Sweet Sixteen

di mychemicalfrnk
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Cattiva Ragazza ***
Capitolo 2: *** Artie ***
Capitolo 3: *** Nuova Me ***
Capitolo 4: *** Puck ***
Capitolo 5: *** Punizioni e litigi ***
Capitolo 6: *** Skanks ***
Capitolo 7: *** Forse ***
Capitolo 8: *** Ancora Punizioni ***



Capitolo 1
*** Cattiva Ragazza ***


                                        Image and video hosting by TinyPic                                              Sweet 16
             

                                          
                                                                                                                                         "Sweet sixteen and we had arrived
                                                                                                                  Walking down the streets as they whistle "hi, hi!" 



 
 
La sveglia suonò puntuale alle 7:30 di quel mercoledì mattina. Quello che aspettavo da 128 giorni, 17 ore e 20 minuti, minuto più, minuto meno. Rimasi qualche minuto in più a crogiolarmi in quel letto per l’ultima volta, guardando con le palpebre semi chiuse la mia cameretta. “Cameretta” era così che la chiamavo da bambina. Ma ormai ero cresciuta, e quella “Cameretta” mi andava stretta. Come quella casa del resto, come quella città. Cresciuta in una piccola (anche se piccola era più un eufemismo) città nel Tennesse, mi accingevo a spostarmi in un’altra, in Ohio, non esattamente più grande della precedente ma pur sempre nuova, con nuovi volti, nuove occasioni e soprattutto con persone che non mi conoscevano.



Non vedevo l’ora di farmi una reputazione nuova, diversa da quella precedente. Ero sempre stata etichettata come “Quinn la perdente” “Quinn la secchiona” “Quinn la noiosa” e altri nomignoli meno carini. E in effetti erano tutti veri. Ero quella ragazza con pochi amici, che preferiva rimanere a casa piuttosto che uscire ed andare a ubriacarsi, che preferiva un abbraccio al sesso, cosa anomala in quella città. Ero stanca di tutto ciò. Volevo una reputazione diversa, quella della “cattiva ragazza” quella della ragazza che se ne frega della scuola, va alle feste e si ubriaca, come tutti i 16enni.



Dunque, quel giorno di alcuni mesi prima, quando i miei genitori mi avevano chiamato in sala da pranzo per darmi la grande notizia, ero stata più che felice, ed ero stata altrettanto brava a coprire la mia felicità e ad ostentare tristezza e dispiacere. Non volevo che i miei pensassero che quella città non mi piaceva. In qualche modo, era come ferirli visto che erano chiaramente molto abbattuti. Mia madre in particolar modo: era nervosa seduta al tavolo mano nella mano con mio padre, che, invece, era più rilassato. Arrivata in sala da pranzo mia madre mi aveva fatto cenno di sedermi e aveva esordito con:
“So che probabilmente è un duro colpo per te Quinn, ma tuo padre ha avuto una splendida offerta in ohio che non possiamo certo rifiutare, aumenteranno il suo stipendio e… mi dispiace”


Aggrottai la fronte cercando di capire -Dunque, una splendida offerta, aumento dello stipendio e soprattutto una casa lontano da questo posto, fantastico giusto? Allora perché sembrava che i miei fossero ad un funerale?- Di colpo capii. Era per me che si sentivano così. Pensavano davvero che mi piacesse quella città, che mi sarei disperata dopo quella notizia. Abbassai gli occhi sulle mani che tenevo in grembo. Non potevo certo mostrarmi felice, li avrei feriti.


“Ci trasferiamo dunque?” chiesi alzando lo sguardo su mia madre. Lei mi prese le mani e annuì. Per il resto della serata ne avevamo discusso, e alla fine, se pur con molta riluttanza, avevo “acconsentito” a lasciare quel posto. Saremmo partiti in alcuni mesi.



“Oggi inizia una nuova vita” dissi a me stessa. Mi alzai dal letto e andai in bagno per vestirmi. Appena chiusi la porta mi girai verso lo specchio e sorrisi. Una ragazza con i capelli scompigliati, biondi, lunghi fino alla schiena, con due occhi marroni, non troppo scuri, ne troppo chiari ricambiò il sorriso. Scossi la testa, peggiorando lo stato pietoso dei miei capelli. Ero così abituata a quell’immagine di me che mi chiesi se sarei stata in grado di cambiarla in una completamente diversa. Feci una doccia, mi vestii e uscii dal bagno. Misi le ultime cose nelle valigie e richiusi tutto. Guardai un’ultima volta la mia stanza: le pareti rosa, verniciate quando avevo circa sei anni e mai riverniciate, l’armadio che aveva visto miriadi di vestiti da 3-4, 5-6, 7-8 anni fino ad arrivare ai 16, quel profumo caratteristico che non sarei riuscita a scordare… Scossi la testa un’altra volta, presi le mie valigie e scesi le scale.



“Sei pronta? Mangia qualcosa, partiamo tra poco” disse mia madre mentre metteva le ultime cose nelle svariate borse e valigie che occupavano la casa da giorni ormai. Presi una barretta ai cereali e la misi nella borsa. In pochi minuti era tutto pronto e per le otto e un quarto eravamo seduti in macchina. Mio padre mise in moto e io guardai la mia casa allontanarsi dal finestrino. Non mi sentivo per nulla infelice, ne malinconica, ne triste. Nulla. L’unica persona che mi dispiaceva lasciare era la mia migliore amica Rachel. Avevamo condiviso tutto in quegli anni. Proprio in quel momento il mio telefono vibrò:



Da: Rachel
Fa buon viaggio, mi mancherai!



Le avevo promesso che ci saremmo tenute in contatto, ma sapevo che non sarebbe successo. Le amicizie a distanza sono difficili quanto le relazioni. Mi sarebbe mancata tantissimo, ma sapevo che un giorno anche lei sarebbe riuscita ad andarsene da quel posto. Era troppo talentuosa, troppo brava, troppo intelligente.
Non potevo più guardarmi indietro ormai. Così mi misi comoda e guardai fuori dal finestrino, finchè il sonno non ebbe la meglio. Fu la vibrazione del mio telefono a svegliarmi. Lo sbloccai velocemente e controllai l’orario: 12:30. Sonnecchiai per il resto del viaggio finchè la macchina non si fermò del tutto. Guardai fuori dal finestrino: Una casa a due piani, con un giardino abbastanza grande che, per quanto potevo vedere dall’interno della macchina, girava intorno all’edificio. Era una casa piuttosto moderna e vista da fuori, era molto bella.



Scesi e chiusi la portiera. Dopo numerose (ad un certo punto avevo persino perso il conto) eravamo arrivati, e ormai erano le due. C’era un leggere vento che mi scompigliava i capelli. Diedi uno sguardo alla strada: case simili alla mia erano allineate su entrambi i lati della strada, ognuna con il proprio giardino. Quasi non mi accorsi che i miei stavano cominciando a tirare giù le valigie dalla macchina. Portai le valigie al piano superiore e aprii la porta della mia nuova stanza.
La tappezzeria mi colpì come un pugno in un occhio: Un’accozzaglia di colori sparsi, come se fossero su una tavolozza, e disegni non definiti qua e la. Finalmente compresi il rischio di comprare una casa già arredata. Non sai mai cosa potresti trovarci. Scossi la testa per la terza volta quel giorno, prendendo mentalmente nota delle cose da cambiare in quella stanza, assicurandomi che la tappezzeria fosse al primo posto. Tutto sommato, il resto della stanza non era male, il letto sembrava comodo, l’armadio spazioso e dalla finestra entrava molta luce. Cominciai a tirare fuori le cose dalle borse finchè degli schiamazzi provenienti dalla strada non mi richiamarono alla finestra.



Un gruppo di ragazzi si stringevano intorno a due ragazze che urlavano e si prendevano a spintoni. Una delle due era alta, con lunghi capelli scuri e occhi altrettanto scuri, e stava chiaramente avendo la meglio sull’altra. Non avevo mai visto nessuno aggredire in quel modo, cercai di capire cosa potesse essere successo tra le due ragazze per provocare una lite del genere. Nella mia vecchia città c'erano spesso liti, ma non avevo mai visto nessuno lottare come lei. La vittima era di spalle, quindi non riuscii a vedere il suo volto, ma anche dalla finestra, riuscii a capire che si trovava in difficoltà. La ragazza più alta la spinse e le fece perdere l’equilibrio, mandandola a terra. Proprio mentre un ragazzo alto con la cresta si metteva in mezzo alle due ragazze “più per salvare l’altra che per separarle” pensai, il campanello suonò



Arrivai alla fine delle scale mentre mia madre apriva la porta. Una donna con una gigantesca teglia fumante in mano stava in piedi davanti alla porta.
“Salve, sono la signora Abrams, la vostra vicina, e questo è mio figlio Artie” disse indicando il ragazzo sulla sedia a rotelle che al primo sguardo non avevo nemmeno notato.



 
 
Non so come iniziare e non sono per nulla brava con queste cose, dunque passiamo direttamente alla storia haha:
Prima di tutto: ti ringrazio se hai letto tutto il primo capitolo e sei arrivato qui.
La mia scorsa fanfiction è finita nel dimenticatoio dopo tre capitoli (mi vergogno da morire) e sono davvero decisa a non far fare la stessa triste fine anche a questa, sperando che la scuola mi lasci tempo per scrivere.
La fan ficition è basata su una canzone di Lana del Rey "This is what makes us girls" e come avete potuto già notare la protagonista è Quinn. Nella storia non ci saranno tutti i personaggi della serie, ma solo alcuni. 
Spero che la fan fiction piaccia a qualcuno e cercerò di postare ogni settimana, sperando sempre per il meglio lol.
Alla settimana prossima dunque

- Alice



 

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Capitolo 2
*** Artie ***




Artie sorrise. “piacere di conoscerla” disse stringendo la mano a mia madre e a mio padre, che li raggiunse poco dopo.
Era molto magro, aveva i capelli corti e castani e indossava una camicia bianca sotto al gilet, con dei pantaloni marroni. Portava degli spessi occhiali, con la montatura nera, ma era impossibile ignorare gli occhi azzurri nascosti dietro di essi. Sua madre non era molto alta. Aveva i capelli castani, più scuri di quelli del figlio, che le arrivavano alle spalle. Portava una camicia viola e dei pantaloni neri.
Mia madre sfoggiò il sorriso migliore che riuscì a trovare: per lei il rapporto con i vicini era sempre stato importantissimo, sin da prima che io nascessi.

 
 
 
“Salve, io sono Judy, lui è mio marito Russel e questa è mia figlia Quinn” disse indicando prima mio padre e poi me, che ero rimasta sulle scale da quando mia madre aveva aperto la porta.

Sorrisi e arrivai davanti alla porta, stringendo la mano prima alla madre e poi ad Artie

“Entrate, prego” disse mia madre, facendo un gesto con la mano e tenendo aperta la porta per loro.

“Questo è solo un pensiero” disse la signora Abrams indicando la teglia “Abbiamo pensato che potesse farvi piacere”

“Oh, Non dovevate distrurbarvi!” rispose mia madre prendendo la teglia e posandola sul tavolo, “Volete accomodarvi?” disse indicando il divano.

“No grazie, siamo solo venuti a salutare” rispose la madre di Artie declinando l’invito

“Lasciate almeno che vi mostri la casa, da questa parte” disse avviandosi verso le scale e poi bloccandosi di colpo, mostrando un po’ di imbarazzo
Artie e la madre capirono al volo e si guardarono.

“Stia tranquilla, posso aspettare qui” disse Artie con un sorriso. Non c’era nessuna traccia di commiserazione o tristezza nel suo sguardo e nel suo tono di voce, era chiaro che era abituato a situazioni del genere

“Oh… ecco.. certo.. Quinn! Perché non rimani con Artie mentre mostro la casa alla signora Abrams?” Disse mia madre lanciandomi uno sguardo supplicante.
Annuii e sorrisi. Mia madre cominciò a salire le scale seguita dalla madre di Artie e mio padre, che fino a quel momento aveva solo sorriso e annuito. Era un tipo timido, di poche parole.
 
 

 
“Allora, verrai al liceo McKinley?” disse Artie che si era allontanato dalle scale e ora stava in soggiorno, accanto al divano

“Sì, inizio lunedì” risposi sedendomi sulla poltrona di fronte a lui “tu vai lì vero?”

Artie annuì, e la sala piombò in un imbarazzante silenzio. Artie si guardò un po’ in giro, bloccò la sedia a rotelle e poi spostò ancora lo sguardo su di me prima di sorridere

“Hai qualche consiglio da darmi?” chiesi ricambiando il sorriso

“Stai attenta alla reputazione” disse lui tornando serio. “In quella scuola le classi sociali sono importantissime e duramente delineate” disse

“Cosa intendi con duramente delineate?” Chiesi perplessa.

“Gli sfigati sono sfigati, i popolari sono popolari, e poi ci sono quelli nel mezzo della scala sociale, che non sono abbastanza popolari, ma sono comunque abbastanza fortunati da non essere giudicati sfigati”

“E chi decide queste classi?” Chiesi incuriosita.

“Beh, ecco… Una persona lo ha scritto in faccia, sai, se sei uno sfigato si nota…” Disse lui lasciando la frase in sospeso e guardando in basso, come a voler dire “Indovina in che classe sono finito io

Immediatamente però riacquistò il sorriso e continuò a parlare

“Gli sfigati non parlano mai con i ragazzi popolari, hanno paura” disse scuotendo la testa

“Hanno paura di cosa?” Chiesi sempre più incuriosita

“Del cassonetto” rispose Artie con semplicità, come se non ci fosse cosa più naturale di quella. E in effetti non c’era bisogno di dire altro, era perfettamente chiaro.

“E chi è che butta la gente nei cassonetti?” Chiesi con gli occhi spalancati, con un certo disappunto.

“Il gruppo di Puck” rispose, quasi divertito dalla mia curiosità

“Puck? Che soprannome ridiciolo” Dissi inarcando un sopracciglio e incrociando le braccia.

“Può anche essere un soprannome ridicolo, ma è il più popolare della scuola, se entri nel suo gruppo puoi essere considerato al vertice della scala sociale”
Quella frase attirò la mia attenzione. La popolarità era esattamente quello che stavo cercando, tutto quello che volevo era che la gente conoscesse il mio nome.

“Dunque, cosa bisogna fare per entrare nel gruppo di questo… Puck?” chiesi con tutta la naturalezza che avevo in corpo ma, evidentemente, fallendo miseramente, perché Artie mi guardò con disappunto.

“Scusa se lo dico, ma, sinceramente non mi sembri il tipo di persona che entra in quei gruppi” disse guardandomi come a rimproverarmi

Scrollai le spalle “Beh, ecco, do tutta un’altra impressione al primo impatto effettivamente” dissi con un sorriso che nella mia mente voleva essere misterioso, ma che fallì come il mio precedente tentativo di sembrare disinteressata.
 
 
Cazzate.
 
 
Ero esattamente come apparivo, una povera e ingenua ragazzina sfigata.
 
Artie inarcò un sopracciglio e fece un sorriso divertito. “Va bene: suppongo che tu debba fare buona impressione su di lui, e il trono sarà tuo” disse con una certa enfasi e con la voce carica di ironia,  proprio mentre sua madre scendeva le scale accompagnata da mia madre dicendo “è veramente una casa deliziosa”.

“Avete fatto amicizia voi due?” Chiese sua madre raggiungendoci.
Annuimmo entrambi. Artie tuttavia mi era simpatico, ed ero abbastanza sicura di essere simpatica anche a lui.

“Volete fermarvi per la cena?” Tentò di nuovo mia madre

“Oh, no grazie, siamo solo venuti a salutare” Ribadì la madre di Artie sorridendo

“Siete sempre i benvenuti” Ribattè mia madre mentre accompagnava la signora Abrams alla porta

“Ci vediamo lunedì, quindi” Disse Artie mentre si avviava alla porta e facendomi un occhiolino che voleva significare “Buona-fortuna-per-la-faccenda-di-Puck”. Sorrisi scuotendo la testa mentre chiudevo la porta. Ora ero sicura di stargli simpatica.
 
 
La mattina dopo mi svegliai tardi, dopo una notte praticamente insonne a causa del nuovo letto, della carta da parati improponibile che mi appariva davanti ogni qualvolta aprivo gli occhi, e del chiasso che facevano i ragazzi del vicinato. Pensare che il mio obbiettivo era diventare uno di quelli…
Scesi per colazione e chiamai Rachel al telefono.
 
Buongiorno dormigliona! Ti ho mandato un messaggio ma suppongo che tu stessi ancora dormendo, come al solito” disse. Potevo percepire il suo sorriso anche al telefono
 
“Erano le 7:30, nessuno è sveglio alle sette e trenta a parte te”

Dimentichi che oggi è giovedì, e i comuni mortali che non si sono appena trasferiti a km dalla loro città natale vanno a scuola”
 
“Oh, giusto” dissi mentre prendevo una tazza e i cereali dalla dispensa “e tu non dovresti essere a scuola?”
 
E’ intervallo. Adesso smetti di cambiare argomento, racconta tutto
 
“La casa e bella e più grande di quella dove abitavo prima e i vicini sono simpatici” dissi, un po’ troppo sbrigativa.
 
Tutto qui?” Disse con una punta di delusione nella voce
 
“Ehi, sono qui da meno di un giorno, che ti aspetti?”
 
Non so, qualcosa di più… definisci vicini simpatici
 
“Un ragazzo della nostra età, va nella scuola dove comincerò lunedì”
 
E com’è?
 
“Te l’ho detto, è simpatico”
 
Mh-Mh
 
“Cosa intendi con ‘Mh-Mh’?”
 
Nulla, tranquilla” disse ridendo
 
Di colpo mi venne in mente che nemmeno Rachel era a conoscenza della mia voglia di cambiare regole.
 
“Tu? Ti manco già?” Chiesi sorridendo
 
Troppo” Disse, di colpo improvvisamente seria.
 
“Verrai a trovarmi presto, vero?”
 
Ovviamente” Disse solenne
 
Una campanella provenne dall’altra parte della linea
 
“Devo andare… Due ore di storia” Riuscivo a vederla mentre roteava gli occhi e si dirigeva alla classe
 
“Va bene, mi manchi!” Dissi
 
“Anche tu. Ci sentiamo dopo?
 
“Certo, a dopo”
 
E la chiamata si concluse. 
 
Hola gente :)
Dopo una settimana sono tornata con il secondo capitolo, che ve ne pare?
Quinn viene a conoscenza dell'esistenza di un certo Puck... il nome vi dice nulla? ;)

Voglio ringraziare le persone che hanno messo questa storia nelle seguite, nelle preferite, e voglio ringraziare le persone che hanno recensito, grazie mille per aver letto almeno il primo capitolo :)
Cercherò di postare ogni settimana un nuovo capitolo, solitamente il giovedì

Per adesso è tutto direi, alla settimana prossima! 
-Alice

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Capitolo 3
*** Nuova Me ***


Per tutta la settimana, le parole di Artie continuarono a vagare nella mia testa senza darmi tregua. Era come se continuassi a sentirle, ancora e ancora. “Scusa se lo dico, ma, sinceramente non mi sembri il tipo di persona che entra in quei gruppi”. Forse non riuscivo a dimenticarmele perché in fondo aveva ragione? “Ma certo che ha ragione,” pensai sabato mattina, guardandomi allo specchio “non sono affatto quel tipo di persona”
 
Fin da quando ero piccola ero sempre stata attenta a comportarmi bene, a prendere buoni voti a scuola, a non deludere mai i miei, a fare il mio dovere e a restarmene al mio posto. Ma da un po’ di tempo a quella parte mi ero stufata. Odiavo sentire i miei dire ai loro amici “Quinn è proprio brava” o “Non è una di quelle ragazze ribelli” e così via. Ora volevo diventare esattamente il contrario di ciò che ero prima, e le parole di Artie erano servite solo a rendermi più determinata.
 
“Sto uscendo mamma” dissi afferrando la giacca e chiudendo la porta alle mie spalle. L’aria fresca di ottobre mi scompigliò i capelli. Mi fermai a guardare le case del mio quartiere. Era un bel posto; le case erano tutte simili e allineate ai due lati della strada in maniera ordinata, ma i giardini erano particolari. Non ce ne era uno uguale ad un altro. La strada era pulita, così come i marciapiedi.
 
Presi il foglietto stropicciato che avevo preparato la sera prima dalla mia tasca e lo aprii. Era una lista delle cose che avrei dovuto fare quel giorno. All’inizio quella della lista mi sembrava un’idea stupida, ma avevo bisogno di ordinare le idee. Primo punto all’ordine del giorno erano i miei capelli. Il classico detto “l’abito non fa il monaco” era un po’ debole al McKinley, a quanto avevo capito dal discorso di Artie.
Tuttavia ero un po’ riluttante, i miei capelli erano sempre stati lunghi e biondi sin da quando ero bambina e li raccoglievo in due codini tutte le mattine prima di andare a scuola, e tagliarli era un grande cambiamento, ma quel cambiamento era necessario.
 
Entrai nel parrucchiere più vicino a casa. Era gremito di anziane signore andate a farsi la messa in piega per il pranzo della domenica insieme alla famiglia, e l’odore pungente di lacca per capelli misto all’odore di shampoo mi fece lacrimare gli occhi per alcuni momenti
 
“Posso esserti d’aiuto?” Un ragazzo sulla trentina, vestito in maniera assai discutibile, si avvicinò a me
 
“Vorrei cambiare taglio” dissi mostrando una foto che avevo trovato su una rivista che raffigurava una ragazza magra e alta con il taglio di capelli che volevo.
 
Il ragazzo guardò la foto, emettendo un verso che assomigliava vagamente a un “gasp” di quelli dei fumetti, e poi alzò lo sguardo su di me nuovamente.
 
“Ne sei sicura?” mi chiese divertito, inarcando un sopracciglio.
 
Fantastico, ci mancava solo che anche il parrucchiere mi giudicasse una ragazza indifesa senza spina dorsale.
“Sicurissima” Risposi, forse con un po’ troppa foga.
 
“Va bene, accomodati allora, arrivo tra pochissimo” rispose il ragazzo, sempre con quel sorrisetto sulla faccia.
 
Mi sedetti su una poltrona girevole di pelle situata davanti allo specchio, guardando riflessi i miei capelli e sospirando.
 
Il parrucchiere tornò armato di forbici e pinze per capelli. Guardò un’ultima volta nello specchio, lanciandomi uno sguardo che assomigliava tanto a “sei-sicura-di-quello-che-fai?”. Sbuffai e annuii.
 
Immediatamente il ragazzo cominciò il suo lavoro. Per distrarmi e costringermi a non guardare nello specchio presi una rivista abbandonata sul tavolo vicino al mio e la sfogliai distrattamente. Era una rivista locale. La maggior parte delle pagine erano occupate da pubblicità che sponsorizzavano ogni tipo di prodotto: Dal cibo per  gatti al gel per capelli.
 
Un articolo in particolare però attirò la mia attenzione.
La banda degli Skanks colpisce un’altra volta. Multe per schiamazzi in zona residenziale e insulti contro le autorità” L’articolo era breve, e parlava di questi Skanks, un gruppo di ragazzi della zona, e delle loro precedenti bravate. Ad accompagnare l’articolo, la foto segnaletica di questo ragazzo dai capelli scuri con una cresta, che sorrideva beffardo alla telecamera, alzando solo un angolo della bocca, come a prendersi gioco della persona che scattava la foto. Mi sembrava di averlo già visto. Cercai di ricordare dove ma non mi veniva in mente nulla.
 
“Ho quasi finito” Disse il parrucchiere riportandomi alla realtà. Annuii e mi costrinsi a non alzare lo sguardo sullo specchio. Continuai a sfogliare la rivista per i dieci minuti restanti, ma la mia mente era ancora impegnata a cercare di ricordare il ragazzo della foto.
 
“Voilà!” Fece il parrucchiere con un moto di orgoglio per il suo capolavoro.
 
Presi un respiro e alzai lo sguardo.
 
Sbam.
 
I miei capelli erano stati accorciati e ora non arrivavano più alle spalle, formavano un caschetto scompigliato che incorniciava il mio viso. Non erano più mossi e soffici come prima, ma lisci e in disordine.
Erano tinti di un rosa audace e forte, e solo alcune ciocche erano state lasciate bionde
 
Feci un piccolo sorriso
Non era male
 
“La ringrazio” dissi alzandomi e avvicinandomi alla cassa per pagare.
 
Una volta fuori dal negozio misi una mano in tasca e tirai fuori la lista. Istintivamente portai una mano ai capelli, mentre con l’altra cercavo una penna nella borsa e cancellavo la scritta “capelli”.
 
Tirai un sospiro. La prima parte era andata bene.
 
Trascorsi il resto della giornata per negozi, cercando vestiti adatti alla “nuova Quinn” e il tutto si rivelò meno complicato del previsto.
A quanto pare sapevo già quali erano i vestiti adatti. Era come se avessi aspettato quel momento da molto, come se la nuova Quinn stesse finalmente emergendo e uscendo allo scoperto, come se fosse stata dentro di me per molto tempo, e finalmente avesse deciso di urlare e di farsi sentire.
 
I vestiti erano prevalentemente neri. Jeans strappati, maglietti di rock band, giacche di pelle e cose del genere. Pensavo che in quei vestiti mi sarei sentita a disagio, pensavo che non mi appartenessero, ma una volta provati nei camerini dei negozi scoprii che mi si addicevano perfettamente.
 
Uscii dal negozio soddisfatta e sommersa da sacchi e pacchetti. Un gruppo di ragazzi mi passò davanti in macchina, schiamazzando e urlando. Proprio mentre la macchina mi oltrepassava, un ragazzo mise la testa fuori dal finestrino e urlò “Skanks!” seguito da urla e risate dietro di lui. “Vai Sam!” urlò un altro. La macchina si allontanò velocemente. Erano loro dunque. Il ragazzo che aveva urlato però, non era quello della foto. Questo Sam infatti aveva i capelli biondi e lunghi.
 
Tornai a casa rallentata dai sacchetti di vestiti. Ormai si erano fatte le 18.
Varcai la soglia di casa velocemente con un “Mamma, Papà, sono a casa” e mi lanciai su per le scale, ma fui fermata al terzo gradino dalla voce di mia madre alle mie spalle
 
Lucy Fabray!” Gridò mia madre.
 
Ahia
 
Venivo chiamata con il mio vero nome solo in determinate situazioni, specialmente quando la combinavo grossa. Non che accadesse spesso, sia chiaro.
 
“Che è successo ai tuoi capelli? Disse mia madre scandendo bene ogni parola, come faceva quando era arrabbiata. La sua pelle, di solito rosea, diventava sempre più paonazza ogni secondo che passava, e una vena le pulsava sulla fronte.
La vedevo raramente in quel modo
 
“Avevo voglia di cambiare” cercai di giustificarmi, ancora incollata al terzo gradino, con i sacchetti e tutto.
 
“Potevi, anzi Dovevi dircelo” ribattè mia madre, marcando a dovere la parola “dovevi”
 
“Che succede?” mio padre entrò nella stanza. Con mio grande sollievo e con ancor più grande disappunto di mia madre, non fu molto sconvolto dai miei capelli.
 
“Che succede? Che succede chiedi?! Hai visto tua figlia? Sembra appena uscita da un ritrovo Punk!” urlò mia madre, che ormai era dello stesso colore del divano rosso che mia nonna aveva in casa. Con quel colorito, i suoi occhi azzurri risaltavano ancora di pù.
 
Mio padre alzò le spalle “non ci vedo nulla di male nel voler cambiare qualcosa ogni tanto” disse guardandola calmo. Tirai un sospiro ringraziandolo mentalmente
 
“Doveva chiederci il permesso!” disse mia madre, la voce sempre più alta ogni volta che apriva bocca, incredula per la reazione del marito
 
“Per l’amor del cielo, ho sedici anni mamma, non dodici!” dissi spazientita.
Fortunatamente non è possibile uccidere una persona con lo sguardo, perché quello che mi lanciò mia madre dopo quella frase avrebbe potuto incenerire l’intera popolazione di Lima.
 
“Vai in camera tua” disse mio padre guardandomi “parlo io con tua madre”.
 
Annuii e corsi in camera, chiudendo la porta dietro le mie spalle e tirando un sospiro di sollievo.
 
Fortunatamente mio padre era intervenuto; mia madre al primo impatto può sembrare la persona più docile del mondo, ma bisognava stare estremamente attenti a non farla arrabbiare.
 
La cena fu consumata nel silenzio più totale. A quanto pare mio padre era riuscito a calmarla abbastanza da permettermi di scendere a mangiare senza farla scattare di nuovo come una molla, e mia madre era tornata al suo normale colorito, ma ancora non riusciva a guardare i miei capelli senza distorcere la bocca.
 
Finita la cena tornai in camera e appesi con cura i nuovi vestiti. Mi sdraiai nel letto con l’intenzione di leggere qualche pagina del libro, ma mi addormentai immediatamente.
 
Salve a tutti
Ho deciso di pubblicare oggi e non giovedì perchè questo non è un capitolo particolarmente pieno di eventi,  e non valeva la pena aspettare una settimana intera.
Passiamo alla storia:
Quinn ci da letteralmente un taglio ed è pronta ad iniziare la sua, diciamo, "Nuova vita" con disappunto della madre.
Sono felice di annunciare che, nel prossimo capitolo, Quinn e Puck si incontreranno di persona per la prima volta ^^

Parlando di Puck e Quinn, manco a farlo apposta si sono rimessi insieme - nel modo più dolce e carino possibile lol - anche nella serie, finalmente 
N.B. Nella serie il gruppo "Skanks" è formato da sole ragazze, mentre nella storia l'ho "allargato", in modo che comprenda tutto il gruppo di Puck.

Ci tengo molto e vorrei sapere le vostre impressioni su questo terzo capitolo, in modo da poter migliorare anche negli altri, dunque qualsiasi commento è bene accetto :)
Posterò presto un altro capitolo :)
-Alice 

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Capitolo 4
*** Puck ***


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La sveglia suonò alle 7 e io prontamente la spensi, già ben sveglia da ore.
La domenica era trascorsa troppo velocemente.
 

 Mi ero svegliata tardi ed ero scesa per la colazione. La scena che mi si era presentata davanti era più o meno la stessa della sera prima: Mia madre mi aveva guardata, aveva emesso una specie di “sgrunt” misto ad uno sbuffo, e si era rimessa a pulire il piano cottura. Mio padre mi aveva guardata scuotendo impercettibilmente la testa e io avevo afferrato una mela al volo ed ero corsa su per le scale nella mia camera.
Avevo passato la mattinata messaggiando con Rachel e leggendo, e a pranzo ero scesa a mangiare. Inutile dirlo: stesso scenario.
 

Ora: mia madre ha un bel carattere: è aperta e socievole, quasi sempre comprensiva e gentile, ma quando qualcosa non le va giù è capace di rimanere in silenzio per giorni, come quella volta che mio padre comprò quell’orribile poltrona senza consultarla. Silenzio di tomba per una settimana
“Mi chiedo quando le passerà” pensai tornando su per le scale dopo il pranzo.

 
Il pomeriggio era trascorso velocemente, ed io ero stata impegnata a scegliere con molta cura i vestiti per il giorno dopo e ad accertarmi che tutto fosse perfetto. La sera avevo un nodo allo stomaco dovuto all’ansia del primo giorno di scuola ed ero andata a dormire presto con solo un pezzo di pane nello stomaco.
 
Mi alzai dal letto e andai in bagno.

Ero consapevole che la mia classe sociale all’interno della scuola sarebbe stata decisa quel giorno, e avrei dovuto portarmela dietro per anni. L’ansia era troppa e mi stringeva lo stomaco.
Come era prevedibile, per colazione non riuscii ad ingoiare nulla se non una fetta biscottata.
 

Sapevo cosa fare, era semplice: Dovevo conoscere Puck e rendermi simpatica, e di sicuro sarei stata nel suo gruppo.
 

Nulla di più facile” dissi ironica a me stessa.
 
Finii di vestirmi e sistemarmi i capelli e mi guardai allo specchio prendendo un respiro.
C’era da dire che avevo fatto proprio un buon lavoro.
 

I capelli erano perfetti con il mio nuovo modo di vestire e mi incorniciavano il viso in un caschetto scompigliato.
Avevo una canotta nera, non attillata, che arrivava sopra il mio ombelico, strappata nella parte inferiore, e una gonna lunga, a sfumature bianche e nere, che mi arriva ai piedi, nascondendo alla vita le scarpe nere e borchiate.
L’orecchino appeso al mio orecchio destro si univa alla collana, e avevo anche trovato un finto piercing da mettere al naso, in attesa di fare quello vero. Occhiali da sole tondi, scuri e smalto nero sulle unghie.
 

Era esattamente questo che mi ero immaginata, e mi piaceva. Avevo chiuso con le gonnelline da ragazzina delle medie, le camicette dai colori pastello e le giacche chiare ed avevo aperto la porta a borchie e giacche di pelle. Ora ero la vera Quinn.
In qualche modo (ancora ora non riesco a spiegarmelo) mi sentivo come se la vera Quinn fosse sempre stata così; era solo rimasta nascosta sotto strati di vestiti e trucchi dai colori chiari e da bambini. Mi sentivo, per la prima volta, veramente io, ed era una bellissima sensazione.
Non dovevo più fingere di essere quella che non ero, ora potevo essere la ragazza che avevo sempre sognato di essere.


In quel momento, davanti allo specchio, mi erano tornati alla mente tutti i vecchi ricordi, le ragazze a scuola che mi chiamavano sfigata e mi guardavano dall’alto in basso, I ragazzi che mi ridevano dietro e mi sfottevano. Tutti che mi insultavano.

 
Ma ora era la mia rivincita.
 

Di colpo tutte le insicurezze sparirono e fu come se un peso mi si togliesse dallo stomaco. Alzai il mento e tirai indietro le spalle, assumendo l’espressione più arrogante e dura che potessi assumere.
 

Ero finalmente io.
 

Feci un mezzo sorriso e afferrai la borsa.
“Mà, io esco!” urlai mentre aprivo la porta, cercando di evitare un'altra crisi a causa del mio abbigliamento.
 

La scuola era vicina e avevo già memorizzato la strada nei giorni precedenti. Infilai le cuffie nelle orecchie e mi avviai con molta calma.
Era buffo. In un momento tutte le mie preoccupazioni erano sparite. Ora ero rilassata e tranquilla, sapevo esattamente cosa dovevo fare. Quella era la mia rivincita.
 

Arrivai davanti a scuola. Tolsi le cuffie, presi un respiro, tirai su il mento di nuovo ed entrai.


I corridoi erano grandi, con schierati ai lati tanti armadietti. Gli studenti erano tantissimi: andavano in tutte le direzioni: c’era chi era di fretta e correva verso la classe, chi camminava con una amica o un amico, chi prendeva i libri dagli armadietti chiacchierando con i vicini, ma la maggior parte di loro smise di fare quello che stava facendo per girarsi a vedere, almeno di sfuggita, Quinn Fabray camminare per il corridoio. Tenni lo sguardo dritto davanti a me, ignorando tutti gli studenti che mi guardavano, e trovai il mio armadietto.
 

Solo una volta arrivata, mi guardai intorno e notai con piacere che al mio sguardo tutti abbassavano il loro.
Feci un mezzo sorriso e misi i libri in ordine. In quel momento la campanella suonò e mi diressi nella classe della mia prima lezione: storia.
 

Dopo alcuni minuti di giri a vuoto per la scuola trovai la classe, vicino alla mensa. Appena varcai la soglia però, mi bloccai.
Seduto nel penultimo banco c’era il ragazzo biondo che avevo visto nella macchina il sabato precedente. Sam, quello della banda degli Skanks. A quanto pare alcuni membri erano di quella scuola allora, se non tutti.


Mi diressi verso un banco all’ultima fila, non lontano da quello del biondo. I banchi erano separati e la cattedra era della lunghezza di almeno due di quei banchi. Dietro alla cattedra c’era appesa al muro una gigantesca lavagna, grande quasi quanto l’intera parete.
Quattro finestre poste sulla parete sinistra della classe la rendevano una delle più illuminate della scuola. La luce entrava dai vetri chiusi e scaldava i banchi e le sedie più vicine.
 

Mi sedetti e poggiai la borsa a terra, cercando di non guardarmi intorno con troppa curiosità.
Quasi tutti gli studenti erano entrati nella classe: a parte un paio di banchi vuoti, la classe era al completo.
Una donna sulla cinquantina, con i capelli biondi sciolti sulle spalle, il portamento elegante e dei tacchi dodici che producevano un sordo “toc toc” ogni volta che posava un piede a terra entrò nell’aula.
 

“Buongiorno ragazzi” disse sedendosi e inforcando gli occhiali.
Un brusio confuso rispose alla frase della professoressa.
 

Fece velocemente l’appello. Quando arrivò alla F e di conseguenza a Fabray alzò lo sguardo su di me.
“Benvenuta nella scuola signorina Fabray, siamo lieti di averla in classe” disse abbassando gli occhiali sul naso per vedermi.
“La ringrazio” dissi con una nota di ironia nella mia voce, come a voler fare intendere che la cosa non era reciproca. Gli studenti che la colsero al volo risero, ma lei sembrò non farci caso, e andò avanti con l’elenco.
 

A venti minuti dall’inizio della lezione la porta si aprì.
Un ragazzo con i capelli scuri e una cresta entrò nell’aula. Lo avevo già visto.
Di colpo mi ricordai.
Era il ragazzo della foto sul giornale, quello che aveva diviso le due ragazze che litigavano sulla strada sotto casa mia, il leader degli Skanks.
 
“Signor Puckerman, è sempre in ritardo vedo” disse la professoressa abbassando ancora una volta gli occhiali sul naso e guardandolo scocciata.
 

Puckerman. Puck. Impiegai pochi secondi per capire:
Artie aveva detto che era il gruppo di Puck a comandare in quella scuola, ma non aveva accennato al nome. Quindi era nel gruppo degli Skanks che stavo cercando di entrare.
 

“Quante volte le ho detto di non darmi del lei?” rispose Puck sorridendo alzando solo un angolo della bocca, come nella foto segnaletica del giornale “Mi chiami solo Puck” la classe rise. Quel ragazzo doveva essere l’anima della festa.
 

La professoressa sbuffò “vada a sedersi” disse.
Puck camminò fino al banco del biondo e lo salutò con una pacca sulla spalla, poi si sedette nel banco dietro il suo, di fianco al mio.
Mi mostrai indifferente e continuai a guardare davanti a me.
 
“Puckerman, ma puoi chiamarmi Puck anche tu se vuoi” disse ammiccando.
 
“Quinn” risposi alzando un sopracciglio divertita.
 
“Sei quella nuova, vero?” mi disse mentre tirava fuori il libro e lo apriva ad una pagina a caso.
 
“Sì, sono arrivata mercoledì” risposi con noncuranza.
 
“Ti troverai bene” disse, chiaramente ironico.
 
“Oh, ne sono certa” risposi, ancora più ironicamente di lui.
Sorrise
 
“Ti sei già fatta degli amici qui?”
 
“Nessuno che meriti” risposi. Mi presi a schiaffi mentalmente per quella risposta. “Nessuno che meriti”?! che razza di frase era? Stavo improvvisando, speravo non si notasse troppo.
 
Fortunatamente lui emise un “mmh” di comprensione, per farmi capire che la pensava come me.
 
“Hai ragione” disse poi “la maggior parte di quelli che abitano qui sono sfigati”
 
Questa volta toccò a me emettere il mio “mmh” di comprensione.
 
Puck si mise a parlare con Sam per il resto della lezione fino al suono della campanella.
 
Ci alzammo tutti quanti e in men che non si dica Puck e Sam erano alla porta.
 
Prima che uscisse però, Puck si girò verso di me e ammiccò di nuovo

“Ci vediamo in giro Fabray!” urlò per farsi sentire da un capo all’altro della classe
 
Sorrisi di rimando e annuii, mentre lui sparì dietro la porta.
 
Non male per il primo giorno.
 
Buonasera a tuttii!
Sono super di fretta quindi sarò breve:
Finalmente il nostro Puck entra in scena! (tra l'altro, manco a farlo apposta, c'è stato un ritorno dei Quick anche nella serie, quanto possono essere belli insieme? lol)
Quinn sembra essere più che a suo agio con il suo nuovo, come dire... comportamento?

Per le persone che chiedono di Santana.. ci sarà da aspettare ancora un pò! Fortunatamenre non molto però, solo un paio di capitoli :)
Ringrazio tutte le persone che hanno recensito i precedenti capitoli e che hanno messo la storia nelle preferite e nelle seguite, vi amo :'))

Che dire ancora? Direi che ho finito.
Al prossimo capitolo <3 
-Alice

N.B. La professoressa del capitolo non è presente nella serie: mi serviva un personaggio di un certo tipo e non ho potuto usare nessuno degli insegnanti già presenti :)


 

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Capitolo 5
*** Punizioni e litigi ***


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Passarono alcuni giorni e io cominciavo ad abituarmi a quello stile di vita. In effetti, non era per nulla complicato; sembrava che fossi nata per essere così. Ogni cosa mi veniva naturale e spontanea, senza che dovessi sforzarmi o altro. Ero finalmente felice
Vedevo Puck per i corridoi quasi ogni giorno, gli facevo un cenno con la testa e lui rispondeva con un altro, sorridendo. Parlammo un paio di volte, ma di sfuggita, prima di entrare in classe
 
Parlando di corridoi: Quando camminavo per la scuola, tutti gli sguardi erano puntati su di me. Non so se perché ero “la ragazza nuova”, o perché, da quando mi vestivo in quella maniera, era impossibile non guardarmi.  In più, gli sguardi di tutti si abbassavano quando li incontravo. Era divertente ad essere sinceri: finalmente ero io a incutere timore alla gente, e non il contrario, come era sempre successo.
 
Se a scuola andava tutto bene, a casa mia era tutt’altra cosa.
Il mio nuovo look era diventata questione di stato, non si parlava quasi di altro, e immancabili erano i commenti di mia madre ogni volta che posava gli occhi su una delle mie magliette stracciate o sul mio giacchetto di pelle. Era divertente sentire i suoi commenti, anche se non osavo ridere di fronte a lei (avevo fatto quell’errore una volta sola, ed ero assolutamente decisa a non rifarlo).
 
Mio padre non aveva voce in capitolo, e ogni volta che mia madre chiedeva lui un parere, o, la maggior parte delle volte, il suo appoggio, lui si limitava ad alzare le spalle e dire “non mi intendo di moda io, siete voi le esperte”. Sapevo che sotto sotto era dalla mia parte.
 
Quel giorno mi svegliai alla solita ora, mi alzai, andai a farmi una doccia e a prepararmi con calma.
La “solita ora” era comunque troppo tardi per arrivare a scuola in orario, e ad essere sinceri, facevo di tutto per ritardare il più possibile la mia entrata a scuola. Dovevo farmi pur notare in qualche modo no? Puck stava cominciando a non salutarmi più nei corridoi, e mi serviva qualcosa per farmi notare da lui.
Bhè, quel giorno mi sarei fatta notare più degli altri.
Avevo già fatto 3 entrate in ritardo quella settimana, e la politica della scuola (che per quanto mi sforzassi non riuscivo a capire) prevedeva che con 4 ritardi non giustificati, scattasse la punizione il pomeriggio stesso. Tuttavia non mi affrettai e feci le cose con calma.
Arrivai a scuola verso le otto e trentacinque, quando l’entrata massima erano le otto e venticinque, e alle otto e quaranta feci la mia grande entrata in classe.
 
“Buongiono” dissi spalancando la porta e chiudendola alle mie spalle con un braccio
 
“Fabray è in ritardo” disse la professoressa di storia alzando gli occhi dal libro e puntandoli su di me
 
“Davvero?” chiesi ironicamente facendo finta di guardare un orologio al mio polso. “Oops
 
“Sarebbe dovuta entrare mezz’ora fa” disse calma. “Ha il foglio dei ritardi firmato dai suoi?”
 
“Non proprio”
 
La professoressa abbassò gli occhiali sul naso come suo solito e mi guardò:
“E’ il suo quarto ritardo questo, e lei è ancora minorenne, i genitori devono essere informati”
 
“Ma lo sono” risposi scrollando le spalle
 
“Si aspetta che la creda? Sa che devono firmare, è la politica della scuola”
 
“La politica è stupida”
 
“Lei crede? Lo faccia presente al preside allora. Ora vada a sedersi, è in punizione oggi pomeriggio”
 
“Non può mettermi in punizione per un semplice ritardo!” Sbottai
 
“Quattro ritardi” rispose lei ancora calma.
 
“Mi faccia indovinare, ancora la politica della scuola?” dissi ridendo e incrociando le braccia. Anche parte della classe rise
 
“Esattamente” disse lei senza scomporsi.
 
Lanciai uno sguardo a Puck. Era seduto, anzi stravaccato, sulla sedia, e guardava la scena con il solito sorriso, alzando solo un angolo della bocca.
 
“Non ho intenzione di svegliarmi presto per venire qui prof” dissi seria
 
“Questo è un problema suo. Ora vada a posto, stiamo solo perdendo tempo”
 
“Bene”
 
Andai lentamente verso il mio banco e ci poggia sopra la borsa, facendo bene attenzione a far sbattere i libri contro la superficie in legno. Mi sedetti e aprii il libro.
Mi girai verso Puck alla mia destra, che sorrise. Sorrisi anche io, prima di girarmi.
 
Il resto della giornata fu scorrevole, e presto mi ritrovai davanti all’aula delle punizioni. Entrai e mi sedetti nell’ultima fila. Ben presto arrivarono tutti gli altri, e per ultimo, entrò Puck, che si diresse verso di me.
 
“Sembra che saremo compagni di punizione” disse, sempre con quel suo sorriso
 
“A quanto pare” risposi sorridendo a mia volta
 
“Ah, a proposito, quello è il mio posto” Disse indicando il banco dove ero seduta.
 
“Beh” dissi mettendomi comoda.
“Grazie-“ feci, alzando un piede e mettendolo sul banco “-per-“ continuai mettendo anche l’altro e incrociandoli “-avermelo ceduto” finii alzando gli occhi e guardandolo.
 
Stava per ribattere quando il professore entrò.
“Puck, a sedere” disse. Era un uomo leggermente sopra la trentina, con i capelli castani e ricci e il mento a culetto. “Lo chiama Puck” pensai girandomi a guardarlo. Si era seduto nel banco di fianco al mio e si dondolava sulla sedia “ovviamente” continuai girandomi e sorridendo “deve essere un frequentatore assiduo della punizione".
“Due ore a partire da ora” fece il professore guardando l’orologio. Si sedette alla cattedra e rimase lì un po’. Dopo alcuni minuti però, si alzò “Torno tra poco ragazzi, non fiatate” disse, anche se non sembrava troppo convinto nemmeno lui.
 
Appena ebbe chiuso la porta alle sue spalle, ci fu un grande movimento all’interno della classe: Banchi che si spostavano, sedie alzate e portate dall’altra parte dell’aula, e gruppi di persone che si sedevano attorno allo stesso banco.
 
“Stavamo dicendo” fece Puck alzando la sua sedia e mettendola davanti al mio banco, sedendosi al contrario.
 
“Mh?” dissi alzando lo sguardo dal cellulare
 
“La prossima volta voglio riavere il mio posto” disse guardandomi storto
 
“Vedremo” dissi sorridendo e mettendo il telefono nella tasca “Come mai qui?” Chiesi
 
“Il solito: compiti non fatti, risposte ‘sconvenienti’ ai professori, e cose così… tu?”
 
“Penso che tu lo sappia già” risposi
 
“Oh giusto, l’entrata di stamattina” disse facendo una piccola risata “Mai visto nessuno dire a quella lì che la politica della scuola è stupida”
 
“Lo prendo come un complimento” dissi alzando il mento
 
“Ovviamente” rispose lui “Ma ne devi fare ancora di strada”
 
“Per…?”
 
“Per diventare esperto come me” disse, alzando le sopracciglia “smerdare i professori è un’arte”
 
“Immagino che mi dovrò impegnare parecchio” risposi
 
Annuì ridendo.
 
“Ti facilito il compito: Lunedì vieni con me e il mio gruppo.” Notai con piacere che quella non era una domanda.
 
“Il tuo gruppo?” risposi fingendomi incuriosita.
 
“Gli Skanks” rispose, guardandomi come se non fosse possibile che non li conoscessi.
 
“E in che modo dovrebbe aiutarmi?” Domandai.
 
“Si impara parecchio” disse sorridendo di nuovo, alzando solo un angolo della bocca.
 
“Va bene” Acconsentii.
 
La campanella suonò la fine della punizione.
 
Uscendo da scuola vidi Artie e lo raggiunsi.
 
“Hei!” feci, arrivandogli da dietro
 
“Ciao!” rispose sorridendomi
 
“Come mai così tardi?” Chiesi. La punizione era durata due ore, lui sarebbe già dovuto essere a casa.
 
“Ripetizioni” rispose semplicemente
 
“Prendi ripetizioni?” chiesi incredula. Pensavo fosse bravo a scuola
 
“Le do” disse
 
Ah ecco
 
“Ho saputo che sei andata in punizione” disse dopo un po’.
 
“Si, i ritardi… sai com’è”
 
“Veramente non lo so, non ho mai fatto un ritardo.” Disse. Poi aggiunse “A dire il vero pensavo che non ne facessi neanche tu” disse guardandomi “Sei cambiata dalla prima volta che ti ho vista”
 
“Ti avevo detto che non sono quella che sembro” Risposi
 
“Penso che tu faccia tutto questo solo per farti notare” continuò lui. “Scommetto che Puck ti ha già chiesto di entrare nel suo gruppo”

“Beh, non proprio, ma..”


“Appunto” disse annuendo. “Pensavo fossi diversa”
 
“Diversa?”
 
“Pensavo non fossi una di quelle oche che si fa abbindolare da Puck e dal suo fascino di cattivo ragazzo, che non fossi una di quelle che sono disposte a tutto pur di essere popolari, ma mi sbagliavo”
 
Cominciavo ad arrabbiarmi, ma in fondo aveva ragione. Io volevo essere conosciuta nella scuola, e quello era l’unico modo.
 
“Scusami se preferisco essere vista come una ragazza popolare che come una sfigata” Sbottai.  Mi pentii subito di averlo detto.
 
“Scusami” borbottai
 
Artie scosse la testa, come per dire “lo avevo detto”. Poi disse “Fai come vuoi, stai con Puck, goditi la tua popolarità, spero solo che tu ti accorga in tempo che stai sbagliando”
 
Sbuffai arrabbiata, volevo finire quella conversazione.
 
“Devo andare” dissi velocemente, e mi allontanai a grandi passi, andando verso casa.
'Sera a tutti!
Chiedo immensamente scusa per il ritardo e per il capitolo, che non mi convince affatto. 
So che è corto (anche se sembra lungo, è perchè stacco a ogni battuta), banale e soprattutto che è praticamente tutto discorso diretto (!!!) mi dispiace, spero che non sia così terribile come penso lol 
Passiamo alla storia:
Puck e Quinn si conoscono meglio durante la punizione (adoro scrivere le loro conversazioni lol) e Quinn litiga con Artie, che tuttavia ha ragione.
Per farmi perdonare, nel prossimo episodio entrerà.... *rullino i tamburi* SANTANA! (insieme al resto degli Skanks, che comprendono Sam e.. chi può dirlo? eheheh)
So già che mi divertirò a scrivere di lei, come mi diverto a scrivere della madre di Quinn lol

C'è altro da dire? non penso.
Voglio ringraziare tutti quelli che hanno recensito i precedenti capitoli e che seguono la fan fiction (vi amooooo)
Al prossimo capitolo :)
-Alice

P.S. Thumbs Up per Mr. Schuester! 



 

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Capitolo 6
*** Skanks ***


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Ogni volta che avevo una conversazione con Artie, finivo sempre per continuare a pensarci per il resto della settimana.
Aveva ragione, non potevo certo negarlo, ma ero arrabbiata per quello che mi aveva detto e per come mi aveva trattata.
La faccenda, in ogni caso, non riguardava lui. Non aveva nessun diritto di intromettersi e dirmi che stavo sbagliando.
 
Ad interrompere i miei pensieri fu la sveglia, che suonò puntuale e che mi costrinse ad alzarmi e ad affrontare quella giornata. Era lunedì, il giorno dell’incontro con gli Skanks.
 
Indossai dei pantaloni neri e una camicia a quadri rossa legata alla vita, una maglietta e un giacchetto di pelle nero senza maniche. Misi un cappello nero in testa e presi lo zaino.
Guardai l’orologio.
Ero in orario.
 
Dopo la punizione mia mamma aveva completamente dato di matto: ero tornata a casa ore dopo senza avvertire, e  lei, appena mi aveva visto entrare in casa, era corsa ad abbracciarmi chiamando mio padre.
 
“Russel, vieni! Grazie al cielo è tornata!”
 
“Mamma, per favore…” avevo detto cercando di allentare la presa delle sue braccia che ancora mi stringevano.
Di colpo si ricordò di essere arrabbiata e la sua espressione cambiò immediatamente.
 
“Dov’eri? Ho quasi chiamato la polizia, sono passate due ore!” disse, marcando la parola due.
 
“Ero in punizione mamma” risposi tranquillamente
Già il fatto che fossi in ritardo di due ore non giocava a mio favore, in più, quando pronunciai la parola “punizione” mia madre emise un suono strozzato. Mai era stato commesso un disonore così grande nella famiglia Fabray.
 
“In punizione?! Per cosa?” Disse, mentre il suo viso assumeva una sfumatura violacea e la sua voce si faceva più strozzata ad ogni parola.
 
“Troppi ritardi” Dissi, porgendole il foglio da firmare per giustificare tutte le volte che non mi ero presentata.
 
“Ritardi?” Spalancò gli occhi
 
“Sì, ritardi mamma, firmeresti?” dissi spazientita, muovendo il foglio che avevo ancora in mano davanti ai suoi occhi.
 
Mi strappò il foglio dalle mani e mi indicò le scale, mentre il colore del suo viso passava da viola a rosso intenso.
 
Salii le scale, con il suo sguardo e quello di mio padre (che per tutto il tempo era rimasto in disparte a guardare la scena) puntati addosso.
 
Da quella spiacevole conversazione si era deciso che sarei uscita di casa non dopo le sette e quarantacinque, e che sarei andata di filata a scuola. Mia mamma aveva chiamato la scuola chiedendo di essere avvertita ad ogni mio ritardo o assenza ingiustificata. Ero incastrata.
 
Dunque, alle otto e cinque mi trovavo già davanti alla scuola, in attesa del suono della campanella. Vidi Puck che entrava a scuola. Mi fece un occhiolino che prontamente ricambiai con un cenno della testa.
 
La giornata passò velocemente. Avevo due ore di storia, matematica, spagnolo e due ore di letteratura. Al suono dell’ultima campana uscii e mi appoggiai al muro davanti alla scuola, dove io e Puck dovevamo incontrarci.
 
“Fabray! Pronta ad andare?” disse, avvicinandosi a me in moto. Non pensavo che ne avesse una.
 
“Dove andiamo?” chiesi, ancora appoggiata al muro.
 
“Al tempio” rispose lanciandomi un casco, che afferrai al volo.
 
“Il tempio?” chiesi nuovamente.
 
“Fai troppe domande. Vedrai” si limitò a dire.
 
Salii sulla moto e misi le braccia attorno alla sua vita per evitare di cadere. Lui partì immediatamente.
Ebbi subito modo di osservare che i limiti di velocità erano un’opinione per lui.
 
Mentre sfrecciavamo per le strade mi guardai in giro, cercando di riconoscere la strada che stavamo percorrendo. Le case sembravano quelle vicino a casa mia, ma la via non era quella. Dovevamo essere comunque abbastanza vicini.
 
Dopo alcuni minuti Puck fermò la moto davanti a una struttura che a prima vista non era per nulla invitante.
 
Era un edificio grigio, abbandonato e caduto in rovina, con il terreno pieno di pezzi di cemento che si erano staccati dalle pareti. Vari grafiti - alcuni molto belli, altri abbastanza offensivi – occupavano i muri interni del “tempio”.
Rifiuti di ogni genere erano abbandonati a terra insieme al cemento: sacchetti, pacchetti di patatine, mozziconi di sigaretta, giornali, pagine di riviste, penne usate e molto altro costituivano il pavimento del luogo.
Persino travi di legno giacevano sparse sul terreno.
Appena entrati, sulla destra e sulla sinistra, c’erano delle scale, anche esse poco invitanti e pericolanti, che portavano a degli spalti. Essi davano sul piano inferiore del tempio, senza ringhiere o protezioni di alcun genere che potessero impedire di cadere.
Il posto, complessivamente, era molto spazioso.
L’intero luogo aveva un forte odore di fumo mischiato ad alcolici.
Per quanto mi sforzassi però, non riuscivo a capire come mai un posto del genere fosse caduto in rovina e diventato un luogo di ritrovo per ragazzi.
 
 
Mi stavo ancora guardando attorno quando Puck parlò.
 
“Ragazzi, questa è Quinn. Quinn… i ragazzi” fece ad alta voce sorridendo.
 
“Hey Quinn” risposero alcuni. Altri si limitarono a guardarmi.
 
“Andiamo ragazzi, siate un po’ più socievoli. E’ appena arrivata da… dove scusa?” Mi chiese
 
“Tennessee” risposi.
 
“Va bene” disse l’unico ragazzo che già avevo visto. “Io sono Sam, il leader” disse sorridendomi
 
Puck gli tirò una pacca sulla spalla
 
“Non dire cazzate Sam” lo riprese ridendo. Poi, rivolto verso di me, sussurrò, mettendosi una mano davanti alla bocca come se non volesse essere sentito “Sono io il leader”. Tutti risero.
 
“Piacere, Mercedes” disse una ragazza seduta su una delle travi di legno.
 
Mercedes aveva capelli lunghi e neri, che le arrivavano alla schiena. I suoi occhi erano marroni e, anche se era seduta, potevo capire che era di qualche centimetro più bassa di me.
Indossava dei pantaloni neri attillati e una maglietta bianca, con un giacchetto di pelle simile al mio.
 
Le feci un cenno con la testa e le sorrisi, mentre un ragazzo si presentava come Mike
Era asiatico, aveva i capelli neri e corti e gli occhi marroni. Era in piedi vicino ad una colonna e stava fermo con le braccia incrociate.
 
Un altro ragazzo si presentò come Hunter. Aveva i capelli castani e gli occhi verdi, e se ne stava in piedi in perfetto equilibro su un pezzo di cemento caduto a terra. Dal portamento sembrava un tipo arrogante, e appena notò che lo stavo guardando, tirò su il mento con aria di sfida.
 
“Io sono La Macchia” si presentò una ragazza avvicinandosi a me con passo sicuro e con le braccia incrociate sul petto. Dallo sguardo che mi lanciò, non osai chiederle il suo vero nome.
 
Aveva lunghi capelli mossi e marroni, che le arrivavano quasi al sedere. Gli occhi erano dello stesso colore dei capelli. Mi squadrò dall’alto in basso. Poi disse:
 
“Loro sono Ronnie e Sheila” facendo un cenno a due ragazze dietro di lei. Ronnie mi salutò, mentre Sheila si limitò ad un cenno con la testa.
 
“Sebastian” Si limitò a dire un ragazzo che giocherellava con una pietra sul pavimento.
Alzò la testa per un momento, rivelando due occhi verdi, che subito tornarono a fissare il pavimento.
Ripassai mentalmente i nomi: Mercedes, Sam, Mike, Hunter, “La Macchia”, Ronnie, Sheila e Sebastian. Erano un bel gruppetto.
 
Sentì una voce parlare alle mie spalle.
 
“Santana” disse, prima di spostarsi ed entrare nel mio campo visivo. Mi sembrava di averla già vista.
 
Di colpo ricordai. Era la ragazza che stava litigando in strada il mio primo giorno a Lima, quella che Puck aveva dovuto allontanare dalla sua vittima prima che fosse troppo tardi.
Ricordai anche di aver pensato subito che quella ragazza avesse grinta da vendere, da come urlava insulti e spingeva la sua povera avversaria.
Tuttavia, dall’alto della finestra, non ero riuscita a vederla bene.
Ora che era davanti a me però, notai che non solo il suo modo di fare e il suo atteggiamento erano grintosi, ma la sua intera persona sprizzava energia e grinta da ogni poro, e i suoi occhi erano come costantemente infuocati. Quella ragazza era un fuoco puro, pronta a scattare in ogni momento, sempre pronta a tutto.
 
Aveva lunghi capelli neri e lisci, e i suoi occhi erano di un marrone molto scuro, quasi nero.
Potevi capire subito che era determinata e difficile da impressionare. Il suo volto era impassibile e duro.
Teneva una sigaretta in mano, e con l’altra, stringeva la mano di una ragazza bionda, che si presentò come Brittany.
Era esattamente il contrario di Santana: i suoi capelli erano biondi e ondulati, mentre i suoi occhi erano azzurri e dolci.
Lo sguardo di Santana si addolcì appena posò gli occhi su di lei, ma tornò subito impassibile quando tornò a incontrare i miei occhi.
In quell’unico cambiamento di espressione capii che Brittany doveva essere molto importante per lei. Teneva la sua mano come se non volesse mai lasciarla andare.
 
“Quinn” disse Puck, attirando la mia attenzione “Vuoi?” mi chiese, porgendomi una sigaretta.
Mi accorsi solo in quel momento che tutti, non solo Santana, ne avevano una in mano.
 
“Certo” dissi prendendola e posandola tra le mie labbra “Cazzo” pensai. Non avevo mai provato a fumare.
Così mi avvicinai a Puck che mi porse l’accendino. Accesi la sigaretta e aspirai. Il fumo mi invase immediatamente la gola minacciando di farmi tossire. Deglutii e sorrisi, cercando di mostrarmi il più naturale possibile.
Dovevo essere davvero ridicola.
Dopo poco la testa cominciò a girarmi, e mi avvicinai ad un gradino per sedermi ed evitare di finire lunga distesa sul pavimento.
Santana continuò a guadarmi per la maggior parte del tempo. I ragazzi parlavano e ridevano, finchè Sam non mi rivolse la parola.
 
“Allora Quinn, com’era la tua vecchia scuola?” Chiese.
Feci un altro tiro prima di rispondere.
“Piena di sfigati” risposi, ma poi aggiunsi “A parte poche persone” ricordandomi di Rachel.
 
“Come mai a Lima?” fece Hunter, buttando a terra la sigaretta e spegnendola con la punta di una scarpa
 
“Mio padre ha ricevuto un’offerta di lavoro e siamo partiti subito” risposi “finalmente, non ne potevo più di rimanere in quella città”
 
“Qui ti divertirai sicuramente” fece Mike sarcastico, che ancora non aveva parlato. Tutti risero, me compresa
 
“E sembra che voi sappiate come fare” risposi alzando un sopracciglio.
 
“Assolutamente” intervenne Puck alzando la lattina di birra che teneva in mano. “Un sorso?” chiese.
La lattina fu passata di mano in mano, me compresa. Bevvi un sorso e passai con naturalezza la bottiglia a Mercedes, che si trovava di fianco a me. Il liquido scese lungo la mia gola come poco prima aveva fatto il fumo.
 
Non era male.
 
Nemmeno il fumo era male, a dirla tutta.
 
“Questo sabato andiamo al Club?” Disse Santana, che aveva smesso di baciare Brittany solo per bere un sorso di birra.
 
“Certo, come sempre” rispose Puck “Quinn tu vieni?”
 
“Dipende, dov’è il club?” chiesi
 
“Non preoccuparti, vengo a prenderti io” fece Puck, provocando un sbuffo da parte della ragazza che si faceva chiamare La Macchia, che se ne stava seduta con le sue amiche ai lati.
Puck non la degnò di uno sguardo.
 
“Perfetto” risposi sorridendo.
 
“Un momento, chi ha deciso che Quinn fa parte del gruppo?” chiese Santana.
 
Puck la fulminò. “Io” disse “Non ti sembra degna degli Skanks?” chiese ironico.
 
Santana sbuffò. “Abbiamo tutti dimostrato di essere all’altezza. Perché lei no?”
 
Alcuni annuirono alla frase di Santana e ci fu un mormorio generale.
 
“Va bene, le regole sono regole” ammise Puck, guardando prima Santana e poi me.
 
Mi prose una lattina di birra.
 
“Bevi” fece.
 
“Tutto qui?” dissi, prendendola.
 
Puck tirò fuori il cellulare. “Ti cronometro. Vediamo quanto ci metti a mandarne giù una intera”.
 
La aprii e aspettai un suo gesto. Puck fece partire il cronometro e urlò “Via!” nello stesso momento.
 
Cominciai a bere più in fretta che potevo.
La gola mi bruciava ed ero sul punto di vomitare, ma cercai di resistere e continuai a mandare giù il liquido.
Alcuni ridevano e altri mi incitavano, mentre io me ne stavo lì, con la testa inclinata per deglutire meglio e con gli occhi chiusi.
Finii e lanciai la lattina a terra mentre Puck urlava “Stop!” e tutti battevano le mani divertiti.
Cercai di riprendere fiato.
 
“Sesto miglior tempo!” fece Puck controllando il cronometro “Direi che è dentro” disse voltandosi verso Santana.
 
“Davvero niente male per una ragazzina come te Fabray” disse Santana guardandomi e alzando un sopracciglio.
 
“Grazie” risposi scrollando le spalle e cercando di reprimere il senso di nausea che si faceva sempre più insistente ogni minuto che passava.
 
“Direi che è ora di andare, domani c’è scuola” Interruppe Sebastian. Ci fu un momento di silenzio. Tutti si guardavano senza dire nulla.
 
Poi, all’unisono, ci fu uno scoppio di risate generale, me compresa.
 
“Bella battuta” rise Hunter dando una pacca sulla spalla a Sebastian, che aveva ancora un mezzo sorriso sul volto.
 
“Io vado seriamente però” disse Puck alzandosi “vuoi un passaggio?” mi chiese. Annuii.
Mi alzai e la testa cominciò a girarmi ancora di più, mentre il pranzo lottava per tornare su. Cercai di camminare nella maniera più dritta e naturale che riuscii a trovare.
 
“A domani ragazzi” fece Puck
 
“A domani” risposero tutti in coro.
 
“Vieni anche tu vero? Ormai sei del gruppo” disse Sam, rivolto a me.
 
“Ovviamente” risposi alzando il mento e tirando indietro le spalle, facendo un mezzo sorriso.
 
Tornai a casa in moto insieme a Puck. Mi ci volle tutta la forza di volontà che avevo per riuscire a non cedere alla nausea. Non pensavo che sarei riuscita a resistere fino a casa, ma non mi sarei nemmeno mai aspettata di riuscire a sopportare una lattina di birra intera.
Arrivati davanti a casa Puck mi salutò
 
“A domani Fabray!” disse mentre si sistemava sulla moto.
 
“A domani Puckerman” feci di rimando.
 
“Attenta a te, non chiamarmi così” rispose divertito.
 
“Come vuoi, Noah” risi ancora io.
 
Scosse la testa sorridendo e si allontanò in sella alla sua moto.
Avete tutto il diritto di uccidermi lol
Buonasera a tutti.
Ho molto da dire e poco tempo, vediamo quanto riesco ad essere veloce lol
Mi dispiace per il ritardo, ma ho avuto molto da fare e sono riuscita a postare solo adesso, chiedo perdono 
Passiamo subito alla storia che è meglio lol
Finalmente Santana, finalmente gli Skanks, finalmente Quinn comincia a cambiare davvero il suo modo di comportarsi, finalente, finalmente e finalmente.
Spero che i componenti degli Skanks siano mh, come dire, "azzeccati". 
L'idea originale era di limitarmi a personaggi inventati, ma perchè non coinvolgere anche buona parte delle Nuove Direzioni e degli Usignoli? 
"La Macchia", Ronnie e Sheila sono i membri "originali" delle Skanks, e ho voluto integrare anche Hunter e Sebastian perchè mi sembravano adatti al ruolo, non saprei come spiegarlo.
Che ne pensate del capitolo? Com'è Santana? Sono davvero in ansia per questo capitolo e ho fatto molta fatica a scriverlo perchè volevo davvero che tutto fosse perfetto, dunque, spero che appreziate.
I ragazzi versione Skanks invece? Come vi sembrano? Avrei voluto inserire anche Blaine e Kurt nel gruppo, ma alla fine ho preferito sostituirli con Hunter e Sebastian, anche perchè, per citare Santana nella terza stagione: "Kurt non è proprio un camionista" lol
Penso di non avere più nulla da dire eheh
Ringrazio le persone che hanno recensito e che continuano a farlo, e quellle che hanno messo la storia nei preferiti e nelle seguite.
Al prossimo capitolo :)
-Alice

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Capitolo 7
*** Forse ***


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Inutile dire che feci appena in tempo a salire le scale e ad aprire la porta del bagno prima che la birra si riproponesse.
 
Non ero ubriaca, ma non essendo abituata a bere passai comunque la notte più lunga della mia vita, dovendomi alzare più volte per rimettere. In più, non riuscivo a smettere di pensare agli Skanks.
 
Erano simpatici, spontanei, naturali e menefreghisti. Erano davvero un bel gruppo ed erano molto uniti. Era questo che mi preoccupava maggiormente. Sarei riuscita a integrarmi? O sarei rimasta per sempre quella nuova?
 
Puck era gentile con me, e così lo erano Sam Mike e Sebastian, ma a Santana, a quanto pare, non andavo giù. Si capiva da come mi guardava, nei suoi occhi vedevo odio e diffidenza. Forse mi aveva smascherato? Aveva capito che per me quello era uno stile di vita del tutto nuovo? Oppure gli stavo semplicemente antipatica senza una vera ragione?
 
Nonostante questo, non potevo fare a meno di pensare a lei. C'era qualcosa nel suo sguardo determinato che mi piaceva, che mi affascinava, e non riuscivo davvero a spiegarmi come mai.
La mia mente vagava, ma alla fine ritornava sempre a lei.
 
 Anche alla Macchia non piacevo, ma lei era più intimidita che altro. Era evidente che era innamorata persa di Puck. Lo si vedeva ogni volta che lo guardava, solo che lui era troppo impegnato a bere e ridere con Sam per notarla.
 
Sebastian mi sembra quello più a posto di tutti. Era l'unico che non aveva preso nemmeno un sorso di birra, e alzava raramente la testa, solo per sorridere, per fare qualche commento sarcastico o qualche battuta: se ne usciva con una battuta o un commento di tanto in tanto, ma sempre al momento giusto e riusciva a far ridere tutti.
 
Se Puck non fosse stato negli Skanks, Sam sarebbe stato sicuramente il leader. Faceva ridere tutto il gruppo con le sue imitazioni ed era la spalla di Puck; coglieva ogni sua battuta e stava sempre al gioco.
 
Mercedes stava in disparte e rideva spesso, specialmente alle battute di Sam, e la avevo beccata più volte a guardarlo di sottecchi mentre beveva la sua birra. Pensandoci bene, mi era parso di vedere anche Sam lanciarle qualche sguardo di tanto in tanto, o sorriderle timidamente alzando solo gli angoli della bocca. Pensandoci ancora, aveva una bocca davvero enorme. Tralasciando questi piccoli momenti di debolezza però, Mercedes sembrava comunque una ragazza indipendente forte e determinata.
 
Brittany non si staccava un momento da Santana, o forse era il contrario, fatto sta che quelle due erano costantemente appiccicate, anche se non si stavano baciando, erano sempre sedute una sulle gambe dell'altra, e sempre mano nella mano. Brittany sembrava un po' fuori luogo in quel posto: era dolce e sembrava non sapere dove fosse. Era sulle nuvole, nel suo mondo, e i suoi occhi chiari erano quasi sempre persi nel vuoto. Era diversa da tutte le persone lì, era innocente. Non parlava mai e non rideva alle battute. Se ne stava lì, passiva, e sorrideva a Santana che la guardava o le stringeva la mano.
 
Hunter era decisamente arrogante. Quando l'atmosfera cominciava ad essere tesa, lui era sempre in mezzo. Capivi che ti stava sfidando quando alzava il mento e serrava la mascella, guardandoti fisso negli occhi e parlando con voce tagliente. Lui e Mike avevano avuto una piccola discussione, a proposito di un episodio successo tempo prima.
 
Mike era divertente e spesso al centro dell'attenzione. Non si era seduto un momento ed era rimasto tutto il tempo vicino alla colonna, ma anche da lì, seguiva benissimo la conversazione e stava al gioco ogni volta che Puck e Sam facevano uno dei loro scherzi.
 
Le amiche della Macchia non avevamo fiatato nemmeno una volta per tutto il pomeriggio.
 
Tutto sommato, quel gruppo mi piaceva. E parecchio, pensai mentre mi alzavo dal letto per l'ennesima volta quella sera. Mi piaceva come scherzassero e come riuscissero a capirsi al volo, tra di loro c'era una forte intesa e si vedeva. Un gruppo così è difficile da trovare.
 
 
Non importava quanto fossi stata male durante la notte, “la scuola aspetta” come aveva detto mia madre appena mi aveva visto scendere le scale la mattina dopo, con le occhiaie e i capelli arruffati, reduce da al massimo tre ore di sonno.
 
“Non ho dormito molto bene mamma” le dissi mentre mi sedevo e attaccavo una fetta di pane con la marmellata.
 
“Hai già fatto troppi ritardi e assenze, sono sicura che ti sveglierai appena arriverai lì” rispose mia mamma con quel suo tono tranquillo ma pur sempre severo, che usava quando non voleva arrabbiarsi ma voleva comunque che il suo volere fosse rispettato.
 
Sbuffai e mi trascinai fuori di casa, prendendo lo zaino e salutando distrattamente.
Arrivai davanti alla scuola dieci minuti prima e mi appoggiai all’edificio con le cuffie nelle orecchie.
 
“Quinn, siamo qui!” sentii chiamare alla mia destra. Era Puck. Gli Skanks al completo erano seduti sul muretto che costeggiava l’edificio e mi facevano segno di raggiungerli.
 
“Wow, che ti è successo? Sembri uno zombie, o qualcosa di simile” fece Puck, facendo riferimento alle mie occhiaie e alla mia faccia, che era pallida e smunta, e porgendomi una sigaretta. Come rifiutare.
 
“Stai molto bene anche tu questa mattina Puck, grazie” risposi con un sorriso sarcastico, mentre lui si avvicinava con l’accendino. “Non ho dormito molto bene questa notte” dissi con una scrollata di spalle e aspirando dalla sigaretta.
 
“Lo vedo” disse Sam nascondendo una risata e beccandosi una spallata da Puck, che lo guardò male.
 
“Smettila di prenderla in giro” disse serio, e poi, avvicinandosi a lui e sussurrando come se non volesse essere sentito “Hai visto come è irritabile”. Tutti risero, coprendo quasi il suono della campanella che stava suonando.
 
“A dopo ragazzi” disse Puck. Il gruppo si sciolse e entrammo tutti a scuola.
 
 
Andare a scuola dopo tre ore scarse di sonno è difficile. Andare a scuola dopo tre ore scarse di sonno e un mal di testa martellante provocato dalla sigaretta è veramente dura. Ma andare a scuola dopo tre ore scarse di sonno, con un mal di testa martellante e avere due ore di storia, è davvero una tortura.
 
Per questo, lo scontro con la prof fu inevitabile.
 
“…Perché secondo lei, signorina Fabray?” sentire il mio nome mi riportò alla realtà. Ero distratta e avevo appoggiato la testa sul banco per un paio di minuti. O forse per un po’ più di tempo, visto che non avevo la minima idea di cosa stesse parlando.
 
Alzai di scatto la testa “Come scusi?” chiesi tornando con i piedi per terra.
 
“Ho fatto una domanda, signorina Fabray, era per caso disattenta?” Il suo tono riusciva ad infastidirmi sempre e comunque, qualsiasi cosa stesse dicendo.
 
“Mi sono distratta un attimo” cercai di giustificarmi.
 
“Non ci si distrae mai nella mia classe” rispose lei con il suo solito tono altezzoso.
 
“Forse dovrei cambiare aula allora, così non dovrei più starla ad ascoltare” borbottai a bassa voce.
 
“Come scusi?” Non era bassa abbastanza. Mi aveva sentita
 
“Nulla” ma ormai il danno era fatto.
“Se vuole cambiare aula, che ne dice di quella delle punizioni?” Dovevo aspettarmelo. Sapevo che cercare di negoziare sarebbe stato del tutto inutile.
 
Abbassai la testa e emisi un grugnito che somigliava lontanamente ad un “sì”.
 
“Perfetto, oggi alla fine delle lezioni. Sa già dove andare suppongo” Era sempre quella voce irritante.
 
Un altro grugnito, e la lezione riprese normalmente.
 
Alla fine delle lezioni, dunque, mi trovavo già davanti all’aula delle punizioni. Entrai e mi sedetti allo stesso banco della volta precedente, poggiai la borsa a terra e sbuffai.
 
“Lo dirò ancora una volta” esordì Puck quando entrò e mi vide al “suo” banco.
Si avvicinò a me tanto che i nostri nasi erano a pochi centimetri. “Quello. E’. Il. Mio. Banco.” Disse scandendo parola per parola. Poi scoppiò a ridere e si allontanò.
 
“Facevo quasi paura vero?” Disse mentre prendeva una seda e ci si sedeva al contrario davanti a me.
 
“Davvero molta” risposi ridendo di rimando. “Come mai qui?” Chiesi.
 
“E’ ancora solo la seconda volta per te, dunque te lo spiegherò” fece serio. “Io sono praticamente sempre qui, ogni giorno. Vero professor Schue?” Disse alzando la voce e girandosi verso il professore, che si mise a ridere e fece segno di sì con la testa.
 
“Non c’è sempre bisogno di sapere perché sono qui, a volte non lo so nemmeno io” concluse ridendo.
 
“Ricevuto” feci sorridendo.
 
“Allora, come ti sembrano gli Skanks?”
 
“Fantastici” risposi io, provocando una risata da parte di Puck. “No, dico sul serio!” dissi quando lui cominciò a ridere. “Sono simpatici, tutti quanti” affermai.
 
“Felice di sentirtelo dire” disse Puck.
 
Ripensandoci però, avevo una domanda da fargli. “Ho per caso fatto qualcosa a Santana?” Chiesi di punto in bianco
 
“Cosa?” fece lui confuso.
 
“Non mi sembra di starle molto simpatica…” iniziai io
 
“Non ti preoccupare” mi interruppe lui “lei è così con tutte le nuove ragazze che entrano nel gruppo. E’ protettiva verso Brittany, forse si sente minacciata dalle altre ragazze, ha paura che possano portargliela via” disse alzando le spalle. “Non è un tuo problema, ha fatto così anche con Mercedes e con La macchia, quando sono arrivate”
 
“Fantastico, pensavo di aver detto qualcosa di sbagliato” risposi sollevata.
 
“Non hai detto nulla di sbagliato” mi rassicurò ancora una volta. “Ti adorano tutti nel gruppo, persino Hunter, anche se non lo da a vedere” Disse, abbassando il tono di voce sull’ultima parte.
 
“Davvero?” chiesi, sorpresa. Il gruppo mi piaceva, ma non pensavo che piacessi così tanto anche a loro.
 
“Mh-mh” confermò lui annuendo. Le mie guance dovevano aver assunto un colorito tendente al rosso, e se ne accorse anche Puck.
 
“Non montarti la testa eh” disse, sorridendo alzando solo un angolo della bocca come faceva sempre.
 
“Tranquillo, non sono il tipo. Non mi servono le attenzioni degli altri” feci scrollando le spalle, cosa che lo fece ridere. “Lo trovi divertente?” chiesi alzando un sopracciglio, divertita a mia volta.
 
“No, affatto, è solo che a me sembra che tu abbia bisogno di qualcuno che ti dia attenzioni e che si prenda cura di te” rispose guardandomi negli occhi e sorridendo in una maniera diversa dal solito. Non era il solito sorriso da strafottente, era diverso, più moderato. Era forse timido? Le mie guance erano molto probabilmente passate da “tendente al rosso” a bordeaux.
 
Rimasi in silenzio per alcuni secondi. Non riuscivo a pensare, tanto meno a formulare una frase che avesse un senso. Feci probabilmente la cosa peggiore che potessi fare, cioè rimanere lì paralizzata, con le mie guance bordeaux in contrasto con i segni scuri sotto i miei occhi, a fissarlo imbambolata. Mi riscossi appena in tempo.
 
“Forse” dissi sorridendo timidamente a mia volta.
 
Aprì la bocca per dire qualcos’altro ma fu interrotto dal suono della campanella che segnava la fine della punizione.
 
“Devo andare, a domani” dissi velocemente alzandomi e prendendo le mie cose. In men che non si dica ero fuori dalla porta
 
Che avevo fatto? Ero scappata, avevo avuto paura ed ero scappata cogliendo l’occasione. Sarei dovuta rimanere lì? Avrei dovuto aspettare che mi dicesse quello che voleva dirmi? Ovviamente si. “Stupida” sussurrai a me stessa mentre acceleravo il passo.
 
“Con chi parli?” mi voltai. Puck era lì, che mi seguiva a passo d’uomo sulla sua moto.
 
“Con nessuno” dissi scuotendo la testa e continuando a camminare.
 
“Ti serve un passaggio?” Mi chiese porgendomi il casco mentre continuava a seguirmi sulla moto.
 
“No grazie, casa mia è vicina” risposi continuando a guardare in basso e a camminare.
 
“Insisto” disse sorridendomi al suo solito modo e allungando il braccio e mettendomi in mano il casco.
 
“Va bene” dissi rassegnata, scuotendo la testa sorridendo. Salii dietro di lui sulla moto e mi strinsi con le braccia la sua vita per non cadere.
 
Fummo a casa in pochissimi minuti. Scesi velocemente dalla moto e tolsi il casco.
 
“Grazie” dissi porgendoglielo e sorridendo.
 
“E di che” fece lui alzandosi dalla moto e sistemando il casco dietro.
 
“A domani” dissi girandomi e incamminandomi verso la porta di casa.
 
Non avevo fatto più di tre passi che sentii qualcuno fermarmi prendendomi il polso. Mi girai.
 
Puck era dietro di me. Si avvicinò di più e senza dire nulla posò le sue labbra sulle mie.
 
Prima che riuscissi a pensare e a decidere se ricambiare il bacio, il mio corpo agì per conto suo, facendomi indietreggiare.
 
“Ci vediamo domani” ripetei prima di girarmi ed entrare in casa. 
 
Ci tengo a precisare:
1. No, non sono morta
2. Si, oggi è domenica e non giovedì, ma ho deciso di aggiornare comunque.
Salve a tutti.
Chiedo umilmente perdono per la mia assenza di... quante, due settimane? 
Sono stata impegnata durante le vacanze di Pasqua e con la scuola, dunque non sono riuscita ad aggiornare, ne a rispondere alle recensioni (cosa che farò appena postato il capitolo)
Siete liberi di lanciarmi qualsiasi oggetto vogliate lol
Ad ogni modo, sono tornata con il settimo capitolo.
Che ve ne pare del coportamento di Quinn? Ha fatto bene ad andarsene? Sarebbe dovuta rimanere con Puck?
Siamo all'ultimo mese scolastico aka il mese delle verifiche e delle interrogazioni, ma cercherò comunque di aggiornare il più presto possibile.
Al prossimo capitolo :)
-Alice

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Capitolo 8
*** Ancora Punizioni ***


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Appena entrata in casa chiusi la porta alle mie spalle ed emisi un sospiro. Ero scappata di nuovo e avevo mandato tutto all'aria, di nuovo.

Finalmente era successo qualcosa - qualcosa di bello - ed ero riuscita a rovinare tutto. 
Ero riuscita a farmi buttare fuori dagli Skanks - perchè Puck mi avrebbe di sicuro buttata fuori - solo al secondo giorno. 

"Stupida" borbottai per la seconda volta a distanza di venti minuti.

"Lucy Fabray!"

Ahia

Quel nome non è mai un buon segno

"Dove ti eri cacciata?"- sbraitò mia madre venendomi incontro. Doveva aver sentito il rumore della porta che si chiudeva.

"Ero in punizione" risposi, leggermente intimidita dalla velocità con la quale la faccia di mia madre era diventata rossa.

"Di nuovo? E' già la seconda volta! che hai fatto?" chiese, il tono di voce sempre più alto.

"Mi sono distratta" risposi semplicemente alzando le spalle.

"Ti sei distratta? Ti sei dis- RUSSEL! Vieni qui" Sbraitò mia madre non appena vide mio padre che sendeva le scale e che con uno sbuffo si avvicinò a noi.

"Che succede ora?" rispose, quasi annoiato

"Tua figlia è stata messa in punizione, di nuovo" - urlò mia madre rivolgendosi a lui - "Dille qualcosa!"

Mio padre guardò prima lei, poi me, e poi di nuovo lei.
Alla fine, lentamente, si rivolse a me e disse "Chi era quel ragazzo con la moto?"

Mi pietrificai. Quello si che era un problema. Cosa aveva visto? Era possibile che lo avesse semplicemente visto mentre se ne andava?

"E' un mio compagno di scuola" risposi, aspettandomi una scenata persino da mio padre, che perdeva le staffe di rado.

Invece, si limitò ad annuire. Allora avevo ragione, lo aveva solo visto andarsene.

"Ah, perfetto, allora è per un ragazzo che fai tutto questo?" Si intromise mia madre, che mi guardava con gli occhi spalancati.

"Per l'amor del cielo mamma, è tutto a posto, non c'è bisogno di preoccuparsi" Dissi mentre mi avvicinavo alle scale per salire in camera mia.

"Non c'è bisogno di preoccuparsi? Non c'è bisogno di..." Sbuffò. Ripeteva sempre le frasi due volte quando era sconvolta.

"Sei in punizione mia cara" Sbraitò un'ultima volta prima di girarsi e tornare in cucina.

Mio padre ed io ci guardammo. Gli lanciai uno sguardo implorante, come a voler dire "Puoi farla calmare?" e lui mi rispose con il suo famoso sguardo "Che ci vuoi fare, è tua madre" che usava praticamente sempre, qualsiasi cosa gli venisse chiesto.
Sbuffammo tutti e due e lui se ne andò in soggiorno, mentre io mi avviai su per le scale.

Nonostante la strigliata di mia madre, non riuscivo a pensare ad altro che a Puck e agli Skanks. Cosa sarebbe successo ora? Puck si sarebbe arrabbiato, mi avrebbe certamente sbattuta fuori dal gruppo e addio a tutti i miei piani.

Rimasi in camera mia un pò, dopo di che tentai di arrivare in cucina senza farmi vedere da mia madre, in modo da evitare un'altra serie di urla. 
Tutto andò per il meglio e riuscii a tornare in camera sana e salva.

Decisi di andare subito a dormire. Volevo smettere di pensare a quella giornata e archiviarla. Allo stesso tempo però, non volevo essere buttata fuori dagli skanks il giorno dopo. 
A mezzanotte riuscii a prendere sonno.

Il giorno dopo andai a scuola, preparandomi al peggio. 
Camminavo lentamente e ci misi il doppio del tempo ad arrivare. Mi aspettavo di trovare il gruppo riunito davanti al muretto come al solito, ma, stranamente, vidi solo Santana.
Decisi di avvicinarmi, anche se, nonostante la ragazza mi affascinasse, mi intimidiva un pò. 
Era la persona più sicura di se che avessi mai conosciuto, seconda forse solo ad Hunter, e seduta lì, sul muretto, con la sigaretta tra le labbra e il mento alzato in segno di sfida sembrava avere il controllo del mondo intero.

"Hei" la salutai, sedendomi di fianco a lei sul muretto.

Mi salutò con un cenno della testa, continuando a fumare

"Dove sono gli altri?" le chiesi

Aspirò dalla sigaretta e rispose "Non lo so, a volte decidono di saltare scuola e andare in giro, probabilmente saranno a fare casini da qualche parte."
"E' la frase più lunga che le sento pronunciare da quando la conosco" pensai

"Capito, e Brittany?" 

Santana si irrigidì: Non dovevo chiederlo 

"E' con loro" rispose riprendendosi subito, buttando fuori il fumo e guardandomi in modo scocciato. 

"Oh... Puck ti ha detto nulla?" buttai lì. Perchè lo avevo detto?

"Perchè avrebbe dovuto?" rispose subito lei.

E ora?

"Nulla, pensavo ti avesse detto dove avevano intenzione di andare oggi"

Se la beve, se la beve, se la beve...

"Ti piace vero?" 

No, non se la beve.

"No" 

Mi guardò alzando un sopracciglio

"Santana, sono seria, no" dissi guardandola dritto negli occhi

Abbassò lo sguardo e spense la sigaretta.

"Buon per te Fabray, La Macchia ti ucciderebbe" 

"In ogni caso, lei non mi fa paura" 

"No certo, immagino di no" rispose lei. Non riuscii a capire se era sarcastica o meno.

In quel momento suonò la campanella ed entrambe ci alzammo per andare in classe. Fine della conversazione.

La giornata andò avanti tranquilla e noiosa come al solito. Non sapevo come pensarla: tecnicamente non mi avevano buttato fuori dagli skansk, ma mi avevano comunque escluso ed erano andati in giro per i fatti loro. 
Ma allora Santana? Perchè avevano escluso anche lei? Oppure aveva deciso lei di non andare con loro?

Non vidi nessuno del gruppo per tutto il giorno, e tornai a casa appena finita la giornata.
Mentre camminavo per tornare il mio cellulare squillò: un messaggio

Da: Rachel

Hey Quinn! E' da un pò che non ci sentiamo! Mi manchi, come stai?

Effettivamente era passato del tempo dalla nostra ultima telefonata. Non che mi aspettassi che sarebbe andata diversamente, è difficile rimanere in contatto quando ci si trasferisce. Ovviamente Rachel mi mancava, e tanto. 

Da: Quinn

Ciao Rachel! Mi manchi tantissimo, qui tutto bene, e tu? Come va con Finn?


Il messaggio non tardò ad arrivare


Da: Rachel

Stiamo bene entrambi, tra di noi va tutto benissimo :)
E tu? Come sei messa in tema di relazioni? ;)

Come sono messa? Pensai a Puck, al quasi bacio davanti a casa mia, al fatto che ero scappata via senza pensarci due volte, e al fatto che, tutto sommato, Puck cominciava a piacermi davvero. 

Di colpo nei miei pensieri si intromise Santana.
  
Mi aveva colpita, non c'era dubbio. Aveva una luce negli occhi che mi era piaciuta dal primo momento. 
Sospirai scuotendo la testa. "Non sei lesbica" dissi a me stessa "Non può piacerti Santana"
Ero confusa, e molto.

Decisi di non darlo a vedere

Da: Quinn

Non c'è male ;)


Da: Rachel

Cosa? Tutto qui? :(


Da: Quinn 

Per ora sì :P se ti comporterai bene ti racconterò


Da: Rachel

Ti sei fatta nuove amiche?


Da: Quinn

Sì, diciamo di sì

Da: Rachel

Io aspetto i dettagli! Salutami i tuoi, ci sentiamo! Ti voglio bene :)


Da: Quinn

Anche io, Mi manchi!

                                                                *


Il giorno dopo a scuola non vidi ancora nessuno sul muretto, questa volta nemmeno Santana. 

"Mi hanno decisamente scaricata" Pensai mentre mi dirigevo al mio armadietto e prendevo i libri per la prima ora. 
Mi stavo avviando verso la classe quando sentii una voce dietro di me.

"Fabray!"

Mi voltai. Puck

"Hey" dissi andando verso di lui.

"Sono in ritardo, volevo solo ricordarti di sabato sera" disse raggiungendomi

"Sabato sera?" 

"Sì, dobbiamo andare al club, ti eri già dimenticata?" chiese sorridendo al suo solito modo.

Si comportava come se non fosse successo nulla. Ci era forse passato sopra? 

"Quinn?" mi chiese vedendomi assente.

"Si si, il club giusto" risposi tornando con i piedi per terra

"Ti passo a prendere alle nove" disse facendomi l'occhiolino e allontanandosi

"Evidentemente sì" pensai "Ci è passato sopra"

                                                                    * 
       
Il resto della settimana passò velocemente e arrivò sabato.

Cominciai a preparami ore prima. Era solo un club, non una serata di gala, ma dovevo mostrarmi sicura di me, non dovevo sembrare una che va per la prima volta in un club.

Perchè era la mia prima volta in un club, ovviamente

Per le nove meno dieci ero pronta e scesi le scale per aspettare Puck fuori. 
Non volevo che i miei lo vedessero e tanto meno che suonasse ed entrasse in casa. Stavo per arrivare alla porta quando...

"Dove pensi di andare?" La voce di mia madre alle mie spalle

"Fuori?" dissi come se fosse la cosa più naturale del mondo, girandomi a guardarla.

"Dimentichi di essere in punizione" Ribattè lei incrociando le braccia.

"La punizione" pensai strizzando gli occhi "mi ero completamente dimenticata"

"Ed in ogni caso" continuò lei " Conciata così non andresti da nessuna parte" disse indicandomi con una mano.

Stavo per aprire la bocca e ribattere ma lei mi zittì di nuovo.

"Fila in camera tua" 

Sapevo di non avere alcuna possbilità. Chiederle di uscire nonostante la punizione mi sarebbe costato un'altra settimana di reclusione più una strigliata di quelle pesanti. 
Tornai in camera mia e chiusi la porta. In quel momento il mio telefono squillò

Da: Puck

Sono qui sotto.

Sbuffai e risposi velocemente.

Da: Quinn

Punizione, sono chiusa in casa. 
Me ne ero completamente dimenticata.

la risposta arrivò velocemente

Da: Puck

E che problema c'è? Esci di nascosto ;)

"E come?" pensai
Aprii la finestra e guardai giù.

Puck era fermo con la moto sotto un lampione che gli illuminava il volto nel buio. 
Alzai un sopracciglio come a dire "E come dovrei fare?" e lui mi rispose alzando le spalle e indicando la mia finestra e poi il terreno. 

Mi stava forse dicendo di buttarmi giu?

Guardai in basso. Effettivamente aveva ragione. Casa mia non era molto alta, e tra la mia finestra e il terreno non c'erano poi troppi metri.
Era comunque impensabile scendere da lì.

Mandai un altro messaggio

Da: Quinn
E' troppo alto, non riesco a scendere

Da: Puck
Il bidone dei rifiuti non è lontano dalla tua finestra, se riesco a spostarlo non dovresti avere problemi

Tornai alla finestra: Puck aveva lasciato la moto sul marciapiede e aveva cominciato a spostare il bidone, che fortunatamente aveva le ruote, sotto la mia finestra. Quando ebbe finito si allontanò e mi guardò in attesa.

Guardai in basso di nuovo.
C'erano solo due metri tra la mia finestra e il cassonetto, massimo tre. 

"Va bene" mi dissi "Non è per niente alto, puoi farcela"

Lanciai la borsa a Puck e cominciai a uscire dalla finestra, finchè non rimasi attaccata al davanzale solo con le mani. 
Guardai in basso l'ultima volta, sospirai e mi lasciai cadere sul coperchio del bidone.

Rimasi con gli occhi chiusi per qualche secondo, finchè non sentii delle risate dietro di me.

Mi voltai: Puck teneva una mano davanti alla bocca e cercava di non scoppiare a ridermi in faccia 

"Che hai da ridere?" dissi avvicinandomi e prendendo la borsa

"E' stata la scena più patetica che abbia mai visto" mi rispose, sempre ridendo "Avresti semplicemente potuto saltare invece di fare tutta quella scena appesa al davanzale. I tuoi piedi toccavano praticamente il bidone anche quando eri attaccata alla finestra"

Mi girai a guardare. Aveva ragione: tra il coperchio del bidone e la mia finestra il salto era davvero breve, non avrei avuto problemi a lasciarmi cadere

Tornai a guardare Puck e scrollai le spalle

"Volevo solo fare scena" dissi avviandomi verso la moto

Puck spostò il cassonetto dove era prima, poi mi seguì ridendo

"La prossima volta cosa farai, ti calerai con le lenzuola come nei film?" disse prendendomi in giro.

"Smettila" dissi io, soffocando una risata e prendendo in mano il casco

"Va bene, va bene" acconsentì annuendo "andiamo?" chiese sorridendomi al suo solito modo

"Certo" risposi sedendomi dietro di lui sulla moto e sorridendo a mia volta.

Lo so che mi odiate, lo sooooooo
Salve a tutti
So che avevo promesso di aggiornare più spesso e poi non mi sono più fatta sentire, ma ora sono tornata e aggiorno con il nuovo capitolo.
Mi scuso tantissimo per il ritardo.
Cercherò di aggiornare più spesso, questa volta veramente.
Ringraziate sunnie13 per avermi spinto a continuare la fanfiction lol
A presto!
-Alice

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