo corpo contro il mio. Cavolo. Perché pensavo a quelle cose assurde? Mi sembrava di essere diventata la protagonista di uno di quei smielati romanzi rosa che avevo sempre detestato con tutto il cuore. Mi misi a sedere, mentre Nico frugava nel suo armadio.

<< Tieni. >> Mi lanciò una maglietta, che non ebbi la prontezza di afferrare al volo. Mi atterrò in grembo. La guardai per un istante, senza capire. Poi mi resi conto che la mia canottiera bianca era macchiata di sangue un po’ dappertutto, era sporca di sudore e coperta di sudiciume. Il diciottenne fissava il suo guardaroba mentre io indossavo la sua t-shirt e toglievo i pantaloncini, infilandomi poi sotto le lenzuola. Crollai a peso morto sul cuscino, senza riuscire a sostenere il peso della testa. Il ragazzo si sedette accanto a me, guardandomi con un’espressione indecifrabile dipinta sul volto pallido.

<< Sai cosa? Sei un cavaliere senza macchia e senza paura molto strano. >> Biascicai, con gli occhi che mi si chiudevano contro la mia volontà.

 << Hai battuto la testa, eh? >> Le sue labbra si curvarono in un sorriso sarcastico. Mi scostò una ciocca di capelli dalla fronte, quasi distrattamente, come se non ci avesse pensato. La sua mano si fermò sulla mia guancia, mentre si rendeva conto del suo gesto. Nonostante fossi nel mio mondo di unicorni rosa ed arcobaleni, mi sentii mancare il respiro al contatto con le sue dita fredde.

<< Mio padre sta bene. Mi dispiace… >> Mi interruppi, sbadigliando.

<< Mi dispiace per averti messo nei guai. >> Borbottai con voce strascicata.

<< Potevi morire, per colpa mia. Deve essere una seccatura corrermi dietro a causa della profezia. >> Bofonchiai ad occhi chiusi, mentre il sonno tirava le mie membra con più forza, per trascinarmi nella sua spirale. Prima di perdere coscienza mi parve di sentirlo sussurrare qualcosa, ma forse me l’ero soltanto immaginato.

<< La profezia non cambia le cose, Hale. Io ti proteggerei sempre. >>

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

NOTE AUTRICE

Ed ecco il casino più piccolo nel casino grande. Comunque, non so se riuscirò a pubblicare il prossimo capitolo entro tre giorni, perché domani ho gli esami scritti e lunedì gli orali (AIUTO). Comunque, grazie mille come al solito, e spero che il capitolo vi sia piaciuto!

Bacioni e buona fine delle vacanze :3

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Capitolo 14
*** Chapter thirteen- Monster ***


Chapter Thirteen- Monster

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

If I told you what I was,
Would you turn your back on me?
And if I seem dangerous,
Would you be scared?

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

<< Questo posto non mi piace. >> Commentai, con il naso rivolto all’insù. L’edificio che ospitava il casinò Lete era enorme e sfavillante. Migliaia e migliaia di insegne luminose inondavano l’oscurità della notte, facendo sembrare il grattacielo un enorme albero di Natale di vetro e cemento armato. Non avevamo impiegato molto tempo a trovarlo, data la grandezza, ma era diverso dagli altri casinò di Las Vegas. Innanzitutto era decisamente sovraffollato, e poi sembrava che persino i senzatetto potessero entrarci.

<< Già, mio padre ha un pessimo gusto in fatto di decorazioni. >> Lux si strinse nelle spalle, facendomi l’occhiolino. Il casinò Lete era gestito da- rullo di tamburi- Lete, il dio del fiume infernale. Non si poteva certo dire che il padre della ragazza brillasse per originalità, ma perlomeno era dalla nostra parte, o almeno speravamo. La divinità aveva contattato sua figlia quel pomeriggio, dicendole che era disposto ad aiutarci. Non sapevamo esattamente in che modo avrebbe potuto aiutarci, dato che in quel periodo avremmo avuto bisogno di un’intera squadra di medici e psicologi al seguito, ma non eravamo nella condizione di rifiutare una mano.

<< Beh, prima ce ne andiamo meglio è. Dite che possiamo entrare conciati così? >> Domandò Adrian, squadrandoci da capo a piedi. Mi grattai la nuca, dubbiosa. Eravamo decisamente in tenuta da combattimento. Nico con gli anfibi e la maglietta nera, io e Lux con i pantaloncini e i capelli raccolti, mentre il figlio di Nyx indossava la maglietta arancione del campo. Ognuno si teneva ben stretta la propria arma. Sentire l’elsa di Gioiosa premere contro le ossa del mio bacino mi infondeva sicurezza.

<< Non ho alcuna intenzione di infilarmi uno stupido smoking, quindi andiamo e basta. >> Nico mise fine alle nostre disquisizioni con tono sbrigativo, e si diresse verso il grande ingresso dell’edificio. Superammo un’Idra che sputava acqua nella vasca sottostante, camminando spediti sul tappeto rosso, stile Hollywood. Alcuni turisti in visita ci lanciarono occhiate stupite, probabilmente perché sembravano quattro ragazzini strafatti che andavano in giro vestiti da clown.

<< Benvenuti al casinò Lete, signorine e signorini. >> All’ingresso fummo bloccati da due donne dall’aria molto cordiale, che secondo il mio modesto parere non erano umane, proprio per niente. I loro capelli fluttuavano come mossi da una corrente marina, e la loro pelle assumeva una sfumatura leggermente bluastra quando tutte le lampadine cambiavano colore, circa ogni venti secondi.

<< Siamo le ancelle di Lete. Vi chiediamo gentilmente di consegnarci le vostre armi. La politica del casinò è molto chiara a riguardo. Niente violenza, o sarete sbattuti fuori. >> Sorrise gentilmente l’altra. Lanciai un’occhiata a Lux. Era lei la figlia del dio in questione, perciò era lei che avrebbe dovuto ricorrere alla sua parlantina in caso di bisogno. La ragazza aprì la bocca, ma fu interrotta da una delle due ancelle.

<< Oh, sappiamo chi sei, cara… Ma tuo padre ha deciso che la politica del casinò va applicata a tutti i suoi ospiti. Perciò… >> Tese le mani verso di noi, in un gesto eloquente. Estrassi Gioiosa dal fodero, con titubanza. La donna me la strappò di mano senza troppi complimenti, e fece la stessa cosa con la spada di Nico e quella di Adrian. L’operazione fu un po’ più complicata con Lux, dato che dovette consegnarle arco, frecce e faretra, ma alla fine ne uscimmo tutti pulitissimi.

<< Le vostre armi vi saranno riconsegnate all’uscita dal casinò, speriamo che il vostro soggiorno sia piacevole. Buona serata. >> Dissero all’unisono, poi si spostarono, lasciandoci entrare. L’ingresso era enorme. Al centro c’era un’altra fontana scultura rappresentante Idra , soltanto cinque volte più grande di quella esterna, e dieci ascensori caricavano e scaricavano tutti i visitatori ad una velocità impressionante. Lete aveva messo su un bell’affare, non c’era che dire. Dovetti aggrapparmi all’orlo della maglietta di Adrian per non essere travolta dalla calca.

<< Non perdetevi! >> Esclamò Nico, cercando di sovrastare il vociare rimbombante. Alzai gli occhi al cielo, cominciando a spintonare la gente. Non sopportavo i luoghi affollati. Tutto quel contatto, sconosciuti che invadevano continuamente il tuo spazio vitale… No, decisamente non faceva per me. Alla fine riuscimmo ad arrivare indenni al bancone della reception. Il mio piede sinistro pulsava ininterrottamente, dopo essere stato pestato almeno una decina di volte, però ero tutta intera.

<< Posso fare qualcosa per voi, ospiti mezzosangue? >> Un’altra donna con i capelli fluttuanti picchiettava sulla tastiera di un computer ad una velocità incredibile. Non alzò nemmeno lo sguardo mentre ci parlava. Urlò alla sua collega di rispondere al telefono, poi ci sorrise.

<< Ehm… Dovremmo incontrare mio padre. >> Rispose Lux, giocando nervosamente con la sua lunga treccia argentea. L’ancella alzò un dito, facendoci segno di aspettare. Tornò concentrarsi sul fisso di ultima generazione, con sguardo attento. Passò qualche secondo, poi le sue labbra si dischiusero in un sorriso a trentadue denti. Denti bianchissimi, dovevo dire.

<< Oh, sì. Vi stava aspettando. Purtroppo per raggiungere l’attico non è possibile prendere l’ascensore. >> Si rabbuiò per un attimo.

<< Ma ovviamente ci sono le scale! >> Trillò, felice. Oh, no. Per favore, assolutamente no. La mia gamba era ancora piuttosto malconcia, per non parlare poi del dolore pulsante alla spalla, che continuava a peggiorare ogni volta che facevo qualche sforzo.

<< A che… A che piano è? >> Chiese Adrian, cauto.

<< Al cinquantesimo. Una passeggiata, no? >>

<< Già, cose da niente. >> Ringhiò Lux, sarcastica. Nico le afferrò il braccio prima che potesse sbatterlo sul bancone della reception, poi la trascinò via. Adrian ed io ci affrettammo a seguirli, non volendo rimanere indietro. Certo, quel posto era soltanto un casinò… Però era gestito da una divinità, pur sempre il padre di Lux, ma non mi fidavo comunque. Gli dei aiutavano molto raramente i mezzosangue, per qualche strano motivo. Probabilmente si ritenevano superiori ai mortali, e preferivano vivere nella loro finta e fragile bolla di perfezione, che prima o poi sarebbe scoppiata. Dritta in faccia a loro.

<< Sverrò prima di arrivare in cima. >> Borbottai, accasciandomi contro la parete, nonostante non avessimo nemmeno salito un gradino. Per quale motivo non potevamo usare gli ascensori? Volevo farci venire un infarto? Eravamo troppo giovani per morire. Non sarei rimasta sorpresa se lungo il percorso ci fossero stati degli ostacoli. Stile gioco dell’oca.

Ops! Sei caduto nella trappola. Vieni ucciso da un branco di Gorgoni e torni al VIA.

Dei, stavo impazzendo. Anche se l’idea di considerare l’intera impresa come un gioco da tavolo mi faceva spuntare il sorriso sulle labbra. Ero sempre stata brava con i giochi in scatola. Soprattutto a Cluedo. Di solito riuscivo sempre a capire chi era l’assassino prima degli altri. Chissà se in quel frangente la mia abilità da detective mi avrebbe aiutata a scovare la Cassandra Scarlett della situazione.

<< Genesis? >> Sentii la mano di Nico sulla schiena. Il suo sguardo si soffermò sui miei pantaloncini. Sapeva che stavo pensando alla mia gamba, e il fatto che certamente fare cinquanta piani di scale a piedi non mi avrebbe di certo guarita. Comunque avevo del nettare d’ambrosia nello zaino, e non è che un paio di gradini mi avrebbero ammazzata… Giusto? D’accordo, in realtà avrei preferito mille volte combattere contro un’Empusa arrabbiata, ma soltanto perché ero piuttosto pigra. I miei migliori amici erano gli ascensori.

<< Ce la faccio. >> Risposi. Adrian e Lux stavano già iniziando a salire a passo sostenuto, ma con calma.

<< Lo so. >> Rabbrividii, percependo il suo respiro sul collo.

<< Volevo solo sapere se stai bene. >> Mi affiancò. Sembrava molto nervoso senza la sua fedele spada al seguito. Beh, non lo biasimavo. Io avevo Gioiosa da pochi giorni e già mi mancava. Mi chiesi cosa sarebbe successo se ci fossimo imbattuti nei mostri. Non avremmo avuto via di scampo, a parte scappare. Una fortuna che fossi una maestra nell’arte della fuga.

<< Mai stata meglio. >> Sbuffai. Non avevamo ancora avuto l’occasione di parlare di tutto ciò che era successo la sera prima… In realtà stavamo entrambi evitando quell’argomento. Lui non mi sembrava arrabbiato, ma ripensando alle mie braccia attorno al suo collo e al profumo della sua maglietta contro la mia pelle cominciava a battermi il cuore a mille e mi sentivo la gola secca. Nico aprì la bocca per rispondere, ma fu interrotto.

<< Ragazzi, volete sbrigarvi!? >> Sbraitò Lux, ormai giunta alla seconda rampa di scale. Alzai gli occhi al cielo. Speravo che arrivati all’attico di Lete ci sarebbe stato offerto almeno uno spuntino, dato che avevo già fame.

Sempre ammettendo il fatto che saremmo sopravvissuti a cinquanta piani.

 

 

 

 

 

 

<< Non mi sento più le gambe. >> Ansimò Adrian, accasciandosi contro l’unica porta che avevamo trovato al cinquantesimo piano. Sorprendentemente non c’era nessuno ad accoglierci. Mi sarei aspettata come minimo una decina di guardie armate, e le ancelle con la pelle blu, ma l’anticamera dell’attico era deserta. Strinsi i denti, immobilizzandomi la spalla con la manica della maglietta. Ad ogni passo che facevo il dolore peggiorava; non era niente in confronto a quello alla gamba.

<< Ci abbiamo messo venticinque minuti. Un record. >> Nico si passò una mano sulla fronte, asciugandosi il sudore. Estrassi la bottiglietta dell’acqua dal mio zainetto,  praticamente finendola senza nemmeno respirare. Avrei voluto versarmela in testa, ma non ne rimaneva molta. In quel momento mi sarei stesa sul pavimento per dormire, ma purtroppo Lux era già passata all’azione. Bussò un paio di volte alla porta dell’attico, con aria piuttosto tesa. Del resto quando un dio proponeva il suo aiuto non c’era da fidarsi. Avrebbe potuto tenderci una trappola, o cose del genere. Magari era dalla parte di Chaos. Tutti quei dubbi cominciarono a farmi pensare che forse la missione non si sarebbe svolta come previsto. Per fortuna eravamo riusciti a convincere Emma a restare al Campo. Non potevamo permetterci che le succedesse qualcosa di brutto.

<< Lux, figlia mia! >> Lete era un uomo sui quarant’anni, con i capelli argentei e un paio di iridi azzurro liquido, che sembravano galleggiare placidamente attorno alla pupilla bluastra. Il dio abbracciò sua figlia con trasporto, come se non la vedesse da mesi e mesi. Per un momento mi sentii triste. A Lete importava di Lux, le voleva bene. Mia madre non mi aveva nemmeno sfiorata quando ci eravamo incontrate per la prima volta nella radura. Per lei probabilmente ero soltanto un peso, oppure uno strumento d’intermediazione con gli dei. Senza di me nessuno le avrebbe mai creduto, nemmeno Apollo.

<< Vedo che ci sono anche i tuoi amici. Mi dispiace che la piccola Emma non sia potuta venire. Prego, entrate! Fate come se foste a casa vostra. >> L’uomo ci mostrò un sorriso candido, scostandosi dall’uscio. Varcammo la soglia uno alla volta, con titubanza. Quando mi trovai davanti l’attico rimasi a bocca aperta. Era una specie di loft enorme, con una piscina gigantesca proprio al centro del salone. Dal lato opposto della stanza, a circa venti metri di distanza, c’erano i fornelli e un tavolo ultramoderno, dall’aria leggera. Le ancelle di Lete spolveravano qua e là, con velocità e maestria. Un grande letto matrimoniale dava sulla vetrata del cinquantesimo piano. Da lassù la vista era mozzafiato.

<< Bella catapecchia. >> Commentò Adrian a mezza voce. Si passò una mano tra i capelli, come in trance.

<< Carino, vero? La piscina è riempita con l’acqua del mio fiume. >> Spiegò Lete, con un gesto teatrale. Effettivamente l’acqua della piscina si muoveva placidamente, scossa da una forza misteriosa, che sembrava provenire dalle particelle stesse.

<< Perché? >> Domandò Nico, incrociando le braccia sullo stomaco. Non dava l’impressione di essersi particolarmente stupito, ma sapevo che odiava mostrare i suoi sentimenti, perciò aveva addosso la solita maschera impenetrabile che lo caratterizzava.

<< Ho promesso che vi avrei aiutato, e così farò. Prima però mi serve un volontario. Non potete entrare tutti nella vasca. >> Lete ignorò il figlio di Ade, facendosi improvvisamente serio. Perché diamine stava chiedendoci di fare il bagno? Non avevo nemmeno il costume. Ci lanciammo uno sguardo preoccupato.

<< Perché? >> Fu Lux a chiederlo. Avevamo deciso che sarebbe stata lei a fare da mediatrice, del resto era sua figlia.

<< Un volontario… >> Cantilenò Lete, scuotendo la testa.

Un volontario per cosa? Sinceramente per la settimana ne avevo avuto abbastanza di missioni suicide. Non volevo entrare in quella stupida piscina. Magari il dio desiderava soltanto i miei ricordi, oppure ci stava prendendo in giro e mi avrebbe annegata, o cose del genere. Portai una mano al fianco, dimenticandomi che Gioiosa era rimasta al piano terra. Con la coda dell’occhio osservai la porta. Due ancelle si erano posizionate davanti all’uscio, impedendoci la fuga. Era come se Lete avesse voluto intrappolarci all’interno. Guardai Nico, accanto a me. Aveva la bocca serrata in una linea sottile, ma dalla sua espressione capii cosa stava per fare. Voleva offrirsi come volontario. La sua scelta sarebbe stata piuttosto sensata, dato che era il più grande e il più potente tra noi quattro. Senza nulla togliere ad Adrian, ma quel ragazzo era figlio di Ade. Le sue abilità erano sconfinate, ed era abituato a combattere, a differenza nostra. Però… No.

<< Io. Voglio essere io. >> Dissi, prima che Nico potesse parlare. Percepii quattro paia di occhi puntati verso di me.

<< Non… >>

<< Perfetto! >> Lete interruppe il diciottenne, prendendomi per mano. La sua pelle era cada e asciutta, in modo quasi rassicurante. Non era un uomo cattivo. Non aveva l’aria da moglie arcigna come Era, né l’aspetto isterico di Zeus. Sembrava semplicemente un ricco, gentile ed attraente proprietario di un grande casinò.

<< Se non ti dispiace, dovresti spogliarti. Funzionerà meglio se sei senza vestiti. >> Sorrise il dio.

La mia mascella toccò terra. Cosa!? Non avevo alcuna intenzione di immergermi nuda- davanti a ben due ragazzi- in quella stupidissima piscina. Lanciai uno sguardo di supplica a Lux, ma lei scosse la testa, come per scusarsi. Sbuffai. Ero stata io a fare quella scelta, perciò sarei andata fino infondo. Mi liberai dello zainetto, lasciandolo cadere sul pavimento. La mia spalla protestò a gran voce mentre mi sfilavo la maglietta, buttandola da qualche parte. Sentii lo sguardo di Adrian e Lux perforarmi la schiena. Si stavano sicuramente chiedendo perché fosse piena di graffi. Nico non aveva detto a nessuno di ciò che era successo la notte prima. Non voleva che nessuno si preoccupasse, dato che avevamo già abbastanza problemi di cui occuparci. Le mie mani tremavano mentre sbottonavo i pantaloncini di jeans, facendoli scivolare lungo le gambe. Poi scalciai via scarpe e calzini, stringendomi le braccia attorno alla gabbia toracica.

<< Adesso? >> Domandai, con voce incredibilmente ferma. Ringraziai il cielo di non essermi messa il reggiseno con gli ippopotami. Sarebbe stato davvero imbarazzante.

<< Ti spiegherò brevemente cosa succederà. >> Cominciò il dio, nel silenzio più assoluto. Ordinai al mio cuore di battere più lentamente; avevo paura che gli altri riuscissero a sentirlo.

<< Come sai, il fiume Lete è il fiume dell’oblio, della dimenticanza. Ma ha anche un’altra… funzione. >> Continuò.

<< Svariati millenni fa, sono stato incaricato dagli dei di conservare i loro ricordi più preziosi, in modo che non fossero mai caduti in dimenticanza. Ebbene, te ne mostrerò uno. Un ricordo in particolare che sarà utile per la vostra impresa. >> D’accordo, fino a quel punto niente di preoccupante.

<< Ti immergerai nell’acqua. Dovrai riuscire a trattenere il fiato per un po’, perché non appena tornerai fuori le immagini si fermeranno, e andranno perdute per sempre. >> Ecco.

Mi sembrava un po’ troppo facile. Non ero mai stata ad un corso di sub, e- nonostante mi piacesse l’acqua- non avevo mai battuto il record mondiale di apnea. Se solo Percy fosse stato lì, in quel momento… Non ci saremmo trovati in quella situazione molto rischiosa. Annuii. Non potevo permettermi di avere paura. Dovevo concentrarmi, e pensare a cosa sarebbe successo se non avessi resistito abbastanza. Non potevo fallire, ne andava della riuscita dell’impresa. Non volevo che il mondo andasse a pezzi a causa mia. Non volevo che Chaos si risvegliasse perché non ero abbastanza forte. Gli avrei dimostrato che sotto la ragazzina impaurita si nascondeva un eroe. Fu quella parola ad infondermi coraggio. Scesi lentamente i gradini che portavano sul fondo della piscina. L’acqua non era caldissima, ma nemmeno troppo fredda. Rabbrividii quando il liquido cristallino arrivò a sfiorarmi le costole. Presi un respiro profondo, e poi mi tuffai. L’acqua si richiuse sopra la mia testa, e divenne tutto nero.

 

Mi trovo nella sala del trono. Gli intarsi dorati alle pareti non sono cambiati, ma le poltrone sono sparite, lasciando spazio a lunghi tavoli per i banchetti. I piatti sono stracolmi di pietanze prelibate; risa e chiacchiere si diffondono nell’aria, rendendo l’ambiente caldo ed accogliente. Gli dei e le ninfe sono riuniti attorno ai tavoli, e mangiano con eleganza e compostezza, parlando tra loro e con i propri vicini. Sono tutti rilassati, e felici. Atena e Poseidone si lanciano occhiatacce da lontano, ma l’astio reciproco non sta rovinando la festa. Un uomo e una donna che non ho mai visto si tengono per mano, guardandosi negli occhi. Sono amanti.

<< Sono davvero molto offesa, Teti. >> Nella sala del trono cala il silenzio. Mia madre ha spalancato il portone. E’ bellissima. I capelli rossi le ricadono sulla schiena, e il peplo bianco le fascia il corpo perfetto, mettendone in risalto ogni curva. Ai piedi indossa un paio di sandali chiari. In mano tiene una mela. Una mela d’oro.

<< Eris. >> E’ stato Zeus a parlare. Si alza in piedi, riducendo gli occhi blu a due fessure.

<< Ma, nonostante reputi questo mancato invito una grave mancanza di rispetto, sono venuta per porgere i miei omaggi agli sposi. E consegnare il mio regalo. >> Il ghigno sulle labbra di mia madre fa quasi paura. Si avvicina con passo baldanzoso fino ai tavoli del banchetto. La mela che ha in mano non passa inosservata. La posa esattamente al centro della tovaglia, vicino ad un piatto pieno di frutta prelibata.

<< η πιο όμορφη >> Dice, a voce alta.

Alla più bella.

<< E’ stato un piacere passare a salutarvi. Buon proseguimento. >> Poi lancia un’occhiata ad Atena, Era ed Afrodite, e scompare.

Nella sala del trono si levano esclamazioni indignate, ma non presto molta attenzione. Vicino ad un focolare c’è una bambina. E’ piccola, ma nei suoi occhi si legge la saggezza di una dea. Tiene in mano un calice dorato, molto simile a quello degli altri dei. La bambina sta piangendo. Ha capito cosa ha scatenato Eris. Sa che a breve scoppierà la guerra di Troia. Una lacrima risplendente cade nel calice d’oro, e improvvisamente capisco.

L’ho trovato.

Ho trovato il calice della vita

 

 

Quando riaprii gli occhi ero ancora sott’acqua, e la testa mi stava scoppiando. Riemersi velocemente, cominciando a tossire e sputacchiare. I polmoni mi facevano male, ma ero riuscita a resistere. Finalmente sapevo cosa era il calice della vita. Non sapevo che le lacrime di una dea bambina sarebbero state così importanti, ma restava ancora da scoprire dove diamine fosse stato nascosto. La terra della morte… Cosa c’era di più mortale del Tartaro? Salii di fretta i gradini, desiderosa di poter uscire da quell’acqua così strana, ma me ne pentii subito. L’aria dell’attico era fredda, ed io completamente bagnata. Un’ancella di Lete si materializzò accanto a me, avvolgendomi un asciugamano attorno alle spalle.

<< Oh, per gli dei… >> Lux mi abbracciò, rischiando di stritolarmi. Ricambia la stretta, sorpresa. Non avevo mai avuto una vera amica, eppure lei si comportava come tale.

<< Ehi, sto bene! >> Esclamai, evitando di farle notare che mi aveva distrutto la spalla dolorante. La figlia di Lete era pallidissima. Nemmeno il colore ambrato della sua pelle riusciva a nascondere il bianco delle guance.

<< Non ti muovevi… Sembravi morta. >> Borbottò, con gli occhi spalancati. Ah.

 Mentre avevo la visione mi ero completamente dimenticata di essere in acqua. Soltanto quando mi ero svegliata avevo capito che ero lì sotto da troppo tempo, e i miei polmoni avevano un disperato bisogno d’aria. Mi strinsi nella salvietta, mentre ai miei piedi- sul lussuoso parquet- si formava una grande pozza trasparente. Lanciai uno sguardo di scuse a Lete, ma lui si limitò a sorridere. Se lui custodiva i ricordi degli dei non poteva semplicemente dirci cosa era il calice della vita, invece di farmi quasi affogare? Lasciai da parte quel pensiero. Infondo gli dei erano tutti uguali. A loro piaceva far dannare i propri figli mezzosangue.

<< Hai trovato quello che cercavi, Genesis Hale? >> Domandò Lete, facendosi improvvisamente serio.

<< Sì. >>

Rimaneva soltanto da scoprire dove diamine si nascondesse.

 

 

 

 

 

 

 

<< Mi fanno male i piedi. >> Borbottò Lux, rovesciando i suoi scarponcini scuri, che cominciarono a vomitare sabbia dorata e sottile. Le luci di Las Vegas illuminavano l’ingresso del deserto del Nevada, il luogo perfetto per fare un viaggio nell’ombra e non essere visti dai mortali, a detta di Nico. Purtroppo per raggiungerlo eravamo stati costretti a camminare per un’ora intera, schivando turisti spaesati e gente che rincorreva i ladri di portafogli o i truffatori. Sbuffai, lasciandomi cadere su un masso relativamente piatto, perfetto per riposarsi qualche istante. Avevo ancora i capelli fradici, per non parlare delle mutande e del reggiseno, che avevano inzuppato anche i pantaloncini di jeans e la canottiera scura. Non che l’acqua mi desse particolarmente fastidio, ma la sensazione di viscido sulla pelle mi faceva venire i brividi. Nel deserto non c’erano gli scorpioni? Per non parlare poi dei serpenti velenosi, e…

<< Possiamo riposarci per qualche minuto e poi tornare al campo. >> Suggerì Adrian. Gli lasciai un po’ di spazio, e lui si accomodò accanto a me, poggiando i gomiti sulle ginocchia. Annuii, ma ero inquieta. Era stranissimo che nessun mostro ci avesse attaccati. Eravamo in quattro semidei, per di più tutti insieme nella stessa città. A detta del figlio di Ade eravamo come un razzo segnalatore per le creature del tartaro, eppure non avevamo ancora ricevuto visite indesiderate. Poggiai Gioiosa sulle mie gambe, facendo passare le dita sulla lama fredda, perfettamente lavorata. Il bronzo celeste scintillava nel buio della notte, infondendomi una sensazione di sicurezza.

<< Io muoio di fame. Chi vi ha dato il permesso di prendere i posti migliori? >> Si lamentò Lux, intenta a rifarsi la treccia, ormai completamente disfatta. Quella massa di capelli non doveva essere di certo facile da controllare. Erano tanti, e lunghissimi. Ripensandoci anche io avrei dovuto tagliarmeli. Ormai mi arrivavano alla vita, e il sudore me li faceva appiccicare al collo. In quel momento avrei voluto essere un maschio. Adrian ridacchiò, ma non era affatto intenzionato ad alzarsi. Gli lanciai una lunga occhiata di sottecchi. I suoi occhi erano identici a quelli di Emma, per non parlare della curvatura delle labbra e la forma del naso. Si sarebbe visto anche ad un chilometro di distanza che erano fratelli.

<< Li ha visti prima Genesis. Invece di lagnarti potevi darti una mossa. >> Sorrise il figlio di Nyx. Lux gli fece la linguaccia, incrociando le braccia sotto il seno. Era riuscita a pettinarsi con le mani, e la treccia che le ricadeva sulla spalla era perfetta. Come diavolo aveva fatto? Io ci avrei impiegato come minimo mezz’ora. Mi legai i capelli in una coda sbrigativa, scostandomi dagli occhi delle fastidiose ciocche che mi ostruivano la visuale.

<< Dovremmo andarcene. >> Commentò Nico. Si era deciso ad aprire la bocca? Era dalla nostra breve visita da Lete che non parlava. Si era chiuso in uno strano mutismo, e rispondeva alle domande con grugniti o sguardi scocciati. Quel ragazzo era decisamente ingestibile. Se ne stava in piedi a fissare un punto indefinito. Sembrava preoccupato, come se aspettasse qualcosa con ansia. Forse aveva paura che un mostro ci attaccasse.

<< Sei sicuro di farcela, amico? Ci è avanzato del nettare. >> Disse Adrian, sventolando in mano una boccetta di ambrosia. Non c’erano stati problemi con il viaggio nell’ombra per arrivare a Las Vegas, perché Nico non era stanco. Ma in quel momento… E poi avrei preferito di gran lunga farmela a piedi fino a New York. Al solo pensiero di quel tunnel oscuro mi vennero i brividi.

<< Sto bene. Soltanto… Speravo che Lete ci avrebbe rivelato qualche informazione più utile. >> Scrollò le spalle, scuotendo la testa.

<< Ci ha rivelato un’informazione utile. Ora sappiamo cos’è il calice della vita. >> Risposi, stringendomi nelle spalle. Poi mi alzai in piedi, allungando le braccia verso l’alto, cercando di sciogliere i miei muscoli doloranti.

<< Ma non sappiamo a cosa serve, né dove è stato nascosto. Forse se… >> Il figlio di Ade si interruppe, lanciandomi una strana occhiata. Mi piantai le mani sui fianchi, inarcando le sopracciglia. Cosa stava tentando di insinuare?

<< Forse se cosa? >> Domandai, sulla difensiva. Lui rimase in silenzio per un secondo. Temetti che non mi avrebbe risposto, e forse avrei fatto meglio a sperarlo.

<< Se avessi lasciato entrare me, probabilmente non saremmo tornati a mani vuote. >> Spiegò, con tono piatto. Fui tentata di scoppiare a ridere e di saltargli al collo al tempo stesso. Sapevo  che sarei dovuta aspettarmi una risposta del genere. Del resto era di Nico Di Angelo che si trattava.

<< Perché sai trattenere il fiato più a lungo? >> Ringhiai, avvicinandomi di un passo. Lui si voltò verso di me, incrociando le braccia al petto. Gli lanciai l’occhiata più cattiva del mio repertorio. Odiavo quella sua espressione impenetrabile. Riusciva a nascondere così bene i suoi sentimenti da essere superiore a tutto e a tutti. Anche io avrei voluto riuscirci.

<< Perché ho più esperienza di te, ragazzina. >> Ribatté con voce aspra. Digrignai i denti.

<< Non chiamarmi ragazzina, idiota presuntuoso. >>

<< Io sarei un idiota presuntuoso? Tu non riesci proprio a capire il ruolo che hai in questa storia. >> Mi puntò un dito contro, con fare accusatorio.

<< Oh, invece capisco perfettamente! Non sono versi difficili di interpretare, sai com’è. Devo morire, punto. >> La mia voce stava cominciando ad alterarsi. Non ero una che urlava molto spesso, ma in quel momento mi sarei messa volentieri a gridare a pieni polmoni.

<< Devi morire al momento giusto. >> Ringhiò. Barcollai all’indietro, come se mi avesse mollato uno schiaffo. Deglutii, sentendo le lacrime salire agli occhi. Non pensavo che sarebbe stato capace di dire una cosa del genere, anche se effettivamente aveva ragione.

<< Sono felice che ti importi così tanto di me. >> Sibilai, con voce gelida. Sentivo lo sguardo di Lux ed Adrian perforarmi la schiena. Nico mi afferrò per un polso, prima che potessi girare i tacchi e scappare nel deserto a gambe levate, diretta verso chissà dove.

<< Non è quello che intendevo. >>

<< Ah, davvero? Allora cosa intendevi? >>

<< Ragazzi. >> Disse Lux. La ignorai.

<< Sei tu che mi fai dire cose che non voglio. >> Abbaiò il figlio di Ade, rincarando la stretta. Mi stava quasi facendo male. Non provai nemmeno a divincolarmi, tanto sapevo che sarebbe stato inutile.

<< Quindi adesso è colpa mia. Cercavo soltanto di tenerti al sicuro, Nico. Non volevo che tu ti immergessi in quella stupida piscina, d’accordo? >> Ok, gli stavo praticamente sbraitando in faccia.

<< Non ho bisogno della tua protezione, Hale! >>

<< Ragazzi, sul serio. >> Ritentò Lux. Le lanciai un’occhiataccia, poi mi bloccai. Lei ed Adrian non stavano fissando noi. Il loro sguardo era rivolto verso l’alto. Erano entrambi piuttosto pallidi. Il figlio di Nyx aveva sguainato la spada, mentre la ragazza teneva in mano l’arco, con una mano dietro alle spalle, infilata nella faretra. Deglutii. Nico ed io ci voltammo contemporaneamente.

Mi trovai di fronte a due occhi gialli ed enormi. Anzi, a diciotto occhi gialli ed enormi; perché un drago a nove teste ci fissava con aria poco amichevole. La prima cosa che mi venne in mente fu come diavolo avevamo fatto a non accorgerci di quel mostro orribile. La seconda una serie di immagini di noi che morivano carbonizzati o in modi persino più atroci, tipo bruciati a fuoco lento come degli spiedini di carne. Spalancai la bocca, incerta se urlare o scoppiare a piangere, ma il diciottenne mi atterrò prontamente. Sentii il calore di una fiammata sul volto, poi rotolammo via insieme. Mi alzai velocemente, estraendo Gioiosa dal fodero. La spada dello Stige di Nico roteò a qualche centimetro dal mio volto.

<< Non tagliate le teste! >> Sbraitò Adrian, prima di nascondersi dietro al masso dove era seduto. Improvvisamente capii di fronte a cosa ci trovavamo.

Era un’Idra. Il drago a sette teste che Ercole era riuscito a sconfiggere. Il drago che in quel momento ci stava ruggendo contro, e di certo non stava tentando di avere con noi una conversazione amichevole. Lux riuscì a mirare all’occhio di una delle teste, mezzo accecando quel mostro orribile. In tutta risposta l’Idra sputò una vampata di fuoco, che la figlia di Lete riuscì a schivare soltanto per un pelo. Cercai disperatamente di portare a galla le poche cose che avevo studiato sulla letteratura greca. Come aveva fatto Ercole? Fuoco, serviva del fuoco. Avremmo dovuto bruciare i moncherini delle teste, altrimenti ne sarebbero ricresciute due, e allora la situazione si sarebbe fatta davvero disperata. Il problema principale era che non avevo idea di come saremmo riusciti ad accendere un fuoco di notte, nel bel mezzo del deserto.

<< Dobbiamo scappare. Raggiungiamo Lux ed Adrian, poi vi porto al campo. >> Comunicò Nico. Evidentemente era giunto alla nostra stessa confusione. Provai a fare un passo in direzione dei due, ma un muro di fuoco si frappose tra noi. L’Idra non aveva alcuna intenzione di lasciarci andare. Vivi, perlomeno. Non potevamo ucciderla, non potevamo fuggire… E allora cosa avremmo fatto? Improvvisamente mi venne un’idea. Era un piano folle e suicida, ma dovevo tentare.

<< Distraetela! >>

<< Devo riuscire a raggirarla senza che mi veda! >> Sbraitai poi, e partii di corsa. Sentii Nico imprecare in una lingua a metà tra il greco antico e lo slang del Bronx, lanciandosi al mio inseguimento. Fui tentata di tirargli in testa la spada, ma evitai. Adrian cominciò a mulinare le braccia, attirando l’attenzione del mostro, mentre dalla direzione di Lux cominciava a partire una raffica di frecce dall’aria piuttosto letale. Schivai per un pelo la coda dell’Idra, che mi avrebbe certamente mozzato la testa, e continuai la mia corsa.

<< Cosa vuoi fare!? >> Gridò il figlio di Ade, allontanando con un fendente l’enorme zampa del drago, che stava per spiaccicarlo come una frittella. L’Idra ruggì di dolore, arrabbiandosi ancora di più.

<< Fidati di me! >> E poi arrivai di fronte al mostro. Avevo il cuore che batteva a mille, e sentivo che sarei potuta svenire da un momento all’altro. Lascia cadere Gioiosa sulla sabbia, deglutendo. Poi urlai, con voce acuta. Il drago si bloccò, abbassando lo sguardo su di me. Mi trovai di fronte un’enorme testa squamosa, e un paio di occhi gialli dalla pupilla allungata. Occhi incantatori, brillanti.

<< Fermati. Io ti ordino di fermarti. >> Dissi, con tono deciso. L’Idra emise uno sbuffo dal naso, confusa. Incatenai i miei occhi con i suoi, sentendo il mio potere fluire verso il mostro. Riuscivo a vederlo, come una leggera brezza fresca che mi faceva rizzare i peli delle braccia, quasi fosse elettricità statica.

<< Non essere il mostro che vogliano tu sia. >> Continuai, con voce più dolce. Il drago socchiuse i grandi occhi, prorompendo in una specie di lamento. Con un tonfo fragoroso si sedette a terra. Sentivo tutti gli occhi di tutte le teste fissi su di me. Io stavo di fronte alla più grande, quella velenosissima. Riuscivo perfettamente a vedere le file di denti affilati, che avrebbero potuto dilaniare la mia carne in qualche secondo. Allungai una mano verso il muso del drago, tremando.

<< Sei meglio di così. Io ti tratterei bene. >> Sussurrai, mantenendo il contatto visivo.

Poi accadde l’impossibile. L’Idra diede un buffetto alla mia mano col naso enorme, poi chinò la testa, toccando terra. Accarezzai la pelle brillante e squamosa, non riuscendo a credere ai miei occhi. Avevo appena addomesticato un drago gigante. Nemmeno Ercole ci era riuscito. Un lampo di inquietudine mi fece stringere il cuore. Avevo domato un mostro. Forse ci ero riuscita perché non eravamo poi così diversi. Perché forse c’era anche dentro di me, quel mostro.

<< Per gli dei.. >> Mormorò Adrian, mentre io mi lasciavo cadere accanto al mostro, dando buffetti sul collo lungo e viscido.

<< Allora. >> Cominciai.

<< Chi vuole un passaggio per New York? >>

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

NOTE AUTRICE

Ta-daaaaan! Allora, innanzitutto mi scuso per il ritardo, ma sono stata molto impegnata. Lunedì inizia la scuola e io voglio scappare in Perù. Giuro che lo faccio. Non voglio ricominciare a studiare, non sono psicologicamente pronta. Comunque, spero che il capitolo vi sia piaciuto, lasciate una recensione! Grazie mille e bacioni-oni :3

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Capitolo 15
*** Chapter fourteen- Teenage Dream ***


Chapter fourteen- Teenage Dream

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Before you met me, I was a wreck but things
Were kinda heavy, you brought me to life
Now every February, you'll be my valentine, valentine 

Let's go all the way tonight
No regrets, just love
We can dance until we die
You and I
We'll be young forever

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Mi abbassai in tempo per schivare una patatina volante, che finì proprio in mezzo alla scollatura della maglietta che indossava Lux. La ragazza alzò gli occhi al cielo, lanciando un’occhiataccia ad un tizio con i capelli verdi dall’altra parte dell’arena. Doveva essere un figlio di Ecate, o cose del genere. Non pensavo che con il termine “consiglio di guerra”, al campo mezzosangue intendessero una specie di battaglia di cibo e palline di carta. In realtà non sarebbe dovuto finire in quel modo. Tutti i semidei si erano riuniti per discutere della nostra impresa, utilizzando come portavoce i propri capo-cabina. Poi Clarisse aveva cominciato a litigare con Trevis Stoll, che le aveva rovesciato in testa un bicchiere di aranciata. Dopo di che la situazione era definitivamente precipitata. Chirone stava inutilmente tentando di riportare l’ordine all’interno dell’arena, mentre Lux ed io ci eravamo rifugiate nella parte più alta delle gradinate, sperando di non finire ricoperte di Chips o di maionese.

<< Fanno sempre così? >> Domandai, incrociando le braccia al petto. La figlia di Demetra seduta accanto a me sbuffò, esasperata.

<< Sì, la maggior parte delle volte. Sta andando meglio del previsto, a dire il vero. >> Lux ridacchiò, scuotendo i lunghi capelli argentei. Riusciva a mantenere il suo aplomb anche in una situazione del genere. La invidiavo da morire. Feci scorrere lo sguardo verso il basso. Adrian ed Emma erano seduti vicini. Lui sembrava preoccupato, mentre sua sorella continuava a sghignazzare, estremamente divertita. Poi i miei occhi si imbatterono in un paio di iridi scurissime. Nere, quasi come la pupilla. Di Angelo mi fissava dal basso, con le labbra stirate in una linea sottile. Sentii il mio cuore accelerare i battiti. Non ci eravamo più parlati dalla sera prima. Non dopo quello che mi aveva detto.

<< Di questo passo finiremo per distruggere il campo intero. >> Commentai, sospirando. Non che fossi impaziente di partecipare al mio primo consiglio di guerra, ma il tempo stringeva. Negli ultimi due giorni non c’erano state tempeste, ma Chaos non avrebbe tardato a farsi sentire. Stava soltanto pianificando la sua perfetta partita a scacchi. E io non ero mai stata una buona giocatrice. Ero troppo impaziente, impulsiva… Non avrei esitato a sacrificare tutti i pezzi forti, per salvare la mia regina.

<< Si calmeranno, prima o poi. >> Lux si strinse nelle spalle. Non sembrava particolarmente tesa, o nervosa. Non la conoscevo bene, ma ero sicura di poter affermare che quella ragazza era una maestra nel nascondere i suoi sentimenti. Forse era per quello che lei e Nico erano così amici. Con la coda dell’occhio notai Piper raggiungere il centro dell’arena, affianco a Chirone.

<< Silenzio! >> Sbraitò la ragazza. Mi sentii improvvisamente stordita, ma durò soltanto qualche istante. Istante che riuscì a calmare gli animi, e a far tornare tutti quanti ai propri posti. Già. Annabeth me lo aveva detto quel pomeriggio. Piper McLean era una figlia di Afrodite con il dono della parola. La sua lingua ammaliatrice era molto potente. “Ma mai come il tuo sguardo, Genesis.”, aveva sorriso poi la bionda. Era un complimento, ma non avevo potuto fare a meno di abbassare lo sguardo, imbarazzata. Mi passai una mano tra i capelli, appiccicati al collo a causa del sudore freddo. Il centauro chiamò tutti e cinque in prima fila. Mi trovai incastrata tra Nico ed Emma. Continuai a fissare fieramente davanti a me. Non avevo alcuna intenzione di voltare la testa, per nessun motivo.

<< Dichiaro ufficialmente iniziato il consiglio di guerra! >> Esclamò Chirone, battendo uno zoccolo a terra. Il signor D. sorseggiò un po’ della sua Diet Coke, con aria annoiata. Quell’uomo era davvero impossibile.

<< Come tutti sapete, i cinque semidei della profezia dovranno partire al più presto. I problemi sono molti e anche gravi. Innanzitutto, abbiamo bisogno di una squadra che riesca a scoprire dove si nasconde il Calice della Vita. >> Cominciò il centauro, con voce tonante. L’acustica dell’arena era davvero fantastica. Tutti riuscivano a sentire cosa stava dicendo, anche se fino a qualche momento prima le urla e gli schiamazzi erano diventati davvero assordanti.

<< I figli di Atena sono a disposizione. >> Annabeth si alzò in piedi. Chirone annuì, anche se tutti sapevamo che non c’era nemmeno bisogno che la ragazza si proponesse. Annabeth Chase era una leggenda al campo mezzosangue, così come il suo ragazzo- Percy Jackson- che se ne stava seduto accanto a lei, con aria decisamente contrariata. Non potevo biasimarlo. Del resto la sua fidanzata era incinta, e il risveglio di Chaos non l’avrebbe di certo aiutata ad affrontare la gravidanza con serenità.

<< I satiri ci comunicano che i mostri del Tartarono si ricreano sempre più velocemente, perciò necessitiamo di unità che pattuglino New York, giorno e notte. In più ci servirà una squadra che stia ai confini del campo. Non vogliamo brutte sorprese. >> Era davvero interessante assistere al discorso di Chirone. I semidei erano spesso anarchici e facevano quello che avevano voglia, ma quando si trattava di proteggere la propria casa e la propria città… Beh, di certo non avrei voluto averli contro.

<< Non chiederemo l’aiuto del Campo Giove? >> Domandò Leo, qualche fila dietro la nostra. Campo Giove? Cosa diamine era il campo Giove? Lanciai un’occhiata interrogativa ad Emma, ricordandomi subito dopo che era una ragazzina di dodici anni, ed era stata riconosciuta soltanto pochi giorni prima. Certo, avrei potuto chiedere all’individuo accomodato alla mia sinistra, ma… No. Non gliel’avrei data vinta così facilmente.

<< Piper ha contattato Jason Grace con un messaggio-iride. La delegazione dei romani sarà qui molto presto. >> Rispose il centauro. Un brontolio si diffuse nelle file dei mezzosangue. Evidentemente non erano d’accordo sulla decisione.

<< Creeranno soltanto problemi! >> Abbaiò Clarisse, acclamata dai suoi fratelli, figli di Ares. Vidi Adrian lanciarle un’occhiataccia, mentre Annabeth si alzava di nuovo in piedi, pronta a controbattere. Avrei tanto voluto sentire la sua risposta. Ma il mondo davanti ai miei occhi sfumò, e caddi in un buco nero.

 

 

Sono nel deserto. Le dune di sabbia si estendono all’infinito, inondando l’orizzonte. Fa caldo, caldissimo. La mia gola riarsa brucia, supplicando per un po’ di acqua. Il calore del sole mi fa scottare la nuca, bollente. Di fronte a me si erge un grande edificio a due piani. Sembra una fabbrica abbandonata, ma sopra la grande porta in alluminio è affisso un cartello luminoso.

Discoteca  Τερψιχόρη- Orario 23.00-5.00

Discoteca Tersicore. Perché nel deserto c’è una discoteca? Avanzo di qualche passo, incerta. Se entrassi troverei sollievo, ma non voglio farlo. C’è qualcosa che mi attira verso quel posto, ma allo stesso tempo il mio istinto dice che devo scappare. Allora capisco. Il calice è lì dentro. Lo so, per certo. Percepisco il suo potere, che mi chiama. Mi dice di venirlo a prenderlo, di sprigionare la sua energia. Ma non posso. Non posso farlo, morirò di certo. Tutta quella sabbia mi inghiottirà, e finirò dritta tra le braccia di Chaos. Dove lui potrà uccidermi, al momento sbagliato.

La sabbia è troppa. Non ne ho mai vista tanta tutta insieme. E si solleva, sferzandomi il viso, facendomi sanguinare le nocche. La consapevolezza striscia lungo la mia spina dorsale, fredda come un cubetto di ghiaccio.

Ho capito dove sono.

Ho capito dove si nasconde il calice.

Ho capito dove si svolgerà la nostra impresa.

Dove si trova l’altare per il mio sacrificio.

 

 

<< L’ho visto! >> Gridai, scattando in piedi. Chirone si bloccò. Stava spiegando ai figli di Apollo qualcosa riguardo ad alcuni turni di guardia estremamente importanti, o cose del genere. Mi trovai centinaia di occhi puntati addosso.

<< Ho visto dove si trova il calice. >> Dissi, con voce tremendamente seria. Tutta quella sabbia… Come avevo fatto a non capirlo prima? Non si trattava del Tartaro, non lo era mai stato. Mi chiesi come avremmo fatto a sopravvivere, in quel posto dimenticato dagli dei. E non era l’Alaska, né gli abissi più profondi e antichi della terra. No. Era qualcos’altro. Qualcosa che mi spaventava ancora di più.

<< E’ nel deserto. >> Deglutii.

<< Il deserto del Sahara. >>

 

 

 

 

 

 

 

 

Lasciai che l’acqua lambisse con leggerezza i miei piedi nudi, che affondavano lentamente nella sabbia. Mi era sempre piaciuto vederli scomparire per un attimo, e poi tornare alla luce in un soffio, come se niente fosse successo. Mi sembrava di sprofondare, ma non lo facevo mai davvero. Forse avevo semplicemente bisogno di sapere che non sempre la sabbia era un’arma di distruzione, del resto senza di essa il mare non sarebbe esistito. E senza il mare il bellissimo paesaggio che si parava di fronte ai miei occhi non sarebbe potuto essere stato ammirato da nessuno. Avrei voluto scattare una fotografia alla luna piena che brillava nel cielo scuro, o alle migliaia di stelle che brillavano dall’alto, come per proteggere gli esseri umani dalla pesantezza dell’universo… Purtroppo però al campo era raro trovare dispositivi elettronici. Attiravano i mostri, o almeno così mi era stato detto.

<< A volte questo posto riesce ancora a sembrarmi casa mia. >> Feci per voltarmi al suono di quella voce, ma non mi sarei fatta rovinare quel bel momento. Ero andata sul bagnasciuga per riflettere, e ci stavo riuscendo. Dal cortile delle cabine giungevano suoni di grida divertite e grosse risate. I semidei avevano bisogno di un momento di svago. Connor e Trevis avevano organizzato il torneo di pallavolo subito dopo il consiglio di guerra. Non tutti stavano partecipando, ma anche i più pigri assistevano alle partite più divertenti della storia della pallavolo.

<< Perché è casa tua. >> Risposi, continuando a camminare lentamente. Nico mi affiancò. Anche lui si era tolto le scarpe e i calzini. Era rimasto con i jeans arrotolati sulle caviglie e la maglietta a mezze maniche con il bordo completamente slabbrato. Gli lanciai un’occhiata di sottecchi, maledicendomi subito dopo. La luce della luna si rifletteva sul bel volto, proiettando sugli zigomi l’ombra delle sue lunghe ciglia. Infilò le mani nelle tasche dei pantaloni.

<< Ti ho cercata tutta la sera. >> Disse, con tono quasi accusatorio. Sì, beh… Dopo il consiglio ero praticamente scappata via. Non volevo affrontare la realtà dei fatti. E poi avevo il diritto di restare sola per almeno una mezz’oretta, no? Ovviamente il campo mezzosangue mi piaceva tantissimo, ma la privacy non era facile da trovare, soprattutto nella cabina di Ermes.

<< Forse ti stavo evitando. >> Commentai con franchezza. Perché effettivamente era vero. Non avevo voglia di affrontare Nico, non dopo quello che era successo a Las Vegas. Sapevo che non pensava davvero quello che aveva detto, ma aveva perfettamente ragione.

<< Non ti succederà proprio niente.  >> Calcò le ultime parole, cercando il mio sguardo. Ridacchiai, amaramente. Riusciva persino a leggermi nel pensiero. Abbassai la testa, improvvisamente interessata ad un pezzo di madreperla insabbiato. Mi chinai a raccogliere la piccola conchiglia, passandoci sopra un dito. Era bianca, con varie sfumature violacee e azzurrognole.

<< Se lo ripeterai ancora un po’ ti convincerai. Io l’ho fatto, sai? >> Sorrisi, ma era un sorriso macabro. Avrei tanto voluto parlare con mio padre in quel momento. Lui avrebbe saputo che cosa dirmi. Lui sapeva sempre cosa dirmi, soltanto che io ero accecata dal senso di ingiustizia che nutrivo nei suoi confronti. Per tutta la mia vita l’avevo incolpato del matrimonio con Moira, di avermi dato Mark come fratellastro… Ma in realtà non avevo mai saputo quale era la vera storia.

<< Non ti lascerò morire, Genesis. >> E forse era soltanto una mia impressione, ma mi sembrò che la sua voce avesse leggermente tremato. Mi fermai, voltandomi verso di lui. In quei giorni gli era cresciuta un po’ di barba, che lo faceva sembrare più vecchio dei suoi diciotto anni appena compiuti.

<< E io non lascerò che il mondo venga distrutto a causa mia. Nemmeno io voglio morire, ma se è così che deve andare… >> Mi strinsi nelle spalle, fingendo noncuranza. Era evidente che non avessi ancora metabolizzato la profezia, ma in quel momento non potevo concedermi crolli nervosi. Il giorno seguente saremmo partiti per il deserto del Sahara. Non sapevo ancora come saremmo sopravvissuti, dove avremmo trovato l’acqua, se avremmo dormito sulla sabbia o in una qualche grotta piena di scorpioni… Ma a rifletterci di più mi veniva soltanto un gran mal di testa, perciò avrei lasciato fare a Chirone e ad Annabeth. Il signor D. era stato convocato con urgenza per un’altra riunione sull’Olimpo, ma dubitavo che gli dei ci avrebbero creduto. Stavano semplicemente negando l’evidenza, perché si erano resi conto di essere troppo deboli per sconfiggere uno come Chaos.

<< Quando ti ho conosciuta mi avresti buttato sotto ad un treno pur di non farti male. >> Commentò lui, con una scintilla di ironia negli occhi scuri. Ripensai al nostro incontro, e mi venne da ridere.

<< Sono passati solo sette giorni. >> Ribattei. Ci eravamo avvicinati, senza nemmeno accorgercene. La spiaggia era ancora deserta, e nessuno ci avrebbe visti con quel buio. Mi diedi una mentale botta in testa. Non c’era proprio niente da vedere, anche se Nico era così vicino, e così affascinante… La sua bellezza mi spaventava, a volte.

<< Sei cambiata. >> Disse, il tono ridotto ad un sussurro.

Mi sembrava di vivere in un de ja vu. Come se ci trovassimo di nuovo alla fermata del pullman, come se la sua fronte fosse ancora contro la mia, come se fossimo ad un soffio di distanza l’uno dall’altro. Soltanto che in quel momento probabilmente non sarebbe arrivato Trevis ad interromperci. Volevo davvero che succedesse? O forse ne avevo semplicemente bisogno. Non avevo mai provato dei sentimenti del genere per una persona. Conoscevo il figlio di Ade a malapena da una settimana, eppure mi sembrava di averlo incontrato secoli prima. Avevamo passato giornate infinitamente lunghe insieme, urlandoci contro, litigando continuamente… Eppure quando lui non c’era provavo sensazioni strane. Senza il suo sguardo glaciale puntato addosso e quella perenne espressione piatta mi sentivo quasi insicura. Come se con quelle occhiatacce avrebbe potuto darmi la forza per andare avanti. D’altro canto, a volte avrei voluto saltargli al collo e strozzarlo. Quelle emozioni contrastanti mi confondevano, e non poco. Grazie tante.

<< Se non mi fermi adesso, combineremo un casino. >> Mormorò, con voce roca.

 Aveva ragione. Perché lui era stato innamorato di un ragazzo, perché eravamo troppo diversi, o forse troppo simili. Perché il giorno successivo saremmo partiti per un’impresa dalla quale molto probabilmente non saremmo tornati, vivi almeno; perché ci conoscevamo da pochissimo tempo, perché avevamo fin troppi demoni contro cui combattere, perché eravamo esageratamente egoisti ed altruisti al tempo stesso, perché eravamo quelli strani, il figlio del diavolo e la figlia della discordia. Ma non mi interessava. Non in quel momento. Non mentre si avvicina sempre di più, mentre io rimanevo immobile, perché una parte di me sapeva che quello che stavamo per fare non era giusto. Per niente. Ma ero sempre stata una persona impulsiva. Non pensavo mai alle conseguenze delle mie azioni, che molto spesso mi ritorcevano contro. Ma si sa, è la vita.

<< Fermami. Genesis. >> Supplicò quasi, mentre mi infilava una mano tra i capelli, sciogliendo la coda di cavallo che mi ero fatta sbrigativamente dopo il consiglio.

<< No. >> Poi aprii la bocca per parlare ancora. Errore madornale.

Le nostre labbra si incontrarono, e il mio mondo esplose. Allora era quello che si provava a baciare qualcuno. Soltanto che invece delle farfalle, io mi sentivo un tornado nello stomaco. Sarei potuta partire in orbita da un momento all’altro, mentre avvolgevo le braccia attorno al collo di Nico, per tirarmelo ancora più vicino. Come se già non lo fossimo abbastanza. Mi alzai in punta di piedi, mentre le sue mani finivano sui miei fianchi, sotto alla maglietta arancione del campo. Era evidente che nessuno dei due si aspettasse tanta audacia, ma la mia mente era entrata in uno stato di collasso del sistema. Un enorme collasso di sistema. Schiusi le labbra, permettendogli di approfondire il bacio. Una scarica di brividi caldi mi scosse da capo a piedi.

L’unica cosa che riuscivo a pensare era una serie di: ancoraancoraancoraancora. Il mio cuore batteva talmente forte che sarebbe potuto uscire dalla cassa toracica senza alcuna difficoltà. Trassi dal naso un respiro traballante, strizzando gli occhi. Sentire Nico così vicino a me mi stava mandando decisamente fuori di testa.

Oh, al diavolo.

Avevo sedici anni ed erano gli ormoni a governarmi, non potevo comportarmi come una cinquantenne in menopausa. E che male c’era se per un momento lasciavo da parte tutto il casino della mia vita? Della nostra vita.

<< Oh. Miei. Dei. >> Spalancai gli occhi, staccandomi di scatto. Non ero stata di certo io a parlare. Mi voltai, con un groppo in gola.

Drew ci fissava come se avesse appena visto la borsa di Prada più costosa del mondo in saldo. Spalancò la bocca, con le iridi castane che le brillavano per l’eccitazione.

Dannazione.

Poi girò i tacchi, e cominciò a correre molto più velocemente di quanto avesse mai fatto in tutta la sua vita. Imprecai tra i denti, stringendo i pugni. L’avrebbe detto a tutti, ne ero sicura. Se fosse successo ancora qualcosa mi sarei messa a strillare. In quel momento avrei tanto voluto salire in groppa al mio drago e fuggire lontano, magari insieme a Nico. Ma soltanto magari. Ripensare alla faccia di Chirone quando gli avevo detto ciò che era successo con l’Idra mi fece quasi spuntare un sorriso sulle labbra.

<< Avevo detto che avremmo combinato un casino. >> Disse il diciottenne. Il suo tono totalmente indifferente e privo di emozione era ritornato. La barriera era stata eretta di nuovo.

<< Forse è meglio andare a dormire. Buonanotte, Di Angelo. >> Poi mi voltai, con i piedi nudi nella sabbia asciutta.

<< A domani, Hale. >> Ribatté mentre mi allontanavo.

Avrei pensato il giorno successivo a ciò che era successo.

Forse avrei dormito senza incubi, dopo tanto tempo.

Forse quella sarebbe stata davvero una buona notte.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

NOTE AUTRICE

Ebbene sì, sono in ritardo. Di nuovo. Però capitemi, è  iniziata la scuola e i miei professori già parlano di maturità (e io sono in quarta), non li sopporto più, davvero. Cooooomunque. Finalmente quei due ce l’hanno fatta, eh? Spero che il capitolo vi sia piaciuto, spero di riuscire a postare il prossimo un po’ prima, ma non garantisco niente. Grazie mille per essere arrivati fin qui :3 Ci si sente alla prossima

Bacioni

(E che Atena sia con noi, poveri malcapitati studenti)

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