Epilogo

di 1rebeccam
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo - Una Grande Giornata ***
Capitolo 2: *** Sorrisi a Colazione... ***
Capitolo 3: *** L'Angelo dagli Occhi Verdi ***
Capitolo 4: *** Ansia ***
Capitolo 5: *** Io Ti Starò Vicino... ***
Capitolo 6: *** Tu Che... Cammini Con Me Nella Mia Stessa Direzione ***
Capitolo 7: *** Dipendenza ***
Capitolo 8: *** L'ultimo Respiro ***
Capitolo 9: *** Il Killer Silenzioso ***
Capitolo 10: *** Brancolando nel Buio ***
Capitolo 11: *** Veglio su di Te... ***
Capitolo 12: *** La Lacrima di Ametista ***
Capitolo 13: *** La Prossima Vittima ***
Capitolo 14: *** Assenza di Tempo ***
Capitolo 15: *** Più di una Vendetta: la 'Sua' Realtà... ***
Capitolo 16: *** Vittima ***
Capitolo 17: *** Lacrime di Paura ***
Capitolo 18: *** Tre Giorni... ***
Capitolo 19: *** La Nota Stonata ***
Capitolo 20: *** Dedicato a LEI ***
Capitolo 21: *** Verità Svelata ***
Capitolo 22: *** La Magica Speranza del Cuore ***
Capitolo 23: *** Luce e Tempesta ***
Capitolo 24: *** Colpa ***
Capitolo 25: *** Prigionieri ***
Capitolo 26: *** Mors Tua, Vita Mea... ***
Capitolo 27: *** Fiducia ***
Capitolo 28: *** Colpevole ***
Capitolo 29: *** La Rivncita ***
Capitolo 30: *** Confidenze ***
Capitolo 31: *** Rabbia! ***
Capitolo 32: *** Il Professore ***
Capitolo 33: *** Espiazione ***
Capitolo 34: *** Le Ragioni del Cuore ***
Capitolo 35: *** Attimi ***
Capitolo 36: *** Il Gioco Continua ***
Capitolo 37: *** Scontro con la Realtà ***
Capitolo 38: *** Confidenze... ancora ***
Capitolo 39: *** Il Momento Giusto ***
Capitolo 40: *** Tra le Righe ***
Capitolo 41: *** Cenere ***
Capitolo 42: *** Parlami di Lui ***
Capitolo 43: *** Riflessioni ***
Capitolo 44: *** Giocare... ***
Capitolo 45: *** 'Notorious' ***
Capitolo 46: *** Nikki ***
Capitolo 47: *** Una Carezza sull'Anima ***
Capitolo 48: *** Non c'è più Tempo... ***
Capitolo 49: *** Come si uccide la Luna? ***
Capitolo 50: *** Occhi negli Occhi ***
Capitolo 51: *** Io Ti Vedrò Morire... ***
Capitolo 52: *** Ordine nell'Universo ***
Capitolo 53: *** Finalmente a Casa... ***
Capitolo 54: *** Il Bagliore dell'Alba ***
Capitolo 55: *** Il Volto del Dolore e della Gioia ***
Capitolo 56: *** 5 minuti... ***
Capitolo 57: *** Il Tarlo del Dubbio ***
Capitolo 58: *** Emozioni ***
Capitolo 59: *** Cervelli in Movimento ***
Capitolo 60: *** Fede ***
Capitolo 61: *** Profumo di Intimo ***
Capitolo 62: *** NON Anniversario ***
Capitolo 63: *** I Ricordi del Cuore ***
Capitolo 64: *** Battiti... ***
Capitolo 65: *** I colori del Cielo ***
Capitolo 66: *** Ali di Farfalla ***



Capitolo 1
*** Prologo - Una Grande Giornata ***






Una Grande Giornata
Prologo

 
1


   
Guardava il suo riflesso allo specchio.
Con una mano teneva l’astuccio della crema da barba, con l’altra si appoggiò al lavandino.
Sollevò il sopracciglio e ruotò la testa a destra e a sinistra, alzandola un po’ per controllare anche sotto il mento la lunghezza effettiva della barba.
Senza distogliere lo sguardo prese il pennello e lo intinse nella crema, con lentezza lo fece ruotare ben cinque volte, contandole  mentalmente per essere certo che s’impregnasse per bene.
Posò l’astuccio sulla mensola dello specchio e con molta calma cominciò a passare il pennello sul viso.
Amava radersi alla vecchia maniera, amava sentire la morbidezza della setole che gli accarezzavano la faccia.
Non gli era mai piaciuto usare gli spray, la schiuma passata sul viso con il palmo della mano non gli lasciava nessuna soddisfazione.
Radersi era un momento importante. Un momento in cui coccolava il suo viso. Un viso unico.
Un viso che era il biglietto da visita per il suo lavoro, che lo presentava al mondo, perciò era importante prendersene cura per bene, per poterlo preparare alla maschera con cui si sarebbe mostrato agli altri.
Disegnò il profilo del viso dalle guance al mento e con una smorfia della bocca, pennellò anche la parte tra il naso e le labbra.
Prese il rasoio e con attenzione cominciò a radersi, con una cura quasi maniacale.
Piano, lo mosse dall’alto in basso sulle guance, sollevò il collo e con un paio di movimenti lenti ma decisi, rese liscia anche la pelle sotto il mento.
Quando sul viso non restò più nemmeno un alone di crema, si passò la lozione da barba, massaggiandosi.
Chiuse gli occhi e sorrise alla sensazione di freschezza e pulizia che quella fragranza gli aveva procurato.
Sistemò il bagno, mise gli asciugamani e l’accappatoio nel cesto della biancheria sporca e tornò a guardarsi allo specchio.
Si osservò per un paio di minuti buoni sorridendo.
Il riflesso che aveva davanti si mostrò emozionato quanto lui.
Sei felice non è vero?
-Non dovrei esserlo? Oggi è il gran giorno!-
Il gran giorno.
Aspettava quel regalo da quattro mesi.
No! Non quattro mesi, diciamo pure anni, ma se prima il suo era solo un chiodo fisso, un’utopia, gli ultimi quattro mesi gli avevano dato modo di trasformare il suo sogno in una meravigliosa realtà.
Sorrise ancora soddisfatto al suo riflesso e si diresse nello studio.
Il portatile era pronto sulla pagina che doveva ancora essere scritta.
Da settimane si dedicava al suo nuovo libro, ci aveva lavorato di continuo senza farsi distogliere da niente e da nessuno, si era rinchiuso nel suo mondo di fantasia, quel mondo in cui dava vita ai progetti che imbastiva nella sua mente e  non vedeva l’ora di finire perché il mondo conoscesse un altro suo capolavoro.
I protagonisti erano sempre gli stessi, conosceva i suoi personaggi come le sue tasche. Li aveva delineati ancora una volta in maniera perfetta. L’intreccio del thriller era entusiasmante, perfino quando rileggeva le note che si appuntava riusciva ad emozionarsi.
Era davvero in fibrillazione.
ULTIMO CAPITOLO scrisse all’inizio del foglio di word a lettere maiuscole, mosse il mouse e puntò il cursore sull’icona ‘centra’. La scritta troneggiò al centro superiore del foglio virtuale. Si sistemò per bene sulla poltrona di pelle e, sospirando, cominciò la fine del suo racconto.
Digitò freneticamente per tutta la mattina, non si accorse dei secondi, dei minuti, delle ore.
La sua espressione era di soddisfazione.
Ad ogni parola, ad ogni virgola i suoi occhi brillavano come saette per velocità con cui li muoveva sulle righe che aveva già scritto. Ogni frase, che dalla mente prendeva vita sullo schermo, gli procurava una scarica elettrica lungo la colonna vertebrale.
Il campanello lo riscosse, sollevò lo sguardo strizzando gli occhi e si rese conto che era pomeriggio inoltrato.
Quando modellava i suoi personaggi e le sue storie non aveva bisogno di altro, non sentiva i morsi della fame o della sete, era sazio di tutto.
Si alzò stiracchiando le braccia sopra la testa, si strofinò gli occhi e si diresse alla porta.
-Quello che ha richiesto signore.-
L’uomo curvo e smilzo davanti a lui, rimasto fuori dalla porta, gli porse un pacchetto.
Lo prese annuendo e un sorriso si disegnò sulle sue labbra.
Stava per chiudere la porta quando il consegnatario si schiarì la voce. Riaprì del tutto e lo guardò con sguardo interrogativo.
-Il Professore si raccomanda di fare attenzione, è roba da maneggiare con cura.-
Lo sguardo, da interrogativo, si trasformò in torvo.
-Che non si preoccupi e soprattutto che non s’interessi di cose che non lo competono, è stato pagato profumatamente per il lavoro svolto. Il suo compito finisce qui!-
Chiuse la porta in faccia al malcapitato, senza dargli possibilità di ribattere, appoggiò il pacchetto sul tavolo del soggiorno e si diresse in bagno.
Si sciacquò la faccia con l’acqua gelata. Mentre si asciugava rideva tra sé.
Scostò l’asciugamano dal viso e vide il riflesso allo specchio che lo guardava in modo strano. Sorrise, mise a posto l’asciugamano e appoggiò entrambe le mani a braccia tese sui bordi del lavandino.
-Non preoccuparti, l’ho quasi finito!-
Tornò nello studio, salvò il file e puntò il cursore sull’icona di stampa, ma si fermò.
Sorrise ancora una volta e passò le dita su altri sette tasti e altre sette lettere maiuscole presero vita sul foglio.
EPILOGO scisse velocemente, lasciando però il resto del foglio in bianco.
Diede il via alla stampa, si mise comodo e aspettò con pazienza che i fogli uscissero dalla stampante, uno sull’altro.
Sistemò il suo lavoro in modo perfetto, così preciso che avrebbe anche potuto rilegarlo, mancava solo la copertina, ma aveva in mente anche quella: un volto triste di donna solcato da una lacrima di sangue.
Chiuse la valigetta e la sistemò dentro il primo cassetto della scrivania, tornò nel soggiorno, prese il pacchetto e lo rigirò tra le mani, accarezzandolo come fosse qualcosa di vivo e, soprattutto, di vitale.
Cominciò a scartarlo con cura, come se non volesse sgualcire nemmeno la carta che lo avvolgeva.
I suoi occhi brillarono alla penombra che cominciava ad intravedersi dalla finestra.
Lasciò che la carta cadesse a terra e ammirò la scatola quadrata di legno scuro tra le sue mani.
Stava per aprirla, ma si ricordò delle parole della pedina insignificante davanti alla sua porta.
Doveva stare attento.
La poggiò delicatamente sul tavolo, la aprì e si ritrovò ad ammirarne il contenuto: un piccolo flaconcino di vetro poggiato su un morbido cuscinetto protettivo.
Fissò lo sguardo sul liquido azzurrognolo dentro quest’ultima e gli occhi gli si accesero come una scintilla.
Sospirò a pieni polmoni, si sedette sulla poltroncina accanto al tavolo e non poté fare a meno di ridere.
Si mise le mani incrociate dietro la nuca e si sporse all’indietro sulla spalliera, continuando a ridere soddisfatto.
Era stata una grande giornata.
Aveva finito il suo racconto.
Aveva ricevuto il suo regalo.
Il giorno dopo sarebbe stato l’inizio della fine… e alla fine avrebbe scritto il suo epilogo!





Prologo




Angolo di Rebecca:

Buonasera *-*
Sarei tornata con una storia... una long... e non dico altro ;)


 


 

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Capitolo 2
*** Sorrisi a Colazione... ***








Capitolo 2

 
Martedì 26 febbraio, ore 7.40
 
La fine di febbraio segna un’altra giornata fredda, gelida se si pensa che la notte precedente ha nevicato di continuo.
Guarda fuori dalla finestra della cucina, attaccando la fronte al vetro e sollevandosi sulla punta dei piedi, per osservare anche la strada sottostante. Nonostante il gelo e la neve, dopo una settimana intera di pioggia, quella giornata sembra volerli finalmente graziare con un po’ di sole.
Si chiude i bottoni della camicia rubata fin sopra il collo, come a volersi proteggere dal freddo, incurante di avere le gambe nude ed i piedi scalzi. Le è sempre piaciuto camminare a piedi nudi.
Guarda il cielo ancora una volta, sistema i capelli in modo buffo con una forcina, mette su il caffè e comincia a preparare per la colazione.
Abbondante…
Pensa ammiccando tra sè.
Quella mattina se la meritavano, visto che la sera precedente non avevano cenato; erano rientrati così tardi e così stanchi che si erano rintanati sotto le coperte il più in fretta possibile e, altrettanto in fretta, si erano addormentati.
Apre il frigo e, mentre prende uova, latte e bacon, si ritrova a sorridere sul fatto che da un po’ di tempo il suo, non è più un aggeggio inutile e moribondo, come lo ha definito lui più di una volta, ma è diventato un vero e proprio elettrodomestico indispensabile e felice di fare il lavoro per cui è stato creato.
Mette il bacon a sfrigolare in padella, rompe le uova nella terrina, ci versa dentro un po’ di latte e scuote la testa sorridendo.
Con la forchetta comincia a sbattere le uova, ma lo fa in maniera meccanica senza nemmeno badarci, il suo interesse al momento si trova fisso sui suoi pensieri.
Si è svegliata presto come tutte le mattine, è rimasta a crogiolarsi sotto le coperte e ad assaporare l’abbraccio di Castle, che si è  addormentato a pancia in giù, con il braccio appoggiato su di lei e non si è mosso da quella posizione per tutta la notte. Lo ha guardato a lungo, sorridendo nel vedergli la faccia sprofondata dentro al cuscino e quell’espressione beata di chi dorme un sonno innocente.
Si morde il labbro… innocente… beh, è una parola grossa, non passano pensieri innocenti nel cervello di quell’uomo da un bel po’, sicuramente non quando è a letto con lei.
Sorride ancora, continuando a sbattere le uova e si ritrova a chiedersi perché sorride.
Le capita troppo spesso da un po’.
Lei in effetti non è che ci abbia fatto molto caso, ma Lanie, con i suoi ammiccamenti e le sue battutine, ha cominciato a farle venire la sindrome del sorriso, visto che le ripete sempre che deve smetterla di spiattellare in faccia ai comuni mortali che è felice.
Felice!? Come felice? In che senso?
Torna in sé per un attimo, appena in tempo per salvare il bacon da morte certa per incenerimento, lo mette in un piatto e nella stessa padella versa finalmente le uova, cominciando a rigirarle per strapazzarle, facendosi risucchiare immediatamente  nel suo trans mattutino.
In che senso sono felice?
La domanda nasce spontanea in mezzo ai suoi pensieri, che hanno preso di nuovo il sopravvento sulla colazione.
Non riesce a darsi una risposta precisa, forse perché ha dimenticato da tempo la sensazione che può dare la felicità, però ha ragione Lanie, sorride, anche troppo e anche spesso.
Il bricco del caffè cerca di dirle qualcosa, ma lei non riesce a sentire il suo borbottio insistente, saltella  prima su un piede e poi sull’altro, toglie le uova dal fuoco e le mette nel piatto insieme al bacon.
Torna a pensare alla domanda che si è posta poco prima e nei meandri nascosti della sua mente, riesce a scorgere qualcosa.
Una risposta forse?
Forse!
Non sembra una risposta precisa, ma di una cosa è sicura: le piace tornare a casa con lui, le piace mettersi a letto con lui, parlare dei casi e delle sue strampalate teorie anche fino a notte fonda con lui, parlare di sua figlia con lui, organizzare i fine settimana con lui, fare l’amore con lui fino a sfinirsi. Le piace il suo modo di essere protettivo, a volte geloso, con quel suo sguardo serio e intenso che le blocca il respiro e quell’altro da cucciolo che, prima riusciva a contrastare, ma che da un po’ la mette sempre KO.
Prende un vassoio, ci sistema sopra il piatto di uova e bacon, un paio di fette biscottate, burro e marmellata, posate e tazze.
Solleva la testa di scatto.
Tazze… borbottio… caffettiera!
Corre verso la cucina e spegne il fuoco sotto il bricco del caffè, che ribolle già da un po’.
Sospira sconfitta dai suoi pensieri e versa il caffè nelle tazze.
Si dirige verso la camera da letto cercando di mantenersi lucida, poggia delicatamente il vassoio sul comodino e resta a guardare Rick ancora un momento.
Per potersi alzare è stata costretta a prendergli il braccio di peso e spostarlo, così lui ha cambiato posizione, si è girato su un fianco mettendo le mani sotto il cuscino, rivolto verso il centro del letto e così è rimasto.
Non l’ha sentita alzarsi, fare rumore con le stoviglie e rientrare in camera.
Prende una tazza di caffè fumante tra mani e fa il giro del letto per trovarsi di fronte a lui, si ferma davanti al comò e ride di  quel cassetto con i jeans che ciondolano fuori. Da quando glielo ha regalato per san Valentino, si ostina a volerci mettere dentro i suoi abiti, nonostante gli abbia anche liberato un pezzettino di spazio dentro l’armadio.
Solo un pezzettino però, meglio non allargarsi troppo
Ma lui continua a dire che è il suo regalo e ci mette dentro quello che gli pare.
Scuote la testa e si chiede come tutto questo possa farla alzare al mattino serena e pimpante, pronta per una nuova giornata di lavoro e non sentirsi stanca di lui.
Deve esserci davvero qualcosa che non va in me…  
In effetti, non solo gli ha preparato la colazione lasciandolo poltrire ancora, ma gliela sta portando perfino a letto!
Sorride.
Di nuovo!
C’è davvero qualcosa che non va in lei…
ma qualunque cosa sia mi fa stare bene!
Si siede sul letto e avvicina la tazza al viso di Castle che, dopo un paio di secondi comincia a fare strane smorfie, tira su col naso e cerca di aprire gli occhi. Si sposta di poco e di poco solleva la testa respirando più pesantemente.
Ha sentito il profumo del caffè.
Apre un solo occhio arricciandolo per la luce che lo abbaglia, poi apre anche l’altro, corruccia la fronte quando vede la tazza ad un centimetro dal suo naso e poi solleva gli occhi verso la voce che gli dà il buon giorno.
Si mette a sedere sporgendosi verso di lei e la bacia.
-Buon giorno.-
Anche la voce impastata dal sonno e quello sguardo da pulcino spettinato le piacciono… tanto.
Sono proprio messa male!
Il soggetto dei suoi pensieri mattutini prende la tazza e beve un sorso di caffè, la segue con lo sguardo quando si alza ancheggiando verso il comodino e si rende conto che non gli ha portato solo il caffè, ma una colazione in piena regola.
Eccolo quel sorriso che mi frega!
-Colazione a letto detective!? Devo essere stato magnifico stanotte per essermi meritato tutto questo!-
Gongola sollevando maliziosamente le sopracciglia e lei gli dà uno scappellotto dietro la nuca.
-Ma se ti sei addormentato ancora prima di toccare il cuscino! Sei stato magnifico a russare.-
Gli risponde con una punta di rimprovero. Lui sposta il vassoio dalla traiettoria che gli interessa e l’attira di prepotenza su di sé.
-Hai ragione… ma non sul fatto che russo. Io non russo.-
-Che ne sai se dormi?-
Gli risponde lei sulle sue labbra. La bacia, piano, le accarezza il viso con una mano e con l’altra le sfiora il collo.
-Va bene, diciamo che non russi, ma fai degli strani rumorini che non sono ancora riuscita ad identificare.-
Risponde, cercando di mantenersi distante dai suoi tocchi, ma lui la stringe a sé baciandola in modo sempre più passionale.
Faremo tardi e non ce lo possiamo permettere…
Perché lo pensa soltanto senza riuscire a dirlo ad alta voce?
-La col… colazione Castle…-
Cerca di dire, ma non riesce a finire la frase, perché lui le ha già sbottonato la camicia fino all’ultimo bottone e la sta accarezzando.
-Si, la colazione, sono affamato…-
Sussurra lui mentre le fa scivolare la camicia sulle spalle e la bacia dal collo in giù, lei gli solleva il viso prendendolo tra le mani.
Al momento il suo sguardo non è quello di un bambino e si rende conto che prima o poi dovrà trovare una cura, dovrà trovare il modo di tenergli testa, di fermarlo… di fermarsi… ma lo farà in un altro momento, non può pensarci adesso.
Lui si china a divorarle il collo e lei sospira.
No! Decisamente questo non è proprio il momento di pensare…
 
Rick si sta ancora vestendo, mentre lei riassetta la cucina.
Non hanno mangiato, almeno non quello che ha cucinato, hanno consumato altro, ma si sentono sazi e soddisfatti lo stesso. Rientra in camera e si dirige allo specchio della toeletta, sotto lo sguardo attento di Rick che sembra non stancarsi mai di guardarla.
Si sistema i capelli, si passa un velo di cipria sul viso e poco lucido sulle labbra. Prende l’orologio e fa per allacciarselo, tenendo sempre lo sguardo fisso sullo specchio che riflette Rick, ma le scivola di mano. Si riscuote solo al rumore dell’oggetto che arriva sul pavimento. China lo sguardo e resta un momento immobile.
-Accidenti!-
Esclama tra i denti, Rick le si avvicina e si china a prendere i cocci e quando si rialza davanti a lei nota il suo sguardo serio.
Kate sfiora i pezzetti di vetro rotto e le lancette ferme. Solleva gli occhi su di lui, quasi come se si aspettasse un rimprovero.
-Tranquilla, si può sistemare. Lo portiamo subito ad aggiustare, vedrai che entro un paio di giorni lo riavrai al polso.-
Lei annuisce, ma non dice una parola, sembra bloccata e preoccupata.
-Ehi… si può aggiustare… davvero!-
Le dice ancora lui e lei sorride mesta.
-Lo so, è solo che…-
China lo sguardo sull’orologio rotto e sospira, mentre Rick corruccia la fronte.
-Solo che!?-
Lei scuote la testa.
-Solo che… quando è arrivato a terra ho sentito una fitta allo stomaco, si è rotto e… ho sentito come… un brutto   presentimento…-
Rick continua a mostrare un’espressione confusa e lei sorride.
-Mi sento un po’ stupida, scusa… è l’orologio di mio padre e sai cosa significhi per me, mi sono sentita… sola… per un attimo.-
Lui la bacia sulla fronte.
-Ma che dici? Come puoi sentirti sola con me sempre tra i piedi? E poi da quando Kate Beckett è diventata superstiziosa?-
Lei solleva le spalle e lo bacia sulle labbra.
-Infatti, non sono superstiziosa, è stata solo una stupida sensazione… andiamo o faremo tardi davvero.-
Prende la giacca e gli occhi le cadono ancora su quel cassettino, dal quale adesso ciondola il pantalone del pigiama. Solleva un sopracciglio e guarda Rick.
-E cerca di tenere in ordine il tuo cassetto, o me lo riprendo!-
Lui la afferra per il braccio e la costringe a voltarsi.
-Lo sai che i regali non si possono riprendere indietro?-
Le sussurra ad un paio di millimetri dalle sue labbra e Kate gli mette le braccia intorno al collo.
-Quindi se dovessi buttarti fuori da qui, che faresti?-
-Semplice… me lo porterei dietro!-
Lei si stacca da lui con lo sguardo indignato.
-Così mi lasceresti il comò con un buco!?-
Rick solleva le spalle e annuisce.
-Certo… quel cassetto ormai è mio, ci metto quello che voglio, lo tengo come voglio e me lo porto dove mi pare.-
Si mette il cappotto e senza degnarla di uno sguardo le passa accanto e si avvia alla porta.
Kate guarda ancora il cassetto, corruccia la fronte e storce il naso.
-Mi sembra giusto… è questo che succede se tu gli dai un dito… si prende il cassetto e se lo porta via!-
Dice raggiungendolo sul pianerottolo e lui l’abbraccia ridendo, prima di entrare in ascensore.
 
Lei entra in macchina e si volta a guardarlo male, quando anche lui apre lo sportello e le si siede accanto.
-Che stai facendo Castle?-
Lui sbuffa con l’espressione di un bambino imbronciato.
-Oh… andiamo Kate! Vuoi farmi prendere un taxi anche oggi? Non ci vede nessuno, mi lasci ad un paio d’isolati dal distretto. C’è un orologiaio che conosco lì vicino, gli lascio l’orologio intimandogli che deve aggiustarlo per direttissima, prendo il caffè come al solito e ti raggiungo a piedi…-
Sfodera il suo sguardo da cucciolo e nonostante Kate si costringa a guardarlo male, dopo un paio di secondi non può fare altro che sospirare, annuendo.
-D’accordo, allaccia la cintura di sicurezza!-
Gli dice mettendo in moto, lo guarda sott’occhio e sorride tra sé alla sua espressione soddisfatta di vittoria.
Devo per forza trovare una cura al più presto o sarò persa…
 
 
La casa si trovava in una zona appartata del Greenwich Village, era una villetta su due piani, nascosta dalla strada da una grande quercia e circondata da una fitta boscaglia; un posto tranquillo e sicuro in cui continuare a vivere senza che occhi e orecchie indiscreti potessero nuocergli ancora. La cosa che amava di quel posto però, non era la casa in sé che non usava quasi mai, ma la cantina, grande, spaziosa, buia e nascosta alla vista. Vi si poteva accedere solo dall’interno, non aveva finestre perché completamente interrata e riciclava l’aria attraverso un ingranaggio di filtri e pompe che aveva costruito con le sue mani.
Quello era il suo mondo, fatto di alambicchi, centrifughe, essiccatori, bilancini di precisione, pinze, microscopio e sostanze chimiche di diversa natura. Questo era quello che lo rendeva felice, che gli faceva trascorrere le giornate o le nottate.
Non sapeva mai se fosse giorno o notte, visto che non riusciva a vedere fuori e non teneva mai un orologio vicino.
Dentro quella cantina adibita a laboratorio, con le pareti dipinte di bianco, tenuta pulita e ordinata in maniera metodica, riusciva a sentirsi vivo e il tempo non aveva nessuna importanza.
Lavorava tanto, cercava sempre qualcosa, studiava tutto quello che gli capitava sotto mano, dalla terra alle foglie, agli insetti, tutto per capire davvero la grandezza della natura o dell’universo intero. Si dedicava allo studio di malattie strane o rarissime e qualche volta era persino riuscito a trovare la soluzione a qualcuna di esse, senza mai però farlo presente al mondo. I suoi studi e le sue ricerche erano per se stesso, non per la gloria e non certo per fare un favore all’umanità, che lo aveva sempre rifiutato.
Era un uomo solitario, lo era sempre stato, viscido alla vista di chi lo aveva conosciuto in quel passato abbastanza remoto in cui aveva ancora una vita nel mondo… ma aveva quella mania.
Qualcuno l’aveva definita vizietto, ma a lui piaceva pensare che era soltanto una voglia, un desiderio che non riusciva a reprimere, qualcosa che comunque faceva parte della natura umana e in cui non vedeva nulla di male.
Per uno scienziato non c’era nulla di male nel voler dare sfogo alle reazioni chimiche che fanno parte non solo della natura, ma anche del proprio corpo. Ma quello che per lui era naturale, per gli altri era indecente e così aveva deciso di rintanarsi solo con se stesso, per non avere più problemi e fidarsi solo del suo laboratorio, di quelle ricerche che gli avrebbero dato forse, la risposta a quello che per gli altri era sbagliato.
Quando sentì bussare alla porta restò meravigliato, nessuno sapeva del suo nascondiglio, solo il fedele Abraham stava con lui, un omino smilzo e ricurvo, baciato dalla sfortuna nel corpo e nell’anima. Lui lo aveva salvato dalla una vita di immobilità assoluta, dopo avere sperimentato una medicina che gli aveva permesso di rimettersi in piedi, nonostante un’infinità di medici lo avessero dato per spacciato. Abraham avrebbe fatto qualunque cosa per lui, era il suo salvatore, gli aveva dato l’opportunità di continuare ad avere cura di se stesso, salvandolo da uno di quegli istituti per indigenti, dove sarebbe sicuramente morto in solitudine e tra atroci dolori.
Gli procurava le sostanze che gli servivano per il suo lavoro, faceva la spesa e sbrigava ogni tipo di faccenda interna o esterna alla casa. Era il suo occhio all’esterno di quella prigione che si era costruito intorno.
Bussarono per la seconda volta, si sporse dietro una persiana per capire chi fosse lo sconosciuto. Strizzò gli occhi, non riuscendo a scorgerlo bene, aveva un impermeabile scuro e il bavero alzato sulla faccia, nascosta da un cappello.
Niente di buono pensò, decidendo di non aprire, tanto non aveva fatto rumore, le persiane erano serrate, la casa poteva sembrare disabitata.
-Apri Professore… lo so che sei rintanato dietro qualche finestra a guardarmi…-
La voce lo fece trasalire, si tolse gli occhialini e si passò la mano sul viso sudato.
Rimise gli occhiali e appoggiò la testa tonda e quasi calva al muro, sospirò e strinse i pugni.
Come aveva fatto a trovarlo?
-Professore…-
Il suo ospite aveva alzato ancora la voce, non se ne sarebbe andato, doveva assolutamente aprire.
Sospirò ancora, si avvicinò lentamente alla porta e la socchiuse di poco, l’uomo si sporse verso destra per poterlo vedere, visto che era rimasto nascosto tra la fessura della porta socchiusa.
Sorrise.
-Professore, che piacere! Vuoi lasciare il tuo amico Stephan qui sulla porta?-
A sentire quel nome lui sussultò leggermente e deglutì per cercare di calmare i pensieri malsani che stavano prendendo forma nella sua mente.
-Non… non ti avevo riconosciuto… sei m… molto cambiato!-
Riuscì a sussurrare senza però muoversi dalla sua posizione strategica.
-Cambiare fa parte della natura umana! Mi sei mancato amico mio.-
Anche il sentirsi chiamare ‘amico’ lo fece sussultare, ma inghiottì un altro boccone amaro, aprì del tutto la porta e una smorfia, che sarebbe dovuta risultare una specie di sorriso, gli si aprì in un angolo della bocca.
-Mi hai un po’ sorpreso… credevo… si insomma… avevo sentito dire che… che eri…-
-Morto!?-
Lo interruppe lui scoppiando a ridere.
-Anche le dicerie fanno parte della natura umana… specie quelle non vere!-
Senza dire altro e senza aspettare l’invito, entrò in casa con passo deciso, il Professore restò con la mano sulla maniglia della porta, senza muovere un muscolo, fino a quando lui si accomodò sul divano, con un sorriso beffardo sul volto.
Chiuse la porta e si avvicinò a passi lenti e piccoli, stritolandosi le dita e continuando ad inumidirsi le labbra.
-Andiamo Professore, sei davvero nervoso di vedermi? Non crederai seriamente che io sia un fantasma?-
L’uomo s’impose di non stritolarsi ancora le dita, si tolse gli occhiali e li poggiò con un gesto lento sul tavolino basso, si asciugò il sudore ancora una volta, posò il fazzoletto nella tasca del camice bianco e si sedette sulla poltrona di fronte a lui.
Cercò di mostrarsi sicuro, appoggiò le mani sui braccioli della poltrona e fece segno con la testa al suo ospite di cominciare.
-Cosa vuoi?-
Lui sorrise annuendo.

-Bravo il mio amico Professore! Ti ho sempre parlato del mio grande sogno no? Di quel best sellers che ho in mente di pubblicare? Bene… è arrivato il momento…e mi serve il tuo aiuto!



Angolo di Rebecca:

Grazie infinite per il bentornato, siete tanto affettuose *-* GrazieGrazie!

Veniamo a "loro"
I Caskett sono proprio carucci, Kate saltella in cucina e si chiede perchè è felice
(ma che domande si fa? Con Riccardone nel suo letto!?)
E lui è tenerone come sempre... e poi c'è sto tizio che va dal Professore... 


Una piccola curiosità: questa storia l'ho iniziata proprio nella data di questo primo capitolo, 26 febbraio 2013 :)

...e Grazie Grazie alle mie due splendide e pazienti Editor (ciao Vale, ciao Lisetta <3)

Questo è il promo della storia:

http://www.youtube.com/watch?v=dTs3RhmiNJc



 

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Capitolo 3
*** L'Angelo dagli Occhi Verdi ***





Capitolo 3
 
 
 
Il viaggio in auto è stranamente silenzioso, Kate sembra ancora persa dentro quella sensazione provata all’infrangersi dell’orologio sul pavimento e Rick guarda fuori dal finestrino, tenendo ben stretto il sacchettino di carta in cui ha conservato attentamente tutti i pezzi da sistemare.
Il semaforo rosso sembra risvegliarli tutti e due; fermi ad aspettare il verde, girano entrambi la testa e si ritrovano a guardarsi.  Lui sorride quando lo sguardo di Kate si posa sulle sue mani che racchiudono il sacchetto.
-Tranquilla! Colbert è un orologiaio fantastico, uno di quelli che lavora meticolosamente, all’antica. Sistemerà l’ingranaggio  in maniera perfetta e in un battibaleno.-
Il semaforo cambia colore, Kate ingrana la prima e svolta a destra, sorridendo.
-Colbert!? Il nome è già una garanzia!-
Lui annuisce e torna a guardare fuori dal finestrino.
-Che c’è Castle? Non riesci ancora a mandare giù la partenza di Alexis?-
Lui scuote leggermente la testa e solleva le spalle, senza però rispondere.
-Andiamo Castle! Una vacanza studio in Europa… Spagna e Italia! Sii felice per lei, è una ragazza in gamba, ha lavorato tanto per questo progetto, dovresti essere orgoglioso che si sia classificata tra i primi tre del suo corso!-
Lui sorride.
-Sono orgoglioso… e si, se lo è meritato, solo che il boccone sta scendendo lentamente, vedrò di farmene una ragione.-
Lei gli mette la mano sulla sua.
-Vedrai… sei mesi passano in fretta e lei farà una marea di esperienze…-
Uno sbuffo da parte di Rick le fa corrucciare la fronte, resta a guardarlo un attimo stranita e poi alza gli occhi al cielo.
-Non intendevo quel tipo di esperienze Castle! Parlavo di esperienze in generale. Gente nuova, lingua nuova, nuovi modi di vivere…-
-Nuovi ragazzi, alti, bruni, occhi scuri… sono così gli italiani e anche gli spagnoli, o mi sbaglio?-
Kate scoppia a ridere.
-Caspita! Dovrei andare con lei…-
Rick sbuffa di nuovo, passandosi la mano tra i capelli.
-Se vuoi tranquillizzarmi continua pure, sei sulla buona strada!-
Lei sorride tra se, si schiarisce la gola e cerca di deviare il discorso.
-Le hai preparato qualche sorpresa per stasera?-
Lui continua a guardare fuori dal finestrino.
-Niente di particolare, hamburger e patatine da Rèmi, vuole andare a pattinare dopo, non lo facciamo da tanto e visto che quando tornerà la neve sarà già sparita da un pezzo!-
Si gira a guardarla serio.
-Sei davvero sicura che non vuoi unirti a noi?-
Lei lo guarda di sottecchi, riportando lo sguardo immediatamente sulla strada.
-E’ giusto che passi la serata solo con lei, non ci sarà nemmeno Martha stasera. Una serata padre-figlia è necessaria, domani sera festeggerà con i colleghi del suo corso e dopodomani prenderà il volo. Non vi rivedrete per 6 mesi, se voleste scambiarvi qualche segreto o confidenza dovete essere soli… io ci sarò domani a pranzo, insieme a tua madre.-
Gli strizza l’occhio e lui sospira.
-Come vuoi, però dopo i segreti e le confidenze potremmo comunque dormire insieme! Vuoi davvero lasciarmi da solo!?-
Kate si ferma all’ennesimo semaforo, il traffico è caotico già di prima mattina ma a lei sembra non interessare, è troppo rilassata per rendersi conto che è in auto da più di mezz’ora e che arriveranno davvero in ritardo.
-Non posso piombare a casa tua ad una certa ora come se niente fosse, mentre magari tu e Alexis state ancora… giocando con le spade laser…-
Lui ride guardandole il profilo.
-…né tanto meno tu puoi lasciarla in asso all’improvviso per venire da me, dopo che ha rinunciato a tornare al dormitorio per restare con te prima della partenza! E’ giusto che dormi a casa con lei e che domattina le prepari una buona colazione.-
Rick le mette la mano sulla sua, poggiata sul cambio.
-E’ che non ci sono più abituato… lo sai che non dormiamo più separati da…-
-Da due mesi buoni… lo so! Nemmeno a me piace dover tornare a casa da sola, ma non c’è niente di male… è giusto che ti dedichi completamente a lei per una sera. E poi visto che è una serata padre-figlia, chissà che non chiami mio padre e approfitti per cenare con lui!-
Rick annuisce, si porta la sua mano fino alle labbra e le lascia un bacio sul palmo.
-Mi sembra una buona idea!-
Solleva lo sguardo sulla strada e punta il dito verso l’angolo.
-Lasciami qui, il negozio di Colbert è a sinistra.-
Kate accosta e Rick scende, ma prima di chiudere lo sportello china la testa dentro l’auto.
-Mi raccomando… subito al distretto.-
Lei sorride e scuote la testa.
-Castle!-
Rick rimette la testa dentro trafelato.
-Dì a mister Colbert di fare un ottimo lavoro…-
Lui annuisce e torna fuori.
-Castle!-
Si china ancora a guardarla, corrucciando la fronte.
-Non dimenticarti il caffè…-
Annuisce di nuovo facendo la mossa di voler chiudere lo sportello.
-Castle!-
-Si… che c’è ancora!?-
Sbuffa, rimettendo la testa dentro l’auto.
Lei sorride, si sporge di poco, gli mette la mano sulla guancia e lo bacia sulle labbra.
-Non ti perdere…-
Sussurra sulle sue labbra, facendolo sorridere. Ricambia il bacio per poi appoggiare la fronte sulla sua.
-Se ci vedesse qualcuno?-
Lei si guarda intorno e poi torna a fissare i suoi occhi, gli passa le dita sulle labbra per pulirgli uno sbafo di lucido lasciato dal suo bacio e solleva le spalle.
-Conosci il detto ‘nega, nega sempre fino alla morte!?’ Negheremmo spudoratamente…-
Lui corruccia la fronte e scoppiano a ridere.
-Ci vediamo tra poco, il tempo di prendere il caffè.-
Lei annuisce, Rick chiude finalmente lo sportello e resta a guardare l’auto allontanarsi.
Si guarda intorno un momento anche lui, come ha fatto Kate poco prima, solleva le spalle e fa una smorfia con il viso, come a voler essere d’accordo con il fatto che negare sempre e fino alla morte sia una cosa giusta.
Sghignazzando tra sé al pensiero, si dirige a passi svelti verso l’orologeria del signor Colbert, senza rendersi conto dello sguardo che ha assistito a tutta la scena.
Uno sguardo che ha seguito lei, fino a che non è scomparasa alla sua vista e che adesso è fisso su di lui.
Uno sguardo che ha memorizzato ogni  loro movimento, ogni loro espressione… anche il loro sorriso felice.
-Ma come siete teneri con i vostri piccoli segreti, la mia dura detective… chi l’avrebbe mai detto…-
 
Mentre Kate esce dall’ascensore le squilla il cellulare, non fa in tempo a prenderlo che due mani l’afferrano per le braccia, trascinandola di nuovo dentro.
-Abbiamo un omicidio!-
Esclama Esposito, dopo che le porte si sono richiuse, rispondendo allo sguardo interrogativo della detective, ancora con il cellulare in mano e le labbra strette in una smorfia poco accondiscendente.
-Ti stavamo chiamando, infatti.-
Prosegue il collega facendo segno con il dito al telefono e alla chiamata non risposta che lampeggia ancora sul display.
-Potevate almeno farmi uscire dall’ascensore…-
Azzarda a dire, ma Ryan la interrompe.
-Abbiamo detto alla Gates che eri già sul posto.-
Lei si gira di colpo a guardarlo, sempre più irritata, specie dall’espressione di Ryan, che al momento poteva essere definita ‘da idiota’.
-Lo sai che sei in ritardo, non è vero?-
A questo punto è Ryan che s’interrompe da solo, togliendosi il sorrisetto da idiota mostrato fino a quel momento, resosi conto che Beckett lo sta trafiggendo con una delle sue occhiate. Si schiarisce la voce, guardando il collega che solleva gli occhi al cielo.
-Ok… va bene… IO sono quello sempre in ritardo ultimamente, tu sei solo arrivata dopo…-
Lo sguardo di Beckett diventa sempre più torvo e Ryan finalmente decide di desistere, guarda dritto davanti a sé e sospira.
-Canal Street, angolo con la 46th… in caso tu… debba… debba dirlo a Castle.-
Per fortuna di Ryan, il viaggio in ascensore si conclude con la sua persona ancora incolume, le porte si aprono, Beckett gli dà un ultimo sguardo e s’incammina verso l’uscita, seguita dai due colleghi.
-Grazie Ryan, sempre diligente!-
Prima di salire in macchina vede Castle arrivare con i caffè tra le mani, gli fa segno con la testa di sbrigarsi e senza nemmeno il tempo di un saluto ai colleghi, sgomma via.
-Ma ti sei rincretinito completamente brò? Era necessario sottolineare il fatto che fosse in ritardo? E con quel sorriso da ebete stampato in faccia per giunta!?-
Il povero Ryan sale in macchina e, allacciandosi la cintura di sicurezza, sospira all’amico, che ha già messo in moto pronto ad accodarsi all’auto di Beckett.
-Lasciamo perdere… sono troppo stressato e non sono capace d’intendere, di volere e di stare zitto al momento…-
 
 
Ruotava gli occhi a destra e a sinistra per cercare di avere più visuale possibile; non potendo muovere la testa non riusciva a vedere quello che succedeva intorno a lei.
Era immobilizzata sul letto con le mani lungo i fianchi.
Non poteva muoversi, l’unica cosa che riusciva a percepire erano le lacrime che si liberavano sulle sue tempie e finivano sul cuscino.
Strinse gli occhi e cercò di respirare profondamente per avere la sensazione di essere ancora viva, quella sostanza che le aveva iniettato l’aveva paralizzata completamente.
Continuò a tenere gli occhi chiusi, ascoltava il silenzio attorno a lei cercando di captare un rumore qualsiasi. Il suo respiro.
Sentiva il suo respiro…
Lui era lì, seduto da qualche parte a distanza.
La osservava, la scrutava ed era certa che si divertisse a sentire la sua paura.
-Cosa… cosa vuoi… da me? Cosa vuoi… farmi?-
Prese coraggio e, sempre ad occhi chiusi balbettò quelle domande, respirava affannosamente e non riusciva a capire se fosse il medicinale o soltanto la paura.
-Vuoi davvero saperlo?-
Spalancò gli occhi come scossa da una scarica elettrica, non si aspettava che rispondesse.
Nella mezz’ora trascorsa in camera a guardarla in assoluto silenzio, aveva dato ad intendere che non le avrebbe parlato.
Spostò lo sguardo davanti a lei e lo vide avvicinarsi.
Un uomo qualunque!
Quando le aveva infilato l’ago alla base del collo, mentre apriva la porta di casa e l’aveva scaraventata a terra, aveva avuto la sensazione che fosse un mostro, un essere enorme con una stazza impossibile da combattere. Intontita dall’aggressione improvvisa, non era riuscita a guardarlo in faccia nemmeno quando lui l’aveva sollevata tra le braccia e adagiata sul letto, con dolcezza.
Ora che era davanti a lei e riusciva a vederlo, si rendeva conto che era semplicemente un uomo qualunque.
Alto sicuramente, ma niente di più.
Non era enorme, non aveva una stazza impossibile da combattere, era solo subdolo, tanto da aggredirla con una qualche medicina per renderla innocua.
Era un codardo!
Solo un codardo poteva aggredire una donna o chiunque altro in questo modo, ad armi impari.
Da un paio di giorni aveva la sensazione di essere osservata. Le era successo di girarsi di colpo, come se sentisse uno sguardo addosso, una presenza alle sue spalle, ma quando lo faceva tutto le sembrava normale, nessuno sguardo strano la osservava, nessuna persona strana intorno. Tornava sui suoi passi e si dava della stupida.
Adesso si dava della stupida doppiamente.
Come avrebbe potuto capire uno sguardo cattivo? Come avrebbe potuto vedere una persona pericolosa?
Continuava ad osservarla in silenzio, lei non aveva ancora risposto alla sua domanda e come se stesse captando i suoi pensieri, le sorrise.
Prese la sedia dove era stato seduto fino a poco prima e la sistemò vicino al letto, si sporse verso di lei e le asciugò le lacrime che continuavano a bagnarle i lati del viso ed il cuscino.
-Pensi che sia da codardi trattarti così, se non ti avessi drogata potresti difenderti e magari avere anche la meglio!-
Sentiva il suo fiato sul viso, mentre le parlava si era avvicinato pericolosamente a lei.
Sollevò la mano e lei si rese conto che teneva una spugnetta imbevuta di qualcosa.
Spalancò gli occhi ancora di più, cosa voleva farle? Sfigurarla, metterle qualcosa di orribile sul viso?
Sentì la spugnetta poggiarsi delicatamente sulle guance, riusciva a captare gli odori e quello sembrava proprio… latte detergente… il suo latte detergente!
In assoluto silenzio le passò la spugnetta sugli occhi, sulle guance.
Lei corrucciò la fronte chiedendosi che senso avesse questo gesto e lui sorrise.
-Devi essere perfetta per la parte che ti ho riservato.-
Piangendo, il trucco le si era sbavato per tutto il viso, doveva avere gli occhi neri di mascara e striature ovunque.
Lui la stava struccando, in maniera maniacale.
Prese un paio di Klinex dal pacco sul comodino, l’asciugò con cura e sorrise soddisfatto.
Lo vide ripulire tutto intorno a lei, mettere la spugnetta e i Klinex sporchi dentro una busta di plastica trasparente e conservarla dentro ad un piccolo zaino di colore nero.
Si avvicinò di nuovo a lei e le sollevò la maglia.
Lei chiuse gli occhi irrigidendosi, nonostante l’immobilità riuscì a percepire il freddo della punta delle sue dita.
Cosa voleva farle? Violentarla?
Trattenne il respiro sperando che tutto, qualunque cosa fosse, finisse presto.
La paura era di gran lunga peggiore del pensiero della morte stessa.
Riaprì gli occhi stupita, quando si rese conto che non la stava spogliando, le aveva solo sollevato la maglia fino a sotto il seno, lo vide prendere qualcosa dentro allo zaino e percepì come un solletico sullo stomaco.
Cercò di guardare verso il basso, ma muovere la testa era impossibile, lui era intento nel suo lavoro, dal movimento della mano sinistra si rese conto che stava scrivendo.
Stava scrivendo qualcosa con un pennarello sul suo addome!
Mise a posto il pennarello e rimase fermo un paio di secondi ad ammirare il suo lavoro.
-Vuoi dirmi cosa vuoi da me?-
La droga stava cominciando a perdere il suo effetto ed era riuscita a tirare fuori la voce, trovando la forza di non balbettare e lui le poggiò un dito sulle labbra.
-Non avere fretta. Leggere significa perdersi in un altro mondo, in un’altra dimensione e quando lo fai devi prenderti il tuo tempo, non leggere mai di fretta per capire fino in fondo cosa stai leggendo… solo così la fantasia diventerà realtà!-
Lo vide allontanarsi, lo sentì muoversi tra il bagno e la camera da letto senza riuscire a capire cosa facesse, finchè le si avvicinò di nuovo.
Le sistemò con cura la maglia, le prese le mani e con delicatezza gliele incrociò sul ventre. Le aggiustò i capelli castano chiaro sul cuscino e controllò che tutto fosse a posto e perfetto.
Le sorrise ancora, le accarezzò il viso con tenerezza e lei ebbe la consapevolezza che sarebbe stata l’ultima cosa che avrebbe sentito.
La carezza del suo assassino.
-Geraldine Prescott sei davvero uno splendido angelo!-
Le sussurrò all’orecchio, ripensando al suo sorriso gentile e sempre affabile, anche con i clienti impossibili dell’agenzia immobiliare per cui lavorava. Nei due giorni in cui lui l’aveva osservata di nascosto, ne aveva notati tanti.
Aveva vagato per la città in cerca della sua protagonista per qualche giorno, nessuna fino a quel momento era stata all’altezza della parte che aveva scritto per lei. Sarebbe stata la prima, il suo inizio… doveva assolutamente essere perfetta.
Un paio di giorni prima, finalmente, era rimasto folgorato.
L’aveva vista dalla vetrina a giorno della gioielleria di quel grande centro commerciale, teneva tra le mani un ciondolo a forma di edera in oro bianco che pendeva da una sottilissima catenella. Il suo sorriso splendido, mentre ammirava quella collanina bellissima, ma per niente sfarzosa, lo aveva ammaliato. Ma la cosa che lo aveva convinto erano gli occhi: verdi e pieni di sfumature poco più scure.
L’aveva sentita ridere come una bambina, mentre diceva alla commessa che cercava un regalo del genere da tutto il giorno per il compleanno della sua migliore amica, ed era finalmente felice di trovarselo tra le mani.
Era uscita dal negozio sorridendo, stringendo la bustina elegante che racchiudeva il piccolo dono. Si era voltata di colpo verso di lui, si era guardata intorno e per un momento il suo sorriso si era spento, ma subito dopo era tornata sui suoi passi, tranquilla.
Era quella giusta, quella degna di portare il suo primo messaggio.
L’aveva seguita a lavoro, studiato i suoi orari e il palazzo in cui abitava.
Niente portiere, niente telecamere di sorveglianza.
Non gli era stato difficile entrare senza essere notato.
Era salito a piedi al terzo piano e si era posizionato all’angolo dietro la porta dell’appartamento 38C.
Geraldine, puntuale, alle 20 e tre quarti era uscita dall’ascensore facendo tintinnare le chiavi tra le mani.
Aveva preparato la siringa piena di Zolpidem, aveva atteso che girasse la chiave nella toppa e appena la porta si era socchiusa, l’aveva spinta dentro, le aveva infilato l’ago alla base del collo e, circondandole la vita con un braccio, l’aveva adagiata a terra con la faccia verso il pavimento.
Mentre la droga faceva effetto l’aveva girata e presa tra le braccia.
Sapeva di gelsomino, fresco e pulito.
Sorrise mentre la adagiava con cautela sul letto, sistemandola per bene e poi si era seduto ad ammirare la sua bellezza per una buona mezz’ora.
Sentiva la sua paura e ne godeva.
Poi con calma si era messo a svolgere la trama già scritta, tutto doveva essere come era stato messo nero su bianco...
Lo seguì con lo sguardo mentre prendeva il cuscino accanto a lei.
Se solo fosse riuscita a muoversi, a graffiarlo, a morderlo. Riusciva a pensare solo a questo mentre vedeva sparire la luce attorno a lei, man mano che il cuscino si avvicinava al suo viso.
Continuava a pensare che avrebbe dovuto accorgersi di lui, quando si era sentita osservata nella gioielleria del centro commerciale, un paio di giorni prima; era sicura di avere uno sguardo cattivo addosso, ma poi non lo aveva trovato in mezzo alla gente.
Era arrabbiata con se stessa per non essere stata attenta, mentre il respiro diventava pesante.
Era arrabbiata con quell’uomo che aveva deciso della sua vita in maniera arbitraria e senza nessun diritto, mentre i polmoni cominciavano a bruciarle e le pulsazioni del cervello le davano la certezza che stava per esploderle.
Era arrabbiata con il mondo che le aveva riservato una fine come quella a soli 26 anni, senza potersi difendere, quando invece aveva tanti sogni e progetti da realizzare, mentre le orecchie captavano tutto in maniera ovattata e il silenzio s’impadroniva del tutto dei suoi pensieri…
Rimase a guardarla per qualche altro minuto, era bellissima, la sua pelle al tatto era ancora calda e morbida.
Sembrava dormisse.
Prese la collanina con il ciondolo d’edera, la strinse nel pugno e se la mise in tasca, lasciando l’astuccio vuoto e lo scontrino in bella vista, sul comodino.
Si guardò attorno, controllò ogni dettaglio, assicurandosi di avere messo tutto a posto e posò lo sguardo su di lei un’ultima volta.
-Grazie!-
Sussurrò appena, mentre prendeva il piccolo zaino e si dirigeva alla porta.
Geraldine Prescott era il suo primo messaggio per lei.
Lei che lo aveva tradito.
L’angelo dagli occhi verdi era il suo nuovo inizio.


Angolo di Rebecca:

L'angelo dagli occhi verdi è stato sacrificato :(
Il killer ha cominciato il suo libro...
mentre Kate bacia Rick in mezzo alla strada, infischiandone della gente e non badando a chi li osserva...


 

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Capitolo 4
*** Ansia ***








Capitolo 4


 
 
-Appartamento 38C, terzo piano.-
Dice Ryan, mentre Esposito guarda ai lati dell’entrata e controlla la serratura, passando attraverso il cordolo di agenti a guardia dell’edificio.
-Il portone non è stato forzato. Niente telecamere di sicurezza e niente portiere.-
Beckett fa un cenno di assenso e passa oltre il nastro giallo che delimita l’accesso alla scena del crimine.
-Voi due interrogate i vicini e i curiosi.-
I due colleghi annuiscono e lei entra all’interno della palazzina con Castle.
-Dalla disposizione delle finestre dovrebbero esserci tre appartamenti per piano.-
Le dice lui mentre la segue sulle scale, lei annuisce e si volta a guardarlo, anche se Castle si rende conto che il suo sguardo è fisso all’esterno del palazzo, nello stesso punto in cui ha guardato appena scesa dall’auto. Di rimando si gira anche lui, senza riuscire a capire cos’abbia visto di tanto importante.
-Se ho contato bene dovrebbero essere quattro piani.-
Risponde lei riportando l’attenzione davanti a sé.
Una volta al terzo piano, percorrono il corridoio fino all’interno 38C, dove un agente di guardia fa loro cenno con la testa.
-Salve Coop, la dottoressa Parish è già arrivata?-
Il giovane annuisce e Beckett, prima di entrare, controlla il corridoio a destra e a sinistra della porta, fa un paio di passi più avanti e si sofferma a guardare l’angolo dal quale scorge la rampa di scale che porta al quarto piano dell’edificio. Torna indietro e si avvicina a Castle, che invece sta controllando la serratura.
-Niente scasso nemmeno qui, a quanto sembra.-
Dice sollevando lo sguardo prima su di lei e poi sull’agente Cooper che annuisce.
-Nemmeno nell’appartamento ci sono segni evidenti di violenza o di una qualche colluttazione, anzi…-
Beckett si mette tra lui e la porta soffermandosi prima di entrare.
-Anzi?-
-Controlli lei stessa detective…-
Lei annuisce e prima di entrare spinge l’interruttore che accende le luci sul pianerottolo.
-Il corridoio è ben illuminato, solo dietro l’angolo non c’è luce. Coop, fa controllare la lampadina, voglio sapere se è stata svitata. Il fatto che l’assassino non abbia scassinato la serratura per entrare, può significare solo che  lei lo conosceva, oppure che era nascosto qui dietro al buio.-
Cooper annuisce e si sposta per lasciarli passare, posizionandosi di nuovo al suo posto, proprio al centro della porta.
Entrare in una casa dove si è consumato un omicidio è all’ordine del giorno per un detective della omicidi, lei ne ha viste tante ed è pronta a tutto. Si è trovata davanti a stanze distrutte, mobili rovesciati, macchie di sangue sul pavimento, sulle pareti, ovunque, ma una volta entrata in quella casa, capisce il significato dell’esclamazione ‘anzi…’ lasciata in sospeso dall’agente Cooper, rendendosi conto che la sensazione di ansia che ha sentito dal momento in cui ha parcheggiato davanti a quella palazzina,  è diventata insopportabile.
Nonostante il via vai lento e meticoloso dei tecnici della scientifica, un insolito silenzio e una strana atmosfera quasi surreale,  la colgono di sorpresa una volta entrata.
Si guarda attorno a lungo, corrucciando la fronte che mostra la rughetta indagatrice, fino a che fissa gli occhi all’entrata di quella che sembra essere la vera e propria scena del crimine. Fa segno a Castle di entrare, ma si ferma ancora un attimo sulla porta tra il salone e la camera da letto, tornando a guardarsi intorno come stordita.
Quel silenzio, quell’ordine, quella pulizia, quell’aria sospesa come se il tempo si fosse improvvisamente fermato, la riportano a qualche ora prima nella sua camera da letto, quando il tempo si era fermato anche sulle lancette del suo orologio. Non riesce  a capire perché sente ancora quella strana sensazione alla bocca stomaco, la stessa provata alla vista dell’orologio rotto.
Perché questo posto mi mette ansia?
La domanda le rimbomba nelle orecchie e non riesce a capacitarsi di continuare a pronunciarla in silenzio.
Il suo cuore aveva cominciato ad accelerare i battiti dopo essere scesa dall’auto.
Dopo aver oltrepassato il nastro giallo che delimitava l’entrata al palazzo, si era voltata di scatto verso la parte opposta della strada, socchiudendo  gli occhi, per cercare di mettere a fuoco lo sguardo che si era sentita addosso.
Anche Castle aveva guardato nella stessa direzione, osservando poi lei, che continuava a soffermarsi in un punto non ben definito dall’altra parte della strada.
Se ne era accorta e sapeva che lui si stava domandando cosa cercasse, ma sapeva anche che se glielo avesse chiesto, non avrebbe saputo cosa rispondergli.
Non aveva preso l’ascensore, volendo controllare di persona ogni pianerottolo prima di arrivare all’appartamento e, man mano che saliva le scale, saliva anche il ritmo del suo battito cardiaco, che la obbligava a guardare ancora dietro di sé, dove naturalmente c’era solo Castle, per nulla contento di non avere preso l’ascensore.
Una volta entrata in casa, i battiti veloci avevano lasciato il posto ad una sensazione di ansia indescrivibile e soprattutto, immotivata.
Inconsciamente si tocca il polso e sospira in maniera impercettibile chiudendo gli occhi per un attimo.
Scuote la testa dandosi della stupida, reputando quella sensazione all’orologio infranto sul pavimento e alla parola che questo le riporta sempre nella testa: presentimento!
Da quando sei superstiziosa Kate?
Già da quando!?
Glielo ha chiesto anche Castle e lei ci ha riso su. Non è mai stata superstiziosa, ma non riesce a sopportare comunque di non avere quell’orologio al polso.
Ma che c’entra questo posto? Perché da quando sono uscita di casa mi sento osservata? Mi sto facendo sopraffare da… da cosa esattamente?
Si chiede passando la mano destra sul polso sinistro, come se stesse cercando di consolare il posto vuoto su di esso.
Il suo sospiro non è stato abbastanza impercettibile da non attirare l’attenzione di Castle, che le sfiora la spalla.
-Tutto bene?-
Le chiede serio e lei annuisce senza guardarlo.
-Si… solo non credo di avere mai visto una scena del crimine così…-
-…così pulita e ordinata, come sospesa nel tempo?!-
Esclama lui tornando a guardarsi intorno.
Kate si gira di colpo e i loro occhi s’incontrano. Rick le fa un mezzo sorriso e solleva le sopracciglia, chiedendole tacitamente cosa la turba e lei risponde scuotendo di poco la testa.
Per un attimo il silenzio, in mezzo alla frenesia delle indagini della scientifica, li avvolge completamente come fossero soli e lei si sente coccolare da quel flebile sorriso.
Eccolo di nuovo. Basta che mi posi gli occhi addosso per sentirmi bene… non posso essere diventata così dipendente da lui!
-Fate pure con calma ragazzi, tanto la mia amica qui non ha nessuna fretta e di conseguenza nemmeno io!-
La voce di Lanie li fa sussultare e Kate si schiarisce la voce.
-Stavamo dando un’occhiata intorno Lanie, tanto non hai appuntamenti importanti per le prossime ore, a quanto ho capito!-
Risponde sarcastica entrando nella camera da letto e infilandosi i guanti, mentre la dottoressa storce le labbra, sorridendo e guardandosi intorno per essere sicura che le uniche orecchie indiscrete siano quelle della sua cliente.
-A me è sembrato che vi stavate dando un’occhiata a vicenda, cos’è… non siete ancora riusciti a memorizzarvi l’un l’altro? O avete paura di dimenticare come siete fatti?-
Castle solleva le spalle divertito e comincia a studiare la scena del crimine, mentre Kate scuote la testa con uno sguardo di disappunto verso Lanie.
-Stavamo soltanto notando che probabilmente la vittima non è stata derubata, visto l’ordine che c’è in casa.-
Lanie annuisce.
-Già! Ha fatto effetto anche a me e nemmeno la scientifica sembra contenta di questa pulizia, prima che arrivaste ho sentito uno dei ragazzi dire che nel salone non c’è alcun tipo di traccia al di fuori del normale.-
Castle continua a osservare la stanza, passando in rassegna con l’occhio attento i mobili e la specchiera.
-E puoi giurare sul fatto che non troveranno niente nemmeno qui dentro… tutto lucido!-
Conclude mettendosi le mani in tasca, pronto ad ascoltare attentamente l’anatomopatologa.
-Geraldine Prescott, 26 anni. Aspettavo voi per un esame più specifico, volevo che vedeste la posizione perfetta in cui è stata sistemata. Stando al livore sul viso e sulle mani direi che è morta almeno da dodici ore.-
Castle corruccia la fronte.
-Quindi ieri sera verso le 21.00?-
-Esattamente. I vestiti sono ordinati, i pantaloni bene allacciati, il letto intatto, perciò a prima vista direi che non ha subito violenza sessuale.-
Continua Lanie che si china accanto al letto per incominciare l’esame preliminare del corpo.
-Sai già com’è morta?-
Anche Beckett sta osservando minuziosamente la donna e il letto attorno a lei. La dottoressa scosta la maglia all’altezza del collo, dove, prima del loro arrivo, aveva notato un piccolo livido tondo.
-Non ancora, ma posso dire con certezza che questo è stato fatto da un ago.-
-Veleno?-
Ipotizza Castle che si è chinato vicino alle due donne a guardare.
-Mmhh… se fosse stata avvelenata non sarebbe così tranquilla!-
Beckett e Castle la guardano, aspettando una spiegazione.
-Il veleno, anche con azione immediata, provoca sicuramente spasmi, dolore. Guardatela, non ha il viso contratto, sembra che dorma!-
Scuote la testa e si alza per guardare Beckett in viso.
-No. E’ più plausibile che sia stata immobilizzata con qualche sostanza e poi uccisa.-
Castle annuisce pensieroso.
-Allora vediamo. Geraldine torna a casa. Sulla porta non ci sono segni di scasso…-
-…quindi, o lo conosceva e lo ha fatto entrare lei, oppure l’ha aggredita alle spalle subito dopo essere entrata.-
Suppone Beckett guardando il cadavere e Castle annuisce di nuovo.
-In questo caso il nostro assassino era nascosto, magari nell’angolo dietro la porta e, quando lei ha aperto, l’ha immobilizzata con una puntura…-
Lanie si mette con le braccia conserte e si gode la scena, mentre aspetta che sia Beckett a prendere la parola.
-…dopo di che la prende in braccio, la sistema sul letto e… la uccide… come?-
Posa lo sguardo su Lanie aspettando una probabile risposta, ma lei ha una strana risata sarcastica sul viso, accompagnata da un arricciamento del naso.
-Che c’è!?-
Lei solleva le spalle.
-Niente, siete solo adorabili!-
Risponde spostando lo sguardo da lei a Castle e Beckett stringe le labbra.
-Lanie!-
-Si… si… lo so, come l’ha uccisa? -
Si china di nuovo a guardare attentamente il volto cereo della donna e le solleva le palpebre.
-Gli occhi presentano delle piccole emorragie e se guardate attentamente in questa zona, attorno al naso…-
Mostra il punto ruotando per aria il dito.
-…il livore è più accentuato.-
-Come fosse un livido non imputabile al colore assunto dopo la morte!?-
Ipotizza Beckett e Lanie annuisce.
-Avrò conferma solo con l’autopsia, ma è probabile che sia stata soffocata.-
Poggia lo sguardo sul letto e indica il cuscino accanto al cadavere.
-Magari con quello. Ho notato che il viso di Geraldine profuma di aloe, nonostante siano passate ore, l’odore si percepisce ancora e il cuscino ne è impregnato. E’ stato sistemato per bene, come tutto qui intorno del resto, ma sono quasi certa che sia morta con quel cuscino sulla faccia.-
Si dirige nel bagno e ritorna subito dopo con un flaconcino.
-Latte detergente a base di aloe!-
Le supposizioni di Lanie vengono interrotte dall’agente Cooper, che bussa leggermente alla porta.
-Detective Beckett, mi scusi. Aveva ragione lei, la lampadina sul pianerottolo non è fulminata, è stata svitata.-
Kate annuisce.
-Perciò l’assassino era nascosto lì dietro, sicuro di essere invisibile. Che la scientifica controlli ogni centimetro di quell’angolo, nell’attesa può aver lasciato qualche indizio.-
Si guarda ancora intorno e storce le labbra.
-Anche se da come ha ripulito tutto, ho dei forti dubbi!-
-Si signore.-
Beckett guarda di nuovo il cadavere e il cuscino, corruccia la fronte e si mette il pollice sulle labbra.
-Quindi la immobilizza sul letto per soffocarla con un cuscino! Che senso ha? Avrebbe potuto aggredirla alle spalle e strangolarla, colpirla alla testa con qualsiasi cosa. Non l’ha violentata, non l’ha derubata… non ha senso!-
Castle ha in mano il flacone di latte detergente e l’espressione corrucciata.
-Non solo. Se lui era dietro la porta e l’ha sorpresa, di sicuro non è stata lei a struccarsi, ma…-
Beckett lo precede.
-…ma deve averlo fatto lui, eliminando poi ogni traccia di trucco. Perché!?-
Lanie sta sistemando alcuni reperti nella sua valigetta, segno che il corpo è pronto per l’obitorio e nello stesso tempo scuote la testa, ascoltando le ipotesi di quei due che non smettono di inseguirsi nemmeno nelle parole.
-E questo cos’è?-
Esclama Castle che, chino sul comodino, indica uno scontrino sgualcito ed un astuccio vuoto.
-Ha comprato qualcosa in gioielleria.-
Risponde Beckett, prendendo lo scontrino per infilarlo in una busta trasparente.
-Esattamente tre giorni fa da GOLD&SILVER sulla 55th.-
-L’astuccio però è vuoto.-
Afferma Castle guardando dietro il comodino e sul pavimento.
-E non sembra esserci niente di prezioso qui in giro.-
Beckett annuisce, reperta anche l’astuccio vuoto e si rivolge ad uno dei tecnici della scientifica.
-Controllate bene ovunque, manca sicuramente un gioiello. Bracciale, collana… non so cosa sia, ma fatemi sapere se è ancora in casa.-
L’uomo in tuta bianca si guarda intorno e annuisce.
-Appena la dottoressa Parish farà portare via il cadavere, setacciamo la camera da letto.-
-Grazie…-
-Ehi Beckett!-
Si volta verso il salone ed Esposito le fa segno di raggiungerlo.
-Nessuno dei condomini ha sentito rumori strani, una delle inquiline del piano terra, la signora Emma Dowson, l’ha incontrata ieri sera verso le 20.45, probabilmente è stata l’ultima a vederla viva.-
-Oltre l’assassino!-
Esclama meccanicamente Castle.
-Era con qualcuno? Le è sembrata preoccupata?-
-Era da sola, si sono incontrate davanti al portone. La Prescott l’ha aiutata a portare le borse della spesa in casa: ‘sorridente e gentile come al solito’ ha riferito, ed è sicura che non aspettasse visite, perché le ha detto che non vedeva l’ora di mettersi dentro la vasca da bagno e farsi coccolare dall’acqua calda per un bel pezzo.-
Beckett guarda ancora verso la camera da letto e storce le labbra.
-Chi ha trovato il corpo?-
-Una sua amica e collega, Jessica Benton, ma era così scossa che hanno dovuto darle un tranquillante. Il suo ragazzo l’ha accompagnata a casa, passeranno al distretto nel pomeriggio. Comunque ha detto ad un nostro agente, che quando non l’ha vista arrivare a lavoro si è preoccupata e dopo svariate chiamate, a cui non ha risposto, si è decisa a venire qui. Ha le chiavi perché prima che andasse a vivere con il suo ragazzo abitava in questo appartamento e Geraldine gliele aveva lasciate per qualunque evenienza. Quando ha capito che era morta è corsa dalla vicina e hanno chiamato la polizia.-
-La sua famiglia?-
-I genitori e un fratello in New Jersey, sono già stati avvertiti.-
Beckett annuisce sospirando, un sospiro che fa deglutire Castle che si rabbuia improvvisamente, tornando a guardare il corpo senza vita di quella giovane donna nella stanza accanto.
-Che c’è?-
Gli sussurra e lui si stringe nelle spalle.
-Era solo una ragazzina!-
Kate gli mette una mano sul braccio e lui torna a guardarla.
-Voglio dire… non una ragazzina nel senso… ma… era così giovane e… non riesco ad immaginare… si insomma i suoi genitori… -
Lei accentua la stretta al braccio e lui si ammutolisce.
-Ho capito Castle!-
Lui china la testa e sbuffa leggermente, mentre lei torna su Esposito.
-Tu e Ryan interrogate i colleghi, gli amici… insomma sapete cosa fare.-
Guarda Castle e mostra lo scontrino trovato sul comodino.
-Tu ed io andiamo in gioielleria!-
Si avvia alla porta, ma dopo che tutti sono usciti, guarda ancora verso la camera da letto.
Se non fosse per il colore violaceo del viso, Geralidine Prescott sembra dormire. Ha come l’impressione che possa aprire gli occhi all’improvviso e parlarle.
Sospira. Si guarda ancora intorno e sente i battiti cardiaci accelerare per l’ennesima volta.
Scende le scale lentamente, cercando di calmarsi, arriva sulla strada e incontra lo sguardo di Castle.
Si sorridono.
Apre lo sportello della macchina, ma prima di salire, resta a guardare i curiosi appostati intorno, corruccia la fronte e sale in auto.
Mette in moto.
L’ansia non è ancora passata.
 
 
La piccola cavia si contorceva da un paio di minuti, lo squittio strideva nelle orecchie e Abraham si morse l’interno della guancia.
Per quanto adorasse il Professore, non si sarebbe mai abituato alla sofferenza di quei piccoli animaletti, anche se era per un ideale importante. Questa volta era ancora più doloroso, perché il fine di quella sofferenza, non era trovare la cura ad una malattia incurabile o una formula che avrebbe potuto portare sollievo al corpo sgorbio di un pover’uomo, come era stato per lui. Quegli esperimenti, quelle prove che andavano avanti ormai da settimane, avevano solo lo scopo di arrecare la morte.
Il buon Abraham aveva scosso la testa quando, origliando, aveva sentito la richiesta di quello Stephan, che parecchi giorni prima si era presentato come ‘amico’ del suo amico. Naturalmente non aveva detto niente, il Professore sapeva come agire e lui lo avrebbe aiutato in tutto e per tutto e senza riserve, ma quell’uomo proprio non gli era piaciuto.
Il silenzio improvviso lo risvegliò dai suoi pensieri. La cavia aveva smesso di soffrire. Sospirò mentre il Professore sbuffava.
-E’ morto troppo in fretta maledizione!-
L’ennesima esclamazione dava ad intendere che nemmeno stavolta aveva trovato la formula giusta.
Abraham prese la bestiola, l’avvolse con della carta e la adagiò, quasi con tenerezza, nel piccolo inceneritore del laboratorio, chiuse lo sportello e tornò al proprio posto di assistente, pronto per un altro esperimento.
Il Professore era già a lavoro su altri alambicchi. Stava separando alcune sostanze chimiche attraverso un distillatore. Scriveva su una lavagna metallica numeri e formule di sostanze usate fino a quel momento e che dovevano essere dosate in maniera diversa, per giungere alla formula perfetta.
Gli piaceva guardare il Professore intento nel suo lavoro, si vedeva lontano un miglio che quello era il suo posto, la sua vita.
Scosse la testa e si rammaricò del fatto che stesse sempre chiuso in se stesso.
Era un uomo di grande cultura. Quello che la gente diceva di lui era orribile, ma da quando viveva isolato, con lui era stato buono e lo aveva salvato. Per questo si rammaricava e provava dispiacere. Con le sue ricerche avrebbe potuto cambiare la vita di tante persone, rivoluzionare il mondo intero se solo avesse voluto, invece se ne stava lì, in un posto sperduto, da solo a lavorare notte e giorno… ma perché cosa? Per niente, perché nessuno avrebbe mai saputo della grandezza della sua mente, delle cure incredibili a cui era arrivato, perchè non le avrebbe mai mostrate.
E adesso si rammaricava ancora di più.
Quell’uomo strano che non era riuscito a vedere in viso per via degli occhiali scuri, la barba e il cappello, gli aveva commissionato la morte e la cosa peggiore era che il Professore non si era potuto tirare indietro.
La temperatura dentro l’alambicco aumentava lentamente, in poco tempo le sostanze si sarebbero vaporizzate e perciò separate e magari stavolta, cambiando dosaggio, aggiungendo qualcosa e togliendone un’altra, sarebbe riuscito nell’intento.
Non era d’accordo con questa ‘missione’, ma per rispetto non si sarebbe mai azzardato a dire nulla, in cuor suo sapeva che il Professore lo faceva di malavoglia e lo avrebbe sostenuto comunque, giusto o sbagliato, fino alla morte.
L’inceneritore emise un bip e Abraham andò a spegnerlo, restando a guardarlo per un momento come smarrito. Chiuse gli occhi e tornò a quella sera, quando si era nascosto in cucina, non tanto per origliare, ma per proteggere il Professore se fosse stato necessario e aveva ascoltato la loro conversazione.

-Bravo il mio amico Professore! Ti ho sempre parlato del mio grande sogno no? Di quel best sellers che ho in mente di pubblicare? Bene… è arrivato il momento… e mi serve il tuo aiuto!-
Dal punto in cui si era rintanato riusciva a vedere la faccia del Professore, mentre dell’uomo intravedeva solo le spalle e il bavero alzato del cappotto. Sembrava alto e anche ben messo, se avesse cercato di fare del male al Professore, di certo lui piccolo e sgorbio, non avrebbe potuto fare molto, ma non si sarebbe tirato indietro.
Vide il Professore irrigidire la mascella e stringere le mani sui braccioli della poltrona.
-Cos’hai in mente? Come potrei aiutarti a ‘scrivere’ il tuo libro?-
L’ospite scosse la testa e Abraham immaginò un ghigno sul suo viso.
-L’eroina del mio racconto, come tutte le eroine che si rispettino, deve soffrire.-
Spezzò la frase di proposito per fare assimilare le sue parole all’ometto dal viso tondo e paonazzo che aveva di fronte.
-Devi fabbricarmi la morte!-
Disse piano, scandendo le parole. Lui trattenne il respiro e il Professore sussultò, asciugandosi i palmi delle mani sul camice.
-Mi serve una sostanza mortale che non esista né in natura, né in commercio. Qualcosa di cui solo tu puoi sapere la composizione. Qualcosa che una volta entrata in contatto con il sangue, sparisca senza lasciare traccia, ma porti alla morte lentamente.-
Il Professore si mosse a disagio sulla poltrona, prese il fazzoletto dal taschino del camice e cercò di tamponare il sudore che, copioso, gli bagnava la fronte stempiata.
-Non stiamo parlando di un racconto, stiamo parlando della morte di un essere umano in carne ed ossa… io non sono un assassino!-
Cercò di dirlo con la voce ferma, ma il tremolio delle mani lo tradì. Lui non si scompose, scosse di nuovo la testa e stavolta Abraham non ebbe bisogno di immaginare nessun ghigno, perché la sua risata sarcastica e cattiva fece eco per tutta la casa.
-Professore, tu sei vivo grazie a me. Sei uscito da quella cella con la virtù intatta, grazie a me. Io ti ho protetto e quando sei andato via hai detto che avresti aspettato di saldare il debito.-
Il Professore continuava a sudare e sembrava rimpicciolirsi sulla poltrona.
Ricordava le notti buie e fredde dentro il carcere, ricordava i sussurri che gli altri detenuti gli rivolgevano tutta la notte senza farlo dormire. Senza protezione uno come lui, finito in prigione per un genere particolare di reato, non sarebbe mai sopravvissuto. E adesso che Stephan lo aveva trovato, adesso che aveva incrinato quell’equilibrio statico che si era creato, sapeva che, se non lo avesse aiutato nel suo racconto, lo avrebbe ucciso.
Si alzò sospirando per la sconfitta iniziata già quando lui aveva bussato alla porta.
-Dimmi che devo fare!-
L’uomo si alzò a sua volta e si mise alle sue spalle.
Entrambi erano di fronte alla finestra che li specchiava e li rifletteva nel buio.
Un uomo piccolo, tondo, insignificante e l’altro alto, in forma… imponente.
-Sai già cosa devi fare. Voglio un veleno che deve uccidere senza possibilità di salvezza, senza un antidoto, senza che possa essere rintracciato nell’organismo… MA…-
Quel ma lasciato in sospeso fece trasalire il professore e rabbrividire Abraham.
-M…ma!?-
Balbettò il riflesso più piccolo alla finestra.
-Ma deve uccidere lentamente, molto lentamente, tanto lentamente da lasciare il tempo, tra atroci dolori, di fare i conti con i propri fantasmi prima di esalare l’ultimo respiro.-
Il Professore deglutì vistosamente e il suo amico gli mise le mani sulle spalle scuotendolo amichevolmente.
-Su con la vita Professore, sei il protagonista di un capitolo intenso.-
Si avvicinò al tavolino, estrasse un piccolo plico dall’interno del suo impermeabile e lo poggiò sul divano.
-Te lo lascio, leggilo. Quello che voglio e come lo voglio è scritto qui, nero su bianco e…-
Si avvicinò di nuovo a lui e sibilò praticamente dentro al suo orecchio.
-…e deve essere uguale… non dimenticarlo!-
Il Professore annuì e si girò a guardarlo negli occhi.
Quell’uomo per mesi gli aveva esposto il suo piano di vendetta. Per mesi era stato costretto ad ascoltarlo in un cubicolo 3x4 che a volte lo soffocava.
Sapeva cosa voleva e cosa era capace di fare pur di portare a termine il suo piano.
-E non dimenticare Professore. La morte deve avvenire in un determinato tempo, entro il quale io devo sapere passo passo quali saranno i sintomi… non deludermi.-
Il Professore annuì, stringendo i pugni con le braccia tese lungo i fianchi.
-Quanto tempo ti serve?-
-Non so… non è un lavoro preciso… possono volerci giorni, come pure settimane!-
Lui strinse le labbra con disappunto e il Professore si affrettò a continuare.
-Se vuoi che sia tutto perfetto dovrò fare molte prove, è semplice avvelenare qualcuno, ma in modo lento e doloroso e senza lasciare traccia… beh… ci vorrà tempo!-
Senza dire niente Stephan posò una mazzetta di banconote da 100 dollari accanto al manoscritto e aprì la porta per andarsene.
-Quello è solo un anticipo per il tuo disturbo. Come vedi, nonostante sia tu ad essere in debito con me, verrai pagato comunque. Fammi sapere che ingredienti ti servono, li avrai entro due giorni e quando avrai finito, avrai il resto del tuo compenso.-
Chiuse la porta sparendo nel buio.
Il Professore rimase  imbambolato davanti alla finestra, ma non riuscì a scorgerlo, come se si fosse mimetizzato con la vegetazione. Si avvicinò al divano e prese il manoscritto, lo sfogliò velocemente e lo gettò a terra stizzito.
Abraham era uscito dal suo nascondiglio.
-Non mi piace quell’uomo. E’ il diavolo!-
Aveva azzardato con timidezza, il Professore lo aveva guardato con benevolenza mettendogli una mano sulla spalla.
-Hai ragione mio fedele amico. Ma purtroppo il diavolo non si può combattere… almeno io non ne sono capace.-
Un paio di giorni dopo un corriere aveva consegnato un pacco contenente il materiale chimico che il Professore aveva richiesto.
Il giorno prima il telegiornale aveva dato notizia di un pauroso incendio, che aveva distrutto un’intera ala di magazzini, dell’industria farmaceutica Green Chemicals, con danni per svariati milioni di dollari.
Non si era salvato nulla… ‘tranne le fiale che ha mandato a me…’ aveva pensato il Professore.

La separazione degli elementi che gli servivano era pronta, prese un altro liquido e con l’aiuto di provette e bilancini, Abraham assistette ad una nuova composizione della miscela di morte.
Guardò i topini che si rincorrevano nelle gabbie e si strinse silenzioso nella sua tristezza.




Angolo di Rebecca:

L'idillio dei tontoloni sta cominciando a dissolversi.
Kate arriva sulla scena del crimine e continua a sentire quel presentimento.
I battiti del suo cuore corrono veloci e si trasformano in ansia...
Stephan è uscito allo scoperto.
Adesso sappiamo qual è la sua folle trama...




 

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Capitolo 5
*** Io Ti Starò Vicino... ***








 
Capitolo 5


 
 
-A noi due mia cara, prometto che non indugerò più del dovuto!-
Con la mano ricoperta dal guanto di lattice, accarezza i capelli della donna sospirando.
-So che può sembrarti crudele quello che sto per fare, ma sarai proprio tu ad aiutarci a trovare l’essere che ti ha fatto questo, il tuo corpo ha tante cose da dirmi...-
La dottoressa Parish si avvicina a Geraldine Prescott e con estrema cura solleva il lenzuolo che la ricopre.
Il cadavere si trova sul tavolo d’acciaio del suo laboratorio da circa dieci minuti.
Si prende un attimo per indossare il camice, preparare la macchina fotografica e i ferri per l’autopsia e mentre sistema tutto in religioso silenzio, raccoglie i pensieri e aguzza l’attenzione, per essere pronta a non tralasciare niente che possa portare alla verità.
Ogni volta per lei è come un rito.
Nel suo obitorio arrivano ogni giorno persone diverse, di diversa razza e credo e non importa chi o cosa siano stati in vita, davanti a lei sono tutti uguali: persone strappate in modo violento alla vita, ai propri cari e perché no, anche alla propria solitudine e ognuno di loro, indistintamente, merita di trovare la pace.
Toglie del tutto il lenzuolo e lo ripiega mettendolo da parte.
Accende il registratore e procede a toglierle i vestiti. Le sbottona i pantaloni, glieli sfila con cura, li ripiega e li ripone dentro la  busta trasparente delle prove, la stessa cosa fa con la maglia, ma quando sta per toglierle la biancheria intima resta bloccata a guardare il corpo davanti a lei.
Si china sull’addome della donna e le passa le dita guantate sulla pelle. Senza fiatare, prende la macchina fotografica e scatta delle foto da diverse angolazioni. Avvicina la lente d’ingrandimento e dopo avere analizzato ogni centimetro di pelle dal reggiseno agli slip, ricopre il corpo con il lenzuolo, prende il telefono e comincia a digitare.
 
La sua postazione è lontana dalle finestre e questa cosa la innervosisce parecchio.
Si chiede il perché mentre, seduta con il gomito sulla scrivania e il mento appoggiato sulla mano chiusa a pugno, continua a guardare verso una di esse, colpevole di essere tanto distante da impedirle di guardare fuori.
Nonostante sappia che la finestra non ha colpa e che non può vedere cosa succede al di là del vetro, non riesce a spostare lo sguardo da quel rettangolo chiuso ermeticamente.
Sente perfettamente il suono di una voce, ma non riesce a cogliere il senso delle parole, perché anche le orecchie sono impegnate a cercare di captare qualcosa al di fuori di quella finestra.
Sono rientrati al distretto da un paio d’ore. Per tutto il tempo che lei e Castle sono stati in giro per interrogare la commessa della gioielleria, il proprietario del bar di fronte al negozio e il personale di sorveglianza del piano del centro commerciale, non ha fatto altro che guardarsi alle spalle. La sensazione di sentirsi osservata non l’ha abbandonata nemmeno per un istante e anche adesso, seduta alla sua scrivania del distretto, continua a guardare la finestra con l’impulso di alzarsi e affacciarsi a guardare… guardare per vedere… cosa… chi!?
-Allora? Vuoi rispondere?-
Il suono della voce divenuto più acuto la riscuote, si volta a guardare l’uomo davanti alla lavagna che la osserva imbronciato  con il pennarello in mano e torna vigile sull’attenti.
-Rispondere… certo!-
Dice a tono.
Se solo avessi sentito la domanda!
Cerca di concentrarsi e fare mente locale; magari tra il suono incomprensibile delle parole pronunciate dall’uomo imbronciato davanti a lei, sarebbe riuscita a scorgere la domanda che le ha fatto. Lui di conseguenza sospira e fa segno verso la lavagna, battendoci sopra con il pennarello.
-Mi hai chiesto di improntare il caso con i pochi dati raccolti fino ad ora per studiarli man mano, ma tu sei in un altro mondo.-
La punta con il pennarello e socchiude gli occhi fino a farli diventare due fessure.
-E vorrei sapere quale mondo, visto che non contempla il caso e, soprattutto, non contempla me!-
Lei corruccia la fronte, sorridendo subito dopo per lo sguardo pseudo arrabbiato di Castle.
-Allora, ho dimenticato qualcosa?-
Continua lui, mostrandosi profondamente professionale. Lei si alza, fa il giro della scrivania e ci si siede sopra per avere una visuale migliore.
-Per ora c’è tutto, il che non è molto.-
Lui annuisce, si libera del pennarello e appoggia il braccio al bordo laterale della lavagna.
-Si può sapere che hai Kate? Sei distratta.-
Lei fa l’espressione stranita, come a dire ‘io… distratta?!’ e lui continua senza darle il tempo di rispondere.
Hai voluto che scrivessi io sulla lavagna e tu eri completamente lontano da qui.-
-Ma non dire sciocchezze. Ti ho chiesto di scrivere perché tu hai una bella calligrafia, scrivi ordinato…-
Guarda la lavagna e allunga le braccia verso di essa gesticolando con le mani.
-Si nota subito che hai una certa dimestichezza con l’impaginazione… così è tutto più chiaro!-
Lui guarda prima quello che ha scritto e poi lei.
-Mi stai prendendo in giro?-
Lei scuote la testa seria.
-Non mi permetterei mai, dico sul serio! Sembra di guardare una stampa ingrandita e non una scrittura a mano…-
Castle annuisce.
-Mi stai prendendo in giro!-
Afferma avvicinandosi a lei, ma invece di mostrarsi divertito per il tentativo di spirito della sua donna, diventa stranamente serio.
-Davvero Kate… che c’è che non va?-
Lei resta spiazzata dai suoi occhi ad un paio di centimetri di distanza e ribatte con la sua stessa espressione.
-Davvero Castle… non so che cosa intendi.-
Cerca di abbassare lo sguardo, ma lui le si siede accanto, continuando a tenerle gli occhi addosso.
-Da quando siamo arrivati non fai altro che guardare verso le finestre e anche mentre eravamo in giro, ti guardavi  indietro, come se ti aspettassi di vedere sbucare un’orda di zombie alle tue spalle… che ti succede!-
Kate apre la bocca senza riuscire a darle fiato, sentendo il vibro del suo cellulare.
‘C’è una cosa che devi assolutamente vedere di persona, fa presto!’
Salvata in corner dal medico legale. Sarebbe stato arduo cercare di spiegargli la sua sensazione, anche perché non riesce a darle un senso nemmeno lei.
-Lanie ci vuole in laboratorio.-
Dice saltando giù dalla scrivania, mentre lui sbuffa seguendola sull’ascensore.
-Il discorso non finisce qui… voglio sapere che hai… e credimi, prima o poi sputerai il rospo!-
Le dice tenendo lo sguardo fisso sulle porte chiuse dell’ascensore, facendola sorridere.
Entrati nel regno della dottoressa Parish, la trovano intenta a scrivere al computer.
-Lanie…-
La chiama Beckett e lei solleva la mano senza voltarsi come a chiedere un attimo di pazienza, pigiando un altro paio di tasti sul pc.
-Fatto!-
Esclama alzandosi dalla sua postazione per raggiungere i colleghi.
-Ti ho appena mandato delle foto del cadavere per e-mail, così le potrai usare per la tua lavagna e aggiornare il resto della squadra.-
Beckett sposta lo sguardo sul corpo di Geraldine Prescott, rendendosi conto che è ancora intatto e corruccia la fronte non riuscendo a capire.
-Non hai ancora cominciato l’autopsia? Credevo avessi già i referti preliminari… perché ci hai voluto qui!?-
La donna solleva il dito indice e si avvicina al cadavere.
-Stavo per mettermi all’opera, quando ho visto una cosa che potrebbe anche essere più importante dell’autopsia stessa e che, ad essere sincera, mi ha lasciata parecchio perplessa. Volevo che la vedessi di persona… prima di rovinare l’opera!-
Castle e Beckett si guardano e poi tornano ad osservare lei.
-Allora? Cosa può essere più importante di un referto autoptico?-
La sprona Beckett. Lanie solleva il lenzuolo dal corpo della ragazza e lo ripiega fin sotto la vita, facendo segno con la mano sull’addome.
-Questo!-
Esclama, guardando attentamente l’espressione dei suoi amici e annuendo a se stessa, quando nota il loro sguardo corrucciato e stupito.
-Si. Ho fatto anch’io quell’espressione quando le ho tolto i vestiti. E’ stata scritta a mano con un pennarello indelebile a punta grossa.-
Beckett continua a guardare l’addome della ragazza, storce le labbra e si avvicina per vedere meglio, ma è Castle che trova il coraggio di leggere a bassa voce e lentamente le parole materializzatesi davanti a loro, sulla pelle di Geraldine Prescott.

 
-Quando esalerai il tuo ultimo respiro, io ti sarò vicino, talmente vicino che sentirai il mio addosso a te…-
 

-Inquietante vero?-
Chiede la dottoressa continuando ad osservare Kate intenta a leggere e rileggere la frase scritta sull’addome della ragazza.
-Più che inquietante, direi che è strano. L’ha uccisa, mi sembra logico che le fosse vicino quando è morta, perché sottolinearlo?-
Lanie ricopre il corpo con il lenzuolo e annuisce.
-Ho mandato delle foto al perito calligrafo, magari ci può dare qualche indizio in più sul killer. Gli ho chiesto la priorità, dovrebbe farmi sapere qualcosa tra un paio d’ore. Ora lasciateci sole, Geraldine ha parecchie cose da dirmi e non voglio farla aspettare oltre.-
Sistema i capelli della ragazza con dolcezza e sorride.
-Vero tesoro che hai qualche segreto importante da svelare?-
Beckett sorride scuotendo la testa.
-Perché quell’espressione detective!? Non lo sai che i miei amici parlano e ascoltano anche?-
Stavolta è Castle a sorridere.
-Ben detto dottor Mallard!-
Esclama provocando nella dottoressa una piccola risata, mentre Kate passa lo sguardo dall’uno all’altra con l’espressione confusa e Lanie schiocca le dita per attirare la sua attenzione.
-Ducky… hai presente!?-
Kate continua a non rispondere e Castle alza gli occhi al cielo, sospirando.
-Beckett, tu hai bisogno di una maratona intensiva di NCIS… al più presto.-
-Un telefilm! E’ di questo che state parlando?-
Sbuffa dirigendosi verso l’uscita.
-Sbrigati ad ascoltare quello che ha da dirti Lanie, perché siamo ad un punto morto… andiamo Castle!-
Lui solleva le spalle e saluta Lanie con un cenno della testa, rincorrendo Beckett che è già entrata dentro l’ascensore. Superato il primo piano preme il pulsante che blocca la cabina e lei lo guarda stranita.
-Che ti prende?-
-L’agente speciale Leroy Jetro Gibbs blocca l’ascensore e lo usa come ufficio personale per le riunioni segrete, quando non vuole attorno occhi e orecchie indiscreti.-
Le risponde sollevando un sopracciglio, cosa che fa anche lei.
-Ancora NCIS?!-
Lui annuisce e lei appoggia le spalle alla parete.
-E dimmi… che riunione segreta hai in programma al momento agente speciale Castle?-
Gli chiede storcendo le labbra, mentre lui si sposta di fronte a lei avvicinandosi pericolosamente. Struscia il naso contro il suo e poi devia, appoggiando le labbra al suo orecchio.
-Credo che tu abbia un impellente bisogno di una boccata di ossigeno…-
Lascia la frase in sospeso per guardarla intensamente.
-…per tranquillizzarti… anche se non ho ancora capito da cosa!-
Lei sorride e gli mette le mani sul viso.
-Mi piace l’idea della riunione segreta ogni tanto… questo Gibbs deve essere un bel tipo! -
Gli dà un bacio a fior di labbra, ma quando lui la stringe a sé, gli attorciglia le braccia al collo e si assaggiano piano, con calma, assaporando l’attimo di silenzio intorno e prendendo ossigeno dai loro respiri. Si staccano di malavoglia sorridendo e  continuando a guardarsi negli occhi.
-Riunione finita?-
Sussurra Castle sulle sue labbra e lei annuisce sistemandosi i capelli. Lui controlla di non avere sbavature di rossetto sulle labbra e preme il bottone del quarto piano sorridendo, ed è in questa manciata di secondi che lei si sofferma a guardarlo.
Sorride tra sé, pensando a quanto avesse davvero bisogno di quella boccata d’ossigeno, come l’ha definita lui. Anche un solo piccolo contatto l’ha fatta sentire al sicuro, lontana da quella sensazione opprimente che si porta dietro dalla mattina e che lui  ha percepito. Nonostante la sua corazza, Castle ha sempre avuto la capacità di capire ogni sua esigenza, ogni sua paura, ma adesso è lei che non riesce più a nascondersi ai suoi occhi. La corazza è caduta e ha destabilizzato il suo equilibrio.
Si accarezza ancora una volta il polso orfano dell’orologio e sussulta leggermente quando il campanello dell’ascensore le annuncia che sono arrivati a destinazione.
Seduti alle scrivanie trovano Ryan ed Esposito ad attenderli, rientrati dal loro giro d’indagini.
-Ehi Beckett… notizie da Lanie?-
-Sta iniziando adesso l’autopsia, ma ha mandato delle foto interessanti.-
Entra nella sua mail, stampa le foto della scritta e le mostra ai colleghi, mentre Castle ne attacca una  sulla lavagna.
-Allora Beckett? Aggiornamenti sul caso!?-
Chiede il capitano Gates uscendo dal suo ufficio e avvicinandosi alla squadra.
-Non molti signore. Aspetto ancora il referto dell’autopsia, l’unico indizio in più è questo.-
Le porge una copia delle foto e continua.
-Pare che il killer abbia scritto questa frase sull’addome della vittima, avremo i risultati dei test calligrafici in giornata.-
La donna legge attentamente la frase e corruccia la fronte.
-Cosa può significare?-
Beckett scuote la testa e resta a fissare la foto sulla lavagna.
-E chiaro che è un messaggio, ma il significato… non saprei, signore…-
Il capitano annuisce pensierosa.
-Che altro abbiamo?-
-Pochissimo. Dallo scontrino ritrovato sulla scena del crimine, sappiamo che la Prescott ha comprato una catenina d’oro bianco con un ciondolo a forma di edera tre giorni fa, un regalo per il compleanno della sua migliore amica, almeno questo è quello che ha detto alla commessa, che si è ricordata bene di lei. Non ha notato nulla di strano quando la ragazza è uscita dal negozio, ma questo non significa niente, visto che il centro commerciale era pieno di gente e lei era impegnata con altri clienti. Pare che il ciondolo sia l’unica cosa che manchi dall’appartamento.-
La Gates si sofferma a leggere le notizie riportate sulla lavagna.
-Non ha rubato nient’altro, quindi si è portato via il ciondolo come cimelio!-
Esclama guardando Beckett.
-E voi due cos’avete scoperto da colleghi e conoscenti?-
Chiede a Ryan.
-Niente di più signore. Non ha mai avuto alterchi con nessuno, né sul lavoro, né con i condomini e nessuno ha notato in lei comportamenti strani negli ultimi giorni.-
Il capitano torna a guardare la lavagna con espressione seria.
-In pratica non abbiamo nulla su cui lavorare. L’unica cosa evidente è che l’assassino non doveva essere nella cerchia delle sue conoscenze e che sicuramente l’ha tenuta d’occhio per un po’, visto che sapeva di potere entrare nel palazzo tranquillamente.-
-Esatto signore...-
Risponde Beckett e la Gates si volta finalmente a guardarla, si toglie gli occhiali e appoggia una delle stanghette ad un lato della bocca.
-Magari è uno stalker! L’ha seguita per un certo tempo e quando si è fatto avanti, la cosa è degenerata.-
Afferma senza troppa convinzione.
-Lei che teoria si è fatto venire in mente signor Castle?-
Lui si schiarisce la voce un istante, perché non si aspettava di essere tirato in ballo. Era raro che Iron Gates chiedesse la sua opinione e ancora più raro che si fermasse ad ascoltarla.
-Beh… ad essere sincero… io non credo alla teoria dello stalker.-
La guarda in silenzio e lei gli fa cenno di continuare.
-Voglio dire, guardi la dinamica dell’omicidio. Uno stalker che decide di farsi avanti, dopo giorni e giorni di appostamenti e pedinamenti, ad un rifiuto del soggetto delle sue attenzioni reagisce con rabbia. Poteva schiaffeggiarla, colpirla d’impeto, distruggere ogni cosa dentro l’appartamento per ripicca e con l’intento di farle del male.-
Porta lo sguardo sulle foto della camera da letto e sul corpo senza vita di Geraldine Prescott.
-No… uno stalker non uccide così e soprattutto non mette in ordine.-
Riflette un momento, spostando lo sguardo sulle parole scritte sul corpo.
-E poi quella frase…-
La Gates lo sprona a continuare con un gesto della mano.
-Quella frase?-
Castle prende respiro e si posiziona davanti alla foto, additando la scritta.
-I verbi sono coniugati al futuro. E’ sicuramente un messaggio, ma non credo che l’abbia scritto per Geraldine!-
Si ferma un attimo a passare in rassegna lo sguardo corrucciato dei presenti e continua prendendo la foto in mano.
-Se il messaggio fosse stato destinato alla vittima, avrebbe scritto al presente: mentre tu muori, io ti sono vicino… o qualcosa del genere… e poi perché nasconderlo sul suo corpo? Perché non scriverlo in bella mostra da qualche altra parte?-
Scuote la testa convinto e attacca di nuovo la foto alla lavagna additandola.
-No, questo messaggio è per qualcun altro!-
Dopo un momento di silenzio, Beckett lo guarda dritto negli occhi.
-Se quello che dici fosse vero, dovremmo aspettarci un altro cadavere. Se ha scritto il messaggio per qualcun altro, è evidente che non ha ancora finito, che la Prescott non è solo la vittima casuale di un pazzo qualunque…-
-…ma la prima vittima di un serial killer!-
E’ proprio la Gates a finire la frase, portando lo sguardo su ognuno di loro.
-Non corriamo troppo però, non fomentiamo la stampa con l’idea del serial killer, meglio aspettare i referti dell’autopsia e indagare ancora sulla vita privata della ragazza, anche se qualcosa mi dice che lei non si sbaglia signor Castle!-
Lui si gira di scatto a guardarla e sgrana gli occhi.
-Sul serio? Dice davvero!?-
Il capitano lo guarda seria.
-Se le sue teorie sono legate all’esistenza terrena e non galattico/stellare, posso permettermi di concordare con lei, anche se la cosa non mi alletta per niente, vista la gravità della situazione…-
S’incammina per tornare al suo ufficio e senza voltarsi solleva la mano sventolando gli occhiali.
-Non mi piace questo caso, ha qualcosa di troppo strano e se davvero dovessimo trovarci di fronte ad un killer seriale, vediamo di trovarlo presto!-
-Come se la cosa fosse semplice, lei schiocca le dita e noi troviamo il colpevole!-
Sussurra Ryan passandosi le mani sul viso, mentre Castle torna a sedersi sulla scrivania insieme a Kate e sospira.
-E’ d’accordo con me! Devo aspettarmi una catastrofe?-
Esclama pensieroso e Beckett gli dà una spintarella con la spalla.
-26 febbraio 2013… segnalo semplicemente sul calendario Castle, senza fare il melodrammatico!-
 
 
Era passata una settimana da quando il Professore aveva messo a punto l’ultima versione della formula.
Dopo avere dosato la quantità delle sostanze sintetizzate e averle mescolate con altre, aveva ottenuto un liquido di colore azzurro.
Aveva chiesto ad Abraham di portargli un’altra cavia, lui ne aveva scelto una a caso ad occhi chiusi, per non fare torto a nessuna di esse e, a malincuore, gliel’aveva consegnata.
Era rimasto a guardarlo mentre la pungeva con la punta di un ago che aveva intinto appena nella pozione mortale; strinse la mascella mentre il topino si dimenava e dopo qualche minuto lo mise in una gabbietta da solo.
Il Professore si sedette e con la sua cartellina alla mano, cominciò lo studio del piccolo animale, pronto ad annotare ogni reazione e cambiamento.
Dopo un giorno il topino aveva cominciato a camminare in modo strano, ma solo per poco tempo. Dopo qualche sbandamento momentaneo riusciva a ritrovare l’equilibrio, camminare e correre in maniera normale.
Il giorno dopo i momenti di sbandamento si fecero più frequenti, mentre il giorno dopo ancora, cominciò a dare segni di stanchezza. Si muoveva poco, il minimo necessario per potere raggiungere la vaschetta con il cibo e l’acqua.
Dopo tre giorni era ancora vivo.
Il Professore si premurò allora di prelevare un campione di sangue per studiarlo.
Le cellule dell’apparato neurovegetativo avevano cambiato composizione e della tossina principale, che avrebbe dovuto portare alla morte, non c’era più traccia. Si era completamente dissolta nel sangue e, senza conoscerne la composizione iniziale, non si poteva capire immediatamente, senza uno studio approfondito, come fosse esattamente strutturata. Sospirò, cominciando a nutrire la speranza di essere riuscito nell’intento.
Il quarto giorno il topino cominciò ad emettere degli strani suoni, si rigirava nella gabbia, sbandava, a volte batteva perfino la testa tra le sbarre e questo era segno di dolore e sofferenza.
Abraham non riusciva a guardarlo, non riusciva ad accettare che il Professore potesse stare fermo lì, seduto a studiare quella povera bestiola, annotando ogni minuto del suo calvario.
Il quinto giorno il topino smise di mangiare e verso sera non si avvicinò più neanche all’acqua.
Per tutto il sesto giorno l’unico suo movimento si era limitato ad un respiro affannato e a qualche piccolo verso stridulo, segno di sofferenza atroce e all’alba del settimo giorno di studio, la piccola bestiola finì la sua agonia, smettendo di respirare.
Il Professore passò il resto del giorno a praticare l’autopsia sulla bestiola, studiando organi interni, muscoli e nervi. Il resto della notte era rimasto a rivedere le annotazioni che aveva preso durante l’osservazione attenta e continua della cavia e la mattina dopo chiamò Abraham con il sorriso sulle labbra.
-Ce l’ho fatta… amico mio ce l’ho fatta!-
Lui continuava a parlare eccitato, mentre Abraham s’imponeva di ascoltarlo senza giudicare l’atrocità che stava per portare a termine.
-La cavia è morta in sette giorni. Ho fatto dei calcoli precisi rapportando il suo peso e le sue funzioni vitali a quelle di un essere umano e sono giunto alla conclusione che ho esattamente quello che vuole Stephan.-
Abraham strinse i pugni sospirando.
-Professore… lei si rende conto che non sarà un topo a morire?! Lo capisce che saremo complici nella morte di una persona?-
Il sorriso pieno di eccitazione dell’ometto con gli occhiali si spense di colpo, come se le parole del suo fidato amico lo avessero riportato improvvisamente alla realtà. Aveva lavorato tanto freneticamente per quella formula che aveva accantonato il vero problema: Stephan e la sua follia.
Si tolse gli occhiali e con un gesto ormai divenuto consuetudine, si asciugò il sudore, al momento inesistente, sulla fronte. Inforcò di nuovo gli occhiali e sospirò.
-Abraham… tu non capisci…-
-Cosa non capisco Professore!?-
L’uomo ricurvo, strinse i pugni ancora più forte e fece una smorfia.
-Quell’uomo è il diavolo… vedere morire quelle povere bestiole è un dolore terribile. Capisco che per un uomo di scienza sia una cosa normale fare esperimenti, ma proprio perché è uno scienziato non può e non deve accettare di mettere il suo cervello al servizio del male!-
Abraham parlava con disperazione e il Professore si lasciò cadere sulla sedia, accanto al bancone su cui aveva lavorato fino a quel momento.
-Abraham… Stephan non ha anima! Lui uccide per gioco, per sfida… vive dei suoi omicidi, si nutre delle sue idee malsane. Gli anni di carcere lo hanno costretto a vegetare ed è rimasto in vita con un solo scopo: uscire e mettere in atto la sua vendetta.-
-Che se la sbrighi da solo allora e lasci in pace noi!-
Abraham aveva quasi le lacrime agli occhi e il Professore scosse la testa violentemente.
-Non ci lascerà mai in pace… ci ammazzerebbe Abraham. Noi non stiamo uccidendo nessuno, noi stiamo solo agendo per legittima difesa. Se non gli do quello che ha ordinato, tu ed io saremo le sue prossime vittime.-
Abraham chinò il capo e rilassò i pugni.
-Vuole uccidere la donna che ha definito ‘l’eroina del suo libro’! Vuole davvero far soffrire così un essere umano… una donna?-
Il Professore si alzò di scatto, lo prese per il braccio e lo costrinse a guardarlo.
-A noi non interessa cosa vuole fare, a noi interessa solo restare vivi… per quanto misera possa essere la mia vita, io voglio continuare a viverla, insieme a te amico mio… sono stato chiaro?-
Abraham lo guardò con dolore e riconoscenza insieme e annuì.
-Chiaro Professore. Qualunque cosa decida, sa che io sarò sempre il suo umile servo.-
-No Abraham! Tu sei il mio buon amico… non dimenticarlo mai!-
Annuirono entrambi come sconfitti dalle loro stesse vite.
Abraham prese a sistemare i fogli su cui il Professore aveva studiato fino a quel momento. Si chiedeva come avrebbe funzionato quella diavoleria su un essere umano, quale sofferenza avrebbe provocato, a quale terribile morte avrebbe portato.
Il Professore lasciò l’amico da solo a sistemare il laboratorio e si rintanò nella sua camera.
Il capitolo che lo vedeva protagonista era ancora sul letto, aperto alla pagina che aveva letto e riletto più volte.
Si lasciò andare pesantemente e le frasi che conosceva ormai a memoria, gli passarono ancora una volta nella mente…
 

‘Il Professore aveva trovato la formula giusta, aveva avuto bisogno di qualche settimana, ma alla fine aveva fatto un ottimo lavoro. La pozione magica che aveva formulato per lui avrebbe ucciso nell’arco di 72 ore. La vittima avrebbe sofferto atroci dolori, nella consapevolezza che sarebbe morta senza possibilità di salvezza…’
 

Chiuse gli occhi e sospirò per l’ennesima volta, consapevole che nemmeno lui avrebbe avuto possibilità di salvezza, perché Abraham aveva ragione: sarebbero diventati complici di un terribile omicidio… senza speranza di espiazione.




Angolo di Rebecca:

Il Professore ce l'ha fatta, la "pozione magica" è pronta e Geraldine Prescott ha svelato il suo messaggio...
Ma la cosa inquietante non è questa... la cosa davvero inquietante è che la Gates, non solo ha ascoltato una teoria di Castle, ma gli ha anche detto che "potrebbe" avere ragione!!!

Baci *-* e grazie per la vostra attenzione :)


 

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Capitolo 6
*** Tu Che... Cammini Con Me Nella Mia Stessa Direzione ***








Capitolo 6

 
 
Dopo aver fatto il punto della situazione con il capitano, che per la prima volta ha perfino concordato con lui, Castle resta  imbambolato ad osservare la lavagna, i suoi occhi sono fissi e attenti sulla scritta.
Con la fronte corrucciata e le mani incrociate sulle gambe, continua a leggere e rileggere quelle strane parole.
-Tu credi davvero che potrebbe essere un seriale?-
Chiede improvvisamente Beckett mettendo da parte il fascicolo che sta studiando. Rick si gira a guardarla e lei si alza per raggiungerlo e sederglisi accanto, nella stessa posizione.
-Tu no?!-
Le risponde serio.
-Non lo so. Forse l’ha davvero seguita per diversi giorni, magari settimane e poi…-
Lascia a metà la frase perché lui scuote la testa.
-Vorrei tanto sbagliarmi, ma quel messaggio non è indirizzato a Geraldine e se vuoi saperla tutta, non sembra nemmeno un messaggio qualsiasi… è una minaccia…-
Lei annuisce.
-…per la prossima vittima!?-
-Può essere. Anche se leggerla mi ha dato una strana sensazione: uccide Geraldine per minacciare la prossima eventuale vittima. Che significa? Sembra quasi che l’unico movente di questo omicidio sia proprio il messaggio che le ha scritto addosso.-
Lei si gira a guardarlo di scatto, le sue parole le hanno provocato un sussulto che ha cercato di celare, la stessa sensazione di ansia che si è portata dietro tutto il giorno.
-Cioè l’avrebbe uccisa solo per lasciare una minaccia!? Castle è assurdo!-
-Non più assurdo del modo in cui l’ha uccisa!-
Risponde lui sospirando, mentre lei passa lo sguardo dalla foto sorridente di Geraldine Prescott a quella del suo cadavere steso sul letto del suo appartamento.
-E poi…-
Continua lui bloccandosi subito dopo, richiamando la sua attenzione.
-E poi cosa?-
-Non so se lo hai notato, ma Geraldine…-
-Ehi Beckett!-
Castle viene interrotto da Esposito e sospira pesantemente, mentre insieme si girano verso di lui.
-E’ arrivata la collega della Prescott, lei e il fidanzato sono nella saletta.-
Beckett annuisce e si passa le dita sulle tempie, alzandosi dalla scrivania.
-Bene… affrontiamo anche questa!-
Guarda Castle che le sorride e lei gli fa cenno con la testa di seguirla.
Prima di entrare si sofferma a sbirciare dal vetro della porta, una ragazza dai capelli lunghi e neri è accoccolata sulla spalla di un giovane che vede solo di spalle.
Fa un sospiro e apre la porta decisa. La ragazza fa per alzarsi, ma lei la blocca con un gesto della mano.
-Stia pure comoda, sono il detective Beckett signorina Benton e lui è un nostro consulente, Richard Castle.-
Jessica Benton le porge la mano rimettendosi comoda sul divanetto, restando a fissarla per qualche secondo. Si morde le labbra quando si rende conto che anche lei la sta fissando dubbiosa e china la testa.
-Mi scusi, non intendevo fissarla… solo che quando è entrata… io… ho avuto la sensazione che… insomma lei…-
Beckett le si siede di fronte e corruccia la fronte.
-Io cosa?-
La ragazza scuote la testa e arrossisce visibilmente.
-Niente, per un attimo ho pensato… ho avuto l’impressione che lei somigliasse a Geri, ha lo stesso colore dei suoi occhi…-
Sussurra continuando ad arrossire e Castle resta gelato sul posto, senza riuscire a muovere un muscolo, visto che due minuti prima, quando è stato interrotto da Esposito, stava per dirle esattamente la stessa cosa.
-Lui è Gordon, il mio fidanzato.-
Dice alla fine, cercando di togliersi dall’imbarazzo, mentre Castle riprende a respirare e prende posto accanto a Beckett, non potendo  fare a meno di rattristarsi guardando gli occhi della ragazza. Nonostante le ore passate a casa a riposare, sono ancora gonfi per il pianto.
-Mi spiace per stamattina detective, so che avrebbe voluto parlare con me subito, ma… ma io proprio…-
Si ferma deglutendo, cercando di non piangere e Beckett le poggia una mano sul ginocchio.
-Non importa, capisco benissimo cosa prova e so anche che parlare con me può non sembrare importante, ma lo è… mi creda.-
La giovane donna la guarda seria, riesce a ricacciare indietro le lacrime e annuisce, tenendo stretta la mano del suo ragazzo.
-Certo… anche se non so quanto io possa esservi utile, ho già raccontato ad un agente come ho scoperto il suo…-
-Sappiamo già di stamattina, io vorrei sapere altro. Lei e Geraldine eravate molto amiche, la conosceva bene?-
Le chiede Beckett sporgendosi verso di lei con le braccia poggiate sulle ginocchia e Jessica solleva le spalle.
-Siamo cresciute come sorelle, eravamo vicine di casa da bambine e non siamo mai state separate per più di due giorni dopo il primo giorno di scuola, alle elementari. Quando Gordon si è trasferito a New York per lavoro, ha saputo che cercavano del personale all’agenzia immobiliare e ci ha avvertite, così abbiamo fatto il colloquio e incredibilmente, ci hanno prese entrambe. Lavoriamo qui da quasi tre anni.-
Kate annuisce e avvicina la sedia alla ragazza.
-Negli ultimi giorni Geraldine le è sembrata diversa? Strana, sospettosa, spaventata?-
Jessica scuote la testa.
-Geri è sempre allegra…-
Si ferma, chiude gli occhi e sospira.
-…era… sempre allegra e anche nei giorni scorsi si è comportata normalmente, anche se… ora che mi ci fa pensare…-
Kate annuisce spronandola a continuare.
-…quando siamo andate a pranzo ieri, si è girata spesso verso la porta del locale, le ho chiesto se stesse aspettando qualcuno e lei ha detto che aveva la sensazione di essere osservata.-
Beckett solleva un sopracciglio guardando di sfuggita Castle, che deglutisce.
-Lei ha notato qualcosa?-
-No, ma nemmeno Geri… si è messa a ridere dicendo che era una cosa stupida ed ha ripreso il pranzo. Può essere davvero che qualcuno la seguisse e io non me ne sia accorta?-
Beckett evita di rispondere ponendole un’altra domanda.
-Quando l’avete vista l’ultima volta?-
-Ieri sera all’uscita dall’ufficio. Gordon ed io l’abbiamo accompagnata in macchina fino alla metro, dalla fermata a casa sua ci sono cinque minuti di strada a piedi. Lo facevamo quasi tutte le sere.-
Gordon stringe la mano della ragazza.
-Qualche volta riuscivamo a convincerla ad accompagnarla fino a casa, a noi non dispiaceva, ma lei non voleva farmi fare avanti e indietro.-
Solleva le spalle scuotendo la testa.
-Chissà, se avessi insistito per accompagnarla ieri sera, forse…-
-L’assassino era appostato sul pianerottolo, anche se l’aveste accompagnata fino al portone, non avreste potuto evitare quello che è successo.-
Il ragazzo annuisce e Jessica china la testa.
-Perché? Chi le ha fatto questo? Geri non ha mai fatto del male a nessuno.-
-E’ quello che voglio scoprire, ha la mia parola che farò di tutto per prenderlo.-
Jessica si stringe ancora di più addosso al fidanzato e Castle deglutisce per l’ennesima volta. Questa discussione lo sta scombussolando più del dovuto e non riesce a capirne il motivo.
-Jessica, lei ha detto che è sicura che non manchi niente dall’appartamento.-
La ragazza annuisce.
-Geri non teneva contanti in casa e quei pochi gingilli d’oro e d’argento che possedeva li conservava in un cofanetto sul comò… ed era al suo posto.-
-A noi risulta che domenica avesse comprato una catenina con un ciondolo in oro bianco, abbiamo trovato lo scontrino sul comodino, ma l’astuccio era vuoto. Pare che l’assassino abbia portato via solo quello, le viene in mente un motivo particolare del perché?-
Jessica corruccia la fronte.
-Non sapevo avesse comprato qualcosa in gioielleria… domenica ha detto?-
Kate annuisce e lei guarda il suo ragazzo dubbiosa.
-Le abbiamo chiesto di venire a pattinare con noi domenica e lei ha detto che non si sentiva bene!-
Lui annuisce sospirando.
-Invece è uscita per comprarti un regalo!-
Esclama sicuro guardando poi Beckett.
-Domani è il compleanno di Jessica e domenica era l’unico giorno libero in cui Geri poteva uscire da sola. Deve aver comprato quel ciondolo per lei.-
La ragazza sembra smarrita.
-Diceva che mi avrebbe regalato una cosa speciale.-
Solleva gli occhi su Beckett quasi ad implorarla.
-Cos’è? Il ciondolo intendo.-
-Una foglia d’edera, la commessa se lo ricordava benissimo perché ne cercava uno da tutto il giorno, ma non riusciva a trovarlo come lo voleva lei.-
-Una foglia d’edera…-
Sussurra quasi tra sé, mostrando un flebile sorriso.
-Le dice qualcosa? Crede potesse avere un significato particolare perché l’assassino lo tenesse con sé?-
-No… non per chi me l’ha portata via, ma per me si. Quando eravamo bambine trascorrevamo l’estate in campagna da mia nonna, la facciata della casa era completamente ricoperta da foglie di edera rampicante, Geri diceva che era come vivere dentro ad un albero. Pochi giorni fa guardavamo delle vecchie foto ed io le ho detto che mi mancava tanto il profumo dell’edera…-
Appoggia la testa sulla spalla di Gordon e sorride.
-Deve aver pensato al ciondolo in quel momento, voleva farmi tornare bambina!-
Beckett guarda Castle, i suoi occhi sono lucidi e, per la prima volta da quando assiste ad un interrogatorio, anche informale, non ha detto una parola.
-Credo che possa bastare signorina Benton, se le venisse altro in mente, mi chiami pure e in qualsiasi momento.-
La ragazza annuisce, ma quando lei sta per alzarsi la ferma, mettendole una mano sulla sua.
-Detective Beckett, posso farle io una domanda?-
Kate annuisce e Jessica si schiarisce la voce, come imbarazzata.
-Come… come si supera?-
Lei corruccia la fronte non riuscendo a capire il senso.
-Prima ha detto che capisce benissimo cosa provo, non era una frase di circostanza, l’ho visto dai suoi occhi che era sincera. Lei capisce davvero il mio dolore, il vuoto che sento per la morte di Geri… perciò le chiedo: come si supera una cosa del genere?-
Kate stringe le labbra e guarda il pavimento per un attimo, riportando lo sguardo subito dopo su Jessica.
-Non si supera!-
La ragazza deglutisce e Castle si ritrova a trattenere il respiro.
-Si continua a vivere, si va avanti, ma non si supera. Se poi l’assassino viene preso è più facile farsene una ragione, per questo non lascerò niente al caso pur di arrestarlo… per dare giustizia a Geraldine e un po’ di pace a chi le ha voluto bene.-
Guarda le mani intrecciate dei due ragazzi, Gordon non ha smesso di stringere quella di Jessica con la sua, nemmeno per un attimo, poi guarda Castle e sorride.
-E se hai la fortuna di avere vicino qualcuno che cammina con te nella tua stessa direzione, puoi anche pensare di riuscire a lasciarti  il dolore alle spalle.-
Jessica le stringe le mani e sorride tra le lacrime.
-Grazie…-
-Di cosa? Non l’ho ancora arrestato!-
Esclama Kate sorridendo dolcemente.
-Per essere stata sincera! Geraldine è in buone mani.-
Si alza prendendo per mano il fidanzato e Rick apre loro la porta, ma la ragazza si gira a guardare ancora Kate.
-Se trovaste il ciondolo…-
Kate annuisce, comprendendo immediatamente la domanda della ragazza.
-Sarebbe una prova, ma le prometto che una volta chiuso il caso, glielo farò avere personalmente.-
Jessica li saluta con un cenno del capo, Rick sta per uscire dietro di loro, ma Kate lo ferma prendendolo per un braccio. Chiude la porta e lo spinge verso il muro, lontano da occhi indiscreti.
-Abbracciami…-
Sussurra mentre si appoggia a lui che la stringe, baciandole i capelli.
-Grazie!-
Continua a sussurrare sul suo collo. Solleva la testa quando lui la allontana di poco da sé, chiedendole tacitamente per cosa lo stia ringraziando e lei lo bacia sulle labbra.
-Perché cammini con me nella mia stessa direzione…-
 
Un paio di ore dopo i dettagli sulla lavagna non sono aumentati. L’unico in più è la sensazione della vittima di essere osservata.
Ma come si fa a mettere tra gl’indizi una sensazione?
Kate continua a chiederselo, perché ha provato la stessa cosa anche lei una volta arrivata sulla scena del crimine.
Presa dalle indagini all’interno del distretto, si sente più tranquilla; quel senso di ansia che ha provato per metà della mattinata sembra averla abbandonata, ma non riesce comunque a non pensarci.
Chissà se Geraldine si è guardata alle spalle rientrando a casa in quei cinque minuti di strada a piedi, chissà se si è pentita di non avere accettato il passaggio offertole da Gordon fino a casa. Quando è entrata nel palazzo si sarà sentita sicuramente sollevata, dopotutto era riuscita ad arrivare a casa sana e salva, eppure la morte l’aspettava esattamente lì, dove doveva sentirsi al sicuro.
Scuote la testa sui conti bancari e i tabulati telefonici che sta studiando; spulcia dentro la vita di una giovane donna che, qualche giorno prima, era felice solo perché era riuscita a trovare una foglia d’edera in oro bianco da regalare alla sua migliore amica.
Si passa la mano tra i capelli e inarca la schiena.
Hanno pranzato con cibo da asporto in mezzo a quelle carte, non si sono più mossi dalle loro postazioni dopo essere rientrati e adesso, sollevando la testa e guardando per l’ennesima volta verso la finestra lontana da lei, si rende conto che è già pomeriggio inoltrato e che non hanno trovato ancora niente di concreto. Non è stanca fisicamente, si sente stanca mentalmente. Quello stato di ansia che sembra scemato, l’ha tenuta carica di adrenalina e adesso, rilassandosi, si sente sfinita. Oppure è proprio quel particolare caso che l’ha stancata?
E’ inquietudine quella che provo?
E se è così, perché quel caso la inquieta?
Dovrebbe essere un omicidio come tanti, invece lei si sente vicina a Geraldine come se l’avesse conosciuta e Castle prova la stessa cosa, lo ha dimostrato sulla scena del crimine pensando che era solo una ragazzina e non riuscendo ad aprire bocca davanti a Jessica e al suo fidanzato.
E’ seduto dall’altra parte della scrivania a controllare scartoffie anche lui, ma di tanto in tanto posa lo sguardo su di lei, lo sente anche senza guardarlo. La osserva, la tiene d’occhio. Vuole ancora sapere cosa le succede e fino a che non glielo dirà, non se lo toglierà di torno.
Ryan ed Esposito stanno passando al setaccio i conoscenti e i colleghi: telefonate, conti bancari, abitudini, familiari. Nessuno aveva conti in sospeso con lei, nessuno aveva, apparentemente, motivo di ucciderla e la ricerca di una persona sospetta davanti al locale dove avevano pranzato le due ragazze il giorno prima, era stata un buco nell’acqua.
L’assassino l’ha scelta per un motivo, un motivo che al momento le sfugge, ma non vuole pensare che Castle possa avere ragione. Non può averla uccisa solo per nascondere quella strana frase sul suo corpo, è una cosa inaudita. Perché non mandare una lettera, perché non scriverlo a caratteri cubitali su un muro o in rete?
Chiunque scrive cose insensate usando internet…
Il campanello dell’ascensore la riscuote dai suoi pensieri e resta stupita nel vedere Lanie avvicinarsi alla sua scrivania.
-Come mai da queste parti dottoressa?-
Lei solleva una carpetta che ha in mano e sorride.
-Ieri sera sono rimasta in obitorio per un altro caso, non vedo il letto da 36 ore, così ho pensato di portarvi i referti sulla morte di Geraldine Prescott di persona e poi, se non succede altro, direttamente da qui me ne vado a casa!-
Kate le sorride e chiama a raccolta tutta la squadra.
-Come supponevo Geraldine Prescott è stata soffocata con il cuscino, c’erano tracce di saliva sulla federa, evidentemente ha aperto la bocca cercando di respirare. Le analisi tossicologiche sono positive allo Zolpidem, è un sedativo definito ipnotico, in forte quantità immobilizza la vittima, ma la lascia abbastanza cosciente.-
La Gates prende posto su una delle sedie accanto alle scrivanie.
-Quindi l’ha immobilizzata con una droga che comunque l’ha tenuta sveglia e poi l’ha messa a letto per soffocarla? Questo modus operandi è sempre più strano.-
Lanie annuisce e distribuisce le copie dei referti ai colleghi.
-Non è tutto. Non l’ha uccisa subito. Dalle analisi risulta che, quando è morta, la droga era già stata assorbita in gran parte dall’organismo, significa che ha aspettato un po’ prima di soffocarla.-
Beckett si alza e si avvicina all’amica.
-Quanto credi l’abbia tenuta in vita sotto l’effetto della droga?-
-Mezz’ora o giù di lì.-
Ryan scuote la testa.
-Vuol dire che ha avuto paura del suo assassino per mezz’ora prima che finisse il suo calvario?-
-Che stronzo!-
Esclama Esposito, scusandosi subito dopo con il capitano per il linguaggio usato.
-Secondo la ricostruzione della scientifica, unita ai miei risultati, dopo averla messa a letto, lei deve aver pianto sbavandosi il viso con il trucco, c’erano tracce di mascara e di lacrime sul cuscino dove poggiava la testa. Lui le ha ripulito il viso con il latte detergente, poi ha fatto qualcos’altro e dal modo in cui abbiamo trovato l’appartamento, direi che si è preso la briga di pulire e lucidare ogni cosa, soprattutto nella camera da letto. Solo dopo l’ha soffocata, mentre lei era cosciente di quello che le stava per fare.-
Castle chiude gli occhi e stringe le mani incrociate sulla scrivania, mentre nel silenzio che si è venuto a creare, Lanie continua.
-Per quanto riguarda la frase, secondo il perito calligrafo, è stata scritta con la mano sinistra mentre Geraldine era ancora viva.-
-Come fa ad essere certo che non l’abbia scritta dopo averla soffocata?-
Le chiede Beckett e Lanie prende una delle foto dalla sua carpetta e gliela mostra.
-Vedi queste sbavature? Ha cercato di scrivere correttamente, in bella grafia, ma non ha potuto evitare queste.-
Dice continuando a mostrare le piccole sbavature su alcune lettere.
-Il movimento del respiro, affannato sicuramente per la paura, lo ha fatto tremolare nella scrittura.-
Ripone la foto e sistema i documenti nella borsa.
-Tutto qui dottoressa Parish?-
Chiede il capitano alzandosi e Lanie annuisce.
-Si signore, purtroppo la scientifica non ha niente di concreto. Come ho già detto, in camera da letto non hanno trovato impronte e nelle altre stanze ce ne sono di una decina di tipi. Stanno controllando, ma non credo che troveremo quelle del nostro assassino. Non hanno trovato nulla nemmeno sul pianerottolo, impronte, fibre… niente di niente!-
La Gates storce i naso, prende gli incartamenti e si ritira nel suo ufficio, mentre Lanie si rivolge a Kate.
-Mi dispiace dolcezza.-
-Non è colpa tua Lanie, va pure al tuo meritato riposo.-
La dottoressa si congeda dai colleghi e Kate scrive le poche novità sulla lavagna.
-L’unica cosa in più che sappiamo adesso è che l’assassino è mancino e scrive grammaticalmente corretto ed in corsivo. L’ha lasciata in vita per circa mezz’ora mentre ripuliva tutto e scriveva sul suo corpo.-
Posa il pennarello e resta a guardare quello che ha scritto.
-Ha aspettato che fosse abbastanza vigile, voleva che lo vedesse, che capisse cosa stava per farle… si è divertito con lei.-
Castle sospira attirando su di sé lo sguardo di Beckett, Ryan ed Esposito.
-E’ freddo! Questa sua attesa mostra solo freddezza, nessuna paura della paura altrui… nessun dubbio o ripensamento. Aveva un obiettivo e lo ha portato a termine.-
Restano un momento in silenzio a metabolizzare le parole di Castle, che ha appena fatto il profilo di un uomo che non ha paura di uccidere, al contrario, sembra proprio divertirsi.
-Questo tizio ucciderà ancora!-
Sussurra Beckett senza togliere gli occhi dalla fotografia di Geraldine Prescott, sentendo l’ansia che l’aveva quasi abbandonata, bussare di nuovo dentro di lei.
 
 
Rientrando in casa, posò le chiavi sul mobiletto all’entrata. Si tolse il giubbotto con lo stemma della Raimbow Foods e lo appese nella cabina armadio accanto alla porta, insieme al cappellino con la visiera. Sbirciò dalla tendina della finestra per vedere se la vicina di casa si fosse tolta dai piedi, odiava dover essere gentile con gli sporadici incontri che non poteva evitare.
Aveva scelto con cura il posto in cui avrebbe scritto il suo libro, la casa era accogliente e poteva starsene da solo senza dare conto del suo operato a nessuno.
Si… aveva scelto molto bene, era bastato fare quello che sapeva meglio: guardare, osservare, memorizzare, aspettare.
Se non fosse stato per i vicini… doveva stare attento a comportarsi in modo normale e non destare sospetti.
Si diresse direttamente in bagno, staccò con cura il pizzetto e il neo finto sopra lo zigomo sinistro, riponendoli nei loro contenitori. Si tolse le lentine scure mettendole nel liquido apposito per la pulizia e dopo essersi sciacquato il viso, mise un paio di gocce di collirio per rinfrescare gli occhi. Avrebbe dovuto trasformarsi a breve, ma aveva bisogno di un’ora per riposare il viso.
Si osservò allo specchio.
Era bravo…
Sorrise.
Era stanco, ma sorrise compiaciuto.
Entrò in cucina lasciando che la casa fosse illuminata solo dalla luce dei lampioni in strada, che entrava attraverso la finestra e accese la televisione, sintonizzando l’apparecchio sul TG delle 18.30.
La notizia dell’assassinio di Geraldine Prescott doveva essere sui teleschermi da tutto il giorno, ma lui aveva avuto tanto da fare e non era riuscito a godersi il notiziario.
Continuò a sorridere mentre la giornalista spiegava le modalità dell’omicidio, sottolineando il fatto che la polizia, a quasi dodici ore dal ritrovamento del cadavere, brancolava ancora nel buio.
Spense la televisione e aprì il frigo. I suoi occhi furono illuminati dalla luce proveniente dall’interno dell’elettrodomestico e da un lampo di soddisfazione. Stappò una birra, si diresse nello studio e, sistemandosi davanti al pc, si mise a fissare la pagina vuota dell’epilogo, con lo stesso sguardo di fuoco.
Bevve un lungo sorso di birra, con un gesto lento poggiò la bottiglia sulla scrivania e chiuse gli occhi appoggiando la schiena alla spalliera della poltrona, assaporando quella giornata.
Era stato a pochi passi da lei fino all’ora di pranzo.
L’aveva osservata, ed era compiaciuto del fatto che fosse sempre affascinante, con quel suo modo di muoversi elegante, sempre attenta ad ogni piccolo indizio, sempre pronta a capire.
L’aveva vista alzare il nastro giallo davanti al portone del palazzo della sua vittima e girarsi di scatto verso di lui.
Aveva notato i suoi occhi diventare due piccole fessure pronte a captare lo sguardo che sentiva addosso.
L’aveva seguita fino al centro commerciale dove aveva trovato il suo primo angelo, l’aveva scrutata ancora da dietro la vetrina del bar di fronte alla gioielleria, aveva guardato le sue labbra carnose muoversi silenziosamente, mentre interrogava la commessa. I capelli erano più lunghi ed era ancora più bella di come la ricordava.
Era più donna!
Anche uscendo dal negozio si era soffermata a guardarsi intorno, aveva corrucciato la fronte più volte e più volte era riuscito ad intravedere quella rughetta in mezzo alla fronte che la faceva apparire confusa.
Aveva continuato a starle dietro fino a quando si era rinchiusa al distretto per continuare le indagini.
-Indagini che ti porteranno a niente, finchè non sarò io a deciderlo.-
Con gli occhi ancora chiusi sul ricordo della giornata, abbozzò un sorriso.
Viveva solo alimentato dall’amore-odio che provava per quella donna, lei gli dava una ragione per vivere ed era eccitato, perché sapeva che aveva avvertito una strana sensazione per tutto il tempo che lui le era stato vicino.
Lei lo aveva sentito accanto a sé tutto il giorno.
Forse era davvero il fato! Loro erano uniti da qualcosa d’invisibile e lo aveva percepito anche lei.
Sorrise ancora al solo pensiero.
-Bene… è esattamente così che deve essere…-
 
 
-Si può sapere che fai ancora su quelle carte?-
Rick sobbalza alla voce di Kate appena uscita dall’ufficio del capitano Gates. La guarda corrucciando la fronte non riuscendo a capire, dovrebbe essere evidente il perché sta ancora studiando quelle scartoffie. Lei gli sorride vedendolo spaesato.
-Sono quasi le otto… credevo fossi già impaziente di andare, Alexis ti starà aspettando!-
Lui guarda l’orologio e si alza di scatto davanti a lei.
-E’ già così tardi? Stavo rileggendo tutto e ho ricontrollato le foto e…-
Fa segno indicando la lavagna, ma Kate lo ferma.
-Castle è tardi, anche per me. Riprenderemo domani.-
Lui continua a guardare le foto e sembra assente, perché si gira ancora di scatto, quando lei gli mette la mano sulla spalla.
-Che c’è che non va Castle?-
-Questa domanda l’ho già fatta io parecchie ore fa… e non ho ancora ricevuto una risposta.-
Le risponde sorridendo. Lei abbassa lo sguardo, ma torna a guardarlo subito dopo perché lui riprende a parlare.
-Non serve che mi rispondi comunque, so già cosa ti ha infastidito per tutto il giorno.-
La guarda serio e lei non riesce a distogliere lo sguardo.
-Ho visto la tua espressione quando Jessica Benton ha detto che Geraldine aveva l’impressione di sentirsi osservata. Hai provato la stessa cosa anche tu tutto il giorno.-
-Io… non mi sentivo osservata!-
-Ah no?!-
Lei scuote la testa e lui la ferma sollevando la mano.
-Ok… ok… non lo ammetterai mai, perché non credi a niente che non possa essere comprovato, ma credimi, le sensazioni sono importanti. Sono come i sogni, è il nostro subconscio che cerca di dirci qualcosa.-
Lo guarda mentre fissa ancora il viso sorridente di Geraldine Prescott. I suoi lineamenti sono contratti, è preoccupato, lo dimostra il fatto che è rimasto a leggere quello che lui definisce scartoffie e che odia ardentemente, senza accorgersi che stava tardando ad un appuntamento con sua figlia.
-D’accordo Castle, allora dimmi perché sei tu adesso ad avere una strana sensazione… perché è di questo che stiamo parlando!-
Lui annuisce e si mette le mani in tasca.
-Perché questo omicidio non ha senso, ma solo per noi. Perché l’assassino ha scelto Geraldine Prescott, ma non a caso. L’ha scelta con una cognizione di causa che conosce solo lui, ma che è il bandolo della matassa. Perché ci sarà un’altra vittima ed io ho il terrore di scoprire chi potrebbe essere.-
Lei lo ascolta in silenzio e all’ultima affermazione corruccia ancora la fronte.
-Andiamo Kate, non dirmi che tu non lo hai notato. Se n’è accorta anche Jessica Benton che Geraldine ti somiglia!-
-Castle…-
Cerca di ribattere, ma lui la ferma ancora scuotendo la testa.
-L’ho notato subito quando Ryan ha appeso la foto di lei viva sulla lavagna, stavo per dirti questo quando Esposito ci ha interrotti oggi pomeriggio. Guardala Kate. Occhi verdi, capelli castani… potresti essere tu qualche anno fa!-
Sospira guardandola dritto negli occhi.
-E se quella frase l’avesse nascosta sul suo corpo perché doveva essere letta solo dalla sua prossima vittima? Un poliziotto… tu!?-
Kate si passa le mani tra i capelli e si siede sulla scrivania.
-Castle… non siamo l’unica squadra omicidi del 12° distretto, la chiamata al 911 poteva essere presa da uno qualunque dei nostri detective… e ci sono milioni di donne a New York che mi somigliano! Spero tu ti renda conto che quello che stai pensando è stupido e senza senso!-
Lui annuisce e le si avvicina.
-E’ vero… ma…-
Lei gli mette una mano sulle labbra e scuote ancora la testa.
-Niente ma. E’ un omicidio come tanti altri. Ora devi andare a casa, tua figlia ti sta aspettando!-
Rick sbuffa e china la testa, sapendo di non poterla spuntare con lei. Non al momento almeno.
-Sicura che non vuoi unirti a noi?-
Tenta ancora una volta e lei sorride facendo una smorfia con le labbra.
-Va bene… vado, ma tu? Hai chiamato tuo padre?-
Lei alza gli occhi al cielo.
-No. Me ne sono dimenticata. Ormai avrà già cenato, va a letto con le galline!-
Dice abbozzando una risata e Castle solleva le spalle.
-Dov’è il problema? Compra una pizza e va a mangiarla sul suo divano!-
Lei lo guarda divertita.
-Una pizza da mangiare sul suo divano?-
-Sicuro! Io sarei felice se mia figlia mi piombasse a casa all’improvviso, solo per usare il mio divano e stare in mia compagnia!-
-Dì un po’… perché insisti tanto che io vada da mio padre?-
-Così sono sicuro che non cercherai altra compagnia!-
Lei gli dà un pugno sulla spalla.
-Lo sai che potrei anche offendermi per quello che hai detto?-
Lui ride di gusto e lei lo segue a ruota annuendo.
-Va bene… lo chiamerò appena te ne sarai andato… sei già in ritardo.-
Castle guarda verso l’ufficio del capitano, le veneziane sono chiuse ermeticamente, ma lei è ancora dentro a lavorare.
-La Gates è ancora qui! Non va mai a casa quella?-
Kate continua a ridere, lo spinge via e lui solleva le mani davanti a lei.
-Ok… ho capito! Me ne vado… beh… allora…-
La guarda serio e le porge la mano, lei ricambia lo sguardo e gliela stringe.
-…a domani Beckett!-
-A domani Castle!-
-Ehm…-
Esposito si schiarisce la voce con uno ghigno divertito stampato sulle labbra e loro alzano gli occhi al cielo contemporaneamente.
-Gente dovremmo mettere a posto questi fascicoli!-
Esordisce continuando a ghignare, battendo la mano sulla spalla di Ryan, che invece deglutisce preoccupato.
-Accidenti! Ma non andate mai a casa nemmeno voi due!?-
Sbuffa Castle staccando la mano da quella di Kate, che invece li fulmina con lo sguardo.
-Allora smettetela di fare gli inebetiti tutti e due e rimettete in ordine!-
I ragazzi scattano sull’attenti, Castle si porta la mano a mò di cornetta all’orecchio e poi le fa segno, dandole ad intendere che l’avrebbe chiamata dopo, dirigendosi all’ascensore. Lei lo segue fino a quando si chiudono le porte.
Prende il telefono digitando un numero e aspetta che l’interlocutore risponda.
-Ciao papà… sono io…-
 
 
Era ancora rilassato sulla poltroncina girevole, con gli occhi chiusi a pensare alla sua giornata.
Sorrise a se stesso, aprì il secondo cassetto della scrivania e guardò il ritaglio di giornale in bella vista al suo interno.
Nonostante il tempo trascorso era ancora perfetto, sembrava fosse stato ritagliato solo il giorno prima.
Lo teneva con cura, dentro una copertina trasparente per evitare che si sgualcisse o si strappasse.
Passò le dita sopra il viso della donna ritratta, sentendo una fitta al petto per il dolore provato quel giorno.
Digrignò la mascella e sospirò pesantemente.
Dentro lo stesso cassetto aveva conservato il suo piccolo tesoro. Prese la scatolina tra le mani e la aprì per guardare il suo interno ancora una volta.
Sfiorò la boccettina con la punta delle dita e si sentì mancare il respiro, tanto era eccitato.
Aveva pensato alla trama da subito, l’aveva raccontata e descritta al Professore fino alla nausea, dicendogli che lui sarebbe stato l’anello più importante della sua catena di vendetta.
Il Professore non lo aveva deluso, gli aveva telefonato qualche giorno prima dicendogli che era tutto pronto, gli aveva spiegato come avrebbe dovuto agire e adesso quella manna, era lì nelle sue mani.
Strano come un oggettino di vetro della grandezza di un centimetro quadrato, potesse farlo sentire il padrone del mondo.
Richiuse la cassettina di legno e la ripose sopra il ritaglio di giornale, era tardi e aveva ancora del lavoro da fare prima che la serata finisse.
Dalla tasca dei pantaloni prese il ciondolo a forma di edera e i suoi occhi luccicarono di nuovo.
Aveva pensato che per scrivere il suo secondo messaggio sarebbe stato poetico usare l’amica di Geraldine, quella a cui avrebbe dovuto regalare la foglia d’edera, ma purtroppo per lui, Jessica era si, una bellissima ragazza, ma gli occhi scuri non erano i ‘suoi’, così era dovuto andare in cerca di un altro angelo dagli occhi verdi.
Si era imbattuto in lei per caso, era uscita di corsa dall’ufficio e lo aveva praticamente investito buttandogli addosso dei faldoni che teneva tra le braccia. Si era scusata, mortificata per come lo aveva scaraventato in terra e lui l’aveva aiutata a raccogliere le carte sparse per tutto il marciapiedi. Si erano alzati insieme, lui cercava di tenere il viso il più nascosto possibile per non dare nell’occhio, ma quando l’aveva guardata, era rimasto incantato.
Aveva gli occhi dello stesso colore.
Era lei… l’aveva trovata!
La fortuna era dalla sua parte, non credeva che ce l’avrebbe fatta in un solo batter di ciglia e che gli sarebbe caduta praticamente tra le braccia.
Anche questo poteva definirsi poetico, dopotutto.
La donna gli sorrise scusandosi ancora e si allontanò, naturalmente con lui alle calcagna.
In meno di un paio d’ore aveva saputo tutto quello che gli serviva, anche come e dove avrebbe colpito.
Spense il computer, rientrò in bagno e con cura spennellò la colla sul pizzetto per attaccarlo con precisione ancora una volta sul viso.
La stessa cosa fece con il neo finto e infine si rimise le lentine.
Doveva usare la stessa faccia per quella sera.
Si diresse all’entrata e prese lo zaino nero dalla cabina armadio, controllò che avesse tutto ciò di cui aveva bisogno e indossò l’impermeabile scuro e il cappello a falda larga.
Uscì dalla finestra che dava sul cortile interno della casa per non essere visto dai vicini curiosi, saltò il muro di cinta e con lo zaino in spalla, si autoproclamò fautore del destino del suo secondo messaggero.


Angolo di Rebecca:

Capitolo lunghetto, me ne rendo conto, ma dividerlo in altro modo, non andava bene per dopo :)
Castle comincia ad avere una strana teoria, che mette in ansia anche lui.
Le indagini proseguono senza molto successo e il nostro caro amico si prepara per un secondo messaggio...
Che altro dire?
Grazie per il vostro affetto *-*

 

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Capitolo 7
*** Dipendenza ***





Capitolo 7
 

 
-Sono contento che siamo venuti da Rémi, un posto elegante e sofisticato non avrebbe avuto la stessa atmosfera stasera.-
Alexis annuisce, mentre addenta il suo hamburger e gli ruba un paio di patatine. Si ferma con il panino a mezz’aria e mette i bastoncini di patate davanti agli occhi di suo padre, che solleva la testa dal piatto corrucciando la fronte.
-Si chiamano patatine… le conosco bene!-
Esclama non riuscendo a capire perché la figlia gliele sventoli sotto il naso.
-Lo so anch’io cosa sono e so che ti faresti ammazzare per una sola di queste, perciò perché non vai in escandescenza, facendomi cadere la faccia a terra davanti a tutto il locale, visto che te le sto rubando? Chi sei tu?-
Si sporge sul tavolo verso di lui additandolo con le patatine.
-Che ne hai fatto di mio padre?-
Lui la guarda divertito, anche se non riesce a capire la sua sceneggiata, mentre lei torna a sedersi comoda e manda giù le patatine mostrandogli un’alzata di spalle.
-Sembri distratto papà!-
-Non sono distratto. Penso solo che starai via tanto tempo e mi sento scombussolato, tutto qui.-
La ragazza solleva un sopracciglio e lui si perde ad osservarla.
Ha ragione lui a dire che è ancora una ragazzina e che dovrebbe restarsene a casa.
Alexis continua a guardarlo seria, con l’espressione dubbiosa e Castle sorride ammettendo dentro di sé che non è vero. La sua bambina è cresciuta, è diventata grande davvero e lui ne è infinitamente orgoglioso e ancora più infinitamente spaventato.
Guarda il panino nel suo piatto, ma i suoi occhi vagano lontano, nella camera da letto sconosciuta di una giovane donna strappata alla vita in modo crudele.
L’immagine di Geraldine Prescott è così impressa nella sua mente che solleva lo sguardo accigliato, quando sente uno strano calore sulla sua mano.
-Che c’è papà, sei preoccupato? E’ tutta la sera che pensi a qualcos’altro.-
Lui sorride imbarazzato e le stringe la mano.
-Scusa tesoro, sono solo stanco, oggi è stata una giornata davvero lunga.-
Lei annuisce e incrocia le braccia al petto.
-La ragazza drogata e poi soffocata in casa sua? Se ne sta occupando Beckett?-
Lui corruccia la fronte e lei sorride.
-Ho visto come sei rimasto imbambolato davanti al telegiornale stasera, prima di uscire. Stavano parlando di lei.-
Castle annuisce e beve un sorso di birra.
-Si… è un caso di Beckett, ed è parecchio complicato. In dodici ore non abbiamo trovato nessun indizio concreto che possa portare all’assassino.-
Alexis gli ruba un’altra patatina.
-Capisco, ma tu sembri preoccupato, più che stanco!-
-Beh… non so come spiegarlo… era pochi anni più grande di te e questo mi ha fatto un certo effetto.-
Lei sorride e gli accarezza ancora la mano sul tavolo.
-Sei dolcissimo papà!-
Lui le stringe la mano e gliela bacia. Guarda fuori dalla finestra del locale e si rende conto che ha ripreso a nevicare.
-Quest’anno non vuole proprio smetterla, siamo quasi a marzo e nevica ancora.-
Alexis lo guarda intenerita dalla sua espressione. Ha l’aria malinconica e sa che uno dei motivi del suo stato d’animo è la sua partenza.
-Starò attenta papà, ti prometto che non mi metterò nei guai, ti puoi fidare di me.-
Lui si gira a guardarla sorridendo.
-Lo so che posso fidarmi di te, è del resto del mondo che non mi fido.-
-Beh… non ti fidi di una piccola cerchia ristretta!-
Esclama lei scoppiando a ridere seguita dal padre.
-Sai papà, sono contenta per te e Beckett…-
Arrossisce abbassando lo sguardo mentre lo dice, ma poi torna a guardare suo padre sorridendo.
-Non ne abbiamo mai parlato prima, come se fosse tutto scontato, ma volevo lo sapessi e… mi piacerebbe anche dirlo a Kate, non siamo state più molto vicine io e lei ultimamente… e la colpa è anche un po’ mia. Però mi piace questo nuovo lato di te e volevo proprio dirtelo.-
-Un nuovo lato di me?!-
-Il tuo lato sentimentale, quello vero… quello innamorato!-
Ammicca sottolineando la parola innamorato e lui abbassa lo sguardo sulle loro mani intrecciate, senza rispondere.
-Andiamo papà! Non sei mai stato veramente innamorato di una donna da quando io ricordi. Kate è diversa. Sei completamente preso da lei… potri dire che… dipendi da lei.-
Dipendo da lei!?
Rick continua a non guardarla, perso nei suoi sentimenti e lei gli stringe entrambe le mani.
-Ed io ne sono felice! Perché tu sei felice e anche lei si merita di essere serena. Negli ultimi tempi sembra davvero che lo sia.-
Finalmente Castle solleva lo sguardo su di lei, le sorride quasi imbarazzato. In fondo al cuore aveva sempre avuto il timore che lei non accettasse la sua relazione con Kate. Sapeva che le voleva bene, ma dopo l’attentato al cimitero qualcosa si era rotto dentro di lei e si era allontanata poco a poco.
-Mi fa piacere sentirtelo dire tesoro… è importante per me, non sai quanto. Non riesco più ad immaginarmi senza Kate. Hai ragione tu, forse dipendo troppo da questo sentimento, ma non saprei come tornare indietro.-
Lei annuisce diventando improvvisamente seria.
-Perché dovresti?-
Lui solleva le spalle e abbassa lo sguardo.
-Ho sempre avuto un po’ paura a confrontarmi con te per questa relazione.-
-A me sta bene, se fa stare bene te… e mi sembra che sia così. Solo…-
Lui solleva la testa di scatto.
-Solo… cosa!?-
Sussurra, trattenendo il fiato, cercando di capire cosa sottintenda quella parola lasciata in sospeso.
-Solo… vorrei che la smettessi di giocare ancora al poliziotto. Voglio dire, ora che state insieme potresti anche evitare di stare sempre sul campo e metterti in pericolo.-
Gli dice tutto d’un fiato abbassando lo sguardo, ma lui le solleva il viso mettendole la mano sotto al mento, tornando a respirare, contento che non abbia nulla contro Kate.
-Alexis, io non gioco al poliziotto.-
Lei sospira facendo una smorfia con le labbra.
-Va bene. All’inizio avevo preso tutto come un gioco. Era tutto nuovo, eccitante, mi sembrava di leggere un libro d’azione vivendo dentro le pagine. Era eccitante anche perché le idee mi fluivano nella testa come un fiume in piena, osservavo Beckett nel suo lavoro e ho creato un personaggio nuovo e soprattutto vero.-
Lei annuisce con l’espressione di chi sa di avere ragione.
-Poi ho cominciato a restare al distretto per Kate, non so quando è successo Alexis, so solo che avevo bisogno di vederla, di starle vicino…-
-Appunto papà! Adesso state insieme, puoi vederla quando vuoi… puoi…-
Lui solleva la mano e la ferma.
-Non è solo per Kate!-
La ragazza corruccia la fronte e lo guarda con attenzione.
-Come posso spiegarti Alexis? Ricordi la bomba al Boylan Plaza?-
-Come potrei dimenticarla papà!-
Esclama la ragazza stringendo la mascella al solo pensiero e lui annuisce.
-Ricordi cos’hai provato cercando di sistemare gli effetti personali delle vittime? Ricordi cosa mi hai detto quando ti chiesi se volevi lasciar perdere?-
Aspetta un attimo prima di continuare osservando gli occhi di sua figlia e riprende.
-Mi hai detto che sentivi di fare qualcosa d’importante per la prima volta nella tua vita.-
Alexis annuisce e comincia a capire dove voglia andare a parare suo padre.
-Quello era un periodo strano per me e Beckett, le cose non andavano bene, avevamo… diciamo litigato… ed io non avevo nessun motivo di restare al distretto… eppure l’ho fatto. Sentivo di dover fare qualcosa per quelle persone che si sono trovate nel posto sbagliato al momento sbagliato. Poteva succedere ad ognuno di noi.-
La ragazza lo guarda con gli occhi lucidi.
-Tesoro, io non ho mai fatto niente di buono nella mia vita, tranne te. E’ vero, sono uno scrittore affermato, conosciuto, ma effettivamente non ho mai avuto nessun ruolo importante nella società. Lavorare al distretto mi fa sentire utile, mi fa stare bene. Non è più un gioco e non mi  metterò nei guai, né tantomeno Beckett permetterà che mi succeda qualcosa.-
Alexis si sporge oltre il tavolo e lo bacia sulla guancia.
-Tu sei importante papà… per me e sono tanto orgogliosa di te.-
Gli sussurra all’orecchio lasciandolo di stucco. Resta imbambolato a guardarla anche quando Alexis si alza e lo prende per mano.
-Paga il conto e andiamo, ha smesso di nevicare.-
Escono dal locale mano nella mano e lui solleva gli occhi per guardare il cielo.
-Peccato. Mi piace pattinare sotto i fiocchi di neve.-
Lei gli poggia la testa sulla spalla e si stringe a lui.
-E se facessimo semplicemente una passeggiata?-
Rick la guarda sorridendo e le bacia la fronte, mentre s’incamminano verso il parco.
-Sai zucca, io non so come si comporta un padre, non per esperienza personale, perciò non so se sono stato un buon padre…-
Lei lo guarda mentre passeggiano ancora mano nella mano, stringendolo forte.
-…però ho cercato davvero di fare del mio meglio. Sono stato fortunato perché tu sei una ragazza splendida e l’unica cosa che posso prometterti è che sarò sempre un padre preoccupato e geloso.-
-Sembra più una minaccia che una promessa!-
Risponde lei ridacchiando.
-Prendila come ti pare, ma tu sarai sempre la mia piccolina, anche tra vent’anni, perciò… vedi di fartene una ragione!-
Si ferma a guardarla in faccia e lei gli butta le braccia al collo.
-Ci mancherebbe pure che tu smettessi di fare il geloso!-
Scoppiano a ridere e lui la solleva da terra stringendola forte e, mentre ricomincia a nevicare, riprendono la loro passeggiata mano nella mano.
 

Era seduto ad un paio di metri di distanza da lei, la osservava da circa venti minuti.
Si era svegliata da poco, cercava di girare la testa per capire cosa stesse succedendo, ma l’unica cosa che le riusciva con difficoltà, era ruotare gli occhi a destra e a sinistra.
Era nella sua camera da letto. Non ricordava come ci fosse arrivata e non capiva perché non riusciva a muoversi.
Lui sorrideva.
Continuava ad avere quel sorriso soddisfatto e beffardo che si era portato dietro tutto il giorno.
Si alzò portando con sé la sedia.
Il rumore la fece sussultare e riscuotere dalle domande che le affollavano la mente.
Cercò di mettere a fuoco l’ombra che vedeva davanti a sé e,  quando questa si fece più vicina, si rese conto che era un uomo… era lui!
Chiuse gli occhi e cominciò a respirare freneticamente, cercava di muovere le braccia. Voleva riuscire a muovere le gambe, se ci fosse riuscita avrebbe potuto dargli un calcio, difendersi.
-Cc… ch…-
Cercò di parlare, ma le corde vocali non volevano proprio aiutarla, era come se una mano le stringesse la gola e le impedisse di emettere suoni.
Lui si chinò lentamente su di lei e avvicinò il dito alle sue labbra.
Se fosse riuscita a muoversi lo avrebbe morso, glielo avrebbe staccato quel dito, invece non riusciva nemmeno a girare il viso per impedirgli di toccarla.
-Tranquilla… non devi sforzarti a parlare… dammi ancora dieci minuti.-
Dieci minuti! Voleva dieci minuti di tempo per fare cosa?
La sua mente non riuscì più a ragionare lucidamente ed il panico s’impossessò di lei.
Un panico che non riuscì ad esprimere se non con gli occhi.
Voleva gridare, dimenarsi, graffiare, riuscire a difendersi, invece riusciva soltanto a respirare velocemente e a tenere gli occhi sbarrati su quell’uomo che girava intorno al suo letto, prendendo qualcosa da dentro uno zaino per sistemarlo con calma sul comodino alla sua destra.
Dopo un tempo per lei infinito, prese la sedia che aveva portato dalla sala, la sistemò accanto al letto e si sedette.
Si sporse verso di lei, che chiuse gli occhi quando le accarezzò i capelli.
-Tra poco sarà tutto finito…-
 
 
-Ehi… giù le mani dalla mia pizza, non hai detto che hai già cenato?-
Kate dà uno schiaffetto sulla mano di Jim prima che possa impossessarsi di un triangolino di pizza.
-Ho mangiato solo un’insalata! Vuoi davvero privarmi di un pezzetto della tua pizza? E’ enorme!-
Lei annuisce seria.
-Certo che si, è mia!-
Risponde con la bocca piena e Jim scoppia a ridere.
-Katie… non cambierai mai. Quando eri piccola e qualcuno si azzardava a mettere le mani nel tuo piatto, diventavi pericolosa. Hai sempre difeso alla grande il tuo sostentamento.-
Kate segue il padre nella risata e gli offre un pezzo della ‘sua’ pizza.
-Va bene… dai! Te la meriti solo perché ti sono piombata qui all’improvviso, mentre magari volevi già andare a dormire.-
Lui addenta la pizza e si asciuga le labbra con il tovagliolino di carta.
-Puoi piombare qui quando vuoi Katie… lo sai, mi fa piacere stare un po’ con te!-
Lei gli sorride e Jim prende dal frigo due bottigliette di succo di mela.
-La casa offre questo, avresti dovuto portarti dietro anche la birra.-
-Questo va benissimo con la pizza, papà!-
Bevono un paio di sorsi dalla bottiglia e dopo aver posato la sua sul tavolino, Jim mette una mano sopra quella della figlia.
-Dimmi Katie… come vanno le cose con Rick?-
Solleva le mani davanti a lei con lo sguardo spaventato.
-Sempre che possa chiedertelo senza che mi fulmini.-
Lei ride bevendo un altro sorso di succo e poi annuisce.
-Bene papà. Vanno bene…-
Si sporge in avanti, per posare la bottiglia accanto a quella del padre, sospirando.
-…fin troppo!-
Esclama alla fine e Jim corruccia la fronte.
-Come sarebbe a dire ‘fin troppo’? Lo dici come se fosse una cosa brutta!-
Lei china lo sguardo sul pavimento e scuote la testa sollevando le spalle.
-No, infatti non è una cosa brutta, solo che…-
Sospira ancora, sapendo che quello che sta per dire è una contraddizione, ma a qualcuno deve dirlo, con qualcuno deve confidarsi.
-…solo che questa cosa sta diventando… insomma… comincio a dipendere troppo da lui!-
Jim annuisce serio continuando a tenerle la mano.
-E questa è una cosa brutta!-
Afferma costringendola a guardarlo.
-Certe volte mi rendo conto che ho bisogno del suo sguardo, del suo sorriso, delle sue stupidaggini… ne ho bisogno come l’aria. Dipendo troppo da lui ed io… io non sono abituata a questo.-
-Tu sei abituata a cavartela da sola e a non avere bisogno di nessuno, specie dopo che io ti ho lasciata sola!-
Annuisce lui rattristandosi.
-No papà… non intendevo questo!-
-So cosa intendi Katie. Hai bisogno che lui ti stia vicino e faccia parte di te. L’hai fatto entrare nella tua vita e non vuoi che ne esca!-
La guarda dritto negli occhi e sorride.
-Katie… quello che tu chiami ‘questa cosa’ ha un nome ben preciso: amore. Sei innamorata! E’ normale che senti di dipendere da lui, ma hai paura perchè non hai mai provato niente del genere.-
Lei lo guarda trattenendo il respiro.
-Non voglio dipendere da questo sentimento… se dovesse finire…-
-Katie perché dovrebbe finire? Credi di avere paura soltanto tu? Pensi che lui non abbia bisogno di te?-
Lei continua a non fiatare.
-Lui dipende da te da anni ormai. Non dimenticherò mai la sua espressione il giorno che ti hanno sparato, la sua sofferenza, il suo senso di colpa per non essere riuscito a proteggerti. Se questo non è dipendere dalla vita di qualcun altro, allora sono proprio uno stupido!-
Lei sorride e abbassa ancora lo sguardo.
-Lo so cosa prova per me, non ho nessun dubbio sui suoi sentimenti.-
-Allora perché ti poni problemi che non ci sono?-
-Perché quando sei felice poi…-
Si ferma senza riuscire a continuare e suo padre le mette un braccio attorno alle spalle.
-La felicità ti chiede il conto… lo so!-
Lei appoggia la testa sulla sua spalla e lui la stringe ancora più forte.
-Anche tua madre ed io dipendevamo l’uno dall’altra e quando lei è morta io mi sono sentito perso. Volevo solo distruggere tutto, ma sai una cosa?-
La allontana da sé per guardarla negli occhi.
-Non rimpiango un solo istante vissuto accanto a tua madre. Katie non negarti di essere felice per paura di cosa sarà… sii felice ora! E credimi, se te lo dice tuo padre… Richard Castle è la tua felicità… adesso!-
Lei sorride con gli occhi lucidi e lui le accarezza i capelli come quando era bambina.
-Tu lo ami Katie ed è per questo che hai paura!-
Lo amo!?
A quella parola china di nuovo la testa, si morde il labbro corrucciando la fronte e Jim sospira sconsolato.
-Non glielo hai mai detto, è così?-
Kate solleva la testa di colpo, meravigliata da come suo padre possa leggerle dentro con tanta semplicità e lui le sorride teneramente.
-Tu ed io siamo simili Katie, per questo ti capisco bene.-
-Non gliel’ho mai detto è vero, però… lui sa cosa provo, certe volte restiamo a guardarci in silenzio per un tempo infinito ed è come se parlassimo per ore… non credo che una frase fatta possa essere più importante di queste piccole complicità tra noi.-
Jim la guarda serio e prova un moto incredibile di tenerezza, non verso la donna coraggiosa che è diventata sua figlia, ma verso quella bambina indifesa che non è riuscita a crescere.
-E’ vero, i fatti sono infinitamente più importanti delle parole… eppure a volte fa tanto piacere sentirselo dire.-
Le dà un bacio sulla fronte e la stringe a sé.
-Perché non resti a dormire qui? Hai detto che Rick resterà con Alexis questa notte! La tua stanza è sempre pronta. Dormi qui con il tuo vecchio, domattina  facciamo colazione insieme e poi ognuno per la propria strada.-
Lei storce le labbra.
-Non è che ti sei messo d’accordo con Castle?-
Jim corruccia la fronte e lei fa altrettanto mostrandosi seria.
-Ha insistito lui perché venissi qui stasera, non è che ti ha convinto a tenermi prigioniera fino a domani?-
Lui la guarda in silenzio e lei scoppia a ridere.
-Ah… a volte non ti capisco piccola! Vado a prenderti un’altra coperta, il copriletto e troppo leggero per questo periodo.-
Si alza scuotendo la testa e lei continua a ridere.
Beve un altro sorso di succo di mela e si appoggia allo schienale del divano, pensando che ormai è troppo tardi per cercare una cura per guarire dalla sua dipendenza.
Ma poi voglio davvero guarire da lui?!
 
 
Riaprì gli occhi cercando di guardarlo.
Tra qualche minuto sarebbe finito tutto… perché?
Cosa gli aveva fatto, perché quel tizio entrasse in casa sua e la facesse soffrire?
Non riusciva a muoversi, ma sentiva le sue mani addosso.
Si rese conto che le aveva sollevato la felpa e rabbrividì al pensiero che stesse per toglierle i vestiti e chissà cos’altro.
Con suo stupore lui non la spogliò, non le tolse la felpa, non le sganciò il reggiseno.
Lo vide prendere un pennarello che aveva posato sul comodino e con calma si chinò su di lei a scrivere.
-Cerca di stare calma e di respirare piano, o mi farai sbagliare!-
Sussurrò proprio accanto al suo orecchio.
Quando percepì un formicolio sul suo stomaco chiuse gli occhi, chiedendosi quale cosa sporca ed offensiva stesse scrivendole addosso.
Non voleva morire pensando che qualcuno avrebbe potuto leggere parole orribili su di lei.
Quando ebbe finito le sistemò la felpa, si alzò, posò la sedia al suo posto e riordinò dentro lo zaino tutto quello che aveva usato.
Si mise di nuovo accanto a lei e le sorrise.
La donna cercò di stringere i pugni dalla rabbia, ma non riuscì a fare nemmeno questo; se avesse potuto si sarebbe presa almeno la soddisfazione di sputargli in faccia.
Vide i suoi occhi posarsi sul cuscino accanto a lei, poi tornò a guardarla e le sorrise ancora… e lei capì…
Guardò i suoi movimenti, mentre si sporgeva a prendere il cuscino e, come a rallentatore, lo vide avvicinarsi inesorabilmente al suo viso. Sapeva che non sarebbe riuscita a muoversi, perciò decise che non ci avrebbe nemmeno provato.
Fece un respiro profondo e chiuse gli occhi abbandonandosi all’inevitabile…

-Buona sera! Si ricorda di me?-
Lei corrucciò un attimo la fronte, ma sorrise immediatamente quando riconobbe l’uomo che per poco non ammazzava in strada quel pomeriggio, sembrava diverso con l’impermeabile e il cappello a falde larghe.
-Salve, come potrei dimenticarmi, l’ho quasi uccisa!-
Lui sorrise sollevando le spalle e lei chinò la testa di lato ricambiando il sorriso.
-Che ci fa qui, come ha fatto a trovarmi?-
L’uomo prese qualcosa dalla tasca e gliela mostrò.
-Si è persa questa oggi, l’ho trovata in strada dopo che lei è corsa via, credo sia una ricevuta. Ci sono il nome e l’indirizzo e pensando che fosse importante, mi sono detto che era una buona idea portarglielo, signorina Nichols… è lei la Sarah Nichols del foglio, giusto?-
Lei prese in mano la ricevuta e sorrise di nuovo.
-Si certo che sono io, la sbadata Sarah Nichols… grazie, è stato gentile, mi serve per ritirare un fascicolo importante in tribunale domani, senza questa non me lo avrebbero mai dato..-
Lui si strinse ancora nelle spalle, mettendosi le mani in tasca.
-Per così poco, non mi è costato niente.-
Lei indugiò qualche secondo, mentre lui stava per congedarsi. Le sembrava scortese mandarlo via così, era stato gentile a fare tanta strada per riportarle la ricevuta.
-Vuole entrare? Dopo averle quasi rotto le costole le devo almeno un buon caffè!-
Lui sorrise sollevando un po’ il cappello.
-Beh, un caffè non si rifiuta mai!-
Le rispose mentre lei si spostava di lato alla porta per farlo entrare.
-Si accomodi, le faccio strada in cucina.-

Fu l’ultima frase che disse prima di sentire un bruciore alla base del collo e due braccia sollevarla da terra.
Ripercorse con la mente gli ultimi attimi di quella sera, pensando a quanto fosse stato stupido, da parte sua, invitarlo ad entrare.
Riuscì a restare lucida ancora qualche secondo, in cui si rese conto che sarebbe riuscito ad entrare in casa comunque, anche se lei non fosse stata tanto ingenua.
Perchè le stava facendo questo?
Voleva assolutamente una risposta soddisfacente prima di lasciarsi andare, mentre il cuscino sul viso le toglieva il respiro e le annebbiava il cervello… chiedeva disperatamente una risposta che non sarebbe mai arrivata!
 
 
Non dormiva nella sua vecchia stanza da anni.
Era contenta di essere rimasta da suo padre, parlare con lui le aveva fatto bene, si sentiva più sollevata.
Sapeva che quello che provava per Castle era amore, lo sapeva da tanto e sapeva anche che quello che lui provava per lei era ancora più forte, se possibile. Glielo leggeva negli occhi ogni volta che glieli posava addosso.
Lui dipende da te da anni ormai… Non dimenticherò mai la sua espressione il giorno che ti hanno sparato, la sua sofferenza, il suo senso di colpa per non essere riuscito a proteggerti…
Non avevano mai parlato del giorno del suo ferimento. Non avevano mai parlato del dolore che lui aveva provato. Che lei gli aveva provocato.
Suo padre aveva ragione, sapeva ancora leggerle dentro come quando era ragazzina, ma era riuscito soprattutto a leggere dentro Rick e a fidarsi di lui ancora prima che riuscisse a farlo lei.
Guarda il cuscino accanto a sé e sospira, si gira di fianco e lo abbraccia stretto.
Tu lo ami Katie ed è per questo che hai paura… non glielo hai mai detto, è così? Eppure a volte fa tanto piacere sentirselo dire…
Suo padre aveva ragione anche in questo.
Castle le aveva detto di amarla due volte. Entrambe le volte lei aveva avuto paura, ma il solo pensiero di quelle due parole pronunciate tra la paura di perderla e la disperazione che fosse lei a perdersi, le scaldava il cuore.
Non si era mai posta il problema nelle altre relazioni che aveva avuto, ma con Castle era tutto diverso e si chiedeva perché non riuscisse a dirgli che lo amava. Perché era così difficile fare uscire quelle due semplici parole dalla sua bocca, quando il suo cuore e il suo cervello non facevano altro che urlarle? Lo amava senza riserve e con tutta se stessa, non aveva dubbi. Come poteva non essere così?
Come si supera!?...
Alla domanda a bruciapelo di  Jessica Benton, la vecchia Beckett non avrebbe risposto, avrebbe eluso la domanda in maniera elegante e sarebbe uscita dalla stanza senza una parola. Ma lei non era più la vecchia Beckett e ad un paio di centimetri di distanza c’era lui… aveva trovato nella sua presenza silenziosa la forza di rispondere e, soprattutto, di rispondere la verità.
Chiude gli occhi e si stringe ancora più forte al cuscino, sorridendo quando sente il vibro del telefono.
Guarda il display e il sorriso di Castle illumina la stanza.
-Ehi Castle!-
Sente dei fruscii all’altro capo del telefono e corruccia la fronte.
-Che stai facendo?-
Gli chiede curiosa e lui impreca facendo ancora più fracasso.
-Castle! Stai bene?-
Si mette a sedere in mezzo al letto e aspetta che lui si degni di rispondere.
-Si… tutto bene… sto cercando di mettermi i pantaloni del pigiama e… ahhh… accidenti!-
Lei scoppia a ridere quando sente un tonfo e poi solo silenzio, si morde il labbro continuando a ridere e aspettando un segno di vita dall’altra parte del telefono.
-Ok… ok… sono vivo! Mi sono attorcigliato in mezzo ai pantaloni e sono inciampato, ma ci sono!-
Lei continua a ridere immaginandosi la scena.
-Ah-ah… che ridere… sono vivo, ma mi sono fatto male Beckett, se la cosa ti può interessare!-
-Scusa Castle, ma non potevi infilarti il pigiama e metterti comodo a letto prima di telefonarmi?-
Lui storce le labbra contento che lei non possa vederlo, si sta massaggiando il ginocchio che ha sbattuto contro il letto.
-In effetti poteva essere un’idea… però… non vedevo l’ora di sentire la tua voce!-
Finisce la frase sussurrando, con la voce profonda e lei smette di ridere.
-Sei già a letto?-
Le chiede con lo stesso tono.
-Si, sono rimasta da mio padre… dormirò nella mia vecchia stanza!-
Rick sorride e si sistema meglio appoggiandosi al cuscino, facendo una smorfia per il dolore al ginocchio.
-Vorrei proprio vederti nell’ambiente naturale della piccola Katie.-
Lei sorride e svia il discorso, meglio non tirare in ballo la piccola Katie con lui.
-Com’è andata la serata?-
-Bene! Abbiamo parlato tanto e passeggiato sotto la neve tenendoci per mano come quando era bambina!-
Dice tutto d’un fiato e lei sorride, pensando all’espressione tenera che deve avere al momento sul viso, mentre parla di Alexis.
-Sono felice di avere passato la serata solo con lei, avevi ragione tu, ne avevamo bisogno.-
-Dovresti saperlo ormai che io ho sempre ragione.-
Lui sbuffa al telefono facendola ridere.
-Sei presuntuosa lo sai?-
Lei devia anche questo discorso.
-Sei più tranquillo adesso?-
-No. Non voglio comunque che parta!-
Kate alza gli occhi al cielo.
-Spero che tu non glielo abbia detto! Non sarai stato depresso tutta la sera?-
Lui fa il broncio, ma lei naturalmente non può vederlo.
-Tranquilla, stasera sono stato felice per lei, ma ora che sono solo, permettimi di essere depresso per me stesso!-
Lei non può fare a meno di ridere e lui sbuffa ancora.
-Ti diverti sulle mie disgrazie!-
-No… mi diverte sentire quanto sei tenero…-
Quel sussurro lo fa rimanere in silenzio e lei si distende sul cuscino a faccia in su.
-L’ultima volta che un ragazzo mi ha telefonato all’una di notte in questa casa, in gran segreto s’intende, avevo 18 anni.-
Continua lei sussurrando e lui sorride.
-Io non ricordo esattamente quanti anni avevo l’ultima volta che ho fatto una telefonata del genere ad una ragazza di notte, però ero ancora uno sbarbatello!-
Ridono assieme e lui sospira.
-Ricordi ancora come finivano queste telefonate?-
-Mm..mmm…-
Risponde lei continuando a ridere, mentre si arrotola una ciocca di capelli con il dito.
-Chiudi tu…-
Lui ride e si gira di fianco, odorando il cuscino che usa Kate.
-No, chiudi tu…
Lei continua a ridere al pensiero di quanto possa essere stupida questa cosa, ma non riesce a non stargli dietro.
-Non voglio chiudere io…-
-Ok… allora conto fino a tre e chiudiamo insieme…-
Lei annuisce e aspetta che Rick inizi a contare.
-Uno, due, tre… notte Beckett!-
-Notte Castle!-
Riattaccano insieme e Kate affonda la faccia nel suo cuscino, sbuffando sonoramente quando non sente altro che il profumo di pulito della federa.
Non posso dipendere anche dal suo odore sul cuscino…
Sospira, chiudendo gli occhi e si ritrova a sorridere senza volerlo, ancora, mentre si sistema comoda sotto le coperte, sperando di riuscire a dormire senza il suo calore vicino, accontentandosi soltanto dell’abbraccio di Morfeo.
 

Prese dallo zaino il suo capitolo con la copertina che aveva stampato qualche ora prima e lo nascose sotto al cuscino.
Si guardò intorno ancora una volta, aveva sistemato tutto come doveva essere, ma mancava ancora una cosa.
Estrasse il ciondolo a forma di edera dalla tasca dei pantaloni, sollevò di poco il cuscino e lo fece scivolare sul viso della donna con la lacrima.
Si avvicinò di nuovo a Sarah e le sfilò delicatamente uno degli orecchini che indossava: una piccola goccia di ametista.
Sorrise guardando la scena che aveva preparato.
Perfetta!
L’aveva scritta proprio così, non poteva fare meglio.
Aprì tranquillamente la porta, senza paura di essere visto e con lo zaino in spalla e molta calma s’incamminò verso casa.
La giornata era stata fruttuosa, tutto era come doveva essere…




Angolo di Rebecca:

Non ho capito perchè molte di voi hanno pensato che la serata solitaria di Kate potessere essere, per lei, pericolosa!?
Sta bene (per adesso) è rimasta da papà Beckett, ha parlato con lui...
Ah... questa dipendenza!!!
Kate litiga ancora con il suo cervello e Rick sospira di sollievo per la discussione con la sua zucca, però si rompe il ginocchio per la fretta di sentire la voce della sua detective al telefono *-*
Chiudi tu?
No, chiudi tu!
No... chiudo io... sul nostro amico simpatico non mi soffermo, non saprei che dire, parla da solo!
BaciBaci <3




 

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Capitolo 8
*** L'ultimo Respiro ***







 
Capitolo 8
 

Mercoledì 27 febbraio, ore 8,05
 
-Beckett! Sei già in postazione stamattina!?-
Lei alza lo sguardo corrucciato su Ryan, appena arrivato al distretto.
-In che senso?-
Lui solleva le spalle ridendo.
-Beh… sono solo le 8.00 e sei già qui a lavorare, come ai vecchi tempi!-
Kate comincia a capire, stringe le labbra in una smorfia, mentre alle spalle del collega arriva Esposito.
-I vecchi tempi!-
Esclama gelida. Ryan va in panico improvvisamente, resosi conto di avere dato ancora una volta fiato alla bocca senza pensare.
-Ehm… no… è che io… cioè…-
Esposito gli posa una mano sulla spalla e scuote la testa.
-Io non continuerei brò, meglio tagliarla qui!-
Ryan deglutisce e si dirige alla sua scrivania, mentre Esposito si porta la tazza alle labbra, sorridendo.
-Tu non hai niente da fare Esposito? Per esempio pensare a restare vivo fino all’ora di pranzo?-
Continua lei ancora più tagliente, tanto che lui rischia di strozzarsi con il caffè e senza ribattere, nascosto dietro alla tazza, raggiunge il collega sentendo gli occhi di Beckett fissi addosso.
Un paio di secondi dopo riporta lo sguardo sui suoi fascicoli scuotendo la testa, con un’irrefrenabile voglia di ridere. Quei due sono proprio delle comari; sapevano che Castle sarebbe stato con la figlia la sera precedente e il fatto che lei fosse in ufficio prima dell’orario previsto la diceva lunga… secondo loro.
Li guarda di soppiatto sorridendo dentro di sé, certe volte riuscivano ad essere più insopportabili di Castle, ma non poteva  fare a meno di volergli un bene dell’anima.
Quella mattina si era svegliata al solito orario e lo spazio vuoto accanto a lei le aveva fatto un certo effetto. Aveva toccato il cuscino sospirando non avendo nemmeno la consolazione di sentire il suo profumo.
Dipendo troppo da lui!
Si era alzata e aveva preparato la colazione, lei e Jim avevano assaporato quell’ultima mezz’ora insieme prima di prepararsi e uscire per andare ai loro rispettivi uffici.
Nessuno l’aveva fermata sotto la doccia, nessuno l’aveva imprigionata in un lungo bacio prima di uscire, nessuno si era perso nei suoi occhi mentre cercava con difficoltà di vestirsi, perciò era uscita di casa puntuale arrivando al distretto prima degli altri.
-Buon giorno detective!-
La voce allegra la riscuote dai suoi pensieri e alza lo sguardo su Castle sorridendo, sorriso che le si spegne all’improvviso quando posa gli occhi sulle sue mani.
-Che c’è?-
Chiede lui guardandosi addosso, mentre Esposito e Ryan si scambiano sguardi complici.
-Castle… dov’è il mio caffè!?-
Lui spalanca gli occhi e si porta la mano alla bocca.
-Mi… mi sono dimenticato… il caffè!-
Esclama mentre Kate socchiude gli occhi a due fessure. Si china davanti a lei sulla scrivania con lo sguardo da cucciolo.
-Non arrabbiarti per favore… te lo preparo subito… qui… adesso…-
Solleva le sopracciglia volgendo lo sguardo per un secondo verso la sala relax.
-La macchinetta è libera e…-
Si guarda intorno con circospezione, ignorando i fratellini che se la ridono alle sue spalle.
-…nella stanza non c’è nessuno!-
Finisce in un sussurro andando verso la saletta, lei scuote la testa e lo segue, guardando male i colleghi non riuscendo, come lui, a non ignorarli.
-Vuoi una mano?-
Gli chiede mettendosi accanto a lui con una tazza tra le mani.
-Mi sei mancata stanotte… per fortuna il tuo cuscino profumava di te.-
Risponde lui senza togliere gli occhi dal caffè che scende fumante nella tazza.
-Mi sei mancato anche tu e… mi devi un favore.-
Lui corruccia la fronte e le porge la tazza guardandola negli occhi.
-Per non averti portato il caffè? Mi serviva una buona scusa per salutarti per bene…-
-Non per il caffè, ma per il cuscino. Non è giusto, l’ho abbracciato anch’io, ma non profumava di te!-
Restano a guardarsi per un attimo, fino a che lui annuisce serio.
-Hai ragione, non è giusto… sai che faccio? Ti regalo il mio cuscino, così te lo porti dove vuoi!-
Lei storce le labbra e annuisce.
-Si può fare, sarebbe una buona soluzione, l’importante è che tu sia consapevole che una volta regalato, non lo riavrai mai più indietro!-
Scoppiano a ridere e senza farsi notare, Kate gli sfiora la mano.
-Buon giorno!-
Le dice lui stringendogliela, lei beve un sorso di caffè e si guarda intorno.
-Sarà meglio tornare di là, la Gates starà per arrivare.-
Lui annuisce e le lascia la mano.
-Buon giorno anche a te!-
Sussurra poi, portandosi di nuovo la tazza alle labbra e avviandosi verso la scrivania.
Ryan sta parlando al telefono e sembra preoccupato, annuisce un paio di volte e chiude la chiamata.
-Abbiamo un altro cadavere sulla Est Brodway, una donna trovata morta nel suo letto. Gli agenti del 19° distretto hanno chiamato noi perché dalla circolare di ieri sull’omicidio Prescott, si sono resi conto che potrebbe essere lo stesso assassino.-
Beckett posa la tazza sulla scrivania e si gira a guardare la foto di Geraldine Prescott, afferra il cappotto e si dirige a passo svelto verso l’ascensore.
-Andiamo!-
 
Parcheggia davanti al vialetto della casa protagonista della nuova scena del crimine. Scende dall’auto seguita da Castle e si guarda intorno. Osserva i curiosi dall’altra parte della strada e indugia più del dovuto ad osservare i loro occhi attenti e ad ascoltare il mormorio delle loro voci.
Ancora quella brutta sensazione, di nuovo la stessa ansia.
Solleva il nastro giallo e prendendo un respiro profondo, entra in casa seguita da Castle, mentre Ryan la mette al corrente sull’identità della vittima.
-Sarah Nichols, 32 anni, avvocato. Nubile, viveva da sola e lavorava in un piccolo studio legale sulla Houston Street.-
-La porta è stata scassinata stavolta!-
Esclama lei guardando la serratura da vicino.
-L’hanno scassinata gli agenti del 911. Li ha chiamati un collega della vittima. Avevano appuntamento questa mattina alle 7.00 per andare a ritirare una documentazione alla segreteria del tribunale, per una causa che avrebbero dovuto presiedere insieme alle 9.00. Quando non l’ha vista arrivare e non gli ha risposto nemmeno al telefono, è venuto qui. L’auto della Nichols è quella all’entrata del vialetto, così si è preoccupato ed ha chiamato la polizia. I colleghi per entrare hanno scassinato la porta.-
Lei annuisce.
-Non hanno notato niente che facesse pensare ad uno scasso?-
-No, l’agente che ha aperto è sicuro che la porta fosse ben chiusa e che non ci fossero segni di alcun genere.-
Esposito l’interrompe.
-Beckett, Lanie ti vuole subito di là… non ci sono dubbi che sia il nostro amico.-
Lei stringe le labbra e si acciglia, mostrando la solita rughetta di preoccupazione.
-Chiedete in giro ragazzi, fatevi dire il più possibile. E’ una villetta sulla strada, la via è bene illuminata, qualcuno deve pur aver visto qualcosa! Non ha aspettato nemmeno ventiquattro ore per uccidere di nuovo… facciamo in fretta!-
Esclama dirigendosi in camera da letto.
-Lanie!-
L’anatomopatologa è china accanto al letto e si gira a guardarla.
-E’ lo stesso assassino Kate… non ci sono dubbi!-
Solleva la felpa della donna e mostra il suo addome.
-E’ la prima cosa che ho guardato. Ha lasciato un nuovo messaggio.-

 

-Io ti vedrò morire…-
 
Sussurra Castle leggendo lentamente.
-L’altro messaggio poteva essere frainteso, ma questo non lascia niente al caso… è proprio una minaccia…-
Inizia a dire, seguito da Beckett.
-…ucciderà di nuovo!-
Annuiscono tutti insieme.
-L’ora della morte risale ad almeno dodici ore fa, proprio come la Prescott. L’ha uccisa intorno alle 21.00 di ieri sera.-
Sposta di poco i capelli dietro l’orecchio della vittima e mostra l’orecchio con un dito.
-Manca un orecchino e qui intorno non c’è. Ho chiesto ad uno degli agenti d’informarsi con il suo collega, ha detto che li aveva tutti e due quando è andata via dall’ufficio ieri sera, perciò credo lo abbia preso l’assassino per ricordo.-
Kate s’incupisce ancora di più e Lanie scosta il colletto della felpa per controllare il collo.
-Stesso modus operandi. C’è il foro di un ago, ha drogato anche lei e, dalle piccole emorragie petecchiali negli occhi, sono certa che l’ha soffocata.-
-Con il cuscino!-
Afferma Beckett facendo il giro del letto. Solleva il cuscino per controllarlo da vicino e resta un momento immobile con il braccio a mezz’aria.
-Questa volta ha anche lasciato la firma!-
Lanie e Castle si avvicinano a guardare, mentre lei fa pendere un oggetto dalla mano.
-Il ciondolo a forma di edera che aveva comprato la Prescott!-
Afferma Lanie e Kate annuisce.
-Già! Per questo se lo è portato via, nel caso avessimo avuto qualche dubbio sul fatto che anche questo omicidio è opera sua.-
-C’è dell’altro… cos’è?-
Chiede Castle, mentre lei prende cautamente tra le mani quello che sembra un manoscritto formato A4 rilegato.
-Sembra un… racconto, a giudicare dalla copertina!-
Esclama leggendo la frase proprio sotto al viso sfumato di una donna, solcato da un’unica lacrima.
 

-L’angelo dagli Occhi Verdi... Capitolo I-
 
Sussurra mentre gira la pagina e comincia a leggere.
 

Ruotava gli occhi a destra e a sinistra per cercare di avere più visuale possibile, non potendo muovere la testa non riusciva a vedere tutto quello che succedeva intorno a lei…
 
Castle le strappa praticamente il racconto dalle mani, lasciandola di stucco e lo sfoglia  velocemente.
-Non è un racconto! Non uno qualsiasi… è la descrizione dell’omicidio!-
Continua a sfogliare e a leggere velocemente.
 

Continuò a tenere gli occhi chiusi, ascoltava il silenzio attorno a lei cercando di captare un rumore qualsiasi…
Sentiva il suo respiro… lui era lì, seduto da qualche parte a distanza. La osservava, la scrutava ed era certa che si divertisse a sentire la sua paura…

 
Sfoglia altre pagine leggendo periodi diversi, sotto lo sguardo stranito di Kate e di Lanie.
 
Continuava a pensare che avrebbe dovuto accorgersi di lui quando si era sentita osservata nella gioielleria del centro commerciale un paio di giorni prima
 
Quando legge della gioielleria capisce, solleva lo sguardo e incontra gli occhi di Kate e Lanie che quasi trattengono il respiro.
-Descrive passo passo la morte di Geraldine Prescott, da quando l’ha incontrata a quando l’ha soffocata!-
Sussurra, passando velocemente all’ultima pagina con il fiato corto.

 

-Prese la collanina con il ciondolo d’edera, la strinse nel pugno e se la mise in tasca, lasciando l’astuccio vuoto e lo scontrino in bella vista, sul comodino… ha descritto gli ultimi attimi della sua vita prima di ucciderla… questo tizio è fuori di brutto!-
Sta per sfogliare altre pagine e continuare a leggere, ma Kate gli mette una mano sulla spalla e lo ferma, sfilandogli il racconto dalle mani. Lui la guarda senza riuscire a dire altro mentre lo fissa negli occhi, per poi rivolgere lo sguardo oltre le sue spalle.
-Esposito, dallo alla scientifica, che controllino subito se ci sono impronte.-
Castle sbuffa sonoramente.
-Ma quali impronte? Credi davvero che troveremo delle impronte? Pensi che lucidi tutto per lasciare le sue impronte su quello? Non perdiamo tempo, lo dobbiamo leggere tutto e in fretta… possiamo trovare qualche indizio…-
Anche stavolta lei lo guarda seria e gli stringe il braccio per fermarlo.
-Che controllino subito Espo e che ce lo facciano avere in ufficio il prima possibile.-
Esposito annuisce prendendo i fogli rilegati e Kate si rivolge a Lanie.
-Fammi sapere al più presto, anche se credo che non troveremo nulla di nuovo.-
L’amica fa un cenno di assenso e lei prende per il braccio Castle e lo porta fuori dalla camera da letto.
-Si può sapere che ti prende?-
-Cosa prende a me? Lo hai letto il titolo di quel… non so nemmeno come chiamarlo. ‘L’angelo dagli occhi verdi’… Kate…-
Lei lo ferma ancora e lo invita ad uscire, lontano dai tecnici della scientifica che stanno ancora cercando indizi.
-Non ci metteranno molto a rilevare impronte, se ce ne sono. Lo troveremo in ufficio al nostro rientro e lo leggeremo attentamente!-
-Tu fingi di non capire Beckett…-
Lei alza gli occhi al cielo.
-Io non fingo Castle, cerco solo di capire dove vuole arrivare l’assassino con questi omicidi, seguendo gli indizi e le prove.-
-Che non abbiamo! Vuoi sapere dove vuole arrivare? L’hai guardata bene Sarah Nichols? Occhi verdi e capelli castani…-
Lei lo blocca per l’ennesima volta.
-Ok Castle… basta! Ora vediamo di svolgere le nostre indagini. Sali in macchina!-
Lui solleva le braccia cercando di trattenere un’imprecazione e la segue.
 
 
La detective l’aveva guardato. 
Gli aveva posato lo sguardo addosso, mentre un agente gli chiedeva se abitasse in quella strada, o conoscesse la vittima e lui, sorridendo dentro di sé, aveva risposto tranquillo che era solo di passaggio.
Lei lo aveva guardato, ma non lo aveva notato…
Con la solita eleganza che la contraddistingueva nell’essere, non solo una donna, ma una donna al comando di una squadra di poliziotti, aveva sollevato il nastro che delimitava la scena del crimine, quella scena che lui conosceva nei minimi dettagli, ed era entrata in casa preoccupata.
Era rimasto tra la folla a controllare il via vai degli agenti, l’arrivo del furgone mortuario, i poliziotti in tuta bianca intenti a rilevare tracce fuori e dentro la casa. 
Era rimasto per vederla andare via e quando l’aveva vista uscire, aveva subito notato quello sguardo intenso, corrucciato. 
Il messaggio e il capitolo avevano sortito l’effetto desiderato. 
Era preoccupata, ma era soprattutto arrabbiata per un secondo cadavere a così poche ore di distanza dal primo e questo la teneva sulla corda.
Per un attimo si era accigliato nel vedere uscire subito dopo di lei anche il suo partner. 
Non gli piaceva vederglielo girare intorno, sempre tra i piedi, con quell’espressione da idiota stampata sulla faccia.
Aveva chiuso gli occhi e respirato pesantemente, come quando si conta fino a dieci per evitare di prendere a pugni il soggetto della tua rabbia. Scuotendo la testa, sorrise di nuovo pensando che, alla fine, lui non era un problema. 
Non si sarebbe fermato solo perché lei adesso era impegnata. 
Impegnata! 
Parola grossa… condivideva il letto con lui, ma questo non cambiava niente per la sua trama… anzi era molto stimolante!
Strinse i pugni e s’impose pazienza. 
Non mancava molto ormai.
Aveva salutato gentilmente l’agente che l’aveva congedato con un cenno del capo e aveva ripreso la sua strada.
Il secondo messaggio era stato inviato, il primo capitolo era arrivato a destinazione, ora doveva assolutamente trovare la sua nuova protagonista per chiudere il cerchio e passare oltre.
Si sentiva leggero ed eccitato, non mancava molto al corpo centrale della sua storia. 
Il suo libro si stava scrivendo da solo… non vedeva l’ora di poter digitare la parola fine, ma non doveva avere fretta, soprattutto adesso.
Doveva continuare un passo alla volta. 
Per assaporare una storia non puoi andare direttamente alla fine!
Sorrise mentre camminava, le mani nelle tasche del giubbotto, il berretto di lana quasi sugli occhi e l’animo leggero per la prima volta dopo anni.
Aveva poco tempo, ma non era importante a questo punto, non sarebbe stato difficile trovare un’altra donna con le stesse caratteristiche, non era nemmeno importante essere cauto e restare nell’ombra. 
Tra poco tutti avrebbero saputo la verità… soprattutto lei!
Si sedette al tavolino di un bar e, dopo aver ordinato il pranzo, si mise a fare la cosa che sapeva fare di più: osservare senza che nessuno badasse a lui.
 
 
Avevano passato l’intera mattinata allo studio legale dove lavorava Sarah Nichols, interrogando i colleghi e spulciando tra i casi di controversie di cui si era occupata o su cui stava ancora lavorando. Aveva dato ordine di studiare in parallelo le vite delle due vittime. Erano due donne apparentemente diverse, a detta dei colleghi e degli amici non si conoscevano e probabilmente non avevano niente in comune, ma doveva esserci per forza un collegamento nel modo in cui l’assassino le aveva scelte, oltre la loro fisionomia.
Verso le 11.00 la Gates li aveva chiamati, dicendo a Beckett che la scientifica non aveva rinvenuto nessuna impronta sui fogli,  scritti con un comunissimo computer o sulla copertina e che, nell’attesa che tornassero, avrebbe cominciato a leggere quella specie di confessione di uno sconosciuto.
Il tragitto in macchina per tornare al distretto non era servito a calmare nessuno dei due.
Castle era ancora teso, stringeva le mani a pugno e le teneva ferme sulle ginocchia, mentre stava rigido sul sedile a guardare davanti a sé con lo sguardo fisso.
Beckett guidava in silenzio, ripensando alle parole su quella specie di racconto macabro.
Castle aveva ragione, per quel poco che avevano letto, il killer si raccontava come in una specie di autobiografia.
Non si era divertito soltanto a godere della sofferenza di Geraldine Prescott, si era perfino preso la briga di spiegare loro come aveva fatto ad ucciderla. Sembrava che volesse farsi beffe della polizia, aveva quasi l’aria di una sfida.
 
Sospira una volta arrivata a destinazione, toglie le chiavi dal quadro di accensione e appoggia la testa al sedile.
-Castle scusami. Non volevo alzare la voce prima, solo che quello che pensi è assurdo, te l’ho già detto ieri!-
Lui continua a guardare davanti a sé.
-Perché se hai una brutta sensazione tu, può andare bene e se invece ce l’ho io, allora è stupido?-
-Non ho detto questo! E poi io le mie brutte sensazioni le prendo per quello che sono: sensazioni e basta!-
Rick finalmente la guarda, le mette una mano sulla sua e sospira.
-Dimmi che non ti è passato per la testa nemmeno per un momento che quei messaggi possano essere riferiti a te ed io non ne farò più parola.-
Lei guarda le loro mani intrecciate e scuote la testa senza rispondere.-
-Beckett!-
Esclama lui esasperato lasciandole la mano di colpo e lei si gira a guardarlo.
-Va bene! Ieri mi sono sentita osservata tutto il giorno e la morte di Geraldine Prescott mi ha tenuta in ansia fino a quando non siamo andati via dal distretto…-
Lui annuisce per evidenziare che ha ragione.-
-…ma questo non significa niente. Non posso prendere in considerazione questa opzione solo per una sensazione mia o tua. Non c’è niente che possa accomunare questi omicidi a me e tu lo sai. Se stessi scrivendo una trama, questa scena la taglieresti perché non avrebbe nessuna logica e il lettore ti manderebbe a quel paese!-
Castle la guarda senza rispondere, continuando a serrare la mascella.
-Sai che ho ragione. Per quanto psicopatico, un senso logico lo segue anche lui, ed io al momento non lo vedo e non voglio assolutamente pensare che quelle due donne siano morte solo perché potesse scrivere sul loro corpo una stupida frase!-
Dice le ultime parole alzando la voce, con rabbia, esasperata perché in 24 ore due donne hanno perso la vita e lei non ha ancora scoperto niente di utile.
-D’accordo Beckett…-
Le sussurra mentre apre lo sportello e scende dall’auto. Aspetta che lei faccia lo stesso e insieme entrano al distretto accompagnati da un assordante silenzio, fino a che Kate non blocca l’ascensore.
-Ok… riunione segreta!-
Esclama e Rick la guarda stranito.
-Questo litigio non ha senso Castle! Chiamarmi Beckett ed essere arrabbiato con me non mi aiuterà di certo a fare luce su questa storia.-
Lui le prende le mani guardandola negli occhi.
-Io non sono arrabbiato con te, Kate, sono preoccupato, è così difficile da capire?-
Lei scuote la testa e gli accarezza il viso.
-Allora sii mio complice e aiutami a trovare un movente plausibile.-
Finalmente le sorride sospirando.
-Io sarò sempre tuo complice, di questo non devi mai dubitare e direi che alla luce di questo, mi merito un po’ di ossigeno prima di aggiornare la riunione!-
Kate annuisce sorridendo e lo bacia accarezzandogli i capelli.
-Torniamo a lavoro agente speciale Castle!-
 
-Ditemi che avete qualcosa di concreto sulle due vittime!-
Esclama il capitano Gates sulla porta del suo ufficio. Li aspettava al varco con il braccio sul fianco e il viso torvo, pronta a mordere.
-Niente di nuovo signore.-
Risponde Beckett appoggiando il cappotto sulla scrivania.
-Ho detto ai colleghi di continuare a fare controlli incrociati tra le due vittime, ma fino ad ora nulla. Notizie da Ryan ed Esposito?-
La donna fa una smorfia sollevando la mano esasperata, dirigendosi nel suo ufficio per uscirne subito dopo.
-Non sono ancora rientrati.-
Dice andando verso la scrivania di Beckett, mentre Ryan ed Esposito fanno il loro ingresso proprio in quel momento.
-Oh, eccovi finalmete! Scoperto nulla?-
-Una vicina di casa ha visto rientrare la Nichols ieri sera verso le 19.00, circa un’ora e mezza dopo qualcuno ha bussato alla sua porta.-
Esordisce Esposito e Beckett gli si avvicina.
-Dimmi che è rimasta a curiosare alla finestra e che ha visto quel qualcuno.-
Lui annuisce e scuote contemporaneamente la testa.
-Si, è rimasta a curiosare. No, non ha visto quel qualcuno. A meno che per vedere, tu intenda un tizio sul metro e ottanta, impermeabile nero e bavero sollevato fino alla testa, cappello a falda larga, sempre nero, il tutto descritto di spalle.-
Lei sospira e Ryan riprende il discorso del collega.
-Abbiamo richiesto le riprese della telecamera posta al semaforo dell’incrocio, è a parecchi metri di distanza, ma magari riusciamo a vedere qualcosa.-
-Che è successo dopo?-
-La vicina dice che sono rimasti a parlare sulla porta, cordialmente sembra, per un paio di minuti e poi lei lo ha invitato ad entrare e lo ha rivisto uscire una mezz’ora dopo. Si è diretto tranquillamente a sud, verso l’incrocio.-
La Gates annuisce.
-Gli orari coincidono, è uscito verso le 21.00, l’ora presumibile della morte… è il nostro uomo.-
-Sarah è tornata a casa, ha avuto il tempo di mettersi comoda, era in tuta quando lui ha bussato e lo ha fatto entrare tranquillamente. Lo conosceva?-
Ipotizza Castle, ma Beckett risponde non convinta.
-Strano che lo conoscesse… e strano anche che stavolta abbia bussato e sia andato in giro senza preoccuparsi di nascondersi. La strada è bene illuminata, chiunque avrebbe potuto vederlo.-
Castle osserva la lavagna serio.
-Era sicuro che non avremmo potuto identificarlo. Forse sta prendendo coraggio e non gl’importa che qualcuno lo veda!-
-Se è così è ancora più pericoloso.-
Risponde la Gates, sventolando tra le mani il manoscritto che ha preso dalla sua scrivania qualche minuto prima.
-Adesso leggiamo questo, molto attentamente. Gli ho dato un’occhiata veloce e questa storia comincia ad essere irritante. Questo tizio ci sta prendendo per scemi.-
Tira per il braccio Castle, che la guarda esterrefatto e lo costringe a sedersi al suo posto. Gli mette in mano il manoscritto e si china ad un paio di centimetri dalla sua faccia, con le mani appoggiate ai braccioli della sedia, mentre Ryan, Esposito e Beckett la guardano a bocca aperta.
-Si renda utile signor Castle. Lo legga lei, a voce alta, dovrebbe esserci abituato. Finga di presentare un suo racconto.-
Si siede al posto di Beckett e fa segno di procedere, mentre Kate decide di sua spontanea volontà, di accomodarsi sulla scrivania.
Nei minuti che seguono il silenzio è totale, risuona soltanto la voce di Castle che legge in maniera chiara e scorrevole quel racconto di morte.
Rilegge i passaggi che aveva già letto sulla scena del delitto, sfoglia le pagine e scruta le parole una ad una con attenzione, la stessa che i colleghi e il capitano rivolgono al suono della sua voce.
 

Trattenne il respiro sperando che tutto, qualunque cosa fosse, finisse presto. La paura era di gran lunga peggiore del pensiero della morte stessa…
 

A questa frase si ferma sospirando, solleva lo sguardo sulla lavagna e guarda il volto sorridente di Geraldine Prescott, deglutendo. Di riflesso si girano tutti a guardare la stessa foto, finchè Kate gli mette la mano sulla spalla e lo invita a continuare.
Posa gli occhi sulle parole, cercando di riprendere il segno.

 

Da un paio di giorni aveva la sensazione di essere osservata, le succedeva spesso di girarsi di colpo… tornava sui suoi passi e si dava della stupida. Come avrebbe potuto capire uno sguardo cattivo? Come avrebbe potuto vedere una persona pericolosa?
 
Kate ricorda la sua stessa sensazione, quella che l’ha fatta voltare indietro più volte, senza riuscire a scorgere niente di sbagliato e sposta lo sguardo su Rick, che non sta più leggendo.
-L’ha osservata per mezz’ora per captare le sue sensazioni, la sua paura, con la presunzione di descrivere i pensieri della sua vittima mentre sta per ucciderla… e per quanto incredibile, credo che Geraldine abbia provato esattamente questo!-
Sussurra Castle, riprendendo poi a leggere.

 

In assoluto silenzio le passò la spugnetta sugli occhi, sulle guance e sorrise. “Devi essere perfetta per la parte che ti ho riservato.”
 
-La parte che ti ho riservato…-
Sussurra quasi tra sé la Gates.
-…l’ha scelta con un motivo ben preciso, l’ha seguita per giorni e ha pianificato tutto… ma per cosa? Anche leggendo questa storia non vedo ancora un movente plausibile.-

 

Le sorrise ancora e le accarezzò il viso con tenerezza e lei ebbe la consapevolezza che sarebbe stata l’ultima cosa che avrebbe sentito: la carezza del suo assassino… Lo seguì con lo sguardo mentre prendeva il cuscino accanto a lei… le orecchie captavano tutto in maniera ovattata e il silenzio s’impadroniva del tutto dei suoi pensieri…
 

Castle si ferma ancora una volta, deglutisce e si passa la mano tra i capelli. Nemmeno i colleghi fiatano stavolta, come se tutti avessero bisogno di riprendere fiato. Sono abituati agli omicidi, sono abituati a ricostruirli attentamente, ma sentirli narrare dalla ‘voce’ dell’assassino stesso, è come stare nascosti in un angolo della stanza e guardare senza riuscire a fare niente.
 

L’aveva vista dalla vetrina a giorno della gioielleria di quel grande centro commerciale, il suo sorriso splendido lo aveva ammaliato. Ma la cosa che lo aveva convinto erano stati gli occhi: verdi e pieni di sfumature poco più scure…
 
Interrompe la lettura ancora una volta, senza alzare lo sguardo, trattiene il respiro sentendo quelle parole dentro di sé come una pugnalata. Guarda sottocchio Kate che invece ha gli occhi fissi sul pavimento, con l’espressione sempre più accigliata.
-Signor Castle, la prego continui.-
Gli chiede gentilmente la Gates e lui si riscuote annuendo.
-C’è solo la frase finale capitano.-
 

Era quella giusta, quella degna di portare il suo primo messaggio.
“Quando esalerai il tuo ultimo respiro, io ti sarò vicino, talmente vicino che sentirai il mio addosso a te…”

 
Castle richiude il manoscritto, passa le dita sulla lacrima che solca il viso femminile della copertina e subito dopo lo poggia sulla scrivania come se scottasse.
-Cercava un movente capitano? Eccolo! L’ha usata come carta da lettera…-
Dice piano, come se leggere lo avesse sfinito e il capo annuisce guardando Beckett, stranamente silenziosa.
-Sceglie le sue vittime per inviare dei messaggi, più esattamente minacce. Scrive quello che ha da dire sul loro corpo e svanisce nel nulla. E’ inaudito!-
Ryan si avvicina alla lavagna e comincia a scrivere.
-Le sceglie con delle caratteristiche fisiche particolari, Sarah Nichols aveva gli stessi lineamenti della Prescott: entrambe erano belle donne, alte, magre, occhi verdi e capelli castani.-
-Come centinaia di altre donne a New York, perfino Beckett ha queste caratteristiche!-
Esclama il capitano sbuffando, per sottolineare che comunque non sono caratteristiche speciali e Castle sospira sonoramente, tanto che tutti si volgono a guardarlo.
-Tutto bene brò?-
Gli chiede Esposito e lui annuisce.
-Si… solo che leggere questo autocompiacimento da parte dell’assassino mi ha lasciato un po’ frastornato, mi spiazza il fatto che questo psicopatico voglia diventare un mio collega. Ho bisogno di un caffè, scusate!-
Si alza senza guardare nessuno e Kate si schiarisce la voce.
-Come ha detto lei capitano, ci saranno centinaia di donne così a New York e potrebbe già avere adocchiato la prossima vittima!-
Si avvicina alla lavagna e spinge Ryan a scrivere ancora.
-Le scritte sui corpi sono delle minacce rivolte probabilmente ad una donna con queste caratteristiche. Non riesce a colpire lei e così uccide qualcuno che le somiglia, mandando messaggi di morte…-
-…e nel frattempo si avvicina al soggetto della sua frustrazione e della sua rabbia. Alla fine di questa storia è a lei che vorrà arrivare!-
Conclude la Gates e tutti annuiscono, mentre Castle li ascolta dalla sala relax con una tazza di caffè tra le mani, che non riesce a mandare giù.
 
 
Era seduto al bar da circa quarantacinque minuti, aveva ordinato un panino con insalata e formaggio e una tazza di caffè. 
Si guardava intorno tranquillo e studiava i volti che sfilavano davanti a lui con attenzione. 
Non aveva ancora trovato quella giusta, ma c’era tempo prima di sera. 
Fu distolto nella sua ricerca dal volume, improvvisamente alto, della televisione dentro il locale.
Si girò lentamente, sorridendo compiaciuto nel constatare come il proprietario del bar avesse alzato il volume, quando aveva visto in onda un’edizione straordinaria della CNN.
Gli occhi dei clienti erano tutti rivolti sullo schermo posto in alto a lato del bancone.
Improvvisamente nel locale era piombato il silenzio, l’unica cosa che aleggiava nell’aria era la voce dello speacker.
Tornò a sedersi comodo e finì il sandwich con calma. 
Conosceva a memoria quello che la voce alla tv stava dicendo.
Finse indifferenza, ma nel suo cuore provò una grande gioia. 
Si sentì vivo. 
Le persone che ascoltavano la tv con attenzione, gli provocarono un brivido lungo la schiena. 
Il loro silenzio, i loro occhi puntati sullo schermo, le loro emozioni, lo fecero sentire onnipotente.
Si portò la tazza alle labbra e bevve l’ultimo sorso di caffè compiaciuto. 
Il suo lavoro cominciava a dare i frutti sperati.
Alzò lo sguardo e due occhi verdi su di un viso sorridente gli passarono davanti.
Il fato era proprio dalla sua parte, dopo tanto soffrire, dopo tanta sfortuna, quello sembrava proprio il suo momento.
Lasciò una banconota da dieci dollari sotto la tazza vuota e, con le mani in tasca, si mise a seguire il fato che camminava tranquillo davanti a lui…
 


Angolo di Rebecca:

Il primo capitolo, con la descrizione dell'ultimo respiro di Geraldine Prescott, ha avuto l'effetto desiderato: Beckett è destabilizzata e Castle è preoccupato, adesso è lui che delle brutte sensazioni.
La Gates deve aver bevuto qualcosa di nocivo :p anche questo destabilizza Castle :D
Il nostro amico si gode il tutto, prima davanti alla scena del crimine e poi seduto al bar,
dove, osservando con attenzione, incontra altri due meravigliosi occhi verdi...
Opera del Fato!

Grazie a tutte per il vostro affetto <3
 

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Capitolo 9
*** Il Killer Silenzioso ***






Capitolo 9
 
 

 
-Che figlio di…-
La Gates scaraventa il telecomando della tv sulla scrivania ed esce dalla sua stanza come una furia, tra gli sguardi sorpresi dei presenti, parandosi davanti a Beckett.
-Voglio che andiate a prenderlo. ORA!-
Kate si alza di scatto e la guarda perplessa.
-Andare a prendere chi, signore!?-
Il capitano punta il dito verso il suo ufficio, mostrando la televisione accesa.
-Il direttore di rete di quel network!-
Castle entra dentro l’ufficio per ascoltare il giornalista della CNN, spalancando la bocca alle parole che gli arrivano alle orecchie come uno schiaffo. Si gira a guardarle e la Gates annuisce storcendo le labbra.
-Proprio così signor Castle! Stanno leggendo il manoscritto che l’assassino ha lasciato sul luogo del delitto, in diretta… lo stanno ascoltando in tutta la città!-
-Che cosa? Ma come…-
Beckett non riesce a formulare la domanda che il capitano la interrompe malamente.
-Ero al telefono con il direttore di rete. Nella loro redazione è arrivato un plico un’ora fa, il signor Trenton Bell lo ha letto, ha capito che si trattava del killer silenzioso, come lo hanno ribattezzato i media, e invece di chiamare la polizia, ha indetto un’edizione straordinaria per spiattellarlo in faccia al mondo!-
Alza le braccia facendole ricadere di peso ai fianchi, mentre Beckett stringe i pugni e le labbra in segno di rabbia.
-Espo, Ryan… portatemelo qui, subito!-
I ragazzi annuiscono e corrono verso l’ascensore, mentre lei, il capitano e Castle, rientrano nella stanza ad ascoltare la TV.
Il giornalista sta leggendo l’ultima frase del manoscritto, la minaccia finale lasciata dall’assassino.
La Gates spegne la televisione e guarda la sua detective.
-Questo scatenerà l’inferno!-
Castle rimane imbambolato davanti allo schermo nero a rimuginare.
-E’ intelligente, superbo… pieno di sé. Altro che killer silenzioso, vuole fare rumore, tanto da farsi sentire dal mondo intero. Da come si comporta, dovremo aspettarci un altro manoscritto con la descrizione della morte di Sarah Nichols.-
Sospira pesantemente.
-E questo è un altro indizio che presto ucciderà di nuovo!-
Corruccia la fornte abbassando il tono, come se sussurrasse a se stesso.
-Un capitolo per ogni vittima…-
Beckett abbassa lo sguardo, trattenendo il respiro.
Un capitolo per ogni vittima!?
Deglutisce estraniandosi completamente per un paio di secondi, sentendo le ultime parole di Rick come un eco.
-…sembra quasi che stia scrivendo un libro.-
-Un libro!? Crede davvero che questi omicidi possano avere per lui un filo logico e che stia scrivendo una storia?-
Chiede la Gates e lui annuisce, continuando a guardare lo schermo nero, come se osservasse riflesse, le immagini che esprime la sua mente.
-Una storia che ha per protagonista una donna a cui ancora non può arrivare. Una storia che, raccontata al mondo, deve avvertire questa donna…-
Si ferma guardando sottocchio Kate, che stringe la mascella.
-Ci ha dato da leggere il primo capitolo e ha già ucciso per la seconda volta. Pianifica gli omicidi nella sua mente come una trama, li mette per iscritto, descrivendone la dinamica così come la immagina e poi li mette in pratica.-
La Gates si mette alle sue spalle.
-Come fa a dire che scrive prima? Sarebbe più logico commettere l’assassinio e poi descriverlo. Sennò, perché non lasciare il manoscritto accanto al corpo di Geraldine Prescott?-
Lui scuote la testa senza voltarsi, sempre con lo sguardo fisso su quel buco nero che è lo schermo spento della televisione.
-Non so perché capitano, ma sono sicuro che ha già scritto la sua storia. Sicuramente dopo rivede il capitolo e lo sistema aggiungendo i particolari che possono mancare, ma la storia l’ha già scritta. Sa già come va a finire… almeno per come la vede lui! Sta scrivendo il suo libro trasformandolo in realtà e, mandandolo addirittura alla CNN, ha avuto la certezza che il mondo lo avrebbe letto… e soprattutto che lei, chiunque sia, lo avrebbe letto…-
Beckett stringe i pugni di riflesso, senza riuscire a capire perché le parole di Castle, con quell’intonazione e sottolineatura sul pronome lei, gli abbiano fatto salire la rabbia al cervello. Non può e non vuole credere che questo assassino si rivolga proprio a lei. Pensare che quei due cadaveri possano pesarle sulla coscienza, la spiazza.
Castle si gira finalmente a guardare le due donne. Si sofferma un attimo di troppo su Beckett, che rilascia i pugni e lo fissa con le labbra strette, come a volerlo rimproverare per quella teoria che ancora gli gira per la testa, ma lui non distoglie lo sguardo.
-Io lo trovo assolutamente senza senso!-
Sussurra la Gates, assimilando le parole di Castle, che solleva le spalle, continuando a guardare Kate.
-Lei non ha la mente malata, capitano!-
Le dice serio, mentre l’agente Velasquez si sporge attraverso la porta aperta.
-Capitano, il Sindaco vuole parlare con lei, subito.-
La donna sospira, sbuffando.
-Si è già… scatenato l’inferno!-
Fa segno ai due di uscire, chiudendo la porta e le veneziane, pronta per assorbire la strigliata dal sindaco.
-Lo sai cosa significa questo? Sai che impatto può avere sulla famiglia di Geraldine Prescott?-
Kate lo sussurra stancamente, mentre si siede alla sua scrivania, ma subito dopo sente di nuovo la rabbia divorarla.
-Maledizione! Non riesco proprio a raccapezzarmici! Comincia nell’ombra, senza dare nell’occhio e adesso addirittura si fa conoscere da tutta la città!-
-E’ a lei che si rivolge!-
Esclama secco Castle, sottolineando ancora una volta quel pronome e Beckett si sporge sulla scrivania guardandolo in cagnesco.
-Ancora con questa storia Castle? Ancora con questa teoria campata in aria, senza indizi, prove, o movente?-
Rick sta per risponderle, ma si blocca quando vede Martha e Alexis venire verso di loro sorridenti.
-Che ci fate qui? State bene… è successo qualcosa?-
Martha solleva la mano.
-Calmati Richard! Per venire a trovarvi a lavoro deve per forza succedere qualcosa?-
Lui cerca di ricomporsi e Kate sorride avvicinandosi a salutarle.
-Ciao Kate!-
L’abbraccia Alexis raggiante.
-Nonna ed io siamo andate a fare spese e visto che è già tardi abbiamo pensato di passarvi a prendere.-
Le schiaccia l’occhio e solleva le spalle.
-Così vi scrocchiamo anche un passaggio a casa.-
Solo in quel momento si rendono conto che è quasi l’una e che avevano in programma di pranzare tutti insieme prima della partenza della ragazza.
Kate la guarda imbarazzata e le stringe le mani.
-Alexis scusami, l’avevo proprio dimenticato. Io davvero non…-
-…non puoi venire!?-
Il sorriso della ragazza si spegne e subito dopo il suo sguardo viene catturato dalle foto sulla lavagna.
-Ma, i cadaveri sono due adesso?-
Rick la prende per mano.
-Ha ucciso un’altra donna ieri sera. Dobbiamo trovarlo al più presto, prima che lo faccia ancora.-
Alexis e Martha annuiscono insieme, ma Kate scuote la testa.
-Io devo trovarlo, tu vai a pranzo con loro.-
-Kate io…-
Alexis stringe la mano di suo padre e gli sorride.
-Non serve. Papà vuole rendersi utile e se sente di fare così, è giusto che lo faccia.-
-Ma Alexis…-
-Niente ma, Kate. A questo punto nonna ed io mangiamo qualcosa al volo e poi vado direttamente al Campus, così do una mano per le decorazioni della festa di stasera!-
Abbraccia Kate e bacia Rick, che la ferma trattenendola per il braccio.
-Quando finirà la festa, insomma quando sarai nella tua stanza, qualunque ora sia…-
-Ti chiamo papà, tranquillo. Prima di mettermi a letto ti telefono, promesso. Solo sappi che sarà tardi!-
Lui sorride e annuisce.
-Non importa, tu telefona! Divertiti e fa attenzione tesoro.-
 

La donna dagli occhi verdi aveva circa trent’anni, un bel sorriso e la pelle chiara.
Dalle sue  mani pendevano una busta di Armani e un'altra di Jimmy Cho, una donna di classe senza alcun dubbio.
Aveva incontrato un’amica. L’aveva chiamata Elisabeth, facendole segno con la mano per attirare la sua attenzione.
Anche il nome era di classe.
Si era fermato ad osservarle, mentre prendevano un caffè dirigendosi verso il parco.
Riusciva a sentire i loro discorsi, le solite chiacchiere da donne sugli uomini che non capiscono nulla del mondo femminile, sui pettegolezzi del vicinato e, naturalmente sui programmi della giornata.
Elisabeth sarebbe tornata a casa presto, era il suo giorno libero, aveva fatto spese folli e si era anche regalata un braccialetto di perle per riprendersi dalla separazione in atto con il marito.
L’amica l’aveva invitata a cena fuori con lei e altri conoscenti comuni, ma il Fato lo aveva aiutato anche stavolta. Elisabeth aveva declinato  l’invito perché l’indomani avrebbe dovuto eseguire un intervento chirurgico di mattina presto.
Era un medico.
Chissà di cosa si occupava, chissà le sue mani cosa erano capaci di fare.
Era quella giusta, non doveva fare altro che starle dietro fino a che fosse tornata a casa, il resto era già scritto.
Si sedette su una panchina, con la testa rivolta al cielo.
Non nevicava dalla notte precedente e il sole era piacevolmente caldo.
Mostrò il viso ben rasato, sul lato destro delle labbra risaltava una piccola cicatrice a mezza luna.
Con gli occhiali da sole e un berretto di lana abbassato fin sotto la fronte,  era uno come tanti, uno che non dava fastidio, uno che poteva anche non esistere, ma che si arrogava diritto di vita e di morte!
 
 
Il distretto era in fibrillazione. Ogni agente disponibile all’interno, era occupato a rispondere al telefono cercando di non ammattire per gli squilli degli apparecchi a cui nessuno poteva dare retta. La Gates era ancora impegnata con il sindaco, chiusa nel suo ufficio non dava segno di potere riemergere presto.
Dopo l’edizione straordinaria della CNN dove un giornalista aveva dato al mondo lettura del manoscritto del killer silenzioso, i cittadini di New York si ponevano tante domande.
Domande che esigevano assolutamente una risposta e questo stava mandando al collasso l’intera squadra omicidi del dodicesimo.
Cosa stava facendo la polizia mentre un pazzo assassino prendeva di mira le donne della città?
Per non parlare del fatto che i social network erano ininterrottamente intasati da centinaia e centinaia di messaggi che si dividevano su due fazioni controverse: da una parte chi condannava l’assassino e anche la polizia che non agiva in fretta, dall’altra i fan del killer che aveva trovato un modo originale di arrivare a farsi conoscere. Questo meritava sicuramente ammirazione.
Beckett cercava d’ignorare lo squillo continuo del suo telefono, non avrebbe risposto alle provocazioni, era più importante cercare altri indizi per mettere fine agli omicidi e anche all’adrenalina psicotica che aveva contagiato la città nel giro di un paio di ore.
Castle invece, seduto al suo posto, continuava a leggere e rileggere il manoscritto, sicuro che le risposte che cercavano erano celate proprio lì dentro, in mezzo a quella lacrima solitaria sulla guancia di una donna sconosciuta.
 
Le porte dell’ascensore si aprono e le urla provenienti da quella direzione attirano la loro attenzione.
Esposito tiene per le braccia il direttore della redazione della CNN, Kate sta per andare loro incontro, quando dall’ascensore spunta anche Ryan che tiene per le spalle una donna molto più agitata di Trenton Bell.
A quel punto anche Rick si alza dalla sua postazione e si dirige a passo svelto verso di loro insieme a Kate, mentre Bell continua a sbracciarsi per cercare di liberarsi dalla presa a tenaglia di Esposito, urlando a squarciagola contro la donna alle sue spalle.
Kate raggiunge la ragazza che continua ad aggredirlo verbalmente e abbassa entrambe le braccia tese verso terra con un gesto di stizza.
-Ora basta! Si può sapere che succede? Jessica cosa ci fa lei qui?-
La ragazza si scaglia ancora contro Bell e Kate la trattiene per il braccio.
-Jessica!-
Lei cerca di calmarsi e la guarda con le lacrime agli occhi, stringendo i pugni dalla rabbia.
-L’ha sentito? Ha sentito cos’ha mandato in onda questo… signore?-
Chiede piena di rabbia con il viso disgustato.
-Io la denuncio, mi ha aggredito, voglio fare una denuncia e denuncerò anche il Dipartimento, non avete nessun diritto di prelevarmi dal mio ufficio come se fossi un criminale…-
-Esposito, porta il signor Bell nella sala interrogatori.-
Alla frase secca della donna, Bell si zittisce di colpo e la guarda scoppiando a ridere.
-Porta? Cosa crede che sia un pacco?-
Dice quasi sibilando e Kate china la testa.
-Esposito, accompagna il signor Bell nella sala interrogatori e fallo accomodare.-
Lo guarda dritto negli occhi sorridendo.
-Così è più di suo gradimento signor Bell?-
Lui annuisce abbassando la guardia, pensando che quella donna se la sarebbe mangiata a colazione.
Esposito lo trascina via e Kate fa segno a Ryan di accompagnarli, poi solleva il viso di Jessica Benton mettendole due dita sotto al mento. Ha gli occhi pieni di lacrime.
-Vuole spiegarmi?-
-Quando ho sentito cosa stava leggendo quel giornalista… non ci ho visto più…-
Scoppia in singhiozzi. Rick la prende per le spalle e lei si aggrappa alla sua giacca come fosse un’ancora di salvezza.
-Come ha potuto mandare in onda quel… quel… oddio, come ha potuto!?-
Kate stringe le labbra e si avvicina a Rick.
-Ti spiace accompagnarla nella saletta?-
Lui annuisce e stringendola a sé si allontana, senza accorgersi che Bell è ancora nel corridoio e per poco non gli sbattono contro.
-Ma tu guarda! Richard Castle, lo scrittore che gioca a fare il poliziotto!-
Castle lo fulmina con lo sguardo e fa per passare oltre, ma il direttore continua imperterrito, rivolgendosi a Jessica.
-Non pensare di cavartela così piccola stupida, mi hai aggredito senza motivo, io ti denuncio!-
Castle si gira di colpo mettendosi faccia a faccia con lui e Kate trattiene il respiro, anche se non ha nessuna intenzione d’intervenire.
-Geraldine Prescott aveva una famiglia! Ringrazi il cielo che non sia venuto suo padre ad aggredirla, perché le avrebbe stretto le mani al collo e non avrebbe mollato la presa!-
Gli occhi di Bell sono attraversati da un lampo d’odio.
-Le ricordo che non l’ho uccisa io.-
-Oh… lo so! Ma vede, l’assassino è un assassino, come tale, lo abbiamo già catalogato e quando lo prenderemo sappiamo già cosa ne sarà di lui, mentre lei, con il suo bell’abito firmato va in giro pavoneggiandosi e fingendosi un gran signore, invece è soltanto un emerito stronzo!-
Gli risponde Rick stringendo la mascella. Bell sta per ribattere, ma Esposito lo trascina via, mentre urla a tutto il distretto che avrebbe denunciato anche lo scrittore da strapazzo.
Guarda un attimo Kate e poi Jessica, che per la prima volta gli mostra un timido sorriso a cui lui risponde, accompagnandola poi nella saletta ristoro.
Kate sospira e nota la Gates appoggiata alla porta del suo ufficio. Con la fronte corrucciata e le labbra strette in una linea sottile, le fa un cenno con la testa verso la sala interrogatori. La sua espressione le sta dicendo di fare vedere i sorci verdi a quel pallone gonfiato e lei annuisce convinta. Si dirige nell’anticamera della stanza interrogatori e si ferma ad osservare Bell.
Quarantasette anni, capelli brizzolati sulle tempie e occhi scuri. L’abito di taglio italiano e molto costoso, fa risaltare la sua figura asciutta. Gli articoli letti su di lui, sul direttore più giovane che il più importante network americano avesse mai visto, gli davano proprio giustizia. Elegante e anche affascinante, pronto a divorarsi il mondo e anche tutte le donne che avrebbero fatto lo sbaglio di cadere ai suoi piedi. Un uomo sicuramente pronto a tutto per avere tutto.
-Non sembra agitato nemmeno un po’.-
Affrema Esposito dietro le sue spalle.
-Direi che è ora di farlo agitare, allora!-
Il collega sorride, segue con occhi attenti Kate entrare e sedersi di fronte a Bell, che la guarda con un sorriso strafottente e i palmi delle mani appoggiati sul tavolo.
-Sono il detective Beckett, signor Bell, vorrei che rispondesse ad un paio di domande.-
Lui dondola la testa ridendo.
-Non avete il diritto di tenermi qui, non ho fatto niente.-
-La informo che i miei uomini hanno requisito il manoscritto e la busta che lo conteneva.-
Risponde lei senza fare caso alla sua affermazione. Bell si mette a braccia conserte e accavalla le gambe sorridendo.
-Seriamente? Un assassino è libero di ammazzare e mandare posta a chiunque e voi invece di cercarlo, ve la prendete con i bravi e onorati cittadini?-
Beckett incrocia le mani sulla scrivania e si sporge verso di lui.
-Signor Bell quando è arrivato il plico nel suo ufficio?-
-Verso le due del pomeriggio.-
Kate gli fa cenno con la testa di continuare e lui solleva gli occhi al cielo come scocciato.
-E’ stato consegnato a mano, il nostro fattorino lo ha trovato in una delle caselle di posta che la redazione mette a disposizione del pubblico, sa per la gente che vuole dare delle dritte… come mittente c’era la dicitura l’assassino silenzioso, così l’ho voluto visionare personalmente e mi sono reso conto subito che certi particolari poteva saperli solo il vero omicida.-
-E non le è venuto in mente di avvertire la polizia?-
Lui scoppia a ridere e mette di nuovo le mani sul tavolo.
-Scherza vero? L’ho mandato immediatamente in onda!-
-Ha idea di quello che ha fatto?-
Bell diventa serio e si sporge verso di lei.
-Ho fatto il mio lavoro detective e voi non avete nessun diritto di censurarmi.-
Beckett sospira cercando di mantenere la calma.
-Il suo lavoro è dare la notizia e la notizia è che due giovani donne sono state barbaramente uccise. E’ nel suo pieno diritto  dire che la polizia brancola nel buio, che siamo degli inetti, ma leggere quel manoscritto non è… dare la notizia!-
L’uomo non distoglie lo sguardo e sorride.
-E’ una notizia invece! E poi mi ha emozionato ed eccitato leggerlo, devo dire che ha stile, narrativamente parlando. Secondo i dati audience, alla gente è piaciuto!-
Kate batte la mano sul tavolo facendolo sussultare, si alza e avvicina il viso ad un paio di centimetri dal suo.
-Lei si rende conto che quel genio della narrativa descrive la morte di una ragazza di 26 anni? Si rende conto che quello che ha letto è successo davvero? Le è passato per la testa che Geraldine Prescott è rimasta vigile per mezz’ora, morendo di paura sapendo con certezza che quell’uomo l’avrebbe uccisa? Sa che le sensazioni che l’hanno eccitata leggendo di come il cuscino sulla faccia le annebbiava la mente e la soffocava, Geraldine le ha provate davvero sulla sua pelle?-
Finisce la frase sbattendo la foto del cadavere di Geraldine Prescott sul tavolo, costringendolo ad abbassare lo sguardo su di lei.
-La guardi attentamente signor Bell. E’ morta! E’ morta chiedendosi il perché. I suoi genitori si stanno chiedendo il perché! Ha idea di quello che possono aver provato venendo a conoscenza dei dettagli della morte della loro figlia?-
Per la prima volta Trenton Bell deglutisce visibilmente rendendosi conto che è lei che se lo sta mangiando per colazione e finalmente, quel sorriso sornione sparisce dalle sue labbra.
-D’accordo. Dimentichi quello che ho detto sulla buona lettura, riconosco di avere esagerato. Il resto però… il pubblico ha il diritto di sapere…-
Kate sospira e si siede sollevando la mano.
-Smettiamola con le stupidaggini. Lei doveva avvertire la polizia, in questi casi non esiste nessun diritto, non quando si ha a che fare con un omicida. Sa cos’ha fatto leggendo quelle parole davanti al mondo?-
L’uomo corruccia la fronte confuso.
-Lo ha reso importante, adesso crede di poter fare tutto quello che vuole. Se non lo avesse assecondato si sarebbe arrabbiato, avrebbe agito senza pensare, avrebbe potuto fare un errore, ora invece crede di essere onnipotente. Ora è più pericoloso e non si fermerà davanti a niente e a nessuno.-
Si alza senza dargli possibilità di rispondere e quando apre la porta lo guarda un’ultima volta.
-Chiami il suo avvocato, ne avrà bisogno!-
-Aspetti. Perché l’avvocato? Non avete il diritto di trattenermi, non ho fatto niente di illegale.-
-Intralcio alle indagini, occultazione di prove… se ci penso bene posso trovare anche altri capi d’accusa! Per non parlare del fatto che lei non si muoverà da qui finchè non avrò l’autorizzazione per controllare i suoi tabulati telefonici e quelli degli uffici della rete televisiva, oltre che per i suoi movimenti personali nell’ultima settimana. Voglio sperare che non abbia avuto nessun altro contatto con l’assassino, prima di quel manoscritto. Solo allora potrà andarsene!-
Esce sbattendosi la porta alle spalle e si dirige nell’anticamera, dove la Gates scuote la testa.
-Lo sai vero, che non possiamo trattenerlo? Con quelle accuse poi!-
Lei solleva le spalle.
-Certo che lo so e lo sa anche lui, quello che non sa è che l’autorizzazione per tutti i controlli necessari può tardare perché il giudice è irreperibile, oppure può perdersi nei meandri del distretto tra il tribunale e il distretto in qualunque momento. Potrebbero volerci delle ore in ognuno dei due casi. Restare qui in compagnia del suo avvocato per tutto il pomeriggio potrebbe fargli bene, è oberato di lavoro… almeno si riposa un po’!-
La Gates sorride e annuisce.
-Vuoi scusarmi Beckett? Ho una telefonata importante da fare!-
Lei scuote la testa seria.
-Lungi da me farle perdere tempo signore.-
Si guardano complici mentre il capitano esce, ed Esposito fa un fischio.
-Voi due siete pericolose!-
-Possiamo fare di peggio, mio caro Espo… ricordatelo!-
Risponde lei lasciandolo solo a tenere d’occhio l’onorato cittadino.
 
-Ti senti meglio?-
Le chiede Castle e Jessica annuisce senza alzare lo sguardo dalla tazza di decaffeinato che tiene tra le mani.
-Può denunciarmi sul serio? Anche se in effetti non me ne importa un fico secco, lo rifarei di nuovo.-
-Esattamente cosa… rifaresti?-
Lui sorride sedendole di fronte e lei solleva lo sguardo.
-Andare nel suo ufficio e insultarlo!-
Alza le spalle e beve un sorso di caffè.
-Va bene… non l’ho solo insultato, diciamo che gli ho mollato anche un ceffone.-
-Wow! Nel suo ufficio e davanti a tutti?-
Le chiede Castle e lei annuisce seria.
-Non aveva nessun diritto di…-
Il nodo in gola si presenta puntuale e Rick le accarezza una guancia.
-No, non aveva nessun diritto! Non preoccuparti per la denuncia, uscirà da quella stanza così acciaccato che vorrà solo chiudersi in ritiro spirituale. Beckett sa essere pericolosa!-
Lei sorride e si asciuga le lacrime.
-Grazie per avermi difeso e per avere difeso anche la famiglia di Geri.-
-Mi sarebbe piaciuto prenderlo a pugni, ma…-
Solleva le spalle e sorride riuscendo a far sorridere anche lei.
Kate li guarda da fuori la porta, osserva il viso arrossato e le occhiaie di Jessica e osserva anche il viso di Castle, che sorride dolcemente mentre guarda quella ragazza con il cuore a pezzi. La guarda come guarderebbe Alexis e le si apre il cuore per come riesce ad immedesimarsi nell’animo delle persone e a soffrire e gioire con loro.
E’ questo che mi ha conquistato principalmente di lui?
Rinuncia a darsi una risposta al momento ed entra in silenzio, sedendosi accanto alla ragazza.
-Tutto bene?-
Chiede guardando Rick, che annuisce.
-Meriterebbe la prigione per quello che ha fatto.-
Esclama Jessica guardandola dritto negli occhi.
-Purtroppo non è imputabile di nulla, non posso trattenerlo, ma posso fargli passare una brutta giornata… così, giusto per soddisfazione.-
Jessica annuisce e lei continua.
-Mi sono permessa di telefonare al tuo fidanzato, sta venendo a prenderti.-
-Non avrebbe dovuto, era a lavoro, avrei potuto prendere un taxi.-
Kate scuote la testa e le prende la mano.
-Sta arrivando e sappi che è arrabbiato perché non lo hai chiamato subito.-
Lei sorride.
-Se lo avessi fatto sarebbe andato lui da quel gentiluomo e allora si che avrebbe dovuto preoccuparsi.-
Rick si alza e le offre la mano.
-Vieni, ti accompagno giù, aspetteremo Gordon insieme, così prendo un po’ d’aria anch’io!-
La ragazza annuisce e lo segue fuori dalla stanza.
-Grazie ancora di tutto, detective…-
 
 
Guardava la finestra illuminata della palazzina a due piani.
L’aveva seguita fino a Bedford Hills, era rientrata a casa dalla sua giornata di libertà verso le cinque del pomeriggio.
Elisabeth si era chiusa la porta alle spalle e lui si era avvicinato alla casa, senza dare nell’occhio.
Da una giusta distanza di sicurezza lesse il nome completo sulla targhetta accanto al campanello: Elisabeth e Brad Hollssen.
Non aveva ancora tolto il nome del marito, probabilmente si erano separati da poco e da poco viveva da sola.
Con le mani in tasca si posizionò all’altro lato della strada, vicino ad un campetto di basket, fingendo di interessarsi alla partita improvvisata dai ragazzini del quartiere.
Sollevò di nuovo lo sguardo sulla finestra del secondo piano, l’ombra della donna appariva e spariva dietro la tenda.
Chiuse gli occhi immaginando i suoi movimenti.
Dopo essere entrata, era sparita per una ventina di minuti, probabilmente si era fatta la doccia, si era struccata e cambiata per la serata in casa.
Annusò l’aria davanti a sé, come a sentire l’odore del bagno schiuma sulla sua pelle candida.
Immaginò di toccare il suo corpo, di accarezzare il suo ventre piatto e vide la sua mano scrivere con fare morbido e perfetto.
Riaprì gli occhi destandosi dalle sue fantasie dopo che il clacson prepotente di un auto lo aveva fatto sussultare.
Guardò l’orologio: mancavano 15 minuti alle sei.
Decise che era ora di mettersi a lavoro.
Attraversò la strada avviandosi verso la casa, guardandosi intorno con calma.
La zona era elegante, case mono familiari a più piani, separate tra loro da un grande giardino che circondava tutta la palazzina, con posto auto annesso e garage con apertura elettronica, il cui interno aveva sicuramente un accesso diretto alla casa.
Sorrise sornione e tornò al suo appartamento a preparasi.
Doveva cambiare abito e volto, doveva sistemare lo zaino e rileggere il capitolo che avrebbe lasciato accanto al nuovo messaggio.
Era già tutto scritto, ma doveva aggiungere ancora qualcosa.
Mentre camminava leggero e sorridente, estrasse la mano dalla tasca e aprì il palmo.
Un orecchino di ametista brillò davanti ai suoi occhi.
Richiuse il palmo e lo portò accanto alle labbra, chiudendo gli occhi per l’emozione.
Elisabeth Hollsen avrebbe portato la parte finale del suo messaggio, dopo di lei sarebbe davvero cominciato l’inferno!


Angolo di Rebecca:

Grande fermento al distretto, il nostro amico ha deciso di fare le cose in grande e Castle è sempre più sicuro che le sue attenzioni sono proprio per Kate.
Beckett e la Gates sono terribili, meglio stare alla larga quando sono insieme :)
Il killer intanto, segue la sua nuova vittima...

Un grazie immenso e affettuoso a tutti *-*



 

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Capitolo 10
*** Brancolando nel Buio ***




 


Capitolo 10
 

Era passata l’ora di cena quando Trenton Bell ricevette il via libera per lasciare il distretto.
Il suo avvocato aveva sbraitato e sputato fiamme dalle narici per ore contro l’abuso di potere del capo della sezione omicidi del dodicesimo. Nonostante le lamentele, il capitano Victoria Gates, che aveva tenuto a precisare il suo nome per intero scandendolo in sillabe, sapeva di avere la coscienza pulita.
Non era certo colpa sua se il giudice che si occupava del caso e doveva firmare le autorizzazioni per i tabulati, era stato irreperibile fino alle cinque del pomeriggio e se, anche dopo, quel benedetto foglio firmato aveva tardato ad arrivare, perdendosi nel tragitto tra il tribunale e il distretto, per altre due ore.
Alle sette avevano finalmente messo mano ai tabulati telefonici dell’ufficio e personali di Bell e, dopo avere appurato che il direttore della redazione della CNN, non aveva ricevuto telefonate anonime o da numeri sconosciuti sospetti, il capitano Gates in persona lo aveva accompagnato all’ascensore.
L’avvocato si era congedato con un ‘non finisce qui’ e lei aveva risposto al saluto con un ‘non lasci la città’, precisando di tenersi reperibile e contattare il detective Katherine Beckett immediatamente, nel caso in cui avesse ricevuto altra posta dall’assassino.
Castle era rimasto in disparte tutta la sera. Si era occupato con Beckett di studiare le ultime ore di vita delle vittime, per poterle mettere a confronto e trovare un filo logico negli omicidi.
Quando le porte dell’ascensore si chiusero la Gates tornò sui suoi passi, lentamente, con l’espressione sempre più cupa.
Seria ed elegante nel suo tailleur rosso, con la sua carpetta nera tra le mani e… cos’era quello sulle sue labbra? Un ghigno di soddisfazione?
Rick l’aveva seguita con lo sguardo fino a quando era rientrata nel suo ufficio ed aveva chiuso la porta. Inaspettatamente e senza motivo, aveva sentito un moto di orgoglio improvviso verso la donna.
Era fiero di lavorare con lei, anche se si mostrava contrariata dalla sua presenza e dava ad intendere di non sopportarlo, ma questo non era importante. Più la conosceva, più la vedeva all’opera sul campo e più capiva che era un ottimo capo, degna di occupare il posto del capitano Roy Montgomery.
Si sentì sollevato dalla sua affermazione mentale, chiedendosi il perché e, senza pensarci su nemmeno tanto, si diede anche una risposta. Il motivo era che Kate e i suoi colleghi potevano contare sul loro comandante in qualunque momento e questo lo rassicurava.
In serata il distretto era tornato lentamente alla normalità, i telefoni squillavano con meno frequenza e, anche se la notizia del giorno non sarebbe sparita presto dai video e la popolazione non avrebbe smesso di provare sfiducia nelle forze dell’ordine, la polizia avrebbe potuto continuare le sue indagini con più tranquillità.
Nelle ore in cui Trenton Bell era rimasto in custodia, Esposito e Ryan erano stati alla redazione, avevano interrogato tutti, dai fattorini al giornalista che era andato in onda. Avevano controllato le cassette postali e ritirato i filmati delle telecamere poste a sorvegliarle. Uno dei fotogrammi mostrava la busta che conteneva il manoscritto. Era stata imbucata da un maschio bianco, alto circa un metro e ottanta, occhiali da sole che nascondevano il viso ricoperto da baffi e pizzetto. Nessun segno particolare che potesse portare a identificarlo, né sul viso, né sui vestiti che indossava.
Riguardo le due vittime, Beckett e Castle avevano controllato e ricontrollato ogni minimo particolare.
L’autopsia di Sarah Nichols si era rivelata essere una fotocopia esatta di quella della Prescott; oltre alla frase diversa scritta sul suo corpo, probabilmente un continuo della precedente, anche lei era stata drogata e uccisa con le stesse modalità e alla stessa ora. La differenza stava nel modo in cui l’assassino si era avvicinato alle vittime. Con la prima era entrato nel suo mondo di nascosto, prendendola alla sprovvista, con la seconda si era addirittura presentato alla porta di casa e lei lo aveva invitato ad entrare.
Perché? Perché stavolta non aveva fatto attenzione a nascondersi e a passare inosservato? Perché una volta uscito dopo aver commesso l’omicidio, era andato verso l’incrocio, sapendo benissimo che al semaforo c’era una telecamera per il traffico che avrebbe potuto riprenderlo?
Alle 21,13 quella telecamera aveva registrato un uomo alto, con impermeabile e cappello neri, avviarsi all’angolo della strada e sparire. Combaciava perfettamente con la descrizione rilasciata dalla vicina della Nichols.
 
 
Il formicolio alle dita delle mani la spinse ad aprire gli occhi.
Ci mise qualche secondo per rendersi conto che quello era l’unico movimento a cui rispondeva il suo corpo.
Il formicolio aumentava, diventando quasi insopportabile.
Voleva battere la mano sul letto in modo da rimettere in circolo il sangue e riprendere sensibilità, ma più si concentrava per riuscirci, più le mani diventavano pesanti.
Prese respiro un attimo, chiuse gli occhi e li riaprì subito dopo, ma con più calma.
Niente da fare, le mani non volevano saperne di chiudersi a pugno e anche il resto del corpo aveva deciso improvvisamente di non rispondere più agli impulsi del suo cervello.
Quello funzionava bene.
Era sicura di essere sveglia, di non trovarsi dentro ad un incubo che la teneva immobilizzata.
Era sveglia e non riusciva a muoversi.
Perché?
Cercò di fare mente locale, di capire perché era distesa sul letto e non riusciva a ricordare.
Succo d’arancia…
Perché le tornava in mente il succo d’arancia?
Chiuse ancora gli occhi e inspirò profondamente, il suo corpo era insensibile e intorpidito, al contrario delle sua orecchie che percepivano adesso dei lievi rumori alla sua destra.
Inspirò a fatica, riuscì a non soffocare in un colpo di tosse e si umettò le labbra con la lingua.
Succo d’arancia!
Ecco perché le veniva in mente il succo d’arancia, aveva sete, voleva berne un bicchiere… era china davanti al frigorifero, intenta a prendere la bottiglia e quando aveva chiuso lo sportello, lui era lì a pochi centimetri da lei.
Ricordava di essersi chiesta, tra lo stupore e la paura improvvisi, come avesse fatto quell’uomo ad entrare in casa.
Ricordava un cappello nero,  niente viso… ma un ghigno che gli deformava la bocca.
Era stato tutto così veloce che non le era caduta nemmeno la bottiglia dalle mani, almeno questo era il suo pensiero, non ricordava di avere sentito il rumore dei frantumi del vetro sul pavimento. Ricordava invece un bruciore intenso vicino al collo e poi…
Si passò la lingua sulle labbra un’altra volta… avrebbe dato qualunque cosa per un sorso di quel succo d’arancia che le rinfrescasse il fuoco secco che sentiva nella gola.
Il rumore alla sua destra divenne più presente, lui era sicuramente accanto a lei, vicino alla porta del bagno e probabilmente la stava fissando, in silenzio…
Cercò ancora una volta di muoversi, voleva girare la testa anche di poco per riuscire a vederlo.
Spostò gli occhi a destra e a sinistra velocemente, come se questo avesse potuto aiutarla a muovere anche il collo, ma di colpo, bloccò anche l’unico movimento che le riusciva, perché sentì il calore del suo respiro addosso.
Il respiro diventò freddo provocandole brividi attraverso la colonna vertebrale.
Percepì delle piccole scosse, il formicolio delle dita si era cosparso per tutto il corpo.
Se fosse riuscita a muoversi probabilmente tutto questo l’avrebbe fatta tremare, ma non ci riusciva e quel tremore si ripercuoteva all’interno del suo corpo, fin dentro le viscere.
Chiuse gli occhi quando l’ombra della mano sconosciuta si accostò ai suoi capelli. Glieli sistemò dietro l’orecchio e poi le passò il dorso sulla guancia. L’aveva solo sfiorata, con tenerezza, come se volesse rassicurarla.
Lo vide allontanarsi, prendere una sedia vicino alla sua toeletta e sedersi accanto a lei.
Senza il cappello riusciva a vederlo in volto, era uno come tanti, uno che non conosceva, ne era sicura.
Stava sistemando qualcosa sul comodino e questo le fece ricordare la paura che si era assopita dando vita ai suoi pensieri.
Cosa stava facendo? Perché era così calmo? Come poteva essere entrato in casa sua senza essere visto da nessuno e soprattutto da lei. Non aveva sentito niente, le finestre erano chiuse ermeticamente… come?
-Gli aggeggi elettronici sono incredibili, se sei abbastanza intelligente da saperli programmare e usare!-
Elisabeth spostò gli occhi verso la sua destra, voleva assolutamente guardarlo in faccia.
Perché le aveva detto quella frase? Non solo aveva infranto il suo diritto di libertà dentro la sua casa. Non solo la stava terrorizzando. Non solo voleva farle del male, si stava anche arrogando il diritto di entrare nella sua mente, di conoscere i suoi pensieri e le sue paure…
-Basta sistemare i circuiti di un telecomando qualsiasi e trovare la frequenza giusta… la porta del garage si è aperta ad un mio comando, come se avessi semplicemente detto ‘apriti sesamo…’ ed eccomi qui!-
Si stava prendendo gioco di lei con quella voce melensa, con l’aria di uno che vuole coccolarla e farla sentire al sicuro.
Finalmente dopo tanti minuti riuscì a deglutire, a sentire un po’ di refrigerio con la poca saliva che era passata attraverso la sua gola.
-C… cosa vuoi far… mi?-
Lui non rispose.
Sorrise leggendo la scritta Yale al centro della maglietta che aveva indossato dopo la doccia, la arrotolò lentamente fino a sotto il seno, mentre il respiro della donna diventava sempre più pesante. Si avvicinò per farsi vedere in volto.
Voleva che lo guardasse.
-Se avessimo più tempo ti farei leggere il capitolo in cui sei protagonista. Ti piacerebbe. Purtroppo non posso soffermarmi.-
Protagonista? Capitolo?
Riuscì a inarcare le dita della mano, ebbe la sensazione di stringere le lenzuola, ma non era del tutto sicura, sentiva soltanto dolore e formicolio, come se fosse immobile da giorni e non da pochi minuti.
Riuscì anche a chinare di poco la testa, non tanto però da vedere cosa stava per fare il suo carnefice.
Sbarrò gli occhi, ripetendo quella parola che le era balenata nel cervello e riportò la testa all’indietro, sentendo bruciare gli occhi.
Per la prima volta in quel frangente, si era resa conto che probabilmente sarebbe morta.
Qualcosa le sfiorò lo stomaco a partire dal seno e la riportò alla cruda realtà.
Che stava aspettando? Perché non la uccideva e basta!
Anche stavolta lui rubò i suoi pensieri e le sue paure.
-Tu porterai con te l’ultima parte del mio messaggio, prima che tutto abbia inizio…-
Lei chiuse gli occhi e quelle lacrime calde che non erano ancora scese, si liberarono improvvisamente sulle tempie.
-Lo so che avrei potuto andare direttamente al punto. Lo so che avrei dovuto colpire direttamente la fonte di tutto… ma vederla confusa mi fa sentire così bene… e voi… tutte voi… la state proprio confondendo!-
Riaprì gli occhi e lo vide rimettere il tappo ad un pennarello, per poi riporlo nello zaino. Capì che aveva scritto qualcosa sul suo corpo.
Ma cosa? Perché?
Mise a posto la sedia, ripulì tutto e si soffermò a guardare il tailleur di Armani che la donna aveva comprato quel pomeriggio. Si avvicinò alla toeletta, seguito dallo sguardo atterrito della sua vittima. Aprì lo scatolo di velluto blu che conteneva il bracciale di perle e glielo mostrò.
-Ti sei fatta proprio un bel regalo oggi, meritato… tuo marito è uno stupido! Lasciarsi scappare una donna come te.-
Le asciugò le lacrime e le passò ancora una volta la mano sui capelli sorridendo.
-Sei una donna di classe… come lei!-
Si sporse leggermente oltre lei prendendo il cuscino accanto.
Elisabeth lo guardò con gli occhi sbarrati, stava per ucciderla!
La guardava tranquillo, quasi beffardo, consapevole dell’atto che stava per compiere, senza nemmeno un briciolo di pentimento o dispiacere nello sguardo.
Fissò gli occhi sul cuscino sopra di lei, sentì i battiti accelerare e cercò di respirare a fondo, con l’unico risultato di ansimare in maniera convulsa. Le narici si allargavano e stringevano ritmicamente e velocemente, come a volere accumulare più aria possibile per sopravvivere anche con il naso e la bocca tappati.
Il cuscino si avvicinò al suo volto, i respiri veloci si trasformarono in un sospiro arrendevole e chiuse gli occhi abbandonandosi alla sua paura.
Cercò di stringere i pugni e quando anche questo le fu vietato, strinse gli occhi ancora di più, non per la paura stavolta, ma per la rabbia di non potersi difendere, di non poter evitare l’inevitabile.
Il suo respiro rallentò, i battiti del suo cuore rallentarono, continuò a sentirli rimbombare dentro le orecchie ancora qualche secondo, finchè il silenzio s’impossessò di lei.
Il capitolo era pronto…
Lo poggiò accanto a lei. Mise sulla lacrima della donna nella copertina l’orecchino di ametista, coprì tutto con il cuscino e si guardò intorno un’ultima volta.
Si mise il bracciale il tasca e lasciò l’astuccio accanto al capitolo… era ora di andare…
Si ritrovò in strada dopo qualche minuto, non gli importava ormai di essere visto, aveva portato a termine il suo lavoro.
Tra qualche ora avrebbe cominciato a scrivere la fine del suo racconto.
Si avviò con passo tranquillo verso sud, quando vide un taxi venire nella sua direzione sollevò la mano, salì con calma  e diede l’indirizzo.
Guardò la casa di Elisabeth Hollson e sorrise soddisfatto, pensando a come era stato facile entrare…
La porta del garage si apriva lentamente dal basso in alto, questo poteva essere un problema perché qualcuno avrebbe potuto vederlo. Non che importasse a questo punto, ma aveva bisogno della sua mezz’ora di tempo perché anche questa volta fosse tutto perfetto, così come lo aveva scritto.
Doveva fare in fretta, doveva essere veloce ed entrare in pochi secondi, senza che la porta si sollevasse del tutto per poi richiudersi.
Aveva portato con sé i suoi congegni, sapeva bene come usarli.
Si sporse in avanti e toccò la spalla del tassista, dicendogli che aveva cambiato idea, dandogli un nuovo indirizzo.
In fondo era ancora troppo presto per tornare a casa…
 
 
Sono le 23.30 passate. Sulla lavagna, accanto alle foto delle due vittime, spiccano gli scatti delle telecamere con i due individui in primo piano, mentre gli ingrandimenti fatti da tutte le angolazioni possibili e immaginabili passano di mano in mano a tutta la squadra, per cercare di trovare un qualsiasi, banale indizio.
Nella stanza delle riunioni, Ryan continua a maneggiare il telecomando dello schermo gigante, mandando avanti e indietro le immagini a rallentatore che mostrano il sospettato.
-Il confronto con il data base internazionale ha dato esito?-
-Nessuno signore. Le foto sono sgranate, i lineamenti sono troppo sfocati per poter provare un confronto.-
Risponde Esposito posando le foto sulla scrivania sbuffando, mentre Ryan continua a visionarle attentamente.
-E’ la stessa persona, solo che la sera non ha gli occhiali da sole e si vede il neo sulla guancia. Nonostante siano sgranate, si vede che la corporatura è la stessa. Non si preoccupa per niente di nascondersi!-
Esclama lanciando le foto sul tavolo con un gesto di stizza, passandosi poi la mano sul viso.
-Non teme le telecamere perché sa benissimo che non possiamo riconoscerlo, è consapevole che l’inquadratura è troppo lontana per poter mostrare qualunque indizio.-
La voce di Kate arriva stanca alle orecchie di tutti.
-Anche se non riesco a capire perché per il primo omicidio si è preoccupato di nascondersi, di non lasciare tracce, mentre 24 ore dopo si fa filmare dalle telecamere e vedere dai vicini, anche se irriconoscibile!-
Si porta le mani ai capelli sollevandoli in un gesto quasi istintivo, come per darsi la carica, lasciandoli ricadere subito dopo sulle spalle.
La Gates si toglie gli occhiali, controlla l’orologio e si alza in piedi.
-Signori, è mezzanotte passata e siamo tutti stanchi. Riprendiamo domani.-
Guardano tutti Beckett, come se aspettassero il suo permesso e lei si sporge sul tavolo scuotendo la testa.
-Capitano non possiamo smettere adesso, dobbiamo trovare subito un indizio, la prossima vittima potrebbe già…-
La donna alza la mano e la ferma.
-Beckett so anch’io che colpirà di nuovo, ma restare qui tutta la notte a ricontrollare le stesse cose, non ci porterà a niente. Siamo stanchi e domani sarà una giornata altrettanto dura. Ci servono un paio di ore di sonno.-
-Ma signore…-
-E’ un ordine detective! Ci vediamo domani mattina alle otto.-
Senza attendere risposta prende le sue cose e si avvia all’uscita.
La maggior parte dei colleghi sono andati via da ore, le postazioni alle scrivanie sono al buio e le uniche luci accese sono quelle che illuminano la lavagna e le lampade nella sala riunioni, nella quale stanno lavorando da ore.
Ryan ed Esposito la guardano seri, senza muoversi, aspettando un suo cenno. Lei sospira, si alza e prende il cappotto lasciato andare ore prima sulla sedia.
-Il capitano ha ragione, restare qui tutta la notte non serve a niente, non senza altri indizi. Domani ricominciamo daccapo con i controlli e gl’interrogatori, ripercorreremo ogni passo finché non troveremo qualcosa di utile...-
Si gira a guardare le foto delle due vittime, mentre i ragazzi sistemano fascicoli e foto in silenzio, sapendo che la frase lasciata in sospeso da Beckett lascia ad intendere la speranza di non doversi occupare di un altro cadavere.
-A domani Beckett… notte Castle…-
Rick aspetta che Ryan ed Esposito escano e aiuta Kate ad infilare il cappotto e spegne le luci. Salutano i colleghi di turno per la notte e in silenzio si dirigono all’ascensore.
-Andiamo da me? Non so se lo sai ma ho casa libera stasera.-
Le dice cercando di alleggerire la tensione, pigiando il pulsante per il piano terra e lei annuisce pensierosa.
Salgono in macchina, ma prima di mettere in moto, Kate si guarda intorno.
Nonostante l’ora, il traffico è ancora caotico e non riesce a non pensare alle persone in macchina che le passano accanto, alla coppietta che passeggia abbracciata davanti a loro. Gente consapevole dei pericoli che la parte buia della città nasconde, ma che non pensa mai che il pericolo può essere dietro l’angolo proprio per loro.
Sposta lo sguardo dove il buio le impedisce di vedere oltre e, inconsciamente sfiora, con le dita della mano destra, il polso sinistro.
Chiusa dentro al distretto a lavorare, sopraffatta dalla velocità degli avvenimenti del pomeriggio, non aveva avuto modo di pensare e sentire ancora quella strana sensazione di abbandono e di ansia, che improvvisamente la sorprende in quel preciso istante.
La carezza sul polso non sfugge a Rick.
La osserva per un paio di secondi, riportandola alla realtà con la stretta della sua mano e lei si volta di scatto a guardarlo.
-Andiamo a riposare Kate…-
Il suo è un sorriso stanco su un’espressione dolcissima, mentre le stringe la mano e lei non può fare a meno di sorridere. Istintivamente gli accarezza il viso e gli posa un veloce bacio sulle labbra.
-Hai ragione. Andiamo a casa!-
 
 
Il tassista lo guardava di tanto in tanto dallo specchietto retrovisore, fortunatamente non era uno di quelli che aveva come scopo nella vita di attaccare bottone con i clienti a qualunque costo.
Sedeva rilassato guardando la città frenetica fuori dal finestrino, ma le luci che sfrecciavano davanti ai suoi occhi gli fecero pensare a quel liquido azzurro cielo, limpido e fluido, racchiuso in un’ampollina di vetro minuscola come una biglia, ma dalla forma quadrata.

-Hai detto di avere trovato la formula, allora perché non è ancora nelle mie mani?-
Era furioso. Il Professore lo aveva avvertito che il veleno era pronto, ma che gli serviva un po’ di tempo per perfezionare il suo effetto. Dopo quattro giorni di silenzio si sentiva come un leone in gabbia. Pronto ad azzannare, ma senza la possibilità di farlo.
-Non è semplice!-
Il Professore cercava di mantenere la calma, lo invitò a sedersi sulla poltrona e si accomodò accanto a lui.
-Ascolta, fare il veleno non è stato poi così difficile, ma tu hai richiesto delle caratteristiche particolari, dei tempi particolari.-
Stephan lo ascoltava con lo sguardo infuocato, mentre Abraham nel più assoluto silenzio, porgeva loro una tazza di caffè.
Guardò il liquido nero e annuì verso il Professore, per incitarlo a continuare.
L’uomo posò la sua tazza sul tavolino e prese un respiro profondo.
-Mi hai chiesto 72 ore. Tempo in cui devi sapere esattamente cosa succederà ora dopo ora. Perchè questo sia possibile ho dovuto calibrare bene tutto quanto. Un topino non ha le stesse funzioni vitali e neurovegetative di un essere umano, per non parlare del peso della massa corporea, muscolare e…-
Stephan sollevò la mano e lo bloccò.
-I particolari dei tuoi studi non mi interessano. Voglio solo sapere… ‘quando!?’-
Il professore annui. Si alzò e da una scatola sopra il caminetto, prese una boccettina minuscola e gliela mostrò.
-Sto distillando proprio adesso il risultato finale. Stasera Abraham ti porterà quest’ampollina piena.-
Lui scattò dalla sedia e afferrò la boccetta.
-Solo questa? Mi stai prendendo in giro!?-
Sembrava furente e il Professore sospirò, non per paura, ma perché il suo interlocutore sembrava non capire, o forse non voleva, quanto realmente pericoloso fosse quello che stava per fare.
-Stephan! Il veleno che ti ho preparato è pericolosissimo. Senza la formula esatta nessuno potrà trovare un antidoto in tempo. E’ potentissimo. Per l’effetto che desideri tu, ne occorre una quantità infinitesiamle.-
Lui lo guardò scettico.
-Parliamo solo di una goccia! Come può essere?-
-Fidati Stephan! Più veleno usi, più veloce è la morte… tu vuoi che sia lenta e piena di sofferenza, perciò una sola goccia basterà!-
Aveva sollevato l’ampollina, ancora vuota, verso la lampada e l’aveva guardata quasi in adorazione.
Quello sul suo viso non era un sorriso, ma una deformazione della bocca che fece accapponare la pelle al Professore.
-Se dovessi usare l’intera dose, in quanto tempo sopraggiungerebbe la morte?-
Chiese senza togliere lo sguardo da quel piccolo recipiente e il Professore deglutì vistosamente stritolandosi le mani.
-Tre… cinque minuti al massimo!-
Stephan gli restituì l’ampollina, gli strinse la mano con forza e si avvicinò ad una paio di centimetri dal suo naso.
-Aspetto il tuo sgorbio questa sera, non dimenticartene, non ti piacerebbe se tornassi io…-
La paura e la sottomissione sparirono per un attimo e, per la prima volta, il Professore lo guardò con disprezzo.
-Abraham è mio amico e gradirei che tu lo rispettassi!-
Stephan scoppiò a ridere, si divertì per parecchi secondi tornando poi improvvisamente serio.
-Hai delle strane tendenze, ma hai anche il cuore tenero… questo non è un bene, caro il mio Professore…-
Quello stesso pomeriggio Abraham gli aveva consegnato il suo tesoro e lui si era messo all’opera.

-Povero Professore, in un’altra vita saresti stato una mente illustre!-
Sussurrò a se stesso, tornando alla realtà, mentre osservava attentamente il palazzo di fronte, dall’angolo in penombra in cui si era nascosto.
Dopo essere sceso dal taxi si era diretto in un vicolo stretto e buio.
Dietro un cumulo di spazzatura si era cambiato, indossando un giaccone verde militare pieno di tasche e cerniere, coprendosi con un berretto di lana pesante dello stesso colore.
Aveva cambiato ancora una volta fisionomia, mettendosi una barba incolta, brizzolata, che nascondeva quasi del tutto i suoi lineamenti.
Anche se non fosse stata distratta dalla stretta di mano del suo uomo, lei non lo avrebbe riconosciuto comunque.
Percorse a piedi i due isolati che gli restavano per raggiungere il dodicesimo e si mise in attesa.
L’avrebbe aspettata anche tutta la notte se fosse stato necessario.
La conosceva bene, sapeva che avrebbe lavorato ininterrottamente per evitare altre vittime, ma era stato fortunato perché lei era apparsa solo un paio di ore dopo.
Quando era salita in macchina aveva l’aria stanca… e lui era con lei, sempre con lei, appiccicato a lei…
Si era guardata intorno, aveva posato lo sguardo al di là del buio del suo nascondiglio.
Lei sentiva che era lì... ma il suo compagno l’aveva distolta prendendole la mano tra le sue.
Uscì dal suo angolo e seguì attentamente i fari posteriori dell’auto diventare piccole luci nel traffico della notte, man mano che si allontanavano da lui.
Tutto si stava svolgendo come nel suo libro.
I primi tre capitoli erano tutti per lei, ed erano perfetti…

 

Angolo di Rebecca:

La nostra squadra brancola nel buio, mentre il nostro amico si diverte più che mai...
La Gates è tremenda e Castle ne è orgoglioso ;)
Ora i due piccioncini tornano a casa (vanno da lui...) e l'altro lui li controlla a vista!

Oggi è la giornata mondiale degli abbracci, quindi... un abbraccio a tutti e grazie *-*

 

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Capitolo 11
*** Veglio su di Te... ***







Capitolo 11
 

 
 
Rientrano al loft mano nella mano, persi nel silenzio dei loro pensieri, che alla fine sono gli stessi: sentono un contatto con le vittime che va ben oltre la fase lavorativa e questo li spiazza.
Con movimenti stanchi sistemano i cappotti all’entrata e, senza perdere il contatto delle mani, si dirigono in camera da letto.
-Sono stanchissima! Ho assoluto bisogno di una doccia, ti spiace?-
Rick le accarezza il viso e sorride.
-Smetterai un giorno di chiedere? Questa è casa tua Kate… puoi fare quello che vuoi senza esporre prima i tuoi piani.-
Lei arrossisce leggermente, china la testa per non dare nell’occhio e lui sospira, lasciando cadere il discorso.
-Io mi cambio, mi lavo i denti e ti aspetto a letto! Sono distrutto anch’io.-
Circa venti minuti dopo, Kate è ancora chiusa dentro il box doccia. Appena l’acqua calda ha cominciato ad accarezzarla, ha sentito tutta la stanchezza accumulata diventare pesante. Nelle ultime ore non aveva avvertito spossatezza, solo frustrazione. Ora, con la complicità del silenzio in auto, dei pensieri che si affollano uno dietro l’altro, dell’espressione di Rick che continua  ad essere preoccupato per qualcosa di insensato, come lei del resto, riesce a sentire il peso di questo caso, che non è come gli altri, nonostante continui a ripetersi che non ha senso.
Non si rende conto del tempo che passa e resta sotto il getto di acqua calda, cercando di riprendere il controllo della sua parte razionale, perché quella emotiva la sta distruggendo e non la fa pensare lucidamente.
La razionalità la porta a vedere questo assassino come tutti gli altri, mentre le emozioni e le sensazioni forti collegate a quel posto vuoto sul suo polso, sono realmente irrazionali, quanto la pazzia che spinge il killer ad uccidere.
Chiude l’acqua e si lascia abbracciare dall’accappatoio per un paio di minuti, asciugandosi con calma.
Indossa la sua maglia per la notte e rientra in camera.
Guarda direttamente verso il letto, pensando di godersi Rick sprofondato nel sonno, invece lui è in piedi accanto alla finestra, con lo sguardo rivolto in basso, verso la strada, anche se non è sicura che stia realmente vedendo quello che c’è parecchi piani più giù.
Istintivamente si stringe a lui appoggiando il mento sulla sua spalla, facendolo sussultare leggermente.
-Ho perso la cognizione del tempo… scusa…-
Lui si gira e la avvolge tra le sue braccia, si perde sul suo collo e sospira.
-Dì la verità… con questo profumo vuoi uccidermi!-
Lei sorride e gli accarezza i capelli.
-Credevo di trovarti già addormentato… che stavi guardando?-
Gli chiede sporgendosi verso la finestra.
-Solo la nostra splendida città.-
Lei storce le labbra.
-Mmhh… devo crederci? Non è che ti stai chiedendo se c’è qualcuno laggiù che ci osserva!?-
Lui scuote la testa, si allontana, sedendosi sul letto senza dire niente e lei fa altrettanto.
-Castle, non avevamo deciso che la tua teoria era insensata?-
Gli chiede sistemandosi con le gambe incrociate sul letto, guardando il suo profilo.
-Lo hai deciso tu non io… e poi la mia teoria non è più insensata di quello che fai tu!-
Lei corruccia la fronte e Rick le prende la mano sinistra e le accarezza il polso, come ha fatto lei poco prima in auto, provocandole un nodo in gola.
-Hai ragione…-
Risponde dopo qualche secondo.
-La mia reazione per l’orologio rotto è insensata… è solo…-
-E’ solo, che c’è una storia da raccontare che tenevi chiusa in un cassetto della memoria e che ieri mattina è tornata prepotentemente a bussare nella tua testa!-
Non riesce a capire come l’empatia tra loro possa essere diventata così forte. Lui ha sempre scavato all’interno della sua anima, ma adesso anche lei capisce e percepisce i suoi pensieri e le sue paure e, in questo momento, più che curiosità verso la storia, Rick ha voglia di sapere per capire, per proteggerla ancora.
Annuisce e incrocia le dita alle sue.
-Quell’orologio lo ha regalato mia madre a mio padre per il loro  quinto anniversario. Da allora non ricordo giorno in cui lui non l’abbia portato. Regalare un orologio a Jim Beckett era del tutto inutile, non l’avrebbe mai indossato. Una sera dovevamo uscire, andai a chiamare papà nella loro camera e lo vidi imbambolato a guardare ai suoi piedi. Non mi sentì nemmeno entrare. Osservava l’orologio sul pavimento come smarrito. Gli era caduto mentre lo allacciava ed io feci quello che hai fatto tu ieri. Mi chinai a prenderlo. Non aveva il vetro rotto, ma le lancette si erano fermate e alla sua espressione contrita, gli dissi la stessa cosa che hai detto tu a me: si può aggiustare. Lui sorrise e mi accarezzò la guancia ‘hai ragione piccola, domani lo porto ad aggiustare, ma stasera lo metto comunque, mi sentirei nudo senza’ mi disse ridendo, quasi imbarazzato. Così uscimmo e… restammo ad aspettare seduti al ristorante!-
Si ferma deglutendo e Rick le stringe la mano corrucciando la fronte.
-Aspetta… è di quella sera che stai parlando?-
Kate annuisce e si stringe nelle spalle.
-Il tempo passava e papà all’inizio sembrava divertito, continuava a dire che avrebbe dovuto regalare lui alla mamma un orologio da appendere al collo, che le ricordasse quando doveva uscire da quel benedetto ufficio. Poi cominciò ad innervosirsi, guardava l’orologio al polso dimenticandosi che era fermo e si muoveva a disagio sulla sedia. La chiamò in ufficio un paio di volte senza risposta.  Alla fine andammo via con la convinzione estrema che avremmo trovato mamma a casa perché si era dimenticata dell’appuntamento.-
Abbassa lo sguardo sulle loro mani intrecciate strette e scuote la testa.
-Invece a casa trovammo la polizia. Il resto lo sai…-
Rick la guarda serio, non le dice nulla, capisce il suo ricordo doloroso e capisce anche che forse non avrebbe dovuto insistere. Invece Kate solleva gli occhi e gli accarezza il viso sorridendo, come a volerlo tranquillizzare che per lei è tutto a posto.
-Qualche giorno dopo il funerale, nel silenzio assoluto che regnava in casa da giorni, entrai in camera da letto, mio padre era in piedi davanti al cassetto aperto del comò, mi avvicinai e vidi l’orologio. Gli chiesi perché non lo portava ad aggiustare e lui rispose senza nessuna intonazione nella voce ‘il tempo si è fermato Katie e niente potrà mai farlo ripartire…’ si voltò senza guardarmi e scese in cucina. Lo sentii trafficare con il mobile dei liquori e mi resi conto che lui si stava fermando come quelle lancette. Guardai ancora dentro il cassetto, vicino all’orologio aveva conservato l’anello di mia madre. Fu allora che lo presi con me, mettendomelo al collo e scesi giù in cucina. Papà stava bevendo un bicchiere di non so cosa, tutto d’un fiato. Non l’aveva mai fatto, non era mai stato un gran bevitore.-
Resta in silenzio un momento, stringendo le mani di Rick, cercando di non cadere preda della rabbia che aveva sentito quella sera verso suo padre.
-Gli dissi che avrei tenuto l’anello con me perché IO non avevo intenzione di dimenticarmi della vita che avevo perso. Lo dissi con tono acido e lui non batté ciglio e ingurgitò un altro bicchiere. Quella sera decisi che sarei diventata un poliziotto, mentre lui decise che era più giusto distruggersi la vita. Io entrai all’accademia e lui cominciò a bere.-
Deglutisce perdendosi nello sguardo limpido di Rick.
-Anche il resto sai. Anni di alti e bassi, di liti, di solitudine, fino a quando io fui promossa di pattuglia e lui cominciò ad uscire dal tunnel. Una sera mi invitò a cena, voleva festeggiare la mia promozione. Abbiamo cenato, parlato e riso tanto, mi ha esposto le sue paure per il lavoro pericoloso che svolgevo e poi ad un tratto ha messo un pacchetto sul tavolo.-
Sorride guardando lontano, come se avesse davanti agli occhi la scena.
-Ricordo che il cuore mi scoppiava di gioia, non per il regalo, ma perché davanti a me c’era di nuovo il mio papà, quello sempre attento, tranquillo, pronto a proteggermi… sorridente. Aprii il pacchetto e mi ritrovai davanti l’orologio. Le lancette si muovevano, il vetro brillava ed il cinturino era lucidissimo. Papà lo prese e me lo allacciò al braccio ‘non è vero che il tempo si è fermato… ha continuato ad andare avanti anche senza di me… ti prometto che d’ora in poi camminerò di nuovo anch’io…’-
Gli occhi di Rick sono lucidi e lei non può fare a meno di baciarlo, prima di continuare.
-Si sporse verso di me e prese la catenina che portavo al collo stringendo l’anello ‘questo per ricordarti della vita che hai perso…’ poi sfiorò l’orologio ‘…e questo per ricordarti della vita che hai salvato… perché io sono salvo solo per te Katie…’-
Lascia in sospeso la frase e Rick la stringe a sé.
-Mia madre è morta tra le 19.00 e le 21.00 di quella sera, le lancette dell’orologio di papà si erano fermate alle 19.38…-
Anche questa frase lascia in sospeso, senza riuscire ad esprime a parole quella parte irrazionale di lei che, tanti anni prima, le aveva fatto credere che le lancette si fossero fermate insieme al respiro di sua madre.
Rick scuote la testa e la bacia sulla fronte.
-Perciò sei rimasta stordita quando ieri mattina ti è caduto dalle mani, rompendosi.-
Lei annuisce e sorride imbarazzata.
-Sono tornata indietro nel tempo e ho avuto la sensazione che avrei perso ancora qualcosa d’importante… lo so che non è razionale e soprattutto non è da me, ma è stato un sentimento così forte che per un attimo non sono riuscita a respirare…-
-Non è irrazionale Kate!-
-Si che lo è! Non ha senso, come non ha senso l’ansia che mi sono portata dietro tutto il giorno e anche oggi.-
Lo guarda determinata e seria.
-Un’ansia che ho trasferito anche su di te. Ti sei preoccupato per il mio umore e il risultato è che ti sei fatto prendere da questo caso come se fosse personale… ma non lo è!-
Lui si alza e si avvicina ancora alla finestra, le luci della città sfavillano davanti ai suoi occhi, l’ora è tarda ma la Grande Mela sembra non farci caso per la frenesia con cui la vita notturna continua imperterrita.
-Sono solo preoccupato. Ho paura di svegliarmi e non trovarti accanto a me. Ho paura che possa succederti qualcosa di brutto…-
Credi di avere paura soltanto tu? Pensi che lui non abbia bisogno di te?-
Le parole di Jim le tornano in mente come una verità tangibile. Rick dipende da lei e come lei ha paura. Gli si stringe contro appoggiando il viso sulla sua schiena.
-Sono un poliziotto Castle… è normale essere in pericolo continuo nel mio lavoro!-
Rick le accarezza le braccia strette attorno al suo torace.
-Perché credi che ti stia sempre appiccicato? Ho la presunzione di pensare che sono il tuo super eroe, che con me vicino i proiettili non ti sfioreranno.-
Dice pavoneggiandosi per alleggerire un po’ la paura che sente dentro. Si volta per guardarla dritto negli occhi.
-Ma questo assassino… le sue parole, il modo in cui si pone… sembra una sfida la sua… e non mi piace!-
Lei sta per ribattere, ma lo squillo del cellulare di Rick la blocca. Sorride alla sua espressione sollevata nel vedere il viso di sua figlia sul display.
-E’ Alexis…-
Lei annuisce e Rick si volta ancora una volta verso la finestra per rispondere, mentre Kate resta incollata a lui, accarezzandogli la schiena.
-Tesoro, ciao… tutto bene?-
-Si papà, tutto bene.-
-Avete finito presto, non sono nemmeno le du… dueeeee…-
Alexis si stupisce un attimo alla strana espressione vocale del padre e resta ad ascoltare in silenzio, percependo degli strani fruscii.
-Papà, stai bene?-
Lui cerca di fermare le carezze di Kate e di allontanarsi dalla sua bocca, visto che gli soffia sul collo provocandolo.
-Ehm… si tesoro, sto bene...-
La ragazza ridacchia al telefono.
-C’è Kate lì con te?-
Lui solleva la testa di scatto, come colto sul fatto e cerca ancora di resistere alle mani della sua donna, che adesso lo stanno accarezzando sotto la maglietta.
-S…si… Kate… sta già dormendo… perché?-
Alexis continua a ridere.
-Beh, allora salutamela…quando si sveglia!-
Kate lo bacia sul collo e lui alza gli occhi al cielo, mentre Alexis cerca di reprimere una risata e decide che è meglio chiudere la conversazione, prima che diventi troppo imbarazzante per entrambi.
-Papà sono molto stanca, ti lascio… farai meglio a raggiungere Beckett… nel mondo dei sogni…-
Lascia la frase in sospeso non riuscendo più a trattenersi dal ridere e Castle sbuffa cercando di allontanare ancora Kate.
-Ok tesoro… buo… ahh… buonanotte…-
Spegne il telefono di botto senza attendere risposta quando le mani di Kate scendono molto più in basso. Alexis guarda il telefono divertita, scuote la testa e si sistema sotto le coperte, dando la buonanotte a suo padre mentalmente.
-Ma si può sapere che… stavo parlando con Alexis!-
Le prende le mani e la tiene ferma contro il muro accanto alla finestra.
-Stavo approfittando per baciarti, che male c’è? Era al telefono, mica in camera con noi!-
Risponde lei mordendosi il labbro, Rick alza gli occhi al cielo e lei si avvicina al suo orecchio.
-Credi davvero che Alexis pensi che dormiamo qui dentro?-
Lui spalanca la bocca e non riesce a risponderle, certe volte lo spiazza completamente. Decide di arrendersi ai suoi baci sul collo e di lasciare l’imbarazzo che può provare davanti a sua figlia, per il giorno dopo.
-Suppongo che non concluderemo il discorso di prima…-
-Supponi bene scrittore… basta parlare.-
Sussurra Kate sfilandogli velocemente la maglietta per poi baciarlo a labbra aperte sul torace e lui non riesce a trattenere un gemito.
-Che intenzioni hai? Quando mi spogli con quello sguardo, di solito non dormiamo.-
-E allora?-
Gli chiede lei spingendolo verso il letto.
-Hai detto di essere stanca!-
Esclama innocentemente e lei lo costringe a cadere supino, sedendosi a cavalcioni sopra di lui.
-Credo che un po’ di ossigeno mi farebbe dormire meglio.-
Rick ribalta la posizione, le blocca le braccia sopra la testa e poggia la fronte sulla sua.
-Ah… vuoi giocare al dottore!-
Lei scoppia a ridere e solleva il viso per consentirgli di baciarla sul collo.
-Spegni la luce Castle!-
 
 
Per un attimo, quando la finestra rimase al buio, si maledì per averli seguiti, per essere rimasto lì a guardarli.
Si erano abbracciati davanti a lui.
Da lontano erano solo due sagome qualunque, ma lui sapeva che era lei che si affidava a lui, che lo accarezzava, che lo voleva.
Li immaginava rotolarsi tra le lenzuola, stretti l’uno all’altra, sudati e in preda alla passione.
Rimase un paio di minuti ad osservare il buio all’interno di quella finestra all’attico del palazzo, poi si rilassò.
Sorridendo prese a camminare con l’intento di tornare a casa.
-Spero che tu la stia amando con tutta la passione di cui sei capace e anche di più. Spero che tu la stia amando con un’intensità tale da far pensare che sia l’ultima volta.-
Si voltò ancora verso la finestra a contemplare il buio, immaginando i loro corpi avvinghiati.
-Infatti è… l’ultima volta!-
Disse a voce alta, come se loro potessero sentirlo, ridendo a squarciagola con se stesso e riprendendo la strada di casa…
 
 
Castle, sei inquietante!
Sorrise a se stesso mentre la osservava.
Se avesse aperto gli occhi all’improvviso e lo avesse sorpreso imbambolato a fissarla, con quel sorrisetto misto a malizia e dolcezza, gli avrebbe detto esattamente così.
L’aveva sempre guardata in uno strano modo, se ne rendeva conto, ma non poteva farne a meno. Per lui Katherine Beckett era  una calamita. Lo attirava verso di lei… da sempre.
In quei suoi sguardi c’era la curiosità, il desiderio, l’ignoto. Questo era lei ai suoi occhi.
Dopo quella prima notte insieme, mesi prima, in mezzo al frastuono del temporale, la curiosità era stata svelata, il desiderio continuava ad aumentare di volta in volta e l’ignoto… quello ci sarebbe sempre stato.
Quella donna avrebbe celato sempre dentro di sé una parte di ignoto che lo avrebbe stupito piacevolmente per il resto dei suoi giorni. Avrebbe conservato una parte d’ignoto anche quando avesse svelato, poco per volta nel futuro, il resto dei suoi sentimenti, del suo cuore, del suo corpo.
Conosceva quel corpo nei minimi particolari, conosceva la sua bellezza, il suo sapore, amava anche quelle piccole imperfezioni naturali che esistono in ognuno, eppure ogni volta che le posava gli occhi addosso, specie quando lei non ne era cosciente, era come guardarla per la prima volta.
Anche adesso. Aveva la schiena e le spalle completamente scoperte, il lenzuolo che le accarezzava il seno ed era una visione. Non riusciva a toglierle gli occhi dosso, non solo perché era bella. Lui sapeva che il suo modo di guardarla era andato oltre, prima la guardava solo con gli occhi, adesso la guardava con il cuore e questo gliela mostrava ancora più bella, nella complessità del suo essere complicata e del suo carattere.
L’amava!
Era innamorato di lei, aveva la consapevolezza che avrebbe fatto qualunque cosa per stare con lei, per averla vicina.
L’amava più della sua vita e avrebbe voluto ripeterglielo fino alla fine dei tempi, ma sapeva anche che era meglio non sbilanciarsi troppo dopo il loro tempestoso e irruento inizio.
Lei aveva ancora paura dell’amore che sentiva nel cuore. Si era lasciata andare, ma quella strana razionalità che si ritrovava nel cervello non le permetteva ancora di esprimersi a parole. Però i suoi gesti, i suoi sguardi, i piccoli passi che aveva fatto verso di lui in pochi mesi, gli davano la certezza dei suoi sentimenti e questo gli bastava.
Aveva avuto tante donne, qualcuna lo aveva anche ammaliato al punto di fargli credere di esserne innamorato, ma Kate era un’altra cosa. Il sentimento che custodiva nel cuore per lei era qualcosa che non aveva mai provato, era un bisogno assoluto di lei in tutto il suo essere e questo invece di spaventarlo, come succedeva a lei, stranamente gli dava sicurezza e lo faceva sentire vivo.
Si era svegliato abbracciato a lei, pelle contro pelle, con il viso perso sulla sua nuca, ricoperto dai suoi capelli e si sentiva vivo.
Si era dato una rinfrescata, aveva cercato i boxer finiti chissà dove qualche ora prima e dopo averli indossati si era seduto a terra accanto al letto proprio davanti a lei, portandosi le ginocchia al petto.
Erano solo le quattro del mattino, non aveva dormito praticamente niente, visto che avevano fatto l’amore fino a sfinirsi. Per un attimo lui aveva anche perso la lucidità, completamente. Aveva accumulato fin troppa tensione durante il giorno, culminata nella discussione con Kate per la  preoccupazione che sentiva per lei e che non riusciva a scacciare. Quella tensione l’aveva rilasciata all’improvviso quando si era lasciato andare tra le sue braccia, immerso nelle sue carezze, nei suoi baci, nella sua passione. Riusciva sempre a controllarsi come meglio poteva, a soddisfare non solo i suoi istinti, ma anche e soprattutto le esigenze di quella donna che ormai lo aveva imprigionato per sempre, ma qualche ora prima non ci era riuscito. Ricordava di averla amata con tutto se stesso e lei aveva risposto senza risparmiarsi, come se la stanchezza li avesse resi ancora più vivi e affamati di loro stessi. Ma ad un certo punto quella tensione si era improvvisamente sciolta e lui aveva perso il controllo. Non ricordava cosa fosse successo esattamente, ma sperava ardentemente di non averle procurato dolore invece che piacere. Si era lasciato andare senza pensare, senza riflettere, senza ponderare la forza e i movimenti. Si rendeva conto improvvisamente che in quel preciso istante, l’unica cosa che voleva, non era solo diventare parte di lei. In quel momento, mentre la passione li portava al culmine, l’unica cosa che voleva assolutamente era che fosse sua come non lo era mai stata, che le sue unghie impresse sulla schiena segnassero l’appartenenza a lui, che ogni spazio tra i loro corpi fosse colmato senza remora e senza paura, come se stringerla tanto da farle male potesse proteggerla da quella presenza invisibile che sentivano vicino… come se non avesse avuto più la possibilità di amarla ancora e ancora…
 
-Che stai facendo?-
Perso ancora nei suoi pensieri, Rick sussulta leggermente sorridendo.
-Io? Che fai tu? Mi fissi fingendo di avere gli occhi chiusi!? Potrei definirlo inquietante detective!-
Lei sorride  e si solleva su un gomito sistemandosi i capelli, mossa che le fa scivolare il lenzuolo di dosso, lasciandole il seno scoperto. Fa per coprirsi, ma Rick si mette in ginocchio e la ferma prendendola per il polso.
-Non commettere niente di illegale, potrei denunciarti!-
Avvicina le labbra nell’incavo del seno, le bacia delicatamente la cicatrice e lei sospira scuotendo la testa.
-Sono davvero terribile… sguardo inquietante, propensa all’illegalità…-
Gli prende il viso tra le mani e lo costringe a staccarsi dalla sua pelle. Nella penombra della stanza, illuminata soltanto dalle luci provenienti dalla finestra, nota il luccichio dei suoi occhi.
-Tra un paio di ore dobbiamo alzarci, che ci fai accovacciato a terra, sveglio?-
-Veglio su di te!-
Le risponde sicuro. Il suo sussurro le provoca uno strano nodo in gola, quel ‘veglio su di te’ la emoziona incredibilmente.Quel suo sguardo scintillante la fa sentire viva e al sicuro. Gli accarezza i capelli e se lo stringe al petto, senza dire nulla.
-Kate… stai bene?-
Lei corruccia la fronte e annuisce.
-Perché non dovrei?-
-Non so… prima… credo di essere stato un po’… insomma, per un attimo io…-
Lei capisce immediatamente perché balbetta. Si è accorta del suo modo diverso di amarla, di un’irruenza nuova, quasi disperata e prova un’infinita tenerezza per il modo in cui pensi a lei, ora che ha ripreso la lucidità. Non gli permette di andare avanti e lo stringe ancora più forte a sé.
-Va tutto bene Castle!-
Lui solleva la testa e la guarda.
-Sicura? Cioè… tu me lo diresti… mi fermeresti se…-
Gli mette un dito sulle labbra e lo guarda seria.
-E’ tutto a posto. C’ero anch’io ricordi? E mi sono divertita parecchio.-
Si morde le labbra e scoppiano a ridere entrambi, ma lui torna immediatamente serio.
-Dicevo davvero prima, io veglio su di te. Tu cammini armata, ma io ti guarderò sempre le spalle. Tu sei un poliziotto addestrato ed io solo uno scrittore pauroso e stupido, ma non permetterò a nessuno di farti del male, fino a dove mi sarà possibile. Io sono vivo con te e… se ti succedesse qualcosa…-
Lei  scuote la testa cercando di fermarlo, ma lui continua imperterrito, posandole un polpastrello sulla cicatrice in mezzo ai seni.
-…quel giorno non ci sono riuscito e mi sono sentito morire. Non me lo perdonerò mai!-
Lascia la frase in sospeso deglutendo vistosamente.
Non dimenticherò mai la sua espressione il giorno che ti hanno sparato, la sua sofferenza, il suo senso di colpa per non essere riuscito a proteggerti…
Possibile che lei non avesse mai pensato al dolore che aveva provato in quei giorni? Alla pena e alla colpa insensata che si era  addebitato? Le parole di Jim le rimbombano nelle orecchie e per un attimo non riesce ad ascoltare ancora Rick, che ha ripreso a sussurrare.
-Tra cento anni, quando saremo pronti a lasciare questo mondo per sempre, ricordati che me ne devo andare prima io.-
Lei lo bacia con impeto e lui sorride appoggiando la fronte sulla sua.
-Non sei leale Beckett… chiudermi la bocca così! Non è per niente leale!-
-Basta con questi discorsi e se non la smetti userò altri modi meno piacevoli per chiuderti la bocca.-
Lui annuisce e la bacia ancora.
-Ora torna immediatamente al tuo posto Castle, mi stai facendo morire di freddo.-
Lui salta sul letto e le si mette accanto, completamente attaccato a lei, nella stessa posizione di quando si è svegliato.
-E non muoverti più fino al suono della sveglia… è un ordine!-
-Signor si, signore!-
Le risponde immergendo la faccia tra i suoi capelli, provocandole quella risata cristallina che adora e che riserva solo a lui, quando sono chiusi nella loro stanza, soli, lontano dal mondo, lontano da tutti.
Lontano da lui…
 
 
Digitava freneticamente sui tasti senza fermarsi un momento.
Era rientrato da un paio d’ore, l’adrenalina continuava a scorrere dentro di lui e l’idea di dormire, riposare o fermarsi a pensare non era assolutamente da contemplare.
Aveva portato a termine un altro capitolo, un altro messaggio era pronto per essere scoperto.
Aveva voluto condividere il suo entusiasmo con lei, aveva sentito il bisogno di vederla.
Era stato percorso da un brivido quando l’aveva vista alla finestra, ma quel brivido si era trasformato in rabbia, quando lui l’aveva avvolta tra le sue braccia.
Si fermò un momento con le dita sui tasti, la luce proveniente dal monitor lo illuminava completamente, lasciando attorno a lui un alone sfocato di quello che aveva alle spalle.
Sospirò pensando ancora a lei abbracciata ad un altro.
Scosse la testa e cercò di riprendere lucidità.
Tolse le mani dalla tastiera e sfiorò la scatola di legno che teneva accanto al mouse, sorrise chiudendo gli occhi, provando ancora un brivido. Lo stesso che gli procurava pensare a lei.
Il contenuto di quella scatola era come una linfa che gli dava vita, nello stesso modo in cui avrebbe portato sofferenza e morte a lei.
Questo lo faceva sentire vivo!
Quando era rientrato era arrabbiato, sentiva uno strano affanno provocato dalle figure invisibili che si contorcevano tra le lenzuola di quella maledetta camera da letto.
Si era tolto la barba, si era lavato il viso accuratamente e aveva guardato la sua vera espressione.
Se non fosse presa dalla sua vita privata avrebbe anche potuto riconoscerlo.
Non è da lei essere così disattenta, non mettere attenzione in quello che le accade intorno… è troppo distratta da quello che crede sia amore…
Ma lei non lo sa cos’è l’amore.
Non conosce quella scarica elettrica che pervade ogni cellula del corpo pensando alla propria anima gemella, anche e soprattutto nel male. Quella frenesia che, da ammirazione, si trasforma in odio.
Perché anche l’odio è sentimento.
Anche l’odio ti travolge con la sua passione.
Anche l’odio è un modo di amare… e lui l’amava, ma lei lo aveva tradito!
Era troppo agitato per pensare di andare a dormire, doveva mettersi avanti con il lavoro, doveva preparare tutto per il giorno dopo.
Era entrato nello studio, aveva allargato sulla scrivania i fogli con la legenda di circuiti elettronici e strani codici, i telefoni cellulari, gli attrezzi del mestiere e con calma e attenzione, si era messo all’opera.
Gli era servita meno di un’ora per modificare i telefoni e subito dopo si era messo a correggere il capitolo del giorno successivo. Precedentemente lo aveva solo abbozzato per poterlo poi adattare all’andamento degli eventi ed ora era giunto il momento di finirlo.
Spostò lo sguardo attorno sulla scrivania e si sporse a prendere un piccolo aggeggio, lo rigirò tra le mani, spostò la levetta da OFF su ON e pronunciò il suo nome.
Sorrise di gusto, compiaciuto di se stesso e di quello che stava creando. Il simulatore della voce era perfetto.
Si scrocchiò le dita e dopo aver aperto e chiuso un paio di volte le mani riprese a scrivere.
Mancavano poche righe, poi avrebbe potuto riposare un paio di ore.
Il giorno dopo sarebbe stato faticoso, il pomeriggio del giorno successivo avrebbe dovuto ripulire tutto e lasciare anche la sua attuale tana. Tra meno di dodici ore sarebbe cominciata la caccia, una caccia in cui entrambi sarebbero stati preda e cacciatore… ma con un unico vincitore… lui!
Digitò sui tasti ancora qualche minuto, le parole divennero frasi e le frasi diedero forma alla sua follia.
Era giunto il momento avvicinarsi… di poter godere della sua paura.
Era giunto il momento tenere in pugno la sua vita…



Angolo di Rebecca:

Ed ecco svelata l'ansia di Kate,
la teneva nascosta in un cassetto della sua memoria e all'improvviso,
è tornata prepotente dentro di lei.
Sembra stiano passando un momento di serenità e dolcezza,
chiusi nelle loro quattro mura tranquille e sicure...
Lui però continua a spiarla, è arrabbiato... e pronto a colpire...
Alexis ha telefonato, visto Virginia? Sta bene... non le è successo nulla :3

Grazie infinite per il vostro affetto <3

 

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Capitolo 12
*** La Lacrima di Ametista ***









Capitolo 12



 
 
Giovedì 28 febbraio 2013, ore 6.35
 
E’ sveglia da circa dieci minuti.
Senza muoversi più del dovuto ha staccato la sveglia che avrebbe suonato di lì a poco, sistemandosi ancora dentro l’abbraccio morbido di Rick, che dopo aver vegliato su di lei si è finalmente addormentato.
Il respiro s’infrange sulla sua pelle, lento e ritmato e lei chiude gli occhi sospirando ai piccoli brividi che le provoca.
Si ritrova a sorridere, proprio come l’altra mattina mentre gli preparava la colazione e faceva il punto su quella che lei chiama ‘cosa’ e che invece, suo padre ha definito ‘amore’. Sorride beandosi del suo calore, del suo respiro che la fa sentire viva, di quel contatto che continuano a tenere tutta la notte, notte dopo notte, anche senza baci o carezze, anche senza fare l’amore.
Questa è un’altra delle cose che adora, un’intimità che nelle altre relazioni non aveva mai raggiunto. Pensava stupidamente che la vera intimità tra un uomo e una donna fosse nel sesso, ma con Rick ha scoperto che i piccoli gesti valgono molto di più. Dormire sempre attaccati, bisognosi di sentirsi vicini, nudi o vestiti non è importante, basta tenersi per mano. Quel cercarsi anche mentre dormono, quel sentirsi lontani anche ad un paio di centimetri di distanza, quel bisogno di avere un contatto con la persona che ti dorme accanto, è la cosa più intima che abbia mai provato con un uomo.
Gli accarezza il braccio che le cinge il seno e non può fare a meno di pensare a quando lui le ha sfiorato la cicatrice, tornando improvvisamente dentro una colpa non sua.
Si scosta di poco, voltandosi piano per riuscire a guardarlo e non resiste ad accarezzargli i capelli, cerca di sistemargli quel ciuffetto ribelle che fatica a domare anche dopo essersi pettinato. Sorride e gli sfiora la punta del naso con un lieve bacio, restando a guardarlo per qualche secondo.
Veglio su di te!
Ripensa a quelle quattro parole, semplici, sicure, espresse di getto, senza dubbi di alcun genere, senza venatura di scherzo e sente ancora quel nodo alla gola.
Anche tu dipendi da me…
Si sistema nella stessa posizione di prima e si stringe forte a lui, che fa un sospiro e sposta di poco la testa, continuando però a dormire.
…e sembra non ci sia nulla di male nel dipendere l’uno dall’altra… è completarsi a vicenda… pare che questo sia  amore…
Quello che le si apre sulle labbra non è un sorriso qualunque, ma uno di quelli sognanti e involontari. Sorride senza rendersene conto a quella parola che la spaventa, ma che le dà una dolcissima sensazione nel pensarla.
Alza gli occhi verso il comodino, i numeri digitali della sveglia le si materializzano davanti e la fanno sbuffare come una bambina…  troppo vicini all’ora X.
Con delicatezza e di malavoglia si libera dell’abbraccio di Rick e si mette a sedere sul bordo del letto. S’infila la maglietta, mentre lui si sistema supino, lasciando andare un braccio di peso sulla sua parte di letto. Si passa la mano tra i capelli per districarli, quando il vibro del cellulare la blocca con le braccia alzate.
Il nome di Ryan campeggia sul display e lei sospira pesantemente chiudendo gli occhi.
Sono solo le 6.52 e una telefonata del collega a quell’ora può voler dire solo una cosa.
-Abbiamo già un’altra vittima!?-
Chiede senza altri convenevoli e Ryan annuisce, nonostante lei non possa vederlo.
-Bedford Hills, al civico 853…-
-Arrivo!-
Chiude la chiamata e resta a guardare il display, con le spalle curve su se stessa come se improvvisamente si fossero caricate di un peso… l’ennesimo in meno di 3 giorni.
-Comincio a credere che non si fermerà mai!-
Solleva la testa di scatto girandosi verso la voce che l’ha fatta sussultare e vede Rick con gli occhi fissi al soffitto e le labbra strette.
Lei si alza, prende della biancheria pulita da uno dei cassetti del comò e si dirige in bagno.
-Ti sbagli Castle… lo fermerò io, puoi scommetterci.-
 
Dopo la telefonata di Ryan, la bolla di serenità in cui si è ritrovata Kate al risveglio è esplosa inesorabilmente, ribaltandola di nuovo alla cruda realtà. Una realtà che conosce già, che ha già visto e vissuto nelle ultime ore.
Un’altra giovane donna assassinata nella sua casa, nel suo letto. Drogata e immobilizzata, costretta ad osservare il suo assassino prendersi gioco di lei mentre le ruba l’ultimo respiro.
Un’altra frase a completare il puzzle di parole che la mente folle del killer sta componendo per qualcuno. Una donna con gli occhi verdi e i capelli castani. Un altro capitolo di una storia per loro senza senso, ma piena di significato per chi uccide senza pietà.
-Fantastico!-
La voce di Rick rompe il silenzio che si sono portati dietro da quando sono usciti dal loft, lei guarda nella stessa direzione in cui sta guardando lui e sospira.
-Già… fantastico!-
Afferma quando vede l’orda di giornalisti appostata nella parte opposta della strada in cui si trova il civico 853 di Badford Hills.
-Dopo la lettura del best sellers in diretta di ieri che ti aspettavi? E’ diventato famoso!-
Lei scende dall’auto e chiude lo sportello con forza.
-Che arrivassero almeno dopo di noi.-
Si soffermano a guardarsi intorno, oltre i giornalisti sono presenti anche parecchie persone che, nonostante l’ora, si sono già posizionate in prima fila a curiosare.
-Noti qualcosa di strano?-
Le chiede lui fissando lo stesso punto in cui guarda lei, che scuote la testa e gli sorride mesta avviandosi verso la casa.
-L’uomo invisibile… come Castle, tu non lo hai ancora notato!?-
Lui alza gli occhi al cielo sbuffando.
-Ok… ok… non ne parlo più…-
Esposito va loro incontro, dopo aver finito di appuntare qualcosa sul suo taccuino.
-Elisabeth Hollsen, 34 anni. Chirurgo ortopedico al S. Andrew Hospital.-
-Stesso modus operandi?-
Esposito annuisce.
-Lanie è dentro da cinque minuti e non abbiamo ancora fatto entrare nessuno, ma Ryan ha dato un’occhiata veloce… da sotto al cuscino si vede uno squarcio della stessa copertina dell’altro manoscritto. Non ci sono dubbi sul fatto che sia il nostro assassino.-
Lei annuisce pensierosa, continuando a guardarsi intorno, mentre anche Ryan li raggiunge.
-L’ha trovata il marito circa un’ora fa…-
Fa cenno verso un uomo seduto sul dondolo accanto all’entrata, intrattenuto da un agente.
-…e questo ci fa capire che l’ha tenuta sotto controllo come le altre due vittime, perché sapeva che lei comunque sarebbe stata sola in casa.-
-Come mai? Il marito lavora di notte?-
-No. Avevano deciso di prendersi una pausa e da circa un mese si era trasferito a casa di un amico, ma non erano realmente separati. Da quanto mi ha detto si sentivano tutti i giorni e questa è una cosa che sapevano tutti, amici, colleghi e vicini di casa.-
Lei si gira ancora una volta a guardarlo e l’espressione che vede sul suo viso non può essere una finta. Sembra molto provato.
-Come mai era qui di mattina presto allora?-
-La Hollsen doveva eseguire un intervento importante e siccome sarebbe stata un’operazione molto lunga, era stata programmata per le 7.00 di questa mattina. Di solito lei si presentava in ospedale un’ora prima, per prepararsi e controllare le ultime analisi. Quando l’infermiera non l’ha vista arrivare, le ha telefonato di continuo. Alla fine ha contattato il marito per chiedergli se avesse notizie e lui è corso qui. Ha le chiavi di casa, perciò è entrato.-
Castle non riesce a togliere gli occhi di dosso dall’uomo, il suo sguardo mostra tutto l’orrore che ha provato trovando la moglie morta nel loro letto. Chiude gli occhi cercando di non farsi coinvolgere ancora, di non pensare che quelle minacce e la nuova frase che troveranno scritta sul corpo, possano essere indirizzate alla donna che ama e fa in modo di concentrarsi sulla voce di Beckett.
-Non ha notato segni di scasso?-
-No, la porta era chiusa a doppia mandata dall’interno. I ragazzi della scientifica stanno controllando il perimetro esterno.-
Le fa segno di seguirlo verso il garage, puntando il dito sul terreno.
-La neve qui è stata smossa, ci sono delle impronte ricoperte dai fiocchi caduti stanotte, ma si capisce che qualcuno si è soffermato in questo punto per un po’. Potrebbe essere entrato da qui, anche se la porta del garage si apre con un telecomando elettronico. E’ da verificare.-
Beckett stringe le labbra in segno di rabbia. L’assassino ha colpito di nuovo e velocemente e lei non ha ancora trovato un appiglio che possa ricondurre a lui. Si rivolge ad uno degli agenti all’entrata.
-Dì ai ragazzi di tenere a bada i giornalisti, dopo la diretta di ieri si butteranno a pesce per avere qualunque esclusiva. Non deve trapelare niente, specie sui dettagli che può conoscere solo il nostro assassino.-
Il giovane fa un cenno di assenso con la testa e lei si dirige all’interno, seguita da Ryan ed Esposito. Va dritta verso quella che suppone essere la camera da letto e vede Castle davanti alla porta, immobile come un pezzo di legno, con gli occhi fissi sul volto cereo della donna esanime sul letto, lo sguardo accigliato e l’espressione di chi trattiene il respiro per non disturbare. Non si era accorta che fosse già entrato, gli si avvicina e gli sfiora il braccio.
-Andiamo?-
Sussurra posando anche lei lo sguardo sulla vittima e Castle annuisce.
-Certo, stavo aspettando te.-
-Ciao Lanie.-
-Salve ragazzi…-
L’anatomopatologa risponde senza distogliere lo sguardo, mentre tiene una mano della vittima, controllando attentamente sotto le unghie.
La scena davanti a loro si presenta uguale alle altre: niente fuori posto, tutto pulito e lucido.
Lanie scrive qualcosa sulla sua cartelletta e poi guarda Kate.
-Stesso modus operandi.-
Dice scostando lo scollo della maglietta per mostrare il segno di una puntura.
-Drogata, immobilizzata e soffocata, presumibilmente 12 ore fa.-
-Per non parlare delle caratteristiche fisiche: capelli castani e occhi verdi, come le altre.-
Aggiunge Ryan e Castle alza la testa guardando il soffitto e trattenendo il fiato, mentre Lanie solleva la maglia della donna dalla vita fin sotto il seno.
-E questo è il suo messaggio!-
Si avvicinano a leggere le parole scritte con cura sull’addome della donna, ma come al solito è Castle che trova il coraggio di pronunciarle a voce alta.
-Tu mi hai trovato, ma…-
Restano in silenzio per un paio di secondi, per memorizzare e capire il senso della nuova frase fino a quando la voce di Castle riporta l’attenzione su di lui.
-Quando esalerai il tuo ultimo respiro, io ti sarò vicino, talmente vicino che sentirai il mio addosso a te… Io ti vedrò morire… tu mi hai trovato, ma…”
Ripete a memoria tutte le frasi, mettendole in ordine, una dietro l’altra, dandogli un senso compiuto.
-Vorrei far notare i soliti puntini di sospensione alla fine. La frase non è ancora completa!-
Esposito sospira.
-Ucciderà ancora!-
-Già… questo lo abbiamo capito. Maledizione dobbiamo trovarlo!-
Risponde Beckett stizzita, quasi esasperata, mentre Castle fa il giro del letto chinandosi vicino al cuscino e guardando il triangolo di carta che fuoriesce sotto di esso.
-Se continua con un senso logico, questo dovrebbe essere il capitolo sulla morte di Sarah Nichols… posso?-
Chiede a Beckett additando il cuscino, lei annuisce e gli si avvicina mentre lui lo solleva, mostrando la copertina completa del nuovo capitolo.
-Ed ecco anche il suo orecchino di ametista.-
-A proposito…-
Esclama Esposito, mostrando loro un astuccio trovato sulla toelette, accanto alla specchiera.
-Questo è vuoto e qui c’è la busta della gioielleria con dentro la ricevuta della carta di credito. C’è anche la garanzia,  ieri pomeriggio ha acquistato un braccialetto di perle che non siamo riusciti a trovare… si è portato via un altro souvenir!-
Castle sospira e sfoglia la copertina del manoscritto.
-‘La Lacrima di ametista – Capitolo II’…-
Gli dà una scorsa veloce andando all’ultima pagina per leggere la frase trovata sul corpo di Sarah Nichols.
-Io ti vedrò morire…-
Ripete meccanicamente mentre Beckett glielo toglie dalle mani, lo imbusta e lo consegna alla scientifica.
-Sicuramente è pulito, ma controllatelo comunque. Priorità assoluta. Lo voglio in ufficio tra un’ora.-
L’agente della scientifica sta per uscire, quando vengono attirati da voci concitate provenienti dalla stanza accanto. Brad Hollsen si ferma  sulla porta, con le mani chiuse a pugno e il respiro affannato, mentre un agente cerca di trattenerlo.
-Leggerà in diretta anche la sua morte? E’ questo che succederà? Farà sapere al mondo intero come ha ucciso Elisabeth?-
L’uomo si mette le mani sul viso scuotendo la testa, continuando tra i singhiozzi soffocati.
-Perché? Perché non lo avete ancora fermato!?-
Si accascia lungo lo stipite della porta, sempre tenuto per le braccia dal poliziotto e lentamente si lascia scivolare sulle ginocchia, continuando a singhiozzare. Beckett fa segno all’agente di lasciarlo libero e di allontanarsi, mentre Castle non riesce a resistere e si avvicina all’uomo, costringendolo a mettersi in piedi.
-Venga con me signor Hollsen, andiamo a prendere un po’ d’aria.-
 
-Perché fa questo? Perché le uccide? E poi… quella lettura macabra in tv ieri…-
Dopo essere stato praticamente trascinato sul retro di casa sua da un uomo sconosciuto, ed essersi sfogato prendendo a calci il muretto che divide il suo giardino da quello dei vicini, Brad Hollsen si è lasciato andare a terra stringendosi le ginocchia al petto e nel via vai continuo dei poliziotti e della confusione che sente intorno, pone una semplice domanda.
Una domanda a cui nessuno può rispondere.
Castle guarda davanti a sé, senza riuscire a posare lo sguardo su quell’uomo distrutto dal dolore. Un dolore che avrebbe realizzato maggiormente quando tutti sarebbero andati via, quando intorno a lui fosse rimasto solo il silenzio. Un dolore che sarebbe diventato insopportabile e l’unica cosa che avrebbe potuto dargli un minimo sollievo era sapere il perché!
-Se riuscissimo a capire il perché, sarebbe più facile trovarlo… e mi creda, ci stiamo lavorando ininterrottamente.-
Hollsen solleva lo sguardo su di lui.
-Non volevo sminuire il vostro lavoro, mi spiace!-
-Non lo dica. Sarei disperato e arrabbiato anch’io! E’ solo che a volte entrare nella mente dell’assassino è difficile. Bisogna pensare come lui e non sempre si riesce ad arrivare a tanta follia.-
Brad Hollsen annuisce.
-Grazie di avermi portato via da lì… non so nemmeno io perché sono entrato di nuovo.-
-Perché è difficile dirle addio in queste circostanze…-
Non riesce a finire la frase perché sente un nodo alla gola, Hollsen lo intuisce e senza aspettarsi altro appoggia la testa tra le ginocchia.
-Beh… grazie!-
Sussurra ancora e Castle sospira quasi sollevato di non dovere dire altro, quando vede sopraggiungere Beckett, che si china davanti a loro, mettendo una mano sulla spalla di Hollsen, che solleva la testa.
-E’ meglio che lei vada a riposare un po’, lontano da qui.-
Lui annuisce e si passa le mani sul viso.
-Il mio amico Jeff sta venendo a prendermi, torno nel suo appartamento.-
Solleva lo sguardo verso la finestra della camera da letto e gli occhi gli si riempiono di lacrime.
-E poi credo che mi cercherò un altro posto in cui andare a vivere…-
Lascia la frase in sospeso, stringendo i pugni per la rabbia e Beckett si siede sul muretto accanto a loro.
-Signor Hollsen, quando ha sentito l’ultima volta sua moglie?-
-Ieri mattina. E’ strano, litigavamo perché a causa del lavoro non ci vedevamo mai, poi quando sono andato via di casa, ci sentivamo praticamente più spesso di quando vivevamo insieme.-
Solleva lo sguardo su Beckett e sorride.
-Ci amavamo detective… non ci saremmo mai lasciati. Ieri mattina fingeva di essere arrabbiata perché qualcuno le aveva detto di avermi visto ad una festa mentre mi strusciavo addosso ad una tipa… io invece ero a casa. Mi ha detto ridendo, che avrebbe prosciugato la mia carta di credito per farmela pagare.-
-L’ha sentita strana? Magari preoccupata o spaventata a stare a casa da sola?-
Lui scuote la testa.
-No, era tranquilla. Era solo preoccupata per l’intervento di stamattina. Doveva operare una ragazzina che si è frantumata un ginocchio in un incidente stradale. Parlava di dover fare un innesto o non so cosa e che se fosse andata bene avrebbe potuto recuperare del tutto la gamba.-
Si passa la mano tra i capelli e sospira.
-Elisabeth era brava nel suo lavoro e anche meticolosa. Ieri sera l’ho chiamata verso le dieci, sapevo che le avrebbe fatto piacere parlare ancora dell’intervento, ma non mi ha risposto. Ho pensato che fosse  già andata a dormire visto che stamattina doveva alzarsi all’alba…-
Solleva lo sguardo su Beckett e sospira ancora.
-…invece era già morta, vero?-
-Probabilmente si.-
Brad Hollsen stringe ancora i pugni.
-Se fossi stato a casa con lei non l’avrebbe presa di mira!?-
Castle deglutisce guardando Kate, che annuisce stringendo le labbra, sapendo che la verità per lui sarebbe stata ancora più dolorosa.
-Fino ad ora ha colpito soltanto donne che vivono sole.-
L’uomo poggia i gomiti sulle ginocchia e si prende la testa tra le mani.
-Non sono riuscito a proteggerla!-
Rick continua a guardare Kate e per un attimo si sente soffocare, come se gli mancasse l’aria. Ha l’impulso di alzarsi  e correre a perdifiato lontano da quell’uomo e dal suo dolore.
Dalla strada vedono sopraggiungere un uomo che si china davanti a Brad Hollsen e quando questi solleva lo sguardo, si abbracciano in silenzio.
-Andiamo a casa Brad.-
Gli sussurra l’amico, stringendolo a sé e, senza aggiungere altro, lo porta via.
Castle segue l’auto che si allontana, mentre l’ultima frase di Brad Hollsen gli rimbomba nel cervello.
-Si porterà addosso questa colpa per il resto della vita.-
Beckett lo guarda sollevando le sopracciglia e lui risponde alzando gli occhi verso la finestra della camera da letto.
-Non essere stato a casa con lei… non essere riuscito a proteggerla…-
Kate gli sfiora le dita della mano con le sue, lui la guarda e per un interminabile secondo i loro occhi si sorridono.
-Ora torniamo al distretto e leggiamo quel manoscritto, chissà che non ci riveli qualcosa di nuovo.-
-Ehi Beckett!-
Esposito li interrompe.
-I ragazzi della scientifica hanno trovato della fanghiglia all’interno del garage. Sono sicuri che sia entrato da lì. All’interno c’è una porta che dà direttamente alla cucina.-
Lei si passa la mano tra i capelli.
-Quindi abbiamo a che fare con uno psicopatico che si crede un grande scrittore, maniaco della pulizia e che s’intende anche di elettronica!-
Esposito annuisce.
-Già… se te ne intendi non è difficile trovare la frequenza giusta per aprire uno di questi con un telecomando qualsiasi.-
Castle sbuffa, guardando verso il garage.
-Tecnologia e sicurezza… meglio una bella serratura di ferro a dieci mandate, almeno avrebbe fatto rumore prima di aprirla!-
-Bene Espo, voi continuate qui, noi torniamo al distretto.-
Stanno per andare, quando a Castle arriva un messaggio sul cellulare.
-Qualcosa non va?-
Gli chiede Kate quando lo vede rabbuiarsi in viso.
-No, è Alexis. Dice che devo passare dalla segreteria dell’università perché manca una mia firma sui documenti della partenza.-
-E perché fai quella faccia? Mi hai fatto preoccupare!-
-Ci devo andare adesso, se non è tutto in regola con i permessi non la fanno partire. Quasi quasi non ci vado, così non parte!-
Esclama, sorridendo sornione, beccandosi un pugno sulla spalla da Beckett.
-Non dire sciocchezze… ti ci vorrà un’ora al massimo, io intanto vado al distretto e comincio a leggere la sua opera letteraria!-
Lui le sorride, la prende per mano e la trascina sul retro della casa, guardandosi intorno attentamente. Quando è sicuro di non essere a portata di sguardi estranei, la stringe a sé e la bacia.
-Torno presto, non scoprire niente d’importante senza di me!-
Senza darle il tempo di rispondere corre svelto verso la strada, riuscendo a prendere al volo un taxi, mentre lei resta a guardarlo imbambolata.
Si guarda intorno, sembra davvero che nessuno li abbia visti. Sale in macchina scuotendo la testa al pensiero di quanto possa essere matto e allo stesso tempo dolcissimo e posa lo sguardo sulla casa.
La scientifica sta ancora facendo rilievi e il furgone del coroner sta partendo in quel momento verso l’obitorio.
Per un secondo lui è riuscito a farle dimenticare quello che li circondava, la morte che era accanto a loro.
Mette in moto e si accoda al furgone mortuario, consapevole che il killer non ha ancora completato la sua frase di morte e che, molto probabilmente, ha già adocchiato la prossima vittima.
 
 
Abraham era rientrato da un paio di minuti, stava rimettendo a posto la dispensa quando un rumore di vetri rotti lo fece correre verso il laboratorio. Il Professore era chino sul pavimento, cercava di raccogliere i cocci di un’ampolla che doveva essergli sfuggita di mano, ma l’unica cosa che riusciva a fare era tremare. Abraham gli si avvicinò, lo spronò ad alzarsi e raccolse i vetri rotti buttandoli nella pattumiera, mentre il Professore seguiva ogni suo piccolo movimento con gli occhi spenti, le mani tremanti e la fronte imperlata di sudore.
-Che succede Professore!?-
Gli chiese con voce preoccupata, sedendosi sullo sgabello accanto lui.
L’uomo non rispose, continuò solo a storcersi le dita forse per smettere di tremare, fu allora che il benevolo Abraham bloccò quelle mani tremanti tra le sue e ripose la domanda.
-Che succede Professore!?-
-Oggi…-
Deglutì vistosamente e finalmente si voltò a guardare l’uomo ricurvo accanto a lui.
-Oggi… lui comincerà la sua vendetta. Oggi avvelenerà quella donna.-
Cominciò a scuotere la testa violentemente.
-Per non parlare di quelle altre uccise nella loro casa… nel loro letto… è stato lui, sono opera sua… hanno letto il suo libro in tv! Sono complice di tutte queste morti e sarò complice della fine orribile dell’eroina del suo racconto!-
Tolse a forza le mani dalla stretta di Abraham e si coprì la faccia disperato.
Abraham non riuscì a rispondere. 
Che avrebbe potuto dirgli se non che quello che gli procurava rimorso, era la verità. Con l’unico appunto che anche lui era un complice, anche lui avrebbe avuto sulla coscienza quelle donne, anche lui tremava dentro al suo cuore. A discapito di quello che aveva sempre pensato la gente di lui, solo perché aveva avuto la sfortuna di essere storpio, lui aveva un cuore. Un cuore capace d’amare e di capire la differenza tra bene e male. E quello che Stephan voleva fare era male. Qualunque fosse il motivo della sua vendetta, quello che aveva riservato alla sua vittima, era male.
Si alzò e si avviò al banco di lavoro, prese la spugna e si mise a pulire il piano, in silenzio, con cura. Quando finì, si accostò al lavandino, sciacquò la spugna e ruppe il silenzio.
-Purtroppo non possiamo fare altro che vivere con questo peso sul cuore. Sarà un macigno che ci distruggerà lentamente come quel veleno, giorno dopo giorno… ma è una scelta che abbiamo fatto noi…-
Il Professore sollevò la testa di scatto posando lo sguardo sulle spalle curve di quell’uomo tanto buono e saggio, quanto malato e scosse la testa.
-Io… ho scelto Abraham, non tu!-
L’uomo appoggiò le braccia al piano di lavoro e sospirò.
-No, Professore… noi… io non ho fatto niente per fermarla!-
Mise a posto la spugna ben pulita e si avviò al piano di sopra a finire di sistemare la dispensa.



Angolo di Rebecca:

Il momento di dolcezza si dissolve completamente alla scoperta del terzo cadavere.
Anche Elisabeth lascia Rick sconcertato, come se vedesse se stesso nella figura disperata del marito della donna.
Però prima di andare bacia la sua Kate *-* dolcino lui!

Il Professore si sente in colpa e il buon Abraham non può nemmeno consolarlo, perchè ha la consapevolezza che la "loro" colpa è davvero pesante...

Grazie ancora a tutte per l'attenzione, so che non è un capitolo proprio indicato al periodo, ma approfitto per augurarvi un sereno Natale... pace e salute per tutti <3
 

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Capitolo 13
*** La Prossima Vittima ***








Capitolo 13




Rientrata in ufficio, Beckett trova la Gates seduta alla sua scrivania, intenta a leggere il nuovo capitolo, quello trovato accanto al corpo di Elisabeth Hollsen. I tecnici hanno fatto presto e questo significa che ancora una volta non hanno trovato nessuna impronta o traccia.
Le viene da sorridere, pensando che il comandante in capo gradisce la sua postazione, ma si ricompone appena lei alza lo sguardo, togliendosi gli occhiali e aspettando di essere messa al corrente degli ultimi sviluppi.
Beckett le fa il resoconto e nello stesso tempo scrive tutte le informazioni in suo possesso sulla lavagna.
-Quindi abbiamo gli stessi indizi degli altri due omicidi, cioè niente!-
Lascia cadere gli occhiali sulla scrivania e con l’espressione evidentemente contrariata, si appoggia alla spalliera della sedia.
-Beckett, ho letto questo…-
Gesticola con la mano verso il manoscritto, cercando di trovare le parole adatte.
-…questo… chiamiamolo capitolo. Racconta nei dettagli come ha ucciso Sarah Nichols, il perché lei gli abbia aperto e lo abbia lasciato entrare.-
Kate si siede su quella che è la sedia di Castle e annuisce per farla continuare.
-Nel pomeriggio, mentre usciva di corsa dal suo ufficio gli era finita casualmente addosso buttandolo a terra, colpo di fortuna, lo definisce lui nel racconto. Nello scontro le è caduta una ricevuta della segreteria del tribunale e lui se l’è nascosta in tasca. Sopra c’erano nome e indirizzo e la sera si è presentato da lei con la scusa di restituirgliela.-
Kate sospira inclinando la testa.
-E naturalmente lei gliene è stata infinitamente grata e ha ritenuto giusto ringraziarlo, magari con un caffè.-
-Già… è andata proprio così. Appena entrato l’ha drogata. Il resto si è svolto esattamente come per la Prescott.-
Beckett si passa le mani tra i capelli.
-Tu mi ha trovato, ma… la nuova frase lascia ad intendere che c’è dell’altro.-
Il capitano si sporge sulla scrivania, incrociando le mani davanti a sé.
-Beckett, dobbiamo capire chi è la donna zero.-
Kate corruccia la fronte e la Gates si sporge di più verso di lei.
-Potrebbe essere una madre, una fidanzata, una donna qualunque che lo ha snobbato in passato e che lo ha fatto arrabbiare tanto da scatenargli questa follia omicida.-
Kate annuisce passandosi la mano sul viso, comincia già a sentire la stanchezza, nonostante siano solo le 9.00 del mattino.
-Una donna con gli occhi verdi…-
Sussurra quasi tra sé e la Gates resta in silenzio a guardarla, notando che ha lo sguardo perso sulla copertina del capitolo. Guarda quella lacrima, il sangue che scaturisce da essa e sembra assorta in un oscuro pensiero.
-A cosa pensi Beckett!?-
Solleva la testa di scatto verso il capitano che la guarda preoccupata.
-A niente signore, solo a come riuscire a prenderlo.-
La Gates sorride scuotendo la testa.
-Kate… tu sei preoccupata. Eri strana già al primo omicidio, ma dopo la morte di Sarah Nichols tu e lo scrittore, vi siete comportati in modo molto strano, specie quando poi il signor Castle ha letto il primo manoscritto. Ogni parola sembrava vi facesse male dentro.-
Beckett la guarda stupita. Non si era resa conto di essere sotto osservazione.
-Non mi fraintendere Beckett, non ti sto tenendo d’occhio, ho solo notato uno strano comportamento nel modo di seguire questi omicidi.-
Di bene in meglio. Se adesso comincia a leggermi nel pensiero anche lei, siamo a posto!
Cerca di smettere di parlare con se stessa e di tornare lucida per rispondere al suo comandante.
-Sto seguendo questo caso come sempre signore, è solo che l’assassino agisce così in fretta che non lascia il tempo di riflettere.-
-Mmhh… sarà…-
Non riesce a finire le sue considerazioni perché il campanello dell’ascensore le fa girare entrambe. Il capitano si alza e Beckett si mette con le braccia conserte pronta a mordere.
Trenton Bell ha appena fatto ingresso al dodicesimo accompagnato dal suo legale.
-Signor Bell, a cosa dobbiamo questa visita?-
Il capitano Gates gli porge la mano e Bell le consegna una busta sigillata.
-Questa è arrivata sul mio tavolo una ventina di minuti fa, il tempo di portarvela di persona.-
Beckett solleva un sopracciglio.
-Non ha dato nemmeno una sbirciatina?-
-No detective, come può vedere è ancora sigillata!-
Il capitano controlla la busta, notando i timbri tipici delle agenzie di spedizioni.
-Stavolta non l’ha portata di persona, ha mandato un corriere!-
Solleva di nuovo lo sguardo su Bell e sorride.
-Come mai si è fatto accompagnare dal suo avvocato?-
Bell solleva le spalle, ma è il legale che risponde con tono asciutto.
-Non si sa mai!-
Il capitano fa per congedarli, ma Bell resta fermo davanti a lei.
-Nemmeno una sbirciatina!?-
Chiede con tono affabile usando le parole di Beckett.
-Signor Bell, lei si è comportato da onesto cittadino, non mi faccia cambiare idea su di lei un’altra volta. Però le prometto che appena lo prendiamo, lei sarà il primo a saperlo.-
Trenton Bell stringe i pugni e sospira.
-Lei sta censurando la stampa, non la passerà liscia per questo…-
Le due donne lo guardano con sguardo di fuoco e l’avvocato lo prende per il braccio trascinandolo via.
-Trenton, sarà meglio andare adesso!-
Beckett e la Gates si guardano ridendo e il capitano le passa la busta.
-Controlliamo la ditta di spedizioni, non avrà lasciato tracce nemmeno lì, ma non si sa mai.-
Kate la apre in fretta, ma quando prende il manoscritto resta un attimo in silenzio.
-Cosa c’è?-
Le chiede il capitano, notando la sua espressione.
-Non è la nostra copia!-
Esclama lei guardando le due copertine.
-Dovrebbe essere il secondo capitolo, quello che parla della morte della Nichols, ma... ‘La prossima vittima - capitolo IV’.-
Kate sfoglia le prime pagine, corrucciando la fronte.
-Capitolo IV? Ha saltato il capitolo dell’ultima vittima, che cronologicamente sarebbe dovuto essere il terzo e parlare di Elisabeth Hollsen… perché?-
La Gates si siede ancora al suo posto e le fa segno di accomodarsi accanto a lei sulla sedia di Castle.
-Voleva mandare in onda un nuovo messaggio, più importante del racconto dei suoi omicidi… leggiamolo, presto!-
Mentre si siede e sfoglia la copertina del manoscritto, Beckett si sente attraversare da un brivido; non riesce a capirne il motivo, ma prova un senso di disagio ad averlo tra le mani.
Gira meccanicamente il foglio in cui troneggiano il titolo e il numero del capitolo e si sofferma sulla prima pagina.

 
Uccidere faceva parte di lui.
Ogni uomo sulla faccia della terra nasceva e viveva per un motivo ben preciso… il suo era uccidere.
Creare l’omicidio nella propria mente, vederlo dapprima con gli occhi della fantasia e ricrearlo poi nella realtà, gli dava la possibilità di continuare a vivere.
Non era l’atto in sé che gli dava soddisfazione, ma pensarlo, progettarlo… e alla fine dargli vita… questo lo esaltava, lo eccitava e lo rendeva vivo!
La sfida lo rendeva vivo.
Ma giocare da solo non era divertente, non più.
Aveva sempre cercato qualcuno che avesse le doti per tenergli testa.
Qualcuno all’altezza del suo ingegno e quando si era imbattuto in lei, aveva capito di avere trovato la sua anima gemella.
Lei avrebbe potuto completarlo, aiutarlo ad ardere per sempre di quel fuoco che sentiva nel petto, ogni qual volta raccoglieva l’ultimo respiro delle sue vittime.
Lei, solo lei… ne era rimasto affascinato da subito, lei non era fantasia… lei era reale!
Lei… bella e intelligente, con un intuito incredibile.
Lei… era la sua sfida per la vita.
 

Si ferma nella lettura corrucciando la fronte e solleva lo sguardo sulla Gates che le si siede più vicina.
-Questa lei deve essere la donna che ha scatenato la sua follia, anche se da come scrive, pare che questi non siano i suoi primi omicidi… continua Beckett, svelta!-
Kate riporta lo sguardo sulla pagina scritta e si sente chiudere lo stomaco in una morsa, senza motivo.

 
In fin dei conti come era possibile non restare affascinati dai suoi modi, dalla sua voce… dai suoi occhi.
I suoi magnifici occhi verdi.
Due smeraldi con piccole sfumature cangianti di nocciola a seconda della luce che li riflette!
Occhi che attirano come calamite.

 
Più va avanti con la lettura, più sente salirle una strano senso di nausea, come se quelle parole fossero il male tra le sue mani. S’impone di prendere fiato e continuare a leggere.
 
Il suo modo di fare era elegante, austera nel modo di porsi di fronte ai colleghi, ma con quella nota raffinata di eleganza che l’aveva sempre contraddistinta. Era una donna in un  mondo di uomini, eppure sapeva come farsi rispettare.
Era la migliore nel suo lavoro e questo, per lui, era motivo di orgoglio...
Ma lei questo non lo aveva capito!

 
L’ultima frase la legge sussurrando, si ferma di nuovo guardando le parole con gli occhi sgranati e mentre le rilegge mentalmente, si sente sopraffare da un freddo gelido. Si ritrova a pensare a Castle, alla sua teoria, alla sua paura e la sua mente non può fare a meno di sussurrarle un pensiero insensato.
Sta parlando di me!
-Continua Beckett!-
L’ordine imperativo del capitano la riscuote e si sente sollevata dal fatto che la donna non abbia avuto la sua stessa sensazione. Si sta facendo prendere di nuovo dall’irrazionalità. Chiude gli occhi un secondo e  torna a leggere, riprendendo l’ultima frase.

 
…Ma lei questo non lo aveva capito!
Lei aveva deciso che le loro strade viaggiavano su due versanti opposti, troppo lontani per potersi incrociare ancora, per questo era stato costretto a scuoterla.
Aveva dovuto improntare una trama tutta sua, per ricordarle che la loro strada era a senso unico, che loro erano fatti per camminare ancora vicini, uno accanto all’altra.
Per questo aveva scritto giorno e notte, senza sosta.
Per lei… perché ricordasse… perché capisse il dolore immane che gli aveva procurato.
Quelle donne erano morte a causa sua, avrebbe dovuto portarsi sulle spalle il peso della loro paura e della loro sofferenza per il resto della sua vita, come era stato per lui negli ultimi anni lontano da lei.

 
La Gates solleva la mano per fermarla, si sporge sulla scrivania e la guarda dritto negli occhi.
-E’ stato vicino a questa donna, l’ha considerata una sua alleata per qualche motivo che ancora non spiega, ma lei questo non lo aveva capito…-
Dice ripetendo le parole del manoscritto.
-Parla di anni senza di lei, quindi negli ultimi tempi è stato impossibilitato a starle vicino… magari è stato in prigione. Parla di lei come una donna in carriera in un mondo di uomini…-
Lascia in sospeso la frase e la guarda corrucciando la fronte, come se le fosse passato per la mente un pensiero impossibile. Scuote la testa come per scacciarlo e fa segno con la mano a Beckett di proseguire.

 
Negli ultimi giorni le era stato vicino, proprio sui luoghi dei delitti.
L’aveva guardata da lontano e lei… lei lo aveva percepito!
Si guardava intorno spaesata, cercava qualcosa o qualcuno, uno sguardo tra tanti…
Sentiva la sua presenza, la sentiva in mezzo alla gente!
La detective sapeva che lui era lì… per lei!

 
Kate si ferma di colpo sentendo i battiti del cuore accelerare di parola in parola. Comincia a respirare in maniera affannata rileggendo le ultime tre righe, rivivendo i suoi ultimi tre giorni trascorsi.
La detective… sta… sta parlando di me!
-La detective? Santo cielo Beckett, sembra quasi che stia parlando di te!?-
L’esclamazione del capitano dà voce alla sua mente e lei solleva gli occhi sgranati sulla donna. Non riesce a rispondere e la Gates si dirige alla lavagna a guardare le foto delle vittime.
-Ieri ci abbiamo quasi scherzato sopra.-
Si gira a guardarla ancora.
-E se fosse così? Se tu fossi la donna zero? Se questo psicopatico avesse un conto in sospeso con te?-
Quando si rende conto che Beckett non le risponde torna vicino a lei.
-Il fatto che non dici nulla mi fa pensare che hai già avuto il sospetto che fosse così!-
Kate boccheggia cercando di trovare qualcosa di sensato da dire, ma non ci riesce.
-Beckett maledizione… è così? Hai avuto il sospetto che quelle minacce potessero essere per te e non me ne hai parlato?-
Si alza di scatto lasciando cadere il manoscritto a terra.
-Parlarle di cosa capitano? Non era un sospetto, solo una sensazione. Cosa avrei dovuto fare? Venire da lei e dirle che avevo la sensazione di essere io la donna in questione? Lei mi avrebbe presa sul serio?-
La Gates scuote la testa con disappunto.
-Signore, non c’era nessun indizio che riconducesse a me, tranne la fisionomia delle vittime…-
-Però se quel manoscritto parla di te Beckett, la situazione cambia di molto, perché significa che ti conosce, che per qualche motivo ce l’ha con te. Vuole te Beckett!-
Lei resta immobile senza ribattere, il capitano si china a prendere il manoscritto e, cercando di recuperare la calma, riprende la lettura.
 

Il messaggio era quasi completo, l’ultima frase stava per essere scritta e allora lei avrebbe capito…
Stava per assaporare il dolore allo stato puro.
Stava per cadere ancora nel baratro senza speranza di risalita.
Stava per soccombere al buio senza speranza di ritrovare la luce.
La prossima vittima era già stata prescelta.
Anche quella mattina era ad una paio di passi da lei…

 
Si ferma alzando lo sguardo su Kate, rimasta in piedi davanti alla scrivania.
-E’ sempre stato sui luoghi dei delitti a controllarti e osservarti, anche stamattina!-
Lei chiude gli occhi e stringe i pugni.
La stretta allo stomaco si sta trasformando in rabbia.


 


Aveva preso un taxi per farsi accompagnare sulla sua terza scena del crimine. 
Nonostante fosse mattina presto, il tassista era dalla parlantina facile, sembrava avesse bevuto un intero thermos di caffè. 
Gli aveva praticamente raccontato tutta la sua squallida vita da quando lo aveva prelevato in mezzo alla strada a quando erano arrivati sul viale alberato secondario, che costeggiava la casa di Elisabeth Hollsen.
Si era sporto in avanti e il tassista aveva aperto il palmo della mano aspettando il pagamento, probabilmente pregustava anche la mancia, ma l’unica cosa che ricevette in cambio del passaggio e delle inutili chiacchiere, fu una cordicella sottile intorno al collo.
Aveva stretto forte, tirandolo verso il poggiatesta del sedile, fino a quando l’uomo aveva smesso di dimenarsi e di respirare.
Era rimasto in macchina insieme al tassista, che finalmente si era zittito. 
Gli serviva un attimo di calma per godersi la scena.
Lei era lì, stava cercando di consolare il marito della sua ultima messaggera.
Nonostante tutto, non riusciva a non provare ammirazione per quella donna. 
E’ vero, lei aveva sbagliato, ma questo non sminuiva quello che era: una donna di classe, una detective in gamba, l’unica a potergli tenere testa…

 

Anche quella mattina era ad una paio di passi da lei…
Aveva aspettato con pazienza che il suo partner si avviasse, senza esitazione, al  suo destino.
Lui... era il suo destino…


 

Lei e il suo partner stavano per andare via, era arrivata l’ora! 
Il corpo centrale della trama del suo libro stava per cominciare.
Prese il cellulare da dentro lo zaino e scrisse il messaggio, digitò un numero e premette il tasto di invio.
Sorrise.
Alzò gli occhi per guardare l’espressione sul viso di lui nel leggere il messaggio e strinse la mascella quando, prima di andarsene, lo vide trascinarla  lontano da occhi indiscreti, mettendole le mani sul viso per baciarla.
Sorrise di nuovo.
Mise in moto, guardando un’ultima volta gli occhi sbarrati del tassista che lo fissavano vitrei da dietro la siepe del campetto di basket e fece il giro della strada, per ritrovarsi sulla via principale.
Lui gli fece cenno con la mano per fermarlo e salì a bordo, su quel taxi che lo avrebbe portato verso il suo destino…

 
Senza capirne il motivo la rabbia lascia il posto alla paura, proprio come è scritto su quelle pagine. Il brutto presentimento e l’ansia provati nelle ultime ore, s’impossessano di nuovo e improvvisamente di lei.
-Continui a leggere Capitano, la prego!-
Avrebbe voluto dirlo con più decisione, ma quello che è uscito dalla sua bocca è stato soltanto un sussurro.
 

La vittima prescelta era già nelle sue mani e leggendo il messaggio completo, lei avrebbe capito e avrebbe avuto paura.
‘Quando esalerai il tuo ultimo respiro io ti sarò vicino,
talmente vicino che sentirai il mio addosso a te… 
Io ti vedrò morire… 
Tu mi hai trovato, ma… 
Lui mi ha fermato!’

 
Kate strappa il manoscritto dalle mani della Gates che la guarda sbalordita. Rilegge l’ultima parte e la paura diventa panico.
Prende il cellulare e compone il numero di Castle.
-Non risponde maledizione…-
La Gates continua a non capire.
-Beckett, si può sapere che ti prende?-
Ricompone lo stesso numero e lascia il telefono attaccato all’orecchio.
-Non vuole uccidere me capitano, sta parlando di Castle. Rilegga l’ultima frase del messaggio, tu mi hai trovato, ma lui mi ha fermato. Se è vero che la donna zero sono io e che in qualche modo l’ho fermato, l’ultima frase significa che ci sono riuscita grazie a Castle. E’ lui la prossima vittima.-

 

Lo scrittore si sedette sul retro del taxi con ancora il telefono tra le mani, sorrise al pensiero insano che gli era venuto poco prima. 
Avrebbe potuto benissimo ‘dimenticarsi’ di mettere quella firma prima di sera e la sua piccolina non sarebbe potuta partire.
Il sorriso gli morì sulle labbra, quando nella mente gli apparirono gli sguardi di fuoco non solo di Alexis, ma anche di Beckett, che lo avrebbero fulminato in meno di un nano secondo, senza lasciare traccia di lui… nemmeno le ceneri.
Sospirò sbuffando. Ormai non aveva scampo.
Alexis non era più la sua piccolina e ora c’era anche Kate che avrebbe fatto in modo di ricordarglielo in ogni momento della giornata. 
-Tutto bene signore?-
La voce del tassista gli fece alzare gli occhi dal display. 
-Si tutto bene, ero solo soprapensiero.-
Il tassista fissò gli occhi sullo specchietto retrovisore per guardarlo e Castle si ritrovò ad incrociare il suo sguardo riflesso. 
Era abituato agli sguardi insistenti. A volte la gente lo fissava, convinta di conoscerlo e la cosa faceva piacere al suo ego, ma gli occhi chiari e freddi di quell’uomo lo stavano mettendo a disagio e non riusciva a capirne il motivo.
Si sistemò sul sedile tossicchiando e distolse lo sguardo, guardando fuori dal finestrino. 
Era stato così assorto nei suoi pensieri che per tutto il tragitto non lo aveva ancora fatto.
Corrucciò la fronte cercando di capire in che via si trovassero.
-E’ sicuro di non avere sbagliato strada? Non per insegnarle il mestiere, ma non mi sembra che da qui si arrivi alla Columbia!-
L’uomo posò ancora gli occhi sullo specchietto retrovisore e Castle ebbe l’impressione che il loro colore fosse diventato ancora più freddo di pochi minuti prima.
-E’ solo una scorciatoia meno trafficata, arriveremo prima, sulla strada principale a quest’ora non si cammina.-
Riportò lo sguardo sulla strada e Castle si mosse ancora sul sedile per cercare una posizione comoda. 
Quel taxi cominciava a stargli stretto e non riusciva a spiegarsene il motivo.
 
 
E’ lui la prossima vittima!
Mentre Kate lo ripete anche dentro la sua mente, ha l’impressione che il cuore le si sia fermato per un attimo. Viene colta da una vertigine, chiude gli occhi e sospira, appoggiandosi alla scrivania.
La Gates le prende le mani per cercare di calmarla.
-Ma Castle come mai non è tornato con te al distretto?-
-Ha ricevuto un messaggio da sua figlia e ha preso un taxi davanti casa della Hollsen per andare da lei all’università… proprio come c’è scritto qui.-
Indica la pagina rimasta aperta sulla scrivania e chiude la chiamata stizzita.
-Non risponde!-
-D’accordo Beckett, ora manteniamo la calma. Supponiamo che tu abbia ragione, l’assassino ti ha mandato questo manoscritto per darti degli indizi. Ti sta sfidando! Finiamo di leggere, forse troviamo qualcosa di utile.-
Lei annuisce, ed è costretta a sedersi per riprendere un attimo il controllo di sé.

 
Finse di avere un guasto al motore e fermò il taxi in una piazzola di sosta.
Aprì il cofano dell’auto e aspettò che la sua vittima facesse esattamente quello che si aspettava: scendere e andargli vicino.
Fu allora che lo colpì.
Il momento era arrivato.
La sua vendetta era iniziata!


 

Uno strano rumore proveniente dal motore costrinse l’uomo a fermarsi in una piazzola di sosta. 
Castle si ritrovò a sospirare di sollievo. 
Continuava a non capire il perché, ma voleva assolutamente prendere un altro taxi e chiacchierare con un altro tassista, quello aveva uno sguardo davvero inquietante.
L’uomo scese dall’auto scusandosi per l’inconveniente e lui si ritrovò a sorridere, pensando che negli ultimi due giorni era diventato particolarmente paranoico e che Beckett aveva ragione. Meglio lasciare perdere le sensazioni e le teorie insensate.
Controllò l’orologio, si stava facendo davvero tardi, aveva fretta di tornare al distretto e leggere il manoscritto. 
Scese dall’auto avviandosi verso il cofano aperto, ma prima di rendersi conto che il tassista non era chino a controllare il motore, come aveva dato ad intendere, sentì  un bruciore alla base del collo e le gambe venirgli meno…

 
I messaggi erano tutti per lei, per arrivare al corpo centrale della trama, per potere iniziare la sfida che avrebbe portato al suo epilogo.
Guardò il viso dell’uomo e pieno di rabbia lo colpì con forza.
Sorrise tornando calmo.
Ora sarebbe cominciata la discesa all’inferno!
 

Kate ricompone il numero di Rick e sospira quando al secondo squillo sente aprire la chiamata.
-Castle, grazie a Dio, dove sei?-
L’attimo di silenzio che segue, la blocca e la voce sconosciuta che le arriva alle orecchie subito dopo, la gela sul posto.
-Lui non può rispondere detective… non più…-
Sente un tonfo e poi il silenzio.
Senza nemmeno prendere il cappotto e facendo attenzione a non chiudere la chiamata, corre verso l’ascensore.
-Ha lasciato la linea aperta. Capitano faccia rintracciare il cellulare di Castle e mi faccia sapere dove si trova, chiami Esposito e gli dica cosa sta succedendo.-

 


Era chino su di lui e sorrideva.
 Castle vedeva chiaramente i suoi occhi, ma non il resto del viso.
-Finalmente sei di nuovo nelle mie mani. Non ti ho mai perso di vista sai? Ho letto tutto quello che ti riguarda…-
Castle muoveva le labbra, ma si rendeva conto di non riuscire ad emettere alcun suono. 
Gli mostrò il suo telefono con la foto di Beckett che gli sorrideva e si avvicinò ad un paio di centimetri dal suo viso.
-Ha letto ed ha capito… è intelligente la nostra detective! Credi che le si spezzerà il cuore quando ti troverà?-
Percepiva la voce, ma non riusciva a capire il senso delle parole. 
Improvvisamente il corpo non rispondeva più ai comandi del suo cervello. 
Sentiva la testa esplodergli e gli occhi pesanti.
-Le si spezzerà il cuore, ne sono certo e questo la renderà ancora più pericolosa…-
Non riuscì a mettere ordine nelle parole che gli arrivarono alle orecchie.
Avrebbe voluto muoversi, difendersi, parlare, ma non c’era verso.
Chiuse gli occhi e sentì il sangue gelarsi nelle vene, perché stava provando le stesse sensazioni di quelle tre povere ragazze. 
Stava provando lo stesso terrore che avevano sentito Geraldine, Sarah ed Elisabeth. 
Aveva la consapevolezza di stare per morire, proprio come loro.
Si diede dello stupido pensando che, nonostante lui e Kate avessero avuto percezione della sua presenza, avevano fatto di tutto per allontanarla. La paura che lo aveva attanagliato nelle ore precedenti, pensando che i messaggi di minaccia del killer fossero rivolti a Kate, era reale e non insensata. Come non era insensato il disagio che aveva provato sul taxi, guardando gli occhi gelidi di quell’uomo… e adesso era nelle mani del killer…
Ma chi diavolo era? Qualcuno che conosceva sicuramente da come gli parlava.
‘Non mi ha mai perso di vista…’
Cercava di capire, di riconoscere la voce metallica che gli arrivava alle orecchie, ma era confuso e spaventato. 
I suoi sensi si stavano affievolendo lentamente e non riusciva a pensare lucidamente.
-Io ti vedrò morire… e dopo di te, toccherà a lei!-
Lo sentì ridere, una di quelle risate sarcastiche che si sentono nei thriller e che ti fanno accapponare la pelle. 
Voleva Kate, stava usando lui per farla soffrire e dopo le avrebbe riservato lo stesso destino.
La paura che aveva provato fino a quel momento si trasformò in terrore. 
La sua morte non avrebbe salvato Kate.
Spalancò gli occhi cercando di metterlo bene a fuoco e si rese conto che il suo sorriso si era trasformato in una smorfia di rabbia. 
L’ultima immagine nella sua mente, fu un braccio sollevato sopra di lui…


 
 
Angolo di Rebecca:

Potrei stupirvi dicendo che mi rinchiudo nel bunker…
Ma io il bunker non ce l’ho! :(
Deciso! Non vi stupisco e non vi dico niente :p
Buon Anno!!! *-*

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Capitolo 14
*** Assenza di Tempo ***





 




Capitolo 14
 
 

In meno di cinque minuti il capitano Gates contatta Kate alla radio mobile, dandole le coordinate del luogo in cui il cellulare di Castle è stato localizzato. Essendo partita a razzo e senza una meta ben precisa, inchioda di colpo facendo inversione ad U per tornare indietro, visto che la zona intercettata si trova dalla parte opposta a quella presa da lei.
-E’ una zona fuori città, il GPS manda il segnale da un piccolo parco giochi che in inverno resta chiuso, perciò probabilmente deserto. Ryan ed Esposito stanno andando sul posto insieme ad un paio di pattuglie. Ho anche allertato un’ambulanza nel caso ce ne fosse bisogno.-
Le ultime parole della Gates la raggiungono come un pugno allo stomaco.
No, non può essere… non può succedere…
Scuote la testa energicamente, mantenendo gli occhi fissi sulla strada, persa nelle immagini di orrore che le passano nella mente e che non le permettono di essere lucida al cento per cento, rendendo infiniti quei pochi chilometri che la separano da Rick.
‘Lui non può rispondere detective… non più…’ No… no… maledizione!
Batte il palmo della mano contro il volante e cerca di ricacciare indietro le lacrime che sente bruciare negli occhi.
L’insegna colorata del parco giochi si staglia davanti a lei giocosa.
La faccia di un clown con un enorme naso rosso, sembra prendersi gioco di lei e della sua paura, mentre il cuore le martella nel petto.
Non può essere… non di nuovo…
Mentre la voce del capitano continua a darle indicazioni attraverso la radio, ed il viso sorridente di Castle la guarda dal display del telefono ancora in linea, intravede il colore giallo acceso di un taxi fermo nella piazzola di sosta deserta, proprio alle spalle della faccia del clown.
Ferma l’auto al di là della recinzione, apre lo sportello e quando scende il freddo gelido, regalo della nevicata della notte precedente, la travolge in tutto il suo essere.
Istintivamente incrocia le braccia per proteggersi, ma sa bene che il freddo non è dovuto al fatto che non ha indosso il cappotto. Guarda fisso verso il taxi sul quale sembra non ci sia nessuno e sussulta per un brivido.
Non di nuovo… ti prego… non di nuovo…
L’unica cosa che la sua mente riesce a pensare è quella frase sconnessa, rivolta a nessuno in particolare.
Prende la pistola dalla fondina e corre verso il taxi.
Si guarda intorno puntando l’arma davanti a sè e controlla dentro l’auto senza aprire gli sportelli.
Intorno a lei non c’è niente e nessuno.
Vicino alla ruota posteriore sinistra nota qualcosa. Si china a prendere il cellulare di Rick e chiude gli occhi deglutendo, mentre sente in lontananza le sirene delle auto di rinforzo.
Si alza stringendo il cellulare in una mano e la pistola nell’altra e si avvicina al retro del taxi.
Il portabagagli è sollevato di qualche centimetro e sulla parte destra, una piccola scia di sangue disegna una riga sottile, che finisce sul paraurti.
Le sirene sempre più vicine contrastano con il silenzio assordante di quel posto che, senza le risate dei bambini sulle giostre colorate e piene di musica, sembra davvero spettrale.
Guarda quella piccola scia rossa e il gelo che si fa strada nelle sue vene, non le permette di respirare e di muoversi.
No… ti prego… no…
Sarebbe così semplice sollevare il braccio e aprire del tutto il portabagagli, eppure non riesce a muoversi. Rimette la pistola nella fondina e cerca di farsi coraggio respirando profondamente.
Il suono delle sirene è a qualche passo da lei.
Solleva il braccio e si rende conto di stare tremando. Tutto il suo corpo trema, dalla testa ai piedi. Chiude ancora gli occhi,  cercando di allontanare dalla sua mente l’immagine del corpo di Castle completamente ricoperto di sangue e apre il portabagagli con un colpo secco.
Castle è riverso all’interno in posizione fetale. Il viso pallido è ricoperto di sangue. Kate spalanca gli occhi e si porta la mano alla bocca. Cerca di trattenere un urlo, mentre sente le auto dei colleghi frenare dietro di lei.
No… no… non può essere… no…
Il cervello le dice che dovrebbe allungare la mano e sentire i battiti, ma il cuore le impedisce di muoversi. Il pensiero di toccarlo, sentirlo freddo, non percepire nessuna pulsazione, le fa venire le vertigini. E’ costretta ancora una volta a chiudere gli occhi ed inspirare forte, per poi lasciare andare l’aria, che provoca un fumetto per il freddo davanti a lei.
A qualche metro di distanza sente le voci che la chiamano.
Meccanicamente solleva la mano e poggia le dita sul collo di Rick.
E’ un instante, un istante soltanto in cui chiude per l’ennesima volta gli occhi e sente il calore di una lacrima rigarle il viso, mentre sotto i polpastrelli sente il flebile fluire della vita nelle vene di Rick.
Non riesce a trattenere un singhiozzo, mentre si china completamente su di lui, mettendogli le mani sul viso.
Le voci concitate dietro di lei diventano chiare, sente Ryan gridare ai colleghi di setacciare la zona con attenzione e armi alla  mano, mentre si avvicina di corsa verso di lei insieme ad Esposito.
-E’ vivo…-
Riesce a sussurrare ed Esposito la prende per la spalla e delicatamente la fa spostare, in modo che lui e Ryan possano sollevare Castle e adagiarlo sul terreno.
-L’ambulanza sta arrivando.-
Cerca di rassicurarla il collega e lei annuisce.
Ryan avvolge Castle nella coperta che ha preso dal bagagliaio della loro auto e resta immobile a guardare Beckett, che continua a tremare mentre si china su di lui e gli accarezza il viso.
-Castle! Apri gli occhi… svegliati ti prego…-
Vorrebbe riuscire a gridare, ma il suo è solo un sussurro che riesce a farle trattenere le lacrime.
Esposito si china davanti a lei e con un fazzoletto pulisce il sangue dal viso dell’amico. Lo guardano attentamente e si rendono conto che ha solo un taglio sotto l’attaccatura dei capelli. Kate prende una manciata di neve nella mano e la strofina sulla ferita per cercare di fermare quel piccolo rivolo di sangue che l’ha terrorizzata. Rick sussulta al tocco gelido della neve sulla pelle e con difficoltà cerca di aprire gli occhi.
-Rick… sono qui con te Rick… va tutto bene…-
Continua a bagnargli il viso con la neve che si scioglie al tocco della mano contro la sua pelle.
-Non… ri… riesco a muo… muovermi…-
Balbetta, stropicciando gli occhi per cercare di aprirli, cosa che gli riesce assolutamente difficile. Kate sbottona un paio di bottoni della camicia e gli scosta il colletto, notando un puntino arrossato alla base del collo.
-Lo ha drogato, come ha fatto con le altre vittime.-
Dice alzando lo sguardo sui colleghi che annuiscono.
-Grazie al cielo però lui è ancora vivo!-
Esclama Ryan e lei sente l’ennesimo brivido lungo la schiena. Serra la mascella e corruccia la fronte.
-Non è un caso che sia ancora vivo… non ha voluto ucciderlo! Vuole farmi sapere che può arrivare a noi quando vuole, per questo lo ha lasciato in vita.-
-Ho… ho frr… freddo…-
Sussurra Rick chiudendo ancora gli occhi. Il corpo scosso da un brivido sussulta tra le braccia di Kate, che lo solleva addosso a sé per cercare di scaldarlo, mentre l’ambulanza si ferma ad un paio di metri da loro.
-Tranquillo Castle… è tutto finito… ora ti portiamo in ospedale…-

 
Quattro agenti setacciavano la zona, armi in pugno, viso tirato, giubbotto anti proiettile indosso.
Giravano in lungo e in largo.
All’esterno, intorno al taxi abbandonato, controllando lo spiazzo d’entrata del parco giochi.
All’interno, intorno alle giostre e i punti di divertimento e ritrovo chiusi per la stagione invernale.
La neve ricopriva di un paio di centimetri l’asfalto ed era piena di orme che andavano in ogni direzione, i loro scarponi provocavano un rumore sordo tutto intorno, sembravano marionette che si muovevano sotto fila manovrate da mani invisibili.
Cercavano indizi, orme, passi… avevano la speranza di trovarlo ancora nei dintorni, mentre era intento a nascondersi per scappare in un secondo momento.
Ma non avrebbero trovato nessun indizio, nessuno che lui avesse già messo in conto.
Aveva appena conservato la sua vecchia polaroid nello zaino, li guardava dall’alto scuotendo la testa, divertito dalla fatica che stavano facendo, quando bastava solo sollevare lo sguardo…
Lui voleva godersi la scena, voleva godere della sua paura, voleva vedere il terrore nei suoi occhi.
Si era allontanato dal taxi con calma, lasciando impronte di passi per tutto il circondario.
Aveva corso per tutto il parco, proprio come facevano adesso gli agenti per cercarlo, seguendo le orme, che però si confondevano in ogni direzione.
Alla fine era salito sul tetto dell’edificio principale e si era nascosto tra le transenne e i tralicci elettrici che tenevano in piedi l’insegna del parco.
La faccia colorata del clown lo aveva nascosto per bene, nessuno aveva pensato di cercarlo lì, proprio ad un passo da loro e soprattutto con una visuale così nitida.
Lei era arrivata qualche minuto dopo, di corsa, trafelata, spaventata, ma quando aveva visto il taxi era rimasta gelata accanto allo sportello aperto della sua auto.
Il sangue con cui si era macchiata la parte esterna del portabagagli, quando ci aveva buttato dentro lo scrittore, l’aveva bloccata.
Sorrise ripensando al suo sguardo. I suoi occhi erano sbarrati.
Seguiva il movimento ritmico del suo petto; anche da lontano riusciva a vedere che la sua cassa toracica si muoveva frenetica cercando di prendere fiato.
Ad un tratto quel movimento si era fermato.
Aveva visto il portabagagli semi aperto e il sangue che colava giù fino al paraurti e aveva smesso di respirare di colpo.
Sentiva in lontananza le sirene delle auto della polizia, i colleghi l’avrebbero raggiunta a momenti e lei non riusciva a fare un passo in più verso la macchina.
La vide chiudere gli occhi, deglutire e farsi coraggio per aprire del tutto il portabagagli.
L’aveva immortalata in ogni istante.
Ogni momento di quei pochi minuti doveva diventare eterno.
Tutto cominciava a ripagarlo della sua sofferenza.
Non si perse nemmeno il momento in cui lei gli aveva tastato il collo, rendendosi conto che era ancora vivo…
 

-Lei resti qui…-
Nonostante le parole fossero arrivate alle orecchie, il cervello non era riuscito a percepirle e lei aveva continuato a correre oltre la porta seguendo la barella, fino a quando una mano sconosciuta l’aveva spinta all’indietro e, proprio al di là della porta, aveva ribadito la frase con più enfasi.
-Lei – deve – restare – qui!-
Le due metà della porta cominciarono a dondolare in maniera frenetica e lei rimase immobile a fissarle, fino a quando smisero di scontrarsi l’un l’altra nella loro strana danza.
Incrociò le braccia alle spalle come a volersi proteggere da quel freddo che sentiva dentro le vene, lo stesso freddo che aveva fatto tremare Castle durante il tragitto in ambulanza.
Tremava, nonostante la flebo di soluzione salina riscaldata che gli entrava in circolo e la coperta termica in cui lo aveva avvolto il medico.
Kate lo aveva informato che era stato drogato, pobabilmente con dello Zolpidem e lui aveva immediatamente allertato l’ospedale, perché fossero pronti con la cura disintossicante.
Dopo qualche attimo di parole sconnesse tra i denti, che continuavano a battere tra loro per il freddo, era svenuto senza riprendere più conoscenza.
I battiti erano lenti, le pupille apparivano dilatate ma, a detta del medico, era il normale effetto della droga e del freddo.
La ferita alla testa non era da sottovalutare. Nonostante il taglio fosse piccolo, il colpo era stato forte e continuava ancora ad intravedersi del sangue attraverso la medicazione frettolosa che gli era stata applicata.
Le sue mani erano gelate, non riusciva a scaldargli nemmeno quella che teneva stretta tra le sue.
Anche il viso era gelato.
Era stato dentro quel taxi con il freddo gelido addosso, per una ventina di minuti circa prima che lei arrivasse, il medico le aveva detto che era del tutto normale che avesse un inizio d’ipotermia, soprattutto perché l’azione della droga lo aveva immobilizzato e questo aveva provocato un rallentamento delle funzioni vitali.
Ancora immobile davanti alla porta della sala del pronto soccorso, continuava a pensare a quella mano gelida dentro la sua, senza riuscire a spostarsi di un solo passo.
Inconsciamente aveva sciolto la stretta da se stessa e sollevato il braccio per guardare l’ora, come se fare la conta dei minuti che ci avrebbe messo un medico ad apparire da quella porta per darle notizie, fosse vitale come sapere che Rick era salvo.
I suoi occhi inquadrarono soltanto un polso vuoto.
Niente lancette. Niente ore. Niente minuti.
Li chiuse davanti a quell’assenza di tempo ed un tremore improvviso s’impossessò delle sue viscere, ricordandole quello strano ed insensato presentimento che l’infrangersi sul pavimento del suo orologio, le aveva provocato un paio di giorni prima: perdere ancora qualcosa, o peggio, qualcuno d’importante.
Non riusciva a smettere di tremare, proprio come Rick, con la sola differenza che lei non aveva freddo.
Questo non doveva accadere…
Non avrebbero mai dovuto arrivare al punto di essere in pericolo entrambi.
Il killer ce l’aveva con lei.
Per qualche motivo ancora sconosciuto, lui voleva lei.
I segnali c’erano stati.
I messaggi sul corpo delle vittime erano chiari e lei non avrebbe dovuto lasciarsi confondere, avrebbe dovuto capire e dare  retta al suo istinto e, soprattutto all’istinto di Castle…
 
Qualcosa di caldo sulle spalle la riporta alla realtà: immobile davanti a quella porta che non accenna ad aprirsi.
Si guarda addosso il cappotto che la avvolge e gira lo sguardo alla sua destra, incontrando gli occhi preoccupati di Ryan, offuscati dal vapore intenso che esce dal bicchiere che ha tra le mani.
-Bevi, ti aiuterà a scaldarti.-
Le dice mettendolo tra le sue ancora tremanti, mentre le sistema meglio il cappotto che le ha messo sulle spalle, per darle un po’ di tepore.
-Fuori siamo sottozero, come hai potuto dimenticare il cappotto, benedetta ragazza!-
Esclama, riuscendo a strapparle mezzo sorriso con il suo fare corrucciato di un padre apprensivo.
-Sono uscita così in fretta che non ci ho pensato.-
Lui annuisce e poggia le mani su quelle di Kate, spingendole verso la sua bocca per spronarla a bere la bevanda calda, cosa che lei fa. Appoggia le labbra al coperchio del bicchiere e quando manda giù il liquido, fa una smorfia diretta al collega, che solleva le spalle.
-E’ camomilla calda… in questo momento quello che non ti serve è della caffeina.-
La spinge a berne un altro sorso sorridendo.
-Fidati Beckett… non ti ucciderà, è innocua!-
Lei porta di nuovo il bicchiere alle labbra, senza togliere lo sguardo dall’azzurro intenso degli occhi di Ryan. E’ preoccupato anche lui, si capisce da come li tiene spalancati, nonostante cerchi di non darlo a vedere.
-Restare impalata qui a guardare la porta, non servirà a niente. Vieni a sederti e cerca di riscaldarti.-
Le mette il braccio attorno alle spalle e si siedono sulle sedie in fila a ridosso del muro della corsia del pronto soccorso.
Restano in silenzio, mentre Beckett beve ancora un sorso di camomilla con lo sguardo perso sul muro bianco di fronte a loro.
-Dov’è Esposito?-
Gli chiede qualche minuto dopo, poggiando il bicchiere sulla sedia vuota accanto a lei.
-Al telefono con i colleghi che sono ancora a lavoro a casa della Hollsen.-
Fa una pausa e finalmente si volta a guardarla.
-Il capitano Gates ci ha spiegato per sommi capi come avete capito che Castle era in pericolo e che…-
-…e che io sono la donna zero!-
Sussurra lei e il collega annuisce senza toglierle gli occhi di dosso.
-Ci ha detto anche che tu e Castle, nei giorni scorsi, avete pensato che potesse essere così, ma non avete detto nulla…-
Lascia la frase in sospeso, cercando di soppesare le parole, in modo da non farsi prendere dalla rabbia.
-Perché!?-
Chiede alla fine sospirando, tornando a guardare il muro candido di fronte a lui.
-Ryan, hai trovato degli indizi precisi che riconducessero a me, oltre la somiglianza fisica?-
La sua domanda è carica di tensione, la pone battendo le mani sulle ginocchia, come esasperata da tutto quello che sta succedendo. Ryan scuote la testa e si alza di scatto, facendola sussultare.
-Kate… per l’amor del cielo! Indizi, prove… beh, adesso ci sono. C’è un intero capitolo che parla della detective e del suo partner e del modo in cui questo pazzo assassino, che ti conosce meglio di noi, vuole vendetta. Avresti dovuto metterci al corrente, anche se erano solo sensazioni. Lo sai che l’istinto è tutto nel nostro lavoro!-
Dice tutto d’un fiato, gesticolando e facendo avanti e indietro davanti a lei che lo guarda ammutolita. Dopo qualche secondo di silenzio, si passa le mani tra i capelli e torna a sedersi accanto a lei.
-Scusami Beckett…-
Inizia a dire, ma lei lo ferma con un cenno della mano.
-Non scusarti, hai ragione. Avrei dovuto parlarvene, anche se sembrava una cosa campata in aria.-
Ryan sta per rispondere, ma vengono interrotti dal capitano Gates che arriva verso di loro, trafelata.
-Notizie del signor Castle?-
Kate scuote la testa, stringendosi nel cappotto di Ryan.
-No signore. Ancora niente!-
Risponde cercando di mantenere la calma davanti al suo capitano, che sospira stringendo le labbra.
-Vedrai che si riprenderà presto… ha voluto che lo ritrovassi vivo, sennò non ti avrebbe avvertita!-
Il cuore di Kate si spezza per l’ennesima volta in quella mattinata, perché sa che le sue parole sono vere; se solo avesse voluto, avrebbe ritrovato Castle cadavere.
-Ho fatto in modo di contenere la stampa. Non ho potuto evitare che sapessero dell’aggressione, ma non sanno chi è la vittima… e non lo sapranno, almeno per il momento.-
-Grazie Capitano!-
-Non voglio altra pubblicità su questo caso… era il minimo visto quello che sta succedendo. Ho anche messo due squadre  a lavoro sui vostri file. Voglio che controllino tutti i casi di cui ti sei occupata con la squadra e in cui ha partecipato attivamente anche il signor Castle.-
Ryan scuote la testa perplesso.
-Saranno almeno un centinaio e bene o male Castle ha sempre partecipato attivamente. Non sarà una cosa facile capitano.-
-Lo so, per questo li ho già messi a lavoro. Ho chiesto loro di alleggerire la lista eliminando i sospetti che sono in prigione o meglio ancora, che sono passati a miglior vita, così appena torniamo in ufficio ci mettiamo subito all’opera. Hai già qualche idea detective? Spero non sia così difficile capire chi è il simpaticone!-
Beckett la guarda i silenzio. In quel momento non riesce a capire niente, non riesce a concentrarsi su niente. Riporta lo sguardo verso la porta che non accenna nessun movimento, restando immobile ad ascoltare il suo capitano che, senza essere vista da lei, sorride scuotendo la testa.
-Ma a questo penseremo quando torneremo in ufficio.-
Esposito li raggiunge, pronto a metterli al corrente delle novità, ma non riesce a parlare, perché Kate improvvisamente si alza, poggia sulla sedia il cappotto che le ha dato Ryan, spinta da un bisogno irrefrenabile di appoggiare le mani alla porta che l’ha divisa da Rick, seguita dallo sguardo stranito dei colleghi. Qualche secondo dopo la porta ricomincia la sua danza facendola sussultare.
Un uomo in camice bianco la guarda sorpreso di trovarsela davanti all’improvviso, per poi sorridere benevolo.
-Lei è il detective Beckett?-
Kate annuisce stupita e il dottore le porge la mano.
-Non si stupisca se so il suo nome, da quando ha ripreso conoscenza il signor Castle non ha fatto altro che parlare, in modo un po’ sconnesso direi, del fatto che dovevo sbrigarmi a fargli avere notizie del detective Beckett.-
Le stringe la mano continuando a sorridere.
-Sono il dottor Benjamin Travis.-
Finisce mentre lei corruccia la fronte.
-Non capisco, è lui il ferito, cosa significa che vuole avere mie notizie?-
Il medico solleva le spalle pensieroso.
-E’ preoccupato per lei, dice che il suo aggressore vuole ucciderla…-
I colleghi poco dietro di lei sorridono, mentre lei scuote la testa.
-Lui come sta?-
-E’ ancora un po’ intontito e anche intorpidito nei movimenti, risentirà dell’effetto della droga ancora per qualche ora, ma una bella dormita lo rimetterà in sesto. Per quanto riguarda il colpo alla testa, la radiografia non ha evidenziato nessun trauma, solo quattro punti per ricucire il taglio ed un bel livido di contorno.-
Guarda il resto dei presenti e nota i loro volti ancora preoccupati, così continua.
-In linea di massima sta bene, ha solo bisogno di riposo, anche se continua a dire che rivuole assolutamente i suoi pantaloni.-
Kate corruccia la fronte e il dottore fa la faccia seria.
-Dice che sarà fuori da qui entro mezz’ora, con o senza i pantaloni. Non ha capito bene che deve restare sotto osservazione fino a domani.-
Il capitano annuisce e si avvicina.
-Questo è un altro segno che sta bene, il signor Castle è famoso per essere duro di comprendonio.-
-Sarà… ma non deve lasciare l’ospedale, almeno per oggi. Andate pure da lui, così si tranquillizza, per quanto abbia cercato di scherzare, è molto provato dall’aggressione che ha subito.  Seconda porta sulla sinistra, io vado a completare la cartella clinica. A dopo.-
 
 
…Si ritrovò a sorridere, notando il sollievo che la detective aveva provato nel sentire il suo battito tastando l’arteria carotidea, sollievo che di lì a poco si sarebbe trasformato in disperazione e rabbia.
Sigillò la siringa dentro una bustina di plastica, osservandola per qualche istante prima di metterla nello zaino e farne sparire le tracce.
Strinse nella mano la boccettina con il liquido azzurro che lo aveva accompagnato quella mattina nell’inizio della sua rinascita e respirò a pieni polmoni. L’aria gelida entrò dalle narici in maniera violenta, facendogli bruciare la gola e il petto.
Riportò lo sguardo sulla detective, i colleghi erano arrivati e stavano soccorrendo lo scrittore.
Lei era ancora spaventata, ma sembrava avesse ripreso un po’ di colore sulle guance, segno che si era tranquillizzata sulla salute del suo uomo.
Respirò ancora, buttando fuori l’aria con una risata silenziosa.
Guardò l’orologio.
-Ore 9,20.-
Disse tra sé, spingendo la corona che azionava il cronometro.
-Comincia il conto alla rovescia…-
Sussurrò appena fissandole gli occhi addosso.
Riaprì la mano e un luccichio negli occhi fece brillare ancora di più quel liquido trasparente.
L’ambulanza aveva azionato la sirena ed era ripartita verso l’ospedale più vicino.
I poliziotti in divisa avrebbero setacciato i dintorni ancora per un bel po’, era il momento di andare, prima che arrivasse la scientifica per ispezionare minuziosamente il taxi.
Rimise tutto dentro lo zaino, chiuse la zip e se lo portò sulle spalle.
Il capitolo di quella mattina era già pronto e, come ogni volta, lo avrebbe lasciato sulla scena del crimine appena compiuto.
Lasciò cadere il manoscritto sulla neve, proprio ai piedi dell’enorme struttura che abbracciava il retro del viso del clown.
Scese con calma aggrappato ai pioli di ferro incastonati alla parete laterale che formavano la scala di emergenza.
Si guardò intorno e velocemente s’infilò dentro una delle giostre che erano già state controllate, da lì riuscì a raggiungere la rete metallica della recinzione posteriore del parco per poi sparire verso la boscaglia, senza essere visto da nessuno.
Il viso triste della donna sulla copertina e la sua lacrima solitaria sulla guancia, spiccavano sul bianco della neve e la piccola chiazza rossa che la lacrima formava poco sotto il suo mento goccia dopo goccia, era di poco nascosta dal titolo del quinto capitolo che aveva stampato proprio sul sangue: ‘Lacrime di paura!’



Angolo di Rebecca:

Direi che la Befana è stata buona con tutte noi: Riccardone pare stare bene (O.o)
Alla fine il nostro caro amico voleva fargli uno scherzo :p
Come dite? Meglio che sto zitta?! 
Va bene! :( torno in letargo!

Buona Befanina a tutte *-*

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Capitolo 15
*** Più di una Vendetta: la 'Sua' Realtà... ***


 





Capitolo 15
 
 
 
Il dottor Travis si allontana e Kate, seguita dal capitano e dai colleghi, si dirige velocemente nella stanza di Castle.
Appena lui sente la porta aprirsi, scatta a sedere sul letto, cercando di nascondere una smorfia di dolore e abbozzando un sorriso, per rispondere a quello che gli sta regalando Beckett, ma ridiventa serio quando oltre ai ragazzi, vede apparire anche la Gates.
-Capitano! C’è anche lei!?-
-Le dispiace signor Castle?-
Lui si sistema meglio sul letto e sorride.
-Ci mancherebbe… anzi! Significa che si è preoccupata per me!-
La donna lo fissa seria.
-Diciamo che sono molto preoccupata per me. Se lei decidesse di farsi ammazzare lontano dal 12th distretto, mi risparmierebbe molti grattacapi.-
Lui annuisce sorridendo.
-L’ho sempre saputo che in fondo mi è affezionata!-
Posa lo sguardo su Kate. Vorrebbe poterla abbracciare e stringere per essere certo di essere vivo davvero. Sa che anche lei vorrebbe accarezzarlo, stringere le sue mani, finalmente calde dopo quel viaggio assurdo in ambulanza, in cui sentiva la sua vicinanza senza poter reagire per rassicurarla, ma la presenza del capitano blocca tutto e tutti  e gli occhi gli diventano lucidi, cosa che non passa inosservata a nessuno.
-Come ti senti?-
Gli chiede Ryan, spezzando il silenzio.
-Un po’ intorpidito, quando muovo le mani le sento tremolare e mi scoppia la testa, ma sono vivo!-
Avrebbe voluto dirlo a mo’ di battuta, ma il tono della voce lo tradisce.
-Signor Castle, ricorda qualcosa in particolare?-
Gli chiede la Gates, con un tono fin troppo dolce e lui solleva le spalle deglutendo.
-Oltre il fatto che ho cercato in tutti i modi di trattenermi dal farmela addosso per la paura?!-
Esclama sorridendo imbarazzato, incontrando ancora una volta lo sguardo di Kate, che lo fissa seria, mostrandogli la paura e la preoccupazione che ha provato anche lei.
-E’ normale che abbia avuto paura signor Castle. Ne abbiamo avuta tanta tutti noi…-
Lui annuisce, percependo la serietà nella voce del Capitano e cerca di concentrarsi sui ricordi impressi nella sua mente.
-Abbiamo scambiato un paio di frasi sul taxi, la sua voce sembrava normale, senza nessun accento particolare. Aveva una barba molto folta ed un cappellino di lana premuto sulla fronte. Ho visto solo gli occhi, chiarissimi e gelidi, almeno è questa la sensazione che mi hanno dato. Non capivo il perché, ma volevo solo scendere da quel taxi.-
Kate si siede accanto a lui sul letto e, ignorando il fatto che ci fosse il capitano presente, gli prende la mano.
-Non ti sei accorto che aveva preso una strada sbagliata?-
Lui annuisce posando lo sguardo sul copriletto bianco.
-Si, ma lui ha detto che era una scorciatoia, me la sono bevuta… non posso mica conoscere ogni angolo di New York! Poi ha finto un guasto al motore e si è fermato in quella piazzola. Non riuscivo a raccapezzarmi su dove fossimo ed ero sollevato dal fatto che potevo sganciarlo e prendere un altro taxi, con la scusa che avevo fretta… ma è stato allora che mi ha colpito con la siringa. Ora so perché mi sentivo a disagio. Non era un tassista!-
Termina il racconto con un sussurro, stringendo la mano di Kate, mentre Esposito si fa avanti per esporre finalmente le novità che ha scoperto.
-A questo proposito… io non ho notizie migliori. I colleghi hanno trovato il cadavere di un uomo dietro il campetto di basket di fronte casa di Elisabeth Hollsen.-
-Un cadavere?-
Chiede la Gates, non riuscendo a capire.
-Si signore. Un uomo. Rod Fanton. Secondo Lanie è stato strangolato con una cordicella sottile un paio di ore fa circa. Sui documenti c’era scritto che faceva il tassista.-
Beckett scuote la testa e china lo sguardo a terra.
-Non ci posso credere… si è fatto portare sul posto e poi lo ha ucciso, davanti a noi!-
-E non è tutto.-
Continua Esposito.
-Il cadavere aveva tra le mani un altro capitolo del suo racconto e, attorcigliato al polso destro, un bracciale di perle.-
Beckett si passa le mani tra i capelli.
-Il terzo capitolo, quello mancante sulla morte di Elisabeth Hollsen!?-
Esposito annuisce.
-Lo ha intitolato ‘Girotondo di Paura’. Lo hanno letto velocemente e descrive l’omicidio come i primi due. Niente di più! Mi chiedo se ha già pronto il prossimo e cosa ci aspetta!-
Kate solleva lo sguardo sui colleghi e stringe le labbra per la rabbia, alzandosi e camminando avanti e indietro per la stanza.
-Ci ha osservato per tutto il tempo, ha seguito ogni nostro passo e si è fatto trovare pronto sulla strada quando Castle è andato…-
Si ferma di colpo come se le fosse arrivato un pugno allo stomaco e nello stesso momento, sia Castle che la Gates corrucciano la fronte, parlando insieme.
-Come faceva a sapere che io avrei avuto bisogno di un taxi?-
-Come faceva a sapere che Castle avrebbe avuto bisogno di un taxi?-
Si guardano sorpresi e Beckett prende il telefono di Castle dalla tasca dei pantaloni e lo porge ad Esposito.
-Fa controllare l’ultimo messaggio. Alexis gli ha chiesto di raggiungerla alla Columbia.-
A questa frase Rick fa per scendere dal letto, ma Ryan lo blocca.
-Ehi… sei matto? Che intendi fare?-
-Alexis… devo andare da Alexis, se il messaggio non l’ha mandato lei…-
La Gates lo interrompe prendendolo per le spalle e costringendolo a rimettersi comodo a letto.
-Non è necessario dire altro signor Castle. Ho già provveduto. Quando Beckett è corsa via pensando che lei fosse in pericolo, ho mandato un paio di agenti in borghese sia alla Columbia che al suo loft. Mi hanno  riferito che è tutto a posto, Alexis sta bene e a casa sua è tutto tranquillo.-
Castle le stringe le mani con gli occhi lucidi.
-Grazie capitano… non so che altro…-
La Gates scuote la testa, impedendogli di andare oltre.
-Dovere signor Castle! Terranno d’occhio sua figlia senza che lei o altri se ne accorgano.-
Esposito prende il telefono e va verso l’uscita.
-Datemi un paio di minuti, se il messaggio non è partito dalla Columbia lo sapremo subito.-
Si allontana componendo un numero al suo cellulare, seguito da Ryan.
Il capitano prende una sedia e si accomoda vicino al letto incrociando le mani sulle gambe.
-Cos’altro può dirci di lui, signor Castle?-
-Quando mi ha immobilizzato a terra e si è abbassato vicino a me, parlava con una voce diversa, metallica…-
-Come se usasse un simulatore di voce?-
Chiede Kate e lui annuisce.
-Ma perché? Prima ti parla normalmente e poi dissimula la voce?-
-Forse anche prima aveva cambiato tonalità… non lo so… è tutto così confuso… so solo che ha detto…-
Si ferma corrucciando la fronte, cercando di fare mente locale e ricordare le parole precise.
-…ha detto esattamente ‘finalmente sei di nuovo nelle mie mani. Non ti ho mai perso di vista sai? Ho letto tutto quello che ti riguarda…’ poi ha detto qualcosa su Beckett ‘ha letto ed ha capito… è intelligente la nostra detective!’-
La guarda dritto negli occhi.
-E poi ha concluso dicendo ‘io ti vedrò morire… e dopo di te toccherà a lei!’-
Continua a corrucciare la fronte guardando anche il capitano Gates.
-Che voleva dire con ‘la nostra detective ha letto?’-
Kate si siede di nuovo sul letto accanto a lui.
-Ci ha mandato un capitolo dal titolo La Prossima Vittima. Parlava delle tre vittime, descrivendo ogni momento delle indagini,  ed ho cominciato a capire che il soggetto ero io. Alla fine ha completato la frase: 'Quando esalerai il tuo ultimo respiro io ti sarò vicino, talmente vicino che sentirai il mio addosso a te… Io ti vedrò morire… Tu mi hai trovato, ma… Lui mi ha fermato…'-
Abbassa lo sguardo chiudendo gli occhi.
-…quando ho letto l’ultima parte della frase ho capito che parlava di te!-
-Non ci posso credere!-
Sussurra quasi a se stesso, appoggiando di peso la testa sul cuscino. Si porta la mano alla tempia e sospira. Si sente improvvisamente stanco. Passano qualche secondo in silenzio per riflettere su tutto quello che li ha travolti in poche ore, ed è  proprio il capitano Gates a ridestarli dai loro pensieri.
-Ti conosce bene Beckett. Conosce bene entrambi…-
Dice con calma, scandendo le parole rivolgendosi a lei, che stringe i pugni per la rabbia e a lui che invece chiude gli occhi sospirando.
-Quello che mi chiedo è perché non agire subito? Vuole vendetta. Cosa c’entrano delle donne che tu non conosci?-
-Lo ha scritto nel capitolo. Voleva confondermi e osservarmi, vedere la mia reazione ad ogni omicidio, come se fosse stato sicuro che io avrei capito…-
-…per non parlare del fatto che questo ti avrebbe fatto sentire in colpa!-
La interrompe Castle, vedendola deglutire e la Gates annuisce preoccupata, rivolgendosi proprio a lui.
-Perché lei è ancora vivo?-
Kate chiude gli occhi stringendo i pugni ancora più forte, fino a farsi male affondando nel palmo le unghie e lui solleva le spalle, come sconfitto dagli eventi.
-Ci sta dicendo che può colpire quando vuole, dove vuole e come vuole… ci sta sfidando e uccidere qualcuno che non c’entra con noi fa alzare la tensione, specie per Beckett.-
Stavolta la Gates posa gli occhi addosso a Kate.
-E’ più di una vendetta. E’ molto di più… nel manoscritto dice che lo hai tradito, che non lo hai capito… non può essere un caso qualunque di cui vi siete occupati tempo fa… deve essere un caso importante che ha lasciato il segno, non solo nella sua vita, ma anche nella vostra.-
Cercano di assimilare le parole del Capitano, soprattutto Castle comincia a fare teorie in quel cervello che pulsa ancora per via della droga e che gl’impedisce di essere completamente lucido. Pensa di sapere chi possa essere, pensa che c’è una sola persona al mondo che li odia sopra ogni cosa, ma non riesce ancora a formulare a voce la sua teoria. Beckett la boccerebbe di sicuro.
Esposito rientra in stanza sventolando per aria il telefono di Castle.
-Yo Beckett! Avevi ragione. Il messaggio è stato inviato da una linea che si è agganciata al ripetitore che c’è ad un centinaio di metri dalla casa della Hollsen.-
-Quindi è rimasto sul taxi a spiarci, poi ha inviato il messaggio ed è uscito in strada pronto a prelevare la sua vittima!-
-Proprio così.-
Risponde Ryan.
-Ha clonato il numero di Alexis.-
Castle sbuffa preoccupato, premendo sulle tempie con due dita, segno che il mal di testa si sta intensificando.
-Ma come? Dove può avere avuto accesso al telefono di mia figlia, se glielo avessero rubato me lo avrebbe detto.-
Beckett scuote la testa.
-Può averlo fatto senza avere la sim tra le mani, per chi s’intende di queste cose è semplicissimo, basta avere gli strumenti giusti. Non dimenticarti che tua figlia ti ha chiamato stanotte alle due e quindi…-
Si ferma di colpo essendosi resa conto di quello che ha appena detto e il Capitano fa una smorfia con le labbra.
-E quindi!?-
Chiede con indifferenza, mentre Castle guarda Kate con gli occhi sbarrati.
-…e quindi… il telefono lo aveva con sé!-
La Gates si alza, rimette a posto la sedia e si rivolge a Ryan ed Esposito.
-Ha aperto il garage della Hollsen trovando la frequenza del telecomando… adesso il numero clonato ed è probabile che abbia usato anche un simulatore di voce. Per fare questo, come ha appena detto Beckett, ha bisogno di accessori, congegni ben precisi che deve trovare, reperire o comprare da qualche parte…-
Ryan le si avvicina.
-E’ probabile che se li procuri su internet. Posso fare una ricerca incrociata sul web su dove si possono trovare questi congegni… deve aver pagato in qualche modo, a meno che non ci sia qualcuno che glieli procura, in questo caso non troveremmo nessuna traccia.-
-Proviamoci comunque…-
Risponde la donna dirigendosi alla porta.
-Faccio un salto al parco giochi, voglio dare un’occhiata di persona. Raggiungetemi là!-
Una volta uscita, nella stanza cala il silenzio. Beckett si porta le mani ai capelli e poi lascia andare le braccia di peso sui fianchi.
-L’ho davvero detto a voce alta?-
Chiede guardando i tre uomini davanti a lei, che annuiscono insieme.
-Credete che abbia capito?-
Castle eRyan sorridono, mentre Esposito le mette una mano sulle spalle.
-Che stanotte alle due tu eri insieme a Castle!?-
Solleva le spalle ammiccando.
-No, non ha capito… tranquilla. Secondo me si sta solo chiedendo che ci facevi con Castle alle due di notte. Meno male che non hai accennato al fatto che eravate nella stessa camera da letto!-
Kate gli piazza un pugno bene assestato sullo stomaco, cosa che li fa scoppiare a ridere, mentre lei seria, gli fa cenno di andarsene.
 
 
‘…e la catena di omicidi legati al killer silenzioso non accenna a fermarsi. Proprio pochi minuti fa il nostro inviato Terry Blane, che si trovava già sulla scena del crimine dell’ultimo delitto, ha avuto notizia del ritrovamento di un altro cadavere nel campetto da basket che si trova proprio di fronte alla casa dov’è stato consumato l’omicidio di Elisabeth Hollsen. La vittima stavolta è un uomo sulla cinquantina e, dalle prime indiscrezioni, sembra sia stato strangolato. La polizia non ha dato altre informazioni, ma sorge spontanea una domanda:  questo ennesimo omicidio può essere collegato a quelli delle tre giovani donne uccise a distanza di poche ore l’una dall’altra, o invece è solo una strana coincidenza?
Ci è giunta notizia inoltre, di un’aggressione ai danni di uomo la cui identità non è stata resa nota, avvenuta poco fuori città nei pressi di un parco giochi. E’ notizia sicura che i poliziotti che hanno soccorso la vittima, sono gli stessi che si occupano delle indagini sugli omicidi del killer silenzioso, quindi è plausibile pensare che i due avvenimenti possano essere collegati allo stesso assassino.
Il portavoce della polizia, capitano Victoria Gates, non ha però né confermato, né smentito nessuna delle due ipotesi.
Passiamo adesso alle notizie dall’estero…’

Lanciò il telecomando contro la parete con rabbia, l’oggetto cadde in terra lasciando sparsi diversi pezzi separati, mentre le due pile rotolarono, una sotto la scrivania e l’altra contro la punta del suo scarponcino.
Respirò profondamente per chiarirsi le idee, per cercare di riprendere il controllo delle sue emozioni.
Non era certo il momento di farsi sopraffare dall’ira.
D’altronde sapeva che la polizia avrebbe insabbiato l’importanza dell’aggressione.
Era consapevole del fatto che, potendo, nessuno avrebbe messo sulla bocca di tutti lo scrittore e di conseguenza la sua bella detective, quindi perché arrabbiarsi!?
Raccolse con calma il telecomando, il coperchio del vano batterie e le due ministilo, lo ricompose e lo poggiò sulla mensola accanto alla tv.
Ci avrebbe pensato lui a dire a tutti cosa era realmente successo.
Avrebbe pensato lui a far vivere alla città la sfida che era appena iniziata.
Tutti avrebbero saputo.
Tutti sarebbero stati testimoni della sua grandezza e della sua superiorità…
 
 
Rimasti finalmente soli, Castle allunga il braccio verso di lei, invitandola ad avvicinarsi.
Gli prende la mano e si siede ancora sul letto. Si guardano per qualche secondo senza riuscire a dare voce a tutto quello che vorrebbero dirsi, al turbine di sentimenti contrastanti che provano al momento.
-Ho avuto davvero paura!-
Sussurra dopo qualche secondo Rick, intrecciando le dita di entrambe le mani alle sue. Lei le stringe forte e appoggia la fronte contro la sua.
-Anch’io…-
Lascia le sue mani per accarezzargli il viso.
-Anch’io Castle… quando ho capito cosa stava succedendo mi sono sentita morire.-
Rick la stringe a sé e lei lo bacia, lentamente, gustando quelle labbra che credeva di avere perso per sempre.
-Ho ancora paura. Sono vivo perché lui ha voluto così… significa che quando sarà pronto ci ucciderà senza esitazione e questo… mi terrorizza!-
Lei lo bacia ancora e resta immobile sulle sue labbra.
-Faremo in modo di non farci sorprendere ancora… la cosa importante è che tu stai bene. Non deve più accadere che ti trovi ancora in pericolo.-
Rick appoggia il viso accanto al suo collo e respira a pieni polmoni.
-Mi fai un favore?-
Lei annuisce e lui si accuccia completamente sulla sua spalla, continuando a stringerla.
-Vai a cercarmi i pantaloni?-
Kate si scosta di colpo guardandolo male e lui sbuffa.
-Il dottore deve avermeli nascosti. Guardati intorno, non ci sono armadi qui dentro, solo pareti spoglie e macchinari strani e dei miei pantaloni nemmeno l’ombra.-
-Castle questo è un pronto soccorso, per questo non ci sono armadi e tu non hai bisogno dei pantaloni.-
Lui solleva le sopracciglia divertito.
-Beckett, sono lusingato, ma non mi sento sicuro di come potrebbe andare la mia performance al momento, sono ancora un po’ intorpidito!-
Lei gli dà un pugno sulla spalla, allontanandosi.
-Sono contenta che hai voglia di scherzare… tu non ti muovi da qui Castle, fino a quando il medico non ti darà il via libera.-
Rick abbassa lo sguardo spegnendo di colpo quel suo sorriso malizioso e lei gli si avvicina di nuovo stringendogli le mani.
-Castle, il dottore ha detto che devi restare qui sotto osservazione.-
Lui la ferma scuotendo la testa.
-Niente da fare, se devo riposare lo farò a casa e poi voglio leggere il capitolo che parla di me…-
-Castle!-
-NO… non mi convincerai nemmeno tu. Voglio uscire da qui adesso e lo farò con o senza i pantaloni addosso… sai che ne sono capace! Non voglio stare qui.-
Esclama convinto e fin troppo serio. I suoi occhi sono lucidi e lei non riesce a capire la sua strana frenesia di uscire da quella stanza.
-Non mi piacciono gli ospedali…-
Sussurra poi come se si vergognasse, lei lo bacia e sorride.
-A nessuno piacciono gli ospedali!-
Il dottor Travis li interrompe entrando all’improvviso e schiarendosi la voce, intuendo che forse avrebbe dovuto bussare, ma si mantiene indifferente. Castle solleva gli occhi al cielo e Beckett si alza di colpo allontanandosi da lui.
-Signor Castle devo farle un altro prelievo, dopo di che verrà trasferito in reparto.-
Rick scuote le mani davanti alla faccia.
-Vada per il dissanguamento, fingerò di non essere allergico agli aghi, ma dopo vado via.-
-Signor Castle…-
-Non se ne parla, voglio andare via!-
Kate sospira avvicinandosi al medico.
-Come mai ha bisogno di un altro prelievo?-
Il dottor Travis tentenna un attimo, cosa che non sfugge a Beckett. Quella sua espressione, in una sala interrogatori lo avrebbe incastrato come colpevole.
-Voglio solo controllare il livello di disintossicazione. Purtroppo questo tipo di droga lascia degli strascichi. Avrà momenti di sbandamento ancora per qualche ora, oltre che male alla testa, per questo vorrei che restasse sotto osservazione… alla fine non credo di averla trattata così male!-
Cerca di sdrammatizzare, ma Castle continua a scuotere la testa con gli occhi imploranti.
-Restare qui significherebbe mettere al corrente la mia famiglia su quello che è successo e non mi sembra il caso e poi… non ho buoni ricordi di questo posto!-
Esclama di getto, senza rendersene conto, perso in un pensiero oscuro che non è mai riuscito a scacciare dalla sua mente, tanto meno dal suo cuore.
Solleva lo sguardo su Kate, con l’espressione colpevole e lei riesce a capire il vero motivo per cui non vuole assolutamente restare in ospedale.
-Dottor Travis, se non è strettamente necessario, può riposare a casa?-
Il medico sospira, fa cenno all’infermiera di procedere con il prelievo e quando la donna va via con la provetta piena di sangue, scrive qualcosa sulla cartellina che tiene tra le mani, strappa un foglio e lo porge a Beckett.
-Questo è il foglio di dimissioni. Mi raccomando, deve riposare e non agitarsi.-
Sottolinea guardando Castle.
-Parola di scout!-
Risponde lui sollevando la mano, facendolo sorridere.
-Bene, porto la copia del foglio di dimissioni in accettazione, così quando sarete pronti non avrete problemi.
Fa per uscire ma Castle lo ferma sollevando il dito indice verso l’alto.
-Ehm… scusi dottor Travis… non crede di avere dimenticato qualcosa?-
Il medico corruccia la fronte guardandosi intorno, ricontrollando anche la cartella clinica del paziente, guarda Castle stranito e lui sorride.
-Sono sicuro che la signorina all’accettazione sarebbe felice di dire alle sue amiche che ha visto Richard Castle letteralmente in mutande!-
Kate rotea gli occhi al cielo e il dottor Travis sorride annuendo.
-I pantaloni… glieli faccio portare subito.-
 
 
Riprese il controllo di sé e sorrise.
Si guardò intorno, scrutando quelle mura.
Avrebbe lasciato la casa che lo aveva ospitato entro poche ore, ma senza fretta.
Prima che il quinto capitolo venisse trovato e letto aveva ancora tempo.
Quello che gli serviva lo aveva già impacchettato, il resto erano solo cianfrusaglie, oggetti di nessun valore che aveva trovato in quella casa e in quella vita solitaria e inutile che aveva rubato.
Le uniche cose  che gli servivano erano il suo portatile, la piccola stampante che dava vita materiale alle sue parole e l’ampollina racchiusa nello scrigno di legno.
Guardò l’orologio.
Era passata un’ora da quando aveva azionato il cronometro, prese dallo zaino le tabelle che gli aveva preparato il Professore e le controllò attentamente.
Avrebbe seguito passo passo ogni cosa, sapendo in anticipo cosa sarebbe successo e come agire di conseguenza.
Il suo amico chimico gli aveva detto che c’era un margine di errore, perché comunque l’organismo umano reagisce agli agenti esterni in modo diverso e per quanto la teoria fosse perfetta, la pratica a volte, subiva dei cambiamenti, ma questo non lo preoccupava.
Era pronto ad ogni eventualità.
Ripensò all’uomo terrorizzato dentro il portabagagli di un’auto gialla e digrignò i denti.
Era nelle sue mani.
Era in sua balia, avrebbe potuto fargli qualunque cosa e lui, stavolta, non sarebbe riuscito a fermarlo.
-Avrei dovuto torturarti…-
Sussurrò tra i denti, guardando gli scatti delle polaroid sparsi sul tavolo, ma aveva dovuto sacrificare il suo desiderio viscerale per una conclusione ancora più degna di lode.
Si rilassò e sulle sue labbra si formò ancora una volta uno splendido sorriso, perché tornando alla realtà, alla sua realtà, la tortura era appena incominciata.
Si sedette alla scrivania, accese il portatile e rimase ad osservare la donna piangente della sua copertina.
Tamburellò le dita sui tasti delicatamente, in modo da non scrivere nulla, pensando al titolo del prossimo capitolo.
Sorrise cambiando schermata, pensando che il titolo lo avrebbe deciso più tardi, adesso doveva sistemare la trama, aggiungere o togliere qualcosa… preparare il terreno che avrebbe condotto ad un finale inevitabile.
Passò l’ora successiva a leggere, compiacendosi di ciò che aveva già scritto, di tanto in tanto si fermava nella lettura e digitava altre parole, altre frasi, oppure cancellava un periodo per poi riscriverlo in maniera più consona, continuando a crogiolarsi nel pensiero che i suoi personaggi lo avrebbero implorato di spegnere per sempre la loro sofferenza!



Angolo di Rebecca:


Hanno avuto paura, tutti, perfino il capitano Gates (bellina lei *-*)
Adesso è il momento di mettere insieme i pezzi del puzzle e cercare di sistemare quelli che ancora non s'incastrano.
La cosa importante al momento è che Riccardone è al sicuro :3

Un grazie speciale a zia Vale, che mi ha aiutato con le immagini del banner *-*
e un bacio ad ognuna di voi <3


 

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Capitolo 16
*** Vittima ***


 


 

Capitolo 16
 
 
 
Il viso corrucciato, la mandibola serrata, le labbra strette in una linea sottile e quella rughetta in mezzo alla fronte, che adesso sembra un solco profondo e indelebile sullo sguardo posato sul foglio.
La guarda in silenzio da un paio di minuti, un silenzio che li ha colti all’improvviso dopo che il dottor Travis è andato via e Kate è rimasta vicino alla porta chiusa, a leggere attentamente il foglio che le ha lasciato.
Non è nemmeno sicuro che stia leggendo davvero.
Tiene gli occhi sul foglio, ma forse sta solo guardando indietro, nel momento in cui ha avuto paura come lui, con lui e per lui, oppure sta solo guardando avanti, cercando di capire chi c’è dietro a tutta la spirale di violenza che li vede coinvolti.
Continua a guardarla senza fiatare; al momento non è lì con lui, ma da qualche parte dentro la sua mente per cercare di riprendere possesso della sua lucidità.
-Me lo dai un bacio?-
Sussurra dopo qualche secondo e, nonostante lo abbia detto a voce bassa, come a non voler disturbare effettivamente i suoi pensieri, lei solleva lo sguardo dal foglio e lo posa dentro i suoi occhi.
Sorridono appena entrambi e lei si avvicina, prendendo la mano tesa, che le chiede tacitamente di andargli accanto.
-Un bacio!?-
Gli chiede sollevando le sopracciglia e sedendosi ancora sul letto.
-Non credo che, una volta fuori da qui, avremo molte opportunità per stare così vicini o per scambiarci un bacino di tanto in tanto… a meno che non ci sia un ascensore nelle vicinanze…-
Solleva le sopracciglia e si ferma un attimo davanti al sorriso che le ha strappato, sorridendo anche lui mentre le sistema i capelli dietro l’orecchio.
-…ed io ne sento un immenso bisogno al momento.-
Kate gli si avvicina e lo bacia a fior di labbra.
-Tutto qui?-
Le chiede Rick facendo il broncio proprio su quel semplice bacio e lei strofina il naso contro il suo, accarezzandogli una guancia.
-Non sei mai contento…-
Sta per baciarlo sul serio quando lo scricchiolio della porta li fa allontanare di colpo, facendo sorridere lei e alzare gli occhi al cielo a lui, che stringe le labbra scocciato.
-I suoi abiti signor Castle.-
Dice l’infermiera che gli ha fatto il prelievo. Poggia i pantaloni e il resto dei vestiti sulla sedia ed esce a passo spedito.
-Ma non bussa nessuno in questo posto?-
Kate scoppia a ridere davanti all’espressione sconsolata di Rick, gli prende la mano e si china ancora per baciarlo, ma il destino è proprio contro di loro, evidentemente l’universo sta facendo un giro al contrario.
La porta si spalanca di colpo facendoli perfino sussultare, lasciando Castle inebetito dalla donna che gli butta le braccia al collo, mentre Kate apre la bocca per dire qualcosa, ma resta senza parole.
-Grazie al cielo stai bene!-
L’uragano che lo ha travolto allenta l’abbraccio e lo guarda in faccia seria, poi gli molla un pugno bene assestato sulla spalla, cosa che lo fa lamentare per il dolore.
-Lanie!-
L’ammonisce Beckett ancora a bocca aperta e lei le si scaglia contro, puntandole il dito sul petto.
-Ma lo sapete quanta paura ho avuto? Perché non hai detto niente sui tuoi sospetti, perché io non sapevo niente dell’ultimo capitolo recapitato, perché ho dovuto chiamare io Esposito e chiedergli che cosa stava succedendo, perché…-
-…perché non cerchi di calmarti!-
Riesce a dire Kate, mettendole le mani sulle spalle.
Lanie si ammutolisce di colpo guardandola con gli occhi lucidi. Sospira e si volta a guardare Castle, che ancora non si è ripreso dal suo attacco.
-Diamine Kate…-
Sbuffa cercando di trovare le parole, mentre lei le sorride con gratitudine stringendole le mani.
-Ti sei calmata? E’ ancora intorpidito per via della droga, lo sai che con un pugno del genere avresti potuto fargli male sul serio?-
-Ma mi ha fatto male sul serio!-
Brontola Rick, continuando a massaggiarsi la spalla.
-Ben ti sta. Se provate a mettervi in pericolo tutti e due ancora una volta, sta sicuro che vi uccido io con i miei bisturi.-
Castle finalmente sembra riprendersi sia dal dolore che dalla sorpresa.
-Non so quale morte sarebbe peggiore, se per mano del killer o per mano di una patologa legale.-
-Non fare lo spiritoso scrittore, non scherzo!-
China lo sguardo verso il pavimento ed il silenzio diventa di nuovo insopportabile.
Rick deglutisce cercando di spegnere l’emozione sul nascere. Sapeva di avere degli amici speciali, ma toccare con mano la loro preoccupazione per lui, lo fa sentire come un bambino coccolato dalle braccia amorevoli della mamma.
-Quando ti dimettono?-
Chiede infine Lanie, spezzando di nuovo quel silenzio diventato pesante.
-Appena mi sarò infilato i pantaloni… a questo proposito che volete fare? Restate a guardare o vi girate dall’altra parte?-
Lanie fa un sorrisetto malizioso, poi guarda Kate e solleva le spalle.
-Meglio aspettare fuori, Beckett sta già ribollendo dalla gelosia.-
Kate cerca di ribattere, ma lei la prende per il braccio e la trascina fuori dalla porta.
-Ti aspettiamo in corridoio latin lover.-
Le sente dire Rick, prima di vederle scomparire.
 
-Non era necessario che ti scapicollassi qui in ospedale.-
-Tra un po’ sarò impegnata con le autopsie e non avrei più avuto tempo per assicurarmi di persona che fosse tutto a posto, a volte Espo sa essere evasivo…-
Restano in silenzio un paio di secondi, fino a che Kate le sfiora una mano.
-Sono contenta che sei qui.-
Si sorridono e si siedono proprio di fronte alla stanza di Castle.
-Sembra stia bene!-
Afferma Lanie e Kate le porge il foglio di dimissioni con il referto medico.
-Qui dice di si.-
Lanie gli dà un’occhiata, soffermandosi sulla firma in calce.
-Dottor B. Travis!? Benjamin Travis?-
Chiede sorpresa e Kate solleva le spalle.
-Si, credo abbia detto di chiamarsi così. Lo conosci?-
-Alto, castano, occhi scuri, sorriso accattivante?-
Chiede Lanie con sguardo sognante, mentre Kate solleva un sopracciglio.
-Ero un po’ sconnessa quando si è presentato, ricordo un camice bianco però!-
Le risponde seria e Lanie si ricompone, schiarendosi la voce.
-Si… scusa. Se è il B. Travis che dico io, abbiamo frequentato parecchi corsi insieme al college… sapevo che lavorava in questo ospedale, ma non ci vediamo da anni.-
-Potrai accertartene di persona, dovrebbe arrivare tra un po’. Allora, tu che sei nel campo, il referto dice che sta bene?-
Lanie legge con attenzione e corruccia la fronte per un momento, cosa che fa allarmare Kate.
-Qualcosa non va?!-
L’amica solleva la testa posandole la mano sul ginocchio.
No, nulla… tutto a posto! Avrà qualche piccolo effetto collaterale, ma solo per le prossime ore, niente di permanente.-
Kate sospira di sollievo impossessandosi di nuovo del foglio.
-Hai idea di chi sia questo pazzo furibondo? Mentre venivo qui ho cercato di ripercorrere gli omicidi di cui mi sono occupata insieme a voi. Ho cercato di ricordare uno stesso modus operandi o qualcosa che si avvicini, ma non mi viene in mente niente che possa somigliare a questo comportamento.-
Kate scuote la testa, si passa le mani sulla faccia e resta con lo sguardo perso nel vuoto.
-Fino a poco fa non ho pensato a niente e a nessuno. Riuscivo solo a pensare a Castle dentro il portabagagli di quel taxi con mezza faccia insanguinata e completamente inerme.-
Solleva lo sguardo su Lanie che la guarda con tenerezza.
-Non ho mai avuto tanta paura in tutta la mia vita Lanie… mai… nemmeno quando sono rimasta attaccata a quel cornicione.-
Lanie le stringe la mano e chiude gli occhi per un momento.
-Dico davvero. Ero certa di stare per morire ed avevo paura, ma era una paura diversa. Mentre leggevo quel manoscritto e prendevo consapevolezza di quello che stava per accadere, ho provato cosa significa avere davvero terrore.-
Scuote ancora la testa e l’appoggia all’indietro contro il muro.
-Mi ero ripromessa che non avrei mai più provato niente del genere, mi ero ripromessa niente più emozioni, invece…-
-…invece uno stupido scrittore ha buttato giù i mattoncini, ha distrutto il tuo mondo perfetto e adesso ti ritrovi a fare parte dei comuni mortali che amano con tutti i pro e i contro che ne derivano… e la maggior parte delle volte i contro sono molto più numerosi.-
Kate la guarda con una smorfia e Lanie le sorride sollevando le spalle.
-Piantala di pensare e dire sciocchezze, torna lucida e fa quello che devi: trovare e prendere il bastardo. Il resto sono solo stupidaggini che ledono la tua sanità mentale.-
Riesce a strapparle una risata e a farle distendere i lineamenti del viso.
Castle socchiude la porta sbirciando, loro si girano entrambe a guardarlo e lui apre del tutto.
-Avete finito di spettegolare? Non voglio guai, quando due donne spettegolano, so per esperienza che è meglio non disturbarle, specie se una porta la pistola e l’altra tagliuzza corpi morti per abitudine.-
Lanie e Kate si guardano serie, scuotendo la testa contemporaneamente.
-Secondo te come sta Lanie?-
-Meglio, decisamente meglio, dice cavolate come al solito!-
Kate vede arrivare il dottor Travis e le fa segno di voltarsi.
-C’è il tipo accattivante!-
-Ben!-
Esclama sorridente. Il medico si ferma un attimo e subito dopo anche sulle sue labbra si apre un sorrisone.
-Lanie! Lanie Parish!-
I due si abbracciano felici sotto lo sguardo sorpreso di Castle.
-Perché l’istinto mi dice che vi conoscete?-
I due si allontanano e Lanie solleva un sopracciglio.
-Mi stupisco sempre di quanto tu possa essere perspicace Castle, nemmeno la droga riesce ad annebbiarti il cervello! Certo che lo conosco, per chi mi hai presa? Per una che si butta tra  le braccia del primo venuto!-
-E’ un piacere rivederti Lanie, sei sempre splendida!-
La donna ammicca orgogliosa.
-Nemmeno tu hai perso punti dottor Travis!-
Sciolgono l’abbraccio e il medico fa segno verso il suo paziente.
-Vedo che hai conoscenze importanti!-
La dottoressa annuisce.
-Lavoro come medico legale al dodicesimo distretto, sono amica del detective Beckett da anni. Lo scrittore… beh… lasciamo perdere!-
Castle sbuffa.
-Che significa lasciamo perdere? Vieni qui con la scusa che sei preoccupata e per poco non mi picchi, ora mi prendi in giro… potevi anche startene in obitorio!-
Scoppiano a ridere e il dottor Travis poggia una mano sulla spalla di Castle.
-Potrebbe avere dei capogiri e senso di disorientamento. Sentirà le dita intorpidite per tutto il giorno,  per non parlare del mal di testa che potrebbe diventare insopportabile, perciò fili a letto. Mi raccomando signor Castle, riposo assoluto.-
-Stia tranquillo dottore, ci tengo alla pelle.-
-L’impiegata all’accettazione la sta aspettando per registrare la sua dimissione.-
-Kate, voi andate pure avanti a sbrigare la burocrazia, io vi raggiungo tra un attimo… voglio ricordare i tempi andati con questo bel dottorino.-
Castle resta impalato sollevando un sopracciglio e Kate alza gli occhi al cielo, spingendolo verso l’uscita.
-Spero solo che non arrivi Esposito adesso, sarebbe una carneficina!-
Esclama preoccupato Castle già davanti al bancone dell’accettazione, mentre Kate sbuffa.
-Per caso, oltre alle dita, non hai anche la lingua intorpidita?!-
 
Rimasta sola con il dottor Travis, Lanie lo prende per il braccio e lo fa sedere accanto a lei.
-Ben, dimmi la verità! Con Castle è tutto a posto?-
Il medico sembra sorpreso.
-Sta bene, anche se resterà intontito per qualche ora… ma… perché questa domanda?-
-Ho letto il referto che hai stilato per dimetterlo, c’è scritto che hai effettuato due prelievi e che aspetti ancora i risultati del secondo.-
L’uomo annuisce e lei si fa sempre più seria.
-Perché? Voglio dire… sai già di che droga si tratta e dopo il primo prelievo non avevi nessun motivo di farne un altro, a meno che ci sia qualcosa che non va nei primi risultati.-
Il dottor Travis si alza, fa un paio di passi in avanti e poi si volta a guardarla.
-C’erano solo dei valori alterati. Potrebbe dipendere dall’effetto dello Zolpidem, ma voglio esserne certo, per questo ho fatto un secondo prelievo.-
Anche Lanie si alza, andandogli vicino.
-Che tipo di alterazioni? Devo preoccuparmi?-
-Sai bene che effetto hanno queste droghe nell’organismo, ho rilevato un certo dislivello tra globuli bianchi e rossi, ma sai perfettamente anche tu che può essere un problema legato alla droga. Il secondo prelievo mi darà un quadro generale su come il disintossicante sta agendo e sulla reazione del suo organismo, tutto qui. Appena avrò i risultati ti chiamo, tranquilla.-
Lei annuisce poco convinta e il medico le fa segno verso l’uscita.
-I tuoi amici hanno finito, non farli aspettare.-
Lanie gli porge un bigliettino da visita e lo abbraccia.
-Fammi sapere presto Ben…-
 
Il freddo gelido li investe all’improvviso appena le porte si spalancano. Kate rabbrividisce portandosi istintivamente le mani sulle braccia, Castle si toglie il cappotto e glielo mette sulle spalle.
-Sei matto? Devi stare al caldo.-
-Io ho la giacca e la sciarpa, tienilo, non ho freddo.-
Cominciano un interminabile battibecco, uno di quelli che la dottoressa Parish avrebbe definito esilarante, se solo fosse stata attenta alla realtà.
Alla fine Kate tiene il cappotto e Castle sorride per la vittoria.
-Lanie, tutto bene?-
Le chiede Kate, quando si rende conto che non ha aperto bocca e che non si è intromessa nella discussione prendendoli in giro.
-Si certo, tutto bene. Si è fatto tardi, devo rientrare in obitorio. Ti chiamo dopo Kate… e tu riguardati capito?-
La guardano sgommare via e salgono in macchina. Kate mette in moto e resta ferma con le mani sul volante.
-Lanie sembrava strana...-
-E allora? Lanie è sempre strana!-
-Non è vero! Lanie è… particolare…-
Lascia la frase a metà, pensando all’espressione corrucciata del viso di Lanie mentre leggeva il referto medico e alla sua espressione dopo essere rimasta sola con il dottor Travis. Scuote la testa come se volesse scacciare via tutte le opzioni negative che stanno prendendo forma nel suo cervello e sospira.
-Ti porto a casa, Esposito e Ryan saranno ancora al parco e voglio dare un’occhiata anche io prima di rientrare in ufficio.-
-Non serve, io vengo con te.-
Lei lo guarda in cagnesco.
-Nemmeno per sogno, tu vai a riposare, il loft è controllato e sarai al sicuro. E poi hai promesso.-
Lo redarguisce come fosse un bambino e lui sorride senza guardarla.
-Promessa da scout?!-
-Castle lo so benissimo che non hai mai fatto lo scout, ma adesso tu vai a casa… non ti permetterò di…-
Si ferma di colpo quando sente la mano di Rick avvolgere la sua.
-Quel tipo là fuori ci vuole morti entrambi Kate, credi davvero che se volesse completare l’opera, si fermerebbe solo perché sono lontano da te?-
Lei tiene lo sguardo sulla mano che ricopre del tutto la sua, quella mano adesso così calda e sicura, mentre la sua comincia a tremare dentro la stretta, Castle invece guarda davanti a sé, fuori dal parabrezza.
-Io credo che sia più opportuno non separarci e poi…-
Si voltano a guardarsi contemporaneamente.
-…e poi voglio vedere la mia scena del crimine!-
-Castle!-
Lui le stringe la mano ancora più forte e continua con calma, con la voce calda e al momento poco sicura.
-Non vorrai che resti scioccato e che mi rifiuti di prendere un taxi per il resto della vita?-
Lei scuote la testa e si decide a rispondere alla stretta, attorcigliando le dita alle sue chinando lo sguardo.
-Voglio vedere quel posto, magari ricordo qualche altra cosa… e voglio anche leggere il capitolo. Voglio capire… forse io riesco a vedere sfumature che a te al momento, mentre eri presa dal panico, sono sfuggite.-
Lei si gira a guardarlo di scatto.
-Io non ero presa dal panico!-
Castle solleva le sopracciglia e lei si sente sconfitta da quello sguardo serio e dai suoi occhi che sembrano improvvisamente stanchi e spenti.
-Ok… forse lo ero… solo un pochino!
Sospira, facendolo sorridere.
-Va bene… vieni con me!-
 
 
L’orologio appoggiato alla parete aveva appena scandito le 10.30.
Sollevò gli occhi dal foglio che stava rileggendo per l’ennesima volta e si soffermò sul movimento cadenzato del pendolo.
Sembrava lo scrutasse con fare aristocratico, racchiuso dal mogano lucido, fisso a terra e ritto contro la parete a lavorare ininterrottamente, nell’attenta oscillazione del bilanciere dorato che rifletteva la luce in toni diversi, man mano che il tempo dava vita al giorno o alla notte, imprigionato da tre pareti di cristallo.
Aveva amato quell’orologio fin da subito. 
Il suo ticchettio lo aveva affascinato appena era entrato in quella casa, quattro mesi prima. 
Si era soffermato lì davanti, ammaliato da quel movimento che scandiva i secondi.
Aveva pensato immediatamente al libro che si stava accingendo a scrivere, quel movimento lento e cadenzato gli avrebbe fatto compagnia nelle ore di scrittura e soprattutto, quel tic tac continuo, avrebbe scandito le ultime ore della sua detective.
Gli dispiaceva non poterlo portare con sé, lasciarlo in quella casa era come separarsi dal proprio tempo… da quel tempo che aveva trasformato la sua nuova vita, da quando aveva messo piede in quel posto.
Riprese la lettura, come per imprimere ogni frase a memoria nella mente, concentrandosi sulla parte iniziale della tabella preparata dal Professore.
 
  • Periodo d’incubazione in un essere umano adulto in buona salute: dalle due alle quattro ore circa.
 In questo lasso di tempo la tossina si dissolve completamente nel sangue cominciando i suoi effetti devastanti per la sopravvivenza.
 
  • Dopo tale periodo si ha un cambiamento costante e continuo della situazione ematica, che porterà ad una lenta trasformazione delle cellule che apportano ossigeno ad organi e tessuti, compromettendo la loro singola funzionalità.
 Il soggetto comincerà, dopo tale periodo, ad accusare stanchezza, piccoli crampi e dolori, soprattutto nella zona addominale.
Questa prima fase potrà durare dalle 9 alle 12 ore…
 
Guardò ancora l’orologio, ma stavolta si concentrò sul cronometro al suo polso.
Passò leggermente il polpastrello sulla lancetta che scandiva i secondi, assaporando quell’avanzare del tempo che andava via, lento ma inesorabile, come lo scorrere del sangue dentro le vene.
Le sue pupille restarono incantate da quel piccolo e impercettibile movimento; ogni battito di quella lancetta toglieva un alito di vita… ad ogni battito, il veleno si impossessava del corpo della sua vittima…
 
 
Beckett parcheggia lontano dalle transenne, proprio nel punto in cui l’insegna del parco giochi si staglia frontale sopra di loro.
Castle la guarda ammutolito, non ricordava quella faccia sorridente e beffarda.
Quando il taxi si era fermato per il presunto guasto, era così preso dalla situazione che non si era accorto dell’insegna, del luogo e della sua desolazione.
Kate è già scesa dall’auto. Lo osserva in silenzio, chiuso ancora nell’abitacolo, con gli occhi fissi sul clown e la mascella contratta.
Scuote la testa per ribadire a se stessa che non è stata una buona idea riportarlo lì, ma sa anche che non riuscirà a convincerlo ad andare via.
Apre lo sportello per aiutarlo a scendere e l’aria fredda che entra in auto lo riscuote. Guarda Kate come se avesse dimenticato che era lì con lui e si rende conto, dal suo sguardo, di essere solo e semlpicemente una vittima. E come tutte le vittime ha paura!
Ha paura di quel posto, degli agenti che ancora girano in tondo in cerca di qualcosa, dello sguardo degli amici che tra poco lo accoglieranno… ha paura perfino di quel sorriso beffardo che lo sovrasta e che non ricordava.
Sorride poco convinto e scende dall’auto, Kate fa per restituirgli il cappotto, ma lui la ferma.
-Te l’ho già detto, ho la giacca e la sciarpa che mi coprono, non ho freddo!-
-Castle, sei sicuro?-
-Di non avere freddo!?-
Risponde sorridendo e lei scuote la testa.
-Di volere stare qui!-
Lui si guarda intorno, posa lo sguardo sul taxi ad una cinquantina di metri di distanza da loro e serra ancora la mascella.
-No. Non sono sicuro…-
Chiude lo sportello e si rifugia nei suoi occhi. Il colore limpido che li contraddistingue nelle giornate di sole, ha lasciato spazio a striature di una tonalità più scura, come se fosse stato macchiato dalla preoccupazione delle ultime ore.
Sospira guardando ancora verso il taxi.
-Non sono sicuro per niente… ma è giusto così! Spero solo che non trapeli il mio nome, sarebbe davvero troppo per oggi.-
Dice facendo segno dietro le transenne dalla parte opposta a loro, dove un gruppo di giornalisti e cameraman stanno filmando e commentando in diretta il via vai degli agenti ancora a lavoro.
-Ignoriamoli. Sanno che collabori con la polizia, non troveranno strano che tu sia qui.-
Gli risponde Kate, avviandosi verso i colleghi.
Esposito sta discutendo animatamente con il capitano Gates, facendole segno con la mano verso un punto imprecisato dietro la recinzione posteriore del parco, mentre Ryan va verso di loro.
-Ehi Castle! Che ci fai qui?-
-Lascia stare Ryan, fiato sprecato.-
Esclama Beckett senza fermarsi, raggiungendo gli altri.
-Signor Castle, non dovrebbe stare a riposo?-
Chiede con tono autoritario il capitano Gates.
-Sto bene… davvero!-
Kate storce le labbra, seguita nell’espressione dal resto dei presenti.
-Qui ci sono novità? Avete trovato qualcosa?-
La Gates scuote la testa.
-Hanno rivoltato il taxi da cima a fondo, impronte di tutti i tipi, troppe per essere catalogate. I pochi oggetti trovati appartengono sicuramente al tassista.-
-Ci ha lasciato un altro souvenir però.-
Dice Esposito sollevando il braccio per mostrare una busta trasparente, con dentro una sottile cordicella a tre strati di nylon.
-Lo ha strangolato con questa!-
Castle guarda la cordicella come in trans senza capire le parole dell’amico, si tocca il cerotto sulla fronte meccanicamente e si sente sopraffare da una vertigine. La voce di Ryan lo riscuote all’improvviso, si scosta la sciarpa dal collo e respira a pieni polmoni, lasciando che il freddo lo colpisca come uno schiaffo.
-Ho parlato con l’agenzia di taxi, l’auto di Rod Fanton non ha ricevuto nessuna chiamata dal centralino dalle otto alle nove di stamattina.-
Beckett annuisce a denti stretti.
-Perciò non lo ha prelevato a casa, ma casualmente per strada!-
Si passa le mani tra i capelli guardandosi intorno ed Esposito anticipa la sua domanda.
-Non abbiamo trovato nessuna traccia utile, il parco è pieno di orme che vanno in ogni direzione, come se si fosse preso la briga di correre girando intorno. Sappiamo solo che porta il 43 e la suola corrisponde ad un modello venduto in ogni negozio del pianeta. Stiamo aspettando un riscontro con le impronte parziali che abbiamo trovato nel vialetto e nel garage della Hollsen.-
-Castle, ti viene in mente altro che può esserci ut…-
Beckett lascia la domanda in sospeso quando si gira alla sua destra, ma lui non c’è. Muove gli occhi freneticamente cercando d’individuare dove sia e lo scorge in lontananza accanto al taxi abbandonato.
Senza dire una parola in più ai colleghi, senza fare caso al capitano che la guarda in modo strano, s’incammina verso di lui con calma.
E’ fermo davanti al portabagagli aperto, l’espressione seria e le mani in tasca, con un fumetto davanti alla faccia che provoca il suo fiato caldo a contatto con l’aria gelida. Si avvicina a lui, ripercorrendo passo dopo passo, i chilometri in auto, mentre schiacciava l’acceleratore che faticava a portarla a destinazione. Rivive il momento in cui ha spalancato il portabagagli, sicura di trovarlo morto e immagina che anche lui stia rivivendo gli attimi in cui è rimasto inerme e, soprattutto, cosciente che sarebbe potuto morire in quell’istante.
Cerca di mantenere la calma, gli sfiora la spalla in silenzio e lui sospira senza guardarla.
-Credo… che guarderò le prossime scene del crimine in maniera diversa, da oggi in avanti.-
-Adesso ti rimetti il cappotto e ti porto a casa, hai di nuovo freddo…-
Ma lui non la lascia finire.
-Non tremo perché ho freddo… ma tu non dirlo a nessuno.-
Sorride imbarazzato e si guarda intorno.
-Quante uscite probabili ha questo parco giochi?-
Lei gira su se stessa guardando la zona a 360 gradi.
-Quella principale che dà sulla strada e quella sul retro che si affaccia sulla boscaglia.-
-Quindi perché correre intorno a tutto il parco, lasciando centinaia di orme che vanno da una parte all’altra, quando comunque le vie di fuga sono visibili a tutti e la polizia ha setacciato sia l’una che l’altra?-
Kate lo guarda corrucciando la fronte e lui solleva il braccio verso la strada principale.
-Se fosse scappato da lì avresti potuto vederlo, sapeva che stavi arrivando, la strada è rettilinea e la visuale buona, invece non hai incontrato nessuno.-
Lei annuisce e nel frattempo lo segue, visto che si è incamminato verso i colleghi, fermi ancora vicino all’edificio principale.
-E’ probabile che si sia allontanato dal bosco, ma è una cosa evidente, non avrebbe potuto prendere altra strada, a meno che non avesse una navicella spaziale che lo ha risucchiato ad un suo schiocco di dita!-
Il capitano Gates scuote la testa, avendo sentito la teoria, mentre Castle si avvicina.
-Quindi, perché perdere tempo a correre di qua e di là per confondere le orme, sapendo che stavi per arrivare e potevi trovarlo ancora qui?-
Lo guardano tutti con attenzione senza rispondere e lui continua con lucidità nel suo discorso.
-Ripercorrendo gli ultimi tre giorni, rileggendo mentalmente i capitoli che ha scritto, cos’ha fatto fino ad ora?-
Beckett lo guarda sgranando gli occhi.
-Mi ha spiata…-
Lui annuisce soddisfatto.
-Esatto. Ti ha osservata. Ha controllato, non tanto le tue mosse, quanto le tue reazioni…-
-…era qui! Quando sono arrivata, lui era ancora qui e si è goduto la scena!-
Sussurra lei stringendo i pugni, sentendo ancora la rabbia ribollirle dentro.
-Mi ha drogato e invece di scappare ha lasciato orme ovunque per non dare nell’occhio, per confondere le tracce mentre stava nel suo nascondiglio aspettando che tu arrivassi.-
-Non può essere!-
Esclama Ryan.
-Quando siamo arrivati le squadre hanno controllato ogni centimetro di questo posto, compresi i boschi qui dietro.-
-E qui dentro ci sono gli uffici…-
Continua Esposito.
-Abbiamo controllato con il custode, viene qui una volta al mese per pagare le utenze e controllare che sia tutto a posto. C’era il catenaccio intatto. Dentro non è entrato di sicuro.-
Lui solleva la testa  guardando in alto verso la faccia del clown.
-Non avrebbe avuto una buona visuale da qui dentro.-
Guardano tutti verso l’alto e Beckett corre sul il retro dell’edificio.
-Espo… ci sono tracce di fango su queste sporgenze di ferro.-
Si arrampica velocemente, seguita dal collega per ritrovarsi dopo pochi secondi sul tetto, proprio sul retro della grande insegna.
-Impronte anche qui, stessi scarponcini.-
Dice Esposito chinandosi sulle ginocchia.
Kate si avvicina all’insegna, guarda attraverso i tralicci che la tengono in piedi e vede nitidamente il taxi a distanza.
Chiude gli occhi e serra la mandibola.
-E’ stato qui tutto il tempo. Noi lo cercavamo ovunque… e lui è stato qui a godersi la scena…-
-Beckett!-
Esposito la distrae dalla sua rabbia. E’ in ginocchio accanto a lei, proprio davanti ad uno dei tralicci e fa segno verso di esso con il dito.
Si abbassa anche lei, si stringe dentro al cappotto di Castle, come a volersi proteggere con il suo calore e il suo profumo.
Allunga la mano cercando di non tremare e prende la busta di plastica trasparente lasciata in terra, in mezzo alla neve.
La donna con la lacrima di sangue sul volto sembra voglia metterla in guardia da altro dolore.
Oltre la copertina ormai familiare, nota una fotografia, che scivola sul fondo della busta passando sul viso addolorato della donna.
Sfiora la foto attraverso il cellophane con le dita inguantate e stringe le labbra.
-Ha lasciato la firma anche stavolta…-
 
 
…Prese tra le mani una delle foto scattate e accarezzò la figura lontana che, in mezzo alla neve, sospirava di sollievo perché il suo compagno era ancora vivo.
L’aveva risparmiato, non lo aveva ucciso, le aveva lasciato un messaggio perché lo ritrovasse in vita.
Lei sapeva benissimo che lo aveva fatto perché aveva in mente ben altro. 
Era intelligente e furba, aveva capito che lui avrebbe trovato un altro modo di farle del male una volta uscito allo scoperto. 
Ed aveva ragione. 
Lui li avrebbe fatti soffrire…
Quello che non poteva ancora sapere, è che il cadavere era già presente proprio in quella scena del crimine: lo stava stringendo tra le braccia in quella fotografia!
Il sorriso sulle labbra provocò uno scintillio dei suoi occhi di ghiaccio.
Ancora un’ora o poco più e il suo capitolo sarebbe stato letto proprio nell’istante in cui il veleno avrebbe cominciato i suoi effetti.
Non poteva sbagliare, doveva solo tenere il tempo come un pendolo e avrebbe partecipato alla rabbia iniziale e poi alla paura. 
Le prossime ore sarebbero state di disperazione assoluta. 
Il buio che li avrebbe avvolti avrebbe fatto desiderare loro la morte.
La disperazione le avrebbe fatto invocare la morte e lui sarebbe stato accanto a lei per accontentarla… 


Angolo di Rebecca:

Lanie l'uragano stava per "difettarci" Riccardone ahhahah... bella lei, era preoccupata!
Però si è ripresa bene quando ha letto il nome del suo dottorino dal sorriso accattivante (Kate l'ha guardata male però!)
Castle ha paura... sa cosa prova una "vittima" e a me fa tanta tenerezza... a voi no?!
Del nostro amico psyco non dico nulla, tanto parla già abbastanza lui :p

Grazie, baci, buon Castle monday e buon XIII Apostolo per le "Prescelte"
(Questa la capiscono solo loro :p)
 
 

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Capitolo 17
*** Lacrime di Paura ***








Capitolo 17



Definire ‘topo di laboratorio’ la direttrice dell’Istituto di Biologia del Saint Andrew Hospital, non è proprio carino, ma la dottoressa Claire Dobbson viene, affettuosamente, chiamata dai colleghi proprio con questo appellativo, perché esce da quell’enorme stanza solo per il pranzo e solo se non ha in atto analisi d’importanza vitale, sennò dimentica anche questa naturale esigenza dell’organismo.
Ogni mattina va a lavoro con un latte macchiato e due biscotti di pasta frolla ripieni di marmellata di mirtilli e si rintana nel suo piccolo mondo, fatto di provette e macchinari computerizzati, pronta ad analizzare per l’intera giornata i campioni organici inviati a lei e alla sua equipe, provenienti da ogni reparto dell’ospedale.
Verso le 11.30 di quella mattina, però, si toglie i guanti velocemente ed esce di corsa con una carpetta tra le mani per raggiungere il primo piano, alla ricerca del dottor Benjamin Travis.
Dopo un lungo giro per le corsie, riesce ad avvistarlo davanti alla macchinetta degli snack.
Senza dire nulla lo trascina di forza per il braccio verso il suo studio.
-Claire! Si può sapere che succede? Lasciami almeno prendere una merendina…-
-Non c’è tempo, potrai mangiare più tardi!-
Risponde continuando a tirarlo per il camice fino alla porta con su scritto il nome del collega, che sbuffa.
-Sono qui dalle 6.00 di stamattina e non ho ancora fatto colazione, non ne ho avuto il tempo.-
La donna apre la porta, gli fa segno di sedersi alla scrivania e mostra la carpetta aperta con dentro dei fogli.
-Avevi ragione Ben…-
Sono bastate quelle tre parole e il tono con cui le ha pronunciate, per fargli dimenticare la sua colazione mancata e prestare attenzione ai fogli davanti a lui.
-Sono i risultati del secondo prelievo che mi hai fatto avere, ho perso un po’ di tempo perché li ho ripetuti più volte… avevi ragione tu. C’è qualcosa che non va nel sangue di quest’uomo e non è per effetto dello Zolpidem!-
-I globuli bianchi sono aumentati ancora nel giro di un’ora!?-
Sussurra il dottor Travis senza alzare gli occhi dai risultati, la collega annuisce, fa il giro della scrivania e fa segno con il dito su alcuni valori.
-I globuli rossi invece sono diminuiti in modo proporzionale all’aumentare di quelli bianchi…-
Continua a passare l’indice sul foglio.
-…e anche gli altri valori sono alterati, non di molto, ma si nota comunque uno squilibrio generale dell’attività ematica. Ben, dobbiamo fare altre analisi più approfondite e capire di che si tratta… non mi piace questo sconvolgimento organico e in così poco tempo. Mi serve un altro campione di sangue.-
Il dottor Travis posa il foglio sul tavolo e la guarda preoccupato.
-Cosa pensi possa essere?-
La donna scuote la testa.
-Non saprei. Normalmente avrei pensato ad una malattia ematica, o ad un’infezione a livello sanguigno e avrei indagato di conseguenza, ma questo non comporterebbe uno scombussolamento così repentino e, vista la situazione…-
-Credi che tutto possa essere legato all’aggressione che ha subito?-
Chiede lui alzandosi per guardarla dritto negli occhi e lei annuisce.
-Lo credi anche tu, sennò non avresti richiesto il secondo prelievo e con tanta urgenza. Qualunque cosa sia, non l’ha contratta naturalmente. Secondo me insieme allo Zolpidem gli è stato iniettato qualcos’altro.-
Il medico si passa la mano tra i capelli.
-Non avrei dovuto dimetterlo.-
-Quel ch’è fatto è fatto. Ora devi farlo tornare qui… subito! Qualunque cosa sia, lo ucciderà se non capiamo cos’è.-
-Lo chiamo immediatamente, avrai un altro campione prima di un’ora.-
Ben Travis si siede di nuovo alla sua scrivania, ricontrolla i valori delle analisi e scuote la testa.
-Cosa diavolo le hanno fatto signor Castle?!-
Esclama tra sé, prendendo il bigliettino da visita messo al sicuro nella tasca del camice solo un’ora prima.
Fissa lo sguardo sul numero di telefono stampato e sospira, digitandolo sul suo cellulare.
-Lanie! Sono Ben. Dobbiamo parlare!-

-Era nascosto sul tetto?-
Chiede il capitano Gates mentre ancora stanno scendendo dalla scala dell’edificio. Esposito si strofina le mani per pulire i guanti dalla polvere e annuisce.
-E’ pieno delle stesse orme, signore. Era appostato sotto l’insegna, la visuale è perfetta da lì.-
Fa segno con la mano verso il taxi e tutti si voltano a guardarlo, tranne Castle che resta fermo a fissare Kate che ha appena abbandonato l’ultimo piolo di ferro.
Abbassa lo sguardo sulle sue mani, sulla busta che mostra prontamente, avvicinandosi ai colleghi.
-Abbiamo trovato questo capitano.-
-Un altro manoscritto…-
Sussurra la donna, seguita come un eco da Castle.
-…lasciato sulla scena del crimine come gli altri!-
Butta lì la frase come niente, ma l’effetto delle parole ‘scena del crimine’ si abbatte su di loro come una martellata.
-C’è anche la firma.-
Sospira Kate, aprendo la busta e mostrando la foto che la ritrae mentre è china su Castle, ancora dentro il bagagliaio.
La Gates storce le labbra e osserva attentamente la foto, adesso nelle mani di Castle.
-Lo abbiamo cercato ovunque e lui era sul tetto a farti un servizio fotografico!-
Dice esasperata, prendendole il manoscritto dalle mani e dirigendosi all’interno dell’edificio.
-Sorvoliamo i controlli e le impronte, tanto non ce ne saranno. Dobbiamo leggere questo capitolo immediatamente, ci sarà sicuramente qualche altro messaggio per la detective!-
Sottolinea l’ultima parola con stizza e si accomoda alla scrivania del piccolo ufficio del parco giochi.
Castle continua a guardare la foto. Lui dentro il bagagliaio si vede poco, ma inquadra benissimo Kate, china con le mani sul suo viso e l’espressione terrorizzata.
Sospira chiudendo gli occhi, un nuovo senso di vertigine lo coglie all’improvviso, tanto che appoggia le spalle al muro, senza riuscire più a seguire il discorso del capitano. Sono tutti rivolti verso di lei e non fanno caso al suo modo anomalo di respirare. Si toglie la sciarpa e allenta un bottone della camicia. Si sente soffocare e respira a fondo, cercando di ricacciare indietro la nausea che l’ha assalito in un paio di secondi.
Non sarei dovuto venire qui…
Si ritrova a darsi dello stupido per essere voluto tornare in quel posto, convinto che se non lo avesse fatto non sarebbe più riuscito a respirare, invece adesso si ritrova bloccato comunque a boccheggiare un filo d’aria. Le parole del capitano Gates si confondono con quelle del killer che gli rimbombano ancora nelle orecchie ‘ti vedrò morire e dopo toccherà a lei’.
Torna a guardare la foto.
Dopo toccherà a lei…
Respira a fondo ancora una volta, non riesce a capire se sia ancora l’effetto prolungato della droga o solo e semplicemente un attacco di panico.
Lentamente il cuore torna a pulsare in modo naturale, dandogli la possibilità di acuire i sensi.
Finalmente riesce a sentire in modo distinto le parole che risuonano nella stanza, la vertigine si placa e la nausea sparisce d’improvviso nello stesso modo in cui è arrivata.
Si allontana dalla parete che l’ha sorretto e si avvicina a passi lenti ai colleghi, in piedi davanti alla scrivania, oltre la quale ha preso posto il capitano Gates.
-Dopo aver letto quest’altro capitolo torneremo in ufficio, la lista dei sospettati dovrebbe essere pronta.-
A questa affermazione la nausea fa capolino ancora una volta ed è costretto ad appoggiare le mani di peso sul piano della scrivania.
-Castle cos’hai?-
Gli chiede Kate sorreggendolo, ma prima che i ragazzi possano avvicinarsi per aiutarlo, lui solleva la mano scuotendo la testa.
-Solo un capogiro…-
La Gates si alza di scatto.
-Lei deve riposare signor Castle, non sia cocciuto!-
-Sto bene…-
Si asciuga il sudore dalla fronte e getta con forza la foto sulla scrivania.
-Non troveremo il suo nome su quella lista.-
Dice puntando il dito sul manoscritto, riferendosi al killer e Ryan gli si para davanti.
-Stai dicendo che hai capito chi potrebbe essere?!-
-Ci sto pensando da quando ero in ospedale. C’è solo un uomo che odia me e Beckett più di ogni altra cosa al mondo… e non è in quella lista.-
Guarda Kate che non ha smesso di fissarlo e sospira.
-Pianifica tutto in maniera meticolosa, uccide per il piacere di farlo, ci spia, entra nelle nostre vite…-
Distoglie lo sguardo dagli occhi di Kate, intuendo che ha capito dove vuole arrivare e comincia a camminare su e giù per la stanza.
-Tu mi hai trovato, ma lui mi ha fermato… non me lo perdonerà mai Kate. Io l’ho scoperto, io ho capito che l’assassino era lui e gli ho tolto il piacere di continuare ad uccidere come più gli piaceva!-
Ryan, Esposito e la Gates cominciano a seguire il suo discorso, mentre Kate si passa una mano tra i capelli e sospira pesantemente.
-Gli hai scaricato un intero caricatore addosso Castle. E’ morto!-
Lui si gira di scatto a guardarla, stringendo i pugni.
-Perché non volete capire… Tyson non è morto. Se solo avesse voluto io adesso sarei in prigione. Ha organizzato quell’omicidio nei minimi particolari e l’unico motivo per cui ne sono uscito è perché lui l’ha voluto… e l’ha voluto solo perché ci trovassimo su quel ponte e fossimo i testimoni della sua morte.-
Il suo respiro si fa pesante, come se avesse difficoltà a prendere aria, Kate lo prende per il braccio e perfino la Gates si avvicina preoccupata.
-Castle, calmati.-
-Sto bene…-
Esposito lo aiuta a sedersi.
-D’accordo amico, ora calmati. Anche supponendo che si tratti di Tyson, dobbiamo comunque capire il suo piano e per farlo dobbiamo leggere quel capitolo.-
Ryan gli porge un bicchiere d’acqua.
-Lascia i suoi manoscritti perché Beckett legga tra le righe, perciò è meglio dargli subito un’occhiata.-
Lui annuisce, beve un sorso d’acqua e poggia il bicchiere di plastica sulla scrivania, nel momento in cui la Gates inforca gli occhiali, aprendo il manoscritto alla prima pagina.
-Lasci che lo legga io capitano!-
Le chiede convinto e lei lo guarda attraverso gli occhiali sollevando le sopracciglia.
-La prego… posso farcela!-
Sente gli occhi indagatori di tutti addosso, si stanno chiedendo se riuscirà a superare quel momento, ma lui deve leggere quel manoscritto proprio per essere certo di potere superare le ultime ore di quella mattinata infernale.
Solleva le spalle, abbozzando un sorriso che non convince in primis nemmeno lui.
-Sono bravo nella presentazione dei libri…-
Il capitano gli porge il manoscritto annuendo seria e lui se lo poggia sulle ginocchia. Fa scorrere il bordo dei fogli sul polpastrello del pollice. Sono solo una decina, bene impaginati come gli altri, guarda la copertina e passa le dita sopra le lettere che compongono il titolo che non aveva ancora letto.
-Lacrime di paura…-
Sussurra quasi tra sé. Esposito si avvicina mettendogli una mano sulla spalla.
-Brò, sei sicuro che te la senti, possiamo leggerlo noi.-
Lui annuisce voltando pagina.
-Tranquillo, è tutto a posto.-
Risponde guardando Kate, che invece serra la mascella.


Io ti vedrò morire…

Si ferma immediatamente, sentendo la voce metallica nelle sue orecchie che ripete quelle quattro parole.
-Devo dire che sa come coinvolgere il lettore fin dalla prima frase!-


Gli aveva sussurrato queste parole all’orecchio, mentre la droga faceva effetto e lo rendeva inerme a qualunque possibilità di difesa.
Aveva ribadito le sue intenzioni, guardandolo respirare affannosamente.
Lo scrittore cercava di rispondergli, senza riuscire ad articolare parola.
Cercava di difendersi, senza riuscire a muovere un muscolo.
La sua mente non era lucida al cento per cento, ma capiva benissimo che quelle potevano essere le ultime parole che avrebbe sentito nella sua vita.
Stava morendo…


Si ferma ancora, vedendo sott’occhio le mani della Gates stringersi insieme sulla scrivania. Solleva ancora lo sguardo su Kate che, senza dare peso alla presenza del capitano, prende una sedia e si siede proprio attaccata a lui, che la guarda stupito.
-Va avanti.-
Gli dice piano accennando un sorriso.


Stava morendo… Ripete prima di continuare. Questo almeno era quello che pensava lui, disteso immobile sulla neve, mentre il freddo s’impossessava delle sua ossa e il male delle sue vene…

…e il male delle sue vene?!
Corruccia la fronte all’ultima frase, senza notare la stessa espressione anche sui volti dei suoi amici e del capitano, ma non si ferma e continua a leggere.


Lo scrittore era finalmente nelle sue mani.
L’uomo che lo aveva fermato e che aveva distrutto tutto quello che con il sangue si era creato intorno, era finalmente alla sua mercè.
Aveva sognato per tanto tempo di poterlo torturare, di poterlo uccidere in mille modi possibili, dolorosi e lenti.
Aveva sognato di potergli urlare in faccia, mentre agonizzava nel dolore, che aveva sbagliato a non ucciderlo… avrebbe dovuto mirare alla testa!


Solleva lo sguardo e sbotta guardando Kate.
-Ok… ora dimmi che non è Tyason… avrebbe dovuto mirare alla testa!-
Esclama puntando il dito sulla frase appena letta.
Gli ho scaricato un caricatore addosso è vero… ma non ho sparato alla testa, ho sparato di continuo, senza fermarmi o riflettere e sempre nello stesso punto. Tutti i colpi sono andati al torace. Se avesse avuto un giubbotto anti proiettile…-
-…si sarebbe potuto salvare anche da un volo di 60 metri e avrebbe potuto sparire inosservato!-
Conclude Kate alzandosi e stritolandosi le mani.
-Continui a leggere signor Castle, Tyson o no, vediamo di capire dove vuole arrivare.-
Li interrompe la Gates. Kate torna al suo posto e Castle riprende la lettura.


Non era riuscito a trattenere la rabbia e lo aveva colpito, con forza.

Si tocca istintivamente la fronte, sentendola pulsare d’improvviso, sospira e va avanti.

Un colpo bene assestato alla testa e il sangue cominciò a formare delle sottili righe sulla tempia.
Riuscì a tornare in sé e a calmarsi, doveva lasciarlo vivere.
Il suo obbiettivo era lei…


Stavolta si ferma e chiude gli occhi sospirando, guarda sott’occhio Kate e nota il suo sguardo puntato a terra e le mani che ancora si stritolano a vicenda.

L’unico modo di farla cadere nel baratro, di farla perdere ancora nel buio delle tenebre senza possibilità di rivedere la luce, era sacrificare quel momento perfetto… ce ne sarebbero stati altri più avanti e più perfetti.

Kate continua a stritolarsi le mani.
Nel buio… vuole farmi cadere nel buio…e stava per riuscirci…
Se Castle fosse morto, se invece di fermarsi avesse portato a temine la sua vendetta, lei ora sarebbe piombata nel buio. Si volta verso di lui, sentendosi osservata dai suoi occhi azzurri che, più che guardarla, stanno indagando per percepire i suoi pensieri. Sposta lo sguardo sulla pagina e lui la imita, riprendendo il segno.


Nonostante lo odiasse, non poteva fare a meno di ammirare il suo istinto.
Quando era sul taxi, lo aveva osservato dallo specchietto retrovisore e si era reso conto che si sentiva a disagio.
Si muoveva in continuazione sul sedile e non vedeva l’ora di scendere e allontanarsi da lui.
Lo sentiva…
Come la detective, anche lui sentiva la sua presenza malvagia.


Castle fa un’altra pausa sentendo i battiti accelerare, al pensiero dei suoi occhi gelidi riflessi sullo specchietto retrovisore. Si sentiva scrutato e ricorda la voglia che aveva avuto di scendere da quel taxi e correre lontano.

Lo aveva immobilizzato con una quantità di droga necessaria a lasciarlo vigile.
Perché capisse.
Perché credesse che lo avrebbe ucciso.
Paura…
Voleva vedere la paura nei suoi occhi.
Una paura che si materializzò nell’azzurro del suo sguardo, quando lui continuò dicendo che dopo la sua morte, sarebbe toccato a lei!
Aveva sgranato gli occhi. Pensare di morire lo terrorizzava, ma pensare di vedere morire lei lo aveva mandato nel panico.
Era davvero eccitante studiare la reazione umana davanti al pensiero della morte.


Deglutisce per l’ennesima volta. Il silenzio è pesante, riesce a sentire il respiro accelerato di Kate accanto a lui.

Aveva preparato la trama con cura.
Mentre aspettava che tutto si svolgesse come aveva scritto, aveva riempito la siringa con la droga, l’aveva alzata verso l’alto e spinto lo stantuffo di poco per eliminare l’aria, poi con molta cura e mano ferma, aveva intinto l’ago nella boccettina contenente il liquido azzurro, limpido e intenso come i suoi occhi.

Corruccia la fronte.
-Intinse l’ago nel liquido azzurro… che significa?-
Dice sollevando lo sguardo su ognuno dei presenti.
-Sembra che abbia riempito la siringa di qualcos’altro oltre la droga!-
Esclama Ryan sempre più scuro in viso.
Esposito e la Gates stanno commentando l’ipotesi del collega, ma Kate non li ascolta più.
Mentre il male s’impossessava delle sue vene…
All’improvviso le torna in mente il foglio di dimissioni dell’ospedale con il referto medico. Ricorda lo sguardo corrucciato di Lanie mentre lo leggeva ed è sicura che si fosse soffermata proprio sulla richiesta, da parte del dottor Travis, per un secondo prelievo. Il killer scrive che ha intinto l’ago in un’altra sostanza di colore azzurro dopo aver riempito la siringa con lo Zolpidem. Il cuore ricomincia a trottare, la paura provata mentre apriva il portabagagli del taxi la fa fremere di nuovo.
Il tono di voce della Gates che intima a Castle di continuare la riporta alla realtà, così sospira per cercare di calmare i battiti e prestare attenzione ancora alla lettura.


‘Ne basterà solo una goccia’ gli aveva detto il Professore…

-Chi diavolo è il Professore? Come può inserire un personaggio nuovo così come niente, senza nessuna spiegazione o presentazione… e che diavolo è questo liquido di colore azzurro…-
Gesticola e parla a raffica senza fermarsi e il capitano Gates si sporge verso di lui, dopo aver passato in rassegna gli sguardi preoccupati dei suoi uomini, vista la reazione spropositata di Castle che ha alzato la voce.
-Signor Castle! Si calmi… se non riesce a continuare lo faccio.-
Lui la guarda con gli occhi sbarrati, ha ricominciato a sudare e sente il cuore esplodergli nel petto. Sospira capendo che sta per avere un altro attacco di panico. Scuote la testa ma non riesce a riprendere a leggere, perché nella sua mente sta prendendo forma una teoria orribile.
Ne basta solo una goccia… 
Ha intinto l’ago nel liquido azzurro…
Appoggia la mano sulla scrivania, facendosi perno per alzarsi, il capitolo cade a terra e lui si porta la mano al colletto della camicia sentendosi mancare l’aria.
Esposito si china a prendere il manoscritto, mentre Kate e Ryan lo sorreggono e lui solleva la mano.
-Sto bene, davvero… è la droga… il dottore mi aveva… avvertito… ho solo bisogno di una boccata d’aria.-
Si avvicina alla porta, rimasta aperta e, aggrappandosi allo stipite, respira a pieni polmoni.
Resta appoggiato alla porta e si volta verso l’amico, che lo guarda spaesato con il manoscritto tra le mani.
-Continua tu Espo… per… favore.-
Lui annuisce e cerca la pagina giusta.


Aveva messo il cappuccio di protezione alla siringa e chiuso ermeticamente la boccettina.
L’aveva riposta nel suo contenitore imbottito e aveva aspettato…


Castle continua a sudare copiosamente.
Non sta avendo un attacco di panico, il dolore acuto che sente al petto e allo stomaco non può essere solo paura. Si china in avanti, respira a fondo e riesce a rimettersi dritto, appoggiandosi completamente allo stipite della porta, mentre Kate continua a stringerlo per il braccio, rendendosi conto che non sta bene.


Aveva aspettato che lui stesso andasse incontro al destino.
Aveva aspettato di arrivare in un luogo solitario.
Aveva aspettato che anche lui scendesse dall’auto.


Non riesce a regolare il respiro, sempre più affannato, appoggiandosi di peso a Kate.

Aveva aspettato che si avvicinasse.
Aveva aspettato che lei arrivasse.


Nel sentire nominare ‘lei’ comincia a tremare e solleva gli occhi su Kate che lo guarda sconvolta, perché non sa come aiutarlo.

Aveva aspettato che anche lei sentisse la paura, provasse terrore.
Aveva aspettato di vedere il suo viso rigato da lacrime di paura.
Aveva aspettato che il suo respiro tornasse normale dopo essersi accertata che la vittima designata era ancora viva…


Esposito continua la lettura, Ryan e il capitano Gates sono intenti ad ascoltarlo e non si rendono conto delle condizioni di Castle.

Mentre li guardava da lontano e godeva della sua storia, aveva sollevato la boccettina verso il cielo, osservando con ammirazione il liquido trasparente e azzurro all’interno.
Un raggio di sole la colpì, attraversandola da parte a parte, facendola scintillare.
La detective era china sulle ginocchia, lo teneva tra le braccia per scaldarlo e proteggerlo, senza sapere di stringere al suo cuore, solo un cadavere…


Solo un cadavere!
Rick, riesce a pensare a queste ultime due parole, prima di piegarsi su se stesso, premendosi il petto con la mano come a volersi proteggere dal dolore.
-Castle!-
La voce impaurita di Kate fa voltare tutti verso di loro, Ryan cerca di sostenerlo, ma Castle si accascia a terra, continuando a tenersi il petto e a lamentarsi.
Esposito e il capitano accorrono, cercando di prestargli soccorso.
-Non può essere ancora la droga!-
Afferma Esposito e la Gates annuisce chinandosi vicino a Kate.
-Nel manoscritto parla di un liquido che ha unito allo Zolpidem…-
Lascia in sospeso la frase e Kate si sente attraversare da un brivido, prende il telefono, ma prima che possa digitare il numero del dottor Travis, il viso di Lanie le appare sul display. Si alza e si allontana da loro per rispondere.
-Lanie scusa, se devi dirmi qualcosa sulle autopsie ci sentiamo dopo, io…-
Ma Lanie la blocca immediatamente.
-Non ho chiamato per le autopsie Kate, devi portare Castle immediatamente in ospedale.-
Kate si gira a guardare Castle, che per il dolore tiene i pugni serrati sul cappotto di Esposito che lo stringe a sé, cercando di calmarlo, sotto gli sguardi preoccupati di tutti.
-Lanie che sta succedendo? Castle sta male… e tu mi chiami dicendomi di portarlo in ospedale… dimmi che succede?-
Lanie chiude gli occhi e prende un respiro profondo.
-Mi ha chiamata Ben, ha i risultati del secondo prelievo che ha fatto a Castle e…-
Si ferma cercando di trovare le parole giuste.
-E!? Parla Lanie maledizione, si contorce come se lo stessero torturando!-
-C’è qualcosa che non va nel suo sangue e non ha a che fare con la droga. Ben vi aspetta al pronto soccorso, io vi raggiungo lì… Kate… subito!-



Aveva sistemato la canna da pesca nel portabagagli accanto alla cassetta contenente gli ami, le esche e tutto ciò che poteva servire per la pesca d’altura. La canna era da professionisti, leggera e ben bilanciata, divisa in tre parti che un pescatore provetto avrebbe montato senza difficoltà.
Certo Stephan Grayson era un uomo solitario, con pochi amici, soprattutto colleghi, con i quali non aveva però molto contatto fuori dal lavoro. Una volta andato in pensione si sarebbe allontanato anche da quelle poche amicizie, ma non avrebbe mai rinunciato ad una buona, rilassante e soprattutto silenziosa, giornata di pesca.
Scosse la testa guardando la cassetta da pesca, le sue esche e i suoi ami erano sicuramente molto diversi. 
Al posto dei vermi aveva sistemato cavi elettrici e batterie e le sue esche sarebbero state la scatola di legno scuro e la capacità d’incutere paura.
Accostò il portellone del bagagliaio rientrando in casa per uscirne immediatamente con il pesante borsone, che sistemò accanto alla canna da pesca.
Dentro c’erano i suoi travestimenti, i suoi diversi volti e la piccola stampante che lo avrebbe aiutato per i prossimi capitoli.
-Fine settimana prolungato signor Garyson?-
Chiuse gli occhi stizzito mentre era ancora chino all’interno del bagagliaio intento a sistemare i suoi averi, pensando che la sua lungimiranza nel mettere la canna da pesca e la cassetta tra i bagagli, non era certo esagerata.
Si sollevò sorridendo, mettendo la mano sulla maniglia del portellone.
-Proprio così signora Bramby. Un ex collega mi ha invitato nella sua casa in montagna. Quattro giorni di pesca sul lago ghiacciato in pieno relax!-
Rispose sempre con il sorriso affabile sulle labbra, mostrando con la mano la canna da pesca.
La donna annuì compiaciuta, come se fosse contenta che il suo vicino pensasse finalmente a divertirsi un po’, invece di restare recluso in quella casa.
-Mi fa piacere, un po’ d’aria pura la ristorerà…-
Rispose al suo sorriso e con un cenno della mano riprese la strada di casa.
-Si diverta…-
Disse quando era già sul vialetto della sua villetta. 
Lui si sistemò il berretto da baseball sulla fronte, chiuse a forza il bagagliaio e rimase a guardare la signora Bramby aprire la porta, entrare e sparire dentro casa, certo che la donna avrebbe atteso dietro le tendine della sua finestra, il momento della partenza.
Rientrò in casa, si diresse in bagno e restò qualche secondo a guardarsi allo specchio. 
Osservava il viso riflesso di fronte a lui, quel viso che gli aveva tenuto compagnia per mesi, un viso come tanti, senza nessun segno particolare, senza importanza per nessuno a parte i vicini curiosi.
Sorrise ringraziando mentalmente Stephan Grayson di averlo ospitato nella sua casa, nella sua solitudine, nella sua vita inutile. Non era stato che un essere inutile in quegli anni. Lavoro-casa, questa era stata la sua vita, ogni giorno, per 365 giorni l’anno, comprese le ferie.
Scosse ancora la testa non riuscendo a capacitarsi di come la gente potesse accontentarsi semplicemente di respirare, anziché pretendere di vivere.
Lui non lo avrebbe permesso.
Lui non poteva accettarlo.
Lui doveva vivere come era la sua natura.
Andò nello studio, prese il cellulare e lo accarezzò con la stessa delicatezza che si rivolge verso il viso di un bambino, dando un occhio al pendolo.
Le 11.30…
-Dimmi detective… l’inferno è già cominciato? Hai già letto il mio bellissimo capitolo? Il dubbio e la paura si sono già impossessati di te?-
Pose le domande a voce alta rivolto al telefono e i suoi occhi si chiusero in una fessura.
Posò il cellulare nella tasca interna del giaccone e prese la borsa contenente il portatile, osservò la sua figura sullo specchio accanto alla porta d’entrata e sorrise malefico.
-Certo che hai capito…-
Si guardò attorno per un attimo, inspirò per memorizzare gli odori di quella casa, non tanto perché gli piacesse, quanto per non dimenticare il luogo che aveva visto la sua rinascita e ringraziò ancora una volta Stephan Grayson per aver fatto una sola cosa importante nella sua inutile vita: morire per la sua causa.
Uscì con calma, chiuse la porta d’ingresso a chiave e guardò verso la villetta della signora Bramby.
La sua curiosa vicina aveva scelto uno strano momento per dare da bere alle sue piantine di begonie, sollevò la mano in segno di saluto e lui con estrema gentilezza rispose con lo stesso gesto, pensando che anche la vita di quella donna era del tutto inutile.
Aprì lo sportello dell’auto, sistemò il portatile sul sedile e dopo essersi accomodato e allacciato la cintura, inserì le chiavi nel quadro.
-A presto detective…-


Angolo di Rebecca:

Rick accusa i primi sintomi di quel liquido azzurro
e tutti cominciano ad avere chiara la situazione: il capitolo parla chiaro!
Rick ha dato via alla sua teoria... si aprono le danze *-*
Non so che altro dire, tranne che la ABC decide d'improvviso di privarci dell'episodio di Castle 
ed io sono arrabbiata :p

Buona serata! <3

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Capitolo 18
*** Tre Giorni... ***






 


Capitolo 18
 
 
Una sensazione di calore al polso lo costrinse a concentrarsi sull’assurdo movimento che avrebbero dovuto fare le palpebre per potere riaprire gli occhi. La testa pulsò per un attimo e decise di desistere, almeno per il momento.
Le voci concitate e la frenesia che riusciva a mettere a fuoco in quella mente al buio, per via degli occhi chiusi che ancora oziavano a discapito della sua voglia di svegliarsi, avevano lasciato il posto ad uno strano silenzio, interrotto a tratti soltanto da piccoli passi intorno a lui, parole incomprensibili pronunciate da voci sconosciute e rumori di oggetti spostati su qualcosa di metallico.
Il dolore e gli spasmi acuti al petto e allo stomaco erano solo un ricordo, quello che sentiva adesso era una strana sensazione di benessere nel corpo.
Un benessere che non sentiva, però, nell’anima.
L’anima era scura per quelle pagine scritte, per quelle parole lette che delineavano una finzione reale nella mente del killer, una realtà che lo descriveva come il cadavere di turno.
Strinse gli occhi sentendo un dolore acuto. La fitta al petto che lo aveva colto all’improvviso non era malessere, ma paura.
La stessa che doveva aver sentito Kate, mentre gli accarezzava il viso in auto, cercando di calmarlo.
Ricordava che la Gates voleva chiamare un’ambulanza e lui, in preda al dolore, l’aveva implorata di non farlo; i giornalisti appostati ancora fuori nel parco giochi ci sarebbero andati a nozze, se lo avessero riconosciuto.
La voce preoccupata del capitano lo aveva tranquillizzato, dicendogli che i giornalisti erano affar suo e, ordinando ad Esposito di tenersi pronto a partire con l’auto di servizio verso l’ospedale, si era premurata di distogliere la loro attenzione.
Lo avevano aiutato a stendersi sul sedile posteriore e aveva appoggiato la testa sulle gambe di Kate, che non aveva smesso un momento di tenergli la mano e accarezzargli il viso.
Ricordava la sua mano fredda e tremante mentre gli toccava la guancia e, in quel tremore, l’unica consapevolezza che aveva,  era che niente al momento dipendeva da lui; quello che stava succedendo era fuori dalla sua portata.
Stava morendo!
Il dolore insopportabile gli dava quest’unica certezza e la paura che sentiva, si scioglieva lentamente solo al pensiero che lei era lì con lui.
Aveva stretto i denti e si era concentrato sulla sua unica ancora di salvezza.
Il suo sogno segreto, l’unico suo pensiero da anni, l’unico sorriso desiderato, la sua anima innamorata, il suo unico sempre… lei… e in questa consapevolezza si era lasciato andare al dolore ed aveva chiuso gli occhi.
Non ricordava altro.
Era disteso su un letto, questo lo percepiva e il vociare sommesso intorno apparteneva sicuramente a medici ed infermieri che si prendevano cura di lui, ma i momenti dall’auto all’ospedale erano oscuri nella sua mente.
Un rumore simile ad una porta che cigola lo fece scuotere, provò di nuovo ad aprire gli occhi, ma le palpebre erano pesanti come mattoni e rinunciò ancora una volta.
Attorno a lui ci fu di nuovo il silenzio e si abbandonò alla sensazione d’intorpidimento che sentiva in corpo. Non era la stessa  che aveva provato dopo l’aggressione. In quel caso non riusciva a muoversi, aveva gli arti bloccati, adesso se solo avesse voluto, avrebbe potuto alzarsi.
Riusciva a chiudere le mani in un pugno e muoveva le gambe.
Non era stato male di nuovo per via della droga, non era un effetto collaterale.
Questa presa di coscienza lo innervosì, facendogli percepire un altro rumore che non aveva notato fino a quel momento. Un suono. Un suono leggero, ma continuo, che aumentava d’intensità man mano che lui si agitava. Era sicuramente collegato ad un apparecchio che misurava le sue pulsazioni.
Il benessere che lo aveva avvolto da quando aveva ripreso coscienza, l’abbandonò riportando la sua mente al manoscritto, alle ultime frasi lette dalla voce incredula di Esposito e la macchina a cui era attaccato, lo avvertì che il cuore aveva ricominciato a correre.
Il liquido azzurro… ne basta solo una goccia… dolori, spasmi, sudore…
I battiti accelerarono ancora prepotentemente.
Veleno!
La parola che riusciva a leggere tra le righe di quel manoscritto era unica e sola.
Gli aveva iniettato qualche altra sostanza oltre la droga…
La detective era china sulle ginocchia, teneva la testa dello scrittore tra le su braccia, lo scaldava e lo proteggeva, senza sapere di stringere al suo cuore solo un cadavere!
…una sostanza che lo stava uccidendo!
 
Un altro tocco caldo lo strappa al nero della sua mente.
Un tocco diverso da quello che gli tastava il polso, un tocco che gli stringe la mano con delicatezza... un tocco rassicurante che avrebbe riconosciuto sempre e ovunque.
S’impone di ordinare alle palpebre di aprirsi, le muove con difficoltà come se fossero incollate alle pupille e il tocco si fa più forte sulla sua mano.
Risponde alla stretta e si ritrova con le dita intrecciate alle sue, ed è la prima cosa che riesce a mettere a fuoco quando finalmente apre gli occhi: le loro mani strette insieme sul suo torace, in un silenzio disperato.
Solleva lo sguardo e si perde nei suoi occhi, scuri come la sua anima, preoccupati. La rughetta in mezzo alla fronte marcata, le labbra strette in un sorriso forzato.
-Non hai una bella cera!-
Sbiascica abbozzando un sorriso e lei scuote la testa.
-Hai sempre saputo come lusingare una donna!-
Gli risponde passandogli la mano tra i capelli.
-Il dottor Travis è andato in laboratorio e mi ha permesso di entrare, per tranquillizzarti in caso ti fossi svegliato. Non so perché pensi che io abbia questo potere su di te.-
-Perché il dottor Travis ha la vista lunga e poi non bussa mai quando entra in una stanza!-
Il sorriso che gli mostra per la battuta le rilassa il viso, la rughetta sparisce per un paio di secondi e lui si sente allargare il cuore.
-Ha detto che ti sei stabilizzato e che stai meglio.-
Lui annuisce e si guarda l’altra mano poggiata sul letto, nella quale è inserito un ago. Segue il tubicino con dentro un liquido trasparente e ferma lo sguardo sulla bottiglia della flebo, quasi vuota.
-Più che meglio mi sento galleggiare in una bolla leggera… sarà la roba buona che mi stanno mandando in vena. Magari è vodka liscia!-
Sorridono insieme e Kate si china a sfiorargli le labbra, ma lui sposta di poco la testa impedendoglielo, lasciandola sorpresa.
-Se avesse fatto davvero quello che pensiamo Kate!? Da quello che ha scritto nel capitolo… non mi ha solo drogato!-
Esclama in un sussurro guardando nel vuoto davanti a sé. Lei si solleva di scatto e gli stringe la mano ancora più forte.
-Non sappiamo ancora cos’hai!-
-Si che lo sappiamo. Mi ha avvelenato Kate! Una goccia di liquido azzurro… l’hai detto anche tu che mi ha lasciato vivere perché ha un piano ben preciso in mente… e quello che si prospetta è un piano che va al di là della vendetta e dell’odio!-
Kate lo lascia di scatto per portarsi le mani ai capelli, li tira indietro sulla fronte e si allontana da lui percorrendo a piccoli passi la stanza.
-Ma qual è questo piano?-
Dice esasperata girandosi ancora verso di lui, che sospira.
-Non lo so, non so nemmeno perché sono ancora vivo. Se davvero mi ha avvelenato, per come mi sentivo poco fa, sarei dovuto morire prima di arrivare qui.-
Lei scuote la testa come se non accettasse quello che sa essere la verità.
-Il dottor Travis deve aver avuto il sospetto che c’era qualcosa di più, sennò non avrebbe fatto il secondo prelievo e Lanie lo ha intuito, per questo era silenziosa quando siamo venuti via dall’ospedale. Lo hai detto tu che era strana!-
Le fa segno con la mano di sedersi sul letto il più vicino possibile a lui e incatena lo sguardo al suo.
-E se fosse vero? Perché non sono morto? Che vuole ancora?-
Le sue domande sono dei sussurri che martellano le orecchie di Beckett.
-Perché vuole qualcosa da me. Vuole me Castle e il pensiero che sei in pericolo a causa mia…-
 Risponde lei stringendo le labbra, guardandolo con gli occhi lucidi. Rick le accarezza il viso e lei chiude gli occhi al suo tocco.
-Che succederà Kate!?-
Lei scuote la testa continuando a tenere la sua mano sulla guancia, riapre gli occhi e li fissa in quello sguardo spaventato, ma tanto dolce, come quello di un bambino che vuole certezze.
-Non gli permetterò di ucciderti! Qualunque cosa abbia in mente, qualunque cosa ti abbia fatto… io non gli permetterò di ucciderti!-
Rick abbassa lo sguardo e lei gli prende il viso tra le mani, costringendolo a guardarla. La rughetta in mezzo alla fronte fa di nuovo capolino e lui si sente attraversare da parte a parte dalla sua determinazione.
-Ti fidi di me?-
Lui solleva le spalle, le prende le mani tra le sue e gliele bacia sorridendo.
-Se mi fido di te? Io dipendo da te Kate… anche per respirare!-
Lei gli sfiora il cerotto in fronte, accarezzandogli dolcemente la guancia, passa le dita sulle sue labbra e lo abbraccia tenendo la sua testa contro il collo.
Tu dipendi da me! Tu vegli su di me…
Chiude gli occhi e mentre lo stringe forte a sé lo sente tremare ancora una volta tra le sue braccia.
…ed io ti amo Rick!
Un colpetto alla porta li riporta alla realtà e si allontanano velocemente, proprio mentre entra il dottor Travis.
Castle solleva le sopracciglia.
-Ha bussato!-
Esclama sottovoce, ma il medico alza il dito verso di lui mentre si avvicina per togliergli la flebo.
-L’ho sentita sa!? Sappia che al pronto soccorso non si bussa, si entra e basta.-
Cerca di sorridere, ma mentre chiude il tubicino della flebo e gli toglie l’ago dalla mano, non riesce ad evitare l’espressione tesa e lo sguardo serio, cosa che non passa inosservata a nessuno dei due.
Improvvisamente il silenzio s’impossessa della stanza e Castle trova la cosa insopportabile. Aspetta immobile che il dottor  Travis gli ausculti il battito cardiaco e quando si toglie lo stetoscopio dalle orecchie, sospira.
-Spero che lei non giochi a poker dottore.-
Lui corruccia la fronte e Rick lo guarda dritto negli occhi.
-La sua faccia dice che sono spacciato!-
Il medico si porta lo stetoscopio dietro il collo, in una mossa meccanica che compie decine di volte ogni giorno davanti ad altrettanti pazienti, ma adesso è più un modo di prendere tempo per mettere insieme le idee.
Lo sguardo fisso e le parole schiette di Castle lo fanno sentire a disagio.
-La situazione in effetti non è rosea.-
-Non è rosea? Dottor Travis, sappiamo per certo che il mio aggressore ha messo un’altra sostanza nella siringa, insieme alla droga…-
Castle lascia la frase a metà quando nota l’espressione dubbiosa sul viso del medico e si passa le dita sulla ferita alla testa, sospirando.
-Il killer si diverte ad auto compiacersi di quello che fa. Sta scrivendo un libro con le sue gesta e ce lo fa leggere capitolo dopo capitolo… per chiarirci le idee…-
Kate si avvicina prendendo il filo del discorso di Rick.
-Prima che Castle si sentisse male, stavamo leggendo il capitolo in cui descriveva minuziosamente la sua aggressione…-
Castle annuisce e prosegue, mentre il dottor Travis passa lo sguardo dall’uno all’altra.
-…in una frase dice che, dopo aver riempito la siringa con la droga, ha aggiunto un’altra sostanza che definisce di colore azzurro…-
-…e ha tenuto a precisare che ne sarebbe bastata soltanto una goccia!-
Kate dice l’ultima frase a bassa voce, incrociando lo sguardo con quello di Rick che deglutisce e torna a guardare il medico.
Travis annuisce pensieroso.
-Con il primo prelievo di stamattina mi sono reso conto che c’era un piccolo scompenso a livello dei globuli, volevo essere certo che fosse solo una conseguenza della droga, ma il secondo prelievo ha mostrato uno scompenso maggiore, non solo dei globuli, ma anche di altri valori.-
-Quindi, qual è il responso?-
Castle resta a fissare il medico, che gli mette una mano sulla spalla.
-I risultati dell’ultimo prelievo sono pronti e sarà meglio parlare con la nostra capo biologa, lei sarà in grado di spiegarsi meglio di me. E’ qui fuori con i vostri colleghi. Vuole che ne parliamo in privato?-
Rick guarda Kate e scuote la testa.
-No. Se ha a che vedere con l’assassino sarà meglio parlare anche con i ragazzi, così non dovremo ripeterci.-
Il dottor Travis annuisce e si avvia alla porta, mentre Rick si solleva a sedere sul letto e cerca quasi di nascosto un contatto con Kate, che gli sfiora la mano. Ben Travis segue la scena sott’occhio, sorride istintivamente a quella vista celata, ma il sorriso gli si spegne di colpo pensando alle notizie che Claire gli ha appena dato.
China la testa sospirando e mette la mano sulla maniglia della porta.
-Ehm… detective Beckett, forse le interesserà sapere che è arrivata anche il suo capitano.-
Esce senza voltarsi e Castle si ritrova a sorridere.
-Te l’ho detto che ha la vista lunga… anche troppo...-
Kate gli stringe la mano, ma lui non riesce a trattenere il sorriso. Diventa serio spostando lo sguardo sul copriletto, fino a che si riapre la porta e lei si allontana di malavoglia.
-Detective Beckett, signor Castle, vi presento la dottoressa Claire Dobbson, direttrice del laboratorio di Biologia del nostro ospedale.-
Castle resta stupito dalla giovane donna con il camice bianco. Molto carina, capelli biondi legati in una coda sbarazzina, occhi azzurri nascosti da occhiali rettangolari che le danno un’aria intellettuale e un sorriso dolcissimo. Ma la cosa che lo meraviglia davvero è la sua giovane età. Avrà più o meno trent’anni ed essere a capo di un laboratorio di biologia alla sua età, è  davvero una grande meta.
Si salutano con un gesto del capo, mentre Lanie si avvicina a Kate, la Gates si posiziona ai piedi del letto di Castle e Ryan ed Esposito lateralmente al letto, appoggiati alla parete.
La dottoressa sembra a disagio e si guarda ripetutamente le scarpe e il dottor Travis le fa cenno con la mano di prendere la parola. Si schiarisce la voce e sorride nervosa.
-Scusate. Non sono abituata a questo. Il mio compito è stare chiusa in laboratorio, non mi occupo mai dei pazienti…-
Si sistema gli occhiali spingendoli sul naso con un dito e apre la cartellina che tiene stretta in mano.
-…ma il dottor Travis questa volta ritiene necessaria la mia presenza, pensa che possa spiegare meglio cosa sta succedendo nel suo organismo, signor Castle.-
Controlla i fogli dentro la cartella e alla fine alza gli occhi verso Rick.
-Ben…-
Solleva lo sguardo verso di lui, distogliendolo immediatamente.
-…il dottor Travis, mi ha appena messa al corrente del messaggio che ha lasciato l’aggressore, in cui dice di aver aggiunto un’altra sostanza alla droga. In effetti nel suo organismo c’è qualcosa di estraneo, che non è lo Zolpidem.-
-E di cosa si tratta esattamente dottoressa?-
La interrompe perentoria la Gates e la giovane donna scuote la testa.
-Purtroppo non lo so. Nonostante i ripetuti controlli non siamo riusciti a risalire all’origine della sostanza. E’ sicuramente qualcosa di tossico.-
-Quindi un veleno!-
Esclama Rick corrucciando la fronte e la Dobbson annuisce.
-E’ una tossina, ma niente che io conosca, nel senso che non esiste in natura o in commercio.-
-Allora cos’è?!-
Chiede Kate facendo un passo avanti verso di lei.
-Una tossina molto complessa, costruita sicuramente in laboratorio. Ha una struttura complicata che sembra, dai pochi indizi che abbiamo, agisca sulla struttura ematica. All’inizio c’è stato un dislivello minimo tra globuli bianchi e rossi, ma già al secondo prelievo questo dislivello era maggiore. I bianchi aumentano a vista d’occhio, come se ci fosse una forte infezione in corso, mentre i rossi diminuiscono in maniera proporzionale.-
Gli occhi di tutti sono fissi sulla donna, Kate sente il respiro farsi pesante e l’aria irrespirabile.
-Questa, tra virgolette, infezione, porta ad uno squilibrio organico generale. In parole povere la tossina priva il sangue delle sostanze che porta con sé nella normale circolazione per irrorare i vari tessuti e organi interni, quindi viene a mancare l’ossigeno di cui hanno bisogno per un normale e corretto funzionamento. Parliamo di tessuti, organi interni, attività neurologiche. Tutto è collegato… e questa tossina è come se deframmentasse il sangue, che così  perde la sua funzionalità.-
Castle si schiarisce la voce e serra la mascella.
-Perché non sono morto allora? E’ un veleno, prima ho creduto davvero di morire… perché adesso sto bene! Non credo che sia solo per la roba buona che mi ha dato il dottor Travis.-
La dottoressa Dobbson si sistema ancora gli occhiali sul naso e annuisce.
-Come ho già detto è stata elaborata in laboratorio, quindi ‘costruita’ chimicamente. Ed è stata strutturata in modo da agire a rilascio lento, perciò il suo organismo subirà degli alti e bassi continui, in cui alternerà momenti di crisi a momenti in cui si sentirà bene come se non avesse nessun problema.-
Quando capisce che gli sguardi di tutti sono interrogativi, sospira.
-Mi spiego meglio. Chiunque abbia elaborato questa formula non è uno sprovveduto che conosce qualche nozione di biologia, ma un chimico esperto, che ha potuto lavorare in un laboratorio ben fornito, sia di macchinari che di diverse sostanze costose e pericolose. Deve averci lavorato per settimane, se non addirittura mesi. Avrà fatto sicuramente molti tentativi e diversi esperimenti prima di raggiungere la struttura velenosa che gli serviva.-
L’attenzione di tutti è totale, la dottoressa Dobbson si spiega in modo chiaro, ma Kate non riesce a seguirla. Sente il cervello pulsare e il cuore aumentare i battiti, proprio come quando stava correndo in macchina, poche ore prima, chiedendo ad una forza sconosciuta di non fargli perdere Rick. Il sollievo che aveva provato nel trovarlo vivo era stato offuscato dall’idea che il killer avesse ben altro in mente, ed ora è tutto chiaro.
Vuole lei, ha sempre voluto lei e per questo ha ucciso senza pietà tre donne innocenti e adesso sta distruggendo lui per devastare lei.
Si porta lentamente le dita alla tempia, proprio su quella vena che pulsa come se volesse esplodere da un momento all’altro e cerca di prestare attenzione alle parole che le giungono come un eco lontano.
Scuote la testa e sente lo sguardo di Rick su di sé. Si gira a guardarlo e lui le sorride. Le regala uno di quei piccoli, impercettibili sorrisi che le fanno coraggio. Ecco da chi dipende da mesi, un uomo che si preoccupa per lei anche quando è lui ad essere in pericolo.
La voce della dottoressa Dobbson s’insinua di nuovo nelle sue orecchie, risponde al sorriso di Rick e torna a darle attenzione.
-Secondo me il suo fine preciso era proprio far entrare la tossina nell’organismo in modo costante, ma lento. Per questo motivo la crisi che ha avuto prima l’ho trovata molto strana, sarebbe dovuto stare così male soltanto tra qualche ora, ma dopo che il dottor Travis mi ha parlato di quel manoscritto e che è stato male mentre lo stava leggendo, mi è stato tutto più chiaro.-
-In che senso?-
Chiede Kate, ma prima che la Dobbson possa rispondere è Lanie che prende la parola gesticolando.
-Nel senso che si è innervosito. Lo stato d’ansia che lo ha colto ha fatto si che il cuore battesse più velocemente e di conseguenza è aumentata anche l’accelerazione sanguigna…-
Si ferma di colpo guardando la Dobbson.
-Mi scusi, non volevo interromperla dottoressa…-
Dice mortificata, ma la donna sorride.
-Non c’è niente di cui scusarsi, non avrebbe potuto spiegarlo meglio. Quando il sangue ha cominciato ad accelerare, la tossina è entrata in circolo così velocemente che l’organismo non l’ha sopportata ed ha collassato, provocandole quella forte crisi, come se avesse avuto uno schock per la sostanza estranea al suo organismo.-
Ryan si stacca dalla parete a cui lui ed Esposito si sono appoggiati, immobili come congelati fino a quel momento e si avvicina alla Dobbson.
-Comunque… ci… ci sarà una cura?-
Chiede non molto convinto e la donna storce le labbra.
Quel gesto è per Kate come una pugnalata allo stomaco. Resta immobile ad aspettare una risposta, riuscendo solo a socchiudere di poco le labbra, mentre Rick tiene gli occhi fissi e sbarrati sul profilo che disegnano le sue gambe sul copriletto.
-Naturalmente è possibile fare un antidoto, ma per farlo bisogna conoscere la struttura completa  della tossina.-
-E il problema qual è dottoressa?-
La Gates appare molto preoccupata e mentre parla si sporge in avanti, stringendo la mano sulla sbarra del letto ai piedi di Castle.
-Il problema è che chi l’ha sintetizzata, ha pensato bene di strutturarla in modo tale che, una volta in contatto con il sangue, si dissolvesse completamente. Praticamente non lascia traccia di sé, tranne il potere distruttivo. Per fare un antidoto abbiamo bisogno della tossina principale. Siamo riusciti ad individuare un paio di sostanze, ma non quella che ci serve.-
Si rivolge a Rick che, come se avesse percepito il suo sguardo addosso, alza di colpo la testa.
-I miei tecnici stanno già lavorando sui campioni di sangue che abbiamo. Le faremo dei prelievi ogni quattro ore, così da constatare come procede il veleno e riuscire a dividere le diverse sostanze, ma…-
Guarda il dottor Travis e poi torna su di lui.
-…ma anche per l’antidoto potrbbero volerci giorni… settimane forse.-
-Ed io non ho tutto questo tempo!-
Sussurra Rick guardandola dritto negli occhi, mentre lei invece li abbassa.
-No… non ce l’ha!-
Rick deglutisce distogliendo lo sguardo e Kate si morde l’interno della guancia fino a sentire dolore.
-Quanto?!-
Chiede improvvisamente Rick.
Quell’unica parola fa sussultare tutti e la dottoressa Dobbson arrossisce violentemente, come se la risposta che avrebbe dovuto dargli fosse una colpa personale.
-Veramente… non… non posso… cioè… devo fare altre analisi e comparazioni per poter avere un calcolo appross…-
Rick la ferma sollevando la mano e scuotendo la testa.
-Andiamo dottoressa Dobbson, lei ha un grande cervello, non sarebbe a capo di un laboratorio di Biologia alla sua tenera età se non sapesse il fatto suo, quindi…-
Sospira pesantemente per stemperare il tremore che sente dentro le viscere.
-…quindi, anche se non ha tutti gli indizi bene in mente, non credo che non abbia già fatto qualche calcolo. Quanto mi resta da vivere?!-
Claire Dobbson guarda il dottor Travis.
Lei è una tra le prime a conoscere la sorte di un paziente. Analizza sangue, campioni di tessuto e sa in anteprima chi avrebbe avuto una cura e chi non avrebbe mai lasciato l’ospedale. Un giorno, davanti ad un caffè nella sala ristoro, con una cartellina accanto che non lasciava scampo al paziente del suo amico e collega, gli aveva chiesto cosa gli avrebbe detto.
Mentre lo guarda ricorda il suo sospiro a quella domanda ‘gli dirò la verità Claire, solo la cruda verità!’ aveva preso la cartellina con i referti ed era andato via a testa bassa senza bere il caffè.
In quel momento aveva pensato che era felice di starsene nel suo laboratorio, senza dover guardare negli occhi i pazienti, perché lei, quel grande coraggio che dimostrava Ben, non lo avrebbe mai avuto.
Il dottor Travis ricambia lo sguardo e, come se avesse intuito il suo pensiero, le mette una mano sul braccio e annuisce incoraggiandola a continuare.
Claire riporta lo sguardo su Castle e sospira.
-Confrontando i dati dei prelievi e la reazione del suo organismo in queste 4 ore, direi circa… circa tre giorni… a partire dalla prima crisi.-
Tre giorni…
Castle sente una voragine nel petto, per un attimo la nausea che lo aveva messo KO al parco giochi, torna prepotentemente a farsi sentire, lo coglie una vertigine e poggia la testa sul cuscino, sentendo le orecchie ovattate.
Esposito si avvicina a Lanie che si aggrappa al suo braccio.
-Sta dicendo che se non riuscite a trovare l’antidoto, Castle…-
Si blocca non riuscendo a trovare il modo giusto per dirlo ed è proprio lo scrittore che dà voce al suo pensiero, sollevando la testa e cercando di non lasciarsi sopraffare di nuovo dalla nausea.
-Domenica sarò morto…-
Sussurra con lo sguardo fisso nel vuoto.
Il silenzio totale diventa di nuovo protagonista.
Rick riesce solo a deglutire, mentre Kate chiude gli occhi stringendo le labbra. I ragazzi si guardano sconcertati e la Gates passa in rassegna le facce dei suoi uomini una per una.
-Un modo veloce per avere l’antidoto c’è!-
Esclama sicura, battendo la mano sulla stessa sbarra che prima stringeva.
-Dottoressa, se avesse il veleno sarebbe difficile fare un antidoto?-
-No. Esaminando la tossina allo stato puro, potremmo sintetizzarlo in poche ore.-
La Gates si rivolge ai suoi ragazzi.
-Quindi dobbiamo trovare il nostro killer velocemente e portare il veleno alla dottoressa Dobbson!-
Gli occhi di tutti puntano il capitano ed Esposito si passa la mano dietro la nuca in un  gesto meccanico.
-Pensa che sia facile, signore?-
-Certo che no, per questo non dobbiamo perdere altro tempo. Non siamo sicuri che sia Tyson perciò divideremo le squadre. Una si occuperà di indagare su di lui, se è vero che è ancora vivo, dobbiamo cominciare dalla sera in cui Castle lo avrebbe ucciso. Non lo abbiamo mai fatto credendolo morto, ma se non lo è, deve aver lasciato per forza qualche traccia, cominceremo da lì. Un’altra squadra si occuperà dei sospettati della lista. Rivolteremo la città, se sarà necessario andremo casa per casa.-
Si volta a guardare Rick e stringe la mascella.
-Lo troveremo signor Castle…-
Si dirige a passo svelto verso la porta e, dopo averla aperta, si gira verso i suoi uomini che sono rimasti immobili a guardarla stupiti.
-Beh… che state aspettando? Non abbiamo tempo da perdere!-
I due detective stanno per uscire, ma Lanie attira l’attenzione della Gates.
-Capitano mi scusi. Volevo chiederle… credo che le autopsie in questo momento non siano necessarie ai fini del caso. Quello che voglio dire è, se la dottoressa Dobbson è d’accordo… io sono brava con analisi e provette.-
Si gira a guardare i due medici e Claire sorride.
-Un cervello e due mani in più sono bene accetti.-
La Gates annuisce.
-Va bene dottoressa Parish, resti qui ad aiutare in laboratorio, vedrò di far fare le autopsie a qualcun altro.-
Fa un cenno a Ryan ed Esposito che escono nel corridoio e prima di andare guarda Kate.
-Beckett, raggiungici al più presto.-
Kate annuisce senza però riuscire a parlare.
Tre giorni…
Non riesce a credere che stia succedendo davvero. Non riesce a credere che Rick rischi di morire a causa sua.
Chiude gli occhi cercando di respirare a fondo.
-Quella donna mi ama!-
Esclama Rick guardando la porta chiusa per un paio di secondi, poi si sofferma su Kate, ha la mascella serrata e quella rughetta sulla fronte che adesso gli fa paura e, senza distogliere lo sguardo da lei, si rivolge al dottor Travis.
-Cosa mi succederà?-
Kate sgrana gli occhi e socchiude le labbra.
Vorrebbe potersi stringere a lei con tutta la forza che ha in corpo. Vorrebbe chiudere gli occhi per poi riaprirli e svegliarsi felice tra le sue braccia, vivo.
-Allora dottor Travis, cosa mi succederà in queste… 72 ore?-
-Non è facile  dirlo, dipende…-
-Senta dottor Travis, c’è un pazzo assassino che si crede uno scrittore che mi ha dedicato un capitolo in cui mi cita come il cadavere di turno, avrò pure il diritto di sapere come arriverò ad esserlo, o devo aspettare il prossimo capitolo, in modo che me lo spieghi lui stesso? E poi non ha detto che non devo agitarmi sennò il sangue corre e…-
Il medico solleva le mani scuotendole velocemente.
-Si calmi adesso. D’accordo, cercherò di essere più chiaro possibile. Solo non è facile.-
-Non sarà facile, ma voglio saperlo.-
Conclude Rick e il dottor Travis annuisce.
-Non ricevendo l’apporto di ossigeno dal sangue, gli organi interni, i muscoli e i tessuti subiranno come una specie di necrosi, cominceranno a funzionare male e pian piano collasseranno. Questo le provocherà crampi e spasmi diffusi, anche agli arti, dapprima sporadici e sopportabili, poi diventeranno sempre più vicini e forti...-
Kate sente il respiro corto, la testa continua a pulsare. Vorrebbe essere capace di reagire, ma per la prima volta dopo anni, sente quella stessa impotenza che l’aveva colta la sera che avevano ucciso sua madre. Quello che il killer sta facendo a Rick, come quella sera, è al di fuori del suo controllo. La vuole fare piombare nel buio più assoluto, l’ha scritto nero su bianco, e lei si sente già persa.
La voce del dottor Travis sembra lontana anche per Rick, che è perso negli occhi di Kate, lucidi e scuri. Niente verde brillante, niente gioia, niente sorrisi.
-...e senza una cura il veleno paralizzerà tutte le funzioni vitali… e purtroppo succederà in modo lento e doloroso. La dottoressa Dobbson ha ragione. Chiunque abbia inventato questa formula l’ha fatto con delle caratteristiche ben precise e il fatto che nella sua storia abbia sottolineato che ne sarebbe bastata solo una goccia, significa che probabilmente una dose maggiore, l’avrebbe portata alla morte in modo veloce.-
Finalmente Kate sembra risvegliarsi dallo stato catatonico in cui si è persa.
-Quindi lo scopo non è solo ucciderlo, ma farlo soffrire!?-
Il dottor Travis annuisce.
-Da quello che abbiamo potuto capire fino ad ora di questa tossina, si!-
Rick sospira pesantemente, alzando la mano per fermare il medico.
-Ho capito dottore… credo che per il momento possa bastare, il resto magari me lo dice dopo, così non mi preoccupo troppo.-
Guarda Kate per un attimo e corruccia la fronte.
-Il capitano Gates ha ragione, non abbiamo tempo da perdere!-
Scosta le lenzuola e fa per alzarsi, ma la velocità del movimento gli fa girare la testa ed è costretto a sedersi.
-Castle rimettiti a letto.-
Kate cerca di spingerlo all’indietro e il dottor Travis gli si para davanti.
-Stavolta lei non si muove da qui!-
Castle si rialza in piedi e li guarda serio.
-Lei dice dottore?-
-Certamente. Lei deve restare a riposo, abbiamo bisogno di tenerla sotto controllo, di farle altre analisi.-
Castle guarda Kate e scuote la testa.
-Se pensate che resterò qui ad aspettare di morire vi sbagliate di grosso, tutti!-
Si guarda intorno cercando i suoi vestiti.
-Avevo in programma di vivere cent’anni…-
Solleva lo sguardo su di loro mentre s’infila i pantaloni e scuote la testa.
-…di fare un mucchio di cose prima di morire…-
Indossa la camicia, abbottonandola velocemente.
-…ma in questi tre giorni sarà difficile farne anche solo una, visto che uno psicopatico completamente fuori di testa, non è d’accordo con  la mia decisione di diventare centenario, perciò l’unica cosa che mi resta da fare è dare una mano a trovare il mio amico assassino.-
Si sistema la camicia dentro i pantaloni e chiude la cintura, mentre Kate lo prende per il braccio.
-Castle aspetta, parliamone un attimo.-
-Non c’è niente di cui parlare Kate, stiamo solo perdendo del tempo prezioso.-
Il dottor Travis lo prende per le spalle e lo guarda dritto negli occhi.
-Non le permetterò di andarsene. Deve stare a letto tranquillo e sotto osservazione. Rallentare il suo metabolismo può darci il tempo di trovare l’antidoto…-
-Rallentare? Questo veleno mi sta uccidendo dottor Travis, cosa vuole rallentare?-
Si allontana da loro passandosi le mani tra i capelli, poi guarda Claire sospirando.
-Dottoressa Dobbson, mi guardi negli occhi e sia sincera.-
La donna spalanca la bocca e annuisce.
-Se resto qui a farmi dissanguare in tutta tranquillità, domenica sarò ancora vivo?-
Claire lo guarda seria, boccheggia un paio di secondi e alla fine scuote la testa.
-Non… senza l’antidoto…-
Rick deglutisce, guarda ancora Kate che lo supplica in silenzio di ascoltare il medico. Chiude i pugni e sospira scuotendo la testa.
-Mi spiace, ma io adesso vado al distretto… volete il mio sangue ogni quattro ore? Bene… prometto che sarò qui ogni quattro  ore, ma il letto lo tenga in caldo per quando non mi reggeranno più le gambe.-
Prende la giacca sulla sedia accanto al letto e si dirige all’uscita.
-Castle aspetta… Rick…-
Kate gli corre dietro e a metà corridoio riesce a fermarlo. Si guardano negli occhi per un istante interminabile, lui è visibilmente affannato.
-Calmati o starai male di nuovo.-
Castle la guarda senza rispondere e fa per allontanarsi, ma lei gli stringe il colletto del cappotto.
-Rick, ascoltami… non essere testardo!-
-Non sono testardo, voglio solo trovarlo, voglio salvami la vita, voglio che non faccia del male a te…-
Lei continua a tenerlo per il cappotto e resta a guardarlo. Fissa quell’azzurro spento e si sente sconfitta.
-Rick… tutto questo non doveva succedere… non avresti mai dovuto trovarti in pericolo, non avrei mai dovuto permetterti di…-
Lui le prende i polsi e sospira.
-Che cosa non avresti dovuto permettermi?-
-Rick ascoltami…-
-E smettila di chiamarmi Rick! Smettila di guardarmi sentendoti in colpa, non mi serve a niente tutto questo!-
La spinge verso il muro e le prende le mani.
-Non mi serve Kate in questo momento… io ho bisogno di Beckett, della detective lucida e pronta a tutto, di quella poliziotta che non si ferma davanti a niente, nemmeno quando sbatte la testa contro un muro.-
Gli occhi di entrambi si riempiono di lacrime e lei abbassa la testa, ma Rick gliela solleva incatenando lo sguardo al suo ancora una volta.
-Kate guardami. Io sono un caso… è così che devi vedermi…-
Lei scuote la testa sbarrando gli occhi.
-Un caso? Tu non sei un caso, tu non puoi essere un caso!-
-Si invece… è questo che sono adesso. Prendi una foto, appendila alla lavagna e lavora di cervello, perché se lavori con il cuore non lo prenderai mai!-
Kate continua a scuotere la testa e chiudendo gli occhi le sfugge una lacrima. Rick gliel’asciuga con il pollice e sospira.
-Mi hai chiesto se mi fido di te… io sto mettendo la mia vita nelle tue mani Kate… ti prego. Devi essere calma e sveglia anche per me, perché adesso sembro lucido, ma tra qualche ora potrei farmi prendere dal panico e fare qualche cazzata!-
Lei gli mette le mani sul viso e lo accarezza, mentre lui china la testa per assaporare il calore della sua mano.
-E’ tutta colpa mia… lui vuole me…-
-Non capisci quanto è stupido quello che hai appena detto?-
Lei continua a tenere la mano sul suo viso e le sfugge un singhiozzo.
-Com’è stupida la colpa che ti porti addosso ancora oggi per quel proiettile nel mio cuore?-
Rick sorride e appoggia la fronte alla sua.
-Vedi che siamo fatti l’uno per l’altra? Siamo due tontoloni…-
Chiude gli occhi e sospira, quando Kate in mezzo ad un altro singhiozzo, sorride.
-Lui ha qualcosa di più in mente o non avrebbe messo su questo piano infernale. E’ vero… vuole te, dice che dopo di me toccherà a te, ma credo che la sua sia più una sfida. Usa me per distruggerti…-
-E tu non avresti dovuto starmi vicino…-
Lui scuote la testa ancora una volta.
-Adesso basta! Lui sa benissimo che l’unico modo di salvarmi è trovarlo, la sfida che vuole con te è proprio questa, sennò non avrebbe senso l’azione così lenta del veleno. Hai detto che non gli permetterai di uccidermi… la domanda adesso è: sei pronta?-
Lei abbassa la testa. Si rende conto che ha perso la lucidità e l’autocontrollo. Si rende conto che i sentimenti la stanno distruggendo senza darle la possibilità di comportarsi nel modo giusto per lui, come un poliziotto. Solleva lo sguardo sui suoi occhi che stanno ancora aspettando una risposta. Osserva quell’azzurro lucido e spaventato per quello che gli sta succedendo e sente salire un’improvvisa rabbia da dentro le viscere. Stringe i pugni e le labbra.
-Ci puoi scommettere, sono pronta Castle… non gli permetterò di ucciderti!-
-Bene! Perché io non ho nessuna intenzione di morire, non così e… non adesso.-
Due lacrime fanno capolino dentro i suoi occhi.
-Non adesso… che… che ho un cassetto tutto per me a casa tua!-
Lei deglutisce, cercando di ricacciare indietro il nodo allo stomaco che le sta provocando quella frase.
-Se ti avessi regalato tutto il comò che avresti fatto?-
-Tu regalamelo e ti faccio vedere…-
Kate sorride e gli bacia gli occhi, incurante della gente intorno a loro, con il cuore che sanguina, pensando al buio in cui potrebbe sprofondare e a quanto lontana sia per il momento la luce che può salvarli entrambi.
 
Il dottor Travis insieme alla dottoressa Dobbson corre verso di loro, ma Lanie afferra l’amico per la manica del camice e lo ferma.
-Lascialo andare Ben.-
-Ma Lanie… santo cielo! Tu sai benissimo cosa accadrà a quell’uomo nelle prossime ore. Sei sua amica, parlagli tu, convincilo.-
Ma la dottoressa scuote la testa.
-Proprio perché sono sua amica e lo conosco non lo fermerò!-
Il dottor Travis corruccia la fronte e guarda Claire allargando le braccia.
-Io proprio non ti capisco Lanie…-
-Non c’è niente da capire Ben. Castle ha bisogno di fare lavorare il cervello, ha bisogno di aggrapparsi alle sue strane teorie…-
Guarda in lontananza verso Rick e Kate che stanno discutendo e fa cenno ai due colleghi di guardarli.
-Ha bisogno di aggrapparsi a qualcosa che gli dia la speranza di farcela. Ha bisogno di aggrapparsi a lei…-
Un nodo alla gola le impedisce di continuare, guarda la sua migliore amica accarezzare il viso dell’uomo che ama e si sente stringere il cuore. Deglutisce per ricacciare indietro le lacrime e sospira.
-Se tu lo rinchiudi in una stanza anonima in ospedale, se lo tieni lontano da lei in queste ore, lo ucciderai prima del veleno.-
Conclude guardando l’amico che scuote la testa.
-E va bene… voi andate in laboratorio e mettetevi a lavoro, io arrivo subito.-
 
Si stanno ancora guardando quando il dottor Travis li avvicina e Castle parte subito sulla difensiva.
-Se è qui per ricoverarmi, l’avverto che dovrà legarmi dottore...-
-Tranquillo, non si agiti. Le ho solo portato questa.-
Solleva la mano mostrando una piccola valigetta.
-Ci sono delle siringhe pronte dentro, se dovesse avere una crisi come quella di poco fa, basterà fare una di queste iniezioni sul braccio, anche attraverso i vestiti.-
-Che cos’è?-
-Non si preoccupi, è roba buona!-
Gli dice strizzandogli l’occhio.
-Mi raccomando, la porti sempre con sé, beva molto e cerchi di stare il più calmo possibile… detective Beckett lo voglio qui tra quattro ore esatte.-
-Ci sarà!-
Risponde risoluta, prende la valigetta e si avvia all’uscita.
-Castle non vieni?-
Gli chiede tornando indietro, quando si accorge che non la segue.
-Solo un momento. Dottor Travis ho io una cosa da chiederle. Questa tossina è contagiosa? Intendo dire… si può trasmettere… cioè… stamattina dopo l’aggressione… ecco io…-
Balbetta guardando Kate che improvvisamente capisce a cosa sta pensando.
-Ecco noi… ci siamo baciati…-
Il dottor Travis lo ferma scuotendo la testa.
-L’unica certezza che abbiamo è che non è di natura virale, non può essere trasmesso con un bacio, potete stare tranquilli.-
-Grazie di tutto dottor Travis, ci vediamo tra qualche ora.-
Si avviano all’uscita e Kate lo prende per mano, lui si volta a guardarla stupito, ma lei non ricambia lo sguardo. Gli stringe la mano ancora di più e prosegue con gli occhi fissi davanti a sè, facendolo sorridere.
La differenza di temperatura all’esterno è notevole, ma il sole di mezzogiorno è più caldo e il freddo intenso della mattina ha lasciato il posto ad un’aria frizzante e piacevole, almeno è questa la sensazione che provano, forse perché l’interno dell’ospedale stava diventando troppo opprimente, forse per il calore che propagano le loro mani intrecciate.
Arrivati alla macchina Kate gli apre lo sportello, ma Rick prima di salire, appoggia il braccio sul tetto dell’auto e la guarda storcendo le labbra.
-Ricordi quando ti ho detto che tengo una lista di cose da fare prima di morire?-
Lei s’incupisce un momento e lo guarda seria.
-Non dirmi che vuoi tirarla in ballo proprio ora, non mi sembra il caso!-
Risponde abbassando lo sguardo, ma lui continua imperterrito, senza toglierle gli occhi di dosso.
-Non ti sembra il caso? Rischio di morire… quando dovrei tirarla in ballo?-
Lei sospira scuotendo la testa, sconfitta dal fatto che non sarebbe riuscita a cambiare discorso.
-Ci sono cose che in poche ore non potrò mai fare, però, in effetti… c’è una cosa che potrei cancellare subito…-
Lei alza un sopracciglio e aspetta che continui.
-Quindicesimo posto…-
-Mmhh… allora non è così importante!-
-Forse no, però visto che le altre sono praticamente impossibili, potresti aiutarmi a depennarne almeno una!-
Lei socchiude gli occhi, pensando che se lo chiede così, non è una cosa proprio convenzionale, ma poi fa cenno con la mano perché spari la proposta.
Rick sorride, prende il foglietto che contiene la sua lista dal portafogli e glielo porge, indicando con il dito il numero desiderato.
-E non dobbiamo nemmeno perdere tempo. La posso fare mentre andiamo al distretto!-
Lei storce le labbra per nascondere un sorriso. Il suo essere bambino l’ha aiutata per anni a risalire dal tunnel in cui si era rifugiata e forse, questo suo innato ottimismo e modo di fare, avrebbe aiutato entrambi a superare questa prova terribile, così decide di stare al gioco.
-Seriamente Castle!? Guidare la macchina di Beckett?-
Lui sorride sornione, ma quando lei gli prende il portafogli dalle mani, conserva la lista e glielo restituisce con sufficienza passando dal lato del guidatore, il sorriso sparisce.
-Davvero non vuoi farmi guidare? Potrei davvero morire prima di domenica e tu hai il coraggio di non esaudire un mio desiderio?-
Lei apre lo sportello e lo guarda seria prima di salire in macchina.
-Mi hai chiesto di essere ferrea e dura come sempre e soprattutto lucida anche per te, impedendoti di fare stupidaggini, quindi…-
Conclude sollevando le spalle.
-… sali Castle e non farmi perdere altro tempo!-
Lui sbuffa mettendo su quel broncio che lei adora, sale in macchina, mette la cintura e si posiziona a braccia conserte, senza rivolgerle la parola o lo sguardo.
Kate mette in moto e gli dà un bacio sulla guancia.
-Non pensare di addolcirmi con un bacetto da niente, detective!-
Risponde lui ancora più imbronciato, lei sorride e gli accarezza la guancia.
-Non volevo addolcirti, volevo ringraziarti.-
Lui si gira a guardarla corrucciando la fronte.
-Quando hai ripreso conoscenza volevo baciarti, ma tu ha girato la testa e me lo hai impedito. Li per li non ho capito…-
Lui distoglie lo sguardo guardando fuori dal parabrezza.
-…avevi il sospetto del veleno e non sapendo cosa fosse esattamente hai pensato a me.-
Lui solleva le spalle, mette la mano sulla sua e continua a non guardarla.
-Era meglio non rischiare…-
Lei annuisce, ingrana la marcia, ma si blocca un paio di secondi guardandosi intorno.
Sente ancora quella strana sensazione di essere osservata.
Riapre lo sportello e, lentamente, scende dall’auto. Si guarda intorno concentrata ed istintivamente porta la mano sulla pistola, continuando a girare su se stessa.
Castle scende dall’auto senza toglierle gli occhi di dosso.
-E’ qui!?-
Sussurra spostando anche lui lo sguardo intorno e lei scuote la testa, sempre concetrata sulla gente che le passa accanto.
-Non lo so… ho avuto come la sensazione…-
Sospira dopo aver guardato a lungo un uomo su un’auto che si allontana dal parcheggio e si gira appoggiando le braccia sul tetto dell’auto.
-Hai di nuovo avuto la sensazione di essere osservata?-
Lei annuisce e si guarda intorno un’ultima volta.
-E’ probabile che sia qui davvero…-
Le dice guardandola dritto negli occhi.
-E potrebbe essere chiunque Castle… anche se fosse come facciamo a capirlo!?-
Rick risale in macchina e si strofina le mani sul viso.
-Torniamo al distretto Kate, vediamo di farla finita prima possibile, non credo che reggerò a lungo con la poca razionalità che mi resta!-
 
 
Osservò gli stop colorarsi di rosso al cancello d’uscita del parcheggio, la freccia lampeggiare sulla destra e infine l’auto svoltare e immettersi sulla strada, prosegire per la rotonda, tornando indietro e prendere la strada che li avrebbe portati al distretto.
Aiutò il vecchietto che aveva accompagnato fuori dall’ospedale, a scendere dalla sedia a rotelle e salire in auto. L’uomo lo ringraziò con un cenno della mano e un sorriso di gratitudine, mentre una donna più giovane, probabilmente la figlia, gli strinse la mano calorosamente ringraziandolo a sua volta.

Lo scrittore era arrivato verso mezzogiorno, lui era già lì davanti alla porta ad aspettare. Sapeva che con la lettura del suo capitolo si sarebbero precipitati in ospedale per avere la certezza di quello che avevano letto, ma non si aspettava che il veleno fosse già entrato in circolo. Il modo in cui lo avevano messo sulla barella, completamente incosciente, lo aveva spiazzato un attimo. Dalla tabella del Professore, quel malore fortissimo si sarebbe dovuto presentare solo diverse ore dopo.
La sua divisa da infermiere gli dava la possibilità di andare avanti ed indietro per il corridoio del pronto soccorso senza essere notato, anche se lei per un paio di volte aveva sollevato la testa, allontanandola dai suoi pensieri, per guardarsi intorno circospetta, come se avesse sentito ancora la sua presenza.
Era circondata dai due colleghi e dalla dottoressa sua amica, stavano in silenzio ad aspettare notizie e anche lui aveva cominciato ad innervosirsi.
Se il Professore si fosse sbagliato?
Se davvero i suoi esperimenti sui topini non fossero stati appropriati per un essere umano?
Se quell’unica goccia di liquido azzurro brillante lo avesse ucciso subito?
Scosse la testa stringendo i pugni non accettando la cosa.
Non poteva e non voleva pensarci, doveva svolgersi tutto come lui lo aveva pensato… quella parte era già scritta e non intendeva cambiarla. Lo scrittore non poteva morire adesso.
-Devo essere accanto a te a raccogliere il tuo ultimo respiro, quando sarà il momento… non puoi farmi uno scherzo del genere…-
Aveva sibilato in un sussurro come se lo avesse davanti e potesse picchiarlo ancora come poche ore prima.
Doveva soffrire, sentire il dolore mangiargli le viscere, doveva pensare a quello che era stata la sua inutile vita, doveva pensare ai suoi errori, alle sue colpe e avere tutto il tempo di disperarsi per quello che non sarebbe più stato.
Era riuscito ad entrare all’interno delle stanze di primo soccorso e, sbirciando in ognuna, si era soffermato fuori da una di esse.
La porta era socchiusa, due infermiere si muovevano come trottole velocemente, con aghi e siringhe.
Un medico stava posizionando una flebo.
Il monitor cadenzava il battito cardiaco che sembrava molto veloce, per quello che lui poteva capire. Una delle infermiere si era avvicinata alla porta per uscire, lui si era nascosto dentro la stanza adiacente e l’aveva vista dirigersi verso un corridoio interno con una fialetta piena di sangue nelle mani.
Era ancora vivo e quella fialetta avrebbe svelato loro la verità entro qualche minuto.
Si era accosato ancora vicino alla porta e sentito il monitor emettere dei bip molto più lenti. Erano riusciti a stabilizzarlo… stava sicuramente meglio.
Solo allora aveva sorriso soddisfatto del suo lavoro.
Il Professore non si era sbagliato, era troppo bravo e soprattutto aveva troppa paura di lui per non obbedire al suo volere.
Lo scrittore si stava riprendendo, la sua trama si stava svolgendo come sognata… adesso si cominciava ad andare verso l’epilogo!
Si era avviato di nuovo nel corridoio e lei era lì, a pochi passi da lui, teneva i gomiti sulle ginocchia e si reggeva la testa con le mani.
I lunghi capelli morbidi le coprivano il viso…
Si era incamminato con calma verso l’uscita, passandole praticamente davanti, deluso per non averle potuto vedere gli occhi, deluso per non aver potuto ammirare da vicino quella disperazione che la stava assalendo lentamente.
-Sei nuovo?-
Una voce lo aveva costretto a fermarsi e, con un sorriso di circostanza, aveva annuito all’infermiera che si era ritrovato davanti all’improvviso.
-Fammi un favore. Questo signore è stato dimesso, la figlia sta aspettando con l’auto qui fuori, ma io sono stata richiamata al reparto d’urgenza, puoi accompagnarlo tu?-
-Naturalmente!-
Aveva risposto con il sorriso sulle labbra.

Riportò la carrozzina nello spiazzo interno dell’ospedale, si diresse verso l’ascensore di servizio e dopo esserci salito, lo bloccò tra il piano terra e il primo piano. Smosse uno dei pannelli quadrati che rivestivano il tetto e tastando con la mano alla cieca, cercò il suo zaino.
Si tolse velocemente la parrucca bionda, le lentine verdi e il camice. Indossò una giacca a vento marrone, una parrucca castana riccia e un paio di baffi sulla stessa tonalità. Mise gli occhiali da sole, sistemò tutto nel suo prezioso zaino e sbloccò l’ascensore.
Quando le porte si sprirono si guardò intorno, era già al parcheggio sotterraneo dell’ospedale, riservato al personale.
Lui però l’auto l’aveva lasciata fuori, a qualche metro di distanza.
Posò lo zaino nel bagagliaio e salì in macchina.
Lorologio digitale segnava le 13.32…
Annuì a se stesso… tutto stava andando come da programma.
Il prossimo passo era lanciare la sfida, era il momento di presentarsi… era il momento di sentire la sua voce…



Angolo di Rebecca:

Buonasera :)
Capitoletto troppo lungo, lo capisco, ma non sapevo dove tagliarlo :(
Le condizioni di Rick sono critiche ed era meglio mettere in chiaro tutto e subito.
Kate si è sentita persa per un momento, ma si è ripresa (sembra!)
Sarà in grado di reggere la situazione? E Riccardone nostro?
Non ho resistito! Lo sa anche lui che sono due tontoloni...
L'amico killer è sempre più simpatico... si era arrabbiato con Rick perchè stava per morire troppo presto!


Gracie a Vale per la consulenza medica, mi ha permesso di non scrivere troppe stupidaggini :3

Va bene, ho capito... vedo se trovo un bunker... Ivoooooooooooooo!!!

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Capitolo 19
*** La Nota Stonata ***






   
Capitolo 19
 
 
 
Castle guarda fuori dal finestrino, la fronte appoggiata al vetro, la gamba destra sollevata quasi sul bracciolo dello sportello e il braccio poggiato penzoloni sul ginocchio.
E’ sempre stato un uomo curioso, costruisce storie infinite solo attraverso uno sguardo di sfuggita ad un passante qualsiasi, ma al momento i suoi occhi sono fissi su un punto focale nel vuoto e le uniche immagini che gli passano davanti agli occhi,  sono dentro la sua mente e costruiscono una storia soltanto su di lui.
Ripensa a tre giovani donne composte su un letto, uccise nella propria casa, nel posto in cui avrebbero dovuto sentirsi più al sicuro… e poi c’è quel viso di donna, con un’espressione infinitamente addolorata che sfocia in una lacrima color sangue, che accompagna le parole dell’assassino. Ha usato quelle ragazze soltanto come messaggere, le ha uccise godendo della loro paura, solo per arrivare a Kate e a lui… lui che adesso è la vittima.
Un caso, ecco cos’è lui al momento e ha trovato il coraggio di dirlo in faccia a Kate quando l’ha vista vacillare, arrendersi dentro quella che sente una sua colpa personale, ma adesso, a mente fredda, si rende conto che il suo non era stato affatto coraggio. E’ riuscito a prendere Kate di petto guidato dalla rabbia, una rabbia con cui vuole assolutamente tenersi attaccato alla vita, a quella vita che, come scrittore, gli ha sempre sorriso, ma che nell’ultimo periodo, come uomo, gli ha donato finalmente la felicità. Vuole ancora aprire gli occhi la mattina e trovarsi davanti il viso rilassato della sua donna, guardarla dormire, guardarla ridere, guardarla vivere e… vivere insieme a lei… e quell’assassino, chiunque sia veramente, si sta prendendo la briga di distruggere tutto per un suo capriccio folle.
Pensando a quello che sarebbe stato il suo omicidio, sente la nausea salirgli alla gola con una gran voglia di vomitare.
Sospira senza rendersene conto, cercando di rimandare indietro i succhi gastrici che gli stanno bruciando lo stomaco, attirando l’attenzione di Kate, concentrata invece sulla teoria che Jerry Tyson potesse essere ancora vivo ed avesse architettato un piano diabolico per uccidere Castle.
Il punto per lei è proprio questo: Tyson voleva Castle, voleva farlo soffrire e probabilmente lo voleva morto, ma si sarebbe davvero soffermato su di lei? Avrebbe davvero scritto frasi su frasi parlando di lei, per poi colpire lui in un modo così terribile?
Un altro sospiro di Rick la riporta alla realtà, lo vede deglutire un paio di volte e respirare profondamente chiudendo gli occhi.
-Ti senti di nuovo male?-
Lui sussulta mettendo giù la gamba e sedendosi ritto sul sedile, come se avesse dimenticato completamente di essere in macchina e soprattutto che Kate fosse lì con lui.
Scuote la testa e riporta lo sguardo fuori dal finestrino, la nausea non accenna ad andarsene, ma non intende dargliela vinta.
-No, sto bene… stavo solo pensando al killer.-
Lei riporta lo sguardo sulla strada; in meno di tre isolati sarebbero stati al distretto.
-Anch’io stavo pensando al killer e alla tua idea su Tyson.-
Parcheggia davanti al portone e scendono insieme, guardandosi istintivamente intorno. Senza una parola entrano al distretto e salgono in ascensore.
-Cosa pensavi esattamente?-
Le chiede Rick pigiando il pulsante del quarto piano.
-Che non mi convince molto.-
Lui annuisce guardando i numeri luminosi che conteggiano i piani.
-Perché pensi che sia morto?-
-Non lo so se è morto o no, il modo in cui hai espresso quello che è successo quella sera sul ponte non fa una piega, quindi penso che potrebbe anche essere vivo, però non sono sicura che sia lui adesso a volerci morti.-
Lui annuisce per la seconda volta senza rispondere, l’ascensore arriva a destinazione ed escono in silenzio, fianco a fianco, per ritrovarsi nel caos frenetico di un ufficio che non riconoscono e si bloccano di colpo.
La stanza è piena di poliziotti in divisa e di detective in borghese, tutti indaffarati al telefono, alle scrivanie o davanti ad una sfilza di lavagne, che Beckett non ricorda di avere mai visto.
Castle si guarda intorno sorpreso e quando chiede tacitamente a Kate cosa fosse tutto quel caos, lei solleva le spalle più stupita di lui.
Che ci fai qui Castle?-
Chiede Ryan, che insieme ad Esposito sta rientrando dall’archivio con uno scatolone tra le mani.
-Per il momento sto bene e il dottor Travis ha deciso di non ricoverarmi.-
I due amici lo guardano scettici ed Espo si rivolge a Beckett.
-Dobbiamo credergli?-
Chiede alzando un sopracciglio e lei scuote la testa, lasciando cadere il discorso.
-Ma cos’è tutto questo fermento?!-
Esposito si avvicina a Castle e gli mette una mano sulla spalla.
-Disposizioni del capitano. Nel giro di un’ora ha messo insieme diverse squadre con diversi compiti. Stiamo lavorando tutti per te, amico.-
Kate guarda Rick che sembra una statua, a quella frase non è più riuscito a muoversi. L’ultima cosa che si aspettava era di vedere l’intero dodicesimo in fermento per lui.
-Finalmente sei arrivata!-
La voce della Gates li fa voltare e la donna, con gli occhiali e un mucchio di fogli tra le mani, va loro incontro.
-Lei che diavolo ci fa qui, signor Castle?!-
Ma lui evade la domanda sollevando le spalle.
-Capitano… ma… tutto questo?-
Le chiede continuando a guardarsi intorno spaesato.
-Che significa ‘tutto questo’? Stiamo lavorando!-
-Ma ci sono tutti i detective del dodicesimo, anche quelli fuori servizio… Calls e Drayer erano in ferie e…-
La Gates lo ferma alzando la mano e guardando anche la sua detective.
-E’ vero ci sono tutti, i poliziotti sono come i medici, sempre reperibili, anche quando non sono di turno o hanno le ferie. Siamo in piena emergenza, li ho chiamati, ho spiegato loro la situazione e sono tutti rientrati!-
Beckett abbozza un sorriso, mentre Castle continua ad osservare tutti meravigliato.
-Io… io non capisco…-
-Non c’è niente da capire, uno dei nostri sta rischiando la vita e noi siamo qui pronti ad azzannare il cattivo!-
Ruota su se stessa e fa segno con la mano di seguirla, lasciando entrambi a bocca aperta. Si ferma davanti alle lavagne posizionate in fila, accanto a quella che fino a poche ore prima era unica e sola: quella di Beckett.
Per un attimo nella stanza scende il silenzio, tutti i poliziotti si fermano e non possono fare a meno di posare lo sguardo sullo scrittore. Castle li guarda tutti, ancora senza parole.
-Lowell… ma… non eri in permesso perché sta per nascere tuo figlio?-
Chiede sempre più sorpreso, il giovane si avvicina e solleva le spalle.
-Pare che il pargolo se la stia prendendo comoda e poi… beh… lui nascerà anche senza di me ed è al sicuro con la sua mamma. Il mio posto adesso è qui.-
Castle ha gli occhi lucidi e sospira.
-Io… non so che dire!-
-Non c’è niente da dire Castle, solo che abbiamo un assassino da prendere.-
-Ben detto Lowell, perciò tornate a lavoro.-
Ordina la Gates, facendo cenno alla squadra di Beckett di avvicinarsi.
-Visto che comunque non siamo sicuri che sia Tyson, ho diviso le squadre. Un paio si stanno occupando della lista di quelli che avete arrestato negi ultimi anni con l’aiuto di Castle e che adesso sono fuori di prigione. Stiamo controllando indirizzo, lavoro, mogli, fidanzate ecc…-
Parla gesticolando e additando la squadra a lavoro.
-Noi ci stiamo occupando di Tyson.-
Con la mano fa segno verso Ryan che annuisce facendosi avanti.
-Esatto. Stiamo tracciando un percorso, partendo dai mesi in cui ti avrebbe tenuto d’occhio per incastrarti per omicidio, per poter risalire a qualche traccia che porti a lui dopo che è caduto nel fiume.-
Esposito si avvicina ad una delle lavagne, mostrando al centro la foto di Rick accanto a quella di Tyson e tutte le prove che sono state raccolte durante l’arresto di Castle.
-Abbiamo una decina di agenti che in questo momento stanno interrogando i portuali e gli operai che lavorano al ponte. Lì intorno ci sono anche dei caseggiati e dei capannoni in cui potrebbe essersi nascosto, aspettando di fare calmare le acque e stiamo controllando anche quelli, con la speranza che qualcuno possa aver visto un tipo strano e solitario in quei giorni.-
Castle e Beckett annuiscono, mentre la Gates si avvicina ad Esposito.
-Certo… sono passati un paio di mesi, sarà difficile rintracciarlo. Ora dobbiamo capire come si è procurato la tossina.-
-La dottoressa Dobbson ha detto che chi l’ha sintetizzata deve essere un chimico di professione e sul manoscritto lui scrive che il Professore ha detto che ne bastava soltanto una goccia.-
Dice Kate prendendo il pennarello e scrivendo sulla lavagna ‘Il Professore’ con un punto interrogativo accanto.
-L’iniziale maiuscola può non voler significare niente, nel senso che lo chiama così solo perché è un personaggio del suo racconto…-
-…ma può voler dire anche che nella vita reale è il suo soprannome, legato al lavoro che fa…-
Aggiunge Rick guardando fisso la foto di Tyson accanto alla sua faccia e Kate solleva il dito sulla parola appena scritta.
-…quindi potrebbe anche non essere un chimico impiegato in qualche laboratorio, ma un insegnante!-
Castle annuisce guardandola e Ryan ed Esposito osservano sott’occhio la Gates che scuote la testa ai loro ragionamenti.
-Se quei due non la piantano, va a finire che il capitano li sgama.-
Sussurra Ryan ad Esposito che solleva le spalle, mentre è proprio Rick che prende la parola subito dopo Kate.
-…secondo me dovremmo concentrarci su qualcuno che ha avuto problemi con la legge, magari per la produzione di sostanze stupefacenti in proprio o per aver spacciato qualcuna di queste in una scuola o all’università…-
-…e che per questo è stato espulso dall’albo… uno così potrebbe essere una buona preda per chi può pagare un lavoro in nero ben fatto.-
Esposito guarda Ryan sospirando, pensando che quei due sono ormai un caso perso, mentre il capitano Gates annuisce.
-Bene… Ryan occupati di questa ricerca.-
-Si signore.-
Ryan si siede al computer e comincia a digitare velocemente, mentre Rick si sofferma sulla lavagna accanto, su cui sono stati sistemati degli ingrandimenti di alcune pagine dei manoscritti già letti.
-Signor Castle, se la sente di rileggere quelle pagine? Per quanto possa farlo io, credo che lei sia l’unico a riuscire a leggere tra le righe i suoi messaggi.-
Rick sposta lo sguardo dai fogli allineati sulla lavagna, alle foto delle vittime appese nell’altra, alle quali si è aggiunta la foto di un uomo sulla cinquantina, di nazionalità portoricana e un bel sorriso simpatico stampato sul viso.
Digrigna la mascella e sospira.
-Si, devo leggerli...-
-D’accordo, allora si metta a lavoro.-
Castle si siede sulla scrivania puntando gli occhi su quelle pagine, il capitano fa un cenno con la testa ai ragazzi perchè si spostino verso la scrivania alla quale lavora Ryan, mentre Esposito si allontana per rispondere al telefono.
-Beckett, perché non è rimasto in opsedale? Credi davvero che sia una buona idea nelle sue condizioni?-
Lei sospira guardando Rick di spalle, immobile, mentre osserva la lavagna.
-Mi creda capitano, non sarei riuscita a fermarlo e poi, penso che tenere la testa occupata lo aiuterà a non buttasi giù.-
-Se lo dici tu…-
Le risponde lei non molto convinta.
-Ehi, erano i ragazzi al porto. Nessuno ricorda niente di quello che è accaduto quel giorno. Qualche operaio ricorda la polizia fluviale che dragava il fiume, ma niente di più, però stanno ancora setacciando gli stabili.-
Dice Esposito rimettendosi il telefono in tasca, mentre il capitano Gates solleva la mano stizzita.
-Non lo troveremo mai, se davvero è vivo ed è fuggito, a quest’ora avrà cambiato identità, qualunque traccia può aver lasciato non…-
Si ferma vedendo Beckett scuotere la testa, sempre con gli occhi fissi su Rick.
-Che c’è Beckett? Perché quell’espressione?-
-A proposito di Tyson signore… io non credo che Castle abbia ragione stavolta.-
Ryan lascia la sua postazione al computer e si unisce al gruppetto.
-Stai dicendo che non dobbiamo cercare Tyson?-
L’irlandese viene interrotto dal collega.
-Per quanto impossibile, seguendo le tracce anche dei manoscritti, perfino noi ci siamo convinti che il profilo del sospettato porta a lui.-
Lei continua a scuotere la testa.
-Eppure c’è una nota stonata che non riesco ancora a decifrare, io sono sicura che non è Tyson!-
Il capitano Gates si porta la mano al fianco.
-Ok detective, per quanto strampalata come idea, devo ammettere che quadra tutto… siamo in alto mare, non abbiamo nessun appiglio e l’unico che potremmo avere, tu lo escludi, devi darmi un motivo ben preciso!-
-Il motivo è che ha ragione lei… non è Tyson!-
La voce di Castle arriva alle loro spalle come un sussurro, come se stesse rispondendo più a se stesso che ai colleghi, i quali si guardano perplessi e si avvicinano a lui, che non ha spostato lo sguardo dai fogli un solo istante.
-Ma Castle! Stamattina ci stavi per rimettere le penne mentre cercavi di spiegarci perché era lui e adesso!?-
-Lo so Espo, ma ero spaventato, non riuscivo a connettere lucidamente e l’unica persona che mi è venuta in mente, preso dal panico, è stato lui… non fraintendetemi, io sono fermamente convinto che Tyson sia vivo, solo che non è lui che ci vuole morti adesso.-
Finisce la frase guardandoli uno per uno in viso e soffermandosi su Kate, che invece sta leggendo freneticamente diverse frasi sugli ingrandimenti appesi alla lavagna.
Senza accorgersene si avvicina alle pagine scritte, passa gli occhi da una frase all’altra e poi si volta a guardare Castle, che annuisce.
Ha capito anche lei.
Ryan fa la stessa cosa di Beckett, si avvicina a quelle pagine e comincia ad additarle per evidenziare pezzi di periodo.
-Andiamo Castle! ‘Uccidere faceva parte di lui. Creare l’omicidio nella propria mente, vederlo dapprima con gli occhi della fantasia e ricrearlo poi nella realtà, gli dava la possibilità di continuare a vivere. Non era l’atto in sé che gli dava soddisfazione, ma pensarlo, progettarlo, scriverlo… e alla fine dargli vita… questo lo esaltava, lo eccitava e lo rendeva vivo!’ Esattamente quello per cui vive Tyson e per cui si è accanito contro di te.-
Esposito dà man forte al collega.
-E poi è egocentrico, orgoglioso e pieno di sé… con questi manoscritti si sta pavoneggiando alle nostre spalle… il profilo è il suo!-
Kate e Rick continuano a guardarsi, come se il caos in quella stanza non li toccasse, tranne l’ultima frase detta da Esposito. Kate schiocca le dita all’improvviso, siede accanto a Castle sulla scrivania, ed entrambi fissano gli occhi di nuovo sulle pagine ingrandite.
-Ed ecco la nota stonata…-
Comincia lei, mentre Rick annuisce quasi sorridendo.
-…è sempre stata lì davanti ai nostri occhi, l’abbiamo sempre avuta sotto il naso…-
Anche Kate mostra quasi un sorriso e quel lampo negli occhi che la colpisce quando nel cervello le si accende la lampadina.
-…ogni parola, ogni frase, l’intera idea del libro ci portano lontano da Tyson…-
Il capitano Gates rotea gli occhi e sbuffa, senza però intervenire, cosa che invece fa Esposito.
-Ma si può sapere di cosa state parlando?-
Si girano contemporaneamente a guardarlo, come se si fossero resi conto solo al momento di essere nella stessa stanza con loro.
-Basta leggere tra le righe, ragazzi!-
Esclama Castle come se fosse la cosa più ovvia al mondo e loro sospirano.
-Tutto conduce a Tyson, il modo in cui si diverte ad uccidere, a godere della paura delle sue vittime, a tenerci sulla corda. Il fatto che ci ha spiato e osservato per entrare nelle nostre vite, la sua bravura nell’elettronica e il resto, ma c’è una sola cosa che Tyson non farebbe mai… ed è lì davanti ai nostri occhi.-
Esposito, Ryan ed il capitano guardano la lavagna e corrucciano la fronte.
-L’unica cosa che non vuole Gerry Tyson è la notorietà…-
Kate annuisce.
-…se è vero che ha messo in scena la sua morte, lo ha fatto solo per potere tornare nel buio…-
-…tutti lo credono morto e lui cambia faccia ed identità…-
-…e torna ad uccidere come ha sempre fatto, senza che noi possiamo prenderlo perché, pur sapendo che si tratta di lui, non abbiamo idea della sua nuova faccia o quale sia la sua nuova identità…-
Annuiscono insieme e continuano con il loro ragionamento univoco.
-…Tyson non avrebbe mai scritto quei capitoli rischiando di lasciare tracce dietro di sé…-
Kate stringe le labbra.
-…non avrebbe mai madato un capitolo alla CNN per mettersi in mostra…-
Rick annuisce ancora.
-…chi ha fatto questo è egocentrico, vuole essere la centro dell’attenzione, vuole la parte da protagonista, non per se stesso come Tyson, ma  agli occhi del mondo…-
Restano incollati con lo sguardo, con quel sorrisetto compiaciuto sul viso e la Gates sbuffa sonoramente.
-Lo sapete vero, che siete insopportabili?!-
Si girano a guardarla a bocca aperta senza capire la sua frase e lei lascia andare le braccia di peso lungo i fianchi.
-Esiste una traduzione per quelli che non sono bravi con la telepatia!?-
Dice ruotando il dito indice vicino alla tempia per dare corpo alla sua affermazione.
Ryan ed Esposito cercano di reprimere una risata, mentre Castle e Beckett continuano a guardarla straniti.
-Non capite proprio eh? Piantatela di finirvi le frasi a vicenda e cercate di far capire anche a noi? Se non è Tyson di grazia, chi diavolo è allora?-
Castle si alza e si avvicina alla lavagna, legge attentamente per trovare le parti che gl’interessano e poi le tasta con un dito.
-‘Lei lo ha tradito.’ Questa frase indica che lui ha scelto Beckett per un motivo ben preciso, aiutarlo nella sua follia, ma lei, dandogli la caccia e fermandolo, lo ha tradito… questo non è Tyson, perché lui l’ho fermato io. Io ho capito che era lui il serial killer.-
La Gates lo raggiunge additando un’altra frase messa in evidenza.
-Appunto! Qui dice: ‘tu mi hai trovato, ma lui mi ha fermato!’ Nel senso che è stato lei, Castle, a permettere a Beckett di arrestarlo.-
-Ma non è stato Tyson a scriverlo, mi creda capitano. Andiamo ragazzi, ci siamo già trovati davanti ad una scena simile…-
Dice Castle mostrando le pagine scritte, rivolgendosi a Ryan ed Esposito, che però lo guardano senza capire e lui continua additando i fogli.
-Una stanza piena di pagine, manoscritti interi che descrivevano i suoi omicidi, solo che prima li commetteva e dopo si autocelebrava, mentre adesso ha scritto prima la sua trama per svolgerla così come la vuole.-
I ragazzi si guardano a bocca aperta, la teoria di Castle comincia a delinearsi anche nella loro mente.
-Aspetta un momento… quello che stai pensando è ancora più assurdo del credere Tyson ancora vivo.-
Sbotta Esposito mentre Ryan annuisce e la Gates perde la pazienza.
-Non so di cosa state parlando, ma che mi dice di quest’altra frase? ‘Non avrebbe dovuto sbagliare, avrebbe dovuto mirare alla testa!’ L’ha detto lei stesso che ha sparato a Tyson soltanto al torace.-
Lui scuote la testa.
-Ho sparato ad un sospettato anche un’altra volta!-
Esclama Rick con gli occhi fissi in quelli di Kate che annuisce, ricordando mentalmente la scena.
-Io mi sono perfino congratulata con te per il bel colpo, lo hai preso alla mano, facendogli cadere la pistola…-
-…ma io ti ho risposto che avevo mirato alla testa…-
Lei annuisce e corruccia la fronte.
-…e lui deve averti sentito!-
Si voltano entrambi verso la lavagna soffermandosi ancora un paio di secondi a studiare le frasi che gl’interessano, ed è Castle a parlare per primo.
-Non ha mai scritto i nostri nomi, non parla in nessuna pagina di Beckett, né tanto meno di me…-
Continua a scorrere le frasi con lo sguardo, costringendo anche i colleghi a farlo, senza sapere però cosa lui stia effettivamente leggendo.
-Lui parla della detective e dello scrittore. Il libro non parla di me e Beckett…-
Kate sospira pesantemente prima di concludere il pensiero di Rick.
-…parla di Nikki…-
Chiude gli occhi deglutendo.
-…di Nikki Heat!-
 

 
La casa era piccola e spoglia.
Non c’era uno studio ben fornito, soltanto un soggiorno ammobiliato in maniera spartana.
Il divano a tre posti, a ridosso del muro sotto l’unica finestra, sarebbe stato anche il suo letto.
La scrivania con un unico cassetto centrale, era piccola, non gli avrebbe consentito di sistemare tutti gli oggetti che aveva portato con sè, ma andava bene per il portatile e la stampante.
Attiguo al soggiorno c’era il  cucinino, con accanto una piccola penisola per due che serviva da tavolo da pranzo e altrettanti sgabelli.
La nuava sistemazione non era granchè, la casa di Grayson era spaziosa e funzionale, ma quel monovano in cui si era stabilito solo due ore prima, serviva esattamente al suo scopo. Non lontano dalla città, gli avrebbe dato modo di muoversi anche a piedi, tanto da poter tenere sottocontrollo la sua trama.
Entrò nel piccolo bagno, si posizionò davanti allo specchio e guardò il suo riflesso per qualche secondo.
La faccia che aveva di fronte sorrideva compiaciuta e lui fece altrettanto.
-Ci siamo.-
Gli disse prendendo dal beauty la crema da barba ed il pennello.
Quella mattina non aveva avuto modo di radersi, ma adesso doveva  portare alla luce il suo viso.
Si guardò muovendo su e giù la testa.
Era un bell’uomo, con gli occhi chiari e profondi e a volte trovava che nascondersi nei suoi travestimenti fosse proprio un peccato, ma era necessario. Il volto degli altri gli dava la possibilità di organizzare e vivere la sua ‘arte’, ma adesso era il momento di mettere da parte gli altri e tornare se stesso… per lei.
Basta travestimenti, basta sotterfugi…
Si massaggiò il viso con il dopobarba, sorrise a se stesso e tornò nel soggiorno.
Si sedette alla scrivania, accanto al portatile in stan by aveva sistemato il ritaglio di giornale che ritraeva lei.
La guardò per alcuni minuti, accarezzando i contorni della foto con le dita.
La scatola di legno era aperta e la boccettina incastrata nel cuscinetto protettivo faceva da contorno alla sua adrenalina.
Da quando lo aveva contagiato con la tossina, sentiva fluire il sangue nelle vene molto più velocemente, come se la vita si stesse impossessando di lui, nello stesso modo in cui la morte si stava prendendo gioco dello scrittore.
Li aveva seguiti ancora dopo che erano andati via dall’ospedale, li aveva visti entrare in silenzio al distretto… avrebbe dato qualunque cosa per entrare e partecipare alle loro ‘indagini’, sarebbe stato facile diventare un qualunque agente in servizio alla ricerca del killer, ma questo lo avrebbe portato lontano dal suo obbiettivo.
Così era rimasto nel suo angolino a guardare, scrutare, osservare.
Aveva guardato in alto le finestre che davano nella stanza delle teorie e, chiudendo gli occhi, aveva immaginato la detective e lo scrittore dare vita ai suoi manoscritti per cercare di capire chi li stava sfidando.
Poggiò con delicatezza il ritaglio di giornale, al cui centro il volto perfetto della detective faceva capolino nella sua divisa di poliziotto.
Prese il cellulare e lo accarezzò allo stesso modo della foto.
Passò le dita sul riquadro, sui tasti e sorrise.
Seguirla, controllarla, farle sentire la sua presenza era stato eccitante, ma il pensiero che a breve le sarebbe stato accanto lo mandava in estasi, la scarica di adrenalina che sentiva nelle vene era inspiegabile.
Erano le 14.15, probabilmente in quel preciso istante stavano facendo lavorare il cervello, rileggendo le sue pagine, le sue frasi, i suoi messaggi.
Era curioso di sapere… lei lo avrebbe deluso?
Era certo di no.
Lo aveva sentito, aveva percepito la sua persona per tutto il tempo e se si fosse soffermata a pensare, pressata dalla situazione, avrebbe capito… e lui non vedeva l’ora.
Non vedeva l’ora di battersi con lei alla luce del sole.
Allungò la mano e accarezzando la boccettina i suoi occhi scintillarono.
Chiuse il coperchio, ci passò sopra la mano e lo sistemò dentro il cassetto della nuova scrivania.
Si guardò intorno. Nessun pendolo scandiva il suo tempo, ma il paradosso era che il pendolo adesso era lui.
Lui scandiva il tempo dello scrittore.
Lui scandiva il tempo della detective.
Lui scandiva le loro vite...


Angolo di Rebecca:

Ma quanto sono carucci quando fanno lavorare i cervello in coppia *-*
Altra teoriaaaaaaa... sarà quella giusta? Abbiamo capito di chi stanno parlando?! :p
La Gates ama Castle, ormai è assodato... però odia sia lui che Beckett perchè sono telepatici e lei non ci arriva! :3

Vale - Annalisa - Katia... non dico altro, il resto lo riservo per la prossima volta <3
Baci!

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Capitolo 20
*** Dedicato a LEI ***




-Non ha mai scritto i nostri nomi, non parla in nessuna pagina di Beckett, né tanto meno di me…-
-Lui parla della detective e dello scrittore. Il libro non parla di me e Beckett…-
-…parla di Nikki… di Nikki Heat!-
 

 







   

Capitolo 20
 


-Aspettate un attimo! Nikki Heat!?-
La Gates si avvicina loro gesticolando, visibilmente confusa.
-Nikki Heat è un personaggio inventato da lei signor Castle, che significa?-
-Che il nostro killer è lo stesso che tre anni fa ha preso di mira Beckett, identificandola con il personaggio a lei ispirato. Nella sua follia, la protagonista di un romanzo, di una storia irreale, ha preso vita nella realtà attraverso Beckett…-
Spiega Castle seguito a ruota da Kate, che indica alcune frasi sugli ingrandimenti appesi alla lavagna.
-…lei non ha capito… lei mi ha tradito… uccideva per far piacere a Nikki e quando si è reso conto che lei, cioè io, non gradiva il regalo, ha deciso che doveva morire…-
Castle annuisce, mentre Ryan ed Esposito restano ad ascoltarli a bocca aperta.
-…ma non è riuscito nel suo intento e restando in vita, Nikki Heat lo ha tradito due volte!-
Il capitano si toglie gli occhiali guardando Ryan ed Esposito.
-Voi sapete di chi stanno parlando? Perché a me, onestamente, sfugge.-
Esposito annuisce serrando la mascella.
-Dell’uomo che tre anni fa ha fatto saltare in aria la casa di Beckett… con lei dentro. Scott Dunn!-
A sentire pronunciare quel nome, Kate sente un nodo allo stomaco, ripensando alla voce di Dunn che le sussurrava ‘addio Nikki’ prima che la sua casa saltasse in aria.
Il capitano fa mente locale e schiocca le dita quando il suo cervello si apre improvvisamente.
-Ho letto quel rapporto. Ci avete lavorato con l’FBI! Però è stato arrestato, questo Scott Dunn si trova in un carcere federale.-
Ryan si posiziona davanti al computer e comincia a digitare qualcosa, mentre Castle scuote la testa tenendo lo sguardo fisso sulle lavagne.
-E’ lui… non ho dubbi, conoscendolo, non mi stupirei se fosse evaso!-
-Da un carcere federale di massima sicurezza?-
Gli chiede la Gates interrompendolo bruscamente, girandosi poi verso Ryan che ha attirato la loro attenzione schiarendosi la voce.
-Io direi che è un po’ più complicato…-
Lascia la frase in sospeso aspettando che i colleghi si avvicinino, mostrando loro la scheda penitenziaria di Scott Dunn.
Kate spalanca gli occhi incredula.
-Morto? Scott Dunn sarebbe morto?-
Chiede alzando la voce, attirando l’attenzione di tutti i colleghi presenti nella stanza.
-Non sarebbe Beckett, è… morto!-
Afferma il capitano, additando sul monitor la casella in cui compare la scritta DECEDUTO.
Ryan ingrandisce la schermata.
-Secondo quanto dice qui, Dunn è morto in ottobre… quattro mesi fa.-
-Un altro buco nell’acqua!-
Esclama il capitano sollevando la mano con stizza, ma Kate continua a scuotere la testa.
-Non ci credo! Ryan leggiamo la scheda completa, voglio i dettagli sulla sua morte, voglio parlare con il direttore della prigione e anche con il medico legale che si è occupato della sua autopsia…-
Ma il collega la blocca, prima che possa finire.
-E’ un carcere federale Beckett, possiamo accedere solo alle schede conoscitive. Per altre informazioni occorrono i permessi e credo anche un mandato.-
Kate serra le labbra.
-Allora richiediamolo!-
-E su quali basi Beckett? Sulle vostre sensazioni?-
Chiede la Gates sarcastica, senza accorgersi che nel caos creatosi negli ultimi minuti, l’unico in silenzio e immobile davanti alla lavagna, con gli occhi fissi sui cadaveri delle tre vittime del killer, è Castle.
In un attimo la sua voce calma e sicura li raggiunge come da un altro mondo.
-Ha sfidato Nikki dal primo omicidio anche stavolta. Ha ucciso persone innocenti per mandarle messaggi. Invece di lettere incise su proiettili, ha usato le scritte sui loro cadaveri e solo per punire ancora lei. Voleva che capisse, che arrivasse alla sua identità piano piano. Non avremmo mai trovato impronte, nemmeno se non avesse ripulito in modo maniacale ogni scena del crimine, perché ha le dita bruciate.-
Passa lo sguardo velocemente da un foglio all’altro e sospira.
-Stava per cadere ancora nel baratro senza speranza di risalita… si è sempre rivolto a Nikki, al dolore provato per la morte violenta della madre…-
Si gira a guardare Kate e stringe i pugni con rabbia. Improvvisamente si sente stupido per avere scritto quel maledetto libro,  raccontando somiglianze veritiere su di lei.
-Le è sempre stato vicino anche sulle scene del delitto per farle sentire la sua presenza. Ha messo alla prova la sua bravura sapendo che avrebbe capito. Per questo stavolta il racconto lo ha scritto prima, per fare in modo che tutto si svolga esattamente come esige la sua trama...-
Si volta a guardare Kate.
-…per sferrare l’attacco finale, l’ultima sfida in cui uno dei due contendenti deve morire. Il suo gioco prevedeva che qualcuno dovesse morire per forza…-
Si avvicina alla Gates e la guarda dritto negli occhi.
-Si fidi capitano. Scott Dunn non è morto e non è nemmeno dentro quella prigione. Ci ha fatti fessi già una volta. Già una volta ci ha fatto credere che il killer si fosse suicidato e perciò fuori gioco… e Beckett stava per rimetterci la vita! Sono sicuro che ha finto la sua morte per riuscire ad evadere, ed è così egocentrico e pieno di sé, che ci spiegherà presto come ha fatto.-
Le parole di Rick lasciano uno strano silenzio nella stanza. Tutti gli agenti si fermano ad osservare la squadra di Beckett, che evidentemente è giunta ad una conclusione importante, fino a che la Gates rompe il silenzio con un gran sospiro.
-Perfetto!-
Esclama gesticolando rivolta Castle.
-Perfetto per la trama di un suo libro, certo non per richiedere un mandato!-
-Si fidi di noi capitano. Si fidi di Beckett. Scott Dunn è il nostro uomo, mi ci gioco la pelle!-
Esclama senza pensare. Si ferma di colpo e digrigna la mascella quando si rende conto di quello che ha detto.
-Scusate!-
Sussurra chinando la testa, distogliendo lo sguardo dai colleghi per riportarlo sulla lavagna, mentre la Gates, inaspettatamente, gli mette la mano sulla spalla.
-Di cosa si scusa signor Castle! Io mi fido di voi, ma capisce anche lei che non posso richiedere un mandato su delle supposizioni o ponendo come causale il fatto che mi fido di voi… mi serve qualcosa di concreto.-
-Se non possiamo accedere ai file, almeno possiamo contattare il direttore del carcere.-
Suggerisce Kate.
-Lui può ragguagliarci su questa presunta morte.-
Esposito annuisce poco convinto.
-Posso provarci, ma tieni conto sempre che è un carcere federale. Se i suoi ordini sono di non collaborare o fiuta delle grane per la sua posizione all’interno della prigione, potrebbe anche rifiutarsi di riceverci, senza un mandato.-
Kate sta per ribattere, ma viene interrotta dallo squillo del suo cellulare. Guarda il display e sgrana gli occhi.
-Che ti prende? Sei sbiancata!-
Le chiede Ryan e lei mostra il telefono ai colleghi, facendo vedere il viso di Castle che illumina il display.
-Io non ti sto chiamando!-
Esclama Rick allarmato.
-Lo so!-
Risponde lei facendo segno a Ryan, che digita qualcosa sul computer e poi alza il pollice.
-Sono pronto!-
Kate preme il tastino verde accettando la chiamata in viva voce, posando il telefono sulla scrivania.
-Beckett!-
Risponde secca e professionale.
-Detective! Finalmente sento di nuovo la tua voce… mi sei mancata…-
Le ultime tre parole giungono melense all’orecchio di tutti gli agenti, che hanno smesso qualunque mansione, restando in silenzio ad ascoltare.
-Non ho resistito, dovevo sentirti. Così è più… intimo!-
Kate non risponde, aspetta che sia lui a fare la prima mossa.
-Che c’è detective? Non vuoi parlare con me? Sei arrabbiata? Nemmeno stavolta il mio gioco ti diverte?-
Lei digrigna la mascella.
-Non lo so. Sei tu che hai inventato questo gioco e forse io non  l’ho capito fino in fondo. Magari se me lo spieghi, riuscirò a trovarlo divertente quanto te… S-c-o-t-t!-
Pronuncia il suo nome lentamente, marcando ogni lettera.
Dopo un attimo di silenzio, la risata di soddisfazione che rimbomba nell’aria la fa deglutire, mentre Castle stringe i pugni e si siede lentamente alla scrivania.
-L’ho sempre saputo che siamo anime gemelle, ma tu non mi hai creduto, non ti sei fidata… avremmo potuto fare grandi cose insieme. Sapevo che avresti capito i miei messaggi. Sapevo che, messa sotto pressione, ci saresti arrivata… ti saresti ricordata di me…-
Fa una pausa in cui il silenzio diventa totale.
-…oppure è stato lui a capirlo? Non lo sopporto, ma devo ammettere che è un uomo intelligente… ed io rispetto le menti intelligenti!-
-Come ci sei riuscito Scott? Come hai fatto a lasciare la prigione?-
-T’importa solo questo Nikki?-
La voce cordiale diventa dura, sibilante tra i denti.
-Non t’importa sapere il perché, Nikki?-
Kate chiude gli occhi per riprendere la calma, lui vuole giocare e lei deve stare al gioco, per Castle. Farlo arrabbiare adesso sarebbe un errore.
-Sono molto curiosa invece. Dimmi tutto Scott, comincia dall’inizio!-
-Brava Nikki…-
La voce di Dunn arriva più rilassata.
-Riprendiamo il gioco da dove lo abbiamo interrotto, solo che stavolta non ti puoi tirare indietro a tuo piacimento. Stavolta devi giocare fino in fondo Nikki… stavolta il premio finale è la vita dello scrittore!-
Istintivamente gli sguardi di tutti si posano su Castle, che guarda il telefono sulla scrivania con gli occhi sbarrati, come se da un momento all’altro, si aspettasse di vedere uscire Scott Dunn in carne ed ossa.
-Stavolta devi essere brava Nikki, più brava di sempre… non puoi sbagliare! Devi trovarmi Nikki…-
Si ferma ancora un attimo.
-Trovami!-
Ripete in modo imperativo, cambiando tono di voce.
-Trovami e troverai il veleno. Non m’importa di finire ancora in prigione, io voglio solo finire il nostro gioco. Se riuscirai a trovarmi, avrai il veleno e con esso la possibilità di salvargli la vita.-
Kate prende un sospiro, cercando di mantenere un tono di voce fermo, ma calmo.
-E’ una questione tra me e te… è sempre stata una questione tra Nikki e te… lui non c’entra!-
-Ti sbagli Nikki… lui c’entra, lui ha interrotto il gioco! Lui ti ha salvata… DUE VOLTE…-
Pronuncia le ultime parole tra i denti sentendo la rabbia ribollirgli dentro.
-…lui è il mondo intorno a cui ruota il nostro gioco adesso. Qualcuno deve morire per forza, ricordi? Dovevi morire tu e tutto sarebbe finito. Ma tu sei ancora viva… il gioco non si è chiuso ed io sono COSTRETTO a continuarlo…-
Accentua ancora le ultime parole alzando la voce.
-Quelle giovani donne le hai uccise tu Nikki e se non giochi con me… ucciderai anche lui!-
-Qualcuno deve morire e quel qualcuno vuoi che sia io… è me che vuoi uccidere. Allora sii uomo Scott! Tu ed io, faccia a faccia!-
Il silenzio è totale, perfino la Gates sta trattenendo il respiro, finchè la risata gelida di Dunn li risveglia.
-Faccia a faccia Nikki? Sono sempre stato a due passi da te in questi giorni. Ogni volta che ti sei guardata intorno, sentendoti osservata, hai posato gli occhi su di me senza riuscire a vedermi. Hai capito che ero accanto a te dal primo omicidio… anche adesso, ogni volta che ti guarderai intorno, ti chiederai quali delle facce davanti a te sono io.-
Sospira pesantemente, tanto da farsi sentire al ricevitore.
-Faccia a faccia? Farò di più Nikki! Io vi vedrò morire… raccoglierò il suo ultimo respiro e dopo verrò a prendermi il tuo. Avrei potuto spararti un colpo in fronte…-
Lascia la frase in sospeso perché lei la assimili.
-No Nikki…  il gioco è più complicato… devi cadere ancora nel baratro. Devi ripiombare in quel buio da cui non vedevi spiragli di luce, devi sentire la lama del dolore che ti squarcia l’anima. Devi chiedere pietà per la sua sofferenza…-
Fa un’altra pausa e quando riprende, il suo tono di voce fa capire che sorride compiaciuto.
-...perchè soffrirà… tanto… fisicamente e psicologicamente.  Avrà il tempo di capire le sue colpe e alla fine lui stesso mi supplicherà di porre fine al suo dolore… e lo farai anche tu Nikki. Mi chiederai di porre fine al tuo dolore. Se sarai più brava di me salverai lo scrittore, sennò…-
Sospira pesantemente, come se non vedesse nessun’altra via d’uscita per nessuno di loro, compreso se stesso.
-…sennò lui morirà consapevole che la colpa è tua… e non è detto che il gioco non pretenda altre vittime, prima di te…-
-Sei un bastardo Dunn!-
Sibila Kate tra i denti e lui ride ancora.
-No Nikki. Sono te… sono la parte cattiva di te… sai che, in questo momento, saresti capace di uccidermi solo per il piacere di farlo. Per questo non ti piaccio.-
Kate appoggia le mani sulla scrivania e si avvicina al telefono, come se fosse proprio davanti a Scott Dunn in persona.
-Io non sono come te Scott… io non sono Nikki. Io sono Beckett e tutto questo non è un romanzo, è la vita reale e quando ti avrò trovato, non ti darò la soddisfazione di chiudere il tuo gioco. Beckett non ti ucciderà, Beckett ti ammanetterà per la seconda volta e per la seconda volta tu perderai.-
La risposta che arriva è una grossa risata di soddisfazione.
-Ne sei sicura Nikki? Quando lui si contorcerà per il dolore e ti chiederà di porre fine a tutto questo, sei sicura che non avrai voglia di uccidermi?-
Kate stringe i pugni guardando Rick. Ha lo sguardo perso nel vuoto e le piange il cuore a vedere la disperazione nei suoi occhi.
-Lui non morirà Scott, non ti permetterò di ucciderlo. Io ti troverò!-
-Così ti voglio Nikki… agguerrita! Non vedo l’ora… come ho già detto, qualcuno deve morire! Io, tu, alla fine non importa! L’importante è chiudere la partita…-
-La partita non si chiuderà a modo tuo.-
-Non esserne certa. La storia è già scritta, la trama è la mia. Ho lasciato in bianco solo l’epilogo e sarai tu, Nikki, ad aiutarmi a scriverlo! Io ti vedrò morire…-
Dunn conclude la chiamata, lasciando nella stanza al quarto piano del dodicesimo, il silenzio totale.
-Ha parlato parecchio, abbiamo un riscontro Ryan?-
Chiede Beckett al collega che controlla il computer.
-Abbiamo fin troppi riscontri, Dunn sa il fatto suo. La chiamata è partita da Amsterdam, facendo praticamente il giro del mondo e si è conclusa in Islanda.-
-Maledizione!-
Rick si passa le mani tra i capelli e sospira, come se quella voce al telefono lo avesse catapultato improvvisamente nella realtà.
-Beh capitano, credo non ci siano dubbi che Scott Dunn è vivo, l’unica cosa di cui non sono sicuro è se la sua follia possa essersi raddoppiata in questi tre anni.-
La donna annuisce.
-Ryan, preparami una registrazione della telefonata, io mi occupo di trovare un giudice che possa spiccare un mandato federale.-
Sta per avviarsi nel suo ufficio, ma si ferma quando sente il bip che annuncia l’arrivo di un messaggio al cellulare di Beckett. Ancora una volta il viso sorridente di Castle appare sul display e Kate corruccia la fronte, aprendo la casella e leggendo il messaggio a voce alta.
-La sfida comincia. Troverai le risposte a tutte le tue domande nelle copie omaggio dei capitoli che lascerò lungo la strada solo per te. Trovami Nikki e nessun altro morirà…-
-Rettifico, ora sono sicuro. Alla sua follia non c’è limite, il carcere non gli ha fatto per niente bene!-
Escalama Castle, mentre la Gates torna sui suoi passi rivolgendosi a tutte le squadre.
-Lasciate perdere tutto. Vediamo di sbrigarci a trovare questo pazzo assassino. Controllate le telecamere del traffico vicine alle zone degli omicidi, finora abbiamo guardato solo quelle rivolte verso le case, adesso dobbiamo concentrarci su quelle nel circondario. Controlliamo le riprese sui curiosi, i vicini, insomma tutti quelli che stavano intorno. Dunn ha osservato Beckett per tutti gli omicidi, ci sarà un fotogramma che ce lo mostra.-
-E come?-
Sbuffa Esposito.
-E’ un camaleonte, si sarà presentato con delle facce diverse… come facciamo a capire che è lui…-
-…per non parlare del fatto che sapeva sicuramente la posizione delle telecamere, proprio come la prima volta, non troveremo la sua faccia su quei fotogrammi.-
Esclama Ryan interrompendo il collega.
-Non cominciate anche voi due a finirvi le frasi a vicenda sennò vado in escandescenza!-
Sbotta il capitano lasciandoli a bocca aperta.
-Non avendo altre tracce per il momento faremo così. Studieremo fotogramma per fotogramma, troveremo le sequenze che lo mostrano nelle sue diverse facce e mostreremo le foto a chiunque, se necessario andremo porta a porta. Ryan tu continua la ricerca sui chimici, io mi occupo del mandato… muoviamoci!-
 
 
Poggiò il cellulare sulla piccola scrivania e lo accarezzò ancora con un dito.
Il polpastrello bruciato non lasciò nessuna impronta.
Sorrise e si appoggiò allo schienale della poltroncina, guardandosi entrambe le mani.
Ricordò le fiamme che parecchi anni prima, quando era soltanto un ragazzo, gli avevano rubato le impronte.
Non ha mai capito perché tutti fossero dispiaciuti per lui, perché tutti pensassero che provasse dolore.
Lui non aveva provato dolore… il fuoco era sempre stato il suo ambiente naturale.
Il fuoco era dentro di lui, come poteva fargli del male?
Non avere le impronte gli dava la possibilità di essere nessuno e chiunque, bastava avere destrezza e capacità nel riuscire a vivere la vita degli altri… e lui in questo era davvero un maestro.
Spostò lo sguardo sul ritaglio di giornale.
 Nikki Heat lo stava fissando da sotto il cappello della divisa.
Seria, elegante, orgogliosa…
Battè il pugno sulla scrivania facendo traballare tutti gli oggetti intorno.
Se solo fosse morta nell’esplosione!
Se solo fosse bruciata nelle fiamme dell’inferno che le aveva preparato!
Era stato così bravo e meticoloso, aveva preparato la bomba con cura.
Il suo cuore era a pezzi perché lei lo aveva tradito.
Il gioco doveva interrompersi e l’unico modo di consacrare la sua dedizione a Nikki, nonostante la delusione, era prepararle una sorpresa degna di lei.
Ma era arrivato lui…
Strinse i pugni, posò lo sguardo sull’ultimo libro dello scrittore, lo prese digrignando la mascella e con rabbia cominciò a strappare le pagine. Uno dopo l’altro i fogli, eleganti e stampati, divennero minuscoli cumuli di carta straccia ai suoi piedi.
Aveva comprato Frozen Heat appena uscito di prigione, lo aveva tenuto tra le mani per delle ore il primo giorno, leggendo e rileggendo la dedica:  ‘a tutte le persone incredibili, esasperanti, intriganti e snervanti che ci ispirano a fare grandi cose’…
Era rimasto tutto il giorno con gli occhi incollati su quella frase, era come se quelle parole le avesse scritte lui per lei… lei era esattamente la donna incredibile, esasperante, integrante e snervante che lo aveva spinto a fare cose grandi, facendolo sentire vivo, ma che, nello stesso modo, lo aveva ucciso senza pietà.
Per questo il gioco doveva continuare, per questo doveva scrivere un epilogo dedicato a lei, perché, anche con il suo tradimento, lei lo spingeva ancora a fare cose grandi…
Si era fermato solo alla dedica, si era rifiutato di leggere la storia.
Era lui che doveva srivere una storia su quella dedica… e lo aveva fatto, con stile e perfezione, non solo sulla carta, ma anche nella realtà.
Ne era dimostrazione il modo in cui aveva ucciso le donne per portare i messaggi.
Gettò la copertina vuota di Frozen Heat contro la parete, la guardò rimbalzare e cadere poco lontano da lui.
Sorrise.
Sorrise pensando al modo in cui aveva perfezionato il suo modo di uccidere.
Sorrise compiaciuto di essersi migliorato, di non essere rimasto legato al suo vecchio modus operandi, come lo avrebbe definito Nikki Heat! Si era evoluto e questo lo doveva a lei… lei lo aveva costretto a rimettersi in gioco e a fare ancora qualcosa di grande!
Guardò di nuovo il telefono. Sentiva la sua voce. Arrabbiata. Pronta a tutto.
Le sue parole rimbombarono ancora nelle orecchie, chiuse gli occhi e le ripeté mentalmente ‘io non sono te…’
Quanto si sbaglia… se solo lo avesse avuto davanti mentre le parlava della morte del suo uomo, dell’uomo con cui divide il letto di nascosto dal mondo intero, gli avrebbe sparato a bruciapelo, senza pensarci…
Non aveva dubbi su questo!
Si alzò, prese il cesto della carta straccia accanto alla scrivania e con calma raccolse i fogli strappati, sistemandoli dentro il sacchetto, ripulì il pavimento con cura e tornò a sedersi alla scrivania.
Il gioco era iniziato.
Lui aveva scritto tutta la storia, lui sarebbe stato sempre un passo avanti a lei.
La sfida era proprio questa: lei sarebbe riuscita a superarlo?
Ne aveva le capacità, per questo l’aveva scelta…
Si mise comodo guardando l’ora sul portatile.
Ore 14.25
Le prime sei, delle ultime ore di vita dello scrittore erano volate via in fretta.
Sullo schermo troneggiava la copertina di sempre, ma con un nuovo titolo.
Tornò con la mente alla sua vecchia casa.
Quando era uscito da lì quella mattina, aveva lasciato due cose che sentiva veramente sue: il pendolo che scandiva i minuti, con ritmo ed eleganza, ed il sesto omaggio alla sua detective.
‘Mors Tua, Vita Mea’.


Angolo di Rebecca:

Buonasera :)
Credo che ormai non ci siano più dubbi sull'identità del nostro amico, ha anche telefonato!!!
Il capitano Gates è pronta a tutto, come il resto della squadra.
Castle comincia a "sentire tangibile" quello che sta succedendo e questo potrebbe essere problematico.
Scott Dunn è proprio agguerrito... 

Adesso scappo, mi aspetto una rivincita da parte di zia Lisetta e qualcosa di molto chilometrico da parte di Katia :p

Baciiiiiiiiii!!!

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Capitolo 21
*** Verità Svelata ***






 

Capitolo 21
 

Quando erano arrivati al distretto circa mezz’ora prima, il capitano le aveva chiesto se era il caso che Castle partecipasse alle indagini e Kate aveva risposto che tenere il cervello occupato gli avrebbe fatto bene.
Il suo modo di guardare al di là delle parole, di riuscire a scorgere quello che un altro non avrebbe capito, il suo ragionamento per cercare la verità dietro gli omicidi e i manoscritti, lo avrebbero tenuto lucido, sveglio, in movimento.
In effetti era stato così. Aveva fatto lavorare il cervello, era riuscito a leggere tra le righe delle pagine del killer ed era arrivato, insieme a Kate, alla verità.
Nel giro di un paio di minuti però, qualcosa in lui era cambiato.
Non sapeva dire se per la telefonata improvvisa di Scott Dunn, oppure per la frenesia e il caos che si erano impadroniti ancora una volta del distretto, dopo che il capitano aveva ordinato a tutti di muoversi.
O forse era proprio quella verità svelata, che lo aveva consumato.
Da qualche minuto avevano la certezza assoluta dell’identità del killer, perciò ogni fascicolo e ricerca superflua dentro quella stanza, era stata eliminata in fretta. Erano rimaste tre lavagne, quella con gli ingrandimenti dei manoscritti e quella con le indagini svolte fino a quel momento sulle quattro vittime di Scott Dunn.
L’agente Lowell stava liberando la terza lavagna dalle supposizioni sulla prima teoria che il killer fosse Tyson. Cancellò le scritte, tolse le foto, lasciando soltanto quella di Richard Castle al centro e prese un paio di fascicoli da una delle scrivanie, pronto a sistemare i nuovi indizi.
Sollevò la mano per appendere la foto di Scott Dunn sulla lavagna, quando la mano di Castle lo fermò, bloccandogli il polso a mezz’aria.
Lowell si girò di scatto.
Kate osservava la scena come se fosse al di fuori di quella stanza.
Gli occhi spenti di Castle misero a disagio l’agente, che la guardò cercando di capire come comportarsi e lei gli fece segno, con la testa, di lasciarlo fare.
Il giovane diede i fascicoli e la foto a Rick e si allontanò.
Quella foto tra le mani lo fece deglutire, la appese lentamente accanto alla sua faccia. Chiuse gli occhi e abbassò la testa.
La velocità con cui tutti si muovevano, leggevano, digitavano sul computer, faceva a pugni con quello che sentiva Castle. Era come se ogni suo movimento, perfino ogni suo pensiero, andasse a rallentatore.
Prese il pennarello, si piegò lentamente ed in basso, al margine della lavagna, segnò la linea temporale colorando di  rosso il lasso di tempo che aveva trascorso nelle mani di Dunn mentre lo avvelenava e accanto, tra parentesi, segnò il tempo approssimativo che gli restava da vivere.
Kate chiuse gli occhi e sentì una fitta al petto. Quando li riaprì, il pennarello nero stava segnando accanto al viso di Dunn una freccia che lo collegava ad un punto interrogativo, con accanto la scritta Professore.
Non riuscì a tenere la mano ferma, tremò sbavando l’inchiostro, ed il pennarello gli cadde dalle mani.
Kate gli andò vicino e si chinò insieme a lui per raccoglierlo. Cercò i suoi occhi, ma Castle si alzò evitando il suo sguardo.
-Lo sai che, se questo Professore non è schedato, sarà impossibile risalire a lui? Resterà solo un punto interrogativo!-
Lui morirà consapevole che la colpa è tua…
Le parole di Dunn riecheggiarono nella sua mente e sentì nel petto il dolore che lui le aveva preannunciato.
Perché non mi guardi Rick!?
Posò gli occhi sul viso di Castle che troneggiava sulla parete lucida e bianca della lavagna, seguì la sua mano che attaccava la foto che la ritraeva al parco giochi mentre sperava, in preda al terrore, di trovarlo sano e salvo.
Fu costretta a chiudere gli occhi e a respirare a fondo per non cedere all’ennesima vertigine della giornata.
-Senza contare che Dunn potrebbe non aver lasciato testimoni scomodi, sappiamo bene di cosa è capace!-
Esclamò lui poggiando il fascicolo sulla scrivania.
Lo seguì mentre si sedeva al suo posto, con gli occhi stanchi e senza nessuna luce e fu in quel preciso istante che vide la consapevolezza sul suo viso.
Dopo aver scoperto l’identità del suo assassino, dopo aver scommesso la pelle sul fatto che si trattasse di Scott Dunn ancora prima che lui telefonasse, non aveva più proferito parola, non aveva commentato la telefonata, non aveva espresso nessuna opinione su come agire per cercare di rintracciarlo.
Guardava quello che succedeva intorno a lui in silenzio, con lo sguardo vuoto e gli occhi spenti, come se quella frase sulla scommessa, detta senza riflettere sul suo reale significato, lo avesse catapultato di colpo nella realtà. Improvvisamente aveva metabolizzato che i prossimi tre giorni sarebbero stati gli ultimi della sua vita.
Il suo silenzio per lei era deleterio e la spaventava.
Un silenzio che covava una tempesta di sentimenti negativi.
Un silenzio che nascondeva paura, rabbia, impotenza.
Erano passate solo poche ore e lui si stava lasciando andare alla consapevolezza della morte.
Sapeva che sarebbe successo, per questo in ospedale, a sangue caldo, le aveva chiesto aiuto. Le aveva chiesto di essere forte e mantenere la razionalità anche per lui, ma vedendolo in quello stato, mancandole la sicurezza e il sostegno che lui le ha sempre dato da quando lo conosce, si rese conto che anche lei poteva non essere abbastanza lucida e forte per affrontare ‘il caso’.
 
La voce di Esposito li riscuote entrambi, si girano verso di lui sentendolo sbraitare contro qualcuno all’altro capo del telefono,  che lo tiene in attesa da parecchi minuti, invece di metterlo in contatto con qualche pezzo grosso della prigione in cui era detenuto Dunn.
Ryan stampa qualcosa dal computer e si avvicina alla scrivania di Beckett trascinando i piedi, portandosi dietro anche la sedia.
-Ho qualche nominativo di chimici che hanno avuto guai con la giustizia, ma nessuno di loro sembra avere avuto mai un legame con Dunn e nessuno di loro è mai stato nella stessa prigione.-
Kate controlla la lista annuendo.
-Il mandato ci permetterà di controllare tutti i detenuti e le loro schede, se questo Professore l’ha conosciuto in prigione, lo scopriremo presto.-
Ryan annuisce ed Esposito sbatte la cornetta sul telefono, nero in viso.
-Maledizione, ma tutti i deficienti lavorano alla segreteria di questa prigione? Non sono riuscito nemmeno a sapere se il direttore è in sede.-
Si guardano l’un l’altro per un momento, notando l’assenza di Castle. Ryan si schiarisce la voce e gli mette la mano sul braccio. Solo allora lui si gira a guardarlo.
-Ho fatto richiesta di disattivazione per la sim di Alexis, dovrebbe già essere inutilizzabile. Dovresti dirglielo e farle prendere un’altra scheda.-
-Non c’è problema, la sim è a mio nome, le dirò che mi ha contattato il gestore telefonico e che sono stati costretti a disattivare il numero… non so, m’inventerò un problema al momento. Stanotte parte per l’Europa e ha già la scheda attiva per l’estero.-
Kate corruccia la fronte, socchiude la bocca per dirgli qualcosa, ma viene interrotta dal capitano Gates, che esce dal suo ufficio come una furia.
-Non ci posso credere! Un certo giudice Crowford è l’unico al momento che possa firmare un mandato federale e oggi ha la giornata libera e non può essere disturbato.-
Gesticola nervosamente guardando in cagnesco la sua squadra.
-Sta facendo un torneo di poker nel suo esclusivo club privato maschilista!-
Ryan solleva la mano timidamente.
-Ehm… scusi signore, forse intendeva dire maschile?-
La donna lo punta con il dito.
-No, non maschile, Ryan. Un club che non permette ad una donna di avvicinarsi nemmeno all’entrata, non è maschile, è maschilista!-
Finalmente anche sul viso di Castle si apre un leggero sorriso, mentre guarda curioso la Gates che continua imperterrita.
-Sarà esilarante entrare lì dentro.-
Prende la borsa e il cappotto e si avvia a passo lungo verso l’ascensore.
Esposito guarda i colleghi scioccato.
-Capitano aspetti. Vuole andare al club?-
-Naturalmente! Avrò quella firma con le buone o con le cattive!-
-E’ sicura che non vuole che l’accompagni? Voglio dire, magari non… non…-
Lei si gira a guardarlo, alzando un sopracciglio.
-Magari non mi faranno entrare!?-
Esposito solleva le spalle e lei si mette la mano al fianco.
-Guardami bene detective… credi davvero che una massa di maschi mummificati che giocano a poker e fumano sigari puzzolenti, possano fermarmi?-
Ryan scambia uno sguardo divertito con Beckett e Castle, ed Esposito si passa la mano sulla nuca.
-No, signore, non intendevo questo… io…-
-Torna a lavoro Esposito.-
Gira sui tacchi, sparendo dentro l’ascensore e quando Esposito torna alla scrivania, si rende conto che Castle sta ridendo di gusto insieme ai suoi amici.
-Vorrei essere una mosca per entrare con lei in quel posto e fare un video, sarebbe epico!-
Dice strofinandosi le mani soddisfatto, facendo sorridere anche Kate per quella luce diversa che hanno i suoi occhi mentre parla immaginandosi la scena al club.
-Beh, io chiamo Alexis!-
Dice dopo un attimo, alzandosi per allontanarsi, ma Kate lo trattiene per il braccio.
-Aspetta Castle… posso parlarti un momento? In privato!-
-Non puoi aspettare un paio di minuti? Chiamo prima mia figlia.-
Lei scuote la testa e accentua la stretta al braccio.
-No Castle, adesso.-
Lui annuisce preoccupato. Entrano nella sala riunioni e Kate chiude la porta e le veneziane.
-Che succede Kate?-
Le chiede quando si rende conto che si sta torturando le mani.
-Niente, volevo solo…-
Si siede nervosa sul divanetto e si sistema i capelli dietro l’orecchio, guardandolo poi risoluta.
-Vuoi davvero che Alexis parta?-
Rick si siede accanto a lei sporgendosi in avanti con le braccia sulle gambe.
-Non vedo l’ora che si allontani da New York, voglio che sia a miglia di distanza da Scott Dunn.-
-Castle, se Dunn avesse voluto fare del male alle nostre famiglie, lo avrebbe già fatto.-
Lui la guarda un attimo e poi riporta lo sguardo sulle sue mani intrecciate.
-Ha ucciso quattro persone innocenti per arrivare a noi, non aspetterò che gli venga la grande idea di prendersela con mia figlia.-
Scuote la testa stringendo i denti.
-Vorrei che fosse già partita!-
Kate prende un respiro per farsi coraggio, sa che quello che sta per dirgli è una cosa delicata, ma deve farlo.
-Non puoi lasciarla partire Castle!-
Lui si volta a guardarla.
-In che senso?-
-Nel senso che non sta andando dietro l’angolo, sarà al di là dell’oceano e…-
Lui si alza di scatto.
-E… cosa?-
Si alza anche lei andandogli vicino.
-E devi dirle quello che ti sta succedendo, devi dirlo a lei e anche a Martha.-
Lui corruccia la fronte.
-Non c’è niente da dire Kate. Troveremo Dunn, mi daranno l’antidoto e nessuno saprà niente di questa storia.-
Le dice allontanandosi, voltandole le spalle e lei sospira.
-Castle, cerca di ragionare…-
Lui si gira di scatto e stringe i pugni.
-Ragionare? Credi davvero che sia così stupido da pensare che la favoletta che mi racconto sul fatto che lo troveremo, sia vera? Io so qual è la realtà! Ci servirà una grossa dose di fortuna per riuscire ad avere l’antidoto e questo lo sai anche tu.-
Parla gesticolando e tra i denti, cercando di non alzare la voce.
-Certo! Sono fortunato, perché la mia vita è nelle mani della migliore detective di New York… perciò perché preoccuparmi!-
Continua parlando con ironia. Kate cerca di parare il colpo deglutendo, non dando peso alle sue parole disperate, ma non distoglie lo sguardo dal suo.
-Castle ascoltami…-
-No, ascoltami tu.-
Le dice puntandole il dito contro.
-Io non dirò niente a mia figlia e lei stanotte partirà, punto!-
-Devi dirglielo, ha il diritto di sapere cosa sta succedendo.-
-E come dovrei fare secondo te? Vado a casa e cosa le dico? Oh, ciao tesoro, hai passato una bella giornata? A proposito, sai la novità? Domenica sarò morto!-
Kate sospira cercando di calmarsi, mentre lui le dà ancora una volta le spalle.
-Capisco che è difficile, ma non puoi allontanarla da te adesso.-
Lo vede stringere i pugni e chiudersi nelle spalle, immagina la rabbia sul suo viso, anche se non riesce a vederlo.
-Che cosa capisci? Che cosa ne sai tu?-
Sibila tra i denti, girandosi verso di lei, che deglutisce di nuovo.
-Che cosa ne sai tu di cosa possa voler dire guardare una figlia negli occhi e vederci dentro il dolore, un dolore che sei tu a provocarle…-
Lei non risponde. Il silenzio di poco prima lo aveva caricato come una bomba ad orologeria pronta ad esplodere.
-…che cosa vuoi saperne tu di quello che sto provando io?-
-Non lo so, è vero, ma…-
-Ma niente. Alexis partirà stanotte!-
Sta per uscire, ma torna indietro ancora puntandole il dito contro.
-Non azzardarti a prendere decisioni insensate alle mie spalle, non intrometterti nelle mie decisioni con mia figlia, questa cosa non ti compete Beckett… non te lo permetto!-
Un silenzio carico di rabbia e paura che esplode d’improvviso contro di lei.
-Castle aspetta…-
Ma lui non l’ascolta più, esce a passo svelto sbattendo la porta, tra gli sguardi attoniti dei poliziotti presenti.
Kate riapre la porta velocemente.
-Castle… Castle!-
Quando le porte dell’ascensore si chiudono, incontra gli sguardi di Ryan ed Esposito, scuote la testa e ritorna verso la sala riunioni.
-Non fate domande.-
Si chiude dentro, appoggia la schiena e la testa alla porta e chiude gli occhi deglutendo.
E’ già all’imbocco di quel tunnel buio in cui vuole rinchiuderla Scott Dunn, un tunnel in cui la luce da seguire per ritrovare l’uscita dovrebbe essere Castle. Lui e il suo sorriso, lui e il suo sguardo, lui e le sue parole… ma adesso lui è una luce così lontana!
 
 
Non riusciva a starle lontano.
Dopo aver sentito la sua voce, la sua rabbia e, soprattutto la sua paura, la figura di Nikki continuava a materializzarsi nella sua mente.
Aveva spento il computer, sgomberato la scrivania e sistemato su di essa, in ordine perfetto, tutto quello che gli serviva.
Prima però aveva bisogno di un po’ d’aria.
Era uscito andando verso sud, con il viso e la sua rabbia di nuovo davanti agli occhi.
Li chiuse, fermandosi in mezzo alla strada, come se stesse assaporando l’immagine per riuscire a materializzarla davanti a sé.
Certe volte, quando si trovava ancora in isolamento nella sua cella, chiudeva gli occhi e la immaginava mentre gli metteva le manette.
Era così vicina a lui in quel momento.
Era riuscito a sentire il suo odore, l’essenza della sua pelle mista di profumo e adrenalina.
Anche adesso, in mezzo alla strada, quel profumo gli tornò alle narici.
Aprì gli occhi di colpo, il rumore di un cancello di ferro che sbatteva, gli ricordò la porta della sua cella quando veniva chiusa alle sue spalle.
Strinse i pugni e il profumo sparì, lasciando nell’aria soltanto rabbia, quella stessa rabbia che provava ogni volta che quel pezzo di ferro gli faceva sussultare il cuore.
L’aveva scelta tra tante, perché non era come tutte e lei lo aveva deriso e tradito…
Decise che era presto, mancava ancora un po’ prima che scendesse la sera, aveva tempo per appagare il suo ego, per controllare il suo lavoro.
Si era fermato al solito angolo davanti al distretto, nascosto dal muro dell’isolato.
Non gli serviva l’immaginazione, sapeva per certo cosa sarebbe successo da ora in avanti.
Sapeva le mosse che avrebbero fatto, sapeva che sarebbero andati alla prigione, che avrebbero capito tutto quello che il direttore del carcere e le guardie non erano stati capaci di capire in quattro mesi.
Sapeva che da lì sarebbero arrivati al Professore… anche se non lo avrebbero mai trovato.
Lo stupore e lo stordimento iniziale, avrebbero lasciato posto alla consapevolezza, alla rabbia. Alla paura…
Certo che lo sapeva, lo aveva scritto lui, aveva sistemato la trama in modo realistico e perfetto e adesso la guardava svolgere davanti ai suoi occhi come se stesse girando un film.
Vide uscire lo scrittore.
Strinse gli occhi a due fessure e si nascose meglio dietro al muro.
Lo vide guardarsi intorno, col viso stravolto, la faccia tirata e le occhiaie.
Aveva alzato il braccio per chiamare un taxi, aveva perfino aperto lo sportello per sedersi su quello che si era fermato davanti a lui, ma si era bloccato improvvisamente.
Senza muoversi, aveva posato lo sguardo sul tassista, che si voltò verso di lui e gli disse qualcosa gesticolando.
Fu allora che fece un gesto con la mano, chiuse lo sportello e il taxi ripartì veloce, senza di lui.
Si guardò intorno ancora una volta e lui ebbe l’impressione che in un paio di secondi il suo viso fosse ancora più stanco di prima.
Sorrise.
Eccola lì la consapevolezza.
La consapevolezza di essere una vittima, la consapevolezza di avere paura… anche di una cosa stupida e normale come prendere un taxi.
Lo vide sollevare il colletto del cappotto per ripararsi dal freddo, non aveva la sciarpa e nemmeno i guanti, probabilmente era uscito di corsa, senza pensare.
Il fatto che fosse solo, che lei non lo accompagnasse, significava che tra di loro qualcosa si era già rotto.
Li stava separando…
Lo vide incamminarsi a testa bassa. Avrebbe voluto seguirlo, sapere la sua destinazione, ma aveva altro da fare.
Non poteva cambiare i suoi piani, proprio come quando era stato costretto a liberarlo senza picchiarlo a sangue.
Lo scrittore svoltò l’angolo e sparì alla sua vista, lui sollevò la testa e guardò le finestre del quarto piano.
Restò immobile con gli occhi fissi sulle vetrate per una decina di minuti buoni e la sua pazienza venne ripagata.
Eccola!
Con le mani appoggiate al vetro, magari a cercare nel traffico e nel via vai frenetico della città il suo volto, il suo sguardo…
La vide allontanarsi.
Il suo orologio segnava le 16.02… gli serviva tempo, gli serviva silenzio...



Angolo di Rebecca:

La "verità" svelata, quella verità che hanno cercato freneticamente per capire chi è il killer, all'improvviso ha catapultato Castle nella realtà.
Ha paura, è nervoso, teso... naturale direi e Beckett cerca di stargli vicino, ma la sua sfuriata l'ha addolorata, non perchè se la sia presa per le sue parole, ma perchè sa che questo non li porterà a niente... lui è sempre stato la sua luce, adesso è come se si battesse da sola...
Dove sarà andato così di corsa e "senza taxi" il nostro Rick?
Grazie di cuore a tutte... baci!


PS. Buon finale di stagione alle Prescelte *-*


 
 

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Capitolo 22
*** La Magica Speranza del Cuore ***




 

Capitolo 22
 
 
 
Rick era sparito da quasi un’ora.
Dopo che si era chiuso la porta alle spalle sbattendola violentemente, tanto da far tremare le veneziane che nascondevano la sala riunioni dal resto del distretto, Kate aveva provato a contattarlo una decina di volte, ma le chiamate venivano rifiutate o addirittura ignorate.
Era uscito di corsa senza guardare in faccia nessuno, non avrebbe sopportato ancora gli sguardi e le espressioni dei suoi amici.
Nonostante fosse preoccupata, non lo aveva fermato subito di proposito, perché sapeva che aveva bisogno di starsene da solo; il terremoto lo aveva colpito e adesso si scrollava di dosso le macerie poco alla volta, restando ferito nel corpo e soprattutto nell’anima.
Da quando era iniziato questo incubo aveva cercato di mostrarsi forte, di farsi coraggio come meglio poteva facendo lavorare il cervello, tenendosi occupato con le indagini, ma era solo un modo di non pensare che quello che stava accadendo fosse reale. Restare al distretto con lei e i colleghi era come lavorare ad un caso qualunque, senza focalizzare che la vittima, in realtà era proprio lui. Ma dopo tante ore passate rinchiuso lì dentro a pensare, spulciare e cercare, si era fermato un attimo guardandosi intorno, vedendo il via vai frenetico di tutte le squadre al completo del dodicesimo lavorare ininterrottamente per lui, il capitano Gates impartire ordini a destra e a manca senza sosta e la discussione con Kate era stata la stoccata finale, perché l’insieme rendeva tutto reale… una realtà che lo avrebbe ucciso da lì a poche ore, se non fossero riusciti a vincere la sfida contro Dunn.
Era uscito senza voltarsi, senza pensare alle parole dette con rabbia e cattiveria. Voleva essere cattivo in quel momento, voleva prendersela con qualcuno e a rimetterci era stata lei, che era rimasta dentro la sala riunioni, sola, con la voglia di corrergli dietro, stringerlo tra le braccia o schiaffeggiarlo, se solo fosse servito a farlo ragionare, senza però muoversi di un solo passo. Sapeva che doveva stare da solo. Era giusto che riordinasse le idee e facesse i conti con la paura che aveva mascherato fino a quel momento. Solo con se stesso.
Esposito, come tutto il dodicesimo, aveva assistito alla lite tra i due, aveva sentito le voci alzarsi all’improvviso, senza riuscire a capire cosa fosse successo realmente, ed era rimasto sorpreso di vedere che Beckett non lo aveva fermato.
Ryan guardava fisso la porta da un paio di minuti, quando l’amico gli diede un colpetto sulla spalla e gli fece segno di provare a parlarle.
Bussò alla porta e contemporaneamente la aprì. Lei era di spalle, le braccia conserte e la schiena rigida. Guardava fuori dalla finestra e sembrava non li avesse sentiti entrare.
-Beckett…-
Ryan si fece coraggio, avvicinandosi di un altro paio di passi.
-Notizie dal capitano?-
Chiese lei facendolo fermare sul posto.
-Non ancora.-
-Possiamo aiutarti in qualche altro modo? Magari possiamo cercare di rintracciarlo con il GPS.-
Chiese Esposito guardando l’amico, visto che lei non accennava a voltarsi. Si erano accorti delle chiamate a cui non aveva ricevuto risposta e questo li aveva messi ancora più in allarme.
Appoggiò le mani sul vetro della finestra, scrutando la strada parecchi metri più giù.
Sei lì che te la godi Scott?
Scosse la testa
-No, ho una mezza idea su dove può essere andato…-
Si voltò stringendo le labbra, la rabbia che aveva dentro contro Scott Dunn e la sua follia, era visibile in ogni movimento del volto.
-Vado da lui… se avete notizie dal capitano chiamatemi immediatamente, voglio andare dentro quella prigione prima di sera.-
Salì in macchina e si lasciò andare di peso al poggiatesta.
Era pomeriggio inoltrato, tra poco sarebbe diventato buio e lui aveva il primo appuntamento con il dottor Travis. Doveva trovarlo assolutamente, anche perché avrebbe potuto sentirsi male ed avere bisogno di aiuto.
Era sicura che non fosse andato al loft, tanto meno a casa sua.
Mise in moto e risoluta, prese quella che pensava, o forse sperava, fosse la direzione giusta… l’unico posto dove poteva trovare risposte.
Parcheggiò ad un’entrata secondaria di Central Park. Mancavano pochi minuti alle quattro e la vita nel parco scorreva tranquilla come sempre. La neve ricopriva tutto e in lontananza poteva vedere un gruppo di bambini che si rincorrevano, qualche coppietta che passeggiava abbracciata e studenti avvolti nei caldi piumini, seduti su una panchina a leggere grossi tomi di chissà quale materia.
Intorno a lei invece non c’era nessuno.
Quella zona del parco era vietata e i cartelli arancioni con la scritta pericolo erano incastrati nella neve alta, candida e pulita,  visto che le transenne evitavano il passaggio a chiunque… o quasi.
Si diresse verso il muro di cinta, ricoperto completamente dalle fronde degli alberi e a pochi metri da lei vide le impronte sulla neve. Seguì i passi, scostò le sterpaglie con forza ed entrò nel passaggio segreto al di là del muro, un passaggio nascosto al resto del mondo intorno a lei, per ritrovarsi sulla macchina del tempo su cui era stata anni prima insieme a lui, mano nella mano.
S’incamminò nel sentiero che portava in un mondo incantato, lasciando dietro di sé la luce sfocata di un sole pomeridiano in pieno inverno, per addentrarsi nel buio delle sterpaglie e delle fronde degli alberi che nascondevano il cielo completamente.
La prima volta che aveva percorso quella strada il suo cuore era nero come quel posto e adesso, se possibile, era ancora più scuro. Continuò a salire tra le sterpaglie, così fitte da non consentire nemmeno ai fiocchi di neve di passare, perciò sotto i piedi  sentiva solo terriccio, foglie secche e bacche che cadevano dai rami e, in tutto quel groviglio, non riusciva ad intravedere più le orme… ma era sicura di trovarlo lì.
Arrivò alla fine della boscaglia. Un muro di sterpaglie come quello che nascondeva l’entrata, si stagliava davanti a lei, lo spostò con difficoltà e si ritrovò nel segreto incantato.
La prima volta che era arrivata lì, si era sentita come catapultata improvvisamente in un altro mondo. Lui l’aveva portata in quel posto, definito magico, per fare entrare uno spiraglio di luce dentro la sua anima nera come pece. Le aveva detto che quello era uno di quei posti unici, che una volta scoperto rimane nel cuore come un segreto da proteggere e dove portare solo le persone importanti della propria vita.
Persone che ami e per cui daresti la tua vita…
Un posto in cui poteva fare parlare i suoi silenzi, quei silenzi che la stavano distruggendo e che non le permettevano  di onorare un anniversario importante, ma doloroso: la morte di sua madre.
L’aveva portata dentro la magia una mattina di gennaio, in un giorno in cui la neve aveva deciso di fare vacanza ed il sole era alto nel cielo. Quando aveva alzato le sterpaglie per consentirle di entrare, quella palla infuocata l’aveva accecata, lasciandola senza respiro, quando alla fine era riuscita ad aprire gli occhi, abituandoli alla luce e alla bellezza sconfinata davanti a lei.
L’aveva portata in quel posto, nel suo posto segreto, per alleggerire il peso che si portava dentro, per lenire la colpa che sentiva per non avere ancora trovato l’assassino di Johanna.
L’aveva portata in quel posto incantato aprendole il cuore, parlandole del dolore del piccolo Richard e di come quella meraviglia lo avesse coccolato e cullato, riportando il sorriso sul suo viso e lo stupore nei suoi occhi.
Le aveva detto di guardare verso l’orizzonte e lì, cercando bene e aprendo l’anima, aveva visto la punta più alta della montagna curvare verso il cielo a dare forma ad un cuore magico appeso tra le nuvole, che si nascondeva alla vista di tutti e si mostrava solo a chi aveva la pazienza di trovarlo.
Adesso il sole irradiava gli ultimi raggi della giornata e formava strane ombre intorno a lei.
La neve ricopriva tutto e il fiume giocava con le ultime luci del cielo, dando vita ad un dipinto completamente diverso dal primo che aveva ammirato quel giorno.
Sapeva che lo avrebbe trovato lì, intento a fare urlare i suoi silenzi verso un cielo che avrebbe potuto toccare con la mano, soltanto alzando il braccio di poco. Avrebbe potuto urlare il dolore e la paura contro quel cuore che la montagna dipingeva sospeso nel cielo e che solo un animo di bambino poteva vedere.
Era seduto proprio lì, sul segno che quel bambino di otto anni con il cuore a pezzi aveva scolpito su un grande masso tanti anni prima,  per non dimenticare il punto preciso in cui avrebbe potuto rivedere la magia.
 
Si avvicina in silenzio, si toglie la sciarpa e gliel’appoggia sul collo. Lui si gira sussultando e lei gli sistema la sciarpa per bene, coprendolo al meglio.
Rick riporta lo sguardo sull’immensità davanti a sé e solleva le spalle.
-Hai paura che possa morire congelato?-
Esclama con rabbia, ma si morde subito le labbra, senza riuscire a guardarla, consapevole di avere detto un’altra cattiveria.
Kate non risponde, si siede accanto a lui sul masso, guarda lontano la linea dell’orizzonte in cui il cielo bacia il fiume e poi solleva lo sguardo a cercare le nuvole. Chiude gli occhi e assapora la brezza fredda che le accarezza il viso, immaginando fosse la mano invisibile di chi ascolta i loro silenzi.
-Come hai fatto a capire che ero qui?-
Chiede Rick sospirando e lei, sempre ad occhi chiusi storce le labbra.
-Perché questo è un posto magico Castle, qui puoi alzare la mano e toccare le nuvole, qui puoi fare parlare i tuoi silenzi e le tue paure… puoi fare le domande che ti tormentano, sicuro che arriveranno prima alle orecchie di chi laggiù, forse non riesce a sentirti!-
Rick abbassa lo sguardo sulle sue mani intrecciate a penzoloni sulle ginocchia e scuote la testa.
-Stavolta nemmeno qui mi sono arrivate risposte…-
Kate si stringe nel cappotto, sollevando il colletto per proteggersi dal freddo, che aumenta man mano che i raggi del sole si affievoliscono di minuto in minuto.
-Sai benissimo che le risposte sono già dentro di te… e che solo il silenzio e la solitudine ti avrebbero permesso di sentirle. Per questo sei venuto qui.-
Lui sorride mesto e annuisce.
-Ci sei più venuta dopo quel giorno?-
Kate scuote la testa continuando a guardare il mutare del colore del cielo.
-Non avevo nessuno di speciale da portarci… e poi, dopo quel giorno, ho cominciato a vedere le cose sotto un’altra prospettiva.-
Si ferma un attimo chiudendo di nuovo gli occhi e respirando a pieni polmoni, sentendo l’aria gelida entrarle fino al cervello.
-Quel giorno ho trovato le risposte dentro di me, ho avuto la certezza assoluta che ogni volta che mi sarei ritrovata ancora nel buio, non avrei dovuto fare tutta questa strada… mi sarebbe bastato guardare alle mie spalle, per rendermi conto che il cielo era a due passi da me…-
Lascia la frase a metà e si gira a guardarlo, contemporaneamente a lui che incatena gli occhi ai suoi, aprendo di poco la bocca per lo stupore.
-Sei sempre stato il mio cielo Castle, ci ho messo troppo tempo ad allungare la mano per toccarti, ma alla fine una forza invisibile mi ha costretta a farlo e mi ha portata a te.-
Rick la guarda con gli occhi lucidi, l’emozione l’ha sopraffatto e deglutisce distogliendo lo sguardo. Resta in silenzio qualche secondo, assaporando quelle parole dette con sicurezza e tranquillità.
Sospira guardando l’orizzonte.
-Ho paura Kate! Una dannata paura…-
Lei gli mette la mano sulla sua.
-Non c’è niente di sbagliato in questo. Ho una dannata paura anch’io.-
-Ma io non ho paura di morire!-
Solleva le spalle guardandola.
-Cioè… ho paura anche… di morire, però quello che mi spaventa di più non è il dolore fisico o il pensiero della morte, ma quello che mi sta intorno adesso.-
Dice tutto d’un fiato abbassando ancora lo sguardo, mentre lei corruccia la fronte.
-E’ bastata una richiesta del capitano perché tutti gli agenti rientrassero a lavoro. Per me. Ryan ed Esposito non fanno battute e quasi non incrociano lo sguardo con il mio perché sono addolorati. In ospedale Lanie non ha detto una sola parola, come se parlare la facesse soffrire… perfino la Gates mi tratta bene e questo mi… mi fa paura!-
-Ti vogliono bene Castle, sono tuoi amici, sei uno di noi, sei parte del dodicesimo… anche il capitano Gates, per quanto mostri di non sopportarti, ti rispetta. E’ normale che siano preoccupati per te e disposti a tutto per salvarti la vita.-
Risponde stringendogli la mano e lo guarda aspettando che anche lui si decida a sollevare gli occhi. Lo fa poco dopo incatenando lo sguardo lucido al suo.
-Ho paura di te… di guardarti, come adesso. Ti guardo e vedo solo dolore per me e rabbia, ma non verso Dunn, sei arrabbiata con te stessa e questo non lo sopporto.-
Lei apre la bocca per rispondere, ma lui la ferma con un cenno della mano.
-Non ci riesco Kate… non posso andare a casa e parlare con Alexis e mia madre, non riuscirei a sopportare il dolore e la disperazione nel loro sguardo.-
China la testa per nasconderle le lacrime che stenta a fermare.
-Non posso, non ce la faccio…-
Lei gli mette la mano sul viso e lo costringe a guardarla.
-Hai ragione tu, io non ho nessun diritto di decidere quello che è meglio per Alexis.-
La interrompe stringendole la mano.
-Non volevo dire questo… cioè… non con quelle parole cariche di rabbia. Volevo sfogare la mia paura e l’ho fatto con te e… mi dispiace. Scusami!-
Lei scuote la testa.
-No, hai ragione, tu sei suo padre e tu hai il diritto di decidere cosa è bene e cosa no per lei.-
Lo guarda fisso per un paio di secondi e poi riporta lo sguardo verso l’orizzonte, cosa che fa anche lui.
-Non sono nemmeno un genitore, perciò posso solo immaginare che cosa stai provando. Però sono una figlia…-
Lui si gira a guardarla e lei stringe le labbra increspando la fronte.
-…ed è questo che vorrei da te, che mi ascoltassi un paio di minuti come ascolteresti tua figlia, poi potrai decidere per te e lei come credi.-
La rabbia provata nella sala riunioni è svanita, lasciando il posto ad una strana oppressione sul petto.
Lei gli prende entrambe le mani e si gira verso di lui, mettendosi quasi di fronte e incatena gli occhi ai suoi.
-Fai partire Alexis, la allontani da te, troviamo Dunn e tutto finisce bene senza che nessuno soffra. Ma… supponiamo che le cose non vadano così. Ipotizziamo che non riusciamo a trovare Dunn e l’antidoto in tempo e che succeda…-
Si ferma, deglutisce e chiude gli occhi, mentre lui resta immobile ad aspettare che li riapra.
-…pensi davvero che una telefonata improvvisa, magari in piena notte a mille miglia di distanza da qui, la farebbe soffrire di meno? Pensi davvero che farle prendere il primo aereo disponibile che la riporti a casa, passando otto… nove ore in volo a chiedersi cos’è successo e perché, sola con il suo dolore, la farebbe soffrire di meno?-
Gli occhi di Rick si riempiono ancora di lacrime e china la testa.
-Si chiederà perché le hai impedito di starti vicino, di aiutarti, di sorreggerti… è tua figlia Castle, ed è questo che deve fare una figlia. Si chiederà perché non l’hai fatta entrare nella tua vita e al dolore si unirà la rabbia per quello che è successo e per quello che tu stesso le hai tolto, la possibilità di essere accanto a te.-
Gli prende il viso tra le mani e gli asciuga le lacrime.
-Sarà già arrabbiata con me per quello che ti succede, non farle provare rabbia anche verso di te, perchè se io fossi tua figlia e tu mi allontanassi in un momento del genere, non te lo perdonerei mai… e non te lo perdonerebbe nemmeno Alexis…-
Rick scuote la testa tra le sue mani, bagnandole di quelle lacrime che aveva trattenuto fino a quel momento.
-Mi hai chiesto di essere lucida anche per te, ed è quello che sto facendo, so che non ti piace, ma è giusto così. Lo sai che ho ragione… la risposta è già dentro al tuo cuore e sai che è una sola: devi dirlo a tua figlia e a tua madre. Devi permettere loro di soffrire per te affrontando il dolore, non di essere piene di rabbia e di rancore verso di te…-
Rick si scosta da lei, il calore delle sue mani viene sostituito dal freddo reso ancora più pungente dalla scia umida lasciata dalle lacrime. Davanti a lui, il cielo si è dipinto di un tenue colore violaceo. Una massa di nuvole sta circondando gli ultimi raggi del sole, quasi completamente.
Kate gira lo sguardo verso la punta più alta dell’isola e sorride.
-Si vede ancora il cuore sospeso nel cielo?-
Chiede in un sussurro. Rick si sposta più indietro sul masso e le fa segno con la mano perché si sieda davanti a lui. Kate si posiziona tra le sue gambe e come la prima volta, il suo fiato s’infrange su di lei, lasciandola senza respiro.
-Riesci a vederlo?-
Le chiede alitandole sul collo e lei scuote la testa.
-Spostati di poco, verso destra… oltre quella nuvola.-
Lei obbedisce e subito dopo mostra un meraviglioso sorriso.
-Non è cambiato per niente, è sempre lì, sospeso tra cielo e terra ad aspettare che un bambino lo trovi. Questa è magia Castle, la magia della speranza… e mi hai insegnato tu a crederci.-
Appoggia la testa sulla sua spalla e lui si stringe a lei accostando il mento al suo viso.
-Quel giorno, quando mi hai mostrato il tuo cuore, io sapevo già che eri il mio cielo, ma non ero pronta…-
Scuote la testa e sospira.
-…ho perso tanto tempo Castle… abbiamo perso tanto tempo per colpa mia…-
-No, non è vero. Non ero pronto nemmeno io, sennò avrei trovato il modo di farti capitolare.-
Lei sorride.
-Ma davvero?!-
Lui annuisce sicuro.
-Davvero. Ci saremmo bruciati subito Kate e adesso forse non saremmo qui insieme…-
-…e tu non staresti rischiando la vita! Forse sarebbe stato meglio.-
-Non pensarlo neanche… non cambierei niente di noi due!-
Restano in silenzio ad ammirare quel miraggio che cambia colore con le sfumature di un tramonto che preannuncia pioggia, poi Kate si volta verso di lui, che la stringe tra le braccia.
-Rick, io…-
Lui scuote la testa d’improvviso sussurrando sulle sue labbra.
-No Kate… non dirlo! Qualunque cosa tu voglia dire, non farlo… non adesso…-
China lo sguardo mentre lei lo fissa con le labbra socchiuse.
-…non farlo solo perché credi di non avere modo di dirlo ancora. So per esperienza personale che non è poi una buona idea!-
Esclama alla fine facendola sorridere.
Gli mette la mano sul viso e poggia le labbra sulle sue. Le socchiude e costringe anche lui a farlo, si pizzicano le labbra a vicenda e alla fine lui le bacia la fronte.
-Tu vieni con me!?-
Le chiede poggiando il viso al suo e lei corruccia la fronte.
-A casa… devi starmi vicino ed aiutarmi a fare la cosa giusta.-
Kate annuisce e lo bacia sulla guancia.
-Certo che verrò con te, se è questo quello che vuoi e sarò irremovibile!-
Si baciano di nuovo a fior di labbra e lei si fa seria.
-Mi dai la tua lista delle cose da fare prima di morire?-
Lui corruccia la fronte e lei lo incita con gli occhi, prendendogli la penna che tiene nel taschino interno della giacca. Lui le dà il foglietto e Kate va dritta al numero quindici.
-Guidare la macchina di Beckett… depennato!-
Esclama dopo aver cancellato la scritta e Rick si mostra ancora più confuso.
-Perché fai quella faccia? Potevi depennarlo anni fa questo punto. Ti sei dimenticato che per portarmi qui, mi hai rubato le chiavi della macchina e hai guidato tu?-
-Ma questo non c’entra… tu non eri consapevole di quello che avrei fatto, ti ho presa alla sprovvista e…-
E’ costretto a fermarsi perché lei lo bacia di nuovo e lui sorride sospirando, proprio nell’istante in cui squilla il cellulare di Kate.
-E’ un messaggio del dottor Travis: non cominciamo bene… siete già in ritardo!
Legge le testuali parole e Rick sorride.
-Allora non facciamolo aspettare oltre.-
Si alza tendendole la mano, che lei afferra e stringe prontamente.
S’incamminano mano nella mano nel viaggio di ritorno della macchina del tempo, in silenzio.
Anni prima, mentre tornava indietro, dopo essere riuscita a liberare la sua anima, sentiva il cuore leggero, adesso, per quella stessa strada, sente soltanto il peso delle ore che corrono troppo in fretta.
Sente le lacrime salirle agli occhi, vorrebbe piangere e disperarsi, ma lui ha bisogno di lei e della sua forza, quella forza che ha sempre ostentato davanti a tutti, ma che all’interno del muro che circondava il suo cuore, era flebile come un alito di vento e che adesso è completamente senza nessuna corazza intorno.


Angolo di Rebecca:

Ebbene si, ho mandato Rick nell'unico posto a lui caro dove sentirsi al sicuro... il suo posto magico.
Spero di avere reso bene il luogo anche per chi non lo conosceva già, ma sono sicura che molte di voi lo avranno riconosciuto quasi subito :3
Se avete fatto caso, questo è il primo capitolo senza i pensieri finali e contorti di Scott Dunn, volevo fosse un momento solo dei nostri Caskett.
Questo capitolo è dedicato alle mie editor Vale ed Annalisa, che amano quel posto più di Castle stesso *-* (vai a capire perchè... Annalisa ha scelto il titolo come regalo per il suo compleanno :p) e poi è dedicato alla mia piccola Katia, che mi ha fatto un grande regalo: ha preparato la locandina della mia storia, se abitassi a Messina potrei dire: "cosi cu micciu" Katiuccia grazie *-* mommy è tanto contenta <3
e grazie a tutti per il vostro costante affetto :D

 
Non è fighissima?


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Capitolo 23
*** Luce e Tempesta ***







Capitolo 23
 
 

La spalliera del lettino, inclinata quasi a 90° gli dà la possibilità di stare praticamente seduto. Le pareti della stanza sono colorate di un tenue azzurro e non di quell’orribile bianco, accecante e antipatico, che caratterizza di solito gli ospedali. Non si trova nella saletta del pronto soccorso stavolta, ma nell’ambulatorio attiguo allo studio del dottor Travis.
Accanto a lui c’è un carrellino con provette, laccio emostatico ed una siringa che non promette niente di buono.
Grazie al cielo l’ago non sembra essere proporzionale alla sua grandezza.
Sposta lo sguardo, pensando a quanto sia stupido avere paura degli aghi, specie quando una tossina velenosa lo sta portando lentamente alla morte, ma è più forte di lui.
Ferma lo sguardo sulle due stampe attaccate alla parete di fronte. Raffigurano entrambe l’oceano, ma con due prospettive  diverse. Nella prima, l’immensa distesa d’acqua è baciata da uno splendido tramonto, nella seconda è scossa da una vera e propria tempesta.
Chiude gli occhi e poggia la testa al cuscino, pensando che quelle due stampe sono l’esatta raffigurazione della sua anima in quel momento.
Pensa alla sua famiglia, a Kate, a quello che potrebbe finalmente costruire con lei e sente il tramonto invadergli il cuore. Poi pensa alla situazione attuale, ai sogni che aveva ancora quella stessa mattina, infranti nelle pagine scritte da Scott Dunn, pensa a come poter guardare sua madre e sua figlia negli occhi e non sentirsi perdere nel nulla e la tempesta gli stravolge il cuore.
Poco prima lui e Kate hanno percorso quel tratto di boscaglia che li ha riportati alla realtà, mano nella mano. Senza dire una parola o guardarsi, solo stringendosi le mani, come se la stretta dell’altro potesse trovare soluzione a tutto. Anche in macchina non hanno parlato, non c’era nient’altro da dire, solo trovare Scott Dunn.
E’ seduto su quel lettino da un paio di minuti, Kate dovrebbe essere fuori dalla porta e non riesce a capire perché il dottor Travis non l’abbia lasciata entrare. Lo sente armeggiare con qualcosa nella stanza accanto. Riapre gli occhi e guarda ancora le due anime disegnate nelle stampe davanti a lui, mentre il medico gli si avvicina mettendogli il laccio emostatico al di sopra del gomito sinistro.
-Come si è sentito in queste ore?-
Gli chiede mentre stringe il laccio di lattice e batte le dita sul braccio per fare evidenziare la vena.
-Bene, non ho avuto nessun dolore, mi sento solo un po’ stanco.-
Il dottor Travis prende la siringa, l’avvicina al suo braccio e poggia l’ago sulla vena.
Contrariamente a quanto era successo le poche volte che ha fatto un prelievo, non distoglie lo sguardo e posa gli occhi sull’ago che penetra nella sua carne. Il medico toglie il laccio emostatico e lentamente tira lo stantuffo della siringa, facendo risalire il sangue dall’ago all’interno di essa.
E’ riuscito a guardare, non ha sentito nemmeno dolore quando l’ago è entrato. Che sensazione strana guardare quel liquido rosso scuro risalire fino quasi a riempire completamente la siringa e pensare che lì dentro c’è la sua vita che se ne sta andando lentamente.
Un pezzetto di garza sterile copre l’ago che esce lentamente dal suo braccio, chiude gli occhi e deglutisce.
-Tutto bene?-
Gli chiede Ben, pensando che avesse avuto un capogiro per il prelievo e lui annuisce.
-Sto solo pensando che se intende togliermi questa quantità di sangue ogni volta, non sarà il veleno ad uccidermi!-
Il dottor Travis sorride, coprendo l’ago con il cappuccio sterile nello stesso istante in cui qualcuno bussa alla porta. Rick  s’illumina un attimo pensando fosse Kate, ma sospira quando entra la dottoressa Dobbson.
Il dottor Travis nota la sua espressione accigliata e non può fare a meno di scuotere la testa.
-Si è fermata qui fuori a parlare con Lanie.-
Castle non risponde, non si sorprende nemmeno che il  medico lo abbia sgamato così facilmente.
-La dottoressa Dobbson manderà dei campioni anche all’istituto di tossicologia, loro sono più addentrati nel campo, magari sono più bravi di noi…-
Lascia la frase in sospeso scambiandosi uno sguardo d’intesa con Claire, che prende la siringa.
-Ha avuto bisogno della medicina che le ha dato Ben? Mi serve saperlo per regolarmi con i risultati.-
Lo chiede con un tono talmente dolce, che lui non può fare a meno di sorriderle.
-No, finora sono stato bene.-
Lei annuisce e si tira su gli occhiali con il dito, cosa che fa ogni volta che si sente in imbarazzo, questo ormai è un indizio certo.
-Bene, allora ci vediamo tra qualche ora signor Castle.-
Lo saluta con un sorriso e rivolge lo sguardo al collega, che le fa un cenno di saluto con la testa. Lei si schiarisce la voce in maniera impercettibile e si sistema, ancora una volta senza motivo, gli occhiali, per poi praticamente correre verso la porta, tanto velocemente che non la chiude nemmeno.
Castle solleva un sopracciglio quando nota il dottor Travis fermo a guardare l’uscita ormai vuota.
Altro indizio!
-E’ una ragazza in gamba, sono in buone mani!-
Esclama continuando a guardarlo mentre ammira la porta vuota come inebetito. Finalmente lo vede riscuotersi, prende un cerotto dal carrello e gli medica il braccio.
-Ed è anche molto carina…-
Il dottor Travis solleva finalmente lo sguardo su di lui, con l’espressione corrucciata.
-Anzi… direi che è proprio una bella donna, ha degli occhi splendidi dietro quegli occhialini!-
Ben lo guarda spaesato.
-Chi?-
-Come chi? La dottoressa Dobbson!-
Risponde Rick serio.
-Non mi dica che non ha notato che è una bella donna!-
Esclama allibito, ridendo dentro di sé per l’espressione sempre più confusa del medico.
-C…certo che l’ho notato… cioè… ehm…-
Corruccia la fronte quando Castle solleva entrambe le sopracciglia.
-Una donna bella e anche intelligente è davvero difficile da trovare e quando succede è una fortuna!-
-Che cosa c’entra adesso?-
Rick rincara la dose eludendo la domanda.
-E poi la trovo deliziosa quando si aggiusta gli occhiali sul naso, imbarazzata per qualcosa… chissà per cosa!?-
Ben sorride guardando ancora la porta.
-Si… è deliziosa…-
Sussurra inconsapevolmente, Rick si morde il labbro divertito e improvvisamente il dottor Travis si passa un dito sul bordo della maglietta, come se gli mancasse l’aria.
-Cr…credo sia una sua fan e che abbia sempre sognato d’incontrarla, suppongo sia dispiaciuta che sia successo in un momento come questo!-
Esclama tutto d’un fiato, fiero di se stesso e della risposta quasi pronta.
-Beh, sono lusingato… anche se non credo che il suo rossore improvviso sia opera mia.-
Il dottor Travis smette di auto complimentarsi, scontrandosi miseramente con il suo fallimento.
Ma come sono arrivati da una provetta piena di sangue, al fatto che Claire è deliziosa?
-E per chi allora? E poi… ehm… co… cosa c’entra questo con noi?-
Castle si mette seduto, ruota le gambe mettendole a penzoloni sul lettino e si sistema la manica della camicia.
-Con noi niente… almeno non con me, io ho già una donna intelligente, bella ed adorabile… e me la tengo stretta!-
Dice vedendo Kate fare capolino dalla porta socchiusa.
-Scusate, la dottoressa Dobbson ha detto che potevo entrare.-
Guarda Castle e gli sorride, corrucciando la fronte quando nota la faccia strana del medico.
-Qualcosa non va dottor Travis?-
L’uomo scuote la testa, grato a Beckett di aver messo fine a quel discorso, non riuscendo ancora a capacitarsi del come sia venuto fuori.
-Tutto bene… dovrebbe restare ancora un po’ disteso, gli ho prelevato una bella dose di sangue.-
Rick guarda Kate e torna al presente.
-Ho una cosa importante da fare dottore… e devo farla subito, prima che mi prenda il panico.-
Il dottor Travis non ribatte, lo aiuta ad alzarsi e ad infilarsi la giacca.
-Prenda almeno un succo zuccherato e qualcosa da mangiare, ci vediamo tra quattro ore.-
Si avviano per il corridoio in silenzio per qualche secondo, fino a quando Castle sospira.
-Hai parlato con Lanie?-
-Sono ad un punto morto!-
Sussurra Kate annuendo e guardando in lontananza l’uscita.
-Non riesce ad essere ottimista nemmeno lei, eh!?-
Lei scuote la testa senza rispondere.
-Il dottor Travis è innamorato come una pera cotta.-
Esordisce all’improvviso cambiando discorso e lei si gira a guardarlo con una smorfia.
-Anche la dottoressa Dobbson è innamorata come una pera cotta.-
Lui sorride.
-Ah, te ne sei accorta anche tu… non ti ricordano nessuno?-
Kate solleva le spalle, mordendosi le labbra.
-Chi dovrebbero ricordarmi? Aspetta un momento…-
Gli dice fermandolo per un braccio.
-Per questo aveva la faccia paonazza quando sono entrata? Dimmi che non hai fatto quello penso!-
Lui si stringe nelle spalle.
-Io ho espresso solo un’opinione ad alta voce, ho detto che la dottoressa Dobbson è carina e lui è d’accordo!-
Kate stringe le labbra in segno di rimprovero.
-Castle! Ma non lasci in pace proprio nessuno!?-
Lui la guarda ridendo.
-Che c’è? Tra tontoloni ci s’intende…-
Si mette le mani in tasca e si avvia all’uscita senza aspettarla, mente lei scuote la testa e lo segue, sperando che questa sua capacità di tornare immediatamente positivo, possa aiutarlo ad avere ancora fiducia in lei… in loro…
 
 
-E’ assolutamente impossibile che lei possa entrare, signora!-
Per l’ennesima volta Alfred, un uomo sull’ottantina, dritto come un manico di scopa dentro la camicia inamidata, la cravatta perfettamente annodata e magro da far pensare che un colpo di vento possa farlo arrivare in Alaska, ripete la stessa frase ad un capitano Gates piuttosto alterata. Senza contare il fatto che continua a chiamarla ‘signora’…
-Quindi, se ho capito bene, viste le poche volte che lo ha ripetuto, è impossibile che io possa entrare!-
Chiede lei con un sorriso affabile e l’uomo annuisce serio.
-Nessun essere umano di sesso femminile è mai entrato in questo posto da quando è stato fondato nel lontano 1924 da sir Roger Dempsey.
Risponde l’uomo con orgoglio, inchinandosi quando pronuncia il nome dell’esimio fondatore, mostrando il ritratto sopra la sua testa.
La Gates guarda l’uomo del quadro e sospira, nel 1924 e con quella faccia si poteva anche capire, ma nel 2013 è inaudito.
-Mi scusi per averla disturbata…-
Dice sorridendo e l’uomo le fa un inchino, felice che la donna si sia finalmente convinta ad andarsene e, mostrandole con la mano l’uscita, la precede elegantemente alla porta. Si sposta per lasciarla uscire, ma lei ha già spalancato la porta della grande sala dietro le sue spalle.
Ad Alfred viene il panico, si muove il più velocemente possibile, data l’età, verso la sala per cercare di fermarla, ma lei sta già urlando nella pace degli uomini più importanti ed influenti della città.
-Sono il capitano Gates della polizia di New York. Chi di voi è il giudice Crowford?-
Alfred la prende per le braccia tra il mormorio dei presenti, allibiti per quella donna nel club. Lei sospira pensando che se lo strattonasse lo manderebbe in ospedale, così prende una delle sue mani, la allontana con cura e lo fulmina con lo sguardo.
-Se non mi toglie di dosso anche l’altra mano le faccio male Alfred.-
L’uomo la lascia all’istante e lei si volta a guardare uno per uno quegli uomini pomposi in giacca e cravatta, dentro una stanza piena di fumo di sigaro e pipa, che si divertono a giocare a poker e a sentirsi, per un paio d’ore, i padroni delle loro vite e non schiavi delle donne che li comandano.
Scuote la testa.
-Mi serve un mandato che può firmare soltanto il giudice Crowford per accedere a delle informazioni federali e mi serve adesso.-
Il brusio aumenta e uno di loro si alza stizzito.
-Sono io il giudice Crowford  e lei, chiunque sia, non ha il diritto di stare qui.-
Eccolo lì, una mummia più giovane di Alfred, ma sempre una mummia.
-Perché lo dice la legge, o perché lo dicono le regole di questo… posto!-
Dice lei stringendo le labbra sempre più nervosa.
-E’ la regola della casa, signora.-
Lei solleva gli occhi al cielo.
-Signora sarà sua moglie signor giudice, io sono un capitano di polizia…-
-…e si sta rivolgendo ad un giudice in maniera irriverente! Esca subito!-
La Gates si mette le mani ai fianchi.
-Giudice Crowford, abbiamo ragione di credere che un killer che dovrebbe essere rinchiuso in una prigione federale, sia invece evaso… dalla sua scheda sembra sia morto, invece è libero di uccidere e dobbiamo fare chiarezza subito, per capire come ha fatto ad evadere e se qualcuno lo ha aiutato dall’interno… lo capisce anche lei che è una faccenda che scotta?-
Il giudice la guarda con sfida.
-Lo capisco benissimo, ma lei non ha nessun diritto di entrare qui dentro, è uno scandalo! Esca subito e si presenti domani nel mio ufficio, oggi non lavoro.-
Il capitano Gates gli prende le carte da poker dalle mani e le getta a forza sul tavolo.
-Quest’uomo ha ucciso tre donne in tre giorni  ed è già pronto ad uccidere ancora… questo è lo scandalo signor giudice. Non posso aspettare domani, perché domani la sua prossima vittima sarà già morta, quindi per me lei oggi… lavora!-
Prende dalla borsa il mandato e lo sbatte sul tavolo, porgendo una penna al giudice.
-Io non mi muovo da qui finchè non mette una firma… pensi, prima lo fa, prima me ne vado, così voi maschietti potrete cercare di dimenticare lo scandalo e tornare a giocare!-
Conclude con una smorfia sulle labbra.
Il giudice è paonazzo, prende la penna dalle mani della Gates con rabbia e scarabocchia una sigla in calce al mandato, lo ripiega e glielo restituisce, quasi sbattendoglielo in faccia.
-Ed ora fuori di qui… mi ricorderò di lei capitano Tates.-
Lei si avvicina sorridendo.
-Gates, capitano Victoria Gates, 12th distretto, squadra omicidi, nel caso le servisse…-
Si volta sui tacchi, prende l’uscita e senza voltarsi solleva la mano sibilando tra i denti.
-Buon divertimento maschilisti mummificati!-
Esce in strada accompagnata da Alfred che le fa un cenno di saluto disgustato, si avvia alla macchina e sorride soddisfatta.
Non era poi così difficile. Il signor Castle si sarebbe divertito come un matto, dicendo che avrebbe scritto una scena del genere nel suo nuovo romanzo ed io lo avrei fulminato…
Blocca i suoi pensieri, il sorriso le si spegne di colpo e abbassa gli occhi sul mandato sospirando.
-Non ci arrenderemo… faremo in modo che la scriva questa scena…-
Prende il telefono e chiama il distretto.
-Esposito, ho il mandato!-
 
 
Hanno lasciato l’ospedale da circa cinque minuti, il traffico scorre abbastanza regolarmente e sarebbero arrivati al loft in poco tempo.
Il tragitto procede silenzioso, Rick non riesce a stare fermo, si muove di continuo sul sedile che ha l’aria di essere diventato   un tappeto di spine.
Kate lo guarda sott’occhio, lo vede stringere la mano sulla cintura di sicurezza e sollevarla, per sistemarla meglio, come se si sentisse soffocare da una stretta troppo potente.
Un semaforo rosso la costringe a fermarsi e approfitta per mettere la mano su quella che lui tiene ancorata al ginocchio,  facendolo sussultare. Gira lo sguardo verso di lei e quando incontra i suoi occhi, sospira chinando la testa.
Lascia la stretta al ginocchio e attorciglia le dita alle sue.
-Lo so che sarà difficile… ma va fatto!-
Sussurra lei e lui annuisce. Il semaforo scatta mostrando il verde e lei gli lascia la mano per ingranare la prima e partire.
-La prenderà male, l’altra sera era preoccupata per me, ed io ho cercato di farle capire che non ero in pericolo… e adesso… l’ultima cosa che voglio è che possa…-
Kate lo interrompe scuotendo la testa.
-…che possa prendersela con me? Avrebbe tutte le ragioni. Tu sei in pericolo perché lavori al mio fianco!-
Stringe le labbra mentre mette la freccia e svolta a destra.
-Lo sai anche tu che è così…-
Lui scuote la testa proprio nel momento in cui lei parcheggia sotto il loft.
Apre lo sportello e scende di corsa, richiudendolo con rabbia. Anche Rick scende dall’auto, restando appoggiato allo sportello aperto con gli occhi fissi su di lei che gli dà le spalle. La vede respirare a pieni polmoni lasciando che il freddo gelido le entri nelle ossa. Guarda il cielo, diventato scuro improvvisamente per dei nuvoloni che non promettono nulla di buono. Chiude gli occhi e sente le lacrime gelarsi sul viso. Le asciuga con forza, passandosi le mani sulle guance un paio di volte, ricacciando indietro le altre pronte ad uscire, fino a che le braccia di Rick la stringono alle spalle. Appoggia il viso al suo e lei si lascia andare, voltando di poco la testa verso di lui.
-Non è colpa tua…-
Le sussurra dolcemente all’orecchio, lei scuote la testa e deglutisce per impedirsi di piangere.
-Lo è invece… ma non è una cosa a cui deve pensare adesso il poliziotto Beckett, giusto? Tua figlia mi odierà, con ragione, ed io dovrò sopportarlo, ma non è questo l’importante. La cosa importante invece è che voi parliate… adesso.-
Si stacca da lui, gli prende la mano ed in silenzio si avviano al portone.
 
 
Riprese la strada di casa accompagnato, nella sua passeggiata calma e riflessiva, da nuvole grigie che avevano scurito il cielo prima del tempo.
Assaporò nella mente il ricordo della paura sul viso dello scrittore, la sua espressione confusa dopo essere rimasto immobile, per un paio di secondi, a guardare il taxi allontanarsi da lui. La mascella tesa e la testa bassa, mentre con le mani in tasca, si avviava verso il nulla.
Lui era uscito di corsa. Da solo.
Lei era rimasta al distretto, a guardare la strada con le mani appoggiate alla finestra. Da sola.
Sorrise, assaporando la loro solitudine…
Aveva amato Nikki sin dall’inizio, perché era come lui. Sola.
Pronta a proteggersi da sola.
Pronta a combattere da sola.
Pronta a fare affidamento solo sulle sue forze e sul suo cervello.
Insieme avrebbero fatto scintille.
Nessuna debolezza.
Invece lei si era rivelata debole, come tutti.
Lo aveva dimostrato rifiutando le sue attenzioni, ritenendo i suoi regali soltanto degli inutili omicidi, trattandolo come un assassino qualsiasi e non come l’artista della morte.
Lo aveva dimostrato in quei quattro mesi in cui lui l’aveva tenuta d’occhio e seguita da lontano, vedendo nascere quello che lei credeva sentimento per lo scrittore, senza rendersi conto invece, di essersi messa al collo un cappio che distrugge la libertà di essere se stessi.
Scosse la testa, continuando a camminare in quel pomeriggio nuvoloso, incurante del freddo pungente che rifletteva la pioggia che si sarebbe scatenata di lì a poco.
In poche ore erano già lontani… lontani anni luce l’uno dal cuore dell’altra.
Lui da una parte, arrabbiato per la sua sorte, lei dall’altra, colpevole per quello che le accadeva intorno…
Nonostante il semaforo all’incrocio desse il via libera ai pedoni, lui si fermò sollevando gli occhi al cielo e sorridendo alle nuvole, sempre più nere.
Respirò a pieni polmoni e, guardando prima a destra e poi a sinistra, attraversò la strada tranquillo, pensando alla solitudine.
Quella solitudine che lui amava.
Quella solitudine che  un tempo, anche lei apprezzava.
Quella solitudine che, in passato la faceva tornare a casa tranquilla con se stessa.
Quella stessa solitudine, che adesso, le avrebbe tolto il fiato e le forze, conducendola tra le sue braccia…


Angolo di Rebecca:

Riccardone ha fatto il prelievo senza paura e da qui scopriamo degli indizi.
Sembra che ci troviamo di fronte ad altri due tontoloni *-*
Chi meglio dei tontoloni per eccellenza poteva capirlo :p
Non pensate che il capitano Victoria Gates, squadra omicidi, 12th distretto (in caso dovesse servire) meriti un hip hip urrà?!
Kate è consapevole che questa storia sarà catastrofica per il suo rapporto con Alexis... e che altro!???
Oh si... è tornato Dunn... ma che caruccio che è. Mi era mancato O.o


Un grazie di cuore ad ognuna di voi, il vostro affetto fa bene al cuore <3

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Capitolo 24
*** Colpa ***




 


Capitolo 24
 

 
L’ascensore non gli è mai sembrato così claustrofobico.
Man mano che il pannello dei numeri s’illumina verso l’alto, sente una stretta allo stomaco che gli toglie il respiro. Cerca di fare mente locale per riuscire a capire se ha mai affrontato niente di più difficile in tutta la sua vita, ma il cervello non riesce a concentrarsi per dargli una risposta positiva. Il silenzio li ha avvolti d’improvviso e anche Kate sembra persa nei suoi pensieri, con le labbra strette e gli occhi bassi.
Tende di poco il braccio ed apre la mano, senza voltarsi o spostare lo sguardo, fisso sui piani che scorrono veloci. Kate si riscuote e, senza guardarlo nemmeno lei, intreccia le dita alle sue. Solo allora lui sospira, come a voler rilassare i muscoli e la tensione nervosa.
Il campanello li sorprende mano nella mano. Si guardano per un istante, in cui lei gli fa un cenno impercettibile con la testa per dirgli, ancora una volta, che è la cosa giusta da fare e si avviano alla porta.
Quando la apre, si ritrova immerso in quell’atmosfera intima e familiare che ama. Ogni volta che torna a casa e vede la testa rossa della sua zucca si sente scaldare il cuore, in quel momento invece, il suo cuore è un cuscinetto punta spilli.
C’è roba sparsa un po’ ovunque e gli viene da sorridere, Alexis è così impegnata a cercare di chiudere una valigia troppo piena che non si accorge di loro.
-Oh… finalmente avete trovato un minuto anche per noi!-
Esclama Martha dalla cucina, solo allora Alexis solleva la testa e sorride.
-Papà! Finalmente!-
Lascia perdere la valigia, che si riapre di colpo lasciando uscire il superfluo e va loro incontro.
-Oggi non ci siamo sentiti per niente. So che avrei dovuto chiamarti, ma ho avuto una marea di cose da fare e poi ho un problema con il telefono, è come se fosse fuori servizio. Ho cercato di chiamare il gestore, ma non ho linea completamente e…-
Si ferma all’improvviso quando si accorge del cerotto sulla sua fronte, cosa che nota anche Martha.
-Richard, cos’hai fatto alla testa?-
Alexis si avvicina sfiorando il cerotto con un dito, gli solleva i capelli e nota anche la parte violacea intorno.
-Papà cosa ti è successo?-
Lui le prende la mano e gliela bacia.
-Non è niente, solo un paio di punti.-
-Va bene, ti hanno dato solo un paio di punti, ma perché? Sei caduto? Hai sbattuto contro qualcosa?-
Lui scuote la testa e si avvicina al divano chiedendo loro tacitamente di sedersi.
-Ha a che fare con il caso che stiamo seguendo.-
-Ti sei messo in mezzo ad un’azione di polizia e questo è il risultato!-
Esclama Martha interrompendolo e lui sbuffa.
-Ti prego mamma, se m’interrompi non lo dirò mai… è già così difficile!-
Alexis guarda Kate, rimasta in disparte e poi torna su Rick.
-Cosa è difficile papà?-
Castle si porta le mani ai capelli e fa un paio di passi avanti e indietro cercando di mantenere la calma. Sente le mani tremare e la testa vuota. Per quanto si sforzi non riesce a trovare il modo di dire quello che gli sta succedendo.
-Tutto… è tutto così difficile… così insensato…-
Continua a gesticolare con le mani, mentre Alexis e Martha lo guardano a bocca aperta, sempre più preoccupate. Sente un tocco sulle spalle, si volta e si ritrova la mano di Kate sul viso.
Non gli dice niente, lo guarda soltanto. Punta gli occhi dentro i suoi e lui sospira, poggiando la fronte sulla sua.
Alexis prende istintivamente la mano della nonna, percependo una strana sensazione allo stomaco.
-Papà, Kate… che sta succedendo? Così ci spaventate… che dobbiamo sapere di così terribile?-
Sussurra con un nodo in gola. Kate continua a guardarlo e lui annuisce, si siede sul divano accanto ad Alexis e le prende la mano che tiene stretta a quella di Martha.
-Vi ricordate l’uomo che ha fatto saltare in aria l’appartamento di Beckett qualche anno fa?-
Le due rosse annuiscono entrambe e Alexis guarda Kate.
-Scott Dunn!?-
-Ti ricordi perfino il nome?-
Le chiede Rick e lei annuisce.
-E chi se lo dimentica. Quella sera eri seduto qui a guardare le foto e se non ti fosse venuta quella folgorazione sul fatto che era mancino, ora lei sarebbe morta.-
Dice facendo un cenno verso Kate, lui annuisce e Alexis si sporge in avanti sul divano.
-Ma cosa c’entra questo con il caso e la ferita che hai alla testa? Quell’uomo è in prigione!-
Castle scuote la testa e china lo sguardo.
-Non sappiamo ancora come, ma è riuscito ad evadere e ha ricominciato ad uccidere…-
Solleva lo sguardo su Kate e sospira.
-…ancora nel nome di Nikki Heat e di quel maledetto libro!-
Dice in un sibilo tra i denti. Alexis s’irrigidisce e Martha si porta la mano alla bocca sgranando gli occhi.
-E’ tornato per vendicarsi? E’ questo che stai cercando di dire Richard? Che la ferita alla testa è opera sua?-
Rick deglutisce annuendo.
-Ha assassinato quelle ragazze per sfidarci, sia me che Beckett. Erano dei messaggi diretti a noi.-
Le due donne aspettano immobili ed in silenzio che continui, percependo la tempesta che sta per abbattersi su di loro.
-Stamattina, mentre eravamo sul luogo dell’ultimo omicidio, mi è arrivato un tuo messaggio.-
Dice rivolto alla figlia che scuote la testa energicamente.
-Io non ti ho mandato nessun messaggio!-
Lui la ferma alzando la mano.
-Nel messaggio mi chiedevi di raggiungerti al più presto alla Columbia, perché mancava una mia firma nei documenti necessari per la tua partenza. Ho lasciato Kate a continuare le indagini ed ho preso un taxi per venire da te…-
Sospira pesantemente passando lo sguardo da Martha ad Alexis.
-…ma era una trappola di Dunn. Una volta sul taxi, mi ha portato in un posto isolato e mi ha aggredito iniettandomi della droga e colpendomi alla testa.-
-Oh buon Dio, Richard!-
Esclama Martha soffocando un urlo e Alexis corruccia la fronte.
-Il messaggio l’ha mandato lui? Come!?-
Chiede piano quasi a se stessa e poi sgrana gli occhi.
-Ha clonato il mio numero?-
Castle annuisce, constatando per l’ennesima volta quanto possa essere sveglia sua figlia e a come anche lei abbia il piglio investigativo.
-Per questo non riesci ad usare il telefono, Ryan ha provveduto a fare disattivare la tua sim, per non avere altri problemi.-
-Ma come ha fatto? Come sapeva della Columbia e del mio viaggio? Ci tiene d’occhio, siamo in pericolo papà? E’ questo che ti è  difficile dirci?-
Lui scuote la testa e le stringe ancora le mani.
-Siete sotto sorveglianza da stamattina, voi non siete in pericolo… tranquille!-
-Allora se noi siamo al sicuro cosa c’è di così difficile che devi dirci? La ferita alla testa è più grave di quanto dici?-
Alexis sente salire le lacrime agli occhi senza spiegarsi il perché, sa solo che ha una gran voglia di piangere senza motivo e lui si sente sprofondare.
-Il problema non è la ferita. Dalle analisi che mi hanno fatto in ospedale, hanno scoperto che oltre alla droga mi ha iniettato un’altra sostanza…-
Le guarda dritte negli occhi mentre si sente pugnalare dal loro sguardo.
-…mi ha avvelenato!-
Sussurra così piano che ha paura di non essere riuscito a farsi sentire, ma si rende conto del contrario quando entrambe irrigidiscono la stretta alle sue mani e spalancano la bocca incredule.
-E’… è una cosa assurda!-
Esclama Martha sgranando gli occhi.
-Che vuol dire che ti ha avvelenato? Con cosa? E perché?-
-Sta giocando mamma. Sta sfidando Nikki e l’uomo che l’ha aiutata ad arrestarlo.-
Alexis stringe la mascella e guarda Kate, rimasta in silenzio, in piedi accanto a loro.
-Sta giocando! Lui sta giocando con la tua vita papà? Che tipo di veleno è? Che cura ti stanno facendo?-
Non le ha lasciato le mani un solo istante da quando ha cominciato a raccontare e adesso gliele stringe ancora più forte.
-E’ una tossina sconosciuta, probabilmente studiata in un laboratorio, che agisce in maniera lenta e per avere una cura occorre conoscere la formula esatta della composizione.-
-Che significa questo Richard!?-
Chiede Martha passandosi la mano sulla fronte.
-Significa che potrebbero volerci settimane per trovare la formula esatta e fare l’antidoto!-
Risponde secca Alexis mentre Rick la guarda a bocca aperta.
-Perché ti stupisci papà? I tuoi soldi per i miei studi sono ben spesi, le lezioni di chimica e il mio tirocinio all’obitorio sono stati preziosi. E’ così, giusto? Cercheranno di trovare una cura, ma ci vorrà del tempo… e di solito i veleni non ne lasciano molto!-
Conclude sussurrando e posando lo sguardo a terra.
-Scott Dunn ha il veleno allo stato puro, l’intero distretto lo sta cercando, lo troveremo e avremo l’antidoto.-
Le dice Rick cercando di essere convincente soprattutto con se stesso, ma lei alza lo sguardo di colpo guardandolo dritto negli occhi.
-La tua vita dipende da una caccia al tesoro? Hai detto che agisce lentamente. Quanto lentamente? Quanto tempo avete per dargli la caccia?-
Ecco la domanda a cui non poteva e non voleva rispondere. Guarda Kate per farsi coraggio, uno sguardo che non sfugge né a Martha, né ad Alexis, che digrigna ancora la mascella.
-Un paio di giorni circa…-
Dice alla fine Rick, stanco di quella discussione, provato dalla paura che vede negli occhi di sua madre e della rabbia che si sta impossessando di sua figlia.
-Un paio di giorni?-
Ripete Martha lentamente.
-Vuoi dire che se non trovate questo pazzo criminale entro un paio di giorni…-
-Sto morendo mamma!-
Sussurra Rick chiudendo gli occhi, incredulo di averlo detto davvero.
Martha resta pietrificata, mentre Alexis lo guarda con l’espressione dura e gli occhi pieni di lacrime.
-Com’è potuto succedere?-
Sposta lo sguardo su Kate con la stessa espressione.
-Come hai potuto permettere che si arrivasse a questo?-
-Calmati Alexis!-
La implora Rick, ma lei lascia le sue mani di scatto e si alza in piedi.
-Hai promesso che non ti saresti mai messo in pericolo… me lo avevi promesso papà…-
Castle deglutisce, cercando di non dar retta alla fitta che gli sta stritolando lo stomaco. 
-…hai detto che Beckett non avrebbe permesso che tu fossi in pericolo.-
Guarda ancora Kate con gli occhi infuocati, stringendo i pugni.
Eccola la rabbia che si aspettava, quella rabbia che avrebbe distrutto definitivamente la poca fiducia che Alexis dimostrava ancora per lei.
-Dov’eri tu quando è successo? Dove diavolo eri tu, quando quel pazzo lo ha rapito!?-
Rick si alza con difficoltà, cerca di prenderle la mano, ma lei si divincola.
-Non toccarmi papà… non mi toccare!-
Guarda ancora Kate e le lacrime si liberano sul suo viso.
-Dov’eri tu quando dovevi proteggerlo!? Non c’eri, come ogni volta che ha avuto bisogno di te…-
Grida con la voce incrinata dai singhiozzi, per poi correre nella sua stanza sbattendo la porta.
Rick si china in avanti portandosi la mano allo stomaco, le fitte sono più forti, Martha lo aiuta a sedersi sul divano con gli occhi sbarrati dalla paura e Kate s’inginocchia davanti a lui.
-Prendo la medicina in macchina!-
Gli dice accarezzandogli il viso, ma lui scuote la testa.
-Non credo sia il veleno, penso più ad un attacco di bile.-
Dice chiudendo gli occhi e respirando a fatica, mentre Martha corre in cucina a prendere un bicchiere d’acqua. Lui la beve avidamente e si lascia andare sulla spalliera del divano. Respira freneticamente davanti a sua madre che non riesce a proferire parola e ha lo sguardo sempre più terrorizzato.
-Devo parlarle…-
Comincia a dire facendo la mossa di volersi alzare, ma Kate gli mette una mano sul petto per fermarlo.
-Permetti che lo faccia io?-
I suoi occhi sono determinati e Rick non crede di essere capace di sopportare una discussione con Alexis immediatamente, così non può fare a meno di annuire, guardando sua madre.
-Anche tu vuoi scappare via per il dolore che vi sto procurando?-
Martha si siede accanto a lui e gli prende il viso tra le mani.
-E’ scioccata quanto me Richard! E’ normale che reagisca così, ha paura! Va da lei Kate… io resto qui a fare quattro chiacchiere con mio figlio.-
Esclama la donna con le lacrime agli occhi.
 
Beckett sale i gradini con calma, ogni passo che l’avvicina alla stanza di Alexis è come un macigno che si deposita sul suo cuore. Ha sbattuto la porta così forte che è rimasta socchiusa per il rimbalzo. La intravede dalla fessura, seduta sul letto, con le spalle ricurve.
Sospira. Apre completamente la porta e resta a guardarla ancora un attimo. Capisce che Alexis si è accorta di lei, perché la vede irrigidirsi e smettere di singhiozzare.
-Lo so che ce l’hai con me…-
Le dice facendo un paio di passi dentro la stanza e lei solleva la testa senza voltarsi.
-Sai sempre tutto tu, non è vero?-
Risponde tra i denti, solo allora si gira a guardarla.
-E tu? Tu ce l’hai con te? O la cosa non ti tocca?-
La voce di Alexis è una lama affilata che la trafigge, corruga la fronte per cercare di mettere insieme i sentimenti che prova al momento ed esternarli a lei, perché capisca che ora deve pensare solo a suo padre.
-Certo che mi sento in colpa. So benissimo che se tuo padre non mi avesse mai incontrata ora non sarebbe in pericolo, ma so anche che farmi sopraffare da questo non lo aiuterà.-
Alexis scuote la testa e riporta lo sguardo davanti a sé, voltandole di nuovo le spalle.
-Quando stamattina il medico ci ha detto cosa stava succedendo, ho perso la capacità di pensare, la razionalità di agire e lui se n’è accorto subito e sai cos’ha fatto?-
Percorre velocemente il metro di distanza che la separa dalla ragazza e le si mette davanti, anche se Alexis non alza lo sguardo verso di lei.
-Mi ha detto che il mio sentirmi in colpa non gli serviva a niente. Mi ha detto che la Kate disperata non gli serviva a niente. Mi ha detto che aveva bisogno di un poliziotto in gamba che trovasse Dunn e gli salvasse la vita.-
Alexis si tortura le mani e respira velocemente cercando di mantenere la calma.
-Già! Ha messo di nuovo la sua vita nelle tue mani…-
Risponde carica di rabbia, ed ecco che la lama affonda con più forza. Sospira e si siede sul letto accanto a lei.
-Hai tutte le ragioni di avercela con me, di darmi la colpa… solo non è il momento. Non voleva nemmeno dirtelo, voleva che  partissi per l’Europa senza che sapessi nulla per non vederti soffrire.-
Alexis finalmente si gira a guardarla.
-Lo avrebbe fatto davvero? Mi avrebbe fatta partire?-
-Non voleva vedere il dolore e la rabbia nei tuoi occhi. Non vuole che tu lo veda soffrire o…-
Chiude gli occhi sollevando la testa all’indietro, come se questo movimento potesse impedire alle lacrime di uscire.
-…o che tu lo veda morire!-
Finisce in un sussurro. Si gira a guardarla anche lei e resta persa in quelle iridi dello stesso colore azzurro del suo cielo.
-Alexis, qualunque cosa tra me e te dovrà aspettare. Adesso Rick ha bisogno di te, del tuo affetto e del tuo sostegno. La rabbia, la frustrazione, l’odio… tienili da parte per quando questa storia sarà finita!-
La ragazza scuote la testa.
-E come finirà?-
Gli occhi le si riempiono di lacrime, mentre continua a tormentarsi le mani.
-Un paio di giorni! A mio padre restano poco più di un paio di giorni di vita… come finirà?-
Kate china la testa sospirando.
-Non lo so!-
Risponde in un sussurro e ad Alexis scappa un sorriso amaro.
-Almeno in questo caso sei sincera!-
-Sono realista…-
Risponde con una punta di rabbia, alzandosi in piedi, non riuscendo a capire l’allusione sull’essere sincera.
-…è così che devo essere se voglio trovare Scott Dunn e salvare la vita a Rick. Dimentica me adesso e pensa solo a tuo padre. Va da lui e fagli sentire il tuo amore, perché è più preoccupato della tua disperazione che della sua vita. Ti chiedo solo questo Alexis, ne ha un bisogno immenso.-
Senza aggiungere altro si avvia alla porta.
-Mio padre ti ama Kate!-
La voce di Alexis la blocca proprio un passo prima di uscire. Si volta a guardarla, ma lei è sempre seduta e di spalle.
-Ti ama… più della sua vita, lo sai?-
Kate corruccia la fronte continuando a non capire i telegrammi di Alexis, che finalmente si alza e si volta verso di lei. L’espressione da ragazzina che aveva visto appena entrata, mentre litigava con la valigia, si è trasformata in quella di una giovane donna, consapevole di quello che ha nel cuore.
-Quel giorno al funerale del capitano Montgomery non ha pensato per un solo istante che quel proiettile potesse colpire lui, si è semplicemente buttato addosso a te per salvarti e quando ha fallito si è sentito in colpa.-
China lo sguardo e sospira.
-Forse la stessa insensata colpa che senti tu adesso.-
Kate continua a guardarla in silenzio.
-Lui sarebbe morto per te. Ti ha detto che ti amava e tu… tu hai continuato per la tua strada senza curarti di lui.-
Scandisce ogni parola lentamente, per essere sicura che lei capisca.
-Il tuo fidanzato lo ha picchiato in ospedale, urlandogli in faccia che era colpa sua e lui ha assorbito il colpo, non si è nemmeno difeso perché è così che si sentiva. In colpa!-
Kate spalanca gli occhi senza riuscire a parlare e lei scuote la testa.
-Non lo sapevi? Non te lo ha detto? Certo che no, se te lo avesse detto avresti sofferto e non sia mai che tu soffra… meglio che soffrano solo gli altri!-
Alexis stringe i pugni e fa una smorfia con le labbra.
-Ti ha detto di amarti e tu che cos’hai fatto? Sei sparita! Lo hai lasciato ad aspettarti. Certo non pretendo di sapere cosa significhi avere un proiettile nel petto, ma tu non hai preteso di sapere cos’ha significato tutto questo per lui!-
Kate deglutisce e abbassa lo sguardo. Alexis aveva capito tutto. Nella confusione, nella paura di quei momenti concitati, dopo che le avevano sparato, lei aveva capito tutto.
-Lo hai lasciato qui ad aspettare. Lo sai quante ore ha passato seduto sul divano al buio a guardare il telefono sperando che squillasse? Lo sai quante volte gli ho chiesto, fingendo di non capire, cosa lo faceva soffrire? E lui mai una parola, mai… solo per difenderti. Ha sempre messo la sua vita nelle tue mani Beckett e tu che hai fatto? Niente… lo hai fatto aspettare come sempre, tenendolo sulla corda e appena hai schioccato le dita, tutto è ricominciato.-
Sospira sistemandosi i capelli dietro l’orecchio.
-Quando ha ricominciato a venire al distretto gli ho chiesto se era questo che voleva, se gli bastava e lui ha risposto di si… gli bastava Kate! Gli bastava solo averti vicina e nient’altro.-
Si avvicina di un paio di passi.
-Ora state insieme e, contrariamente a quello che puoi pensare tu, io sono contenta. Ti ho sempre stimato e voluto bene Kate. Ho sempre pensato che quella strana chimica magnetica tra di voi gli facesse bene, perché mio padre è cambiato in meglio vicino a te. Ma dopo quel giorno al cimitero si è rotto qualcosa in me, dopo aver visto la sofferenza di mio padre per causa tua, non sono più riuscita a fidarmi di te.-
Sospira pesantemente, rilassa le mani e la  guarda dritto negli occhi.
-Ora io ti chiedo: tu lo ami? Tu ami mio padre nello stesso modo in cui lui ama te? Oppure alla prima occasione scapperai di nuovo? E’ una domanda lecita la mia. Io conosco mio padre, le altre storie gli hanno lasciato l’amaro in bocca, ma ne è sempre venuto fuori. Tu sei diversa, tu hai scalfito la parte vera del suo cuore, quella che non mostrava mai a nessuno. Sei più pericolosa di quel veleno per lui… tu lo distruggeresti!-
Kate è ammutolita, ha ascoltato ogni parola di Alexis senza quasi respirare. La verità sui suoi anni vicino a Rick le si presenta davanti come la canna di una pistola puntata alla tempia.
-Te lo chiedo di nuovo Kate, indipendentemente da quello che sta succedendo adesso. Tu lo ami come lui ama te? Sei disposta a tutto per lui?-
Kate continua a non rispondere. Quante volte, da quando si è finalmente lasciata andare ascoltando il cuore, si è posta queste domande? Quante volte ha avuto paura di quel sentimento che non riesce ancora ad esprimere, ma di cui sa di non poter più fare a meno? Alexis ha guardato tutto da lontano, percependo ogni cosa, capendo i sentimenti del padre e le paure di entrambi e adesso sta chiedendo semplicemente una certezza.
Per proteggerlo.
Solleva lo sguardo. Alexis ha smesso di piangere e i suoi occhi mostrano solo dolore e non più rabbia. Il suo sguardo è pieno d’orgoglio per il padre e Kate si sente scaldare il cuore per il modo in cui si preoccupa per lui. Anche lei mostrerebbe gli artigli per proteggere Jim.
La guarda un attimo negli occhi e si siede pesantemente sul letto, cosa che fa anche la ragazza, sistemandosi proprio accanto a lei.
-Non ho mai creduto nell’amore eterno, quello sublime, quello che ti raccontano le favole o i film strappalacrime. Quando ero ragazzina forse, quando ancora era facile tenere il cuore aperto a tutti e tutto. Quando ogni cosa era una novità ed una sfida contro il mondo. Poi la vita prende un’altra strada e capisci che, anche quando il sentimento può essere eterno, succede sempre qualcosa che lo distrugge.-
Solleva lo sguardo sulla finestra davanti a lei e osserva il cielo nero che sferza scrosci d’acqua con rabbia.
-Proprio il giorno prima del mio ferimento, tuo padre ha cercato di farmi capire quanto fossi importante per lui, quanto sarebbe stato bello lasciarsi andare e voltare pagina, lontano dal dolore e dal rimpianto per la morte di mia madre. Mi ha rinfacciato che restavo imprigionata in relazioni senza senso e senza futuro perché era più facile lasciare la porta aperta…-
Scuote la testa e deglutisce.
-…ha sempre saputo che ad un certo punto scappo!-
Riporta lo sguardo su Alexis che la osserva seria ed in silenzio.
-E’ vero. Ho sentito le sue parole quel giorno, parole che mi hanno permesso di non arrendermi, ma che nello stesso tempo mi hanno terrorizzata. Ho fatto finta di non ricordare e mi sono allontanata consapevole di fargli del male, non immaginavo però che si fosse riflesso tutto anche su di te.-
I lampi dal cielo squarciano la penombra della stanza, mentre la pioggia batte incessante sul vetro della finestra.
-Sono stata egoista Alexis e non so come farti capire che non avevo altra scelta. Stavo sprofondando, gli ultimi eventi mi avevano devastata e l’unica cosa che desideravo era perdermi tra le sue braccia… ma non potevo. Dovevo risalire da sola, dovevo rimettere insieme i pezzi da sola o avrei rovinato anche lui.-
Sospira guardandosi distrattamente le mani.
-Dovevo allontanarmi Alexis… dovevo! Non ho mai contato su nessun altro che me stessa da quando mia madre è morta e ammettere di avere bisogno di lui, di volerlo accanto a me in quel momento ci avrebbe distrutti entrambi,  perché non ero pronta, non ero in grado di darmi a qualcuno come meritava lui e alla fine lo avrei perso. Così è stato più facile farlo soffrire.- 
Si alza e si avvicina alla finestra, un lampo le illumina il volto, mentre le lacrime prendono strada sulle sue guance.
-Perché stare con Castle significava tenere i piedi ben saldi dentro la porta. Dentro o fuori, senza possibilità di scelta e questo implicava mettere in discussione il cuore e i sentimenti. Mettere in discussione ancora la mia vita in funzione di qualcun altro.-
Appoggia le mani al vetro della finestra come a voler toccare la pioggia e la voce le s’incrina per un attimo.
-Ho cercato in ogni modo di cambiare, di scrollarmi di dosso tutte le paure che mi frenavano evitandomi di vivere appieno la mia vita… sono stata in analisi per questo…-
Si sofferma un momento e sente contorcersi lo stomaco.
-Questo non lo sapevo!-
Esclama Alexis stupita e lei scuote la testa.
-Non lo sapeva nessuno… ma l’ho fatto proprio per distruggere quel muro che mi teneva lontana dalla mia vita. Ho sempre pensato che reprimendo i sentimenti, quali che fossero, il cuore si sarebbe assopito, ma funzionava solo con quelle relazioni senza senso.-
Continua a guardare la pioggia che cade incessante.
-Ma con tuo padre non ha funzionato. Ci ho provato ad allontanarlo, per le mie paure e anche perché standomi vicino era costantemente in pericolo. Ma non ci sono riuscita, il cuore mi ha fregata in pieno e ha avuto il sopravvento sulla razionalità… l’ho capito il giorno del tuo diploma, quando mi ha detto che non sarebbe rimasto a guardare mentre rischiavo ancora di farmi ammazzare.-
Scuote la testa e si volta a guardare la giovane donna dai capelli rossi.
-Non è stata la paura della morte. Ho capito cosa volevo nel momento in cui la mano che mi ha salvata non era quella di tuo padre… e lì sono crollati tutti i muri. Non mi piace più tornare a casa da sola, non m’importa niente dei miei spazi e la mia vita non è solo mia… non so quando è successo, ma adesso penso alla ‘nostra’ vita.-
La guarda seria per un paio di secondi, poi sospira.
-Mi hai fatto una domanda prima. E la risposta è che io amo tuo padre. Non so se lo amo più di quanto lui ami me, non so quantificare i sentimenti che sento, so solo che dipendo da lui… dipendo da un suo sguardo, da un suo sorriso, dalle sue teorie strampalate. Dipendo dal suo modo di essere geloso, dalle sue manie protettive nei tuoi confronti, dai suoi esperimenti gastronomici terribili…-
Sposta lo sguardo sul cuscino di Alexis e lo sfiora sorridendo.
-…dipendo anche dall’odore che lascia sul cuscino accanto al mio.-
La guarda ancora e nota un piccolo sorriso sulle sue labbra.
-Io amo tuo padre, più della mia vita, lo amo… e il solo pensiero di quello che sta passando adesso e di quello che dovrà sopportare nelle prossime ore mi uccide.-
Scuote la testa energicamente asciugandosi a forza le lacrime.
-Vorrei poter tornare indietro e capire, dare retta alle mie sensazioni e al presentimento avuto a causa dell’orologio rotto…-
Alexis corruccia la fronte avendo perso il senso del discorso, ma lei non se ne accorge e continua imperterrita.
-…avrei dovuto uccidere Dunn tre anni fa e avrei dovuto essere più cauta e non mettere Rick in pericolo. Continuo a ripetermi che troverò Dunn, che gli darò la caccia fino allo sfinimento, che troverò quel maledetto veleno e salverò la sua vita, ma la verità è che non so come finirà… non so se riuscirò a salvarlo, ed io…-
-Ehi…-
Quel sussurro la riscuote e si rende conto che Alexis ha messo la mano sulla sua per fermare quel monologo che sta raccontando più a se stessa che a lei. Solleva lo sguardo e, tra le lacrime, non riesce a decifrare la sua espressione. Ha come l’impressione che la guardi con tenerezza.
-Mi dispiace Alexis. So che una volta persa la fiducia in una persona è difficile recuperarla, ma vorrei almeno che credessi a quello che sento adesso, alla sincerità del mio amore per tuo padre.-
Alexis le stringe la mano e sorride.
-Ti credo! Gli occhi sono lo specchio dell’anima ed in questo momento ho visto finalmente quello che vede mio padre nei tuoi.-
Kate china lo sguardo sulle loro mani strette e sorride.
-Gli occhi! A volte ci guardiamo senza parlare, ma è come se ci dicessimo un miliardo di cose…-
Alexis annuisce e solleva le spalle.
- L’avete sempre fatto, non è mica una novità!-
Sorridono insieme, sempre con le mani intrecciate.
-Sai Kate, avremmo dovuto fare questa discussione molto tempo prima e se non è successo è stato anche per colpa mia. Dopo quei tre mesi mi sono chiusa a riccio verso di te, forse per proteggermi anch’io dalla tua lontanza.-
Kate la guarda corrucciando la fronte.
-Sei mancata anche a me… ho pensato tante volte di chiamarti, di sputarti in faccia come stava male lui per te e poi mandarti al diavolo!-
-E perché non l’hai fatto? Ti avrebbe fatto sentire sicuramente meglio.-
Alexis china lo sguardo.
-Perché non erano affari miei. Quando papà è tornato al distretto ho deciso che non mi sarei più lasciata andare con te e ora che vi siete messi insieme, ti ho tenuta d’occhio anche per lui… invece avremmo dovuto parlare.-
-Se potessi trasferirei quel veleno nel mio corpo… ma non posso…-
-Lo so Kate… adesso lo so! Mi sono fatta prendere dalla rabbia e sopraffare dalla paura, ma non posso colpevolizzarti per un assassino che vi ha preso di mira e vi vuole morti entrambi. Volevo solo essere sicura che non ti saresti tirata indietro in questa storia con lui. Adesso so che è così!-
Si alza sospirando, si sente più leggera per la discussione appena avuta con Kate, ma sente un peso sul cuore che le fa salire ancora le lacrime agli occhi.
-Salva mio padre Kate!-
Sussurra guardando le gocce di pioggia scivolare sul vetro della finestra.
-Morirei per salvarlo Alexis!-
Risponde lei con lo stesso sussurro prendendole la mano, ma inaspettatamente Alexis le butta le braccia al collo. Kate la stringe a sé, sentendola tremare. Chiude gli occhi e torna indietro di parecchi anni, quando ragazzina abbracciava sua madre per sentirsi al sicuro.
Sospira, si scosta di poco da lei e le mette la mano sul viso.
-Va da lui… ha bisogno di sapere che non sei arrabbiata.-
-Si andiamo, o penserà che ci siamo uccise a vicenda!-
Risponde Alexis, prendendole ancora la mano.
-Non pensi sia meglio che gli parli da sola?-
-Penso che adesso gli serva il supporto della sua famiglia… di tutta la sua famiglia!-
 
-Che succederà Richard?-
Martha lo guarda con gli occhi lucidi, tenendogli il viso tra le mani e Rick gliele prende tra le sue, stringendole con forza.
-Richard parlami. Voglio sapere cosa ci aspetta, voglio essere pronta!-
Deglutisce cercando il suo sguardo, perso in ogni angolo della stanza, tranne che sul suo viso.
-Guardami Richard… ti prego…-
Lui sospira pesantemente e finalmente inchioda lo sguardo al suo.
-Che vuoi che succeda? Il veleno colpirà lentamente le mie funzioni vitali e…-
Non finisce la frase e si gira a guardare verso le scale. Lascia le mani di sua madre e si appoggia di peso alla spalliera del divano. La stanchezza comincia a farsi sentire e non ha voglia di lasciarsi sopraffare. Ha sentito le voci di Alexis e Kate senza riuscire a capire cosa si dicessero, a causa anche dei tuoni e del rumore incessante della pioggia, ma adesso dal piano di sopra non si sente proprio niente e questo lo preoccupa ancora di più. Il pensiero che stiano litigando gli fa  male.
Si passa le mani sul viso e torna a guardare Martha.
-Posso girarti la domanda di prima mamma?-
La donna corruccia la fronte e Rick le prende di nuovo le mani.
-Che succederà!?-
Martha sposta lo sguardo verso il pavimento, stringendo le labbra come a voler mettere ordine dentro la sua testa.
-Succederà che affronteremo anche questa… insieme.-
Riporta lo sguardo sul figlio e gli mette una mano su viso.
-Abbiamo affrontato momenti belli e momenti brutti nella vita noi due. Quando eri piccolo i momenti belli erano pochi, chi ci vede adesso non può capire cosa siamo realmente tu ed io. Un mondo… ecco cosa siamo stati e cosa siamo ancora adesso. Un mondo immenso di sentimenti, fantasia, forza, fragilità, gioie, dolori e paure, fatto solo di te e di me. Quante volte un tuo sorriso ha reso splendida una mia giornata di pioggia e quante volte una mia follia, giudicata poco idonea per un ragazzino, ti ha dato il coraggio di buttarti nella mischia e combattere.-
Solleva le spalle e scuote la mano davanti al suo viso.
-D’accordo! A volte tornavi a casa acciaccato, ma che importanza aveva… è così che si diventa uomini…-
Rick sorride e lei gli posa ancora la mano sul viso, seria stavolta e con gli occhi lucidi.
-Ce la faremo anche adesso, affronteremo tutto insieme ancora una volta. Anche se stavolta…-
China lo sguardo per non mostrargli la prima lacrima che le solca il viso e lui la stringe a sé.
-…anche se stavolta sarà davvero dura!-
Conclude Martha soffocando la voce contro la sua spalla.
Restano in silenzio qualche secondo, poi Martha scioglie l’abbraccio e Rick si volta ancora a guardare verso il piano di sopra.
-Non preoccuparti Richard!-
-Come faccio a non preoccuparmi? Perché non scendono? L’ultima cosa che volevo è che le cose tra Alexis e Kate andassero male. Non posso pensare che se la prenda con lei per questo. Devo trovare il modo di farle capire…-
Lascia la frase a metà, quando nota il sorriso sulle labbra di sua madre mentre guarda verso la scala.
-Forse lo ha già capito!-
Esclama facendo segno alle sue spalle.
Alexis sta scendendo mano nella mano con Kate e sembra tranquilla. Quando si accorge che Rick la sta guardando, si fionda verso di lui, abbracciandolo.
-Scusa la mia sfuriata papà… mi dispiace.-
Lui scuote la testa, guardando Kate che annuisce per fargli capire che è tutto a posto.
-Scusami tu tesoro. Lo so che hai paura, ho paura anch’io, ma ne verremo fuori.-
La scosta da sé per guardarla negli occhi preoccupato.
-Tesoro ascolta, vorrei tanto che tu e Kate…-
Lei scuote la testa e lo blocca.
-Io e Kate abbiamo parlato un po’, ci siamo chiarite su certi punti e ci siamo tolte i sassolini dentro le scarpe che ci facevano male. Va tutto bene papà… ora pensiamo solo a te.-
Gli sorride, Rick guarda Kate e Alexis segue il suo sguardo.
-Tranquilla… sono in ottime mani!-
Esclama senza distogliere lo sguardo dalla donna, ferma ancora sulle scale e Alexis guarda Martha sorridendo dell’espressione dolce con cui si fissano.
Sospira in modo teatrale per attirare la sua attenzione.
-Sai una cosa papà? Il giorno che un uomo mi guarderà come tu guardi Kate, potrai contorcerti dalla gelosia quanto vuoi, perché tanto io lo seguirò ovunque!-
Castle la guarda stranito, arriva al senso della frase poco dopo e contrariamente a quanto potessero pensare, lui non risponde con nessuna battuta di gelosia, si limita soltanto a sorridere e a guardare ancora Kate che si è avvicinata a loro.
-Lo accetterò soltanto se anche tu guarderai lui, come lei guarda me!-
Gli occhi della ragazza sono lucidi e annuisce abbassando lo sguardo.
-Quel giorno tu... devi esserci papà!-
L’abbraccia stretto e Rick chiude gli occhi appoggiando il mento sui suoi capelli, mentre il cellulare di Kate avverte che le è arrivato un messaggio.
-Abbiamo il mandato!-
Dice rimettendo il telefono nella tasca dei pantaloni.
-La Gates c’è riuscita! Accidenti, avrei dato la Ferrari per vedere la scena.-
Esclama Rick e Kate scuote la testa mettendosi il cappotto.
-Perché non resti qui? Ti riposi e mangi qualcosa, ne hai bisogno. Quando finisco alla prigione passo a prenderti per andare al prossimo controllo.-
-E perdermi la faccia cattiva del detective Beckett, mentre se la prende con il direttore del carcere e mette sottosopra l’amministrazione? Nahhh!-
Torna serio guardando Kate.
-Ho bisogno di un attimo...-
Si dirige verso il suo studio e mentre chiude la porta, fa capolino con la testa.
-Non andartene, mi raccomando.-
Dice rivolto a Kate che annuisce corrucciando la fronte.
Si siede alla scrivania e resta a guardare un foglio bianco.
Per scrivere tutto quello che sente nel cuore avrebbe bisogno di tutta la vita, ma al momento 'tutta la sua vita' si riduce a poche ore. Sospira, prende la stilografica e con un'insolita calma, riempie entranbe le facciate del foglio. In pochi minuti mette nero su bianco tutti quei pensieri e sentimenti che avrebbe voluto esprimere in futuro.
Sospira ancora, guarda davanti a sé la porta chiusa che lo separa dalle donne che ama di più al mondo e pensa, angosciato, a quel futuro che qualcuno si sta prendendo la briga di portargli via.
Piega il foglio in quattro e se lo mette in tasca. Apre il primo cassetto, prende un piccolo astuccio e poi si dirige alle sue spalle, mettendosi davanti alla stampa della scala che sovrasta tutta la stanza. Senza guardare e a colpo sicuro, trova quello che cerca dietro la cornice, chiude il pugno ed esce di corsa per non perdere altro tempo.
-Volevo dartelo all'aeroporto.-
Dice ad Alexis porgendole l'astuccio.
-Sai, una scena tipo film strappalacrime, mentre sventolo il fazzoletto bianco per salutare la mia bambina che se ne va lontana da me!-
Alexis scuote la testa sorridendo e lui solleva le spalle, aprendo l'astuccio tra le mani della figlia.
-Indossalo comunque.-
Le dice prendendo il braccialetto dentro lo scatolo e facendola scoppiare a ridere.
-Papà... ma... sono zucche!-
Gli dice facendo ridere anche Martha e Kate, vedendo i ciondoli a forma di zucca che dondolano dalla catenina in oro bianco.
-Certo! Sarai anche diventata grande, ma dovrai ricordarti sempre di essere la mia zucca ovunque ti troverai!-
Alexis gli butta le braccia al collo e lui la stringe forte a sé, baciandole la fronte.
-Devo andare… lo capisci?-
La ragazza annuisce e gli dà un bacio sulla guancia. Lo accompagna alla porta, scambiando uno sguardo d’intesa con Kate, che annuisce, come a rassicurarle che farà di tutto per avere l’antidoto.
-Andrà tutto bene tesoro.-
Le sussurra Riack attorcigliando le dita alle sue, mentre l'altra mano scivola nella tasca, facendo cadere una minuscola chiave dorata accanto a quel foglio che parla di lui, dei suoi segreti e del suo cuore pieno d'angoscia.
 
 
I lampi s'insinuavano tra i rami facendo apparire la grande quercia quasi spettrale.
L'acqua incessante staccava la neve a pezzi dalle foglie, sciogliendola immediatamente prima che potesse toccare terra.
Il giorno che si era ritrovato libero dalla sua colpa, solo, con tutti i suoi averi dentro un unico zaino, si era ripromesso che non sarebbe tornato mai più indietro. Aveva chiuso con il vecchio quartiere, il vecchio appartamento e soprattutto con le vecchie abitudini che l'avevano imprigionato, prima nella sua stessa vita e poi all'interno di quella cella che lo aveva distrutto.
Si era incamminato verso l'opposto che era stata la sua vita fino ad un anno prima, nessuno avrebbe saputo più niente di lui e lui non voleva più sapere niente del mondo.
Si era ritrovato di colpo davanti a quella grande quercia e si era stupito, perchè era difficile trovare un esemplare così grande e rigoglioso a New York.
Era rimasto a guardare i rami che si sporgevano verso l'alto, come braccia che chiedono aiuto ad un cielo che, però, non ascoltava niente e nessuno. Aveva abbassato lo sguardo sul tronco enorme, si era avvicinato e lo aveva accarezzato con cura e attenzione, sentendo sotto le dita la ruvidezza del legno e delle spaccature prodotte dal tempo e dalle intemperie.
Non ricorda quanto tempo fosse rimasto lì ad ammirare la quercia, ricorda solo che si era sentito al sicuro per la prima volta dopo mesi, come se i suoi rami enormi e le sue foglie fitte, potessero proteggerlo da quel mondo in cui si sentiva un estraneo. Solo dopo si era accorto del cartello 'affittasi' e solo allora aveva notato la casa, nascosta alla vista della strada, dal grande albero.
Un'ora dopo il proprietario della casa, elogiava la bellezza della finitura della carta da parati e dell'arredo, mostrando il soggiorno, le due camere da letto e il cortile sul retro.
Lui però guardava  fuori dalla finestra e con un sorriso estasiato, continuava a fissare l'albero;  se avesse potuto avrebbe affittato soltanto quello, riparandosi tra le sue forti braccia. Si riscosse solo al tocco del proprietario, che sorridendo lo invitò a seguirlo nella cantina.
E fu lì che dimenticò per qualche istante la sua quercia.
Lì, in quell'enorme stanzone sotterraneo.
Lo immaginò d'improvviso con le pareti tinteggiate di bianco, un bancone circolare per quasi l'intero perimetro, sul quale vide sistemati i suoi strumenti, i suoi alambicchi, le sue lavagne completamente ricoperte delle sue formule magiche.
Eccola casa sua: una grande quercia che nascondeva e proteggeva il suo laboratorio dal mondo esterno.
Firmò il contratto di locazione, pagò in contanti la caparra e sei mesi anticipati di pigione, poteva permetterselo, aveva lavorato per anni e per anni non aveva mai speso niente per se stesso, tranne che per le sue ricerche e i suoi studi.
Adesso, dopo un anno da quel giorno, guardava la grande quercia sferzata dalla pioggia e illuminata dai lampi e, per la prima volta, quella protezione in cui aveva creduto, gli faceva paura.
Guardava al di là del tronco e non riusciva ad intravedere nulla a causa della pioggia. I rami stridevano tra loro spinti dal vento e lui non riusciva a vedere oltre la strada.
Sospirò, appoggiò le spalle al muro e strinse i pugni.
Chiuse gli occhi cercando di cancellare l'ombra che, la notte precedente, aveva visto riflessa dietro il grande tronco.
Un'ombra oscura, malvagia, che cercava lui...
Riaprì gli occhi e rimase a guardare Abraham, che cercava di sistemare l'anta di un mobile della cucina che cigolava.
Sorrise a quella vista.
Abraham era come quella grande quercia là fuori. A vederlo era piccolo e storpio, ma dentro al suo cuore era grande e forte come quei rami. La sua dignità, la sua lealtà, ogni sua espressione gli davano sicurezza e sensazione di casa e normalità.
Lo conosceva da anni, lavorava come tutto fare nella sua scuola e, nonostante fosse sempre gentile e premuroso con tutti, veniva trattato come un emarginato, solo per la sua malattia deformante. Sarà stato perchè anche lui si sentiva malato dentro, una malattia deformante che non lo guastava agli occhi della gente, ma solo alla vista di se stesso. Si sentiva solo e diverso, non riusciva a relazionarsi con i colleghi o con gli studenti, ma riusciva a parlare per ore con Abraham, stupendosi giorno dopo giorno del suo orgoglio e della sua sofferenza, fisica e morale. Fu allora che aveva deciso che avrebbe cercato di aiutarlo. Aveva studiato la sua malattia giorno e notte e alla fine era riuscito a sintetizzare delle proteine, che Abraham aveva preso fidandosi ciecamente di lui. La medicina aveva funzionato, dopo poche settimane Abrahm riusciva a camminare dritto e a svolgere il suo lavoro con meno sofferenza.
Era stato l'unico che gli aveva scritto ogni settimana in quell'anno orribile. Era stato l'unico che aveva ottenuto il permesso di andarlo a trovare, anche se solo una volta. Era stato l'unico che nonostante le sue colpe, non lo avesse abbandonato.
Adesso era ancora lì, a svolgere il suo lavoro in silenzio, senza giudicare, ma soffrendo per lui.
Sospirò pesantemente, sentendo la colpa ancora più incombente. Quello che aveva fatto era terribile, era complice di un killer, aveva le mani macchiate del sangue di quelle vittime perchè non era stato capace di avere coraggio e dire NO... e quello che gli pesava di più era sapere che Abraham sarebbe andato a fondo con lui.
Scosse la testa e si voltò di nuovo verso la finestra. La pioggia si stava calmando, i lampi erano lontani, così come il rombo dei tuoni, ma la quercia sembrava guardarlo ancora con rimprovero.
-Perchè non fa quello che le dice la coscienza?-
La mano di Abraham sulla spalla lo fece sussultare, si voltò di scatto, non riuscendo a capire le parole dell'amico, che si avvicinò alla finestra e rimase immobile a guardare l'albero.
-Porti quella formula alla polizia. Sa che è l'unica cosa giusta da fare!-
Il Professore s'irrigidì, mise la mano nella tasca dei pantaloni e strinse il foglio di carta che teneva nascosto.
-Se lo facessi... ci ucciderebbe...-
Abraham scosse la testa senza distogliere lo sguardo dalla quercia.
-Per tutta la notte ha fissato il grande albero, per tutta la notte ha avuto paura che dietro di esso si nascondesse il male...-
Si voltò a guardarlo e si portò la mano sul petto, all'altezza del cuore.
-...il male è già dentro questa casa. Professore, il male è la colpa che sente nel cuore, quella colpa che non la fa dormire... tutto questo ci ucciderà...-
Rimase a guardarlo dritto negli occhi, con un senso di speranza che gli fece brillare le iridi.
Il Professore si allontanò, prese il foglio che teneva nascosto nella tasca dei pantaloni e si avvicinò al camino acceso.
Abraham strinse i pugni, senza togliergli gli occhi di dosso.
Il Professore sentiva il suo sguardo su di sé, sapeva che lo stava trapassando da parte a parte, pregandolo in silenzio di non farlo.
Prese un lungo respiro e allungò la mano verso le fiamme.
Abraham digrignò la mascella.
-Non lo faccia Professore...-
Sussurrò pianissimo, avvicnandosi a lui, mentre sporgeva la mano stretta a pugno sul foglio di carta verso il camino.
Le fiamme illuminarono il suo viso e la mano si mosse, ma Abraham la ricoprì con la sua impedendogli di lasciare andare il foglio.
-Non lo faccia Professore!-
Sussurrò ancora una volta, tenendolo fermo e sperando che la sua fiducia fosse stata ancora una volta ben riposta, ma uno strattone lo fece vacillare. Non si apettava quella forza e, soprattutto, non si aspettava quello sguardo su di lui.
Il Professore si liberò della sua stretta con forza, aprì la mano e lasciò andare il foglio tra le fiamme.
Guardarono entrambi quel piccolo pezzo di carta annerirsi e distruggersi, poi il Professore tornò a guardarlo, con lo stesso sguardo di poco prima, con gli occhi carichi di risentimento.
-Non farlo mai più Abrahm! Non azzardarti mai più a mettere in dubbio le mie decisioni, quali che siano.-
L’uomo strinse i pugni e digrignò la mascella, senza distogliere lo sguardo.
-Prendi la tua roba Abraham. Non voglio che resti qui nemmeno un altro minuto. Io cerco di salvare la vita ad entrambi e tu mi giudichi… non lo sopporto… non da te…-
Abrahm non si mosse e il Professore gli voltò le spalle appoggiandosi al camino.
-Vattene! E non tornare finchè non sarai in grado di accettarmi… sennò puoi anche fare a meno di tornare!-
Il tono non ammetteva repliche. Abraham chiuse gli occhi, rilassò i pugni e sospirò.
Si mosse in silenzio, prese con sé solo la sua tracolla, giubbotto e cappello, si coprì per bene ed uscì.
Il Professore si avvicinò ancora alla finestra, guardò il suo fedele Abraham allontanarsi e sparire dietro il tronco della grande quercia. Annuì, ripetendo a se stesso ‘non tornare amico mio...’ poi si sedette sulla poltrona davanti al camino.
-Perdonami Abraham... almeno tu, perdonami!-


Angolo di Rebecca:

Altro capitolo lungo, ma impossibile da dividere.
Direi che Alexis ha messo bene in chiaro cosa le rodeva e Kate ha avuto la possibilità di chiarirsi con lei e di "ammettere" la verità con se stessa: ama Rick (certo che è dura di comprendonio!)
Martha è soltanto una mamma, ed è dolcissima *-*
Rick si è preso due minuti per sè, nel suo studio, ha messo in ordine le idee (almeno ci ha provato) e adesso è pronto a seguire la sua Kate.
Il Professore... beh! Lui si sente oppresso dal peso di quello ha fatto e a fare le spese è stato il povero Abraham!

Che altro dire? Solo grazie a tutte! *-*
 

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Capitolo 25
*** Prigionieri ***






 

Capitolo 25
 

 
Quando salgono in macchina il cielo sembra avere sbollito la sua rabbia. Il tramonto è passato da un pezzo e il temporale, con le sue nubi nere e cariche di pioggia, ha portato il buio prima del previsto. L'acqua gocciola dai cornicioni dei palazzi sulla neve, formando dei piccoli fori sul manto bianco, reso sporco dalla pioggia e dal fango.  
Rick sposta lo sguardo su di lei dopo aver sentito il rumore della messa in moto e, appena Kate avverte i suoi occhi addosso, si porta una ciocca di capelli dietro l'orecchio, senza riuscire a guardarlo.
Continua a pensare alle parole di Alexis, al dolore che ha visto giorno dopo giorno negli occhi del padre, alla lite provocata da Josh in ospedale di cui nessuno, nemmeno Jim, le ha fatto cenno e sente la vergogna prendere il sopravvento. Si vergogna di avere pensato soltanto a se stessa. Sa che doveva farlo per riprendere in mano la sua vita, era stata costretta ad una scelta per riprendere possesso delle sue sicurezze, ma questo non la fa sentire meglio, dopo che Alexis le ha spiattellato in faccia la verità.
Quando si era presentata a lui, in libreria, dopo tre mesi di lontananza e di silenzio, immaginava che sarebbe stato arrabbiato,  ed era sicura che con la sua rabbia sarebbe riuscita a combattere, ma non aveva messo in conto che lui potesse essere distrutto e sconfitto dalla sua scelta. Se lo avesse solo immaginato non lo avrebbe cercato, perchè contro il dolore del suo sguardo, non sarebbe riuscita ad avere la meglio.
Lui, però, le aveva nascosto anche quello, fingendo di essere solo arrabbiato e alla fine, era tornato a starle vicino, sempre e solo alle sue condizioni, come era stato fino a quel momento e come avevano continuato anche dopo, fino a quella fatidica sera in cui tutto era cambiato, in cui Rick non era riuscito più a nascondere la sua sofferenza e i suoi sentimenti.
Sospira, tornando alla realtà, solleva la testa e mette le mani sullo sterzo pronta a partire, ma il suo sguardo la scruta ancora, lo sente addosso come un macigno, perché sa che sta fremendo per sapere cos’è successo realmente tra lei e sua figlia.
-E' tutto a posto!-
Gli sussurra piano, sperando che distolga lo sguardo e le permetta di partire per non perdere altro tempo prezioso, ma lui le prende una mano e se la porta sul ginocchio.
-Tu... e Alexis...-
Sussurra allo stesso modo, quasi timoroso di porre la domanda, ma lei non lo lascia finire.
-Alexis è una giovane donna in gamba, Rick!-
Si volta a guardarlo, sente gli occhi lucidi, ma cerca di non ricominciare a piangere e lui corruccia la fronte.
-Devi essere orgoglioso e fiero di lei e devi essere orgoglioso e fiero soprattutto di te, per il modo in cui l'hai cresciuta, per essere riuscito ad inculcare in lei il valore della famiglia, anche se siete sempre stati tu e lei da soli.-
Rick la guarda stranito. Voleva solo sapere se lei e sua figlia si fossero chiarite davvero, invece Kate sta parlando di qualcosa che lui non riesce a cogliere.
-Alexis Castle, figlia di uno scrittore famoso, circondata dalla ricchezza e da tutto quello che può desiderare... potrebbe essere solo una ragazzina viziata e senza spina dorsale, invece è una donna, consapevole di quello che ha, orgogliosa della sua famiglia e di quello che rappresenta per lei.-
Gli mette la mano sul viso e sorride.
-Tua figlia ti adora Rick e ti difenderà sempre, non dimenticarlo mai.-
Rick deglutisce scuotendo di poco la testa e le prende ancora la mano tra le sue.
-Questo lo so e so che quando si arrabbia e si fissa su qualcosa è irremovibile. Cosa vi siete dette? Sii sincera Kate, non avete finto di essere in pace solo per tranquillizzarmi? T'incolpa di tutto... e non è giusto!-
Lei abbassa lo sguardo sulle loro mani intrecciate e scuote la testa.
-E' giusto invece, ma non per quello che pensi.-
Riporta lo sguardo su di lui e nota la confusione nei suoi occhi.
-Dopo lo sparo al cimitero lei ed io ci siamo molto allontanate, credevo fosse perchè aveva avuto paura che potesse succederti qualcosa, ma la verità è un'altra. Si è allontanata perchè ha capito quanto io sia stata egoista e capace di farti soffrire.-
L'espressione di Rick è sempre più confusa e lei sospira, abbassando ancora lo sguardo.
-Non ha accettato il fatto che ti abbia tenuto fuori dalla mia vita, dopo che tu hai rischiato la tua per me. Ti ha visto soffrire e farebbe qualunque cosa per proteggerti ancora dalla sofferenza... quindi anche da me. Non posso darle torto, anch'io difenderei mio padre a spada tratta.-
Rick spalanca la bocca senza riuscire a dire nulla. Ricorda i silenzi di Alexis in quel periodo, il modo in cui lo teneva d'occhio e cercava di farlo reagire quando non aveva voglia nemmeno di alzarsi dal letto, ma non si era reso conto, realmente, di quanto questa sua sofferenza facesse stare male lei.
-Perchè non me ne hai mai parlato?-
Gli chiede Kate d'improvviso, incatenando gli occhi ai suoi ed è lui stavolta, a distogliere lo sguardo, appoggiando la testa al sedile dell'auto.
-Noi due non abbiamo mai parlato di niente. Tutto quello che abbiamo vissuto in questi anni ce lo siamo fatto scivolare addosso, come se parlarne avesse potuto spezzare quel filo invisibile e sottile che ci teneva uniti.-
Il veleno continua la sua opera, da un po' sente dolore alla schiena e alle braccia e in quel momento una fitta allo stomaco gli fa chiudere gli occhi, ma riesce a reprimere un lamento per non farlo capire a lei che, grazie al cielo, guarda fuori dal parabrezza. Fa un respiro profondo e, restando appoggiato al sedile, si gira a guardarla.
-Non abbiamo mai parlato di quel primo bacio, che di finto non aveva nulla. Quando Josh era lontano e tu ti lamentavi di questo, avrei voluto urlare in tutte le lingue del mondo che quello che cercavi era lì davanti a te, ma tu avresti finto di non capire. Lo scrittore e il suo mondo non erano adatti a te…-
Dice l’ultima frase in un sussurro, abbassando un momento lo sguardo, mentre lei chiude gli occhi deglutendo.
-…così non abbiamo mai parlato nemmeno di questo. Anche quando ho scoperto che avevi sentito le mie parole quel giorno e hai finto di non ricordare, invece di parlarne è stato più facile fare lo stupido, per evitare le tue risposte razionali che mi avrebbero distrutto ancora di più, perchè ti giuro Kate…-
Si gira a guardarla ancora.
-…a volte è stato davvero difficile capire i tuoi ragionamenti e le tue decisioni. Tu mi hai tenuto fuori dal tuo dramma, tu non hai parlato del tuo dolore con me, non lo hai fatto nemmeno quando sei tornata a cercarmi, perchè avrei dovuto farlo io?-
-Perchè un altro quel giorno mi avrebbe rinfacciato tutto e mi avrebbe mandata a quel paese!-
Gli risponde sempre più arrabbiata con se stessa e Rick si solleva sul sedile per poterla guardare dritto negli occhi, le prende il viso tra le mani e sorride. La dolcezza del suo sguardo la scombussola del tutto e la rabbia le fa contorcere lo stomaco per tutte le volte che ha avuto paura dei suoi sentimenti.
-Un altro non ha bisogno di te come l'aria!-
Le sussurra asciugandole l’unica lacrima sfuggita ai suoi occhi e quando lei gli accarezza il viso, le parla praticamente sulle labbra.
-Dimmi che vi siete chiarite davvero, qualunque cosa accada, voglio che tu ti prenda cura di lei, anche da lontano... ma deve avere un punto fermo che la guidi.-
Lei si allontana di poco per guardarlo negli occhi.
Te l'ho promesso tanto tempo fa, io ci sarò sempre per Alexis ed è vero che ci siamo chiarite, avevamo solo bisogno di parlarne. Cosa che avremmo dovuto fare prima, proprio come avremmo dovuto fare noi due.-
La bacia a fior di labbra, ma lei lo trattiene, costringendolo ad un bacio serio.
Si staccano poco dopo sorridendo e Kate sospira restando immobile sui suoi occhi.
-Siamo come prigionieri Castle! Dunn ci tiene prigionieri. Siamo ammanettati a lui, alla follia, alla sua vendetta…-
Rick le mette un dito sulle labbra e la ferma scuotendo la testa.
-Lo troveremo Beckett…-
I suoi occhi sembrano così sicuri, così pieni di fiducia che lei si sente percorrere da un brivido. Gli sorride e storce le labbra.
-Quindi devo fare la faccia cattiva con il direttore del carcere?-
Gli chiede sollevando un sopracciglio e Rick corruccia la fronte mentre si allaccia la cintura di sicurezza.
-Si è lasciato sfuggire un pericoloso assassino, mi sembra il minimo!-
Kate ingrana la prima e s'immette sulla strada annuendo.
-Ok... non disturbarmi allora, devo concentrarmi!-
Risponde seria, con gli occhi incollati sulla strada, rubandogli un sorriso.
 
 
La prigione federale Ray Brook si staglia davanti a loro, grande e imponente. Una piccola città all’interno della Grande Mela, ma nello stesso tempo posta lontano dalla ‘civiltà’, che si presenta con un paio di chilometri di mura di cinta ricoperti di filo spinato, fari illuminati per tutto il perimetro e telecamere poste ad ogni faro, per non parlare del sistema di sicurezza invisibile, dato da un  monitoraggio satellitare che protegge tutta la fortezza.
Il grande cancello di ferro si apre come un animale vorace che spalanca le sue fauci per inghiottire la preda.
-Come si fa a scappare da questo posto?-
Chiede Rick mentre l’auto viene bloccata da una sbarra, due guardie armate li tengono d’occhio e una terza si avvicina al finestrino.
-Non si può! Se ha finto la sua morte qualcuno deve averlo aiutato, a questo punto ogni persona qui dentro può essere coinvolta.-
La guardia controlla distintivo e documenti e consegna loro un pass.
-Sembra di entrare nello stomaco della balena!-
Sussurra Castle mentre si appende il cartellino al cappotto. Kate gli apre lo sportello e lo aiuta a scendere.
-Stai bene?-
Gli chiede guardandolo seria, lui annuisce senza parlare e lei sospira.
-Invece non stai bene… e anche da un bel po’, perché fingi di essere invulnerabile?-
Lui la guarda aprendo di poco la bocca e poi scuote la testa.
-Perché al momento mi piacerebbe esserlo!-
Abbassa lo sguardo e deglutisce.
-Ero sicuro che non te ne fossi accorta!-
Lei chiude lo sportello e gli si avvicina ad un paio di centimetri.
-Certo che me ne sono accorta… dovevi restare a casa e riposarti.-
-E’ sopportabile e le gambe reggono ancora, perciò ti sto appiccicato, fattene una ragione.-
La precede nel cortile interno verso l’amministrazione, facendo cenno con la mano verso le auto dei colleghi e del capitano Gates.
-C’è anche il grande capo…-
Non finisce di dirlo che la voce della Gates rimbomba nel corridoio ed Esposito va loro incontro.
-Avete già cominciato?-
-Il direttore non è molto contento, continua a ripetere che nessuno dei suoi detenuti è mai evaso e che Dunn è morto. Si sente aggredito.-
Castle solleva le spalle.
-Beh, da come sbraita la Gates non gli do torto!-
-L’ha messo sotto torchio ancora prima di entrare, siamo qui da dieci minuti.-
Kate corruccia la fronte.
-Quindi la Gates sta facendo la faccia cattiva?-
Chiede ad Esposito scambiandosi uno sguardo d’intesa con Rick.
-Cattiva? Sembra una iena! Pare che Dunn sia morto in un’esplosione avvenuta nei locali della cucina quattro mesi fa e l’insinuazione della Gates che qualcuno della prigione possa averlo aiutato a scappare, ha fatto andare fuori di testa il direttore.-
Risponde lui camminando verso l’ufficio e Rick si avvicina all’orecchio di Kate.
-Si siede alla tua scrivania, fa la faccia cattiva al posto tuo… attenta… il capo vuole fregarti il posto!-
Lei sorride scuotendo la testa.
-Già, vuole a tutti i costi retrocedere a detective!-
Sono le otto di sera, gli uffici dovrebbero essere già chiusi e il turno di notte avrebbe dovuto dare il cambio da circa un quarto d’ora, ma l’arrivo del capitano Gates con un mandato federale ha bloccato in amministrazione tutte le guardie e il direttore.
-Ah… bene, siete arrivati!-
Il capitano Gates fa cenno a Kate e Rick di entrare.
-Detective Beckett, signor Castle… il direttore Jerald Porter.-
L’uomo scatta in piedi e batte le mani sulla scrivania.
-Vi rendete conto che i vostri sospetti sono assurdi? Come potete asserire che Scott Dunn è vivo e libero di uccidere?-
Kate si avvicina e prende il suo cellulare.
-Per il semplice fatto che mi ha telefonato un paio d’ore fa…-
La voce rauca e smielata di Dunn fa eco nella stanza. Dopo un paio di frasi, Kate spegne la registrazione e restano in silenzio a scrutarsi.
-La voce in questa registrazione potrebbe essere di chiunque. Ho a che fare giornalmente con decine e decine di detenuti, crede davvero che possa ricordarmi della voce di ognuno di loro a distanza di mesi? Lei non può essere certa che sia lui!-
Kate si avvicina alla sua faccia guardandolo dritto negli occhi.
-Signor Porter, Scott Dunn ha fatto esplodere casa mia tre anni fa, con me dentro, mi ha chiamata al telefono per giorni, ossessionato da me e dal mio lavoro, perciò lei forse l’ha fatto, ma io non ho dimenticato la sua voce, la sua intonazione, il suo modo di parlare… mi creda, l’uomo al telefono è Scott Dunn e ha già ucciso tre donne innocenti in tre giorni.-
Il direttore Porter spalanca la bocca.
-Tre donne? Il killer silenzioso, quello del manoscritto alla CNN sarebbe Scott Dunn?-
Si siede portandosi le mani ai capelli, mentre Kate si sporge su di lui.
-Lei capisce che, se Scott Dunn a voi risulta morto, mentre invece è vivo e vegeto e soprattutto libero, la cosa puzza? Se è uscito da qui fingendo la sua morte, mi sembra logico pensare che qualcuno lo ha aiutato dall’interno!-
L’uomo scuote la testa energicamente.
-Nessuno ha aiutato nessuno… metto la mano sul fuoco per ognuna delle mie guardie, sono nella stanza accanto in attesa, potete interrogarle e indagare su di loro e anche su di me.-
-Come sarebbe morto Dunn esattamente?-
Il direttore sposta lo sguardo su Rick stringendo la mascella.
-E’ esplosa la caldaia nella stanza attigua alle cucine, c’erano quattro detenuti all’interno in quel momento, compreso Dunn che dopo aver finito il periodo di isolamento era stato assegnato a lavorare nelle cucine. Vi posso assicurare che sono morti tutti. Avevo richiesto che mandassero qualcuno a sistemare quella maledetta caldaia decine di volte, ma queste cose non le ritengono importanti ai piani alti. Dopo abbiamo avuto un’ispezione federale per settimane. Se Dunn fosse scappato, se ne sarebbero accorti e non posso credere… non voglio credere che qualcuno dei miei…-
Il capitano Gates solleva la mano per fermare lo sproloquio del direttore.
-Signor Porter si calmi. Siamo qui per fare luce su questa strana fuga, capire dove possa essere andato Dunn dopo essere uscito da qui e se ha un complice, perché l’unica cosa sicura al momento è che quell’uomo è vivo e pronto a tutto.-
Il direttore Porter sospira pesantemente e annuisce.
-D’accordo! Come volete procedere?-
-Ci occorrono i file relativi a Scott Dunn, la sua scheda e quelle di chi ha avuto contatti continui con lui qui dentro. Dobbiamo sapere tutto quello che è successo il giorno dell’esplosione. Ryan occupatene tu.-
Ordina Beckett, avvicinandosi al computer.
-Voglio anche leggere il referto autoptico e parlare con il medico legale.-
A questo punto il direttore Porter la ferma alzando la mano.
-Non è stata fatta nessuna autopsia detective!-
L’espressione stupita di tutti lo fulmina e la Gates sbotta.
-Quattro detenuti muoiono in un presunto incidente in carcere e né lei, né gl’ispettori federali avete disposto l’autopsia?-
Ma anche stavolta il direttore ferma quel fiume di parole con un gesto di mano.
-Credo di non essermi spiegato bene, capitano. La cucina è esplosa e subito dopo c’è stato un incendio. I due agenti di guardia si sono salvati perché si trovavano nel cortile, ma sono ancora ricoverati in ospedale dopo quattro mesi, ed è un miracolo se non è crollata tutta l’ala adiacente. In quella cucina non è rimasto niente… su cui fare un’autopsia!-
Si passa ancora una volta la mano tra i capelli, come se avesse davanti agli occhi la scena.
-Quelle quattro persone erano… erano soltanto dei brandelli spiaccicati sulle pareti…-
Guarda i poliziotti davanti a lui e sospira.
-Dopo che i pompieri sono andati via non c’era molto su cui praticare un’autopsia, credetemi.-
Kate stringe le labbra.
-Suppongo non sia stato richiesto nemmeno l’esame del DNA per i resti?-
-Non c’era motivo per farlo. Sapevamo esattamente chi c’era nelle cucine in quel momento, abbiamo i registri con le firme dei detenuti e delle guardie. Ogni volta che uno di loro entra o esce da qualunque locale nella prigione deve apporre una firma, questa è la regola.-
Ryan accede finalmente ai file e apre quello del rapporto dell’incidente.
-L’esplosione è avvenuta il 18 ottobre dell’anno scorso, verso mezzogiorno. Il rapporto dell’ispettore federale dice che la caldaia era completamente distrutta. Non c’è niente che faccia capire se è stata effettivamente manomessa.-
Ryan smette di leggere e solleva gli occhi su Beckett.
-Praticamente, hanno riconosciuto le vittime e redatto il certificato di morte, basandosi sull’ordine del giorno della prigione.  Guardate le foto. In effetti era impossibile fare l’autopsia.-
Kate guarda la Gates e annuisce.
-Quindi i cadaveri potevano essere benissimo tre e non quattro. Non sarebbe stato difficile per Dunn manomettere la caldaia provocando l’incidente, per poi svignarsela nella confusione generale anche senza l’aiuto di nessuno.-
-Certo! Magari si è nascosto nell’autopompa dei vigili del fuoco!-
Sbotta il direttore camminando avanti e indietro intorno a loro.
-Signor Porter, la prego. Scott Dunn sarebbe capace anche di questo.-
Gli dice Kate cercando di mantenere la calma.
-Ryan, vediamo chi è entrato e uscito da qui quel giorno, tutti i movimenti.-
Ordina la Gates, avvicinandosi allo schermo.
-Gli unici esterni sono stati i pompieri e il distributore della Raimbow Food.-
Si girano a guardare il direttore che annuisce.
-E’ la ditta che ci consegna frutta e verdura fresca da anni. La consegna avviene ogni due giorni.-
Castle, rimasto seduto in un angolo in disparte, si alza avvicinandosi a Porter.
-Direttore, controllate anche gli esterni abituali, prima di permettergli di entrare qui, giusto?-
-Naturalmente, facciamo indagini su di loro e teniamo delle schede informative.-
Beckett fa cenno a Ryan di procedere.
-Allora vediamo le informazioni sul consegnatario di quel giorno.-
Sullo schermo appare la scheda informativa di Stephan Grayson e la sua fotografia.
-Che mi venga un colpo! Non ha gli occhiali da sole, ma non vi ricorda qualcuno?-
Chiede Ryan spalancando gli occhi.
-Sembra il tizio che ha portato il capitolo alla CNN!-
Esclama Esposito, mentre il direttore scuote la testa.
-State dicendo che è stato Grayson ad aiutarlo ad uscire da qui? Non ci crederei nemmeno se lo vedessi con i miei occhi. Non ho mai conosciuto nessuno più mite e leale di quell’uomo! In dieci anni non ha mai avuto un minuto di ritardo o un appunto.-
-Nemmeno nella ditta per cui lavora ha mai avuto problemi.-
Continua Ryan che sta studiando la scheda di Grayson.
-Stephan Grayson, 52 anni, un metro e settantacinque. Occhi e capelli scuri. Lavora per la Raimbow Foods da 25 anni e da 10 il suo giro comprende questa prigione. Nessuna nota di demerito e nessun richiamo, sempre puntuale, non ha mai preso nemmeno un giorno di malattia. Pare sia cresciuto in un istituto per orfani, dopo la morte dei genitori. Aveva 9 anni e nessun parente, mai adottato o preso in affido, è uscito dall’istituto a 18 anni e, dopo aver fatto qualche lavoretto di nessun conto, è stato assunto regolarmente dalla Raimbow Foods.-
-Non ha famiglia?-
Chiede la Gates e Ryan cambia schermata.
-Si è sposato quindici anni fa con Carol Bateman, ma la donna è morta da circa due anni, niente figli. Non si fa cenno ai parenti della moglie.-
-E’ un uomo tranquillo detective…-
Comincia il direttore.
-…timido e poco socievole, ma leale e onesto, su questo non ho dubbi.-
-Strano…-
Dice Ryan continuando a leggere.
-Cosa?-
-Stando alla scheda, il 18 ottobre era il suo ultimo giorno di lavoro. Gli era stata accettata la domanda di pensionamento.-
Il direttore Porter annuisce.
-E’ vero. Ora che ci penso, ricordo che era preoccupato perché era rimasto bloccato qui; dopo l’esplosione abbiamo chiuso la prigione per i controlli di routine a tutti i detenuti e lui era preoccupato perchè avrebbe fatto tardi per le altre consegne proprio nel suo ultimo giorno di lavoro. Ho parlato io con il suo capo per avvertirlo di quello che stava succedendo. Ma perché sarebbe strano?-
-Perché potrebbe aver aiutato Dunn ad uscire sul suo furgone. Credendolo morto e non dovendo più tornare qui per lavoro, nessuno avrebbe mai avuto sospetti.-
Risponde Esposito cercando di essere più chiaro possibile.
-Eppure continuo a pensare che tutto questo sia impossibile. Grayson non sarebbe mai stato capace di fare qualcosa d’illegale.-
Rick si rivolge al direttore, meccanicamente slaccia un altro bottone della camicia, senza rendersi conto di stare respirando in maniera troppo affrettata.
-I video di sorveglianza all’entrata di quel giorno, li avete ancora?-
-Certo, qui non distruggiamo niente.-
Porter armeggia all’interno di un armadio per qualche minuto.
-Questo ha filmato tutta la giornata del 18 ottobre.-
Porge il DVD a Ryan che lo inserisce nel computer e porta avanti la registrazione.
-Ecco, qui è quando Grayson è arrivato, erano le 11.45. Con gli occhiali da sole non ci sono dubbi che è proprio il consegnatario del capitolo alla casella postale della redazione della CNN.-
Manda avanti veloce la registrazione e si ferma al momento in cui Grayson esce dalla prigione. L’orologio segna circa 5 ore dopo.
-Prima che spegnassero le fiamme e potessimo dare il via libera dopo aver fatto tutti i controlli, ci sono volute circa cinque ore, in quel tempo Grayson è rimasto chiuso in uno degli uffici del personale.-
-Da solo?-
Chiede la Gates.
-Si, tutte le guardie erano impegnate nei giri di controllo.-
La respirazione di Rick è sempre più affaticata, il suo viso esprime sofferenza e se ne accorge anche il direttore Porter.
-Il suo amico sembra non stare bene detective Beckett.-
Kate lo guarda preoccupata e tutti posano gli occhi su di lui.
-Sto bene… soffro solo di claustrofobia e… e sapere di stare in una prigione mi mette ansia… tutto qui!-
Guarda Kate che deglutisce stringendo le labbra e chiede a Ryan di mettere vicini i due fotogrammi che ritraggono Grayson all’entrata e all’uscita della prigione.
-Non notate niente di strano?-
Chiede Rick con lo sguardo fisso sul monitor, Kate è accanto a lui e all’improvviso sgrana gli occhi.
-All’entrata firma il registro con la mano destra…-
Lui annuisce puntando il dito sul secondo fotogramma.
-… e all’uscita firma il registro con la mano sinistra!-
Si volta a guardarla e sorride.
-Lo ha fatto inconsciamente e non se n’è accorto nessuno con il pandemonio che stava succedendo.-
-Ma questo che può significare?-
Chiede il direttore Porter che non riesce a seguire la loro logica, mentre Kate continua a guardare il monitor.
-Che l’uomo alla guida di quel furgone all’uscita non è Grayson, ma Scott Dunn travestito.-
 
Dopo un attimo di sbandamento iniziale, il direttore Porter si siede e si asciuga il sudore sulla fronte.
-Non ho capito!-
Sussurra guardando Kate, che gli mostra i due fotogrammi puntandoli con il dito.
-Occhiali da sole, cappellino sulla fronte, giubbotto con il bavero alzato… che lei ricordi direttore, Dunn si era fatto crescere baffi e pizzetto?-
L’uomo annuisce senza guardarla.
-Per sembrare perfetto sotto il collo alzato del giubbotto. Ha pensato a tutto.-
Castle la interrompe mostrando un punto preciso dei due fotogrammi.
-Guardate qui, sappiamo che Grayson è più basso di Dunn almeno di cinque centimetri. Nella prima foto la testa è distante dal tetto del furgone di una quindicina di centimetri, mentre nella seconda la distanza è minore.-
Kate annuisce guardando la Gates e il direttore.
-Sta un po’ incurvato per sembrare più basso, ma si vede comunque che non è la stessa persona che è entrata qui. Lo guardi attentamente direttore. Quest’uomo è Scott Dunn!-
L’uomo deglutisce incredulo.
-Quindi se quello non è Grayson, pensate che Dunn possa averlo tramortito nella confusione, si sia travestito come lui e sia uscito indisturbato sul furgone?! Ma allora Grayson che fine ha fatto?-
Castle è appoggiato alla parete, il caldo dentro l’ufficio è diventato insopportabile. Respira male e il dolore all’addome, che in auto era riuscito a contrastare, al momento gli sta contorcendo le budella.
Scuote la testa e sospira.
-Scommetto tutto quello che volete, che Stephan Grayson non è mai uscito da questa prigione.-
Tutti si voltano a guardarlo, è evidente che non sta bene e Kate guarda l’orologio appeso alla parete, chiudendo gli occhi. Il tempo continua a scorrere e loro sono ancora in alto mare.
-Secondo lei signor Castle, Dunn ha preso il posto di Grayson, lo ha chiuso nella cucina insieme agli altri detenuti, ha causato l’esplosione e, dopo aver passato pazientemente cinque ore ad aspettare che rientrasse l’allarme, se n’è andato indisturbato al posto suo?-
Chiede la Gates facendo un resoconto del pensiero di Rick e lui annuisce.
-Ma se così fosse qualcuno avrebbe dovuto denunciare la sua scomparsa!-
-Non è detto capitano. Dalla sua scheda sappiamo che è un uomo solo, senza famiglia. E’ probabile che dopo la morte della moglie si sia rinchiuso ancora di più in se stesso e nella sua solitudine…-
Kate segue il filo del suo discorso.
-…gli piaceva starsene per i fatti suoi, era la persona perfetta. Dunn ha una capacità straordinaria: sapere aspettare e mentre lo fa, guarda, scruta, osserva…-
Rick annuisce e la guarda negli occhi.
-…deve averlo osservato attentamente da quando ha cominciato a lavorare nelle cucine. Lo aiutava a scaricare il camion, magari lo ha spronato a raccontargli qualcosa di lui…-
-…e ha aspettato il suo ultimo giorno di lavoro per organizzare la fuga, così nessuno lo avrebbe cercato.-
Il direttore appare ancora più confuso, non è abituato ai ragionamenti di quei due, mentre perfino la Gates ormai, sembra essersene fatta una ragione.
-Secondo quello che dite, Grayson sarebbe morto nell’esplosione!-
Sussurra il direttore Porter e Kate annuisce.
-Esposito, controlla i conti bancari di Grayson e la sua posizione pensionistica.-
I colleghi corrucciano la fronte, mentre invece Rick la segue a ruota.
-Una volta uscito da qui gli serviva un posto sicuro dove nessuno lo avrebbe disturbato. Un posto tranquillo per scrivere il suo libro, mettere in atto il suo piano e non dare nell’occhio.-
Beckett annuisce rivolgendosi alla Gates.
-Lo ha già fatto in passato con Ben Conrad signore. Prende di mira una persona sola e s’impossessa della sua vita.-
Nell’ufficio scende un improvviso silenzio.
-Se è vero, Grayson è un’altra vittima! Con lui e i tre detenuti dentro le cucine, ha già ucciso otto persone da quando è evaso…-
Sussurra Rick, interrompendo quel silenzio ingombrante, seguito da Ryan che continua a studiare le schede legate a Scott  Dunn.
-Abbiamo trovato anche il Professore!-
Esclama indicando la scheda in primo piano sul monitor, che mostra la foto segnaletica di un uomo dal viso rotondo, pochi capelli e due occhi spiritati dietro dei piccoli occhiali.
-Avevamo ragione… si sono conosciuti in prigione.-
Sussurra la Gates e Ryan continua.
-Lester Downing, 49 anni. Laureato in chimica con lode alla Stanforf. Docente di chimica in un istituto femminile privato per ricconi. Ecco il motivo per cui Dunn, nel manoscritto, lo chiama Professore!-
Dice Ryan cambiando schermata.
-Perché era detenuto qui?-
Chiede il capitano a Porter.
-Lo hanno scoperto mentre fotografava e filmava le studentesse negli spogliatoi. In casa gli hanno trovato decine di DVD con immagini delle ragazze completamente nude, oltre a materiale pornografico vario.-
-Un molestatore pervertito! Allora perché è stato dentro solo 8 mesi?-
Esclama Ryan leggendo le informazioni sul computer.
-Perché nessuna delle ragazze è mai stata molestata personalmente o materialmente. Non le ha mai avvicinate, né da sole né in gruppo, non le ha mai toccate o altro. Nessuno aveva mai notato qualcosa di strano, finchè una delle matricole si è persa nei corridoi delle palestre e lo ha scoperto a fare il guardone. Durante gli interrogatori delle ragazze non è emerso nient’altro, nessuna di loro si è mai sentita in pericolo.-
Esposito corruccia la fronte.
-Strano però. Non ricordo di avere mai letto nessun fascicolo su questa storia e non capisco nemmeno perché, se si limitava solo a guardare e fotografare, il caso sia arrivato nelle mani dei federali, facendolo finire in un carcere di massima sicurezza.-
Il direttore annuisce.
-Lei ha ragione detective. Come avete letto anche voi, è una scuola privata per gente facoltosa, i genitori delle allieve sono persone di spicco, il padre di una di loro ricopre un ruolo di alto livello all’FBI e quando è venuta alla luce questa storia, si è servito del suo potere per mettere tutto a tacere e fare in modo che la stampa non ne venisse a conoscenza. Hanno messo tutto in mano ai federali che in un paio di giorni hanno risolto il caso con un processo per direttissima. Perciò è finito qui.-
Beckett tiene sott’occhio Castle, non parla da qualche minuto ed è molto pallido. Stringe le labbra e si rivolge al collega senza smettere di guardarlo.
-L’indirizzo Ryan, dobbiamo andarci subito!-
Ma prima che Ryan possa aprire bocca il direttore li interrompe di nuovo.
-Quello sulla scheda è l’ultimo indirizzo che ha lasciato prima del suo arresto, ma posso assicurarvi che non ci abita più. E’ andato via così di fretta da lasciare parecchia della sua roba qui, così abbiamo provveduto a spedirla, ma è tornata indietro.-
-E non lo avete più cercato?-
-Ormai è un uomo libero detective, non avevamo motivo di scoprire dove fosse.-
Ancora silenzio, ancora una strada senza uscita.
-Downing non ha famiglia, o almeno la sua scheda non ne parla.-
Continua Ryan, leggendo ancora le informazioni sui file e Castle corruccia la fronte.
-Un altro uomo solo, con problemi esistenziali… perfetto!-
-Ha ricevuto una sola visita in otto mesi. Abraham Pratt. Lavora nella stessa scuola come bidello e risiede in una delle dependance riservate al personale.-
La Gates annuisce.
-Vediamo di sapere qualcosa in più anche su di lui. E’ stato l’unico a venirlo a trovare, potrebbe averlo aiutato una volta uscito di prigione.-
Porter corruccia la fronte.
-Non capisco. Non penserete che Downing abbia aiutato Dunn nella fuga? E’ stato scarcerato circa un anno fa e poi non è il tipo… è troppo codardo per rischiare tanto.-
-Potrebbe averlo aiutato in un altro modo. Cosa ci sa dire di lui, direttore Porter?-
-Bah! E’ un cervellone, una specie di genio. Aveva una cattedra all’Università e una grande carriera davanti come ricercatore, lo avevano richiesto parecchi istituti di ricerca, però il suo carattere e la sua timidezza lo hanno portato a dimettersi ed è andato ad insegnare in quella scuola privata, ma il suo brutto vizietto alla fine l’ha tradito. E’ solo un guardone innocuo che ha paura perfino della sua ombra. Un uomo che, oltre alle sue formule, non è mai riuscito a relazionarsi con nessuno e, stando alla perizia psicologica, non sarebbe stato in grado di spingersi oltre con quelle ragazzine.-
-E scommetto che qui in prigione non ha avuto vita facile!-
Gli dice Kate.
-Indovinato detective. Non usciva mai, nemmeno nell’ora d’aria. Aveva paura. I detenuti lo avevano preso di mira, per la sua mania.-
-E scommetto anche che la vicinanza con Dunn arriva proprio in questo frangente!-
Esclama lei, sempre con gli occhi fissi su Rick, che la guarda e annuisce, seguendo il suo pensiero.
-E lei come fa a saperlo?-
Solleva le spalle e sorride amaramente.
-Tipico della personalità di Dunn. Osserva, trova la persona che può servire al suo scopo e si avvicina a lei nel modo giusto…-
-…perciò lo ha preso sotto la sua ala protettrice difendendolo dai detenuti più antipatici.-
Finisce Castle con lo stesso sorriso.
-In effetti si. Dopo che Dunn aveva lasciato l’isolamento, si sono ritrovati vicini di cella. Lo ha difeso parecchie volte dai detenuti più irruenti.-
-Per far si che gli fosse debitore!-
Conclude Kate digrignando la mascella, mentre Castle finalmente si sposta dalla parete a cui si era appoggiato per sorreggersi.
-Signor Porter, lei crede che Downing sarebbe capace di inventarsi sostanze nuove ed inesistenti? Magari qualcosa di… velenoso?-
Il direttore annuisce immediatamente, nonostante sia stupito dalla domanda.
-Certo! Dategli un laboratorio e inventa qualunque cosa. Qualunque cosa per lui aveva una spiegazione logica e scientifica. Per lui tutto poteva essere rapportato in formule chimiche.-
Ci pensa su un momento e poi scuote la testa.
-Ora che ci penso, questo lo so perché Dunn gli faceva sempre domande sul suo lavoro, diceva di esserne affascinato!-
Spalanca la bocca ancora più stupito.
-Santo cielo, Dunn vuole avvelenare qualcuno? E’ per questo che siete così preoccupati e interessati a Downing?-
Castle solleva lo sguardo su di lui e il direttore lo guarda dritto negli occhi. Quegli occhi sempre più stanchi e cerchiati, quegli occhi che non riescono più a nascondere paura e dolore.
Deglutisce e si passa la mano tra i capelli.
-Buon Dio… l’ha già fatto!?-
Esclama senza distogliere lo sguardo da Castle che sospira e guarda Kate in cerca d’aiuto.
-Ehi Beckett…-
Esposito rientra in ufficio di corsa.
-Il conto in banca di Grayson è attivo, ha usato l’ultima volta la carta di credito due giorni fa alle 15.27 per prelevare duecento dollari e gli viene recapitato l’assegno della pensione ogni mese direttamente a casa.-
Kate annuisce, prende il cappotto e si dirige alla porta.
-Bene… se abbiamo ragione, Dunn in questi quattro mesi ha vissuto sotto l’identità di Stephan Grayson, ha usato la sua casa, la sua roba e i suoi soldi. Castle ed io andiamo a casa di Grayson, invece voi due vi occuperete di rintracciare il Professore. Avrà un conto bancario, controllatelo. Parlate con i suoi vecchi vicini di casa e contattate il preside della scuola dove insegnava e quel suo amico… Abraham Pratt-
-Beckett, sono le nove passate…-
Cerca di intervenire Esposito, ma lei lo blocca subito.
-Non importa se dovete buttare tutti giù dal letto. Rintracciate chiunque ha avuto contatti con lui. Se sarà necessario andrete porta a porta anche stavolta… scoprite dove si trova adesso.-
La Gates scuote la testa freneticamente.
-Niente affatto Beckett. Non voglio altri guai. Del Professore ce ne occuperemo io e le squadre rimaste al distretto e stai tranquilla, mi atterrò dettagliatamente ai tuoi ordini!-
Kate sgrana gli occhi e a Rick scappa un sorriso.
-Invece voi andate da Grayson e ci andate tutti insieme con una pattuglia di rinforzo.-
-Capitano, se quello che pensiamo è vero, Dunn ormai non ci sarà più in quella casa.-
-Fate come vi dico, non si può mai sapere… direttore Porter, grazie per la sua collaborazione.-
Gli porge la mano e si dirige all’uscita, seguita da Kate che le si avvicina di corsa.
-Signore… non intendevo dare ordini al posto suo prima… io volevo solo…-
Il capitano solleva la mano continuando a camminare spedita.
-Fidati Beckett, un giorno sarai un grande capitano!-
 

 
La solitudine e il silenzio gli erano sempre piaciuti.
Quando aveva dato vita al fuoco la prima volta, lo aveva fatto proprio per restare solo, per non sentire le voci che lo facevano diventare matto.
Si era sempre immerso in un mondo parallelo al suo, un mondo in cui le persone che lo facevano soffrire potevano essere eliminate con la stessa facilità con cui si accartoccia un foglio di carta su cui si è sbagliato a scrivere.
La solitudine e il silenzio gli erano sempre piaciuti, per questo odiava la prigione. Anche in isolamento sentiva l’eco delle voci che si rincorrevano continue, soprattutto la notte.
Anche lì aveva usato il fuoco per ritrovare il silenzio!
La solitudine e il silenzio gli erano sempre piaciuti, ma quando aveva incontrato Nikki, qualcosa dentro di lui si era scosso.
La sentiva vicina nonostante fosse lontana da lui, immaginava la sua vita completata da lei e dalla sua presenza continua.
L’aveva messa alla prova, doveva essere sicuro che fosse degna delle sue attenzioni e della sua passione, per questo le aveva dedicato gli omicidi, aveva preparato con cura i proiettili, li aveva scolpiti uno per uno, lettera per lettera, solo per lei… ma non era servito a niente. Per la prima volta il piacere della solitudine si era trasformato in dolore e rabbia…
Aprì la porta e il silenzio lo avvolse.
Girò lo sguardo alla sua destra e la parete vuota lo colpì come un pugno allo stomaco. La mancanza del pendolo in quella topaia, lo fece sentire solo come il giorno in cui Nikki lo aveva tradito.
Chiuse la porta con forza e con la stessa forza scaraventò lo zaino a terra.
-Ti vedrò morire…-
Sibilò tra i denti, respirando a fatica.
-Sarò lì quando i tuoi occhi imploreranno pietà, quando non avrai più nemmeno la forza di lamentarti…-
Strinse i pugni e fece un respiro profondo.
Chiuse gli occhi e dopo un attimo un ghigno di piacere fece breccia tra sue labbra.
-Mi nutrirò del suo ultimo, disperato respiro… e poi la tua vita, Nikki, sarà mia…-
Sollevò i pugni verso l’alto, strinse le labbra e i suoi occhi scintillarono.
Solo dopo averla distrutta sarebbe stato veramente libero.
Fino ad allora sarebbe stato sempre prigioniero. In isolamento. Ammanettato a lei.
Si avvicinò alla scrivania, studiò il materiale che vi aveva disposto sopra qualche ora prima e continuò a sorridere.
Prese i cubetti di plastico e ad uno ad uno li avvolse con cura nella carta d’alluminio, per poi posarli dentro lo zaino. La stessa cosa fece con i cavetti elettrici e il detonatore.
Chiuse lo zaino e lo posò con cura ai piedi della porta.
Portò la mano al girocollo della maglia che indossava e tastò il cordoncino di pelle che aveva attorno al collo. Scese poco più giù, all’altezza del cuore e strinse con forza la maglia. Sentì la sagoma piccola e quadrata della boccettina e il suo diventò un sorriso smagliante.
Anche in questo si somigliavano: Nikki portava il suo unico tesoro appeso al collo, proprio come lui aveva conservato il suo vicino al cuore… l’aveva notato poco dopo essere tornato libero.

Si era messo a seguirla da subito, controllava le sue mosse, i suoi spostamenti, i suoi gesti. Un giorno si era chinata a guardare qualcosa da vicino su una scena del crimine e dalla camicetta era scivolata una catenina con un anello. Lei l’aveva presa immediatamente tra le mani, come se avesse avuto paura che potesse rompersi e, dopo averla stretta nella mano, l’aveva rimessa con cura all’interno della camicetta, accanto al suo cuore.
Quel giorno aveva sorriso… aveva scoperto un altro volto di Nikki, quello sentimentale.
Quell’anello doveva essere il suo piccolo tesoro!

Tornò alla scrivania, si sedette e prese dal cassetto un altro manoscritto, doveva ancora essere rilegato con la copertina, ma aveva ancora un po’ di tempo. Lo aprì e lesse velocemente alcune parti di ogni pagina. Man mano che i suoi occhi scorrevano sulle parole, sorrideva ed annuiva ai suoi stessi pensieri.
Chiuse il manoscritto, prese la copertina e la sistemò per bene al centro della macchinetta rilegatrice. Si alzò in piedi, diede un colpo secco alla leva laterale e il volto della sconosciuta con la lacrima avvolse i fogli in tutto il suo splendore.
La accarezzò delicatamente.
-Questa donna disperata sei tu Nikki… quella lacrima è la tua. Lui sa che sei tu che lo stai portando alla morte, ti considera già colpevole e questo ti porterà altre lacrime… ne piangerai tante Nikki e saranno lacrime di sangue…-
Il silenzio e la solitudine tornarono ad essere suoi amici fidati, passò i polpastrelli privi di impronte sulle lettere del titolo e sospirò.
-Mi implorerai in ginocchio Nikki…-


Angolo di Rebecca:

Le indagini vanno svolte, un senso investigativo alla storia deve essere dato, perciò ci sono anche i capitoli "noiosi", ci vogliono :)
Adesso sappiamo qualcosa in più.
Dunn è fuggito senza che nessuno se ne accorgesse... un morto non lascia traccia (quest'uomo mi lascia senza parole!)
Rick comincia a non sentirsi in forma e la Gates, oltre ad amare castle, si sta divertendo a maltrattare chiunque :3
Kate?! Beh... Kate diventerà un ottimo capitano... un giorno ahhahhaha

Grazie come sempre <3

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Capitolo 26
*** Mors Tua, Vita Mea... ***






 

Capitolo 26
 
 

Le tre auto frenano stridendo in contemporanea davanti al civico 2148 di Clinton Hill.
La zona residenziale, ma non troppo pretenziosa, si presenta con una schiera di villette singole con giardino.
La strada è tranquilla, Beckett e i colleghi scendono velocemente, controllando l’esterno della casa e i dintorni della via, mentre Castle resta seduto in macchina, come imbambolato. Come già gli era successo al distretto qualche ora prima, sente i suoi pensieri lavorare piano, in contrasto con la fretta dei suoi amici.
Il giardino di casa Grayson è un miscuglio di fiori cresciuti qua e la quasi solo per la forza di volontà, ormai soffocati dalle erbacce, abbastanza alte da aver avuto qualche mese per prendere piede. Il roseto quasi addossato all’angolo destro della casa è praticamente rinsecchito. Ombre di rose bianche e rosa ormai secche pendono dai rami, mentre il resto dei boccioli giace a terra privo di vita. Certo Dunn non si era preso la briga di fare giardinaggio, ed era così strano pensare che nessuno dei vicini avesse fatto caso al cambiamento di quel giardino, sicuramente tenuto sempre pulito e in fiore. Per un attimo immagina la signora Grayson intenta a tagliare le rose per metterle in vaso, mentre con cura elimina le erbacce intorno e gli animaletti nocivi alla crescita dei boccioli.
Scende dall’auto, chiude lo sportello e si appoggia alla fiancata dell’auto. Osserva le altre villette, le facciate sono dipinte di colori chiari e tenui che le fanno sembrare deliziose casette per le bambole. Si sofferma sui fiori, le siepi ben curate, tricicli e biciclette lasciati andare sui vialetti. Immagina le famiglie intorno al tavolo per la cena oltre quelle pareti calde ed accoglienti, qualcuno magari ha già finito e si sta rilassando comodamente sul divano dopo una giornata frenetica e di lavoro.
Beckett attira la sua attenzione con un gesto della mano e lui si riscuote da quell’osservazione attenta, che lo ha portato inconsciamente ad immaginarsi la vita solitaria di un uomo che si portava dentro il suo dolore in silenzio. Tanto in silenzio che nessuno aveva più fatto caso a lui.
Con le mani in tasca si avvicina a Kate e oltrepassano il cancello che protegge la casa, soffermandosi davanti alla porta.
-Voi due sul retro.-
Ordina a Francis e Baxter, i due agenti di pattuglia che li hanno raggiunti per la perquisizione.
Esposito mette la mano sulla maniglia e fa un cenno con gli occhi a Beckett, quando questa si muove in senso orario sotto la sua stretta, facendo socchiudere la porta.
-Che gentile… ci ha lasciato la porta aperta!-
Esclama, aprendola del tutto ed entrando con cautela.
Beckett e Ryan lo seguono facendo entrare Castle per ultimo.
Puntano la pistola verso la cucina, ma si rilassano quando vedono i colleghi.
-La porta sul retro era aperta detective. Di là non c’è nessuno.-
-Nemmeno al piano di sopra.-
Dice Esposito dopo aver controllato le due camere da letto.
Si guardano intorno ancora qualche secondo, poi Kate ordina a Francis e Baxter di setacciare la zona e parlare con i vicini.
-E’ andato via da poco Beckett.-
Esclama Ryan dopo aver aperto il frigorifero.
-C’è poca roba, ma è fresca. L’insalata risale a ieri.-
Continua dopo avere controllato la data di confezionamento. Kate stringe i pugni.
-Come volevasi dimostrare. Sapeva che saremmo arrivati a Grayson… è andato via al momento giusto.-
I ragazzi annuiscono, mentre Rick, nel silenzio più assoluto si guarda intorno, osservando i gingilli di porcellana dentro la credenza del soggiorno, i centrini lavorati a mano sistemati sulle spalliere delle poltrone e sul tavolo, le foto alle pareti e il bellissimo orologio a pendolo, posizionato alla destra della porta d’entrata, che però è fermo alle 11.30.
L’agente Francis rientra in casa in compagnia di una donna.
-Detective, le presento la signora Brumby, abita qui accanto. Dice di aver visto Stephan Grayson questa mattina.-
La donna fa una smorfia.
-Non è che lo dico… è vero. Ho visto il signor Grayson stamattina, si stava preparando per andare a pesca!-
Kate le sorride e fa un cenno della testa a Francis perché si allontani.
-Il collega non voleva essere scortese, signora Brumby.-
-A me è sembrato che volesse darmi della rimbambita, come se avessi detto una cosa che non sta né in cielo e né in terra.-
Kate sorride ancora, cercando di calmare la donna.
-Stava andando a pesca ha detto?-
La signora Brumby sorride a sua volta, compiaciuta delle buone maniere della detective.
-Si, tornavo a casa dalla spesa e lui stava caricando il portabagagli. Aveva la canna da pesca e una di quelle cassette enormi che contengono di tutto…-
Si avvicina a Kate con un’altra smorfia.
-…probabilmente anche dei vermi vivi!-
Kate annuisce, dando un occhio a Rick, che continua a osservare ogni granello di polvere possa esistere in quella casa.
-Conosce da tanto il signor Grayson?-
-Da quando lui e la moglie sono venuti a vivere qui. Carol era una donna adorabile, esuberante e sempre sorridente, lui è completamente diverso. Timido e silenzioso, ma gran lavoratore e tanto gentile.-
La donna si rabbuia all’improvviso.
-Da quando Carol è morta si è rinchiuso ancora di più in se stesso. Viveva per quella donna, erano in simbiosi…-
Rick si gira di colpo a guardare Kate, ha gli occhi lucidi e l’aria di un bambino sperduto. Lei riporta l’attenzione sulla signora Brumby e sospira.
-Nelle ultime settimane ha notato qualcosa di strano nel signor Grayson?-
-Non più del solito. Sa… io conoscevo meglio sua moglie, con lui ho sempre scambiato poche frasi ed il saluto. Gliel’ho detto, è timido e riservato.-
La donna corruccia la fronte.
-Ma perché tutte queste domande? Gli è successo qualcosa? La prego, mi dica che il caro signor Grayson sta bene, era così contento di andare in montagna oggi.-
Kate scuote la testa, accompagnandola alla porta.
-E’ solo un’indagine di routine signora Brumby.-
La donna si guarda intorno spaesata.
-Ma che indagine di routine dovreste fare sul signor Grayson?-
Kate evita la domanda, mettendo fine alla discussione con garbo.
-E’ stata molto gentile. Grazie!-
La signora Brumby si avvia verso casa sua, tenendo gli occhi fissi su Kate, sinceramente preoccupata per il suo vicino.
Castle non ha ancora detto nemmeno una parola, si sposta a guardare fuori dalla finestra, posando lo sguardo sul roseto e la frase della signora Bumby gli fa eco nelle orecchie, viveva per quella donna, erano in simbiosi…
Chiude gli occhi e scuote la testa. Grayson era un uomo schivo e solitario, dopo la morte della moglie può essere sembrato normale che lasciasse andare tutto in malora, ma lui l’amava e se come immaginava, quel roseto era l’orgoglio della moglie,  era impossibile pensare che un uomo che viveva solo per lei, lo lasciasse morire.
Corruccia la fronte immedesimandosi nella solitudine di ques’uomo, nelle sue giornate spente e sempre uguali dopo la morte della donna che era la sua vita e sente un groppo alla gola.
-Sempre più gentile il nostro amico…-
Esclama Ryan, mostrando una busta trasparente.
-…ha lasciato gli attrezzi del mestiere. Baffi, pizzetto e neo finti ed un paio di lentine scure.-
-Quello che lo faceva essere Grayson. Evidentemente, una volta evaso, deve aver tagliato il pizzetto vero, per potersi camuffare in modi diversi.-
Risponde Kate, cercando con lo sguardo Rick. Lo vede di spalle, dritto davanti al pendolo e così intento ad osservarlo che non li ascolta nemmeno.
-Castle!-
Senza girarsi le fa segno di avvicinarsi. Apre lo sportello che racchiude il pendaglio, si china a guardarlo e lo tocca leggermente con un dito.
-E’ strano che non cammini. E’ tenuto bene, Grayson non lo avrebbe lasciato rotto.-
-Forse lo ha rotto Dunn!-
Ipotizza Esposito, ma Rick si sporge più avanti e sposta il pendaglio verso destra.
Sospira attirando di più l’attenzione di Kate, che si china accanto a lui guardando nella stessa direzione.
Dietro al pendaglio scorge una lacrima rossa. Il resto del viso è nascosto, ma capisce già che si tratta della copertina di un nuovo capitolo. Lo disincastra con attenzione per non sgualcirlo e il pendaglio riprende la sua oscillazione lenta e ritmata, provocando il suo ticchettio.
Rick legge mentalmente il titolo, cerca di reprimere un lamento per uno spasmo e si appoggia alla parete per sorreggersi.
-Sarà meglio leggerlo, magari ci dà qualche altro indizio.-
Esposito prende di fretta il manoscritto dalle mani di Beckett, ma si ferma quando vede Castle scuotere la testa.
-Non ci darà nessun indizio. Nel messaggio che ha mandato a Nikki dice che avremmo trovato le risposte alle nostre domande nei capitoli omaggio che avrebbe lasciato in giro. Sta tornando indietro con il racconto. Questo capitolo parla di Grayson… e fa anche lo spiritoso! Mors Tua, Vita Mea… la tua morte è la mia vita…-
Kate annuisce.
-La morte di Grayson  gli ha ridato la vita!-
Rick si lascia andare lentamente a terra, appogiato alla parete e i ragazzi gli vanno immediatamente incontro.
-Ehi… che ti prende?-
Lui alza lo sguardo su Kate che sembra paralizzata.
-Sono solo stanco…-
-Ti portiamo in ospedale brò.-
Ryan fa la mossa di chinarsi per aiutarlo ad alzarsi, ma lui scuote ancora la testa.
-Leggiamo prima la storia. Sto bene…-
Kate annuisce preoccupata e fa segno ad Esposito di cominciare a leggere.

 
Stephan Grayson era un uomo mite, tranquillo, silenzioso e soprattutto… era un uomo solo.
Aveva raccolto informazioni su di lui senza destare sospetti, una domanda qua e la ai compagni di disavventure o ad una guardia più accondiscendente.
Una notizia oggi e una domani, tanto per fare quattro chiacchere e parlare del più e del meno.
Era solo, completamente.
Stephan Grayson era la persona che gli serviva…

 
Rick stringe le braccia alle ginocchia, cercando di reprimere il dolore, diventato insopportabile e soprattutto visibile. Kate non gli toglie gli occhi di dosso, consapevole che dovrebbe stare in ospedale. Digrigna la mascella e torna a prestare attenzione alla voce di Esposito.
 
Lavorava nelle cucine, aveva accesso alla caldaia. Era bravo con i circuiti elettrici, bastava invertire un paio di fili per fare un bel botto.
E poi c’era Grayson…
Si fece crescere baffi e pizzetto, aspettò paziente che Stephan accettasse il suo aiuto per scaricare il furgone, raccontò una storia strappalacrime sulla sua vita, senza che lui gli rispondesse mai, fino al giorno in cui, l’uomo con il giubbotto blu e l’arcobaleno disegnato sulle spalle, gli rivolse la parola.
Giorno dopo giorno anche lui gli raccontò la sua storia e così ebbe la certezza che era il suo uomo, il suo capro espiatorio.
Quel giorno, come sempre, lo aiutò a scaricare, mentre le due guardie all’entrata del cortile li controllavano e altri tre detenuti ripulivano la grande stanza.
Aveva sistemato a dovere la caldaia, era difettosa da tempo, lo sapevano tutti, nel giro di pochi minuti si sarebbe scatenato l’inferno.
 

-E’ pazzesco!-
Esclama Ryan.
-Come si può organizzare un piano di fuga del genere, senza dare nell’occhio?-
-Basta avere… pazienza.-
Sussurra Rick, respirando sempre più a fatica.
Esposito resta in silenzio a guardarlo. Sono sempre più preoccupati, ma lui sembra non farci caso, perché lo guarda fisso e gli fa cenno di continuare.
 

Poggiò l’ultima cassetta di mele a terra nel magazzino e finse di essersi fatto male.
Grayson gli si avvicinò per aiutarlo e lui lo colpì alla testa.
Lo spogliò, rivestendolo con la sua tuta arancione, indossò i suoi abiti, le guardie non avrebbero fatto caso ai pantaloni troppo corti. Sistemò il corpo dentro la stanza della caldaia . Inforcò gli occhiali da sole ed il berretto, prese le cassette vuote da riportare sul furgone ed entrò in cucina. I suoi compagni stavano ancora lavorando e le guardie erano tranquille.
Si avvicinò alla porta.
-Ho finito, ci si vede tra un paio di giorni.-
Disse ad una delle guardie, che annuì, saluntandolo con un gesto della mano.
Si avviò al furgone, lentamente, contando i secondi che lo separavano dall’esplosione.
3, 2, 1…
 

-Boom! Ed è tutto finito!-
Esclama con rabbia Esposito, scaraventando il manoscritto al muro.
-Ha ucciso quattro persone in quel carcere per potere evadere, avrebbe potuto fare una strage… e adesso…-
Stringe i pugni e Kate gli si avvicina di scatto, quando vede Rick deglutire e farsi piccolo tra le sue stesse braccia, come se si sentisse in colpa per quella rabbia, per la sofferenza dei suoi amici.
-Basta Espo! Tutto questo non serve a niente.-
Gli dice facendo cenno verso Castle ed Esposito sospira, sollevando le mani davanti al viso come a volerle chiede scusa. Raccoglie lei stessa il manoscritto da terra e prosegue a leggere.
 

Non era stato difficile, era stato solo lungo.
Aveva dovuto dare fondo a tutta la sua pazienza per potere gioire di quel momento.
Tre anni… c’erano voluti tre, lunghissimi anni.
Anni in cui non aveva fatto altro che pensare a lei. Un pensiero fisso, continuo.
Io ti vedrò morire…

 
Kate si ferma, sente lo sguardo di Rick addosso, ma non riesce a ricambiarlo. Chiude gli occhi per riprendersi e torna a leggere le ultime righe.
 

Salì sul furgone.
Il cancello di ferro che lo aveva tenuto prigioniero fino a quel momento si spalancò e lui si ritrovò per strada… libero!
Guardò la sua immagine nello specchietto retrovisore e la faccia di Grayson gli sorrise.
Sollevò la visiera del berretto da baseball e lo ringraziò di cuore per avergli concesso la sua inutile vita.
Mors tua… vita mea!

 
Kate si sofferma a guardare Rick. Ha lo sguardo perso nel vuoto e non riesce più a fingere di non sentire dolore. Consegna il manoscritto ad Esposito e gli mette una mano sulla spalla.
-Dateci un paio di minuti. E tenete lontano anche Francis e Baxter.-
I ragazzi annuiscono, escono chiudendosi la porta alle spalle e lei si siede a terra accanto a Rick.
-Adesso ti porto a fare il prelievo e non ammetto repliche.-
Gli sussurra dolcemente prendendogli la mano. Lui annuisce soltanto e Kate appoggia la testa sulla sua spalla.
Rick le stringe la mano e si accuccia di più a lei.
 
 
Pensava a lei in continuazione, dentro quella stanza completamente chiusa, con le pareti uguali al pavimento e come unico arredo solo un duro letto.
Pensava a lei in continuazione, dentro quel cubicolo isolato dal resto del mondo, dove il giorno e la notte avevano lo stesso colore e il tempo non aveva fretta.
Pensava a lei in continuazione, vedeva la sua morte in modi diversi e tutte le volte era lui ad ucciderla.
Sarebbe uscito da quel posto prima o poi… lo pensava di continuo, così come pensava di continuo a lei e, alla fine, ci era riuscito.
Mesi prima era uscito da quella prigione di massima sicurezza a testa alta, senza che nessuno se ne accorgesse e, se solo avesse voluto, se solo avesse deciso di cambiare continente, nessuno avrebbe mai sospettato nulla.
Ma lui aveva architettato tutto non certo per sparire… anzi! Aveva aspettato tre lunghi anni per un motivo più importante, non certo per la libertà.
Quella è effimera… se non sai viverla.
Lui la libertà la viveva nella sua mente e la sua mente la metteva in pratica.
Aveva pensato alla trama della sua vendetta per tre anni, non sapeva come sarebbe stata la scrittura, ma era sicuro che prima o poi sarebbe riuscito a decidersi… e poi aveva conosciuto il Professore e gli si era aperto il mondo…
L’idea iniziale era di avvelenare lei, seguirla nel suo calvario e rubare i suoi ultimi respiri, ma poi li aveva visti insieme. Li aveva seguiti, mentre facevano la spola da una casa all’altra.
Da una camera da letto all’altra…
In quel momento, la rabbia era stata incontenibile e aveva cambiato trama, aveva strappato e gettato via tutto quello che aveva già scritto e aveva ricominciato, ritrovando la serenità.
Era ancora seduto alla sua scrivania.
Teneva gli occhi chiusi, per riposare la mente dopo tutti gli avvenimenti delle ultime ventiquattro ore. Con una mano teneva il settimo capitolo della sua storia, con l’altra stringeva la boccettina che aveva nascosto attaccata al collo.
Tutta la sua libertà era racchiusa in quei due oggetti.
Il settimo capitolo di un grande libro, una storia che avrebbe tenuto il lettore con il fiato sospeso e che avrebbe portato i protagonisti alla distruzione e la boccettina piccola e liscia che stringeva nella sua mano. Il poco liquido che conteneva era la sua libertà assoluta e avrebbe reso libera anche Nikki.
Lei stava cadendo, sempre più in basso, sempre più avvolta nel buio e lui era l’unico che avrebbe potuto renderla libera.
Aprì gli occhi, quando sentì la trasmittente prendere vita.
Era arrivata a casa di Grayson.
Sorrise guardando l’orologio sul computer. Era in perfetto orario. La trama procedeva bene.
Chiuse ancora gli occhi, percependo l’ansia e la rabbia nella voce di ognuno di loro, la stanchezza in quella della sua vittima.
Quando sentì la voce di Nikki ebbe un sussulto, strinse i pugni desiderando di esserle accanto per sentire il suo profumo e godere della sua paura.
Mise da parte il manoscritto e aprì il cassetto centrale della scrivania, prese la tabella compilata dal Professore, ma prima di aprirla rivolse lo sguardo al trasmettitore, che gli rivelò che Nikki e lo scrittore avevano trovato il sesto capitolo nel pendolo.
Si mise comodo e rilesse l’ultima frase di pagina uno della tabella.
‘L’individuo comincerà ad accusare stanchezza, piccoli crampi e dolori, soprattutto nella zona addominale. Questa prima fase potrà durare dalle 9 alle 12 ore.’
-Dalle 9 alle 12 ore…-
Ripeté a se stesso. Guardò l’orologio e sorrise compiaciuto.
-Dodici ore. Sono già passate dodici ore Nikki e il tuo scrittore comincia a stare davvero male.-
Girò il foglio e, mentre Nikki leggeva le ultime righe del suo capitolo, ripassò le fasi descritte dal Professore a pagina due della tabella.
 
  • A dodici ore dal contagio, il soggetto accuserà malessere generale e debolezza. Questa fase si presenterà con dolore acuto, ma discontinuo. La tossina agirà ancora in maniera frammentaria, infettando lentamente l’organismo, alternando nel soggetto momenti di benessere a momenti di crisi.
  • Durante la sperimentazione, la cavia ha avuto problemi di respirazione per tutta la durata dell’esperimento. Si può asserire quindi, che la tossina agirà principalmente sull’apparato respiratorio.
  • Nella parte finale di questo stadio il soggetto sarà inappetente e avrà problemi anche a livello motorio. Mi riservo di aggiungere che queste fasi possono subire variazioni, a seconda dello stato di salute del soggetto prima del contagio. Questa seconda fase potrebbe prolungarsi per altre dodici ore…
 
Sono seduti a terra da qualche minuto, appoggiati al muro, vicini e con le mani strette in assoluto silenzio. Kate sente il ticchettio leggero del pendolo e gira la testa verso le lancette dell’orologio, che hanno ricominciato a muoversi, ricordandole che ogni oscillazione scandisce il loro tempo.
-Dobbiamo andare Castle.-
Lo aiuta ad alzarsi e restano fissi con lo sguardo.
Nessuna discussione potrebbe essere più eloquente di quello che esprimono i loro silenzi.
-Do disposizione ai colleghi per il rientro e poi andiamo.-
Lui annuisce e lei esce per un momento. Quando rientra lo vede intento a fissare le foto sulla parete. Lo aveva già fatto quando erano arrivati, ma adesso le guarda con le lacrime che traballano nei suoi occhi e con una tale attenzione da non accorgersi che lei è rientrata.
Si sente stringere il cuore, gli mette una mano sulla spalla e inclina la testa.
-Castle!-
Lui sussulta, ma non si volta.
-Si può essere talmente soli da diventare invisibili!?-
Sussurra continuando a passare gli occhi da una foto all’altra.
-Guarda queste foto Kate, era felice solo con lei. Quella donna era tutta la sua vita. Non c’è nessuna foto di lui da solo, né  prima del matrimonio, né dopo la morte della moglie.-
Scorre lo sguardo da una foto all’altra e sospira.
-E’ come se avesse vissuto soltanto dopo averla incontrata e dopo sia morto con lei.-
-Castle, dobbiamo andare…-
Cerca di riscuoterlo lei, ma Rick scuote la testa violentemente.
-Santo cielo Kate, quest’uomo è morto da quattro mesi e non se n’è accorto nessuno!-
Si porta le mani alla testa e lascia che le lacrime scorrano sul suo viso senza vergogna.
-Era un brav’uomo, onesto e solo… così solo che alla fine è diventato davvero invisibile. Dunn lo ha ammazzato come un cane e non se n’è accorto nessuno… nessuno ha sentito la sua mancanza…-
Kate cerca di calmarlo, l’agitazione sta prendendo il sopravvento e non gli fa certo bene.
-Quanta gente dovrà ancora morire per quest’assurda vendetta? Quanta gente dovrà ancora morire per colpa nostra? Quanta Kate?-
-Castle smettila, devi calmarti!-
Scuote la testa singhiozzando e ad un tratto si piega su se stesso per una fitta all’addome.
Kate cerca di sorreggerlo, ma lui si accascia a terra, contorcendosi e lamentandosi.
-Esposito, Ryan…-
Urla Kate e i colleghi aprono la porta di colpo.
-Espo prendi le siringhe sulla mia macchina.-
-Oddio Kate…-
Sussurra Rick, aggrappandosi a lei e stringendole una mano tanto da farle male.
-…è ins…insopportabile…-
Cerca di parlare, ma gli manca il respiro e tossisce convulsamente.
-Prendo dell’acqua!-
Esclama Ryan, mentre Esposito rientra di corsa con la valigetta. La apre con difficoltà perché gli tremano le mani e continua a guardare Castle che si contorce per il dolore. Prende la siringa e, sempre tremando, riesce a fargli l’iniezione al braccio, attraverso i vestiti.
Rick continua a respirare male. Kate lo stringe a sé, consapevole che l’unica cosa che può fare è aspettare che la medicina faccia effetto.
-Tranquillo Rick, tra poco starai meglio.-
Gli accarezza il viso, cercando di sollevarlo per farlo respirare meglio, mentre Ryan ed Esposito lo guardano impotenti.
-Calmati Rick… la medicina farà effetto presto.-
La sua voce è un sussurro, lo tiene stretto cullandolo, sentendo le sue mani stringersi sui suoi vestiti, man mano che il dolore aumenta d’intensità.
-Cerca di respirare con calma…-
Continua a sussurrare fino a che la stretta di Rick diventa più morbida e, lentamente, si lascia andare tra le sue braccia, rilassandosi completamente, ma con il respiro corto.
Kate continua a parlargli con dolcezza e dopo un paio di minuti Rick solleva finalmente il viso, sudato e provato per la crisi appena avuta.
Si guardano per un momento interminabile e lui alza lentamente la mano per asciugarle le lacrime sul viso. Lei corruccia la fronte stupita, non si era resa conto di stare piangendo fino a quel momento.
-E’ questo… che… che mi spa… venta!-
Balbetta a fatica Rick e quando lei gli mostra la sua espressione confusa, lui solleva le dita bagnate delle sue lacrime.
Kate scuote la testa e lo bacia sulla fronte continuando a stringerlo.
Ryan gli avvicina il bicchiere d’acqua.
-Bevi Castle, ti sentirai meglio.-
Aspettano qualche altro minuto e poi si guardano a vicenda.
-Te la senti di alzarti?-
Lui annuisce, Esposito gli prende il braccio, se lo mette attorno al collo e lo aiuta a tirarsi su.
-Va meglio?-
Gli chiede, aiutandolo a stendersi sul divano.
-Si, il dolore è passato… ho solo bisogno di un paio di minuti.-
-Adesso si va dritti in ospedale e se è necessario, ci resti!-
Esclama Kate, ma prima che lui possa protestare le squilla il telefono. Risponde immediatamente appena vede il nome della Gates illuminare il display.
-Ci sono novità sul Professore?-
Le chiede ansiosa, mettendo il telefono in viva voce e la donna all’altro capo del telefono sospira così pesantemente, che le speranze di Kate si spengono all’istante.
-No Beckett, sappiamo solo che il giorno che è uscito di prigione è andato in banca e ha chiuso il conto. Sono riuscita a rintracciare l’impiegato che lo ha servito, nonostante l’ora è riuscito a farmi avere l’estratto conto di quel giorno. Ha ritirato esattamente 42.567 $ e ha prelevato tutto in contanti.-
Kate sospira guardando i colleghi.
-Questo significa che non ha carte di credito o assegni da potere rintracciare. Voleva far perdere le proprie tracce.-
-Proprio così e penso anche che volesse rendersi irrintracciabile soprattutto per tenersi lontano da Dunn. Per quanto riguarda Abraham Pratt, alla scuola non sanno più niente nemmeno di lui, pare che lo abbiano licenziato subito dopo l’arresto del Professore.-
Kate corruccia la fronte.
-Per quale motivo? Non c’è niente che faccia pensare che fosse suo complice.-
-Era suo amico, pare che passassero molto tempo insieme e così lo hanno buttato fuori… gente facoltosa Beckett!-
Conclude la frase irritata.
-Adesso è tutto chiuso, ma domattina vedrò di fare controllare gli uffici dell’Anagrafe e del Catasto, per trovare qualcosa di più anche sul signor Pratt.-
-Mi scusi signore, allora come mai mi ha chiamata?-
-Ho fatto controllare tutte le notizie di cronaca dal 18 ottobre ad oggi, ho pensato che magari Dunn poteva aver combinato altri disastri prima degli omicidi e mi sa che abbiamo fatto bingo! Un paio di mesi fa, c’è stato un incendio di dimensioni colossali alla Green Chemicals Indistries, una grossa industria farmaceutica.-
-Mi ricordo, hanno avuto danni per milioni di dollari. I giornali ne hanno parlato per giorni.-
-Infatti. Ho contattato il proprietario, John Statson. Mi ha detto che l’incendio è stato doloso, tutta l’ala ovest del fabbricato è andata completamente distrutta… e in quell’ala si trovava anche un magazzino che conteneva sostanze velenose che si usano per la composizione di particolari medicine, ovviamente in dosi millesimali.-
Kate controlla Rick che ascolta ad occhi chiusi ancora disteso. Respira a fatica, ma sembra più calmo.
-Comincio a capire capitano. Dunn potrebbe avere rubato la sostanza che gli serviva per il veleno, per poi dare fuoco a tutto l’edificio per coprire il furto.-
La Gates annuisce sorridendo, anche se la sua detective non può vederla.
-Esatto. E’ quello che ho pensato anch’io. Fare avere una lista di quelle sostanze alla dottoressa Dobbson potrebbe essere importante, potrebbero circoscrivere il campo di ricerca.-
Kate annuisce e si morde le labbra.
-Gli ha chiesto di mandarle la lista per e-mail?
-Si, ma Statson mi ha risposto che dal suo ufficio non uscirà nulla, pare che gli abbiano mosso delle accuse pesanti sul fatto che l’incendio lo abbia appiccato lui per riscuotere l’assicurazione. E’ arrabbiato e restio per questo Beckett, quindi bisogna andare da lui e fare opera di convincimento di presenza.-
-D’accordo capitano, mi dia l’indirizzo.-
Chiude la chiamata e Kate si rivolge ai colleghi.
-Bene! Voi andate da questo Statson, io accompagno Castle in ospedale.-
-No, va tu.-
La voce di Rick dietro di lei la fa sussultare, non si era accorta che si fosse alzato.
-Niente affatto, ti porto in ospedale e niente storie…-
-Non voglio fare storie, voglio solo che ci vai tu, voglio che ci parli tu con questo tizio, può accompagnarmi Ryan in ospedale.-
Kate corruccia la fronte.
-Perché?-
-Perché tu sei più brava di loro…-
Sussurra sorridendo e guardando i due amici che si fingono offesi.
-…no scherzo… solo che hai promesso che mi avresti salvato ed io ho messo la mia vita nelle tue mani. Non voglio che perdi tempo ad accompagnarmi in ospedale, quando l’unica che può convincere quel tipo a farsi dare quella lista sei tu! Lo sappiamo tutti che se ti ci metti sei tremenda!-
-Nel senso che devo fare la faccia cattiva?-
Dice lei storcendo le labbra e lui sorride. Ha il viso più rilassato, è evidente che la medicina ha fatto effetto e il dolore lo ha abbandonato per un po’.
-Puoi anche fargli delle moine, se può servire… senza esagerare però!-
Questa volta è lei a sorridere e alla fine annuisce.
-Va bene. Andiamo noi due Esposito. Ryan… mi raccomando!-
L’irlandese annuisce e vanno via ognuno sulla propria auto e per destinazioni diverse.
-Ryan, ti spiace passare un momento da casa di Beckett?-
Chiede Rick una volta partiti e lui corruccia la fronte.
-Perché?-
-Oh andiamo Ryan, guardami. Mi sono arrotolato per terra, sono sporco e sudato, non posso presentarmi dal medico così. Ho bisogno di rinfrescarmi e cambiarmi. Casa mia è dall’altra parte della città, mentre casa di Kate è di strada, così non perdiamo altro tempo.-
Ryan annuisce e svolta a sinistra.
-Ok… dimentico sempre che adesso la metà dei tuoi vestiti è a casa sua.-

 
Si appoggiò di nuovo allo schienale della sedia e sospirò, chiudendo il ricevitore della trasmittente nascosta dietro il pendolo a casa di Grayson.
-Non troverai notizie sul piccolo storpio e quando arriverai al Professore, sarà troppo tardi. Io so come finisce questa storia Nikki, non dimenticarlo!-
Sussurrò accarezzando i fogli che teneva ancora tra le mani, li r
ipose poi nel cassetto, richiudendolo con forza.
-Il tuo scrittore è un uomo sano e forte Nikki, non morirà presto. Sopporterà… per te… sembra così innamorato! Stai piangendo senza nemmeno accorgertene, vero Nikki? Le prossime dodici ore saranno ancora di dolore silenzioso, fino a quando non avrà più la forza di sorreggersi sulle gambe e, soprattutto, di sorreggere te!-
Fece un bel respiro e controllò il materiale che aveva disposto sulla scrivania. Era il momento di prepararsi per il prossimo capitolo omaggio.
Collegò i cavi al portatile, lo rese anonimo con uno dei suoi geniali congegni e si mise a lavoro.
Sarebbe stato pronto allo scoccare della mezzanotte… il nuovo giorno avrebbe avuto un grande inizio…


Angolo di Rebecca:

Mors tua, vita mea... Dunn comincia a spiegare le sue gesta e, come se non bastasse, li ascolta, li spia... 
Castle dà segni di cedimento, non solo fisico. Per sua natura riesce ad entrare nei "personaggi" e immedesimarsi nella vita solitaria del povero Stephan Grayson, lo ha messo KO.
Kate sente il dolore senza nemmeno rendersene conto...

Grazie come sempre e resistete come meglio potete in questo mese senza i tontoloni :3
BaciBaci!

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Capitolo 27
*** Fiducia ***





Capitolo 27

 
I dieci minuti che li separano dall’appartamento di Beckett trascorrono silenziosi.
Ryan è teso, non riesce ad alleggerire la stretta al volante.  La crisi di Castle è stata forte e per un momento ha davvero avuto paura che smettesse di respirare. Non riesce a togliersi dalla mente le sue mani strette a quelle di Beckett, le lacrime sul suo volto e quelle dita tremanti che chiedevano scusa per il dolore che ha visto negli occhi di ognuno di loro.
Sposta un attimo lo sguardo su di lui. Tiene la testa appoggiata al finestrino laterale e gli occhi persi nel vuoto. Non sembra faccia fatica a respirare e anche la sua espressione è più rilassata, ma completamente spenta.
Sente un moto di rabbia salirgli dalle viscere, stringe ancora di più lo sterzo e spinge il piede sull’acceleratore.
Non riesce a sopportarlo, non riesce ad accettare che quel pazzo assassino possa giocare così con la sua vita… con tutti loro.
Dopo tanto tempo Beckett è serena.
Insieme, lei e Castle, hanno trovato l’equilibrio dei sentimenti e vederli distruggersi l’un l’altro per la morte che li circonda, lo fa andare in bestia.
Parcheggia sotto casa della collega e, quando Castle scende dall’auto, lui si prende un attimo per respirare a fondo. Aspetta che apra il portone, lo guarda entrare leggermente curvo e si decide a raggiungerlo.
Rick cerca di mettere la chiave nella toppa, ma il mazzo gli scivola dalle mani e Ryan si abbassa immediatamente a prenderlo, quando si rialza nota l’amico aprire e chiudere la mano un paio di volte, cercando di non farsene accorgere; comincia ad avere fastidio anche nei movimenti. Finge di non aver visto, apre la porta e lo lascia passare, restituendogli le chiavi.
-Mi fa un certo effetto entrare qui senza Kate!-
Esclama Rick guardandosi intorno come se non fosse mai stato in quella casa.  Si volta a guardare Ryan, mettendogli una mano sulla spalla.
-Faccio in fretta.-
L’amico annuisce e si siede sul divano, mentre lui si chiude in camera da letto.
Senza esitazione si spoglia, posa gli abiti sporchi sul letto e riesce a farsi una doccia e rivestirsi in soli cinque minuti. Rientra in camera e sente un’improvvisa stanchezza, non nel corpo, quello è stanco già da qualche ora, ma nel petto. Sente un peso all’altezza del cuore, che in un attimo è diventato insopportabile, come il dolore che lo aveva messo all’angolo qualche minuto prima.
Si siede sul letto e accarezza il copriletto, passa il palmo della mano sulla calda lana come se stesse accarezzando la pelle di Kate. Chiude gli occhi e si rivede nudo, sotto quelle coperte, abbracciato al corpo dell’unica donna che ha sempre desiderato, non solo nella carne, ma anche con l’anima.
Sembrano passati secoli da quando lei, solo un paio di giorni prima, gli aveva portato la colazione a letto e alla fine si erano nutriti di ben altro che uova e bacon. Sposta gli occhi sul comò, rivede lo sguardo attonito di Kate davanti all’orologio di suo padre in frantumi sul pavimento e stringe il pugno stropicciando il copriletto tra le dita.
Non riesce a togliersi dalla mente le foto di Stepahn Grayson, sorridente abbracciato alla moglie. Non riesce a non pensare al dolore di Brad Hollsen con gli occhi fissi sulla finestra, dietro cui giaceva il corpo della donna che amava. Non riesce a non pensare al dolore di Jessica Benton e a quella piccola foglia d’oro che doveva essere un ricordo di gioia e che sarebbe diventato solo il cimelio di una mancanza insostenibile.
Serra la mascella e cerca di ricacciare indietro le lacrime, che adesso non sono di dolore o di resa, ma cariche di rabbia per quello che Dunn vuole togliergli.
Respira a pieni polmoni, portandosi le mani al viso, le passa poi sui capelli e si alza di scatto, avvicinandosi alla cassettiera.
E cerca di tenere in ordine il tuo cassetto, o me lo riprendo!
Sorride passando la mano sul pigiama che ciondola fuori.
Tutto è rimasto come quella mattina, quando la sua vita era cadenzata da un tempo indeterminato e il domani esisteva ancora.
Prende la piccola chiave dorata e il foglio ripiegato in quattro dalla tasca del cappotto e li stringe tra le mani. Apre il cassetto, ripiega per bene il pigiama e tra le sue pieghe nasconde il suo pensiero per Kate. Ripone il pigiama nel cassetto e lo richiude del tutto con cura, senza nulla che ciondoli fuori… in ordine, lasciando la mano ad accarezzare il legno lucido.
-Castle, tutto a posto?-
La voce di Ryan lo riscuote, guarda l’orologio e si rende conto di avere perso troppo tempo.
Apre la porta e annuisce.
-Tutto a posto… mi aiuti?-
Gli porge il cappotto e Ryan lo aiuta ad indossarlo, mentre gli squilla il telefono.
Si rabbuia quando riconosce il numero di casa sua e sospira.
-Dev’essere Alexis…-
Anche Ryan si rabbuia, in cinque anni non lo ha mai visto rattristarsi per una telefonata di sua figlia. Gli si stringe il cuore a vedere come possa essere così difficile per lui accettare la telefonata.
Si siede sul divano accanto a lui, che guarda ancora il display senza riuscire a rispondere.
-Se non rispondi la farai preoccupare, penserà che stai male!-
Castle annuisce e preme il tastino verde.
-Pronto!-
-Papà…-
La voce dolce di Alexis gli fa diventare gli occhi lucidi.
-Ciao tesoro.-
-Come ti senti? A che punto siete con le indagini? Non ti sei fatto più sentire, la nonna ed io non volevamo disturbarvi, ma…-
-Non preoccuparti, va tutto bene… non lo abbiamo ancora trovato, ma siamo sulle sue tracce.-
Il silenzio dall’altra parte lo fa rattristare ancora di più.
-Tesoro, mi sento bene, davvero…-
-Vorrei poter fare qualcosa per aiutarvi.-
Risponde lei con un sussurro.
-Puoi sorvegliare tua nonna, così io sto tranquillo.-
Le dice sorridendo e sente che anche sua figlia sorride dall’altra parte.
-Ora devo andare tesoro, tranquilla… lo troveremo.-
-D’accordo… ti voglio bene papà!-
Risponde lei, riagganciando troppo in fretta per non scoppiare a piangere al telefono, cosa che a Rick non sfugge, sentendo torcersi le budella. Posa il telefono in tasca e si passa le mani tra i capelli.
-E se non lo trovassimo?-
Dice con un filo di voce, con un tono misto di stanchezza e disperazione, cosa che fa riaccendere la rabbia nelle viscere di Ryan.
-Lo troveremo!-
-…e se non lo trovassimo in tempo?-
Ryan si volta verso di lui con lo sguardo di fuoco. I suoi occhi non hanno nulla del simpatico latte e miele che conosce. La sua mascella è tesa e le mani strette a pugno.
-C’è un intero distretto che sta lavorando ininterrottamente per salvarti la vita. Nessuno di noi si arrenderà, il minimo che puoi fare è non perdere la fiducia.-
-Io mi fido di voi e…-
-…e niente Castle!-
Lo interrompe Ryan.
-Ti fidi di noi, ma non ti fidi di te stesso, non credi di avere la forza di andare avanti! Beh… dovrai trovarla questa forza.-
Si ferma un attimo per riprendere fiato e continua anche lui con un sussurro.
-Dovrai trovarla la forza…-
Segue lo sguardo nel vuoto dell’amico e sospira.
-Mio figlio dovrà avere due padrini d’eccellenza, a costo di litigare con Jenny e tutta la sua famiglia. Stavolta non accetterò nessun altro e nessun compromesso.-
Castle si gira all’improvviso e lui lo guarda dritto negli occhi.
-Mio figlio dovrà avere qualcuno che gl’insegni a prendere la vita a pugni e a difendersi dalle cattiverie e questo sarà compito di Esposito, ma avrà bisogno anche di qualcuno che gl’insegni a credere nella magia, ad avere fede nelle cose che non si possono vedere, a galoppare con la fantasia e sorridere di qualunque sciocchezza, senza mai prendersi sul serio… e questo lo puoi fare solo tu, Rick!-
Castle lo segue a bocca aperta, gli occhi di Ryan sembrano ancora più grandi, lucidi e pieni di dolore.
-T… u… tuo figlio!? Jenny è incinta?-
Balbetta all’improvviso e lui annuisce semplicemente, lasciando andare una lacrima sul viso.
-Lo abbiamo saputo qualche giorno fa, poi è successo tutto questo casino e non abbiamo avuto modo di dirlo a nessuno, non lo sa nemmeno Javi.-
-Diventerai padre!-
Esclama Rick, mostrando il primo vero sorriso sincero, da quella mattina.
-E tu dovrai esserci.-
Conclude Ryan annuendo, prima di essere sopraffatto dall’abbraccio dell’amico, che sembra aver ritrovato le forze che lo avevano abbandonato e che gli avevano fatto perdere anche la presa su una stupida chiave.
-E’ fantastico Kevin. Un piccolo Ryan in giro… oppure una piccola Ryan, le bambine sono di gran lunga più belle!-
Mentre si abbracciano Castle comincia a ridere e Ryan si allontana da lui guardandolo stupito.
-Beh… certo che devo esserci. Voglio proprio vederti mentre litighi con Jenny e con tutta la sua famiglia!-
A quel punto anche Ryan ride, si stringono le spalle contemporaneamente e si guardano seri.
-Lo troveremo!-
Afferma Rick sicuro e Ryan annuisce.
Si dirigono alla porta, Castle si da un ultimo sguardo intorno, memorizza ogni piccolo angolo di quella casa, sperando nel silenzio del suo cuore di poterci tornare, di poter ancora tenere in disordine il suo cassetto, di potere ancora immaginare un futuro con Kate e la sua meravigliosa famiglia allargata, di poter vedere nascere il piccolo Ryan.
Sale in macchina guardando le finestre buie dell’appartamento di Kate, non riesce a spiegarsi il motivo, ma quel peso sul petto si è diradato leggermente. Guarda Ryan, che serio mette in moto e prende la direzione dell’ospedale e non può fare a meno di sorridere. Sa benissimo perché si sente più leggero. La sua vita potrebbe finire da un momento all’altro e un’altra è pronta per venire al mondo e questo, nonostante tutto, lo fa sentire vivo. Ha la consapevolezza che i suoi amici non si arrenderanno fino alla fine.
Su questo punto Scott Dunn ha già perso.
Vuole fare terra bruciata intorno a Kate, ma i suoi amici non l’abbandoneranno mai e mai lui smetterà di avere fiducia in lei. Mai lui smetterà di credere in lei o nel loro amore.
Questo fa la differenza tra lui e Dunn: Richard Castle crede in qualcosa di reale, di vivo, di vero!
 
La siringa si riempie lentamente di quel sangue infetto che lo sta uccidendo.
L’infermiera non è la stessa del mattino, si volta a guardare l’orologio alla sua destra e sospira leggermente.
Naturale che non lo è…
Le ore sono passate inesorabili, i turni del personale sono cambiati e manca poco più di un quarto d’ora a mezzanotte. Ancora quindici minuti e sarebbe iniziato il giorno dopo.
L’infermiera si chiama Edith!
Mentre tira lentamente lo stantuffo della siringa per il prelievo, Rick la fissa con attenzione. Il suo volto è serio, lo sguardo attento sul lavoro preciso che sta facendo ed istintivamente le chiede il nome, un po’ per la sua innata curiosità, ma anche perché gli dà un senso di sicurezza associare un nome al viso delle persone che si occupano di lui. Lei solleva di poco lo sguardo e con un sorriso si presenta, tornando immediatamente a posare gli occhi sulla siringa, che subito dopo poggia su un vassoietto d’acciaio, ricoprendola con una tela bianca.
-Grazie Edith!-
Le sussurra Rick con un sorriso facendola arrossire, come se non fosse abituata ad essere ringraziata per un lavoro troppo  scontato. Si avvia verso la porta e il dottor Travis le chiede gentilmente di aspettare un momento nel corridoio.
-Il detective Ryan mi ha detto che ha avuto una crisi.-
Rick gli spiega il suo malessere, il modo in cui si è sentito mancare il respiro e il dolore insopportabile alle viscere e al petto.
Il medico gli ausculta le spalle con lo stetoscopio, chiedendogli di respirare profondamente, ma quello che ottiene sono solo un paio di respiri corti che gli provocano anche una tosse convulsa.
Scrive qualcosa su un foglio stampato con dei diagrammi, apre la porta e lo consegna all’infermiera Edith, raccomandandole di darlo alla dottoressa Dobbson insieme al prelievo.
Rientrato in stanza, prende un flacone da una vetrinetta posta dietro alla sua scrivania e lo sistema su un apposito sostegno.
Un altro ago…
Pensa Rick senza fiatare. Aspetta che inserisca la flebo, che sistemi il flusso del liquido e poi lo guarda con un’espressione strana.
Il dottor Travis sorride e gli si siede accanto.
-Stia tranquillo, non voglio trattenerla se non vuole. Però è anche vero che il suo organismo è molto provato. Questa flebo le servirà da ricostituente e le permetterà di andarsene in giro senza troppa difficoltà ancora qualche ora.-
Rick sospira di nuovo e Ben gli mette una mano sulla spalla.
-Non dimentichi però che non servirà a molto. Per quanto il cervello cerchi d’imporsi, il suo organismo prima o poi non risponderà più. E’ solo un palliativo, per questo vorrei che restasse qui, se avesse un’altra crisi così forte potrei aiutarla meglio.-
Sa già che avrebbe ribattuto, così non gliene da la possibilità, continuando immediatamente.
-La flebo durerà una mezz’oretta, chiuda gli occhi e si rilassi nel frattempo.-
Si dirige alla sua scrivania mettendosi a scrivere senza dargli possibilità di risposta.
Castle si guarda intorno ancora una volta.
Le due stampe con il mare di sfondo sono sempre di fronte a lui e l’orologio ha dato inizio ad un nuovo giorno.
Chiude gli occhi e sente le parole di Ben Travis vere come non mai.
Sono davvero stanco!
Lentamente i piccoli rumori di fondo che sentiva all’esterno dello studio spariscono e nel silenzio della sua mente, si fa largo il volto di donna triste all’inverosimile, con una lacrima color sangue sulla guancia. Sussulta stringendo le palpebre quando la figura sbiadisce leggermente mostrando i lineamenti di Kate, sul cui volto scende lenta quella stessa lacrima che la spinge in una fossa buia e profonda, senza uscita.
-No… Kate… no… no…-
Sussurra talmente piano da dare l’impressione di lamentarsi, attirando l’attenzione del dottor Travis, che solleva la testa corrucciando la fronte, premurandosi di controllargli il polso. Si rende conto che si è addormentato, ma le sue labbra si muovono ancora.
-Non… piangere Kate… non permetterglielo…-
Sbiascica un’ultima volta prima di arrendersi completamente alla stanchezza.
 
Il rumore di vetri rotti fa girare tutti nella stessa direzione, dove Lanie, china sulle ginocchia, cerca di raccogliere i cocci e ripulire tutto prima possibile. La dottoressa Dobbson fa cenno ai suoi analisti di tornare a lavoro e si china di fronte a lei per aiutarla.
La sua nuova collega, però, non se ne accorge, cerca soltanto di sistemare tutto, ma le mani le tremano talmente tanto che non riesce farlo.
Claire Dobbson le prende le mani tra le sue e la costringe a fermarsi e a guardarla.
-Mi spiace Claire, ho combinato un macello!-
Esclama Lanie con gli occhi lucidi e lei le stringe le mani più forte.
-Era solo una provetta, vuota per giunta. Non credo sia tutto qui il macello.-
Lanie scuote la testa e sospira.
-Non so che mi prende…-
Claire la interrompe costringendola ad alzarsi.
-Siamo qui dentro da più di 18 ore… ci serve un caffè!-
-Un altro?-
Chiede Lanie ironicamente, pensando che se avesse ingurgitato ancora quella cosa che chiamavano caffè, avrebbe anche potuto uccidere qualcuno a caso.
-Diciamo un caffè fuori da qui. Vieni con me… pausa!-
La trascina fuori dal laboratorio, facendola uscire nel piccolo terrazzo a lato dell’entrata. E’ mezzanotte passata, il freddo è pungente, ma dopo tante ore rinchiuse, nessuna delle due sembra badarci. Le luci della città fanno contrasto con il colore scuro che sente Lanie dentro di sé. Si appoggia alla ringhiera e guarda il cielo ancora coperto, pieno di nuvoloni che rendono la notte cupa e pronta ad esplodere.
-Sono abituata a stare in obitorio per 18 ore e anche di più…-
China la testa, passandosi una mano tra i capelli.
-…solo che i miei pazienti sono ormai senza tempo!-
Claire annuisce appoggiando anche lei le braccia alla balaustra.
-Questo Scott Dunn, perché ce l’ha tanto con Castle e Beckett?-
Lanie si gira e appoggia i gomiti alla ringhiera, riuscendo così a trovarsi di fronte alla giovane biologa.
-Tre anni fa ha ucciso senza pietà nel nome di Nikki Heat. E’ uno psicopatico che confonde la fantasia con la realtà. Aveva letto il libro di Castle e si era fissato con Nikki, pretendeva che lei, cioè Kate, lo aiutasse nella sua follia e si sentisse lusingata delle sue attenzioni.-
Claire annuisce.
-Ma naturalmente Beckett lo ha arrestato!-
-Naturalmente! E ci è riuscita con l’aiuto di Castle. E adesso li vuole morti, vuole concludere quel gioco che lui ha iniziato, ma che loro hanno interrotto.-
-E’ una situazione così assurda!-
Esclama Claire, chinando lo sguardo.
-Già! Vuole distruggere Kate… o Nikki… ucciderla sarebbe stato troppo semplice. Sa benissimo che questa corsa contro il tempo la renderà fragile.-
Sospira chiudendo gli occhi e voltandosi di nuovo verso le luci della città.
-Conosco Beckett, so come funziona il suo cervello. Se Castle dovesse…-
Claire le mette una mano sulla sua e la guarda seria.
-Abbiamo ancora del tempo e per quel che ho potuto capire dei tuoi amici, nessuno di loro si arrenderà a questo pazzo assassino… e nemmeno io e Ben!-
Lanie la guarda negli occhi quando le sente pronunciare il nome dell’amico, sorride sollevando le sopracciglia e Claire corruccia la fronte, lasciandole la mano.
-Perché quel sorrisetto… strano!?-
La dottoressa Parrish solleva le spalle, senza smettere di sorridere.
-Ripetilo un po’!-
-Cosa?-
Chiede Claire continuando a non capire.
-Il nome di battesimo del dottor Travis… Ben!-
Sussurra con lo stesso tono in cui lo ha pronunciato Claire e lei si mostra sempre più confusa, senza sapere cosa rispondere.
Lanie si volta ancora verso la città, spazia lo sguardo lontano e poi torna a guardarla.
-In queste ore Ben è venuto in laboratorio spesso e… ti ho osservata. Cambi espressione quando sei vicina a lui e anche quando pronunci il suo nome… ho notato che cambi intonazione della voce.-
Claire spalanca occhi e bocca senza riuscire ad emettere un suono.
-Siete una bella coppia voi due!-
Esclama all’improvviso brandendo il colpo di grazia alla dolce dottoressa Dobbson, che si drizza davanti a lei arrossendo violentemente e scuotendo la testa.
-Ma… ma noi due… non… siamo una coppia!-
Lanie si trattiene dal ridere e con la stessa espressione che terrebbe davanti a Beckett, solleva le spalle.
-Come no? Siete due persone, quando siete vicini formate una coppia, come tu ed io, in questo momento siamo vicine e formiamo una coppia. Quello che volevo dire è che quando siete vicini tu e Ben, siete due persone, quindi una coppia… bella.-
Ammicca cercando di non scoppiare a ridere e Claire sospira di sollievo, sistemandosi gli occhiali, completamente nel pallone, tanto da non recepire immediatamente l’ironia.
-Oh… intendevi in quel senso?-
Lanie continua a guardarla, godendosi le diverse gradazioni di rosso del viso della collega.
-Perché? Quale senso avrei dovuto intendere?-
Claire abbassa lo sguardo e scuote la testa.
-Nessuno… non… non avevo capito.-
-Davvero!? E se invece avessi capito?-
Claire solleva la testa di colpo avvampando ancora di più.
-Ho sempre trovato Ben affascinante e la maturità gli dona tanto… ma non sono affari miei!-
Finisce Lanie, mettendole una mano sulla sua.
-Ora torniamo a lavoro.-
Claire annuisce, senza riuscire a guardarla e si voltano entrambe verso la vetrata, oltre la quale Esposito sta tamburellando le dita per fare notare la sua presenza.
-Espo… novità?!-
Chiede Lanie speranzosa, mentre lui scuote la testa.
-Non su Dunn, però abbiamo la lista delle sostanze velenose di cui parlava la Gates.-
Mostra un foglio alla dottoressa Dobbson che lo prende immediatamente, guardandolo con attenzione.
-Può essere utile?-
Chiede Esposito e Claire annuisce senza smettere di leggere.
-Sapere da che sostanza partire è già un passo avanti. Speriamo solo che non ne abbia mischiate più di una.-
Claire ha finalmente smesso di arrossire e anche il cuore, che inspiegabilmete, alle parole della collega si era messo a correre furiosamente, è tornato normale.
-Io torno in laboratorio, così comincio a lavorare con queste formule sui diversi campioni di sangue che abbiamo, tu resta pure a finire il caffè!-
Solo in quel momento Lanie si rende conto che non sono andate per niente alla macchinetta e solleva le sopracciglia.
-Quale caffè?!-
Chiede confusa. Claire le si avvicina sorridendo.
-Anche voi due siete una bella coppia!-
Le sussurra piano all’orecchio, solleva le spalle e rientra in corridoio, lasciando Esposito e la sua nuova amica da soli.
Lanie sorride e scuote la testa.
-E’ una cara ragazza!-
Esposito le accarezza il viso e lei gli mette la mano sulla sua.
-Come sta Kate?-
-La conosci. Fa la donna di ferro… fino a che non si ferma a pensare, evita la mazzata! E’ andata allo studio del dottor Travis, Castle è ancora lì.-
Le  prende le mani e inclina la testa.
-Hai gli occhi stanchi Chica!-
Le dà un bacio sulla fronte e lei gli mette le braccia attorno alla vita.
-Stringimi Javi! Stringimi e dimmi che andrà tutto bene…-
Lui la stringe a sé, ma non le risponde. Resta in silenzio con il mento appoggiato sulla sua testa, senza però dire una sola parola…
 
 
Aveva dodici anni quando cominciò ad incurvarsi.
Ricorda che aveva difficoltà ad alzarsi dal letto da solo per il dolore alle ossa che lo consumava. Sua madre lo aiutava in tutto e mai una volta, in tutti quegli anni di sofferenza, fisica per lui e morale per lei, si era lamentata del fatto che fosse per lei un enorme peso.
Non aveva mai conosciuto suo padre, era un ragazzino buono e tranquillo e nel vicinato era conosciuto come cuore d’oro, pronto ad aiutare un amico o chiunque avesse bisogno. Poi la malattia ha cominciato a deformarlo e invece di ricevere bene per la sua bontà, si ritrovò in mezzo al deserto, non solo lui, ma anche sua madre.
Abitavano in una casa in periferia, due stanze e cucina, piccola ma sempre tenuta pulita e splendida da quella donna meravigliosa da cui aveva sicuramente ereditato la bontà d’animo.
Non potevano permettersi niente di più.
Le medicine portavano via ogni centesimo che riuscivano a racimolare e nonostante tutto, niente lo avrebbe salvato. Era una malattia rara, terribile e senza via d’uscita.
Una malattia che lo avrebbe portato alla morte giovane e tra atroci dolori.
Eppure non si era mai arreso, né alla malattia, né alla cattiveria e all’insensibilità della gente.
Non era mai riuscito a provare rancore o odio verso coloro che lo trattavano male o semplicemente non lo ‘vedevano’.
Forse era vero che aveva il cuore d’oro, nel senso che il corpo era macchiato dalla sofferenza, ma il cuore era così perfetto da non riuscire a conoscere la cattiveria.
Era tornato in quella piccola casa, chiusa da tempo.
La facciata era un po’ scrostata e la pittura all’interno urgeva di una rinfrescata, c’erano ragnatele e polvere ovunque, ma l’odore era sempre lo stesso. Era odore di casa, odore di mamma, odore di ricordi belli tra le sue braccia amorevoli e brutti, tra le lacrime che versava ogni notte, in silenzio e di nascosto.
Dopo essere andato via da casa del Professore, aveva girovagato per la città per un’oretta, poi il freddo aveva preso il sopravvento e le sue povere ossa avevano cominciato a gridare vendetta, così aveva messo le mani in tasca e si era ritrovato a stringere quel vecchio mazzo di chiavi che non aveva mai buttato via.
Era disteso sul suo vecchio letto, il lampione illuminato di fronte alla finestra disegnava delle strane ombre cupe sul soffitto e lui si ritrovò a sospirare.
Il Professore non era così.
Lui conosceva un uomo strano, è vero, con un bruttissimo vizio che lo aveva marchiato agli occhi del mondo, ma aveva pagato per i suoi sbagli e dopo aveva cercato di rinsavire, stando lontano dalle tentazioni.
Lui conosceva un uomo intelligente e dal cuore buono. Qualunque sbaglio avesse mai fatto nella sua vita, era sicuro che non sarebbe mai riuscito a fare del male a nessuno… tanto meno a lui.
Per questo era rimasto bloccato qualche ora prima, quando lo aveva strattonato, cacciandolo via in malo modo.
Aveva lavorato tanto per trovare una cura alla sua malattia.
Gli voleva bene, gli si era affezionato e avrebbe fatto di tutto per lui… allora perché cacciarlo?
Era distrutto per il senso di colpa, non solo per la tossina, ma anche per le altre morti che sentiva come un peso, perché lui sapeva che erano opera di quell’uomo orribile.
Perchè cacciarlo?
Aveva paura, si sentiva oppresso dalla paura.
La notte precedente non aveva chiuso occhio, con lo sguardo fisso oltre la quercia, come a cercare di scorgere il male, sicuro che sarebbe arrivato a prenderlo presto.
Scattò a sedere sul letto all’improvviso, sentendo il cuore correre come un treno.
Il battito era così accelerato, che ebbe la sensazione che si sarebbe fermato di colpo.
Una strana paura s’impossessò di lui.
Un lampo illuminò la stanza e il rombo del tuono che ne seguì gli tolse il respiro per qualche secondo.
‘Non tornare affatto…’
Le parole del Professore rombarono nelle sue orecchie come il tuono.
Il Professore guardava oltre la quercia aspettando il male…
Si alzò e andò verso la porta di corsa, anche se il corpo non lo aiutava nei movimenti.
Il Professore stava aspettando il male… e voleva essere solo quando fosse arrivato.
Uscì di casa velocemente e non riusciva a pensare ad altro mentre correva per le vie deserte, lontane da quelle sempre vive e trafficate della metropoli.
Continuava a sentire la voce dura del Professore che lo cacciava via.
Continuava a darsi dello stupido per non averlo capito prima.
Aveva fiducia nel Professore e, quando lui lo aveva cacciato malamente, avrebbe dovuto capire…


Angolo di Rebecca:

Ed eccoci a casa di Kate, nella sua camera da letto, con tanti ricordi e quel cassetto...
Ryan riporta un po' di gioia nel cuore di Castle
Lanie comincia a sentire il peso delle ore in laboratorio senza nessun riscontro, però riesce a mantenere "l'occhio lungo"...
Povera dottoressa Dobbson!
Sappiamo qualcosa di più anche di Abraham... ma perchè tutta quell'ansia e quella corsa nella notte?

Ancora grazie a tutte <3

Ps: per il banner ho preso in prestito due personaggi che vedo bene nella parte della biologa e del bel dottorino :p

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Capitolo 28
*** Colpevole ***







Capitolo 28




Venerdì 1 marzo, ore 01.30

Il corridoio sembra infinito.
Si è separata da lui solo due ore prima, ma sente dentro allo stomaco uno strano vuoto che le fa percorre quei pochi metri a passo svelto, guardando fisso davanti a sé. Il tempo lontano da lui le ha messo addosso ancora più ansia, con l’assurda convinzione che averlo vicino, tenerlo sotto controllo, lo avrebbe tenuto al sicuro.
Mentre mette un piede davanti all’altro rivede Rick a terra, stretto a lei in maniera disperata, con la mano bagnata delle sue lacrime. Lacrime che non aveva sentito arrivare e che non era riuscita a fermare.
Devi sentire la lama del dolore che ti squarcia l’anima…
Le parole di Scott Dunn le rimbombano nelle orecchie, chiude gli occhi continuando a camminare e sente già la lama conficcata nel bersaglio, che le sta squarciando l’anima dal primo secondo che hanno saputo la verità.
Si ferma davanti a Ryan, seduto su una poltroncina, con la testa appoggiata al muro e gli occhi chiusi.
Gli sfiora la spalla con una mano e lui apre gli occhi di colpo saltando in piedi.
-Che succede? Ci sono novità? Dobbiamo andare?-
Kate sorride e lo prende per il braccio.
-Calmati Ryan…-
L’irlandese si guarda intorno spaesato e sospira.
-Mi sono addormentato come uno scemo!-
Lei si siede costringendolo a fare la stessa cosa.
-Ti sei addormentato come uno che non dorme da venti ore e passa.-
Lui annuisce imbarazzato e si strofina gli occhi.
-La lista l’avete avuta?-
-Esposito l’ha appena portata in laboratorio, mentre dalla Gates nessuna novità, l’ho sentita dieci minuti fa.-
Risponde Kate, che si alza di scatto quando vede arrivare il dottor Travis.
-Detective Beckett… novità?-
Chiede speranzoso, ma il viso di Kate trasmette silenziosamente la risposta.
-Non lo avete ancora trovato?!-
Lei scuote la testa e sposta lo sguardo sulla porta del suo studio.
-Castle come sta?-
-E’ stanco, ha una grande forza di volontà, ma è davvero sfinito. Gli ho fatto una flebo e si è appisolato. All’inizio ha avuto un sonno agitato, ma adesso dorme pesante. Non ha sentito nemmeno quando gli ho tolto l’ago dal braccio, così l’ho lasciato dormire. L’ho trovato debilitato, la crisi è stata forte e l’infezione sta prendendo piede. I polmoni mi preoccupano, quello destro funziona male, per questo faticava a respirare e andrà sempre peggio.-
Si ferma guardando anche lui verso il suo studio.
-Continuo a pensare che dovrebbe restare qui a riposare…-
Kate s’irrigidisce storcendosi le dita. La possibilità di allontanarsi da lui prima di quanto lei stessa avesse sperato, le ha chiuso la gola. Ben Travis la nota sott’occhio, scuote la testa e torna a guardarla.
-…ma so anche che il morale è importante e qui si deprimerebbe prima del tempo.-
Kate rilascia la stretta alle sue dita e sospira rilassando tutto il corpo.
-Posso stare un po’ con lui?-
-Naturalmente. Credo non chieda altro.-
Apre la porta lentamente ed entra nello studio.
Rick è semi disteso sul lettino delle visite. Il dottor Travis gli ha messo una coperta addosso e dorme davvero di un sonno pesante.
Si siede accanto a lui e gli mette la mano sulla sua, attenta a non svegliarlo.
Dorme pesante, ma per niente tranquillo. I suoi lineamenti sono corrucciati e il respiro non è sereno.
Resta in silenzio ad osservare il suo viso, i piccoli ed impercettibili movimenti che continua a fare con le labbra. La stanchezza lo ha vinto, ma è evidente che il suo sonno è vigile, costellato di figure oscure che lo tengono in tensione.
Dopo qualche minuto lo sente mormorare qualcosa, scuote la testa un paio di volte, continuando a dire frasi incomprensibili, fino a quando stropiccia gli occhi, cercando di aprirli e tornare alla realtà.
Si porta la mano sul viso, la passa sugli occhi e finalmente li apre incontrando i suoi.
-Kate…-
Sussurra con un sorriso, lei gli sorride di rimando e lui sospira.
-Ho fatto un sogno terribile… anzi diciamo pure che era un incubo orrendo!-
Esclama strofinandosi ancora una volta gli occhi. Lei non gli risponde, si limita a tenergli la mano e a sorridergli con gli occhi lucidi. Solo in quel momento lui corruccia la fronte, si guarda intorno confuso e poi sospira pesantemente.
-Non era un incubo!-
Esclama inchiodando gli occhi a quelli di lei, che scuote la testa, accarezzandogli il viso.
-Che ore sono? Ho dormito tanto?-
-Poco più di un’ora.-
-E non è successo niente di nuovo? Notizie del Professore?-
Lei scuote la testa.
-No. Visto che con i movimenti bancari non abbiamo scoperto nulla, la Gates e i ragazzi al distretto stanno cercando tra i contratti di affitto e di vendita di case e appartamenti nel periodo in cui è stato scarcerato. Ma finora non hanno trovato nulla.-
Lui annuisce e si passa ancora la mano sul viso.
-Se aveva paura e non voleva essere rintracciato, è probabile che abbia anche cambiato nome.-
-Ci hanno già pensato. Ma per sapere se una di quelle case è stata comprata o affittata dal Professore con un nome falso, bisogna far vedere ai proprietari una sua foto. E’ l’una e mezza… è un po’ difficile fare aprire la porta d’ingresso alla gente a quest’ora di notte, anche se a bussare è la polizia.-
Lui annuisce girando la testa a guardare l’orologio appeso alla parete.
-Siamo già al primo di marzo!-
Sospira riportando lo sguardo su di lei.
-Febbraio se n’è andato, ha la vita corta come la mia.-
Kate stringe la mascella e Rick si rende conto di quello che ha detto solo perché le sente irrigidire la mano sulla sua.
-Con il signor Statson è andata meglio?-
Chiede cambiando discorso e lei annuisce.
-La lista è già in laboratorio.-
Lui si solleva di poco, per guardarla meglio.
-Come lo hai convinto, gli hai mostrato la faccia cattiva?-
Le chiede sorridendo e lei storce il naso guardando verso il soffitto.
-O cielo! Gli hai fatto le moine!-
Esclama sgranando gli occhi. Ha lo sguardo stanco ed il sorriso è forzato, proprio per questo Kate continua a stare al gioco. Evita di risponere e storce ancora il naso, chinandosi a baciarlo sulla guancia.
-Niente bacini per cercare di addolcirmi, dì la verità, gli hai fatto davvero le moine?-
Lei raggiunge le sue labbra continuando a non rispondere e lo bacia, restando incollata ai suoi occhi per un attimo, facendolo sospirare.
-Il dottor Travis mi darà anche della roba buona per tirarmi su, ma tu sei tutta un’altra cosa!-
Esclama facendola ridere.
Si bea ancora del contatto del viso al suo, fino a che lei si allontana di poco e gli accarezza la guancia.
-Sei meno pallido. Dormire, anche se poco, ti ha fatto bene.-
Lui scuote di poco la testa.
-Sono le belle notizie che mi fanno bene.-
Guarda verso la porta in modo circospetto, seguito da lei, incuriosita della sua espressione.
-Jenny è incinta!-
Sussurra tornando a guardarla con quell’azzurro che brilla improvvisamente.
-Davvero?!-
Esclama Kate sorridendo e lui annuisce.
-Me lo ha detto Ryan poco fa. Lo sanno da poco e non hanno avuto modo di dirlo a nessuno con quello che è successo… anzi, quando lo dirà a tutti, mostrati sorpresa.-
Le dice in tono cospiratorio.
-Mi mostrerò molto sorpresa… quindi i ritardi di Kevin al mattino hanno dato il loro effetto?-
Scoppiano a ridere insieme e lei lo accarezza ancora.
Per un paio di minuti la realtà si è allontanata, l’idea di una nuova vita, dell’emozione del loro amico di diventare papà, li ha racchiusi in una piccola bolla, al sicuro da tutto.
I colpetti alla porta però, fanno esplodere la bolla riportandoli al presente. Si voltano, quando Esposito si schiarisce la voce per attirare la loro attenzione.
-Scusate… Beckett, puoi venire un momento?-
-Arrivo!-
Kate si alza, ma Rick la trattiene attirandola verso di sé per rubarle un bacio.
-Mi rimetto a posto e vi raggiungo.-
Le sussurra sulle labbra, prima di lasciarla andare.
Beckett si richiude la porta alle spalle e guarda il collega. La sua espressione non promette nulla di buono.
-C’è qualche novità Espo?-
-Novità in negativo Beckett. Dunn ha inviato il suo settimo capitolo!-

Lei si porta le mani ai capelli e sospira.
-Non ditemi che abbiamo un altro cadavere!-
Esclama sbuffando, presa dalla rabbia e dalla stanchezza e quando vede arrivare il capitano Gates correndo, si sente assalire dall’ansia. Ha lasciato l’ufficio per raggiungerli e questo la fa irrigidire, pensando che il settimo capitolo porti notizie ancora più terribili.
Sposta lo sguardo su Ryan, seduto a pochi metri da lei, che guarda con attenzione qualcosa su un tablet e si sente soffocare inspiegabilmente.
-Espo che succede?-
-Stavolta non ha ucciso nessuno, però…-
Il senso di soffocamento aumenta, mentre la Gates si unisce al gruppo.
-Però?!-
Sussurra Kate guardando i colleghi, non riuscendo a capire perchè Ryan continui a guardare quel maledetto tablet invece di darle attenzione.
-Ha caricato il capitolo in rete.-
Dice tutto d’un fiato Esposito. Solo allora Ryan si alza, sollevando lo sguardo su di lei, che sgrana gli occhi.
-Che significa?-
-Ha registrato un video con le fotografie che vi ha scattato al parco giochi e con la sua voce di sottofondo che legge il capitolo e lo ha caricato sul web.-
Risponde il capitano storcendo le labbra per il disappunto.
Kate stringe i pugni cercando di reprimere la rabbia.
-Di cosa parla questo capitolo?-
La Gates si passa le mani tra i capelli.
-Dell’avvelenamento di Castle...-
Il senso di soffocamento le fa venire una vertigine, cerca d’incanalare aria con un respiro profondo, ma la testa le gira violentemente.
-…racconta tutto, per filo e per segno. Naturalmente parla dello scrittore e della detective, ma le fotografie di fondo non lasciano dubbi su chi siano i protagonisti… Castle si riconosce perfettamente.-
Ryan mostra il tablet con il video messo in pausa proprio su una di quelle foto.
-Lo ha caricato a mezzanotte esatta e nonostante sia passata solo un’ora e mezza e sia notte, lo hanno cliccato già centinaia di persone.-
Kate continua a guardare quel fotogramma e sente la rabbia divorarla.
-Non si può bloccare?-
La Gates sbuffa gesticolando con le mani.
-Lo abbiamo bloccato subito, ma non è servito a niente. Dopo un quarto d’ora il video stava già passando su tutte le reti nazionali. Mandano spezzoni continuando a ripetere che cercheranno di avere notizie più precise al più presto. Il distretto sembra un centralino impazzito. Pare che stanotte non dorma nessuno… entro domattina tutto il paese saprà dell’avvelenamento di Castle!-
Kate volta loro le spalle, si passa la mano tra i capelli e guarda la porta dietro la quale si trova Rick. Si gira di poco a guardare i colleghi.
-Avete idea di cosa significhi questo per lui?-
Voleva essere incisiva, ma il suo è solo un sussurro, una domanda retorica rivolta quasi a se stessa.
-Fallo partire Ryan, fammi sentire il suo capolavoro.-
Il collega dà il via al video, che riparte da dove era stato interrotto e la voce roca di Scott Dunn si fa largo nelle loro orecchie.


…La sua morte sarebbe stata da esempio. Lo scrittore avrebbe chiuso il cerchio… lo scrittore che aveva messo fine a tutto prima che tutto fosse realmente finito. Il veleno lo stava uccidendo. Ogni suo respiro lo avvicinava all’ultimo…
e lui ci sarebbe stato… lui gli sarebbe stato accanto per raccogliere il suo ultimo rantolo e poi si sarebbe preso lei…

-Spegnilo!-
La voce secca le arriva alle spalle e lei si gira di scatto.
Rick è appena uscito dallo studio del dottor Travis sentendo tutto. Ha gli occhi sgranati, mentre digrigna la mascella e guarda Ryan stringendo le labbra.
-Spegnilo! Fallo smettere.-
Ripete avvicinandosi di un passo. Ryan cerca di bloccare il video, ma lui non gliene dà il tempo, afferra il tablet e lo scaraventa contro il muro con furia, riducendolo in mille pezzi.
-Ho detto di farlo smettere!-
Urla stringendo ancora i pugni, mentre guarda il monitor rotto, che dopo essere rimbalzato sul muro, si è infranto ai suoi piedi. Ha il respiro affannato e sente gli sguardi di tutti addosso, ma non gli importa. Vuole solo che la voce di Scott Dunn, che racconta della sua morte al mondo intero, gli si spenga nelle orecchie.
Esposito gli posa la mano sulla spalla, aprendo la bocca per dire qualcosa, ma lui si divincola strattonandolo.
-Non toccarmi Esposito!-
Alza lo sguardo su ognuno di loro, si sente ribollire dentro e l’esplosione di rabbia si manifesta nei suoi occhi che si riempiono di lacrime.
-Lo sapete cosa sta facendo? Avete idea di cosa significhi tutto questo?-
-Castle…-
Cerca di dirgli Kate prendendolo per il braccio, ma lui si divincola anche da lei.
-Non toccarmi ho detto! Non voglio che mi tocchi… non voglio pietà… voglio solo essere lasciato in pace…-
Guarda ancora il tablet in pezzi sul pavimento e poi gira su se stesso, dirigendosi in fondo al corridoio. Apre la vetrata ed esce sul terrazzino.
-Potete abbassare la voce! I pazienti stanno dormendo.-
Esclama il dottor Travis rientrato dal suo giro di notte proprio per le urla, ma si blocca sull’espressione di ognuno di loro e sul tablet distrutto.
-Che succede?-
Chiede preoccupato. Kate lo guarda scuotendo la testa e, senza dire una parola, si avvia lentamente verso la porta a vetri lasciata aperta.
Resta ferma lì davanti senza uscire, sentendo il freddo gelido penetrarle attraverso i vestiti.
Rick le dà le spalle, le mani nude appoggiate sulla balaustra di cemento ricoperta di neve. Curvo, con la testa rivolta verso il basso.
Fa qualche passo in avanti, uscendo nel terrazzino e rannicchiandosi dentro le spalle per un brivido.
-Castle fa troppo freddo… vieni dentro.-
Sussurra, mentre lui s’irrigidisce senza però muoversi di un millimetro.
-Non costringermi a risponderti con un’altra battutaccia.-
La voce è rotta. Sta piangendo, ma non vuole farsi vedere. Non vuole mostrarle dolore e rabbia.
Lei si avvicina al balcone. Nota che le sue mani sono rosse e le punte delle dita completamente bianche per il contatto con la neve ghiacciata, ma lui non sembra farci caso. Continua a guardare verso il basso a denti stretti. Mette la mano sulla sua e lui si divincola di scatto ancora una volta.
-Non toccarmi!-
Le volta le spalle e si mette le mani nei capelli.
-Sai cosa significa tutto questo per la mia famiglia? Lo sai?-
Si gira di colpo indicando il parcheggio dell’ospedale sotto di loro.
-Li vedi? I giornalisti sono già qui… mi stanno aspettando e saranno già anche sotto casa mia. Hai idea di cosa voglia dire per mia madre e per mia figlia?-
Appoggia i gomiti alla balaustra tenendosi la testa tra le mani. Kate non riesce a dirgli nulla. Non sa cosa rispondergli. Potrebbe abbracciarlo e dire qualcosa di sensato, ma il fatto che lui non cerchi il suo contatto e la allontani da sé, la blocca. Non riesce a trovare una sola parola che possa essere di conforto per lui al momento. Sente il suo dolore, ma soprattutto sente la sua rabbia, rivolta verso tutto e tutti, prima fra tutti lei. Lo vede scuotere la testa tra le mani.
-Perché? Perchè così…-
Si sporge improvvisamente dalla ringhiera, guardando verso il basso.
-Sei lì in mezzo che te la godi Dunn? Mi stai guardando e ridi soddisfatto?-
Kate lo prende per le spalle cercando di allontanarlo, ma lui continua imperterrito.
-Non ti bastava quello che mi hai già tolto?-
Kate riesce a strattonarlo e a tirarlo via dalla ringhiera, prima che un paio di flash riescano ad accecarli nel buio della notte.
-Basta Casle, rientriamo.-
Lui china lo sguardo e sospira, lasciandosi scivolare sulla parete, sedendosi a terra.
-Lasciami solo per un paio di minuti, ti prego…-
Lei resta a guardarlo per un attimo, mentre Rick tiene lo sguardo basso. Annuisce alla sua richiesta e si avvicina lentamente alla vetrata, la apre, ma resta con la mano appoggiata al vetro.
-Posso sopportare qualunque cosa… posso sopportare che mi ritieni colpevole di quello che ti succede, che sei arrabbiato con me e mi urli contro. Posso anche sopportare che, quando tutto questo sarà finito, tu non voglia più avere a che fare con me Rick, ma non posso sopportare che mi allontani da te. Non adesso…-
Lascia la frase a metà e si volta verso di lui, che solleva la testa che teneva appoggiata alle ginocchia e la guarda.
I suoi occhi sono arrossati dal pianto, ma soprattutto esprimono confusione. Una confusione accentuata dalla fronte corrucciata.
Lei si inginocchia davanti a lui e gli prende le mani. Sono gelate, come le sue.
-Non allontanarmi adesso Rick… poi potrai decidere quello che vuoi, ma adesso… dammi la possibilità di salvarti!-
Il suo è un sussurro praticamente sulle sue labbra e l’espressione di Castle si fa ancora più confusa.
-Ma di cosa stai parlando?-
-Di te che non mi guardi, che non accetti il mio aiuto… che non mi vuoi vicina. Lo so che tutto questo sta succedendo per colpa mia. Lo so che…-
-Ehi… ehi… fermati! Allontanarti? Non ci penso neanche ad allontanarti… ho solo chiesto due minuti da solo per riprendermi!-
Lei scuote la testa, cercando di farsi vedere forte e non piangere.
-Dunn ha ragione. La consapevolezza di sapere che è colpa mia, ti sta allontanando da me, ma…-
-Smettila Kate! Dunn non ha ragione su niente. Vuole questo? Vuole allontanarci? Non può farlo Kate…-
Comincia a voce alta, ma poi si ferma, le prende il viso tra le mani fredde, sorridendo con uno quei sorrisi che le fanno tremare le ginocchia e continua anche lui con un sussurro.
-…non può dividere chi si appartiene. Tu sei la mia vita Kate. Sto andando avanti in queste ore solo perché sei con me. Non so come finirà, non ho idea se lo troveremo o se domani sarà davvero il mio ultimo giorno di vita. So solo che sei qui con me e ti voglio vicina fino alla fine dei miei giorni…-
Sospira appoggiando la fronte alla sua.
-…non importa quanti siano!-
Kate si stringe a lui, appoggia la testa sul suo collo e chiude gli occhi. Restano abbracciati per qualche secondo, Rick la sente tremare e le strofina le mani sulle spalle, per cercare di scaldarla.
-Se la Gates venisse a vedere che stiamo combinando potrebbe…-
Lei lo interrompe, mettendogli la mano sulla bocca, ma senza muoversi di un millimetro.
-Non importa. Appena avremo preso Scott Dunn glielo diremo. Sono stanca! Non voglio più nascondermi… da lei almeno!-
Lui sorride e poggia il mento sui suoi capelli.
-Come hai potuto solo pensare che volessi allontanarti da me?-
-Perché sono io la causa di tutto. Perché è colpa mia!-
-E’ una pensiero insano soltanto tuo.-
Le solleva il viso e la bacia sulle labbra gelate, che stanno prendendo una strana sfumatura violecea.
-Rientriamo o ci troveranno ibernati.-
Solleva la testa di scatto alla sua stessa battuta e alza un sopracciglio.
-Sono un genio! Devo farmi ibernare… così avresti tutto il tempo di trovare Dunn, spaccargli la faccia e il resto delle ossa del corpo e trovare il veleno!-
Kate si alza, aiuta lui a fare lo stesso tirandolo per una mano e storce le labbra.
-Oh si Castle… sei proprio un genio!-

‘Sei lì in mezzo che te la godi Dunn? Mi stai guardando e ridi soddisfatto?’
Si abbassò del tutto a ridosso della balaustra del terrazzo e appoggiò la testa al muro. Soddisfatto.
Chiuse gli occhi, continuando a sorridere.
Effettivamente lui era lì, aveva sentito lo scrittore urlargli contro… e se la godeva.
Non era stato difficile entrare nei sotterranei, salire con il montacarichi del personale di servizio, eludendo la sorveglianza e chiudersi alle spalle la porta di ferro di uno dei terrazzi dell’edificio.
Voleva godersi i giornalisti, la scia di gente che si sarebbe raccolta sotto le finestre del reparto in cui si supponeva fosse lo scrittore.
Era stata proprio la voce di Nikki a fargli sapere che stavano andando in ospedale.
La trasmittente aveva reso viva la voce dello scrittore, rotta dal dolore intenso.
Aveva sentito i suoi amici preoccuparsi.
Aveva sentito Nikki cercare di confortarlo, senza successo.
Mentre li ascoltava, aveva caricato le foto e le aveva sistemate, poi aveva spento il trasmettitore e aveva preso il suo manoscritto.
Aveva acceso il microfono e preso un bel respiro per calibrare la voce.

‘Colpevole… Capitolo VII’

Aveva preso a leggere con calma, attento alla punteggiatura e soffermandosi nei punti giusti per tenere alta la suspance.
Il suo capolavoro stava per vedere la luce.


Aveva programmato tutto con cura.
La sua vendetta era cominciata tre giorni prima, quando l’angelo dagli occhi verdi, con la sua bellezza, aveva portato loro il suo primo messaggio.
Tre corpi… tre vittime… tre muse…
Solo per lei, solo per farle capire, solo per metterla in guardia.
Nikki era colpevole… e lui si sarebbe preso i suoi sentimenti, la sua determinazione, la sua forza… la sua vita!
Niente lo avrebbe distratto dalla sua missione…


Leggeva mandando a memoria le parole, le aveva scritte lui, gli erano scaturite dall’anima… gli occhi brillavano su ogni virgola.
Pensava al suo viso, al suo modo di corrucciare la fronte, alla rabbia che avrebbe trattenuto una volta ascoltato e visto il video e che avrebbe voluto sfogare contro di lui.


Doveva farle capire il suo sbaglio… la sua colpa...
Per la sua testardaggine e il suo orgoglio, lui era stato costretto a stroncare delle giovani vite innocenti.
Erano morte a causa sua…
Anche lo scrittore era colpevole.
Anche lui doveva pagare. Lui che l’aveva creata. Lui che gliel’aveva fatta conoscere…
L’aveva incontrata leggendo avidamente le pagine in cui l’aveva descritta, le parole con cui l’aveva modellata, gli aggettivi con cui l’aveva plasmata e, leggendo e rileggendo, si era reso conto che lei non era solo un insieme di parole su carta.
Lei era viva.
Lei era reale.
Lei era vera!
Lo scrittore avrebbe pagato con la vita, avrebbe espiato con il dolore…
Niente poteva dargli pace per averla creata e buttata in braccio al mondo.
Niente poteva dargli pace per non averla tenuta solo per sé… lui l’avrebbe fatto… lui voleva farlo…
L’orgoglio e la presunzione di renderla immortale nelle pagine di un libro erano la sua colpa più grande.
Per questo doveva pagare… e niente avrebbe portato pace o perdono nemmeno a lei!
Lei lo avrebbe visto morire…


Aveva bloccato il video per un attimo, chiudendo gli occhi.
Aveva assaporato ancora quella mattina, l’adrenalina che lo aveva pervaso quando aveva avuto tra le mani la vita dello scrittore, l’emozione che aveva sentito nel vedere lei disperata.
Guardò la pagina, ritrovò il segno e riprese la registrazione.


Stava portando a termine la sua trama.
Il suo libro esigeva una morte lenta e dolorosa.
Lui stesso era il protagonista della storia che aveva già scritto, lui stesso stava assaporando l’emozione sentita mentre scriveva, perché adesso, dopo la fantasia, la scrittura sarebbe diventata realtà… proprio come Nikki era diventata reale fuori dalle pagine scritte.
Ma lei non lo aveva accettato e per questo doveva pagare.
Era bastato infilare l’ago nella carne dello scrittore e spingere il veleno dentro le sue vene…
La sua morte sarebbe stata da esempio.
Lo scrittore avrebbe chiuso il cerchio… lo scrittore che aveva messo fine a tutto prima che tutto fosse realmente finito.
Il veleno lo stava uccidendo. Ogni suo respiro lo avvicinava all’ultimo… e lui ci sarebbe stato… lui gli sarebbe stato accanto per raccogliere il suo ultimo rantolo… e poi si sarebbe preso lei…


Mentre leggeva, mentre spiegava la sua trama, le immagini dello scrittore a terra, in mezzo alla neve, passavano una dietro l’altra.
Ogni frase era accompagnata da un ritratto.
Ogni frase era accompagnata da una sensazione immortalata in uno scatto.
Ogni frase metteva in evidenza il viso dello scrittore e della sua musa.
Aveva spento il microfono e rivisto il video.
Era perfetto!
Lo aveva caricato e aspettato che scoccasse la mezzanotte.
Aveva aspettato mezz’ora prima di muoversi, voleva vedere se l’effetto sarebbe stato immediato e così era stato.
New York non dormiva mai.
La gente continuava a cliccare il video e in tv, le edizioni continue dei TG, avevano già dato notizia del nuovo capitolo dell’assassino silenzioso caricato sul web, che aveva come protagonista lo scrittore creatore di Nikki Heat.
Aveva spento il portatile e la TV, si era coperto per bene, non voleva prendere freddo… aveva preso lo zaino e si era avviato verso l’ospedale. Non poteva perdersi le reazioni dei suoi personaggi.
Rimase quasi sorpreso di trovare i giornalisti già appostati davanti all’entrata dell’ospedale, avevano fatto più in fretta di lui. Evidentemente avevano fatto due più due, mettendo insieme l’aggressione dello sconosciuto avvenuta quella mattina, alla storia che raccontava il suo video.
Non gli avrebbero dato tregua e questo lo avrebbe fatto soffrire ancora di più.

Senza aggrapparsi alla balaustra per non farsi notare, si sollevò di poco per riuscire a guardare in basso.
Il terrazzo da cui si era sporto lo scrittore era vuoto, lui e Nikki erano rientrati.
Rimise lo zaino sulle spalle e aprì la porta di ferro, cercando di farla cigolare il meno possibile.
Seguì lo stesso itinerario al contrario e uscì dai sotterranei, nascosto dall’ombra della notte.
Prima dell’alba avrebbe dovuto portare a termine un’altra missione, ma aveva ancora tempo.
La notte era appena iniziata e lui doveva prendersi un’altra soddisfazione…
Niente e nessuno lo avrebbe fermato!


Angolo di Rebecca:

Dolore su dolore per il nostro Rick...
Scott Dunn si sta davvero comportando malissimo! Non trovate?
In tutto questo, Kate continua a sentirsi responsabile di tutto, ripensa alle parole di Dunn e sente che Rick la rifiuta, ma si sbaglia... Rick non perderà mai la fiducia in lei *-* pensate che lo capirà prima o poi?!

Il nostro amico se la gode alla grande, li spia, li osserva, si mimetizza tra la gente e loro sono così presi a cercare di contenere il dolore e la rabbia, che non se ne rendono conto...

Un grazie di cuore a tutte e tanti baci!
<3

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Capitolo 29
*** La Rivncita ***





Capitolo 29


Avevano lasciato l’ospedale aiutati dal dottor Travis, che li aveva accompagnati al parcheggio sotterraneo riservato al personale.
I giornalisti erano appostati soltanto al cancello principale per cercare di carpire notizie certe, circondati dalle forze di polizia poste a barriera intorno all’edificio.
In verità, il video aveva scatenato soltanto confusione.
Le notizie ai TG e sui social network erano poco precise, nessuno sapeva davvero cosa stesse succedendo o dove si trovasse realmente Richard Castle, anche se gli indizi sembravano incastrarsi perfettamente tra loro. Lo spiegamento di forze dell’ordine davanti all’edificio del Saint Andrew, la riservatezza sull’identità della vittima dell’aggressione avvenuta quella stessa mattina al parco giochi fuori città, l’identità ormai provata del killer silenzioso che aveva ripreso ad uccidere per vendicarsi dello scrittore e della detective con cui collabora da anni, avevano messo il mondo dei media in fibrillazione. Il capitolo che l’assassino aveva caricato in rete raccontava il perché di quella vendetta e lasciava ad intendere che, durante l’aggressione di qualche ora prima, avesse avvelenato la sua vittima con una sostanza che l’avrebbe portata inesorabilmente alla morte nel giro di poche ore.
In tutta questa incertezza, qualcuno aveva perfino lasciato ad intendere che poteva anche trattarsi di una trovata pubblicitaria, per fare alzare l’interesse pubblico sulle vendite dei libri del noto romanziere.
Mentre ascoltavano le notizie alla radio, Rick aveva riacceso il cellulare; in ospedale lo aveva spento e se non lo avesse fatto avrebbe saputo del video prima degli altri.
I bip di messaggi e chiamate non risposte arrivarono improvvisi uno dietro l’altro, illuminando il telefono per parecchi secondi.
Scorse i messaggi, parecchi dei proprietari della sua casa editrice. Sorrise pensando che poteva decidere di richiamarli più avanti, alla fine se davvero non avessero trovato l’antidoto, non avrebbe dovuto dare loro nessuna spiegazione. Non li avrebbe lasciati nemmeno nei guai, non avevano nulla di cui preoccuparsi, visto che la sua morte, soprattutto in questo frangente, avrebbe fatto salire le quotazioni dei suoi libri del cento per cento, se non di più.
Scosse la testa sorridendo, riusciva ancora a trovare tutto divertente e macabro nello stesso tempo.
Lo aveva chiamato anche Gina, ma il suo messaggio non aveva nulla di professionale, era preoccupata, voleva sapere la verità e lo pregava di contattarla.
Anche Meredith gli aveva telefonato, la sua chiamata era stata la prima e la sua voce in segreteria era davvero spaventata. Forse per la prima volta, da quando la conosceva, aveva usato solo poche parole, senza dilungarsi in lunghi sproloqui, lasciando da parte la sua teatralità e sostituendola con una punta di ansia nella voce.
Non poteva affrontare le sue ex mogli, non poteva affrontare la madre di sua figlia… non al momento.
Sospirò, attirando l’attenzione di Kate.
Senza dire nulla, aveva composto il numero di casa sua e parlato con Alexis, che lo aveva rassicurato, dicendogli che avrebbe pensato lei a Meredith e a tenere informata Gina. Gli aveva anche detto che il capitano Gates aveva rafforzato la sorveglianza al palazzo con altri agenti che avrebbero tenuto a freno la stampa.
Non doveva preoccuparsi per lei e la nonna, nessuno le avrebbe disturbate.
Subito dopo aveva voluto parlare con sua madre, sentiva la necessità di averla vicina. Desiderava solo un po’ del suo ottimismo teatrale e della sua superficialità.
Ma era sua madre… in quel momento nemmeno lei era riuscita a mascherare la paura nella voce e questo gli diede un senso di angoscia, come se venendo meno la forza di Martha, il terreno potesse sgretolarsi sotto i piedi e le certezze sparire del tutto dalla sua vita.
La stessa sensazione di vuoto che aveva provato nel guardare i suoi amici dopo il suo sfogo in ospedale.
Lui e Kate erano rimasti nel terrazzino, addossati alla porta, occhi negli occhi.
L’aveva guardata deglutendo, quando lei aveva posato la mano sulla vetrata per aprirla e rientrare.
Aveva gli occhi rossi, sembrava spaesato e confuso e, soprattutto aveva bisogno davvero di quei due minuti per riprendersi.
Kate lo aveva abbracciato d’impeto. Lo aveva stretto a sé e lui si era lasciato andare a lei come un bambino. Si era lasciato travolgere dalle sue braccia affondando il viso sul suo collo.
Mentre lei lo teneva stretto, si era reso conto di non essersi calmato per niente, il cuore batteva ancora all’impazzata e il suo respiro era velocissimo. Kate gli accarezzava i capelli con un movimento lento e regolare, tenendo l’altra mano sulla guancia che non toccava la sua pelle.
I due minuti passarono in fretta, come le ore che continuavano a segnare il loro tempo. I suoi battiti si calmarono e il respiro alitò caldo e leggero su di lei. Quell’abbraccio li aveva scaldati entrambi.
Si era scostato da lei prendendole le mani nelle sue e aveva abbassato lo sguardo.
-Sarà dura guardarli negli occhi!-
Aveva sussurrato in maniera quasi impercettibile e lei aveva inclinato la testa, accarezzandogli il viso.
-Perché hai distrutto una proprietà del distretto?!-
Gli aveva chiesto facendolo sorridere.
-Sono preoccupati per te… e non c’è altro da dire!-
Aveva sussurrato anche lei, toccandogli le labbra che avevano finalmente ripreso colore.
Erano rientrati nel corridoio.
Il capitano Gates insieme a Ryan, Esposito e il dottor Travis erano intenti ad ascoltare il video su uno dei loro telefonini.
Avevano sollevato lo sguardo su di lui, aspettando in silenzio.
Aveva ragione lei, erano preoccupati. Nei loro occhi non c’era pietà e nemmeno rabbia per il suo assurdo comportamento. Erano solo e semplicemente preoccupati per lui e pronti a tutto.

Si ridesta dai suoi pensieri quando si rende conto che l’auto si è fermata.
Corruccia la fronte e guarda Kate.
-Perché ti sei fermata in questo vicolo?-
Lei fa segno con lo sguardo di guardare di fronte a loro e quando lui lo fa, sospira sonoramente.
-Che ti aspettavi? Sotto casa mia ce ne saranno altrettanti!-
Risponde riferendosi all’orda di giornalisti accalcati davanti al distretto. Esposito, seguito da Ryan e dal capitano Gates, bussa al finestrino, attirando la loro attenzione.
-Io e Ryan ci fermiamo lì davanti con la macchina, penseranno che ci sia anche tu e si distrarranno, voi e il capitano entrerete dal garage.
-Niente affatto!-
Esclama lui, attirandosi addosso lo sguardo interrogativo dei colleghi.
Scende dall’auto seguito da Kate e guarda verso l’entrata principale del distretto.
-Sono stanco. E’ tutto il giorno che mi sento in colpa. Per la morte di quelle donne, per la morte di Grayson. Mi sento in colpa per essere io stesso una vittima… beh… io non ho fatto niente di male e non ho intenzione di nascondermi ancora!-
La Gates solleva un sopracciglio, guardando Beckett.
-Scott Dunn sta giocando per divertirsi? Facciamolo divertire allora!-
Si volta a guardare la Gates e sorride.
-Come se la cava con i No Comment, capitano?-
La donna lo fissa con uno strano luccichio negli occhi.
-Io sono la signora No Comment!-
Risponde mettendosi le mani ai fianchi.
-Pronto?-
Gli chiede con un ghigno divertito sulle labbra.
-Pronto!-
Risponde lui guardando Kate, che annuisce.
Si avviano a passo svelto. La folla radunata nei pressi del distretto e tenuta a bada dagli agenti di guardia, si accorge presto di loro e gli corre incontro.
In pochi secondi si ritrovano attorniati, Ryan ed Esposito davanti a lui lo proteggono dai flash, mentre la Gates, sventolando la mano, risponde alle diverse domande con i suoi seri e secchi No Comment.
Kate è dietro di lui. Lo tiene per il braccio. La sua stretta è fortissima e Rick si volta a guardarla. Nella confusione che li ha attorniati la vede guardarsi intorno con gli occhi sgranati, attenta e concentrata, come se avesse paura di poterlo perdere in mezzo alla folla.
A forza di spintoni arrivano quasi al primo scalino sulla porta del distretto, quando Rick sente venirgli meno la stretta di Kate. Si volta all’improvviso e la vede ferma e immobile, con gli occhi fissi in un punto ben preciso.
Guarda nella stessa direzione e in lontananza, in mezzo ai microfoni e alle videocamere, scorge uno sguardo… un sorriso.
Si ferma di colpo, facendo bloccare anche il capitano e i ragazzi.
La confusione è totale, i giornalisti riescono a circondarlo completamente, non riesce più a vedere quello sguardo, ma vede Kate scattare in avanti, urlando a Ryan ed Esposito di seguirla.
Si districano dalla confusione e, insieme ad altri agenti, si gettano all’inseguimento della collega, senza riuscire a capire cosa stia succedendo all’improvviso, fino a quando, a parecchia distanza davanti a loro, scorgono una figura maschile correre come il vento, mentre la voce di Beckett urla secca.
-E’ lui… è Scott Dunn…-

Li aveva seguiti dall’ospedale, era sempre stato ad un passo da loro.
Non era sicuro che avrebbero affrontato i giornalisti, ma la cosa non lo preoccupava… sarebbe riuscito a farsi notare comunque.
Voleva vedere la sua espressione.
Voleva vedere la sua rabbia.
Voleva giocare…


Castle è rimasto bloccato sulla porta del distretto. Non riesce più ad intravedere Kate e i ragazzi.
Sente l’ansia salirgli alla gola, Dunn era davvero ad un passo da loro.
E’ sempre stato ad un passo da loro.
Il capitano Gates lo spinge verso l’interno e lo trascina dentro l’ascensore e quando si chiudono le porte, digita il numero di Esposito.
-Che sta succedendo?-
-Stiamo inseguendo Dunn capitano, ci servono rinforzi, si dirige sulla 65th est.-
-Allerto subito le pattuglie della zona, mantenete il contatto radio. Fate attenzione.-
Chiude la chiamata e, quando arrivano al piano, comincia a dare ordini a destra e a manca, dirigendosi nella sala radio.
Rick entra dietro di lei, resta in piedi a guardare il muoversi frenetico di tutti e non riesce a calmarsi.
Lui vuole lei.
Dunn vuole Nikki e adesso lei gli corre dietro… potrebbe fare qualunque cosa per prenderlo, anche farsi ammazzare in mezzo alla strada.
Sospira cercando di rallentare l’ansia, ma non riesce a pensare lucidamente.
Lui è al distretto e lei è in strada… con Scott Dunn.
-Beva qualcosa di caldo, signor Castle.-
Il capitano Gates gli mette una tazza di thè bollente tra le mani e gli fa segno con la mano di sedersi.
-Ho allertato le pattuglie in quella zona, confluiranno tutti con Beckett, siamo in contatto radio.-
Lui annuisce, prendendo un sorso di thè, che però manda giù a fatica.
La radio riporta i movimenti delle pattuglie, due agenti si stanno dirigendo sulla 65th in auto, altri si sono uniti all’inseguimento a piedi. Dall’itinerario che riportano sembra si stiano dirigendo verso la metropolitana.
Castle digrigna la mascella e stringe la tazza con forza.
-Sta proprio giocando…-
Sussurra tra i denti e quando il capitano Gates lo guarda con fare interrogativo, lui scuote la testa restando ad ascoltare la trasmissione della polizia.


…Era consapevole che avrebbe anche potuto raggiungerlo, ma nemmeno questo era importante, bastava gettare a terra la boccettina e lasciare che il veleno si mescolasse con l’asfalto, con il fango…
Non avrebbe salvato comunque lo scrittore.
Non si sarebbe mai perso la soddisfazione di raggirarla, come aveva fatto lei in quel magazzino, tre anni prima…


Beckett corre spedita, tenendo gli occhi puntati su Dunn che sembra un fulmine.
Oltre Ryan ed Esposito, si sono uniti a lei altri quattro agenti.
Non si rende conto di dove si trovi, non si è nemmeno voltata indietro a guardare se fosse sola all’inseguimento. Non vuole perderlo… non può perderlo.
Mentre attraversano la strada, evitando un’auto notturna, si rende conto che Dunn sta prendendo la scala sotterranea della metropolitana. Stringe i pugni e aumenta la velocità. Come in un deja-vu si ritrova a scendere le scale che portano alla metro.
Lo vede saltare il tornello della biglietteria e digrigna la mascella, conoscendo già le sue intenzioni.
Si sta prendendo gioco di lei.
Salta anche lei il tornello, uno dei treni è fermo con le porte aperte in attesa di ripartire.
Nonostante l’ora, una decina di persone si affollano per salire sulla cabina.
Sta succedendo di nuovo…
Corre veloce, ma arriva alla cabina proprio nel momento in cui le porte si chiudono.
Batte le mani sui vetri e Scott Dunn le sorride, si porta le mani al collo, esce lentamente un cordoncino di caucciù e mostra tra le dita una piccola bottiglietta quadrata con dentro un liquido di colore azzurro.
La carrozza parte lentamente, mentre Kate continua a battere le mani sulla porta, con gli occhi fissi su quella preziosa bottiglietta che dondola tra le dita di Dunn, fino a quando il vagone prende velocità e lei è costretta a fermarsi.
Si abbassa portandosi le mani alle ginocchia per riprendere fiato.
Ryan ed Esposito arrivati dietro di lei, contattano per radio i colleghi, dando ordine di seguire la linea della metropolitana e bloccare il treno alla fermata successiva.
-Dite all’autista di non aprire le porte fino al nostro arrivo… nessuno deve scendere da quella carrozza!-
Ordina Beckett, strappando la trasmittente dalle mani di Esposito.


Mentre correva come il vento verso la sotterranea, rideva.
Sentiva il cuore scoppiargli nel petto.
Si sentiva vivo.
Lei era a pochi metri da lui, se lo avesse raggiunto lo avrebbe ucciso, ne era certo… ma questo era un solo un dettaglio, perché lei non lo avrebbe raggiunto.
Era salito sulla carrozza della metropolitana ed era rimasto davanti alla porta, con il cuore in gola, ad aspettare che si chiudesse.
L’aveva vista arrivare di corsa, la porta era ancora aperta…
Sorrise. Sospirò.
I battiti rallentarono di colpo, sentì il respiro mancargli quando lei arrivò ad un paio di metri da lui, non per la paura di essere preso, ma per l’emozione di averla così vicina da sentire il martellare del suo cuore.
La porta si chiuse e lei appoggiò le mani sui vetri, battendole con rabbia.
Ansimava per la corsa.
I suoi occhi erano grandi, scuri, pieni di rabbia…
Prese il laccio che custodiva il suo prezioso gioiello e lo fece dondolare davanti ai suoi occhi.
Il treno cominciò a muoversi lentamente, mentre lei continuava a guardare il liquido azzurro che gli stava portando via il ‘respiro’…
Sorrise, quando alzò gli occhi su di lui.
Non c’era più rabbia.
In quelle meravigliose iridi macchiate di scuro, c’era solo paura…
Era ad un passo da lui e lui si stava portando via la sua vita!


Senza dire altro si avvia all’uscita della metro.
Sale insieme ai colleghi sull’auto di pattuglia che li avrebbe portati alla fermata successiva, continuando a stare in silenzio.
Qualche minuto dopo scendono ancora le scale che portano alla sotterranea.
Il treno è appena arrivato e le porte sono ancora chiuse.
Danno ordine agli agenti di tenere sotto controllo la stazione e bloccare l’uscita alla strada. Beckett fa segno con la testa di fare sbloccare le porte e cominciano a setacciare i vagoni, impedendo alle poche persone a bordo di scendere.
Percorrono il treno per tutta la lunghezza, armi alla mano e occhi puntati addosso ai passeggeri spaventati e sorpresi.
Ryan attira l’attenzione dei colleghi in un punto del treno, mostrando la botola sul pavimento che dà accesso ai binari, accucciandosi sulle ginocchia.
-E’ aperta, deve essere uscito da qui.-
Si abbassa a testa in giù a guardare i binari, senza scorgere niente.
-Fai rafforzare la vigilanza all’uscita e continuate a setacciare il treno.-
Ryan si alza e scambia uno sguardo con Esposito.
-Ma Beckett…
-Conosciamo Dunn, potrebbe avere sollevato la botola per farci credere di essere sceso.-
-Sul treno non c’è, lo abbiamo già setacciato.-
-E allora setacciatelo di nuovo!-
Esclama secca, tornando sui suoi passi, controllando uno per uno i passeggeri seduti ai lati della carrozza.
-Beckett, Dunn è sceso, sarà qui in giro, ma di certo non è sul treno.-
-Con Dunn non c’è nulla di certo!-
-Beckett…-
Esposito cerca di ribattere, ma si blocca quando lei gli posa gli occhi addosso.
-Cercate ancora… non mi sembra di chiedere troppo!-
La sua voce arriva alle orecchie del collega in un sussurro duro e senza repliche.
Ripercorrono il treno avanti e indietro un altro paio di volte, controllando anche il tetto.
Di Scott Dunn nessuna traccia.
-Quanto dobbiamo stare ancora qui sopra? Sono le due del mattino e vorrei andare a dormire.-
Uno dei passeggeri brontola pesantemente, ma nessuno gli dà retta, proseguendo la ricerca.
-Chiunque stiate cercando, il vostro collega avrebbe dovuto vederlo, prima di scendere, non vi pare?-
Beckett si volta a guardarlo e si avvicina a lui.
-Quale collega?-
-Quello che era qui prima che si fermasse il treno!-
Guarda Ryan ed Esposito digrignando la mascella.
-C’era un poliziotto in questa carrozza?-
Gli chiede corrucciando la fronte e l’uomo annuisce.
-Si, prima che ci fermassimo è entrato dall’altro vagone.-
Nel silenzio più assoluto si avvicina alla porta, appoggia la mano sul vetro e deglutisce.
Lascia il vagone e resta immobile sulla banchina.
Intorno a lei decine di agenti stanno controllando i senza tetto che hanno cercato rifugio dal freddo nei sotterranei della metro, altri hanno formato un cordolo all’uscita per impedire ai pochi passeggeri di uscire… eppure lui era riuscito a scappare!
Sospira quando sente i colleghi accanto a lei.
-Non ci posso credere… si è cambiato tra una fermata e l’altra, si è messo in divisa e quando abbiamo aperto le porte si è mimetizzato con gli agenti.-
Si passa le mani tra i capelli, scuotendo la testa.
-Maledizione!-
Esclama in un sussurro.
Fa qualche passo e si appoggia con la schiena al muro.
-Maledizione!-
Dice di nuovo e con la voce più alta, battendo i palmi delle mani alla parete.
-MALEDIZIONE!-
Urla stizzita, scaricando la sua rabbia sulla macchinetta degli snack accanto a lei. Fa una smorfia di dolore per il colpo, tenendosi la mano e si appoggia al muro piegandosi su se stessa.
-Romperti una mano non risolverà la situazione!-
Esclama Esposito parandosi davanti a lei, che si solleva e, senza guardarlo, si dirige verso l’uscita.
-Grazie per queste perle di saggezza Espo… dà ordine di setacciare la zona circostante alla metro e tutti i vicoli qui intorno, potrebbe essere ancora da queste parti, visto che si diverte a controllarci.-
-Beckett ascolta…-
-Non torneremo al distretto prima di avere controllato ogni sassolino in strada!-
Risponde lei senza voltarsi.


Le porte furono sbloccate e gli agenti in divisa occuparono il treno.
Invece di scendere rimase con loro per un paio di minuti.
Erano agenti di diversi distretti, non si conoscevano tutti, un volto nuovo non dava nell’occhio.
Era ad un paio di carrozze da dove si trovava lei…
Scese con calma, si avvicinò alle scale che davano all’uscita, si accodò a due agenti che correvano per perlustrare la zona sovrastante e in pochi secondi si ritrovò in strada.
Si era allontanato indisturbato.
La frenesia di trovarlo non dava possibilità di vederlo… perché continuavano a non guardare l’ovvio!
Rimase nascosto qualche minuto dietro un angolo di strada.
Immaginava i suoi sentimenti, riusciva a sentire la sua paura.
Guardò l’orologio, il cronometro continuava la sua corsa.
Tra meno di due ore sarebbe stata l’alba e lui aveva ancora qualcosa da sbrigare, prima che il giorno portasse la luce nelle tenebre della notte… una luce che lei non avrebbe notato…
S’incamminò con calma nella strada deserta.
Doveva prepararsi.
Doveva mettere a posto il prossimo capitolo.
Prese in mano la boccettina che teneva attaccata al collo e sospirò, immaginandosi la grandiosità del suo nuovo giorno…


Angolo di Rebecca:

Dunn si è preso un'altra rivincita, l'ha fatto ancora... si è preso gioco di Beckett!

Questo capitolo non ha bisogno di commenti, non da parte mia almeno, che ho il fiatone per la corsa... quindi state comode e calme, perchè non ce la farei a rimettermi a correre per scappare :)

Grazie :3


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Capitolo 30
*** Confidenze ***




 

Capitolo 30
 
 
Dopo aver sentito la voce di Kate, che ordinava alle pattuglie di recarsi alla fermata successiva della metro, Rick lascia la sala radio, sotto lo sguardo vigile del capitano.
Non riesce più a stare in quella stanza chiusa, ad ascoltare il silenzio proveniente dalla consolle… un silenzio che significa solo che lo hanno perso.
Percorre i pochi metri di corridoio fino alla scrivania di Beckett, prende posto sulla sua sedia e stringe le mani sui braccioli.
Non lo troveranno…
Si ritrova a pensare.
Sta scrivendo un libro, una trama che lui conosce già. Ha preparato anche questo paragrafo, ed un racconto che si rispetti non può finire con un arresto così stupido.
Lo sa anche Kate che non lo troverà su quel treno…
Si passa le mani sul viso e si ritrova a fissare i pochi detective rimasti al distretto, con le lampade accese su fascicoli, fotografie e scatole vuote di cibo da asporto.
Stanno ancora cercando il Professore.
Cerca il video che lo riguarda sul computer di Beckett e sospira.
Fino a quel momento non aveva avuto nessuna curiosità di vederlo. Non era pronto a sentire la voce di Scott Dunn che porta avanti la sua trama davanti a tutti.
Era certo che non avrebbe trovato nessun indizio utile in quel capitolo, ormai raccontava semplicemente la sua Storia, con la bramosia di farla conoscere al mondo.
Non si sentiva pronto nemmeno adesso, ma doveva vederlo e ascoltarlo. Doveva capire il perché di questa strana vendetta.
Riusciva a capire il suo odio, la sua voglia di vendicarsi, il suo desiderio di eliminare lui e Nikki dalla sua vita, ma non riusciva a capire il modo in cui aveva inscenato tutto.
La storia la conosceva, ma nonostante questo non riusciva ancora a capire il perché di tanto accanimento.
La voce di Dunn gli arriva alle orecchie e le immagini di quella mattina infernale gli passano davanti lentamente.
Per la prima volta, da quando passa in rassegna i capitoli, non sente nulla, come se ascoltasse e guardasse con distacco, come se non fosse lui il protagonista di quella trama assurda.
Sente improvvisamente un vuoto.
Pensa alla reazione di sua figlia quando ha saputo la verità, alla paura nella voce della madre, quando poco prima gli aveva parlato al telefono. Pensa a Kate, che cadrà nel baratro per una colpa impossibile da sostenere se non riuscirà a mettere le mani su quel veleno… e dentro di sé, sente solo un’enorme voragine.
Si riscuote di colpo alla voce di Dunn, che ha cambiato improvvisamente tono nella lettura.

 
Lo scrittore avrebbe pagato con la vita, avrebbe espiato con il dolore…
Niente poteva dargli pace per averla creata e buttata in braccio al mondo.
Niente poteva dargli pace per non averla tenuta solo per sé… lui l’avrebbe fatto… lui voleva farlo…

 

La voce si trasforma ancora, diventando un sibilo in mezzo ai denti.
 

L’orgoglio e la presunzione di renderla immortale nelle pagine di un libro erano la sua colpa più grande… per questo doveva  pagare…
 
L’orgoglio e la presunzione di renderla immortale nelle pagine di un libro erano la sua colpa più grande…
Ecco il perché!
Ecco il fulcro della storia.
La sua presunzione…
Lui era stato presuntuoso nel voler raccontare al mondo della sua musa, che invece avrebbe dovuto tenere per sé, gelosamente e con amore… lui lo avrebbe fatto!
Scott Dunn voleva punirlo per la sua presunzione e lo stava facendo con la stessa moneta: con la presunzione di fare sapere al mondo quanto ha sbagliato.
Blocca il video e resta a fissare l’immagine di Kate che lo tiene tra le braccia, cercando di scaldarlo.
Si sente così stanco che riesce perfino a dare ragione al suo assassino.
Lui ha usato Kate, non si è reso conto fin dall’inizio che lei doveva solo essere protetta e amata… era sempre stato presuntuoso, con lei, con i suoi sentimenti, con il suo dolore.
-Quante volte lo ha guardato?-
Solleva lo sguardo sulla voce del capitano Gates, chiude il video e lo schermo del computer torna nero.
-Solo una, non avevo ancora avuto il coraggio di farlo.-
Lei annuisce sedendosi al posto di Beckett.
-Stanno setacciando ogni vicolo.-
Castle scuote la testa, mostrando un sorriso amaro.
-Non lo troveranno, si è solo divertito a giocare.-
Il capitano annuisce e si appoggia allo schienale della sedia.
-Lo ha già detto anche in sala radio. Si spieghi meglio.-
-Tre anni fa Beckett era riuscita ad individuarlo e lo ha inseguito per mezza città, da sola, mentre l’FBI lo cercava in un altro posto. Alla fine lo ha perso nella metropolitana… ha fatto la stessa cosa. L’ha sfidata nello stesso modo, per prenderla in giro. Adesso sarà tesa come una corda di violino e questo lo diverte parecchio.-
La donna annuisce poggiando le mani incrociate sulle labbra, mentre lui si muove sulla sedia con una mossa insofferente.
-Per questo non lo troveranno… è tutto calcolato.-
-Allora lo troveremo in altro modo!-
Risponde lei sporgendosi ancora sulla scrivania.
-I tecnici informatici stanno lavorando sul video. Possiamo risalire all’indirizzo IP e al server da cui è partito, ci serve solo un po’…-
-…di tempo!-
La interrompe lui sospirando.
-Comincio a non sopportare più questa parola!-
Lo dice con gli occhi bassi, senza guardarla. La rabbia provata in ospedale, quella rabbia che gli aveva fatto distruggere una proprietà del distretto, era sparita all’improvviso. Sente solo stanchezza.
La Gates, invece, non gli toglie gli occhi di dosso.
Nelle diverse ore che sono stati a stretto contatto per questa situazione insostenibile, lo ha visto passare dalla calma alla rabbia, dalla concentrazione alla resa. E quello che vede adesso non le piace per niente.
-Che ne dice di rompere le scatole a qualcuno?-
Esclama all’improvviso, attirando la sua attenzione e sorride quando gli vede corrucciare la fronte.
-Stiamo ancora cercando il Professore. La lista di case in vendita o in affitto nel periodo della sua scomparsa è abbastanza lunga. Stiamo mostrando la sua foto ai proprietari, per vedere se qualcuno lo riconosce, anche se abbiamo qualche problema vista l’ora. Però possiamo accorciare la lista telefonando e descrivendo l’uomo in questione.-
-Capitano sono le tre del mattino. Nemmeno io aprirei la porta o risponderei al telefono.-
-Appunto! Dovremo rompere loro le scatole…-
Fa una smorfia con le labbra e sventola la mano davanti alla sua faccia.
-…e lei è bravo a rompere le scatole!-
Castle solleva un sopracciglio e il capitano nota nei suoi occhi quel luccichio che era sparito da qualche minuto. Beckett ha ragione. Ha bisogno di essere occupato, di sentirsi utile, di fare lavorare il cervello.
Mette un foglio sulla scrivania e ci posa sopra la mano.
-Si metta all’opera.-
Si alza risoluta, entrando nel suo ufficio. Lascia la porta aperta e si siede alla scrivania, cominciando a digitare i tasti del telefono. Attende un paio di secondi, ma non ricevendo risposta, ripete l’operazione. Sbuffa, sbattendo la cornetta, facendo sorridere Castle, che non le ha tolto gli occhi di dosso.
Riprende la cornetta e guarda minacciosa l’apparecchio telefonico.
-Saranno anche le tre del mattino, ma io ho bisogno di risposte. Vi prenderò per sfinimento. Dovrete stancarvi di sentire squillare il telefono in piena notte!-
Rick scoppia a ridere scuotendo la testa, quando la sente borbottare contro il telefono. Guarda il foglio di carta davanti a sé con la lista di nomi e numeri da contattare e stringe le labbra, riportando lo sguardo sul capitano Gates. Senza pensarci due volte si alza e si avvicina alla porta.
-Capitano… può dedicarmi due minuti?-
La donna lo guarda togliendosi gli occhiali, facendogli segno di entrare e corrucciando la fronte, quando lui chiude la porta.
-Santo cielo! Non vorrà mica regalarmi un altro paio di orecchini... le ricordo che sono una donna felicemente sposata!-
Esclama con gli occhi sgranati lasciandolo ammutolito per un attimo, scuotendo la testa e sorridendo subito dopo.
-Si accomodi signor Castle… mi dica.-
Rick si siede di fronte a lei, che appoggia le mani incrociate sulla scrivania, guardandolo con curiosità.
-Volevo chiederle scusa, capitano Gates.-
Esclama con calma, guardandola dritto negli occhi, costringendo la donna a guardare fuori dal suo ufficio preoccupata.
-Cosa diavolo ha combinato stavolta?-
Lui sorride e scuote la testa.
-Niente, adesso niente… volevo scusarmi per averle imposto la mia presenza qui al distretto.-
Lei solleva un sopracciglio, mettendo un gomito sul bracciolo della sedia e portandosi la mano al viso.
-In effetti la telefonata del sindaco non ha accresciuto la mia stima nei suoi confronti.-
-Lo so. Solo che in quel momento sembrava la cosa più giusta che potessi fare.-
Stringe le labbra, guardando i fogli sparsi sulla scrivania, cercando di fare ordine in quello che vuole dire realmente.
-Questo posto si stava sgretolando.-
Sospira, guardando in un punto imprecisato della stanza, senza posare lo sguardo sulla Gates, che invece lo fissa seria.
-Il capitano Montgomery era stato ucciso, Beckett ferita, lontano dal distretto… era come tornare a casa e non trovare più le certezze che riponi nella tua famiglia.-
Solleva le spalle posando finalmente lo sguardo su di lei.
-Restare qui mi dava la sensazione di potere rimettere insieme i cocci, ma lei mi ha mandato via e quando Beckett è tornata, sapevo che si sarebbe buttata a pesce sul cecchino, sul caso di sua madre ed io…-
Sospira ancora scuotendo la testa.
-…io volevo solo frenarla. So che per lei non ha senso, ma sapevo che sarei riuscito ad equilibrare le sue scelte. Volevo restare qui ad ogni costo e lei era così… così…-
Corruccia la fronte cercando di trovare il termine adatto.
-Antipatica!?-
Suggerisce il capitano e lui scuote la testa.
-No, no… era… insomma lei era…-
Sospira e sorride.
-…ok… era proprio antipatica e quella telefonata sembrava la cosa più giusta.-
La guarda sollevando le spalle.
-Non sto andando bene, vero?-
Lei scuote la testa.
-Se intendeva scusarsi, no. Non sta andando bene…-
Si passa nervosamente le dita tra i capelli.
-Volevo solo dirle che lavorando con lei, vedendola scendere in campo con la sua squadra, ho capito che, qualunque cosa dovesse mai succedere, i suoi uomini potranno sempre contare su di lei, perché prima di essere un capo è un buon poliziotto.  Lei si è guadagnata il diritto sacrosanto di stare seduta su quella sedia… ecco… volevo solo che lo sapesse, anche se detto da me, può non avere nessuna importanza.-
Il capitano Gates continua a fissarlo seria ed in silenzio, lui deglutisce e si appoggia alla scrivania.
-E a questo proposito, volevo anche ringraziarla per tutto quello che sta facendo per me.-
Si gira verso la stanza dove i detective stanno ancora lavorando e poi torna a guardarla.
-Per aver organizzato le squadre, per avere ordinato a tutti di rientrare…-
La Gates lo ferma con una mossa della mano.
-Come si chiamerà il bambino dell’agente Lowell, quello che se la sta prendendo comoda per venire al mondo?-
-Robert!-
Risponde Rick corrucciando la fronte, senza capire il significato di quella strana domanda in quel momento e lei fa una smorfia con le labbra.
-Non ci ha nemmeno pensato! Scommetto che se le chiedessi i nomi dei figli di tutti i colleghi, lei me li direbbe, con aggiunta di età, titolo di studio e malattie esantematiche già prese.-
Castle sembra sempre più confuso.
-Non capisco cosa c’entri questo, adesso!-
-E’ vero signor Castle, lei non capisce. Io non ho ordinato niente a nessuno. Ho solo fatto un paio di telefonate esponendo la gravità della situazione, dicendo che avevo bisogno di tutte le forze disponibili, il resto lo hanno fatto loro. Sono rientrati di loro spontanea volontà.-
Rick la guarda a bocca aperta, non sapendo cosa rispondere.
-Proprio non riesce a capire, vero signor Castle? Lei è un uomo presuntuoso, irritante e rompiscatole, però ha una grande capacità. Lei sa ascoltare… è vero, parla di continuo, dice cose senza senso per la maggior parte delle volte, ma quando la gente le parla, lei la guarda negli occhi e ascolta. Non finge, ascolta e memorizza, qualunque sia il tema del discorso. Lei conosce la loro storia, i loro problemi, le loro gioie. Conosce perfino i loro turni. Lei fa parte del distretto, è uno di loro e non si fermeranno fino a che non avremo trovato quel veleno… quindi, è loro che deve ringraziare, non me!-
Castle riporta lo sguardo fuori dall’ufficio della Gates, i pochi agenti rimasti stanno ancora al telefono o spulciando carte su carte, qualcuno sonnecchia anche. Sono in piedi da ore, sono stanchi, ma nessuno accenna a mollare.
-Visto che siamo in vena di confidenze, me la toglie una curiosità?-
Lui si gira di colpo a guardarla, spiazzato dalla sua domanda.
In vena di confidenze?
-C… certo…-
Balbetta, non molto sicuro di sé e lei si spalma praticamente sulla scrivania, inclinando la testa e stringendo gli occhi a due fessure.
-Quando è successo?-
Chiede sottovoce e Castle la guarda sempre più confuso. Questa donna sarà anche un buon comandante, ma non usa mai il soggetto in una frase.
-Quando è successo… cosa?-
Lei si rimette dritta contro la spalliera della sedia e comincia a gesticolare con le mani.
-Quando c’è stato il salto della barricata? Sicuramente quando sono arrivata qui due anni fa non eravate così uniti, però c’eravate vicino…-
Rick solleva le sopracciglia e deglutisce, cominciando ad avere qualche teoria sul soggetto del discorso, ma lei non ci bada, continuando ad esporre il suo film mentale.
-Il problema è che siete bravi! Il vostro comportamento non è cambiato di una virgola.-
Sbuffa mentre gesticola.
-Insomma… parlate insieme, vi finite i discorsi e i pensieri a vicenda…-
Punta il dito su di lui che si allontana d’istinto all’indietro.
-…cosa che per altro mi fa andare in bestia! Lo lo avete sempre fatto, quindi non è un indizio! Anche se da un po’ ci sono certe piccolezze, piccoli sguardi, piccoli gesti… strane strette di mano... però mi è sfuggito un passaggio.-
Si ferma con le mani incrociate sulla scrivania e resta a guardarlo.
-Io… credo di non… avere capito la domanda!-
Esclama Rick balbettando, muovendosi di continuo sulla sedia, diventata improvvisamente scomoda e lei sbuffa di nuovo.
-Oh, andiamo signor Castle! Lei e Beckett avete una relazione…-
Lui spalanca gli occhi e lei continua imperterrita, mettendosi un dito sulle labbra.
-…solo mi è sfuggito il momento, come se ieri foste andati via single e oggi foste tornati in coppia. Mi manca il passaggio.-
Conclude secca, guardandolo seria e puntandogli ancora il dito contro.
-Mi sento come se avessi perso la puntata più importante della mia soap preferita… non ci dormo la notte!-
Resta con il dito alzato contro il suo naso e lui comincia a boccheggiare.
-Io… ehm… lei… è… è una domanda trabocchetto, vero capitano?-
Lei stringe gli occhi a due fessure e storce le labbra, mostrando una faccia davvero cattiva, degna di Beckett.
-Non dormire la notte mi rende nervosa. Molto! Allora… quando?-
Castle resta impietrito, continua a boccheggiare con gli occhi sgranati e dopo avere aperto e chiuso la bocca un paio di volte, sospira, sconfitto.
-Il giorno… il giorno della sua sospensione!-
Si ritrova ad ammettere senza nemmeno accorgersene e lei batte una mano sulla scrivania facendolo sobbalzare.
-La sospensione… ecco cosa mi ero persa! E’ normale che non mi sia più raccapezzata, ero così arrabbiata e delusa del comportamento di Beckett, che quando siete tornati non ho aguzzato la vista…-
Lo guarda con un ghigno sulle labbra.
-…e voi siete stati davvero bravi. Dalla sospensione! Significa che state insieme da ben nove mesi!?-
Castle non capisce se la sua è una domanda o un’affermazione, così decide di non rispondere.
Restano in silenzio per un attimo, il capitano Gates ha l’aria di essere immedesimata dentro i suoi pensieri e lui comincia a pensare che avrebbe dovuto mettere in atto la regola del ‘nega sempre fino alla morte’ ed evitare di trovarsi in una situazione del genere, visto che probabilmente gli resta poco da vivere.
-Ehm… capitano, ascolti… non è che non glielo abbiamo detto per prenderla in giro…-
Lei lo guarda scettica.
-Davvero?!-
-Da… davvero. Noi… cioè…io…-
-Lei voleva restare al distretto e Beckett non intendeva lasciarla andare!-
Esclama lei e Rick annuisce, sconfitto dagli eventi.
-Non agirà formalmente contro Beckett, vero?-
Sussurra, senza distogliere lo sguardo preoccupato dai suoi occhi seri. Lei resta in silenzio un attimo. L’uomo che ha davanti rischia di morire e l’unica cosa che riesce a chiederle è di non fare nulla contro Beckett.
-Io proprio non riesco a capirvi. Lei è pagato dal distretto?-
Rick scuote la testa.
-Riceve uno stipendio per le ore che passa qui dentro?-
Anche stavolta riceve da lui una risposta negativa e silenziosa.
-Quindi lei sta qui per rompere le scatole e formulare teorie strampalate, che mi mandano in bestia, completamente gratis?-
-Direi di… si!-
Risponde lui e lei batte di nuovo la mano sulla scrivania facendolo sobbalzare ancora.
-Allora lei non è un collega di Beckett, non c’è nessun conflitto d’interesse tra voi due. Fino a che continuerete a mantenere un comportamento decoroso al distretto, non ho motivo di mandarla via o agire contro di lei, che fuori di qui è libera di vivere la sua vita come le pare.-
Rick sorride e lei lo punta di nuovo con il dito.
-Non faccia quel sorrisetto che sta a significare che mi è simpatico perché la caccio via davvero… lei non mi è simpatico e non sono per niente felice che abbiate pensato per tutto questo tempo che io fossi stupida e cieca!-
Non gli dà modo di rispondere e fa un gesto con la mano verso la porta, dando ad intendere che le confidenze sono finite.
-Ora se ne vada… devo fare delle telefonate.-
Castle fa per uscire senza dire una sola parola, ma la voce secca del capitano Gates lo blocca con la mano sulla maniglia della porta.
-Ah, signor Castle…-
-S… si?!-
-Per inciso… quegli orecchini… erano fa-vo-lo-si!-
Lui sorride, apre la porta ed in assoluto silenzio si avvia alla scrivania.
Sono le tre e un quarto del mattino ed è ora che anche lui rompa le scatole telefonando ad un po’ di gente.
 

‘Passiamo adesso al caso dell’assassino silenzioso. Non è ancora chiaro il nesso che lega le tre giovani vittime, uccise a sole 24 ore di distanza una dall’altra, con lo scrittore di libri gialli Richard Castle. Qualche ora fa il video caricato sul Web dall’assassino, ha dato ad intendere che ha agito, fin dall’inizio, per una vendetta personale contro il famoso romanziere e la poliziotta con cui collabora da anni e che ha ispirato la saga di Nikki Heat. Di poco più di due ore fa è la notizia che l’uomo è stato avvistato nei pressi del 12th distretto, proprio durante l’arrivo dello scrittore e dei colleghi. Il signor Castle è stato scortato all’interno del distretto, mentre diversi poliziotti, tra cui il detective Beckett,  hanno intrapreso un inseguimento a piedi, che però si è concluso nella metropolitana, con la fuga del killer.
Non abbiamo altre notizie né sull’identità dell’assassino, né sulle reali condizioni dello scrittore, che, per quello che si può capire dal video, ora rimosso dalla polizia postale, sarebbe stato avvelenato. I colleghi sul posto hanno riferito che all’arrivo al distretto, il creatore di Derrick Storm e Nikki Heat, sembrava stare bene…’


Angolo di Rebecca:

E così Riccardone e Iron si sono fatti delle confidenze! Più che altro il capitano lo ha fregato in pieno prendendolo in contropiede... tenero *_______* bellini!!!
Katiuccia bella, dedicato a te *-*

 

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Capitolo 31
*** Rabbia! ***






Capitolo 31
 
 
‘…Non abbiamo altre notizie né sull’identità dell’assassino, né sulle reali condizioni dello scrittore, che, per quello che si può capire dal video, ora rimosso dalla polizia postale, sarebbe stato avvelenato. I colleghi sul posto hanno riferito che all’arrivo al distretto, il creatore di Derrick Storm e Nikki Heat, sembrava stare bene…’
 
La notizia rimbalza da un TG all’altro ormai da una ventina di minuti.
Castle continua a fissare l’ascensore. Sa già che, quando le porte si apriranno, Kate apparirà con il viso tirato, la mascella contratta e la rughetta sulla fronte.
Scott Dunn l’ha sfidata. Di nuovo.
In questo momento sarà nervosa, arrabbiata, ma non solo con Dunn. La rabbia maggiore è sicuramente rivolta contro se stessa. La conosce. Conosce i piccoli ingranaggi nel suo cervello, quelli che s’innescano improvvisamente, facendola diventare silenziosa e chiusa in quei pensieri che non la portano a nulla, tranne che ad una distruzione interna.
Il campanello annuncia l’ascensore al piano, le porte si aprono e lei entra a passo svelto, seguita da Ryan ed Esposito.
Il suo viso esprime proprio quello che lui immaginava.
Seria e silenziosa, lo sguardo basso, le braccia tese lungo i fianchi e i pugni chiusi.
Sospira, quando si rende conto che sta bene, almeno fisicamente. E’ partita come un fulmine senza aspettare rinforzi, gli è  corsa dietro senza pensare, questo lo ha tenuto sulle spine per tutto il tempo. Non si era tranquillizzato nemmeno dopo aver saputo che Scott Dunn era riuscito a scappare.
Si alza per andarle incontro, ma la voce della Gates lo blocca.
-Esposito, tu e Ryan chiedete notizie al reparto informatico… Beckett, nel mio ufficio.-
Lei gli passa accanto senza guardarlo, entra nell’ufficio del capitano e chiude la porta.
-Capitano, so che avrei dovuto fare rientrare prima gli agenti…-
La Gates solleva la mano per fermarla.
-Non sei qui per questo Beckett. Hai fatto semplicemente quello che c’era da fare. Eri sulle tracce di un sospettato e hai agito di conseguenza. Volevo solo che mi mettessi al corrente di come sono andate realmente le cose.-
Il viso di Kate non mostra alcuna emozione.
-Si è travestito da poliziotto tra una fermata e l’altra, quando gli agenti in divisa sono saliti sul treno si è semplicemente mimetizzato tra loro. Sono agenti di distretti diversi, non possono conoscersi tutti. Io non l’ho visto perché evidentemente ero nell’altra carrozza. Quando alcuni di loro sono scesi, se l’è svignata. Non c’è altro da dire, signore.-
Il capitano si siede alla scrivania, le mani incrociate davanti alle labbra.
-E’ furbo! Fa tutto per metterti in difficoltà, vuole che ti arrabbi così non ragioni lucidamente.-
-Sono lucida capitano, mi creda! Posso andare?-
La donna la guarda dritto negli occhi e annuisce.
-Beckett!-
La richiama appena prima che apra la porta. Si alza e le va vicino puntando lo sguardo fuori dall’ufficio, su Castle.
-Ho cercato di tenerlo occupato, era molto giù quando eri fuori. Ha visto il video e non ha voluto parlarne. L’ho osservato e da un po’ si muove di continuo, fa strane smorfie con il viso e si tocca spesso la fronte… credo stia di nuovo male.-
Kate sospira, mostrando improvvisamente la sua stanchezza.
-L’effetto della flebo si starà esaurendo.-
-Lo penso anch’io.-
Sospira, guardandola negli occhi.
-Nonostante tutto è preoccupato per te…-
Lascia in tronco la frase, dirigendosi ancora alla sua scrivania.
-In questo momento dipende da quello che fai, e non mi riferisco al fatto che trovi Dunn in tempo oppure no. Dipende dalle tue emozioni.-
Si mette gli occhiali e senza dire altro, prende la cornetta per continuare le sue telefonate. Kate corruga la fronte e stringe le labbra.
-Capitano, io dovrei dirle una cosa…-
Ma la donna la ferma di nuovo.
-Se non ha a che fare con il caso, non è il momento. Siamo tutti stanchi e tu, adesso, hai bisogno di un caffè!-
Esclama mentre digita un numero di telefono. Beckett resta a fissarla per un attimo e senza dire altro, esce chiudendosi la porta alle spalle.
 
Castle si alza appena la vede avvicinarsi, si appoggia con il braccio, facendo perno sulla scrivania per aiutarsi. I suoi movimenti sono lenti.
La guarda e le sorride.
-Stai bene?-
-Tu… chiedi a me se sto bene?!-
-Eri ad un passo da lui e vuole ucciderti… non puoi biasimarmi se sono preoccupato!-
Lei scuote la testa e abbassa lo sguardo.
-Lo sai anche tu che non mi ucciderà. La sua trama non lo prevede. Non adesso.-
Solleva la testa e mostra un flebile sorriso.
-Castle, me lo prepari un caffè?-
Si dirigono nella sala ristoro e Rick si mette ad armeggiare con la macchinetta del caffè, mentre lei resta al suo fianco, immobile, con lo sguardo basso.
-Potresti distruggere anche tu una proprietà del distretto, poi facciamo tutto un conto e pago io, questo me lo devi permettere!-
Lei corruccia la fronte e lo guarda un attimo, mentre riempie il filtro con il caffè.
-Distruggere una cosa che non ti appartiene calma parecchio la rabbia che senti dentro, fidati, lo so per esperienza.-
Guarda la macchinetta e sorride.
-Possibilmente distruggi altro però, a questa ci sono affezionato!-
Esclama cercando di essere divertente, ma il filtro gli sfugge dalla mano e la polvere di caffè si sparge rovinosamente sul pavimento.
-Accidenti!-
Sibila tra i denti, abbassandosi per ripulire, ma lei lo ferma appena comincia ad agitarsi.
-Ripulisco io, non è successo niente.-
Lui scuote la testa, mentre apre e chiude la mano, cercando di reprimere il dolore.
-Hai fastidio?-
Gli chiede lei prendendogli la mano tra le sue.
-E’ come se fosse addormentata, non riesco a tenere la presa, anche prima, la cornetta del telefono sembrava pesare un quintale!-
Abbassa lo sguardo sulle mani che stringono la sua e si accorge del leggero gonfiore e dell’alone di un livido che si sta espandendo nella parte laterale della mano sinistra di Kate, quasi vicino al polso.
-Vedo che ti sei già sfogata contro qualcosa prima di rientrare… stavi per distruggerti la mano!-
Esclama alzandosi, lei la ritrae e continua a raccogliere la polvere di caffè.
-Devo aver sbattuto contro qualcosa mentre correvo.-
-Già!-
Risponde lui passandosi la mano tra i capelli. Aspetta che getti i resti del caffè nella pattumiera e resta a guardarla.
-Lo stai facendo tu adesso.-
Quando si accorge che lei non lo ascolta minimamente, si avvicina.
-Vuole questo. Vuole dividerci prima che accada l’inevitabile. Non glielo permettere. Prima lo hai chiesto a me, adesso te lo chiedo io. Guardami Kate!-
Lei alza lo sguardo su di lui,  parlando tra i denti per non urlare la furia che sente dentro.
-Guardarti!? Come posso guardarti?-
-Kate…-
Rick sospira mentre lei abbassa di nuovo lo sguardo e digrigna la mascella.
-Kate… che cosa? Ero a due passi da lui. Era davanti a me Castle, ed io me lo sono lasciato scappare.-
-Non te lo sei lasciata scappare. E’ il suo libro, è la sua trama. Lui sa già cosa succede.-
Lei annuisce piena di rabbia.
-Certo. Sapeva anche che avrebbe trovato un treno pronto a partire. Non gli importava nulla. E’ rimasto davanti alla porta aperta ad aspettare che io lo raggiungessi.-
Batte la mano sul piano davanti a lei.
-Un secondo. Un solo secondo e adesso avremmo quel veleno.-
-Chi ti dice che lo avesse con sé. Hai mai pensato che anche catturandolo, potrebbe averlo nascosto e potrebbe non rivelarti dove, fino alla fine?-
Lei scuote la testa freneticamente.
-Lo aveva con sé. Attaccato al collo come un gioiello. E’ una boccettina piccola… me l’ha sventolata sotto al naso mentre il treno si allontanava.-
Castle deglutisce e le mette la mano sul viso.
-Kate guardami.-
Ma lei si scosta, dandogli le spalle.
-Stai morendo Castle e l’unica cosa a cui pensi è se io sto bene… non ti ho portato altro che dolore e adesso…-
-Kate smettila!-
Rick comincia ad innervosirsi e lei si gira a guardarlo. Ha gli occhi lucidi e il viso rosso.
-Ti sto portando alla morte Castle, come posso guardarti?-
-Capisci adesso di cosa avevo paura? Sei arrabbiata, ma non con Dunn. Sei arrabbiata con te stessa, ti senti in colpa, ma è lui che mi sta uccidendo, non tu.-
-Sono io che lo sto facendo. Ci ha spiati Rick, sapeva fin dall’inizio che siamo molto di più dello scrittore e la sua musa. Lo ha messo nero su bianco, ha scelto te per questo. Vuole me, ma ha cambiato piano, perché tu sei parte della mia vita.-
Lui sospira frustrato.
-Allora sono colpevole quanto te. Tu non hai visto il video, io si. Sai perché ce l’ha con me? Perché ho avuto la presunzione di descriverti al mondo intero, quando invece avrei dovuto tenerti solo per me. E ha ragione Kate. Tu sei stata dall’inizio un dono prezioso che doveva essere protetto e amato, ma io sono stato arrogante.-
Lei corruccia la fronte e lo guarda, finalmente, dritto negli occhi.
-Tu hai scritto un libro, hai preso spunto da me, ma io non sono Nikki e tu questo lo sai bene. Tu non confondi la realtà con quello che scrivi. Quello che dici è stupido.-
-Quanto quello che dici tu…-
Sussurra lui avvicinando il viso al suo, senza distogliere lo sguardo.
-Lo capisci che è come un cane che si morde la coda? Vuole farci perdere la lucidità e il contatto con la realtà.-
-La realtà?! Sai qual è la realtà? Che ha ragione a dire che lui ed io siamo uguali. Se lo avessi tra le mani in questo momento,  l’ultima cosa a cui penserei è la giustizia o il lavoro che svolgo. Lo ucciderei. Gli sparerei senza pensarci. Vorrei solo che sparisse dalla faccia della terra!-
Lo dice praticamente urlando e Rick sospira, guardando al di là delle fessure delle veneziane che li nascondono dal resto del distretto.
-Fa leva sui nostri sentimenti per dividerci...-
Lei continua a scuotere la testa, cercando di reprimere la rabbia. Rick le prende la mano, ma lei lascia la presa e abbassa ancora lo sguardo.
-Ho… ho bisogno di quei famosi due minuti Castle! Da sola…-
Esce a passo svelto dalla sala ristoro. Sente il suo sguardo addosso e si sente morire perché non riesce a rassicurarlo, mentre lui resta immobile a guardarla.
 
Entra nel bagno e si ferma davanti al lavandino, appoggia le mani sui bordi tenendo le braccia tese, si guarda allo specchio, ma abbassa lo sguardo immediatamente.
Guardami Kate…
Come può guardarlo quando non riesce nemmeno a sopportare la sua immagine allo specchio!
Rick la conosce troppo bene. Lei è arrabbiata con se stessa. Avrebbe dovuto correre più veloce, a costo di farsi scoppiare il cuore. Doveva prenderlo a discapito della trama che Dunn ha inscenato nella sua mente folle, ma lucida.
Invece se lo è lasciato sfuggire.
Batte ancora le mani sul bordo del lavandino e le lacrime, che aveva frenato fino a quel momento, le rigano il viso.
Sono calde, al contrario del gelo che sente nell’anima.
Dipende dalle tue emozioni…
Scuote violentemente la testa e deglutisce per far sparire quel nodo in gola che non vuole abbandonarla.
Dipende dalle sue emozioni, lui ha bisogno di un’ancora, ed in questo momento la sua ancora è lei.
Ma io non ne ho la forza!
Solleva lo sguardo sullo specchio che riflette una donna che non è lei. Una donna che mostra solo rabbia e dolore per quella felicità che le sta chiedendo il conto. Una donna che ha abbattuto muri e difese e adesso si ritrova incapace di combattere.
Apre l’acqua fredda e si sciacqua il viso. Senza asciugarsi, si lascia andare sulla parete e si siede a terra.
Prende il telefono e digita un numero.
-Tesoro!-
La voce di Lanie le risponde al secondo squillo e lei sospira.
-Kate… ci sei?-
Chiede la donna quando dall’altra parte del telefono arriva solo il silenzio.
-Lanie!-
Quando sente pronunciare il suo nome con quel tono, chiude gli occhi e si allontana dal banco di lavoro.
-C’è la radio accesa in laboratorio. Abbiamo sentito di Dunn. Stai bene?-
-Perché tutti chiedete a me se sto bene? Non sono io quella che sta morendo!-
Lanie si appoggia con le spalle al muro, percependo la pena nel cuore della sua amica.
-Tu stai morendo dentro Kate… e non va bene, soprattutto per Castle.-
Kate sospira, asciugandosi le lacrime che hanno ricominciato a rigarle il volto.
-Era davanti a me Lanie, con il veleno tra le mani… ed è scappato…-
-E naturalmente è colpa tua!-
Esclama la dottoressa sarcastica, sapendo bene anche lei, come Castle, cosa le sta frullando nel cervello e come possa avere i nervi a fior di pelle.
-Dimmi che avete trovato qualcosa su quella lista che vi abbiamo portato.-
Lanie scuote la testa, nonostante non possa essere vista.
-Stiamo sintetizzando delle possibili cure di contrasto, ma al momento non abbiamo nulla di positivo sui campioni si sangue.-
Kate si passa la mano tra i capelli, lasciandola appoggiata sulla testa, come se volesse trattenere i pensieri.
-Forse abbiamo sbagliato, magari non è stato Dunn ad appiccare l’incendio e quelle sostanze non c’entrano niente.-
-No, un paio hanno dato una reazione, il problema è che forse sono state mischiate, quindi si dovrebbe trovare la dose esatta. Ci vuole…-
-…tempo!-
Esclama Kate scuotendo la testa.
-Tesoro ascoltami. Lo so che sei arrabbiata dopo che quel bastardo è scappato, ma adesso devi mettere tutto questo da parte…-
-…per lui. Lo so Lanie!-
Chiude la chiamata prima che l’amica possa risponderle.
Si alza, si sciacqua di nuovo il viso e si appoggia ancora al lavandino.
La stanchezza si fa sentire. Sente il vuoto dentro di sé e guarda attraverso la porta. Castle è dall’altra parte. Ha bisogno di lei…
Prende l’anello che porta al collo tra le dita, quell’anello che l’ha protetta per anni, prima che a farlo fosse Castle. Lo rigira sull’indice della mano sinistra e poi si accarezza il polso, orfano dell’orologio.
In questo momento dipende da quello che fai.
Scuote la testa con enfasi.
Sei disposta a tutto per lui?
Sospira guardandosi ancora allo specchio.
Dipende dalle tue emozioni…
Le voci si accavallano nella sua mente, come un fiume in piena.
Resta con me Kate…
L’ultimo sussurro che sente rimbombarle in testa è la voce di Rick che le chiede disperatamente di non abbandonarlo.
Quel sussurro che l’ha tenuta aggrappata alla vita e l’ha salvata.
Resta con me Kate…
Improvvisamente l’eco di quella voce incerta e disperata, le infonde una strana calma in tutto il corpo e il cuore smette di galoppare.
Si asciuga il viso e sospira, cerca di distenderne i tratti passandosi le dita sulle occhiaie marcate.
Resta con me Kate…
Esce dal bagno e si dirige nella sala ristoro.
Castle è seduto di spalle, sente la sua presenza e si volta a guardarla. Lei gli sorride e lui fa altrettanto, mostrandole una tazza fumante sul tavolo.
-Ho pensato che del thè bollente fosse meglio del caffè.
Le dice fissando i suoi occhi, senza fare parola sul fatto che sono rossi di pianto. Kate si siede di fronte a lui, bevendo un sorso, senza distogliere lo sguardo.
-Non mi fai compagnia?-
-Non ne ho voglia… non riesco a mandare giù nulla.-
Si guardano in silenzio, mentre lei sorseggia altro thè.
-I dolori sono ricominciati?-
Lui annuisce e si passa la mano sulla fronte.
-Non sono forti, però credo mi stia salendo la febbre.-
Lei beve un altro sorso di quella bevanda che non ama particolarmente, ma che al momento le sembra deliziosa. La sta scaldando fino a dentro l’anima.
-La Gates sa di noi!-
Esclama all’improvviso Rick e lei sorride con la tazza sulle labbra.
-Non gliel’ho detto io… cioè… lei… lei lo sapeva già… solo che… insomma lei mi ha fatto una domanda ed io… lei lo sapeva, davvero…-
Kate posa la tazza sul tavolo scuotendo la testa e lui si blocca quando la vede ridere.
-Che domanda ti avrebbe fatto?-
-Voleva sapere quando ci siamo messi insieme. Si è persa il passaggio, ha detto… io volevo negare fino alla morte, ma lei…-
Kate continua a ridere.
-…lei è stata più brava!-
Lo interrompe, gli prende le mani e lo guarda con tenerezza.
-Ho sempre sospettato che fingesse di non sapere. Non è stupida.-
-No, per niente. Anzi, è offesa perché lo abbiamo pensato. Comunque sembra che noi due non siamo colleghi per il dipartimento, quindi non agirà contro di te.-
Kate scuote la testa stringendogli le mani.
-Proprio non ce la fai a non preoccuparti per me?-
-Mai… non potrei mai!-
Le risponde con tutta la dolcezza di cui è capace. Quella dolcezza che la fa sentire viva.
Si alza, lo accarezza su una guancia e fa per baciarlo, ma lui si scosta immediatamente.
-Dobbiamo comportarci decorosamente, però!-
Esclama facendola ridere di nuovo, mentre qualcuno bussa alla porta. Si allontanano istintivamente e il capitano Gates solleva un sopracciglio, quando entra.
-Non vorrei disturbare…-
Esordisce, cercando di mantenersi seria.
-…forse abbiamo l’indirizzo del Professore. E’ stato riconosciuto da un certo John Kandall. Ha detto di avergli affittato una casa nel Village quasi un anno fa, sotto il nome di Harold Manser. Due dei nostri stanno già andando sul posto.-
Beckett esce dalla stanza e raggiunge Ryan ed Esposito, già pronti ad andare.
-Dica alla pattuglia di non usare sirene e luci, silenzio radio. Che non si muovano e non facciano niente finchè non arriviamo noi.-
Prende il cappotto e si dirige all’ascensore.
-Obbedisco!-
Risponde secca la Gates, passandole accanto.
-Capitano, io… non intendevo…-
Non riesce a formulare una frase di senso compiuto, perché lei sparisce nel suo ufficio, chiudendo la porta.
Kate sospira, guarda Castle che cerca di reprimere una risata e solleva la mano contro i colleghi.
-Non – una – parola!-
Sillaba entrando in ascensore.
 
 
I segnali c’erano stati, ma lui era così deluso e amareggiato dal suo comportamento, che non era riuscito a capirli.
Il Professore era schiacciato dal rimorso, dalla colpa di non essere riuscito a ribellarsi.
Non solo la tossina prodotta, ma tutto il contesto lo faceva sentire morto dentro. Non aveva avuto comunque il coraggio di portare quella formula alla polizia.
Questo avrebbe dovuto metterlo in allarme.
Quando ha buttato quel foglio di carta tra le fiamme del camino, la sua espressione era cambiata radicalmente, come il suo umore.
Lo aveva cacciato… e se solo lui fosse stato attento ai segnali, non se ne sarebbe andato per niente al mondo.
Il rimorso lo aveva portato ad una sola soluzione.
Pagare.
Doveva pagare per le sue colpe, per i suoi sbagli e non aveva fatto altro che ripetergli che erano solo suoi, che lui non c’entrava nulla, che si era ritrovato coinvolto solo perché viveva con lui.
Doveva pagare… e doveva pagare da solo!
Continuava a correre per le vie deserte e gelide. I dolori alle gambe e alla schiena lo stavano divorando e sentì le lacrime gelarsi sul suo viso.
Doveva pagare da solo…
Per tutta la notte e il giorno precedenti non aveva fatto altro che guardare fuori dalla finestra, aspettando che il male venisse a prenderselo.
Correva sperando di sbagliarsi.
Il Professore aveva fatto quello che gli era stato chiesto, perché mai il diavolo avrebbe dovuto portarselo via!
Si fermò ansimando. Mancava soltanto un isolato.
Sollevò lo sguardo e l’ombra che correva come il vento dietro la vegetazione, nella parte opposta alla sua,  gli fece fermare il cuore.
Forse il diavolo era arrivato prima di lui!
Strinse i pugni e le palpebre. Le lacrime continuavano a rigargli il viso e riprese a correre.
Si diresse sul retro, verso la porta della cucina, mise la mano sulla maniglia e la spalancò senza pensare.
Aprì la bocca per gridare il suo nome con tutto il fiato che gli restava, ma un boato coprì del tutto la voce, risucchiandola nella sua nube nera…



Angolo di Rebecca:

Kate comincia ad accusare la lunghissima giornata,
gli avvenimenti che si sono susseguiti uno dietro l'altro e si prende due minuti.
Speriamo solo che siano due e basta...
E Abraham!?

Tra qualche ora avremo Veritas (penultimo, ahimè, episodio!) 
Buona visione a tutte *-* e... prepariamoci al finale :D



 

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Capitolo 32
*** Il Professore ***






 

Capitolo 32
 

 
Era partita a tutto gas, con le mani strette al volante e la mandibola serrata. La fronte del tutto corrucciata e gli occhi fissi davanti a sé.
Castle cercava di tenersi saldo al sedile, ma il formicolio alle mani gli dava la sensazione che fossero anchilosate e non riusciva a mantenere la stretta.
La guardava sott’occhio.
Era tesa e nervosa.
La lite che aveva avuto con se stessa, quando si era rifugiata nel bagno del distretto, l’aveva sfinita ancora di più.
Oltre a questo, la stanchezza cominciava a fare da padrona per tutti e l’unica cosa che li teneva in piedi al momento, era l’adrenalina di potere trovarsi faccia a faccia con il Professore entro pochi minuti.
Castle aveva un brutto presentimento, ma non lo aveva esternato.
Il Professore era un complice, ma Dunn non si sarebbe fermato davanti a niente, soprattutto non era nelle sue corde lasciare testimoni in giro… e il Professore, dava l’aria di essere succube di Dunn, di essere stato costretto a fabbricare la tossina, quindi poteva essere definito un testimone scomodo.
Mentre Kate continuava a pigiare il piede sull’acceleratore, i suoi battiti cardiaci acceleravano in maniera proporzionale.
Era spaventato. La paura che sentiva in corpo era di gran lunga superiore a quella che aveva provato la mattina precedente, quando Dunn lo aveva immobilizzato in mezzo al nulla.
Adesso sentiva una paura incontrollabile, respirava a fatica e non riusciva a calmare i battiti.
Il Professore poteva essere la sua ultima speranza e quella corsa silenziosa e al buio, per non destare sospetti, lo stava mettendo in guardia da quella che poteva essere la realtà.
Dunn non lasciava testimoni.
Dunn dettava le regole.
Dunn era sempre un passo avanti a loro.
Non riusciva a tranquillizzarsi nemmeno guardando Kate.
Era certo che sentisse le stesse sensazioni, perché evitava di guardarlo, come se non volesse agitarlo ulteriormente.
Sospirò ancora una volta, in modo molto pesante. Lei gli mise una mano sulla sua e la strinse così forte, che lui sentì il dolore espandersi per tutta la colonna vertebrale.
Il veleno stava facendo bene il suo lavoro. In maniera lenta e sistematica. Il suo corpo era diventato come un pezzo di cristallo, pronto a rompersi al primo scossone.
Il dottor Travis aveva ragione: per quanto il cervello volesse restare vigile e lucido, il corpo cominciava a non rispondere più.
A questo si univa un pensiero che lo ossessionava ormai da un paio d’ore, da quando cioè, era rimasto solo al distretto senza Kate. Prima o poi avrebbe dovuto cedere e restare in ospedale. Lei avrebbe continuato le indagini e la caccia sfrenata. Non si sarebbe fermata per niente al mondo e questo significava non potere averla vicina.
Questo lo spaventava ancora di più.
-Ci siamo…-
Gli aveva detto Kate, parcheggiando dietro l’auto pattuglia che li stava aspettando. Era scesa velocemente, raggiungendo i colleghi in divisa, chiedendo loro maggiori informazioni su quello che avevano scoperto.
Lui era rimasto in macchina.
Guardava lei, Ryan ed Esposito gesticolare con i colleghi e fare segno con le mani verso la casa, per decidere come agire e come prendere di sorpresa Lester Downing.
Si era voltato a guardare la casa. Se non si fossero fermati frontalmente ad essa, non l’avrebbe nemmeno notata. Il giardino non era illuminato, il cielo era cupo, non c’erano né luna né stelle e l’enorme albero, proprio lì davanti, la nascondeva alla strada.
Si soffermò a guardare proprio quello. L’enorme albero. Una maestosa quercia.
Mentre ammirava la sua grandezza, le voci sussurrate di Kate e dei colleghi gli arrivarono ovattate attraverso il finestrino chiuso. Si girò verso di loro senza riuscire a capire cosa dicessero, ma era evidente che i due agenti, che lui non conosceva, mostravano loro la planimetria della casa, dando ad intendere dai movimenti che, oltre il piano terra e il primo piano, c’era anche una cantina sotto il livello della strada.
Dal loro gesticolare capì che, una volta dentro, si sarebbero divisi per cercare proprio la cantina, dove probabilmente c’era il laboratorio in cui il Professore aveva sintetizzato il veleno.
Spostò lo sguardo ancora una volta sulla casa, una villetta a due piani le cui finestre mostravano il buio all’interno; solo al piano terra, da quello che probabilmente era il soggiorno, proveniva una flebile luce.
Sollevò lo sguardo verso il tetto e notò un sottile filo di fumo provenire dalla canna fumaria, che si confondeva con il nero della notte. Probabilmente il Professore aveva lasciato il camino acceso prima di andare a dormire.
Aprì lo sportello e si decise a scendere, lentamente, con difficoltà. Cercò di non darlo a vedere, appoggiandosi al tetto dell’auto con le braccia, continuando a fissare la casa e la quercia.
I rami si muovevano pesanti sotto la neve che si era gelata su ognuno di essi. Dondolavano disegnando a terra strane ombre geometriche.
Corrucciò la fronte e strinse le palpebre per cercare di mettere meglio a fuoco quelle ombre che sul terreno, stranamente, non si muovevano.

-Tu resta qui!-
La voce di Kate lo fa voltare di scatto, dimenticando le ombre, i rami e il silenzio che si è creato intorno a lui.
Senza ribattere nulla, annuisce.
Contrariamente a quello che si aspettava Kate, lui annuisce senza fiatare, senza esitazione, senza nemmeno provare a ribadire  e lei, per un attimo si sente persa, perché il fatto che non voglia seguirla, significa solo che non ne ha la forza.
Il suo viso è stanco e si è accorta che muoversi gli costa grande fatica. E’ preoccupato e non sta bene.
-Non sappiamo se Downing è armato, ma qualunque sia la sua reazione, ci serve vivo.-
Dice ai colleghi senza distogliere lo sguardo da lui, mentre loro si avviano per mettersi in posizione. Carica la pistola e raggiunge Esposito.
Castle li guarda avanzare lentamente e il suo nodo in gola si stringe fino ad impedirgli di respirare. Tossisce un paio di volte e, come attirato da una calamita, il suo sguardo torna sulla quercia, sulle ombre in movimento dei suoi rami, sulle ombre immobili ai piedi dell’enorme tronco.
Stringe ancora gli occhi per cercare di mettere a fuoco quel qualcosa che non vede, ma che è sicuro che c’è.
Sposta di nuovo lo sguardo su Kate, che si avvicina cautamente alla porta d’entrata, per tornare a guardare immediatamente le ombre.
Riesce a fatica a fare il giro dell’auto, appoggia la mano sul portabagagli e fa un respiro profondo, guardando ancora verso i colleghi, che sono ormai sulla porta. Esposito sta armeggiando con la serratura.
Trascinando la gamba destra, che ha deciso improvvisamente di non rispondere più all’ordine del cervello, che urlava di muoversi, si avvia verso il grande albero, con gli occhi sempre puntati su quell’ombra immobile ai suoi piedi. Ogni passo è pesante, sente come se un cappio gli si stringesse intorno al collo impedendogli di respirare a fondo, non solo perché c’è di nuovo quel peso nel petto che gli smorza il respiro o perchè il dolore lo rallenta nei movimenti, ma soprattutto, perché ad ogni passo i suoi occhi si abituano al buio intorno.
Ad ogni passo riesce a delineare i contorni, i contorni prendono forma ed una volta accanto alla quercia, appoggia la mano al tronco, per sorreggersi.
Chiude gli occhi e deglutisce.
Il suo presentimento è appena diventato realtà.
Cerca di fare un respiro profondo e istintivamente solleva gli occhi verso il cielo, per riuscire a prendere aria.
In quel momento nota l’ombra che dondola sopra la sua testa.
Una lacrima rossa di sangue sembra scendere lentamente sul viso disperato di una donna, il movimento dei rami fa sembrare vero il percorso che solca la guancia, tanto che per un attimo ha l’impressione che una goccia di quel sangue possa cadergli addosso.
Deglutisce ancora, mentre il respiro diventa tanto pesante, da fargli girare la testa.
Solleva lo sguardo su Beckett, Esposito ha appena fatto scattare la serratura, lo capisce dal movimento del capo di lei, che impugna la pistola all’altezza del viso e si mette in posizione per entrare.
Guarda di nuovo la sagoma immobile ai suoi piedi, fissa gli occhi in quelli vitrei che lo guardano, ma non possono vederlo e chiude la mano appoggiata al tronco in un pugno, senza riuscire a stringerla come vorrebbe la sua rabbia, perché il dolore glielo vieta.
-Beckett!-
Sussurra sollevando la testa.
-Kate!-
Cerca di alzare la voce per attirare la loro attenzione, ma il respiro gli muore in gola, mentre quello sguardo vuoto continua a scrutarlo.
Chiude gli occhi e respira profondamente.
-Kate!-
Non è sicuro di essere riuscito ad alzare la voce, ma quando riapre gli occhi e guarda verso la casa, vede Beckett e gli altri con gli occhi fissi su di lui.
Nota lo sguardo accigliato di Kate, disorientata dal perché si sia allontanato dall’auto, per avvicinarsi a quella quercia. Va verso di lui, facendo segno ai colleghi di aspettare un momento, ma dopo qualche passo si ferma, abbassando lo sguardo. Anche lei ha visto l’ombra.
-Santo cielo!-
La sente esclamare, mentre accelera il passo per correre verso di lui, cosa che fanno anche Ryan, Esposito e gli agenti di rinforzo.
Si fermano ad un passo da lui, con gli occhi sbarrati sopra il corpo senza vita di Lester Downing.
-E’… è il Professore!-
Sussurra Rick in mezzo al silenzio, rotto solo dal fruscio dei rami sopra le loro teste, che si confonde con il suo respiro pesante.
Esposito s’inginocchia per controllare il corpo da vicino.
-Gli ha tagliato la gola da parte a parte…-
Digrigna la mascella, illuminando la zona circostante con una torcia tascabile.
-Non c’è sangue qui intorno.-
-L’avrà ucciso in casa. Ma perché prendersi la briga di trascinarlo qui fuori?-
Chiede Ryan con gli occhi fissi sul cadavere.
-Per essere sicuro che avremmo trovato il suo capolavoro.-
Risponde Castle sollevando gli occhi verso i rami della quercia, mostrando a tutti il manoscritto che ciondola sulla sua testa.
Ha appena il tempo di allungare la mano per prendere il manoscritto, che il fragore dello scoppio e l’onda d’urto che ne segue li scaraventa a terra, senza che riescano a capire cosa li abbia travolti all’improvviso.
Scuotono la testa lentamente, mentre una nube nera e polverosa li avvolge, tanto che per un attimo non riescono nemmeno vedersi l’un l’altro.
-Castle… stai bene?-
Esposito si alza prontamente, aiutando l’amico a rimettersi in piedi, sospirando quando vede i colleghi fare altrettanto.
-Siete tutti interi?-
Chiede Ryan con gli occhi fissi su quello che resta della casa di Lester Downing. Restano accucciati su se stessi per qualche secondo, mentre ancora i resti dell’esplosione volano in aria e ricadono rovinosamente anche vicino a loro.
-E così ha cancellato ogni traccia possibile!-
Sussurra Beckett mentre tutti guardano nella stessa direzione e la nube di fumo, dall’odore acre e pungente, continua ad avvolgerli.
-Oltre ad uccidere noi!-
Esclama Ryan.
-Se Castle non avesse notato il cadavere…-
Lascia la frase in tronco e si volta a guardare l’amico, che deglutisce.
Attraverso la polvere densa e i detriti che continuano a cadere lenti verso il terreno, si intravedono fiamme sempre più alte provenire da sotto le macerie.
-Dobbiamo spegnere l’incendio, aiutatemi!-
Esclama Kate, avviandosi a passi svelti verso la casa.
-Beckett fermati!-
Le urla Esposito, mentre lei continua ad avanzare verso l’ammasso di rovine e fuoco.
-Dobbiamo spegnere l’incendio…-
Ripete, senza fermarsi. Prima che i colleghi possano raggiungerla, sparisce alla loro vista dentro la nuvola di fumo e polvere e a Castle si blocca il respiro. Cerca di correre anche lui verso il punto in cui l’ha persa di vista, ma non riesce a muoversi, perché i suoi piedi sono radicati al terreno come le radici della quercia a cui si sorregge. Mentre cerca di convincere il suo corpo a muoversi, si rende conto che i colleghi sono già su di lei. In mezzo al fumo riesce a vedere Esposito che la trattiene per le braccia.
Torna a respirare, continuando a sorreggersi alla grande quercia, quando sente la sua voce ordinare ad Esposito di lasciarla.
-Dobbiamo salvare il laboratorio, ci deve essere una traccia lì dentro…-
-Quale laboratorio Beckett? La casa è distrutta!-
Cerca di dirle Ryan, ma lei lo strattona, correndo ancora veloce verso le rovine ormai completamente avvolte dalle fiamme.
Castle sposta lo sguardo dal cumulo di macerie a lei. Spalanca gli occhi e cerca di chiamarla, ma non riesce a dare voce alla paura che lo attanaglia.
-Kate!-
Cerca di urlare, ma quello che sente è solo un sussurro. Spalanca gli occhi ancora più spaventato quando sente Esposito gridare a squarciagola come avrebbe voluto fare lui.
-Beckett!-
La guarda terrorizzato, senza riuscire a muoversi di un passo, mentre Kate è ormai ad un paio di metri dalle fiamme.
-Per l’amor del cielo Espo, fermatela!-
Riesce a urlare con la forza della disperazione.
Le sirene dei vigili del fuoco risuonano in lontananza, il fumo causato dall’esplosione si sta diradando, lasciando il posto solo alla polvere e ai detriti che, lenti, si depositano sulle loro teste e sul terreno.
Esposito riesce a raggiungerla, le attorciglia le braccia attorno al corpo e la solleva di peso, portandola lontano dal pericolo, mentre lei si dimena.
Le autopompe si fermano davanti a loro, i pompieri districano le pompe dell’acqua velocemente e si mettono a lavoro.
Quando Esposito la sente calmarsi tra le sue braccia, la mette a terra e restano a guardare la frenesia con cui i pompieri cercano di spegnere l’incendio.
-Era l’ultima traccia utile che avevamo!-
Sussurra lei con lo sguardo velato dalle lacrime che non è riuscita a trattenere, dal macello venutosi a creare davanti a loro.
-E’ la sua trama…-
Si girano di colpo, come risvegliati da un incubo, trovandosi Castle alle spalle.
-…è lui lo scrittore…-
Continua guardando i getti di acqua che piovono potenti sulle ceneri della sua speranza.
-…lui conosce già l’epilogo e scriverà tutto in modo di arrivarci. Lui sarà sempre un passo avanti a noi!-
Posa lo sguardo su Kate. Le passa la mano sul viso sporco di polvere e sospira.
-Non… mi sento bene!-
Sussurra, lasciandosi andare a terra, sconfitto dal dolore.
Ryan cerca di dargli aiuto. Kate gli solleva la testa sulle sue ginocchie, accarezzandogli il viso.
-Credo… credo sia ora… di andare in osp… ospedale…-
Ryan ed Esposito si guardano seri e Kate deglutisce, senza dire una parola. Aveva sperato di non arrivare a questo punto. Aveva sperato con tutta se stessa di poter trovare quel maledetto veleno prima di vederlo crollare, inerme e senza forze, ma non era stata capace di fare bene il suo lavoro. Dunn le era scappato, aveva cancellato testimoni e tracce e Rick ne stava pagando le conseguenze.
-Non… non… mi sento… per niente bene!-
Le dice tossendo e lei stringe le labbra.
-Espo, porta la macchina qui davanti… è meglio che guidi tu!-
Esclama, consapevole che le sue mani tremano troppo per poter guidare. Il collega annuisce e lei si rivolge a Ryan.
-Tu resta qui, occupati del cadavere.-
Prende il manoscritto tra le mani, guarda verso la casa distrutta e corruga la fronte.
-Il laboratorio era sicuramente interrato. Magari l’esplosione non l’ha distrutto del tutto. Quando i pompieri avranno finito, vedi se riuscite a trovare qualcosa.-
Ryan resta a guardare l’auto che si allontana, solleva gli occhi al cielo e, in mezzo alla polvere e al fumo che si dirada lentamente, vede combattere la prima luce del nuovo giorno con i nuvoloni carichi di pioggia che arrivano da nord.
Guarda ancora verso l’auto, ormai in fondo all’isolato.
Scott Dunn è come quelle nuvole che ricoprono la luce. Sta sconvolgendo tutta la loro vita, il loro quotidiano, le loro poche certezze. Li sta costringendo a vivere una notte senza fine.
 
 
Dopo che aveva praticamente cacciato Abraham da casa, il Professore era rimasto a fissare la grande quercia.
Cercava d’intravedere tra le ombre, quella oscura e malvagia che sarebbe venuta a portarselo via.
Dopo un tempo indefinito si rese conto di stare tremando, si voltò verso il camino e si accorse che le fiamme si erano affievolite.
Il tempo era trascorso veloce, ma lui non se n’era accorto.
Si avvicinò al camino, lo riempì di una buona quantità di legna e attizzò il fuoco.
In prigione succedeva tutto il contrario.
Il tempo non passava mai, giorno e notte erano uguali.
Sospiri, voci concitate, urla improvvise. Queste erano le sue notti e i suoi giorni dentro quelle quattro mura.
Adesso il tempo trascorreva in fretta, andava avanti senza che lui potesse rallentarlo.
Fissò lo sguardo sull’orologio a muro sopra il camino.
Non aveva mai fatto caso al tempo, non era importante per lui, non quando era da solo nel suo laboratorio e lavorava.
Invece quelle lancette, adesso erano come una calamita. Non riusciva a non guardarle.
La lancetta dei secondi sembrava correre e, ad ogni scatto di quella dei minuti, il suo cuore sobbalzava.
Guardava il passare del tempo con orrore.
Ogni movimento di quel meccanismo risuonava di morte.
Erano quasi le quattro del mattino, stava seduto davanti al camino, con le mani strette ai braccioli della poltrona e continuava a fissare l’orologio, sperando che Abraham non tornasse.
Il suo buon amico lo aveva supplicato, ma lui era stato codardo come al solito.
Doveva solo uscire, entrare in un distretto di polizia e consegnare quella formula.
Ma non ne aveva avuto il coraggio.
Continuava a ripetersi che voleva solo salvare la propria vita e quella di Abraham.
Continuava a ripetersi che, finchè avesse eseguito i suoi ordini, sarebbero stati al sicuro.
Continuava a ripeterselo anche adesso, seduto su quella poltrona, con gli occhi fissi sul tempo che non lo aveva mai preoccupato, sentendo però, all’interno della sua anima, che la realtà era ben diversa.
Quella sensazione l’aveva da tutto il giorno e per tutto il giorno aveva avuto la consapevolezza che sarebbe finita presto.
Per questo aveva trattato male Abraham.
Per questo lo aveva cacciato, insultandolo.
Era l’unico modo per farlo allontanare.
La lancetta dei minuti scattò per l’ennesima volta, il suo suono fu più sordo dei precedenti e balzò in piedi con il cuore in gola.
Distolse lo sguardo e si avvicinò alle fiamme del camino per cercare di scacciare il freddo gelido che sentiva sempre più forte nelle vene.
Ad un tratto sollevò la testa, posando lo sguardo sulla parete davanti a lui, si appoggiò alla mensola del camino e sospirò.
Sentì uno strano calore fino a dentro l’anima, come se la sua ossessione e la sua paura fossero sparite d’improvviso, lasciandogli una sola consapevolezza.
Fine.
-Ti stavo aspettando!-
Disse con voce ferma ed una calma che non gli erano familiari.
Il calore si sparse per tutto il corpo e si sentì bene, per la prima volta, dopo ore.
Una mano si posò sulla sua spalla, ma stavolta non sussultò, non tremò e nemmeno si mosse.
-Dov’è il tuo amico storpio?-
Si girò lentamente, guardandolo dritto negli occhi, quegli occhi che prima, camuffati, avevano il colore della pece, mentre adesso rilucevano come il ghiaccio. Non aveva più bisogno dei suoi travestimenti, era lì, davanti a lui con la sua vera faccia, con i suoi occhi freddi e senz’anima.
-Hai pronto un nuovo capitolo con me come protagonista?-
Gli chiese deviando il discorso su Abraham e Scott Dunn sorrise, allontanandosi per sedersi sulla poltrona.
-Non sembri sorpreso di vedermi!-
-E non sono nemmeno impaurito dal fatto che sei qui… non puoi più spaventarmi Scott!-
La sua risata echeggiò per tutta la casa. La stanza era illuminata soltanto dalle fiamme del camino che distorcevano ancora di più la sua espressione.
-Come si chiama questo? Coraggio? Lo hai trovato improvvisamente in cantina?-
Il Professore si avvicinò alla finestra dandogli le spalle.
-Credevo che mi avresti lasciato in pace, ma era solo una convinzione disperata. Sapevo benissimo che saresti tornato… sono pericoloso Scott, io conosco la formula e per quante volte possa distruggerla, niente la cancellerà dalla mia mente.-
Lui si alzò e gli andò vicino, era più alto di parecchi centimetri e la sua ombra lo coprì del tutto.
Il vento scuoteva con forza i rami della grande quercia, disegnando sui loro visi e all’interno della casa, strani giochi di ombre macabre.
-Ora che hai preso coraggio, vorresti cambiare il finale del mio libro?-
Il Professore sorrise amaramente, scuotendo la testa.
-Avrei dovuto farlo… ma come ben sai, sono un codardo… io non conosco il coraggio!-
Dunn si avvicinò al suo orecchio, il Professore sentì il suo fiato sul collo e chiuse gli occhi sospirando.
-Ho sempre pensato che la tua bontà fosse un punto debole. Un uomo che fa quello che hai fatto tu, che finisce in prigione per questo, non può avere un cuore… come te.-
Il Professore strinse i pugni.
-E’ vero, ho fatto cose di cui non vado fiero, ma non avrei mai fatto del male a nessuna di loro. Erano solo dei corpi splendidi, da venerare, adorare e ammirare. Mi piacevano e forse era sbagliato, ma non le avrei mai toccate, nemmeno per sfiorarle…-
Lui rise ancora una volta.
-Visto che ho ragione? Tu provavi delle sensazioni nel guardarle, ma avresti dovuto spingerti oltre per appagare tutto il tuo essere. Invece ti limitavi a guardare… come hai sempre fatto… hai sempre guardato le vite degli altri. Sei un uomo troppo debole Professore!-
-Io non sono un assassino!-
Lo disse con convinzione, consapevole di averlo aiutato e di non essere riuscito a contrastarlo, ma era pronto a pagare… da solo.
-Per questo dovevo tornare…-
Sussurrò lui e il Professore annuì.
-Te l’ho detto che ti stavo aspettando… e sono pronto!-
Sapeva che l’unico modo per pagare il suo debito era quello di chiudere il suo capitolo.
-Dov’è il tuo amico storpio?-
Chiese di nuovo Dunn e il Professore rispose senza esitazione.
-Sta dormendo in camera sua. Lui tienilo fuori. Non conosce la formula, non può cambiare la tua trama…-
Vide, attraverso il riflesso del vetro della finestra, la mano di Dunn alzarsi lentamente, qualcosa luccicò alla sua vista e lui chiuse gli occhi un momento, per riaprirli subito dopo.
Per una volta non sarebbe stato codardo.
Per una volta avrebbe affrontato tutto con la testa alta.
Per una volta avrebbe capito il significato della parola coraggio.
Si raddrizzò, puntando gli occhi sulla quercia.
Quelle grandi braccia che lo avevano protetto fino a quel momento, sembrarono rivolgersi verso di lui per poterlo aiutare ancora una volta.
Vide la lama attraverso il vetro, restò immobile, continuando ad ammirare il suo albero.
-Sarà un grande capitolo Lester…-
Sorrise dentro di sé, nessuno lo chiamava più con quel nome da tanto.
Sentì il freddo della lama poggiarsi sulla pelle.
Il braccio passargli intorno al collo.
La mano muoversi in orizzontale sulla gola.
Il calore del sangue colare sul petto.
Si accasciò a terra lentamente, con gli occhi rivolti al suo assassino.
Si portò per un attimo la mano alla gola.
-Esp… espiaz…-
La parola gli morì sulle labbra, sbarrò gli occhi. La mano, dalla gola ricadde pesante sul pavimento, lasciando un’impronta di sangue.
-Espiazione!-
Esclamò Dunn chinandosi su di lui, usando un lembo del suo camice bianco per pulire la lama del coltello, sporca di rosso.
-Proprio questo è il titolo: Espiazione.-
Si alzò, guardò fuori dalla finestra, scrutò al di là della grande quercia e i suoi occhi brillarono.
Prese le mani del Professore e trascinò il suo corpo inerme fino alla porta d’entrata.
Guardò la scia di sangue che aveva lasciato sul pavimento e gli occhi luccicarono ancora una volta.
I suoi primi omicidi erano così.
Pieni di sangue e di orrore.
Sentiva di essere tornato alle origini.
Aprì la porta, sollevò il corpo con forza, sempre trascinandolo per le mani e lo portò sotto la grande quercia.
Lui amava quell’albero. Lo aveva capito sin dalla prima volta che era stato lì.
Gli tolse gli occhiali e li pose dentro al taschino del suo camice, che di candido non aveva più nulla.
Guardò l’orologio e si avviò ancora verso la casa.
In assoluto silenzio salì le scale, aprì la porta della camera dell’omino storpio e ricurvo e lo vide dormire tranquillo, rannicchiato sotto le coperte come un bambino.
Sorrise e richiuse la porta.
Presto non sarebbe rimasto niente di loro… prese il suo zaino e, con molta calma, si diresse di nuovo nella sala per finire il suo capitolo.


Angolo di Rebecca:

Il Professore è morto. 
Rick è messo male.
Il laboratorio è distrutto.
Kate è più arrabbiata di prima.
LA QUERCIA è SALVAAAA!!! 

Batticuore per il finale di stagione!
Buona visione *-*


 

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Capitolo 33
*** Espiazione ***







Capitolo 33


Lascia la mano di Rick prima che la barella sparisca dietro la porta e quel distacco è un pugno allo stomaco che le impedisce di respirare.
Due mani possenti la prendono per le spalle, si volta ritrovandosi d’improvviso davanti allo sguardo preoccupato di suo padre.
-Come hai potuto non dirmelo Kate? Perché non mi hai avvertito di tutto questo? Perché ho dovuto saperlo da Martha?-
-Non ci ho pensato papà!-
Gli risponde come se la cosa non fosse importante e Jim cerca di trattenere la rabbia.
-Non ci hai pensato!? Martha era disperata, mi ha raccontato tutto singhiozzando, dopo che l’hai chiamata per dirle che Rick era peggiorato. Sarei potuto stare vicino a lei e ad Alexis mentre voi indagavate… ma tu… non ci hai pensato?-
Dice tra i denti cercando di non alzare la voce, sollevando le braccia stizzito e lasciandole andare subito dopo sui fianchi.
-No! Non ci ho pensato papà!-
Risponde lei alzando invece la voce senza rendersene conto.
-Non ci ho pensato perché è successo tutto in fretta, perché ho passato le ultime ore a correre e a cercare l’impossibile, perché Rick si sta spegnendo minuto dopo minuto ed io…-
Ferma il suo fiume di parole quando il padre la stringe di forza per le spalle, bloccandole il viso contro il suo petto.
-…e tu ti stai spegnendo con lui… calmati Katie!-
Le sussurra accarezzandole i capelli.
-Mi dispiace di averti aggredita, scusami. Lo so cosa state passando, ma quando ho sentito la voce disperata di Martha che credeva che io sapessi…-
Sospira, allontanandola da sé per guardarla negli occhi.
-Sono solo in pena! Quel pazzo vuole uccidervi… tutti e due!-
Le sorride dolcemente, come solo un padre può fare, controllando il telefono che ha preso a squillare.
-E’ Martha, ha detto che mi avrebbe avvertito quando sarebbero arrivate in prossimità dell’ospedale, sono scortate dai tuoi colleghi.-
Si allontana verso l’uscita. Kate lo segue con lo sguardo e stringe i pugni, lasciandosi andare su una delle sedie dell’anticamera di degenza. Appoggia la testa al muro dietro di lei e chiude gli occhi per un attimo.
Si porta le mani alle tempie, stringendo forte, come se questo gesto potesse fermare le pulsazioni dolorose che le invia il cervello.
Il corridoio è illuminato solo da qualche luce soffusa, tenuta accesa per la notte e il ticchettio leggero della pioggia sui vetri delle finestre, si unisce al brusio di un paio di infermiere che si preparano per il primo giro di controllo del nuovo giorno.
Esposito la raggiunge a passo svelto, le siede accanto senza guardarla e le mette in grembo il manoscritto che lei stessa ha lasciato sul sedile dell’auto.
-Ho avvertito il capitano che siamo in ospedale.-
Lei annuisce tenendo gli occhi fissi sulla copertina del nuovo capitolo.
-Del video che sappiamo?-
Chiede consapevole che, dopo la morte del Professore, potrebbe essere l’unico modo di individuare Dunn.
-Ancora niente.-
Risponde secco Esposito, mentre lei si decide a togliere il capitolo dal suo involucro di plastica trasparente.

Espiazione – Capitolo VIII

-Certo che ha una grande fantasia!-
Sussurra sfogliando la prima pagina per cominciare a leggere.

Stava per assaporare il dolore allo stato puro.
Stava per cadere ancora nel baratro senza speranza di risalita.
Stava per soccombere al buio senza speranza di ritrovare la luce.

-Comincia a ripetersi, mi pare che questa frase l’abbia già usata!-
Esclama Esposito con una punta d’ironia nella voce.
-Vuole solo ribadire il concetto…-
Risponde lei, spostando lo sguardo verso la porta chiusa che nasconde il corridoio di degenza.
-…e ci sta riuscendo alla grande.-
Sussurra tornando a leggere.


La morte del Professore era l’ennesimo respiro della vita dello scrittore che andava in fumo tra le ceneri di quella casa.
Ora dopo ora stava assaporando il dolore, la paura, la rabbia… cercando di capire come poter restare a galla e non affondare nel buio totale per l’eternità.

Chiude gli occhi sospirando ed Esposito digrigna la mascella, stringendo i pugni per la rabbia.
-Lo avessi davanti, avrebbe poco da gongolare!-
Lei continua la lettura, come se non lo avesse sentito.


L’affinità che c’era tra di loro era tangibile, o lei non lo avrebbe sentito vicino da quando era iniziato lo svolgimento della sua trama.
Anni prima, quando si era ritrovato a leggere di lei, della sua personalità, del dolore che l’aveva rafforzata rendendola speciale, aveva avuto la certezza che era quella giusta.
L’unica che avrebbe potuto lavorare in grande con lui...

Esposito si alza di scatto, muovendosi avanti e indietro come un animale in gabbia, facendole morire le parole in gola.
-Non so nemmeno perché lo stiamo leggendo. Ormai parla solo di se stesso e della fine che vuole dare alla storia. Castle ha ragione, è un megalomane e non ci darà nessun altro indizio. Tutti quelli che ha rivelato nei capitoli precedenti erano voluti.-
-Pura curiosità Esposito. Alla fine sono la sua musa. Sono curiosa!-
La risposta quasi meccanica di Beckett lo fa fermare. Si blocca davanti a lei, che non ha alzato lo sguardo. Il suo viso, come la voce che riprende subito la lettura, non mostra alcuna emozione.

Ma lei non aveva accettato i suoi regali.
Lei lo aveva preso in giro, lo aveva deriso… e adesso doveva espiare…


La sua voce continua ad essere atona, il suo sguardo assente. Esposito la fissa senza parlare, ha l’impressione di vederla sparire pian piano, ad ogni parola letta e quello che resta di lei non gli piace per niente.

La morte del Professore era un altro peso che si aggiungeva sulle sue spalle.
Lui e il suo amico storpio erano morti per redimere lei.
I tre angeli dagli occhi verdi erano stati immolati per redimere lei.
Lo scrittore avrebbe sofferto nel corpo e nell’anima per redimere lei.


Si ferma stringendo le labbra, guardando davanti a se.
-Lui e il suo amico storpio. Qui parla di Abraham Pratt! Dobbiamo assolutamente capire se viveva con Downing e se era in casa al momento dell’esplosione.-
Per un attimo Esposito ritrova in quell’espressione accigliata, lo sguardo duro e determinato della collega che gli sta accanto ogni giorno, ma è soltanto un attimo, fino a che non posa di nuovo gli occhi sulle parole da leggere.


Ognuno di loro doveva espiare le proprie colpe, macigni impossibili da sostenere, tanto da trovare pace solo nella morte.
Il sangue li avrebbe portati all’espiazione e l’espiazione li avrebbe condotti alla pace.
Nessuno di loro poteva esimersi, nessuno di loro poteva evitarlo.
Lo scrittore si stava spegnendo nel dolore e nel dolore lei avrebbe espiato la sua colpa, con la consapevolezza che lui…
Soltanto lui… le avrebbe portato la pace.
Lui era la sua punizione!
Lui era la sua espiazione…

Chiude la copertina e ci passa sopra le dita, segue con il polpastrello ogni lettera che compone il titolo e si volta di scatto sentendo la voce del dottor Travis che la chiama.
-Come sta?-
Gli chiede, alzandosi in piedi e lui scuote la testa.
-Lo abbiamo stabilizzato, la flebo terrà a bada il dolore ancora per un po’, i polmoni mi preoccupano, non va affatto bene. Adesso si è appisolato, ma ha chiesto di poterle parlare prima che vada via.-
Kate consegna il manoscritto ad Esposito.
-Puoi chiedere a Ryan se ci sono novità dai vigili del fuoco?-
Il collega annuisce a quello sguardo stanco ed inespressivo, che è tornato prepotente ad essere parte di lei e la segue fino a che sparisce nella stanza di Castle.


Aveva trascinato il Professore fuori dalla casa, prima di posizionare il plastico che avrebbe eliminato ogni possibile traccia della sua pozione di morte.
Non poteva permettersi che una quisquiglia qualsiasi potesse condurli ad un antidoto.
La sua trama esigeva altro.
La grande quercia osservava il cadavere dall’alto.
Gli aveva lasciato gli occhi aperti, per permettergli di guardare i rami che propendevano verso di lui, come a volerlo accompagnare nel suo ultimo viaggio.
Quell’albero era stato come linfa vitale per il suo amico Professore, lo aveva capito dalla prima volta che era stato dentro quella casa.
Grande. Forte. Incrinato dal tempo, ma mai abbattuto dalle intemperie.
Tutto quello che avrebbe voluto essere lui… ma il Professore non aveva mai avuto tali pregi.
Non era mai stato capace di accettare la sua natura, il suo modo di essere, i suoi impulsi… li aveva sempre nascosti, non aveva mai vissuto veramente e questa era stata la sua colpa più grande, quella che aveva segnato il suo destino fin dall’inizio dell’intreccio della sua trama.
Era rimasto un po’ stupito dal suo comportamento, non immaginava che sarebbe rimasto ad aspettarlo senza paura.
Quando la lama gli aveva accarezzato la carotide e il sangue caldo era gocciolato sul camice candido, aveva provato un moto di tristezza.
Se solo quell’uomo avesse preso coraggio prima, se solo fosse stato pronto a tutto pur di vivere i suoi istinti, sarebbe stato un buon compagno di giochi e non avrebbe dovuto eliminarlo.
Si era portato la mano alla gola e guardandolo, aveva cercato di sussurrare la parola che racchiudeva il significato del suo sacrificio.
Espiazione…
Il vocabolario spiega questo termine come la liberazione dalla colpa, attraverso l'accettazione di una punizione.
Un passaggio dovuto per liberarsi dei propri peccati.
Regole, leggi, priorità, eccezioni…
Non accettare tutto questo diventa una colpa agli occhi del mondo.
Falso!
Niente di più falso ed ipocrita, visto che le regole sono dettate da uomini colpevoli e non da esseri perfetti.
La colpa più grande per un individuo su questa terra, è credere di vivere solo perché respira!
Seguire le regole, osservare le leggi, porta ad un lento deterioramento del corpo e dell’anima, perché l’unica cosa che rende vivi, l’unica regola da seguire per vivere, è dare voce alla propria natura…
Il Professore era colpevole contro se stesso, perché invece di vivere secondo la sua natura, si limitava a vegetare, alla ricerca di una coscienza perduta, attraverso la voce del suo amico storpio.
Lui aveva cercato di redimerlo dedicandogli un grande capitolo.
Lo aveva reso protagonista, facendolo diventare l’anello indispensabile della sua catena di vendetta, ma sapeva fin dall’inizio che l’anello più importante era anche quello più debole e che, prima o poi, avrebbe finito per spezzare la catena.
Lo avrebbe tradito anche lui, se non vi avesse posto rimedio.
Lo avrebbe tradito se avesse continuato a dare retta alla voce da grillo parlante dell’omino piccolo e storpio.
Aveva scritto un capitolo di riserva, sperando quasi, in fondo alla sua anima nera, di non doverlo usare, ma gli eventi parlavano diversamente.
Quando gli aveva portato il resto del compenso, il Professore non aveva detto una sola parola, non lo aveva guardato, non aveva nemmeno preso i soldi.
Era rimasto immobile a guardare fuori dalla finestra, cercando forse una risposta tra i rami del suo albero, stritolandosi le mani.
La coscienza gli rimordeva.
E chi vive secondo natura, non può avere una coscienza.
Era uscito senza salutarlo, si era incamminato per la sua strada e una volta giunto a ridosso della quercia, aveva alzato gli occhi e guardato il cielo attraverso i rami… e aveva capito… aveva capito che doveva usare quel capitolo.
La trama doveva continuare.
Il libro doveva giungere al suo epilogo... il veleno doveva uccidere…


Le nuvole hanno momentaneamente vinto sul primo bagliore dell’alba e la pioggerellina simile a neve sciolta che li ha accompagnati nel tragitto verso l’ospedale, si è trasformata in scrosci pesanti, che cadono trasversali a terra.
Esce a passo svelto dall’ospedale.
Incurante di bagnarsi fin dentro le ossa, chiude gli occhi e alza il viso verso il cielo, che fa fatica ad aprirsi e colorarsi di azzurro.
Esce quasi di corsa convinta di stare per piangere. Invece, mentre la pioggia la colpisce con forza e porta via la fuliggine che l’ha ricoperta durante l’esplosione, non riesce a versare nemmeno una lacrima.
Il freddo e l’acqua addosso le hanno congelato anche il dolore, lasciandola inerme davanti al susseguirsi degli eventi e con un bisogno assoluto di gridare in silenzio la sua pena almeno al cielo.

In auto Rick si era lasciato andare tra le sue braccia, senza forze e senza riserve, guardando le immagini della città che passavano veloci attraverso il finestrino.
In lontananza riusciva a vedere la montagna che, da un punto ben preciso lassù, disegnava il suo cuore nel cielo.
-Chissà se si riesce a vedere anche con la pioggia?-
Aveva sussurrato, senza che lei riuscisse a capire. Aveva guardato nella sua stessa direzione e lui aveva preso ancora respiro per riuscire a parlare.
-Non… sono mai stato lassù… in una giornata di pioggia, chissà… se si nasconde dietro le nuvole?!-
Aveva sollevato lo sguardo su di lei.
-Devi portarmi lassù a cercare il cuore anche in mezzo alla pioggia!-
Lei aveva guardato ancora verso la montagna e, stupidamente, senza dare molta importanza alle sue parole, aveva annuito.
-Appena tutto sarà finito, ci andremo.-
Aveva risposto meccanicamente, con la voce atona, come se stesse rassicurando un bambino a letto con l’influenza, ma lui aveva scosso la testa attirando la sua attenzione.
-No Kate… dovrai portarmi lassù… comunque vadano le cose!-
L’aveva guardata ancora e lei aveva corrucciato la fronte, non riuscendo a seguire il suo discorso.
-Dovrai andarci anche senza di me… dovrai sorridere per farmi sorridere… dovrai guardare il mondo per farlo vedere a me…-
Aveva riportato lo sguardo verso l’orizzonte.
-…dovrai cercare sempre la magia per farla vivere anche a me!-
Kate aveva sentito un moto di rabbia salirle dalle viscere.
Una rabbia che ora stava raccontando a quello stesso cielo che era riuscita a toccare con la mano e che si allontanava sempre di più.
Ma che cosa le stava dicendo? Aveva almeno la più pallida idea di quello che le stava chiedendo?
Aveva distolto lo sguardo, ritrovandosi a guardare nello specchietto retrovisore, in cui aveva incrociato gli occhi di Esposito e, con la stessa voce atona di pochi secondi prima, aveva risposto in maniera quasi tagliente.
-Non riesci nemmeno a capire quanto sia stupido quello che hai detto!-
Lui aveva provato a stringerle la mano, ma era riuscito solo ad aumentare la stretta in maniera leggera.
-Non tornare indietro Kate, promettimelo… me lo devi!-
Lo aveva detto con tono tagliente anche lui. Me lo devi… che voleva dire?
Lei aveva continuato a non guardarlo, perché dentro il suo cuore, sapeva benissimo cosa voleva dire, ma non sarebbe mai riuscita ad ammetterlo e nemmeno a dargli ragione.
Non poteva chiederle di continuare a vivere senza di lui… come avrebbe potuto vivere senza un cuore che batte?
-Non si può promettere qualcosa che non ha senso.-
Lo aveva guardato dritto negli occhi mentre gli dava la sua risposta. Rick aveva spostato lo sguardo ancora fuori dal finestrino, l’isola spariva man mano che l’auto procedeva veloce.
-Allora ha già vinto lui!-
Nel suo cuore si era formata un’altra fenditura, che era andata ad unirsi a tutte quelle che lo stavano rompendo, ora dopo ora, da quasi due giorni. Lo aveva sentito sospirare e lo aveva guardato mentre chiudeva gli occhi.
-Sono stanco…-
Aveva sussurrato, allentando la stretta alla sua mano.
Lei aveva incrociato di nuovo lo sguardo di Esposito, che dopo averla guardata un paio di secondi, aveva riportato gli occhi sulla strada, serrando la mascella.
Qualche minuto dopo si era ritrovata davanti a quella porta odiosa, con le ante che si muovono insieme e in senso contrario, che sembrano sfiorarsi leggermente, ma non si toccano mai. Anche da ferme restano separate al centro da una sottile fessura.

Incrocia le braccia, stringendosi nelle spalle come a volersi proteggere dalla pioggia e si ritrova a sorridere amaramente, pensando che lei e Rick sono stati per tanto tempo come le due metà di quella porta: per anni si sono sfiorati andando in direzioni diverse e, adesso che si sono finalmente incontrati, Scott Dunn si è messo tra di loro come quella sottile fessura, per tenerli divisi per sempre.
La pioggia continua a colpirla con la sua violenza, vuole punirla anch’essa come Dunn e lei non accenna a muoversi, perché merita quella punizione. Deve espiare come vuole la trama, merita di essere punita per non essere riuscita ad abbattere le barriere con Rick, sentendo il dolore egoisticamente solo suo, per non essere riuscita a promettergli che lo avrebbe portato comunque a cercare il suo cuore magico.
Guarda ancora il cielo, sospirando, cercando di mettere in ordine i suoi silenzi per poterglieli confidare, perché l’unico che può capirla al momento, è proprio quel cielo grigio che piange a dirotto come la sua anima.

Era entrata in silenzio, guardandosi intorno dentro quella stanza avvolta dalla penombra. Il cielo era ancora buio e sentiva la pioggia battere più forte sui vetri della finestra alla sua destra. Era rimasta con le spalle attaccate alla porta e lo sguardo fisso sul suo viso.
Allora lui ha già vinto…
Aveva ragione. Scott Dunn aveva già vinto, perché il suo cuore stava di nuovo lavorando freneticamente per impalare i primi mattoni che lo avrebbero trincerato per le prossime ore, per darle la possibilità di continuare a combattere per lui e, se davvero fosse successo l’inevitabile, nessun muro l’avrebbe salvata dal baratro, proprio come aveva detto Dunn nella sua telefonata ad effetto.
Aveva chiuso gli occhi e appoggiato la testa alla porta. Si era materializzata nella sua mente quella piccola ampollina tra le dita di Dunn e aveva scosso la testa, cercando di dimenticare la sua risata di soddisfazione.
Si sentiva in colpa. Il peso la stava schiacciando e il vuoto che aveva sentito in auto, a quella richiesta definita da lei senza senso, l’aveva portata ad arrabbiarsi per quello che lui pretendeva.
-Ehi…-
Il sussurro le era arrivato alle orecchie come un alito di vento, aveva riaperto gli occhi sollevando la testa e aveva incontrato il suo sorriso.
Continuava a sorriderle, continuava a volerla vicino, continuava a credere in lei.
Si era seduta sul letto e gli aveva preso la mano, ricambiando il sorriso.
-Avevo paura che andassi via, prima di poter fare pace.-
-Fare pace?-
Aveva chiesto lei, corrucciando la fronte.
-Ma non abbiamo litigato!-
-Si invece. In macchina, quando ti ho chiesto… quella cosa tanto stupida!-
Si ritrovò lo stomaco attorcigliato in una morsa, sentendo ancora quel senso di colpa per non essere riuscita a tranquillizzarlo su quello che poteva essere il suo futuro senza di lui. Gli aveva messo una mano sul viso e lui aveva sospirato chiudendo gli occhi per un attimo.
-Ma quella era solo una divergenza di opinioni, non una lite…-
Rick aveva riaperto gli occhi e lei gli aveva sorriso ancora.
-Noi due abbiamo opinioni divergenti almeno una decina di volte al giorno, no?!-
-Allora ne avremo un’altra proprio adesso.-
Aveva detto piano, attirandola su di sé, ritrovandosi occhi negli occhi.
-Kate, la realtà è che ogni ora che passa mi avvicina a…-
Aveva sospirato, chiudendo gli occhi, mentre lei non aveva mosso un muscolo, né articolato parola.
-Se succedesse davvero Kate, se arrivasse davvero quel momento, vorrei… vorrei…-
Aveva sbuffato, non riuscendo a mettere insieme due parole di senso compiuto e lei gli aveva messo un dito sulle labbra, appoggiando una guancia sulla sua.
-Sarò qui con te Rick, con o senza il veleno, io sarò qui con te.-
Glielo aveva sussurrato all’orecchio, incredula di esserci riuscita, con la voce ferma e il cuore in tumulto. Lui aveva sospirato di nuovo, ma stavolta era un sospiro di sollievo, come se sapere che lei gli avrebbe tenuto la mano, mentre il veleno se lo portava via, avrebbe reso la cosa più facile.
-Profumi di ciliegie alla brace!-
Le aveva detto d’improvviso e lei si era sollevata di poco per guardarlo negli occhi e non aveva potuto fare a meno di ridere.
-Io direi che puzzo di ciliegie marce!-
-Katherine Beckett, sei l’antagonista del romanticismo!-
Le aveva risposto sbuffando ancora e lei aveva riso di nuovo, fino a che il silenzio li aveva sorpresi lasciando la parola solo ai loro occhi. Quegli occhi lucidi che dicevano tutto e niente, che esprimevano paura e dolcezza, che volevano fondersi insieme per continuare sopravvivere alle prossime ore.
-Devi andartene adesso, non è vero?-
Le aveva sussurrato Rick dopo qualche secondo e lei aveva annuito, accarezzandogli ancora il viso.
-Ho un assassino da prendere, ricordi?!-
Lui aveva annuito e lei lo aveva baciato, scambiando ancora una volta quell’ossigeno che era la vita per entrambi.

Si passa la lingua sulle labbra per sentire il sapore di quel bacio, ma l’unica cosa che sente è il freddo della pioggia che scorre sulla sua testa, tracciando una miriade di sottili striature che vanno dal viso alle labbra al collo.
La pioggia continua a bagnarla e si guarda le mani.
Tremano gelide, non le sente più. Se le mette sul viso come a volersi scaldare e ripensa al suo sorriso.
Non tornare indietro Kate…
Lui la conosce bene. Conosce bene la Beckett del passato e ama la Kate che lui stesso ha plasmato negli ultimi anni, perché, per quanto abbia cercato di combatterlo, lui l’ha plasmata di nuovo, facendola tornare alla luce come un reperto archeologico prezioso che si era perso nel tempo.
Stringe i pugni sul suo viso e scuote la testa. Non è stata capace di rassicurarlo, di promettergli che lei non si sarebbe persa di nuovo nel tempo e lui le aveva comunque sorriso ed era riuscito ancora una volta a farla ridere.
Lo amo… Dio se lo amo… come posso continuare a ridere senza di lui!
Vorrebbe urlare a squarciagola, vorrebbe che quel cielo che aveva ascoltato i suoi silenzi anni prima, liberandola del passato, potesse ascoltarla anche adesso, ma ha la sensazione che il rumore della pioggia sia troppo forte e il cielo improvvisamente sordo.
La pioggia non accenna a diminuire, il cielo è sempre coperto di nuvoloni e lei non riesce a vedere uno spiraglio di luce, come se anche lui si prendesse gioco del suo dolore, ricordandole che da ora in avanti avrebbe visto solo il buio davanti a sé, dando ragione alla follia di Scott Dunn.

Era rimasta con lui, stringendogli la mano, con il viso attaccato al suo fino a quando, preso dalla stanchezza si era asspopito. Lo aveva guardato a lungo, aveva tracciato, sfiorandolo con le dita, il profilo del viso, lasciandosi solleticare dalla barba che incominciava ad incorniciare le guance ed il mento e in quel preciso istante aveva realizzato che avrebbe potuto perderlo davvero.
Era uscita in punta di piedi in compagnia del vuoto che l’aveva colta in quel momento. Aveva chiuso la porta accompagnando la maniglia, ruotandola silenziosamente. Guardando verso l’entrata, aveva notato suo padre in fondo al corridoio, che stringeva Martha in un dolce e caloroso abbraccio.
Alexis invece le era corsa incontro, le aveva preso le mani e, senza dire una parola, si erano fissate per un paio di secondi. Aveva sciolto la stretta per entrare nella stanza di suo padre e la mancanza di quelle mani fredde l’aveva fatta sentire ancora più sola.
Martha le aveva sorriso e le aveva messo la mano sulla guancia.
-Cerca di stare attenta Katherine!-
Aveva guardato Jim per un attimo ed in silenzio aveva seguito sua nipote.
In quel momento, senza dire una sola parola al padre, si era diretta a passo svelto verso l’uscita. Aveva percorso il corridoio pensando alle mani di Alexis strette alle sue, ai suoi occhi imploranti per una speranza, alla carezza di una madre con il cuore spezzato e aveva cominciato a correre, ritrovandosi fuori sotto la pioggia scrosciante.

Sfiora il punto sulla sua guancia in cui Martha le ha lasciato la carezza e alza di nuovo gli occhi al cielo.
Come può preoccuparsi per lei? Come può accarezzarla e guardarla con affetto? Come può amarla, sapendo che suo figlio rischia di morire a causa sua?
Prova un moto di dolcezza, pensando ad una madre attanagliata dalla paura, che ha trovato come unica soluzione quella di chiamare Jim Beckett. Era praticamente uno sconosciuto, ma l’unico in quel momento che avrebbe potuto capire la disperazione di un genitore che rischia di perdere il figlio.
Esposito è costretto a scuoterla per la spalla un paio di volte, prima che lei si accorga della sua presenza. Non si rende conto di quanto tempo sia rimasta sotto la pioggia. Il suo sguardo è vuoto, completamente bagnata e le labbra viola, tremano violentemente.
-Vuoi morire congelata, togliendo a Dunn la soddisfazione di ucciderti? Perché questa sarebbe una grande idea, anche se probabilmente lo spiazzerebbe!-
Non c’è nessun tono ironico nella sua voce, anzi, sembra arrabbiato, ma quando lei resta a guardarlo imbambolata, senza ribattere, come se non lo conoscesse, le mette il braccio attorno alle spalle e, riparandola con un ombrello, la spinge verso il parcheggio.
-La prima cosa da fare adesso è andare a casa. Devi cambiarti. Poi pensiamo a Dunn!-


La pioggia la bagnava da qualche minuto.
Tremava e guardava il cielo.
Lui sapeva che urlava il suo dolore, ma più ancora urlava la sua rabbia.
Era arrabbiata… non con lui.
Era arrabbiata con se stessa perché, nonostante razionalmente sapesse che non dipendeva da lei, la colpa la stava divorando.
Ed avrebbe continuato a divorarla…
Dopo che la casa del Professore era esplosa, lui era tornato indietro.
Si era nascosto tra la vegetazione, il caos dell’esplosione, il fumo e le macerie, l’avevano aiutato a mimetizzarsi.
Aveva assistito alla caduta dell’eroe…
Lo scrittore si era accasciato a terra lentamente e lui non era riuscito a distogliere lo sguardo da lei, dalla sua fronte corrugata, dalla sua ruga marcata, dalle sue labbra strette e dai suoi occhi lucidi.
Erano andati via di fretta verso l’ospedale e lui li aveva seguiti.
Si era nascosto su una delle ambulanze in attesa, parcheggiate davanti al pronto soccorso.
Riusciva a vederla perfettamente, anche se era lontana.
Guardava il cielo, ed era certo che la pioggia che le sferzava il viso, lavava via lacrime amare che non riusciva a vedere.
Sospirò sentendo l’animo leggero…
Il suo dolore gli dava forza.
La sua paura gli dava coraggio.
La sua rabbia gli infondeva calma.
La sua colpa lo rendeva felice.
Le sue spalle erano forti, ma la colpa era troppo pesante. Presto sarebbe caduta in ginocchio, ad aspettare l’epilogo.
Anche lo scrittore era un sacrificio a lei. Era colpevole quanto e più di lei… si era permesso di fermarlo e prendersi Nikki…
La sua morte li avrebbe liberati entrambi.
Sorrise…
Si appoggiò al sedile e posò gli occhi ancora su di lei.
Tremava!
Tremava per il freddo, sotto quella pioggia gelida che sembrava consumarla lentamente.
Tremava!
Tremava perché il vuoto che si era impadronito del suo cuore, la rendeva fragile.
Tremava!
Tremava perché la colpa la stava distruggendo… e questo l’avrebbe portata da lui!


Angolo di Rebecca:

Chiunque pensasse che Kate si fosse ripresa, si sbagliava di grosso, il suo crollo psicologico è appena iniziato e il fatto che Riccardone continui a preoccuparsi per lei e a sorriderle, la fa sentire peggio.
Comincio ad avere problemi a scrivere qualcosa di sensato in questo angolino...

Che finale di stagione, come si aspetta settembre???


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Capitolo 34
*** Le Ragioni del Cuore ***






 

Capitolo 34
 
 
Il calorifero acceso dentro l’auto, avrebbe dovuto portarle un po’ di tepore, ma il suo corpo era scosso da tremiti continui che le facevano tintinnare anche i denti. Nemmeno la coperta che Esposito le aveva messo sulle spalle serviva a proteggerla dal freddo, che si era ormai impadronito di ogni parte del suo corpo. Aveva chiuso le mani sui lembi della coperta, stringendosela addosso, ma era troppo fradicia, avvolta in quel batuffolo di lana, che invece di espandere calore a lei, assorbiva il gelo rilasciato dai suoi abiti bagnati.
Non si erano detti una parola. Kate era salita in macchina e aveva appoggiato la testa al vetro del finestrino, chiusa dentro i suoi pensieri. Sarebbe stata immobile come una statua, se i brividi non avessero continuato a scuoterla. Guardava fuori senza muovere le pupille, senza vedere la città che le passava davanti e che, poco a poco, riprendeva vita. I suoi occhi non vedevano il diradarsi delle nuvole, che permettevano alla luce di fare finalmente capolino su un nuovo giorno che voleva portarle via la felicità.
Esposito la controllava di soppiatto. Ad ogni cambio di marcia, spostava gli occhi su di lei e digrignava la mascella.
L’aveva cercata ovunque in ospedale, ma sembrava sparita nel nulla dopo essere stata nella stanza di Castle, finchè l’aveva vista dal fondo del corridoio, fuori, sotto la pioggia battente. Di spalle, in lontananza, sotto l’acqua interminabile, immersa nel grigio scuro della luce naturale che ancora non accennava a colorarsi delle diverse sfumature del primo mattino, sembrava di guardare la protagonista di un quadro, la cui cornice era il rettangolo della porta a vetri che ne lasciava vedere la figura immobile.
L’aveva chiamata un paio di volte, ma lei era rimasta ferma, tremante, con la testa rivolta al cielo e persa in quel buio di cui Scott Dunn parlava nel suo racconto. Quando le aveva messo la mano sulla spalla e lei si era voltata a guardarlo, aveva sentito un tuffo al cuore. Un peso che non era dovuto alla vista del suo viso quasi cereo e delle labbra violacee, ma provocato dal colore dei suoi occhi, diventati improvvisamente scuri ed inespressivi come quel cielo sopra di lei che continuava a piangere singhiozzando.
L’aveva stretta per le spalle, sentendola rigida come un pezzo di ghiaccio sotto il suo tocco, le aveva messo una coperta addosso e, una volta saliti in macchina, aveva acceso il calorifero per cercare di scaldarla, ma il suo non era un freddo dovuto alla pioggia. Niente l’avrebbe scaldata in quel momento, il vuoto che vedeva davanti a sé, le avrebbe gelato il sangue anche in piena estate.
Giunti al suo appartamento aveva spento il motore, ed era rimasto a guardarla un paio di secondi. Non si era resa conto di nulla, non aveva sentito l’auto fermarsi, né scandito il tempo che era passato in quei venti minuti di strada.
Era sceso dall’auto sbattendo lo sportello, solo allora lei si era riscossa, sentendo il tonfo che aveva fatto dondolare leggermente l’abitacolo.
Non gli aveva dato il tempo di fare il giro dell’auto che era già scesa, dirigendosi a passo svelto verso il portone.
Senza una parola, aveva evitato l’ascensore prendendo le scale, come se le servisse tempo per riuscire ad aprire la porta di quell’appartamento, che improvvisamente sentiva stretto. Aveva buttato le chiavi sul tavolino accanto al divano, lasciando cadere la coperta, ormai zuppa, guardandosi intorno, come se fosse entrata in una casa sconosciuta.
Esposito aveva chiuso la porta e si era chinato a prendere la coperta.
-Preparo un po’ di caffè, tu vedi di fare una doccia calda e cambiarti in fretta.-
Le aveva sussurrato, ad un paio di passi da lei. 
Kate si era girata a guardarlo con la stessa espressione di poco prima, aveva annuito e si era chiusa in camera nel più assoluto silenzio.
Javier aveva stretto la coperta nelle mani così forte da farla gocciolare e, dopo aver digrignato la mandibola ancora una volta, aveva sollevato il braccio e l’aveva scaraventata con forza sul pavimento. Se solo fosse servito a risolvere quella situazione assurda, avrebbe distrutto ogni cosa.
Si era avvicinato ai pensili della cucina, aperto gli sportelli uno dopo l’altro alla ricerca del caffè, riempito il filtro della caffettiera mettendola poi sul fuoco.
Era rimasto a guardare il bricco, cercando di calmare la rabbia che sentiva salirgli dalle viscere. Ad un tratto si era ritrovato a guardare verso la porta chiusa della camera di Beckett e la rabbia era tornata prepotente. Aveva sbattuto la mano sul piano della cucina, restandovi appoggiato con le braccia tese. Aveva scosso la testa, stringendo gli occhi. Per la prima volta, da quando Castle era stato avvelenato, aveva la consapevolezza che potevano fallire. Stava metabolizzando il fatto che la sua famiglia andava in pezzi, senza che lui potesse far nulla. La rabbia contro Dunn continuava a ribollire nelle sue vene, ma la cosa che lo mandava veramente in bestia era lo stato catatonico in cui sembrava essere caduta Beckett da qualche ora.
Il bricco del caffè aveva cominciato a borbottare e il profumo gli penetrò nelle narici, forte ed intenso. Aveva spento il fuoco e preso due tazze…

Entrata in camera, si dirige direttamente in bagno, ruota il rubinetto della doccia e tende la mano per sentire l’acqua scaldarsi. Si toglie i vestiti lasciandoli sul pavimento e si guarda allo specchio. Spalanca leggermente gli occhi alla vista del suo spettro. Il viso bianco, le labbra viola, i capelli bagnati e appiccicaticci di quella fuliggine nera che la pioggia non è riuscita a ripulire del tutto.
Il viso di Rick appare dietro di lei, sente le sue labbra sul collo, così calde e così vere, tanto da farle inclinare la testa, come per sentire meglio il suo tocco. Guarda il suo riflesso allo specchio e si rende conto che solo il pensiero che lui la tocchi le fa scaldare le guance e colorare le labbra. Si passa le mani sul viso e sospira, entrando nella doccia. Per un attimo il getto caldo dell’acqua la fa rabbrividire, provocandole uno strano tremore interno, che passa dopo pochi secondi, appena il corpo si abitua alla nuova temperatura.
Profumi di ciliegie alla brace…
Sospira alla dolcezza di quelle parole, prendendo il doccia schiuma alle ciliegie e passandoselo velocemente su tutto il corpo, sente il bisogno di quel profumo che la inebria da sempre, ma che è diventato un suo marchio per Rick.
Si sciacqua in fretta, consapevole che il tempo scorre, anche se quei minuti da sola nel bagno, insieme ai suoi pensieri, la stanno quasi rigenerando.
Esce dalla doccia, si mette l’accappatoio e torna in camera da letto, senza preoccuparsi di raccogliere la roba bagnata dal pavimento.
I suoi movimenti sono lenti e meccanici, mentre prende gli abiti per cambiarsi, li poggia sul letto e solo in quel momento nota i vestiti smessi di Castle.
Corruccia la fronte e si siede sul letto, prendendo la camicia tra le mani.
E’ entrata così di fretta e senza guardarsi intorno che non li ha notati. Si rende conto solo in quel momento che Rick aveva degli abiti puliti, quando era andata a prenderlo in ospedale qualche ora prima.
Si era cambiato a casa sua. Era stato in quella stanza, magari seduto nello stesso punto in cui è lei adesso, con pensieri terribili nella mente e la paura della morte accanto a lui. Posa la camicia sul letto e si alza per prendere della biancheria pulita dal comò.
Solo due giorni prima la luce del sole inondava quella stanza e il profumo di caffè le dava la sensazione di essere al sicuro, come l’abbraccio caldo e morbido del suo scrittore, adesso l’aroma che arriva dalla cucina le provoca la nausea, che la costringe a chiudere gli occhi e ad appoggiarsi alla cassettiera.
Fa un respiro profondo e riapre gli occhi, posandoli sul quel cassetto tanto amato e tenuto in disordine, solo per il piacere di vantarne la proprietà.
E cerca di tenerlo in ordine o me lo riprendo
Ci passa sopra la mano e corruccia la fronte.
Erano usciti ridendo di quel cassetto in disordine, lasciato semi aperto, con i pantaloni del pigiama ciondolanti all’esterno.
Allontana la mano dal mobile, rendendosi conto che adesso è ben chiuso e senza roba che ciondola fuori.
Lo apre istintivamente, guardando il pantalone ben ripiegato e gli occhi le si riempiono di lacrime.
Lo accarezza leggermente, come farebbe con la pelle calda di Rick e non può fare a meno di prenderlo e stringerselo addosso. Mentre lo tiene stretto lasciandosi accarezzare il viso, sente un rumore sordo sul pavimento.
Guarda la piccola chiave dorata ai suoi piedi, mentre un foglio di carta, ripiegato in quattro, svolazza leggermente davanti a lei, posandosi proprio sull’oggetto, nascondendolo.
Si inginocchia, lasciando il pantalone a terra e prendendo tra le mani il foglio e la chiave. Guarda quest’ultima rigirandosela tra le dita, passando poi lo sguardo sul rettangolo di carta bianca.
I battiti accelerano senza motivo, il cuore galoppa e si porta al petto la mano, stretta attorno a quella piccola chiave sconosciuta. Lo conosce bene, sa cos’ha provato in queste ore. Sa perfettamente che la cosa che lo spaventa di più, è la sofferenza delle persone che lo amano, il dolore che tutto questo sta portando alla sua famiglia e a lei. Ha il terrore di leggere quello che nasconde quel foglio e non riesce a calmarsi, stringe forte la chiave per farsi coraggio, ritrovandosi davanti alla calligrafia inconfondibile di Rick.
Chiude gli occhi e deglutisce. Si siede a terra e appoggia la testa ai cassetti del mobile alle sue spalle. Ripiega il foglio lasciando andare il braccio di peso verso il pavimento. Il dorso della mano tocca il legno freddo del parquet.
Il suo primo impulso è di strapparlo. Non vuole sapere cosa c’è scritto. Qualunque cosa sia non vuole saperla, non adesso…
Sospira, riapre gli occhi e li posa sul letto davanti a lei. Rivede Rick con i capelli spettinati e quel sorriso malizioso che riesce a fare anche nei momenti meno opportuni e i battiti del cuore si calmano all’improvviso.
Guarda il foglio nella sua mano e lo riapre, passa le dita sulle parole scritte a penna e prima di cominciare a leggere, prende un respiro profondo.



Ho così tante cose da dirti!
Avrei… tante cose da dirti, ma all’improvviso il tempo mi sfugge di mano e tutto succede troppo in fretta.
Ho preso carta e penna e non so nemmeno da dove iniziare.
Cosa posso dire in poche righe? Come posso farti capire?
Ricordi la prima volta che ho fissato il mio sguardo su di te?
Volevo essere sfacciato per fare colpo e la tua espressione scocciata era una grande sfida.
Mi sono bastate solo un paio d’ore però, per capire che non eri come tutte le altre, che non ti saresti fatta abbindolare da un paio di moine e qualche sorriso strafottente.
Mi è bastato guardarti davvero in quegli occhi meravigliosamente tristi, per capire che dentro di te c’era un fuoco che ti divorava lentamente, giorno dopo giorno, impedendoti di vivere realmente.
Vivevi solo per le tue vittime, per dare loro giustizia e pace, quella pace che tu non riuscivi a trovare.
Non era difficile capire che avevi una storia pesante alle spalle. Ho fatto di tutto per scoprirla e, stupidamente, ho pensato che avrei potuto cogliere l’essenza di Kate Beckett e racchiuderla nella donna che eri, ma che non avresti mai mostrato.
Così nacque Nikki Heat, forte e coraggiosa fuori, ma con una fragilità che la distruggeva dentro lentamente.
Non avrei mai immaginato a cosa ci avrebbe portato tutto questo.
Non avrei mai immaginato che qualcuno potesse entrare così tanto dentro le pagine scritte, da farle diventare vere nella sua fantasia, per fare Nikki e di conseguenza te, completamente sua.
La cosa che mi sconvolge è l’impressione che io possa essere come lui. Pensando a quello che provo per te, mi rendo conto che forse sono come il folle che sta distruggendo le nostre vite.
Anch’io ti volevo mia.
Ti studiavo, scoprivo la tua storia giorno dopo giorno proprio scrutando i tuoi occhi e mi sono trovato a desiderare, ad anelare, di farne parte.
La tua bellezza era lo specchio della sofferenza che ti portavi dentro.
Una bellezza esaltata dal tuo modo di combattere, di non arrenderti, di immedesimarti nel dolore di chi resta e, soprattutto, dal tuo sorriso triste. Piegavi le labbra all’insù, ma tutto finiva lì. I tuoi occhi non cambiavano espressione, erano sempre intenti a guardare lontano, dentro un dolore ed una colpa che sembravano non avere mai fine.
Non so esattamente quando è successo, non so nemmeno se tu te ne sia mai resa veramente conto, ma un giorno quel sorriso è cambiato. Man mano che le labbra si piegavano verso l’alto, gli occhi si stringevano di poco e non guardavano più lontano, ma erano fissi su di me, sulle mie labbra che dicevano qualcosa di sconclusionato che ti faceva ridere. Sulle mie mani che ti portavano il consueto caffè per darti il buon giorno e non solo. Sui miei occhi che non hanno più smesso di amarti come mai hanno amato.
Hai cominciato a sorridere davvero, Kate… ed è successo grazie a me.
Non scuotere la testa pensando che sono il solito egocentrico, perché non è vero. Sono realista e, almeno questo, me lo devi.
Da qualche ora il tuo sguardo è cambiato di nuovo. I tuoi occhi mostrano paura, rabbia, tristezza… e questo mi spaventa, perché ti conosco, perché so che combatti fino allo sfinimento, ma poi ti lasci sopraffare dalle macerie. E’ questo quello che vuole lui. Non vuole ucciderti, il suo intento è costringerti a distruggerti da sola.
Non permetterglielo Kate… non tornare indietro!
Qualunque cosa succeda, comunque si concluda questo ‘caso’, io non rinnego un solo momento di questi cinque anni insieme a te. Non cambierei nulla, nemmeno i momenti di sofferenza e di tristezza, perché sono stati proprio quelli a farmi capire quanto fossi importante per me e che sarei stato capace di tutto per te.
Questi ultimi mesi insieme sono stati i più veri di tutta la mia vita.
Ogni giorno con te è una novità, un modo nuovo di vedere la vita e di scoprire una nuova, piccola parte non solo di te, ma anche di me.
Quando mi hai regalato quel cassetto, è stato come se avessi preso il tuo cuore tra le mani e lo avessi messo nelle mie.
Non sono mai stato emozionato come quella sera, perché in quel preciso istante ho avuto la certezza che insieme, potevamo soltanto andare avanti e mai più tornare indietro.
Perciò credo che l’unico modo di parlarti, di farti capire, di dirti tutte quelle cose che vorrei e che tu ancora non conosci, è prendere il mio cuore tra le mani e affidarlo a te.
La chiave che hai trovato insieme a questa lettera, apre un cassetto nascosto dentro il pannello laterale della mia scrivania. Nessuno conosce la sua esistenza e nessuno, nemmeno mia madre, ha mai visto quello che ho conservato segretamente e gelosamente al suo interno.
Sono solo piccoli oggetti di nessuna importanza, speciali solo per me, perchè hanno delineato momenti importanti della mia vita, ma proprio perché sono importanti solo per me, tu devi conoscerli.
Dentro c’è il mio cuore...
Un cuore di bambino che si rifugiava nella fantasia, per compensare quella sensazione di vuoto che sentiva dentro.
Un cuore di bambino, i cui pensieri, desideri e decisioni importanti, lo hanno portato ad essere l’uomo che sono.
Un cuore di un uomo che è stato usato tante volte, distrutto completamente altrettante e che ha ricevuto amore incondizionato soltanto da sua madre e sua figlia.
Te lo affido. Custodiscilo e amalo. Amalo e non tradirlo, perché oltre Martha e Alexis, l’unica che ha dato davvero un senso ai suoi battiti, facendolo sentire completo e vivo, sei tu.
Hai un cuore meraviglioso Kate, capace di amore sconfinato. Non chiuderlo ancora al mondo, né per me, né per nessun altro.
Ama per te Kate, ridi, vivi… alla luce del sole, senza rimpianti, dando retta all’Universo che ancora ti parlerà e credendo nella magia, perché la vita con tutte le sue sfaccettature, anche quelle più dolorose, è semplicemente magica.
Permettimi ancora di amare, ridere e vivere dentro il tuo cuore… Ti amo!
                                                                                   Rick                                                                                              

Chiude gli occhi, ed una pioggia di piccole gocce attraversa le sue guance, accarezzandole le labbra con il sapore salino, tremolando sotto il mento, prima di finire prosciugate dalla spugna dell’accappatoio. Posa la lettera sul parquet, guarda ancora la piccola chiave dorata nella sua mano, stringe le labbra e con rabbia la scaglia verso la porta, facendola rimbalzare poi sul pavimento.
-Beckett!-
Appoggia la testa alla cassettiera e la scuote energicamente, senza dare ascolto alla voce che, al di là della porta, l’ha appena chiamata.
-Non ce la posso fare…-
Sussurra quasi tra sé, mentre sente i passi di Esposito avvicinarsi velocemente alla porta.
-Beckett… tutto bene? Che succede?-
Le chiede il collega con apprensione, avendo sentito il tonfo dietro la porta, ma lei continua a scuotere la testa senza rispondere, ripetendo quella frase come una cantilena.
-Non ce la posso fare… non ce la posso fare…-
-Beckett rispondi. Sto entrando.-
Esposito abbassa la maniglia e si affaccia dalla porta con un po’ d’imbarazzo.
-Non ce la posso fare…-
Ripete Kate posando lo sguardo su di lui, che apre del tutto la porta ed entra. Si ferma sentendo qualcosa sotto la scarpa e si china a prendere la piccola chiave che ha calpestato, corrucciando la fronte. Si avvicina a lei e s’inginocchia per guardarla negli occhi.
Sospira adombrandosi in viso.
-Non ce la puoi fare… a fare cosa?-
Le chiede in sussurro e lei abbassa gli occhi, scuotendo la testa senza rispondere.
Esposito segue il suo sguardo sul foglio lasciato andare in terra, riconosce anche lui la calligrafia di Castle, guarda la chiave raccolta poco prima e gli si chiude lo stomaco.
-Beckett…-
-Non ce la posso fare Javi!-
-Non ce la puoi fare a fare cosa? A stare dietro a Dunn? A trovare il veleno? A salvare Castle? Cosa Beckett?!-
Lei continua a non guardarlo, di colpo sembra di nuovo persa nei suoi pensieri, lontano da quella stanza e da lui, che digrigna la mascella e la prende per le braccia, costringendola a sollevare lo sguardo.
-Maledizione Beckett, guardami! Si può sapere dove sei? Da quando Dunn ti è scappato, non sei più la stessa.-
Lei stringe le labbra ed un lampo di rabbia le attraversa gli occhi. Prende la lettera nella mano e gliela mette sotto il naso.
-Sta morendo Espo… e mi chiede di continuare a vivere! Vivere senza di lui! Amare senza di lui! Ridere senza di lui…-
Abbassa lo sguardo e la voce d’improvviso, lasciando ricadere la lettera sul suo grembo.
-…sta morendo!-
-E’ vero! Sta morendo… perciò andiamocene tutti a casa a riposare e ad aspettare di fargli il funerale!-
Guarda la chiave che stringe ancora in mano e sente la rabbia rafforzarsi.
-Sta morendo Beckett… e l’unica cosa a cui pensa è la sua famiglia, l’unica cosa che ha nella testa, sei tu… si aggrappa a noi Kate, a te…-
Lei lo guarda asciugandosi le lacrime con stizza.
-…non so cosa ci sia scritto in quella lettera e non m’importa, però so cosa ti ha chiesto in macchina… e tu? Tu sei stata capace di dirgli che era una cosa senza senso. Quell’uomo ti ama Kate e non ha smesso un solo istante di credere in te e tu ti lasci andare e ti comporti come se fosse già morto! Svegliati Kate, da ore non ci sei più e sono ore perse… tempo prezioso perso a piangere. Io non ci sto! Rick è ancora vivo. Avrebbe potuto lasciarsi andare, ma si è aggrappato alla vita grazie a noi ed io non mi arrenderò fino alla fine.-
Si alza facendo qualche passo avanti e indietro davanti a lei, che abbassa ancora lo sguardo, stringendo i pugni. Esposito si passa la mano tra i capelli e si china di nuovo davanti a lei.
-Se vuoi restare qui a crogiolarti nel dolore e nel suo ricordo ancora prima che smetta di vivere, fallo pure. Ne hai tutto il diritto. Resta qui a piangere, a rileggere quella lettera di continuo fino a ripeterla a memoria. Castle ha ragione, in questo momento ha bisogno di un poliziotto, non di una donna che non riesco a riconoscere nemmeno io. E non pensare di smettere di soffrire, sperando che Scott Dunn venga ad ammazzarti dopo, perché ha già quello che vuole… Nikki è già sconfitta!-
Lei solleva lo sguardo di colpo, spalancando gli occhi.
-Castle è ancora vivo, ed io non mi arrenderò fino all’ultimo respiro.-
Le mette la chiave nella mano e gliela ricopre con le sue, richiudendogliela a pugno su quel piccolo oggetto.
-E non pensare nemmeno di andare da lui per stargli accanto, se vedesse nei tuoi occhi quello che vedo io adesso, smetterebbe di combattere… ed io questo non te lo posso permettere, perché ho intenzione di usare ogni secondo disponibile che gli resta da vivere per salvarlo.-
Resta a guardarla per un paio di secondi, cercando di calmarsi. Scruta quegli occhi arrossati e pieni di lacrime, che all’improvviso hanno ricominciato a brillare, come se un lampo d’odio potesse partire di lì a poco per colpirlo in pieno viso e vorrebbe esultare e stringerla tra le braccia, perché ha appena intravisto la Beckett che non si arrende, riaffiorare nel mare di dolore del cuore di Kate. Sfiora con il pollice l’ultima lacrima che le solca il viso e sospira.
-Pensi che quello che ti chiede sia terribile e impossibile, ma è meno impossibile di quello ha fatto lui per te in tutti questi anni… ti ha ridato la voglia di vivere Kate e non era una cosa facile!-
Si alza e si avvia alla porta.
-Il caffè è pronto, io vado in macchina a fare un paio di telefonate. Decidi cosa fare, se fra dieci minuti non sei seduta accanto a me, torno a lavoro da solo e… nel caso, non scomodarti a raggiungerci!-


Il calore che sentiva su una delle guance contrastava con il freddo intenso che la faceva tremare.
Il suo corpo fremeva di continuo, almeno questa era la sensazione che aveva.
Tremava. Aveva freddo e non riusciva a smettere di tremare.
Non poteva muoversi però.
Cercò di aprire gli occhi, ma le risultò difficile… troppo peso sulle palpebre…
Il calore sulla guancia sparì per un attimo, ripresentandosi dopo un paio di secondi. 
Un calore che la accarezzava. 
Qualcuno la sfiorava sulla pelle con la mano calda.
Piano piano i suoi sensi ripresero vita. 
Mosse le pupille sotto le palpebre chiuse, cercando di concentrarsi su quello che sentiva e gli odori che riusciva a percepire.
C’era qualcuno con lei. Odore di chiuso. Profumo. Un aroma piacevole ma troppo forte da diventare nauseante e dolciastro…
Solo in quel momento la paura prese il sopravvento ed il suo cuore cominciò a correre in maniera irrefrenabile.
Perché non riusciva a muoversi? 
Dov’era? Cos’era tutto quel freddo?
-Se ti agiti non riuscirai a respirare…-
Spalancò gli occhi di botto, come se una forza interna avesse spinto le palpebre verso l’alto. 
Il buio diventò nebbia. La nebbia si diradò lentamente e mise a fuoco due occhi che la fissavano.
Occhi gelidi, come il gelo che sentiva nelle ossa e intorno a sé.
In un attimo capì.
-S… sei st… stato tu!-
Mise tutta se stessa in quella frase, convinta di avere urlato, ma quando lui sorrise, si rese conto che aveva solo balbettato.
Non sentiva altro che il suo cuore battere, lo sentiva nelle orecchie e nelle pulsazioni alle tempie.
Aveva ragione lui… non riusciva a respirare.
Chiuse gli occhi e cercò di calmarsi.
Perché non riusciva a muoversi?
L’aveva drogata!
Riuscì a fare un respiro profondo e i battiti del cuore diminuirono leggermente. 
Sentiva freddo, era sicura di essere scossa dai brividi, ma non riusciva a muoversi.
Stava succedendo anche a lei.
Lo stava facendo anche a lei.
Voleva ucciderla…
 


Angolo di Rebecca:

Esposito si è proprio arrabbiato e ha fatto benissimo!
Dite che Kate si rimette in sesto dopo che il fratellino l'ha strigliata per bene?
Siamo fiduciose...
Di Riccardone non so che dire, tranne che è la dolcezza fatta persona, esistono gli uomini come lui? Credo di si, è difficile trovarli però :p

Grazie di cuore per il vostro affetto *-*

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Capitolo 35
*** Attimi ***




 


 
Capitolo 35
 


Si può davvero inseguire il tempo? Si può correre dietro le ore che scorrono veloci, sperando di sorpassarle e recuperare degli attimi che possono cambiarti la vita? Non ha avuto modo di chiederselo, ma ci ha provato con tutte le sue forze. Con quella determinazione che la contraddistingue da sempre, ha tentato in ogni modo di essere forte e di correre contro il tempo, che all’improvviso si è fermato sulle parole rabbiose di Esposito e quella tenera carezza sulle sue lacrime.
Ti ha ridato la voglia di vivere Kate e non era una cosa facile…
La porta d’ingresso si apre e si richiude con un tonfo, provocandole un rimescolio nello stomaco.
Stringe le labbra, corruccia la fronte posando lo sguardo sulla lettera e segue ancora una volta le singole lettere con la punta dell’indice. Chiude il pugno sul piccolo oggetto di metallo e deglutisce. Si alza risoluta, appoggia la chiave e il foglio sul comò e comincia a vestirsi, con calma.
Segue le sue dita che chiudono i bottoni della camicetta dentro gli occhielli e la cintura che trova posto tra i passanti dei jeans.
Hai cominciato a sorridere davvero, Kate ed è successo grazie a me…
Toglie l’asciugamano dai capelli, frizionandoli qualche secondo, per racchiuderli poi in una coda veloce.
Il suo intento è costringerti a distruggerti da sola. Non permetterglielo Kate non tornare indietro…
Sistema la fondina alla cintura, ci mette dentro la pistola e conserva il distintivo nella tasca dei jeans.
Nikki è già sconfitta…
I movimenti lenti e cadenzati sono solo un pretesto per fare andare il cervello più veloce, per metabolizzare ancora le parole di Esposito, memorizzare quelle di Rick e fare ordine in tutti gli avvenimenti che l’hanno travolta nelle ultime ore.
Avvenimenti che l’hanno riportata indietro di anni, quando il dolore per l'omicidio di sua madre l’ha plasmata, stravolgendo il suo modo di essere, di vivere, di credere. Ha combattuto per anni per proteggersi, per essere impermeabile al dolore, sicura che un altro scossone l’avrebbe distrutta definitivamente. Come in questo momento.
Dunn aveva trovato il punto debole di Nikki e lei, come una stupida principiante, stava facendo esattamente il suo gioco.
Indossa il giaccone di pelle e ripiega con cura il pantalone del pigiama di Rick, rimettendolo a posto dentro il suo cassetto, ma si ritrova a corrucciare la fronte e a scuotere la testa, come se lui la stesse rimproverando. Lo riapre di colpo, stropiccia l’indumento sorridendo, lasciando che una delle gambe ciondoli fuori e lascia il cassetto semi aperto.
Prende tra le mani l’anello di sua madre e lo accarezza con due dita. Si toglie la catenina, apre il gancio e fa scivolare accanto all’anello la piccola chiave dorata. Richiude il gancio e si rimette la catenina al collo.
Dentro quel nascondiglio c’è il mio cuore… te lo affido. Custodiscilo e amalo. Amalo e non tradirlo…
Stringe per un paio di secondi i due preziosi oggetti nella mano e sospira, rimettendo la catenina al sicuro e conservando la lettera nella tasca interna del giaccone, proprio accanto al suo cuore.
Non si può correre contro il tempo. Non si può inseguire uno stupido modo di dire.
Lei non deve fermare il tempo.
Deve fermare Scott Dunn.
 
Apre il portone ed Esposito si ritrova a sospirare, rendendosi conto che i minuti trascorsi in macchina, aspettando che lei si rimettesse in sesto, li ha passati quasi senza respirare. Chiude gli occhi per un attimo, quando la vede avvicinarsi e stringe le mani al volante  mentre lei sale in macchina.
-Stavo per andarmene!-
Esclama secco e lei storce le labbra, chiudendo lo sportello.
-Ho fatto più in fretta che ho potuto.-
Lui annuisce e mette in moto.
-Novità?-
-Ho appena chiuso con il capitano. Hanno trovato l’auto di Grayson abbandonata in una boscaglia fuori città. Abbiamo appuntamento per setacciare la zona, anche se l’avrà lasciata sicuramente lontano dal suo nuovo nascondiglio, per farci perdere altro tempo.-
-Oppure c’è un motivo ben preciso per cui ce l’ha fatta trovare…-
Risponde lei, fermandosi un momento per allacciarsi la cintura di sicurezza.
-…non dimentichiamo che sta giocando!-
Esposito annuisce e, premendo il piede sulla frizione, si accinge ad ingranare la prima, ma la mano di Beckett gli blocca  la  sua sul cambio.
-Grazie Javi…-
Sussurra senza guardarlo.
Il cielo ha finalmente smesso di piangere anche se le nubi fanno ancora da scudo ai raggi solari.
Nemmeno lui la guarda, mentre ingrana la marcia per immettersi nella strada, ormai caotica.
-Sempre pronto per una strigliata, capo…-
 
 
Riaprì gli occhi, li fissò sul suo viso con rabbia e lui sorrise.
-Hai capito chi sono!?-
La sua voce la fece arrabbiare ancora di più.
Si stava prendendo gioco della sua paura, come si era preso gioco di lei.
Avrebbe voluto picchiarlo, prenderlo a calci, schiaffeggiarlo… avrebbe voluto ucciderlo!
Le accarezzò i capelli, le sistemò la sciarpa intorno al collo, coprendola al meglio con cura.
Ruotando gli occhi cercò di capire dove fosse.
Era una stanza buia, non vedeva nulla oltre il metro di distanza.
Nella parete di fronte a lei, in alto, c’era un’unica luce grigiastra che rendeva la figura inginocchiata accanto a lei, scura.
Una specie di nebbia densa si sprigionava sopra di loro… e poi c’era tutto quel freddo…
-Non preoccuparti. Te ne andrai dormendo, senza soffrire… oppure Nikki potrebbe salvarti!-
Rimase con gli occhi fissi su di lui mentre si guardava intorno ridendo.
-Ancora un paio di ore…-
Le lasciò un’ultima carezza sul viso e si diresse alla sua destra.
Cercò di ruotare la testa, ma non ci riuscì. Sentì ancora i battiti accelerare ed il respiro diventare pesante.
La luce del display del suo cellulare la illuminò di poco.
Che diavolo stava facendo?
Chiuse gli occhi e respirò ancora pesantemente per riempire di ossigeno i polmoni e lo sentì parlare.
-Il posto è buio e freddo. Soprattutto freddo…-
La stava filmando! Ecco cosa stava facendo e stava anche registrando la sua voce.
Voleva mostrarla a tutti, come aveva fatto con lei.
La rabbia la fece fremere ancora.
Riuscì a ruotare di poco la testa e a guardarlo con gli occhi spalancati e infuocati.
Lui sorrise, pensando che avrebbe potuto anche fulminarlo con quello sguardo, se avesse avuto poteri soprannaturali.
Ruotò il cellulare per tutta la stanza, per filmare il buio intorno a lei… faceva molto ‘scenografia’ e alla fine lo lasciò fisso sulla figura immobile davanti a lui, che lo guardava con occhi pieni di odio.
Vedeva questo adesso nel suo sguardo.
Odio!
Non paura, ma solo e semplicemente odio.
Sorrise ancora.
Amava tutto questo. Lo faceva sentire vivo.
La ragazza riportò lo sguardo sul soffitto sconosciuto che la sovrastava.
La sua voce continuava ad arrivarle alle orecchie, ma per un attimo non riuscì a capire il senso delle parole.
Sentì la testa pulsarle, ogni respiro le portava aria fredda che le bruciava le viscere, mentre lui continuava la sua storia macabra.
-Un paio di ore. Dopo sarà troppo tardi…-
Riuscì a sentire distintamente l’ultima frase, poi la luce del cellulare sparì e lui aprì la pesante porta.
La stava lasciando dentro quella scatola fredda.
La porta si richiuse con un tonfo.
Il buio l’avvolse e la luce grigiastra mostrò ancora piccoli gomitoli di nebbia densa intorno a lei.
Un altro tonfo dall’esterno la fece sussultare.
Aveva chiuso a forza il chiavistello o qualunque cosa fosse, per bloccare la porta.
Chiuse gli occhi e sentì le lacrime gelarsi sulle tempie.
Concentrò il pensiero su di lei, pianse ancora per lei, come aveva fatto nei giorni precedenti.
Si addormentava piangendo e si svegliava con le lacrime agli occhi.
Per lei.
Continuò a piangere… per la paura, per la rabbia, per il freddo che sentiva. Perché non riusciva a muoversi…
Pianse e pianse, immobile, senza potere fare altro.
Pianse, fino a quando le palpebre si chiusero di nuovo, non potendo fare altro che abbandonarsi al freddo…
 
 
 ‘…Richard Castle è arrivato al Saint Andrew Hospital alle prime luci dell’alba. Secondo i colleghi che aspettavano davanti ai cancelli dell’ospedale da ore, da quando cioè, il killer silenzioso ha messo in rete il video in cui descrive la sua vendetta, lo scrittore è stato accompagnato in macchina. E’ stato  adagiato su una barella, sparita poi di corsa verso l’interno dell’ospedale. Gli agenti di polizia posti di guardia, non hanno permesso nessuna ripresa e nessuno dell’ufficio stampa della polizia ha ancora rilasciato comunicati, perciò non sappiamo quali siano le reali condizioni del signor Castle. L’ospedale è praticamente presidiato dalle forze dell’ordine…’
 
Spegne la radio con un gesto calmo, riporta lo sguardo fuori dal parabrezza e si concentra sul silenzio.
Dopo 30 minuti di superstrada, avevano lasciato la strada principale, per immettersi in una secondaria.
Si ritrovano improvvisamente lontani dal caos cittadino, avvolti nel silenzio, interrotto soltanto dal richiamo di qualche uccello, che al momento Kate non riesce a riconoscere.
Guarda attentamente il posto in cui si stanno dirigendo e pensa tristemente che stanno ancora perdendo altri attimi preziosi. Li sta portando fuori città solo per perdere tempo.
Davanti a loro si staglia un laghetto. Una patina di ghiaccio lo rende lucido, ma i nuvoloni che lo sovrastano riflettono il loro colore scuro impedendogli di luccicare.
Un paio di minuti dopo scorgono le fronde degli alberi, cariche di neve ghiacciata, che circondano le auto dei colleghi, già sul posto per il nuovo controllo.
Il tragitto è stato silenzioso. Dopo le parole di Esposito e la consapevolezza che avrebbe fatto qualunque cosa per salvare Castle, non c’era altro da dire.
Niente tremore, niente sguardo vuoto… perso nel vuoto.
Solo fermezza, spalle dritte appoggiate al sedile, sguardo attento e cervello a lavoro.
Non c’è altro da dire, solo agire…
Un pugno chiuso sul ginocchio e l’altra mano poggiata al centro del petto, a stringere metaforicamente due degli oggetti più importanti della sua vita, messi al sicuro sul suo cuore.
Da quando ha messo la chiave nella catenina, accanto all’anello di sua madre, una strana calma si è impossessata di lei. Johanna l’avrebbe guidata e Castle le avrebbe dato la forza.
Porta lo sguardo sul polso sinistro, ancora vuoto, ancora orfano e stringe la mascella.
Non ti permetterò di ucciderlo!
Non glielo avrebbero permesso nemmeno i suoi amici.
Nei primi dieci minuti di viaggio, si era accorta che Esposito continuava a controllarla sott’occhio. Di tanto in tanto spostava velocemente lo sguardo su di lei e questo l’aveva fatta sorridere. Dopo un po’ non si era più voltato, segno che aveva ritrovato la fiducia in lei, che finalmente era tornata lucida.
La speranza nuova che si fa strada nel suo cuore le apre un sorriso vero, uno di quelli che ama Castle… uno di quei sorrisi che cercherà di non perdere comunque.
Glielo deve…
Esposito spegne il motore e scendono contemporaneamente.
Agenti in divisa stanno setacciando la zona con i cani, mentre un paio di tecnici della scientifica controllano la macchina.
-L’auto è stata segnalata da due cacciatori alle 8.40 di stamattina.-
Esordisce la Gates andando loro incontro.
-Abbiamo trovato una siringa usata e vuota sul tappetino dell’auto, ho chiesto al tecnico della scientifica di analizzarla subito.-
Continua, facendo segno verso il furgone che funge da laboratorio mobile, per le analisi immediate.
-Sul sedile del passeggero sono stati ritrovati capelli lunghi, sottili e neri.-
Kate guarda verso l’auto e stringe le labbra.
-Non c’era altro?-
La donna scuote la testa.
-Pensavo che avremmo trovato un altro dei suoi capitoli, invece nulla. La squadra cinofila sta controllando in giro, ci sono dei piccoli capanni intorno al lago, li usano i cacciatori.-
-E’ solo una perdita di tempo capitano. Lui non è qui.-
Vengono richiamati dal tonfo del portellone del furgone della scientifica. Uno dei tecnici si avvicina con un foglio tra le mani.
-Capitano, è la stessa droga paralizzante usata per tutte le vittime e il DNA rinvenuto sull’ago appartiene ad una donna.-
Le consegna i risultati ottenuti e torna al suo lavoro.
-Droga e capelli lunghi…-
Sussurra la Gates leggendo il referto.
-…aspettiamoci un altro cadavere!-
Esclama esasperata.
-Ma perché? Che messaggio vuole darti a questo punto? E non si è nemmeno preoccupato di nascondere gli indizi stavolta!-
Beckett corruga la fronte, con lo sguardo fisso su un uomo che controlla minuziosamente il porta bagagli dell’auto abbandonata.
-Mentre Nikki si affanna a cercarlo per salvare lo scrittore, lui riesce a prenderla per il naso, colpendo ancora liberamente. Vuole farmi sentire ancora in colpa per una sconosciuta!-
-Non ha lasciato un cadavere, quindi ha ben altro in mente.-
Kate annuisce, continuando a fissare la vecchia Berlina bianca, cercando di capire il cambio di rotta improvviso di Scott Dunn. Ha ben altro in mente. Vuole distoglierla dal problema principale: lui e la tossina. Può aver lasciato indizi inutili solo per portarli ancora una volta fuori strada.
Si ritrova a sospirare e a scuotere la testa per rispondere a se stessa.
Non sono indizi inutili. Dunn sta giocando ancora con la vita di un’innocente.
 
 
La passeggiata era stata proficua.
All’ultimo respiro dello scrittore mancavano parecchie ore.
Aveva ancora tempo per giocare, per continuare la sfida e ‘disturbare’ le indagini della bella detective.
L’ufficio apriva alle 7.30, ma lei era seduta allo stesso tavolo di sempre già alle 7.05 del mattino.
Guardava la sedia vuota di fronte a lei e con la punta del cucchiaino accarezzava, svogliatamente, la schiuma del cappuccino.
Era pallida, nonostante il trucco passato diligentemente soprattutto sugli occhi. Forse per nascondere le lacrime versate.
Aveva stretto la mano attorno alla siringa che teneva in tasca ed era rimasto seduto in macchina ad aspettare che attraversasse la strada.
Non era importante che non le somigliasse.
Non doveva mandare un messaggio.
Non doveva più farsi riconoscere… doveva solo continuare a sfidarla… ed il momento era arrivato.
Dopo avere lasciato Nikki in ospedale, al suo dolore, si era recato in centro ed aveva aspettato.
Aveva smesso di piovere, ma la prima mattinata si preannunciava coperta da un cielo grigio, le cui nuvole coprivano ogni possibilità di luce e le strade erano già intasate dal via vai frenetico dei newyorkesi, che cominciavano la loro nuova giornata di lavoro.
Lei aveva attraversato la strada con lo sguardo basso, persa nei suoi pensieri dolorosi.
Prima che riuscisse a mettere il piede sul marciapiede, sentì un bruciore alla base del collo.
Non ebbe il tempo di capire…
Le gambe persero la presa e qualcuno la tenne in piedi cingendole la vita, come se la stesse abbracciando.
Spalancò gli occhi e appoggiò la testa a quella dell’uomo che la teneva in piedi, senza riuscire a gridare, senza poter chiedere aiuto.
Si sentì trascinare per qualche metro. La gente camminava loro accanto senza notare nulla.
-Tranquilla… sembriamo due innamorati che camminano abbracciati. La gente è troppo egoista per accorgersi di noi…-
Vide lo sportello dell’auto aprirsi. Sentì le mani forti stringerla. Senza che lei riuscisse a muovere un muscolo, la sistemò sul sedile sollevandole le gambe con cura.
L’ultima cosa che vide fu il suo braccio cingerla mentre le allacciava la cintura di sicurezza, poi gli occhi diventarono pesanti e li chiuse, sentendo il cuore galoppare per la paura.
Aiuto!
L’urlo, però, risuonò solo nella sua testa, perché le labbra non erano state capaci di muoversi e dare voce al suo terrore…
 
 
Persa nelle sue deduzioni sull’ultima trovata di Dunn, si riscuote allo squillo del cellulare, che attira l’attenzione del capitano e di Esposito.
-Dimmi Ryan.-
Risponde immediatamente, sperando in qualche novità, ma il tono del collega, in viva voce, li allarma tutti.
-Beckett, sono in auto con Gordon Russell, il ragazzo di Jessica Benton.-
-Che succede?-
-Sono arrivato pochi minuti fa al distretto e lui era qui fuori che ti aspettava. Vuole parlare con te, a me non ha voluto dire nulla, è molto agitato. Te lo passo.-
-Detective Beckett sono preoccupato per Jessica.-
Dice subito il giovane senza preamboli e Kate guarda il capitano ed Esposito, sollevando il telefono proprio davanti alla bocca.
-Perché Gordon? Che succede?-
-Mi hanno chiamato dal suo ufficio, dicendo che non riuscivano a rintracciarla e che volevano sapere perché non avesse avvertito che non andava a lavoro… ma lei ci è andata detective…-
L’ansia nella sua voce è tangibile e Kate stringe le labbra sempre più preoccupata.
Hanno trovato una siringa usata e vuota sul tappetino dell’auto…
-L’ho accompagna io come ogni mattina, l’ho lasciata al bar per la colazione verso le 7.00 e poi sono andato a lavoro.-
E’ la stessa droga paralizzante usata per tutte le vittime…
Gordon si ferma per cercare di riprendere il controllo, ma quando continua, il suo è solo un sussurro.
-Dopo quello che è successo a Geri, io…-
Sul sedile del passeggero sono stati ritrovati capelli lunghi, sottili e neri…
-…detective Beckett, non so che fare!-
E non è detto che il gioco non pretenda altre vittime, prima di te…
Kate abbassa il telefono e fa un paio di passi avanti e indietro, cercando di mettere insieme le idee.
Scott Dunn ha lasciato l’auto lontano dalla città, ma in bella vista, perché la notassero in fretta. Non l’ha ripulita. Ha lasciato la siringa e anche i capelli deve averli sistemati in modo che fossero evidenti.
Capelli lunghi, sottili e neri… come quelli di Jessica Benton!
Chiude gli occhi e sospira, portandosi il telefono all’orecchio.
-Gordon, mi passi il detective Ryan per favore.-
Aspetta che il telefono passi di mano e sospira.
-Esposito mi ha avvertito che stavate controllando l’auto di Grayson. Beckett che sta succedendo?-
Le chiede Ryan.
-Crediamo che Dunn abbia rapito una donna e questa telefonata mi fa pensare che possa essere Jessica. Resta al distretto con Gordon e non perderlo di vista. Ti richiamo appena so qualcosa.-
Non gli dà il tempo di ribattere. Chiude la chiamata in fretta quando il capitano risponde a sua volta ad una telefonata, proveniente dal distretto. La guarda con il fiato sospeso, mentre ascolta in silenzio e cambia espressione ad ogni parola, fino a che non riattacca e digita velocemente qualcosa sul telefono.
-C’è un altro video in rete da circa mezz’ora. Il reparto informatico lo sta già controllando.-
Kate guarda Esposito e deglutisce avvicinandosi alla Gates per guardare il video.
L’immagine iniziale è sfocata, la ripresa è buia e in movimento. Per 55 secondi il video mostra solo penombra, una luce grigiastra filtra da qualche parte che non riescono ad individuare, fino a quando la voce improvvisa di Dunn li fa sussultare.
 
Il posto è buio e freddo. Soprattutto freddo!
Lei è distesa a terra. Non è ferita. Non le ho fatto del male.
Non può muoversi, ma sta bene… per ora…
Ha solo freddo!
 
Il video diventa di nuovo silenzioso. Un silenzio confuso con il fruscio dell’audio comunque attivo.
La schermata si ferma fissa su un punto. In lontananza si nota un’ombra più scura che non riescono a decifrare. La videata allarga lo zoom e l’ombra diventa la sagoma di qualcuno, mentre la voce riprende a parlare.
 
Dipende da te Nikki, proprio come quella sera… ricordi?
Correvi senza sosta, sentivi i rumori e i lamenti.
Sapevi che non saresti arrivata in tempo.
Sentivi già il dolore bruciare nelle viscere, mentre correvi e non riuscivi a vedere altro che buio davanti a te.
Avevi paura.
Correvi, ma sapevi che non saresti arrivata in tempo.
Non eri lì con lei mentre esalava l’ultimo respiro…
 
La voce di Dunn arriva rauca, parla piano e lentamente. Scandisce ogni parola per farla arrivare dritta al cervello come un pugno alla bocca della stomaco.
 
Non ti sei mai perdonata per questo Nikki, non sei più riuscita a vivere davvero dopo quella sera.
Il senso di colpa ti divora ancora adesso, non solo per lei, ma per tutte le vittime a cui non riesci a dare giustizia, per quelle vittime che mi hai costretto a sacrificare… per te…
Il profumo di quella sera ti perseguita.
Un profumo intenso che, unito all’odore acre del sangue, ti provoca la nausea al solo pensarlo.
Un profumo che portava alla mente momenti felici della tua fanciullezza.
Un profumo che portava dolcezza nel tuo cuore.
Un profumo che di colpo ti getta nello sconforto più assoluto.
Tu vuoi assolutamente salvare lo scrittore, ma prima dovrai salvare lei… o ti sarà impossibile continuare.
E’ ancora viva. Devi solo chiudere gli occhi e concentrarti.
Un paio di ore Nikki… poi sarà troppo tardi…



Angolo di Rebecca:

Esposito ha aspettato appena appena 2/3 minuti in più :3 e Beckett alla fine "is back!!!"
Dunn è ancora in movimento per mettere Nikki in difficoltà, ma credo che dovrebbe preoccuparsi di Beckett adesso :D

Vediamo di capire dove si trova Jessica Benton e... alla prossoma!

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Capitolo 36
*** Il Gioco Continua ***




 




 
Capitolo 36
 


-Un paio di ore…-
Esposito controlla l’ora.
-Gordon ha detto di averla lasciata al bar alle 7.00, l’ufficio apre alle 7.30. Deve averla rapita in questo arco di tempo.-
La Gates annuisce.
-Mettiamo in conto circa due ore per portarla al nascondiglio, girare il video, caricarlo in rete e liberarsi dell’auto. Ad occhio e croce abbiamo tempo fino alle 11.30…-
-…e sono già le 10.05!-
Esclama Kate stizzita, mentre Esposito solleva le sopracciglia sorpreso, quando il capitano le prende la mano, guardandola dritto negli occhi.
-Beckett, so che sarà doloroso per te, ma parla sicuramente di un posto che ha a che fare con la morte di tua madre. Parla di quella notte, del freddo e di un profumo che da quella sera non sopporti più… non ti viene niente in mente?-
Kate scuote la testa interrompendola.
-Capitano non parla di me! Beckett non è il suo personaggio. Parla di Nikki…-
La Gates sbuffa per aver dimenticato la paranoia di Dunn, Kate le lascia la mano e fa un paio di passi in avanti.
Guarda in un punto indefinito, verso il lago ghiacciato. Uno spiraglio di luce si è appena fatto strada tra le nuvole e gioca sulla lastra di ghiaccio colorandola di sfumature gialle.
-Parla della morte della mamma di Nikki. Era al telefono con lei quando è stata uccisa, l’ha sentita morire.-
Non è ferita. Non le ho fatto del male. Ha solo freddo…
Corruccia la fronte, scuotendo la testa.
-Ma cosa c’entra il freddo!-
Sussurra quasi tra se, cercando di fare mente locale. Manda nuovamente avanti il video, chiude gli occhi, ascoltando  attentamente solo la voce e si sofferma sulla parte finale.
Un profumo che portava alla mente momenti felici della tua fanciullezza… un profumo che portava dolcezza nel tuo cuore…
-Un profumomomenti felici della tua fanciullezza…-
Spalanca gli occhi e si gira di colpo verso i colleghi.
-Cannella!-
Esclama improvvisamente. Esposito corruccia la fronte, mentre il capitano annuisce.
-In Heat Wave Nikki lascia sua madre a casa da sola, per andare a comprare i bastoncini di cannella!-
Esposito continua a guardarla stranito e la donna solleva le spalle scocciata.
-Ho letto il libro, qualcosa in contrario? Mi sono documentata!-
Il detective si schiarisce la gola, mentre Kate continua il pensiero del suo capitano.
-Il profumo che le dà la nausea, per Dunn, può essere quello della cannella, perché secondo lui, Nikki lo associa all’assassinio di sua madre.-
-Quindi dove l’ha nascosta? Un posto freddo che profuma di cannella? Potrebbe essere un posto qualunque in città!-
Dice Esposito sempre più confuso, ma Kate scuote la testa.
-No Espo… non è un posto qualunque. E’ un posto che Nikki conosce bene. Un posto e un profumo che possono tornarle alla mente perché collegati all’omicidio della madre.-
Stringe le palpebre verso un punto imprecisato, cercando di immedesimarsi nel racconto della morte della madre di Nikki Heat e di non sentirlo personale. Nonostante stia parlando del libro, non può non sentire la stretta allo stomaco che le provoca quella frase.
All’improvviso stringe i pugni.
-Il negozio di spezie in cui Nikki è andata a comprare la cannella e da dove ha chiamato la madre prima che fosse uccisa. Il Morton Williams sulla Park Avenue South.-
 
Salgono velocemente in macchina, il capitano Gates richiede rinforzi e un’ambulanza, mentre Kate mette al corrente Ryan di quello che hanno scoperto. Esposito schiaccia il piede sull’acceleratore a sirene spiegate.
-Siete consapevoli del fatto che se il posto è sbagliato, Jessica è spacciata! Non avremo un’altra possibilità…-
Kate annuisce sicura.
-Non avremo bisogno di un’altra possibilità!-
-D’accordo, l’avrà portata al Morton Williams, però è un supermercato enorme, non credo l’abbia messa in bella vista al negozio di spezie, reparto cannella!-
Continua lui scettico, mentre sterza a sinistra.
-Nel video si capisce che è nascosta in un posto buio, con una piccola luce che non illumina praticamente nulla…-
-…e in cui c’è freddo! Se lo rapportiamo ad un supermercato può essere un deposito, una cella frigorifera o una cantina.-
Conclude il capitano, tenendosi bene ancorata al sedile con una mano, mentre con l’altra compone il numero del Morton Williams, chiedendo del direttore.
-Meglio che ci aspetti all’entrata, così non perdiamo altro tempo…-
Una frenata la catapulta in avanti e subito dopo all’indietro, quando Esposito riparte a razzo.
-…sempre che arriviamo vivi!-
Svoltano sulla Park Avenue South e parcheggiano davanti all’insegna con la scritta rossa Morton Williams Supermarkets, contemporaneamente all’auto di Ryan, sopraggiunto dalla parte opposta, insieme a Gordon Russell.
-Avrei dovuto ammanettarlo al palo davanti a distretto per impedirgli di venire con me!-
Si giustifica con il capitano, mentre corrono all’entrata del negozio, dove un uomo in giacca e cravatta li aspetta con l’aria tesa.
 -Capitano Victoria Gates, ho parlato con lei poco fa?-
L’uomo annuisce porgendole la mano.
-Sono David Francis, il direttore. Come posso aiutare?-
-Avete delle stanze refrigeranti all’interno?-
Il direttore annuisce ancora, mentre li precede.
-Certo, abbiamo il deposito dei surgelati e quello della macelleria. Si trovano in fondo al negozio, vi faccio strada.-
Kate lo ferma sfiorandogli il braccio.
-Aspetti un momento. Si può accedere solo dall’interno?-
-Si. L’entrata è sul retro, ma si deve comunque passare per il deposito.-
Lei si ferma a riflettere, guardandosi intorno.
-E c’è sempre qualcuno?-
-Questo posto è aperto 24 ore su 24, il deposito è sempre in movimento, sul retro abbiamo anche le cucine in cui prepariamo i prodotti gastronomici. Ogni 8 ore c’è il cambio degli impiegati, che entrano ed escono da lì… si, direi che c’è sempre qualcuno.-
-Non può averla nascosta lì dentro.-
Esclama Esposito.
-Avrebbe dato per forza nell’occhio.-
-Il video parla chiaramente di un posto buio e freddo, deve essere per forza un frigo, un container con termostato…-
Riflette Beckett e il direttore si gira di colpo, sollevando la mano, come se avesse avuto un’illuminazione.
-Ci sono le cantine!-
Si guardano confusi e lui continua annuendo.
-Questo negozio è provvisto di sotterranei che fino a qualche anno fa venivano usati come cantine o celle frigo. Poi abbiamo ristrutturato tutto e costruito le celle refrigeranti direttamente in negozio. Sono in disuso, saranno almeno 5 anni, però esistono ancora e, per quel che ne so, gli impianti sono fermi, ma funzionanti. Si accede dall’esterno, dal parcheggio. Prendo le chiavi.-
Corrono fuori per fare il giro del palazzo, mentre l’ambulanza fa il suo ingresso nello stesso momento nel parcheggio del supermercato.  L’accesso ai sotterranei è dato da due porte di ferro, che danno su una scala che va verso il basso. Si ritrovano al buio, circondati da pareti ammuffite. Il posto è sicuramente abbandonato da tempo, come ha detto il direttore. Un lungo corridoio mostra 5 porte blindate a destra e 7 sulla sinistra.
Si sparpagliano per aprire ognuno una porta, quando Kate si ferma all’improvviso accanto alla quarta sulla destra.
-Non sentite niente?-
Sussurra, facendo avvicinare gli altri, che scuotono la testa, credendo si riferisse ad un rumore o un suono, ma lei chiude gli occhi e annusa l’aria.
-Cannella! Questo è profumo di cannella…-
Si avvicina alla porta continuando ad annusare, mentre i colleghi fanno altrettanto e annuiscono.
Tenta di aprire la porta, senza però riuscirci.
-E’ qui dentro Espo, dammi una mano. Il profumo viene da qui, ed è anche forte…-
Esposito, aiutato da Ryan, ruota un pesante saliscendi che blocca ermeticamente la porta ed un profumo nauseante di cannella, misto a muffa e umido, li avvolge appena entrati. Una piccola luce grigiastra contrasta con le luci delle loro torce e il freddo gelido che proviene dall’interno li investe all’improvviso.
Quello che non si riusciva a vedere dal video scuro, si rivelano essere scaffali vuoti attaccati alle pareti, che danno loro l’idea della profondità della cella, una stanza di circa due metri per tre, piena di scatoloni vuoti.
Li scostano velocemente, puntando i fasci di luce delle torce alla ricerca della ragazza. Si guardano intorno, dopo aver liberato la stanza, senza risultato.
-Forse abbiamo sbagliato tutto Beckett!-
Esclama Esposito continuando a puntare gli occhi sbarrati in ogni angolo.
-Il posto è questo, o il termostato non sarebbe in funzione.-
Risponde Kate, chinandosi sotto un paio di scaffali posti poco più in alto degli altri. Punta la torcia sull’ombra che ha attirato la sua attenzione e scosta quella che si rivela essere una coperta.
-E’ qui…-
Esclama buttando la torcia a terra, afferrando la ragazza per le spalle, aiutata dai colleghi.
-Jessica!-
La voce di Gordon li fa sussultare. Erano così intenti nella ricerca che non si sono resi conto che il giovane li aveva seguiti nei sotterranei. Entra di corsa, chinandosi accanto alla ragazza, mentre Kate le mette le dita sul collo.
-E’ viva! Portiamola fuori.-
Gordon la prende tra le braccia, mentre le lacrime gli offuscano la vista e i paramedici lo aiutano a distenerla sulla lettiga.
Si china su di lei accarezzandola.
-Jessica, sono qui tesoro. Sono qui…-
Kate gli mette una mano sulla spalla e lui si volta, tremando.
-Lascia che i medici facciano il loro lavoro.-
Il giovane annuisce, lascia a malincuore la mano della sua ragazza e resta con gli occhi fissi su di lei, mentre un medico le mette l’ossigeno ed una flebo. La ricoprono con una coperta termica e la caricano sull’ambulanza.
-Io vado con loro.-
Sussurra Kate al capitano, aiutando Gordon a salire accanto a Jessica. La Gates annuisce e quando l’ambulanza si allontana, si passa la mano tra i capelli e sospira.
-Seguiamoli e vediamo di trovare questo bastardo!-
 
 
Era a casa da un’ora.
Appena rientrato aveva copiato il video sul portatile e caricato in rete la sua opera.
Gli sarebbe piaciuto restare nei dintorni. Avrebbe voluto vederla arrivare… sapeva che sarebbe arrivata, sapeva che avrebbe capito il suo messaggio, ma doveva avere il tempo di abbandonare la macchina e caricare il video.
Alle 9.17 si era chiuso alle spalle la porta di casa e si era messo a lavoro.
Gli indizi li aveva lasciati sull’auto che aveva abbandonato fuori città, subito dopo aver nascosto la sua nuova preda.
Aveva abbandonato la macchina in quel posto proprio perché era un luogo di caccia, anche con la neve i cacciatori si divertivano ad uccidere animaletti piccoli e indifesi, solo per il piacere di farlo… come lui…
Aveva scelto quel posto perché sapeva che la vecchia Berlina bianca di Grayson sarebbe stata segnalata subito.
Tutto doveva essere perfetto e sincronizzato.
Finito il lavoro, con calma si era ripulito il viso.
Si era guardato allo specchio a lungo, mentre toglieva con cura la barba finta.
Poggiava due dita su di essa e con l’altra mano scollava pian piano la parte libera.
Era un lavoro preciso. Una mossa falsa, un gesto veloce e i suoi travestimenti sarebbero stati vani.
Tolse le lentine colorate. Verdi… come i suoi occhi!
Si lavò il viso con l’acqua fredda, prese una goccia di lozione protettiva, sfregò le mani tra loro per impregnarle per bene e poi le passò sul viso, dove la colla gli aveva irritato la pelle.
Si asciugò con cura e rimase a guardarsi.
-Sei soddisfatto?-
Gli chiese il riflesso sorridente davanti a lui, che annuì semplicemente, senza dire una parola.
Spense la luce e si sedette alla piccola scrivania, accese il portatile e rimase a guardare il foglio bianco di word, sul cui centro in alto spiccava la parola EPILOGO.
Sorrise.
Soddisfatto.
L’aveva vista tremare, piangere, disperarsi.
L’aveva vista piccola in confronto al cielo grigio sopra di lei.
L’aveva vista inerme contro il dolore.
Certo che era soddisfatto!
L’aveva seguita fin sotto casa sua.
L’aveva vista entrare dal portone con lo sguardo vuoto.
Distrutta.
Tanto distrutta che non aveva sentito la sua presenza, non si era voltata come aveva fatto negli ultimi giorni, a cercare quello sguardo invisibile alle sue spalle.
Si… era soddisfatto, così tanto che decise di lasciarla libera e dedicarsi ad altro… sempre per lei….
Ora doveva rilassarsi, sistemare l’ultimo capitolo e seguire le ultime ore dello scrittore.
Aprì l’unico cassetto centrale della sua nuova scrivania e prese le tabelle compilate dal Professore.
Scorse le pagine, saltando le prime due e il resto delle spiegazioni, inutili per lui, che il Professore si era preso la briga di segnare e passò alla tabella che lo interessava.

 
  • Dopo 24/30 ore dal contagio, la situazione ematica si presenterà completamente alterata. Il sangue non riuscirà più a supportare la normale circolazione e l’apporto dell’ossigeno e delle sostanze importanti che l’organismo ha bisogno perché l’individuo continui a sopravvivere.
 
  • L’organismo si troverà in deficit a livello muscolare. Le terminazioni nervose risponderanno agli impulsi cerebrali con lentezza e la forza dell’apparato muscolare subirà una sorta di paralisi, che renderà difficile o praticamente nulla la deambulazione o qualsiasi altro movimento legato agli arti, sia inferiori che superiori.
 
  • L’individuo presenterà un aumento della temperatura corporea, che con il passare delle ore potrebbe arrivare anche a livelli molto elevati.
 
  • Da questo momento in avanti l’organismo può reagire in maniera diversa, a seconda anche della resistenza fisica del soggetto in esame. Rapportando la reazione della cavia al corpo umano, l’individuo potrebbe ancora sopravvivere per altre 20/30 ore. Tempo che può prolungarsi o ridursi repentinamente a causa dell’insorgere di una qualsiasi complicazione a livello organico.
 
Gettò le tabelle sulla scrivania, sbuffando.
L’ultima parte non era da contemplare.
Lo scrittore doveva soffrire ancora per parecchie ore.
Era un uomo forte, avrebbe resistito.
Aveva già abbozzato il nono capitolo, doveva solo perfezionarlo e stamparlo… poi si sarebbe occupato dell’epilogo.
Rimase a fissare lo schermo del portatile che rifletteva la luce bianca del foglio ancora vuoto e che lo illuminava in maniera sfocata, in contrasto con il buio che regnava nella stanza.
Non si era preso la briga di aprire le imposte per lasciare entrare quei pochi raggi di luce grigiastra, che si erano fatti largo tra le nuvole con forza.
Erano ormai le 10.30 del nuovo giorno.
Le prime 25 ore erano trascorse, di angoscia per lei, di emozione ed adrenalina per lui.
In quel momento Nikki stava lavorando ancora di cervello per cercare di salvare la vita alla ragazza dai capelli lunghi e neri.
In quel momento non stava pensando allo scrittore, ma soltanto a correre ancora contro il tempo per vincere… almeno stavolta.
Se lo meritava dopotutto. Era giusto che avesse un premio…
Nikki era la protagonista perfetta per la sua storia.
Nonostante il dolore ed il peso della colpa, sapeva che non si sarebbe arresa.
Non quando la vita in pericolo non era la sua.
In quelle 25 ore l’aveva osservata, le aveva parlato, l’aveva sfidata in una corsa sfrenata per le strade di New York, era stato ad un solo passo da lei, le sue mani lo avrebbero afferrato se le porte del treno non si fossero chiuse al momento giusto, come se lui stesso avesse dato l’ordine attraverso la forza della mente.
Aveva amato quegli occhi pieni paura, incollati sulla boccettina che teneva tra le dita.
L’aveva vista correre verso il fumo nero della sua esplosione, l’aveva vista correre verso le fiamme, senza curarsi che avrebbero potuto risucchiarla all’inferno.
Lei era già ai piedi dell’inferno e, pur di non entrarci del tutto, avrebbe rischiato qualunque cosa.
Sorrise ancora… non poteva evitarlo.
Le labbra si muovevano verso l’alto senza che lui se ne accorgesse.
Abbassò lo schermo del portatile e il buio lo avvolse, disegnando sul suo viso piccole linee trasversali provenienti dalle fessure delle tapparelle.
Si tolse il laccio attaccato al collo, sollevò la boccetta davanti agli occhi e la guardò ammirato, riponendola poi con cura nella sua scatola.
Era tempo che fosse messa al sicuro.
Si  appoggiò alla spalliera della sedia e il suo pensiero si soffermò sul titolo del nono ed ultimo capitolo.
Ogni capitolo l’aveva spinta di un passo verso la porta dell’inferno.
L’ ultimo capitolo l’avrebbe fatta entrare.
L’epilogo l’avrebbe risucchiata per sempre…


Angolo di Rebecca:

La nostra squadra è riuscita a salvare Jessica, tra lo scetticismo di Esposito e la complicità di un capitano Gates, che si è documentata bene :3
Il nostro amico Scott Dunn fa il figo con se stesso allo specchio.
E' soddisfatto... bello lui...

Al prossimo, se vi va e grazie :*

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Capitolo 37
*** Scontro con la Realtà ***






 

Capitolo 37  
 

Il taxi correva. Si sporse dal sedile posteriore per guardare il contachilometri. La lancetta segnava i 140.
Uno strattone improvviso lo fece ricadere all’indietro e, mentre si guardava intorno per cercare di capire dove lo stesse portando, si chiese mentalmente il motivo di quella corsa sfrenata.
Non c’era traffico, non c’erano auto né davanti, né dietro a loro e la cosa strana era che non si vedeva altro che neve.
Bianco. Bianco e deserto ovunque.
Destra, sinistra, avanti e indietro… il nulla ricoperto di bianco!
Cercò di riprendere l’equilibrio, per sistemarsi meglio a sedere, ma avrebbe preferito accucciarsi a terra, tra i sedili, in modo da non guardare fuori dall’abitacolo. Quel bianco infinito gli toglieva il respiro.
Gli occhi impauriti si posarono per caso sullo specchietto retrovisore e lo sguardo freddo ed imperturbabile del tassista lo fulminò.
Deglutì a fatica, la gola era secca e la lingua impastata. Arsa. Il cuore pompava velocemente. Voleva scendere da quel taxi, ma non sapeva come fermarlo.
Cercò di parlare, ma le labbra sembravano incollate tra loro e provare ad aprirle con forza gli provocò dolore, come se la pelle potesse staccarsi e lasciargli in bocca il sapore terribile del sangue.
Non riuscì nemmeno a sollevare la mano. Era pesante. Se avesse avuto un mattone al posto delle dita, sarebbe stato più facile muoverla.
Corrucciò la fronte cercando di capire come uscire da quella strana situazione.
Perché era salito su quel taxi?
Perché non era andato a piedi, ovunque dovesse andare?
Strinse la mandibola, sentendo dolore anche per questo movimento.
Dove doveva andare?
Il taxi frenò di botto e lui si ritrovò catapultato in avanti, con la faccia ad un paio di centimetri dalla figura strana che guidava.
Sollevò lo sguardo incatenandolo a quello freddo del tassista, quando lui si girò.
La sua faccia era colorata e il suo naso sembrava una pallina da ping pong rossa. Anche i suoi occhi avevano lasciato il gelo per le fiamme dell’inferno. Rossi. Rossi come il fuoco.
Allargò la bocca in un sorriso, che si trasformò in una smorfia spaventosa, mostrò i denti aguzzi e la sua risata risuonò forte e limpida nell’auto. Rimbombò nelle sue orecchie ed il respiro gli si bloccò nella gola. Quella gola secca che non gli permise di emettere suono, mentre il clown si ingigantiva sempre di più, sovrastandolo e soffocandolo con tutta la sua grandezza.
 
Il silenzio torna improvviso quando la neve ghiacciata gli gela la faccia. E’ così fredda che gli provoca dolore. Si rende conto che il silenzio che credeva di percepire, è invece interrotto da un suono ovattato.
Possibile che quella risata infernale lo avesse reso sordo?
Cerca di concentrarsi, la neve è sparita. C’è solo il buio. E quel suono.
Il freddo della neve sul viso sparisce e, nonostante senta la pelle umida, si rende conto che quel gelo gli dava refrigerio e non dolore. Si concentra ancora una volta sul suono che diventa sempre più chiaro.
Una voce. Una voce femminile.
Non era su un taxi, non c’era neve intorno a lui e soprattutto niente clown.
Corruccia la fronte, stringe gli occhi e s’impone di aprirli, rendendosi conto che è appena riemerso da un incubo.
Trattiene ancora il respiro quando davanti si ritrova l’incredibile e odioso bianco delle pareti della stanza che lo circondano, candide come quella neve infinita, che dovrebbe portare pace al cuore e che invece lo ha terrorizzato. Grazie al cielo,  il clown terrificante è scomparso dalla sua mente, adesso sveglia.
-Signor Castle, cerchi di calmarsi e di respirare profondamente.-
Adesso la voce è limpida e comprensibile, vicinissima a lui che, con lo sguardo sfocato, ruota gli occhi alla sua sinistra e finalmente si ritrova a respirare.
-Edith!-
L’infermiera sorride a quel sussurro e gli passa ancora una volta un panno umido sul viso e sulla fronte.
La neve gelata…
Che sollievo quel fresco umido sulla pelle. Si sente bruciare e le tempie pulsano ad intermittenza.
-Beva un po’ d’acqua, ha le labbra secche.-
Gola secca ed arsa…
Ripercorre le ultime immagini del suo incubo, ma accantona subito l’idea di capire cos’altro ha sognato, rendendosi conto che è assetato come se non toccasse acqua da mesi. Beve lentamente, a piccoli sorsi. Nonostante la sete, la difficoltà ad inghiottire gli fa sfuggire l’acqua dalla bocca e si sente in imbarazzo, quando Edith gli asciuga le labbra ed il mento.
-Mi scusi, non riesco a mandarla giù.-
L’infermiera poggia il bicchiere sul comodino e sorride, scuotendo la testa, per fargli capire che non ha nulla di cui scusarsi.
-Che ore sono?-
Le chiede confuso. L’ultima cosa che ricorda è la mano di Kate stretta alla sua e il suo sorriso triste.
Si è addormentato senza rendersene conto e quando Edith gli risponde che sono da poco passate le 11.30, capisce che Kate è lontana da lui ormai da quasi cinque ore.
Cinque ore in meno…
Segue i movimenti di Edith, pronta per fargli un altro prelievo e sospira. Gira la testa e posa lo sguardo fuori dalla finestra. Il cielo è sempre grigio, ma non piove più.
-Ieri a mezzanotte era già di turno, non dovrebbe aver finito per oggi?-
Chiede soffermandosi a guardarla, mentre sistema la provetta piena di sangue su un vassoietto di acciaio lucido.
-Un po’ di straordinario non ha mai fatto male a nessuno.-
Gli risponde sempre con il sorriso sulle labbra.
-I bambini sono a scuola fino alle quattro e mio marito rientra solo stasera. Mi annoierei a casa, così sarò tutta sua ancora per qualche ora.-
Gli strizza l’occhio passandogli ancora il panno bagnato sulla faccia, per rinfrescarlo.
-Come si chiamano?-
La domanda di Castle la lascia un attimo perplessa.
-I suoi bambini, come si chiamano?-
Lei arrossisce per non aver capito subito la domanda. Sorride ancora e Castle si ritrova a pensare che ha un sorriso dolce, quasi materno anche verso di lui.
-Michelle ha 10 anni e Matthew 7 e sono due monelli.-
Risponde ridacchiando, facendo sorridere anche lui.
-Ma senza non potrebbe più vivere…-
Sussurra lui guardandola con gli occhi lucidi.
Edith glieli vede brillare quando li sposta verso la porta chiusa e si sente stringere il cuore.
-Sua figlia è qui fuori, insieme a sua madre. Sono rimaste con lei fino a poco fa, quando ho chiesto loro di uscire per il prelievo.-
Lui annuisce, senza guardarla.
-Devo aver dormito profondamente, perché non le ho sentite.-
-Tra un attimo rientreranno.-
Glielo dice per rassicurarlo, ma lui sente un dolore nelle viscere, che non ha nulla a che vedere con la sostanza che lo sta  uccidendo.
-Vorrei che non fossero qui…-
Sussurra di getto, senza pensare. Il suo cervello continua ad essere razionale su quello che sarebbe successo da lì in avanti e non sopporta di perdersi nel dolore della sua famiglia.
-Che sciocchezza! Sono dove devono stare.-
Gli risponde Edith, sorridendo ad una decina di centimetri dalla sua faccia.
Sono dove devono stare…
-Pochi minuti fa è arrivato anche suo padre.-
Rick solleva un sopracciglio guardandola a bocca aperta.
Mio padre?
Riesce a formulare la domanda solo nella sua testa perché la voce non ne vuole sapere di uscire e Edith annuisce, sempre sorridendo.
-Se mi posso permettere però, trovo che lei somigli tanto a sua madre.-
Lui sposta lo sguardo davanti a sé corrucciando la fronte.
-Si, lo penso anch’io!-
Le risponde increspando le labbra in un sorriso spontaneo. L’infermiera gli sistema la coperta sul braccio e, dopo aver preso la provetta, apre la porta per andarsene.
-Porto questa in laboratorio, ci vediamo più tardi signor Castle.-
-Grazie Edith!-
Per la seconda volta la ringrazia di cuore e per la seconda volta la vede arrossire.
Si gira per andarsene e il sorriso sulle sue labbra sparisce, cosa che non sfugge a Castle, che deglutisce pesantemente, sentendo un groppo che gli stringe la gola. Quello sguardo rattristato all’improvviso era per lui, per le sue condizioni, per la sua sorte.
Più tardi…
Sospira riportando lo sguardo fuori dalla finestra.
Sente la voce del dottor Travis chiederle qualcosa e Edith rispondere con un sussurro.
-La temperatura è salita ancora, dottore.-
 
 
Il dolore lo riportò in sè, muovere le palpebre lo fece gemere, perciò decise di aspettare un paio di secondi, prima di sollevarle.
Si portò la mano alla tempia, stringendo i denti, come se questo potesse allentare la morsa che sentiva alla testa, aprì gli occhi e si ritrovò a guardare un soffitto che conosceva, senza riuscire a ricordare perché fosse ancora lì.
Ricordava di essersi alzato di colpo, colto dalla paura e di essere corso per le strade fredde e buie.
Aggrottò la fronte e voltò lo sguardo verso la finestra. Il cielo era grigio e senza un barlume di sole, ma era giorno.
Come mai ricordava il buio e la sua corsa sfrenata in piena notte verso…
Corrucciò ancora di più la fronte… verso dove?
Cercò di alzarsi, facendo perno con le braccia contro il materasso, ma le sue povere ossa scricchiolarono e il dolore lo bloccò per un attimo.
Chiuse gli occhi e, sospirando, si rimise supino sul letto, cercando di fare mente locale e ricordarsi perché fosse di nuovo nella sua vecchia camera.
Non poteva aver sognato tutto. Era sicuro di essere corso via.
Si portò ancora una volta la mano alla tempia, che non la smetteva di pulsare violentemente. In quel momento si rese conto di avere le mani sporche di un miscuglio nero e rosso e, nello stesso momento sentì la puzza di fumo.
Si sollevò a sedere di colpo come la sera prima, come quando era stato preso dal panico per la consapevolezza di quello che poteva succedere.
Chiuse gli occhi e respirò piano per attutire il dolore che s’irradiò in tutto il corpo, a causa del movimento veloce ed improvviso e, nel buio della sua mente, si materializzò la sua mano che apriva la porta della casa del Professore. Ricordò la sua voce ingoiata dalla paura e i suoi occhi spalancati su quella lucetta rossa che lampeggiava insieme allo scalare dei numeri digitali.
Sette, sei, cinque…
Si era voltato di scatto, correndo più velocemente possibile, continuando mentalmente il conto alla rovescia, mentre il rimbombo del bip all’interno della casa preannunciava morte.
Quattro…
Si era voltato di scatto per correre via, consapevole che non sarebbe riuscito, in soli quattro secondi, a fermare il timer.
Tre…
Correva via per quello strano istinto di sopravvivenza che aveva portato il Professore a diventare complice del suo stesso assassino.
Due…
Nella sua testa il conto alla rovescia arrivò alla fine. Le gambe si fermarono di colpo tremando.
Uno…
Qualunque fosse stata la distanza da quella casa, ormai non aveva più nessuna importanza.
Zero…
L’onda d’urto lo aveva colpito e scaraventato all’indietro e l’unica cosa che era riuscito a sentire era stato il dolore.
Dolore nelle ossa, dolore nelle membra… dolore nel cuore.
Riaprì gli occhi e lasciò che lo sguardo vagasse fuori dalla finestra della sua stanza, perdendosi ancora nel ricordo del momento in cui si era svegliato in mezzo al fumo, alla cenere, alle fiamme a pochi passi da lui, al frastuono di sirene che sentiva ovattate per le orecchie ancora intontite dallo scoppio.
Si era guardato intorno spaesato, era riuscito a mettersi seduto a fatica e, con ancora più fatica si era messo in piedi, barcollando per un paio di passi. Si era passato la mano sull’occhio destro rendendosi conto che dalla tempia perdeva sangue.
Si trovava sul retro della casa, nascosto dalle macerie e dal buio, spezzato soltanto dalle fiamme sempre più alte.
Sentiva urlare, senza riuscire a capire le parole, così si era nascosto ad osservare con la speranza che, come lui, anche il Professore in un modo o nell’altro, si fosse salvato.
Spostò lo sguardo dalla finestra alla penombra della stanza davanti a lui quando sentì gli occhi umidi, si passò la mano sulla guancia e deglutì, tornando ancora indietro nel tempo, a quel camice bianco macchiato di sangue, a quella sagoma inerme ed immobile sotto la grande quercia che non aveva potuto proteggere il suo povero amico.
Strinse i pugni e le lacrime presero strada sulle guance, tracciando solchi chiari sulla fuliggine dell’esplosione.
Il Professore non era morto nello scoppio. Quel mostro lo aveva sgozzato come un animale.
Si ritrovò a singhiozzare come un bambino, gli stessi singhiozzi che lo avevano sorpreso davanti a quel corpo senza vita attorniato da gente sconosciuta. Le stesse lacrime che aveva continuato a versare, quando aveva visto la vittima di quel veleno atroce, accasciarsi a terra a pochi metri dalle fiamme.
Il suo corpo lo riportò alla realtà con uno spasmo alla schiena. Sospirò pesantemente guardandosi intorno in cerca della sua tracolla. Doveva avere ancora le ultime due dosi della sua medicina, quella salvezza che il Professore aveva tanto studiato e solo per lui.
Vide la borsa a terra, ai piedi del letto, scese con difficoltà, la aprì e prese una delle due fialette.
La strinse nelle mani e chiuse gli occhi…
Era riuscito a trascinarsi senza essere visto, erano tutti impegnati a spegnere le fiamme e a spostare macerie per accorgersi di lui. Si era incamminato verso casa… voleva solo tornare a casa e chiudere gli occhi…
Così si era ritrovato sul suo letto.
Bevve la medicina mischiando il suo sapore dolciastro a quello salino delle lacrime che continuavano a lavargli il viso, si portò al petto le mani strette sulla fialetta vuota, immaginando il Professore solo, in quella casa, ad aspettare la morte e, per la prima volta nella sua vita, si rese conto di che cosa volesse dire odiare.
Lo odiava!
Odiava quel mostro con tutte le sue forze. Odiava il modo in cui si era innalzato al posto di Dio.
Odiava il modo in cui non rispettava la vita in nessuna sua forma.
Odiava se stesso per non essere riuscito a mettere fine a tutto, prima ancora che cominciasse.
Si asciugò le lacrime con rabbia, guardò dentro la borsa l’ultima fialetta della sua cura miracolosa, la sfiorò con le dita sorridendo amaramente, pensando a quanto fosse felice il Professore quando aveva capito di avere trovato la cura per lenire le sue pene.
Sospirò e fece per richiudere la tracolla, quando notò quella busta da lettera bianca sul fondo.
Corrucciò la fronte, la prese e la rigirò tra le mani.
Gli si fermò il respiro quando lesse il suo nome sul retro, scritto con la calligrafia del Professore.
Sollevò il lembo della chiusura e con le mani tremanti perse il foglio ripiegato all’interno.
‘Abraham, mio buon amico…’


Angolo di Rebecca:

Riccardone che sogna il clown terrificante... brrrr!!!
Meno male che Edith è dolcissima con lui :D

Uhhhh... guarda chi si vede?! Abraham!!! Finalmente... anche se non è stato Ryan a darci notizie di lui (vero Virginia???)
e che ha trovato nella sua sacca?!


 

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Capitolo 38
*** Confidenze... ancora ***








 
Capitolo 38
 
 

Aveva lasciato l’ospedale soltanto cinque ore prima.
In quel lasso di tempo era passata dalla disperazione, alla resa, allo scuotimento, fino a risalire da quel vuoto che sentiva dentro, tornando abbastanza lucida da riuscire a vincere una battaglia contro Dunn, almeno era quello che sperava appoggiata al muro di quella sala d’aspetto, con l’incognita di sapere se Jessica Benton fosse veramente salva.
Aveva rivissuto gli stessi movimenti e le stesse sensazioni degli ultimi due giorni, correndo dietro ad una barella, con l’unica immagine fissa di una mano tremante stretta ad una inerme, piccola e fredda.
Aveva seguito con lo sguardo la barella sparire dietro la porta in movimento e si era allontana di poco, restando a guardare Gordon.
Non riusciva a togliergli gli occhi di dosso. Lo sguardo fisso, i pugni stretti e la mascella contratta. Così fermo che sembrava  trattenere il respiro per non perdere la concentrazione nel tenere d’occhio la porta chiusa.
Le erano ripiombati addoso gli ultimi due giorni, rivedendosi nello sguardo impaurito e fisso di Gordon.
Castle si trovava ricoverato in una stanza qualche piano sopra di lei, avrebbe voluto salire le scale di corsa e stendersi sul letto accanto a lui, sentire la sua pelle vicina, il suo profumo, vedere il suo sorriso, ma sapeva benissimo che fare un paio di rampe di scale non le avrebbe portato nessun sorriso.
Ryan l’aveva ragguagliata per telefono sul rapporto dei vigili del fuoco. La pioggia aveva contribuito a spegnere l’incendio, ma comunque non era rimasto molto tra le macerie. L’esplosione era stata causata da tre ordigni al plastico, con timer sincronizzato, posizionati in tre punti fondamentali della casa: laboratorio, cucina e corridoio della zona notte al primo piano. Erano state rinvenute, inoltre, tracce di accelerante per questo le fiamme avevano preso piede immediatamente anche tra le macerie. Dunn non intendeva lasciare tracce di alcun genere, ed aveva fatto sicuramente un buon lavoro, partendo direttamente dalle fondamenta. Proprio nel laboratorio, erano stati rinvenuti i resti di una cassaforte interrata nel pavimento, ma qualunque cosa custodisse, era andata letteralmente in fumo, nonostante la piombatura delle pareti.
Il padrone di casa aveva confermato che Abraham Pratt viveva insieme al Professore, sbrigava le faccende per lui dentro e fuori casa, pagava l’affitto e faceva la spesa. Lo aveva descritto come un uomo sui trent’anni, smilzo e basso, probabilmente affetto da artrite, visto che zoppicava vistosamente e andava sempre ricurvo. Da quel poco che lo aveva conosciuto, gli era sembrato un ragazzo mite, silenzioso, ma sempre sorridente, nonostante la sua sofferenza fisica non passasse inosservata. Non aveva saputo dire altro su di lui.
L’ultimo capitolo di Dunn parlava, oltre che della morte del Professore, anche di quella del suo amico piccolo e storpio.
I vigili del fuoco però, non erano stati in grado di affermare se tra le macerie ci fossero resti umani, l’esplosione era stata potente ed il fuoco aveva finito il lavoro. La certezza l’avrebbero avuta soltanto attraverso le analisi dei reperti raccolti e per questo sarebbe servito altro tempo.
Abraham quindi poteva essere ancora vivo. Esposito si era preso il compito di fare ricerche approfondite, sia alla scuola dove aveva conosciuto il Professore, sia all’Anagrafe del Comune, per trovare tracce su di lui e su una sua probabile famiglia, prima che iniziasse a lavorare e di conseguenza a vivere nell’istituto privato femminile.
Ma questo a cosa sarebbe servito? Poteva Abraham Pratt sapere qualcosa sul lavoro svolto dal Professore?
Si guardò intorno attentamente, medici ed infermieri entravano ed uscivano indaffarati dai reparti, inservienti si muovevano silenziosamente nell’atrio, manovrando i macchinari appositi per le pulizie. Ogni faccia, ogni espressione, ogni fisionomia, poteva non essere quella che sembrava. Eppure la sensazione che aveva sentito fino a poche ore prima, quella sensazione che l’aveva tenuta in ansia e sulle spine negli ultimi giorni, era sparita all’improvviso. Se qualcuno le avesse chiesto sotto giuramento cosa pensasse, lei avrebbe risposto senza nessun dubbio che lui non era lì. Scott Dunn non la stava spiando. Non al momento almeno.
Scosse la testa, cercando di trovare risposte a tutti i quesiti che le ronzavano nel cervello, riportando lo sguardo su Gordon che continuava a fissare la porta che nascondeva la corsia di Medicina Generale.
Chinò la testa, si portò la mano al petto stringendo, attraverso, i vestiti la sua collanina. Le mancava poter discutere con Castle, le mancava fare supposizioni, partendo anche dalla cosa più sconclusionata per poi arrivare insieme ad una soluzione. Si sentiva come se da sola non riuscisse a ragionare in maniera sensata.
Sorrise a se stessa, pensando all’ego di Castle se solo gli avesse accennato una cosa del genere. Non riusciva a credere come ogni pensiero, ogni movimento, ogni sensazione la riportasse a qualcosa vissuta con lui.
Ricordò  i suoi  occhi pieni di lacrime che guardavano le foto di Stephan Grayson con la moglie.
Non c’è nessuna foto di lui da solo… come se avesse vissuto soltanto dopo averla incontrata e dopo sia morto con lei…
Chiuse gli occhi deglutendo, rivedendo se stessa in quelle foto. Ritratti di attimi vissuti con Castle e poi il vuoto.
Sollevò lo sguardo ancora una volta su Gordon ed, istintivamente, prese la lettera dalla tasca interna del giaccone tenendola stretta tra i palmi delle mani. Si allontanò dal muro a cui si era appoggiata fino a quel momento e prese posto su una delle sedie dell’anticamera, sporgendosi in avanti, con i gomiti sulle ginocchia ed il viso appoggiato alle mani che stringevano ancora quel foglio ripiegato in quattro, come a rileggerne mentalmente le parole, come se fosse proprio la voce di Castle a pronunciarle.
 
Il profumo di caffè la riscuote. Si ritrova un bicchiere fumante davanti agli occhi e sorride forzatamente.
-Grazie capitano.-
Sussurra riponendo in fretta la lettera nella tasca vicina al suo cuore e prendendo il bicchiere.
-Ancora nulla?-
Le chiede la Gates, facendo cenno verso Gordon, mentre si siede accanto a lei e beve un sorso del suo caffè.
Kate scuote la testa guardando nella stessa direzione per poi spostare lo sguardo sull’orologio appeso al muro.
-Alla fine siamo qui soltanto da venti minuti.-
La donna guarda automaticamente il suo orologio da polso e sospira.
-Venti minuti soltanto? Stiamo vivendo freneticamente senza notte né giorno da così tante ore, che ho l’impressione di essere qui da un’eternità!-
Kate stringe il bicchiere tra le mani per assorbirne il calore, corrugando la fronte, mentre fissa ancora Gordon.
-E’ strano come stare fermi e immobili davanti a quella porta faccia sentire utile, come fosse più facile reagire se dovesse succedere qualcosa di brutto, mentre invece fare solo quattro passi indietro e stare seduto, rende improvvisamente inutile e fragile…-
Dice tutto d’un fiato ed in solo sussurro, sente gli occhi umidi e si rende conto che il capitano la sta osservando. Si riscuote da quel pensiero che l’ha portata indietro di qualche ora e, cercando di ricomporsi, poggia le labbra sul bicchiere. Il profumo intenso le arriva alle narici e chiude gli occhi assaporando il calore del vapore che le avvolge il viso, continuando a sentire lo sguardo di Victoria Gates che la scruta, come a volerle leggere il cervello.
-Mi fa piacere vedere che sei tornata lucida!-
Esclama all’improvviso il suo capitano, riportando lo sguardo verso Gordon e Kate la guarda con espressione interrogativa.
-Stanotte non lo eri. Dopo aver perso Dunn nella metropolitana non sei più stata nel pieno delle tue capacità.-
Solleva le spalle e beve un altro sorso di caffè.
-E’ anche comprensibile, questo non è un caso come tanti…-
Si gira a guardarla sorridendo.
-…non lo è per nessuno del nostro distretto e certo, non può esserlo per te. Devo ammettere che dopo il ricovero di Castle ero preoccupata, per un paio d’ore non ho più saputo nulla di te ed Esposito, ma quando siete arrivati al lago stamattina, ho ritrovato la mia detective, con gli occhi arrossati e le occhiaie, ma lucida e pronta.-
Kate abbassa lo sguardo sul suo bicchiere.
-Che c’è Beckett… sei sorpresa? Se queste parole le avesse pronunciate il capitano Montgomery, lo avresti trovato più normale!-
Lei resta immobile, sempre con gli occhi sul liquido nero che riempie il suo bicchiere ormai per metà.
Ammiro la tua devozione verso Montgomery… spero che un giorno la proverai anche per me…
Le torna in mente il giorno in cui il capitano Gates le ha detto quella frase e adesso sta cercando di farle capire che spera ancora, che ha sempre visto come una sua pecca personale il fatto che lei non si sia mai confidata.
Scuote la testa sempre senza alzare lo sguardo.
-Per niente… stavo solo pensando che mi dispiace che lei ed io non abbiamo mai parlato apertamente!-
Il capitano fa una smorfia, posando il suo bicchiere a terra.
-Anche a me…-
Kate annuisce e storce le labbra.
-A proposito! Ho saputo che ha torchiato Castle. Non è stato carino da parte sua, lo ha preso in un momento di debolezza.-
-Io non ho torchiato nessuno, ho solo fatto una domanda e lui ha risposto. Mi sono stupita di come una faccia tosta come lui possa perdersi in un bicchiere d’acqua e rispondere balbettando in modo goffo!-
Kate scuote la testa e la Gates la guarda seria.
-Devo ammettere che quando balbetta è adorabile!-
A questo punto anche Kate la guarda negli occhi e si ritrovano a ridere insieme. Dopo un attimo di silenzio in cui i loro sguardi si scrutano, Kate sospira.
-Capitano, per quanto riguarda me e Castle…-
La donna la ferma subito sollevando la mano.
-Non sono affari miei. Abbiamo altro a cui pensare adesso.-
Restano a fissarsi ancora e il capitano solleva il gomito sulla spalliera della sedia.
-Perché non vai da lui mentre aspettiamo notizie della signorina Benton?-
-Per dirgli che siamo allo stesso punto di cinque ore fa? Che abbiamo cinque ore in meno e magari lasciarmi sfuggire che Dunn per poco non faceva un’altra vittima… per giunta Jessica Benton?-
Si sporge in avanti appoggiando i gomiti alle ginocchia.
-Non ha bisogno di questo adesso.-
-Ha bisogno di te, Kate!-
Lei si solleva a guardarla. La confidenza con cui le parla la sconcerta, ma allo stesso tempo la sente naturale, come se da sempre avessero imparato ad avere fiducia l’una nell’altra, senza rendersene conto e senza mai spingersi oltre.
Kate aveva capito immediatamente il potenziale e le doti del suo nuovo capitano, ma il momento ed il modo in cui aveva preso il posto di Montgomery, non erano stati dei migliori. La morte di Roy, la verità sconvolgente che aveva scoperto su di lui, l’amore smisurato che continuava comunque a sentire per quell’uomo che le era stato vicino come un padre, non le avevano dato modo di provare immediatamente fiducia per quella donna che si mostrava dura, ferrea e dedita solo al dovere. Ma il tempo le aveva dato la possibilità di apprezzarla come capo, come poliziotto e, negli ultimi due giorni si era ritrovata ad apprezzarla ed esserle grata per la donna che era. Era più che evidente che anche il capitano la apprezzava, come detective e come persona. Era riuscita a capirla, a cogliere i suoi disagi e le sue ansie verso il caso di sua madre. Le aveva espresso apertamente la sua delusione quando era stata costretta a sospenderla, non nascondendole di essersi sentita tradita da uno dei suoi migliori detective, eppure non era andata oltre. Ne era certa. Lei sapeva di Montgomery, ma aveva taciuto, ascoltando il cuore e non il cervello.
Aveva capito della sua relazione con Castle e aveva deciso di non interferire, anche se avrebbe potuto usare questa storia a suo vantaggio al distretto. Victoria Gates era un ottimo poliziotto e aveva imparato a leggerla come solo Montgomery e Castle erano riusciti a fare fino a quel momento.
Sorride quando si rende conto che lei non ha smesso di scrutarla, mentre era persa nei suoi pensieri.
-L’ha detto lei che Castle dipende dalle mie emozioni e, per quanto io sia tornata lucida, in questo momento non sono in grado di trasmettergli quella sicurezza che gli serve.-
Il capitano Gates annuisce.
-Ero davvero preoccupata per te. Questa storia ci ruguarda tutti, ma so che tu sei l’unica che può sbrogliarla, per questo devi essere al meglio delle tue capacità.-
Le mette inaspettatamente la mano sulla sua e Kate sente un nodo alla gola, senza capirne il motivo.
-Per quello che ne sappiamo Dunn potrebbe anche essere dietro l’angolo a spiarci. Sarebbe bello poter mettere le mani addosso alla gente per capire se porta una parrucca o una barba finta, ma qualcuno potrebbe definirlo anticostituzionale.-
Sorridono alla battuta e la Gates torna seria.
-L’unica che può arrivare a lui, per quanto ci sbattiamo tutti, sei tu. Tu sola puoi trovarlo, Kate…-
Le stringe la mano e lei deglutisce vistosamente quando le sente pronunciare il suo nome di battesimo per la seconda volta.
-…e quando avrai capito come,  so che agirai di conseguenza, senza pensare e senza nessuna remora.-
Le lascia la mano e torna a guardare verso Gordon, che non si è mosso di un solo passo.
-E questo mi spaventa!-
Kate corruccia la fronte cercando una risposta adeguata a quel pensiero, ma la Gates fa cenno verso il ragazzo. Si alzano in fretta e si avvicinano a Gordon.
-Sarà confusa ed intorpidita per qualche ora, ma si riprenderà del tutto.-
Dice il medico con un’espressione bonaria sul viso rivolta al ragazzo, che rilassa improvvisamente i pugni e sospira, come se avesse ripreso a respirare solo in quell’istante.
-Posso andare da lei?-
-Certo, appena l’avranno sistemata in camera la faccio chiamare. E’ bene che non rimanga sola.-
Il ragazzo annuisce e gli stringe la mano.
-Bene, io vado a parlare con i giornalisti…-
Esclama la Gates sospirando di sollievo.
-…vedrò di mantenere segreto il nome della sua fidanzata, ma devo dare loro qualche risposta, o non ce li togliamo più di dosso.-
Sorride e con un cenno della testa si congeda, mentre Gordon guarda Kate e le prende la mano.
-Grazie!-
Sussurra, non riuscendo a trattenere le lacrime. Kate ha gli occhi lucidi, sente la mano stretta alla sua, tremare.  Improvvisamente quell’immobilità che lo ha bloccato fino a poco prima, lascia il posto ad uno strano tremore che non riesce a nascondere.
-Per cosa? Per avere rischiato anche la sua vita?-
Lui scuote la testa, fa un paio di passi indietro e finalmente si siede, seguito da Beckett che si accomoda accanto a lui.
-Jessica è distrutta. Non fa altro che piangere e passa da momenti di apatia assoluta a momenti in cui la rabbia la divora. Mi allontana anche solo con lo sguardo, è una strana sensazione, ma quando mi guarda in quel modo, mi sento in colpa perché non riesco a darle conforto, perché penso e ripenso a quella sera, perchè avrei dovuto accompagnare Geri fino a casa, accompagnarla fino alla porta del suo appartamento…-
Scuote la testa asciugandosi le lacrime e solleva gli occhi su di lei.
-…poi si stringe a me e resta in silenzio così per ore e in quegli attimi di silenzio, quando finalmente si addormenta abbracciata a me, il cuore mi dice che non avrei potuto fare niente per cambiare le cose. L’avrebbe uccisa comunque.-
Kate annuisce senza però rispondere.
-Detective Beckett non ha ucciso lei Geri e le altre ragazze. Non ha rapito lei Jessica e non ha avvelenato lei il signor Castle!-
All’ultima esclamazione Kate digrigna la mascella e Gordon le prende di nuovo le mani tra le sue.
-Jessica si è affezionata a lui, non so come, ma in pochi minuti è riuscito a farla sentire protetta e al sicuro quando eravamo al distretto.-
Kate sorride.
-Castle ha questa strana capacità!-
Sussurra senza distogliere lo sguardo.
-Abbiamo passato tutta la notte a guardare i TG, a cercare una notizia diversa da quelle che hanno ripetuto di continuo fino all’alba. Abbiamo visto il video…-
Abbassa ancora lo sguardo e sospira.
-E’ tutto vero? Lo ha fatto davvero?-
La guarda dritto negli occhi e Kate annuisce, senza riuscire a dire altro, mentre un’infermiera chiama Gordon per farlo entrare in reparto. Si alzano insieme ed il ragazzo la ringrazia di nuovo, ma quando sta per chiudersi la porta alle spalle, Kate lo richiama.
-Posso permettermi di darti un consiglio?-
Il ragazzo annuisce corrucciando la fronte.
-E’ probabile che Jessica ti allontani ancora, solo con lo sguardo o anche cacciandoti via con parole dure.-
Sorride guardando l’espressione un po’ confusa di Gordon e inclina la testa.
-Noi donne sappiamo essere complicate! Ma se dovesse farlo, tu non sparire, non prendertela e soprattutto sii paziente, perché noi donne complicate quando abbiamo bisogno di un abbraccio, invece di chiederlo, tiriamo calci…-
A quel punto è Gordon a sorridere, sollevando le spalle.
-Chi non capisce e scappa davanti ad una donna complicata, significa che non se la merita!-
Kate fa una smorfia con le labbra.
-E chi non scappa si merita una medaglia!-
Esclama facendolo ridere. Lo guarda allontanarsi verso il reparto di Medicina Generale, per avvicinarsi poi alla finestra. Il capitano Gates parla gesticolando, attorniata da un mucchio di microfoni e di giornalisti che la tempestano di domande. Le viene da sorridere pensano ai suoi No Comment.
Un ascensore arriva al piano, il campanello avverte che le porte stanno per aprirsi. Si gira a guardare le persone che scendono di fretta e che con la stessa fretta si allontanano in direzioni diverse.
Guarda l’orologio e deglutisce. Esposito non ha ancora chiamato, dal distretto nessuna notizia dei video e dalle pattuglie in giro per la città nessuna novità.
Ha bisogno di te, Kate…
Le porte stanno per richiudersi, ma lei riesce a bloccarle fermandole con una mano.
Entra in ascensore e schiaccia il pulsante del quinto piano.
Ed io ho bisogno di lui!
 
 
Ammirò il proprio viso sul piccolo schermo.
Aveva registrato il notiziario e non faceva altro che rimandare il video di continuo, guardandolo attentamente fino a fissare a memoria le immagini dell’incendio e le parole che accompagnavano il servizio.
Inclinò la testa e studiò la sua espressione, fissa con lo sguardo intenso.
Quella foto risaliva a tre anni prima.
‘Hai il diritto di restare in silenzio… perciò sta zitto!’ gli aveva detto, ammanettandolo con i polsi dietro la schiena, convinta di avere chiuso un gioco che non poteva essere chiuso. Non alle sue condizioni…
Gli avevano fatto quella foto al distretto, ma lei non c’era.
Lei si godeva la sua vittoria, insieme allo scrittore e all’agente speciale Jordan Shaw.
L’aveva rivista al processo. Bellissima e fiera.
Orgogliosa aveva testimoniato contro di lui, definendo i suoi lavori solo banali ed inutili omicidi.
Come si sbagliava!
Se solo avesse immaginato, se solo avesse creduto in lui, se solo avesse capito quanto quello che faceva fosse serio ed importante…
Digrignò la mascella, lasciando lo sguardo fisso sulla sua faccia, in fermo immagine al centro dello schermo, bloccando anche la voce in sottofondo che pronunciava il suo nome per intero e una scossa elettrica lo pervase.
‘Scott Dunn, il killer silenzioso, l’uomo della vendetta…’
Si perse di nuovo nelle sue farneticazioni, senza avviare ancora la voce dello speaker che raccontava all’intera nazione di lui.
Era elettrizzante!
Tutti sapevano il suo nome, tutti sapevano quale grande lavoro stesse portando avanti, tutti avrebbero assistito alla lettura del suo libro.
La polizia aveva bloccato il video in rete, ma non aveva potuto sequestrare le registrazioni che passavano in onda di tanto in tanto nei telegiornali nazionali. Esisteva una cosa chiamata libertà di stampa, libertà di parola, libertà di pensiero… i media non si potevano fermare.
Tutta la notte avevano parlato di lui e continuavano ancora a palare di lui e dell’ultima sua meravigliosa scena: il rapimento di una quarta donna, di cui però non avevano rivelato l’identità e che era stata salvata in extremis proprio dalla sua bella detective.
Si alzò in piedi, sollevò le braccia sulla testa per stiracchiarsi e si passò la mano sul collo, roteandolo a destra e a sinistra per sgranchire i nervi e le ossa.
Sfiorò la boccettina che custodiva il veleno e che teneva ancora attaccata al collo come un ciondolo.
Sorrise.
Sganciò il laccio e prese la scatola di legno dal cassetto della scrivania.
Poggiò la boccettina sul cuscinetto protettivo, con un guizzo dal riflesso azzurro negli occhi.
Doveva metterla al sicuro. Richiuse la scatola con cura e la ripose all’interno del suo zaino.
Stropicciò le palpebre sbadigliando.
Non dormiva da tante ore. Non era stanco, ma gli occhi avevano bisogno di riposo.
Riavviò il tasto play, abbassò il volume della piccola TV, fino a farlo diventare un lieve sottofondo e si buttò a peso morto sul divano.
Chiuse gli occhi e si estraniò ancora nel suo mondo, nella sua trama, nel suo libro…
La donna con la lacrima sulla guancia si materializzò nella sua mente, strinse gli occhi per vederla meglio, per rendere le linee del suo contorno vivide e vere.
Sospirò, rilassando i muscoli.
Il viso della figura femminile cambiò fisionomia prendendo le sembianze della sua musa.
Vide la lacrima di sangue formarsi dentro all’occhio e scendere lentamente sulla sua guancia, lasciando una scia rossa e indelebile, come indelebile era la disperazione che le avrebbe tolto il respiro.
Sorrise, continuando a tenere gli occhi chiusi, perché quel viso meraviglioso, immerso in un dolore silenzioso, non sparisse.
Qualche minuto di riposo e poi si sarebbe preparato per l’ultimo respiro dello scrittore.
-Io ti vedrò morire…-
Sussurrò sempre con gli occhi chiusi, continuando a sorridere.
Il nono capitolo era pronto.
Il nono capitolo era lui. Era lei. Il suo inizio. La sua storia.
Nikki!


Angolo di Rebecca:

Ancora confidenze, tra la Iron e Kate questa volta.
Due donne forti, pronte a tutto, che si sono studiate con calma per giungere alla conclusione che sono una bella squadra insieme :3
Beckett dà consigli a Gordon... ormai è diventata sentimentale :p
Scott Dunn invece si compiace di se stesso, mamma mia, poi dicono che Riccardone è egocentrico!

Buona serata e grazie <3


 

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Capitolo 39
*** Il Momento Giusto ***







Capitolo 39

 
 

Pochi minuti fa è arrivato anche suo padre…

Quella frase gli rimbombava in testa, mentre lasciava correre lo sguardo fuori dalla finestra.
Il telaio rettangolare racchiudeva il vetro ben pulito e faceva da cornice ad un unico pezzetto di cielo, il solo visibile dalla sua prospettiva. La spalliera del letto era sollevata, ma non abbastanza da permettergli di guardare verso il basso, vedere tetti di palazzi o altro panorama, tanto da non capire nemmeno a che piano si trovasse.
Non vedeva alcuna sfumatura, solo un grigio azzurro compatto che non lasciava intravedere nuvoloni, né raggi di sole.
Quando Edith aveva accennato all’arrivo di suo padre, nonostante sapesse fosse un errore e, soprattutto, impossibile che il suo genitore maschio arrivasse proprio in quel frangente, aveva comunque sentito un brivido lungo la schiena e il respiro gli si era bloccato un momento.
Fin da piccolo, si è sempre raccontato la storiella che non gli importava sapere, che senza nessun indizio sull’esistenza di suo padre poteva far correre la fantasia ed immaginarsi di essere il figlio di chiunque. Certo, era una bella storiella, ma finta come una banconota da trenta dollari. Portava avanti la sua sceneggiata più per convincere se stesso che gli altri. Era stato più facile crescere, affrontare i problemi e diventare un uomo, fingendo che non gliene importasse un fico secco. Invece gli importava…
In fondo al cuore ha sempre desiderato scoprire almeno il suo nome, o soltanto il colore dei suoi occhi, per capire quali dei suoi geni facessero parte di lui.
Era un uomo onesto? Era un truffatore? Non gli era mai importato di avere un figlio, o davvero non sapeva niente della sua esistenza?
Domande che qualunque bambino si pone ogni giorno, giorno dopo giorno, fino alla fine dei suoi giorni.
Si può vivere senza padre, si può convivere con l’idea che chi ti ha dato la vita non possa o non voglia starti vicino, o semplicemente non sia fatto per fare il genitore, com’è capitato ad Alexis con sua madre, ma non si può convivere con il nulla che è parte di te e non ti completa mai.
Chiuse gli occhi deglutendo alle sue affermazioni mentali, sempre con la testa girata verso la finestra a guardare quel cielo immobile, chiedendosi chi mai poteva essere l’uomo vicino a sua madre che aveva ingannato la dolce infermiera e che, oltretutto, sarebbe arrossita violentemente se solo avesse saputo della sua gaffe.
Si diede la risposta nello stesso istante in cui il cervello registrò la domanda. Solo un uomo di sua conoscenza e di una certa età poteva essere arrivato in ospedale per lui e per la sua famiglia. Pensando a Jim Beckett gli venne da sorridere. Sicuramente non gli somigliava, non tanto nella fisionomia, quanto e soprattutto nella riservatezza e nelle poche parole che riusciva ad usare in una discussione, ma gli piaceva l’idea di poter fare affidamento su di lui, anche solo con i suoi silenzi e i suoi sguardi affettuosi.
Aveva detto ad Edith che avrebbe voluto che la sua famiglia fosse altrove e non lì con lui, ma era una bugia, una stupida, spudorata, enorme bugia, proprio come quella che si era ripetuto per anni riguardo suo padre.
Il cervello continuava ad avere paura del loro dolore e del loro giudizio, ma il suo cuore gli mandava messaggi diversi.
Le sue mani volevano solo stringere quelle di Alexis, voleva poter accarezzare sua madre, voleva poter godere della loro compagnia fino a che ne avesse avuto il tempo.
Gli erano mancate terribilmente in quelle poche ore in cui era stato impegnato con le indagini, più di una volta aveva sentito il bisogno di abbracciare la sua bambina o semplicemente sentire una sciocchezza detta da Martha, ed era grato a Jim per essere lì con loro a sostenerle.
Più ancora però, sentiva terribilmente la mancanza di Kate.
Non la vedeva da quanto…  cinque, sei ore? Eppure gli sembrava un’eternità.
Nei suoi libri, oltre di omicidi, scriveva anche di incontri improvvisi, di sentimenti contrastanti e complicati, sapeva descrivere un amore passionale e travolgente e, in fondo al suo cuore, quel cuore che è stato tradito troppo volte, ha sempre sperato di provare i sentimenti che metteva per iscritto,  ma non avrebbe mai immaginato che una donna potesse entrargli nel sangue.
Quel sangue che Scott Dunn voleva distruggere, proprio quel sangue avvelenato, era pieno anche di lei.
Ogni suo neurone, ogni sua cellula, ogni sua percezione sensoriale, tutto in lui era impregnato di Kate Beckett, era piacevolmente intossicato da lei, drogato senza possibilità di disintossicazione.
Spostò lo sguardo davanti a sé, deluso di non poter ammirare ancora una volta il tramonto e la tempesta sul mare dello studio del dottor Travis.
Dopo essersi risvegliato dall’incubo del clown assassino, non aveva fatto caso alla stanza, tranne che alle sue pareti bianche.
Si guardò intorno curioso. Accanto a lui c’erano un monitor spento e altri macchinari, di cui uno con una mascherina per l’ossigeno che pendeva da un perno ed un altro con le placche per la defibrillazione.
C’era tutto l’occorrente per una rianimazione d’urgenza.
Sollevò la mano per toccarsi la fronte, la sentì umida e calda. Edith aveva ragione. La temperatura era salita, anche di parecchio e la testa pulsava come un tamburo.
Sospirò, o almeno la sua intenzione era fare un respiro profondo che gli allargasse la cassa toracica, ma si ritrovò a tossire.
Cercò di cambiare di poco posizione e sollevarsi meglio nel letto. I respiri erano corti e veloci e respirava con la bocca socchiusa. Sentiva un’oppressione proprio sul petto.
Guardò in alto. Il solito flacone della solita roba buona era appeso sopra la sua testa. Non sentiva nulla, niente dolori, niente spasmi, solo un gran mal di testa e pesantezza su tutto il corpo, come se al posto della coperta gli avessero messo della zavorra. Una zavorra che aveva reso il movimento del braccio verso l’alto una vera e propria faticaccia e che, a  livello del petto, era più pesante. Tossì di nuovo, ancora più forte e di continuo, tanto da non riuscire a riprendere fiato…
 
La sensazione di soffocare si placa quando due mani forti lo sollevano per le spalle e si ritrova praticamente seduto, sostenuto dal dottor Travis, catapultatosi su di lui, vedendo che gli mancava il respiro.
-Faccia dei respiri piccoli, non incameri troppa aria. Piano…-
Parla cercando di rassicurarlo e tenerlo sollevato. Rick fa come gli dice, allungando il collo e la testa come a guardare il soffitto. Dopo pochi secondi riesce a rilassarsi. Respira ancora in maniera affannata e il dottore lo aiuta a sistemarsi sul cuscino, aspettando che la velocità del respiro torni normale, poco dopo gli avvicina il bicchiere alle labbra.
-Ho… difficoltà a… a deglutire!-
Balbetta tra gli ultimi colpi di tosse.
-Non importa, ci provi. Con calma, non ci corre dietro nessuno.-
Castle prende un sorso d’acqua che inghiotte con difficoltà, mentre il medico gli tampona le labbra con un tovagliolino. Prende fiato e aspetta che l’uomo metta a posto il bicchiere sul comodino.
-Per quanto… ancora farà effetto… la sua roba buona?-
Gli chiede ansimando, mentre il medico gli controlla i battiti.
-Purtroppo ancora per poco. Grazie al cielo il suo organismo è robusto e, a parte l’intorpidimento muscolare e i problemi ai polmoni, stiamo riuscendo a tenere a bada l’azione della tossina. Il resto degli organi al momento ha una funzionalità regolare e questo è un punto a suo vantaggio.-
-Un modo contorto per dire che potrei soffocare da un momento all’altro e che sono semi paralizzato, però potrebbe andare peggio!-
Risponde Castle, cercando a fatica di trovare una posizione più comoda.
-In effetti si, potrebbe andare peggio. I suoi organi potrebbero smettere di funzionare tutti insieme e allora si che sarebbe un bel pasticcio!-
Castle solleva lo sguardo stupito e il dottor Travis storce la bocca.
-Perché mi guarda così, non è l’unico qui dentro a essere simpatico!-
Rick sorride, ammiccando.
-Touchet!-
Esclama, mentre il medico controlla i parametri scritti dall’infermiera sui diagrammi all’interno della cartella clinica.
-Ma lei non dorme mai, Ben?-
Solleva un sopracciglio e incrocia il suo sguardo serio con quello confuso del medico.
-Dopo tutto il sangue che mi ha fregato direi che posso chiamarla per nome, che dice?-
Il medico solleva le spalle fingendosi pensieroso.
-Dopo tutto il sonno che ho perso per te, direi che possiamo anche darci del tu, che dici?-
Rick sorride e annuisce.
-Vedo che ci capiamo alla perfezione!-
Anche Ben annuisce, continuando i suoi controlli medici e riportando le sue osservazioni sulla cartella clinica.
-Davvero Ben, ti occupi personalmente di ogni paziente che ti capita tra le mani senza cambio di turni o altro? Per non parlare del fatto che fai anche il tiranno con il personale. Edith è ancora qui.-
Il dottor Travis prende la sedia accanto alla parete e gli si siede vicino, corrucciando la fronte.
-Diciamo che ho lasciato il resto del mio reparto ai colleghi, non sarei in grado di occuparmi di tutti in maniera lucida al momento, vista la mancanza di sonno.-
Castle si finge preoccupato.
-Certo. Io sto morendo, se non sei lucido con me non è importante.-
-In effetti non rischio niente…-
Risponde Ben serio e quando Castle si mostra imbronciato, sorride.
-Il tuo caso è diverso Rick. Tu non hai una malattia. Non voglio lasciarti nelle mani di qualcun altro e spiegargli tutto quello che c’è da fare o non fare… e siccome non posso fare tutto da solo...-
Allarga le braccia sospirando.
-Edith è competente e mi fido di lei e poi, anche se non ho capito bene il perché, le sei simpatico.-
Castle diventa improvvisamente serio e sposta lo sguardo sul flacone della flebo.
-Lo so che state lavorando senza sosta, che tu, la dottoressa Dobbson e Lanie con tutto lo staff non vi siete fermati nemmeno un secondo. Non volevo sminuire quello che state facendo, anzi…-
Ben scuote la testa sorridendo.
-Lo so benissimo. Diciamo che sei diventato una sfida e vogliamo vincerla, Claire soprattutto. E’ caparbia sai?-
Castle lo guarda fisso e annuisce.
-Lo so. E non è solo caparbia…-
Il dottor Travis solleva una mano e lo blocca prima che possa dire un’altra sillaba.
-Lo so, lo so… è anche carina, deliziosa e intelligente!-
Gli dice serio, con una punta d’ironia nel tono della voce.
-Hai ragione, parlo sempre troppo, me lo dice anche Beckett, però… ieri non volevo certo prenderti in giro, tanto meno offendere lei.-
Risponde Rick come rammaricato e Ben annuisce sorridendo.
-Non l’ho pensato infatti, solo mi chiedo ancora come siamo arrivati a quel discorso!-
-Oh andiamo Ben! Si vede lontano un miglio che sei innamorato di lei, che male c’è?-
-Io non sono innamorato di Claire!-
Risponde immediatamente il medico e Castle solleva ancora le sopracciglia.
-Ah no!? Quindi non ti alzi al mattino con il desiderio di arrivare più in fretta possibile a lavoro per vederla prima che si rinchiuda in laboratorio? Non ti sudano le mani quando la vedi? Non pensi a tutte le cose che vorresti discutere con lei e poi ti ritrovi solo a parlare di analisi, sangue, malattie perché quando ti guarda e si sistema gli occhiali sul naso, o magari se li toglie per un attimo, ti si blocca tutto l’apparato che ti permette d’intendere e di volere?-
Ben Travis lo guarda a bocca aperta e lui storce le labbra.
-Alla vista di queste nuove prove, vuole per caso cambiare la sua ultima deposizione, dottore?-
Il medico si riscuote d’improvviso, chiudendo la bocca in una smorfia di disappunto.
-Ok… ok, va bene. Supponiamo pure che sia vero…-
-Supponiamo!?-
Lo interrompe Castle e il dottore sbuffa sonoramente facendolo sorridere.
-Si, supponiamo. Anche se fosse, perché è così importante adesso? Rischi di morire per mano di uno squilibrato, perché per te è importante che io ammetta o no di essere innamorato di lei?-
-Perché impicciarmi degli affari altrui non mi fa pensare ai miei guai!-
Esclama lui sorridendo, ma quando il dottore continua a guardarlo dubbioso e serio, sospira, spostando lo sguardo verso la finestra dal lato opposto.
-Perché? Perché mi ricordi tanto qualcuno. Perché so come ti senti e cosa provi. Perché pensi che esternare i tuoi sentimenti potrebbe distruggere la bella amicizia che avete. Perché se mai farai il grande passo vuoi che sia il momento giusto…-
Si volta a guardarlo e sospira, tossendo ancora.
-Ci ho messo tre anni a dirle che l’amavo e quando l’ho fatto non era per niente il momento giusto. Avevo paura di perdere anche la sua amicizia, il pensiero che mi rifiutasse e mi allontanasse non mi faceva respirare, così aspettavo il momento giusto, aspettavo che lei fosse pronta, aspettavo e basta. Poi le hanno sparato…-
Dice in un sussurro, deglutendo e Ben corruccia la fronte.
-…era spaventata, mi stava morendo tra le braccia ed io… io riuscivo solo a pensare a quanto fosse stupida la mia paura, volevo solo che restasse con me, che sapesse che l’amavo e gliel’ho detto d’impulso, mentre chiudeva gli occhi.-
Ben si rende conto di avere trattenuto il respiro solo quando, dopo un attimo di silenzio, Castle continua il suo discorso.
-Grazie al cielo è sopravvissuta, ma non è cambiato niente. Lei ha finto di non aver sentito, io ho finto di non averlo detto.-
-Perché?-
Gli chiede Ben confuso.
-Perché non era il momento. Perché pensi che c’è sempre domani per il momento giusto.-
Scuote la testa guardandolo fisso con gli occhi lucidi.
-Guardami Ben. Due giorni fa credevo di avere il mondo tra le mani e adesso le mani non riesco nemmeno a stringerle. Sono qui a sperare di poter sopravvivere, perché imparare a conoscerla, a capirla, ad aspettarla, ad arrabbiarmi, a pensare di mollare tutto è stato come combattere. Katherine Beckett è stata una meravigliosa ed irritante battaglia. Ma ne è valsa la pena!-
Sorride scuotendo la testa.
-Ieri quando vi ho visti insieme, tu e Claire, lei imbarazzata e tu inebetito a guardare la porta vuota, dopo che è scappata via,  non ho potuto fare a meno di rivivere quella battaglia. Vorrei solo che non perdessi del tempo prezioso Ben… tutto qui.-
Il dottore sorride vedendo come gli brillano gli occhi, sentendo un nodo alla gola quando lui china lo sguardo e rimane ancora  in silenzio, perso nei suoi pensieri. Gli sfiora il braccio e si sporge verso di lui.
-Da quanto state insieme? Insieme sul serio, anche se in segreto!-
Castle si ritrova a sorridere, ripensando alle sue occhiate quando erano al Pronto Soccorso e alle sue battute per metterli in guardia della presenza del capitano.
-Tra qualche giorno saranno dieci mesi.-
Sospira e sorride mesto.
-Probabilmente non festeggeremo nemmeno il nostro primo anniversario.-
-Dov’è finita tutta la tua fiducia? Lo festeggerai e come invece. Beckett è in gamba e noi ce la stiamo mettendo tutta.-
Lui solleva le spalle e scuote la testa.
-Non perderò mai la fiducia! Kate non si arrenderà mai… troverà il modo di avere quel veleno.-
China lo sguardo, corrucciando la fronte e all’improvviso storce le labbra.
-Pensandoci bene gli anniversari sono una cosa stupida. Con lei ogni giorno è raggiungere un traguardo, ed è questo che bisognerebbe festeggiare. Un giorno qualunque, in un momento qualunque, una specie di non anniversario per… non so… per la gioia di svegliarmi accanto a lei, per un suo sorriso diverso dal solito, perché arrossisce se le regali un fiore profumato quando non se lo aspetta, perché ti porta la colazione a letto o perché ti regala un cassetto…-
Ben solleva un sopracciglio, avendo perso il senso del discorso tra regalo e cassetto, ma Rick non gli bada e continua nel suo monologo.
-Ogni momento è degno di essere ricordato, di essere impresso nella mente, solo per il piacere di stare accoccolati sul divano, con due calici di vino, assolutamente rosso, le candele accese e… ascoltare i rispettivi respiri. Festeggiare per il piacere di essere vivi ed insieme, senza motivo, senza una data particolare da ricordare.-
Scuote ancora la testa deglutendo. Scott Dunn ha fatto un ottimo lavoro. Gli sta davvero dando il tempo di riflette su quello che ha, su quello che desidera e su quello che non avrà. Sospira e torna a guardare il suo nuovo amico.
-Seriamente Ben, sei innamorato di Claire?-
Il medico sospira annuendo e china lo sguardo, ma lo solleva immediatamente quando sente la mano di Castle sulla sua.
-Allora non aspettare il momento giusto. Lascia perdere la paura, l’amicizia e tutte le complicazioni che sono solo nella tua testa e nella sua, perché in realtà non esistono. Inventati il momento. Va da lei e diglielo!-
Ben sorride e si alza, facendo un paio di passi lenti intorno al letto, per poi tornare a guardarlo.
-E se dovesse mandarmi al diavolo?-
Castle solleva le spalle.
-Vorrà dire che ci andrai senza rimpianti!-
Sussurra con gli occhi lucidi, abbassando lo sguardo e il dottor Travis appoggia i gomiti sulla spalliera ai piedi del letto.
-Sai una cosa Rick? Sei davvero un uomo strano.-
Lui solleva lo sguardo corrucciando la fronte e il medico sorride.
-Sei un vip, un personaggio famoso, la stampa ha detto peste e corna di te e invece…-
-Invece?!-
-…invece sei un uomo saggio!-
L’esclamazione del medico lo fa ridere sinceramente.
-Mi hanno definito in tanti modi Ben, ma tu sei la prima persona che conosco che mi definisce saggio. Ti sentisse Beckett!-
 
 

‘Abraham, mio buon amico…’
 
Chiuse gli occhi e prese un respiro profondo. Non riusciva a crederci. Quella lettera era stata dentro la sua sacca per ore, se solo l’avesse vista prima!
Scosse la testa, imponendosi di smettere di tremare. Riaprì gli occhi cercando di mettere a fuoco le parole e riprese a leggere.

 
‘…so quanta sofferenza ti ho arrecato in questi giorni. So quanto ti abbia deluso.
Proprio come hai detto tu, sono rimasto a guardare tutta la notte oltre la quercia, cercando di scorgere il male.
Sapevo che era lì, ad un passo da me e che sarebbe arrivato, proprio perché il male è già dentro di me.
Io sono complice di Scott Dunn e questo non posso cambiarlo.
Ho troppi peccati da espiare e la prigione stavolta non sarà abbastanza, ma per te Abraham… tu non farai parte della sua trama, io non lo permetterò.
Sei stato l’amico migliore che un essere abbietto come me potesse mai meritare, sei un uomo buono Abraham, per questo tu non devi essere qui quando lui verrà a prendermi. Perché lui verrà. Non lascerà che il mio cervello metta in pericolo la sua opera.
Mi hai chiesto di agire secondo coscienza, quella stessa coscienza che ti accompagna da quando sei al mondo, quella stessa coscienza che ti dà il coraggio di vivere come io non sono mai stato capace di fare.
Stasera farò la cosa giusta Abraham!
Tu farai la cosa giusta, per me.
La formula esiste ancora. L’ho trascritta e conservata dove solo tu puoi trovarla. Fa la cosa giusta. Salva quell’uomo!
Quando il diavolo verrà a prendermi io non scapperò. Stavolta lo guarderò negli occhi, espierò i miei peccati a testa alta, dandoti modo e tempo di salvarti.
Perdonami Abraham, per non essere stato capace di combattere. Per non avere avuto quello stesso coraggio che è insito dentro di te e che ti fa vivere giorno dopo giorno, nonostante la sofferenza che non ti abbandona mai.
Il mio tempo è finito ormai, ma tu… tu hai ancora la vita davanti amico mio. Vivila a testa alta, come hai insegnato a me!’
 

Le lacrime continuarono a scorrere anche sulla carta, passò le dita sul foglio con delicatezza, sperando di non cancellare le ultime parole del suo amico Professore.
Ripiegò la lettera con cura e se la portò al petto. Chiuse gli occhi provando rammarico per quell’uomo che lo aveva amato senza motivo e che si era arreso alla vita senza mai viverla. Accarezzò ancora una volta la lettera e la rimise nella busta, conservandola poi nella tasca del giubbotto.
Non l’aveva distrutta. Aveva messo la formula nella sua cassaforte e lui avrebbe fatto quello che era giusto fare. L’avrebbe portata alla polizia, cercando di togliere quante più macchie possibili dal nome infangato del suo Professore.
Si asciugò gli occhi e cercò il cellulare dentro la sacca.
-Nove uno uno…-
Rispose la voce all’altro capo del telefono e lui sospirò sonoramente.
-Devo… devo parlare con il detective che dà la caccia a Scott Dunn. Io so… so dov’è il veleno…-
-Veleno? Ha detto veleno?.-
L’uomo al centralino del nove uno uno aspettò un paio di secondi una risposta.
-Pronto, è ancora in linea?-
Ma ricevette in risposta solo un rumore sordo e subito dopo il silenzio…


Angolo di rebecca:

Richard Castle è un uomo saggio *-*
Il dottor Travis ha ammesso una cosa impensabile (e Rick è troppo coccolone)
ha ragione, non esiste il momento giusto!
Abraham ha letto la lettera
ha chiamato la polizia e...

Grazie <3

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Capitolo 40
*** Tra le Righe ***






 

Capitolo 40
 
 
 
Scosse la testa stringendo i pugni…
Si era ripromessa di non piangere più, di essere forte e lucida, ma sentire quella discussione l’aveva scombussolata ancora una volta.
L’esterno dell’edificio ospedaliero era presidiato dalle forze dell’ordine, occupate a tenere a bada i giornalisti e soprattutto a controllare in maniera ferrea chiunque entrasse o uscisse da quel posto. Scott Dunn poteva essere chiunque e ovunque, perciò per ragioni di sicurezza e per una maggiore sorveglianza interna, Castle era stato sistemato nel reparto di malattie infettive, dove al momento non era ricoverato nessuno. Il dottor Travis aveva dato ordine alla direzione dell’ospedale che il reparto restasse chiuso e a disposizione solo della polizia e del personale che si occupava dello scrittore. Per questo motivo Kate, arrivata in reparto, non aveva incontrato nessuno in corridoio, tranne i due agenti del dodicesimo scelti espressamente da lei, che avevano l’ordine di non muoversi dalla loro postazione per nessun motivo al mondo. Pensando che Martha ed Alexis fossero in stanza con Rick, si era diretta immediatamente verso la porta pronta a bussare, ma l’aveva trovata socchiusa ed era riuscita a captare il discorso tra Castle ed il dottor Travis.
Il suo scrittore era di nuovo in modalità impiccione.
Sorrise scuotendo la testa, pensando a questo suo modo di immedesimarsi nella vita degli altri, anche e soprattutto quando il momento non era opportuno. Adorava quel suo modo amabile e disarmante di chiedere informazioni imbarazzanti o esporre le sue, non sempre, sconclusionate opinioni. La sua era una vera e propria malattia, avrebbero dovuto curarlo per Sindrome Della Curiosità Compulsiva.
Ci ho messo tre anni a dirle che l’amavo… aspettavo che lei fosse pronta, aspettavo e basta… poi le hanno sparato…
Sollevò la testa di scatto a quella frase e più Rick raccontava i fatti di quel periodo, più si sentiva diventare piccola davanti a quel sentimento enorme che già allora lui provava per lei.
Probabilmente non festeggeremo nemmeno il nostro primo anniversario…
Non riuscì a seguire il resto del discorso, intenta ad ascoltare le sensazioni che quelle parole le avevano provocato nello stomaco e, all’ultima constatazione di Rick, si sentì mancare le gambe. Si appoggiò al muro con la testa sullo stipite della porta socchiusa, immobile, trattenendo il respiro, mentre Castle parlava ancora di lei, di loro, di ogni giorno insieme, di ogni piccolezza da scoprire e ricordare… festeggiare per il piacere di essere vivi ed insieme, per ascoltare i rispettivi respiri…
Riprese a respirare, ma questo permise alle lacrime di avere libero accesso alla strada verso gli occhi. Sollevò la mano, appoggiando leggermente le dita sulla porta, come se accarezzasse il viso di quell’uomo che l’ama all’inverosimile, stupendosi ancora del perché.
La discussione tra Castle e il dottor Travis proseguì un altro paio di minuti, ma lei non era riuscita a registrare altro, continuando a sfiorare la porta e a sentire le parole di Castle calde al suo orecchio.
Chiuse gli occhi sentendolo improvvisamente ridere di gusto, perché il dottor Travis lo aveva definito un uomo saggio.
Ti sentisse Beckett… e lei aveva sentito!
Ricacciò indietro le lacrime deglutendo, il dottor Travis uscì dalla stanza e lei si nascose dietro l’angolo della porta, appoggiando le spalle al muro. Fece un respiro profondo e si asciugò le lacrime, ancora una volta con rabbia. Una rabbia rivolta a se stessa, per quell’amore che non era riuscita a ricambiare nemmeno quando lui glielo aveva sussurrato travolto dal  panico, dopo il suo ferimento.
Seguì il medico sparire a destra, all’interno di una stanza adiacente. In quel momento la sua parte totalmente razionale la spinse a muoversi velocemente verso il fondo del corridoio, da dove era arrivata.
Doveva solo arrivare all’ascensore, salirci sopra, premere il pulsante del piano terra e correre verso l’uscita.
Solo così poteva riprendere a respirare, fuori da quel posto, lontano da Castle.
Solo così poteva mantenere un minimo di lucidità per riuscire a scovare Scott Dunn.
Tu ami mio padre nello stesso modo in cui lui ama te? Oppure alla prima occasione scapperai di nuovo?
Si fermò di colpo in mezzo al corridoio deserto, sollevando la testa e aprendo di poco la bocca come meravigliata di se stessa, sotto lo sguardo stupito dei due colleghi in divisa, che lei però aveva dimenticato fossero lì.
Lo stava facendo di nuovo.
Stava scappando ancora. Il dolore aveva ricominciato ad urlare e l’unica cosa che voleva, con tutta se stessa, era quietarlo e renderlo muto.
Subito. Immediatamente.
Voleva solo tornare a pensare e non a sentire.
Solo cervello, niente cuore.                                                      
Quello stesso cuore schiacciato dal peso delle parole scritte sul foglio ripiegato che teneva in tasca.
Prese ancora una volta la lettera tra le mani e la strinse forte, senza leggerla.
Girò la testa a guardare la porta chiusa dietro di lei e sospirò.
Aveva promesso ad Alexis e a se stessa che non sarebbe scappata mai più.
Era salita a quel piano perché aveva bisogno di vederlo, di sentire la sua voce, di parlare con lui.
Era salita a quel piano perché lui ha bisogno di lei…
Respirò ancora profondamente mordendosi il labbro fino a sentire dolore e con passo deciso ripercorse il lungo corridoio al contrario, fermandosi davanti a quella porta chiusa che la separava da lui.
Guardò la lettera nella sua mano, ci passò sopra l’altra per toglierle le pieghe rimaste dalla sua stretta e la rimise al suo posto, ripetendo a memoria quelle parole che non erano macigni, ma puro e semplice amore per lei.
Si passò la mano sul viso, per togliere qualunque residuo di lacrime e, con una nuova consapevolezza, bussò alla porta.
 
-Kate!-
Esclama Rick quando vede il suo sorriso fare capolino dalla porta. Non riesce a nascondere la felicità ed il sollievo di averla vicino.
-Sei solo?-
Gli chiede Kate avvicinandosi, fingendo di essere arrivata in quel momento.
-Ben è appena andato via.-
-Ben!? Siete diventati intimi!-
Esclama sedendosi sul letto e lui solleva le spalle.
-Ci siamo dati appuntamento ogni quattro ore, mi ha letteralmente dissanguato…-
Sgrana gli occhi sollevando la coperta e guardandosi addosso, come a volere conferma di non avere più i suoi vestiti, ma il camice dell’ospedale.
-Probabilmente mi ha anche visto nudo! Si, direi che siamo intimi!-
Esclama con una smorfia facendola ridere.
-Come mai sei qui? E’ successo qualcosa?-
Lei scuote la testa e gli accarezza il viso.
-Ero da queste parti per un controllo che si è rivelato l’ennesimo buco nell’acqua, così ho pensato di passare.-
-Hai fatto bene. Mi mancavi già!-
Gli prende la mano e gli tocca la fronte.
-Hai la febbre molto alta.-
-Il veleno prosegue bene, ma al momento non ho dolori atroci…-
Solleva lo sguardo sul flacone della flebo e sospira.
-…quella farà effetto ancora per un po’!-
Dopo un attimo di silenzio, in cui Kate si guarda intorno, notando i macchinari di pronta emergenza, Rick la riscuote accarezzandole il dorso della mano con il pollice.
-Grazie di aver chiamato tuo padre.-
Sussurra sorridendo.
-Come fai a sapere che è qui?-
-Me lo ha detto Edith…-
Lei solleva un sopracciglio fingendosi contrariata.
-Edith! Sei intimo anche con lei?-
Rick storce le labbra, ma il suo sguardo è così tenero che lei si sente sciogliere.
-Devo ammettere che ha un sorriso dolcissimo… lo sai che i bei sorrisi mi ammaliano. Gelosa?-
Sorridono insieme e lui si solleva, per girarsi di poco verso di lei, che cambia discorso.
-Comunque mio padre non l’ho chiamato io, a dire il vero non ci avevo nemmeno pensato e lui si è arrabbiato. E’ stata tua madre a chiamarlo.-
Lui corruccia la fronte e lei annuisce.
-Quando le ho detto che ti avrebbero ricoverato, ha telefonato subito a mio padre.-
Rick porta lo sguardo verso la finestra, guardando ancora fuori, nel nulla sempre ingrigito di quella giornata che non sembra voler migliorare, in nessun senso e sospira.
-Questo la dice lunga su quello che prova. Martha Rodgers ha sentito il bisogno del…-
Sospira ancora senza riuscire a concludere il suo pensiero.
-…del supporto di un altro genitore!-
Kate finisce la frase per lui, che la guarda di colpo. Restano occhi negli occhi per un secondo e quando lui deglutisce, lei gli stringe la mano con entrambe le sue.
-Non le ho ancora viste, sono state qui fino a poco fa, ma io mi sono addormentato e non le ho sentite. Non vedo l’ora di abbracciarle!-
Conclude scuotendo di poco le spalle, continuando a guardarla.
Ha il viso sudato e scavato, quel filo di barba del giorno prima che di solito lo rende affascinante, in quel momento lo fa sembrare ancora più sofferente, gli occhi cerchiati e quell’aria da bambino scoperto a dire una cosa stupida.
Kate si china a baciarlo e resta con la fronte attaccata alla sua.
-La tua idea di tenerle lontane da te era un po’ senza senso, non trovi?-
Lui annuisce e solleva a fatica la mano per accarezzarle il viso.
-Sei così stanca Kate!-
Lei chiude gli occhi mettendo la mano sulla sua per assaporare meglio quella calda carezza.
-E piangere non ti aiuta a stare meglio…-
Kate rispre gli occhi e si sente stringere lo stomaco, ma lui sorride e inclina di poco la testa.
-Però i tuoi occhi sono più luminosi… stanotte erano spenti. Completamente spenti e ammetto che per un attimo ne ho avuto paura, perché se…-
-…se mi arrendo io, ti arrendi tu!?-
Lo anticipa lei, con gli occhi lucidi, mentre lui deglutisce senza distogliere lo sguardo, facendola sospirare. Si allontana di poco per guardarlo meglio.
-Hai ragione. Stanotte sono stata pessima. Ti ho risposto in malo modo e…-
Lui scuote la testa e la ferma.
-No Kate, ho detto un mucchio di sciocchezze che non avevo nemmeno il diritto di dire. Non ero molto lucido, non lo sono nemmeno adesso forse…-
Ma è lei che lo ferma, impedendogli di continuare.
-Eri lucido invece.-
Sospira di nuovo e gli stringe ancora la mano.
-Castle, quello che mi chiedi non è facile, non so se sono forte abbastanza come credi tu, ma qualunque cosa succeda, ti prometto che farò di tutto per… per non tradire il tuo cuore…-
A quella frase Castle spalanca gli occhi deglutendo, abbassando lo sguardo.
-L’hai… l’hai già letta?-
Balbetta imbarazzato mentre lei gli mette la mano sul viso e lo costringe a guardarla.
-Era per me, non avrei dovuto?-
-Credevo che… l’avresti letta… dopo.-
Sussurra distogliendo ancora lo sguardo.
-Dopo quando?-
Gli chiede lei dolcemente e lui la guarda come smarrito, sollevando di poco le spalle.
-Dopo…-
Sussurra ancora più piano e lei gli sorride, scuotendo la testa.
-Hai lasciato troppi indizi.-
Quando lui corruccia la fronte, si avvicina ancora di più, tanto da parlargli sulle labbra.
-Il tuo cassetto era troppo ordinato, mi hai messo una pulce nell’orecchio.-
-Volevo essere ubbidiente per una volta, dici sempre che devo tenerlo in ordine!-
Kate annuisce, continuando a sorridere.
-E’ tuo, hai il dritto di tenerlo come ti pare… io per giusta regola, l’ho rimesso in disordine. Il tuo pigiama ti aspetta ciondolando fuori.-
Lui sorride e sospira.
-Kate, non ho scritto quelle parole in segno di resa. Lo so che lo troverai. Non ho nessun dubbio che riuscirai a salvarmi.-
China lo sguardo sulle loro mani.
-Ho solo paura per te…-
Lei gli mette un dito sulle labbra e scuote la testa.
-Non gli permetterò di sopraffarmi, non gli permetterò di ucciderti. Fidati di me… non tradirò mai più il tuo cuore!-
Lui annuisce e la bacia, sorridendo poi sulle sue labbra per uno strano ronzio che proviene direttamente da lei.
-Detective! Il tuo corpo vibra solo per un bacio!-
Kate scoppia a ridere prendendo il telefono dalla tasca. Legge il messaggio e scuote la testa.
-Devo andare.-
-Lo so!-
Esclama lui con quell’aria da cucciolo che ormai la fa capitolare ogni volta, tanto che non riesce a staccarsi dalle sue mani.
-In cosa stiamo sbagliando Castle?-
Gli chiede all’improvviso.
Lui spalanca gli occhi confuso della domanda e comincia a balbettare.
-In cosa… io… io credevo che fosse tutto a posto… a volte siamo in disaccordo e ci becchiamo, ma… ma pensavo… cioè tu ed io siamo fatti per stare insieme…-
Kate ferma quel fiume di parole con un bacio.
-Non parlavo di noi. Tu ed io siamo perfetti insieme, Castle!-
Gli mette entrambe le mani sul viso per tranquillizzarlo.
-Mi riferivo a Scott Dunn.-
Rick la guarda confuso.
-Continuiamo a seguire gli indizi e a stargli dietro, ma è proprio questo il punto. Gli stiamo dietro, siamo sempre un passo dietro a lui. Che cosa stiamo sbagliando?-
Rick abbassa lo sguardo corrucciando la fronte, resta in silenzio qualche secondo, come a rimettere insieme le idee, mentre Kate continua a guardarlo cercando d’indagare nella sua mente e percepire i suoi ragionamenti, fino a che lui solleva la testa e la guarda fisso negli occhi.
-Stiamo leggendo il suo libro così come lo ha scritto.-
A questo punto è lei che corruccia la fronte, aspettando che continui.
-Questa non è un’indagine, Kate. Non possiamo solo seguire la pista e gli indizi. Questo è un libro. Il suo libro. Una trama che lui conosce nei minimi dettagli e noi la stiamo leggendo così come l’ha pensata.-
Kate continua a guardarlo in silenzio quando si sporge verso di lei, con quel guizzo luminoso negli occhi che lo contraddistingue quando sta per dare vita ad una delle sue teorie.
-Quando leggi un libro, ti immergi in un altro mondo. Fai correre la fantasia. Mentre leggi, immagini come vorresti agissero i personaggi, inventi nella tua testa una storia nella storia, pensando alla fine che ti piacerebbe leggere, anche se poi è completamente diversa da quella scritta…-
Kate annuisce, spronandolo a continuare.
-…forse devi cominciare a leggere il suo libro, non come lo ha scritto lui, ma come vorresti che finisse… devi leggerlo dalla tua prospettiva Kate!-
Conclude con gli occhi sgranati su di lei, che si riscuote all’ennesimo vibro del telefono.
Annuisce, sempre con la fronte corrucciata, come se stesse ancora registrando le parole di Rick e si alza, lasciandogli le mani.
-Devo proprio andare.-
Ma lui la trattiene ancora.
-Kate… mi hai promesso anche un’altra cosa!-
Lei deglutisce e si china ad accarezzargli il viso.
-Sarò qui. Qualunque cosa succeda, sarò qui con te… tu però non mollare. So che le prossime ore saranno terribili, ma tu non mollare. Promettimi che mi aspetterai.-
Rick chiude gli occhi alla sua carezza, sorride leggermente e quando li riapre il suo sguardo è lucido.
-Farò del mio meglio, ma non dipende solo da me, lo sai!-
Finalmente si dirige verso la porta, ma si gira a guardarlo prima di aprirla.
-Dalla mia prospettiva!?-
Sussurra, più come un’affermazione che una domanda e lui annuisce.
Poggia di peso la testa sul cuscino quando Kate si richiude la porta alle spalle e, riportando lo sguardo fuori dalla finestra, sente uno strano tremore. Si sente assalire dallo sconforto, consapevole che nel giro di poche ore i dolori lo tormenteranno e dovrà subire tutto impotente, senza poter far nulla per cambiare la sua situazione.
Qualunque cosa succeda, sarò qui con te…
Si porta la mano alle labbra e chiude gli occhi, cercando di non lasciarsi andare. Pretende altri baci…
Pretende la sua vita indietro.
 
 
Abraham emise un gemito quando due mani forti gli strinsero le braccia, facendogli perdere la presa sul telefono.
Vide un piede schiacciare con forza il cellulare, che si ruppe in mille pezzi.
Sollevò lo sguardo spaventato, trovandosi davanti quello di fuoco del diavolo.
-Così il piccolo storpio non è saltato in aria!-
Sibilò ad un paio di centimetri dalla sua faccia terrorizzata.

Mentre si crogiolava nel suo benessere, disteso sul divano, pensando a Nikki e alle ore che passavano inesorabili, aveva aperto gli occhi, spinto dall’irrefrenabile voglia di sentire per l’ennesima volta lo speaker che descriveva l’esplosione.
Aveva fissato ancora quelle scene compiaciuto.
Fuoco ovunque che distruggeva quello che era rimasto dopo lo scoppio, getti di acqua potente che partivano dalle autopompe dei vigili del fuoco, per cercare invano di spegnerlo.
Sembrava l’inferno.
Fiamme alte contro il cielo nero, cupo e carico di quella pioggia che si sarebbe scatenata subito dopo.
Era una cornice meravigliosa. I suoi occhi brillarono come il fuoco.
All’improvviso aveva corrucciato la fronte e si era sollevato a sedere, bloccando lo schermo.
Si era alzato, avvicinandosi alla televisione, aumentando lo zoom nella parte sinistra del fermo immagine.
Aveva sgranato gli occhi, stringendo il telecomando con rabbia.
Aveva fatto ripartire il fermo immagine mandandolo lento, fotogramma per fotogramma guardando, sempre con più rabbia, l’ombra che si spostava lentamente sul retro delle macerie della casa, nascosta, dalla confusione del momento, dall’andirivieni concitato di pompieri e polizia.
Aveva messo ancora il fermo immagine.
Abraham!
Aveva afferrato il bicchiere pieno d’acqua che era sul tavolo per scaraventarlo con forza sulla parete dietro alla televisione.
Aveva stretto la mascella e respirato profondamente per cercare di calmarsi, ma non ci era riuscito, tanto da battersi le mani sulle tempie, come a volersi castigare per l’errore grossolano che aveva fatto fidandosi del Professore.
Aveva stretto i pugni ai lati della testa scuotendola violentemente. Avrebbe dovuto accertarsi che lo storpio fosse dentro casa e tagliare la gola anche a lui.
Si era rilassato inspirando ed espirando un paio di volte, posando lo sguardo ancora sull’ombra sgranata nello schermo.
L’aveva guardata con gli occhi vitrei per un paio di secondi e la sua espressione improvvisamente, era torntata calma e gelida.
Doveva trovarlo e fermarlo. Non avrebbe permesso a nessuno di cambiare la sua trama.

Gli mise la mano in tasca, mentre con l’altra continuava a stringergli il braccio provocandogli dolore.
Prese la lettera e la lesse. Ad ogni parola la sua espressione cambiava, fino a quando un ghigno compiaciuto gli deformò le labbra.
Strattonò Abraham fino a farlo cadere a terra.
Prese l’accendino dalla tasca del suo giubbotto e con la piccola fiammella diede fuoco alla lettera.
La tenne in mano mentre si consumava velocemente, fino all’ultimo pezzetto, poi stropicciò l’indice e il pollice tra loro, per ripulirli dell’alone nero che la carta bruciata gli aveva lasciato.
Mise il piede sulla cenere in terra e lo ruotò un paio di volte, lasciando l’impronta nera della suola della scarpa sul pavimento.
Abraham aveva seguito tutto nel massimo silenzio. Non mostrava paura.
Lo guardava con disprezzo.
Gli strinse le mani sul colletto del giubbotto e lo sollevò da terra come un fantoccio, tenendolo a mezz’aria davanti alla sua faccia.
-Sei sorpreso di vedermi Abraham? Credevi di essere al sicuro in questa topaia?-
L’uomo gemette ancora quando Dunn lo strattonò.
-Sono bravo nel mio lavoro, come il mio amico Lester era bravo nel suo.-
A questa affermazione Abraham digrignò la mascella.
Per la prima volta il suo cuore desiderò la morte lenta e dolorosa di qualcuno, ma lui non gli badò, preso dal suo discorso importante.
-Io delineo perfettamente i miei personaggi, devo sapere tutto di loro prima di cominciare a scrivere, anche se sono personaggi di nessuna rilevanza!-
Lo scosse ancora per godere dei suoi lamenti.
-E tu non sei di nessuna rilevanza…-
Abraham spostò lo sguardo sul telefono in pezzi e Dunn sorrise.
-Già… la telefonata! Non arriveranno in tempo… nessuno riuscirà a salvarti stavolta.-
Sibilò puntando gli occhi gelidi su di lui.
Lo scaraventò sul letto con forza, lo guardò per godersi la sua paura, ma Abraham continuava a guardarlo con odio e non con paura.
Sapeva che non sarebbe riuscito a scappare o a difendersi.
Sapeva che, qualunque mossa avesse tentato, sarebbe stata inutile contro la sua forza.
-Dove ha nascosto la formula?-
La voce di Dunn era distorta dalla rabbia, ma Abraham non mosse un muscolo.
-Hai fatto il Grillo Parlante con Lester, gli hai fatto il lavaggio del cervello, ma non ti permetterò di mandare tutto all’aria, non permetterò che Nikki trovi la formula della tossina!-
Lo guardò fisso negli occhi, quando gli mise le mani intorno alla gola.
-Dimmi dove ha nascosto la formula!-
Il cuore di Abraham prese velocità. Il Professore si era fidato di lui fino alla fine. Gli aveva salvato la vita e lui non lo avrebbe deluso, a costo di morire. Le mani di Dunn erano strette sul suo collo, ma stranamente non sentì la stretta.
-Che c’è Dunn? Non riesci ad uccidere un povero storpio?-
Abraham stesso non riconobbe la sua voce, la sentì arrivare alle sue orecchie come un sibilo, un suono rauco e gelido che le sue corde vocali non avevano mai emesso.
Dunn sorrise.
-Non importa… i morti non parlano…-
Sussurrò aumentando la stretta delle mani, mentre gli occhi di Abraham continuarono a fissarlo.
 -Nemmeno il Professore ha chiuso gli occhi mentre gli tagliavo la gola!-
Sibilò, continuando a stringere sul collo di Abraham, che continuò a guardarlo con odio e disprezzo…



Angolo di Rebecca:

La nostra Beckett ha avuto un attimo di sconforto, ma la sua forza e, soprattutto, l'amore che la lega a Castle adesso, le hanno ridato la forza *-* e Rick per quanto sconfortato, è lucido, dà comunque delle dritte per arrivare a Dunn e rivuole assolutamente la sua vita.

Dunn... beh, di lui meglio non parlare...

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Capitolo 41
*** Cenere ***



 
 
 
  Capitolo 41
 
 
 
Stiamo vivendo freneticamente senza notte né giorno da così tante ore che ho l’impressione di essere qui da un’eternità!
Dopo essere uscita dalla stanza di Rick, Kate si appoggia alla porta e chiude gli occhi sospirando. Le parole del capitano Gates non sono mai state così vere. La stanchezza è davvero al limite, le lacrime disperate l’hanno liberata da un macigno sul cuore, ma l’hanno anche sfinita. Sente la testa pulsare e il bisogno fisico di distendersi e dormire.
Sembra passata un’eternità, sembrano passate settimane dall’inizio del loro incubo. Hanno lavorato senza sosta, cercato, corso, girato in tondo e letto i capitoli di Scott Dunn, senza fermarsi a riflettere che invece è passato poco più di un giorno. In poche ore sono stati travolti dagli eventi, tenendo a mente solo il tempo che scappava via, cercando di mettere insieme elementi che potevano portarli al veleno.
Invece avrebbero dovuto leggere da un’altra prospettiva!
Ma qual era la prospettiva giusta? Qual è la prospettiva giusta per uno psicopatico?
La verità è che il poco tempo a disposizione e il coinvolgimento emotivo hanno impedito, soprattutto a lei, la visione completa della storia. La trama di Dunn esige un epilogo sopraffino.
Immagina come vorresti che finisse…
Il rumore di tacchi proveniente dall’angolo in fondo al corridoio rimette in sesto i suoi sensi e, quasi senza accorgersene, si ritrova a fare un paio di passi in avanti lentamente, mettendo la mano sulla pistola, cosa che fanno anche i due agenti posti di guardia,  allertati dai suoi movimenti.
Il rumore si spande nelle sue orecchie come un eco e inspiegabilmente i battiti del suo cuore accelerano. Stringe la mano sul calcio della pistola proprio mentre i passi diventano più chiari e leggeri di quello che la sua mente aveva immaginato.
Sospira rilassandosi, sposta lo sguardo sui colleghi e fa un cenno, con il quale tornano al loro posto senza fiatare.
-Martha!-
Esclama, quando la donna le prende le mani di slancio e guarda verso la camera del figlio.
-Sei stata da lui? E’ sveglio? Come l’hai trovato? E’ tranquillo?-
Riporta lo sguardo su di lei e solleva le spalle, rendendosi conto di averla travolta di domande. Si accomodano sulle poltroncine a ridosso dell’ampia finestra della sala d’attesa e Martha sospira.
-Sei qui per la ragazza rapita da Dunn? Ne parla tutto l’ospedale.-
Quando Kate annuisce lei la guarda con apprensione.
-Come sta?-
-Siamo arrivati in tempo, se la caverà.-
-Grazie al cielo, almeno questa è finita bene!-
Guardano entrambe verso la stanza in cui si trova Castle.
-Non gliel’ho detto, Martha. Non sa nulla, servirebbe solo a mettergli altra ansia addosso.-
La donna annuisce, stringendole le mani.
-Non ne faremo parola, tranquilla. Non sono ancora riuscita a vederlo sveglio. Siamo state con lui per ore, ma ha dormito tutto il tempo.-
-Qualunque sciocchezza dovesse dirti, non credergli, non vede l’ora di abbracciarti.-
Martha annuisce sorridendo, ma i suoi lineamenti sono tesi, gli occhi più sgranati del solito e le labbra strette evidenziano, in maniera più marcata, le piccole rughe naturali che le circondano,  come se in poche ore la preoccupazione e la paura l’avessero fatta invecchiare più in fretta.
-Come mai sei sola?-
Le chiede infine, guardando oltre il corridoio, non vedendo Alexis e Jim.
-All’accettazione avevano bisogno di alcune informazioni personali su Richard, se ne sta occupando Alexis e tuo padre l’ha accompagnata.-
La guarda sorridendo, rilassando leggermente le labbra.
-Perdonami se l’ho chiamato senza nemmeno interpellarti. Non so cosa mi è preso.-
Le lascia le mani sbuffando senza darle la possibilità di risponderle e continua, guardando fuori dalla finestra.
-Tutto il giorno senza notizie e poi quel video…-
Chiude gli occhi e deglutisce.
-…i giornalisti sotto casa, il telefono che non smetteva di squillare, gli agenti di scorta…-
Kate riesce a fermare il suo fiume di parole e scuote la testa.
-Non devi scusarti per questo, avrei dovuto chiamarlo io.-
-Si cara, avresti dovuto. Jim è una grande risorsa, sai?-
A quella esclamazione, Kate china lo sguardo sulle loro mani intrecciate e sorride annuendo. Restano in silenzio per un paio di secondi, come perse nei propri pensieri, poi Martha sospira e si alza di scatto.
-Vado da Richard!-
Le lascia le mani e la guarda con gli occhi lucidi.
-Mi raccomando Kate…-
-Farò di tutto per salvarlo, te lo prometto.-
Si affretta a rispondere, ma Martha scuote la testa per essere stata interrotta.
-Non era questo che volevo raccomandarti, so già che daresti la vita per Richard, ed è proprio questo che mi spaventa.-
Kate la guarda confusa.
-E’ la seconda volta oggi, che qualcuno mi dice una cosa del genere.-
Afferma seria e Martha solleva spalle.
-Evidentemente questo qualcuno ti conosce bene e sa che sei capace di metterti in pericolo senza pensarci due volte! Fa quello che è necessario per salvare mio figlio, ma sta attenta.-
Le mette una mano sul viso, proprio come poche ore prima, quando quel gesto l’aveva fatta scappare sotto la pioggia battente, ed è in quel momento che corruccia la fronte e socchiude le labbra.
-Perché?-
Sussurra abbassando lo sguardo e Martha si mostra confusa, mettendosi di nuovo a sedere.
-Perché… cosa?-
Kate scuote ancora la testa e Martha le solleva il viso per costringerla a guardarla negli occhi.
-Se fossi arrabbiata e mi sfogassi contro di te per quello che succede, ti sentiresti meglio?-
Ancora una volta Kate si sente stringere la gola in una morsa. Dov’è finita la detective che nascondeva al mondo intero le sue pene e le sue paure e che mostrava solo forza e freddezza? Anche a Martha, come a Castle, basta uno sguardo per capire i suoi pensieri e le sue pene. Sono così simili madre e figlio, così teatrali a volte e con quello sguardo penetrante che arriva a scoprire la parte più intima della sua anima.
-Come fai a sopportare la mia presenza? Se non fossi mai entrata nella vostra vita, tutto questo non sarebbe mai successo.-
Martha sospira e guarda fuori dalla finestra per un attimo. Sono quasi le due, il cielo del primo pomeriggio si preannuncia meno coperto, il grigio ha lasciato un po’ di spazio ad un tenue azzurro, macchiato qua e la da uno spruzzo di nuvole candide.
-Sei una donna coraggiosa Katherine! Sei forte, indipendente, testarda… ma quando il tuo cervello mette in moto quegli strani ingranaggi che solo tu credi di capire, riesci anche ad essere piuttosto limitata!-
Esclama riportando lo sguardo su di lei, che solleva un sopracciglio.
-Nessuno più di me vuole che Richard torni a casa sano e salvo. Nessuno Kate. Nemmeno tu!-
Si avvicina ad un paio di centimetri da lei, incatenando gli occhi ai suoi.
-Per quanto tu possa amarlo, per quanto tu possa essere capace di rischiare tutto per lui, niente può eguagliare quello che farei io per il mio Richard. Quello che ti è difficile capire Kate, è che per la gioia di un figlio si possono accettare e superare parecchie cose. Lui ti ama e tu lo rendi felice. A me questo basta.-
Continua a guardarla negli occhi, con un’espressione tranquilla che le blocca il respiro.
-Ma questo lo potrai capire soltanto quando terrai tra le braccia una creatura a cui tu avrai dato la vita. Una creatura che, per anni dipenderà soltanto da te, in tutto e per tutto.-
Kate la guarda con gli occhi spalancati, senza rendersi conto che Martha le ha preso di nuovo le mani tra le sue, stringendogliele forte.
-Quel giorno ti renderai conto che esiste un sentimento diverso, una passione più forte di qualunque altra, un innamoramento che non ha nulla a che vedere con niente e nessuno. Quel giorno capirai perché io non sopporto la tua presenza, ma ti voglio bene…-
Sospira e le accarezza di nuovo il viso.
-…perché sono una madre!-
Kate avverte la lacrima che le solca il viso, solo perché Martha gliel’asciuga con tenerezza.
-Una madre che nella disperazione ha sentito il bisogno di avere vicino qualcuno che poteva comprendere la sua paura. Una paura che prova anche lui ogni giorno da anni…-
Guarda oltre Kate, che si gira seguendo il suo sguardo. Vedono sopraggiungere Jim, che però si ferma per rispondere al telefono e Kate riporta lo sguardo su Martha, che le fa un cenno di assenso con la testa e le sorride.
-E così come si può superare tutto per amore di un figlio, ci si può anche distruggere per la sua perdita.-
Deglutisce guardando verso la camera del suo Richard, per poi posare gli occhi lucidi su Jim.
-Anche lui ha paura Kate, per questo devi stare attenta!-
Le lascia le mani e con l’eleganza che è insita in lei, si dirige verso la stanza del figlio, senza aggiungere altro.
Kate si guarda le mani, poco prima strette tra quelle della donna che è stata più vicina ad essere una madre per lei negli ultimi quindici anni. Solleva lo sguardo su suo padre e quando vede che ha chiuso la telefonata, si alza per andargli incontro.
-Nessuna buona notizia?-
Le chiede accarezzandole il viso nello stesso modo in cui ha fatto Martha pochi secondi prima, mentre lei scuote la testa.
-Dov’è Alexis?-
-Ha ricevuto una telefonata della madre, così le ho lasciato un po’ di privacy.-
Lei annuisce e gli prende le mani, abbassando lo sguardo.
-Grazie di essere qui.-
-Dove dovrei essere? La mia famiglia ha bisogno di me!-
Sussurra guardando di sfuggita la porta della stanza di Rick.
-Non sai quanto sia importante per loro, soprattutto per Castle.-
-Lo so invece… ed è importante anche per me.-
L’abbraccia stretta e lei chiude gli occhi, abbandonando il viso sulla sua spalla, lasciandosi cullare per un paio di secondi.
-Ti voglio bene papà!-
Lo sente sorridere attaccato al suo viso.
-Mai quanto te ne voglio io piccola mia.-
Ancora una volta il telefono le ricorda che il tempo scorre, si stacca dall’abbraccio di Jim e gli dà un bacio sulla guancia.
-Devo andare.-
Lui annuisce soltanto, la guarda allontanarsi di fretta mentre risponde al cellulare e sospira in maniera impercettibile, come se lei potesse sentirlo, nonostante fosse arrivata già in fondo al corridoio.
-Fai attenzione Katie…-
Le sussurra, restando a fissare il corridoio ormai vuoto.
 
-Muoviti Beckett, abbiamo delle novità.-
Chiude il telefono ed in fretta esce dall’ascensore fiondandosi fuori, verso il parcheggio. Sale sull’auto che si ferma velocemente davanti a lei e riesce a schivare i giornalisti che l’hanno attorniata immediatamente.
Il capitano Gates preme il piede sull’acceleratore e si avvia all’uscita, prende la curva della rotatoria facendo stridere le gomme e Kate cerca di tenersi ben salda, dopo avere allacciato la cintura.
-Che succede, capitano?-
-Esposito è riuscito ad avere qualche notizia in più su Pratt, c’è voluta tutta la mattina, ma alla fine è risalito ad un vecchio indirizzo in cui abitava da ragazzino insieme alla madre. Se è ancora vivo potrebbe essersi rifugiato lì, visto che non ha altro posto dove stare.-
Prende un’altra curva ad alta velocità e Kate mette il braccio sul finestrino per evitare di sbatterci contro.
-Bene…-
Riesce a dire, spalancando gli occhi sul semaforo rosso davanti a loro e sul piede della Gates ancorato all’acceleratore.
-Magari potrebbe attivare la sirena, signore!-
Esclama tenendosi stretta mentre oltrepassano l’incrocio.
La donna sorride e si volta a guardarla per un secondo.
-Che c’è Beckett? Non ti piace la mia guida?-
-No capitano, sono solo preoccupata per Castle. Sarà difficile salvargli la vita se ci schiantiamo! Non capisco il perché di tanta fretta.-
Esclama guardandola leggermente preoccupata.
-Meno di venti minuti fa al centralino del 911 è arrivata una strana chiamata. Una voce maschile ha detto qualcosa d’incomprensibile, ma ha menzionato Dunn ed il veleno.
Kate la guarda con attenzione dimenticando la sua guida sfrenata, aspettando che continui.
-La chiamata si è interrotta improvvisamente, ma appena il centralinista ha sentito la parola veleno, l’ha passata immediatamente al 12th. E’ durata soltanto qualche secondo, ma il cellulare non era protetto e Tori è riuscita comunque ad agganciare il ripetitore da cui è partita.-
Svolta a sinistra, facendo stridere le gomme per l’ennesima volta e quando entrambe si rimettono dritte sui sedili, Kate le fa cenno di continuare.
-La telefonata è partita dallo stesso indirizzo che ha comunicato Esposito. Una casa nella periferia di Manhattan. E’ probabile che a telefonare sia stato proprio Pratt.-
Kate riporta lo sguardo davanti a se, stringendo le labbra, mentre la Gates continua la sua corsa fuori città.
-Io penso che Pratt sia ancora vivo Beckett, magari ha chiamato la polizia per avere protezione, oppure ha qualcosa d’importante da dirci…-
Lascia la frase in tronco e guarda Kate, dando ad intendere che l’uomo potrebbe sapere qualcosa sul veleno, riportando subito dopo lo sguardo sulla strada.
-La telefonata però si è interrotta bruscamente, abbiamo anche riprovato a chiamare, ma la linea risulta irraggiungibile.-
-Dunn non voleva tracce e testimoni, per questo ha fatto esplodere tutto, ma se ha scoperto che Abraham è ancora vivo, lo cercherà per finire il lavoro.-
La Gates annuisce senza distogliere lo sguardo dalla strada.
-Ecco il perché di tanta fretta, vorremmo arrivare a quell’indirizzo prima del nostro amico scrittore per una volta. Ryan ed Esposito saranno già arrivati sul posto.-
Kate stringe la mascella con gli occhi fissi fuori dal parabrezza.
-Se la telefonata si è interrotta di colpo, significa solo che Dunn lo ha già trovato.-
-Non è detto. Magari ci ha ripensato. Ha avuto paura per la sua vita e ha semplicemente spento il telefono.-
Lo sa anche lei che è un’ipotesi infondata, ma nessuna delle due dice altro, mentre si addentrano nell’isolato in questione.
In lontananza scorgono l’auto di Esposito e, prima ancora che la Gates si fermi, Kate si è già slacciata la cintura ed è scesa per raggiungerli.
 
La casa è piccola, su un solo piano, poco sollevata dalla strada da due scalini che portano ad un portico mal messo, con le travi del pavimento che scricchiolano sotto la neve quasi sciolta e mista al fango provocato dalla pioggia torrenziale. La porta è socchiusa e davanti ci sono impronte non ben definite, apparentemente di scarpe diverse.
-Sembra ci sia stata più di una persona di recente.-
Sussurra Ryan, mentre la Gates fa segno con la testa di dare un’occhiata in giro prima di entrare.
Fanno un controllo veloce lungo il perimetro della casa poi entrano cauti, pistole alla mano.
All’interno le condizioni non sono migliori, si capisce che la casa non è stata abitata per anni. Due camere, cucina ed un piccolo bagno. Anche all’interno ci sono diverse impronte di fango e, oltre alla puzza di muffa e di chiuso, non possono non notare un forte odore di bruciato.
-Proviene da qui.-
Afferma Ryan chinandosi sul pavimento della seconda stanza sulla destra del corridoio, oltre la cucina.
Con una penna scosta la polvere grigiastra sul pavimento.
-Sembrano resti bruciati di carta… e guardate là…-
Dice facendo cenno con la testa verso il letto.
Kate si china e raccoglie i pezzi rotti del telefono, sparsi intorno ai piedi del letto.
-Ecco perché la chiamata si è interrotta.-
-E c’è del sangue sulla federa.-
La Gates scosta le coperte sul letto, puntando il dito verso uno dei cuscini.
-Dunn è già stato qui!-
Sibila tra i denti Esposito, mettendo a posto la pistola, mentre il capitano tocca le macchioline rosse con un dito.
-Sembra fresco. La quantità è esigua, di sicuro non gli ha tagliato la gola.-
-Non ne aveva certo bisogno!-
Afferma Esposito, passandosi la mano sui capelli.
-Pratt è affetto da una malattia degenerativa che colpisce l’apparato muscolo scheletrico. Gli sarebbe bastato un pugno per romperlo in mille pezzi.-
-Mi chiedo come facesse a sapere di questo posto!-
Esclama Ryan e Kate sorride amaramente.
-Ha studiato! Ha seguito i suoi personaggi, li ha spiati e ha scavato nelle loro vite per mesi. Non ha tralasciato niente, nemmeno i personaggi che secondo lui non erano necessari…-
Il suo tono è calmo, completamente immedesimata nella mente di Dunn, nel suo modo di agire e vedere la prospettiva.
La prospettiva…
Ryan si china di nuovo ad osservare il mucchietto di cenere, che ha la forma di una para di gomma appartenente ad uno scarponcino sinistro.
-Lo ha calpestato per ridurlo in poltiglia dopo averlo bruciato. Voleva essere sicuro che non ne restasse traccia.-
Solleva la testa guardando i colleghi confuso.
-Era sicuramente un foglio Beckett, credi che potesse essere la formula?-
Kate deglutisce e guarda i frammenti del cellulare rotto che ha tra le mani.
-Stava telefonando al 911 per un motivo ben preciso. Probabilmente si, forse l’ha avuta tra le mani all’improvviso, ma Dunn lo ha fermato. Osservate la scena...-
Si guarda intorno con una tale intensità che anche gli altri fanno la stessa cosa, attenti ad ascoltarla.
-Ha il telefono all’orecchio, probabilmente è spaventato, non sente i passi nel corridoio. Dunn lo colpisce, distrugge il telefono interrompendo la chiamata e dopo brucia il foglio di carta per eliminare ogni traccia possibile.-
Posa lo sguardo su Esposito.
-La malattia non dà modo a Pratt di difendersi e Dunn lo colpisce ancora.-
Fa cenno con gli occhi verso il letto e le macchie di sangue.
Si ferma un momento guardando i colleghi, silenziosi e attenti e non può fare a meno di pensare a Castle. Se fosse stato con loro sarebbe stato lui a descrivere la scena del crimine, arricchendola sicuramente con la sua capacità narrativa. Scuote la testa per tornare al suo ragionamento e sospira, rendendosi conto di quanto la sua assenza sia prepotentemente presente.
-Ma dov’è il cadavere?-
Chiede corrucciando la fronte, guardandosi ancora intorno, mentre gli sguardi interrogativi di tutti le si posano addosso.
-Dunn voleva eliminare tracce e testimoni, ha bruciato quello che pensiamo fosse la formula. Allora dov’è il cadavere di Abraham Pratt?-
-Forse non ha avuto il tempo di ucciderlo perché ci ha sentito arrivare ed è scappato portandoselo dietro.-
Suppone Ryan, ma la Gates solleva la mano interrompendolo, con un cenno negativo della testa.
-Come ha detto Esposito non gli serviva molto per farlo fuori. Non aveva motivo di portarselo dietro, specie se aveva fretta di andarsene.-
Kate si china sul pavimento, sfiora con le dita inguantate il mucchietto di cenere e chiude gli occhi.
-E poi perché contattare la polizia solo adesso? Perché Pratt non era in casa del Professore durante l’esplosione?-
Sussurra più a se stessa che agli altri, che la guardano ancora con sguardi interrogativi ed incerti.
-E’ evidente che Scott Dunn non aveva previsto che Pratt potesse sfuggirgli. Quella cenere, questa casa… è arrivato qui di corsa, quasi quanto noi. Non si aspettava che Abraham sopravvivesse all’esplosione, questo significa che era convinto che fosse in casa quando ha tagliato la gola al Professore.-
La Gates annuisce, senza toglierle gli occhi di dosso.
-E questo cosa dovrebbe farci capire?-
-Che ha fatto il primo errore. Non si è assicurato che anche Pratt fosse in casa e questo lo ha destabilizzato un attimo, portandolo ad agire in fretta e senza pensare…-
Il capitano sorride.
-…adesso sarà arrabbiato!-
Anche Kate sorride annuendo.
-L’omino piccolo e storpio stava per rovinare la sua trama.-
Corruccia la fronte e china lo sguardo sulle macchioline rosse sulla federa.
-Solo non capisco… come mai Pratt non era insieme al Professore stanotte?-
I colleghi si guardano l’un l’altro, cercando di seguirla ed è proprio il capitano che continua sulla sua lunghezza d’onda.
-Perché il Professore temeva che Dunn avrebbe voluto eliminare prove e testimoni. Lester Downing ha passato settimane intere a cercare una cura che potesse far star meglio Abraham e sappiamo dal direttore del carcere, che l’ha trovata…-
Kate annuisce e fa un paio di passi in avanti verso la Gates.
-…gli voleva bene, era il suo unico amico. Probabilmente lo ha allontanato da casa con qualche scusa per salvarlo dalla violenza di Dunn...-
La Gates annuisce ancora, puntandole un dito contro.
-…il Professore era un uomo mite dopotutto, si sentiva in colpa per il veleno e per la sorte di Abraham, ma era un debole. Non aveva abbastanza palle per scappare e nascondersi da Dunn per il resto della vita, quindi…-
Mentre Ryan ed Esposito si guardano confusi per questa staffetta di frasi, Kate riprende il filo del discorso.
-…quindi ha messo al sicuro Abraham, nascondendo la formula dove lui avrebbe potuto trovarla facilmente…-
-…per questo Pratt ha chiamato il 911 soltanto adesso!-
Annuiscono insieme, mentre i colleghi le guardano completamente ammutoliti. Le due donne si guardano corrucciando la fronte e il capitano fa una smorfia sbuffando.
-Che non succeda più che tu ed io ci finiamo le frasi a vicenda Beckett, lo trovo inquietante!-
Kate storce le labbra per reprimere un sorriso e la Gates esce sul portico a passo spedito, si guarda intorno per un attimo per tornare poi sui suoi uomini.
-Teorie sul perché non c’è il cadavere di Abraham Pratt in casa?-
Ryan scende i due scalini del portico, seguito da Esposito e Beckett.
-Perchè Dunn teme che sia al corrente su qualche altra cosa che concerne la tossina o che magari abbia qualche informazione importante che lo riguardi!-
-Ragione di più per farlo fuori e cancellare qualunque possibilità per noi di arrivarci…-
Afferma Esposito, mentre Beckett scuote la testa.
-Se è vero che sul quel foglio c’era scritta la formula, Dunn sarà arrabbiato, anche se distrutta. Il suo racconto non lo prevedeva, perciò gli serve Pratt che capire in cosa ha sbagliato e sistemare il suo romanzo di conseguenza!-
Restano un attimo in silenzio a metabolizzare il pensiero di Beckett, che per la personalità di Scott Dunn, non fa una piega.
Il capitano punta Ryan.
-Tu ed Esposito date un’occhiata in giro, le impronte qui davanti indicano che Dunn non si è preoccupato di nascondersi, ma è entrato ed uscito dalla porta principale. La casa è disabitata da anni, quindi non può essere passato inosservato ai vicini. Se ha portato via Pratt, probabilmente aveva un’auto, fate controllare quelle rubate nelle ultime 24 ore. Se Beckett ha ragione, Pratt potrebbe essere ancora vivo e dobbiamo trovarlo prima che diventi cadavere, quindi diramiamo un bollettino di ricerca.-
Sospira guardando Kate.
-Tu ed io torniamo al distretto!-
I ragazzi annuiscono, mentre Kate apre lo sportello dal lato del passeggero, ma il capitano la blocca porgendole le chiavi della macchina. Lei corruccia la fonte e la donna fa mezzo sorriso.
-Andiamo Beckett… non sia mai che ci schiantiamo! Non voglio mica la sorte di Castle sulla coscienza.-
Le lascia le chiavi, si siede in macchina e si allaccia la cintura di sicurezza.
-Come se non avessi capito che non ti piace come guido!-
Borbotta guardando seria fuori dal parabrezza, mentre Beckett mette in moto sorridendo.
Ryan ed Esposito le seguono con lo sguardo fino a che spariscono dietro l’angolo e Ryan fa un’espressione di ribrezzo.
-Sbrighiamoci a trovare quella tossina e a rimettere Castle in squadra.-
Esposito annuisce rabbrividendo.
-Hai ragione, quelle due vicine sono davvero inquietanti!-
 
 
I morti non parlano…
Fissò Abraham che boccheggiava aria, mentre le sue mani stringevano la laringe.
Sapeva di stare per morire, eppure lo guardava con sfida, nonostante la mancanza d’aria gli avesse fatto diventare gli occhi rossi, come tutto il viso che pareva volesse esplodere da un momento all’altro.
Non sollevò nemmeno le mani per cercare di divincolarsi. Aspettava semplicemente che mettesse fine alla sua inutile vita.
Voltò lo sguardo sulle ceneri di quella specie di testamento che il Professore aveva lasciato, poi guardò il cellulare in pezzi e digrignò la mascella, allentando la presa attorno all’esile collo del Grillo Parlante.
I morti non parlano, ma lasciano tracce…
Abraham era riuscito a chiamare il 911 e la polizia sarebbe stata lì a momenti.
Le cose fatte di fretta non vanno mai bene e lui aveva organizzato tutto alla perfezione, non poteva mandare tutto all’aria per dei piccoli intoppi.
Abraham respirava a fatica, riusciva a sentire il suo torace salire e scendere con movimenti corti e pesanti. Bastava che torcesse le dita poco più forte per rompergli l’osso del collo, ma continuava a guardarlo con sfida nonostante tutto.
Non lo sopportava. Lui sapeva. Sapeva il posto in cui il Professore aveva trascritto la formula.
Aveva scritto un libro bellissimo, un thriller che il mondo stava apprezzando aspettando l’epilogo con curiosità e apprensione.
Lui doveva avere tutto sotto controllo. Lui doveva sapere. Doveva scrivere anche questo. I colpi di scena fanno parte di un romanzo che si rispetti, per questo doveva assolutamente sapere come Lester Downing voleva prendersi gioco di lui.
-Voglio sapere dov’è la formula!-
Esclamò all’improvviso, mentre le sue pupille si dilatavano scure sul viso paonazzo di Abraham, che tossì per un paio di secondi e poi sorrise.
-I morti non parlano… ed io sono già morto!-
Dunn strinse ancora le mani sulla sua gola, ma lasciò la presa immediatamente scoppiando a ridere, la risata però gli morì sulle labbra all’improvviso. Sollevò lo sguardo verso la finestra, come un predatore che sente l’odore della sua preda. Chiuse gli occhi e sospirò.
Nikki era vicina. Sentiva la sua presenza.
-E’ ora di andare…-
Sussurrò con un ghigno divertito sulle labbra.
Sarebbe stato fantastico restare a guardare, vederla entrare con la pistola in pugno, gli occhi attenti e la fronte corrucciata. Sarebbe stato bello riuscire a scorgere nel luccichio del suo sguardo la consapevolezza che lui era lì, ad un paio di passi da lei, con la sua vita legata al collo… ma non era ancora il momento. Ci sarebbe stato tempo e luogo. Si sarebbero incontrati faccia a faccia. Avrebbero scritto l’epilogo insieme, ma non adesso.
Guardò le piccole gocce rosse che si allargavano sulla federa di colore azzurro. Il sangue sgorgava a filo dalle narici di Abraham. Aveva incassato il colpo senza un lamento, la testa era rimbalzata verso destra. Si assicurò che fosse ancora vivo e lo prese sotto il braccio, come un fantoccio di pezza.
Aprì la porta, richiudendola con cura. Non gli importava di essere visto. Non gli importava che qualcuno potesse fermarlo.
Nikki doveva sapere.
Nikki doveva sapere che poteva esistere la formula per salvare il suo scrittore.
Nikki doveva stargli dietro.
Aprì il cofano dell’auto rossa, scaraventò Abraham all’interno e con calma si mise alla guida.
Osservò lo specchietto retrovisore.
Un brivido lo attraversò per tutta la colonna vertebrale.
Lei era troppo vicino.
Sorrise.
-A presto Nikki…-


Angolo di Rebecca:

Kate ha un altro confronto, proprio con la donna più importante: Martha... che finalmente le ha detto che a volte è un po' limitata ahhahh... che donna! E' una mamma *-*
Esposito (Virginia, avevi ragione tu, possiamo contare su di lui) ha trovato il vecchio indirizzo di Abraham, ma trovano solo tracce di sangue e cenere... e connessione tra la Gates e Kate O.o inquietante!

Diciamo comunque che Abraham è ancora vivo (e qui devo interpellarti di nuovo Virginia. Visto? Niente omicidio, anche stavolta la quercia è salva!)

 

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Capitolo 42
*** Parlami di Lui ***





Capitolo 42
 

 
Il capitano Gates guarda dritto davanti a sé, la guida di Beckett è tranquilla, anche se tiene le mani serrate al volante come se temesse di perderlo. La verità è che ogni muscolo del suo corpo è rigido, la mascella serrata e gli occhi saltellano di continuo dallo specchietto retrovisore alla strada da seguire, come se si aspettasse di vedere sbucare alle sue spalle gli occhi di ghiaccio di Scott Dunn per trafiggerla.
La sua paura è tangibile. Non si tratta solo di una questione di vita o di morte, non si tratta di trovare un assassino e salvare la vita ad un uomo, si tratta di sentimenti messi in gioco, di stratagemmi per mettere a nudo la parte più profonda dell’anima, quella parte che forse, nemmeno lei era consapevole di avere.
Anche lei è un poliziotto, anche lei ha una famiglia che ama e per la quale darebbe la vita.
Ripensa alla discussione avuta con Castle quella notte, una discussione esilarante avrebbe detto, se solo quell’uomo,  imbarazzato per certi versi, ma così serio quando le aveva espresso le sue scuse, non fosse stato in pericolo di vita, sotto pressione e preoccupato per la donna che ama. Se in quei mesi aveva avuto il dubbio che quei due gliela stessero facendo sotto il naso, magari divertendosi un po’, in quel momento aveva avuto la certezza assoluta che il loro era un grande amore, cresciuto piano, sotto gli occhi di tutti e diventato forte ancora prima di cominciare realmente.
Sente una stretta al petto improvvisa che la costringe a deglutire, portando poi lo sguardo su Beckett.
-Non stiamo lasciando nulla di intentato. Questa mattina il Sindaco ha chiamato il Capo della Polizia per assicurarsi che tutte le forze disponibili della città fossero impegnate in questo caso.-
-Lo so benissimo signore!-
Risponde lei sicura e la Gates annuisce.
-Bene, perché ci sono pattuglie dislocate in ogni parte della città con il compito di controllare ogni minima segnalazione arrivata ai centralini dei diversi distretti.-
Kate la guarda corrucciando la fronte e il capitano sospira.
-Dopo il video di stanotte e la mobilitazione dei media, il Capo ha pensato bene di mandare in onda le foto di Scott Dunn in originale e con i travestimenti usati. I centralini sembrano impazziti, arrivano segnalazioni di gente che dice di aver visto uno degli uomini delle foto ovunque in città e, nonostante alcune sembrino davvero improponibili, le stiamo controllando tutte, una per una.-
Sospira ancora quando Kate scuote il capo.
-Alla fine Dunn non è un fantasma! Deve pur essere da qualche parte e lasciare una traccia. Abraham lo ha messo in difficoltà, questo potrebbe essere un punto a nostro vantaggio.-
Kate annuisce, anche se poco convinta. Si ferma al semaforo rosso e posa lo sguardo sulla Gates.
-Dunn non uscirà allo scoperto. Il suo piano è preciso. Forse Abraham lo ha messo in difficoltà, ma il fatto che è arrivato prima di noi, rimette tutto in equilibrio, almeno per lui.-
-Può essere, però il suo nascondiglio ha i minuti contati.-
-Lo sa anche lei che ci stanno lavorando da ore. Non c’è nessuna traccia veritiera sull’indirizzo IP da cui è partito il video, sennò Tori lo avrebbe già trovato.-
Il semaforo dà loro il via libera, Kate ingrana la marcia e la Gates annuisce.
-Tori è in gamba. Questa notte, dopo che Dunn ha caricato il video, ha messo un programma di guardia alla rete.-
Kate corruccia la fronte e il capitano sorride.
-Una specie di cavallo di Troia pronto a captare la traccia di partenza e scartare quelle fasulle, nel caso Dunn avesse usato lo  stesso server per accedere ancora ad internet…-
Solleva un sopracciglio, sorridendo.
-…e lo ha fatto stamattina con il video su Jessica Benton! Tori mi ha chiamata quando eravamo ancora in ospedale, sono riusciti ad agganciare il punto di partenza, certo sta saltellando come il primo video da una parte all’altra del globo terrestre, però stavolta la traccia d’inizio è rimasta.-
Si volta a guardarla seria.
-Lo troveremo Beckett e lui questo non se lo aspetta!-
Kate deglutisce, continua a stringere le mani sul volante. Lo troveremo significa solo che ci vuole altro tempo, tempo che Castle non ha. Sospira e svolta alla sua destra.
Al centro dell’isolato si staglia l’edificio del 12th distretto. Sono passate più di dodici ore da quando Dunn ha postato il suo capitolo in rete e la stampa è sempre più curiosa e avida di notizie.
-Eccoli là… avvoltoi!-
Sibila tra i denti la Gates, affrettandosi  a scendere dall’auto e a correre verso l’entrata, seguita da Beckett e dalle domande dei giornalisti, tenuti a bada da agenti di guardia, dall’altra parte della strada.
Uscendo dall’ascensore, Kate ha l’impressione di tornare indietro di un giorno, quando insieme a Castle si era ritrovata investita dal via vai frenetico della squadra omicidi, subito dopo aver saputo la tremenda verità.
Sembra esserci un caos calmo, quel caos provocato da documenti sparsi sulle scrivanie, telefoni che squillano, lavagne che vengono riempite e ricontrollate minuziosamente, detective dal viso stanco e provato dalle lunghe ore di lavoro ininterrotto. Calmo perché tutto è invece organizzato e nulla è lasciato al caso.
Il campanello dell’ascensore la riscuote da quella vista e, quando anche Ryan ed Esposito le raggiungono, si rifugiano nell’ufficio del capitano per un attimo di silenzio.
-La via in cui abitava Pratt è molto tranquilla.-
Esordisce Esposito, storcendo le labbra, mentre la Gates e Kate lo guardano confuse.
-Nel senso che tutti si fanno gli affari propri. Potrebbero ammazzare qualcuno in mezzo alla strada e nessuno interverrebbe.-
-Quindi non avete scoperto niente?-
Ryan solleva le spalle.
-Qualcosina abbiamo scoperto, ci è costato 50$, ma… un tipo ha visto uno sconosciuto parcheggiare una familiare rossa davanti alla casa di Pratt, che è sparita dopo qualche minuto. Sempre il tipo, non ha visto, o non ha voluto vedere, altro.-
Esposito mostra un foglio al capitano.
-Abbiamo una segnalazione su una Volkswagen Golf Station Vagon rossa, rubata in mattinata sulla 27th strada.-
-Non è per niente esibizionista! Per non dare nell’occhio ha rubato un’auto rossa…-
Kate scuote la testa e si dirige verso la finestra. Le veneziane sono abbassate ma riesce a vedere, attraverso le fessure, i giornalisti che aspettano come animali voraci e la vita che continua a scorrere tranquilla per il resto della città.
Appoggia la mano sulla veneziana e per un attimo non si rende conto degli sguardi muti su di lei.
Veglio su di te…
Chiude gli occhi e si porta la mano al centro del petto.
Nella loro ultima notte insieme, Castle sentiva la tensione di quello che li circondava, era preoccupato per lei e l’aveva amata in maniera disperata e tenera allo stesso tempo, stringendola così forte da farla sentire protetta… lei invece non era riuscita a proteggerlo.
-Beckett!-
La mano di Victoria Gates le sfiora la spalla e quando lei si gira di scatto, si trova davanti ad un impercettibile sorriso.
-E’ tutto a posto capitano.-
Risponde dirigendosi alla porta.
Uscendo si sofferma a guardare la lavagna con gli ingrandimenti dei manoscritti.
-Continuiamo a sbagliare…-
Sussurra tanto piano che i colleghi si guardano corrucciando la fronte, aspettando che si spieghi, ma lei continua a seguire il filo illogico dei suoi pensieri ed in assoluto silenzio, si siede sulla sua scrivania, con gli occhi fissi sulla lavagna.
 
-Parlami di lui…-
Lo aveva chiesto in un sussurro, senza guardarla negli occhi e Martha aveva corrucciato la fronte, senza riuscire a capire di chi doveva parlargli, ancora confusa e frastornata dalla tosse che lo aveva colto all’improvviso e dal dolore che lo aveva costretto a sollevarsi e a piegarsi su se stesso, seduto sul letto, quando era entrata pochi secondi prima.
-Parlami di lui… almeno adesso, dimmi qualcosa di lui…-
Aveva ripetuto la sua richiesta alzando lo sguardo su di lei, il viso sudato e i segni del dolore che ancora sentiva nelle viscere, mentre il respiro cominciava a tornare normale.
In quell’attimo Martha aveva capito.
I suoi occhi non mostravano solo dolore fisico, imploravano una risposta che aspettava da quando era venuto al mondo.
Spalancò la bocca come sorpresa.
Lo aveva cullato sul suo petto, dopo che lui l’aveva pregata di non chiamare nessuno perché il dolore si stava attenuando. Non voleva il medico in quel momento, voleva solo che lei lo abbracciasse e lo facesse sentire al sicuro, come quando era bambino.
Si era allontanata quando lo aveva visto più calmo, dirigendosi lentamente alla finestra, guardando il pezzo di azzurro che stava osservando lui quando era entrata senza bussare, per non disturbarlo nel caso si fosse assopito di nuovo, invece lo aveva sorpreso con lo sguardo rivolto  sul cielo che mutava di minuto in minuto. Le nuvole si muovevano lente macchiando, con disegni bianchi simili a pecorelle di forma strana, quell’azzurro che aveva preso finalmente piede contro il grigio cupo e deprimente.
Aveva visto le sue labbra incresparsi in un impercettibile sorriso e quando si era accorto di lei sulla porta, senza che gli chiedesse nulla, le aveva detto che quel pezzo di cielo gli ricordava le  giornate trascorse al parco con Alexis bambina, stesi sull’erba a fare a gara per trovare la nuvola dalla forma più strana o più buffa e puntualmente vinceva lei, non perché lui non avesse fantasia, ma solo perché, invece di guardare in alto, si perdeva nella sua risata cristallina e in quegli occhioni sgranati e curiosi che si muovevano da una nuvola all’altra. Aveva appoggiato la testa sul cuscino sorridendo, sollevando la mano per quanto aveva potuto, chiedendole di avvicinarsi.
Anche le labbra di Martha si erano schiuse in un tenero sorriso.
Aveva detto a Kate che essere genitori mette in secondo piano qualsiasi altro tipo di sentimento, ogni cosa prende un’importanza diversa quando la rapporti alla vita di tuo figlio. Lei aveva cambiato la sua vita per Richard, aveva rinunciato a tante opportunità, prendendone al volo altrettante, ma non si era mai pentita di niente, perché quel figlio arrivato all’improvviso, le aveva dato modo di combattere con una forza ed un coraggio che nemmeno lei sapeva di avere. Aveva vinto tante battaglie supportata dalla presenza del suo bambino. Quello stesso bambino diventato genitore troppo presto, proprio come lei e che come lei, aveva messo sua figlia davanti a tutto e tutti.
I momenti difficili, come quello che stavano vivendo in quel preciso istante, portano inevitabilmente a ripercorrere il passato, a fare i conti con le azioni compiute e, guardandolo immerso nel suo dolcissimo ricordo, si era persa anche lei in ricordi lontani, pensando a quella notte in cui aveva amato, con passione, con tutta se stessa e che le aveva lasciato, non solo Richard, ma anche il pensiero, guardandolo crescere giorno dopo giorno, di come sarebbe stato se quell’uomo non fosse sparito portandosi via il suo cuore.
Era tornata alla realtà quando il sorriso del suo Richard si era trasformato in una smorfia di dolore.
Quando si era ripreso, ansimando, senza guardarla negli occhi e senza preavviso, le aveva chiesto di parlargli di lui, come se avesse intuito i pensieri in cui si era persa per un attimo.
Rimase ferma di spalle, consapevole di avere il suo sguardo addosso, senza riuscire a capacitarsi di come, in tutti quegli anni, avesse potuto credere davvero che gli avesse mentito.
 
Deglutisce, sentendo le lacrime farsi prepotenti, imponendosi di rimandarle indietro.
-Davvero non mi hai mai creduto Richard?!-
Chiede in un sussurro e quando non riceve risposta, si volta a guardarlo. Lui solleva le spalle, guardando il copriletto azzurro che gli copre le gambe.
-E’ difficile non sapere chi è il padre di tuo figlio… avrai avuto sicuramente i tuoi motivi per non parlarne mai mamma e non voglio né giudicare, né recriminare, ma adesso sembra così stupido, non credi?-
Sussurra anche lui, appoggiando di peso la testa sul cuscino e chiudendo gli occhi respirando a fondo, per scacciare quel residuo di dolore che non lo ha ancora lasciato.
Martha prende il panno lasciato andare dentro una ciotola di ghiaccio ormai quasi disciolto, lo strizza per bene e glielo passa sul viso. Il refrigerio che prova gli strappa un sospiro e riapre gli occhi, osservandola con attenzione, mentre continua a passargli il panno anche sul collo.
-Eppure io non lo so chi è tuo padre, Richard.-
Scuote la testa lasciando il panno nella ciotola. Gli mette entrambe le mani sulla sua e lo guarda finalmente negli occhi.
-Recitavo nella mia prima, vera, scrittura. Niente di speciale, ma avevo intascato il mio primo stipendio e mi sentivo al settimo cielo. Realizzata finalmente, dopo tanto studio, tanta gavetta e tante delusioni. Avevo comprato un abitino rosso, senza maniche, con scarpe e borsa annesse… logicamente!-
Esclama dondolando una mano avanti e indietro, strappandogli un sorriso.
-Quella sera indossai il mio bel vestito e uscì per raggiungere i colleghi a cena, ma quando arrivai a metà strada, il caldo torrido di metà luglio si trasformò in uno scroscio di acqua inimmaginabile. Imprecai contro ignoti!-
Storce le labbra contrariata e poi sorride continuando il suo racconto.
-Misi la borsetta sulla testa… hai presente quelle pochette microscopiche?-
Scoppiano a ridere insieme e lei solleva le spalle.
-Volevo salvare il mio abitino con quella! Cominciai a correre, ma dopo un paio di passi ero già fradicia dalla testa a i piedi. Imprecai ancora e andai a sbattere contro qualcosa. Anzi… contro qualcuno.-
Sospira stringendogli la mano.
-Sentii due mani forti prendermi per le braccia, impedendomi di finire a terra e dare il colpo di grazia alla mia eleganza. Quando alzai lo sguardo mi trovai davanti ad un sorriso sghembo, un sopracciglio alzato ed un’espressione mista tra stupore e malizia.-
Rick si sistema meglio sul letto, aumentando la sua attenzione.
-Non so per quanto siamo stati in mezzo alla strada a fissarci, con la pioggia come unico ostacolo tra noi. Mi prese per mano improvvisamente e corremmo sotto i portici poco lontano da lì, per ripararci. Restammo in silenzio ad aspettare che spiovesse, spiandoci con lo sguardo di soppiatto, fingendo invece di guardare la pioggia.-
Gli mette una mano sul viso e sorride.
-Richard, tu sai cosa significa guardare qualcuno negli occhi e sentirti finalmente nel posto giusto per la prima volta nella vita.-
Lui annuisce e Martha sospira.
-Lo so, tu ci hai messo anni per fare un passo avanti, io…-
Sventola ancora la mano sbuffando.
-…io non so cosa sia successo, so solo che ci ritrovammo insieme, nella sua stanza d’albergo, ad amarci.-
Annuisce quando Rick corruccia la fronte.
-Non mi era mai successo, non avevo mai provato nulla del genere e in quel momento Richard, io l’ho amato. Ci siamo amati davvero. In certi momenti non puoi mentire. Puoi fingere, ma non mentire. Ci siamo guardati negli occhi tutto il tempo e i suoi occhi non mentivano. Anche lui mi ha amato e non mi sono sentita mai più al sicuro con nessun altro uomo, come quella sera.-
Gli occhi le si riempiono di lacrime quando nota il sorriso dolcissimo che si disegna sulle labbra di suo figlio, ma le ricaccia indietro ancora una volta.
-Il mattino dopo trovai sul cuscino una rosa rossa ed un biglietto: Perdonami Martha, posso solo lasciarti il mio cuore. Alexander.-
-Alexander?!-
Balbetta Rick sollevando le sopracciglia e Martha scuote la testa sorridendo.
-Mi sembrava giusto che avessi qualcosa di suo… sempre che fosse il suo vero nome. Magari era falso anche quello. Forse aveva moglie e figli da qualche parte, o forse…-
Solleva le spalle.
-…era un agente segreto!-
Esclama avvicinandosi al viso di Rick come una cospiratrice, facendolo ridere, ma lei si rabbuia di colpo.
-Mi spiace che tu non mi abbia mai creduto Richard. Io non ho mai saputo più nulla di lui…-
Rick scuote la testa e sospira.
-No mamma, scusami. Non avrei dovuto, non so nemmeno perché ho pensato a lui improvvisamente.-
-Perché avresti bisogno del suo sostegno. Giustamente!-
Esclama stringendo le labbra, come a rimproverarsi di quella mancanza e quando lui cerca di ribattere, lei scuote ancora la testa.
-Sono rimasta in quella stanza a piangere come una stupida, arrabbiata con me stessa perché soffrivo per uno sconosciuto…-
Lo guarda seria, dritto negli occhi.
-…uno sconosciuto che ho amato davvero. E’ strano lo so, può sembrare surreale, ma io l’ho amato. Ed è vero che mi ha lasciato il suo cuore. Sei arrivato tu!-
Gli dice accarezzandolo, con un sorriso dolcissimo che gli toglie il respiro per un attimo.
-Mi conosci Richard. Io non mi sono mai pentita di nulla nella mia vita. Ho affrontato le mie scelte, giuste o sbagliate, accettandone le conseguenze e prendendomene la responsabilità…-
China lo sguardo un momento stringendo le labbra, per tornare a guardarlo subito dopo.
-Però mi porto dentro un unico rimpianto.-
Lo accarezza ancora annuendo quasi a se stessa.
-Rimpiango che lui non abbia mai potuto godere di te.-
Rick corruccia la fronte e lei sorride, lasciando andare quelle lacrime che ha trattenuto per troppo tempo.
-I tuoi sorrisi sdentati, i tuoi occhioni curiosi e vispi, le tue manine sempre in movimento pronte ad acchiappare qualunque cosa…-
Gli accarezza il capelli notando che anche i suoi occhi si sono riempiti di lacrime.
-…i tuoi passi incerti, le tue cadute sul sederino tra risate e pianti. Rimpiango che non abbia conosciuto la gioia delle tue marachelle, la tristezza dei tuoi silenzi, la dolcezza dei tuoi abbracci. Si è perso l’onore di essere tuo padre!-
-Mamma…-
Tenta di dire Rick, ma lei gli mette un dito sulle labbra e appoggia la guancia alla sua.
-Richard, sappi che Martha Rodgers ha le spalle forti. Ha sopportato tanto nella sua vita e può sopportare ancora di più… tranne perdere suo figlio!-
Rick deglutisce, cercando qualcosa di sensato da dire, senza riuscirci. Un’ombra lo porta a spostare lo sguardo verso la porta e la sua espressione fa girare anche Martha. Si ritrovano insieme davanti agli occhi lucidi di Alexis e Jim Beckett.
-Scusate… la porta era aperta e…-
Alexis si torce le mani per il nervosismo, cercando di scusarsi.
-…e non abbiamo potuto non sentire!-
Madre e figlio sorridono e Jim si schiarisce la voce un paio di volte, passandosi la mano dietro la nuca, imbarazzato.
-Scusate soprattutto me, dovevo aspettare in corridoio.-
Martha solleva la mano con fare teatrale.
-Oh andiamo Jim, sono sicura che anche tu avrai un segreto piccante nascosto nel tuo passato e prima o poi me lo racconterai!-
Jim solleva le sopracciglia, arrossendo visibilmente, Alexis guarda la nonna accigliandosi e Rick scuote la testa sospirando.
-Se un giorno le racconterai davvero un tuo segreto piccante, io desidererei non saperlo Jim.-
Alexis guarda Jim Beckett e gli sorride sollevando le spalle, come a dire che quella è la sua famiglia e deve prenderli così come sono e lui le mette un braccio sulle spalle, annuendo.
Martha stringe la mano di suo figlio senza guardarlo. Rick invece la guarda. Fissa il suo profilo per qualche secondo, poi guarda Alexis, il sorriso sulle sue labbra e l’angoscia nei suoi occhi e Jim Beckett che la stringe a sé con dolcezza.
Tutto quello che ha sempre desiderato è dentro quella stanza. Manca solo l’incastro più importante che lo ha reso completo per la prima volta dopo quarant’anni, la donna in cui crede ciecamente. Non ha alcun dubbio sul fatto che Kate gli porterà la tossina, l’unico vero dubbio che lo tormenta è il tempo, il malessere che sente addosso… non poterle stare vicino…
 

Il Professore sorrideva...
Poche volte lo aveva visto sorridere veramente e, in quel momento, il suo sorriso lo aveva rincuorato.
Teneva il braccio in bilico sulle fiamme scoppiettanti del camino, la mano stretta in un pugno stropicciava un pezzo di carta, ma sorrideva.
Lo guardò sereno, si tolse gli occhiali, tendendo la mano verso di lui. Aprì il pugno e annuì. Il foglio stropicciato si districò leggermente e piccoli simboli e numeri si fecero largo davanti ai suoi occhi.
Sentì il cuore libero e sorrise anche lui…
Il torpore che lo aveva avvolto alla visione del Professore che gli sorrideva, sparì d’improvviso. Cercò di aprire gli occhi, ma il martellare della testa glielo impedì. Si sentiva dondolare e non riusciva a capire dove fosse o casa stesse succedendo.
‘Abraham, amico mio…’
Un lampo attraversò la sua memoria e ricordò improvvisamente la lettera nella sua sacca, le parole benevole del Professore e il diavolo che lo aveva trovato, ma invece di ucciderlo, lo aveva colpito e chiuso nel portabagagli di un’auto, per portarlo chissà dove.
Il suo fragile corpo non aveva sopportato oltre e quando l’auto si era mossa lui aveva chiuso semplicemente gli occhi per non sentire più nulla e, nella nebbia della sua mente, aveva sognato il Professore, sereno e sorridente.
Non aveva distrutto la formula, anzi, gliel’aveva messa praticamente tra le mani, con il sorriso sulle labbra.
Il Professore non lo aveva tradito. Voleva fare la cosa giusta e lui non se ne era reso conto… e adesso era troppo tardi.
Abraham Pratt era un povero storpio e non avrebbe mai potuto contrastare la forza fisica di Dunn.
L’auto procedeva a velocità sostenuta. Aprì gli occhi di colpo per uno scossone che lo fece gemere. Un dolore prepotente s’irradiò dal collo lungo la colonna vertebrale, fino a scendere verso il basso provocandogli bruciore alle gambe, come una scossa elettrica.
Non sentiva clacson, né i rumori normali che riempiono il centro della città e le ruote provocavano uno strano stridio, mentre giravano frenetiche sull’asfalto ricoperto di fango e nevischio ormai disciolto.
Non capiva perché non lo avesse ancora ucciso. Non si rendeva conto di quanto tempo fosse passato da quando avevano lasciato la sua vecchia casa, ma le sue ossa parlavano e la loro lingua lo mise al corrente che era in quella posizione scomoda da troppo tempo e gli scossoni presi ad ogni fosso, che Dunn sembrava non curarsi di scansare, gli toglievano il respiro.
Il Professore sorrideva…
Sospirò cercando di reprimere un urlo all’ennesimo scossone dell’auto, cercò di muovere le braccia in avanti e di allungare di poco le gambe, ma ossa e muscoli non ne volevano sapere. Era bloccato.
La macchina si fermò, il silenzio venne interrotto dallo sportello che veniva aperto e poi richiuso con un tonfo e dai passi pesanti che si avvicinavano sempre più.
Il cofano si aprì e Dunn sorrise.
Quando riaprì gli occhi era passato altro tempo. Doveva esserselo caricato sulle spalle e portato all’interno di una casa e in quel lasso di tempo lui era svenuto di nuovo.
Si guardò intorno confuso, seduto su una sedia con le mani legate dietro la schiena e gli occhi malevoli di Dunn addosso.
La sua figura si stagliava davanti ad una finestra dai vetri rotti come un’ombra in negativo, stampata su un cielo che al mattino non si era preso la briga di colorarsi dell’alba e in quel momento, stava diventando bruno senza scomodarsi a passare per i colori del tramonto.
Era già pomeriggio inoltrato.
-Dove avrebbe nascosto la formula il mio amico Lester?-
Ecco perché lo aveva portato via di fretta e senza ucciderlo!
-I morti non parlano. Dovrebbe bastarti…-
Gli rispose a fatica, balbettando per il dolore e per il freddo che entrava da quella finestra senza vetri e la risata del suo aguzzino gli trapanò i timpani. Lo sovrastò con la sua ombra, mettendosi dritto davanti a lui.
-Il mio romanzo deve essere perfetto, deve essere reale e tu e il tuo amico stavate per rovinare tutto… Nikki è intelligente, se esiste davvero quel foglio lei lo troverà… io devo sapere!-
Fu l’ultima esclamazione che sentì, prima che gli ficcasse il coltello nella spalla all’improvviso, facendolo urlare per il dolore.
Continuò a parlargli, a picchiarlo, ma il dolore era più forte della sua follia e le sue orecchie non riuscirono più a seguire il senso di quello che diceva.
-Nella… nella cassa… forte…-
Quando gli passò la lama del coltello sulla gola e penetrò la carne con la punta, lasciando che un piccolo rivolo di sangue colasse giù fino al giubbotto, la sua voce uscì spontanea dalle labbra, stremato, pronto a lasciarsi morire.
Le corde che gli stringevano i polsi dietro la schiena si allentarono di colpo, le mani di Dunn lo afferrarono ancora una volta come un fantoccio di pezza.
Sentì altro dolore quando lo scaraventò sul pavimento.
-Potevi fare l’eroe Abraham… pensa. Per una volta l’omino storpio e dalla vita inutile, poteva fare la parte del salvatore.-
Gli strinse le mani al collo per l’ennesima volta e sorrise.
-Per fortuna ho messo il plastico dalle fondamenta. Non è rimasto nulla Abraham… nulla!-
Si chinò su di lui, alitandogli sul viso.
-Puff… la formula è letteralmente andata in fumo!-
Sentì la stretta al collo sempre più forte, fino a che i suoi polmoni bruciarono per qualche secondo.
Niente più  dolore… finalmente!



Angolo di Rebecca:

Un altro momento "intimo" stavolta tra madre e figlio *-*
Rick non può fare a meno di pensare a suo padre, dopo la gaffe di Edith, il cervello ha elaborato che era ora di sapere, ma Martha non lo sa davvero chi è :p
Kate continua a pensare alle parole di Castle... "continuaiamo a sbgliare" ha detto prima di mettersi a riflettere...
...e poi Abraham che finalmente non sente più dolore!

 

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Capitolo 43
*** Riflessioni ***





 

Capitolo 43
 

 
I telefoni continuavano a squillare, il vociare dei colleghi colpiva le sue orecchie, ma l’udito non era attivo.
Non si era mossa dalla sua posizione per vari minuti. Immobile, con le mani chiuse insieme tra le ginocchia, l’unico movimento percettibile erano gli occhi che saltellavano da una scritta all’altra e le labbra che ripetevano quelle scritte in un borbottio monotono ed incomprensibile. Leggeva e rileggeva con calma, ma alla fine il suo sguardo si fermava sempre sulle stesse frasi.
Io ti vedrò morire…
Spostava lo sguardo oltre, stringeva gli occhi e tornava indietro.
Quando esalerai il tuo ultimo respiro io ti sarò vicino, talmente vicino che sentirai il mio addosso a te…
Stringeva le labbra, corrucciava la fronte. Trascinava nella mente le frasi in cui Dunn incolpava Nikki della morte di quelle giovani donne, rileggeva la parte in cui la additava come una traditrice e poi si soffermava su quella frase che ripeteva spesso. Sempre. In ogni capitolo.
Io ti vedrò morire…
Chiuse gli occhi per concentrarsi sulla sua voce, le aveva detto che erano simili, che il dolore l’avrebbe portata ad odiare, che il buio l’avrebbe travolta.
Sarò accanto a lui per raccogliere il suo ultimo respiro e poi tu sarai mia…
Scosse la testa, ignara che il capitano Gates la osservasse attentamente dal suo ufficio.
Negli ultimi minuti aveva messo al corrente degli sviluppi il Capo della Polizia ed il Sindaco, ed era anche stata costretta a dover intavolare una discussione alquanto fastidiosa con il direttore della CNN. L’esimio signor Bell aveva usato le sue amicizie altolocate per poter accedere al telefono personale del capitano. Aveva sbraitato contro di lei, per dei minuti interminabili, sul fatto che il dipartimento gli doveva l’esclusiva del caso, mentre il video più importante e cliccato sul WEB girava su tutte le emittenti giornalistiche nazionali da ore. Il capitano lo aveva tacciato all’improvviso. Con una calma surreale si era scusata se era stata impegnata a dare la caccia ad un pericoloso assassino e a cercare di salvare la vita ad un uomo e quindi, non aveva avuto il tempo di preoccuparsi della sua esclusiva. In tutto questo caos non aveva tolto gli occhi di dosso dalla sua subordinata. Cercava di carpire i suoi pensieri, di leggere quel borbottio labiale che cominciava ad innervosirla, come la voce di Trenton Bell all’altro capo del telefono. Mise fine alla seconda cosa che la innervosiva sbattendo la cornetta sul telefono, chiudendo così la telefonata con un sorrisetto compiaciuto sulle labbra.
Sollevò le sopracciglia quando Beckett scese d’improvviso dalla scrivania per avvicinarsi alla lavagna. Continuò a fissarla curiosa. Sapeva che il suo cervello era in pieno movimento. Avrebbe voluto sapere però cosa stesse elaborando, mentre con le dita sfiorava le foto dei corpi delle tre vittime attaccate accanto agli ingrandimenti dei manoscritti.
Al contrario di prima, gli occhi si muovevano lenti sui particolari dei corpi, sulle scritte sul loro addome.
Io ti vedrò morire…
Ancora quella frase, ancora quel ritornello…
Senza voltarsi era tornata alla scrivania camminando all’indietro, poggiando le mani sul piano si diede una spinta per tornare a sedersi nella stessa posizione di prima.
Il telefono sulla sua scrivania squillò per l’ennesima volta. Sospirò sperando che non dovesse ancora mandare a quel paese con tutti i crismi della sua rabbia il direttore della CNN se non il Capo in persona. Non avrebbe più perso tempo in discussioni inutili, aveva ben altre cose importanti da fare.
Lasciò che il telefono squillasse.  Incrociò le mani sulla scrivania e sospirò, quando Beckett si portò la mano sulle labbra e, sempre immersa nei suoi ragionamenti, girò la testa alla sua destra per posare lo sguardo sulla sedia, ormai proprietà di Richard Castle.
Osservava quel posto vuoto con la fronte corrucciata e le dita premute sulle labbra.
Il capitano Victoria Gates si sentì improvvisamente di troppo, come se stesse spiando una discussione silenziosa tra innamorati.
Scosse la testa e decise di rimettersi a lavoro. Chiuse la porta e anche le veneziane, per non avere nessuna tentazione di continuare a spiare e tornò alla sua scrivania.
 
Guardare quella sedia vuota è come guardare l’interno del suo corpo. Vuoto anche quello al momento. Non si era mai resa conto di come le abitudini giornaliere fossero diventate aria nella sua vita. Una sicurezza che ancorava le sue certezze. Una sicurezza che adesso è incorniciata solo da un posto vuoto.
In maniera meccanica, prende il telefono che vibra nella sua tasca, continuando a rileggere nella mente le stesse frasi di Scott Dunn, con gli occhi sulla sedia vuota e solo quando nota il nome di Martha sul display si riscuote preoccupata.
-Martha! Che succede?-
-Ehi!-
Il saluto familiare all’altro capo del telefono la fa sospirare e sorridere contemporaneamente.
-Castle!-
-Si, sono io. Non è carino alla mia età dover chiedere il telefono alla mamma, perché uno psicopatico ha clonato il mio!-
Il modo in cui lo dice le fa capire che ha il muso imbronciato e scuote la testa.
-Direi che questo non è il problema più grave riferito allo psicopatico, non credi?-
-Direi che hai ragione. Perché non mi hai detto che ha rapito un’altra ragazza?-
Kate resta spiazzata un attimo. Non se lo aspettava. Sospira e stringe le labbra.
-Non so di chi sia stata l’idea, ma fare sparire il telecomando della televisione che ho in camera è stato davvero stupido. Quando Jim ha convinto mia madre ad andare a mangiare qualcosa, mi sono fatto lasciare il telefono con il pretesto di chiamarti. Ho sentito le ultime notizie in streaming. Hanno detto che c’è stata un’altra quasi vittima… per questo eri qui qualche ora fa?-
-Castle…-
Cerca di dire, ma lui la interrompe immediatamente, facendole capire che non avrebbe accettato una bugia qualunque.
-Chi è? Come sta adesso?-
-Jessica Benton!-
Gli risponde, sentendolo imprecare tra i denti.
-Maledizione…-
-Castle, sta bene.-
-Poteva uccidere anche lei… ma che diavolo vuole ancora?-
Sospira pesantemente e ricomincia a tossire. Kate ascolta in silenzio, aspettando che si calmi.
-Devo… sapere altro?-
Lei resta ancora in silenzio, con gli occhi bassi e lui sospira.
-Kate… tenermi all’oscuro di quello che succede non cambierà la situazione. Cerco di stare tranquillo, ma tu non mi aiuti. Non posso partecipare alle indagini e questo è peggio…-
La sua voce è affaticata. Si capisce anche attraverso il telefono che fa fatica a prendere aria e che questa telefonata è davvero dura per lui, in ogni senso.
-Castle…-
La sua voce lo zittisce e lei lo sente deglutire.
-Mi dispiace non averti detto di Jessica, so quanto ti sei affezionato a lei e…-
-…e non volevi mettermi ansia. Lo capisco Kate, ma così non mi aiuti comunque. Allora, c’è altro che devo sapere?-
-Abraham Pratt è scampato all’esplosione. Ha chiamato il nostro centralino dicendo di avere notizie del veleno, ma la telefonata si è interrotta subito dopo.-
Rick solleva la testa di colpo.
-E me lo dici così?-
-Siamo arrivati tardi. Dunn lo ha trovato prima di noi.-
-Quindi abbiamo un altro cadavere?-
Chiede Rick abbassando il tono della voce.
-No, ma siamo certi che lo ha portato con sé. Abbiamo trovato delle tracce di sangue e della carta bruciata. Probabilmente un foglio su cui era trascritta la formula, o qualcosa comunque di compromettente, sennò non lo avrebbe distrutto.-
-Perché lo ha portato con sé allora? Pensa che la formula esista ancora e che Abraham sappia dove sia?-
Chiede Rick agitandosi.
-E’ probabile. Tutte le pattuglie hanno una sua descrizione e lo stanno cercando.-
Il tono di Kate riporta il silenzio. I loro pensieri sono uguali. Niente di niente.
Dopo qualche secondo, lei solleva lo sguardo ancora sulle lavagne.
-Stavo pensando a quello che hai detto prima, sul fatto di leggere il libro a modo mio.-
Lui resta in silenzio ad ascoltarla, mentre il suo respiro pesante le arriva all’orecchio.
-Ripete sempre la stessa frase, in ogni capitolo, come un ritornello beffardo.-
-Io ti vedrò morire!-
Sussurra lui, prima che Kate possa formulare il resto dei suoi pensieri, dandole prova che il suo cervello non ha smesso un attimo di lavorare e teorizzare.
-Non lo dice tanto per farsi bello Kate. Lui vuole essere davvero qui. Non gli importa di essere arrestato o addirittura ucciso. Sta giocando e il suo gioco prevede che raccolga il mio ultimo respiro, mentre guarda te soffrire per questo. Quando dice che dopo si prenderà te, non vuol dire che ti ucciderà. Si prenderà te perché tu sarai sconfitta…-
Teorizza con calma, scandendo le parole accompagnate dal suo respiro pesante.
-Aspetterà la fine. E’ così presuntuoso che arriverà Kate, in barba ai poliziotti e alla sicurezza. Lui arriverà qui… quando sarà troppo tardi…-
Lei annuisce e stringe le labbra.
-Quindi l’unica cosa da fare è distoglierlo dal suo racconto…-
Sussurra come se lo stesse solo pensando e Rick annuisce.
-…puoi riuscirci Kate, ne sono sicuro.-
Il tono in cui lo dice le fa capire che sta sorridendo. Si porta la mano al petto e sfiora, attraverso la camicetta, i suoi tesori, corrucciando la fronte per l’uscita improvvisa di Rick, che non ha nulla a che vedere con il discorso che stanno portando avanti.
-Mio padre si chiama Alexander!-
Lei non riesce a dire nulla, cercando di incanalare l’informazione ricevuta e Rick, senza badare al suo silenzio, continua quei pensieri che doveva esternare a qualcuno per forza.
-Almeno, questo è il nome con cui si è presentato quando lui e mia madre hanno… si insomma… quando…-
Sospira ancora e lei si ritrova a ridere, reagendo finalmente a quella nuova e, al momento, insensata scoperta.
-Non prendermi in giro, sarò un uomo di mondo e Martha Rodgers sarà una donna estrosa, ma è sempre mia madre e pensarla…-
-Pensarla tra le braccia di tuo padre, mentre fanno sesso, ti fa effetto?-
-Brava Beckett! Rigira il coltello nella piaga. Certo che mi fa effetto, visto che comunque lui è uno sconosciuto!-
Lei scuote la testa sorridendo.
-Sarà uno sconosciuto per te.-
-Lo è anche per lei. Le ho chiesto di parlarmi di lui e… non sa davvero chi sia in realtà. Dopo quella notte è come sparito.-
-Quindi non ti ha mai nascosto la verità. E’ sempre stata sincera con te Castle, si è solo ritrovata coinvolta in una notte brava!-
Lui scuote la testa anche se lei non può vederlo, un leggero sorriso gli incornicia le labbra.
-Aveva gli occhi lucidi mentre parlava di lui. Poche volte l’ho vista emozionata così Kate. Non credo sia stata solo una notte brava, quell’uomo ha lasciato un segno indelebile nella sua vita… e non parlo di me!-
Gli scappa un lamento che la fa sussultare.
-Castle!-
-Tranquilla, è solo la mano. Tenere il telefono è davvero un atto di eroismo per me al momento.-
Dovrebbe essere una battuta, ma lei sente un nodo in gola, lo stesso che sente lui, che sospira.
-Dunn è intelligente, su questo non c’è dubbio. E’ bravo… ma tu sei più brava di lui, per questo ti ha scelta!-
Quando non sente risposta, abbassa la voce.
-E questo è stato l’errore più stupido della sua vita…-
 
Presuntuoso, saccente, esibizionista.
Guarda la lavagna portandosi il pennarello alle labbra e abbozza un impercettibile sorriso, rileggendo gli aggettivi che ha appena scritto per completare la descrizione di Scott Dunn.
Castle ha chiuso la chiamata dicendole che ha fatto un grosso errore scegliendo lei come avversaria di giochi.
Il modo in cui cerca di farle capire che continua a credere in lei, le infonde sicurezza.
Ha ragione lui, sono proprio i suoi ‘pregi’ che lo porteranno a perdere.
Posa il pennarello e si dirige verso la sala relax. Urge di un caffè, forte e nero. Urge soprattutto del suo profumo.
Entra immersa nei suoi pensieri, prepara la macchinetta del caffè e solleva la testa di scatto, voltandosi verso la voce di Ryan.
-Ti amo…-
Gli sente dire dolcemente, prima di chiudere la chiamata e sorriderle.
-Scusami Ryan, non mi ero accorta fossi qui, non volevo disturbarti.-
Il collega scuote la testa e lei gli mette davanti una tazza di caffè fumante.
-Come sta Jenny?-
-Bene. E’ preoccupata, come tutti noi.-
I suoi occhi restano incollati al liquido nero dentro la tazza e Kate gli mette una mano sulla sua.
-Perchè non passi da casa, anche solo un paio di minuti?-
Ryan scuote la testa.
-No. Torno a rileggere i rapporti delle segnalazioni, deve essercene una che ci dia un indizio.-
Kate gli stringe la mano ancora di più e sorride.
-Kevin siamo stremati, Jenny avrebbe bisogno di vederti e anche tu ne hai bisogno. Detto da me può sembrare paradossale, ma a volte un abbraccio ricarica meglio del caffè.-
Ryan corruccia la fronte e solleva lo sguardo su di lei.
-Te lo ha detto!-
Lei storce le labbra, mostrando un’espressione fintamente confusa.
-Detto cosa… a chi?-
-Sarai una grande attrice con i sospettati, ma in questo momento sei pessima Beckett. Non è riuscito a tenerselo per sé nemmeno per dieci minuti!-
Sbuffa fingendosi scocciato, ma non riuscendo a reprimere un sorriso.
-Era spaventato e dolorante Ryan. Tu gli hai dato una bella notizia e doveva assolutamente dirla a qualcuno. Avresti dovuto sentirlo, era eccitato come se fosse opera sua…-
Ryan spalanca gli occhi e scoppiano ridere.
-Sarai un papà fantastico!-
Gli dice senza lasciargli la mano e Ryan  solleva le spalle con gli occhi lucidi.
-Giuro che sarò brava a mostrarmi sorpresa quando lo dirai agli altri.-
-Sorpresa per cosa?-
Si girano di scatto verso la voce di Esposito che li ha interrotti e, scambiandosi uno sguardo complice, scuotono entrambi la testa.
-Niente…-
Dicono insieme mentre il collega li guarda in cagnesco.
-Ci sono novità?-
Chiede Kate, andando verso di lui, cambiando discorso.
-C’è un tizio che vuole assolutamente parlare con te. Ha detto ai colleghi alla reception che non si sarebbe mosso finchè non ti avesse parlato. Lo hanno controllato, niente precedenti e i documenti sono a posto. Non ha nemmeno una faccia finta.-
All’ultima esclamazione, Kate solleva un sopracciglio e lui sorride.
-I colleghi sono diventati paranoici, gli hanno chiesto il permesso di controllare anche il viso e l’uomo, seppur sorpreso, ha acconsentito. Niente maschere in silicone o capelli finti. Hanno detto che aspetta da ore, per questo si sono decisi ad avvertirmi.-
Le porge i documenti che ha in mano.
-Ah… dice di essere un amico di Castle!-
Kate controlla la carta d’identità e corruccia la fronte guardando Esposito.
-Puoi farlo accompagnare nella sala conferenze? Io arrivo subito.-
Esposito annuisce, mentre Ryan le si avvicina notando la sua espressione confusa.
-Vuoi che resti con te?-
-No Ryan, devo vedere questa persona da sola, ma è tutto a posto, tranquillo. Non ha nulla a che vedere con Dunn.-
-Sicura?-
-Sicura!-
-Bene, allora vado a controllare le segnalazioni.-
Ryan esce dalla sala relax seguendo con lo sguardo Velasquez che accompagna un uomo di mezza età, ben vestito e con un’aria tranquilla. Si volta verso Kate, che ha seguito la stessa scena e quando gli fa segno che può andare, si dirige alla sua scrivania, mentre lei va verso la sala conferenze.
Apre la porta ed entra con calma. L’uomo le dà le spalle, sta guardando fuori dalla finestra e sembra assorto in quello che vede, tanto da non sentirla entrare.
-Signor Colbert.-
L’uomo si volta di scatto e le sorride.
-Mi scusi, stavo osservando i giornalisti qui sotto…-
Kate gli restituisce i documenti e lui la ringrazia con un cenno del capo.
-Mi hanno detto che è qui da ore. Mi spiace abbia aspettato tanto e che sia stato sottoposto a strani controlli. Abbiamo una situazione complicata al momento.-
-Non si preoccupi, sapevo a cosa andavo incontro venendo qui…-
China la testa rabbuiandosi in volto.
-Seguo i notiziari da ore, ma non potevo esimermi dal farlo.-
Kate gli fa cenno di sedersi e lei fa lo stesso, mettendosi di fronte a lui, che la guarda con attenzione.
-Perchè è qui signor Colbert?-
-Mi chiami pure Nicholas, Kate… io posso chiamarla Kate?-
Lei annuisce e lui poggia un sacchettino sul tavolo.
-Per questo!-
Kate guarda il sacchetto e deglutisce, riportando poi lo sguardo su Colbert che sta ancora parlando.
-Richard mi ha fatto promettere che, anche se fosse venuto giù il mondo, quell’orologio doveva tornare al suo polso entro un paio di giorni.-
Solleva ancora le spalle, incrociando le mani sul tavolo davanti a lei.
-Era pronto ieri sera, lo avrei chiamato stamattina per dirglielo, ma come ho detto, stanotte ho seguito i TG.-
Si ferma un momento sospirando.
-E’ tutto vero quello che dicono? Richard è davvero in pericolo di vita?-
Kate stringe le labbra e annuisce, senza dire altro.
-Non ho mai mancato ad una promessa, per questo sono qui.-
Restano a guardarsi in silenzio un paio di secondi, poi Kate sposta lo sguardo sul sacchetto.
-E’ un orologio splendido!-
Esclama Colbert, prendendo l’oggetto tra le mani.
-Oggi non fanno più orologi così… col cuore…-
Kate corruccia la fronte e lui sorride.
-Non mi fraintenda, gli orologi di quel calibro sono tutti importanti e fatti col cuore, solo che oggi molti sono tarati   attraverso apparecchiature sofisticate che li rendono perfetti, ma solo quelli nati dalla mano ferma del costruttore e dal suo orecchio sensibile hanno un cuore… e il suo è uno di quelli.-
Parla con la voce calda, sembra descrivere le sembianze di una donna e che ne accarezzi la pelle, mentre sfiora il cinturino ben lucidato. Kate resta in silenzio, con gli occhi sull’orologio di suo padre, tornato magicamente come nuovo grazie all’arte dell’uomo di fronte a lei, senza accorgersi che adesso la sta fissando.
-Richard ha ragione quando dice che lei è splendida!-
Esclama lui all’improvviso, vedendola assorta e Kate abbassa lo sguardo facendolo  sorridere.
-Dice anche che i complimenti la fanno arrossire, ed è vero anche questo. Mi scusi, non volevo metterla a disagio, ma Richard mi ha parlato tanto di lei, che mi sembra di conoscerla da sempre.-
Kate resta spiazzata e scuote la testa.
-A me invece non ha mai parlato di lei.-
-Io non sono bello e affascinante, non c’è molto da dire su di me.-
Le risponde sollevando le spalle strappandole un sorriso.
-Da quanto conosce Castle?-
Gli chiede senza riuscire a frenare la curiosità.
-Oh… io ero solo un ragazzo e lui un bambinetto. Ho sempre amato gli orologi e sognavo di avere una bottega tutta mia, ma ero giovane e squattrinato, quindi mi arrangiavo come potevo. Allora lavoravo nei teatri, mi occupavo degli ingranaggi che servono per cambiare le scene. Lavoro di precisione anche quello, se s’inceppa qualcosa durante lo spettacolo, salta tutto.-
Gesticola con le mani su e giù, per rendere l’idea del movimento.
-Martha Rodgers era la protagonista di Tutto è bene quel che finisce bene, di Shakespeare. Richard avrà avuto sei o sette anni, era la stagione estiva, la scuola era terminata e Martha se lo portava alle prove. Era un bambino curioso, pieno di fantasia e d’inventiva e soprattutto, pieno di parlantina.-
Sottolinea l’ultima parola sbarrando gli occhi e Kate annuisce.
-Non è cambiato molto, allora!-
-No, in effetti no. Stava ore seduto a guardarmi lavorare, memorizzava le battute di tutti gli attori ed era capace di ripeterle man mano che facevano le prove, come un eco…-
Kate si ritrova a sorridere, mentre Colbert continua.
-…era anche capace di parlare per ore, inventando storie fantastiche o raccontando qualunque fandonia gli venisse in mente.-
Sorride anche lui, ritrovandosi poi a sospirare.
-Ma c’erano giorni in cui si sedeva davanti a me, con le mani strette a pugno sotto il mento e restava in assoluto silenzio. Non una parola, solo gli occhi incollati sul movimento delle mie mani mentre sistemavo un congegno. Quelli erano i giorni in cui la sua mente vagava chissà dove, in posti lontani in cui nessuno riusciva ad andare insieme a lui.-
Guarda Kate dritto negli occhi e sospira ancora.
-Era un bravo bambino, sensibile, con due occhioni che mostravano quello che provava in ogni momento e, nonostante parlasse tanto, non faceva mai parola di quello che lo faceva stare male qui.-
Si porta la mano destra sul petto all’altezza del cuore e sorride.
-Aveva già una mente brillante, invece di andare a tirare calci ad un pallone per strada, preferiva leggere o osservare la gente e i suoi piccoli amici a volte questo lo trovavano strano. Soffriva per la mancanza di un padre, si sentiva diverso e si comportava, di conseguenza, in modo diverso anche dai suoi amici. I suoi silenzi parlavano più di lui…-
Kate abbassa lo sguardo, pensando a tutte le cose che ancora non conosce di Rick, a quanto abbia davvero sofferto da bambino e come abbia fatto a diventare l’uomo dolcissimo che è adesso.
-Quando la stagione finì, trovai lavoro nella bottega di un vecchio orologiaio, ma Richard e sua madre restarono in contatto con me. Ogni tanto veniva in laboratorio e mi faceva compagnia. A me faceva piacere.-
Sorride, guardando l’orologio che tiene ancora tra le mani, tornando indietro nel tempo.
-E’ sempre stato un sognatore, amava i racconti di avventura, di fantascienza, leggeva ore e ore, ma nonostante tutto ha sempre avuto le idee chiare. Diceva che la sua fantasia lo avrebbe reso importante…-
Solleva un sopracciglio sorridendo.
-Aveva ragione!-
Strappa un sorriso anche a Kate, che resta in silenzio come a volere che continui.
-Si è sempre confidato con me, diceva che sapevo ascoltare senza interromperlo sempre, ma sapevo anche parlare per riempire i suoi silenzi.-
Kate si ritrova a pensare che Rick si è sempre comportato allo stesso modo con lei. Parole e silenzi che da cinque anni a questa parte le hanno riempito le giornate.
-Pensi che venne da me quando seppe che sarebbe diventato padre, ancora prima di dirlo a Martha. Era spaventato per il guaio che aveva combinato, ma poi aggiunse che era un bel guaio, con un sorriso che mostrava tutti i denti. Era contento anche se sapeva che sarebbe stata dura. Credo di essere stato uno dei primi a conoscere la sua zucca, oltre la famiglia. Ne è sempre stato orgoglioso. Con Alexis ha trovato per la prima volta, un equilibrio anche nel cuore, oltre che nella vita.-
Guarda Kate dritto negli occhi e sorride compiaciuto.
-‘Per avermi ascoltato anche quando ti facevano male le orecchie. Grazie!’-
Ride di gusto, vedendo l’espressione corrucciata di Kate, che si è un attimo persa nel suo racconto.
-La dedica che ha scritto sulla mia copia del suo primo romanzo pubblicato… è sempre stato spiritoso!-
Strappa una risata anche a lei, ma qualche secondo dopo si rabbuia.
-Ne ha prese batoste dalla vita, ma ha sempre finto che tutto andasse bene facendo lo stupido e forse proprio questo suo lato giocherellone lo ha aiutato ad andare avanti anche quando non ne aveva voglia…-
Quando si rende conto che lo sguardo di Kate si è rattristato alla sua constatazione, devia il discorso, tornando a guardare l’orologio tra le sue mani.
-Lui è stato un po’ l’unica famiglia che abbia mai avuto. Non si è mai dimenticato una festa, un compleanno, anche solo con una telefonata. Ma le sto facendo perdere tempo con le mie chiacchiere.-
Kate sembra pendere dalle sue labbra, ascolta le sue parole rapita, immersa in un pezzetto di mondo di Richard Alexander Rodgers che lei non conosce ancora. Si riscuote quando Nicholas Colbert fa per alzarsi.
-Starei ad ascoltarla per ore, ma ha ragione. Il tempo scorre.-
L’uomo le porge l’orologio sorridendo.
-Dica a Richard che lo aspetto per il saldo.-
-Aspetti un momento Nicholas, io…-
Ma Colbert la ferma mettendole una mano sulla sua.
-Deve saldarlo lui, di persona ed in contanti.-
Ammicca, stringendole la mano, per farle capire che i soldi non c’entrano nulla, ma che vuole solo rivedere Richard nel suo negozio e lei annuisce, deglutendo.
-Glielo dirò!-
Sussurra con gli occhi lucidi.
Colbert non può fare a meno di stringerle la mano con più forza.
-Tiene molto a lei Kate. Anche lei, come Alexis, gli ha portato equilibrio, nel cuore e nella vita.-
Le lascia la mano senza darle il tempo di rispondere, esce con calma, con la sua andatura tranquilla e la testa bassa, forse perso nella  preoccupazione per quell’uomo che sente come un figlio. Kate guarda l’orologio di suo padre, lo accarezza e sente le lacrime riempirle gli occhi.
-Tutto bene Beckett?-
Guarda Esposito che si è appena affacciato sulla porta e annuisce.
-Tutto bene.-
Esclama allacciandosi con cura l’orologio al polso sinistro. Lo accarezza ancora una volta e ancora una volta sfiora la camicetta all’altezza del petto.
-Tranquillo Javi… sto bene.-
Ribadisce all’amico che è rimasto a guardarla preoccupato, non molto convinto della visita di quello strano uomo, mentre la Gates fa capolino all’altro lato della porta.
-Abbiamo l’indirizzo di Dunn!-
Dice senza fermarsi, correndo verso l’ascensore seguita da Ryan.
-Kate, hai sentito?-
Le chiede Esposito, ancora incerto, aspettando un suo movimento, ma lei resta immobile ad accarezzare il suo orologio con uno strano sorriso sul volto.
E’ consapevole che il polso non più orfano non ha nulla a che vedere con la buona notizia appena ricevuta, come è consapevole che il suo infrangersi sul pavimento non ha nulla a che vedere con l’inferno che lei è Castle stanno passando, ma non può fare a meno comunque di sentire il cuore più leggero.
Solleva finalmente lo sguardo sull’amico e annuisce sicura, facendogli cenno di seguirlo verso l’ascensore.

 
Era rimasto a guardare quel corpo inerme, perso nelle sue elucubrazioni.
Aveva sempre pensato che ognuno deve scegliere il proprio cammino, senza che altri decidano se è giusto o sbagliato.
Lei si era arrogata il diritto di decidere per lui, per la sua vita, per le sue certezze.
Lei lo aveva ammanettato.
Poteva soccombere e assecondare gli eventi, oppure combattere e reinventarsi il proprio destino.
In prigione aveva smesso di uccidere, ma il suo cervello non aveva smesso certo di funzionare.
Non c’era stato giorno in cui non avesse pensato a lei… pronto a combattere e trovare un modo per riprendere in mano il suo destino.
La sua non era una vendetta.
La sua era solo giustizia! Quella stessa giustizia in cui anche lei credeva…
Un modo per rimettere ogni cosa al suo posto.
Lui voleva solo riprendersi la sua vita, voleva riprendersi il diritto di scegliere, voleva riappropriarsi di tutti quegli istinti che gli erano stati negati quando lei lo aveva tradito.
Non c’era posto per entrambi in questo mondo, ed era stata lei a deciderlo: lui avrebbe continuato ad uccidere e lei avrebbe continuato a dargli la caccia.
Per questo il gioco doveva concludersi con un solo vincitore.
Lei era la causa della sua stessa infelicità.
Aveva spezzato tante vite solo per lei.
Anche il piccolo storpio era stato sacrificato a lei.
Non aveva dovuto faticare molto con Abraham. Era un essere debole nel corpo. Era bastata una semplice pressione sulla gola perché smettesse di respirare e di guardarlo con sfida.
Era rimasto con gli occhi socchiusi, come a volersi prendere una rivincita su di lui, ma non era più un problema.
Gli aveva chiuso le palpebre e lo aveva coperto con la spazzatura che c’era intorno a loro.
Distolse lo sguardo da lui e si guardò le mani, sorridendo.
Erano pulite!
Non aveva fatto altro che porre fine alla vita di ognuno di loro, prima che la loro inutile esistenza li distruggesse lentamente.
Li aveva portati tutti alla pace, liberandoli da una vita inutile ed una coscienza insensata, che prima o poi li avrebbe portati all’infelicità…
E avrebbe fatto lo stesso con lei e il suo scrittore.
Solo la morte libera del tutto l’anima. Dal dolore. Dal buio. Dalla felicità effimera che dura un battito di ali e che quando vola via, lascia dentro soltanto un enorme vuoto.
Doveva liberarla, per liberare se stesso…
Il suo cervello era leggero come non lo era da tempo. I suoi brutti pensieri sarebbero spariti presto.
Aprì la tasca dello zaino e prese la scatola di legno tanto preziosa.
La accarezzò ancora una volta, come a salutare una cara amica e la mise al sicuro.
Gli brillarono occhi, diede un ultimo sguardo alla sagoma che appariva appena da sotto scatole di cartone e rottami e si avviò all’uscita compiaciuto della sua arte.


Angolo di Rebecca:

Un capitolo di riflessioni da parte di tutti, perfino Dunn riflette sul suo operato che chiama arte (compiaciuto per giunta :3)
Rick spiffera a Kate il nome di suo padre e Kate spiffera a Ryan che Castle le aveva già spifferato che sarebbe diventato papà (mi sto incartando :p)
Per di più Kate riflette sulla "prospettiva" di lettura e il nostro amato capitano Gates manda a quel paese chiunque mentre "spia" (riflettendo) la sua detective :3
Direi che posso andare...
Grazie!

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Capitolo 44
*** Giocare... ***







Capitolo 44
 

I monitor erano fissi sulle cartine topografiche delle diverse zone della città. I tecnici continuavano a osservarli, digitando sulla tastiera i dati che il segnale rimbalzava da una parte all’altra del globo terrestre, cercando di creare un monitoraggio completo. Il cavallo di Troia che era stato installato da Tori, per permettere di mappare in maniera reale la traccia lasciata dall’ultimo caricamento video, lavorava freneticamente. Finalmente un bip ritmato raggiunse le loro orecchie e uno dei monitor mostrò dei piccoli cerchi concentrici che pulsavano attorno ad un punto preciso sulla cartina.
Tori si alzò di colpo dalla sua postazione, seguita dai colleghi. Digitò qualcosa freneticamente, i suoi occhi attenti passavano dalla tastiera allo schermo. Il puntino venne circondato da linee colorare ben definite, le linee presero forma, le forme si colorarono in modo diverso, indicando colline, parchi, zone pianeggianti, fino a che i cerchi concentrici smisero di pulsare, il bip si spense e davanti ai suoi occhi s’ingrandì una schermata con la zona precisa e ben definita da cui era partito il segnale internet.
Era eccitante, per chi restava ore ed ore seduto davanti ad uno schermo a cercare, spulciare e aspettare, vedere finalmente i frutti del proprio lavoro, ma in quel momento Tori avrebbe urlato di gioia.
Ci avevano messo ore, ma avevano l’indirizzo dell’uomo che aveva sfidato il distretto. Questo era il pensiero di ogni detective, agente o tecnico che lavorava al dodicesimo. Chi si considerava parte di quel piccolo mondo era di conseguenza collega del detective Beckett e amico di Castle: tutti erano stati sfidati da Scott Dunn.
Aveva digitato l’interno del capitano.
-Abbiamo l’indirizzo!-
Aveva esclamato solo due parole e la Gates era balzata fuori dal suo ufficio, verso la sala conferenze, ripetendo le stesse identiche parole a Kate e ad Esposito e correndo contemporaneamente verso l’ascensore.
Mentre percorrevano i quatto piani verso il piano terra, aveva contattato la sala radio, dando ordine che due pattuglie si tenessero pronte ad entrare in azione, non prima però di avere ricevuto un suo ordine.
Volevano arrivare sul posto senza rumore.
Era possibile che Dunn fosse rientrato. Se così era dovevano prenderlo di sorpresa.
Tori diede loro l’indirizzo e le indicazioni necessarie per potere arrivare il più in fretta possibile.
Il nascondiglio si trovava in  una zona periferica, a venti minuti dal centro. Poche abitazioni e qualche capannone usato come garage. Di certo Dunn aveva cercato bene, le poche case abitate si trovavano distanziate tra loro, perciò la privacy era assicurata. Intorno tutto era circondato da siepi alte e per nulla curate, che nascondevano le costruzioni alla strada. Alle spalle, invece, si estendeva un terreno collinare con vegetazione fitta come una boscaglia.
La casa in questione era piccola. Controllando il perimetro avevano individuato solo la porta d’entrata ed una finestra, posta sul retro, non c’erano altre vie di fuga.
Il pomeriggio volgeva all’imbrunire, intorno c’era silenzio, come se la zona fosse completamente disabitata. Dalla finestra non si vedeva molto, la serranda era abbassata e dalle fessure era impossibile capire se ci fosse qualcuno all’interno. Esposito armeggiò con la serratura, cercando di non fare rumore, la porta si aprì con un click.
Si ritrovarono all’interno, nella penombra. La casa era effettivamente piccola, cucina e soggiorno in un unico ambiente, con un divano che Dunn usava sicuramente come letto. Una penisola che fungeva da piano per cucina e due sedie.
Si guardarono intorno attentamente. Di Dunn nessuna traccia.
A ridosso della parete c’era una piccola scrivania, occupata soltanto da una stampante. Niente computer. Di fronte al divano un mobile basso con uno sportello, che faceva da base ad una mensola con un videoregistratore, accoglieva un piccolo televisore, la cui lucetta lampeggiante arancione avvertiva che lo schermo era in stand by.
Era il covo adatto per uno come Dunn. Non lontano dalla città, ma fuori mano, un posto che gli consentiva di muoversi a piedi indisturbato e prendere un mezzo di trasporto qualsiasi per arrivare a destinazione.
Senza accendere la luce si guardarono intorno, muovendosi con cautela, con le pistole in pugno, ma risultò evidente da subito che Dunn non era in casa.
 
Gli occhi di Kate si muovono calmi, su ogni centimetro. Osserva le pareti spoglie, la tovaglietta macchiata di caffè sopra il tavolo, i pensili vuoti, nessun piatto o roba sporca nel lavello, solo qualche scatoletta vuota di carne e fagioli. Schiaccia qualcosa con il piede sinistro e si accorge dei cocci di vetro a terra e delle righine più scure che partono da metà parete fino al pavimento, dove una piccola chiazza bagnata si è allargata di poco. Deve aver scaraventato con forza un bicchiere pieno di acqua, contro il muro.
Corruccia la fronte continuando ad osservare con attenzione, mentre i colleghi rovistano tra i mobili e il retro. Si china davanti alla piccola TV, rendendosi conto dello schermo in stand by e che anche il video registratore è ancora acceso, perché il timer  che conteggia l’avanzamento del disco, è bloccato e lampeggia al minuto 09.03
-Ecco come ha saputo di Abraham!-
Esclama dopo aver attivato lo schermo, fermo su un’immagine ben precisa che appare sgranata per lo zoom e che mostra la  sagoma di un uomo abbassato dietro dei cumuli di macerie.
-E’ il notiziario che è andato in onda subito dopo l’esplosione.-
Continua, guardando i colleghi che le si sono messi intorno.
-Deve averlo registrato per rivedere di continuo la sua opera.-
Marca ironicamente l’ultima parola, mandando il video dall’inizio, mentre la Gates scuote la testa.
-Quest’uomo è pericoloso. La sua presunzione va oltre ogni limite.-
Kate sembra non ascoltarla, continua a guardare le fiamme alte nel cielo del video, con la fronte corrucciata e gli occhi attenti. Individua il fotogramma che ha attirato l’attenzione di Dunn e blocca la schermata come ha fatto lui.
-Deve averlo visto e rivisto decine di volte, si è goduto il suo capolavoro senza far caso a nient’altro oltre le fiamme… e all’improvviso ha notato questo.-
Poggia il dito sulla sagoma di Abraham. Si alza guardandosi ancora intorno.
-E’ balzato giù dal divano, ha guardato attentamente l’immagine, ingrandendola con lo zoom. Quando si è reso conto che quello poteva essere Abraham, si è arrabbiato.-
Sposta lo sguardo sul bicchiere rotto, infranto sulla parete.
-Ed è uscito di corsa.-
Ryan rientra dal suo giro d’ispezione.
-Di corsa si, ma non ha lasciato molto. Ho guardato dappertutto, lo tossina non è nascosta qui. Si è portato dietro il computer e in giro non c’è traccia della roba che usa per cambiarsi la faccia.-
-Ha lasciato questi però.-
Dice il capitano, aprendo il cassetto della scrivania.
Sposta con cura i diversi fogli all’interno e mostra ai colleghi la copertina di plastica trasparente che contiene il ritaglio di giornale che parla del ferimento di Beckett e la sua foto in divisa.
Si guardano in silenzio e la Gates analizza altri fogli.
-Questi deve averli scritti il Professore, spiegano il decorso del veleno iniettato al signor Castle, nelle diverse fasi.-
Li passa a Kate che stringe le labbra.
-Si è fatto spiegare tutto nei minimi particolari, per essere pronto quando Castle arriverà alla fine.-
Corruccia la fronte, leggendo l’ultima parte.
-Ora siamo nella terza fase. Febbre alta, difficoltà a muoversi e a respirare, possibilità di vita dalle 20 alle 30 ore…-
Deglutisce prendendo tra le mani un altro foglio che non è stato pinzettato con gli altri, in cui il Professore mette in evidenza che il decorso può essere più veloce o più lento a seconda della forza fisica del soggetto in esame.
-Sembra che Dunn non voglia prendere in considerazione il fatto che il veleno possa agire più in fretta o più lentamente di quello che si aspetta.-
I colleghi la guardano con espressione interrogativa e lei risponde, senza alzare gli occhi dallo scritto.
-Ha in mente una trama che deve svolgersi in un determinato tempo. Vuole trovarsi in ospedale quando sarà sicuro che è arrivata la fine. Vuole essere lì quando sarà tardi per salvarlo.-
-Sarebbe un po’ stupido da parte sua, non credi? Così scaltro, intelligente, preciso e poi… sa benissimo che l’ospedale è presidiato.-
Le risponde la Gates, ma lei scuote la testa poggiando i fogli sulla scrivania.
-Non gli importa. Io ti vedrò morire… queste tabelle sono abbastanza precise, tranne che per l’elemento imprevisto, che lui non contempla. E’ disposto a finire ancora in cella o a farsi ammazzare, ma solo quando sarà tardi per salvare la vita allo scrittore  e vedrà finalmente Nikki sconfitta!-
La rughetta sulla fronte è marcata, gli occhi attenti e le labbra strette.
-Abraham lo ha distolto dalla sua trama, ma lui sta cercando di mettere le cose di nuovo come desidera, per questo è andato via di fretta.-
-Beckett!-
Si voltano tutti verso Esposito, chino sotto la scrivania.
-Ha dimenticato anche questo.-
Si alza, mostrando il manoscritto e la copertina non ancora sistemata.
-Deve essere caduto dalla scrivani mentre usciva di corsa.-
Kate lo prende tra le mani e guarda la copertina. Il titolo le fa scuotere la testa.
Sfoglia velocemente i pochi fogli che compongono il nono capitolo e si sofferma all’ultima pagina.
 
-…quando il movimento lento e affannato del torace si fermò di colpo, i suoi occhi si spalancarono.
L’ultimo respiro dello scrittore era stato come una pugnalata nel petto e lei aveva smesso di respirare con lui.
E’ difficile spiegare la sensazione che provoca la vittoria. Sentire l’animo leggero mentre il suo era appesantito dalla colpa e dal dolore. Quel dolore che conosceva bene, che non avrebbe più voluto provare, ma che il male in persona, le aveva iniettato di nuovo, cogliendola impreparata…-
 
Stringe il foglio nella mano e digrigna la mascella.
-Il male in persona… Sapete cosa significa questo? Parla della morte di Castle, voleva farci trovare questo capitolo sul suo cadavere. Non ha avuto tempo di rilegarlo, era tranquillo, le cose stavano andando come voleva, si stava godendo la sua vittoria, ma Abraham ha stravolto tutto. Ora avrà fretta di tornare a casa, deve rilegare il capitolo e sistemare l’epilogo, rileggere le tabelle, controllare tutto per essere pronto.-
-Bene!-
Esclama Esposito.
-Chiamo i colleghi per l’appostamento, chiudiamo tutto e aspettiamo. Lo prenderemo appena rientra.-
-Nemmeno per sogno!-
Risponde Kate sollevando lo sguardo su di lui che la guarda smarrito.
-E’ l’unico modo di prenderlo Beckett, l’hai detto tu che adesso avrà fretta di tornare a casa.-
-E quando lo avremo arrestato Espo? Credi davvero che abbia il veleno ancora attaccato al collo? Credi davvero che non abbia messo in conto che Nikki possa arrivare a lui? Vuole lo scrittore morto e non si fermerà solo perché Nikki riuscirà a prenderlo. Se ha nascosto il veleno, non ci rivelerà mai il nascondiglio, non lo farebbe nemmeno sotto tortura.-
-D’accordo, sarà anche così, ma Esposito ha ragione. E’ l’unica cosa da fare.-
Ribadisce il capitano, che però si ferma quando Beckett scuote la testa energicamente.
-Niente affatto signore. Fino ad ora abbiamo sbagliato. Abbiamo indagato come lui ha voluto, facendo il suo gioco. Avrà messo in conto che potessimo trovarlo e si aspetta esattamente che lo prendiamo di sorpresa.-
Annuisce come a rendere incisiva la sua idea e stringe le labbra.
-Deve sapere che abbiamo scovato il suo nascondiglio. Deve accorgersene da lontano. Deve sapere che non può tornare a casa a finire il suo lavoro. Deve sapere che ha perso questo…-
Solleva la mano con il manoscritto e gli occhi le brillano.
-Avrà la copia sul portatile, lo può stampare di nuovo, ma ormai è bruciato. Non può più usare questo capitolo per la sua trama, Nikki lo ha già letto…-
La Gates annuisce, cominciando a seguire il suo ragionamento.
-Si arrabbierà, sarà furioso.-
Ryan ed Esposito si guardano sbalorditi e Kate sistema i fogli all’interno della copertina.
-D’accordo Beckett, facciamo come dici tu. Un’auto pattuglia con i lampeggianti accesi che riflettono nel buio e due agenti in divisa davanti alla porta, possono bastare?-
Chiede la Gates e Kate annuisce storcendo le labbra.
-Faccia interrogare i pochi vicini, mettiamo a soqquadro tutto il circondario. Che gli agenti si mettano in bella vista.-
Stringe il manoscritto ed esce sul portico, guardandosi intorno. Il pomeriggio volge al termine e le prime ombre della sera cominciano ad allungarsi su un tramonto che non è esploso per niente con i suoi colori forti. Sospira rendendosi conto del tempo che continua a scorrere imperterrito.
-Faccia setacciare comunque la boscaglia capitano, non si sa mai.
Prende le chiavi della macchina dalla tasca del giaccone e apre lo sportello.
-Aspetta un momento Beckett, che hai intenzione di fare?-
Solleva lo sguardo sul suo capitano e stringe le labbra.
I suoi occhi brillano di nuovo ed è una cosa che non sfugge né ai colleghi, né alla Gates.
-Quello che avrei dovuto fare fin dall’inizio. Giocare…-
 
 
Il quadrato di cielo che riusciva a vedere dalla finestra, si arrendeva pian piano alle ombre della sera. Edith era sicuramente andata a casa dai suoi bambini, ma era stata proprio lei, prima di andare via, ad attaccargli gli elettrodi al torace per avere un monitoraggio completo dei battiti e delle pulsazioni. Un’altra infermiera era entrata una mezz’ora dopo per prendersi cura di lui, misurare temperatura e pressione e prelevargli ancora del sangue. Aveva anche acceso una piccola luce laterale al suo letto, una lampada a luce calda che teneva l’ambiente poco illuminato, senza infastidirlo. Era una ragazza molto carina, ma non aveva lo stesso sorriso dolce e materno di Edith. Era uscita in silenzio così come era entrata e lui non le aveva chiesto il nome. Non ne aveva avuto la forza.
Martha ed Alexis si davano il cambio per rinfrescarlo e farlo bere e, di tanto in tanto, anche Jim faceva capolino dalla porta, per assicurarsi che non avessero bisogno di qualcosa, per non parlare del dottor Travis che ormai era praticamente parte della stanza, usciva di rado e solo per controllare le analisi e le medicine che potevano servire a rallentare l’azione della tossina.
Non era questo comunque, che gli dava il senso del trascorrere del tempo. Era proprio il suo corpo che gli parlava. I dolori aumentavano, non riusciva più a muoversi, a sistemarsi nel letto per trovare una posizione comoda, a sollevare la mano libera dall’ago, anche solo per accarezzare il viso di Alexis. La testa pulsava di continuo, tanto che in certi momenti non riusciva a seguire le parole di sua figlia, che continuava a parlargli per tenerlo sveglio, visto che da qualche ora sonnecchiava di continuo e Ben si era raccomandato di farlo restare vigile il più possibile. Sua madre invece, era stranamente silenziosa. Dopo averlo lasciato qualche minuto per il pranzo, quando aveva approfittato per telefonare a Kate, non si era più mossa dalla stanza. In silenzio.
Sospirò tornando a guardare fuori dalla finestra, cercando di ricordare quando sua madre era rimasta in silenzio per più di due minuti, senza riuscire a trovare un momento del genere nei cassetti dei suoi ricordi.
Stropicciò gli occhi non riuscendo a mettere a fuoco la finestra. Il cielo appariva sfocato e le orecchie percepivano in maniera ovattata il bip improvvisamente veloce del monitor a cui era collegato.
Si voltò verso la porta, sua figlia stava parlando con Jim, ma lui non riusciva a capire le parole, mentre Martha continuava a strizzare il panno che gli avrebbe passato sul viso di lì a poco.
La vista gli si annebbiò ancora di più, sentì il respiro farsi pesante, nello stesso istante in cui l’audio del monitor emise un suono alquanto irritante e non potè fare a meno di chiudere gli occhi.
Sentì Alexis chiamare il dottor Travis, la voce di Martha pronunciare il suo nome e le sue mani che gli reggevano il viso, ma non riuscì comunque ad aprire gli occhi. Avrebbe voluto farlo, anche solo per rassicurare sua madre, la cui voce era incrinata dalla preoccupazione, ma proprio non ci riuscì…
 
Riaprire gli occhi è stata un’impresa, ma dopo averli strizzati un paio di volte, riesce a mettere a fuoco lo spazio davanti a lui.  Il monitor si è decisamente tranquillizzato, adesso emette dei flebili suoni ritmici. Abbassa gli occhi come a volersi guardare addosso, percepisce qualcosa che gli blocca la bocca e non realizza subito che è la mascherina per l’ossigeno. Sott’occhio vede il dottor Travis che armeggia con un paio di flaconcini ed una siringa su un vassoio sopra il tavolino a ridosso della finestra, dalla quale adesso non riesce a scorgere nulla, la spalliera del letto è stata abbassata del tutto per consentirgli di stare completamente disteso. Il medico si volta quando lo sente sospirare e lui si sofferma a fissare la barba incolta e le occhiaie marcate intorno ai suoi occhi per la perdita di sonno. Deglutisce pensando come anche questo determini il passare del tempo.
Scuote leggermente la testa e il dottor Travis si avvicina per toglierli la mascherina, che ripone sul suo perno di appoggio.
-Co… cos’è s… uccesso?-
Chiede con un fil di voce, tremando.
-P… perché c’è tanto f… freddo?-
Ben si china su di lui cercando di tranquillizzarlo, senza riuscire a non mostrare i lineamenti tesi.
-La temperatura è salita ancora e di colpo. Hai perso un po’ di sangue dal naso, fortunatamente non ci sono altre emorragie in corso, ma la pressione al cervello era troppo forte, così ho dovuto fare in modo che la temperatura scendesse presto. Sei circondato da ghiaccio secco.-
Lui chiude gli occhi un momento cercando di respirare a fondo.
-Lo sapevo che… l’ibernazione era… era una buona idea!-
Balbetta tossendo leggermente facendo sorridere il medico, che prende la siringa e comincia ad armeggiare con il tubicino della flebo.
-Quella… non fa più eff… etto.-
Parla con affanno, sollevando lo sguardo sul flaconcino appeso sopra la sua testa, mentre Ben fa scorrere il nuovo farmaco direttamente nel tubicino.
-Infatti ci metto dentro qualcosa che la farà funzionare ancora un po’.-
Rick annuisce, respirando a fondo ancora una volta.
-Bene, perché ho… promesso a Kate… che l’avrei aspettata. Devo… resistere, o non… non me lo perdonerà mai.-
Ben si china su di lui, sistemandogli la fascia impermeabile del ghiaccio secco dietro la nuca.
-Sei grande e grosso Rick, hai davvero paura di Beckett?-
Gli strizza l’occhio sorridendo e lui annuisce serio.
-Non c’è niente da ridere dottore. Quella donna dorme la pistola!-
-Giusto!-
Risponde Ben corrucciando la fronte, come se stesse riflettendo su quell’affermazione drammatica.
-E poi non voglio darla vinta a Dunn…-
-Questo è ancora più giusto!-
Esclama il medico, voltandogli le spalle per posare la siringa sul vassoio in metallo, ritrovandosi a digrignare la mascella con rabbia, immaginando, per la prima volta da quando si occupa di Rick, di avere quello psicopatico tra le mani per trafiggerlo con centinaia di aghi avvelenati. Chiude gli occhi sospirando ai suoi pensieri insani, non ricorda di aver mai provato qualcosa di simile.
-Vado a tranquillizzare la tua famiglia, torno subito.-
Prende il vassoio in mano e, senza guardarlo, fa per dirigersi alla porta, ma la voce flebile del suo paziente lo ferma.
-Ben!-
Rick gli fa segno di avvicinarsi e gli sorride con gli occhi lucidi.
-Sai dottore, sei l’unica nota positiva in questa situazione surreale.-
Ben corruccia la fronte e Rick annuisce.
-Ho guadagnato un amico… mi piace!-
Ben Travis gli mette la mano sul braccio e sorride a sua volta, mentre dentro lo stomaco sente le budella contorcersi.
-Piace anche a me!-
 

 
Le fiamme cominciarono ad allungarsi verso l’esterno dell’auto, aveva lasciato i finestrini aperti, in modo che non esplodesse troppo in fretta.
Era rimasto a guardare. I suoi occhi brillarono come le fiamme che cominciavano a lambire anche l’esterno, provocando delle strane bolle sulla vernice rossa, scrostandola. Dava l’idea di pelle umana che si lacerava lentamente, mentre il fuoco la divorava.
Sospirò tristemente, pensando che un corpo vivo e vigile su quei sedili avrebbe urlato a squarcia gola, fino a che le fiamme non lo avessero vinto.
Il cielo era all’imbrunire anche se il pomeriggio non era ancora terminato. Il grigiore della giornata aveva fatto calare le ombre del tramonto più in fretta e le fiamme cominciarono a stagliarsi alte verso il cielo, illuminandolo.
Nikki avrebbe trovato l’auto, ma non tracce dell’omino storpio al suo interno.
Sorrise beffardo, con gli occhi fissi alle fiamme…
Era stato costretto a cambiare i suoi piani, aveva dovuto perdere tempo e adesso doveva assolutamente tornare a casa, rilegare il capitolo e prepararsi per le ore successive.
Lo scrittore ne aveva ancora poche da vivere e lui doveva essere pronto.
Abraham non era più un problema per lui, ma poteva ancora rallentare lei… aveva dovuto perdere del tempo prezioso, ma era riuscito a riportare l’ordine e l’equilibrio nella sua trama.
Le fiamme raggiunsero il serbatoio della benzina e lo scoppio che ne seguì lo fece ridere di gusto.
Presto sarebbero arrivati i pompieri e la polizia… anche lei sarebbe arrivata.
Si mise lo zaino sulle spalle, abbassò il berretto di lana sulla fronte e, con le mani in tasca e la testa bassa, guardò per l’ultima volta la macchina rossa che aveva perso completamente la sua pelle e che adesso stava urlando di dolore.
I cantieri erano deserti. Lasciò il molo camminando lentamente e si diresse in una delle viuzze che lo avrebbero portato su una delle strade principali.
Era ora di tornare a casa e di mettere in scena l’ultimo capitolo…


Angolo di Rebecca:

Il nascondiglio lo abbiamo trovato, ma come volevasi dimostrare, Dunn non c'era
(era impegnato ad ammazzare Abraham)
Kate ha di nuovo gli occhi sbrilluccicosi, che avrà voluto dire con il fatto che vuole giocare?!
Intanto Riccardone nostro sta sempre peggio, stavolta se l'è vista bruttina.
Di Dunn continuo a non parlare che è meglio, sennò Elena continua a pensare a come ucciderlo :p


Messaggio per la mia sopravvivenza: ABRAHAM VIVE (sono costretta a dirlo, ma non prendetemi sul serio!)

 

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Capitolo 45
*** 'Notorious' ***







Capitolo 45
 


Lo studio è immenso, anche se la parte visibile realmente si riduce ad una grande scrivania con alle spalle, uno sfondo dal  colore indefinito. Il resto della stanza l’ha lasciata per un attimo a bocca aperta. E’ abituata al via vai di gente che lavora freneticamente senza fermarsi mai, succede anche al distretto, ma quello che ha davanti al momento è molto di più: grovigli di persone che s’intersecano tra loro, che urlano dentro un microfono senza, apparentemente, infastidire chi gli sta intorno, qualcuno ascolta attentamente una voce dentro le cuffie, annuendo e continuando a girare in tondo, svolgendo mansioni di ogni tipo. Altri si posizionano davanti ai macchinari per controllare che tutto sia a posto e chi si prepara ad un possibile conto alla rovescia.
Si siede alla scrivania, aspettando che tutto sia pronto, come le ha detto di fare l’uomo che, frettolosamente, l’ha accompagnata in quel manicomio. Il piano di legno chiaro le gira intorno come una specie di ellisse, ed ha la sensazione di essere uno di quei satelliti sconosciuti che mostrano nei documentari fantascientifici: lei è un globo tondo all’interno dell’asse circolare, in una parte di cielo completamente dimenticata dal pianeta Terra, che invece continua ad andare avanti frenetico.
 
Giocare…
Beckett le aveva detto che era ora di giocare. Victoria Gates non aveva compreso completamente in che modo intendesse farlo, ma aveva deciso di fidarsi e soprattutto di andare con lei, ma Kate era partita in quarta senza aspettare nessuno. Leggermente stizzita aveva dato ordine agli agenti in divisa di mettersi in bella vista per la via e di setacciare anche la zona della boscaglia sul retro del nascondiglio di Scott Dunn, salendo poi in macchina con Ryan ed Esposito. Destinazione: seguire Beckett. Il suo vantaggio era solo di un paio di minuti.
Kate procedeva a velocità normale, una sola mano sul volante, mentre l’altra, poggiata sul manoscritto sul sedile del passeggero, copriva il viso della donna con la lacrima di sangue sulla guancia. Toglieva la mano soltanto per cambiare la marcia e in quell’attimo, spostava lo sguardo sul manoscritto, come a volersi assicurare che fosse sempre lì, accanto a lei.
Ingranando la quinta aveva posato ancora la mano sulla copertina. Uno strano sorriso le si era disegnato sulle labbra. Se solo Castle avesse saputo quello che stava per fare, avrebbe anche potuto saltellare di qua e di là per l’eccitazione.
Aveva scosso la testa ai pensieri che Castle riusciva ad evocarle e aveva accostato di fronte al grattacielo con la facciata di vetro, sollevando lo sguardo sull’insegna che lo sovrastava e che illuminava, con la sua luce rossa, anche i grattacieli intorno. Le pareti a specchio, invece, riflettevano le diverse sfumature delle luci che avevano cominciato ad illuminare le prime ombre della sera.
Era scesa dall’auto, aveva attraversato la strada e, stringendo il manoscritto al petto, aveva sollevato la testa sull’insegna rossa.
-Ma che diavolo ha intenzione di fare?!-
Aveva chiesto la Gates guardando la stessa insegna, mentre Esposito fermava l’auto dietro quella di Beckett.
-Le ricordo che è stata lei a darle manforte a scatola chiusa!-
Aveva esclamato Ryan senza pensare. Esposito si era girato di scatto verso di lui con lo sguardo torvo e anche gli occhi del capitano erano fissi sul suo collo, riusciva a sentirli grazie al brivido che era sceso dalla nuca alla schiena.
-C… con tut… to il rispetto signore!-
Aveva balbettato girandosi verso di lei, che però non lo aveva calcolato per nulla, scendendo di fretta dall’auto e restando  ferma a guardare Kate con un sopracciglio alzato.
-E’ geniale! Quando ha detto che voleva giocare…-
Aveva scosso la testa compiaciuta.
-…a me non sarebbe venuto mai in mente. E’ davvero geniale!-
Esposito aveva corrucciato la fronte preoccupato.
-Crede davvero che voglia fare proprio quello che stiamo pensando?-
Il capitano aveva annuito con un che di fiero nello sguardo e, facendo segno con la testa di seguirla, avevano attraversato la strada di corsa, in tempo per vederla sparire all’interno della sede della CNN.
 
Con le mani incrociate sul piano della scrivania, si guarda intorno senza fare realmente attenzione, cercando di abituarsi alle luci troppo forti e calde che gli elettricisti di scena stanno posizionando proprio su di lei. Per un attimo la sua attenzione viene richiamata da uno schermo gigante che mostra il primo piano di un affascinante Cary Grant in bianco e nero.
Il vociare continuo le arriva smorzato quando si concentra completamente sullo schermo, riconoscendo senza difficoltà la trama del film che sua madre adorava. Amava Hitchcock e ripeteva sempre che in ‘Notorious’ il fascino di Cary Grant era irresistibile, divertita dal finto disappunto di suo marito. Increspa le labbra in un sorriso, ripensando a quella vecchia video cassetta che le aveva regalato Jim per uno dei suoi compleanni, nonostante fosse geloso dell’interprete. Lei e Johanna l’avevano letteralmente consumata per quante volte l’avevano guardata, accompagnando la visione con pop corn, noccioline, aranciata e lacrime. Sorride malinconica a quel ricordo, pensando a come sia ironico che stiano trasmettendo proprio quel film. Cary Grant cerca di salvare la vita all’amata Ingrid Bergman che, scoperta dai nazisti a fare la spia per l’America, viene avvelenata giorno dopo giorno, con piccole dosi di veleno nel suo caffè.
 
Era arrivata davanti alla grande porta imbottita di pelle bordeaux, inseguita dalla voce stridula della segretaria e il ticchettio fastidioso dei suoi tacchi a spillo. Aveva messo le mani sui pomelli delle due metà, spalancandole e facendo ingresso nel regno del direttore di rete della CNN.
-Mi dispiace signor Bell, ho cercato di farle capire che lei è occupato, ma la signorina…-                        
-Detective!-
L’aveva zittita Kate, facendola sobbalzare e Trenton Bell aveva sollevato la mano sospirando.
-Va bene Carly, puoi andare.-
La donna aveva annuito stizzita ed era uscita di scena, mentre il capitano, Ryan ed Esposito erano rimasti fuori dalla porta.
-Che diavolo vuole detective?-
Kate aveva messo il manoscritto sulla sua scrivania e Trenton Bell aveva sospirato ancora.
-Senta, qualunque cosa sia, io non c’entro stavolta. Da questa rete non è uscita nessuna notizia segreta, anche perché voi non me ne avete dato!-
Aveva esclamato torvo, spostando lo sguardo sul capitano Gates che aveva storto le labbra.
-Questo è il nono capitolo di Scott Dunn.-
Aveva sussurrato Kate guardandolo dritto negli occhi, con uno strano ghigno sulle labbra che lo aveva preoccupato.
-Non mi interessa cos’è, io non l’ho mai visto, perciò…-
Kate aveva sollevato una mano per bloccarlo.
-Non mi sono spiegata bene signor Bell. Sono qui per darle notizie fresche sull’andamento delle indagini. Vengo direttamente dal nascondiglio di Scott Dunn!-
Trenton Bell si era alzato di colpo, spalancando gli occhi.
-Avete trovato il covo dell’assassino silenzioso? Quando, dove si trova?-
Kate lo aveva bloccato di nuovo e aveva scosso la testa.
-Questo non è importante. La cosa importante è che questo è un capitolo inedito.-
Aveva sollevato un sopracciglio per essere incisiva.
-Ora mi sono spiegata meglio, signor Bel!?-
L’uomo era rimasto a bocca aperta ed era tornato a sedersi, guardando attentamente la copertina del manoscritto.
-Questo capitolo era destinato al cadavere di Richard Castle… quanto crede che farebbe di share la sua emittente, se adesso lo leggessimo in diretta?-
 
Districa le mani e poggia entrambi i palmi sulla copertina del manoscritto. Il caos dentro lo studio la raggiunge di nuovo, come se avesse alzato d’improvviso l’audio delle sue orecchie. Solleva lo sguardo seguendo i movimenti frenetici, il labiale di tutti, i preparativi immediati.
E’ stato organizzato tutto in un paio di minuti e resta piacevolmente stupita del numero incalcolabile di persone che si nascondono dietro quello schermo rettangolare che mostra il mondo intero 24 ore su 24.
 
Trenton Bell aveva sollevato lo sguardo su di lei e non aveva potuto fare a meno di sorridere.
-Non riesco nemmeno ad immaginarlo…-
Si era rabbuiato di colpo però, sollevando un sopracciglio.
-Un momento. Non è che vuole prendermi in giro? Non è che mi fa leggere questo coso in diretta e poi mi arresta per intralcio alla giustizia?!-
Kate aveva sorriso divertita.
-Se lei leggesse questo manoscritto, Scott Dunn le darebbe la caccia fino all’inferno.-
L’uomo si era rabbuiato ancora di più deglutendo.
-Perché dovrebbe darmi la caccia? E’ quello che vuole! Fare conoscere al mondo il suo libro!-
-Vero! E’ quello che vuole, quando lo vuole lui però. Leggerlo adesso, mentre Richard Castle è ancora vivo, lo manderà in bestia.-
Bell continua a guardarla confuso e lei si sporge di poco, sussurrando come se stesse per rivelargli un segreto.
-Lui vuole Nikki. IO. Quindi sarà proprio Nikki a leggerlo. IO!-
Bell non aveva capito del tutto il significato di quel ragionamento, ma aveva scosso la testa energicamente.
-Nemmeno per sogno. Sa che catastrofe ne verrebbe fuori se lei si facesse prendere dall’emozione, bloccandosi?-
Kate aveva appoggiato entrambe le mani sulla scrivania e si era sporta verso di lui, fissandolo negli occhi.
-Uno psicopatico uccide per me, immedesimandomi in un personaggio inesistente. Ha avvelenato Richard Castle e io sono disposta a farmi ammazzare pur di salvargli la vita. Mi guardi bene signor Bell. Crede davvero che potrei bloccarmi davanti ad una telecamera!?-
Si era abbassata ad un paio di centimetri dalla sua faccia, notando delle piccole gocce di sudore sulla sua fronte.
-Allora direttore Bell, vuole o non vuole questo scoop?-
Trenton Bell era sembrato pensieroso con lo sguardo chino sul manoscritto.
-Ci sono tante emittenti signor Bell…-
Aveva detto con calma, sollevando il manoscritto dalla scrivania, ma l’uomo era scattato dalla sedia sbuffando.
-Ok, ok… non sia permalosa. Due minuti ed i microfoni saranno tutti suoi.-
Si era diretto svelto verso la porta, voltandosi verso di lei.
-Vado in sala stampa, nel frattempo le mando la truccatrice, così la sistema per le telecamere…-
Lo sguardo eloquente che gli aveva rivolto Beckett lo aveva costretto a fermarsi e a schiarirsi la voce.
-In… in ef… effetti non ne ha bisogno, lei è perfetta così per il video…-
Era uscito veloce andando verso gli studi e urlando i nomi di un paio di tecnici.
 
China lo sguardo sulla copertina e stringe le labbra.
L’immagine è diventata ormai familiare e non può fare a meno di disegnarla passandoci sopra le dita. Quel viso dai tratti appena accennati, gli occhi chiusi come a non voler vedere il dolore, il rosso della sua lacrima di sangue quasi sbiadito e quella rosa accanto al viso, a ricordare qualcosa di bello che però punge con le sue spine.
Alza gli occhi tornando a seguire il lavoro della troupe aspettando, in silenzio, l’inizio del gioco.
 

Dopo aver dato ordini a destra e a manca di preparare un’edizione straordinaria del telegiornale, Trenton Bell era rimasto a controllare tutto, borbottando tra se e se qualcosa d’incomprensibile, mentre Kate si era avvicinata ai colleghi.
-Sei sicura Beckett? Sai cosa scatenerà tutto questo?-
Le aveva chiesto il capitano, dando voce anche ai punti interrogativi di Esposito e Ryan.
-Castle ha ragione, signore. Questa non è più un’indagine. Non possiamo continuare a cercare indizi e stargli sempre dietro. Abbiamo fatto esattamente quello che ha voluto e solo perché ha messo in gioco i sentimenti di ognuno di noi. Lui sta giocando capitano. Ogni gioco ha le sue regole, ed è ora che Dunn conosca quelle di Nikki!-
Il capitano l'aveva guardata sorridendo e le aveva messo una mano sul braccio.
-Va allora… va, il video ti aspetta.-
 
Volta lo sguardo alla sua destra e Cary Grant stringe tra le braccia la donna che ama, sofferente per il veleno. Appoggia il viso contro il suo e le dice che la salverà.
Stringe i pugni e guarda ancora la donna disperata della copertina e ogni paura o dubbio su come arrivare al veleno, sparisce del tutto. Scott Dunn crede di avere tutto sotto controllo. Ha sistemato la sua trama, ha calcolato il tempo non contemplando nessun tipo di inconveniente. Non ammette l’imprevisto. Non ha nemmeno messo insieme alle tabelle il foglio in cui il Professore prospetta un’azione più veloce o più lenta della tossina.
Gli imprevisti però possono non far parte della trama di un libro, ma fanno parte della vita reale.
Abraham è stato il suo primo imprevisto. Impedirgli di tornare a casa, il secondo.
Castle le ha detto che deve leggere dalla sua prospettiva, immaginarsi una fine diversa. Ha ragione. Il detective Beckett deve riscrivere un finale alternativo e per fare questo Nikki deve giocare…
 
 
Dopo la forte crisi di Castle per la febbre alta, Ben Travis rientra nello studio con il viso cupo e lo sguardo basso sul vassoietto di metallo su cui ha sistemato la siringa e i flaconcini vuoti, che finiscono immediatamente nel sacchetto dei rifiuti da smaltire.
Poggia il vassoio sulla scrivania e solo in quel momento nota la cartellina sistemata sul piano di legno chiaro.
Digrigna la mascella ancora una volta, come gli era successo nella stanza di Castle, spinge via il vassoio quasi con stizza e sospira, prendendo la cartella tra le mani.
Le ultime analisi dello scrittore saggio non dicono nulla di buono.
L’attività ematica è completamente alterata. I globuli rossi continuano a scendere, distrutti come bolle colpite da un raggio laser, i bianchi invece, mostrano che l’infezione ha preso piede incontrastata.
Le cure che sta praticando hanno rallentato sicuramente l’azione della tossina, ma non l’hanno fermata per nulla. Il resto dei valori è una confusione totale, come se i dati fossero stati scritti alla rinfusa, senza un ordine preciso. La funzionalità del pancreas comincia a creare problemi e ci sono sbalzi evidenti degli zuccheri nel sangue.
Reni e fegato fortunatamente sembrano resistere ancora, ma l’attività polmonare è disastrosa.
Il polmone destro è del tutto atrofizzato e l’apporto di ossigeno nel sangue è troppo lento.
Getta la cartellina sulla scrivania con una tale forza che i fogli all’interno si spargono disordinati per tutto il piano. Chiude gli occhi respirando profondamente. Si passa le mani sul viso e sente la barba ruvida sotto i palmi. Guarda il suo riflesso sulla vetrinetta dei medicinali e anche lui si rende conto del passare del tempo. Si sciacqua il viso nel piccolo bagno dello studio, una cosa che ha fatto spesso nelle ultime 24 ore, rinchiuso in ospedale, senza mangiare, senza dormire, senza arrivare ad una soluzione.
Non sarei dovuto restare qui tutte queste ore. Dovevo andarmene a fine turno, lasciare che un altro medico si occupasse di lui…
Si asciuga il viso lentamente, la tovaglietta usa e getta finisce nel cestino e, senza pensare, si ritrova fuori dallo studio ad usare le scale, invece dell’ascensore, per scendere sei piani di corsa, come se avesse bisogno di muoversi, di correre, di scappare da quel reparto che lo soffoca, per ritrovarsi davanti ad un citofono e alla targhetta che lo contraddistingue:
LABORATORIO DI BIOLOGIA E ANALISI CLINICHE - DOTTORESSA CLAIRE DOBBSON.
Legge le parole con attenzione, come se non le avesse mai lette, come se non fosse mai sceso al piano interrato e non avesse mai percorso quel corridoio sempre troppo buio anche con i neon accesi, per ritrovarsi a suonare il campanello in attesta di risposte.
Appoggia la fronte sull’acciaio freddo del citofono, sospirando.
Perché sono qui!?
Scuote la testa e con le spalle curve si siede su una delle poltroncine a ridosso del muro, appoggia i gomiti alle ginocchia e si prende la testa tra le mani.
Le due metà della porta del laboratorio si aprono con quello strano rumore simile ad un soffio appesantito, solleva la testa di scatto, vedendo uscire la dottoressa Dobbson, che si ferma di colpo quando lo vede seduto lì davanti.
-Ben! Che fai qui?-
-Dimmi che hai trovato qualcosa. Dimmi che sai come salvarlo.-
Ha gli occhi cerchiati dalla stanchezza, ma la voce non è stanca, è rotta dal dolore, un dolore che un medico non dovrebbe mai mostrare, almeno è quello che lui le ripete di continuo. Claire deglutisce e abbassa lo sguardo sulla cartella che ha tra le mani, per tornare poi a guardarlo, sentendo il cuore pesante.
-Stavo appunto venendo da te. Siamo riusciti a catalogare due delle sostanze che compongono la tossina, reagiscono con i campioni di sangue, ma dobbiamo ancora capire le quantità e quale altra sostanza ha usato per sintetizzarle, ed è importante avere la dose giusta.-
Ben solleva le mani, facendole ricadere poi sulle ginocchia.
-Quindi non abbiamo nulla!-
Claire abbassa di nuovo lo sguardo.
-Ci stiamo lavorando Ben, in poche ore stiamo facendo il lavoro di giorni, la stanchezza non aiuta, ho diviso i turni tra i tecnici, ma Lanie ed io non ci siamo fermate un momento. Stiamo tentando davvero l’impossibile!-
Le sue parole gli giungono all’orecchio in un sussurro, non con risentimento come se lui avesse denigrato il suo lavoro, ma come se la colpa di tutto quello che succede, fosse proprio sua. Ben solleva lo sguardo su di lei e sospira.
-Scusami Claire. Non intendevo dire che…-
Sospira ancora sentendo un groppo in gola e Claire gli si siede accanto.
-Che succede Ben!?-
Gli chiede senza guardarlo, continuando a stringere la cartellina al petto.
-Sta morendo! Ecco cosa succede.-
-Sapevamo fin dall’inizio che non sarebbe stato facile, abbiamo troppo poco tempo.-
Continua lei sempre sussurrando, come se parlare a voce alta la facesse stare ancora peggio, mentre lui annuisce.
-Lo so, ma questo non mi fa sentire meglio.-
Lo dice con rabbia e Claire si volta a guardarlo. Gli occhi fissi in un punto, il profilo teso per la mascella serrata, le mani incrociate insieme e strette a penzoloni tra le ginocchia. E’ stanco e pieno di rabbia.
-Stiamo qui giorno e notte per dare sollievo a chi soffre. A volte ridiamo il sorriso a chi vince la malattia, a volte non ci riusciamo. Ci sono malattie che non possiamo ancora a sconfiggere, ma è normale, rientra nell’ordine delle cose, per capire quanto siamo ancora limitati in certi campi, ma questo…-
Gesticola freneticamente appoggiandosi alla spalliera della sedia.
-…questo non è normale. Quello che sta succedendo a Rick è una cosa al di fuori di tutto. Uno psicopatico si è innalzato ad essere Dio e si prende la briga di decidere della vita e della morte delle persone.-
Ha alzato la voce senza rendersene conto. Claire continua a guardarlo sentendo il nodo alla gola sempre più pressante. Non è più il signor Castle, il paziente adesso è diventato Rick e Ben è stanco quanto e più di lei. Chiude gli occhi rendendosi conto che lui continua a parlare e voce sostenuta.
-Voleva vendetta? Perché non sparargli un colpo in fronte, così adesso sarebbe tutto finito. Almeno non dovrei stare a guardarlo spegnersi lentamente senza potere fare altro.-
Si passa la mano tra i capelli sempre più nervoso.
-Il suo corpo lo sta abbandonando, ma il cervello no, quello resterà lucido fino alla fine.-
Scuote la testa deglutendo, continuando a chiedersi perché sia andato da Claire e perché le stia parlando così. Resta in silenzio per un paio di secondi, un silenzio che lei non si azzarda ad interrompere, fino a che lo sente sospirare pesantemente.
-Gli sta portando via tutto Claire, non solo la vita in senso letterale. Lo sta uccidendo lentamente, lasciandogli il tempo di rimuginare su quello che sta perdendo. Sta morendo… e l’unica cosa a cui pensa è che non vuole deludere la donna che ama…-
Stringe i pugni alzando il tono della voce.
-…e poi è un impiccione. Non ha fatto altro che tormentarmi perché non devo perdere altro tempo…-
Senza rendersene conto ricomincia a gesticolare, sempre con lo sguardo perso in un punto imprecisato del pavimento ai suoi piedi, mentre Claire si ritrova a perdere il filo del discorso.
-…dice che non esiste il momento giusto, che tutte le difficoltà che mi pongo sono solo frutto delle mie paure…-
Claire aggrotta la fronte sulla cartellina che continua a stringere al petto come un appiglio per non cadere, avendo perso del tutto il significato di quelle parole sconnesse.
-…dice che devo inventarmi il momento e dirti senza mezze misure che sono follemente innamorato di te, che ti amo… ma lo sa perfettamente quanto è difficile, lui ci è passato, come può dire una cosa del genere?-
Claire solleva la testa di scatto, posando gli occhi sbarrati sul muro di fronte a lei, il muscolo cardiaco ha preso una strana velocità e le mani si sono strette sulla cartellina così tanto, da piegarla da entrambi i lati e ad un tratto le parole sconnesse prendono significato, proprio nel momento in cui Ben si rende conto di quello che ha detto, ammutolendosi all’improvviso e, senza girare la testa, sposta lo sguardo verso di lei.
-L’ho… l’ho detto davvero… a voce alta?-
Claire si morde il labbro e si gira di poco a guardarlo senza dire una parola, ed è proprio in quell’attimo che anche Ben si gira finalmente a guardarla. Ha gli occhi lucidi e le guance rosse e quella cartellina stretta addosso che ormai sembra fare parte di lei.
-Scusami Claire!-
Esclama in un sussurro, restando incollato ai suoi occhi azzurri tanto stanchi, ma altrettanto belli dietro quegli occhiali dello stesso colore.
-Scusarti? Perché quello che hai detto… non è vero?-
Mentre si perde nel suo sguardo, per la prima volta da quando la conosce, Ben crede di vedere paura, paura che lui dia davvero una risposta alla sua domanda. Scuote la testa e sorride, tornando improvvisamente calmo e in possesso delle sue facoltà mentali.
-Ricordi il tuo primo giorno di lavoro qui?-
Lei si ritrova ad annuire, senza distogliere lo sguardo e lui continua a sorridere con una strana luce negli occhi che le blocca il respiro.
-Stringevi al petto un paio di carpette come adesso, eri già in ritardo, nervosa e di fretta. Ti guardavi intorno per capire da che parte era l’ufficio in cui ti aspettava il direttore e mi sei arrivata addosso come un camion perché non guardavi dove mettevi i piedi, mi hai scaraventato contro la macchinetta degli snack, facendomi versare addosso il caffè bollente. Te lo ricordi?-
Claire sorride annuendo e diventando ancora più rossa mentre si sistema gli occhiali sul naso e lui inclina la testa sorridendo a sua volta.
-Hai fatto esattamente questo gesto, mentre balbettavi le tue scuse e cercavi di ripulirmi, senza successo. Parlavi di continuo, ma io non ho capito una sola parola di quello che hai detto.-
Solleva una mano e con il dorso delle dita le sfiora il viso.
-Credo di essermi innamorato di te in quel preciso istante. Sono un medico, non posso credere ai colpi di fulmine, ma in quel momento io sono stato colpito, non so se da un fulmine, ma mi ha preso in pieno.-
Claire chiude gli occhi mentre lui continua a sfiorarla. Li riapre quando non sente più il suo tocco e sorride.
-Rick dice di inventare il momento, ma adesso… direi che ho scelto proprio quello sbagliato!-
Esclama facendola ridere.
-Si, direi che uno peggiore non potevi trovarlo.-
Incatena lo sguardo nei suoi occhi e sorride.
-Dovrai inventarne un altro, magari un po’ più romantico!-
Esclama mordendosi il labbro e Ben corruccia la fronte.
-Significa che non mi mandi al diavolo per questa dichiarazione insensata e sconclusionata?-
-Perché dovrei?-
Sospira anche lei, sistemandosi ancora gli occhiali, abbassando lo sguardo.
-Io non lo so quando è successo, nemmeno io credo ai colpi di fulmine, sono troppo irrazionali per uno scienziato, però so che quel giorno ho sperato con tutta me stessa che il direttore non mi cacciasse via per il mio spropositato ritardo.-
Torna a guardarlo con un sorriso dolcissimo.
-Avrei fatto qualunque cosa per restare a lavorare in questo ospedale.-
Ben sorride abbassando la testa, ruotandola verso di lei quando gli stringe la mano.
-Siamo tanto stanchi e abbiamo ancora tanto lavoro da fare, pensiamo al signor C… a Rick, rimettiamolo in piedi e poi… e poi inventiamo un altro momento giusto, che ne dici?-
Ben annuisce senza dire nulla, lei si alza e si dirige verso il laboratorio, con il cuore in gola.
-Claire!-
La richiama lui, alzandosi e avvicinandosi pericolosamente. Si ritrovano occhi negli occhi. Ben le mette entrambe le mani sul viso e la bacia dolcemente al fior di labbra.
-Sono due anni che voglio farlo…-
Le sussurra senza staccarsi da lei. Il suo fiato l’avvolge in un calore dolcissimo e si rende conto di aver chiuso gli occhi solo quando lui le lascia il viso e si allontana senza dire altro.
Lo guarda allontanarsi per un momento, toccandosi le labbra con le dita e sorridendo senza volerlo, mentre rientra in  laboratorio.
Ben si gira un attimo quando sente il rumore della porta che si apre e richiude contemporaneamente, pensando che non ha ancora capito il vero motivo per cui è sceso di corsa in quel corridoio, perché si è fermato ad aspettarla, perché le ha detto tutte quelle parole sconnesse… perché hanno aspettato tanto per ammettere qualcosa di così bello.
 
 

Vide le luci rosse e blu riflettersi nel cielo, che scuriva di minuto in minuto.
Il molo era dall’altra parte della città, era stato costretto a prendere la metropolita e aveva dovuto attivare tutta la sua attenzione.
L’intera città era presidiata dalle forze dell’ordine.
Prima di lasciare Abraham si era camuffato. Solo un paio di baffi ed una parrucca con la capigliatura riccia e scura, occhiali da vista che cambiavano comunque la sua fisionomia, visto che le tenebre stavano prendendo piede e gli occhiali scuri avrebbero dato troppo nell’occhio.
Farsi beccare adesso sarebbe stato stupido e non da lui. Non avrebbero risolto nulla, visto che il veleno era al sicuro e lui non avrebbe rivelato il nascondiglio per niente al mondo, ma aveva una trama da seguire e Abraham gli aveva già fatto perdere troppo tempo.
Restò con lo sguardo fisso sul movimento di colore che macchiava il cielo.
Si sentì attraversare da un brivido.
Capì subito che le luci erano lampeggianti della polizia e il punto da cui nascevano sembrava proprio casa sua.
Inarcò un sopracciglio abbozzando un ghigno sul viso.
Nikki lo aveva trovato!
Si dimenticò del brivido e contrasse la mandibola. Strinse i pugni e roteò il collo sospirando, come a volersi calmare.
Aveva messo in conto che potesse avvicinarsi a lui pericolosamente, ma non credeva ci sarebbe riuscita così presto e in maniera così precisa.
Erano riusciti a captare il segnale del server, Nikki aveva una bella squadra!
Non sapeva se essere arrabbiato o provare orgoglio per la sua eroina che, anche in preda alla disperazione, non si arrendeva mai.
Non poteva fare a meno di provare ammirazione per lei. Un’ammirazione che si era tramutata in odio, ma che lo stupiva comunque piacevolmente.
Prese il sentiero che costeggiava la zona e salì sulla collinetta che la sovrastava.
Un’auto con i lampeggianti accesi era davanti alla porta del suo nascondiglio e agenti in divisa facevano avanti e indietro nella via.
Sorrise compiaciuto.
Lo aveva trovato.
Avrebbe potuto lasciare tutto al buio, nascondersi in attesa del suo arrivo, invece gli stava sbattendo in faccia la sua nuova vittoria.
Voleva che sapesse che lei era lì.
Ancora una volta ha conferma della loro connection. Lo conosce bene. Sa che non ha più con sé quello  che desidera più di ogni altra cosa al mondo in quel momento: il veleno. La salvezza per il suo uomo!
Digrignò la mascella ancora una volta.
Aveva portato con sé il portatile, ma aveva dimenticato il manoscritto. Abraham lo aveva distratto. Doveva portarlo con sé, doveva sistemarlo aggiungendo al paragrafo le disavventure con l’omino storpio, invece lo aveva dimenticato.
Si abbassò dietro la collinetta battendo i pugni sulla roccia.
La pelle diventò rossa e piccole macchioline di sangue, grandi quanto la capocchia di uno spillo, cominciarono ad intravedersi.
Non se ne curò. Non sentiva dolore. Era solo arrabbiato.
Aveva tutto sotto controllo e si era fatto prendere in giro, come un pivellino, dal Professore e dal suo amico grillo parlante.
Si sedette sulla terra umida e appoggiò la testa contro la roccia su cui aveva riversato la sua rabbia.
Inspirò ed espirò più volte, per cercare di calmarsi e trovare il modo di sistemare tutto.
Aveva il file nel computer, poteva rifinirlo e stamparlo . Aveva ancora tempo, poteva farcela, probabilmente Nikki lo aveva portato via per leggerlo, ma non era importante, lei in fondo, sapeva già quale sarebbe stata la fine. Sarebbe stato comunque accanto allo scrittore e i suoi ultimi istanti di vita sarebbero stati proprio come da lui descritti.
Strisciò sulla terra per tornare al punto di partenza, stringendo lo zaino, come se avesse paura di perderlo.
Si sentì avvolgere da una sensazione che fino a quel momento non aveva ancora provato: ansia.
Non nel corpo. Non quell’ansia che non fa respirare. La sentiva nella testa.
Sentiva la testa pulsare per il lavoro frenetico che facevano i pensieri, per cercare di sistemare il suo piano, per trovare il modo di presentare comunque il suo capitolo al mondo.
S’incamminò piano, chino e attento a guardarsi intorno.
Doveva trovare un posto per sistemarsi, stampare il capitolo e mettersi al sicuro per le ore che lo separavano dalla morte dello scrittore.
Doveva sbrigarsi.
Per la prima volta da quando aveva sfidato Nikki, si ritrovò anche lui a dovere inseguire il tempo…


Angolo di Rebecca:

Un angolo che si rispetti comincia sempre con dei tontoloni, quindi ovazione per il dottor Travis e la bella dottoressa Dobbson che finalmente hanno trovato il (poco) momento giusto (ringraziamo tutti Richard Castle naturalmente :D)

Parliamo adesso di Kate... nel senso, vogliamo parlarne davvero??? Alla CNN è andata!!! Con la benedizione della Gates (che ormai abbiamo perso del tutto) e lo stupore di Esposito e Ryan (che non sta mai zitto, ormai è appurato!)

Vogliamo parlare di Dunn? Stavolta parliamone. Si ritrova a rincorrere il tempo. Anche lui! :D

Vi rubo ancora qualche secondo. 
Sono arrivati i parenti per la villeggiatura, siamo tanti, il tempo è poco e lo stress alle stelle :p
Tutto questo per dirvi che per qualche settimana stacco anche da EFP, mi spiace ma davvero non riesco a sistemare i capitoli, a fare i banner e soprattutto a scrivere altro, almeno per questo mese. Mi scuso anche per non avere ancora risposto alle recensioni, cosa che farò prima possibile!
Quindi... a presto! (se vorrete ancora starmi appresso *-*)
Grazie infinite e buone vacanze a tutti <3
 

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Capitolo 46
*** Nikki ***


Volta lo sguardo alla sua destra e Cary Grant stringe tra le braccia la donna che ama, sofferente per il veleno. Appoggia il viso contro il suo e le dice che la salverà. Stringe i pugni e guarda ancora la donna disperata della copertina e ogni paura o dubbio su come arrivare al veleno, sparisce del tutto. 
Castle le ha detto che deve leggere dalla sua prospettiva, immaginarsi una fine diversa. Ha ragione. Il detective Beckett deve riscrivere un finale alternativo e per fare questo Nikki deve giocare…


 
 
 
 

Capitolo 46

 

Il movimento frenetico intorno sembra riflettersi su di lei.
Continua a guardare la copertina del manoscritto e sente il cuore correre veloce. Chiude gli occhi e respira a fondo per placare l’ansia che è arrivata improvvisa.
E’ circondata dal caos, da persone in movimento, da voci abbastanza sostenute da disturbare chiunque, ma lei sente tutto ovattato, oltre al rumore del suo cuore.
Sposta lo sguardo fuori campo, il capitano Gates ed i suoi amici sono dietro le quinte con gli occhi puntati su di lei. Si alza e fa per lasciare la scrivania.
-Ehi lei, dove crede di andare? Siamo quasi pronti!-
Si gira confusa verso la voce che la rimprovera.
-Non può lasciare lo studio, stiamo per andare in onda.-
Quel divieto le fa salire l’ansia ancora di più.
Non è ansia da diretta televisiva, è ansia da lontananza… si sente sola in mezzo alla gente.
-Mi servono un paio di minuti.-
-Non se ne parla neanche!-
Esclama stizzito l’uomo con la cuffia e l’auricolare, che scuote la testa e le fa cenno di tornare a sedersi, mettendole la mano sul braccio.
L’ansia diventa irritazione.
-Mi servono due minuti!-
Risponde perentoria, spostando lo sguardo sulla mano che la trattiene. Torna poi a guardarlo fisso negli occhi, seria con le labbra strette, tanto che il tecnico non ribatte, guarda verso il direttore Bell che annuisce e poi sospira, preparandosi al disastro totale.
Il capitano Gates, Ryan ed Esposito la seguono con lo sguardo, preoccupati anche loro.
Compone il numero di suo padre, che le risponde al secondo squillo.
-Devo parlare con lui papà!-
Senza salutarlo, senza convenevoli va subito al punto.
Jim è seduto proprio fuori la stanza di Castle, non si è mosso di un passo da quando il dottor Travis lo ha lasciato, permettendo a Martha ed Alexis di tornare da lui, dopo la forte crisi.
-Kate, Rick non sta bene.-
-Devo parlare con lui papà, ora.-
Jim scuote la testa, come se la figlia si rifiutasse di capire realmente la situazione.
-Non riesce a muoversi Kate, non può tenere nemmeno il telefono in mano e pochi minuti fa ha avuto una crisi forte che ci ha terrorizzato. E’ stanco…-
Kate chiude gli occhi e sospira frustrata.
-Devo parlargli. Deve sapere. Lui vuole sapere… fammi parlare con lui papà…-
Anche Jim sospira frustrato e apre la porta della camera di Rick, incontrando gli occhi stanchi di Martha.
-Kate vorrebbe parlargli…-
Sussurra piano per non disturbare. Rick sembra dormire, ma apre gli occhi e annuisce senza dargli il tempo di finire la frase. Alexis gli fa posto lasciando che sieda accanto a lui, mettendo il telefono in viva voce.
-Non dire nulla di inappropriato Beckett… ci sono mamma, papà e figlia presenti!-
Il suo è un sussurro intervallato dal respiro pesante, ma è bastato per calmare i battiti del suo cuore e farle muovere di poco le labbra in un accenno di sorriso.
-Che succede… Kate?!-
Non ha ancora il veleno, ma c’è qualcosa su cui rimugina da un po’. E’ lampante, dal suo punto di vista, che qualcosa la tormenta.
-Un’ora fa abbiamo trovato il nascondiglio di Dunn.-
Resta un attimo in silenzio e poi sospira, mentre Jim incrocia lo sguardo di Martha.
-Di lui nessuna traccia, però.-
-Naturale… se gli avessi già… rotto le ossa una per una… non me lo diresti per telefono!-
Lei scuote la testa.
-Da come è ridotta la casa si capisce che è uscito di fretta, evidentemente per dare la caccia ad Abraham. La Gates voleva rimettere tutto a posto e aspettare che tornasse per prenderlo di sorpresa, ma io le ho detto di no. Voglio dire, se non avesse con sé…-
-…se non avesse con sé il veleno, non direbbe dove lo ha nascosto nemmeno sotto tortura! E per noi è importante quello al momento, non solo arrestarlo.-
Rick finisce il suo pensiero come sempre e lei si sente allargare il cuore, avendo conferma che ha preso la decisione giusta.
-Kate!-
La sua voce la riscuote dai suoi pensieri, spingendola a continuare.
-Abbiamo trovato quello che dovrebbe essere l’ultimo capitolo prima dell’epilogo.-
-Cosa dice?-
Kate guarda verso la scrivania su cui è rimasto il manoscritto.
-Non lo so, non l’ho ancora letto, ma le ultime righe parlano dello scrittore…-
Lascia la frase a metà e Rick deglutisce.
-Del momento in cui esala l’ultimo respiro?-
La domanda di Rick fa sussultare i presenti nella stanza e lei all’altro capo del telefono.
-Si. Non è rilegato, credeva di avere altro tempo.-
-Già. Ce lo avrebbe fatto trovare sul mio cadavere. Te l’ho detto Kate, vuole essere qui quando morirò.-
La mano di Martha si stringe sulla sua tanto da fargli male.
-Si, ma il capitolo… adesso ce l’ho io!-
Il modo in cui lo dice gli fa corrucciare la fronte.
-Kate… dove sei?-
Ancora una volta dimostra di conoscerla bene, di capire ogni intonazione di voce, ogni pensiero le possa passare per la testa, sennò non le avrebbe fatto quella domanda.
-In uno studio televisivo della CNN.-
Dice tutto d’un fiato, restando poi in silenzio. Martha, Jim e Alexis si guardano confusi, Rick al contrario, sorride. Ci ha messo meno di un secondo a capire.
-Hai intenzione di fare quello che penso?-
Lei non risponde e Rick fa un respiro profondo per prendere fiato.
-Vuoi bruciargli il capitolo in diretta televisiva? Lo manderai in bestia!-
Esclama anche lui tutto d’un fiato con un che di eccitazione nella voce, ma lei sospira.
-Fino ad un attimo fa sembrava una grande idea, adesso però…-
Ed ecco che la interrompe ancora una volta.
-…però niente. E’ un’idea geniale Kate, sconvolgerai i suoi piani, la sua trama. Questo lo spiazzerà!-
Il respiro è pesante, ma il modo in cui le parla le fa immaginare i suoi occhi che brillano per l’idea che lo eccita.
-Non limitarti a presentare il capitolo Kate, parla con lui. Nikki deve parlare con lui…-
Lascia la frase in tronco e lei deglutisce.
-Sii diretta, colpiscilo nella sua superbia e lui perderà la testa.-
-E’ quello che avevo in mente.-
Gli risponde sicura.
-Se solo potessi, saltellerei.-
Le dice improvvisamente e Kate non può fare a meno di sorridere. Solleva lo sguardo verso lo studio e nota il tecnico, che prima voleva quasi legarla alla sedia, che la fissa nervoso andando avanti ed indietro nello spazio di un metro.
-Mi guardano in malo modo, è tutto pronto per la diretta, sarà meglio che vada prima che venga un infarto a qualcuno.-
-Vorrei essere lì con te!-
Sussurra provocandole un nodo in gola. Lei si porta la mano al petto.
-Sei qui con me, Castle.-
Scandisce lenta con lo stesso sussurro, sentendolo sospirare.
-Kate… vai sicura. Bucherai lo schermo!-
Esclama alla fine con un tono che dovrebbe essere di scherzo, ma che le arriva dolce all’orecchio, mentre chiude la telefonata.
-Richard, credi davvero che stia facendo la cosa giusta?-
Gli chiede Martha, guardandolo preoccupata, dando voce anche ai dubbi di Jim e lui annuisce.
-Non c’è più tempo per le indagini mamma. Dovevamo spiazzarlo fin dall’inizio, ma quando qualcosa ti tocca personalmente, la mente non ragiona. Ci ha sviato con la paura!-
Stringe le labbra e sospira, irritato e stanco.
-E’ ora di giocare come fa lui. Nikki deve giocare.-
Jim si alza e si avvicina alla finestra. E’ ormai sera, le ore passano e il peso che sente nel cuore diventa sempre più opprimente, per il pericolo che incombe su sua figlia e per il dolore, fisico e morale, che aleggia dentro quella stanza. Un pericolo che loro chiamano gioco, stando dietro alla follia di quell’assassino, mentre in gioco ci sono le loro vite.
Ha sempre osservato da lontano ed in silenzio l’evolversi dei sentimenti di Kate. Ha desiderato con tutto se stesso che capisse e soprattutto non avesse più paura dell’amore, perché Rick era quello giusto, nonostante le dicerie su di lui. Lo aveva capito da subito, da quando aveva cominciato a parlargli di quello scrittore che la irritava e non sopportava, ma che le strappava sorrisi senza che lei se ne accorgesse. Ne era così sicuro che, quando ha capito che la sua Katie avrebbe agito di nuovo in modo avventato per trovare l’assassino di Johanna, si era permesso di andare da lui a chiedergli di fermarla. Perché solo lui avrebbe potuto farlo. Adesso avrebbe agito ancora avventatamente, ma stavolta nessuno avrebbe potuto fermarla.
Si riscuote dalle sue preoccupazioni quando Rick interrompe il silenzio. La sua voce è più tranquilla, la rabbia che lo ha pervaso per un attimo è sparita e la sua attenzione è rivolta alla TV spenta sulla parete all’angolo della stanza.
-Non voglio sapere di chi è stata l’idea di nascondere il telecomando, non agirò formalmente contro nessuno, ma adesso tiratelo fuori. Non ammetto repliche. Accendete quel televisore.-
Martha stringe le labbra in segno di rimprovero, mentre Alexis prende il telecomando che aveva nascosto dentro la sua borsa, in modo che il padre non potesse scoprire notizie che avrebbero potuto nuocergli.
-Seriamente Alexis? L’hai nascosto nella tua borsa?-
La ragazza solleva le spalle, accende la TV e la sintonizza sul canale della CNN.
-Per un po’ ha funzionato papà!-
Gli dice sorridendo, sedendosi accanto a lui.
 
Kate torna alla scrivania, sorride al tecnico che sospira di sollievo e annuisce alla voce che gli parla nelle cuffie.
In un attimo scende il silenzio, una lucina rossa si accende su una telecamera davanti a lei, l’uomo che la manovra fa segno con la mano verso una bella donna, in piedi fuori dal suo campo, contando alla rovescia da cinque a zero.
Il volto sofferente di Ingrid Bergman scompare d’improvviso dallo schermo e la sigla che accompagna le edizioni straordinarie dei TG entra di prepotenza nelle case dei Newyorkesi,  interrompendo la messa in onda del film.
 
Interrompiamo i programmi per un aggiornamento sulle indagini nel caso del Killer Silenzioso. Pochi minuti fa è giunta notizia alla nostra redazione, che la polizia ha individuato il nascondiglio di Scott Dunn. Di lui nessuna traccia, ma una squadra di agenti sta ancora perquisendo minuziosamente la casa, alla ricerca di qualche indizio utile che conduca all’assassino che, ricordiamo, mette in scena i suoi omicidi come se stesse portando avanti la trama di un libro scritto da lui, diviso in diversi capitoli che lascia di volta in volta sulle scene del crimine. Tra qualche secondo sarà proprio colei che l’assassino ha scelto come protagonista del suo libro, a svelarci l’ultimo capitolo rinvenuto nel nascondiglio, un capitolo che l’assassino avrebbe presentato sicuramente più avanti, magari lasciandolo in regalo con la prossima vittima.  
 
Le luci cambiano posizione d’improvvisano, lasciano nell’ombra la giovane speaker e si posizionano su Beckett che per un attimo socchiude gli occhi, sopraffatta. Il tecnico le fa cenno con la testa che è in onda e lei sfoglia la copertina con calma, gli occhi bassi sulla scrittura e le mani sui fogli.
 

Capitolo IX  - Nikki
 
Senza preamboli e con voce sicura, legge il titolo soffermandosi un momento. Con un gesto veloce, passa le dita della mano destra sopra il quadrante dell’orologio al suo polso sinistro, riportando poi la mano sul foglio che sta per leggere.
Un gesto insignificante per chiunque…
Non per i suoi amici, che non si sono resi conto che quel polso era vuoto fino a poco prima.
Non per Jim, che ha annuito quando la figlia ha accarezzato quell’oggetto che significa continuare a vivere per entrambi.
Non per Rick, che sussulta e sorride, quando si rende conto che Colbert non lo delude mai e Kate si è finalmente riappropriata del suo tempo. Il sorriso sparisce per una fitta di dolore. Chiude gli occhi per concentrarsi sulla TV, per distogliere l’attenzione dalla testa che continua a martellare incessante, cercando di immedesimarsi nella voce di Kate che comincia la lettura.
 

Ogni volta che arrivava sul posto per vedere un cadavere si ripeteva la stessa scena.
Slacciava la cintura di sicurezza, sfilava una biro dalla fascetta del parasole, si passava le lunghe dita sul fianco per trovare conforto nella pistola d'ordinanza e poi, come sempre, si fermava. Non per molto. Solo il tempo di un lento e profondo respiro…

Quel breve momento di raccoglimento era di rito ogni volta che Nikki Heat arrivava sulla scena di un crimine.
Lo scopo era semplice. Ribadire che, vittima o colpevole, il cadavere in attesa era pur sempre un essere umano e meritava di essere rispettato e trattato come tale, non come l’ennesimo numero statistico...
 
Questa era stata la prima immagine che aveva avuto di lei.
Orgogliosa, fiera, concentrata.
La sua anima era per le vittime.
Un’anima divenuta nera per una vittima eccellente, personale.
Sua madre.

 
La pausa di qualche secondo è impercettibile per la redazione, ma in quella pausa di pochi secondi, Jim Beckett si allontana dallo schermo, mettendosi le mani in tasca e volgendo lo sguardo fuori dalla finestra. Digrigna la mascella, restando in disparte non riuscendo a reprimere il dolore che ha sentito a quella frase e senza capire come possa arrivare alla fine Rick, sapendo che il resto della lettura parla di lui e della sua morte.
 
Questo rendeva Nikki speciale.
Interagiva con le vittime come faceva lui.
Lei le teneva in considerazione.
Lui le innalzava a qualcosa di più di semplici vite inutili su questa terra.
Lei non le considerava solo corpi senza vita, facce sconosciute private dell’esistenza.
Lui organizzava la loro morte in maniera minuziosa, preparava una trama, ne faceva una storia.
Lei vedeva esistenze spezzate, visi dal sorriso rubato, occhi privati della vista del sole.
Lui spezzava le esistenze, rubava i sorrisi, privava gli occhi della luce. 
Si impossessava delle sue vittime e poi le rendeva immortali nei suoi racconti. 
Racconti che fino a quel momento non erano mai stati letti, ma che con Nikki sarebbero diventati reali. 
Lui portava loro giustizia per quella vita che non le rendeva speciali.
Lei portava loro giustizia e le rendeva speciali dopo la morte.
Lui era l’artista che componeva la morte per lei… 
Questo era il filo che li univa, che li rendeva simili, che li avrebbe innalzati ad essere i migliori sempre e comunque.
 

Questa volta Kate si sofferma un attimo di più. Per gli addetti ai lavori poteva essere quella che viene definita pausa ad effetto  per tenere viva la suspance nello spettatore, ma per Rick è una pausa riflessiva, per metabolizzare le parole appena lette, proprio come sta facendo lui, ripetendole a mente in mezzo alle pulsazioni prepotenti del suo cervello. Il parallelismo che Dunn descrive tra lui e Nikki è incredibile. Bianco e nero. Giusto e sbagliato. Vita e morte.
Sospira tanto forte da attirare perfino l’attenzione di Jim, rimasto in piedi, di spalle, a guardare la città che comincia ad illuminarsi. I loro sguardi s’incrociano per un momento, mentre la voce di Kate riempie ancora la stanza.
 

Lei però, aveva peccato di orgoglio, lo aveva trattato come un assassino qualunque, uno psicopatico che si macchia le mani del sangue di vittime innocenti.
Si era affidata allo scrittore.
Lui lo aveva fermato, mettendosi tra loro.
Lui doveva pagare…
E stava pagando nel peggiore dei modi: nella sofferenza.
Era arrivato il momento e lui era lì, a prendersi il suo ultimo respiro.
I suoi ultimi minuti di lucidità lo fecero voltare verso di lei, come se le rivolgesse una preghiera.
La sua agonia nel corpo s’irradiava in lei, facendo agonizzare anche la sua anima.
Lo scrittore era la sua seconda, personale vittima per eccellenza.
Quando  il movimento lento e affannato del torace si fermò di colpo, i suoi occhi si spalancarono.
L’ultimo respiro dello scrittore era stato come una pugnalata nel petto e lei aveva smesso di respirare con lui.
 

La mano di Martha si stringe ancora su quella del figlio, mentre lui resta con lo sguardo fisso sul volto di Kate, che sembra non provare alcuna emozione, ma che non può ingannarlo. Sta fremendo. Sta soffrendo e vorrebbe solo alzarsi da quella sedia e scappare via. China lo sguardo cercando di tenere a bada il dolore ed il respiro che sente sempre più pesante e, con la coda dell’occhio, nota le mani di Alexis che si chiudono a pugno, con forza.
Chi ha detto che le parole feriscono più di un’arma sapeva di cosa parlava. Quella parole, seppur frutto di una mente malata, stanno distruggendo la sua famiglia.
 
E’ difficile spiegare la sensazione che provoca la vittoria.
Sentire l’animo leggero mentre il suo era appesantito dalla colpa e dal dolore.
Quel dolore che conosceva bene, che non avrebbe più voluto provare, ma che il male in persona le aveva iniettato di nuovo, cogliendola impreparata…

 

Kate solleva lo sguardo verso la telecamera. Lo studio è avvolto dal più assoluto silenzio, non perché siano in onda, ma perché sono tutti concentrati su quelle parole che raccontano la morte in una finzione reale e folle.
La sensazione che provoca la vittoria…
Quel capitolo decretava la morte di Rick, la vittoria per Dunn. Dopo si sarebbe preso lei.
Le luci confondono lo sfondo e Kate non riesce a vedere bene i visi, ma scorge le sagome di ognuno, immobili come se trattenessero anche il respiro.
E’ riuscita a leggere con voce ferma, anche se ogni frase è stata una pugnalata.
Ogni frase parla di lei, della morte di Castle, del dolore infinito che l’avrebbe travolta.
Nikki deve parlare con lui…
Si porta la mano al petto e sorride impercettibilmente, senza sapere che nello stesso momento anche Rick, davanti allo schermo, con la testa che pulsa per la febbre e il dolore che ormai peggiora sempre più, sorride insieme a lei, accorgendosi di quell’altro gesto insignificante agli occhi del mondo.
Le ha detto che deve rivolgersi a lui, parlargli direttamente come se lo avesse davanti e sa che sta riflettendo, per dire la cosa giusta, per toccare i tasti giusti che sconvolgeranno ancora di più la sua trama.
Se solo potesse starle accanto…
-Forza Kate… puoi farcela.-
 
Come se avesse sentito davvero la sua voce, Kate fissa lo sguardo sulla lucetta rossa che le dà l’inquadratura, sott’occhio guarda lo schermo gigante che mostra la sua figura così come appare negli schermi televisivi dei newyorkesi. Sospira impercettibilmente, tanto che il microfono che ha davanti non produce alcun suono.
-Bel capitolo, Scott!-
Esclama con calma, quasi sorridendo, stringendo di poco le palpebre.
-Conoscendo la voglia che hai  di far conoscere il tuo capolavoro al mondo, ho pensato ti avrebbe fatto piacere che lo leggessi io stessa, prima che fosse requisito dalla polizia.-
Incrocia le mani sulla scrivania e si sporge di poco in avanti, come a mettersi più comoda.
-Certo, letto così, non si può non apprezzare. Ben scritto, narrativamente parlando corretto, parole scelte con attenzione, precise, che incatenate tra loro provocano sentimenti diversi.-
Poggia il palmo della mano su uno dei fogli appena letti e scuote la testa.
-Ripercorrendo a mente anche gli altri capitoli riesci a trascinare il lettore in un racconto macabro che mette ansia. Descrivi la morte come un artista. Credo che complessivamente potrebbe diventare davvero un best seller… se pensiamo poi che quello che scrivi lo rendi anche reale…-
Incrocia le mani puntandole sotto il mento.
-Ma un critico che si rispetti ti direbbe che è solo un’opera dozzinale, banale, di nessuna importanza.-
Solleva le sopracciglia, riportando le mani incrociate sulla scrivania.
-Perché?-
Si sporge completamente in avanti, come se dovesse sussurrare all’orecchio di Dunn e solo a lui.
-Perché non è tuo!-
Torna a sedersi tranquilla con entrambe le mani e gli occhi sulla prima pagina del manoscritto.
-Racconti di te, descrivi le tue opere d’arte…-
Sottolinea le ultime due parole, riportando lo sguardo davanti a sé.
-Racconti al pubblico di Nikki, del suo modo di essere, del suo tradimento nei tuoi confronti quando l’unica cosa che chiedevi era che ti stesse vicino, complice, non tanto dei tuoi capolavori, quanto della bellezza con cui li dipingi.-
Sospira sventolando la mano in maniera teatrale, tanto da far sorridere Rick che l’ascolta rapito.
-Ma niente di tutto questo ti appartiene.-
 Si sofferma a rileggere le prime righe, storcendo le labbra.
 -Il titolo del capitolo porta il mio nome. Inizi descrivendo il mio arrivo su una scena del crimine. Un rito che ripeto di volta in volta…-
Solleva lo sguardo come se la telecamera fosse il viso di Dunn.
-Peccato che quello che scrivi è semplicemente rubato, come le identità che rubi alle tue vittime per continuare ad agire  indisturbato. Hai rubato la musa ad un altro scrittore. A parte gli omicidi, niente di tutto quello che scrivi è tuo…-
Quasi lo grida, a denti stretti e la fronte corrucciata, con rabbia.
-Nikki non ti appartiene!-
Addolcisce la sua espressione e abbassa la voce in un sussurro.
-Non sei stato tu a crearmi Scott. Non sei stato tu a delineare il mio carattere, a studiare il mio dolore, a plasmare dolcemente la mia anima riuscendo perfino ad accarezzarla…-
Solleva la mano facendola ondeggiare leggermente, come se accarezzasse l’aria.
-…è una missione praticamente impossibile riuscire ad accarezzare l’anima di un personaggio e solo chi lo conosce bene nella sua mente ancora prima che sulla carta, imparando ad amarlo dal profondo può riuscirci, dandogli vita…-
Sente gli occhi lucidi, sta cercando di restare distaccata, ma è davvero tutto più grande di lei. Il personaggio di cui parla è irreale, ma mentre pronuncia quelle parole si rende conto che sta parlando di se stessa, non per il modo in cui lo scrittore l’ha descritta nei suoi romanzi regalando la sua essenza al suo alter ego, ma per il modo in cui realmente Castle le è stato vicino per conoscere Kate Beckett, tanto da accarezzarle quella parte di anima che non riusciva più a sentire dopo la morte di sua madre. Stringe ancora le labbra, deglutendo.
-Geraldine Prescott. Sarah Nichols. Elisabeth Hollsen. Rod Stanton. Stephan Grayson…-
Scandisce ogni nome a voce alta e china lo sguardo.
-Per te sono personaggi, per me sono vittime innocenti. In questo capitolo scrivi che hai ucciso per me, addossandomi la responsabilità della loro sofferenza… per un po’ ci ho creduto. Per ore il peso di queste morti è stato un macigno per me, ma adesso no. Adesso vedo tutto chiaro. Hai scelto Nikki come pretesto, ma se io non esistessi troveresti un’altra musa, un altro motivo per uccidere, perché fa parte di te. Perché ti eccita, perché la scarica di adrenalina che t’invade quando vedi la morte negli occhi delle tue vittime ti fa continuare a vivere. Perché non puoi farne a meno.-
Punta l’indice sulla scrivania, sporgendosi ancora in avanti.
-Io non sono tua Scott e sai benissimo che non lo sarò mai, qualunque follia tu possa fare. Per questo vuoi lo scrittore morto. Non per una giustizia tutta tua o per vendetta, ma perché lui è stato capace di creare qualcosa di reale che sarà sempre il contrario di te e la tua superbia non lo può accettare, come non puoi accettare che sia stato proprio lui a fermarti tre anni fa. Come non puoi accettare che io mi affidi ancora a lui.-
Stringe le labbra ed il silenzio diventa protagonista fino a quando non respira profondamente.
-Tu non sei un artista Scott. Sei soltanto un assassino. Un assassino che lascerà morire l’uomo che mi ha creata solo per arrivare alla mia anima, come un codardo… perché è questo che sei Scott Dunn. Un codardo!-
Scuote la testa sorridendo.
- Vuoi la mia anima?-
Chiude la copertina del manoscritto con un colpo secco.
-Vieni a prendertela… io sono pronta!-
 
 
L’uomo tatuato continuava a fissarlo. 
Sdraiato sulla sedia, i piedi sollevati sul bancone, masticava tabacco puzzolente e continuava a fissarlo, fingendo di essere interessato al film che era in onda sul piccolo schermo, appartenente all’era antidiluviana, sulla parete in alto quasi frontale a lui.
Sentiva il suo sguardo addosso e quel fastidioso masticare a bocca aperta.
Immaginò per un attimo di immobilizzarlo, fargli togliere quel ghigno sfottente sul muso mentre gli cava gli occhi per impedirgli di fissarlo ancora e gli cuce la bocca con un filo di lenza sottile, in modo che non possa più masticare quella roba puzzolente e impestare il tugurio che gestisce.
Sorrise, mentre un altro foglio scritto usciva dalla stampante.
Era un tugurio, è vero. 
Conosceva tanti posti come quello, li aveva usati da ragazzo per scappare dagli assistenti sociali, dai genitori in affido, dagli psicologi che lo avevano catalogato come pericoloso solo perché aveva dato fuoco ad una vita indecente… per scappare anche da se stesso, quando ancora pensava di essere sbagliato. 
Proprio in quei momenti di solitudine aveva avuto l’illuminazione. 
Era giunto alla conclusione che non era lui ad essere sbagliato.
L’ennesimo foglio uscì dalla stampante e lui guardò sott’occhio verso l’uomo tatuato e puzzolente.
Era arrivato circa un’ora prima, aveva lasciato la collina sopra il suo nascondiglio strisciando. Gli agenti cominciavano a battere la zona, stranamente lei se ne era andata di fretta e lui si era defilato, stringendo lo zaino per non perderlo.
Si era incamminato verso l’interno della periferia, la parte nera della città, quella che tanti fingono di non conoscere. 
I barboni cominciavano a riunirsi a gruppi nei vicoli, dando fuoco ai bidoni di latta per potersi scaldare e sopravvivere ad un’altra notte di gelo.
Marzo non accennava a scaldarsi.
L’insegna, illuminata solo dove le lampade al neon sopravvivevano ancora, mostrava la scritta Blue Motel, ma era solo e semplicemente un tugurio. Uno di quelli in cui nessuno fa domande e nessuno bada a nessuno.
L’uomo tatuato gli aveva dato distrattamente la chiave numero 4 e poi aveva fatto un semplice gesto con il capo per indicare la stampante, messa a disposizione della clientela nell’angolo, che l’insegna stessa all’esterno, descriveva come Internet Cafè. 
Storse le labbra. 
Di Cafè non aveva nulla, visto che non esisteva l’angolo bar, ma una linea che compariva e scompariva ad intermittenza dava la possibilità di connettersi, a singhiozzo, e fare uso di stampante e fotocopiatrice. Entrambi della stessa era antidiluviana della televisione.
Aveva appoggiato il portatile sul piccolo piano inchiodato al muro, mentre il gestore sputacchiava una palla di tabacco da qualche parte ai suoi piedi. 
Riusciva a dissanguare un essere umano senza battere ciglia, ma rabbrividiva allo schifo gratuito.
Si armò di pazienza, doveva incassare la perdita di una battaglia e prepararsi per il nuovo combattimento.
La vecchia stampante era lenta, gli regalava un foglio ogni 3 minuti, ma stava pagando il prezzo del suo sbaglio.
Digrignò la mascella, dimenticandosi del fetore di quel tugurio e della lentezza della stampante, pensando a come si era lasciato ingannare…
La copertina del capitolo fece capolino dal vassoio di raccolta della stampante e il rumore assordante del carrello che andava avanti ed  indietro rilasciando i colori sbiaditi, gli arrivò alle orecchie risvegliandolo dalla sua rabbia. 
Prese i fogli già pronti, li mise in verticale picchiettando i bordi inferiori sul piano, per sistemarli e allinearli perfettamente tra loro. 
Una musica familiare prese il posto delle parole incomprensibili, per via del volume troppo basso, del film in onda sulla rete in cui era sintonizzata la TV vecchio stile. 
Scosse la testa pensando a quale cosa importante fosse successa per un’edizione straordinaria delle news. Di sicuro non si trattava di lui.
Nikki non amava la pubblicità.
Una voce di donna annunciò qualcosa che non riuscì a capire sempre per il volume basso.
Scosse la testa mettendo le dita ai bordi del foglio che lentamente stava prendendo forma da dentro la stampante.
Il gestore evidentemente non conosceva le mezze misure, da basso, il volume divenne così alto che la vecchia televisione vibrò dentro le sue orecchie quando un’altra voce, una voce che lui conosceva bene, scandì perfettamente tre parole.
Sollevò la testa di scatto, posò gli occhi sbarrati sul video e strinse la mano sulla copertina ormai stampata del suo nono capitolo, accartocciandola nel pugno come se stesse stringendo le mani attorno alla gola di quella donna per impedirle di parlare oltre.
Ma lei era lontana.
Lei era racchiusa in quel cubicolo che parlava al mondo.
Lei…
-Capitolo IX - Nikki.-


Angolo di Rebecca:

Bentrovate a tutte :D mi scuso per la pausa "estiva" troppo lunga, ma ne avevo davvero bisogno.
Kate ha fatto il suo gioco, direi che con l'ultima frase alla tv, è stata chiara con il suo amico Dunn!
Prima però aveva bisogno del sostegno di Riccardone che, come sempre, la capisce al volo e la supporta in ogni caso.
Dunn... beh lui è un attimino stupito!

A presto e grazie che continuate a seguirmi comunque <3

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Capitolo 47
*** Una Carezza sull'Anima ***









Capitolo 47
 

 
E’stata dura ascoltare fino in fondo la lettura di quell’ultimo capitolo. E’ stata dura ritrovarsi personaggio principale di un libro strano, una storia reale e folle che vede lui protagonista. E’ stata dura convincersi di essere il soggetto dell’odio e della lucida pazzia di un assassino. E’ stata dura prendere coscienza per l’ennesima volta, in quelle ore, di essere una vittima. Ancora più difficile è stato sentire i sospiri di Alexis, le strette di mano di sua madre, il silenzio di Jim rivolto verso la finestra. Non ha guardato in viso nessuno di loro, non si è mosso di un solo millimetro dalla sua posizione, ma ha sentito, insieme alla voce di Kate, il loro dolore e la loro rabbia.
Ed è stato difficile non essere vicino a lei, tenerle la mano e sentirla fremere per la rabbia che l’ha sicuramente assalita man mano che si rivolgeva a Scott Dunn. Darle forza mentre, con difficoltà, parlava di se stessa come fosse realmente Nikki per entrare nel cervello dell’assassino.
E’ stato difficile, ma è sopravvissuto. A quello almeno. Tra poche ore sarebbe stato ancora un nuovo giorno. Un giorno che può essere l’ultimo per lui, per le sue aspettative, i suoi desideri ed i suoi sogni. Perché lui continua a sognare nonostante tutto. Non riesce a non immaginare un domani, non adesso che ha toccato con mano il cuore di Kate e lei ha fatto lo stesso con il suo.
E’ una missione praticamente impossibile riuscire ad accarezzare l’anima di un personaggio e solo chi lo conosce bene nella sua mente ancora prima che sulla carta, imparando ad amarlo dal profondo può riuscirci, dandogli vita…
Nonostante il mal di testa persistente si è impresso questa frase nella mente. Non gli serviva il cervello per ricordarla, perché gli è arrivata dritta al cuore. Non era Nikki a parlare in quel momento, ma Kate. La sua Kate. La donna che gli ha permesso di accarezzarle l’anima. Ha sentito gli occhi lucidi e un nodo in gola quando ha pronunciato quelle parole, facendo volteggiare la mano leggera nell’aria. Un momento tutto suo, nonostante centinaia di orecchie in tutta NY, stessero ascoltando. Un momento tutto di Kate che gli ha detto ancora una volta di amarlo, a modo suo. Un modo silenzioso e particolare che lui ha imparato a riconoscere e che adora.
Si è estraniato da tutto appena le luci si sono spostate sulla giornalista bionda che avrebbe chiuso la diretta, per entrare in quel tunnel di pensieri, che lo hanno portato per qualche secondo lontano dal dolore e da quella stanza avvolta ormai dalla penombra.
Alexis spegne la televisione, riportandolo alla realtà, guarda i movimenti lenti di sua figlia mentre mette a posto il telecomando, con la mascella serrata e le labbra strette, pronta a scoppiare in lacrime.
Anche Martha deve essersene accorta, perché improvvisamente smette di rinfrescarlo con il panno umido chiedendo alla nipote di accompagnarla alla toilette. Per un bisogno impellente di un po’ d’acqua sul viso.
Spariscono nel corridoio senza dire altro.
Si ritrova solo con il padre di Kate, sempre rivolto verso la finestra a guardare un panorama che non lo interessa  minimamente, perso anche lui in pensieri sicuramente tutt’altro che piacevoli.
-Mi spiace Jim!-
Quel sussurro fa voltare papà Beckett. Rick ha gli occhi lucidi e Jim si avvicina sedendosi accanto a lui.
-Ti spiace di cosa?-
-Se non avessi… mai scritto quei libri… Kate è in pericolo ed io…-
La sua voce è spezzata, non solo dal fiato corto, ma anche dall’emozione che improvvisa lo ha colto.
Jim gli mette  una mano sul braccio e lo ferma scuotendo la testa.
-Non mi sono mai sbagliato su di te Rick, nemmeno quando ancora non ti conoscevo di persona…-
Rick lo guarda spaesato e Jim sorride mestamente.
-Ti stai spegnendo lentamente davanti ai nostri occhi e non riesci a pensare a nient’altro che al pericolo che corre mia figlia!-
-Farà qualunque cosa per avere quel veleno, lo sai anche tu…-
Sussurra lui guardandolo dritto negli occhi e Jim annuisce.
-Ed è giusto così! La priorità adesso sei tu… Kate non è in pericolo per quei libri. Se non li avessi scritti, se non le fossi stato dietro con pazienza, e so quanta ne serve con mia figlia, lei sarebbe ancora più in pericolo, perché combatterebbe ancora con i fantasmi del passato. E credimi Rick, questo sarebbe peggiore di Scott Dunn.-
Rick sospira non riuscendo a dire altro e Jim gli stringe il braccio sorridendo benevolo.
-Tu ti senti in colpa, Kate si sente in colpa… io mi sono sentito in colpa per anni… siamo proprio complicati.-
Rick abbozza un sorriso e una lacrima scappa sul cuscino. Non è riuscito a rimandarla indietro ed abbassa lo sguardo per evitare quello di Jim, forse per imbarazzo, o forse perché si sente davvero un uomo debole che ha solo paura, ma Jim gli passa  la mano sulla guancia delicatamente, costringendolo a guardarlo.
-Non smettere di amare Katie e non dovrai mai dispiacerti di nulla, figliolo!-
Non è stato necessario aggiungere altro per nessuno dei due.
Rick si schiarisce la gola, cercando di scacciare l’emozione e prendere fiato, per quella parola che nessun uomo ha mai pronunciato rivolto a lui.
-Puoi prestarmi ancora il telefono? Giuro che poi la smetto di rompere…-
Jim sorride, prende il cellulare e schiaccia il tasto dell’ultima chiamata.
-Suppongo che tu voglia parlare con Kate!-
Esclama mettendogli il telefono tra l’orecchio e la spalla, incastrato sul cuscino. In quella posizione avrebbero potuto parlare senza testimoni scomodi.
-Ho bisogno della toilette anche io…-
Gli dice, allontanandosi con la sua solita calma.
 
L’aria fredda le fa chiudere gli occhi, solleva il viso e si lascia accarezzare dal gelo respirando a pieni polmoni. La luce della grande insegna della CNN lascia un alone rosso sfocato nel cielo e quando si decide ad alzare lo sguardo, si rende conto che il manto nero come la pece, è illuminato dalla luna piena e da una tempesta di piccole stelle lucenti. E’ uscita di corsa bisognosa di aria, di ossigeno. Si è fermata nello spiazzo davanti all’entrata senza voltarsi, senza accorgersi che il tempo è passato ancora, che il tramonto scialbo di quando ha messo piede nella redazione, si è tramutato in buio e che le piccole stelle che adesso lo adornano, insieme alla luna, giocano con la parete a specchio dell’alto grattacielo.
Aveva bisogno di aria gelida sulla pelle.
Quando le luci all’interno dello studio televisivo si erano posate su di lei e la camera l’aveva inquadrata, si era sentita persa. Per un attimo si era chiesta cosa facesse seduta a quella scrivania, davanti a centinaia di telespettatori pronti ad ascoltare quello che per tutti era uno spettacolo, mentre per lei era la vita.
Non era stato facile.
Mentre parlava sentiva il dolore aumentare la presa alla bocca dello stomaco, sentiva l’impotenza di non potere fare altro che abbassarsi al gioco inutile di Scott Dunn, ma man mano che andava avanti il dolore si era tramutato in rabbia e consapevolezza. Era andata dritta come un treno verso l’obiettivo ed era sicura di aver fatto centro, perché Dunn non avrebbe accettato la sua improvvisa rivolta.
Mentre guarda il cielo sorride impercettibilmente.
In mezzo alla rabbia sentiva la presenza di Rick. Era lì con lei in maniera palpabile, come se le stringesse la mano per  infonderle sicurezza. Parlando a Dunn si era ritrovata a parlare con lui. Era riuscita a dirgli che le aveva accarezzato l’anima facendola tornare a vivere. Gli aveva detto di amarlo, a modo suo, ma sapeva che lui aveva capito, nascondendo quelle parole all’interno del suo cuore e custodendole preziosamente. Lui la conosceva bene. Sapeva quanto lei lo amasse. Amava il suo modo di dimostrarglielo. In quel momento aveva dimenticato le luci, le telecamere, la gente con gli occhi e le orecchie attenti su di lei. Quel momento era diventato unico e solo per loro due e il suo scrittore glielo aveva confermato immediatamente, anche lui a modo suo, con quella breve telefonata.
Stringe il cellulare nella mano e sorride.
Il display si era illuminato per l’ennesima volta, mostrando la scritta ‘Papà’. Aveva risposto aspettandosi un ‘Ehi!’
-Hai presente la tipa che ha appena parlato in tv?-
Invece Rick aveva fatto questa strana domanda, soffermandosi di parola in parola, non riuscendo a nascondere lo sforzo che faceva nel parlare. Lei aveva chiuso gli occhi senza rispondere, soffrendo per quel respiro affannato e lui aveva continuato.
-Quella con gli occhi belli e tanto figa dietro la telecamera!?-
Nonostante la sofferenza che sentiva, Kate non era riuscita a non sorridere.
-Si, l’ho presente. Perché me lo chiedi?-
-E’ stata grande non trovi?-
Lei aveva storto le labbra, stando al suo gioco.
-Mmhhh… se lo dici tu!-
Lui aveva sorriso e respirato a fondo per riprendere fiato.
-Sai, io credo di essere follemente innamorato di quella donna!-
Il sorriso le si era spento sulle labbra, aveva sentito un nodo in gola e aveva stretto il cellulare all’orecchio chiudendo gli occhi per un attimo. Sentiva il suo respiro pesante all’altro capo del telefono e avrebbe voluto stringerlo e farlo sentire al sicuro.
-Credo che anche lei sia un po’ invaghita di te!-
Rick aveva sorriso, muovendo a fatica la testa per cercare di sistemarsi meglio il telefono all’orecchio.
-Bene! Appena si sarà liberata del cattivo, la inviterò ad uscire, che ne dici?-
Le labbra di Kate avevano sorriso ancora. Era di nuovo uno di quei momenti in cui esistevano solo loro due nonostante lo schifo intorno.
-Credo che le farà piacere…-
Rick non era riuscito a trattenere un lamento per una fitta al petto, aveva tossito un paio volte e lei lo aveva chiamato preoccupata.
-Sai… credo che adesso mi farò un sonnellino.-
Le aveva detto per tranquillizzarla.
-Ho avuto una giornata lunga e pesante…-
Lei aveva chiuso gli occhi senza dire nulla e Rick aveva sospirato.
-Kate!-                
A quel sussurro lei aveva riaperto gli occhi sollevando la testa.
-Stai attenta! Adesso sarà una belva inferocita… avrà sete di sangue!-
-Tranquillo Castle, non modificherà la trama solo perché ho cambiato le regole al suo gioco. Io sono al sicuro finchè…-
Si era fermata digrignando la mascella e lui aveva sospirato, evitando, per la prima volta da quando ricordasse, di terminare il suo pensiero.
Una folata di vento gelido le sferza il viso risvegliandola dalla sofferenza di Rick e abbassa lo sguardo sul capitolo scuotendo la testa.
Dopo aver chiuso la copertina con forza, la sua immagine era sparita dallo schermo gigante e il tecnico delle riprese le aveva fatto segno che poteva alzarsi. In quel momento aveva sospirato pesantemente, come se avesse trattenuto il respiro per tutto il tempo. Aveva raccolto i fogli dalla scrivania pronta ad allontanarsi dallo studio, quando un applauso improvviso l’aveva bloccata sul posto.
Aveva sollevato lo sguardo sugli operatori, silenziosi e attenti fino a qualche secondo prima, ritrovandosi decine di occhi su di lei. Aveva corrucciato la fronte quando il tecnico che l’aveva rimbrottata nemmeno una mezz’ora prima le aveva porto la mano.
-E’ stato un piacere lavorare con lei.-
Gliel’aveva stretta per pura cortesia, leggermente irritata. Possibile che non riuscissero a capire che non voleva dare spettacolo?
L’uomo si era allontanato dondolando sulle gambe e lei si era finalmente rifugiata dietro le quinte insieme ai colleghi.
Prima che potesse parlare con loro era arrivato il direttore Bell.
-E’ stata grande!-
Le aveva detto stringendole la mano calorosamente, ridendo soddisfatto a tutto denti e lei aveva risposto risentita.
-Suppongo che gli ascolti siano andati bene!-
Il direttore Bell aveva sollevato le spalle compiaciuto scuotendo la testa.
-Non mi riferivo a questo detective e nemmeno l’applauso della troupe era riferito agli ascolti, mi creda.-
-Non riesco a capire…-
Al suo sguardo confuso, il direttore aveva sorriso, buttando un occhio sul capitano Gates per poi tornare a guardare lei.
-E’ per questo che è stata grande. Perché non capisce.-
Kate non aveva risposto. I mille pensieri terribili che le passavano per la mente non le permettevano di seguire Bell, che invece aveva annuito.
-Dico solo che ha coraggio da vendere e se ne sono accorti tutti…-
Aveva lasciato la frase in sospeso e inarcato le sopracciglia.
-Lei ha dato del codardo ad un assassino pericoloso e pieno di sé, che adesso le si scatenerà contro. Questo va oltre gli ascolti alle stelle, questo si chiama coraggio!-
Kate aveva visto nel suo sguardo un guizzo di ammirazione nei suoi confronti.
-Non è coraggio direttore Bell, solo disperazione.-
Lo aveva sussurrato sentendo di stare per cedere. Trenton Bell le aveva stretto ancora la mano.
-Al posto del cuore ho una pietra, lo so benissimo, ma spero dal più profondo della mia pietra che riesca a prenderlo e ad avere quella tossina in tempo per salvare la vita al signor Castle...-
Si era avvicinato di poco abbassando la voce.
-E che io sarò il primo a saperlo quando avverrà.-
Era riuscito a strapparle un sorriso, perché sicuramente anelava allo scoop, ma lo aveva detto con un tono che aveva fatto sparire l’irritazione che aveva sentito fino a quel momento.
-Grazie direttore Bell…-
Gli aveva lasciato la mano e, dopo aver guardato i suoi amici, si era girata verso l’uscita, seguita a da Ryan ed Esposito.
-Detective Beckett…-
Si era voltata curiosa di sapere cosa avesse ancora da dirle il direttore di rete.
-Se decidesse di lasciare la polizia, mi chiami!-
-Mi sta offrendo un lavoro direttore Bell?-
Lui aveva sollevato le spalle serio.
-Sarei un idiota se non lo facessi!-
Si era voltata annuendo e senza accorgersene si era messa a correre per rinchiudersi dentro l’ascensore, senza nemmeno aspettare i colleghi dietro di lei.
-Quella donna ha un paio di p…-
Il direttore Bell non era riuscito a finire la frase rivolta a se stesso, si era voltato di colpo alla sua destra sentendosi osservato. Non si era reso conto che il capo del 12th fosse ancora accanto a lui. Aveva sentito un minimo d’imbarazzo, cosa che non gli succede spesso, ma poi aveva notato lo strano sorriso sulle labbra della donna, che aveva annuito.
-Ce le ha signor Bell… e lavora per me, non se ne dimentichi!-
Si era persa l’ultima battuta del direttore Trenton Bell e anche la risposta che gli aveva dato il capitano Gates.
Era semplicemente corsa via, sentendosi soffocare dal caldo insopportabile in cui era immerso lo studio, dimenticando ancora una volta il cappotto. Voleva solo che il freddo la rinvigorisse e che il vento spazzasse via quella pesantezza che sentiva sul petto e che le impediva di respirare. Voleva chiudere gli occhi e poter tornare indietro nel tempo di qualche giorno, a quella mattina in cui saltellava a piedi scalzi, bruciava il bacon e non dava retta alla caffettiera che borbottava perchè pensava solo alla malattia incurabile che si era beccata e da cui non voleva guarire: la sindrome del sorriso.
Sembrava passata un’eternità, un’altra vita…
               
-Non è poi così male!-
Il capitano Gates guarda dritto davanti a sé e al contrario di lei che si stringe nel cappotto, non riuscendo a sopportare il vento gelido sul viso. Kate si gira di scatto, persa nei suoi pensieri, con la fronte corrucciata. Ryan ed Esposito arrivano alle loro spalle e la Gates sorride.
-Il direttore Bell è una serpe sicuramente, ma ha una grande capacità. Capisce il valore delle persone.-
Si volta a guardarla. La sua detective ha quell’aria spaesata di chi torna all’improvviso da una realtà parallela, fatta di pensieri e sentimenti segreti. Gli occhi lucidi e arrossati per via dell’aria fredda e quella rughetta sulla fronte che non sparisce più da ore.
-Hai fatto un ottimo lavoro Beckett. So che non è stato facile, ma ha ragione Bell, sei stata grande…-
Si volta verso Ryan, quando sente il suo telefono squillare e mentre il detective si sposta per rispondere, riporta lo sguardo davanti a sé, stringendo di poco gli occhi per proteggerli dal freddo.
-Credo sarebbe meglio potenziare la sorveglianza all’ospedale, almeno al piano in cui è ricoverato il signor Castle e soprattutto tu non devi restare sola per nessun motivo.-
Kate scuote la testa e la Gates sospira.
-Beckett lo hai sfidato. Gli hai dato del codardo davanti a quello che doveva essere il suo pubblico…-
-Non cambierà la sua trama per questo capitano!-
La interrompe bruscamente e si volta a guardarla quando la Gates fa un gesto di stizza con la testa.
-Signore, Dunn è uno psicopatico, ma è uno di quelli intelligenti e metodici. Quando sentirà il mio spettacolo la sua prima reazione sarà di rabbia pura, distruggerà tutto quello che lo circonda, ma poi rifletterà, tornerà calmo e lucido e andrà dritto verso il suo epilogo. Non lo cambierà per niente al mondo.-
-Allora perché fare tutto questo?-
Stavolta è proprio Esposito a chiedere spiegazioni. Entrambe le donne si voltano verso di lui e Kate riporta lo sguardo sul manoscritto tra le sue mani.
-Per confonderlo, spiazzarlo, perché abbia la certezza che Nikki vuole vincere, ma ha paura di non farcela. Perché sbandierare davanti a tutti che lo scrittore è l’unico che ha diritti su Nikki gli annebbierà il cervello. Fino ad ora ha usato i nostri sentimenti, io voglio usare i suoi. E’ subdolo, geloso, vendicativo, voglio solo che agisca più in fretta.-
Mentre Ryan continua a parlare al telefono, Esposito e la Gates corrucciano la fronte. Per quanto si sforzino non riescono a capire la sua strana logica.
-Lo scrittore deve morire, questo distruggerà Nikki. Solo in quel momento potrà scrivere il suo epilogo…-
Lascia in tronco l’ultima frase, dopo aver abbassato la voce tanto da sussurrarla come a volerla affidare al vento. Non è sicura che quello che ha cercato di spiegare ai colleghi abbia un senso, ma è sicura che lo abbia per Dunn.
Senza dire altro guarda Esposito rabbrividendo e lui stringe le labbra in segno di disappunto, sollevando il cappotto che aveva avuto cura di prendere quando era corsa via dallo studio televisivo. La aiuta ad indossarlo annuendo quando lei lo ringrazia con un cenno della testa.
-Era il comandante dei vigili del fuoco…-
Ryan rimette in tasca il cellulare e si avvicina ai colleghi.
-Hanno trovato la Station Wagon rossa in fiamme, al molo di Newark e prima che me lo chiediate, la risposta è no. Non c’era nessun corpo carbonizzato a bordo, però sembra che un barbone che bazzica da quelle parti, abbia visto un uomo gettare qualcosa di pesante in acqua.-
-Dite alla polizia di zona di far dragare il fiume per cerc…-
La Gates non finisce la frase, perché Beckett scuote ancora il capo, facendo un paio di passi avanti verso la strada, solleva di nuovo gli occhi al cielo e sospira.
-Altro spreco di forze di polizia e di denaro!-
Si volta verso i colleghi che aspettano in silenzio altre spiegazioni per loro illogiche.
-Non ha gettato Abraham Pratt nel fiume. Ha bruciato l’auto per fare scena, per farmi credere che la formula esiste ancora, ma è successo prima che io leggessi il suo capitolo in TV, credeva ancora di avere tutto sotto controllo.-
Guarda ancora il manoscritto, ormai sgualcito nella stretta delle sue mani e si volta del tutto verso di loro.
-E’ una perdita tempo anche andare sul posto a dare un’occhiata capitano, non ci porterebbe a nulla.-
-Come ti ho detto qualche ora fa Beckett, sei l’unica che può capire come arrivare a Dunn, quindi lasceremo che gli agenti di zona facciano i rilievi e aspetteremo il rapporto dei vigili del fuoco, nel frattempo qual è la prossima mossa?-
Prima che Kate possa rispondere lo squillo di un cellulare li interrompe per l’ennesima volta. Restano in silenzio a guardare Esposito che ascolta il suo interlocutore, quindi annuisce e, digrignando la mandibola, chiude la telefonata.
-Era un certo tenente Drejuss della squadra omicidi del Bronx. C’è stato un omicidio in un motel della sua zona.-
Beckett, Ryan e il capitano lo guardano con fare interrogativo.
-Pare che l’assassino abbia scritto su una delle pareti della reception e a caratteri cubitali il nome NIKKI…-
Kate chiude gli occhi sospirando.
-… con il sangue della vittima!-
 
 
 
 
Smise di ridere improvvisamente quando si ritrovò il coltello davanti agli occhi.
Glielo aveva posizionato proprio accanto a quello sinistro, accarezzandogli le ciglia con la lama.
Sbarrò gli occhi ruotando le pupille mentre seguiva l’andirivieni della lama, con la bocca aperta per la paura e il respiro pesante che puzzava di tabacco.
Per un paio di minuti Nikki era riuscita a sorprenderlo e confonderlo.
Aveva spalancato gli occhi sulla sua figura e non era riuscito nemmeno a sentire le prime parole, perso ancora a capire cosa avesse in mente.
Aveva ascoltato la lettura del suo capitolo in silenzio.
Ad ogni frase stringeva i pugni e digrignava la mascella con rabbia. Non avrebbe mai immaginato che potesse farlo.
Nikki, la riservatezza fatta persona.
Aveva sospirato parecchie volte per cercare di non perdere  controllo e lucidità.
Non le avrebbe permesso di distrarlo dalla sua trama.
Il gestore del motel continuava a masticare rumorosamente quel maledetto, puzzolentissimo tabacco.
Il rumore terribile che faceva con quella dentatura sudicia contro cui faceva schioccare la lingua, si confondeva con la voce chiara della sua musa.
Sbavava sul bancone mentre la guardava e masticava frenetico.
L’aveva definita ‘sventola’ e la guardava famelico, probabilmente si era anche eccitato dentro i pantaloni.
Aveva provato ribrezzo e schifo per quell’essere immondo, ma si era ripromesso di non distogliersi dal suo lavoro. Poi lei lo aveva denigrato, deriso e oltraggiato, dandogli del codardo guardandolo dritto negli occhi.
Così aveva parlato. Come fossero stati uno davanti all’altro. Faccia a faccia.
In quel momento l’uomo tatuato era scoppiato a ridere.
Una risata sarcastica e irriverente.
Aveva battuto la mano sul bancone un paio di volte, ridendo a crepapelle ed in maniera convulsa, del codardo che era diventato protagonista dello schermo.
Aveva sentito la rabbia montargli alla testa.
Aveva strappato in minuscoli pezzetti i fogli che stava stampando, senza che l’uomo della reception se ne accorgesse.
Lui continuava a ridere. A divertirsi alle sue spalle. Della sua vita. Della sua arte.
Aveva preso il coltello che teneva nello zaino e lo aveva sorpreso alle spalle, facendo luccicare la lama davanti ai suoi occhi.
E l’uomo tatuato, sudicio e puzzolente, aveva smesso di ridere all’istante.
Gli passò la lama avanti e indietro sulle ciglia.
L’occhio cominciò a lacrimare e piccole gocce di sudore imperlarono la fronte dell’uomo.
-Prenditi tutto quello che… vuoi, ma… ma non farmi male…-
Tremò tra le sue braccia mentre lo implorava.
Stavolta fu Dunn a ridere a squarciagola.
Gli strinse il braccio al collo e tornò serio, sibilando nel suo orecchio, con il coltello pronto a scannarlo.
-Credi davvero che prenderei qualcosa di tuo? Che sia un inutile ladruncolo da quattro soldi bisognoso di qualcosa che si trova dentro questa topaia?-
L’uomo non rispose, ma continuò a tremare.
-Non hai nessun diritto di ridere di me. LEI… non aveva nessun diritto di parlarmi così!-
Esclamò urlando, puntando il coltello contro la televisione.
-Tu… tu sei…-
In quell’istante l’uomo tatuato ebbe un’illuminazione e prese a tremare così violentemente, che non riuscì a formulare la domanda e il coltello gli graffiò lo zigomo.
Dunn strinse la presa del braccio al collo, attaccando la faccia alla sua.
-IO. Sono il codardo di cui ridevi poco fa…-
Posizionò il coltello accanto alla sua bocca e spinse leggermente, provocandogli un taglio in verticale sulle labbra.
L’uomo gemette, ma non si mosse, tranne che per il tremore che gli provocava la paura.
Ruotò insieme alla sedia girevole su cui era seduta la sua vittima e sorrise.
-Vuoi ancora ridere di me?-
Gli chiese con la voce rauca, ma l’uomo continuò a non rispondere e a tremare.
-Chi è il codardo tra i due adesso?-
Sibilò piano alitandogli dentro l’orecchio.
Strinse di più la presa alla gola e l’uomo tatuato rischiò di strozzarsi con la manciata di tabacco che aveva ancora in bocca.
-Non ridi più adesso!-
Si staccò da lui, dandogli un pugno sulle spalle che gli fece sputare la balla di tabacco sul pavimento.
L’uomo ricominciò a respirare, ma durò poco, perché il braccio lo cinse nuovamente al collo e la lama si fece strada ancora una volta sulle labbra, in maniera più profonda.
Il sangue gli gocciolò sulla barba.
-Farò in modo che tu non possa più ridere…-
Fece uno squarcio da una parte all’altra delle labbra e il grido di dolore gli fece vibrare l’anima.
-Farò in modo che tu non possa più spiare nessuno…-
Diede un colpo secco all’altezza dell’occhio sinistro, l’uomo urlò ancora, dimenandosi e scuotendo la testa.
Lo spruzzo di sangue sporcò i vestiti di entrambi e Dunn ruotò la sedia verso di sé per essere faccia a faccia con lui.
La sua vittima continuava a tremare e lui sorrise.
-Farò in modo di ripulire il mondo dal tuo fetore…-
Sferrò la lama con forza così velocemente che lui non se ne rese conto.
Capì di essere stato colpito solo qualche istante dopo, quando la mano del suo aguzzino spinse il coltello in basso squarciandogli lo stomaco. Boccheggiò tentando di dire qualcosa, ma non riuscì ad emettere nessun suono, nemmeno un lamento.
Sbarrò gli occhi e riversò la testa all’indietro sullo schienale della sedia.
‘Uccidere ti eccita, perché la scarica di adrenalina che t’invade quando vedi la morte negli occhi delle tue vittime ti fa continuare a vivere.…’
Ammirò il suo capolavoro e respirò a fondo.
Nikki aveva ragione.
Nonostante tutto sentiva sempre più ammirazione per lei.
Lo conosceva bene.
Guardò l’uomo senza vita, i suoi occhi persi nel vuoto, il suo sangue ancora caldo e fluido trascinare la vita fuori da lui e si sentì vivo.
Intinse le mani nella pozza di sangue che si allargava a vista d’occhio sul pavimento e dipinse sul muro, una per una, le lettere che componevano quel nome che lo tormentava da anni.
Mentre il nome di Nikki prendeva forma, ripensò alle sue parole, alla sua sfacciataggine nel pronunciarle, alla sfida che gli aveva lanciato cercando di distoglierlo dalla sua vendetta e sorrise compiaciuto.
-Non avrai mai quel veleno Nikki…-


Angolo di Rebecca:

Chissà perchè, quando ho inviato questo capitolo alle mie deliziose editor,
la risposta di Vale e Lisetta (in coro) è stata:
promemoria: ricordarsi di non fare mai arrabbiare Reb... mah! Non ho mica capito perchè?!!! O.o

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Capitolo 48
*** Non c'è più Tempo... ***






 
Capitolo 48
 

Scostò la testa di poco e il cellulare gli scivolò sotto la spalla. Rimase a guardare il soffitto qualche secondo, senza chiamare nessuno. Voleva un attimo di silenzio, soprattutto in quel cervello che continuava a pulsare producendo nelle sue orecchie un rimbombo insopportabile. Osservò con attenzione il soffitto bianco e si immedesimò in un punto a destra della plafoniera spenta. Nonostante la camera fosse nella penombra, notò la macchia scura che aveva la forma di una corona, almeno per come riusciva a vederla lui dalla sua prospettiva. Rimase ad osservarla concentrato e per un attimo riuscì a non sentire il dolore che pungolava ogni parte del suo corpo. Continuò a fissarla stringendo le labbra. La pace fittizia che c’era intorno a lui, faceva a botte con la rabbia che sentiva dentro da parecchie ore. Quello che provava non era paura, non era depressione e nemmeno sconforto. Era arrabbiato, così arrabbiato che se ne avesse avuto modo, avrebbe distrutto tutto quello che lo circondava.
Per curiosità innata e per deformazione professionale era sempre pronto a cercare la storia, andare a ritroso alla fonte del perché una cosa accade o una persona si comporta in un determinato modo anziché in un altro. La storia. Quella che cercava di raccontare dettagliatamente dietro ogni personaggio che immaginava nei suoi racconti. Quella stessa storia che lo aveva indotto ad interessarsi alla Beckett che nessuno doveva conoscere. Ma in quel momento non gli interessava conoscere la storia di Scott Dunn, non gli interessava capire se qualcosa in lui era sbagliata fin dalla nascita o se il suo comportamento fosse colpa di altri. Non gli interessava. Dunn aveva fatto male a troppa gente e lui era solo arrabbiato. Se lo avesse avuto davanti, avrebbe stritolato il suo assassino a mani nude e niente e nessuno, nemmeno la sua forza, lo avrebbe fermato. Invece Scott Dunn gli aveva tolto anche questa soddisfazione: stringere i pugni per la rabbia e buttare all’aria tutto.
Digrignò la mascella, con l’intento di spegnere il cervello e le sue elucubrazioni. Desiderava solo dormire e non pensare più. Chiuse gli occhi distogliendoli da quella corona improvvisata sul soffitto e il dolore tornò prepotente a fargli compagnia. Sollevò di poco la testa, cercando di reprimere le fitte e quando la porta si aprì di scatto, ringraziò il cielo che il suo angelo custode fosse sempre pronto ad intervenire al momento giusto.
S’irrigidì improvvisamente per il dolore, stringendo gli occhi e le labbra, prima di riaprirle velocemente per boccheggiare aria. Il monitor ricominciò ad emettere il suo bip continuo e veloce per il battito irregolare del cuore e le pulsazioni salirono d’intensità in pochi attimi. Il dottor Travis si affrettò a dargli l’ossigeno, tenendo premuta la mascherina sul suo viso. Lo sollevò di poco mettendogli un braccio dietro la nuca. Senza dire nulla, aspettò che la crisi si calmasse.
Quei pochi secondi gli sembrarono un’eternità.
Piano l’ossigeno fece il suo effetto. Il battito cardiaco si normalizzò e le pulsazioni calarono leggermente. Solo il respiro continuò ad essere pesante, il suo torace rumoreggiava ad ogni inspirazione. Era cosciente, ma stremato, tanto da non avere la forza di riaprire gli occhi immediatamente. Ben gli sistemò con cura la testa sul cuscino, asciugandogli la fronte con il panno umido, armeggiò ancora una volta con un flaconcino ed una siringa, diluendo un calmante insieme alla medicina dentro la flebo. Solo allora Rick aprì gli occhi. Mosse la testa dando ad intendere che non voleva più l’ossigeno e quando il dottore scostò la mascherina, rimasero a guardarsi per un paio di secondi. Interminabili.
-S… sono al li… mite…-
Balbettò senza fiato e Ben annuì, digrignando la mascella.
-Ho parlato con Claire poco fa, sanno di che sostanza si tratta, devono solo trovare le dosi precise… ci siamo quasi.-
Nel suo cuore era consapevole di quanto quella frase non significasse nulla, ma non sapeva più come alleviargli il dolore o confortarlo. Si accorse del telefono che era scivolato al bordo del letto e, con noncuranza, lo prese e lo appoggiò sul comodino. Rick seguì quel semplice movimento sentendo dentro una strana sensazione, come se gli avessero strappato l’ultima possibilità di tenere Kate vicina a sè.
Chiuse gli occhi respirando pesantemente, i rumori si quietarono improvvisamente e anche il dolore sparì come d’incanto.
Il dottor Travis sistemò la velocità della flebo e gli mise di nuovo la mascherina dell’ossigeno per farlo riposare meglio.
Sollevò lo sguardo verso la veneziana semi chiusa che copriva la finestra che dava sul corridoio, ed intravide Alexis che guardava suo padre con gli occhi colmi di lacrime.
Uscì osservando il profilo di quella giovane donna, che si contorceva le dita per evitare di urlare la sua disperazione.
-E’ più rapido di quanto si pensasse…-
Quel sussurro lo costrinse ad un respiro profondo che gli permettesse di riappropriarsi della sua professionalità fredda e distaccata.
-Rick è un uomo forte, ma l’azione della tossina sui polmoni è devastante. Purtroppo a questo punto, senza l’antidoto non posso fare altro che sedarlo per alleviargli il dolore. Ha bisogno di riposare.-
Alexis annuì guardando il medico dritto negli occhi. Sentì tensione e disagio nelle sue parole.
-Grazie dottor Travis!-
Gli disse piano e quando lo vide corrucciare la fronte, gli mise la mano sul braccio e gli sorrise sinceramente.
-Per non averlo lasciato solo nemmeno un momento e perché non è il paziente, ma solo Rick… Grazie!-
 
La piccola sorrise sdentata arricciando il nasino sul visetto paffuto e dolcissimo.
I suoi occhi azzurri luccicavano dietro quella risata divertita e si sentì vivo. 
La guardò puntare i piedini nella culla come a volersi dare una spinta per alzarsi, mentre gorgheggiava felice e sventolava le manine in alto per afferrare quel sonaglino che, dondolando sopra la sua testa, riproduceva un suono simile a piccole campanelle che si urtano tra loro, confondendosi con le sue urla gioiose.
Rise divertito anche lui quando, non riuscendo a stringere tra le manine il giochino, quell’esserino minuscolo e profumato, si aggrappò ai suoi piedini accartocciandosi su se stessa e continuando a ridere contenta…
Stringe gli occhi, scuotendo leggermente la testa quando il visino sorridente della sua piccola zucca sparisce dalla sua mente, mentre il suono del sonaglino, stranamente, continua a risuonargli nelle orecchie.
Muove le pupille sotto le palpebre ermeticamente chiuse, fatica ad aprirle e non riesce a capire cosa sia quel tintinnio che continua a sentire, nonostante il suo sogno meraviglioso e pieno di vita, sia purtroppo sfumato.
La frescura sulla fronte gli fa rilassare il viso. Stropiccia gli occhi, socchiudendoli di poco. Non riesce a mettere a fuoco, ma il tintinnio persiste. Chiude ancora gli occhi, sospira rendendosi conto di rilasciare l’aria dentro la mascherina che gli ricopre naso e bocca e si sforza di svegliarsi. L’ombra sfocata si concretizza piano piano in una sfumatura di colore arancio spruzzato di verde. Piccole zucche d’oro smaltato si scontrano tra loro, tintinnando leggermente; un rumore quasi inesistente adesso che lo ha individuato, ma che le sue orecchie sentivano amplificato nel suo sogno insieme al suono del sonaglino.
-Zuc… che…-
Sussurra seguendo il tintinnio del braccialetto che ha regalato ad Alexis. Mormora ancora qualcosa e la ragazza scosta la mascherina per permettergli di parlare.
-Mi rendo conto… solo ora… che è un braccialetto da… da bambina…-
-Quindi è perfetto per me!-
Esclama lei sorridendo.
-E’ il tuo subconscio che ti guida papà, sarò sempre la tua bambina e questo sarà il mio marchio a vita!-
 Continua muovendo il polso facendo dondolare le piccole zucche a mezz’aria, ma lui scuote di poco la testa.
-Non… dovresti essere… qui!-
Alexis torna seria, come l’espressione impressa sul viso stanco di suo padre.
-Ah no?! E dove dovrei essere?-
Lui chiude gli occhi inspirando profondamente, per riuscire ad avere il fiato necessario per parlare.
-In Europa… per esempio!-
Alexis annuisce e gli si avvicina seria.
-A questo proposito, sappi che quando sarai fuori di qui prosciugherò la tua carta di credito. Altro che Europa. Mi devi un giro del mondo in piena regola.-
Con questa uscita riesce a farlo sorridere. Solleva la testa, chiudendo gli occhi per lo sforzo di recuperare un altro respiro.
-Mi sembra giusto!-
Alexis appoggia la testa sul cuscino, attaccando il viso alla sua fronte.
-Potremmo farlo insieme. Sai da quanto non facciamo un viaggio insieme, tu ed io?!-
Rick sospira.
-Mi spiace… zucca. Ti ho trascurata… un po’ negli ultimi tempi…-
Il movimento della testa di Alexis lo blocca, mentre anche lei sospira.
-Non mi hai mai trascurata papà, siamo solo cresciuti tutti e due, prendendoci la libertà di avere altri interessi.-
Restano in silenzio un paio di secondi e Alexis, senza muoversi da quell’abbraccio improvvisato, gli stringe la mano.
-Oppure potremmo andare in un posto tranquillo dove puoi riposare e passare la convalescenza. Lontano da tutto e da tutti.  Gli Hamptons sarebbero perfetti. Il rumore del mare, il suo profumo, la brezza ed il sole…-
Rick sorride, beandosi della stretta di sua figlia.
-Siamo partiti per il giro del mondo per… per arrivare negli Hamptons?-
Le chiede divertito e lei annuisce, sempre attaccata a lui.
-Si, una vacanza nella casa degli Hamptons. Tu, io e Beckett…-
Lascia in sospeso la frase e si solleva a guardarlo, continuando a stringergli la mano, mentre nota la sua espressione stupita.
-Mi piacerebbe conoscere Kate come tua compagna, passare un po’ di tempo insieme, parlare di noi… insomma, capire come sarà questa nuova famiglia…-
Rick sente un nodo in gola e respirare diventa sempre più faticoso. Alexis ha gli occhi lucidi e un sorriso dolcissimo sulle labbra.
-…credi che le farebbe piacere?-
Gli chiede in un sussurro, cercando di non mostrare la tensione che sente per la paura di perderlo.
-Certo… che le farebbe piacere.-
Lei sorride ancora, i suoi occhi brillano come in quel sogno, che non era altro che una scena vissuta parecchi anni prima, mentre la sua piccola zucca cercava di acchiappare il sonaglino che le aveva appena comprato e che suonava sopra la sua testa.
-Comunque io resto con voi solo qualche giorno, poi parto per il giro del mondo e vi lascio soli!-
Esclama facendogli l’occhiolino con l’intento di farlo ridere, ma lui deglutisce, travolto ancora una volta dall’emozione. Vorrebbe abbracciarla e stringerla, ma la tossina gl’impedisce anche questo.
-Ti… voglio bene!-
Sussurra pianissimo ed Alexis si accoccola ancora accanto a lui cingendolo con il braccio, lasciando andare le piccole zucche smaltate sul suo collo.
-Anch’io ti voglio bene, papà!-
Quell’abbraccio dovrebbe renderlo felice, invece sente la rabbia riaffiorare e i respiri diventano corti e veloci.
Alexis si solleva di colpo guardandolo spaventata, quando il monitor ricomincia la sua corsa sfrenata di bip e linee in movimento.
-Ch… chiama… Kate!-
Sussurra lui stringendo gli occhi per il dolore, mentre Alexis scuote la testa, ma lui riesce a stringere la mano sulla sua.
-Chia… ma Kate… non c’è più… tempo…-
 
La sagoma del Blue Motel si staglia come un’ombra spettrale tra le luci intermittenti delle auto della polizia.
Sono ormai le undici di sera e il buio avvolge quella zona periferica e malfamata, dove i lampioni sembrano essere dei ferri vecchi che soffrono per le ferite inferte alle lampade rotte infrante ai loro piedi.
Oltre la luce tenue di un paio di lettere dell’insegna al neon, non c’è altra illuminazione sulla strada.
La facciata lascia intravedere, sul colore blu scrostato che in origine doveva avere ispirato il nome del motel, aloni di scritte e disegni volgari che qualcuno ha cercato, con poco successo, di cancellare. Il perimetro esterno attorno alla porta d’entrata è recintato dal familiare nastro giallo che delimita le scene del crimine. Il resto del caseggiato è completamente al buio, nessuna finestra illuminata e nessuna forma di vita ai piani superiori.
Durante il tragitto Kate si è chiusa in un silenzio totale. Non conosce ancora i dettagli dell’omicidio, ma quelle lettere di sangue sul muro non lasciano dubbi: la vittima è un regalo per lei e il suo spettacolo in TV. Dunn non ha perso tempo a rispondere al gioco con una nuova mossa. Si è ritrovata a spostare lo sguardo dallo specchietto retrovisore, che le mostrava Ryan ed Esposito intenti a seguirla, al profilo duro della Gates che guardava avanti impassibile, seduta accanto a lei su quel sedile che negli ultimi anni ha dato ospitalità soltanto al suo scrittore. Sguardi attenti e silenziosi che probabilmente portano ad immaginare lettere impresse col sangue su una scialba parete di uno scialbo motel su una statale buia e poco trafficata.
Una strada adesso bloccata soltanto dalle auto della polizia e, stranamente, nessun curioso.
-In questa zona bazzicano solo drogati, prostitute e gente che vuole nascondersi… e al momento opportuno spariscono tutti.-
Come se avesse intuito i loro pensieri, il tenente Drejuss si presenta con questa spiegazione. Porge la mano ad ognuno e solleva le spalle.
-Per questo non ci sono curiosi in giro e nemmeno testimoni.-
Fa un cenno con la testa verso l’edificio.
-Non c’è nessun ospite al momento e vista la zona, se l’assassino non fosse egocentrico, avremmo scoperto il cadavere solo tra qualche giorno.-
-Che significa se l’assassino non fosse egocentrico?-
Chiede la Gates mentre Drejuss solleva il nastro giallo per consentire loro di passare.
-Che Dunn ha telefonato alla polizia per farsi bello!-
Esclama Kate attirandosi gli sguardi di tutti addosso e il tenente Drejuss annuisce.
-Esatto. Un uomo ha chiamato circa quaranta minuti fa al distretto di zona, dicendo di avere tinteggiato di rosso sangue il  Blue Motel. Quando ho visto la scena del crimine ho capito che si trattava di Dunn e ho contattato il vostro distretto.-
Lascia spazio ai colleghi facendoli entrare nella hall prima di lui.
Il cadavere è sistemato su una sedia da ufficio, di quelle con le ruote, spostata al centro della stanza. La testa rivolta all’indietro, gli occhi spalancati, uno dei quali con un lungo taglio che va dalla fronte alla guancia. Un taglio simile gli deforma la bocca e uno squarcio  in lunghezza va dal torace al basso ventre.
-Non ho fatto toccare nulla, volevo vedeste la scena intatta, però ad una prima occhiata, il medico legale afferma che è morto circa tre ore fa. Si è preso tutto il tempo che ha voluto per sistemarlo come più gli è piaciuto...-
Volge lo sguardo sulla parete dietro il bancone della reception e il silenzio s’impadronisce della stanza per qualche istante.
-Quando al telefono mi ha detto che aveva scritto con il sangue il nome di Nikki a caratteri cubitali, non credevo che fossero davvero così… cubitali!-
Esclama Esposito a bocca aperta. Gli occhi di tutti sono puntati su quelle lettere enormi, sbavate per il sangue fresco che gocciolava mentre le mani di Dunn componevano l’opera.
-Già… ne ho viste tante in questi anni alla omicidi, ma quando mi sono trovato davanti tutto questo, ammetto che mi ha fatto senso lo stesso.-
Il tenente Drejuss si avvicina al cadavere puntando il dito verso il pavimento.
-E’ morto sul colpo per lo squarcio allo stomaco, ma si è dissanguato lentamente. L’assassino ha intriso le mani nel sangue usandolo come colore a tempera, prima che si essiccasse.-
Dice indicando le strisce lasciate dalle dita sul pavimento mentre ruotava le mani nella pozza di sangue.
Kate è rimasta ferma a contemplare le lettere rosse grandi e sbavate. Solo dopo, senza quasi ascoltare più Drejuss, si avvicina al cadavere, abbassandosi ad osservarlo attentamente.
Non lo ha solo ucciso, ha infierito su di lui. I tagli sull’occhio e sulle labbra sono segni rabbiosi, non improvvisi ma calcolati, come l’enorme ferita allo stomaco. Per ucciderlo bastava infilzarlo con il coltello, ma tagliuzzarlo in quel modo gli ha dato soddisfazione.
Resti di carta strappata sono sparsi per tutto il pavimento e la televisione è sintonizzata sul canale della CNN.
-Stava ristampando il suo capitolo, poi ha sentito l’edizione speciale del notiziario…-
Finalmente riprende la facoltà di parlare, mentre sposta lo sguardo dai fogli alla TV.
-…deve aver sentito il sangue montargli alla testa!-
Conclude stringendo le labbra. Drejuss annuisce ancora.
-Si è ripulito nel cortile esterno sul retro, ha lasciato gli abiti imbrattati di sangue e se n’è andato indisturbato.-
Un agente gli consegna una busta di plastica trasparente con dentro un foglio. Drejuss lo ringrazia con un cenno della testa e si avvicina a Kate.
-E si è anche soffermato a scriverle un messaggio e a stamparlo, detective Beckett. Lo ha lasciato in bella vista sul corpo.-
Afferma mentre le consegna il foglio imbustato. Kate scorre le prime parole e digrigna la mascella.
-Vuole farti sentire ancora in colpa e innervosirti per vendicarsi di averlo sputtanato davanti a tutti.-
Sibila tra i denti Esposito avvicinandosi a lei, ma Kate scuote la testa, senza togliere gli occhi dal foglio.
 
Non esaltarti Nikki, lui non è per te.
Non voglio che il suo sangue pesi sulle tue spalle… il sangue di questo essere immondo ed insignificante è solo mio!

 
-Al contrario. Vuole prendersene tutto il merito orgogliosamente!-
Risponde lei leggendo le prime due righe del messaggio. Stringe le labbra scorrendo il resto delle parole nella sua mente, risvegliandosi quando il capitano le mette una mano sulla spalla. Si volta di scatto e la donna le fa un cenno con la testa per invitarla a leggere a voce alta.
 
Era un essere irriverente e sudicio.
Ho avuto l’istinto di ucciderlo due minuti dopo essere entrato in questo tugurio, ma mi sono trattenuto.
Per te. Perché tu sei il mio solo pensiero.
Mi ha deriso, si è preso gioco di me… come hai fatto tu.
Tu però lo hai fatto con classe!
Hai ragione Nikki… è la mia natura.
Mi sono sentito vivo con il suo sangue tra le mani.
Mi ha ricordato perché ho cominciato il tuo libro.
Mi hai sfidato, hai detto di essere pronta.
Lo sono anche io, ma io posso aspettare… tu no!
Il suo ultimo respiro sarà mio comunque…
Non avrai mai il veleno Nikki. Mai!

 
Ryan sbuffa scuotendo la testa, facendo un paio di passi avanti e indietro proprio accanto al cadavere. Kate alza lo sguardo su di lui. La tensione è palpabile, il tempo scorre e sembra che ogni passo avanti li riporti comunque indietro.
-Beckett, stai bene?-
Le chiede Esposito quando si passa la mano sulla fronte.
-Ho solo mal di testa…-
 Fa qualche passo in avanti, continua a massaggiarsi la tempia e chiude gli occhi, cercando di reprimere una vertigine. Sente un peso sul petto che le impedisce di respirare normalmente. Alza lo sguardo sui colleghi, vede le loro labbra muoversi, parlare tra loro, ma nonostante sia a pochi passi, non riesce a capire il discorso.
Il suo ultimo respiro sarà mio comunque… Non avrai mai il veleno Nikki. Mai!
Le voci le giungono ovattate e la vertigine aumenta, causandole la nausea, solo quando Ryan le si avvicina chiamandola più volte, solleva lo sguardo e corruccia la fronte.
-Hai sentito cos’ha detto il tenente Drejuss?-
Lei scuote la testa stordita e confusa.         
-I suoi uomini stanno setacciando la zona e tutto il quartiere, Dunn starà cercando un altro nascondiglio e…-
Lascia la frase in sospeso, quando Kate cammina verso l’uscita senza dargli ascolto.
-Beckett!-
Lei sospira voltandosi verso il capitano che la richiama.
-Fate tutte le ricerche che credete opportune, io devo andare.-
I colleghi la guardano straniti e prima che possa uscire Esposito la prende per il braccio, costringendola a fermarsi.
-Che significa che devi andare? Dove? Che ti prende?-
-In ospedale. Devo andare in ospedale.-
Il suo viso non mostra alcuna emozione.
-Beckett, ascolta…-
Si libera della stretta di Esposito e si volta verso la Gates, portandosi la mano sul petto. La pressione che sente le toglie il fiato.
-Gli ho promesso che ci sarei stata. Devo… devo andare da lui!-
-Santo cielo Kate!-
Cerca di ribattere il collega, ma lei scuote ancora la testa.
-Non c’è più tempo…-
Esce decisa, lasciandoli a guardarsi tra loro sconcertati.
Ryan allarga le braccia verso il collega ed il capitano si sporge dalla porta, osservandola camminare verso la macchina.
-Tenente, può occuparsi lei di tutto?-
Drejuss annuisce e la Gates fa segno ai suoi ragazzi di seguirla.
-Capitano, ma che significa?-
-Che non deve restare sola… qualunque cosa le passi per la testa!-
 
 
‘E’ questo che sei Scott Dunn… un codardo…’
La voce di Nikki dalla radio, lo derise per l’ennesima volta. 
Si era ripulito sul retro del motel, si era lavato con cura alla fontana fuori dai bagni di servizio.
Aveva lasciato gli abiti inzuppati di sangue sull’erba ed era tornato all’interno per prendere la sua roba.
Si era messo a scrivere sul portatile. Con frenesia. Sorridente. 
Aveva stampato il foglio, appuntandolo con dello scotch sul gilet imbottito che teneva caldo il gestore del motel, che non avrebbe più masticato tabacco e infestato del suo puzzo il mondo intero.
Aveva sistemato il portatile nello zaino dopo aver indossato qualcosa di pulito. 
Si era soffermato ad osservare il suo capolavoro. 
L’uomo col tatuaggio sembrava un fantoccio con una maschera al posto del viso.
L’occhio sfregiato e le labbra tagliate in orizzontale gli conferivano un’espressione beffarda.
Lo sguardo rivolto verso l’alto mostrava solo il bianco del bulbo oculare che si era ritirato all’indietro, facendo sparire del tutto le pupille.

Era già livido.
In meno di dieci minuti si era dissanguato e in quei dieci minuti lui aveva usato la sua linfa vitale per abbellire la parete scrostata e sporca alle spalle del bancone.

Aveva guardato verso la televisione a lungo.
Aveva abbassato il sonoro mentre tra la fine del film in onda e la pubblicità, passavano le scritte in sovraimpressione che ricordavano ai telespettatori che pochi minuti prima Nikki aveva sfidato il killer silenzioso.

Sapeva di avere tutto il tempo che voleva.
Nikki era ancora lontana e lui doveva portare a termine la sua trama. 

Adesso più che mai.
Aveva telefonato alla polizia, provando un brivido di eccitazione mentre componeva, con il polpastrello privo d’impronte, il nove uno uno, vantandosi con un agente al centralino del suo lavoro e poi, con lo zaino in spalla e le mani in tasca, si era incamminato. 
Indisturbato. 
Con calma, nel buio della notte, illuminato solo dal chiarore della luna piena, si era diretto a quella che adesso sarebbe stata la sua base. 
Il suo posto tranquillo…
Restò a fissare la luna per parecchio tempo. 
Il cielo era scuro, ma limpido, senza nuvole grigiastre cariche di pioggia, contornato da piccole stelle lucenti che sembrava danzassero attorno a quella palla bianca il cui colore strideva con il nero intorno. 
Restò a fissarla a lungo, mentre le parole dure e cattive di lei uscirono limpide dalla radiolina che aveva preso in prestito dall’uomo tatuato.
Strinse i pugni e la mandibola.
Come aveva potuto deriderlo in quel modo davanti a tutti?
Corrucciò la fronte sempre con gli occhi fissi sulla luna. 
Anche lei sembrava prendersi gioco di lui dall’alto del suo piedistallo. 
Sorrise improvvisamente guardandosi le mani…
Sentiva ancora l’odore del sangue, la sensazione di onnipotenza mentre strofinava il palmo sul quel fluido vitale, che dal corpo della sua vittima finiva sul pavimento ai suoi piedi. 
Fece saltellare in aria le mani come se stesse ancora pitturando. 
Chiuse gli occhi immaginando il rosso vivo che prendeva forma mentre componeva le lettere sulla parete.
Aveva ucciso quell’essere ripugnante per piacere, si era sentito vivo come non gli succedeva da tempo.
E lei doveva saperlo…
Aveva ucciso ancora. 
Non per vendetta. Non per giustizia. Ma solo per piacere. 
Proprio come aveva detto lei. 
Perché Nikki lo conosceva bene, come lui conosceva lei.
Sorrise ancora.
Dopo la sorpresa e la rabbia iniziale per la diretta, dopo avere avuto piacere nel sangue, doveva farle capire che il suo show era stato del tutto inutile… inutile si, perché non l’avrebbe portata a nulla, anzi!
Adesso qualunque fosse stata la sua prossima mossa, non le avrebbe fatto nessuno sconto, non le avrebbe dato nessun aiuto.
Il suo epilogo era uno solo: lo scrittore doveva morire.
‘Vuoi la mia anima? Vieni a prendertela… io sono pronta!’
Sollevò un sopracciglio verso la luna come a volerla sfidare mentre lei lo derideva, scosse la testa e si allontanò dalla finestra rotta.
-No Nikki… tu non sei pronta. Non sei pronta a vederlo morire…-


Angolo di Rebecca:

Quanto è dolce Alexis?! E quanto è indispensabile il nostro Ben!
Rick sta davvero male, ha perfino chiesto di Kate e lei lo percepisce... sente che dve correre da lui...
Dunn dal canto suo è tornato tranquillo. Ha trovato un altro nascondiglio e si prepara "all'epilogo" dello scrittore.
Io mi preparo alla 7x04 "buona fortuna Riccardone, ce ne vuole tanta con le piccole pesti ;)"

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Capitolo 49
*** Come si uccide la Luna? ***




 

Capitolo 49
 


Sabato 2 marzo, ore 00,12
 
Sul pannello dell’ascensore appare il numero due quando Kate, d’istinto, preme il tasto di blocco. Il cubicolo si arresta di colpo e appoggia le spalle alla parete dietro di lei.
Si sente stringere la gola e le manca il respiro.
E’ appena passata la mezzanotte. E’ appena cominciato un nuovo giorno e dopo quasi quaranta ore ininterrotte di indagini e di corse contro il tempo, lei non ha ancora in mano il veleno.
Non c’è più tempo…
Per un istante, mentre guardava il cadavere dissanguato sulla scena del crimine, ha  sentito quelle parole chiare, non nella sua testa, non nella sua immaginazione, ma realmente e direttamente dalla voce di Rick. L’ultima volta che gli ha parlato lui non riusciva a respirare e lei percepiva il dolore, la paura e il peso sul petto allo stesso modo.
Si era estraniata completamente con l’unico pensiero che doveva correre da lui.
La sensazione di soffocare è aumentata una volta arrivata all’ospedale.
L’entrata era transennata dalle forze dell’ordine che tenevano fuori l’orda di giornalisti pronti con microfoni, telecamere e fastidiosi fari, posizionati per avere una buona visuale in caso di un collegamento improvviso con la rete di appartenenza. Ai bordi dei parcheggi c’era perfino gente che bivaccava con il naso all’insù, senza sapere esattamente quale finestra fosse quella giusta.
L’oppressione al petto le aveva provocato un’altra vertigine, sembrava tutto così irreale. La baraonda della stampa contrapposta al silenzio composto dei fan, qualcuno solo curioso, qualcun altro sinceramente preoccupato.
Qualcuno di loro pregava…
Una volta scesa dall’auto era stata circondata da luci e microfoni. Voci diverse e confuse chiedevano quale sarebbe stata la prossima mossa di Nikki Heat: lo spettacolo li aveva elettrizzati. Mentre le guardie cercavano di diradare la folla, il capitano Gates con maestria li aveva distratti, fingendo di dare loro novità sul caso e promettendo presto un nuovo bollettino medico e Ryan ed Esposito l’avevano aiutata ad entrare di fretta.
Solleva la testa appoggiandola alla parete, fissa lo sguardo sulle luci che sovrastano il pannello superiore dell’ascensore e respira a pieni polmoni, chiude gli occhi accarezzandosi le labbra, pensando alle riunioni segrete per recuperare ossigeno.
Io ti vedrò morire…
C’è tanta di quella confusione fuori dall’ospedale, tra guardie di sicurezza e quella marea di persone tenute a bada a stento, che Scott Dunn potrebbe passare loro davanti e nessuno se ne accorgerebbe, nonostante i controlli.
Lui lo sa, sa che possono fermarlo solo in dirittura di arrivo. Ha messo in conto l’arresto o addirittura la morte, pur di prendersi l’ultimo respiro di Rick e l’ultimo barlume di speranza dai suoi occhi, perchè alla scadenza del tempo il veleno non servirà più a niente. Sarà troppo tardi.
Non c’è più tempo…
La frase continua a ronzarle nella testa. Il Professore ha messo in conto 72 ore circa con l’eccezione e sembra che l’eccezione sia proprio Castle. Il veleno agisce troppo in fretta sul suo organismo.
Sblocca l’ascensore che riprende la sua salita. Terzo piano, quarto… quinto…
Il corridoio è poco illuminato, completamente deserto, a parte gli agenti di guardia posti ai lati dell’ascensore e davanti alla stanza di Rick. Accanto alla finestra Alexis sta armeggiando con il telefono. Perfino da parecchi metri di distanza riesce a vedere che le tremano le mani. La ragazza si gira sentendo il rumore dei passi e sospira.
-Stavo per chiamarti.-
Le dice facendo cenno al telefono tra le mani che ancora le tremano.
-Ha… ha avuto un’altra crisi respiratoria. Il dottor Travis è ancora dentro con la nonna e tuo padre.-
Kate guarda verso la porta chiusa, riportando lo sguardo sulle mani di Alexis. Non riesce a tenerle ferme. Le ricopre con le sue e si stringono forte, guardandosi fisse negli occhi.
-Ha chiesto di te, dice che non…-
-…che non c’è più tempo. Lo so!-
Alexis corruccia la fronte alla frase di Kate, le stesse identiche parole dette dal padre prima di avere bisogno dell’ossigeno.
Il cigolio della porta che si apre le fa girare entrambe. Guardano attentamente il dottor Travis che parla con Martha e Jim e Alexis la trascina letteralmente verso di loro, senza lasciarle la mano.
-Continua a chiedere di te Kate! Dice che devi esserci…-
Le sussurra Martha cercando di non piangere e il dottor Travis annuisce.
-Gli ho dato un altro miscuglio di calmanti, farà meglio a sbrigarsi finchè è ancora vigile.
Si scambiano un’occhiata ed entra in camera, chiudendo la porta.
Nelle ultime ore lo ha sentito soltanto al telefono ed è stato un tormento ascoltare il suo respiro pesante, i lamenti sommessi, la voce appena sussurrata. Vederlo è un pugno nello stomaco. Le guance scavate ricoperte da un filo di barba, le labbra secche, gli occhi cerchiati, la carnagione pallida e il torace che va su e giù in maniera innaturale per il respiro pesante.
Gli mette una mano sulla fronte calda e la lascia andare sulla guancia accarezzandolo dolcemente, Rick ruota di poco la testa senza aprire gli occhi, accennando un piccolo sorriso. Avrebbe riconosciuto quella carezza sempre e comunque.
-Finalmente… Kate!-
Sussurra aprendo gli occhi, incontrando i suoi. Lei non riesce a dire nulla, ha lo stomaco sottosopra, ma gli sorride dolcemente.
-Cre… devo che… che avrei avuto p… paura, invece sono solo arrabbiato!-
Kate continua ad accarezzarlo, mentre con l’altra mano gli stringe la sua.
-Davvero… se… se riuscissi a muovermi… farei vedere a Dunn qua… quanto sono incazzato!-
Lei continua a stare in silenzio e lui digrigna la mascella.
-Avrei… avrei dovuto uc… ciderlo tre anni fa, avrei dovuto mirare alla testa. Non è vero che ho sba… gliato, l’ho deciso proprio di non ucciderlo ed è… stato l’errore… più grosso che… che…-
Tossisce convulsamente, sollevandosi di poco per prendere aria. Stringe ancora le labbra sempre più arrabbiato.
-Ogni de… cisione ha una conseguenza ed io…-
Fa troppa difficoltà a parlare e Kate cerca di calmarlo appoggiando la fronte alla sua.
-Quelle ragazze sarebbero vive adesso… io… io non…-
-Shhh…-
Lo ferma lei scuotendo la testa sulla sua fronte.
-Non avresti mai potuto ucciderlo...-
Si allontana di poco per guardarlo negli occhi. In quel momento la rabbia di Rick sparisce per incanto e sospira mentre si perde ad osservare il colore strano che hanno preso le sue pupille alla penombra della stanza.
-No… non avrei po… tuto!-
Abbassa gli occhi e con uno sforzo sovrumano riesce a spostare la mano sul polso di Kate.
-Ti sei riappro… priata del… del tempo…-
Le sussurra sorridendo, muovendo impercettibilmente le dita sul quadrante. Kate mette la mano sulla sua. Per lei lo sforzo sovrumano al momento è sorridere, ma s’impone di farlo.
-Colbert è venuto in ufficio per onorare una promessa.-
-Sempre saputo che… che quell’uomo è… una ga… ranzia.-
-Ora devi onorarne una tu, pagare il conto di persona.-
Rick sospira, si stringono le mani e restano a guardarsi senza più dare peso al tempo, poi lui abbassa lo sguado.
-Mi… mi spiace Kate… il mio… sempre… è du… rato poco!-
Esclama sussurrando. Un sussurro che le si conficca nell’anima come una lama tagliente, come le aveva predetto Dunn. Kate scuote la testa e appoggia la mano sul suo petto, all’altezza del cuore.
-Il tuo sempre è qui, ed è infinito!-
Lui chiude ancora gli occhi, corrugando la fronte.
-Vedi perché è… un pec… cato morire ades… so? Proprio ora che… che mi sei diventata romantica!-
Ha sempre amato questo suo spirito ironico, eppure nessuno dei due riesce a ridere della sua battuta. Kate deglutisce per evitare di piangere, lui invece non ci riesce. Le lacrime scendono leggere sulle tempie andandosi a bloccare sul cuscino.
Il dolore non lo abbandona e si irrigidisce di colpo per le fitte all’addome e al petto. Stringe gli occhi lamentandosi.
-Una piccola soddisfazione però, me la prendo anche io.-
Riesce a dire l’intera frase senza balbettare, solo sussurrando, ma tutta d’un fiato.
-Lui non… è qui, anche se è la cosa che… più desidera. E’ convinto di… di avere ancora del tempo, invece gli ro… vinerò il finale. Il mio ultimo… respiro sarà so… lo… mio!-
Esclama tossendo. Quando si calma guarda Kate dritto negli occhi.
-Ora cercherà te. Stai… attenta…-
Kate scuote la testa e gli occhi le si riempiono di lacrime senza che possa fermarle. Lo sente tremare mentre gli stringe le mani, il suo corpo si irrigidisce e  il monitor segna il battito troppo veloce.
-Tienimi stretto Kate, tie… nimi… stret...-
 
 
‘Continuiamo con la musica migliore, per tutti voi che a quest’ora lavorate, o non dormite per i motivi più disparati. E’ appena scoccata la mezzanotte e J.J. Forbs vi terrà compagnia fino alle prime luci dell’alba, parlando di tutto e di più e tenendovi al corrente passo passo della cronaca nera del giorno: il killer silenzioso, il suo libro e la sua musa…’
Abbassò il volume sorridendo. 
Decise di lasciare la luna e le stelle ai loro affari e di occuparsi dei suoi.
Mezzanotte…
Guardò l’orologio e sorrise ancora.
Aveva ancora un po’ di tempo prima di muoversi, certo poteva volerci anche più tempo e la cosa gli avrebbe fatto piacere, perché significava più sofferenza e patimento, in ogni modo si sarebbe mosso al momento giusto. Nel frattempo doveva restare al sicuro, sarebbe stato stupido farsi beccare gironzolando in giro, proprio adesso che era ad un passo dal suo infinito piacere.
Prese il portatile, lo accese e aspettò che caricasse il file di ‘Epilogo’, scorse i diversi capitoli, fino al foglio in bianco su cui campeggiavano proprio quelle sette lettere che definivano la fine e cominciò a delineare quello che sarebbe successo entro poche ore.
Ripensò a tutti i personaggi del suo libro, al timido e solitario Stephan Grayson, al Professore e al suo amico storpio che, doveva ammetterlo, stavano quasi per cambiare la sua trama, agli angeli dagli occhi verdi che le aveva dedicato, senza motivo, solo per giocare e godere delle sue reazioni. 
Le era stato dietro e l’aveva osservata in ogni momento quando ancora lei non sapeva esattamente quale fosse la vera trama. 
Era riuscito a cogliere ogni sfumatura del suo comportamento fino al parco giochi. In quel momento la sua paura di trovare lo scrittore cadavere, gli aveva tolto ogni dubbio su come avrebbe reagito una volta scoperta la verità.
Odio!
Lo stesso odio che provava lui per il suo tradimento.
Dopo essersi mostrato e avere cominciato il gioco vero e proprio però, era stato costretto a lasciarla “libera”, non aveva avuto modo di controllarla come prima, di godere di ogni suo sussulto o di ogni sua lacrima.
Anche adesso. Dopo la sua bravata alla televisione, era stato costretto a nascondersi e non era riuscito a vedere i suoi occhi davanti alle bellissime lettere scritte con il sangue che componevano il suo dolcissimo nome.
Sorrise ancora davanti al foglio pieno quasi per metà.
Gli sarebbe piaciuto essere lì vicino per vederla arrivare, consapevole che quel cadavere era frutto della rabbia per il suo show alla TV. Avrebbe voluto scrutare i suoi occhi, scuri come la notte buia e il suo viso impassibile, duro, senza nessuna espressione particolare, come deve essere una professionista come lei.
Continuò a scrivere quello che sapeva sarebbe successo una volta sorto il sole. 
Un nuovo giorno in cui il sole non era contemplato per lo scrittore, tanto meno per lei.
‘Interrompiamo i programmi per un aggiornamento sul caso del killer silenzioso…’
Spostò la mano dalla tastiera del computer, alzò il volume curioso delle novità e la voce di J. J. Forbes si fece profonda e seria.
‘…Richard Castle non ce l’ha fatta…-
Corrucciò la fronte appoggiando il portatile sul pavimento e alzando ancora il volume.
‘…purtroppo il famoso scrittore è deceduto pochi minuti fa. Non abbiamo ancora informazioni precise, ma sembra che abbia avuto un arresto cardiocircolatorio dovuto ad una crisi respiratoria provocata dal veleno iniettatogli ieri mattina da Scott Dunn. La notizia è arrivata dalla redazione della CNN…’
Scosse la testa stringendo i pugni, senza distogliere lo sguardo dalla radiolina.
‘…sembra anche che proprio pochi minuti prima, il detective Beckett fosse arrivata in ospedale scortata dai suoi colleghi, forse chiamata d’urgenza per l’aggravarsi improvviso dello scrittore. Non abbiamo ancora nessun comunicato stampa ufficiale, ma la notizia ha fatto ormai il giro di tutte le agenzie giornalistiche del paese…’ 
La voce dello speaker continuò a dare informazioni vaghe, ma nelle sue orecchie si affievolì pian piano.
Sentì la testa pulsare e l’unica cosa che riusciva ancora a sentire era proprio il rimbombo del suo cervello che elaborava.
Lo scrittore morto!
Digrignò la mascella stringendo i pugni.
-Non può essere…-
Riprese i sensi per un attimo e cambiò canale. 
Con frenesia schiacciò i tasti di ogni emittente registrata e ogni volta una voce diversa leggeva la stessa notizia.
-Non è vero…-
Sibilò tra i denti, alzandosi in piedi. 
Si diresse alla finestra e quando sollevò lo sguardo infuocato sulla luna, lei rise. Beffarda. Proprio come aveva riso l’uomo tatuato. 
La testa continuò a pulsare e le unghie s’infilzarono nei palmi delle mani. 
Osservò il poco sangue che faceva capolino tra le linee del destino.
Diede un ultimo sguardo alla luna, socchiudendo le palpebre.
Come si uccide la luna?
Come si spegne quella risata e quella luce splendente?
-COME!?-
Urlò come se volesse sfidarla, ma la palla bianca e le piccole stelle luminose sue complici, non si mossero dal loro piedistallo.
Guardò il portatile sul pavimento, lo schermo in stand by era nero.
Si chinò toccando appena uno dei tasti per ripristinarlo.
Cercò di leggere le parole che aveva digitato poco prima, ma non ci riuscì. 
Ormai erano solo dei segni senza nessun significato.
La sua trama. Il suo libro. I suoi desideri. 
Svaniti…
-Maledetto scrittore da quattro soldi!-
Sferrò un calcio alla radio che finì sul muro a ridosso della finestra, frantumandosi sul pavimento.
-Maledetto Professore…-
Il suo era solo un sibilo trattenuto a stento per la rabbia che lo aveva invaso. 
Prese a calci i resti della radio, pestò più volte i piedi sopra l’apparecchio ormai distrutto riducendolo in poltiglia.
Fece un lungo respiro e guardò ancora il suo computer. 
Si sedette sul pavimento, lo prese sulle gambe incrociate e lo aprì di nuovo sul file di Epilogo. 
Cancellò la pagina che aveva quasi riempito e lasciò soltanto le sette lettere in grassetto, campeggiare al centro del foglio.
Fece un altro paio di respiri profondi. 
Ruotò il collo a destra e a sinistra per rilassare la tensione e sistemare i pensieri dentro il cervello che ancora pulsava.
I suoi occhi brillarono sul bianco del foglio virtuale e le sue dita si sistemarono sulla tastiera. 
Attese un paio di secondi. 
La rabbia era sparita.
Scrisse velocemente un paio di parole, che rilesse sorridendo. 
Lo scrittore era morto troppo presto, gli aveva tolto la soddisfazione di sentirlo rantolare… ma questo significava solo che Nikki era morta con lui.
Il suo libro non era ancora perduto.
Il suo epilogo era appena iniziato.
 
 
E’ bastato un cenno della testa, gli occhi bassi e la mascella contratta, perché tutto il suo mondo sprofondasse nell’abisso.
Chiude gli occhi concentrandosi sul battere irregolare del suo cuore.
Il resto non esiste più.
Li riapre solo perché un infermiere la strattona violentemente, se non avesse ripreso coscienza mantenendo l’equilibrio, sarebbe caduta rovinosamente a terra. Il silenzio si è trasformato in via vai di frenetico di medici, infermieri e poliziotti.
I suoi occhi guardano Martha accarezzarlo piangendo, mentre suo padre cerca di consolarla cingendola da dietro le spalle, le labbra di Alexis pronunciano parole silenziose in mezzo alle lacrime.
Si volta alla sua destra attirata da un movimento brusco: Esposito batte ripetutamente il pugno contro il muro digrignando la mascella. Ryan tiene la testa tra le mani e scivola lentamente con le spalle alla parete sedendosi a terra. Alle sue spalle il capitano Gates parla frenetica con il direttore della CNN. Nell’incoscienza corruccia la fronte chiedendosi come Trenton Bell avesse superato la sorveglianza fino ad arrivare in reparto, mentre gli agenti presenti nel corridoio cercano di sequestrargli il cellulare e di trasportarlo di peso verso l’uscita.
Tutto intorno confusione e fibrillazione, ma solo a livello visivo.
L’udito non è in funzione.
Non riesce a sentire le voci, le urla, i singhiozzi.
Riporta lo sguardo all’interno della stanza.
Il dottor Travis l’aveva spinta fuori quando Castle era svenuto e il suo cuore aveva preso a battere come impazzito per un attacco di tachicardia, causata dall’ennesima crisi respiratoria. Insieme ad altri due medici e un’infermiera si era adoperato immediatamente per cercare di rianimarlo, ma il fisico già provato per l’azione del veleno aveva ceduto improvvisamente.
-E’ in fibrillazione!-
Aveva esclamato Travis, mettendo in funzione il defibrillatore. L’infermiera aveva preso il tubo di gelatina e lo aveva passato sulle piastre per la defibrillazione e lei era entrata di nuovo nella stanza, seguita da Martha ed Alexis che chiamavano Rick per nome, sperando che aprisse gli occhi. Ben le aveva praticamente buttate fuori e con fermezza le aveva messo le mani sulle spalle.
-Devi restare qui, Kate!-
Era rientrato di fretta, chiudendole la porta in faccia e lei era rimasta lì ad aspettare, mentre l’infermiera serrava le veneziane, per tenerli del tutto fuori dal destino di Richard Castle.
Sentiva le voci concitate, il fischio del defibrillatore che veniva caricato, il rumore sordo che provocava la scossa al torace. Non ha idea di quanto tempo abbia passato davanti a quella porta chiusa. Sentiva Martha disperarsi alle sue spalle ed era certa che Alexis fosse immobile e senza respiro come lei.
Fu quando sentì il silenzio totale oltre la porta che il suo cuore si era messo a giocare saltando qualche battito, mentre tratteneva il respiro. Aveva sgranato gli occhi e aguzzato l’udito per sentire solo il sibilo continuo del monitor che indicava il battito inesistente, sussultando quando la porta si era aperta di poco e Ben Travis era uscito richiudendosela alle spalle.
Il medico si era ritrovato con gli occhi di tutti addosso. Occhi pietosi che chiedevano speranza, ma lui deglutendo, aveva semplicemente scosso la testa, digrignando la mascella.
E il suo mondo era sprofondato nel buio e nel silenzio.
Riporta lo sguardo dentro la camera.
Jim continua ad abbracciare Martha, Alexis tiene ancora la mano di suo padre tra le sue, mentre l’infermiera sposta i macchinari di emergenza e il dottor Travis lo ricopre con il lenzuolo fin sopra la testa.
Un sospiro lungo e profondo la riscuote dall’immobilità, scaraventandola nella baraonda della confusione.
Gli occhi si fermano sulle lancette dell’orologio appeso al muro. Sono passati una decina di minuti da quando il cuore di Rick si è fermato. Stringe le labbra esasperata quando sente la discussione in atto alle sue spalle. Mentre continua a guardare il corpo immobile di Rick ricoperto dal lenzuolo, stringe i pugni alle parole dell’agente che mette al corrente il capitano che la stampa ha già saputo. Trenton Bell è riuscito ad avvertire i suoi uffici e la notizia sta già facendo il giro delle agenzie.
Sospira ancora per riuscire a riprendere il controllo anche degli altri sensi e fa qualche passo in avanti, appoggiando la mano sullo stipite della porta della stanza di Rick. Stringe il pugno e deglutisce. Alexis alza lo sguardo su di lei e digrignando la mascella le si avvicina.
-Non azzardarti ad avvicinarti a lui!-
Sussurra con calma e determinazione, mentre Martha solleva lo sguardo su di lei sorpresa. Kate resta impietrita, socchiude le labbra per parlare, ma la ragazza non gliene dà il tempo.
-Vattene Kate, non ti permetterò di avvicinarti a lui…-
-Alexis!-
Esclama Martha avvicinandosi, ma lei prosegue senza darle retta.
-Avrei dovuto allontanarti da lui tempo fa… è colpa tua!-
-Alexis tesoro, sei sconvolta e…-
Martha le mette una mano sulla spalla, ma lei si divincola.
-Si nonna, sono sconvolta. Mio padre è stato ucciso. Sono sconvolta!-
Kate non riesce a risponderle, non riesce nemmeno a pensare qualcosa di sensato da poterle dire. Sente lo sguardo di Jim cercare di darle conforto, impietrita dai sussurri taglienti di Alexis che continua imperterrita.
-Papà è morto Kate e non venirmi a dire che prenderai il suo assassino, perché a questo punto non ha più importanza. E’ morto!-
Si avvicina ad un paio di centimetri dal suo viso.
-E’ morto… e lo hai ucciso tu! Vattene.-
Le volta le spalle e torna accanto al padre. Martha la prende per un braccio e l’allontana di qualche passo, abbracciandola d’impeto.
-Dalle il tempo di calmarsi Kate, lo sai che non lo pensa.-
Le sussurra all’orecchio singhiozzando. Quel calore materno la avvolge del tutto e improvvisamente piomba nella realtà.
E’ morto…
Sente gli occhi riempirsi di lacrime per la prima volta in quel frangente, deglutisce imponendosi di non piangere. Si scosta gentilmente dalle braccia di Martha, la guarda per un paio di secondi, le stringe le mani e fa per allontanarsi, ma Jim la trattiene, mettendole le mani sul viso.
-So cosa stai provando Katie, ma non è il momento di lasciarsi andare. Ora lui vorrà te.-
Sono io che voglio lui papà… 
Lei scuote la testa e gli lascia un bacio sulla guancia, bloccando quella frase solo nei suoi pensieri segreti.
-Resta con loro papà. Io sono al sicuro, tutta la polizia della città adesso si occuperà di proteggermi.-
La sua voce non ha nessuna inclinazione e la sua espressione mostra solo il vuoto. Si allontana andando verso i colleghi. Ryan ed Esposito si sono uniti alla Gates che ha richiamato a se gli agenti presenti, contattando anche quelli nell’atrio e fuori dall’ospedale.
-Cercate di tenere a bada la stampa, ormai la bomba è scoppiata, ma che nessuno si avvicini alla famiglia o faccio cadere parecchie teste…-
Resta ferma alle loro spalle sentendo rimbombare gli ordini del capitano.
-Scott Dunn è ancora là fuori e adesso la priorità assoluta è non perdere d’occhio Beckett…-
E’ morto e lo hai ucciso tu!
Chiude gli occhi respirando a fondo ancora una volta. Si ritrova improvvisamente in una zona di guerra. Soldati pronti alla caccia, un via vai continuo di polizia e di parole provenienti dalle radio e dai telefoni. Parole per lei senza senso.
Vattene…
Si guarda intorno e con molta calma si allontana verso l’ascensore, prima che cominci davvero la ronda di protezione. Ha bisogno di quei famosi due minuti da sola. Deve andarsene da quel posto.
Ora lui vorrà te…
Entra in ascensore, le porte si chiudono e schiaccia un pulsante qualunque che la porti via.
  
EPILOGO
Vengo a prenderti Nikki…

 
Digitò i tre puntini di sospensione e sorrise. Non c’era altro da scrivere per il momento.
Spense il computer, lo sistemò dentro lo zaino e si guardò intorno.
Il suo epilogo iniziale era intrigante e coraggioso. 
Ci sarebbe voluto coraggio per arrivare al capezzale dello scrittore e prendersi le anime di entrambi. 
Ma lui era disposto a tutto. 
Anche a farsi ammazzare.
Il Professore aveva fallito e lo scrittore aveva stravolto la fine che aveva in mente, ma forse gli aveva dato l’idea per un epilogo più entusiasmante. Un vero thriller di tutto rispetto.
Lei adesso sarebbe stata vulnerabile, ma piena di odio e di rabbia. 
Avrebbe fatto di tutto per trovarsi faccia a faccia con lui.
Doveva solo cambiare la location del suo racconto. 
Si ritrovò a sorridere ancora, pensando che così ci sarebbe stata anche una punta di romanticismo. 
Doveva solo andare a prenderla e, conoscendola, lei si sarebbe lasciata prendere pur di mettere fine alla rabbia e soprattutto al dolore.
Prese la scatola che racchiudeva l’ampollina dal suo nascondiglio, la aprì e ammirò ancora il veleno. 
La strinse nella mano e si avvicinò alla finestra sollevando la boccettina verso la luna, che incorniciò con il suo bianco fluorescente, l’azzurro brillante del veleno.
Comunque fossero andate le cose, il gioco sarebbe giunto alla fine. Quella notte.
Fece un paio di isolati a piedi, mimetizzato nel buio e quando si ritrovò in un quartiere abitato, scassinò velocemente la portiera di un’auto, incrociò i fili e partì a luci spente, in direzione dell’ospedale. 
Lasciata la zona nera della città si ritrovò nel traffico caotico della Grande Mela. La città che non dormiva mai.
Era riuscito ad evitare un posto di blocco deviando in una strada secondaria per pochi chilometri, rimettendosi di nuovo nell’arteria principale che lo avrebbe portato a destinazione.
Rallentò davanti al maxi schermo di Times Square. La foto dello scrittore appariva in primo piano e in sovraimpressione scorrevano le didascalie che raccontavano al mondo le sue ultime ore di vita. 
Sullo sfondo,  l’esterno del Saint Andrew transennato da una marea di poliziotti e di giornalisti.
Sorrise scuotendo la testa. Con tutta quella gente non si sarebbero resi conto nemmeno se fosse arrivata la regina d’Inghilterra.
Entrò dalla strada che portava al parcheggio interno sotterraneo. 
Conosceva quel posto come le sue tasche. Aveva studiato la piantina per ore intere per essere pronto ad usare qualunque buco lo conducesse all’interno. 
Prese il cellulare, digitò il suo numero e attese che rispondesse…
 
 
Il display segna il passaggio dell’ascensore al quarto piano quando il telefono le vibra nella tasca dei jeans. Sullo schermo  s’illumina il viso sorridente di Rick. Digrigna la mascella e blocca la discesa dell’ascensore.
Accetta la chiamata e si porta il telefono all’orecchio.
-Ciao Nikki! Volevo esternarti il mio cordoglio. Ti sono vicino per la tua perdita!-
-Davvero? Io ti vedrò morire… lo hai ripetuto fino alla nausea. Che fine hai fatto Scott? Ti sei perso lo spettacolo.-
Sente un sospiro cupo all’altro capo del telefono, come se Dunn stesse cercando di mantenere la calma.
-Credevo che il tuo uomo fosse forte, invece non ha retto la sofferenza. Come vedi ti sei affidata all’uomo sbagliato.-
Kate chiude gli occhi, passandosi la mano sulla fronte, cercando di mantenere la stessa calma che sfoggia Dunn.
-Vuoi uccidermi vero Nikki?-
-Puoi contarci che voglio ucciderti e se non hai le palle di venire tu da me, sarò io a darti la caccia anche in capo al mondo.-
Lo sente ridere con soddisfazione.
-Oh, lo so che lo faresti. Ti conosco. Ne sei capace… e poi è l’unica cosa che ti farebbe vivere d’ora in avanti: darmi la caccia. Ma non sarà necessario venire in capo al mondo. Sono qui Nikki…-
Lascia la frase in sospeso forse per capire la sua reazione, ma quando lei non risponde, Dunn sospira in maniera teatrale.
-Sta a te decidere. Puoi avvertire i tuoi colleghi, venire ad arrestarmi e concludere tutto in un paio di minuti, oppure… oppure finire il gioco solo con me e sperare che io metta fine al tuo dolore…-
Kate non risponde, ma il fiato corto e accelerato è una risposta eloquente che fa felice Scott Dunn.
-Bene. Decidi cosa fare, io sono nei sotterranei.-
Interrompe la chiamata e lei resta a guardare il viso di Rick che ancora le sorride. Ci passa il dito sopra con dolcezza, fino a che il display diventa nero. Stringe le labbra, sblocca l’ascensore schiacciando il pulsante per il seminterrato e quando le porte si aprono, getta il cellulare in terra prima di uscire.
Non vuole nessuna interferenza esterna.
E’ una cosa tra lei e Scott Dunn.
Si guarda intorno con gli occhi sgranati e la mano sulla pistola.
Sente una presenza alle sue spalle, ma non hai il tempo di girarsi.
-Brava Nikki… solo tu ed io…-
E’ l’ultima cosa che sente prima che il cloroformio le faccia perdere i sensi…


Angolo di Rebecca:

Buona seraaaaaaa :)
Capitolo lunghetto, ma se lo avessi diviso vi sareste arrabbiate, invece così non siete arrabbiate. Vero? :3
Che dire... Scotty bello è dispiaciuto, ma si riprende subito :p

Ringrazio zia Vale per gli accorgimenti medici, sennò facevo un papocchio :D

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Capitolo 50
*** Occhi negli Occhi ***



-Bene. Decidi cosa fare, io sono nei sotterranei.-
...getta il cellulare in terra prima di uscire. Non vuole nessuna interferenza esterna. E’ una cosa tra lei e Scott Dunn.
Sente una presenza alle sue spalle, ma non hai il tempo di girarsi.
-Brava Nikki… solo tu ed io…-
E’ l’ultima cosa che sente prima che il cloroformio le faccia perdere i sensi…




 


 
Capitolo 50
 
Apre gli occhi e la vertigine che ne consegue la costringe a richiuderli. Solleva lentamente la testa buttandola all’indietro e un alito di vento freddo le accarezza il collo. Cerca di raddrizzare la testa e, sempre ad occhi chiusi, prende un respiro profondo godendo dell’aria gelida che sente intorno. Socchiude le palpebre, con calma stavolta, per evitare la nausea ed inspira ancora per dare aria al cervello. E’ confusa, non riesce a capire il perché del freddo e della pesantezza che sente negli occhi.
Mentre il pavimento trema leggermente sotto i suoi piedi, un rumore in lontananza le fa aguzzare l’udito: un treno sta attraversando i binari e deve essere abbastanza vicino. Solleva la testa di scatto risvegliandosi dal torpore e, prendendo coscienza, si guarda intorno. La vista è ancora sfocata, sente uno strano sapore in bocca e nelle narici ancora l’odore del cloroformio. Conosce quel posto. Ricorda la metropolitana. Una sopraelevata esattamente.
Una finestra con il vetro rotto è protagonista del freddo e del fascio di luce bianca che la colpiscono. E’ seduta su una vecchia sedia di legno che scricchiola leggermente ad ogni suo movimento e si rende conto di avere i polsi ammanettati alle due gambe posteriori laterali, intrecciati agli scalini centrali.
-Ciao Nikki!-
S’immobilizza di colpo stringendo le labbra, mentre sente i suoi passi dietro di lei. Le sfiora i capelli con le dita, ma lei non si volta, resta ferma digrignando la mascella. Lui fa un giro completo intorno e alla fine si accuccia sulle ginocchia, proprio davanti a lei. Senza toglierle gli occhi di dosso, si appoggia in grembo la sua pistola d’ordinanza, facendo attenzione a non togliere il dito dal grilletto.
-Ricordi questo posto?-
Le chiede parlando con calma e a voce bassa, aspettando un suo movimento che non arriva. Beckett sembra di marmo.
-In questo posto tutto è finito per te e tutto, invece, è cominciato per me...-
Si chiude nelle spalle sorridendo.
-…ho pensato fosse romantico tornare qui!-
Kate solleva un sopracciglio guardandosi intorno.
-E’ questo il tuo concetto di faccia a faccia Scott? Io ammanettata ad una sedia e tu con la mia pistola carica… nel nostroposto romantico!?-
Lui si alza mettendosi davanti alla finestra, dandole le spalle. Muove le dita sul calcio della pistola e guarda la luna.
-Avevo tenuto questo posto in caso d’emergenza. Ti conosco, so che hai delle risorse nascoste… il mio racconto doveva finire al capezzale del tuo scrittore, a costo di tornare in prigione. Sarebbe stato un prezzo giusto da pagare solo per sentirlo rantolare un’ultima volta…-
Si irrigidisce e stringe la mano attorno alla pistola, che adesso tiene rivolta verso il pavimento con il braccio lungo il fianco.
-…ma anche stavolta è stato capace di rovinare tutto!-
Anche lei s’irrigidisce corrugando la fronte.
-Ti chiedo umilmente scusa da parte sua, per aver tirato le cuoia in fretta…-
Lui si volta a guardarla e lei digrigna la mascella.
-…senza il tuo permesso!-
Dunn sorride annuendo, avvicinandosi di nuovo a lei.
-Vedo che sei diventata più spiritosa… anche questa è una cosa che non ti ha fatto bene Nikki.-
Si china ancora sulle ginocchia, fissandosi ad ammirarla. Anche lei lo fissa, mantenendo il contatto con i suoi occhi di ghiaccio.
-Devo ammettere che appena ho sentito la notizia mi sono davvero arrabbiato, ma poi mi sono detto che niente avviene per caso. Alla fine io volevo solo te… e tu sei qui, ora!-
Kate stringe le labbra e i pugni dietro la schiena e lui solleva un sopracciglio.
-Sei tesa Nikki… troppo arrabbiata!?-
La sua domanda retorica doveva innervosirla, ma lei non si scompone e Dunn solleva la pistola, sfiorandole la guancia con la canna. Nemmeno questo gesto la scompone. Non si muove di un millimetro continuando a fissarlo.
-Eri con lui in quel momento Nikki?-
Abbassa la mano sorridendo quando il viso di Kate s’indurisce nell’espressione.
-Era cosciente o alla fine non ha sentito dolore? Aveva paura o era arrabbiato?-
Si avvicina ad una decina di centimetri dal suo volto, sibilando.
-Ti ha perdonata o se n’è andato odiandoti?-
Lei si sporge di poco in avanti, accorciando la distanza tra i loro visi ad un paio di centimetri. Sono occhi negli occhi e sentono i rispettivi respiri, entrambi stranamente calmi.
-Toglimi le manette Scott e capirai cosa sia veramente l’odio!-
Dunn solleva la mano e delicatamente le sistema una ciocca di capelli dietro l’orecchio. Nemmeno adesso lei si scosta. Resta sporta in avanti continuando a fissarlo negli occhi.
-Nonostante il tuo tradimento, continuo ad ammirarti Nikki. Sei una donna straordinaria!-
Quell’aggettivo tra le sue labbra le provoca la nausea.
-Io invece non posso fare altro che constatare che tu sei il vigliacco di sempre.-
Scuote la testa e sorride beffardo continuando a guardarla accucciato davanti a lei.
-Non avevi coraggio tre anni fa Dunn e non ce l’hai nemmeno adesso. Hai paura di perdere perchè torneresti ad essere la nullità che sei quando non rubi la vita a qualcuno. Invisibile per tutti.-
Cerca di restare freddo e impassibile, ma non ci riesce, le parole della sua Nikki arrivano dritte al punto, tanto che digrigna la mascella senza però fare nessun altro movimento.
-Invece di batterti con me, hai ucciso persone innocenti…-
-Erano personaggi per il mio libro!-
Sibila lui appoggiando le mani sulle ginocchia di Kate insieme alla pistola, senza mollare la presa e lei scuote la testa con veemenza.
-Vita vera Dunn. Vittime innocenti!-
Kate alza la voce e lui si sporge ancora più in avanti, tanto da pesarle addosso con le braccia sulle sue gambe.
-Comparse inutili e di passaggio che dovevano portarmi a te…-
-Persone inermi incapaci di difendersi, che non avevano niente a che fare con me.-
Urla lei sulle sue labbra.
Dunn si alza di colpo puntandole la pistola addosso, senza che lei smetta di fissarlo con lo sguardo furente.
-Sei un codardo!-
Gli ripete rabbiosa. Lui resta con la mano armata tesa verso di lei per qualche secondo, poi i suoi lineamenti, contratti per la rabbia, si distendono mostrando un altro sorriso. Abbassa la pistola e si allontana verso la finestra, si siede sul pavimento con le spalle poggiate al muro, le braccia penzoloni sulle ginocchia sollevate e la pistola sempre in pugno.
-Ti libero Nikki, tranquilla. Sei ammanettata solo perché dovevo essere sicuro che fossi sola.-
Kate solleva un sopracciglio e sorride.
-Cosa ti fa pensare che io sia davvero sola?-
-Perché tu vuoi un epilogo tra te e me quanto lo voglio io e poi… ho preso le mie precauzioni…-
Le fa segno di guardare poco dietro di lei su una cassetta di legno e Kate sorride scuotendo la testa.
-Un rivelatore di trasmittenti! Bravo Scott, non ti fai mancare niente.-
Lui annuisce compiaciuto.
-Non hai cimici addosso e hai lasciato il cellulare nella cabina dell’ascensore perché volevi restare sola con me. Questo significa che abbiamo tutto il tempo che ci serve… anche se sono sicuro che i tuoi amici ti stanno già cercando!-
Si alza e si posiziona ancora davanti a lei.
-Torniamo a noi adesso. Ti libero e ti restituisco la pistola. Dopo che succederà Nikki?-
Kate solleva la testa per guardarlo in faccia, la sua altezza la sovrasta, ma lei mostra solo odio.
-Succederà che il mondo sarà più pulito!-
-Mh-mh… perfetto. E poi?-
-E poi cosa, maledizione!-
Sbotta lei muovendosi sulla sedia cercando di liberarsi, mostrandosi agitata per la prima volta.
-Scriverò io l’epilogo della tua storia. Mi riprenderò la mia vita!-
-Quale vita?-
La chiede secco e il suo tono è così freddo che lei s’immobilizza con gli occhi puntati su di lui, che la guarda sornione.
-Quale vita Nikki? Rispondi!-
Cammina lentamente intorno a lei.
-Quale epilogo scriveresti?-
Occhi negli occhi.
-Come proseguiresti?-
Vuole leggerle l’anima…
Guarda verso la luna e annuisce sorridendo.


-Dopo essere rimasta sola, Nikki tornò al distretto, alle sue vittime, alla sua giustizia… -

Muove le dita a mezz’aria come se stesse digitando su una tastiera immaginaria e si china vicino al suo orecchio.

-…al suo silenzio!’-

Kate corruccia la fronte e lui si raddrizza, continuando.

-Quel silenzio che una volta amava, ma che adesso non le piaceva più. Ci era già passata. Sapeva cosa volesse dire. Sapeva cos’era il dolore dentro una stanza buia quando il cervello continua a lavorare senza riuscire a bloccarlo… come lo sapeva lui…-

Kate lo segue con lo sguardo. La fronte corrucciata, la rughetta marcata sulla fronte.

-Lei lo aveva fermato. Lo aveva rinchiuso. Aveva bloccato ogni sua possibilità di vita dentro un cubicolo dove il giorno e la notte erano uguali, ma non era riuscita a fermare i suoi pensieri. Quelli si susseguivano all’infinito. Notte e giorno.-

Si china ancora su di lei mettendole la mano libera dalla pistola sul viso, smettendo per un attimo la ‘stesura’ del suo racconto.
-Mi hai rubato la vita Nikki e c’è stato un momento in cui ho pensato che sarebbe stato meglio morire…-
-Suppongo che il fatto che tu abbia fatto la stessa cosa con tutte le tue vittime e con me, sia superfluo!-
Esclama lei ironica, ma Dunn non le bada. Sorride passandole la mano sul viso in una carezza, spostandosi poi di poco davanti a lei, sovrastandola ancora con la sua ombra, riprendendo il suo epilogo.


-Proprio in quelle notti ed in quei giorni tutti uguali, bui e dolorosi, aveva trovato forza nella sua unica certezza: NIKKI era l’unico motivo che lo avrebbe tenuto in vita. Lei e il suo scrittore diventarono meta dei suoi infiniti pensieri. L’idea della loro distruzione in mille modi diversi gli diede la forza di sopportare il tempo che lo separava dalla libertà!-

Kate si ritrova a sorridere.
-Sei bravo con le parole, devo dartene atto. Ma continui a tergiversare invece di liberarmi.-
-Bene, bene… la mia detective ha fretta di concludere il gioco. Un libro non si scrive con un battito di ciglia… dovresti saperlo!-
Esclama rivolto alla luna facendosi una bella risata. Sente i suoi occhi trafiggerlo e annuisce sempre verso il cielo.
-Ti libero e ti restituisco la pistola Nikki… qual è l’epilogo?-
Ripete la stessa domanda, sapendo che non sarebbe arrivata nessuna risposta e torna a chinarsi davanti a lei.


-Il momento dell’epilogo era arrivato. Nikki era con lui. Arrabbiata. Fiera. Orgogliosa. Viva più che mai… pronta ad azzannare!-

Kate si dimena sulla sedia ruotando i polsi e tirando le manette, riuscendo solo a provocarsi dolore e la cosa sembra divertirlo.

-Il suo cuore batteva ancora, la sua anima bruciava ancora… per un unico, solo motivo: ME!-

Kate distende la fronte e solleva un sopracciglio.
Sta ‘scrivendo’ il suo epilogo ormai da qualche minuto, ma dopo nove capitoli, Dunn per la prima volta non parla in terza persona, ma entra da protagonista nella trama, fissandola con un che di eccitazione nello sguardo.


-IO… sono l’unico motivo per cui ancora respira. La rabbia contro di ME e contro se stessa sarebbe stata l’unico motivo a spingerla ad alzarsi dal letto d’ora in avanti…-

Kate continua a fissarlo. Il suo racconto è diventato ancora più personale. La prima persona accompagnata dal verbo presente lo ha fatto diventare protagonista assoluto delle pagine immaginarie di una storia reale. Il suo tono mellifluo e quell’espressione imperturbabile le provocano esattamente quello che racconta: rabbia. Vorrebbe riuscire a farlo sparire soltanto puntandolo con gli occhi. Stringe i pugni dietro la schiena ed è consapevole che se fosse libera lo ucciderebbe senza pensarci un secondo, a discapito del distintivo che indossa.
Lui solleva improvvisamente un sopracciglio, sorridendo con soddisfazione, come se avesse letto ogni sillaba dei suoi pensieri.
-Vuoi vendetta, vero Nikki? Oh scusa… tu la chiami giustizia, ma sai, sono due parole che possono avere lo stesso valore. L’una porta all’altra inevitabilmente, se amore e odio si intrecciano. Ci arriviamo Nikki, abbi solo un po’ di pazienza. Alla fine, ormai, il tempo non è più importante per te… giusto?-
Solleva il sopracciglio lasciandole un’altra carezza delicata sulla guancia, beandosi del suo sguardo di fuoco, poi si avvicina ancora alla finestra.
-Allora Nikki, quando avrai soddisfatto la tua sete di vendetta, come sarà il tuo epilogo?-
Naturalmente non ottiene nessuna risposta, ma si sente trafiggere dal suo sguardo.


-Nikki rimase in silenzio. Alla sua domanda strinse le labbra e tornò indietro nel tempo, al momento in cui la sua vita si era fermata per la prima volta… sapeva bene come sarebbero state le sue notti e le sue giornate da quel momento in avanti…-

Kate di rimando stringe davvero le labbra continuando a guardare il suo profilo in negativo rivolto verso il bianco lucente della luna.

-Sapeva che tornare a casa sarebbe stata dura. Avrebbe trovato il silenzio. Aprendo la porta ci sarebbe stato il buio.-

Si scosta dalla finestra e inizia a girarle intorno, lei lo segue solo col movimento degli occhi, senza girare la testa, mentre sente i battiti accelerare ad ogni parola.


-Niente profumo di cena. Niente candele accese. Niente sorrisi di benvenuto e braccia forti dentro le quali cercare protezione…-

E’ dietro di lei adesso e si china tanto da sfiorarle il collo con il naso.

-…e poi quel letto. Grande e vuoto.-

Vuoto! Kate sente esattamente questo. Tra la rabbia e la voglia di eliminarlo, affiora il vuoto in modo subdolo. Sente le lacrime fare capolino e chiude gli occhi cercando di fermarle, ma non riesce a nascondere a Dunn il tremolio delle sue labbra.

-Niente carezze…-

Continua lui sfiorandole il viso con un dito e lei si ritrae di scatto, girando la testa per guardarlo negli occhi.
-Dimostrami di avere coraggio, Scott. Liberami!-

Sibila lei cercando di farlo smettere facendo leva sul suo orgoglio, senza successo.


-…niente baci. Sa già come ci si sente. Ci è passata. Per anni è stata forte: solo Nikki per se stessa. Era perfetta allora. Prima di decidere di affidarsi a lui, di darsi a lui… di farsi accarezzare l’anima da lui…-

Sottolinea con un sibilo l’ultima frase e le passa la canna della pistola sul viso, accarezzandola.
Lei deglutisce visibilmente senza riuscire a rispondergli. Sente il dolore di cui parla. Percepisce il silenzio che le prospetta e vorrebbe solo chiudere gli occhi e non provare nient’altro.


-Ha abbattuto le sue barriere per lui, ed è stato un errore, perché ha perso il suo charme, la sua unicità… ha violentato la sua meravigliosa natura con l’illusione di una vita diversa… ed è questo che la distruggerà.-

-Toglimi le manette o premi il grilletto Scott, ma falla finita!-
Pronuncia la frase tra i denti, dura e con la voce bassa, ma la sua espressione tradisce insicurezza e Dunn rincara la dose.


-Lo scrittore l’ha salvata dal suo baratro, ma adesso nessuno la salverà… LUI E’ MORTO!-

-SMETTILA!-
Urla Kate distogliendo lo sguardo per la prima volta.
Lui è morto…
Il sibilo di Dunn è stato una pugnalata dentro una ferita già mortale e si ritrova a scuotere lentamente la testa.


-Lui è morto… e, da adesso in avanti, le poche volte che sarebbe riuscita a prendere sonno sul divano, perché sarebbe stato impossibile anche solo pensare di distendersi sul quel letto enorme e gelido, avrebbe visto i suoi occhi spenti, il suo dito puntato contro di lei… perché non è stata capace di battermi e salvargli la vita!-

La forza proverbiale che tutti le additano, è solo un ricordo. Il pensiero che Rick non sarà più accanto a lei la annienta. Fermare le lacrime diventa impossibile. Il suo viso è rigato da gocce salate che arrivano silenziose alle labbra. Rilassa i pugni chiusi nei bracciali delle manette e sente le mani tremarle.
-Ti libero e ti restituisco la pistola Nikki… e poi? Te la do io la risposta: poi cadrai nel baratro e nessuno ti salverà… tranne me.-
Kate solleva la testa e si volta a guardarlo. La fierezza nel suo sguardo è sparita, lasciando spazio solo al vuoto, mentre lui sorride. Un sorriso beffardo che schiaffeggia il suo dolore. La vista è offuscata dalle lacrime e pian piano il viso di Rick, segnato dal dolore, si sovrappone a quello gelido di Dunn e le forze le vengono meno.
-Perché non mi spari e la facciamo finita!-
Anche la voce le viene meno. Il suo è solo un sussurro incrinato dal pianto che ormai non ha più vergogna di mostrare e lui corruccia la fronte con l’espressione seria.
-Io non voglio ucciderti Nikki… non potrei mai farti del male!-
Lo dice con dolcezza, mentre le sposta una ciocca di capelli incollata al viso per via delle lacrime e lei si ritrova a sorridere di quel controsenso. Dopo pochi attimi si allontana. Kate non riesce a vederlo, ma lo sente trafficare dietro le sue spalle.
-Se avessi voluto spararti lo avrei fatto mesi fa. Ho imbastito una trama solo per te, per riportarti allo splendore che eri prima di regalare la tua essenza ad un altro. Era giusto che lui pagasse per averti cambiata, ed è giusto che io sia qui per salvarti ancora una volta… salvarti da un epilogo banale e scontato dove tutti vissero felici e contenti.-
Sempre alle sue spalle, sente un cigolio, come uno sportello che viene aperto e poi richiuso.
Un altro rumore le dice che ha appoggiato qualcosa su di un piano.
-Cos’è che ti spaventa di più Nikki? La bramosia che hai di uccidermi o la vita che non avrai da adesso in avanti?-
Kate scuote la testa e lui si accovaccia alle sue spalle facendola rabbrividire per il suo respiro tra i capelli.
-Riuscirai mai a sopportare tutto ancora una volta, Nikki?-
Sott’occhio vede un riflesso azzurro brillare per un attimo e poi sparire. Ruota di poco la testa cercando la mano di Dunn.
-Quanto lo hai cercato, Nikki!?-
Sussurra al suo orecchio portando avanti la mano.
Nel chiarore della luna il colore intenso che ha visto poco prima, diventa un azzurro tenue.
-Quanto hai desiderato averlo tra le mani in queste ore interminabili, ma troppo veloci!?-
Continua a sussurrare sollevando sempre di più la mano in avanti.
Kate sospira per riprendere un briciolo di lucidità e resta a fissare il liquido azzurro che brilla come uno zaffiro tra il pollice e l’indice di Dunn, che continua a stare chino dietro le sue spalle. Il veleno davanti ai suoi occhi è uno schiaffo in pieno viso.
-Sei pronta a vivere così Nikki…-
Il bracciale destro delle manette si allenta di colpo e lei corruccia la fronte. Il suo polso scivola via libero, mentre Dunn le sfiora il viso tenendo sempre il veleno all’altezza dei suoi occhi, perché lo guardi.

-Nikki rimase con lo sguardo fisso sulla boccettina, non riusciva a distoglierlo, come ipnotizzata.-

Kate invece, distoglie di poco lo sguardo per cercare il suo viso, nascosto tra i suoi capelli. Non riesce a vederlo, ma sente il suo respiro addosso e torna a guardare la boccettina. Quasi senza respirare osserva il liquido ondeggiare impercettibilmente al movimento della mano di Dunn. Chiude gli occhi e il colore azzurro del veleno sfuma nella sua mente, scurendosi in un nero profondo e senza via d’uscita.

-Chiuse gli occhi pensando che quella era la sua unica soluzione…-

Kate al contrario li spalanca di colpo, girandosi verso di lui, che si sporge di poco per guardarla.
La nebbia si dirada all’improvviso e uno strano tremore s’impossessa di lei.
-Qui volevi arrivare, Scott?! Vuoi guardarmi contorcermi dal dolore, fino alla morte? Come Castle?-
La sua espressione stupita fa sorridere Dunn, che scuote la testa.
-Io non voglio niente Nikki. Quello che importa è cosa vuoi tu!-
Le accarezza ancora il viso, la sente rabbrividire e sorride pensando sia di piacere, mentre lei vorrebbe solo vomitare.
-Vuoi vivere… o smettere di provare dolore. Tu devi decidere Nikki.-
Si posiziona ancora dietro di lei, le scosta i capelli dal collo e le passa le dita sulla pelle.
-Io ho imbastito la trama… ma l’epilogo è tuo.-
Lui non vuole ucciderti, vuole che tu ti distrugga da sola…
Le parole di Rick echeggiano nelle sue orecchie, tanto forte che per un attimo non riesce a sentire il resto del discorso di Dunn. Si riscuote quando lui si sporge di poco in avanti, passando una delle dita sulle sue lacrime.
-Una volta non avresti mai pianto davanti a nessuno. Non avresti mai permesso al mondo di vedere il tuo dolore.-
Ha il viso accanto al suo e lei si volta a guardarlo.
-Ti sei affidata all’uomo sbagliato Nikki… con me saresti rimasta forte e mai… MAI avresti mostrato debolezza!-
Kate è completamente spiazzata, non riesce a ribattere, sente solo una lama dentro il cuore che preme sempre più verso l’interno, togliendole la vita lentamente e sembra davvero ipnotizzata dalla boccettina di morte sospesa a mezz’aria davanti a lei. Dunn segue il suo sguardo e toglie lentamente il tappo che la protegge, avvicinandola di più al suo viso.
-La dose intera porta l’oblio in poco tempo… pensaci Nikki… due minuti di dolore, per una pace eterna…-
Sempre chino alle sue spalle e con il viso proteso lateralmente verso il suo, le sfiora la mano ormai libera dalle manette.
-Aiutami a scrivere l’epilogo, Nikki…-
Persa nella sua voce, solleva la mano verso la boccettina e la sfiora. Le dita tremanti toccano il vetro freddo di quella piccola ampolla e si ritrovano circondate dalle dita di Dunn.
Si guardano intensamente per un attimo interminabile.
Gli occhi di Dunn sono di fuoco, mentre quelli di Kate sono completamente vuoti.
Senza rendersene conto, si ritrova la boccettina davanti alle labbra, mentre la mano di Dunn continua a ricoprire la sua.
Il bordo della piccola apertura è lucido, sulla superficie traballa pochissimo liquido rimasto come residuo dopo che Dunn ha tolto il tappo.
Come se si muovesse da sola, anche gli ultimi centimetri che separano le sue labbra dalla boccettina, diventano inesistenti. Ha l’impressione di trovarsi preda di un incantesimo perchè non riesce a muoversi, né tanto meno a reagire. Se si guardasse in uno specchio stenterebbe a riconoscersi.
Aiutami a scrivere l’epilogo, Nikki…
Chiude gli occhi, socchiude le labbra e le poggia sulla superficie liscia e umida della boccettina.
La allontana di poco e si passa la lingua sulle labbra, mentre le lacrime continuano a scorrere sul suo viso e spera che tutto finisca presto.
Solleva gli occhi su Dunn che la guarda sorridendo. Rapito.
-E’… è strano. Chissà perché pensavo fosse amaro, invece è… dolce…-
Sussurra corrucciando la fronte, mentre stringe ancora più forte la boccettina tra le mani, tirandola lei stessa verso di sé, senza distogliere lo sguardo dagli occhi Dunn, che lentamente allenta la presa dalle sue dita e si china ancora a sfiorarle i capelli con le labbra.
Kate scosta di poco la testa in avanti, dandogli libero accesso al collo e solleva la boccettina alle labbra...


Angolo di Rebecca:

La Beckett arrabbiata ha lasciato il posto alla Kate devastata dal dolore.
Scott Dunn è bravo con le parole. Sta "scrivendo" il suo epilogo davanti a lei.
Vuole portarla alla fine... e lei si perde nelle sue parole e nel suo dolore...

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Capitolo 51
*** Io Ti Vedrò Morire... ***




Aiutami a scrivere l’epilogo, Nikki…
Chiude gli occhi, socchiude le labbra e le poggia sulla superficie liscia e umida della boccettina.
La allontana di poco e si passa la lingua sulle labbra, mentre le lacrime continuano a scorrere sul suo viso e spera che tutto finisca presto.
Solleva gli occhi su Dunn che la guarda sorridendo. Rapito...
Kate scosta di poco la testa in avanti, dandogli libero accesso al collo e solleva la boccettina alle labbra...





Capitolo 51



Dunn è completamente ipnotizzato dai suoi movimenti lenti. Quando le sue labbra hanno accarezzato il bordo dell’ampolla, un brivido di piacere ha elettrizzato ogni centimetro del suo corpo.
Quelle labbra bellissime e calde…
L’aveva in pugno. Il suo epilogo stava prendendo forma.
Non aveva mai provato niente di così intenso.
Il sangue delle sue vittime era inebriante, la paura nei loro occhi smuoveva la sua adrenalina, ma questa era una sensazione diversa.
Sentiva fremere ogni fibra del corpo fin dentro le viscere, per l’eccitazione.
Perso nei suoi pensieri, solleva la mano libera a sfiorarle i capelli.
A quel contatto il cuore di Kate accelera i battiti. Chiude gli occhi evitando di respirare per non distrarlo.
Con un movimento lento, rimette il tappo alla boccettina stringendola stretta nel palmo della mano, per metterla al sicuro.
Solleva la testa di scatto portandola all’indietro e con un colpo secco lo colpisce proprio sul viso, facendogli perdere la presa sulla pistola, mentre cade rovinosamente all’indietro.
Preso alla sprovvista, Dunn si porta le mani sul naso. Sfoga il dolore e la rabbia urlando a squarciagola, mentre lei solleva la sedia con la mano ammanettata e con un paio di colpi bene assestati sul pavimento, riesce a rompere lo scalino liberandosi. Lui solleva lo sguardo su di lei stringendo le palpebre.
-E’ ancora vivo!-
Esclama con rabbia, mentre si asciuga il sangue che, dalle narici, gli ricopre le labbra.
-Non avresti avuto il tempo di portarmi qui se fosse morto, perché ti avrei ammazzato come un cane in quel sotterraneo.-
Divorato dalla rabbia si scaglia su di lei e la spinge verso la parete opposta, facendole sbattere la testa contro il muro.
-Mi hai tradito ancora una volta Nikki.-
Urla tenendola ferma per i polsi, cercando di recuperare la boccettina stretta nella sua mano.
-Pensavi davvero che avrei bevuto il veleno solo per compiacerti? Pensavi davvero che mi fossi ridotta ad una donnetta disperata, grazie a te?-
Kate solleva la gamba assestandogli una ginocchiata nello stomaco, che lo fa piegare in avanti. Riesce a svincolarsi, cercando di prendere la pistola da terra, ma Dunn la ferma tirandola per il braccialetto delle manette che penzola dal suo polso e, stringendola a sé, le mette un braccio intorno al collo. Il naso continua a sanguinare, colando sul colletto della maglia, ma la furia incontenibile che lo guida lo rende insensibile al dolore.
La stringe alla gola, mentre con l’altra mano cerca di aprirle il pugno a forza per recuperare il veleno.
-Non riuscirai a salvarlo, Nikki…-
Sibila al suo orecchio con la voce bassa.
Kate gli dà un’altra testata che lo fa barcollare, ma Dunn mantiene salda la presa alla sua mano, storcendogliela all’indietro, facendo forza con la sua per rimpossessarsi della boccetta.
Kate cerca di resistere, però il dolore al polso, già malandato per via del colpo che ha dato con rabbia nella metropolitana, le fa allentare la presa, ma prima che Dunn possa prendere il veleno, un colpo di pistola la fa irrigidire.
Dunn cade a terra ed il contraccolpo spinge lei, facendola barcollare in avanti.
Perde la presa sulla boccettina che rotola sul pavimento come una biglia colorata, ma viene distratta da un secondo sparo.
Nonostante sia stato colpito al fianco sinistro, Dunn balza in piedi come una molla, con lo sguardo furente verso l’uomo che lo punta ancora con la pistola.
Si scaglia su di lui con violenza e l’arma finisce sul pavimento.
Gli mette un braccio intorno alla gola e con l’altra mano lo tiene per la fronte, pronto a rompergli il collo.
-Sei duro a morire, piccolo storpio!-
Abraham è tra le sue mani, completamente inerme, il viso deturpato dai lividi e una scia di sangue che, dalla spalla, gli ricopre la maglia fino alla vita. Dunn invece sanguina copiosamente dal fianco, ma l’adrenalina continua a tenerlo in piedi.
Kate riesce a prendere la pistola e a puntargliela contro mentre lui si fa scudo con il corpo di Abraham.
-Lascialo Scott. E’ finita!-
Lui sorride, stringendo Abraham alla gola con più forza.
-Tu dici, Nikki!?-
Fa un cenno con la testa verso i suoi piedi e poi solleva un sopracciglio, quando Kate spalanca gli occhi terrorizzata.
La boccettina con il veleno è proprio sotto il suo piede, che preme sul vetro in un equilibrio molto instabile, pronto a schiacciarla.
-Non riuscirai a salvarlo!-
Ripete ridendo, continuando a sanguinare.
-Se spari, il mio peso la romperà in mille piccoli pezzettini…-
Kate stringe le labbra continuando a tenerlo sotto tiro.
-Se la rompi non avrò nessun motivo per non spararti Scott, lo sai questo!-
Mentre lui scuote la testa ridendo, Abraham cerca di divincolarsi senza successo.
-Non… le serve… quell’ampolla… detective…-
Balbetta a fatica per la stretta alla gola.
-Il Pro… fessore ha… ha lasciato la formula…-
-Si, si… lo sappiamo. Nella sua cassaforte. Peccato che sia andata in fumo.-
Esclama Dunn ridendo di gusto continuando a stringerlo, ma Abraham guarda Kate fisso negli occhi, scuotendo la testa.
-Sei così pieno di te… che non… non vedi oltre il tuo naso…-
Urla, con tutto il fiato che riesce a tirare fuori, dimenandosi tra le sue braccia.
-Tu credi di… sapere tutto… di conoscere l’animo delle persone, ma riesci solo… solo a fargli paura…-
Dunn gli solleva la testa tirandogli i capelli, godendo dei suoi lamenti di dolore.
-Dovevo romperti il collo prima di lasciarti in mezzo alla spazzatura, non sbaglierò più con te.-
Abraham però continua imperterrito, nonostante la mancanza di ossigeno.
-Se lo… avessi conosciuto dav… davvero, avresti saputo… che si fidava soltanto di quello che… esiste in natura, dei suoi elementi e… delle sue formule…-
Riprende respiro, mentre Kate continua a tenerli sotto tiro, passando lo sguardo dai loro visi, alla boccettina di veleno sotto il piede di Dunn.
-Non… non avrebbe mai… mai conservato qualcosa… di così importante… dentro un cubo di piombo. Mi creda detective… la formula esiste ancora. Non… era nella casa… la sua cas… saforte era fuori… nel suo… amato giardino…-
-Ti schiaccerò come uno scarafaggio se non chiudi quella bocca…-
Dunn lo strattona ancora, ma Abraham è un fiume in piena.
-Ha preso quella casa… solo perché si… si sentiva protetto, passava ore… alla finestra… e l’unica buona azione che hai fatto… anche… anche se per cattiveria… è stata mettere il suo corpo lì vicino…-
Ha gli occhi pieni di lacrime e ansima fissando Kate, che spalanca gli occhi e socchiude le labbra.
-La quercia!-
Esclama sussurrando e Abraham scoppia in lacrime annuendo.
Dunn lo stringe a sé fortissimo per il solo piacere di fargli male, guardando Kate con gli occhi gelidi.
-Uh… il mio amico Professore ha nascosto la formula sotto la quercia! O magari in un vano cavo dentro il tronco… non lo facevo così poetico.-
Attacca la guancia a quella di Abraham, con gli occhi incollati in quelli di Kate.
-Quindi questa non ti serve più!-
Le dice sorridendo.
Preme il piede sulla boccettina quasi a rallentatore e Kate solleva la pistola all’altezza dei suoi occhi.
-Il gioco è finito Scott! Lascia-andare-Abraham.-
Scandisce l’ultima frase, mentre Dunn digrigna la mascella.
-Il gioco finisce quando lo dico io!-
Scalcia piano la boccettina per distrarla e si scaglia contro di lei, cadendole addosso insieme ad Abraham.
Kate batte la testa sul pavimento e per un attimo le si annebbia la vista.
Si porta la mano alla tempia che sanguina e pulsa violentemente, mentre spinge Abraham a trascinarsi di qualche passo per mettersi al sicuro.
Scuote la testa per riprendersi e intravede Dunn che barcolla a ridosso della parete, ad un paio di passi da lei.
Si solleva a forza e gli si butta addosso, sbattendolo contro il muro.
L’urto lo fa gemere, la ferita al fianco gli fa male e si piega leggermente su se stesso, perdendo le forze.
-Sii delicata Nikki, sono ferito se non te ne fossi resa conto!-
Kate gli mette la manetta libera che ciondola dal suo polso, ammanettandosi a lui mentre lo sbatte ancora contro il muro con violenza, lasciando sulla parete una chiazza del suo sangue.
-Oh che peccato Scott… non posso nemmeno chiamare un’ambulanza perché il tuo telefono è finito in frantumi.-
Gli risponde ironica, bloccandogli la schiena con il ginocchio, mentre gli fruga nelle tasche per recuperare la chiave delle manette.
Si libera il polso dall’altro bracciale e incrocia i suoi tra una grosso tubo di ferro a ridosso del muro.
Dopo averlo completamente bloccato, si guarda intorno in cerca della boccettina, ma il suo sguardo è attirato da un piccolo led rosso che lampeggia su una scatolina nera attaccata alla parete a qualche metro da loro, proprio sotto la finestra.
Spalanca gli occhi su un contatore digitale partito da qualche secondo, con un conto alla rovescia di quindici minuti, ma la cosa che le blocca il respiro è la boccettina con il liquido azzurro incastrata in una vano apposito della scatola, tra il led e il contatore.
-Come vedi Nikki, l’epilogo lo scrivo comunque io! Dopo che mi hai deriso davanti al mondo intero, ho dovuto preparare un piano B!-
Esclama Dunn con il solito sorriso beffardo, fissandola soddisfatto.
Il viso è una maschera di sangue ormai secco, perfino il dolore della ferita al fianco è sparito davanti all’espressione della sua musa, che sospira stancamente.
-Disinnesca quella bomba Scott!-
Lo sussurra quasi come una preghiera e lui scuote la testa.
-Deve morire qualcuno… ricordi?-
-La scia di cadaveri che ti sei lasciato dietro non ti basta?-
Gli chiede lei sempre con lo stesso tono, stringendo i pugni per la rabbia.
-Erano solo comparse di una storia. Il gioco pretende uno di noi… ed io continuo ad optare per lo scrittore!-
-E’ finita Scott! Ferma quel timer o moriremo tutti.-
Lui si chiude nelle spalle, aprendo le mani, come a voler dire che ammanettato non può fare nulla.
-Abbiamo quindici minuti Nikki. Io sono pronto a morire. Tu sei pronta a morire? E soprattutto, sei pronta a lasciare morire il tuo scrittore?-
Kate si avvicina alla bomba guardando attentamente la scatola nera che ricopre del tutto il congegno.
-Prima che ti faccia venire delle brillanti idee, sappi che per aprirla devi prima togliere l’ampollina dal suo incastro, ma se lo fai, partirà un secondo timer. Avremmo soltanto venti secondi per scendere quattro piani a piedi su quelle scale strette e di ferro traballante e…-
Si volta a guardare Abraham dolorante e senza forze.
-…e dovremmo lasciare qui lui! Io non potrei aiutarlo, sono ammanettato e ferito!-
Riporta lo sguardo su di lei, ancora inginocchiata davanti alla bomba. Si tiene la tempia che continua a sanguinare, rigandole la guancia di rosso.
-Venti secondi!? Significa che saranno solo dieci.-
Esclama sicura e lui scoppia a ridere.
-Vedi perché ti ho scelta? Perché sei brava. Perché mi conosci. Non hai tempo di chiamare gli artificieri e non servirebbe a nulla, perché può essere disinnescata solo con un codice…-
Si sofferma a guardarla gelido.
-…che non ti dirò nemmeno sotto tortura.-
-Vada via detective… non le serve quel veleno… si fidi di… me…-
Abraham fatica a parlare, ma non si arrende, Kate lo guarda deglutendo.
-Uhhh… è vero! Il Professore e la sua quercia! Possiamo sempre fidarci dello storpio. Magari la formula è davvero sotterrata sotto il maestoso albero, come nelle favole. Non vedo l’ora di andare a vedere!-
-Perché parli al plurale Scott? Chi ti dice che ti porterei via da qui!?-
Lui si fa una bella risata.
-Perché è la tua natura. Sei così… leale Nikki. Con quel senso di giustizia insito nelle tue vene…-
Kate annuisce, sorridendo ironica.
-Diciamo che non ti darò la soddisfazione di saltare in aria, invece di finire in prigione!-
Gli dice gelida anche lei, mentre dà un’occhiata al timer che segna tredici minuti esatti.
Si avvicina a Dunn, gli prende i polsi, infila la chiave in una delle due serrature delle manette e lui la guarda beffardo, soddisfatto di avere ancora una volta ragione.
Ruota la chiave di mezzo giro e Dunn torna alla carica.
-Io tornerò Nikki… sei consapevole di questo, vero?-
Le sue mani si bloccano e solleva gli occhi su di lui.
La sua ferita continua a sanguinare, ma sembra non risentirne quando si sporge di poco verso di lei.
-Nessuna cella d’isolamento potrà fermare la mia natura. Nessuna cella d’isolamento potrà trattenermi. Sono uscito una volta, posso farlo ancora. Io tornerò un giorno... per te, per i tuoi cari… per i tuoi figli…-
Kate continua a fissarlo immobile come una statua.
-…avrai dei figli un giorno! Ed io sarò lì… perché tu non sai giocare… sarò costretto a rimettere ancora tutto a posto.-
Lo scatto della serratura sigilla di nuovo il braccialetto con un rumore secco, mentre Kate continua a fissarlo negli occhi e conserva la chiave in tasca senza dire una sola parola.
Il timer segna undici minuti e diciotto secondi.
Si massaggia la tempia che ha smesso di sanguinare, ma non di pulsare.
Guarda Abraham, sospira e Dunn scoppia in una sonora risata.
-Ma davvero Nikki? Stai pensando seriamente di lasciarmi qui, di farmi saltare in aria insieme al veleno e di fidarti delle parole di quello storpio?-
Kate si accuccia sulle ginocchia proprio di fronte a lui.
-Quel piccolo storpio sa cos’è il coraggio, al contrario di te Scott! Voglio fidarmi delle parole di un animo puro. Ma è una cosa che non puoi capire, perché tu non hai un’anima!-
China la testa come a rimettere a posto le idee, mentre lui continua a ridere di lei.
-Ha ragione lui. Tu capisci l’animo umano solo per la paura che incuti, ma non metti in conto il resto dei sentimenti. Il Professore aveva trovato in Abraham l’amicizia, l’affetto sincero, la lealtà. Quell’omino storpio era diventato una luce per lui, si è fatto ammazzare senza battere ciglia solo per impedirti di fargli del male. Gli voleva bene e si fidava di lui…-
Guarda ancora Abraham che continua a piangere in silenzio il suo dolore.
-…non lo avrebbe tradito!-
Si alza, prende la pistola da terra e la sistema nella fondina.
-Voglio fidarmi ancora una volta del mio istinto.-
Lui scuote la testa sempre borioso e pieno di sé.
-Lo sai che se non esiste nessuna formula lui morirà. E morirai anche tu perché, anche se la tua è stata solo una finzione, hai messo davvero le labbra sul veleno, il residuo sull’imboccatura era abbastanza per ucciderti.-
Kate sorride e si avvicina ad una decina di centimetri dalla sua faccia.
-Può essere. Ma tu non lo saprai mai!-
Si raddrizza e si avvicina ad Abraham, mentre Dunn comincia ad innervosirsi, strattonando i polsi nell’intento di liberarsi.
-Sarebbe un assassinio, non è nelle tue corde Nikki! Non è nella tua natura uccidere a sangue freddo…-
Kate sorride scuotendo la testa.
-Strano… dicevi che siamo uguali tu ed io… non ne sei più così sicuro?-
Il suo sorriso sparisce d’improvviso e stringe le labbra trafiggendolo con lo sguardo.
-Invece hai ragione Scott. Siamo più simili di quanto tu stesso possa immaginare. Sono stanca. Hai tirato troppo la corda, tanto da farla spezzare. Non farò ancora lo stesso sbaglio. Tu non tornerai. Non stavolta. Non ti permetterò di fare ancora del male, ne a me, ne a nessun altro e se perché questo accada devo farti saltare in aria in mille piccoli brandelli di carne… vorrà dire che è questo che farò.-
Prende Abraham per la vita aiutandolo ad alzarsi, ma l’uomo geme ricadendo in terra.
-Non riesco a stare in piedi, la rallenterei troppo sulle scale, detective. Mi lasci qui.-
Kate guarda il timer che segna nove minuti e dodici secondi e scuote la testa.
-Non dica sciocchezze, abbiamo tutto il tempo per arrivare giù e allontanarci, poi cerchiamo un telefono.-
Lo sorregge per un braccio, passando davanti a Dunn.
-E’ un errore Nikki, lo sai. Non troverai nessuna formula… NIKKI… MALEDIZIONE. TI RENDI CONTO DI QUELLO CHE STAI FACENDO?-
Lei si volta a guardarlo corrucciando la fronte.
-Mi rendo conto benissimo. Sto scrivendo l’epilogo Scott… sto mirando alla testa, e sai bene che io, al contrario di Castle, ho una buona mira!-
Si trascina insieme ad Abraham verso l’uscita, mentre Dunn urla di rabbia cercando di liberarsi.
-NIKKI… TORNA QUI. NIKKI…-

Smette di urlare e di dimenarsi, piegandosi in avanti per proteggersi dal dolore che sente al fianco.
Il silenzio è rotto dal rumore dei passi sulle scale di ferro, di chi lo ha tradito ancora una volta.
Si guarda i polsi, spostando lo sguardo poi sulla bomba.
Sette minuti e otto secondi.
Sorride e il suo sguardo torna gelido, la mandibola tesa mostra una maschera distorta del viso, ricoperto di sangue.
Porta la mano alla cintura dei pantaloni, dalla fibbia prende un ferretto con la punta piegata, nascosto all’interno, armeggia con le serrature delle manette e si libera. Si tampona la ferita, andando con calma verso l’ordigno. Sgancia la boccettina di veleno dal suo incastro. Immediatamente il timer principale si blocca, facendone partire un secondo di soli dieci secondi. Toglie la scatola dal congegno, seguendo il conto alla rovescia. Continua a sorridere mentre digita il codice. Dalla bomba arriva un piccolo bip ed il timer digitale si spegne.
Si rimette dritto a fatica, la ferita comincia davvero ad infastidirlo. Solleva l’ampolla con il liquido azzurro tra le dita, per ammirarla ancora una volta alla luce della luna.
-Tornerò invece… prima di quanto pensi, Nikki!-
Si irrigidisce digrignando la mascella quando sente il rumore della carica di una pistola e la canna fredda poggiarsi sulla sua nuca. Credendo sia Kate, volta di poco la testa per sorriderle.
-Nikki!-
Esclama soddisfatto, ma Esposito lo blocca sul nascere.
-Fa qualcosa di stupido, mi serve un motivo per spappolarti il cervello, brutto stronzo!-
Dunn digrigna la mascella guardandosi intorno e, senza badare agli agenti della squadra speciale che lo puntano con le armi, fissa subito gli occhi di Kate.
-Hai rischiato grosso a restare… se non fossi riuscito ad arrivare alla bomba poteva davvero saltare in aria tutto il palazzo!-
Esclama compiaciuto, seguendo i movimenti di Esposito mentre lo ammanetta sia ai polsi che alle caviglie per impedirgli qualunque tentativo di fuga.
-Sapevo che avresti fatto in modo di liberarti. Come dici tu, ti conosco bene. Dici di essere pronto a morire per quello in cui credi, ma è una balla. Sei prevedibile Scott. Chi vede la morte negli occhi delle proprie vittime e ne gioisce, non può che ritenersi immortale e non vuole morire… e tu non fai eccezione. Sei un assassino. Morendo, il mondo diventerebbe orfano delle tue grandi opere…-
Sventola la mano in aria per esaltare il suo ego e torna a guardarlo stringendo le palpebre.
-…e il tuo orgoglio non lo sopporterebbe! L’unica cosa che ti ha sempre tradito è la tua superbia.-
-Tanto di cappello Nikki!-
Le risponde con un inchino sfrontato, soffermandosi solo dopo a guardarsi intorno.
-Ma guarda… si è disturbata perfino il capitano in persona!-
-Siamo qui da un bel po’ signor Dunn!-
Gli risponde compiaciuta la Gates, scrutandolo attentamente quando solleva un sopracciglio, incuriosito. Kate stacca un bottone della sua camicetta mostrandoglielo.
-Sembra che le trasmittenti non trasmettano nessun segnale… se non sono accese!-
Gli parla con lo stesso tono mellifluo che aveva usato lui con lei pochi minuti prima. Dunn annuisce compiaciuto.
-Ti hanno lasciata sola per un po’, il tempo che io controllassi e poi hanno acceso la ricezione. Geniale… pericoloso per te, ma geniale… alla fine avrei potuto romperti il collo immediatamente!-
Anche lei lo guarda sfrontata e con un sorrisetto divertito sulle labbra.
-Non era questo il tuo epilogo… tu non volevi farmi del male, vero Scott?-
Lui digrigna la mascella e Kate gli strappa il veleno dalle mani.
-Questo lo prendo io.-
Lui lascia la presa e sogghigna.
-Volevi solo il veleno. Hai fatto quello che dovevi per arrivare al tuo scopo, come ho fatto io. Altro che fiducia nell’animo umano e nel tuo istinto.-
La guarda fisso negli occhi continuando a sorridere.
-Non hai mai creduto alla storia del piccolo storpio…-
-Si sbaglia signor Dunn!-
Sposta lo sguardo sul capitano Gates che lo guarda come una tigre pronta a graffiare.
-Come ho detto, siamo qui da un bel po’ e abbiamo sentito tutto, aspettando il segnale di Beckett per entrare in azione. Quando il signor Pratt ha parlato della possibilità che la formula fosse seppellita sotto la quercia, ho mandato lì i miei uomini. Il detective Ryan ha chiamato cinque minuti fa. Il Professore ha seppellito una cassetta di plastica accanto al tronco e, se la cosa può interessarla, dentro non c’era solo la formula del veleno trascritta, ma anche la formula dell’antidoto…-
Dunn stringe le labbra e i pugni, sentendo la rabbia montargli dentro, mentre Victoria Gates prosegue imperterrita nel suo racconto.
-…e non è tutto signor Dunn. Nella scatola c’erano anche due fiale con l’antidoto pronto.-
-Non è vero!-
Sibila lui scuotendo i polsi, bloccati dalle manette che lo limitano nei movimenti perché collegate con una catena alle caviglie, per non parlare di Esposito, che lo tiene stretto per le braccia. Kate scuote la testa e gli si avvicina.
-Il Professore aveva paura di te, ma a differenza tua, aveva una coscienza… e amava Abraham. Lui era la sua coscienza e non voleva deluderlo. L’animo umano è speciale perché unico e pieno di mille sfaccettature, ma come ho già detto, questa è una cosa che tu non potrai mai capire… tu sei un essere superiore!-
Dunn scuote le catene, facendo la mossa di scagliarsi contro di lei, ma Esposito lo blocca mettendogli un braccio intorno al collo.
-Non sentirti superiore Nikki, sapevi dell’antidoto, non hai rischiato niente lasciandomi qui. Sapevi già che la tossina non ti serviva.-
-Anche qui si sbaglia, signor Dunn!-
S’intromette ancora il capitano Gates.
-Noi potevamo ascoltarvi, ma Beckett non poteva sapere che avevamo già l’antidoto, quindi la sua priorità era comunque mettere le mani sul veleno. E ci è riuscita proprio colpendola nella sua superbia.-
Dunn corruccia la fronte per la prima volta tentennando confuso, scuote le catene che lo bloccano ancora una volta ed Esposito, esasperato, lo colpisce allo stomaco, facendolo piegare su se stesso per il dolore alla ferita, che ricomincia a sanguinare. Quando riesce a mettersi ancora dritto, Kate lo affronta faccia a faccia a pochi centimetri dai suoi occhi.
-Un’altra cosa Scott…-
Il suo sguardo è gelido e il viso impassibile, nonostante il dolore appena provato.
-…tu non tornerai. Dopo quello che hai fatto dopo l’evasione, nessun giudice ti concederà mai di uscire da una cella di isolamento. Sarai ospite di una stanza di massima sicurezza senza finestre e senza concessione dell’ora d’aria. Niente sole. Niente pioggia. Niente buio della notte. Solo la fredda luce di un neon scandirà le tue notti ed i tuoi giorni dietro un vetro blindato. Ogni notte ed ogni giorno della tua inutile vita da ora in avanti, fino alla fine. Senza nessun contatto umano. Senza poetr scrivere e dare sfogo alla tua fantasia.-
Dunn digrigna la mascella senza smettere di guardarla e lei si avvicina tanto da sussurrargli sulle labbra.
-Avrai tutto il tempo di pensare. Pensare a me. Pensare a questo momento e al tuo epilogo mancato. Pensare che la mia vendetta è lasciarti vivere. Ci penserai così tanto Scott, che il tuo cervello prima o poi esploderà… ed anche in quel momento dovrai pensare a KATE BECKETT e al SUO scrittore!-
Kate fa per allontanarsi, ma la rabbia e la sconfitta stanno consumando Dunn che improvvisamente si scaglia su di lei, senza che Esposito e gli altri agenti riescano a trattenerlo in tempo. La forza di gravità li fa cadere l’uno addosso all’altra. Nonostante la ferita al fianco e la perdita di sangue, in tre fanno fatica a toglierglielo di dosso, mentre Kate cerca di divincolarsi. Quando riescono a rimetterlo in piedi lui sorride.
Quello stesso sorriso gelido e beffardo di sempre che per un attimo le fa accapponare ancora una volta la pelle.
Ci mette un attimo a rendersi conto del perché lui sia così compiaciuto.
La boccetta di veleno è di nuovo nelle sue mani.
Vuole vincere lui ad ogni costo, a modo suo.
Spalanca gli occhi, intuendo i suoi pensieri. Cerca di avvertire Esposito, ma Dunn è più veloce.
Senza esitazione, continuando a fissarla, solleva la boccettina alle labbra, un solo attimo che a Kate sembra di vivere a rallentatore.
Si getta verso di lui per impedirglielo, ma Dunn ingurgita l’intera dose della tossina, lasciando tutti immobili e completamente spiazzati, compresa Beckett.
-Non riuscirai a godere della mia prigionia. Il gioco finisce qui…-
La dose elevata di veleno fa sentire subito il suo effetto, Dunn si china in avanti tenendosi lo stomaco. Fa un respiro profondo e si raddrizza, sempre con la stessa espressione beffarda.
-Non… trovi sia… un epilogo con colpo di scena?-
Kate digrigna la mascella e Dunn continua a sorridere, facendo un paio di piccoli passi verso di lei, che resta immobile.
-Qualcuno deve… morire… Avresti dovuto uccidermi tu Nikki e per un attimo… ho davvero pensato… che l’avresti fatto… invece…-
Si china in avanti per il dolore alle viscere e cade a terra in ginocchio, aggrappandosi al braccio di Kate, che è costretta a chinarsi per quanto le tiene stretto il polso.
-…invece mi hai… deluso ancora.-
Dunn tossisce convulsamente accasciandosi sul pavimento e quando riesce a riprendere aria, si solleva verso di lei, con il viso paonazzo.
-Dimmi che… che è quello che… desideravi fin dall’inizio… ammetti che… volevi vedermi morire… come… come io volevo vedere morire lui…-
Kate scuote la testa chinandosi di poco su di lui, con lo sguardo duro.
-Dico che ci vuole più coraggio a continuare a vivere nonostante tutto e tu stai morendo nello stesso modo in cui hai vissuto. Da codardo!-
Lui si piega su se stesso per il dolore, stringendo gli occhi e mordendosi le labbra per evitare di lamentarsi.
-Io invece… lo trovo ro… romantico, Nikki!-
Il suo viso s’irrigidisce disegnando nei lineamenti una smorfia mostruosa.
Il corpo sussulta per qualche secondo in preda alle convulsioni.
Poco dopo sbarra gli occhi, smettendo di respirare.
Per qualche secondo Kate resta immobile, con lo sguardo su di lui, senza nemmeno respirare.
-Quando esalerai il tuo ultimo respiro, io ti sarò vicino…-
Sussurra quasi a se stessa, chiudendogli gli occhi istintivamente per non sentire il loro gelo addosso.
-…io ti vedrò morire…-
Ha portato a termine quel macabro ritornello che è stato il centro della sua trama. Ha esalato il suo ultimo respiro davanti a lei, per non darle la soddisfazione di rinchiuderlo ancora e uscire vittorioso alla fine del suo gioco.
Almeno dal suo punto di vista!
Sospira, liberandosi della sua mano ancora stretta al polso, gli toglie la boccettina dalla mano ancora contratta e la guarda rigirandola per qualche secondo tra le dita.
Chiude gli occhi, pensando che ha passato ore e ore a cercarla e tutto quello che ha fatto per arrivarci non è servito a niente. E’ nelle sua mani. Vuota!
La voce di Esposito la riscuote, rimbombandole nelle orecchie.
-Una cosa giusta l’ha fatta alla fine. Niente tempo perso per un processo e tanto denaro risparmiato per vitto e alloggio a spese dello Stato. Lo trovo romantico anch’io!-
-Esposito!-
Lo ammonisce la Gates stringendo le labbra, ma lui la guarda serio.
-Non mi scuserò per questo capitano!-
La donna sospira stancamente.
-Piuttosto, occupati di farlo trasferire all’obitorio del Saint Andrew.-
Esposito annuisce ed insieme agli altri agenti esce di corsa dall’edificio.
Solo in quel momento Kate solleva la testa guardando la Gates quasi spaesata. Il capitano le fa un mezzo sorriso e l’aiuta ad alzarsi.
-Stai bene?-
Lei annuisce continuando a guardare il viso deformato di Dunn, poi sospira chiudendo gli occhi.
-Signore, prima le ho retto il gioco con Dunn, ma… davvero abbiamo l’antidoto pronto?-
La donna annuisce sorridendole bonariamente.
-Credi che avrei potuto mentire solo per colpire la superbia di Dunn?! Quando Ryan ha chiamato, gli ho detto di andare direttamente in ospedale. Suppongo che la dottoressa Dobbson vorrà fare dei controlli prima di usarlo, ma qualunque sia il risultato, ormai abbiamo la formula. Puoi smettere di correre Beckett!-
Kate rilassa i muscoli e si porta la mano alla testa che continua a pulsare.
Pensava che il peso sul petto sarebbe sparito, invece diventa così insopportabile che sente le lacrime salirle agli occhi e deglutisce per impedirsi di piangere.
-Dovresti farti medicare.-
La Gates le scosta i capelli per controllare la ferita alle tempia. Il suo tocco è amorevole e preoccupato, come quello di una madre che accudisce la sua bambina. Kate le sorride e una lacrima traditrice sfugge al suo controllo.
-Sto bene capitano. Voglio solo andare da Castle!-
Sussurra senza guardarla e la Gates annuisce ancora, prendendola per il braccio e dirigendosi verso l’uscita, proprio mentre due agenti fanno il loro ingresso dirigendosi verso il corpo di Scott Dunn.
-Assicuratevi che sia realmente morto.-
Esordisce la Gates guardandoli seria, cosa che fa corrucciare la fronte ad entrambi che osservano il cadavere e poi lei.
-In che senso? E’… è morto!-
Risponde uno di loro e il capitano solleva le spalle.
-Con questo morto non si sa mai. Lasciatelo ammanettato e tenetelo d’occhio fino all’obitorio.-

Quando giungono in strada, tutto intorno è buio pesto. Un raggio di luna filtra tra i due alti palazzi come il fascio di luce di un faro che illumina la notte.
Sono le tre del mattino, è rimasta dentro quel magazzino abbandonato, al buio e senza aria nel cuore per quasi due ore e adesso le luci colorate ed intermittenti delle volanti e delle ambulanze, la investono brutalmente. La testa le pulsa talmente tanto che deve chiudere gli occhi e respirare il freddo della notte, per riprendersi da quell’aggressione strana.
Il capitano Gates si allontana verso Esposito e insieme danno disposizioni per recintare la zona e poter andare finalmente via da quel posto.
Poco più avanti un medico si sta occupando di Abraham, disteso sulla lettiga e con gli occhi chiusi. Un moto di tenerezza la assale a guardare quel corpo provato dal dolore della sua malattia, dal dolore per la perdita di un amico e dal dolore delle ferite infertegli da Dunn, eppure così silenzioso.
-Come sta?-
Chiede al paramedico che sistema la flebo, ma prima che l’uomo possa risponderle, Abraham apre gli occhi e le sorride.
-Sto bene detective…-
Il paramedico sorride anche lui scuotendo la testa.
-Il suo fisico è molto provato, ha perso parecchio sangue, ma la ferita alla spalla non è profonda. Tutto sommato gli serve del riposo e una bella reidratazione.-
Si scusa con lei e sale sull’ambulanza per sistemare la cassetta del pronto intervento e i loro sguardi vengono attirati dalla sacca nera contenente il corpo di Scott Dunn, che viene sistemata su un’altra ambulanza.
-Potrà mai perdonarmi?-
Le chiede con gli occhi lucidi e lei si ritrova a sorridere suo malgrado.
La forza, la dignità e l’umiltà di quell’uomo la stupiscono sempre di più.
-Lo sa che probabilmente mi ha salvato la vita li dentro? Quando ha sparato a Dunn, io ero un pochino… in difficoltà…-
Solleva le spalle continuando a sorridere.
-…magari sarebbe finita in maniera diversa.-
-L’importante è che la formula fosse dove credevo e che non sia troppo tardi per salvare il signor Castle.-
Kate annuisce.
-Non c’era solo la formula. Il Professore ha sintetizzato anche l’antidoto.-
A quelle parole gli occhi di Abraham s’illuminano.
-Non era cattivo… aveva solo…-
-…paura!-
Esclama Kate, finendo la frase per lui.
-Le voleva bene Abraham. Lei gli ha dato la forza di non avere paura. Ha fatto la cosa giusta e solo per lei.-
Abraham gira la testa alla sua sinistra, forse per non mostrare ancora le lacrime che rigano il suo volto. Lacrime di rimpianto per non aver potuto fare altro che ‘stare a guardare’.
Il capitano Gates si ferma ad un paio di passi da loro e chiude una chiamata al cellulare sorridendo.
-Era Ryan dall’ospedale. La dottoressa Dobbson sta già analizzando il siero. Se non sorgono altri imprevisti, tra meno di un’ora il signor Castle avrà la sua cura.-
Senza capire il perché, Kate sente il cuore ricominciare a galoppare come aveva fatto nelle ultime ore e sussulta quando il paramedico scende dall’ambulanza con un salto.
-Siamo pronti ad andare. Se sale con noi in ambulanza, le medico quella brutta ferita e poi in ospedale facciamo delle lastre.-
Kate scuote la testa, ma la Gates la zittisce sollevando il dito su di lei.
-E’ una buona idea, noi vi seguiamo in auto.-
Solleva un sopracciglio, per rendere incisivo il fatto che il suo è un ordine e prima che possa ribattere, anche Abraham dà man forte al capo, mettendole la mano sulla sua.
-La prego. Resti con me… ho sempre odiato le ambulanze!-
Le dice con gli occhi pietosi, prendendola in contropiede con quella richiesta, trovando difficile dire di no.
-D’accordo! Mi farò medicare…-


Angolo di Rebecca:

E nella notte del matrimonio del secolo (*________*) Scott Dunn fa la fine del topo ;)
Voleva che Kate/Nikki si distruggesse per la sconfitta, ma quando ha capito di essere stato battuto su tutti i fronti, non ha trovato altra soluzione che distruggersi personalmente. Ha dato ad intendere di aver bevuto il veleno per vincere il suo gioco, ma la vera ragione è che non voleva vivere "nel buio, nel silenzio, nella solitudine" di quella cella che gli aveva promesso Nikki...
La morte di Rick (visto che Reb è prevedibile) era tutta una messa in scena, ma chissà come si saranno svolte davvero le cose?
Un ringraziamento particolare al capitano Victoria Gates che è diventata sempre più simpatica e spiritosa :)
Che altro? Ah si: ABRAHAM VIVE ;)

Vado a prepararmi per la cerimonia :3


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Capitolo 52
*** Ordine nell'Universo ***





 


 
Capitolo 52
 


Quando l’hanno costretta a distendersi su quel lettino, Kate ha chiuso gli occhi senza dare peso al tempo, accarezzando il piano ricoperto del lenzuolo usa e getta tipico degli ambulatori medici. Ci ha passato sopra il palmo della mano, come quando sfiorava il viso di Rick, disteso su quello stesso lettino parecchie ore prima.
Riapre gli occhi sussultando per il rumore di qualcosa di metallico nello studio attiguo.
Era già stata in quell’ambulatorio, ma era così preoccupata e angosciata da non essersi accorta di quanto fosse caldo e accogliente, dell’azzurro tenue delle pareti e delle due stampe raffiguranti un oceano dalla doppia anima, proprio di fronte al lettino.
Guarda verso la porta e sospira.
Dovrebbe essere accanto a lui, non in quell’ambulatorio.
Preme due dita sulla medicazione alla tempia e chiude ancora gli occhi, cercando di mettere a tacere il mal di testa.
Sull’ambulanza, il paramedico le aveva disinfettato la ferita, ma il bruciore che le aveva lasciato la garza sterile, l’aveva indotta a pensare che l’avesse imbevuta di benzina e non di disinfettante, nemmeno il ghiaccio aveva aiutato l’interno della testa che continuava a farle male come se il cervello ricevesse martellate improvvise.
A dire il vero da quando era salita sull’ambulanza e l’adrenalina aveva incominciato a scemare, sentiva dolore in ogni parte del corpo. Il polso era violaceo e gonfio. Il paramedico glielo aveva spalmato con un unguento e fasciato, ma il dolore non era diminuito. L’incontro con Dunn era stato davvero pesante, non solo nel corpo a corpo, ma soprattutto nella mente. Cercare di entrare nei suoi pensieri, di arrivare ai suoi ragionamenti e fare in modo che si fidasse di lei a tal punto da lasciarle la boccettina di veleno nelle mani, l’aveva davvero provata.
Si tocca il polso, chiudendo e aprendo la mano, ed una fitta la scuote fino alla spalla.
Sospira, pensando a come sarebbero potute andare le cose se Abraham non fosse entrato in scena. Le era sembrato di rivivere la stessa situazione di tre anni prima, quando Dunn l’aveva quasi sopraffatta con la sua forza e Castle gli aveva sparato, salvandole la vita.
Si sofferma a guardare il soffitto.
Il viso sofferente di Abraham si fa spazio nella sua mente e non può non sorridere davanti a quell’animo puro che ha rimesso in ordine il sistema del suo universo. Mai avrebbe immaginato di trovarsi su un’ambulanza insieme ad uno sconosciuto. Un omino piccolo e storpio, con un cuore grande come grande era il suo orgoglio.
Si era ritrovata a tenergli la mano mentre finivano di medicarlo. Lui gliel’aveva stretta per il bruciore dello stesso disinfettante usato sulla sua ferita e l’aveva stretta allo stesso modo, quando era stata lei a gemere, anche se in silenzio, per il dolore alla testa.
Dopo qualche minuto Abraham si era assopito grazie ai tranquillanti e lei era rimasta china su di lui a tenergli la mano. Senza motivo. Senza riuscire a staccarsi da quella mano piccola e dalle ossa deformate da una malattia terribile.
Ha rincorso il tempo per ore e la soluzione di tutto è sempre stata sotto i suoi piedi. Letteralmente. Era proprio lì, sotto il cadavere del Professore che Dunn aveva composto ai piedi della quercia come a deriderlo per l’ultima volta, mentre invece è stato proprio Lester Downing a prendersi gioco di lui. Si è lasciato morire pur di dare il tempo ad Abraham di allontanarsi il più possibile dal diavolo.
Ripensando agli ultimi due giorni, si rende conto di aver desiderato la morte di Scott Dunn con tutte le sue forze, ma non si sarebbe mai aspettata che usasse quel veleno destinato a lei.
Tutto questo non ha fatto sparire il vuoto che sentiva dentro quel magazzino davanti ai vaneggiamenti di Dunn. Un vuoto strano, perché pieno di quel peso sul cuore che la tormenta da ore e di continuo.
Agitazione, paura, rabbia… li sente ancora.
Continuano ad essere lì, pesanti come macigni, a riempire il suo vuoto.
Osservando i lineamenti sereni di Abraham, in pace con se stesso e con il suo cuore come un bambino innocente, aveva scosso la testa cercando di smettere di pensare. Avrebbe voluto fare lo stesso. Chiudere gli occhi e dimenticare. Chiudere gli occhi e risvegliarsi proiettata nel futuro, per perdersi nello sguardo azzurro del suo scrittore, tornato a sorridere.
Con questi pensieri accavallati uno sull’altro, l’ambulanza aveva fatto il suo ingresso al Saint Andrew. Nell’atrio del Pronto Soccorso le sue mani si erano separate da quelle di Abraham ed era rimasta immobile, a guardare la barella sparire dietro la solita porta ballerina.
Era entrata in ascensore, chiudendo gli occhi e premendosi ancora una volta le dita sulla tempia e, per l’ennesima volta, aveva percorso quel lungo corridoio. Il silenzio strideva con il suo cervello che continuava a lavorare e a mandare avanti impulsi dolorosi, ma una volta girato l’angolo si era ritrovata tra le braccia di Alexis, che prima di tutti si era accorta del suo arrivo. La ragazza l’aveva stretta forte, mentre Martha le accarezzava la tempia medicata alla buona.
Jim invece, la guardava a qualche passo di distanza, con gli occhi lucidi, senza respiro e il sorriso di sollievo di un genitore angosciato che ha perso persino la forza di stringerla tra le braccia, mentre l’espressione di Ryan era un misto di sorrisi e apprensione.
I suoi occhi, invece, erano fissi su quella porta chiusa.
Quella stessa porta che poche ore prima le era stata sbattuta in faccia per una sceneggiata. Una trappola. Una finzione.
Eppure quando Rick si era irrigidito per il dolore, che non era finto, quando le aveva chiesto di stringerlo lasciando che l’ultima sillaba gli morisse tra le labbra per la terapia farmacologica che faceva effetto, quando davanti a quella porta chiusa aveva sentito il suono monotono del monitor che dichiarava assenza di battito cardiaco, anche il suo cuore si era fermato per un attimo e per un attimo si era dovuta fare violenza per restare lucida e ripetersi che era tutto finto, che lui avrebbe solo dormito, che al suo ritorno sarebbe tutto finito.
-Va da lui Kate…-
Alexis glielo aveva sussurrato all’orecchio, mentre la stringeva tra le braccia.
Era entrata tremando, con un nodo in gola che non riusciva a scacciare e gli occhi fissi sul suo viso sofferente.
Gli aveva preso la mano.
Calda… e tutta la tensione che non l’aveva abbandonata fino a quel momento, si era allentata di colpo.
Castle era vivo, respirava grazie ad una cannula per l’ossigeno ed i suoi battiti erano molto rallentati dal coma indotto, ma era vivo.
Guarda intensamente le due stampe sulla parete, concentrandosi sul mare calmo al tramonto, cercando ancora di fermare i pensieri, ma non ci riesce.
La mente torna sempre dentro quella stanza.
Si solleva piano, cercando di evitare che la testa vortichi freneticamente. Si mette seduta con le gambe a penzoloni sul lettino ed inspira pesantemente per bloccare la nausea. Sapeva che non doveva distendersi. Sapeva che una volta messa giù, sarebbe stata un’impresa riuscire a rimettersi in piedi. Scuote la testa con l’intento di tornare da lui, perchè l’ansia dell’attesa non la schiacci completamente.
Attesa. Si…
Perché il dottor Travis era stato chiaro. Il fisico di Castle era rimasto esposto alla tossina per troppo tempo, l’infezione era in stato avanzato, i polmoni soprattutto erano ormai al collasso ed una sola dose dell’antidoto non sarebbe bastata. L’organismo era provato e molto indebolito, c’era anche la possibilità che non reagisse in maniera positiva al siero. Il coma farmacologico ha rallentato gli effetti della tossina, ma è  anche vero che Ben aveva tenuto a precisare che, nelle sue condizioni poteva essere pericoloso per il suo risveglio.

Guardava il cadavere del gestore del Blue Moltel, lo squarcio nello stomaco e le lettere impresse con il sangue sulla parete, quando le era mancato il respiro e dentro le orecchie le si era insinuato il lamento di Castle.
Lo aveva sentito davvero. Non lo aveva solo immaginato. Aveva sentito una fitta al petto. Un dolore lancinante e fulmineo che le aveva tolto il respiro e che sussurrava ‘non c’è più tempo…’
Qualunque cosa fosse successa, trovare il veleno comportava analizzarlo in laboratorio e una volta capito come, sintetizzare l’antidoto. Tutto questo avrebbe richiesto tempo. Tempo prezioso che Castle non poteva più permettersi, perché, anche se mancavano parecchie ore alle 72 approssimative che aveva stimato il Professore, dargli l’antidoto troppo tardi non lo avrebbe salvato comunque.
‘Non avrai mai quel veleno Nikki… MAI!’
Era corsa fuori sperando che il buio nascondesse il suo dolore e il freddo se lo portasse via.
Il freddo le aveva portato invece ancora Rick, la sua voce, i suoi pensieri…
‘…devi cominciare a leggere il suo libro, non come lo ha scritto lui, ma come vorresti che finisse…’
Come a dire ‘devi riscrivere l’epilogo a modo tuo…’
Aveva preso il telefono, mentre una strana idea le balenava nella testa, ma prima di poter comporre il numero di suo padre per parlare con Castle, il display si era illuminato, mostrando l’ID del dottor Travis e il cuore le si era fermato completamente.
Aveva risposto alla chiamata senza però dire una parola.
‘Non sei pronta a vederlo morire…’
La frase di Dunn le aveva fatto eco nelle orecchie insieme alla voce del dottor Travis, non riuscendo a capire cosa le stesse dicendo.
-Detective Beckett! Kate… mi sente? Sono Ben!-
-Kate…-
Aveva sollevato la testa sospirando.
In mezzo all’eco di voci, quella di Rick si era fatta strada dentro di lei, riportando in vita tutti i suoi sensi.
Castle faceva fatica a parlare, così era stato proprio Ben a spiegarle che Rick aveva avuto un’idea che lui, aveva precisato a dire, trovava non solo strana, ma anche insensata.
-Castle avrebbe pensato che…-
Era riuscito a dire solo quattro parole quando la voce di entrambi, ai due capi opposti del telefono lo aveva interrotto, dicendo in coro qualcosa come ‘deve morire adesso…’
Per un attimo era sceso il silenzio, finchè Ben aveva sbuffato mormorando che insieme cominciavano a dargli sui nervi, ma nessuno dei due aveva fatto caso a lui.
-Siamo… giunti alla stessa… conclusione!?-
Aveva sussurrato Rick al telefono. La sua voce era rauca, si sforzava di parlare, ma il cervello lavorava bene e stava teorizzando qualcosa d’insensato, ma proprio per questo perfetto.
Stava riscrivendo l’epilogo. Come voleva fare lei.
-Si, siamo giunti alla stessa conclusione. L’unico modo di accelerare tutto è costringere Dunn ad uscire allo scoperto…-
-…e l’unico… modo di farlo uscire allo scoperto… è fargli credere che… che io sia morto!-
Il dottor Travis aveva allontanato il telefono da Rick, portandoselo all’orecchio.
Era nervoso ed esasperato dalla discussione che aveva portato a quell’idea insensata, quando Castle aveva avuto l’ultima crisi davanti ad Alexis.  Le sue pulsazioni si erano normalizzate, ma il dolore ormai non lo abbandonava più. Si era avvicinato alla finestra, osservando le luci infinite di una New York sempre sveglia ed eccitante. Lui invece era stanco e sentiva il peso di quel respiro e quei lamenti soffocati che non riusciva più a tenere a bada. Aveva chiuso gli occhi valutando se lasciare la situazione così com’era, aspettando che Beckett o Claire trovassero la soluzione, oppure agire subito per cercare comunque di rallentare l’azione della tossina ed evitare che gli organi interni subissero danni permanenti, permettendo all’organismo di Castle di riposare senza reagire ancora al dolore.
Lui aveva gli occhi chiusi, ma non dormiva, continuava ad emettere piccoli lamenti in mezzo ai respiri.
-Che… stai rimuginando Ben?-
Aveva sorriso. Come sapeva che stava rimuginando?
-Pensavo ad un modo per rallentare l’azione della tossina e perché tu non soffra più così!-
Castle aveva sorriso, reprimendo un lamento.
-Beh… per non sent… sentire più dolore… dovrei morire…-
Ben lo aveva guardato male, ma lui non ci aveva fatto caso perchè il suo cervello si era perso nelle sue stesse parole.
-Pensavo a qualcosa di meno risolutivo.-
Rick si era risvegliato tornando a dargli ascolto.
-Pensavo al coma indotto. Rallenterebbe le tue funzioni vitali al minimo, il che rallenterebbe anche la tossina e…-
-Facciamolo!-
Rick lo aveva interrotto, ma Ben aveva scosso la testa.
-Senza fretta, fammi prima finire. Non sapendo quando potremo darti l’antidoto, potrebbe essere pericoloso per l’organismo che è già troppo debilitato. Potresti avere problemi a svegliarti.-
Rick aveva chiuso gli occhi e sospirato.
-Senza l’antidoto non mi sveglierò comunque…-
Ben non aveva risposto, osservando attentamente Rick che aveva riaperto gli occhi con una strana espressione, come se anche lui si fosse perso di colpo nei suoi pensieri.
-Devo morire!-
Aveva alzato lo sguardo su di lui e aveva annuito.
-Devi aiutarmi a morire Ben.-
In quel momento aveva dato forma alla sua idea di stanare Scott Dunn, anche se Ben non era ancora riuscito a capire come questo li avrebbe portati al veleno.
Lo aveva capito mentre quei due elaboravano al telefono la stessa idea senza fare caso a lui.
-Ascoltami bene Kate, io sono un medico, non un poliziotto e non ho nemmeno tanta fantasia, quindi vedi di stare attenta a quello che devo dirti. Quello che farò io è soltanto il bene del mio paziente, per qualunque altra stranezza non contate su di me!-
In quella frase detta tutta d’un fiato, la pacatezza e la professionalità del dottor Travis si erano perse soffocate dai sentimenti, tanto da passare dal ‘lei’ al ‘tu’ senza nemmeno accorgersene.
-Devi solo… addormentarmi e… rallentare le mie funzioni vitali Ben, per… recuperare tempo… al resto penserà Beckett…
 
Sorride scuotendo la testa, ripensando a come si era sentito spiazzato Ben, quando lei e Castle avevano pensato insieme al nuovo epilogo da riscrivere. Un epilogo la cui prima parte era andata abbastanza bene e la seconda richiedeva ancora di aspettare.
Aspettare che l’antidoto facesse effetto. Aspettare che Rick reagisse. Aspettare che la febbre scendesse, che i valori si normalizzassero.
Aspettare e basta!
Fosse facile…
Pensa, dondolando le gambe a penzoloni sul lettino, anche se il suo cuore ha smesso di battere in maniera irregolare e, da quando ha sentito il calore della mano di Rick nella sua, si è tranquillizzata. Sente dentro quel cuore che ha sofferto, corso e pianto per ore, che andrà tutto bene. E’ una cosa insensata. Lo sa. Se ne rende conto. Ma non le importa. Nelle ultime ore non ha fatto altro che agire e ragionare in maniera completamente irrazionale, tanto da essersi lasciata andare solo alle sue sensazioni e percezioni, invece che alle prove e alle evidenze dei fatti. Forse perché Scott Dunn non era un caso qualunque. Forse perché pensare sopra le righe era l’unico modo di porre fine al suo gioco macabro. Forse perché l’amore che prova per Rick la unisce a lui più di quanto lei stessa avrebbe mai potuto immaginare.
Tutti coloro che le sono vicini hanno sempre sguazzato sulla loro connessione mentale, su quegli sguardi che non hanno bisogno di parole, ma la pressione e la paura di perderlo hanno aumentato questa unione, non solo nella mente, ma soprattutto nell’anima. Voleva lasciarsi andare ancora all’irrazionalità, voleva dare retta al suo cuore e alle sue sensazioni e il suo cuore le diceva di non avere più paura.
Stringe le labbra sporgendosi in avanti sul lettino, mettendo i piedi a terra. Scende con calma, si avvicina alla finestra e poggia la fronte sul vetro freddo.
Fuori dai cancelli dell’ospedale i giornalisti sono radunati intorno al capitano Gates, che gesticola vistosamente davanti ai microfoni.
Quando erano arrivati in ospedale l’aveva persa di vista proprio perché si era fermata per rilasciare un comunicato stampa sugli sviluppi finali del caso del killer silenzioso, che già da vari minuti andava in onda sul canale della CNN.
Si sofferma a guardarla, grata per come ha gestito quello che lei stessa aveva definito un caso personale. È scesa in campo coordinando le indagini dal primo istante, pronta a mettersi contro la stampa e contro un giudice federale. Seria, orgogliosa, instancabile. Pronta a starle dietro in ogni sua decisione, anche e soprattutto in quell’idea insensata che avrebbe potuto metterla in cattiva luce davanti al Capo della Polizia. Aveva ascoltato il piano seguendo ogni suo ragionamento e, nonostante non fosse completamente d’accordo, aveva seguito passo passo il copione fidandosi di lei…
 
Kate si era girata sentendo dei passi alle sue spalle. Il capitano Gates le stava andando incontro seguita da Esposito e Ryan.
Aveva chiesto al dottor Travis di restare in linea facendo cenno ai colleghi di salire in macchina. La Gates aveva preso posto sul sedile davanti, accanto a lei, mentre Ryan ed Esposito si erano sistemati sui sedili posteriori, con un enorme punto interrogativo stampato sul viso.
-Castle ed io abbiamo un piano per stanare Dunn…-
La loro espressione non era cambiata, ma il capitano Gates aveva annuito, facendo cenno con la mano di continuare.
-Castle deve morire adesso!-
Il silenzio totale aveva fatto sorridere Rick.
-Certo… detta così è… un po’ inquietante Beckett!-
Il capitano Gates l’aveva guardata intensamente per qualche secondo, storcendo le labbra.
-La cosa che Dunn desidera di più è vederlo morire e godersi te mentre lo guardi morire…-
Kate aveva annuito stringendo le labbra e la voce flebile di Castle si era unita a loro dal telefono.
-…ma se io morissi adesso, Dunn andrebbe in escan… descenza perché avrei rovinato metà del suo piano…-
-…e quando avrà ripreso la lucidità verrà a cercare me.-
-Pensi davvero che la morte anticipata di Castle lo farebbe correre da te? Per fare cosa poi? Ucciderti davanti a decine di poliziotti che, sa benissimo, ti staranno intorno per proteggerti?-
Aveva chiesto Esposito sporgendosi in avanti dal sedile posteriore.
-Deve farlo per forza Espo, per portare a termine almeno una parte dell’epilogo che ha sognato. Segue una trama ben precisa e l’epilogo sono io.-
A quel punto la Gates aveva alzato la mano per fermarla.
-Quello che stai pensando non mi piace per niente Beckett.-
Lei l’aveva guardata senza rispondere e il capitano aveva scosso la testa.
-Tu vuoi che lui venga a cercarti e, tra parentesi, se credesse alla morte di Castle, lo farebbe di sicuro. Solo che tu vuoi che nessuno lo fermi…-
L’aveva guardata fisso negli occhi.
-…è questo che vuoi?!-
Esposito e Ryan avevano corrucciato la fronte, mentre la Gates era rimasta a fissarla in attesa di una risposta.
-Signore, anche se facesse qualche errore e riuscissimo ad arrestarlo, non risolveremmo niente. E’ stato chiaro. Non mi darà mai quel veleno. Non glielo troveremo addosso, lo avrà messo certamente in un posto sicuro.-
-E la morte anticipata di Caslte a cosa porterebbe? Se lo crede morto, anche se uscisse allo scoperto per te, non avrebbe motivo di portarsi dietro il veleno!-
Ryan l’aveva interrotta quasi sbuffando, ma prima che Kate potesse rispondere, il capitano aveva preso la parola, senza distogliere lo sguardo da lei.
-Per questo nessuno deve fermarlo. Beckett pensa che Dunn voglia restare solo con lei. Vuole ucciderla, ma vuole anche sbatterle in faccia la sua vittoria, perciò deve agire con calma per arrivare all’epilogo che si è prefissato.-
Kate aveva annuito e dal cellulare era arrivato un sospiro pesante.
-Capitano… lei è connessa benissimo!-
La Gates si era avvicinata al telefono, sollevando un sopracciglio, come se Rick potesse vederla nella sua solita posa autoritaria.
-Signor Castle non è con i complimenti che mi convincerà a dare il consenso ad un’azione così pericolosa…-
-Capitano... non metterei mai… in pericolo Beckett per salvare me… lei è… è l’unica in grado di… di fermare Dunn e poi… voi sarete con lei e…-
-Niente affatto!-
Kate lo aveva interrotto quasi urlando e lui aveva cominciato a balbettare ancora di più.
-Ch… che vuoi di… dire?-
Sempre con gli occhi fissi su Beckett, era stata la Gates a prendere la parola.
-Stavolta è lei a non essere connesso, signor Castle! La sua Kate ha in mente di agire da sola…-
Aveva lasciato la frase in tronco guardandola con uno sguardo che le aveva messo soggezione.
-…non è così Beckett?-
La soggezione era durata poco e senza distogliere gli occhi dal suo capitano, come se fosse una sfida visiva, aveva annuito.
-Dunn mi terrà sicuramente sotto controllo, per non parlare del fatto che si assicurerà che non abbia addosso un microfono.-
Castle aveva tossito violentemente ed ognuno di loro aveva posato gli occhi sul telefono tra le mani di Kate, trattenendo il respiro.
-No, K… Kate, questo… mai!-
Si era reso conto che l’idea che avevno avuto poteva funzionare solo se alle condizioni di Beckett e questo non lo avrebbe mai permesso, ma Kate aveva sussurrato al telefono.
-E l’unico modo…-
Poi aveva guardato la Gates con gli occhi spalancati.
-E’ l’unico modo capitano!-
La donna aveva stretto le mani sul grembo, scuotendo la testa.
-Nessuno ti dà la certezza che ti porterebbe dove ha nascosto il veleno. Potrebbe semplicemente prenderti alle spalle e tagliarti la gola… non se ne parla.-
Kate era esasperata, si sentiva ribollire dentro, sentiva che sarebbe potuta esplodere. Perché era così difficile capire che Scott Dunn stava seguendo una trama ben precisa? Che non le avrebbe mai tagliato la gola perché avrebbe potuto farlo in qualunque momento da quando era scappato di prigione? Ha scritto nove interi capitoli ribadendo che la vuole distruggere. E’ così difficile pensare come lui e capire che il suo faccia a faccia sarebbe finito con lui che le sventola il veleno davanti agli occhi, dopo aver ucciso Castle? Il capitano sembrava irremovibile, il tempo continuava a passare e Rick al telefono faceva fatica a respirare.
Aveva stretto le labbra, puntando gli occhi sulla Gates, quasi implorandola.
-Capitano…-
-No! Senza una trasmittente che ci indichi la tua posizione, non se ne fa niente!-
La tensione nell’auto era diventata tagliente. Il capitano Gates capiva benissimo lo stato d’animo di Beckett, ma non poteva permettere che si mettesse in pericolo senza nessun appiglio. Sapeva anche che avrebbe dovuto tenerla d’occhio perché sarebbe stata capace di buttarsi nel vuoto anche senza il suo permesso.
Si erano voltati tutti a guardare Ryan che, improvvisamente, si era appoggiato allo schienale del sedile, come perso nei suoi pensieri, tanto che Esposito gli aveva dato una gomitata. Lui aveva alzato la testa sorridendo.
-Si potrebbe…-
Si era fermato un attimo come per dare un senso logivo all’illuminazione che aveva avuto.
-Una trasmittente può essere rilevata solo se il trasmettitore è acceso…-
Perfino Esposito aveva aggrottato le sopracciglia, aspettando che continuasse.
-Potremmo mettere addosso a Beckett una trasmittente microscopica e lasciare il trasmettitore spento, per accenderlo in seguito. Se davvero Dunn dovesse portarla lontano dall’ospedale, controllerebbe subito se ha una cimice addosso, non credo che si metterebbe lì con il metaldetector in mano a concludere il suo epilogo.-
Il capitano aveva abbassato la testa pensierosa ed era stato proprio Castle a rispondere.
-Sarebbe completamente… sola comunque… per troppo tempo…-
-Ha ragione. Dovremmo aspettare quanto? Mezz’ora, un’ora? Sarebbero troppi anche dieci minuti.-
Kate le aveva preso le mani d’istinto e la Gates aveva stretto le labbra, fissandola.
-Capitano la prego. E’ l’ultima speranza che abbiamo…-
Aveva guardato il telefono continuando a stringerle le mani e il capitano aveva digrignato la mascella.
-Anche se fossi d’accordo… per fare arrivare a Dunn la notizia della sua morte, dovremmo divulgarla attraverso la stampa, come dovremmo agire? Con un comunicato stampa? Un bollettino medico rilasciato ai giornalisti in ospedale? Basterebbe una fuga di notizie qualsiasi per mettere in guardia Dunn che potrebbe anche sparire. Chiunque può scoprire che è una trappola, cominciando dal personale ospedaliero che, per un attimo di notorietà, potrebbe spifferarlo alla stampa e rovinare tutto…-
-Dovremo inscenare una… una tragedia in piena regola e… dovremo saperlo… solo noi…-
Aveva balbettato Rick guardando Ben che aveva corrucciato la fronte.
-Puoi… puoi manovrare quel monitor in modo che faccia casino e che poi… non dia più segnali vitali?-
Il dottor Travis aveva annuito in silenzio, era una cosa facile da fare per chi conosce i macchinari di rianimazione, ma ancora non era sicuro di aver capito fino in fondo quello che avevano in mente.
Il piano era somministrare a Castle una dose di medicine che lo inducesse in coma farmacologico. Prima che perdesse conoscenza doveva succedere tutto, alla luce del sole, nel senso che il monitor avrebbe dato le attività vitali alterate, che il dottor Travis avrebbe dovuto cercare di rianimarlo e poi constatare il suo decesso, davanti a tutti, compresi poliziotti di guardia e personale ospedaliero presente in reparto, in modo che una qualunque fuga di notizie, riportasse solo che lo scrittore Richard Castle era deceduto.
Una scena ‘rumorosa’ che doveva arrivare alle orecchie di chiunque.
Castle a questo punto aveva attirato la loro attenzione.
-Aspettate un momento… mia madre ed Alexis…-
Kate lo aveva bloccato immediatamente.
-Loro devono essere messe al corrente. Non permetterei mai che soffrano questo dolore… mai!-
Aveva chinato la testa deglutendo e per un attimo si era fermata a riflettere su quello che stavano per fare. Era l’ultima occasione di avere il coltello dalla parte del manico, se avesse fallito, quel dolore di cui parlava e che conosceva bene, avrebbe annientato le donne della sua vita… e lei.
-Bene… non… non lo sopporterei nemmeno io…-
Aveva sussurrato Castle.
-…e poi sono brave attrici entrambe… anche Alexis se la caverà bene!-
Kate aveva sorriso scuotendo la testa e Ben si era offerto di occuparsi di avvertire Martha, Alexis e Jim senza dare nell’occhio e avrebbe dovuto anche parlare con Claire e Lanie per capire come dosare la terapia per Castle…
 
Sposta lo sguardo dal suo capitano sul cielo limpido. La luna si difende contro le prime luci dell’alba. Solo un paio di ore prima quella stessa luna aveva illuminato la speranza di un nuovo giorno, quando era uscita finalmente da quell’edificio.
Di fronte a lei, appoggiato con la schiena allo sportello dell’auto del capitano, gli occhi fissi sul cameraman che filmava tutto, il telefono all’orecchio e le labbra in movimento frenetico, il direttore della CNN le aveva fatto cenno con la testa, sorridendole appena con lo stesso sguardo ammirato che le aveva riservato dopo la diretta televisiva.
Spero dal più profondo della mia pietra che riesca a prenderlo e ad avere quella tossina in tempo per salvare la vita al signor Castle... e  che io sarò il primo a saperlo quando avverrà…
Era un giornalista in primis, ce l’aveva nel sangue, anelava allo scoop, ma per quanta faccia tosta potesse avere, Trenton Bell non si sarebbe mai sognato di ritrovarsi protagonista essenziale di un epilogo che il mondo avrebbe saputo entro pochi minuti, il tempo necessario che finisse di raccontare gli ultimi dettagli in redazione. Una diretta televisiva a cui lei, stavolta, non avrebbe partecipato. Niente interviste. Questi erano patti. Aveva risposto al suo sguardo, annuendo grata per il suo prezioso aiuto, sollevando ancora una volta gli occhi al cielo nero, ma pieno di stelle…
 
Il capitano Gates aveva riflettuto a lungo su tutta la situazione e alla fine aveva annuito.
-D’accordo. Ma così facendo, dovremo per forza fare un comunicato stampa, perché la notizia arrivi anche a Dunn.-
Kate aveva accennato un mezzo sorriso, poi aveva fatto una strana smorfia con le labbra che la Gates non aveva afferrato, alla fine si era chiusa nelle spalle.
-Pensavo che un giornalista potrebbe eludere la sorveglianza e trovarsi in reparto al momento giusto, in questo modo la notizia verrebbe divulgata ‘per caso’ senza che nessuno di noi debba avere a che fare personalmente con la folla che bivacca fuori dall’ospedale.-
-Un giornalista!?-
Aveva chiesto la Gates sollevando un sopracciglio e Kate aveva annuito.
-Uno importante… magari uno che si venderebbe la madre per un scoop.-
Il capitano Gates aveva alzato gli occhi al cielo.
-Vuoi che Trenton Bell partecipi alla sceneggiata!?-
Aveva alzato la voce più di quanto volesse, il pensiero di doversi fare aiutare da un uomo pomposo, egocentrico ed insopportabile come il direttore della CNN l’aveva scioccata! Ma era pur sempre un poliziotto, la situazione era grave e, anche se il piano non le piaceva per niente, aveva accettato di parlare in gran segreto con il signor Bell, sapendo bene che non ci avrebbe messo molto a convincerlo a collaborare con la sua squadra.
-Dottor Travis, quanto tempo le serve per organizzare tutto?-
-I farmaci agiranno in una decina di minuti, dei macchinari me ne occuperò al momento giusto.-
-Bene. Ryan tu occupati della trasmittente. Io vado a parlare con il signor Bell. Saremo in ospedale prima di un’ora dottore, la chiamiamo appena siamo pronti.-
Il capitano Gates aveva guardato Kate digrignando la mascella.
-Ti daremo quarantacinque minuti per attivare la trasmittente Beckett, non di più. Da quel momento sapremo dove sei e pronti ad intervenire. Ci servirà una parola d’ordine nel caso ti trovassi in difficoltà…-
 
Torna a sedersi, posando lo sguardo sulla porta aperta dello studio accanto, non riesce a capire perchè Lanie ci stia mettendo tanto per preparare una siringa ed una provetta. Certo era un po’ irritata quando le ha intimato di mettersi distesa e non muoversi, ma metterci tutto questo tempo non è da lei.
In quelle ore frenetiche, non era riuscita ad immaginarsi come sarebbe stato ‘l’epilogo’, di sicuro sapeva solo che avrebbe fatto qualunque cosa pur di avere tra le mani quella boccettina di veleno. Qualsiasi cosa. Anche uccidere o lasciarsi uccidere. Ed era proprio quello che aveva fatto una volta entrata nella tana del lupo. Aveva appoggiato le labbra sulla bottiglietta, aveva sentito il gusto dolciastro del veleno, consapevole che avrebbe potuto ucciderla lentamente, ma non ci aveva pensato due volte, pur di avere la fiducia incondizionata di Dunn.
Arrivata in ospedale lo aveva completamente dimenticato, fino a quando Esposito non l’aveva raggiunta in reparto, ascoltando in silenzio le spiegazioni del dottor Travis e la sua voce dura l’aveva riportata alla realtà, chiedendole ironicamente, se ‘avesse davvero assaggiato il veleno’…
Aveva lasciato la frase in sospeso e digrignato la mascella e non aveva fatto nulla per nascondere la rabbia che sentiva dentro per la sua avventatezza.
Non era riuscita a rispondere a nessuno degli sguardi sgomenti che si erano posati su di lei, perché Lanie l’aveva presa per mano, fiondandosi nello studio di Ben e costringendola a distendersi sul lettino per farle un prelievo, con l’ordine tassativo di non muoversi per nessun motivo.
 
-Cosa non era chiaro nella frase non muoverti per nessun motivo!?-
L’esclamazione di Lanie, apparsa all’improvviso, la fa sussultare di nuovo e si rende conto di non essersi rilassata per niente, l’adrenalina è scemata, ma sente ancora i nervi a fior di pelle.
-Mi sono solo messa seduta.-
Sussurra senza toglierle gli occhi di dosso, ma il viso di Lanie si indurisce ancora di più. Senza guardarla in faccia, le lega il laccio emostatico al braccio e prende la siringa per il prelievo.
-Lanie…-
Kate cerca di ammorbidirla, ma il suo sguardo di fuoco la zittisce. Con calma e precisione la dottoressa Parish preleva una provetta di sangue, le mette una garza sul braccio e le fa segno di tenerla. Sempre in assoluto silenzio, mette il tappo alla provetta, scrive sull’etichetta i dati del paziente e si avvia verso l’uscita.
-Lanie!-
La richiama Kate con esasperazione. L’amica si blocca sulla porta senza però girarsi.
-Pensi davvero che questo silenzio ti faccia sentire meglio o cambierà quello che è successo?-
Lanie si gira a guardarla, le labbra strette in segno di rimprovero e gli occhi fissi sui suoi.
-Sono stanca e affamata Beckett e non vorrei dire qualcosa che a stomaco pieno potrebbe risultare sbagliata.-
Kate scuote la testa, solo allora Lanie poggia la provetta sul carrello di metallo e le si avvicina puntandola con un dito.
-Dimmi che è stato lui a metterti quella boccettina sulle labbra. Dimmi che ti ha costretta, che non avevi altra scelta!-
Kate resta in silenzio a fissarla e questo la fa sbuffare. Si volta per andarsene di nuovo, ma l’amica la ferma prendendola per il braccio.
-Dovevo avere la sua attenzione, dovevo avere la sua fiducia incondizionata…-
-…ed era necessario avvelenarsi con le proprie mani per questo?-
Kate scuote la testa sospirando.
-Il piano prevedeva che restassi sola con lui e una volta nelle sue mani, sarei dovuta andare alla cieca…-
Lanie stringe le labbra, facendole capire che il piano era stupido fin dall’inizio, ma Kate continua con la sua spiegazione.
-Dovevo capire quale finale avesse scelto per Nikki… mentre vaneggiava mi sono resa conto che voleva che mi distruggessi da sola per il dolore e la colpa e quando mi ha messo la boccettina davanti…-
Sospira cercando di calmarsi, chiude gli occhi per eliminare dalla sua mente lo sguardo allucinato di Dunn.
-Dovevo assolutamente fargli credere che mi aveva in pugno e… e poi mi ha liberato una mano…-
La guarda dritto negli occhi prendendole le mani.
-Non ho mai rischiato niente Lanie, lo sai anche tu. Il veleno nelle mie mani significava l’antidoto per Castle e di conseguenza anche per me. Non sono mai stata in pericolo…-
-Davvero? E se ti avesse preso in giro? Se dentro quella bottiglietta ci fosse stato un altro veleno che ti avrebbe uccisa all’istante?-
-Aveva una trama ben precisa Lanie, non lo avrebbe mai fatto…-
Lanie le lascia le mani di scatto perdendo completamente la pazienza.
-Ti rendi conto di quello che dici Kate?! La sua trama? Il suo libro? Era uno psicopatico! Hai pensato solo un momento a quello che stavi rischiando?-
-NO! Non ci ho pensato! Una volta dentro quel magazzino non ho potuto programmare nulla, dovevo agire d’istinto e l’ho fatto!-
Anche Kate perde la pazienza e si ritrova a sospirare tenendosi ancora la testa che ha ricominciato a martellare. Il comportamento di Lanie la lascia spiazzata. La dottoressa deglutisce e riprende la provetta tra le mani per mettere fine a quella discussione.
-Non avrei potuto lasciarlo morire senza tentare qualunque cosa… e lo avresti fatto anche tu!-
Sussurra, prima che Lanie possa andarsene.
-Lo so!-
Risponde Lanie senza girarsi.
-Ho passato ore cercando di trovare una soluzione che avrebbe salvato Castle e di conseguenza te, perché sapevo che se non avessimo trovato quella formula ti saresti buttata a Kamikaze su Dunn…-
La voce le si incrina e scuote la testa sussurrando anche lei.
-…ma non ci sono riuscita! Volevo proteggerti, ma per quanto abbiamo provato, Claire e io, non siamo riuscite a trovare le dosi giuste per mettere al sicuro Castle e… te!-
Riporta lo sguardo su di lei.
-Ti conosco. So che agisci senza pensare. So che sei capace di farti ammazzare senza pensare al dolore di chi ti ama… lo hai fatto per anni. Anche con lui.-
Le lacrime hanno preso il sopravvento e fa per andare via, ma la mano di Kate è più veloce. Le prende la sua e Lanie si volta di scatto verso di lei abbracciandola.
-Non sono riuscita a proteggerti…-
Kate la stringe forte per poi scostarsi e guardarla.
-Lanie! Sai che hai detto una stupidaggine, vero!?-
La dottoressa annuisce, asciugandosi le lacrime.
-Si… come tutte quelle che hai detto e fatto tu finora…-
Si ritrovano a ridere e si abbracciano di nuovo. Lanie stringe la provetta di sangue nel palmo della mano e cerca di ricomporsi.
-Ci vorrà una mezz’oretta per avere i risultati, comunque non dovresti avere nessun problema. Torno tra un po’ con la tua dose di antidoto.-
Kate annuisce e le mette il braccio sulle spalle facendo la mossa di volere uscire con lei, che la guarda male.
-Ti prego Lanie! Ho bisogno di stargli vicino. Aspettare nella stanza di Castle non mi ucciderà, non credi?-
-Dovresti riposare… ma tanto che te lo dico a fare!-
Lanie continua a mormorare qualcosa, ma Kate non la segue. La guarda sorridendo e si ritrova dentro il magazzino insieme a Scott Dunn. Era entrata nella tana del lupo con il solo intento di fermarlo. Per quanto Castle lo avesse detto e ripetuto, si era resa conto delle sue intenzioni all’improvviso e all’improvviso aveva capito cosa fare per fargli abbassare la guardia. Doveva mostrarsi debole, sconfitta, pronta a porre fine al suo dolore.
Non era stato difficile.
Non era stato difficile per il semplice fatto che, mentre Scott Dunn le prospettava la sua vita futura senza Castle, mentre ripeteva cantilenando niente carezze, niente baci, niente sorrisi… mentre immaginava tutto questo, per un attimo, un solo attimo, ha sentito davvero il desiderio di lasciarsi andare.
Assorta in quel pensiero, che mai avrebbe confidato a Lanie, vede la mano dell’amica passarle davanti agli occhi.
-Sicura che la botta in testa non ti abbia causato danni dentro quel cervellino già malato?-
Lei scuote la testa e, uscendo, Lanie per poco non travolge Alexis che dietro la porta stava per bussare.
-Scusa Lanie… volevo sapere come sta Beckett!-
-Oh tranquilla… è ancora viva!-
Solleva la mano sbuffando ed esce di corsa, mentre Alexis corruccia la fronte e Kate solleva le spalle.
-E’ il suo modo di sfogarsi.-
Alexis sorride, scuotendo la testa.
-Anche Esposito è parecchio arrabbiato, non ha detto più una parola da quando Lanie ti ha sequestrata.-
-Gli passerà…-
La ragazza annuisce sospirando.
-E’ davvero tutto a posto?! Cioè… il veleno non…-
-E’ tutto a posto Alexis. Sto bene, non ho nessun sintomo e tra poco mi daranno l’antidoto. Non sono in pericolo…-
Alexis diventa seria improvvisamente. Abbassa lo sguardo arrossendo visibilmente, contorcendosi le dita nervosa.
-Tuo padre si è aggravato!?-
Le chiede Kate preoccupata mettendo una mano sulle sue, ma la ragazza scuote la testa tornando a guardarla.
-No, no… non è cambiato niente da quando lo hai lasciato… io volevo solo… prima quando… quando…-
Kate le stringe le mani annuendo, cercando di tranquillizzarla e capire il perché di quel balbettio. Alexis fa un altro sospiro e la guarda dritto negli occhi continuando ad arrossire.
-Quello che ho detto prima, durante la messa in scena della… della…-
Sbuffa alzando gli occhi al cielo.
-…non riesco nemmeno a dirlo. Insomma quello che ti ho detto, non lo pensavo davvero.-
Kate solleva le sopracciglia e lei stringe le labbra senza smettere di guardarla.
-Abbiamo avuto le nostre incomprensioni, ma mai e poi mai ti allontanerei da lui…-
Kate si ritrova a sorridere quando Alexis abbassa lo sguardo.
-...è solo che il dottor Travis ci ha detto di non lasciare trapelare niente, che doveva essere credibile per chiunque di estraneo ci fosse intorno a noi, che qualunque indiscrezione alla stampa avrebbe rovinato tutto e che tu dovevi sembrare abbastanza sconvolta da fare qualcosa di stupido,  ed io ho…-
Kate ferma quel fiume di parole stringendole le mani ancora più forte.
-Lo so!-
-Ne sei sicura? Non vorrei che pensassi che…-
-Non penso niente Alexis, solo che sei una brava attrice. Buon sangue non mente!-
Alexis scuote la testa con gli occhi lucidi.
-Quando ti ho chiesto se eri pronta a tutto per mio padre, non intendevo questo! Il veleno Kate… ti rendi conto che hai assorbito quel veleno?!-
Sospira chiudendo gli occhi.
-E potrebbe essere stato tutto inutile…-
Kate corruccia la fronte mentre Alexis sfugge il suo sguardo.
-…se non si svegliasse? Se il suo organismo non resistesse?-
-Andrà tutto bene!-
La rassicura Kate, sorridendole.
-Nelle ultime ore ha sofferto tanto. Sembra così indifeso!-
Sussurra con un nodo in gola e lei le accarezza il viso, fermandole due dita sotto al mento per incatenare lo sguardo al suo.
-Hai ragione. E’ indifeso. Quando qualcosa succede al di fuori del nostro controllo è così che diventiamo. Indifesi.-
Le sorride inclinando la testa, sentendo il calore delle sue lacrime sulla mano.
-Ma è anche forte, testardo… andrà tutto bene!-
La prende sotto braccio e la spinge lungo il corridoio.
-Accompagnami da lui…-
 
Dopo che il capitano era scesa dall’auto, seguita da Ryan ed Esposito, era rimasta sola con il telefono tra le mani, sentendo uno strano brivido sulla schiena.
-Kate!-
La voce di Rick l’aveva fatta sussultare e aveva tolto il viva voce portandosi il telefono all’orecchio.
-E’ un buon piano Castle!-
L’aveva detto per auto convincersene, ma lui aveva sospirato.
-No… non lo è… è pericoloso…-
Era preoccupato. Per lei. Come sempre. Le era venuto un groppo in gola e aveva desiderato di potersi stringere a lui e lasciarsi proteggere… ne aveva un bisogno immenso.
-Fidati di me Castle!-
-Sai che non è questo… ho… ho paura…-
Lei aveva chiuso gli occhi cercando il coraggio che temeva di non avere e poi aveva sorriso alla sua nuova uscita.
-Portami il suo scalpo!-
 
Mentre si dirige verso la stanza di Castle, abbracciata ad Alexis, mette la mano in tasca e stringe la boccettina vuota di veleno, che ha tolto dalla mano del cadavere di Dunn… non era il suo scalpo, ma Castle si sarebbe accontentato…


Angolo di Rebecca:

Che dire di questo capitolo? Solo che è chilometrico, avete ragione!
Per sommi capi abbiamo visto com'è nata la messa in scena (completamente fuori, tutti quanti, compresa la Gates).
Rick è vivo, fa il bello addormentato, ma il cuore di Kate è abbastamza tranquillo (forse)...
Lanie era leggermente arrabbiata, Alexis invece non vedeva l'ora che tornasse sana e salva e non solo per la vita del suo papà...

Vi siete riprese dal matrimonio del secolo? Io no :p quindi non mi resta che augurarvi buona luna di miele!

PS: avete notato nente di diverso nel banner di questo capitolo??? Baci! <3




 

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Capitolo 53
*** Finalmente a Casa... ***





 

Capitolo 53
 

 
La sala d’attesa è illuminata solo da qualche faretto posto agli angoli del soffitto.
I neon, che di solito fanno luce a giorno tutto intorno, sono spenti e dal finestrone che sporge sul parco interno dell’ospedale, entra il chiarore di una luna sbiadita.
Gli agenti del 12th che hanno partecipato alla cattura di Dunn, oltre quelli posti di guardia al piano, sono ancora al loro posto nonostante l’emergenza sia rientrata; probabilmente aspettano ordini dal capitano Gates, ancora impegnata con i giornalisti.
Esposito si è sistemato nella sedia più lontana della sala, proprio vicino all’ascensore. Con le braccia appoggiate sulle gambe si strofina le mani sul viso, come a voler scacciare la tensione e la stanchezza solo con quel gesto. Solleva lo sguardo su di lei e digrigna la mascella. E’ ancora arrabbiato. Dalla sua espressione potrebbe anche non perdonarla mai.
Nemmeno Ryan si decide a tornare a casa.
La sua attenzione però, viene catturata dall’uomo in giacca e cravatta davanti alla camera di Castle. Corruccia la fronte storcendo le labbra irrigidendosi, cosa che non sfugge ad Alexis.
-E’ arrivato mentre Lanie ti faceva il prelievo.-
Le dice piano per non farsi sentire e Kate solleva un sopracciglio continuando a fissare le spalle dell’uomo, che ha lo sguardo fisso e corrucciato al di là del vetro, sull’attrice dai capelli rossi che stringe la mano dello scrittore.
-Mi daresti un paio di minuti?-
Le chiede senza distogliere lo sguardo dal direttore della CNN e Alexis annuisce, staccandosi dal suo abbraccio.
-Ti aspetto da papà.-
Le dice aprendo la porta. Bell sposta lo sguardo su di lei e la saluta con un cenno della testa.
-La avverto signor Bell. Se sta facendo delle fotografie con un mini accendino nascosto, la disintegro.-
L’uomo tira fuori le mani dalle tasche dei pantaloni e le alza in segno di difesa.
-Ho già avuto il mio scoop… perché rovinare tutto e ritrovarmi disintegrato!-
Beckett continua a guardarlo sospettosa e per niente divertita dal suo lato spiritoso.
-Dico sul serio. Ho avuto più di quello che avrei mai potuto sperare in una vita intera…-
 
-Non se ne parla nemmeno capitano. Se le cose dovessero andare male, potrei anche essere sollevato dalla mia posizione.-
Il direttore Bell aveva ascoltato il piano del capitano Gates in silenzio, ma alla fine aveva sbottato allontanandosi d’improvviso dalla sua scrivania. La Gates aveva sorriso e si era seduta dall’altra parte accavallando le gambe, senza distogliere lo sguardo da quello dell’uomo.
-Andiamo signor Bell! Sappiamo benissimo entrambi che comunque vadano le cose, non solo avrà uno scoop praticamente in diretta, ma anche la parte da protagonista. Tutti sapranno che lei, in quanto direttore di un’importante emittente televisiva nazionale, ha rischiato il tutto per tutto per aiutare la polizia ad arrestare un pericoloso criminale e salvare la vita ad un personaggio importante della New York che conta… amico intimo del Sindaco…-
Aveva lasciato la frase in sospeso sollevando un sopracciglio sul sorriso impercettibile che si era disegnato sulle labbra di Bell mentre si immaginava la scena.
-Sarà pure una notizia falsa da dare al mondo, ma la finta morte del signor Castle potrebbe portarci velocemente a Dunn. Questo ci permetterebbe di salvargli la vita. Ci pensi bene signor Bell, pensi a cosa succederà quando dirà al mondo che era una trappola e che lei è stato un tassello importante per portarla a termine.-
Bell si era rimesso a sedere storcendo le labbra.
-Come dovremmo agire?-
-Le farò avere accesso al reparto in cui è ricoverato, la sorveglianza ‘non si accorgerà di lei’ e non la fermerà. Assisterà ‘alla morte di Castle’ e naturalmente farà di tutto per dare la notizia il più presto possibile. Dovrà essere una cosa immediata in modo che Dunn non abbia il tempo di riflettere e agire d’impulso.-
Il direttore Bell aveva annuito, incrociando le mani sulla scrivania.
-Voglio esserci!-
Le aveva detto sorridendo e il capitano Gates si era raddrizzata guardandolo dura.
-Signor Bell…-
Aveva cominciato a dire, ma il direttore l’aveva bloccata subito.
-Voglio essere sul posto con lei e la sua squadra. Voglio fare parte della fine di questa storia, qualunque essa sia. Voglio sentire tutto e vedere tutto in prima persona. Non accetterò in altro modo.-
Contrariamente a quanto pensava, il capitano aveva annuito e lui si era ritrovato a sorridere, ma aveva smesso di colpo quando la donna aveva appoggiato le mani sulla scrivania, sporgendosi verso di lui.
-Si atterrà solo ai fatti, senza forzature e senza gonfiare le notizie. Obbedirà alle mie disposizioni senza fiatare e si muoverà soltanto quando tutto sarà finito.-
Aveva inspirato profondamente stringendo le labbra, cercando di immaginarsi un lieto fine, poi aveva scosso la testa.
-Niente interviste a me, a Beckett o a chiunque altro della squadra o della famiglia Castle. Non accetterò in altro modo.-
Il direttore Bell aveva teso la mano sorridendo, mentre la Gates gliel’aveva stretta senza un minimo movimento del viso.
Si era voltata per andarsene e dopo aver aperto la porta lo aveva guardato.
-Il detective Esposito si occuperà di farla entrare in ospedale senza che nessuno la veda… si tenga pronto.-
Era uscita chiudendosi la porta alle spalle. Si era soffermata un momento chiudendo gli occhi e aveva stretto le mani in un pugno.
Non le piaceva.
Non le piaceva il piano. Non le piaceva lasciare Beckett sola con quello psicopatico anche solo per cinque minuti. Non le piaceva doversi portare dietro Trenton Bell.
Ma non doveva farselo piacere, doveva solo farlo funzionare per dare anche solo una possibilità di sopravvivenza a Richard Castle.
Aveva sospirato, rilassato le mani sistemandosi la giacca del tailleur e si era incamminata verso l’uscita a testa alta e pronta a tutto…
 
-…le sembrerà strano, ma sono un uomo d’onore. So stare ai patti.-
Bell abbassa le mani e le osserva il viso.
-Anche se una foto del suo profilo viola a tutto schermo sarebbe fantastica!-
Kate solleva un sopracciglio e lui si volta a guardare ancora dentro la stanza di Castle.
-Nessuna foto e nessuna intervista. Ho promesso… e mi sono anche appuntato mentalmente di non giocare mai a poker con lei.-
Kate corruccia la fronte e Bell si chiude nelle spalle.
-Per un attimo ho avuto davvero l’impressione che volesse bere quel veleno…-
Sussurra l’ultima frase corrucciando la fronte, ma poi torna a sorridere, tendendole la mano.
-E’ stato un piacere lavorare con tutti voi. Se aveste ancora bisogno di un cuore di pietra pronto a vendersi la madre per l’audience… a disposizione.-
Kate gli stringe la mano guardandolo seria.
-Grazie signor Bell!-
Il tono di Kate è sincero e il direttore sposta lo sguardo sullo scrittore, annuendo.
-Sono felice di essere stato utile. Adesso vado ad affrontare le iene che stanno tormentando il capitano Gates perché sono invidiosi della nostra collaborazione.-
Si sistema la cravatta e si passa le mani sui capelli, sporgendosi verso di lei con fare cospiratorio.
-Sto per scoprire il prezzo che c’è da pagare nel trovarsi nel mirino della stampa!-
Riesce a strapparle un sorriso e si dirige all’ascensore, ma mentre aspetta che arrivi al piano si volta ancora verso di lei.
-Ah, detective Beckett, per quell’offerta di lavoro alla mia redazione… non se ne fa nulla!-
Kate storce le labbra.
-Non mi ritiene più così grandiosa?!-
Bell solleva le spalle, scuotendo la testa.
-Perché trasformare un ottimo poliziotto in un pessimo giornalista!?-
Kate si ritrova a sorridere senza volerlo, mentre Bell la saluta un’ultima volta prima di sparire dietro le porte dell’ascensore.
Si volta per andare finalmente da Rick, ma si ritrova davanti suo padre che la guarda serio.
-Non dirmi che non è viscido come sembra. Potrebbe cadermi un mito!-
Esclama in tono fintamente preoccupato e lei scuote la testa.
-Mhh… viscido è viscido, ma non sono più così sicura che si venderebbe la madre per uno scoop…-
Sorridono insieme, ma quando padre e figlia si ritrovano occhi negli occhi, cala il silenzio per qualche attimo.
Jim solleva la mano e le sfiora la tempia, ormai color melanzana, lasciandole poi una carezza sulla guancia.
-Sto bene papà.-
Sussurra lei quando Jim sospira abbassando la mano. Il padre annuisce come rassegnato.
-Ne sono sicuro. Hai la testa dura… come tua madre!-
Le prende le mani inclinando la testa. Ha gli occhi lucidi, deglutisce un paio di volte senza riuscire a dire altro e Kate gli stringe le braccia intorno alla vita. Quando gli appoggia l’orecchio sul petto il suo cuore batte veloce. Lo sente sospirare e sciogliere la tensione, come se quell’abbraccio gli avesse finalmente dato la certezza che in un modo o nell’altro era tutto finito e che la sua bambina era salva.
La stringe a sé, appoggiando la guancia alla sua, continuando a stare in silenzio. Il battito del suo cuore parla per lui e anche lei sente la tensione sciogliersi del tutto.
Si scosta per guardarla, le mette ancora la mano sul viso e finalmente accenna un sorriso su quegli occhi così simili a quelli di sua madre e che gli tolgono il respiro. Le posa un braccio intorno alle spalle e si avvicinano alla finestra che mostra l’interno della stanza di Rick. La scena non è cambiata. Martha continua a stargli vicino stringendogli la mano.
-Papà, grazie di essere rimasto con loro.-
Sussurra senza distogliere lo sguardo da quello che sembra un dipinto dentro la cornice del vetro che li divide.
-Sai Katie, ho sempre avuto le idee chiare su Rick, ho sempre pensato fosse l’unico uomo abbastanza fuori di testa da non arrendersi con te…-
Kate scuote la testa sorridendo, mentre Jim continua a guardare Castle e sua madre.
-…ma qualunque dubbio potessi ancora avere, dentro quella stanza è svanito. Per ore ha sopportato il dolore, la paura, la rabbia e l’unico suo pensiero sei sempre stata tu.-
Kate si gira a guardarlo. Il suo profilo è serio, l’ansia e la preoccupazione delle ultime ore hanno segnato il suo viso, marcando le rughe attorno agli occhi e alle labbra.
-Dentro quella stanza c’è un piccolo mondo Kate.-
Lei riporta lo sguardo oltre la finestra, ascoltando la voce calma e calda di suo padre.
-Rick è il centro e Martha ed Alexis sono il suo contorno. Il suo passato ed il suo futuro. Quello che lui è diventato e quello che ha seminato per il futuro con sua figlia… tre meravigliose generazioni di cui tu hai l’onore di far parte Katie.-
Finalmente distoglie lo sguardo puntandolo su di lei, che lo guarda con gli occhi lucidi.
-Quell’uomo ti ama Kate, di un amore sconfinato e, se hai rischiato la vita per questo… beh, non mi fa piacere e non sono certo contento, ma non posso che esserne fiero.-
Lei annuisce abbassando lo sguardo.
-E se non fosse servito a nulla? Se fossimo arrivati tardi con l’antidoto? Prima Alexis mi fatto la stessa domanda ed io le ho risposto sicura che andrà tutto bene, ma…-
Torna a guardarlo e lui le sorride togliendole una ciocca di capelli impigliata nella medicazione sulla tempia.
Piccola e fragile come quando combinava un guaio da bambina e fingeva di non avere paura né del dolore, né delle punizioni dei genitori, mentre i suoi occhi chiedevano solo certezze e abbracci.
-Andrà tutto bene!-
Le dice stringendola ancora a sé.
-Devi solo entrare lì dentro e non lasciarlo più… vuole solo questo Kate. Ha sopportato tutto solo per questo.-
Si voltano entrambi verso l’ascensore, quando sentono il campanello che annuncia l’apertura delle porte. Jim riporta lo sguardo sulla figlia e scioglie l’abbraccio.
-Vedo se riesco a convincere Martha a riposare qualche ora. Tu fa con comodo.-
Kate lo guarda rientrare nella stanza, riportando subito lo sguardo sul capitano Gates, ormai a metà corridoio.
-L’hanno lasciata andare finalmente!-
Le dice mentre lei si guarda intorno, posando lo sguardo poi su Castle.
-Gli hanno già dato l’antidoto?-
-Una dose intera. Terapia d’urto l’ha definita il dottor Travis, ma nelle prossime ore continueranno con altre piccole dosi.-
La donna annuisce tornando a guardarla.
-E a te… l’hanno dato l’antidoto?-
La voce stavolta è più tagliente e Kate scuote la testa.
-Aspetto Lanie con il risultato dell’analisi del mio prelievo… ma non ho nessun sintomo, non dovrei avere problemi.-
-Se lo dici tu!-
Kate si sporge a guardare Esposito che continua a fissarla e il capitano fa lo stesso, sorridendo appena…
 
Due squadre di tre uomini della Speciale erano pronte ad entrare in azione.
Tori era l’unica del 12th al corrente della messa in scena, si sarebbe occupata della trasmittente e di tenere i contatti tra i colleghi. Il capitano Gates aspettava appoggiata alla scrivania, con le braccia conserte e lo sguardo fisso sul monitor del trasmettitore ancora spento. Ryan giocherellava con il telefono rigirandoselo tra le mani, invece Esposito sembrava una belva in gabbia, mentre andava avanti e indietro nello spazio ristretto della sala radio. Esasperata, il capitano aveva guardato l’orologio per l’ennesima volta e con molta calma si era avvicinata a Tori.
-Accendi!-
I tre l’avevano guardata. I quarantacinque minuti stabiliti non erano ancora passati, ma il capo aveva fatto un cenno perentorio con la testa e la ragazza aveva acceso la trasmittente.
‘Mi hai rubato la vita Nikki e c’è stato un momento in cui ho pensato che sarebbe stato meglio morire…’
La voce limpida di Dunn aveva fatto eco per la stanza e sul monitor erano apparse linee colorate che in pochi secondi avevano fatto il monitoraggio di tutta la città, fino a fermarsi in un punto concentrico rosso, mostrando un indirizzo.
-1576 48th Ave...-
Aveva cominciato Tori, ma Esposito l’aveva bloccata sporgendosi in avanti.
-Maledetto psicopatico. L’ha portata nel palazzo abbandonato in cui l’hanno fermato lei e Castle!-
-Andiamo!-
Era stato l’ordine perentorio della Gates e in pochi minuti si erano trovati parcheggiati proprio ad un isolato dal palazzo, in compagnia del direttore della CNN ad assistere in prima fila.
Avevano ascoltato in silenzio ogni parola. Beckett sembrava al sicuro, ma la tensione in auto si tagliava col coltello.
‘E’… è strano. Chissà perché pensavo fosse amaro, invece è… dolce…’
A quella frase si erano immobilizzati, perfino Trenton Bell aveva trattenuto il respiro. Il capitano aveva stretto i pugni.
-Non l’avrà fatto sul serio? Sta… sta bluffando!?-
Aveva esclamato Ryan sgranando gli occhi, ma prima che potessero elaborare una risposta, Esposito aveva già messo un piede fuori dall’auto.
Il capitano lo aveva fermato, ma lui aveva sbattuto il pugno sul cruscotto.
-Ha capito che sta facendo?-
La donna lo aveva guardato gelida.
-Ho capito benissimo, ma non ha detto la parola d’ordine, significa che si sente al sicuro e che sa quello che fa.-
-Capitano, Beckett non sa quello che fa… in questo momento…-
-In questo momento ha bisogno solo del nostro supporto, quindi calmati o ti mando via! Non sto scherzando…-
-Si signore!-
Esposito aveva risposto sibilando, chiudendosi poi in un silenzio assoluto, fino a quando non aveva puntato la pistola alla nuca di Dunn...
 
-Quando abbiamo capito che avevi assaggiato davvero la tossina siamo rimasti di ghiaccio, tranne Esposito. Ha aperto lo sportello dell’auto ed era già con un piede fuori pronto alla guerra. Se non lo avessi fermato io, sarebbe entrato in quel magazzino, ma non credo che avrebbe ucciso Dunn, penso più che avrebbe picchiato te.-
Torna a guardarla scuotendo la testa.
-Non ha più detto una parola da allora. Penso sia arrabbiato anche con me adesso.-
Kate sposta lo sguardo su Castle e sospira.
-Sarebbe tanto chiederle di aspettare qualche ora per la ramanzina e per i richiami ufficiali? Sono davvero stanca…-
-Ramanzina!?-
Kate torna a guardarla e alla sua espressione corrucciata solleva le spalle.
-Per  non avere detto la parola d’ordine. Per essermi messa in pericolo con le mie mani.-
Il capitano scuote la testa avvicinandosi di più al vetro.
-Sarei incoerente se lo facessi.-
Kate le si mette accanto con gli occhi fissi su Rick e su quel monitor le cui linee ritmiche continuano a ripetere che il suo cuore batte e la Gates, osservandola sott’occhio, sorride impercettibilmente.
-Fin dall’inizio ti ho detto che saresti stata l’unica a sbrogliare la matassa e sin dall’inizio ti ho dato carta bianca per questo. Per quanto abbiamo cercato di essere distaccati, questo non era un caso come gli altri. Soprattutto non era un caso… ho accettato questa farsa controvoglia, ma era l’unica cosa da fare.-
Si gira a guardarla, mentre Kate resta ferma con lo sguardo sempre nello stesso punto. Il suo profilo mostra la benda sulla tempia e il colorito violaceo sotto che si sparge pian piano anche più in basso verso lo zigomo.
-Sapevamo che una volta nelle sue mani avresti dovuto agire da sola e lo hai fatto con le armi che avevi. Non hai messo in pericolo i colleghi, hai pensato a mettere al sicuro Abraham e hai anche evitato di uccidere Dunn…-
All’ultima frase Kate sussulta senza però spostare lo sguardo.
-…direi che hai fatto quello che c’era da fare. La priorità era entrare in possesso del veleno, quindi non ho nessuna ramanzina e nessun richiamo ufficiale da fare.-
Kate annuisce stringendo le labbra. Deglutisce vistosamente e il capitano non la forza a dire nulla, cambiando decisamente discorso.
-Mi sono appena resa conto che oggi è sabato e i miei sono tutti a casa.-
Sospira guardando l’orologio.
-Non li vedo da giorni, credo che starò un paio di ore con loro prima di tornare al distretto per i rapporti e le pubbliche relazioni. Troverò un modo zen per non replicare alla ramanzina che farà a me il Capo della Polizia per il nostro teatrino.-
Solo in quel momento Kate si decide a guardarla senza comunque riuscire a dire nulla, mentre lei invece si guarda intorno.
-Prima darò ordine alle truppe di ritirarsi, non credevo fossero ancora tutti qui.-
Sta per andarsene, ma Kate la ferma mettendole la mano sulla sua, ancora appoggiata alla cornice del vetro.
-Signore, grazie!-
La donna la guarda corrucciando la fronte.
-Perché non ci sarà nessuna ramanzina?-
Kate scuote la testa e il capitano solleva le spalle.
-Ho fatto solo il mio lavoro, come tutti.-
La tensione di quel momento sembra allentarsi e Kate finalmente sorride inclinando la testa.
-Scendendo in campo in prima persona? Inimicandosi la stampa e mettendosi contro un giudice federale?-
Il capitano sbuffa sventolando la mano in aria, come a non voler pensare alle mummie del club maschilista.
-Obbedendo ai miei ordini senza fiatare?!-
A questa esclamazione si guardano serie per un attimo per poi scoppiare a ridere, poi Kate riporta lo sguardo su Rick.
-Gli è stata vicino e si è presa cura di Castle quando io non c’ero. E’ stato importante per lui non essere estromesso dalle indagini… questo va oltre il lavoro e le sue competenze.-
La Gates annuisce seria.
-Mettiamo bene in chiaro una cosa. Quando tornerà al distretto continuerò a non farmelo piacere.-
Kate scoppia a ridere, ma ha gli occhi pieni di lacrime.
-Credo che questo lo renderà felice!-
Incatena di nuovo lo sguardo al suo stringendo le labbra e corrugando la fronte, come per trovare le parole giuste da dire.
-Ho amato il capitano Montgomery. E continuo ad amarlo e a sentirmi legata a lui… nonostante tutto.-
Anche la Gates corruccia la fronte, stupita da quella strana affermazione.
-Quel nonostante tutto è un macigno per me e lei quel giorno lo ha capito e ha lasciato correre. Fiducia e rispetto si guadagnano dando fiducia e rispetto. E’ questo che fa di lei un capo. Un capo che si è meritata il mio rispetto e la mia fiducia incondizionata… e non solo per quello che è stata capace di fare per Castle negli ultimi giorni…-
Restano a guardarsi serie. Adesso è proprio il capitano Gates che non riesce a rispondere. Non se lo aspettava. Non in quel momento. Non che Beckett la paragonasse proprio al capitano Montgomery.
Si schiarisce la gola visibilmente emozionata.
-Siamo una bella squadra, Kate!-
Esclama stringendole le mani.
-Se ci sono novità di qualunque tipo chiamami subito, io tornerò qui appena mi libererò delle scartoffie.-
-Si signore…-
Il silenzio della sala d’attesa viene rotto da una voce ad alto volume e con tono preoccupato, tanto che perfino Esposito, seguito da Ryan e dagli altri agenti ancora presenti, si avvicinano all’uomo che adesso è davanti al capitano e si stritola le dita nervoso, saltellando prima su un piede e poi sull’altro.
-Signore… capitano… mi scusi ma io devo andare… devo proprio andare…-
La Gates lo guarda allarmata.
-Agente Lowell! Si può sapere che ti urli? Che succede?-
-Devo proprio andare, so che non ci ha ancora dato il permesso di rientrare, ma io devo andare… adesso. Subito!-
L’agente continua a saltellare nervoso e il capitano cerca di calmarlo.
-Lowell vuoi dirmi che succede?-
-Mia moglie ha le doglie… anzi no, è già in sala parto, mi hanno appena chiamato, se non mi sbrigo non arriverò mai…-
Tutti intorno sorridono e la Gates alza gli occhi al cielo.
-Cerca di calmarti Lowell. Dov’è il problema? Vai!-
-Grazie capitano!-
Fa per andarsene, ma la Gates lo ferma afferrandolo per il braccio.
-Lowell dove devi andare esattamente?-
Il giovane corruccia la fronte completamente confuso e nel pallone.
-In quale ospedale nascerà tuo figlio?!-
Chiede esasperata il capitano tra le risate sommesse di tutti.
-Al Saint Andrew!-
Lowell continua ad essere confuso, con l’unico pensiero di andare via, ma quando la Gates solleva un sopracciglio aprendo le braccia e guardandosi intorno, il giovane si immobilizza sul posto.
-Oh… siamo già al Saint Andrew!-
Esclama arrossendo visibilmente e mentre le risate intorno aumentano, il capitano annuisce.
-Quindi?!-
Esclama fulminandolo con lo sguardo.
-Quindi devo solo prendere l’ascensore e scendere di due piani.-
Scoppiano tutti a ridere, compresa Kate e la Gates gli fa segno con la testa di andarsene.
-Lowell… prendi le scale così ti rilassi un po’, non vorrai mettere ansia a quella povera donna che sta per partorire?!-
Il giovane arrossisce ancora di più per quanto possibile e il capitano guarda il suo collega di pattuglia.
-Accompagnalo, prima che si perda per le scale.-
L’agente annuisce correndogli dietro e il capitano dà ordine a tutti di tornarsene a casa fino a nuovo ordine.
Ryan è imbambolato a guardare la porta che dà sulle scale e alla fine si passa la mano dietro la nuca.
-Ci si rimbambisce così quando si sta per diventare padre?!-
Lo chiede più a se stesso che ai colleghi, ma Esposito lo guarda torvo.
-Non lo so… suppongo ci darai tu la risposta tra qualche mese…-
Lascia la frase in sospeso passandogli davanti senza guardare nessuno e Ryan corruccia la fronte guardando Beckett, che allarga le braccia.
-Io non ho detto niente…-
-Adesso è arrabbiato anche con me!-
Esclama Ryan correndo dietro l’amico, mentre la Gates solleva un sopracciglio guardando Kate.
-Mi sono persa un’altra puntata della soap?-
Kate si chiude nelle spalle storcendo le labbra e il capitano scuote la testa sorridendo.
-Beh… sembra arrivato il tempo delle buone notizie, finalmente! Vedi di riposare anche tu Beckett…-
Si, signore…
Risponde lei silenziosamente, mentre la donna si dirige con calma verso l’ascensore.
 
La sala d’attesa si è svuotata dopo che gli ultimi colleghi sono andati via.
Le sedie vuote le provocano uno strano nodo allo stomaco.
Si sofferma ancora un attimo all’interno della stanza in cui Rick continua a dormire. Appoggia la mano al vetro e il nodo allo stomaco si ripresenta puntuale. Sorride nel vedere suo padre chino su Martha. Conoscendo le sue espressioni sembra stia cercando di fare opera di convincimento, con molta pazienza. Evidentemente Martha non intende andare a riposare e quando Alexis la guarda, alzando gli occhi al cielo, si decide ad entrare.
Martha le sorride dolcemente, mentre aumenta la stretta di entrambe le mani su quella di Rick come se si aggrappasse a lui per impedirsi di piangere, ma gli occhi le diventano lucidi.
-Sono davvero sfinita! Dovrei riposare un po’.-
Esclama all’improvviso, lasciando la mano di Rick e alzandosi di colpo rivolgendosi a Jim.
-Ho notato un bel divano proprio in fondo al corridoio, mi accompagni?-
L’uomo si acciglia sospirando.
-Ma se fino ad un attimo fa hai detto che non ti saresti mossa da questa stanza nemmeno se…-
Si zittisce di colpo quando Martha gli volta le spalle, rivolgendosi a Kate sorridendo.
-Prenditi cura di lui in mia assenza, tesoro. So che sei stanca anche tu, ma ho bisogno di chiudere gli occhi mezz’ora!-
Kate guarda prima suo padre, che a questo punto sembra rassegnato e poi annuisce a Martha che l’abbraccia tanto forte da sentire di nuovo il corpo urlare di dolore ovunque.
Quando la lascia le accarezza il viso e, senza dirle altro, si dirige alla porta.
-Non volevi accompagnarmi, Jim!?-
Papà Beckett esce dopo di lei, non prima di avere allargato le braccia verso la figlia, sollevando gli occhi al cielo.
Alexis invece, si avvicina al padre, gli accarezza i capelli e gli lascia un bacio sulla fronte.
-Io non troverò nessuna scusa per lasciarti sola con lui, andrò semplicemente a prendere un caffè. Se ti serve qualcosa, sarò qui fuori.-
Kate scuote la testa, continuando però a tenere lo sguardo su Rick.
-Non serve che esci.-
-Si invece, ne avete bisogno entrambi…-
Le risponde la ragazza, lasciandola finalmente da sola insieme a lui.
Rimane ferma a guardarlo dai piedi del letto. Il suo viso ha i lineamenti più distesi, non sentendo dolore è normale sembri più tranquillo, ma il suo colorito non lascia dubbi sulla sua sofferenza.
Ha ragione Alexis. Ha bisogno di stare sola con lui.
Si avvicina piano, come se avesse paura di disturbarlo, gli tocca la fronte e sospira. E’ ancora più caldo del momento in cui la loro sceneggiata era iniziata. Solleva lo sguardo sulla flebo che continua ad idratarlo e tenerlo sedato, chiudendo gli occhi…
 
L’avevano lasciata sola con Rick come da copione.
Il dottor Travis aveva iniettato le medicine nella flebo e, nel giro di una decina di minuti, Rick si sarebbe addormentato.
Era stremato. Stanco e spossato, divorato dal dolore… e arrabbiato. Glielo aveva detto subito, come se temesse di non poterlo più fare. Si sentiva in colpa per non aver mirato alla testa di Scott Dunn tre anni prima, non solo per le conseguenze che questa sua scelta stava avendo su di lui, ma soprattutto per la morte di quelle tre giovani donne che avevano sogni, speranze ed una vita da vivere… e si sentiva in colpa perché lui, in un modo o nell’altro era ancora vivo e stava lottando in ogni modo per cercare di sopravvivere.
Era teso, il monitor, non ancora manomesso, segnava le sue reali pulsazioni e non riusciva a calmarsi in alcun modo. Sperava di risvegliarsi, ma aveva paura per quello che stava per succedere.
-Promettimi che… che  starai attenta. Non fare niente di… stupido Kate, ti prego… non me lo perdonerei mai.-
Continuava a ripeterglielo mentre lei sentiva un peso sul petto che le impediva di dare aria alla voce. Non gli aveva risposto, continuava solo ad accarezzarlo ripetendosi mentalmente che avrebbe fatto di tutto per salvarlo.
Rick aveva tossito e quando si era calmato era rimasto in silenzio anche lui a guardarla.
Piangeva… non avrebbe voluto, perché stringeva le labbra digrignando la mandibola, ma era un’altra cosa fuori dal suo controllo.
Piangeva e quando lei gli aveva asciugato le lacrime con il dorso della mano aveva sospirato, cercando di rilassare la tensione.
Era rimasta con lui per quasi dieci minuti e non era riuscita a dirgli nulla, sapeva benissimo che quello che stava per succedere era una finzione, ma lui soffriva sul serio e se il loro piano fosse andato male, Rick non si sarebbe più risvegliato e questo le impediva di pensare, di parlare, di essergli di conforto in quel momento in cui lui era così fragile.
La guardava come un bambino impaurito, pensava anche lui la stessa cosa. Sapeva che quelle carezze potevano essere le ultime che sentiva sulla pelle se Dunn avesse avuto la meglio, ma sapeva anche che Kate era in pericolo e questo lo attanagliava ancora di più.
I brividi avevano cominciato a scuoterlo e lei lo aveva sollevato su di sé.
-Tienimi stretto, Kate… tienimi stret…-
La frase gli era morta sulle labbra e lei si era sentita gelare.
Sapeva perfettamente che era solo l’effetto della terapia farmacologica, ma aveva continuato a stringerlo a sé piangendo senza riuscire a fermarsi.
Non voleva provare quel dolore. Non voleva sentire quella lama che l’avrebbe uccisa pur lasciandola in vita.
Aveva finalmente premuto il pulsante d’emergenza, il segnale che avrebbe fatto capire a Ben che doveva entrare in azione.
Il resto era stato tutto come previsto, ma più doloroso di quanto avesse mai immaginato…
 
Gli prende la mano e gli poggia sul palmo la boccettina vuota del veleno, ricoprendola con la sua.
-Ti ho portato il suo scalpo.-
Gli accarezza dolcemente i capelli chinandosi a baciarlo sulla fronte. Appoggia le labbra al suo orecchio e chiude gli occhi.
-E’ finita Castle! Dunn non nuocerà più a nessuno. Ma non ho intenzione di parlare di questo adesso, avremo tempo per lui…-
Prende dalla tasca del cappotto la lettera che le ha scritto, la apre con cura e accarezza le parole con i polpastrelli.
-…adesso voglio farti una confessione… ora che hai gli occhi chiusi, perché con il tuo sguardo addosso non sono sicura che riuscirei a farlo.-
Rilegge mentalmente le parole di Rick, fino a fermarsi alla frase che la interessa.
-Non so esattamente quando è successo, non so nemmeno se tu te ne sia mai resa veramente conto, ma un giorno hai cominciato a sorridere davvero, Kate ed è successo grazie a me. Non scuotere la testa pensando che sono il solito egocentrico, perché non è vero. Sono realista e, almeno questo, me lo devi…-
Pronuncia sottovoce quella frase e solleva lo sguardo su di lui.
-Quando Ben mi ha chiusa fuori da questa stanza, sapevo che stavamo solo fingendo, eppure mi sono estraniata davvero. Per qualche secondo non sono riuscita a sentire nulla. Vedevo quello che succedeva intorno a me, la Gates che fingeva di litigare con Bell, il via vai continuo di infermieri e poliziotti, eppure non riuscivo a sentire nessun rumore.-
Posa la lettera sul comodino e si avvicina di più a lui, stringendogli la mano.
-Ero davanti alla porta chiusa e l’unica cosa che mi tornava in mente era questa lettera. Le tue parole…-
Solleva la sua mano e chiudendo gli occhi, se l’appoggia sulla guancia.
-Hai ragione, Castle! Io ti devo ogni piccolo sorriso degli ultimi cinque anni. Ho ricominciato a ridere senza accorgermene. Senza rendermene conto sorrido anche solo pensando alle stupidaggini che sei capace di dire o fare. Mi hai fatto vedere il sole ogni volta che mi sono persa nell’oceano che sono i tuoi occhi.-
Sorride chinando la testa per assaporare meglio la pelle calda della mano di Rick sul viso.
-Qualche giorno fa ho detto a mio padre che dipendo da te e la cosa mi spaventava… anzi no, quasi mi infastidiva. Ma mentre parlavo con lui mi sono resa conto che invece mi piace. Mi piace pensare di dipendere da te, dal tuo sorriso, dalla tua voce, dalla tua presenza e anche dalla tua assenza. Mi piace pensare di avere bisogno di te, delle tue braccia che mi stringono per proteggermi e per amarmi con passione. Mi piace sapere che vegli su di me…-
Le lacrime le offuscano la vista, per un attimo vede il suo viso sfocato e sorride ancora, mentre le asciuga.
-Mi piace pensare che anche tu dipendi da tutto questo… che hai bisogno delle mie braccia sempre pronte a stringerti e amarti…-
Senza accorgersene si ritrova a singhiozzare. Non riesce a trattenersi, quella tensione che credeva passata, si è ripresentata davanti al suo viso sofferente.
-…ed è questo che non ha messo in conto Dunn, perché al contrario di quello che pensava lui, lo scrittore non mi ha resa debole e fragile. Lo scrittore mi ha resa libera…-
Sorride accarezzandolo, mentre le lacrime continuano a bagnarle il viso e la mano di Rick.
-…libera da quella parte di me che si accontentava di sopravvivere. Te l’ho promesso Castle. Non smetterò mai più di sorridere. Qualunque cosa accada, non mi accontenterò più…-
Scuote la testa sospirando, si asciuga ancora le lacrime e si alza per baciarlo sulle labbra. Gli mette entrambe le mani sul viso, muovendo i pollici sulla barba ormai ispida. Resta china a guardarlo, deglutendo per ingoiare le lacrime che premono ancora nei suoi occhi e appoggia la fronte sulla sua.
-Ho ancora una cosa importante da dirti, ma per quella dovrai essere sveglio e attento.-
Sussurra sulle sue labbra.
-Quindi riposati quanto ti pare, ma vedi di svegliarti e non fare scherzi!-
Si rimette seduta, senza smettere di stringergli la mano in cui ha messo la boccettina vuota.
Alexis ha ragione. Sembra così indifeso.
Appoggia la testa accanto alla sua sul cuscino e chiude gli occhi.
Non si è mai sentita amata come in quelle ultime ore e non ha mai amato come in quelle ultime ore.
Sospira lasciando che il suo cuore si calmi definitivamente e sincronizzi i suoi battiti con quelli regolari di Castle.
Lo bacia ancora una volta sulla guancia e appoggia la mano sul suo petto.
Quel vuoto pieno di paura e rabbia si è improvvisamente riempito di consapevolezza, una consapevolezza che l’accompagna da mesi, ma che ancora le faceva effetto perché non ci si riconosceva.
Quel battito lento e ritmato sotto le sue dita le ripete, sussurrando, che ha trovato il suo posto.
Kate Beckett è finalmente a casa…


Angolo di Rebecca:

Dite la verità, quante di voi hanno pensato che il titolo si riferisse a Riccardone che guarisce e torna a casa???
E Trenton Bell è diventato mezzo simpatico, e la Gates si è commossa (grande Iron) e Jim è coccolone e Martha ahhahah... Martha la sa lunga e ci vuole pazienza!
Finalmente, dopo essere stata fermata da chiunque, Kate si è ritrovata sola con il suo scrittore e ha parlato, tanto... anche se lui non può sentirla. Ma vebbè... è innamorata *-*

Buona visione del Castle Monday, oggi sarà tosto ;)
Baci! <3

 

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Capitolo 54
*** Il Bagliore dell'Alba ***



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Capitolo 54
 
 

 
Era passata circa un’ora da quando Kate aveva appoggiato la mano sul cuore di Rick, non si era mossa di un millimetro, piegata in una posizione sicuramente scomoda, con la testa attaccata alla sua sul cuscino, ma stava così bene che non sentiva nessun fastidio.
Non sentiva rumori di alcun genere fuori dalla stanza, non aveva guardato l’orologio e capiva il passare del tempo per la luce che entrava dalla finestra e che cambiava intensità e colore di minuto in minuto, man mano che il bagliore dell’alba cantava vittoria sulla luce bianca della luna che le aveva fatto compagnia quella notte.
Appena arrivata in ospedale era stata un po’ travolta dagli eventi. In un modo o nell’altro, chi era preoccupato per lei aveva avuto bisogno di sentirla vicino e non si era potuta esimere dal confrontarsi con loro, anche se l’unica cosa che voleva era restare accanto a Castle e non allontanarsi più.
Aveva assimilato pian piano i fatti delle ultime ore. Ancora una volta si era buttata a capofitto seguendo solo le sue regole, come aveva fatto tante volte per trovare l’assassino di sua madre, ma stavolta non doveva trovare l’assassino di un cadavere, stavolta doveva salvare la vita di Castle.
Avrebbe dovuto confrontarsi anche con lui, una volta che si fosse svegliato.
Le aveva chiesto di non fare niente di stupido e lei aveva fatto tutto il contrario, perché obiettivamente, portarsi quella boccetta alle labbra era stata una cosa stupida, ma in quel momento aveva agito d’istinto con quello che la situazione le presentava.
Conoscendolo, immaginava benissimo come avrebbe reagito. L’avrebbe guardata serio ed intensamente con quegli occhi azzurri e scintillanti, ma invece di penetrarla fino a dentro l’anima ed essere contrariato del suo comportamento, si sarebbe sentito in colpa per il pericolo che è stata capace di correre per salvarlo, chiudendosi in un silenzio che non gli è congeniale, per cercare di mandare giù la situazione.
Adesso però, non voleva pensarci. Voleva solo che aprisse gli occhi e la guardasse, che la accarezzasse con quell’azzurro intenso che non vedeva da ore, che abbozzasse un sorriso che le dicesse non ti libererai mai di me…
Dopo tanti sguardi pieni soprattutto dei suoi silenzi, voleva parlare e parlare. Di lei. Di loro. Aveva già iniziato a farlo, nonostante Rick fosse incosciente e non avesse sentito nessuna delle sue parole. Ne sentiva il bisogno. Un bisogno tormentato da quella paura di non avere più il tempo, il modo, l’opportunità di ammettere al suo scrittore quello che lui aveva sempre saputo: che era l’amore della sua vita. Un amore che, con il solo battito leggero e tranquillo del suo cuore sotto le dita, le dava un motivo per sentirsi viva.
Il dottor Travis era rimasto come rapito da quella scena.
I risultati delle analisi di Beckett erano pronti e, dal laboratorio, Claire gli aveva indicato la dose di antidoto da iniettarle,  doveva solo farle un’iniezione, ma era rimasto a guardarli inebetito.
Invece di entrare senza preoccuparsi di bussare, come fanno tutti i medici, per fare il suo lavoro e andare via, si era fermato con la mano sulla maniglia della porta quando aveva intravisto, dal vetro, quelle due sagome strette e vicine. Era rimasto fuori con la siringa ed il disinfettante tra le mani, a disagio per doverli disturbare. Più li guardava, più sentiva di stare violando la loro intimità, se così si poteva chiamare.
Passava lo sguardo da un viso all’altro e non riusciva a muoversi. Kate aveva gli occhi gonfi e il naso rosso per il pianto. Oltre la tempia, anche la guancia fin sotto l’orecchio era ormai violacea, ed il polso che aveva appoggiato sul torace di Castle era visibilmente gonfio. Il viso di Rick invece spiccava per le occhiaie marcate, il pallore sulle guance scavate ed il rossore sugli zigomi per via della febbre alta.
Guardando l’orologio, aveva sospirato e si era anche dato dell’idiota. Da quando era diventato romantico e sensibile a queste scene?
Si era riscosso, passandosi una mano sugli occhi stanchi per puntarli poi sul vassoietto di metallo tra le sue mani…
 
Quando aveva chiuso la chiamata con Beckett e i suoi colleghi, era rimasto in silenzio trafficando con provette e medicine, senza effettivamente fare nulla di concreto. Aveva solo bisogno di mettere insieme le idee e capire quanto folle fosse quello che la squadra del 12th aveva architettato, senza che lui si rendesse bene conto che era già tutto deciso. Non era il coma farmacologico che lo preoccupava, il suo paziente era in una situazione critica ed una terapia di questo genere era quasi d’obbligo per certi versi, quello che lo preoccupava era proprio lo stato d’animo di Rick. Dopo aver finito di parlare con Beckett, si era ammutolito anche lui. Guardava il soffitto immobile e l’unico suono nella stanza era la pesantezza del suo respiro. Lo conosceva solo da un paio di giorni, ma aveva capito che riusciva a scacciare la paura parlando a raffica e quel silenzio non gli piaceva. Non parlava, non perché non ne avesse la forza, non parlava perché era attanagliato dalla paura. La sua idea l’aveva eccitato per un attimo, e il fatto che anche Beckett fosse arrivata alla sua stessa conclusione lo aveva divertito, ma si era reso conto all’improvviso che riscrivere l’epilogo, come continuavano a dire tutti, significava mettere in pericolo proprio Kate. Era preoccupato. Per lei. Il suo silenzio lo aveva portato lontano da quella stanza e magari stava già fantasticando su Beckett nelle mani di quello psicopatico.
-Si farà… ammazzare!-
Aveva sussurrato improvvisamente, con la mandibola serrata, girandosi verso di lui.
Per la prima volta da quando lo aveva conosciuto il suo sguardo era vuoto.
Si era seduto accanto a lui fissandolo serio.
-Devi stare tranquillo Rick. E’ un piano pericoloso, ma il suo fine è portarti il veleno, quindi tornerà sana e salva.-
Non poteva fare altro che dirgli parole inutili, ma doveva assolutamente non fargli perdere la speranza e la voglia di combattere come aveva fatto fino a quel momento. Invece il pensiero di lei in pericolo lo aveva fatto accorare.
-Tu non la conosci Ben. Non hai idea di cosa è…-
Aveva chiuso gli occhi deglutendo e lasciando la frase senza una fine, chiudendosi del tutto nella morsa della sua paura, perché qualunque cosa fosse successa, sarebbe successa per salvare lui.
Quando il capitano gli aveva telefonato per informarlo che era tutto finito e che Dunn era morto, aveva tirato un sospiro di sollievo. Se solo Rick fosse stato sveglio e avesse potuto digli che la sua Kate era salva!
Era tornata acciaccata e con la testa mal ridotta, ma niente di serio.
Solo quando Esposito aveva fatto quella battuta sull’avere assaggiato il veleno, aveva capito di cosa realmente aveva paura Rick. Non di Dunn. Non delle sue mosse o di un corpo a corpo con lui. Aveva paura di lei, delle sue reazioni insensate pur di proteggere chi gli sta a cuore. Una paura che si è chiuso dentro prima di perdere i sensi, senza sapere se mai si sarebbe risvegliato e se lei sarebbe tornata sana e salva…
 
Scuote la testa tornando a guardare dentro la stanza e, imponendosi di essere serio e professionale, bussa leggermente, ma lei riapre gli occhi sollevandosi di poco, solo dopo che lui è già entrato, schiarendosi la voce.
-Dottor Travis.-
Ben poggia il vassoio sul carrello delle medicine e si volta a guardarla.
-Uh… siamo tornati al ‘lei’?-
Kate scosta la testa di lato a guardare la fiala e la siringa e poi torna su di lui.
-Come sta veramente, Ben?-
Gli chiede facendo cenno con gli occhi verso Castle, marcando la voce sul suo nome sorridendo, ed il medico prende la sedia accanto alla finestra e la sistema vicino al letto, proprio di fronte a lei.
-Come un’ora fa. Non è cambiato niente per adesso.-
Si ferma osservando Kate che stringe la mano su quella di Rick, notando i suoi lineamenti tendersi di nuovo.
-L’antidoto ha bisogno di tempo per essere assorbito dai tessuti, è un po’ come la tossina al contrario. Prima viene iniettato, prima l’organismo reagisce.-
Kate annuisce senza distogliere lo sguardo.
-Noi… siamo in ritardo?-
Sussurra lei e Ben solleva le spalle.
-Non è detto. Gli organi interni non hanno subito gravi danni, a parte i polmoni. C’è stato un momento in cui ho temuto di doverlo intubare, ma grazie al cielo non è stato necessario. Reagisce e riesce a respirare autonomamente con il solo ossigeno. Di sicuro so solo che, fino a che non scenderà la febbre, anche di qualche linea, non sospenderò i sedativi.-
Kate annuisce pensierosa.
-Ma hai detto che più tempo resta in questa situazione, più pericoloso diventa per il suo risveglio.-
-E’ vero. Ma se gli togliessi i sedativi, il suo corpo sarebbe di nuovo sensibile al dolore e, credimi, adesso non lo sopporterebbe. Tra un’ora faremo un altro prelievo e conseguentemente decideremo quanto altro antidoto somministrare.-
-Kate corruccia la fronte, tornando a posare lo sguardo sul vassoio alle spalle del medico, che si gira a guardare nella stessa direzione.
-Quello è per te…-
Le dice guardandola serio, mentre lei socchiude la bocca, annuendo.
Si era di nuovo dimenticata di quel piccolo particolare.
-Sai, Rick l’ha detto che saresti stata capace di farti ammazzare…-
Lascia la frase in tronco studiando la reazione di Kate, che lo guarda seria.
-Che ti ha detto esattamente?-
-Esattamente niente, ma era preoccupato. Credo che all’inizio non sia reso conto della gravità del piano, non tanto perché pericoloso, tanto perché non aveva pensato a te e alle tue reazioni. Quando ci ha riflettuto ha cambiato umore.-
-Si è chiuso nel silenzio!?-
Non si capisce bene se la sua sia più una domanda o un’affermazione, mentre china lo sguardo su Rick e allunga la mano a sistemargli il ciuffo ribelle che adora e Ben si ritrova ad osservarla in silenzio per pochi istanti. Il suo viso non è più teso, si è addolcito mentre lo guarda e lo accarezza, come persa in dolci pensieri e ancora una volta si sente di troppo.
Si alza per controllare i parametri di Rick sul diagramma del monitor e si ritrova a sorridere.
-Tu invece… come stai? A parte il tamburo che ti rimbomba sicuramente in testa, i dolori sparsi in parti del corpo che pensavi non potessero farti male, il polso che ad ogni minimo movimento ti fa sussultare e quel piccolo dettaglio che dimentichi sempre sul fatto che ti sei avvelenata?-
Le labbra di Kate si muovono in un piccolo sorriso. Il dottorino è proprio simpatico quando vuole, ecco perché piace tanto a Castle. Fa una smorfia sollevando le spalle.
-A parte tutto questo… bene!-
Ben prende siringa e fialetta e sorride.
-Prima lo facciamo, meglio è. Le analisi mostrano che il veleno non è ancora entrato in circolo, una piccola dose basterà, non dovresti avere nessun problema. Andiamo.-
Si dirige verso la porta e Kate sussulta.
-Andiamo? Andiamo… dove?-
-In una delle stanze di degenza! Sono tutte libere, puoi scegliere quella che ti piace di più.-
Lui lo dice in modo scherzoso, ma Kate comincia ad agitarsi senza motivo, scuotendo la testa.
-Nemmeno per idea. Io resto qui.-
Il medico si volta a guardarla corrucciando la fronte.
-Andiamo Kate. Devi stare distesa e rilassata per questa iniezione. L’antidoto deve fare effetto e tu devi stare in posizione riposo.-
Lei continua ad agitarsi, lascia la mano di Rick e comincia a gesticolare senza rendersene conto.
-Io… io sono rilassata. E’ solo un’iniezione, puoi farmela qui… io… io devo restare qui!-
La sua voce diventa stridula e Ben solleva le sopracciglia.
-Kate, è incosciente. Non sa nemmeno che sei qui e tu devi assolutamente riposare.-
Scuote la testa e gli occhi le diventano lucidi.
-Non… non importa. Sono stata costretta a stargli lontano, ma non lo farò più. Non mi staccherò più da lui…-
Ben corruccia la fronte e si rende conto che sta per avere una crisi di nervi, probabilmente per sfogare la paura repressa per giorni. Quel ‘non mi staccherò più da lui’ sembra non essere riferito a quel momento, ma al resto della sua vita e allontanarla adesso sarebbe come toglierle ogni certezza.
Sorride, mentre lei continua a muoversi nervosa sulla sedia, portandosi la mano alla testa, che evidentemente le fa male ancora più di prima.
-Lui sa che sono qui. Io… ho bisogno di stare qui…-
Sussurra appena. Ben sospira, appoggia fiala e siringa sul letto e si china a prenderle le mani che lei continua a muovere senza una ragione precisa.
-Calmati. Non voglio mica separarvi!-
Le dice sorridendo inclinando la testa e Kate si rende conto della sua reazione. Deglutisce e abbassa lo sguardo cercando di calmarsi, mentre Ben le stringe le mani.
-Non c’è problema Kate, tranquilla, non è necessario andare da nessun’altra parte. Metti il braccio disteso sul letto e sistemati al meglio vicino a lui.-
Kate fa come le dice, mette di nuovo la testa sul cuscino accanto a quella di Castle avvicinando la sedia al letto, per distendere meglio il braccio. Ben prepara la siringa e le fa l’iniezione.
Non aveva badato prima all’antidoto, adesso che sta entrando lentamente nelle sue vene, nota il suo colore verde. Si dice che il verde sia il colore della speranza. Chissà se è una coincidenza. Chiude gli occhi per un attimo e sospira. Cerca di rilassare il corpo, come ha detto Ben. Il liquido vitale le dà una sensazione di calore mentre scorre lento nella vena. Riapre gli occhi e li fissa sul profilo di Rick, che sembra dormire tranquillo. Non si rende conto nemmeno che il dottor Travis ha finito e sta rimettendo tutto a posto.
-Resta distesa, se così si può dire, per un’oretta. Non agitarti, mi raccomando.-
-Sono dove devo essere, non ho nessun motivo per agitarmi.-
Gli risponde senza distogliere lo sguardo da Rick. Ben scuote la testa sorridendo.
Ha davanti un detective della polizia di New York, tosta e coraggiosa. Pronta a farsi ammazzare se lo ritiene necessario. Una donna che, come ha precisato il suo amico Rick, dorme con la pistola, ma che adesso è solo una donna innamorata.
Si dirige alla porta senza dire altro, solo allora Kate sembra riscuotersi e solleva di poco la testa.
-Grazie Ben!-
Sussurra sorridendo e lui allarga le braccia.
-Non vedo l’ora di liberarmi di voi due, siete insopportabili.-
 
La luce del sole la riscuote dallo stato di benessere che l’ha avvolta dopo che Ben li ha lasciati soli. Il bip cadenzato del monitor che controlla il battito cardiaco di Castle, l’ha cullata in un dormiveglia tranquillo.
Gli occhi chiusi e la mente sveglia. Non è riuscita ad assopirsi del tutto, ma per la prima volta da ore, si è sentita tranquilla.
Rimettersi dritta le costa fatica, la posizione scomoda, lo stress e la stanchezza si fanno sentire con un dolore che le irradia tutta la colonna vertebrale. Il polso sembra una zavorra, completamente addormentato. Si alza stiracchiandosi alla meglio, non riuscendo a trattenere dei piccoli lamenti. Lascia un bacio sulla fronte di Rick e si avvicina alla finestra.
L’alba si è trasformata in un nuovo giorno. Un giorno pieno di luce.
Sorride a quel sole che finalmente scalda il suo cuore dopo tutto il buio ed il freddo che l’hanno travolto grazie a Scott Dunn e, per la seconda volta, è così persa nei suoi pensieri solitari, che si accorge di Ben alle sue spalle solo perché si schiarisce ancora la voce.
-Ma tu non dormi davvero mai, dottore?-
Gli chiede voltandosi verso di lui, che solleva le spalle.
-Diciamo che una volta oltrepassata la soglia del sonno, poi non si dorme più, ne convieni?-
Le chiede sollevando un sopracciglio, visto che anche lei non dorme praticamente da giorni.
-La febbre non è scesa per niente…-
Sussurra lei guardando verso il letto.
-Sono passate solo un paio di ore Kate, ci vuole pazienza. Ora devo visitarlo, dovresti uscire…-
Si volta di scatto a guardarlo e Ben sorride.
-Lungi da me allontanarti da lui a vita, giuro! Approfitta per mangiare qualcosa. Puoi farti portare qui in reparto la colazione dal bar interno all’ospedale, così non sarai costretta ad allontanarti.-
-Prenderò solo un caffè qui alla macchinetta.-
Risponde lei, ma Ben la ferma immediatamente.
-Niente caffè…-
-Come niente caffè!?-
Ben solleva le sopracciglia divertito dall’espressione di Kate che ha spalancato gli occhi, come se le avesse dato una brutta notizia.
-La caffeina litiga con il veleno e anche con l’antidoto. Nessuna bevanda o cibo che contenga sostanze eccitanti.-
-Niente Caffè…-
Ripete lei rabbuiandosi in viso, per convincersi di avere capito bene.
-Puoi prendere una tisana, ce ne sono di veramente buone.-
Lei corruccia la fronte guardandolo fisso.
-Una tisana!?-
Ripete a pappagallo quello che dice il dottor Travis, che trova la cosa molto divertente.
-Si, una tisana, sai sono quei composti di erbe che…-
Kate alza gli occhi al cielo sbuffando.
-So benissimo cos’è una tisana dottor Travis. Vorrà dire che berrò… una tazza di acqua calda!-
Esce dalla stanza sospirando sonoramente e Ben si gira a guardare Castle, chiudendo la porta.
-Amico mio, hai bella gatta da pelare… auguri!-
 
Nella sala d’attesa non c’è traccia di Martha e suo padre, mentre Alexis si è addormentata su una delle sedie a ridosso della parete ad angolo. Castle resterebbe imbambolato davanti a quel viso pallido e quelle labbra leggermente imbronciate. Sembra una bambina, completamente accucciata dentro una coperta presa in prestito da una delle stanze di degenza.
C’è una calma surreale intorno a lei, senza il solito via vai di medici ed infermieri, visto che il reparto è chiuso e l’unico paziente ricoverato è Castle.
Le monetine producono un tintinnio sordo cadendo all’interno della macchinetta, il bicchiere si blocca nell’incastro apposito e il liquido scuro scende lento. Prende il bicchiere pieno di caffè e ne assapora il profumo. Chiude gli occhi e sorride nonostante non abbia niente a che vedere con quelli che le prepara Castle.
Inserisce delle altre monete, osserva attenta lo stesso rituale e, prendendo il secondo bicchiere, torna nella sala d’attesa.
Aveva notato subito Esposito seduto ancora nello stesso posto. La testa appoggiata alla parete, le gambe distese in avantri e le braccia conserte, protetto dal freddo solo dal giubbotto con il colletto sollevato fino alle orecchie. Ha gli occhi chiusi, ma è sicura che non dorma.
Guarda i bicchieri fumanti tra le mani e con un sospiro, si avvicina a lui.
-Posso sedermi accanto a te?-
Esposito non muove un muscolo, non apre nemmeno gli occhi.
-Hai accettato del veleno da uno psicopatico e hai paura di un povero detective della polizia?-
Apre gli occhi quando sente il calore ed il profumo di caffè proprio sotto il naso. La guarda sollevando un sopracciglio e si mette seduto comodo, prendendo il bicchiere.
-Tranquilla, anche se mordo non ti succederà niente, sei già immune!-
Kate stringe le labbra incassando il sarcasmo e si mette a sedere. Non gli è ancora passata.
-Come mai non sei andato a casa?-
-A fare cosa? Dormire? Non ci sarei riuscito comunque, ho troppa adrenalina da smaltire. E poi Lanie è voluta restare, era troppo agitata…-
Si volta a guardarla cupo per farle sentire maggiormente il peso delle sue parole, mentre lei rimane con gli occhi fissi sul suo bicchiere.
-E’ ancora in laboratorio con la dottoressa Dobbson.-
Conclude bevendo un sorso di caffè.
-Ryan?-
Lui sbuffa proprio sul bordo del bicchiere.
-E’ andato via poco prima che arrivassi tu. Te lo raccomando quell’altro! Tiene i segreti con il suo migliore amico.-
Lei scuote la testa sorridendo.
-Andiamo Espo, lo ha detto solo a Castle per tirarlo su di morale… ti immagini Kevin al posto di Lowell?-
Lo sfiora con il gomito ed Esposito scuote la testa, sorridendo nascosto dal bordo del bicchiere.
-Quello era una specie di sorriso, detective Esposito?-
Kate solleva un sopracciglio e lui torna serio dopo essere stato sgamato.
-E’ troppo emotivo, non arriverà vivo alla fine della gravidanza. Pensa che quando ha chiamato per dire alla Gates che c’era davvero il tesoro sepolto sotto la quercia, balbettava emozionato. Sono più che sicuro che saltellasse dalla gioia.-
Kate sente gli occhi farsi lucidi senza motivo ed Esposito si schiarisce la gola, scuotendo la testa.
-Non è stato per niente professionale da parte sua, davanti a due agenti della squadra speciale poi…-
Kate gli dà un’altra gomitata e lui guarda verso la stanza di Castle.
-Lui come sta?-
-Nessun cambiamento. Dobbiamo solo aspettare…-
Kate continua a guardare il suo bicchiere senza bere ed Esposito corruccia la fronte.
-Perché il tuo caffè ha un colore giallognolo!?-
-Perché è camomilla…-
Lascia la frase in sospeso adombrandosi, quando lui si fa una bella risata.
-Camomilla! Stai bevendo la camomilla… TU!?-
Lei sospira stringendo le labbra.
-Non la sto bevendo, la sto solo guardando. Non posso bere caffè per via… per via del veleno e dell’antidoto.-
-Ah beh… esiste davvero la punizione divina!-
Esclama lui con il tono di voce tornato improvvisamente duro e lei stringe ancora le labbra, cercando di restare calma.
-Ho fatto quello che era giusto fare Esposito!-
-No. Hai fatto quello che hai voluto fare…-
Lei si gira a guardarlo sentendosi ribollire dentro.
-Vuoi che ti dica che ho fatto una cazzata!? Ok. L’ho fatta!-
Esposito stringe entrambe la mani intorno al bicchiere e digrigna la mascella, senza risponderle e lei sospira.
-Non avevo altra scelta…-
Comincia a dire, ma Esposito stavolta si gira verso di lei interrompendola.
-Potevi dire la parola d’ordine.-
-Ero ancora ammanettata e il veleno era nelle sue mani. Non potevo sapere che il Professore avesse lasciato la formula.-
Kate cerca di parlare in maniera neutra, ma non ci riesce, la voce le trema perché vorrebbe urlare, mentre Esposito le parla sopra.
-Se avessimo fatto irruzione non avrebbe avuto scampo, l’avremmo presa quella maledetta boccettina.-
-Ascolta Espo…-
-No. Ascolta tu Beckett. Anche dopo potevi sparargli e non lo hai fatto. Anche se teneva Abraham come scudo avresti potuto colpirlo comunque di striscio per fargli perdere l’equilibrio e la presa sull’ostaggio… ma non l’hai fatto.-
Kate abbassa lo sguardo deglutendo.
-Avrebbe rotto la boccettina e…-
-Balle!-
Sibila Esposito continuando a fissarla.
-Non l’avrebbe rotta e anche se fosse successo sarebbe bastato analizzare i resti per avere la sua composizione. Potevi ammazzarlo in qualunque momento. Ma non hai voluto.-
-Hai ragione Javi. Non ho voluto farlo!-
Si gira a guardarlo con gli occhi spalancati, cercando di reprimere la rabbia.
-Sai quante volte ho avuto voglia di scaricargli il caricatore addosso in questi due giorni? Sai quanto sarebbe stato facile riempirlo di buchi?-
-Appunto! Sarebbe stato facile…-
Lei scuote la testa continuando a fissarlo.
-Volevo che mi guardasse in faccia e sapesse di avere perso ancora una volta. Volevo che sentisse la sconfitta. Volevo che sapesse che Castle sarebbe sopravvissuto. Se lo avessi ucciso non avrebbe vissuto niente di tutto questo. Sarebbe stato troppo semplice…-
Si ferma ansimando con gli occhi lucidi per la rabbia.
-Volevo vederlo sbattersi la testa al muro dentro una cella… e il fatto che si sia ucciso non mi piace per niente. E’ stato troppo poco per tutto il dolore che ha causato!-
L’ultima frase è solo un sussurro mentre abbassa lo sguardo sul liquido giallo ancora intatto nel suo bicchiere ed Esposito sorride.
-Allora sei umana!-
Esclama appoggiandosi tranquillo alla spalliera della sedia e sorseggiando il suo caffè.
Kate corruccia la fronte e lui si gira a guardarla.
-Il senso della giustizia prevale, però hai la vendetta nelle vene che ogni tanto chiede soddisfazione… sei umana!-
Lei lo guarda a bocca aperta. Si porta la mano alla testa e chiude gli occhi. Il dolore alle ossa sembra sopito, ma la testa non ne vuole proprio sapere di smettere di pulsare.
-Esattamente, Esposito, perché sei arrabbiato?-
Gli chiede senza alzare lo sguardo.
-Perchè siamo una squadra e avresti dovuto permetterci di entrare prima. Perché se non mi avesse fermato la Gates gli avrei sparato ancora prima che lo facesse Abraham. Perché ho giurato a me stesso che mai più ti avrei lasciata appesa ad un cornicione solo per darti ragione…-
Lei si gira a guardarlo corrucciando la fronte e lui scuote la testa.
-Sei viva grazie a Ryan. Perfino Castle ha cercato di fermarti…-
Sospira girandosi a guardarla anche lui.
-Siamo simili Kate. Quando siamo sotto pressione, quando qualcosa ci rode dentro, non riusciamo a vedere il nostro limite. Non riusciamo a capire quando dobbiamo fermarci…-
Kate gli mette una mano sulla sua deglutendo.
-Javi, non sono rimasta aggrappata nel vuoto per colpa tua.-
Lui annuisce.
-Vero. Saresti stata su quel tetto anche senza di me, però se avessi ascoltato Ryan e avessimo agito in tempo, avresti evitato il pericolo e magari avremmo anche arrestato Maddox e il signor Senatore…-
-Espo…-
Lui non le dà il tempo di ribattere.
-Ho giurato che ti avrei impedito di fare altre sciocchezze… e dentro quel magazzino, con Scott Dunn, tu hai fatto ancora una sciocchezza, quindi non cercare di ammorbidirmi perché mi serve tempo per sbollire!-
Lei annuisce sistemandosi comoda sulla sedia, sorride impercettibilmente, pensando che anche la rabbia di Lanie alla fine era scemata davanti ad un senso di colpa insensato nei suoi confronti.
Guarda la camomilla ormai tiepida e storce il naso.
Sua madre le aveva raccontato tante volte che da neonata, ogni volta che le davano da bere la camomilla, faceva una faccetta terribile e sputava via il biberon. Solleva il bicchiere e la assaggia… non fa proprio parte del suo DNA, ma ne beve ancora un sorso.
-Devo ammettere che questa camomilla non è tanto male.-
Poggia la mano sul ginocchio di Esposito che la guarda serio.
-Sarà che avere un amico vicino cambia il gusto in meglio…-
Esposito inspira profondamente, rilascia l’aria dalla bocca e scuote la testa, solleva il bicchiere fino a quello di Kate e li fa toccare in un leggero brindisi.
Restano in silenzio per qualche minuto, godendosi la luce del sole che entra dal finestrone esterno e crea strane sfumature  sul muro, riflettendo i colori delle cornici in metallo dei quadri attaccati sulle pareti.
Finiscono le loro bevande, Esposito si alza per gettare i bicchieri nella pattumiera e poi torna a sedersi.
-Ha chiamato la Gates prima. Tra un paio di ore trasferiranno il corpo di Dunn all’obitorio del distretto.-
Kate annuisce senza rispondere, ma posa lo sguardo sull’ascensore.
-Vorrei chiedere notizie di Abraham, sai in che reparto lo hanno portato?-
-A Medicina Generala, ma puoi stare tranquilla, sta benino. Ha parecchi ematomi e la ferita da coltello non è grave.-
Kate si gira a guardarlo sorridendo, con il sopracciglio alzato e lui solleva le spalle.
-Beh… ero qui a non fare niente… sono andato a chiedere. Comunque non ti faranno entrare, lo hanno imbottito di tranquillanti. Dormirà tutto il giorno.-
-L’importante è che starà bene.-
Lui storce le labbra dubbioso.
-Non guarirà mai Beckett. La sua malattia non lascia scampo e senza il Professore…-
Allarga le mani, appoggiando poi i gomiti sulle ginocchia, lasciando la frase in sospeso. Kate si sente stringere il cuore. Solleva lo sguardo verso la porta ancora chiusa della stanza di Castle e sente di nuovo il bisogno impellente di stringersi a lui.
Mette la mano su quella di Esposito e si sporge in avanti per guardarlo in viso.
-Va da Lanie. Portala via dal laboratorio e andate a casa. Non te lo chiederà mai, ma ha bisogno che la tieni stretta.-
Lui annuisce senza guardarla stringendole la mano. Senza pensarci, si alza, preme il tasto di chiamata dell’ascensore e prima di entrare si gira a guardarla.
-Chiama, se hai bisogno!-
Kate resta seduta a guardare i numeri che si accendono e spengono, man mano che l’ascensore passa i diversi piani, quando  resta acceso solo quello del piano interrato, riporta lo sguardo verso la camera di Rick. Si avvicina al vetro e sbircia dalle veneziane socchiuse. Due fialette vuote sono sul tavolino sotto la finestra. Ben gli ha iniettato la seconda dose di antidoto e sta controllando minuziosamente i fogli nella cartella clinica. Sospira guardando Alexis, ancora addormentata in quella scomoda posizione, infreddolita perché la coperta è scivolata in terra.
Si china a raccoglierla e gliela mette addosso, coprendola alla meglio, ma la ragazza si sveglia.
-Scusami, avevi l’aria di aver freddo.-
Alexis si passa le mani sulle braccia rabbrividendo.
-Sono gelata infatti. Come sta papà?-
-Il dottor Travis lo sta visitando, ma credo che abbia quasi finito. Ti va qualcosa di caldo? Però andiamo al bar, la macchinetta uccide.-
Alexis annuisce sorridendo e si avviano verso l’uscita dalla parte opposta all’ascensore, ma si soffermano davanti alla porta socchiusa di una delle salette dei medici, perchè intravedono Martha e Jim. Alexis apre del tutto la porta ed entrambe restano a bocca aperta.
-Se li vedesse papà, sai cosa direbbe?-
Sussurra Alexis senza distogliere lo sguardo stupito da sua nonna che dorme tranquilla con il viso appoggiato contro il collo di Jim Beckett, che invece la tiene stretta con il braccio attorno alle sue spalle.
-Inquietante!-
Risponde Kate, anche lei con gli occhi fissi su di loro e Alexis annuisce.
-Esatto. Direbbe esattamente questo.-
-Beh… se ripenso alla nostra prima cena di famiglia! E’ davvero inquietante.-
Alexis si volta a guardarla.
-Avrei voluto esserci. Deve essere stata divertente!-
-Oh si, divertente in maniera inquietante.-
Scoppiano a ridere cercando di non fare rumore e Kate le fa segno con la testa di uscire.
-Lasciamoli riposare.-
Prima di chiudere la porta si gira ancora a guardarli. Scuote la testa e sorride.
-Tuo padre è una grande persona.-
Sussurra Alexis alle sue spalle, con un sorriso sincero ed il viso disteso.
-Nonna finge di essere forte, ma queste ultime ore l’hanno davvero provata e avere tuo padre vicino l’ha aiutata molto.-
Abbassa lo sguardo, come se quello che sta per dirle possa ferirla, ma è lei che finisce la frase.
-Nonostante fosse attanagliato dalla paura anche lui…-
Alexis annuisce, mentre Kate, sorridendo, le mette un braccio attorno alle spalle.
-Andiamo a prenderci una bella tisana bollente.-



Angolo di Rebecca:

Non mi picchiate, lo so che Rick dorme ancora, ma è necessario :p
Intanto Kate si chiarisce anche con Espo, che era arrabbiato più con se stesso che con lei, beve camomilla e le piace anche e trova inquietante suo padre che dorme abbracciato a Martha ihihiihih...

Buona ex09 *-*

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Capitolo 55
*** Il Volto del Dolore e della Gioia ***





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Capitolo 55
 


Le porte dell’ascensore si chiudono alle sue spalle. Dal suono del campanello capisce che qualcuno dai piani superiori lo ha già richiamato. Immobile, resta a guardare la porta a vetri opacizzati, senza capire bene perché sia arrivata fin lì.
Ha semplicemente preso l’ascensore, pigiato il pulsante e senza nessun criterio ben preciso nella testa è scesa a quel piano, come se una forza fuori dal suo controllo l’avesse spinta, accompagnandola per non farla tornare indietro.
Ha cominciato ad avere quel pensiero fisso mentre faceva colazione con Alexis.
La confusione del bar l’aveva un attimo frastornata. Dopo la frenesia con cui aveva vissuto le ultime ore, non aveva fatto fatica ad  abituarsi al silenzio e al tepore della sala d’attesa completamente vuota.
Insieme all’infuso ai frutti rossi, Alexis l’aveva praticamente obbligata a mangiare una tortina alle mele, ma era riuscita a mandarne giù solo un morso, perché lo stomaco si era ribellato punendola con un’ondata di nausea che l’aveva fatta desistere. Evidentemente la teoria del dottor Travis sul sonno, vale anche per i morsi della fame: una volta oltrepassata la soglia in cui mangeresti anche una spranga di ferro, poi devi riabituarti ad alimentare il corpo.
La tisana invece l’aveva bevuta volentieri, si era lasciata inebriare dal profumo di fragole, ribes e ciliegie e quei dieci minuti con Alexis, che sorrideva sorseggiando uno schiumoso cappuccino, l’avevano ristorata e rincuorata.
Un’oretta di sonno su una scomoda sedia le era bastata per riprendere colorito e tranquillizzarsi. Avevano parlato di Jim e Martha, del dottor Travis e di come si era prodigato per Rick. Alexis non le aveva chiesto nulla, forse nemmeno lei era effettivamente pronta per sapere di Dunn e di quello che è successo dentro quel magazzino.
Il killer è morto, lei ne è uscita quasi indenne e la cosa importante al momento è che Rick reagisca all’antidoto.
Allora che cosa ci fa immobile in mezzo ad un corridoio baciato solo dalla luce artificiale dei neon?
Si massaggia il polso fasciato e stringendo le labbra, si incammina verso la quarta porta sulla sinistra. All’entrata un agente in divisa è postato di guardia. Si ferma a qualche passo da lui, ma gli occhi sono sempre fissi sulla porta.
Corruccia la fronte cercando di capire se sia un bene oppure no, assecondare quella forza sconosciuta che ancora la spinge ad essere lì.
Senza quasi rendersene conto, mostra il distintivo all’agente e fa per entrare, ma l’uomo la ferma.
-Detective, mi scusi. Ho l’ordine di non fare entrare nessuno… lo trasferiranno tra poco.-
Kate non gli risponde, si limita a guardarlo seria. Non lo conosce, ma l’agente C. Lance, questo è il nome inciso sulla targhetta, sa esattamente chi è lei e probabilmente ha partecipato alla caccia a Dunn, come gran parte delle forze di polizia in quegli ultimi giorni. Proprio il fatto di aver capito chi sia e il suo sguardo fisso, lo mettono quasi a disagio.
-Faccia presto.-
Le dice accompagnandola all’interno, con un cenno della testa.
Viene accolta solo da un tavolo di acciaio con sopra una sacca nera completamente chiusa da una cerniera. Si ferma a qualche centimetro di distanza e stringe i pugni, ma si riscuote immediatamente per il dolore che le provoca il polso. Si avvicina e con molta calma scorre la cerniera per metà, ma non la solleva.
Ancora una volta si chiede il motivo per cui si trova dentro quella stanza in obitorio, davanti al cadavere di Scott Dunn.
Ancora una volta si chiede se lo sta facendo per una specie di rivalsa nei suoi confronti, anche se adesso non ha nessuna importanza, perché lui non può vederla.
Digrigna la mascella e solleva parte della sacca scoprendone il volto. La sua espressione mostra ancora i segni delle contratture esercitate sulla muscolatura facciale per via del dolore provocato dal veleno.
-Alla fine hai avuto ragione tu. Qualcuno doveva morire…-
Il tono in cui lo dice è tagliente, non riesce a parlare in maniera naturale, come se lui fosse ancora vivo e il suo sguardo sprezzante la attraversasse da parte a parte.
Qualcuno doveva morire, ma la scia di cadaveri che si è lasciato dietro le pesano sulle spalle come una colpa. Forse si trova davanti a lui proprio per loro, per una specie di commemorazione al contrario: rendere omaggio alle sue vittime innocenti, mostrando loro l’aguzzino che gli ha tolto la vita, ridotto ad una massa corporea ormai inesistente.
Viene riscossa da due voci che si fondono insieme in una discussione accesa. L’agente Lance cerca di zittire una donna. Una voce che riconosce. Ricopre il viso di Dunn ed esce per capire che succede.
-Vi rendete conto che state urlando? Volete che vi senta tutto l’ospedale?! Jessica che diavolo ci fai qui?-
La ragazza ha il viso pallido, le occhiaie e i capelli in disordine. Nonostante siano passate ventiquattro ore dal suo rapimento è ancora provata. Tiene i pugni stretti sul bordo della vestaglia che la ricopre e quando vede Kate, sospira.
-Detective Beckett… meno male che è qui. Devo entrare lì dentro.-
-Non se ne parla nemmeno.-
Rispondono in coro Kate e l’agente Lance, che scuote la testa energicamente.
-Non può entrare nessuno, anzi adesso andate via entrambe.-
-Io devo vederlo…-
Esclama Jessica divincolandosi, pronta a sgattaiolare nella stanza, ma Kate la ferma, afferrandola per una mano. Si guardano per un istante, gli occhi di Jessica sono spalancati, arrossati e stanchi e la mano che stringe Kate è fredda come il marmo.
-Devo vederlo…-
Sussurra senza distogliere lo sguardo. Adesso la sua è solo una preghiera e Kate le lascia la mano sospirando.
-Mi prendo io la responsabilità, agente Lance.-
Dice senza nemmeno guardarlo e, senza dare retta alla sua riluttanza, spinge la ragazza dentro la stanza chiudendo la porta.
Anche lei si ferma a debita distanza dalla sacca nera sul letto di acciaio. Incrocia le dita delle mani insieme e comincia a stringerle così forte da contorcerle.
Kate si avvicina per prima alla salma, continuando a guardare in faccia la ragazza, mentre lo sguardo di Jessica è fisso sulla sagoma coperta.
-Vuoi davvero vederlo?-
La domanda di Kate la fa sussultare, la guarda deglutendo e mentre si avvicina, annuisce in silenzio, ma Kate non si muove. Guarda prima il cadavere e poi ancora lei.
-Perché sei qui Jessica?!-
La ragazza solleva lo sguardo stringendo le labbra.
-Per la stessa ragione per cui è qui anche lei.-
Kate abbassa lo sguardo, perché in effetti non ha idea del motivo per cui si trova davanti a quel cadavere.
-E’ stata con lui fino a poche ore prima, lo ha visto morire… allora perché è qui? Per essere sicura che è morto? No… lei è qui perché vuole ricordarselo. Vuole imprimersi dentro il dolore che ha causato e ricordasi la sua faccia livida.-
Jessica ha la voce tremolante, fa fatica a non piangere e probabilmente vorrebbe solo urlare. Abbassa lo sguardo e sospira, mentre Kate si sente come se le avesse gettato in faccia una secchiata di acqua fredda.
E’ per questo che è andata da Dunn? Per imprimersi il suo viso livido a causa della morte e farlo diventare parte della sua mente per non sentire il peso delle morti che non è riuscita ad evitare?
Solleva lo sguardo sulla ragazza, perché si rende conto che sta ancora parlando.
-Voglio memorizzare il suo viso. Voglio che il mio cervello non lo dimentichi per poter chiudere gli occhi e dormire ancora. Voglio poter dormire e vedere lui morto nei miei sogni e non il viso cianotico di Geraldine nei miei incubi.-
Si asciuga una paio di lacrime stizzita e riporta lo sguardo su Kate che annuisce e scosta il telo nero dal viso del killer.
Jessica digrigna la mascella e resta con lo sguardo fisso sul viso livido e deformato di Dunn.
-Quando mi ha chiuso nella cella frigorifera non riuscivo a vederlo. C’era solo la sua ombra enorme proiettata sulle pareti e sembrava… sembrava invincibile…-
Scuote la testa cercando di fermare le lacrime per la rabbia.
-Invece è un uomo qualunque ed insignificante che si è portato via la parte migliore di me…-
Le lacrime scorrono veloci sul suo viso, non riesce a fermarle e Kate ricopre il volto di Dunn, chiudendo la cerniera.
-Adesso basta. Andiamo via.-
Le mette un braccio attorno alle spalle e la accompagna in corridoio. Ringrazia l’agente Lance e senza fermarsi, si dirigono  nell’atrio.
-Grazie per non avermi impedito di vederlo.-
Le dice Jessica, dopo essersi seduta continuando a stritolarsi le dita. Kate si siede accanto a lei sporgendosi in avanti con le braccia sulle gambe.
-Avresti continuato a credere fosse l’unico modo per fare sparire i tuoi spettri.-
Jessica si volta di scatto a guardarla e socchiude le labbra stupita e anche Kate le posa gli occhi addosso.
-Non è per questo che volevi vederlo? Per poter dare fisionomia all’odio, alla rabbia, al dolore!?-
Jessica riporta lo sguardo sul pavimento senza rispondere e Kate sospira.
-Dov’è Gordon?-
-Gli ho detto che avevo voglia di gelato…-
Kate si gira a guardarla sorridendo.
-Per colazione ed in pieno inverno?!-
La ragazza solleva le spalle sistemandosi i lunghi capelli.
-Capita che restiamo con il frigo vuoto, ma non manca mai il gelato. Sa che ci faccio anche colazione. Al bar dell’ospedale non ne  hanno, sapevo che doveva uscire e perdere un po’ di tempo… farebbe qualunque cosa per compiacermi in questo momento…-
-E tu te ne approfitti!-
La ragazza si gira ancora verso di lei.
-Non mi avrebbe mai fatto venire qui da sola!-
-E avrebbe fatto bene.-
Jessica riporta lo sguardo sulle sue mani, mordendosi le labbra e Kate sospira appoggiandosi di forza alla spalliera della sedia.
-Credi davvero che questo farà sparire i tuoi incubi? Credi davvero che mentire a Gordon o allontanarlo da te perché ti fa comodo, farà sparire il tuo dolore e ti farà dimenticare Geraldine e la paura di essere stata anche tu una vittima?-
-Perché mi dice questo?-
Le chiede con la voce carica di rabbia.
-Perché per anni ho cercato di dare un volto al dolore e alla rabbia e quando ci sono riuscita non è cambiato niente. Gli spettri non spariscono. Restano sempre lì. Forse per questo anch’io ho voluto dare ancora un’occhiata al cadavere di Dunn. Per mettere la parola fine almeno con lui… e spero che riesca a farlo anche tu, dopo essere stata lì dentro.-
La sua voce è calda, un sussurro che le arriva alle orecchie senza un’intonazione ben precisa, tranne di dolcezza. Dal primo istante che l’ha incontrata, dopo la morte di Geraldine, ha capito che il cuore della detective è rotto da un dolore simile a quello che sente lei adesso, ma non ha il coraggio di indagare oltre. Sospira asciugandosi le lacrime.
-Gli spettri… come spariscono allora!?-
Le chiede cercando di non piangere e lei incastra gli occhi ai suoi.
-Nel tuo dolore sei fortunata Jessica, in due il dolore si ammortizza. Gordon ti ama. Stringiti a lui. Mostragli il tuo dolore e condividilo con lui. Proteggilo come lui protegge te.-
Jessica la guarda confusa e Kate le prende le mani, stringendogliele con forza.
-Hai ragione, farebbe qualunque cosa per te, non allontanarlo…-
La ragazza scuote la testa con veemenza, come se la cosa la terrorizzasse.
-Sarei persa in questo momento senza di lui!-
-Allora dimostraglielo! Rendilo partecipe di quello che senti, degli incubi che vengono a trovarti la notte, della rabbia che ti consuma, fagli capire perchè avevi necessità di vedere quel mostro in faccia…-
Jessica si asciuga le lacrime e sorride.
-Lei ci è riuscita con il signor Castle?-
Le chiede come fosse naturale sapere che lei e lo scrittore sono innamorati e Kate si ritrova a sorridere, annuendo.
-Ma solo dopo tanti anni e tanti sbagli. Isolare il dolore per non sentirlo porta solo a sentirlo amplificato, tanto da non dar retta a nient’altro…-
-E… e poi cos’è successo? Se posso chiederglielo!-
Balbetta imbarazzata continuando a guardarla, mentre lei resta di profilo a guardare davanti a sé in un punto imprecisato.
-E poi sono stata fortunata anche io, nel senso che il mio ammortizzatore non ha avuto vita facile con me, ma non si è arreso. E’ stato paziente e alla fine mi ha presa per sfinimento…-
La guarda sollevando un sopracciglio e riesce a farla ridere, poi tornano serie e a Kate luccicano gli occhi.
-…e non lo ringrazierò mai abbastanza per questo. E’ stato uno sfinimento che ha alleviato il mio dolore e ha allontanato i miei spettri. Mi ha salvata… in ogni senso…-
Si volta a guardarla, Jessica ha ancora il viso rigato dalle lacrime, ma sorride. Un sorriso carico di tenerezza verso di lei.
-Come sta adesso il signor Castle?-
-Lo tengono ancora sedato, almeno fino a quando la febbre non calerà. L’antidoto non ha ancora dato gli effetti sperati, ma è un uomo forte e testardo. Non la darà mai vinta a Dunn.-
Sorridono stringendosi ancora le mani. Jessica sembra più tranquilla.
-Continuerò a pregare per lui, l’ho fatto tanto in questi giorni… non so perché, ma... è come se fosse uno di famiglia.-
Kate annuisce sorridendo.
-Riesce a catturarti l’anima. Ma io sono di parte!-
Scoppiano a ridere. Kate osserva attentamente Jessica, riesce a vedere il dolore nei suoi occhi, nei suoi lineamenti, anche in quella risata che le ha disteso i tratti del viso. Riesce a vederlo solo perché lo riconosce, ma riconosce anche l’amore che le darà la forza di tornare a vivere normalmente, quel sentimento che fino a poche settimane prima definiva complicato e che adesso invece è semplice. Semplice da riconoscere e naturale da vivere.
-Dovresti tornare da Gordon, o ti si scioglie il gelato.-
Le dice facendola ridere ancora.
-Mi farà una bella lavata di capo!-
-E farai bene a incassarla in silenzio. Senza ribattere…-
Jessica annuisce e l’abbraccia d’istinto, si stringono forte e si alza.
-Mi dimettono nel pomeriggio, posso chiamarla per avere notizie del signor Castle?-
-Puoi chiamarmi per qualunque cosa e in qualsiasi momento Jessica. Ricordatelo!-
 
Dopo che Jessica Benton era tornata dal suo Gordon, era rimasta seduta nell’atrio dell’obitorio per qualche minuto, con lo sguardo fisso sul suo polso, non quello fasciato e che di tanto in tanto le inviava fitte dolorose, ma quello che per giorni era stato orfano del suo tempo, un tempo che aveva inseguito correndo senza sosta. L’orologio con il cinturino più lucido del solito, segnava adesso un tempo tranquillo, scandito dal silenzio e dall’attesa.
Aveva detto a Jessica che dare un volto al dolore e alla rabbia non avrebbe fatto sparire i suoi spettri, però sapeva anche che guardarli in faccia era l’unico modo di combatterli. Per questo era lì. Lei aveva combattuto Dunn, lo aveva guardato in faccia quando ancora poteva farle del male e voleva guardarlo in faccia ora che non avrebbe più potuto nuocere a nessuno. Poteva sembrare paradossale, ma il suo cuore si era liberato da muri, inferriate e lucchetti proprio davanti alla cattiveria di Scott Dunn. Invece di chiudersi in se stessa per proteggersi dal dolore che le aveva prospettato per ore, aveva abbattuto anche le ultime difese che teneva ancora salde, per riuscire a combatterlo.
Erano ormai le nove del mattino, ed era ora che Dunn fosse lasciato solo con il buio che lo ha accompagnato per tutta la vita. Lei invece aveva ripreso l’ascensore ed era tornata alla luce.
Si era fermata ad osservare quel piccolo mondo che le aveva descritto suo padre. Martha era di nuovo al suo posto accanto al figlio; anche il suo viso sembrava più rilassato. Vederla dormire stretta a suo padre che la teneva per le spalle, come a proteggerla, le aveva fatto tenerezza. Si erano aggrappati l’uno all’altra per combattere l’ansia. E’ davvero strano come le situazioni difficili diventano semplici e chiare con qualcuno che ti sta accanto, anche se lontano da te anni luce, quando non si dà peso al cervello, ma al cuore.
La mattina era passata così, dentro e fuori da quella stanza, in attesa che le condizioni di Castle registrassero anche un lieve cambiamento. Gli erano state iniettate altre due dosi di antidoto, una direttamente in vena, l’altra lentamente all’interno della flebo, insieme agli altri farmaci che ancora lo tenevano sedato.
All’ora di pranzo Jim si era congedato con l’intento di sbrigare una faccenda urgente di lavoro per poter poi essere libero, per qualunque eventualità.
I giornalisti piantonavano ancora l’esterno dell’edificio e i notiziari continuavano a mandare in onda degli speciali sulla vita di Scott Dunn e sulle vittime che avevano avuto la sventura di incrociare il suo cammino, puntando, alla fine, sulla storia ‘romanzata’ del killer e la musa resa viva e reale dentro le pagine di un libro.
Nel pomeriggio era andata a trovare Abraham. Come aveva detto Esposito, le sue condizioni, a parte la malattia, erano buone. Era rimasta a fargli compagnia per una decina di minuti, nonostante dormisse profondamente anche lui. Più lo guardava, più sentiva una fitta al cuore per la sorte avversa che lo aveva accompagnato per tutta la vita e che, dopo la morte del Professore, non lo avrebbe più lasciato.
Ripercorrendo il corridoio per tornare da Castle, invece di salire di quattro piani, la solita forza invisibile che le si era attaccata addosso, l’aveva spinta a salirne solo uno, senza possibilità di scelta o di tornare indietro.
La sala d’attesa era decisamente più accogliente, con colori tenui che facevano da contorno a piccole e grandi stampe appese alle pareti, che ritraevano donne con il pancione o con neonati accoccolati tra le braccia. Quella strana forza sconosciuta l’aveva accompagnata fino alla nursery, spingendola ad allungare il collo per guardare le persone in miniatura che dormivano, urlavano e si rannicchiavano dentro le culle, con le manine strette a pugno, pronte a fare a botte con la vita.
Aveva letto il nome di ognuno e finalmente in prima fila, secondo da sinistra, ecco il piccolo Robert Lowell. Le si era aperto un sorriso inaspettato quando aveva letto il nome e il peso sul cartellino azzurro attaccato sulla culla. Quattro chili e trecento grammi di bambino che dormiva tranquillo e ciucciava qualcosa di inesistente tra le labbra. Si era ritrovata perfino a mettere la mano sul vetro e a passare il dito su e giù, come se potesse realmente attirare la sua attenzione e mentre lo faceva aveva scosso la testa, perché anche questa era una cosa in cui non si riconosceva.
Nel tardo pomeriggio aveva finalmente acconsentito ad andare qualche ora a casa. Aveva fatto una lunga doccia calda, rilasciando completamente la tensione e quando si era guardata allo specchio, aveva notato piccoli lividi sparsi nei punti in cui Dunn l’aveva stretta. Si era rivestita con calma e si era distesa sul letto, non per dormire, ma per lasciarsi avvolgere dal familiare tepore del suo letto e dall’inconfondibile profumo di Rick. Aveva chiuso gli occhi lasciandosi cullare da un momento di beatitudine, prima che Esposito e Ryan passassero a prenderla, dopo l’ora di cena, per riaccompagnarla in ospedale, dove avrebbe passato la notte, dando il cambio a Martha ed Alexis.
Solo dopo mezzanotte Ryan ed Esposito si erano decisi a tornare a casa ed era finalmente rimasta sola con Castle, nel silenzio del reparto completamente deserto, a parte l’infermiere di turno completamente a loro disposizione.
Gli aveva parlato del magazzino, della colluttazione, dell’entrata in scena di Abraham e della morte di Dunn, non era però riuscita a dirgli che aveva messo le labbra sulla boccettina. Pur sapendo che era praticamente impossibile che ascoltasse davvero le sue parole, aveva comunque paura di turbarlo. Anche questa era una cosa irrazionale, ma chi poteva sapere esattamente cosa sentisse o cosa provasse nel suo stato d’incoscienza.
Ben aveva deciso di restare ad occuparsi del suo particolare paziente, restando in una delle stanze vuote e finalmente dopo ore e ore di veglia continua si era addormentato, lasciando ordine all’infermiere di controllare Castle ogni ora.
La notte era passata così, con Kate distesa su una sdraio accanto al letto, la mano intrecciata a quella di Rick, stretta sempre sullo scalpo che si era guadagnato con sudore e coraggio, senza nessun miglioramento particolare. Era riuscita ad addormentarsi soltanto a notte inoltrata, ma si era svegliata di soprassalto ancora prima che la luce dell’alba salutasse il nuovo giorno. Si era alzata a fatica, aveva controllato la fronte di Rick e aveva chiuso gli occhi deglutendo dopo aver appurato che scottava ancora. Si era diretta alla macchinetta delle bevande per prendere qualcosa di caldo, quando aveva visto la dottoressa Dobbson entrare nell’ambulatorio. Aveva lasciato il bicchiere nella macchinetta e con il cuore in gola si era avvicinata alla porta. Claire aveva lasciato il suo laboratorio, magari aveva notizie sulla salute di Rick e questo l’aveva messa in allarme. Era pronta a bussare e chiedere notizie, quando le parole dolci bisbigliate l’avevano bloccata. Si era sporta a guardare attraverso la fessura della porta poco aperta e aveva sorriso. Ben le teneva le mani sul viso e la guardava con dolcezza, il sorriso di lei era raggiante, mentre il bel dottorino le offriva un biscotto di pasta frolla alla marmellata e Kate si era sentita improvvisamente di troppo. Si era allontanata senza fare rumore, sorridendo e scuotendo la testa. Erano proprio belli insieme e doveva dirlo subito a Castle, alla fine Ben aveva ascoltato il suo consiglio, sul fatto che doveva inventarsi il momento giusto e, tra una visita e l’altra, sembra che lo avesse trovato.
Gli aveva raccontato la scena nei minimi particolari, ridendo del fatto che la sua vicinanza, l’aveva resa impicciona come lui. Per un attimo si era bloccata a guardarlo aspettandosi che scoppiasse a ridere. Aveva stretto le labbra, accarezzandogli il viso, sospirando per scacciare pensieri angusti dalla sua mente.
Prima del cambio turno, l’infermiere aveva ricontrollato i parametri di Rick ed in silenzio, come era stato per tutta la notte, aveva scritto tutto sulla cartella clinica e si era congedato, proprio mentre Ben entrava per il controllo del mattino.
Aveva uno strano sorriso sulle labbra e nonostante la stanchezza e le poche ore di sonno, sembrava pronto ad una nuova intensa e lunga giornata di lavoro.
Ah… l’amore!
-So che non sei riuscita a mandare giù niente ieri sera, ma adesso dovresti avere proprio fame…-
Le aveva porto un pacchetto e quando lo aveva aperto si era ritrovata davanti un paio di quegli stessi biscotti che aveva offerto alla bella dottoressa.
Aveva sorriso senza dire nulla, ringraziandolo solo con un cenno della testa. Ne aveva portato uno alle labbra, continuando a seguire i movimenti di Ben mentre faceva i suoi controlli su Castle. Il profumo della marmellata le era arrivato alle narici ancora prima del gusto nel palato e aveva chiuso gli occhi pregustandone il sapore… marmellata di mirtilli…
 
-Sembra meno caldo.-
Sussurra Alexis con la mano sulla fronte del padre.
-L’ho notato anch’io prima che arrivaste, ma Ben non si pronuncia, vuole aspettare i risultati dell’ultimo prelievo fatto un paio di ore fa.
La voce di Kate sembra stanca, mentre aiuta Martha a togliersi il cappotto, offrendole una sedia per sistemarsi vicino a Rick.
-Non avremmo dovuto lasciarti qui da sola tutta la notte, ma sei così testarda!-
Esclama Martha guardandola preoccupata, ma Kate scuote la testa.
-Non è la stanchezza Martha, sto bene. Vorrei solo che stesse bene anche lui.-
La donna posa lo sguardo su Rick e gli stringe la mano, sospirando.
-Prima rincorrevi il tempo e adesso il tempo non passa mai!-
Kate si gira a guardarla con una stretta alla gola. Probabilmente ha dormito poco anche lei nonostante fosse tornata a casa. Si avvicina ai piedi del letto e poggia le mani sulla testiera.
-Mi spiace Martha. Con la frenesia di trovare il veleno per me le ore sono passate veloci, per voi deve essere stato terribile restare con le mani in mano con la sola prospettiva di aspettare.-
Martha la guarda sorridendo mesta, riportando poi lo sguardo sul figlio. Con delicatezza gli passa un panno umido sul viso e sul collo e poi torna a stringergli la mano.
-E’ stato terribile per tutti e ieri ero così stretta in un vulcano di emozioni, che non sono stata capace di dimostrarti la mia gratitudine…-
Kate scuote la testa, ma Martha non le dà modo di parlare, le tende una mano e lei gliela stringe con la sua.
-So quanto ti è costata questa caccia all’uomo Katherine!-
Come fai a sopportare la mia presenza…
La colpa che si è portata addosso per tutta l’indagine, i sentimenti contrastanti che non l’hanno fatta ragionare razionalmente… Martha vede e capisce. Come ogni madre.
Gli occhi le si riempiono di lacrime, ma le ricaccia subito indietro, sorride stringendole la mano e quando la lascia torna a prendersi cura del suo Richard.
Non hanno bisogno di aggiungere altro.
Un paio di colpetti alla porta le fa girare e la dottoressa Dobbson entra salutando con un cenno del capo, abbracciando al petto la sua preziosa cartellina.
-Pensavo che il dottor Travis fosse qui.-
-Presente!-
Esclama lui alle sue spalle facendola sussultare.
-Scusa, non volevo farti paura.-
-Ma farmi venire un infarto, invece si?!-
Gli mette la cartellina tra le mani e lo guarda male.
-Sono i risultati dell’ultimo prelievo, volevo li avessi subito, per questo te li ho portati di persona.-
A quelle parole Martha si alza e insieme ad Alexis e Kate si mette intorno ai due medici, in attesa. Il dottor Travis si prende un po’ di tempo per controllare le analisi e l’ansia è visibile sul volto delle tre donne. La dottoressa Dobbson non sopporta di vederle ancora tanto preoccupate, così mette la mano su quella di Martha e le sorride.
-Stia tranquilla signora, va meglio…-
Ben la fulmina con lo sguardo e lei solleva le spalle.
-Beh… due giorni fa mi hai costretta a dare loro brutte notizie, adesso voglio dargli quelle buone. Perché ci metti tanto?-
-Perché vorrei essere certo di quello che leggo.-
La bella dottoressa sbuffa, alzando gli occhi al cielo.
-Non fare il suscettibile, che ci vuole a dire che i valori sono molto migliorati!-
Martha, Alexis e Kate li guardano pieni di apprensione e Ben fulmina di nuovo Claire, che solleva ancora le spalle e sorride.
-Sbrigati, che stanno sulle spine.-
Alexis guarda Kate con l’espressione divertita, mentre Ben si acciglia sullo sguardo innocente di Claire. Controlla le analisi ancora una volta e poi annuisce.
-La situazione ematica è migliorata, i globuli bianchi stanno diminuendo…-
Dice cambiando pagina e finalmente alza lo sguardo su ognuna di loro.
-L’organismo ha cominciato finalmente ad assorbire l’antidoto.-
Martha si porta la mano alla bocca non riuscendo a trattenere le lacrime e Alexis la tiene stretta per le spalle sorridendo, mentre Kate posa gli occhi su Rick.
-Esattamente che cosa significa Ben?-
Il medico apre la bocca, ma Claire lo batte sul tempo con un sorriso enorme.
-Che possiamo eliminare i sedativi e vedere di svegliarlo.-
Un altro sguardo fulminante la fa ridere. Si aggiusta ancora gli occhiali e incrocia gli occhi di Ben.
-Certo… solo dopo che… che lo avrà detto lui…-
Kate stringe le labbra per evitare di ridere davanti a quella scenetta buffa e tenera e si ricompone quando Ben si avvicina a Castle. Gli misura la temperatura, la segna sulla cartella medica e poi la richiude, posandola sul tavolinetto alle sue spalle.
-La febbre è diminuita, solo di qualche linea, ma è già qualcosa.-
Si gira a guardarle incrociando il loro sguardo pieno di dubbi.
-Interrompere il coma indotto non significa che tra dieci minuti si sveglierà. Possono volerci ore, potrò sciogliere la prognosi solo quando la sua mente sarà del tutto vigile. Non è ancora fuori pericolo.-
Le tre donne annuiscono insieme, Ben preme il campanello per chiamare l’infermiera e le invita ad uscire per qualche minuto.
Claire esce per ultima, ma si sporge dalla porta e gli punta il dito contro, seria.
-Patti chiari e amicizia lunga, non fare il suscettibile con me, perché potrei renderti la vita difficile, dottore!-
Chiude la porta sparendo nel corridoio e Ben guarda Rick. Sospira e scuote la testa.
-Scommetto che te la stai ridendo di cuore e magari mi stai anche ricambiando gli auguri. Mi sa che ho una bella gatta da pelare anch’io… ed è tutta colpa tua!-


Angolo di Rebecca:

Dare un volto al dolore e all'odio può davvero liberare l'anima dal loro peso?
Kate è andata da Dunn spinta da una forza a cui non ha saputo dare un perchè, ma è stato proprio il dolore di Jessica che le ha dato un motivo, contrapposto al volto dell gioia rappresentato dalla manina chiusa a pugno di una nuova vita.
Ben comincia a preoccuparsi di Claire e fa bene, la bella dottoressa è tosta!
Un grazie infinito a tutte che ancora resistete ;D
Baci!

 

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Capitolo 56
*** 5 minuti... ***




  Capitolo 56
 

­
Il liquido verde sprizza dall’ago mescolandosi alle medicine già all’interno del flacone, sembra piroettare in mezzo alla soluzione trasparente, sfumandolo di diverse gradazioni, fino a quando lo colora del tutto. Una volta sistemato sull’apposito gancio, sbrilluccica alla luce del giorno che ha ormai invaso la stanza. Sembra un gioiello prezioso e, dal loro punto di vista, lo è davvero. E’ la possibilità di continuare a vivere per l’uomo che ognuna di loro ama in maniera diversa.
Martha, Alexis e Kate sono rimaste dietro il vetro a guardare i movimenti attenti e calmi del dottor Travis, mentre toglieva il flacone con la terapia farmacologica per il coma indotto e sistemava il nuovo flaconcino con dentro diverse medicine, di cui non conoscevano la composizione, insieme ad un’altra dose di antidoto.
Kate è così intenta ad osservare quell’operazione che si rende conto che la dottoressa Dobbson non è andata via, solo perché sente il suo sguardo addosso. Si gira a guardarla e lei le sorride.
-Non volevo distoglierla, era così assorta. Però… potrei rubarle qualche minuto, detective Beckett?-
Kate si volta verso Martha ed Alexis ancora attente sui movimenti del dottor Travis e poi torna a guardarla.
-Certo, mi dica pure.-
-In privato, se non le spiace. Potremmo accomodarci nell’ambulatorio qui dietro.-
Kate annuisce, corrugando la fronte e mentre si siede davanti alla scrivania, dietro la quale prende posto Claire, si sente assalire di nuovo dall’ansia.
-Non ci saranno problemi per la salute di Castle?-
Chiede istintivamente senza preamboli e la dottoressa Dobbson scuote la testa sorridendo.
-No, no… per niente. Anzi, le analisi sono davvero buone, in poche ore lo schema ematico è migliorato tanto, gli organi interni non hanno subito danni permanenti e appena l’antidoto verrà assorbito completamente, tornerà tutto normale.-
Kate sospira di sollievo e Claire sorride di nuovo, incrociando le mani sulla scrivania.
-Devo dire che il dottor Downing sapeva il fatto suo, è stato molto attento in questo.-
-Il Professore!?-
Esclama confusa Kate. Claire annuisce togliendosi gli occhiali e poggiandoli sul piano davanti a lei.
-Dunn gli aveva richiesto una tossina che uccidesse lentamente e lui l’ha realizzata, ma è stato molto attento. Ci sono centinaia di sostanze che possono danneggiate gli organi interni lentamente ed in maniera irreversibile, eppure lui ha usato dei componenti che, anche a distanza di tempo, non hanno leso le attività principali di ogni organo.-
-Quindi lei pensa che abbia sintetizzato la tossina con dei criteri ben precisi?-
Le chiede Kate stupita.
-Ha creato una sostanza mortale, ma non invasiva, nel senso che con l’antidoto, poteva essere neutralizzata del tutto e ha creato l’antidoto contemporaneamente perché evidentemente si sentiva in colpa per questa sua complicità con quell’assassino.-
-Non ha avuto il coraggio di opporsi a Dunn, ma ha fatto di tutto per evitare che la sua vittima morisse, mettendo la soluzione nelle mani di Abraham.-
Sussurra quasi tra sé Kate, abbassando lo sguardo sulle sue mani incrociate in grembo.
-E’ proprio del Professore che volevo parlarti.-
Kate si riscuote dai suoi pensieri, sollevando lo sguardo su di lei, che sorride imbarazzata.
-Ci possiamo dare del tu anche noi?-
Kate ricambia il sorriso annuendo.
-Vuoi parlami del Professore?-
-Di lui e di Abraham Pratt…-
Kate, sempre più confusa, le fa cenno di continuare.
-Le fiale con l’antidoto erano sistemate in un apposito contenitore protettivo, all’interno della scatola. Erano accompagnate da un foglio con la trascrizione della formula. Quando il detective Ryan me l’ha consegnata, ho pensato soltanto a fare le analisi per capire se fosse davvero l’antidoto e agire il prima possibile, solo dopo ho controllato il resto della scatola.-
Kate corruccia la fronte, continuando a non capire.
-Ho tolto il contenitore protettivo e alla base della scatola ho trovato una chiavetta usb. Pensando che potesse contenere altre informazioni riguardo la tossina, l’ho visionata subito. Invece non ha nulla a che vedere con il veleno. E’ un archivio in cui sono contenute tutte le cartelle cliniche di Abraham Pratt, da quando ragazzino è stato ospite di diversi Istituti Sanitari ad  oggi.-
Kate si sporge in avanti, appoggiando le braccia sulla scrivania.
-Ha senso. Se il piano del Professore fin dall’inizio è stato quello di produrre l’antidoto insieme al veleno, mettendolo nelle mani di Abraham per salvare sia lui che la vittima della sua tossina, deve anche aver organizzato tutto in modo che chi si fosse occupato di Abraham potesse conoscere la sua malattia nei minimi particolari!-
Esclama e Claire annuisce, rimettendosi gli occhiali.
-Non solo questo. Ha inserito tutte le ricerche che ha fatto nel corso degli ultimi cinque anni su questa malattia, le diverse prove che ha portato avanti per capire come curarla, i test che ha fatto su Abraham dopo che ha sintetizzato la sostanza che secondo lui lo avrebbe curato. Ha segnato anche il minimo sintomo, i rigetti che ha avuto l’organismo, le possibili allergie o intolleranze.-
Mentre parla comincia a gesticolare, sporgendosi in avanti verso di Kate.
-Quando Abraham ha cominciato la cura del Professore riusciva a mala pena a stare dritto, non poteva stringere le mani al punto che perdeva la presa sugli oggetti, faceva pochi passi e poi era costretto a sedersi, per non parlare dei dolori che lo accompagnavano giorno e notte. Cominciava ad avere problemi anche ad essere autosufficiente. Dopo un paio di mesi dall’inizio della cura ha ricominciato perfino a tenere a posto i giardini del college, riusciva a stringere tra le mani le cesoie per potare le piante, cosa che qualche settimana prima era impensabile. Il dottor Downing ha continuato a tenere una specie di diario sulla sua salute fino ad oggi. Abraham soffre di dolori alle ossa, ma riesce a vivere una vita normale e dignitosa.-
Claire parla a raffica presa dall’eccitazione ed è anche contagiosa, perché Kate si ritrova a sorridere.
-Claire, perché mi hai fatto venire qui e mi parli di questo?-
La dottoressa si morde il labbro tentennando un attimo, poi dalla tasca del camice prende un foglio e glielo porge.
-Perché ha lasciato questo per te.-
Kate lo prende senza aprirlo, guarda ancora un attimo Claire con la bocca socchiusa, poi sposta lo sguardo sul retro del foglio.
Per il detective Beckett e per i medici che si prenderanno cura di Abraham.
Torna a guardare Claire, che annuisce facendole cenno di leggere.
-L’ha scritto il giorno che è stato ucciso, l’ho letto perché era rivolto anche a me, in un certo senso.-
Kate scorre le poche righe in silenzio e man mano che legge, spalanca di poco gli occhi e socchiude la bocca.
-E’ il suo testamento! Lascia la formula e la documentazione annessa… a me!?-
Solleva lo sguardo su Claire nella confusione più completa.
-Io non capisco…-
-Stava cercando qualcuno di fidato che potesse aiutare il suo amico e tu gli sei sembrata l’unica, nonostante non ti conoscesse. Evidentemente il solo fatto che Dunn volesse farti del male, ti ha resa degna di fiducia ai suoi occhi… è come se ti avesse affidato Abraham!-
Le dice Claire con un sorriso dolcissimo.
-Kate, quell’uomo aveva una mente geniale, è riuscito a trovare una cura per il suo sfortunato amico, ma che potrebbe lenire le sofferenze di altre centinaia di persone in tutto il mondo. E’ un peccato che l’abbia tenuta nascosta fino ad oggi…-
Si ferma di colpo abbassando lo sguardo pensierosa.
-…e adesso che è morto, Abraham regredirà lentamente, fino a tornare praticamente immobile.-
-Aspetta un momento. Il Professore ha lasciato tutta la documentazione per poter produrre la medicina. Hai tutti gli elementi e le analisi che ti servono per poterlo fare…-
Anche Kate comincia a gesticolare e la dottoressa solleva le mani per fermarla.
-Ho tutto il materiale, è vero, ma io non sono una ricercatrice. Non posso preparare questa medicina in laboratorio, né per una sola persona come faceva il dottor Dowining, né per il resto delle persone affette dalla stessa malattia, non ho le risorse e sarebbe anche alquanto illegale. Kate, questa malattia è rara, è un bene che ne soffrano solo poche persone nel mondo, ma è anche una disgrazia, perché per la sua rarità non ha la visibilità di cui necessita una ricerca. Studiare malattie del genere sarebbe un grosso impegno di soldi.-
Kate annuisce cominciando a capire il suo discorso.
-Allora che facciamo? Mettiamo tutto da parte e ci dimentichiamo di Abraham? O di tutte le persone che soffrono della stessa malattia? Queste sono le ultime volontà del Professore, non posso fingere che non esistano!-
-Lo so Kate. Il punto è che, se metto a disposizione della Commissione Sanitaria Nazionale tutta la documentazione, non ci metteranno su le mani, ma gli artigli. La medicina funziona, è già stata testata ampiamente su un essere umano e ci sono tutte le prove e i test, in poche settimane si potrebbe anche decidere per la produzione e le case farmaceutiche si fionderebbero come avvoltoi per appropriarsi del brevetto. Farebbero di tutto per una scoperta di questa portata. Parliamo di milioni di dollari. Senza contare il fatto che per arraffare molti più soldi, potrebbe diventare una medicina che solo pochi potrebbero permettersi!-
Kate stringe le labbra, abbassa lo sguardo e corruccia la fronte, come se non ascoltasse più le parole della dottoressa, che inclina la testa schiarendosi la voce.
-Kate!-
-Stavo pensando… sono io responsabile della documentazione e della formula della medicina, quindi, una volta esaminata e ritenuta idonea alla produzione, posso anche decidere di usare il brevetto come mi pare.-
Stavolta è Claire che corruccia la fronte e Kate si sporge in avanti appoggiando le braccia sulla scrivania.
-Basterà consegnare il brevetto ad un privato che la metta in commercio senza speculazioni.-
-E come pensi di fare?-
-Attraverso un’associazione benefica. Potremmo organizzare delle raccolte fondi, come si fa per le campagne di altre malattie, con la differenza che qui la medicina esiste già e deve solo essere prodotta su larga scala, questo farà piovere una montagna di soldi, per non parlare della pubblicità gratuita che porterebbe a chi si accolla la sua produzione.-
Claire la guarda affascinata e sorridente.
-Tu sai già come fare, non è vero?-
Kate scuote la testa storcendo le labbra.
-In effetti non ne ho la minima idea, ma conosco qualcuno, che conosce qualcuno, che conosce qualcun altro…-
Si morde il labbro e sorride, mentre Claire invece scoppia a ridere.
-Sapevo che parlarne con te avrebbe portato ad una soluzione. Farò anche io qualche altro test sulla formula, così presenterò le mie opinioni personali, ed è bene allegare anche la lettera, è a tutti gli effetti un documento delle ultime volontà dell’inventore del brevetto, così nessuno potrà metterci su le mani legalmente senza il tuo permesso.-
Kate gliela porge annuendo.
-E’ tutta tua, fanne un paio di copie però!-
Claire la conserva di nuovo in tasca e si alzano insieme per tornare in corridoio.
-Uh… quasi dimenticavo!-
Esclama, porgendole stavolta una busta da lettera ben sigillata.
-C’era anche questa. E’ per Abraham… visto che lo conosci, magari puoi dargliela tu quando starà meglio.-
Kate prende la busta tra le mani e annuisce.
-Sarà una sofferenza per lui…-
Escono in corridoio e Kate guarda verso la stanza di Castle, stringendo la lettera tra le mani.
-Tranquilla. Starà bene!-
Le sussurra Claire e quando lei si gira a guardarla, le sorride.
-A parte la modalità, è stato un piacere conoscervi tutti. Siete una bella squadra e non solo nel lavoro.-
-Anche tu e Ben siete una bella squadra…-
Ribatte Kate mordendosi il labbro e la dottoressa arrossisce di colpo, ma senza rendersene conto le si apre un sorriso radioso sulle labbra, si schiarisce la voce e si aggiusta gli occhialini sul naso, al solito senza motivo.
-Sarà meglio che torni in laboratorio…-
 
Dopo la chiacchierata con Claire è tornata dal suo scrittore che, a detta di Ben, avrebbe dormito profondamente ancora qualche ora, il tempo necessario per smaltire i sedativi, l’unica cosa da fare quindi, è armarsi di pazienza e sangue freddo e continuare ad aspettare.
Martha ha centrato il punto quando le ha detto che correndo, per lei le ore erano passate più in fretta. E’ stata un’agonia, perché il tempo correva e lei non riusciva a venirne a capo, ma almeno non aveva avuto modo di fermarsi a pensare, anche perché, quelle poche volte che lo ha fatto, era uscita fuori di testa e tornata lucida solo grazie alla vicinanza dei colleghi ed all’eco delle parole di Rick, che le parlavano più nel cuore che nelle orecchie.
E’ rimasta insieme ad Alexis e Martha a parlargli, tenergli la fronte fresca e inumidirgli le labbra, sempre più secche. Hanno parlato tra loro come una famiglia, sempre con quell’acciglio in fronte, segno della preoccupazione che comunque non riescono ad abbandonare. Non è facile stare ore ed ore a guardarlo dormire, immobile, sempre nella stessa posizione, senza un movimento qualsiasi, con il sibilo cadenzato dalla bombola di ossigeno che lo aiuta a respirare e che nel silenzio totale arriva fino a dentro il cervello.
Di tanto in tanto si è allontanata nel corridoio per rispondere alle chiamate dal distretto e di Lanie. Nonostante le poche ore di sonno, erano tutti al lavoro anche quella domenica mattina, c’erano i rapporti da redigere e chiudere, mettere bene in chiaro la situazione della squadra con il Capo della polizia e fare l’autopsia su Scott Dunn, ultimo anello della catena per poter chiudere finalmente e definitivamente questa particolare indagine.
Verso l’ora di pranzo, l’ha chiamata anche Jim, chiedendo notizie e dicendole che sarebbe arrivato di lì a poco con qualcosa di caldo da mangiare per tutti. Dopo aver chiacchierato con lui, rassicurandolo sia sulla salute di Castle che sulla sua, rimane  fuori a guardare dal solito vetro. La stanchezza comincia a farsi sentire davvero, la testa le pulsa di meno, dopo che Ben le ha fatto prendere un paio di analgesici, ma avrebbe davvero bisogno di chiudere gli occhi e dormire.
Sospirando, porta la mano nella tasca posteriore dei jeans e prende la lettera del Professore indirizzata ad Abraham. Stringendola tra le mani, appoggia la testa al vetro, sempre con gli occhi fissi su Rick e su quella barba che, diventata troppo lunga, non ha niente di affascinante e gli dà un’aria ancora più sofferente. Abbassa lo sguardo sulla busta bianca, la rigira tra le mani e legge la calligrafia poco comprensibile di Lester Downing ‘Al mio caro Abraham’.
Riporta lo sguardo su Castle e le si chiude la gola, ripensando a quel piccolo uomo pieno di sofferenze fisiche, che è riuscito con la sua bontà e la sua lealtà, a riportare sulla retta via un uomo che l’aveva persa, forse proprio per la solitudine e la consapevolezza di essere diverso dalla massa. Di sicuro ogni parola letta gli si sarebbe conficcata dentro il cuore come un coltello, proprio perché la retta via lo ha portato alla morte. Sapere che ha pensato a lui per tutto il tempo, che alla fine ha anche lasciato per iscritto l’aiuto concreto per la sua salute, sarebbe stato un sollievo ed un peso al tempo stesso.
Continua ad osservare il suo scrittore, circondato dall’amore delle sue donne, quelle donne di cui anche lei adesso fa parte, anzi, di cui lei ha l’onore di fare parte, come le ha detto suo padre con tutto il cuore, ed è così presa dai suoi pensieri che non si accorge subito di Alexis che apre la porta agitata.
-Che succede?-
-Il monitor mostra un cambiamento nella velocità dei battiti e si lamenta. Chiamo il dottor Travis.-
Kate annuisce ed entra in stanza. Castle corruccia la fronte e stringe le labbra, emettendo dei piccoli lamenti, ed effettivamente, i battiti non sono più calmi e ritmati. Martha la guarda con apprensione, non riesce a capire se sia un buon segno oppure no. Seguono in silenzio Ben che si avvicina al monitor, controlla i parametri e poi tasta il polso di Rick.
-Tranquille, è tutto normale. Il corpo comincia a riprendere sensibilità, è probabile che senta del dolore. Vediamo se riesce a sentirmi.-
Prima di chinarsi su di lui per chiamarlo, Rick socchiude di poco le labbra e pronuncia in modo confuso il nome di Beckett. Ben la guarda sorridendo.
-Kate, prova a chiamarlo tu, con la voce calma, senza fretta.-
Le tre donne si guardano e Kate si abbassa al suo orecchio, mettendogli la mano sul viso.
-Castle! Castle svegliati…-
Lui gira la testa verso di lei, attaccando la fronte alle sue labbra, stringe gli occhi ed emette un altro lamento.
-Castle!-
Ripete lei sussurrando e lui sospira, sbiascicando qualcosa di incomprensibile. Kate guarda Ben, che annuisce spingendola a riprovarci.
-Castle, devi svegliarti!-
Riprova Kate con lo stesso tono con cui si parla ad un bambino e lui si accuccia di più verso di lei.
-Uhm… altri cinque minuti…-
Sussurra in maniera quasi impercettibile e Martha sorride di sollievo, guardando Kate.
-E’ sempre stato pigro per svegliarsi!-
Anche lei sorride, sapendolo bene e, sempre con lo sguardo fisso su di lui, ci riprova.
-E’ ora di svegliarsi Castle, fa un piccolo sforzo.-
Rick corruccia la fronte.
-Dob… biamo correre al… al distretto?-
Balbetta sbiascicando le parole, ma senza nessuna intenzione di aprire gli occhi.
-No, niente distretto, ma devi svegliarti lo stesso.-
A quella risposta sbuffa girando la testa dall’altro lato.
-Allora torna… a dormire, che…  mania che hai di alzarti all’alba… senza motivo!-
Fa un sospiro, si sistema meglio sul cuscino e per lui la discussione finisce lì.
Scappa una risata perfino al dottor Travis, mentre Alexis scuote la testa e Kate si avvicina per parlargli ancora, ma Ben la ferma.
-Basta così… lasciamolo riposare.-
Le tre donne gli posano gli occhi addosso contemporaneamente, guardandolo in modo strano e Martha si alza di colpo andandogli vicino.
-Aspetti un momento dottor Travis, abbiamo fatto di tutto sperando che si svegliasse e adesso lo lasciamo dormire?-
-Esattamente.-
Anche Alexis lo guarda allibita e lui sorride, facendo segno a tutte di uscire un momento.
-La mia preoccupazione era che avesse difficoltà a riprendere lucidità e a percepire il contatto esterno. Mi ha appena dimostrato che è lucido, sente cosa succede intorno a lui e risponde anche positivamente. Ha risposto a Kate tranquillamente, anche un po’ scocciato direi…-
La guarda divertito, mentre lei arrossisce senza motivo, quando Martha ed Alexis le posano gli occhi addosso.
-E’ evidente che vuole riposare, ed è quello che gli lasceremo fare.-
-Io non capisco, ha riposato per ore!-
Continua Martha sospirando, ma Ben scuote la testa.
-Signora Rodgers, capisco benissimo che non vede l’ora di vederlo sveglio, ma fino ad ora suo figlio non ha riposato. Rick era in stato di coma, era costretto a dormire, così come tutto il suo corpo. Le sue attività vitali erano rallentate, ma di certo non riposava. Anche il coma è uno stato di stress e risvegliarsi lo è ancora di più. Percepirà il dolore, sarà intorpidito ed è probabile che quando sarà completamente sveglio sarà confuso e non ricordi subito le ultime ore. Dalla risposta che ha dato a Kate, crede di essere a casa con lei, nel suo letto, al sicuro. Quindi la cura migliore per le prossime ore, oltre l’antidoto, sarà il riposo, anche perché quando sarà lucido del tutto, piomberà in una realtà che lo farà soffrire ancora.-
Alexis riporta lo sguardo verso suo padre e annuisce.
-Quindi dobbiamo aspettare ancora?!-
Dice sconsolata rivolta a Ben.
-Proprio così e adesso dovrete parlare sottovoce e cercare di disturbarlo il meno possibile. Lo so che è dura, ma ormai è mentalmente vigile. La traccia ematica è migliorata ancora e anche la febbre continua a scendere.-
Sente il loro sguardo trafiggerlo, con la stessa espressione seria e tirata e si ritrova a sorridere.
-Gli serviranno un paio di giorni per riprendersi, ma posso asserire con certezza che ormai è fuori pericolo!-
Dice finalmente, sollevato anche lui dalle sue stesse parole. Alexis stringe istintivamente la mano di Kate, mentre Martha mette le mani sul viso del dottore e lo bacia sulla guancia.
-Grazie dottor Travis!-
Senza dire altro rientra in camera, piazzandosi accanto a Rick, mentre Ben cerca di riprendersi, schiarendosi la voce.
-Ehm… bene, io… io credo che andrò a pranzo…-
 
La neve è alta e candida.
Fa freddo. Così freddo che gli battono i denti, mentre cerca di fermare quel diavoletto che corre senza cappello e sciarpa come se invece fosse una giornata d’estate. Il gelo le colpisce le guance, ma lei sembra non accorgersene, corre a perdifiato ridendo e battendo le mani, mentre si gira verso di lui che non riesce a raggiungerla.
Le urla di fermarsi, le dice che deve mettersi il cappellino o le verrà la febbre, ma lei continua a correre ridendo e saltellando felice, con i capelli che si inumidiscono per la neve che continua a cadere leggera.
All’improvviso si ritrova da solo. Niente risate. Niente urla di gioia. Solo neve bianca e silenzio. E poi il buio… e freddo…
-Al… Alexis no… fr…freddo… no… no…-
La calma che li ha avvolti per qualche ora viene interrotta dai bip accelerati del monitor collegato al battito cardiaco di Rick. Improvvisamente ha cominciato a inviare un suono acuto e veloce, mentre lui ha preso a tremare e a scuotere la testa da un lato all’altro, balbettando monosillabi incomprensibili. Kate gli tiene la mano in cui è inserito l’ago della flebo, il tremore è così forte che ha fatto dondolare anche il tubicino collegato al flacone. Alexis gli mette una mano sul viso cercando di calmarlo, mentre Martha esce di fretta per chiamare Ben, ma se lo ritrova davanti.
-Ho sentito il monitor, che succede?-
-Non lo so, era tranquillo e all’improvviso ha cominciato a tremare e ad agitarsi, forse sente dolore.-
E poi quella risata terrificante che inghiotte tutto, anche la sua voce…
Ben si avvicina per controllarlo, mentre in sottofondo sentono ancora i suoi lamenti strozzati, come se volesse urlare e chiedere aiuto e qualcosa gli bloccasse la voce.
-Non è dolore fisico. Ha paura!-
Sussurra Kate senza togliergli gli occhi di dosso, mentre tutti si fermano a guardarla e Rick stringe i pugni con forza, mettendo in tensione tutto il corpo. Anche il respiro diventa pesante a causa dei battiti veloci, tossisce un paio di volte, boccheggiando per recuperare aria nonostante l’ossigeno.
-Ha un incubo. E’ terrorizzato!-
-Dobbiamo svegliarlo Kate, con calma, ma deve svegliarsi. Se il cuore continua a battere così sarò costretto a sedarlo di nuovo, non può sopportarlo.-
Martha e Alexis restano ai piedi del letto con gli occhi sgranati e senza quasi respirare, Kate annuisce digrignando la mascella. Sente gli occhi inumidirsi, perché conosce quella sensazione di panico che imprigiona nel sonno.
-Freddo… fr… freddo…-
Castle continua a tremare e a scuotere la testa. Muove gli occhi freneticamente sotto le pupille e tiene le labbra strette, continuando ad emettere dei lamenti tra i denti. Kate gli mette una mano sul viso e cerca di tenergli la testa ferma verso di lei, appoggia la fronte alla sua e comincia a sussurrare con un filo di voce.
-Va tutto bene Castle, sono qui… non sei solo. Sono qui con te.-
Il buio si tinge di rosso, il sangue sporca al neve candida e lei… lei cade a terra inerme con gli occhi sbarrati…
-K… Kate… no… no Kate… non toccarla… non tocc… toccarla…-
Il monitor continua a suonare impazzito e Ben prepara una siringa di tranquillante, ma Kate scuote la testa dandogli ad intendere di aspettare ancora.
-Castle è tutto a posto. Sei al sicuro. Devi solo svegliarti.-
-No… non andare… Kate no… re… resta qui…-
-Non vado da nessuna parte Castle, sono accanto a te.-
Ad ogni sussurro accompagna una carezza. Martha guarda Kate, ipnotizzata dalla dolcezza con cui gli parla e lo accarezza, cercando di rassicurarlo. Rick continua a tremare, ma rilassa i pugni e smette di scuotere la testa, restando attaccato al calore della sua fronte.
-Sei al caldo e al sicuro.-
-Uhm… K… Kate…-
-Sono qui, non ti succederà niente.-
Le stringe la mano con vigore e sbarra gli occhi di colpo sollevando la testa, ansimando come se avesse trattenuto il respiro fino a quel momento.
-Castle!-
Lo chiama Kate e lui rimette la testa sul cuscino, respirando affannosamente.
-Castle guardami…-
Gira la testa verso di lei con lo sguardo vacuo, come se la vista fosse sfocata, ma la voce di Kate lo rassicura ancora una volta, pian piano mette a fuoco e si ritrovano occhi negli occhi. Lei gli sorride e Rick sospira.
-K… Kate!-
-Ehi…-
Sussurra lei, continuando ad accarezzarlo.
-C’era… c’era freddo ed Alexis non voleva mettersi il cappellino… poi è arrivato lui e… e rideva… non riuscivo a venire da te e…-
-Shhh. Era solo un sogno Castle, calmati.-
Appoggia ancora la fronte alla sua facendolo sospirare di sollievo.
-Cos’è questo… questo rumore?-
Chiede confuso dal suono continuo del monitor, non rendendosi conto di essere ancora in ospedale.
-Il tuo cuore che sta esagerando e se non ti calmi sarò costretto a sedarti.-
Gli risponde il dottor Travis e lui solleva lo sguardo ancora spaventato.
-No, niente sedativi… non voglio… non se ne fa niente… non… non devi andare…-
Balbetta rivolto verso Kate che corruccia la fronte non capendo perché continua ad agitarsi.
-Non devi. Dunn è pericoloso, non voglio… è un piano stupido…-
Si guardano in faccia quando si rendono conto di cosa parla e Kate gli sorride, scuotendo la testa.
-Calmati Castle. E’ tutto finito.-
-Che… che significa?!
Le chiede corrugando la fronte sempre più confuso.
-Che Dunn non farà del male mai più a nessuno e tu hai avuto il tuo antidoto insieme al suo scalpo.-
Gli dà un bacio sulla fronte e gli solleva la mano chiusa ancora a pugno attorno alla boccettina vuota, gliela mostra, mentre lui segue i suoi movimenti sempre più confuso e nota improvvisamente il suo livido.
-La tua faccia! E’ già successo? Mi avete addormentato e tu hai affrontato Dunn… che ti ha fatto? E gli altri stanno bene?-
Comincia ad agitarsi di nuovo e Kate alza di poco il tono di voce per fermare il suo fiume di parole.
-Stiamo tutti bene Castle, devi solo stare calmo.-
 Guarda la boccettina vuota nella mano di Kate, poi in alto verso il flacone di quella flebo che non lo abbandona da ore e sospira chiudendo gli occhi, quando nota il colore diverso della sua medicina.
-E’ tutto finito!?-
Sussurra voltandosi ancora verso Kate, deglutendo con gli occhi lucidi. Lei gli sorride accarezzandolo ancora.
-E’ tutto finito!-
Gli risponde spostando lo sguardo su Martha e Alexis, che finalmente si avvicinano, attirando la sua attenzione.
-Mamma… Alexis!-
Per la prima volta da quando ha aperto gli occhi abbozza un sorriso, con l’espressione più rilassata, stringe la mano di Martha, mentre Alexis si china a baciarlo, restando con il viso attaccato al suo per qualche secondo.
-Hai sempre odiato i cappellini!-
Le sussurra all’orecchio facendola ridere tra le lacrime.
-Li odio ancora!-
Si stringono entrambe a lui e gli occhi gli si riempiono di lacrime. Si scostano continuando a stargli vicino, Martha non riesce a dire nulla, gli stringe solo la mano come se avesse paura che possa sparire, mentre lui fa la stessa cosa con quella di Kate dall’altra parte del letto.
-Mi spiace disturbarvi, ma vorrei fargli qualche domanda per capire come sta veramente.-
Rick lo guarda sollevando un sopracciglio.
-Sono Richard Castle, scrivo libri gialli, Scott Dunn voleva avvelenarmi, ma…-
Corruccia la fronte guardando Kate, rendendosi conto che oltre al fatto che hanno trovato l’antidoto, non ha la più pallida idea di cosa sia successo realmente.
-Che ne è stato di lui?-
Ma è Ben che risponde prima che possa farlo Kate.
-Di lui parliamo dopo, l’importante adesso sei tu come paziente. Mi fa piacere che ti ricordi chi sei, ma vorrei sapere come ti senti.-
Rick aggrotta la fronte continuando a pensare a Dunn, curioso di sapere.
-Se mi muovo ho dolore un po’ ovunque e sento ancora un peso sul petto, ma direi che va abbastanza bene.-
-Direi anch’io.-
Risponde Ben sorridendo.
-L’infezione sta regredendo, avrai ancora difficoltà a muoverti nelle prossime ore, ma nell’insieme il quadro clinico è buono. Tra un paio di giorni sarai come nuovo.-
Rick annuisce umettandosi le labbra e Ben si sporge verso di lui.
-Hai bisogno di bere, ti va un po’ di tè caldo e ben zuccherato? Sarebbe meglio dell’acqua al momento.-
-Se riesco a mandarlo giù, volentieri.-
Ben sorride e si allontana, ma quando anche Kate fa per alzarsi e lasciargli la mano, si gira di colpo, trattenendola.
-Non andartene, rimani qui. Non mi lasciare…-
Kate si siede di nuovo accanto a lui con le labbra socchiuse, meravigliata da quella reazione.
-Non… Castle non vado da nessuna parte. Volevo solo chiamare Esposito per avvertire che ti sei svegliato. Aspettano tue notizie da ore.-
Lui continua a guardarla come se volesse abbandonarlo.
-Torni subito!?-
La sua sembra quasi una preghiera e lei sente le lacrime salirle agli occhi, mentre guarda Martha che le sorride.
-Certo che torno subito. Niente e nessuno mi impedirà di stare qui con te.-
Si china a baciarlo e prima di alzarsi, gli passa la mano sul viso. Lui la segue con lo sguardo fino a che sparisce nel corridoio insieme a Ben.
Martha resta in silenzio ad osservarlo. Stanco, provato e spaventato, con il cuore innamorato come un ragazzino. Poi posa lo sguardo su Kate, sul suo sorriso mentre parla già al telefono per avverte i suoi amici che Rick sta meglio e le vengono le lacrime agli occhi. E’ emozionata. Sa da anni del sentimento di suo figlio per la bella detective, ma nonostante tutto non era certa che fosse abbastanza forte da durare nel tempo. Invece, quello che pensava non sarebbe mai successo, ha appena preso vita: vedere il suo Richard realmente felice accanto ad una donna, libero di mostrarsi a lei con tutto se stesso, senza la maschera dietro cui si nascondeva per non rimanere scottato, come tante volte era successo.
Kate era quella giusta.
Torna a guardare il suo Richard abbracciato ad Alexis, ripensa alla paura provata, alla speranza mai persa, alla sua fiducia verso Kate mai vacillata e sente di non essere mai stata tanto felice in tutta la sua vita, tranne forse quella notte, quell’unica, meravigliosa, strana notte che ha cambiato per sempre la sua vita. 


Angolo di Rebecca:

Riccadone si è svegliato *-* certo all'inizio si è anche scocciato che l'hanno disturbato, ma poi si è svegliato terrorizzato, povero tesoro.
Che dire del Professore? Ha fatto di tutto per salvare Abraham e anche la vittima designata e Claire e Kate sono proprio in simbiosi nela loro discussione :) chissà che ha in mente Kate per la medicina di Abraham!
Virginia bella sei contenta? 
Niente Castle monday da stasera :'( 
Buona serata <3

 

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Capitolo 57
*** Il Tarlo del Dubbio ***




 
Capitolo 57
 


Si guarda le mani, le chiude a pugno e poi le riapre. Il fastidio iniziale, che gli dà l’impressione di avere zavorra al posto delle falangi, si allontana dopo qualche secondo, quando riesce a muoverle con più scioltezza, anche se non riesce ancora a mantenere una presa stretta. La boccettina vuota di veleno gli è rimasta nel pugno e quando ha cercato di sollevarla per guardarla da vicino, è scivolata rovinosamente sul copriletto, come se qualcuno gli avesse dato un colpetto sulla mano, per farla cadere. Continua a chiudere ed aprire le mani con la fronte corrucciata, non perché concentrato in quel lavoro che sembra essenziale al momento, ma per la confusione che lo ha colto appena sveglio.
Intorno c’è silenzio, niente madre, niente figlia e niente Kate.
Si è guardato intorno notando una tazza sul comodino, probabilmente il suo tè caldo e molto zuccherato, che evidentemente non ha bevuto. Si passa la lingua sulle labbra, cercando di inumidirle e di dare frescura alla gola e alla bocca sempre più secca  ed impastata. Deve essersi riaddormentato mentre aspettava il ritorno di Ben con il tè, immerso nelle coccole dell’abbraccio di Alexis, che era rimasta con lui quando Kate era uscita a telefonare.
Lo schienale del letto è di nuovo sollevato, riesce a vedere fuori dalla finestra e la confusione lo coglie ancora, sicuro che la prima volta che aveva aperto gli occhi ci fosse ancora la luce del giorno, adesso invece il cielo è già imbrunito. Sospira chiedendosi che ore siano e, soprattutto, che giorno è. Quando ha chiesto del loro piano, Ben e anche Kate, hanno  pensato solo ad accertarsi che lui stesse meglio, senza dargli altre spiegazioni di sorta. Deve aver dormito parecchie ore e nonostante questo, dopo essersi svegliato, non è riuscito a tenere gli occhi aperti il tempo necessario per bere un tè.
Sospira, tornando a guardarsi le mani, prende la boccettina e con attenzione la stringe tra le dita, cercando di non farla cadere, gli viene in mente che dovrebbe muovere anche le gambe, ma quando ci prova, una strana fitta elettrica lo percorre dalla punta dei piedi alla testa. Stringe le labbra, chiude gli occhi e la butta all’indietro sul cuscino, cercando di allontanare quello strano dolore che si è irradiato attorno al cervello. Solleva il braccio passandosi la mano sulla fronte ancora calda, scendendo poi sul viso. Sente la barba ispida e si rende conto che deve avere un’espressione terribile. Mentre prende confidenza con il suo lui praticamente sveglio, ma molto confuso, ancora ad occhi chiusi fa mente locale sulle figure che gli hanno fatto compagnia nel sonno. E’ sicuro di aver sognato per tutto il tempo, di aver sentito delle voci, dei rumori, dei silenzi, ma non riesce a mettere a fuoco il tutto. L’unica cosa che ricorda con chiarezza è che la paura e la confusione iniziale su quel piano sconclusionato andato in porto, ma che nessuno ancora si è preso la briga di raccontargli, ha lasciato posto ad una faccia bianca di cui vedeva solo un enorme naso rosso a forma di palla, che gli volteggiava intorno e che continuava a ridere di lui, aprendo la bocca per mostrare i denti aguzzi, pronto ad ingoiarlo.
Apre gli occhi di colpo inspirando a fatica, perché la risata sarcastica e cattiva gli risuona nelle orecchie anche da sveglio, il cuore ricomincia a correre e sentirlo sdoppiato, tra il rimbombo nel suo petto e i bip di nuovo veloci del monitor, lo riporta dentro l’inquietudine che ha provato risvegliandosi. Solleva la testa dal cuscino e con attenzione tocca la cannula ancora inserita nelle narici. La tasta piano per non spostarla e combinare qualche guaio.
Sarà che è stato fermo e immobile per troppe ore a causa del veleno, saranno i sedativi, ma più cerca di muoversi, più si rende conto di essere dolorante e intorpidito. Fa un altro respiro portandosi la mano al petto. Il peso è sempre lì, ma quanto è bello riuscire a mandare aria ai polmoni senza tossire e sentirsi soffocare.
L’ultima cosa che ricorda, mentre i sedativi entravano nelle vene per accompagnarlo nel sonno profondo, con l’incognita se mai si sarebbe svegliato e soprattutto se Kate sarebbe riuscita a fermarsi un passo prima di cadere nel vuoto per lui, è proprio  la sensazione di soffocamento per la mancanza di respiro. Ricorda lucidamente le carezze e le lacrime di Kate, mentre lui non era riuscito ad implorarla di tenerlo stretto, perché il fiato gli si era spento prima di produrre suono tra le corde vocali, come una fiamma che si spegne quando si ruota la manopola del gas e gli viene a mancare l’alimentazione vitale. Aveva perso conoscenza spaventato. Una paura che si era radicata nel suo subconscio come ultima sensazione prima di chiudere gli occhi e che si era risvegliata come un pugno nello stomaco, appena anche lui aveva cominciato a prendere la strada del ritorno.
Abbassa pesantemente il braccio, guarda fuori dalla stanza cominciando a domandarsi dove siano finiti tutti e torna a fare ginnastica con le dita, desiderando di poter bere quel famoso tè, anche freddo, se solo qualcuno si degnasse di aiutarlo.
-Ehi!-
Solleva la testa sussultando e Ben, ancora fuori dalla porta, entra in stanza corrucciando la fronte preoccupato dalla sua espressione e dal battito irregolare che mostra il monitor.
-Tutto bene?-
Castle lo segue con lo sguardo spaurito e le labbra socchiuse e sembra riprendersi solo quando lui gli si siede vicino e resta a scrutarlo in silenzio.
-S… sssi… tutto… tutto bene, ero solo soprapensiero.-
Ben controlla i parametri, gli tasta il polso, tutto sotto il suo sguardo che lo segue nei minimi movimenti. Guarda ancora la tazza sul comodino umettandosi le labbra e il medico guarda nella sua stessa direzione.
-Te ne faccio portare un altro.-
-Non serve, va bene anche freddo.-
Ben scuote la testa, ma Rick insiste.
-Davvero, va benissimo, un paio di sorsi, devo togliermi questo orribile gusto di medicine dalla bocca.-
Ben si arrende, prende la tazza e gliela avvicina alle labbra, ma già al primo sorso è costretto a rimetterla a posto, perché Rick fatica a deglutire e fa qualche colpetto di tosse, che lo costringe a mettersi ancora giù, sul cuscino.
-Non riesco…-
Balbetta riprendendo fiato, ma è la sua espressione corrucciata a preoccupare Ben, la stessa che aveva quando è entrato.
-Rick, sei stato incosciente e immobile per ore, che intendevi fare? Alzarti e ballare mentre bevi il tè?!-
Lui continua a tenere lo sguardo basso.
-Il tuo corpo risente ancora dell’infezione, stai migliorando, ma il veleno non è ancora stato smaltito…-
A quest’ultima frase, si volta di scatto a guardarlo, dandogli la sua attenzione.
-In poche ore hai ripreso possesso dei movimenti, anche se dolorosi, ma i globuli bianchi sono ancora alti, quindi serviranno altre dosi di antidoto. Hai bisogno di riposo assoluto e di un paio di giorni per riprenderti, qualche ora di fisioterapia per rimettere in movimento i nervi e i muscoli… devi avere pazienza. Non è stata una passeggiata.-
Rick annuisce portandosi la mano sulla cannula dell’ossigeno.
-Quindi non mi toglierai nemmeno questa.-
-Non per il momento. Se ti infastidisce possiamo toglierla e mettere la mascherina, ma i polmoni sono ancora deboli ed è bene non affaticarli.-
-No, no, per carità, la mascherina mi dà l’impressione di soffocare!-
Esclama sbarrando gli occhi.
-Aspettiamo tutto oggi e stanotte, se domani è tutto a posto, ti tolgo l’ossigeno e ti stacco anche dal monitor.-
Rick abbassa di nuovo lo sguardo e sfiora con le dita la boccettina ancora sul suo letto.
-Come sta?-
Gli chiede sospirando, riportando lo sguardo su Ben che lo guarda perplesso.
-Io sto benino, invece Kate… come sta?-
Il medico sorride scuotendo la testa. Quel silenzio, quello sguardo pensieroso… doveva capirlo che non era per la sua salute, ma per quella di Beckett.
-Lei sta bene, ha la testa dura ed oltre il livido, non avrà altri problemi.-
-E poi?-
-E poi cosa?-
Castle lo guarda fisso, stringendo la mascella.
-Che giorno è… domenica? Che ore sono?-
Ben corruccia ancora la fronte, Rick passa da una domanda all’altra senza un’apparente filo logico.
-Si, è domenica e sono le 17.00 passate. Rick, si può sapere cosa c’è che non va?-
Lui scuote la testa deglutendo.
-Ho dormito parecchio. Mi manca un pezzo importante… ho come dei flash back, sono sicuro che ho sognato tanto, ma… sono confuso. Com’è stata la cattura di Dunn?-
Il medico cerca di tranquillizzarlo, ma non ha nessuna intenzione di raccontargli nulla e senza volerlo tende la mascella, cosa che a lui non sfugge..
-Rick, io ti ho solo sedato, dopo di che ho manomesso il monitor. Il mio lavoro si è fermato qui. Non so cosa sia successo, so solo che sono tornati con l’antidoto e che Dunn è morto.-
Rick sussulta per la seconda volta, fissando gli occhi ai suoi.
-Lo ha ucciso lei?-
Il suo è solo un sussurro. Teme la risposta e non riesce a capire nemmeno il perché, se Kate lo avesse ucciso sarebbe stato del tutto legittimo.
-No, non lo ha ucciso lei. Quando Dunn ha capito che era in trappola ha bevuto tutto il contenuto della boccettina, è morto in pochi secondi davanti ai suoi occhi. Si è suicidato come il codardo che era.-
Rick socchiude le labbra senza riuscire a dire niente, poi abbassa lo sguardo scuotendo la testa.
-Avrei dovuto immaginarlo. Il suo epilogo prevedeva la distruzione di Nikki, ma se non ci fosse riuscito, l’unico altro epilogo possibile era auto distruggersi e credimi Ben, tu dici che lo ha fatto per codardia, io ti dico che lo ha fatto solo per vincere il suo macabro gioco.-
C’è del disprezzo nel suo tono, anche se ha parlato sottovoce, come se non volesse svegliare un fantasma che ormai non esiste più.
-E poi cos’è successo?-
Ben sospira dandogli una pacca sul braccio.
-E poi non lo so, non ero con loro e non abbiamo avuto modo di parlarne, visto che la nostra priorità eri tu.-
Lui annuisce, sempre serio e sempre con quel cipiglio cupo nello sguardo.
-Solo… mi mancano dei pezzi, quei sogni che ho fatto mi hanno scombussolato un po’…-
-Vuoi parlarne?-
- Immagini senza molto senso, la faccia terrificante di un clown con i denti aguzzi, neve, sangue…-
Gli dice sollevando le spalle e senza nessuna tonalità precisa nella voce.
-Il mio subconscio starà solo elaborando i fatti a modo suo, visto che nessuno intende raccontarmi cosa sia successo veramente!-
Esclama alla fine, sforzandosi in un sorriso che non gli riesce bene.
-Sei appena tornato tra noi, non è vero che non ti vogliamo raccontare nulla, non ne abbiamo avuto ancora il tempo, tutto qui…-
Rick annuisce sospirando ancora, solleva lo sguardo verso il vetro, come se cercasse qualcuno e ancora una volta Ben si ritrova a sorridere.
-Tranquillo Rick, non ti hanno abbandonato… Beckett era al telefono con Lanie che, se non è cambiata in tutti questi anni, la terrà occupata  ancora per un po’…-
Lo guarda sollevando un sopracciglio per sottolineare l’ironia, ma Rick abbozza un sorriso tirato con lo sguardo basso sempre sulle sue mani.
-Tua figlia ha chiamato sua madre, quindi… la tua ex moglie!?-
Anche stavolta Rick risponde solo con un cenno della testa, senza guardarlo, come perso ancora in pensieri per niente positivi.
-Tua madre invece ha detto che avrebbe avvertito la tua casa editrice.-
-Quindi l’altra mia ex moglie!-
-Oh!-
A questa esclamazione mono sillaba, Rick solleva finalmente lo sguardo sorridendo.
-Non lo sapevi?-
-Non seguo molto il gossip.-
Risponde lui sollevando le spalle e spalancando gli occhi.
-Accidenti. Due mogli… due matrimoni!-
-Falliti…-
Ribatte Rick, incupendosi di nuovo, anche se Ben è convinto che i suoi fallimenti matrimoniali non c’entrino nulla con il suo stato d’animo. La confusione e il non sapere lo sta divorando. Qualcosa nell’animo gli dice che Kate ha esagerato come pensava e non riesce a liberarsi di questa sensazione. Sembra essere più fragile di quando era in pericolo di vita, perché continua ad avere paura. Per lei.
-Suppongo che dopo due esperienze così, sarai allergico ai matrimoni!-
Esclama senza pensarci per distrarlo, ma Rick torna a guardarlo e finalmente gli si apre un sorriso vero sulle labbra, mentre gli occhi gli brillano.
-Con Kate!? La sposerei anche adesso, se solo…-
Torna serio e guarda verso il corridoio. Beckett è appoggiata al muro di spalle ed ha ancora il telefono all’orecchio.
-…se solo lei fosse pronta!-
Il medico continua a stupirsi di quel vip di cui i giornali hanno detto peste e corna, gurdando solo la scorza esterna e fasulla. Sorride e gli mette la mano sulla spalla.
-Da quando è tornata si è rifiutata categoricamente di allontanarsi da te. Non c’è stato verso, nemmeno quando le dovevo…-
Si zittisce di botto e Rick lo guarda strano, ma il medico si riprende subito.
-…quando le ho dato un analgesico per il mal di testa e le ho ordinato di andare a dormire in una delle stanze qui accanto. Non so cosa ti faccia pensare che non sia pronta, ma ti ama…-
Rick sorride ancora annuendo.
-Lo so, non ho dubbi che mi ami, solo che è… è complicata…-
-Uhm… se non lo fosse ti piacerebbe lo stesso?-
Si guardano seri e quando Ben solleva un sopracciglio scoppiano a ridere, la tensione sembra finalmente passata oltre.
-No, non mi piacerebbe lo stesso!-
Risponde Rick continuando a ridere, guardando verso di lei, che di spalle, gesticola parlando ancora con Lanie.
-Comunque è complicata si, avresti dovuto vedere che sguardo mi ha lanciato quando le ho detto che non poteva bere caffè, a causa… a causa dell’analgesico.-
Nemmeno questo piccolo tentennamento nella composizione della frase è passato inosservato a Rick, ma è evidente che qualsiasi cosa sia realmente successa a Kate, al momento non verrà svelata, quindi sta al gioco e lo guarda spalancando gli occhi.
-Tu non sai cosa hai rischiato! Togliere il caffè a Beckett…-
Scuote la testa con fare teatrale.
-Ringrazia che era scarica dalla stanchezza, perché quello sguardo spara raggi laser!-
Scoppiano a ridere di nuovo e Rick, tornato in se, parte all’attacco.
-E la tua bella dottoressa?-
Ben si zittisce di colpo, mostrando un’espressione fintamente confusa e Rick sbuffa.
-Quando intendi dirle cosa provi?-
Ben si alza e si avvicina alla finestra, si mette le mani nelle tasche dei pantaloni, allargando il camice aperto sul davanti, guarda in silenzio il cielo ormai scuro e lo sbrilluccichio delle luci all’orizzonte e senza voltarsi sospira.
-Veramente gliel’ho già detto!-
Si aspettava una risposta ironica, invece il suo silenzio lo incuriosisce e si volta a guardarlo. Lo vede sorridere di cuore, ad occhi chiusi con la fronte rilassata e la testa lasciata andare sul cuscino. Si gira di nuovo verso il cielo e sorride anche lui, con una strana sensazione nel cuore, poi si siede ancora vicino a Rick e resta in silenzio ad aspettare che riapra gli occhi.
-Racconta!-
Esclama lui guardandolo sempre con il sorriso sulle labbra e Ben solleva spalle.
-Non c’è molto da dire, ho trovato il momento giusto che più sbagliato non poteva essere…-
Rick scoppia a ridere e lui gli va dietro, diventando serio subito dopo.
-…ero preoccupato per te, non sapevo dove sbattere la testa e mi sono ritrovato dietro la porta del laboratorio e quando l’ho vista, non so come, non so perché, le ho detto che l’amo!-
Anche Rick diventa serio, deglutisce sentendo gli occhi lucidi per l’emozione. Guarda Ben che sembra perso dentro quel momento ‘sbagliato’ con gli occhi fissi in un punto imprecisato e sente un nodo in gola.
-Eri… preoccupato per me!?-
Ben lo guarda e annuisce serio, Rick solleva la mano e gli stringe il braccio.
-Mi fa piacere di essere stato ‘il libro galeotto’ di Ben e Claire…-
Potrebbe essere una battuta, ma la serietà con cui lo dice, in un sussurro appena udibile e gli occhi lucidi, fanno deglutire Ben. Quel paziente comincia ad essere deleterio per la sua sanità mentale.
-Ieri sera mi ha lanciato uno sguardo alla… alla Beckett…-
Gli dice all’improvviso, pensieroso.
-…che sia complicata anche lei?-
Gli chiede con il panico stampato in faccia.
-Uhm… se non lo fosse ti piacerebbe lo stesso?-
Sollevano le sopracciglia entrambi e scoppiano a ridere di nuovo. Rick sposta lo sguardo fuori dal vetro, Kate è ancora al telefono e sta facendo delle strane smorfie verso di lui, un po’ scocciata dal fatto che Lanie non la molli, poi gli sorride, uno di quei sorrisi che non vedeva dall’ultima notte passata insieme. Sorride anche lui e resta a fissarla mentre si gira di nuovo di spalle, ancora attaccata al telefono e scuote la testa.
-Sai Ben, sarà complicata, ma quando sorride in quel modo diventa tutto così chiaro e semplice.-
Si volta verso di lui e lo vede con lo sguardo fisso sul niente e uno strano sorrisetto sulle labbra.
-Così come quando la dolce dottoressa si sistema gli occhiali sul naso e fa lo stesso sorriso…-
Sillaba a voce alta e Ben sembra ritornare dal mondo dei sogni e solleva le spalle.
-Già…-
Risponde semplicemente avviandosi all’uscita, mentre Kate finalmente chiude la telefonata e rientra.
-Lanie ti avverte che lei e i ragazzi passeranno tra poco.-
Gli dice intrecciando la mano alla sua con lo stesso sorriso di poco prima.
-E ci ha messo due ore per dirti queste quattro parole?-
-Mhh… cominci a polemizzare, significa che stai meglio!-
Lui sorride, solleva piano il braccio e lei si avvicina per agevolarlo nel movimento. Le accarezza la tempia in cui il livido è ben visibile e si perdono nei loro sguardi.
-Ben dice che stai bene.-
-Ben ha ragione!-
Scoppiano a ridere e lei si sporge in avanti baciandolo sulle labbra, resta appoggiata alla sua fronte per un attimo, fino a che segue lo sguardo di Rick sulla boccettina lasciata andare sul comodino. La prende rigirandosela tra le dita.
-Mi ha portato nel palazzo abbandonato dove lo abbiamo arrestato…-
Comincia in sussurro e lui si appoggia al cuscino, senza lasciarle la mano.
-Voleva distruggere Nikki nel loro posto romantico!-
Rick digrigna la mascella spostando lo sguardo davanti a sé e lei gli stringe la mano ancora più forte.
-Abbiamo lottato, lui mi ha sbattuta al muro e io gli ho rotto il naso con una testata.-
Rick si gira a guardarla sorridendo e lei sospira.
-Anche se non so come sarebbe finita se non fosse entrato in scena Abraham.-
Davanti alla sua espressione confusa sorride, scuotendo la testa.
-Dunn lo aveva portato al magazzino convinto di averlo ucciso, ma lui è sopravvissuto e ha cercato di aiutarmi. Dopo un altro corpo a corpo sono riuscita ad immobilizzarlo e ad ammanettarlo. Non sono stata io a salvarti Castle…-
Solleva la boccettina per mostrarla a Rick, che corruccia la fronte ancora più confuso.
-Il Professore ha sotterrato ai piedi della quercia una scatola con dentro la formula della tossina, la formula dell’antidoto e due fialette di antidoto già pronto.-
Rick spalanca gli occhi e schiude le labbra.
-Mentre inventava la tossina, lavorava anche all’antidoto. Non è riuscito ad opporsi a Dunn, ma ha cercato di salvaguardare in ogni modo il destinatario del suo veleno. Claire mi ha detto che ha usato delle sostanze mirate a non intaccare gli organi interni in maniera irreversibile, nel senso che con l’antidoto, anche a distanza di tempo, avresti potuto salvarti.-
Castle deglutisce guardando nel vuoto davanti a sé, non riuscendo a capire le strane emozioni che sente dentro e Kate lo accarezza di nuovo, attirando la sua attenzione.
-Era sicuro che Dunn lo avrebbe ucciso, ma voleva mettere in salvo Abraham e con lui l’antidoto. Il giorno che è morto ha sotterrato la scatola e ha messo una lettera nella sacca di Abraham, dove spiegava che la formula era nella sua cassaforte.-
Si avvicina a lui e restano a guardarsi mentre gli occhi di Castle diventano lucidi.
-Quando Abraham ha chiamato il nostro centralino voleva dirci questo, ma Dunn lo ha trovato prima di noi. Lo ha torturato per sapere dov’era la formula e alla fine lo ha abbandonato nel magazzino credendo che fosse morto.-
Guarda ancora la boccettina vuota tra le sue mani e sospira.
-Sei salvo grazie a loro. Analizzare i resti dentro questa boccettina avrebbe richiesto tempo e sintetizzare l’antidoto, altre ore. Probabilmente saresti ancora in coma…-
Sussurra l’ultima frase abbassando lo sguardo, lui le accarezza ancora il viso e la costringe ad avvicinarsi fino a baciarla.
-E’ una storia assurda!-
Esclama sulle sue labbra e Kate lo bacia ancora, per poi restare a fissarlo negli occhi. Lucidi e blu come non li vedeva da ore.
-Devi dirmi altro?-
A quel sussurro, abbassa gli occhi per una frazione di secondo, ma è proprio quel momento che gli toglie il respiro. Ha la stessa sensazione strana che aveva sentito quando Ben si era ritrovato a tentennare parlando di lei.
-Dunn è morto e tu sei salvo. Nessuno di noi si è fatto male. Non c’è altro da dire Castle.-
Lui sta per ribattere, ma vengono interrotti da un paio di colpetti alla porta.
-Disturbiamo?-
Il dottor Travis entra con un sorriso, consapevole di disturbare, seguito da un uomo con la divisa da infermiere.
-Lui è Steve. Ti aiuterà a darti una rinfrescata, ti farà bene.-
Rick appoggia la testa sul cuscino sorridendo.
-Ah si, acqua e sapone… mi farà davvero bene!-
Sospira di sollievo seguendo i movimenti dell’infermiere che si è già messo all’opera sistemando l’occorrente per il bagno improvvisato sul tavolino.
-Serve una mano?-
Chiede Kate istintivamente, anche se si pente subito quando Castle si gira a guardarla con un sopracciglio alzato e arrossisce visibilmente.
-Io lavoro meglio da solo!-
L’esclamazione di Steve li fa girare verso di lui. A guardarlo bene fa una strana impressione, alto e bene impostato e la testa completamente rasata, la faccia seria e la posizione assunta, sull’attenti e le mani incrociate sul davanti, lo fanno sembrare quasi un militare alle dipendenze del Fhurer e Castle lo guarda spalancando occhi e bocca.
-Steve intendeva dire che è il suo lavoro.-
Lo tranquillizza Ben che se la ride tranquillo.
-Ok…-
Risponde Kate facendo la mossa di allontanarsi, ma Rick la prende per la mano.
-D… dove vai?-
Lei si abbassa attaccandosi alle sue labbra e sorride.
-Steve lavora da solo…-
Gli lascia un bacino sulla punta del naso e sparisce nel corridoio, mentre Steve chiude ermeticamente le veneziane per creare l’atmosfera…
 
Steve non soltanto lavora da solo, ma anche in silenzio e senza nessuna movenza sul viso, come dire non parla e non sorride nemmeno. Lo ha lavato in assoluto silenzio e, con molta precisione, ha cambiato le lenzuola come se lui non fosse stato disteso sul letto, lasciandolo stupito di come, grande e grosso, sia stato così delicato e attento da non spostare nessuno dei tubicini e degli elettrodi che sono attaccati al suo corpo. Certo non è la persona più divertente del mondo, ma è sicuramente professionale.
Personalmente non ha fatto nessun movimento e nessuna fatica, eppure sente già la stanchezza; nonostante le ore di sonno indotto e il pisolino che si è fatto nel primo pomeriggio, le chiacchierate con Ben e Kate, insieme al bagnetto, come lo definisce lui, lo hanno davvero spossato.
Quando Steve è uscito, in silenzio così com’era entrato, si è lasciato andare sul cuscino e, chiudendo gli occhi, si è beato nel profumo della biancheria pulita, portandosi la mano al viso, appuntandosi mentalmente che il giorno dopo doveva assolutamente sbarbarsi.
Apre gli occhi girandosi verso la finestra. Riesce a vedere le luci della città in lontananza e sospirando ringrazia il cielo, quello stesso cielo scuro che ha memorizzato addormentandosi due notti prima e che adesso appare uguale, come se non fossero passate nel frattempo altre ore infinite che lui si è perso. Ringrazia quel cielo di essere vivo, circondato dall’amore della sua famiglia, dall’amore di Kate e dall’affetto di amici vecchi e nuovi. Senza rendersene conto una lacrima bagna la federa pulita e si ritrova a sospirare di nuovo; non è da lui emozionarsi così, ma è vivo e non può farne a meno e ricordare come tutti si sono prodigati per salvargli la vita e rendere gli ultimi giorni meno pesanti, compresi il capitano Gates e il medico sconosciuto che adesso è suo amico, gli produce un nodo alla gola, ma di quelli buoni, di quelli che ti fanno riappacificare con il mondo, nonostante a volte riesca ad essere davvero cattivo.
I colpetti alla porta lo riportano all’interno della stanza, mostrando proprio il sorriso sincero di quegli amici che hanno lottato per lui.
Lanie gli butta le braccia al collo, come aveva fatto giorni prima. Lo stritola tanto da provocargli dolore, ma lui decide di stringere i denti senza ribattere, godendosi quell’attacco affettuoso, sollevando le braccia per ricambiare la stretta con la poca forza che si ritrova al momento, sperando che alla fine non colpisca di nuovo con un pugno di rimprovero.
-Non farci l’abitudine, questo è l’ultimo… tienilo a mente.-
Gli dice alzandosi dal letto e puntandolo con il dito, ma tradendo l’emozione nella voce tremolante e negli occhi lucidi.
-Ehi bell’addormentato!-
Il sorriso a 150 denti di Kevin e Javi lo contagia, si ritrova a ridere anche lui mentre solleva la mano per batterla  contro le loro. Gli occhi chiari e limpidi di Ryan non riescono a nascondere l’emozione, Esposito invece, fedele al suo ruolo di uomo duro, stringe le labbra in una specie di grugno, ma si vede lontano un miglio che vorrebbe saltellare dalla gioia proprio come il suo compare. Pacche sulla spalla, strette al braccio e tante parole, Rick vede le loro bocche muoversi, ma è così perso nell’emozione e nella confusione che non riesce a seguirli.
-Andiamo ragazzi, non torturatelo. Così lo smontate!-
Jenny resta ferma davanti a lui, aspettando che le facciano spazio, si china ad abbracciarlo e Rick butta un occhio al marito per capire se può permettersi di farle gli auguri. Ryan guarda Esposito che a sua volta lo fulmina e alla fine alza le spalle, annuendo. Si congratula con la futura mamma e mentre lei lo ringrazia emozionata, guarda Kate. Gli occhi cerchiati dalla stanchezza, la fronte violacea, ma con quel sorriso luminoso che ha rincorso per anni, grattando con le unghie per sgretolare quei mattoncini che le impedivano di essere felice e che, adesso, è impresso sulle sue labbra, per lui.
-Vedo che non perde mai l’occasione di stare al centro dell’attenzione, signor Castle!-
-Capitano Gates, è venuta anche lei!-
Il capitano si avvicina e gli stringe la mano storcendo le labbra.
-Diciamo che sono ancora in modalità gentilezza.-
Si china di poco verso di lui abbassando la voce.
-Sa… dopo le confidenze che ci siamo fatti!-
Rick scoppia a ridere stringendole la mano con più forza.
-Se la goda signor Castle, perché quando tornerà al distretto la mia modalità cambierà repentinamente.-
Rick le sorride malizioso.
-Antipatia mode on!?-
-Se la goda, signor Castle, non significa esageri pure!-
Assume la sua posa autoritaria, portandosi le mani ai fianchi, ma sulle labbra di Rick si apre un sorriso dolcissimo, che perfino lei solleva un sopraciglio, confusa dalla sua espressione.
-Grazie capitano, non chiedo altro che normalità…-
La donna sorride, scuotendo la testa, lascia andare le braccia lungo i fianchi e poi lo punta con il dito stringendo gli occhi a due fessure.
-Veda di uscire presto da quel letto che non poterla strapazzare per bene mi rende nervosa.-
-Si signore…-
Nemmeno lo sguardo della Gates riesce a nascondere la contentezza di ritrovarsi davanti allo scrittore, ormai fuori pericolo. Gli stringe ancora la mano e si congeda, salutando tutti calorosamente, prende per mano Kate e si fa accompagnare in corridoio.
-Noi ci vediamo tra un paio di settimane Beckett.-
-Non è necessario capitano, mi bastano un paio di giorni…-
La donna scuote la testa fermandola immediatamente.
-Due settimane Beckett, è un ordine.-
Si volta per andarsene, ma dopo un paio di passi si ferma, guardandola di nuovo.
-Devi prenderti cura lui…-
E strizzandole l’occhio si dirige verso l’uscita.
-E così adesso hai anche la benedizione del capitano!-
Esclama Lanie alle sue spalle, facendo ridere Jenny, mentre Kate le rivolge uno dei suoi sguardi fulminanti, ma la dottoressa non si lascia intimidire.
-Non funziona più quello sguardo, ormai sei innamorata, hai perso la carica del fulmine.-
Jenny scoppia a ridere di gusto, prendendo a braccetto entrambe e costringendole a sedersi insieme a fare quattro chiacchiere, lasciando gli uomini da soli a parlare di cose da uomini.
Ed è così che meno di trenta ore prima la disperazione sembrava l’unica cosa che le fosse rimasta, mentre adesso chiacchiera con due amiche della gravidanza di una di loro, delle sue speranze, dei suoi sogni, delle sue sensazioni. Mentre ascolta Jenny raccontare emozionata e Lanie fare le sue solite battute, sposta di continuo lo sguardo dentro la stanza di Rick, godendosi il suo  sorriso mentre ‘le due comari’ si sbracciano a raccontargli chissà che. Ad un tratto è come se dentro la stanza sia calato il gelo, Ryan ed Esposito si guardano balbettando qualcosa ed il sorriso di Rick si spegne. Gli vede digrignare la mascella e abbassare lo sguardo, poi Ryan prende la parola e sollevando le spalle butta lì una qualche battuta che lo fa sorridere forzatamente. Anche lei si rabbuia a quella scena, stringendo le labbra e continuando a fissarlo.
-Smettila di preoccuparti, adesso esageri!-
Esclama Lanie, mettendole una mano sulla sua per attirare la sua attenzione e lei la guarda corrucciando la fronte.
-Sta bene! E’ vero che non correrà la maratona domani, ma è fuori pericolo, non tenerlo d’occhio come se avessi paura che possa dissolversi nel nulla…-
Kate abbassa lo sguardo e sorride mesta, scuotendo la testa.
-Non è questo. Poco fa si sono rabbuiati tutti e tre e Castle si è ammutolito, non ve ne siete accorte?-
Le due donne fanno cenno di no con la testa e Lanie si sporge verso di lei.
-Cosa ti preoccupa Kate?-
-Non vorrei che si siano fatti scappare qualcosa che non dovevano raccontare…-
Lanie le lascia la mano e alza gli occhi al cielo.
-Non glielo hai ancora detto?-
-Detto cosa?-
Chiede Jenny un po’ confusa, ma quando Lanie sbuffa, capisce che si riferiscono alla bravata di Kate.
-Oh… quello! Kevin me ne ha parlato.-
E’ lei che le prende le mani adesso.
-Io non sono mai stata molto coraggiosa e qualche anno fa avrei anche potuto darti della pazza, ma adesso…-
Abbassa lo sguardo sul suo ventre e sorride tornando a guardarla.
-Adesso so che farei qualunque cosa per la mia famiglia, certo non so se arriverei ad avvelenarmi di proposito, ma non mi sento di dirti che hai fatto una sciocchezza.-
Kate le sorride stringendole le mani e Lanie sospira.
-Dovresti dirglielo Kate, sai che è curioso, prima o poi lo scoprirà e credo che la prenderebbe meglio se lo sapesse da te.-
-Certo che glielo dico, solo non adesso. Non è il momento Lanie, è così confuso. Quando si è svegliato era terrorizzato, in preda agli incubi, voglio solo che si rilassi un po’.-
Le due amiche si guardano e annuiscono insieme.
-Non preoccuparti, non credo che Espo se lo sia fatto sfuggire.-
Dopo qualche secondo riporta lo sguardo dentro la camera e tutto sembra tornato normale, scherzano e ridono di nuovo, come se quel momento di gelo non ci fosse mai stato.
Il resto della serata scorre tranquilla, Jim ha portato la cena per tutti e il dottor Travis ha dato loro il permesso di restare a fare compagnia a Castle oltre l’orario di visita. Lui invece è riuscito a bere la famosa tazza di tè, anche se dopo un po’ la stanchezza gli si dipinge in maniera evidente sul viso. Sono quasi le dieci di sera, è sveglio da ore, le emozioni sono state tante e gli occhi gli si chiudono all’improvviso, non sente nemmeno quando tutti si alzano per andarsene.
Si sveglia circa un’ora dopo, con Martha accanto a lui che gli tiene la mano.
-Sono andati via?-
-Più di un’ora fa tesoro. Sei molto stanco, continua a dormire.-
Gli risponde lei accarezzandolo.
-Sei stanca anche tu mamma, stasera ve ne andate tutti a casa, io sto meglio, non è necessario che state qui a farmi la guardia.-
Kate rientra in stanza, seguita da suo padre ed Alexis.
-Quindi vado a casa anch’io?-
-No! Cioè si… ehm… certo, hai bisogno di riposare anche tu… naturalmente!-
Perfino Jim scoppia a ridere non tanto per il suo balbettare, quanto per l’espressione mista tra paura e delusione che si è formata sul suo viso alle parole di Kate.
-Non credo che riusciremo a convincere Katherine ad allontanarsi da te, stai tranquillo, stava solo scherzando.-
Gli dice Martha guardando Kate, che annuisce prendendogli la mano.
-Stasera andiamo a casa anche noi.-
Esclama Ben facendo cenno verso Claire e Rick solleva un sopracciglio con fare malizioso.
-Nel senso che andate insieme nella stessa casa?-
-Castle!-
Kate lo rimprovera quando vede le guance della dottoressa Dobbson diventare di fuoco, anche se subito dopo le si apre il solito dolce sorriso.
-Siamo così stanchi che qualunque provocazione ci scivola addosso, stasera si dorme Rick, purtroppo.-
Gli risponde Ben alzando gli occhi al cielo sospirando, facendolo ridere.
-Steve è di turno tutta la notte, ha l’ordine di chiamarmi se dovessero esserci problemi, perciò fa in modo di non averne, ho davvero bisogno di otto ore continue di sonno.-
-Meno male che Kate resta con me, mi lasci da solo con mister sorriso.-
Gli dice corrucciando la fronte preoccupato e Ben storce le labbra.
-Sei in buone mani con lui, ma se proprio ci tieni, al cambio turno ti faccio assegnare qualcuno che sorrida di più-
-Grazie, sennò mi deprimo, lo capisci vero?-
Ben annuisce e dopo aver aspettato che anche gli altri uscissero, gli dà la buonanotte e si richiude la porta alle spalle.
-Mi spiace di essermi addormentato mentre i ragazzi erano ancora qui, non li ho nemmeno salutati.-
Dice a Kate che sta sistemando la sdraio vicino al letto.
-Hai avuto abbastanza emozioni per oggi, tieni presente che stamattina ancora dormivi profondamente, lo hanno capito benissimo.-
Lui annuisce e gli scappa uno sbadiglio.
-In effetti sono distrutto.-
Kate sistema un plaid ai piedi della sdraio e si gira a guardarlo.
-Vuoi la verità? Sono distrutta anch’io!-
Lui spalanca gli occhi sollevando entrambe le sopracciglia.
-Ma va! Non dormi e non mangi praticamente da giovedì, è quasi lunedì e tu sei distrutta? Non esistono più le detective indistruttibili di una volta!-
Lei scoppia a ridere e gli dà un piccolo schiaffetto sulla spalla.
-Ma quanto sei spiritoso!-
Rick approfitta per prenderle la mano ed attirarla a sé, lasciandole un bacio a fior di labbra.
-Dai, aiutami a spostarmi, non riesco ancora a muovermi da solo.-
-Non puoi metterti di fianco, hai ancora la flebo attaccata e la cannula dell’ossigeno.-
-Non voglio girarmi, voglio solo farti spazio!-
Le dice sorridendo, battendo la mano sul materasso.
-Castle!-
Lui solleva le sopracciglia quando lei si mette le mani ai fianchi.
-Che c’è? Non vorrai dormire su quella sdraio un’altra volta? Beckett lasciatelo dire, non ti vuoi bene per niente! E poi abbiamo un reparto solo per noi, Ben finalmente è andato a casa a dormire, c’è solo Steve, credi davvero che gl’importi?-
Lei alza gli occhi al cielo sbuffando.
-Non dormirò mai nel tuo letto!-
Il sorriso malizioso che riesce a fare anche con il viso ancora provato dalla sofferenza, la mette in allarme. Si sta cacciando in una discussione senza uscita.
-Mai!?-
Esclama lui sussurrando con lo stesso sorriso, inclinando di poco la testa.
-Non dormirai mai più nel mio letto!? Dico mai più, perché qualche volta ci hai dormito e ti è anche piac…-
-Ok… ok, basta. Sai benissimo che non… si che… che cosa voglio dire. Non dormirò nel tuo letto d’ospedale!-
Riesce a finire la frase con una certa dignità, senza capire perché abbia balbettato tanto.
-Perché? Hanno cambiato le lenzuola, sono pulito e profumato anche io, a parte la barba…-
Sfodera lo sguardo da cucciolo facendo anche l’offeso.
-Non attacca Castle! Siamo in ospedale, non è corretto. E poi tu devi riposare.-
-Voglio riposare con te accanto. Che idee ti sei fatta detective, guarda che sono innocuo, nudo sotto il camice, ma innocuo, giuro che sono ancora intorpidito!-
Il broncio che gli si dipinge sulle labbra la fa scoppiare a ridere, gli prende il viso tra le mani e lo bacia. Queste sue reazioni improvvise e impensate cominciano a preoccuparla sul serio, d’accordo che è innamorata e che adesso non intende nasconderlo a nessuno, tanto meno a se stessa, ma non può stravolgere tutti i suoi modi da detective solo per uno sguardo da cucciolo imbronciato.
Mentre si rimprovera mentalmente per il suo comportamento, resta incollata ai suoi occhi, lucidi e scuri, alla penombra della lampada notturna rimasta accesa. La guarda serio e senza il broncio sul muso, con uno strano velo di tristezza che le fa chiudere la gola. Si ripromette di rinnovare l’auto rimprovero mentale il giorno dopo, in un’altra occasione, adesso vuole solo stringersi a lui, coccolarlo e lasciarsi coccolare. Lo bacia a fior di labbra e sorride. Senza parlare lo aiuta a spostarsi leggermente per farle posto e si distende accanto a lui mettendosi su un fianco. Il naso gli sfiora il viso e lui inclina di poco la testa per avvicinarsi di più e tenere il contatto della pelle, lei gli posa la mano sul petto, proprio sotto gli elettrodi e si solleva a guardare il monitor, che visualizza delle linee più accentuate. Sorride rimettendo il viso attaccato al suo.
-Non farlo correre troppo, che se comincia a suonare arriva mister sorriso.-
Gli sussurra all’orecchio, facendolo deglutire, quell’uomo lo inquieta davvero.
Restano così per qualche secondo, il cuore di Rick batte più veloce, ma quando sente la sua mandibola irrigidirsi accanto al suo viso, insieme al silenzio totale che lo ha colto improvviso, si rende conto che quel nuovo ritmo cardiaco è provocato da altro e non dalla sua vicinanza.
-Cosa vuoi sapere?-
Sussurra, senza alzare lo sguardo su di lui, accucciandosi di più verso il suo collo. Rick, come colto di sorpresa corruccia la fronte e si scosta di poco, ma non riesce a vederle il viso.
-C’è qualcosa che ti rode. Ben mi ha detto che eri ancora preoccupato per me e poco fa, mentre parlavi con i ragazzi, all’improvviso ti si è spento il sorriso. Ho visto come ti sei incupito… per qualcosa che forse ti hanno detto?-
Anche i suoi battiti accelerano ed è felice di non essere attaccata ad un monitor che possa rivelarglieli.
-Veramente mi sono incupito più per quello che non mi hanno detto. Mentre parlavano di Dunn si sono bloccati di colpo guardandosi, Espo si è quasi morso le labbra per riuscire a cambiare discorso, la stessa cosa ha fatto anche Ben quando parlava di te e della nostra messa in scena.-
Si gira a guardarla e lei è costretta a sollevare la testa e ad incrociare il suo sguardo.
-Cos’hai combinato dentro quel magazzino Kate?-
Lei abbassa di nuovo lo sguardo, sistemandosi nella stessa posizione di prima, con la testa accucciata al suo collo.
-Quando mi sono resa conto che il suo epilogo era vedere Nikki devastata dal dolore, gli ho mostrato quello che voleva…-
Fa una pausa sentendo i battiti di Rick accelerare ancora sotto la sua mano.
-Gli ho mostrato le mie lacrime, il mio dolore, la mia disperazione. Lui continuava ad affondare la lama con la sua voce melensa ed insopportabile, prospettando a Nikki un mondo senza il suo scrittore. Non è stato difficile fingere disperazione…-
Solleva lo sguardo su di lui e sposta la mano dal petto al viso per accarezzarlo.
-Il pensiero che tu non ti risvegliassi mi toglieva il respiro.-
Riporta la mano sul suo petto e abbassa ancora la testa, mentre lui l’ascolta immobile.
-Hai sempre avuto ragione tu, voleva che Nikki si distruggesse da sola, voleva che bevessi il suo veleno per farmi smettere di soffrire… due minuti di dolore insopportabile per una pace eterna…-
Sussurra l’ultima frase, chiudendo gli occhi, ricordando le parole di Dunn.
-Non avrai bevuto il veleno!?-
Sussulta lui, voltandosi a guardarla allarmato e lei solleva lo sguardo.
-Se avessi bevuto il veleno adesso sarei morta Castle!-
Lui chiude gli occhi sospirando e lei si morde il labbro.
-Ho… ho solo appoggiato le labbra sull’apertura, ho sentito il suo sapore.-
Rick spalanca gli occhi guardandola sconcertato.
-Hai visto che cosa ha combinato nel mio corpo anche una sola goccia di quel veleno e tu che fai? Lo assorbi senza pensarci?-
-Dovevo fare in modo di avere il veleno nelle mie mani prima di combatterlo e quel gesto lo ha ammaliato. Non ha capito più niente, era come ipnotizzato, convinto che mi avesse in pugno… era necessario!-
Cerca di giustificare il suo gesto, ma lui si scosta da lei girando la testa dall’altra parte.
-Mi avevi promesso che non avresti fatto sciocchezze. Non per me!-
-Non è vero!-
Lui si volta a guardarla stringendo le labbra.
-Si invece…-
Ma lei scuote la testa con veemenza guardandolo fisso negli occhi.
-Tu mi hai chiesto di prometterlo, ma io non ti ho risposto. Ho risposto a me stessa però, mi sono ripromessa che avrei fatto di tutto per salvarti. Qualunque cosa…-
Lui sospira pesantemente girando ancora la testa e lei alza di poco la voce.
-…lo rifarei altre cento volte e lo avresti fatto anche tu per me!-
Lui sorride mesto scuotendo la testa senza riuscire a guardarla.
-Da un po’ mi sopravvaluti Beckett, non ho questo coraggio, non so se…-
Lei gli mette la mano sul viso e lo costringe a girarsi e a guardarla.
-Gettarsi addosso ad un proiettile senza pensarci non è la stessa cosa?-
Stavolta la sua voce è appena sussurrata e Rick scuote ancora la testa.
-No, non è la stessa cosa. Non ci ho pensato, è stato istintivo! Ho solo pensato che…-
-…che non volevo perderti!-
Finisce lei la frase fissandolo con gli occhi lucidi.
-Tu vegli su di me ed io veglio su di te e questa è una cosa che mi piace… tanto.-
Le scappa una lacrima che finisce sul collo di Rick, la asciuga prontamente e torna a guardarlo, accarezzandogli il viso.
-E’ finita Castle. Ti prego non lasciamoci angustiare ancora da un fantasma.-
Rick deglutisce e abbassa di poco la testa per riuscire a raggiungerle le labbra.
-Dovrai vegliare anche stanotte allora, continuo a fare dei sogni orribili! Anche nel pomeriggio…-
Sussurra sulle sue labbra, strappandole un sorriso e lei lo stringe a sé.
-Ti tengo stretto.-
Gli risponde baciandolo dolcemente.
-Cos’hai sognato?-
Lui corruccia la fronte per riuscire a fare mente locale, anche se le immagini che ricorda sono davvero senza senso.
-Un enorme clown, ma grandissimo davvero, in scala con l’insegna del parco giochi, quindi immaginati quell’enorme faccia, attaccata ad un enorme corpo. Mi correva dietro brandendo un biscotto di pasta frolla quasi più grande di lui e continuava a dire che mi avrebbe schiacciato come un pidocchio visto che pesava più di quattro chili…-
Si ferma confuso quando sente Kate ridere sommessamente attaccata a lui.
-Hai davvero sognato un biscotto di pasta frolla enorme?-
-Proprio così, una pastafrolla assassina alla marmellata di mirtilli… nemmeno mi piace la marmellata di mirtilli!-
Le risponde mentre lei continua a ridere.
-Beh, grazie tante, capisco che è un sogno stranissimo, ma a me ha fatto paura, mi sono svegliato con il cuore in gola!-
-Rido perché la tua mente è geniale!-
-Io l’ho sempre saputo, ma… in che senso!?-
Risponde lui anche un po’ scocciato.
-Il modo in cui riesce a teorizzare anche mentre sei incosciente.-
Lui la guarda davvero curioso.
-Vuoi dire che per te questo incubo ha un senso?-
Lei annuisce e si solleva sul gomito per guardarlo meglio.
-Nelle ore in cui dormivi ti ho parlato tanto e di tante cose. La scorsa notte, ho visto Claire correre nell’ambulatorio di Ben, ero preoccupata per te, pensavo avesse delle notizie importanti e le sono andata dietro, ma prima di entrare li ho sentiti mentre si parlavano dolcemente e quando mi sono affacciata per sbirciare, lui le stava porgendo dei biscottini alla marmellata di mirtilli. Sono tornata qui e ti ho raccontato quanto erano dolci.-
Si corica accanto a lui e sorride.
-Evidentemente mi hai sentito e hai elaborato a modo tuo!-
-Fantastico… sei diventata impicciona anche tu! Sono fiero di te Beckett!-
Lei sbuffa dandogli un pizzicotto indolore sul braccio.
-Non sono impicciona. Ero preoccupata per te…-
-Va bene, fingo di crederci, ma come lo spieghi che il clown mi ripeteva che pesava più di quattro chili e che mi avrebbe schiacciato?-
-Ieri è nato il figlio di Lowell!-
A quella notizia lui solleva testa verso di lei, sorridendo.
-Si è deciso finalmente!?-
-Si, sono andata a vederlo sai?-
Si morde il labbro quando lui la guarda sollevando un sopracciglio.
-E’ un bellissimo bambinone di quattro chili e trecento grammi . Ti ho raccontato anche questo ed ecco svelato l’arcano del peso.-
Rick scoppia ridere e lei gli va dietro.
-Hai ragione, ho la mente strana, ho trasformato un neonato in un biscotto assassino!-
Mentre lei continua a ridere, lui appoggia il viso ai suoi capelli.
-Quando mi faranno alzare mi porti a vederlo?-
Kate smette di ridere e solleva lo sguardo, perdendosi nei suoi occhi.
-Certo che ti ci porto!-
Si sistema di nuovo con il viso nell’incavo del suo collo e lui intreccia le dita alla mano che gli tiene poggiata sul petto.
-Domani parleremo anche di Abraham.-
-Che devi dirmi di Abraham?-
Lei si lascia scappare uno sbadiglio e nasconde tutto il viso tra il suo collo e la spalla.
-Domani Castle, adesso… non…-
Rick si scosta a guardarla. Sente il suo respiro pesante e regolare sul collo, sorride e la bacia sui capelli.
-Hai ragione tu Kate. Pensare di perderti mi farebbe fare sicuramente qualcosa di stupido…-


Angolo di Rebecca:

Buonasera :) se siete riuscite ad arivare fin qui, siete delle eroine, questo capitolo è interminabile, ma invece di dividerlo ho pensato di lasciarlo così. Con le festività di mezzo, non sono sicura di essere pronta per lunedì prossio, così, nel caso non riuscissi ad aggiornare, sapete già che il dubbio di Rick è stato messo a tacere.
Le cose sembrano andare bene, Riccardone si sente meglio, adesso è anche pulito e profumato e ha ottenuto che Kate dormisse appiccicata a lui (Monica, più di questo Kate non ha voluto ;)

Un bacio per tutti e buon natale di cuore! <3

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Capitolo 58
*** Emozioni ***




Capitolo 58
 
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Kate si era addormentata senza accorgersene, la stanchezza l’aveva sopraffatta e, dopo aver chiarito con Rick ed essersi stretta a lui, era riuscita a rilassarsi tanto da chiudere gli occhi mentre ancora parlava. Lui era rimasto qualche minuto a guardarla, aveva il viso completamente affondato sulla sua pelle e non riusciva a vederla del tutto, ma si era beato di quel calore di cui entrambi avevano bisogno per dormire tranquilli. Dopo poco infatti, si era addormentato anche lui e adesso, mentre passa dal sonno alla veglia, nel silenzio totale, si chiede inconsciamente se stia ancora viaggiando nel mondo dei sogni.
Socchiude le palpebre richiudendole subito, corruccia la fronte e sospira, perché quando tenta di stiracchiare il corpo, i muscoli ancora indolenziti gli danno la certezza di essere sveglio davvero.
Apre gli occhi di nuovo, confuso sul tempo che passa. Gira lo sguardo verso la finestra e la luce fioca che entra dalle veneziane socchiuse gli fa capire che è sicuramente giorno.
I capelli di Kate gli solleticano il collo, non si è mossa di un millimetro e continua a dormire pacifica. Anche lui ha dormito tranquillo e senza incubi, svegliandosi senza quella sensazione di angoscia che lo ha colto il giorno precedente.
Solleva gli occhi verso la flebo, il flacone è quasi pieno, Steve deve averlo cambiato durante la notte senza che lui sentisse nulla. Ha dormito davvero bene, anche il respiro è stato tranquillo, non sente più il peso sul petto, tutto merito dell’ossigeno.
Sorride guardando Kate, pensando che il vero ossigeno che lo fa respirare e dormire sereno è proprio lei con la sua pelle che lo scalda meglio di un qualunque piumino.
Sente dei passi nel corridoio ed istintivamente chiude gli occhi, sperando che chiunque sia, mosso a pietà dalle loro figure addormentate, non si prenda la briga di svegliarli per forza, in modo che Kate continui a riposare e, soprattutto, non lo rimproveri di non averla svegliata in tempo per non essere vista abbracciata a lui nel suo letto d’ospedale.
Effettivamente qualcuno è entrato, ma il silenzio continua e sembra che l’intruso sia rimasto sulla porta. Un cigolio gli dà l’impressione che stia per andarsene, ma quando pensa di avercela fatta, sente un secondo cigolio che gli fa capire che la porta è stata aperta di nuovo.
-Mi… mi spiace dottor Travis!-
Ben ha mantenuto la promessa, il cambio turno ha portato qualcuno che sorride, riconosce la voce di Edith che, nonostante sia imbarazzata con il medico, continua a sussurrare per evitare di disturbare.
Continua a tenere gli occhi chiusi, magari il ligio dottor Travis li lascerà in pace ancora qualche minuto.
-Per cosa le dispiace Edith?-
La domanda di Ben gli dà speranza, anche lui sussurra e Rick reprime a stento un sorriso.
-Per loro. So che avrei dovuto svegliarli per i controlli del mattino e che è contro il regolamento che il visitatore stia sul letto, ma… ma ne hanno passate tante e stanno dormendo così tranquilli!-
Edith cerca di giustificarsi con un tono tanto dolce nella voce, quanto dolce è il sorriso rimasto impresso nella sua mente.
-Ha fatto bene Edith, lasciamoli riposare, possiamo permetterci di non avere troppe regole in questo reparto fantasma.-
La risposta di Ben lo mette in difficoltà, resiste a stento dal ridergli in faccia. Sente ancora il cigolio, la porta si chiude ed il silenzio torna imperante nella stanza.
Finalmente può sorridere, felice di approfittare del fatto che il dottor Travis stia vivendo su una nuvoletta rosa.
Riapre gli occhi e abbassa lo sguardo per guardare ancora Kate, vede poco il livido nella parte laterale del suo viso perché coperto dai capelli. Ricopre con la sua, la mano che ha appoggiato sul suo petto la sera prima e che non ha spostato, nemmeno di poco. E’ coperta per metà dalla fasciatura che sale poi sul polso, anch’esso di colore violaceo. La accarezza sfiorandola, perdendosi in quella scena che non ha vissuto, immaginandosi Scott Dunn che le storce il polso per prenderle la boccettina del veleno e poi la scaraventa contro il muro, provocandole quella brutta botta alla tempia e poi… e poi lei che si porta il veleno alle labbra…
Digrigna la mascella e chiude gli occhi.
E’ finita Castle. Ti prego non lasciamoci angustiare ancora da un fantasma…
Sospira per scacciare dalla mente lo sguardo gelido di Scott Dunn e appoggia ancora il mento sui capelli della sua Kate, per tornare in quella bolla di serenità che gli ha regalato il risveglio tra le sue braccia. Le stringe la mano istintivamente e il tocco più deciso la fa muovere, rannicchia un po’ le gambe e solleva la testa lasciandosi scappare uno sbuffo dalle labbra che lo fa sorridere. Le accarezza la guancia, seguendo il livido e lei strizza gli occhi mugugnando, guadagnandosi con la sua smorfia un bacio sul mento. Cerca di aprire gli occhi, ma è così immersa nel suo sonno che li stringe di più e si guadagna un altro bacio e ancora un altro. All’ennesimo tocco di labbra socchiude gli occhi, corruccia la fronte confusa, cercando di mettere a fuoco e alla fine si perde nel suo azzurro intenso.
-Buongiorno.-
Sussurra sbattendo più volte le palpebre per cercare di tenere gli occhi aperti e quando le arriva un altro bacetto al lato delle labbra, sorride, sistemandosi di nuovo ad occhi chiusi contro il suo collo.
-Come ti senti?-
Sbiascica ancora mezza addormentata.
-Tutto indolenzito, ma ho dormito bene, senza incubi. Tu?-
-Anche io. Mi sono addormentata senza accorgermene!-
-Ah, te ne sei resa conto? Stavi parlando e ad un tratto, silenzio!-
Lei annuisce sorridendo, restando sempre attaccata a lui, mentre cerca di stiracchiarsi.
-Ricordo di aver formulato una frase dentro la testa, ma non sono riuscita a dirla. Che ore sono?-
-Non saprei, il tuo orologio è attaccato al mio fianco, mi rimarrà la forma impressa stile tatuaggio!-
Lei ride, spostandosi di poco per riuscire a sollevare il braccio e guardare l’ora.
-Uff… sono già le sette!-
Sbuffa tuffandosi di nuovo sul cuscino.
-Sarà meglio che mi alzi, prima che arrivi gente.-
Lui la trattiene con altri bacetti sul viso.
-Lo sai che Steve è entrato ogni ora per tutta la notte, significa che ci hanno già sgamati!-
-Mh… mister sorriso è anche mister silenzio, lui non fa testo…-
Rick ride di gusto, continuando a baciarla e lei gli si accuccia contro ancora di più.
-Comunque è già venuto qualcuno, circa una mezzoretta fa.-
Le dice tra un bacio e l’altro, lei si scosta guardandolo seria e lui annuisce, attirandola ancora a sé.
-Sono entrati Edith e Ben, ma io ho finto di dormire e la dolce infermiera e il bel dottorino, ormai innamorato, sono rimasti così deliziati dalla nostra vista che ci hanno lasciato dormire ancora un po’.-
Si tiene pronto alla reazione di Kate che in meno di un secondo sarebbe saltata giù dal letto come uno tsunami, pronta ad inveire contro di lui che non l’ha svegliata, invece dopo aver ricevuto uno dei suoi soliti sguardi, storce le labbra e si sistema di nuovo accanto a lui, che corruccia la fronte.
-Che… che fai? Non salti giù dal letto?-
-Ormai! Ci hanno scoperti, perché agitarsi… così dormo ancora un po’.-
Solleva la testa per guardarlo non ricevendo nessuna risposta e sorride alla sua espressione stupita.
-Perché mi guardi così? Non sei l’unico che ama quei cinque minuti in più.-
Rick scoppia a ridere e la stringe a sé, soddisfatto.
-Ok, non ti riconosco più, ma sono felice che sei diventata una dormigliona anche tu.-
-Non allargarti Castle, non sono una dormigliona, è che… non c’è più motivo di correre…-
Lascia la frase in sospeso quando lo sente deglutire. Solleva lo sguardo sui suoi occhi, che diventano seri e scuri, gli accarezza il viso e lo bacia sulle labbra.
-Voglio godermi ogni attimo!-
Gli restituisce ogni bacio con cui l’ha svegliata, continuando ad accarezzarlo.
-Sento dei passi, Castle… fingiamo ancora di dormire?-
Gli chiede con fare da cospiratrice.
Lo sguardo malizioso, il sopracciglio alzato e quel suo modo di mordersi il labbro inferiore, gli riportano alla mente la fine del loro primo caso insieme, quando l’aveva invitata ad uscire. Al suo rifiuto, le aveva espresso la sua delusione dicendole che era un peccato perché sarebbe stato fantastico e lei, con quello stesso sguardo malizioso, dopo essersi morsa il labbro, gli aveva sussurrato all’orecchio che era lui che non aveva idea di cosa si perdeva. Era rimasto imbambolato a guardarla allontanarsi, con quel passo deciso e sexy che non era riuscito a togliersi dalla testa, continuando a pensare a quella giovane detective e alla sua storia ancora sconosciuta, attirato come una calamita verso di lei e il suo mondo complicato.
La guarda serio, mentre i passi nel corridoio si avvicinano sempre di più, le accarezza le labbra e si affretta a baciarla. Il primo vero bacio, intenso e caldo, dopo essere tornato alla vita.
-Grazie!-
Le sussurra sulle labbra mentre lei corruccia la fronte, confusa dal quel dolce ringraziamento.
-Per avermi salvato...-
Kate fa per rispondergli, ma lui le mette le dita sulle labbra impedendole di parlare.
-…e non parlo del veleno e di Dunn. Mi hai salvato riempiendo la mia vita con la tua!-
Ed eccolo ancora, quel sorriso che riesce a fare solo per lui.
Sospirano quando sentono dei colpetti alla porta e Kate sgattaiola fuori dal letto, cercando di sistemarsi alla meglio. Il dottor Travis fa capolino e sorride quando Rick si volta verso di lui facendogli un cenno di saluto con la mano.
-Buongiorno!-
-Buongiorno a te dottore, dormito bene?-
Kate rimette a posto la sdraio e il plaid rimasti inutilizzati e Ben annuisce guardando prima lui e poi lei.
-Come un ghiro, ne avevo proprio bisogno. Qui invece, come ve la siete cavata?-
Finge, pensieroso, di controllare la cartella clinica compilata da Steve durante la notte.
-Notte tranquilla, sonno sereno, battito cardiaco e ossigenazione nella norma… letto un po’ stretto, ma si sono arrangiati benissimo stringendosi il più possibile! Direi che anche voi avete dormito bene.-
Solleva lo sguardo su Rick, con fare professionale e serio e lui si porta la mano alle labbra, spalancando gli occhi.
-Oddio Beckett! Steve non parla, ma scrive!-
Kate e Ben scoppiano a ridere e il dottore si mostra soddisfatto.
-Si vede che avete riposato, avete una bella cera tutti e due.-
-In effetti abbiamo dormito come due angioletti.-
Gli dice Rick portandosi la mano di Kate sulle labbra, lasciandole un bacio.
-Ora passiamo ai controlli che siamo già in ritardo, Claire aspetta il prelievo e io devo visitarti per bene.-
Il dottor Travis torna serio e professionale quando anche Edith si unisce al gruppo con il suo buongiorno.
-Edith, che bello che ci sia lei stamattina!-
La bella infermiera arrossisce visibilmente, mostrando il suo dolce sorriso.
-Spero continui a pensarla così anche quando l’avrò punzecchiata ancora. Dovrà sopportarmi.-
-Meglio essere punzecchiato da lei che da Steve!-
Le risponde scuotendo le spalle fingendo di rabbrividire al solo pensiero, facendola ridere, mentre Kate prende la sua borsa.
-Approfitto per darmi una rinfrescata e chiamare tua madre.-
Fa per allontanarsi, ma lui la attira ancora verso di sé, guardandola senza dire niente e lei sorride chinandosi vicino al suo orecchio.
-Tranquillo, resto nelle vicinanze, in caso arrivasse Steve all’improvviso.-
Gli lascia un bacio sulla guancia e finalmente la lascia andare, mentre il medico e l’infermiera si guardano sottecchi, ridendosela sotto i baffi.
 
Dopo aver passato qualche minuto al telefono con Alexis e Jim, si sciacqua il viso, restando a guardare il suo riflesso allo specchio, un riflesso così diverso da quello che si era ritrovata ad osservare nel bagno del distretto, dopo che Dunn le era scappato per la seconda volta nella metropolitana, lasciandole dentro non solo la rabbia, ma soprattutto la consapevolezza che Rick stava morendo senza che lei potesse far nulla. Una consapevolezza che l’ha portata a combattere senza sosta, che l’ha anche annientata insieme alla stanchezza e al dolore, riflettendo nello specchio di casa sua, un’immagine spettrale in cui non si era riconosciuta e che l’ha riportata alla lucidità, grazie anche agli amici che non l’hanno abbandonata.
Si passa la mano sul viso e non può fare a meno di sorridere, sfiorandosi le labbra ed il mento in quei punti in cui il dolce risveglio l’ha baciata a fior di labbra. Districa i capelli alla meglio passandoci dentro le dita, inspira profondamente pizzicandosi il viso per dargli un po’ di colore e decide che è ora di prendere un caffè, con o senza il consenso del medico.
Infila le monete nella macchinetta, ma quando solleva la mano per selezionare la bevanda resta con il braccio a mezz’aria, come se dovesse ancora decidere.
-Il caffè va benissimo…-
Ritira la mano di colpo, come una bambina scoperta a metterla dentro il barattolo della cioccolata, voltandosi a guadare Ben, che se la ride con quella sua aria da medico attento, lo stetoscopio intorno al collo e le mani nelle tasche del camice.
-Come sta Castle?-
Gli chiede sorvolando sulla sua espressione compiaciuta.
-Molto meglio, ha ancora qualche linea di febbre, ma risponde bene alla terapia e, soprattutto i polmoni, stanno tornando alla normalità. Ancora qualche giorno e tornerà come nuovo.-
Kate annuisce sollevata e Ben si avvicina alla macchinetta, pigiando il pulsante del caffè espresso.
-Quello che mi preoccupava era proprio il tempo di assorbimento della tossina che, alla lunga, poteva distruggere irreversibilmente ogni funzionalità organica, invece si è ripreso in poche ore.-
-Grazie all’accortezza del Professore…-
La voce di Kate è appena sussurrata e lui annuisce, mentre il profumo del caffè si diffonde intorno a loro e lei si ritrova a storcere il naso. Sorride a Ben mettendogli una mano sulla spalla.
-Torno da lui.-
-Aspetta Kate, dimentichi il caffè.-
-Posso farne a meno per il momento, non credo che lo assaporerei con gusto...-
Sorride mentre si avvia verso il corridoio con addosso lo sguardo confuso del dottor Travis, che non ha colto il senso della sua frase. Sarebbe difficile spiegargli che non ha senso bere il caffè senza Castle, sarebbe difficile spiegargli come preparato da lui sprigioni tutto un altro aroma e come il gusto diventi forte mentre i suoi occhi la avvolgono con il loro azzurro intenso.
Quando entra nella stanza, lui è così assorto a guardare fuori dalla finestra, che non si accorge di lei. La sua espressione serena, mentre osserva il cielo limpido di una nuova mattina di sole, estrae definitivamente quella lama che le ha trafitto l’anima per giorni.
-Ehi…-
Le dice sorridendo, quando sente la sua presenza.
-Non è una giornata meravigliosa?-
Lei annuisce sedendosi accanto a lui sul letto.
-Meravigliosa…-
Restano a guardarsi in silenzio, Kate gli mette la mano sul viso e lo bacia, appoggiando poi la fronte sulla sua.
-Devo andare al distretto.-
-Al distretto? Non dirmi che ti hanno affidato un caso proprio adesso…-
Lei gli mette le dita sulle labbra, scuotendo la testa.
-Niente caso. Il capitano e i ragazzi si sono occupati dei rapporti, del Capo della Polizia, dei giornalisti, credo sia un obbligo per me passare e mettere qualche firma sui documenti per chiudere il caso.-
Rick abbassa lo sguardo e deglutisce.
-Chiudere il caso! Ricordi quando ti ho detto che dovevi trattarmi come un caso?-
Anche Kate deglutisce senza smettere di fissarlo.
-E’ stato strano sentirmi una vittima, vivere delle sensazioni al di fuori del mio controllo, pensare me stesso sulla lettiga di acciaio di un obitorio…-
Kate scuote la testa, poggiandogli la mano sulla bocca per fermarlo e lui sospira.
-Hai ragione, scusami. E’ finita. Dichiaro ufficialmente il Caso chiuso!-
Sentenzia con la voce bene impostata, riportando il sorriso sulle sue labbra, mostrandole subito dopo il suo proverbiale broncio.
-Devi proprio andare?-
-Niente capricci Castle, farò presto e poi Alexis sarà qui tra poco.-
Le sposta una ciocca di capelli che le ricade sul cerotto alla tempia e accenna un sorriso.
-Mi mancherai.-
-Mhh… non essere melodrammatico. Passo da casa, faccio una doccia e poi vado al distretto, sarò qui fra un paio di ore.-
-Mi mancherai lo stesso.-
Si voltano nello stesso momento quando sentono un paio di colpetti alla porta, il dottor Travis continua ad avere una buona tempistica nell’interromperli.
-Disturbo?-
Chiede sorridendo e mentre Rick alza gli occhi al cielo, Kate scoppia a ridere.
-Ok, forse disturbo, ma credevo voleste sapere che le analisi sono buone. Se devi andare Kate, vai tranquilla, a lui adesso ci penso io.-
Rick corruccia la fronte preoccupato, il modo in cui lo ha detto sembra una minaccia e Kate gli dà un bacio come contentino.
-Non fare quella faccia Castle, prima vado, prima torno e, a quanto ho capito, ti lascio in buone mani.-
Lo sente borbottare dal corridoio e si ritrova a sorridere. Come può essere innamorata anche di questo lato bambinesco e capriccioso del suo carattere? Scuote la testa e si ferma a sbirciare dal vetro, osservando Ben che stacca gli elettrodi dal suo petto e spegne la macchina che lo monitorava. Con cura gli toglie anche la cannula dalle narici, lasciandolo respirare naturalmente. Nota il sospiro di sollievo di Rick, che appoggia la testa sul cuscino e chiude gli occhi un attimo sorridendo. Sorride anche lei quando il dottor Travis gli sfila l’ago dalla mano. Gli sta togliendo anche la flebo.
Sospira incamminandosi verso l’ascensore, annuendo come se stesse rispondendo ad una tacita domanda nella sua testa.  Dunn è morto. Rick è salvo. Il caso è chiuso.
 
Un quarto d’ora dopo, si ritrova da solo dentro quella camera che lo ha visto soffrire e che adesso lo culla con il calore del sole che entra dalla finestra. Assapora il silenzio e quell’attimo di solitudine, ringraziando il cielo di avere la possibilità di guardarlo ancora. L’ultima cosa che ricorda prima di svegliarsi in preda agli incubi, è proprio il cielo scuro pieno di stelle e il chiarore della luna, anche se dalla sua prospettiva riusciva a vederne solo uno spicchio. Era notte e tutto sembrava quasi impossibile. Adesso osserva quel cielo limpido e senza nuvole, una cartolina che infonde serenità nel cuore e gli dà la sensazione che tutto invece, è possibile… come tornare a vivere.
Sospira, sentendo dei passi nel corridoio, dal vetro che divide la stanza dall’esterno vede apparire Alexis e, spontaneo, gli si apre il sorriso.
-Uh… è arrivata la mia zucca!-
Esclama quando apre la porta. Alexis alza gli occhi al cielo, affrettandosi però a correre da lui per abbracciarlo. Gli accarezza il viso e sorride radiosa.
- Ciao papà, come ti senti?-
-Tu che ne pensi?-
-Mhh… sei ancora palliduccio, ma hai una bella cera.-
-Il dottor Travis dice che sto bene. Mi ha anche staccato fili e tubicini, sono un uomo libero.-
La ragazza annuisce facendo cenno al piccolo borsone che ha appoggiato a terra quando è arrivata.
-Kate mi ha chiesto di portarti qualcosa per cambiarti. Ho messo anche spazzolino da denti, schiuma da barba e rasoio, dopobarba e profumo.-
Lui annuisce e le stringe le mani.
-Le mie donne che pensano a tutto… grazie! Anche tu hai il viso più roseo, sei riuscita a riposare?-
-Io si, nonna un po’ meno. Credo che stia rilasciando la tensione, l’ho sentita andare su e giù per le scale fino all’alba. Stamattina dormiva profondamente, così non l’ho svegliata.-
-Hai fatto bene. Mi dispiace per tutto il dolore che vi ho procurato Alexis…-
Lei scuote la testa come a dire che è tutto passato e si alza per mettere a posto la biancheria dentro l’armadietto, sotto lo sguardo vigile e silenzioso del padre, che per un attimo ha sentito ancora quel senso di colpa per la sofferenza della sua famiglia. Quando le squilla il cellulare, Alexis controlla l’ID e rifiuta la chiamata accigliandosi, cosa che non sfugge a Rick.
-Tutto bene tesoro?-
La ragazza annuisce, tornando al lavoro che ha interrotto, ma il cellulare squilla ancora, proprio mentre rientra Ben con Edith e un altro infermiere che spinge una poltroncina a rotelle e lei approfitta per rifiutare ancora la chiamata.
Ben gli chiede se si sente di vestirsi e mettersi seduto sulla poltroncina, in modo da cominciare a mettere in moto la circolazione e lui annuisce, sempre con lo sguardo fisso sulla figlia che, dopo aver staccato la telefonata per la seconda volta, sembra pensierosa.
Alexis esce in corridoio, mentre Edith e il collega aiutano Castle a vestirsi. Nonostante i movimenti gli provochino dolore continua a tenerle lo sguardo addosso, attraverso il vetro. Appena uscita ha preso il telefono, composto un numero e adesso parla gesticolando, con il viso cupo. Lo aiutano a mettersi in piedi, le gambe non gli reggono, sente la testa girare vorticosamente e chiude gli occhi, perdendo di vista sua figlia. Quando li riapre si ritrova seduto su una comoda poltroncina, accanto alla finestra e non riesce più a vedere il corridoio.
Quando la ragazza rientra in stanza, l’espressione cupa sul suo viso sembra sparita, ma Rick continua a pensare che quegli squilli l’hanno messa di malumore.
-Alexis che succede?-
Gli chiede preoccupato, ma lei gli sorride, prendendogli le mani.
-Niente papà, sono felice di vederti fuori dal letto.-
-Chi era al telefono? Non sembravi molto contenta. Era qualche scocciatore?-
Alexis scuote la testa continuando a sorridere.
-No, nessuno scocciatore, solo che sono qui con te e non mi andava di rispondere.-
-Può essere, ma quando hai richiamato non mi sei sembrata per niente contenta.-
Alexis abbassa lo sguardo un momento.
-Non hai nulla di cui preoccuparti, era solo… era solo il signor Taller.-
Castle solleva le sopracciglia.
-Solo il signor Taller? Ti chiama il Rettore della tua Facoltà e tu gli rifiuti la chiamata?-
-Non era importante…-
-Alexis se ti chiama il Rettore in persona, deve essere importante. Ti sei messa nei guai? Lo sai che con me puoi parlare di tutto…-
Alexis lo ferma prima che cominci con le sue paranoie da padre iperprotettivo.
-Nessun guaio papà, mi conosci, pensi davvero che possa essere in guai tanto grossi da ricevere telefonate dal Rettore in persona? Chiama solo per chiedere tue notizie, lo ha fatto spesso da quando questa storia è finita in TV.-
-Beh, è carino da parte sua e non è carino da parte tua rifiutargli la chiamata, anche se poi lo hai richiamato!-
-Ha sentito dal notiziario che le tue condizioni sono molto migliorate ed è da ieri che mi tempesta di telefonate.-
Castle a questo punto corruccia la fronte confuso.
-Non capisco, in che senso ti tempesta?-
Lei solleva le spalle, abbassando lo sguardo.
-Alexis dimmi cosa ti preoccupa, perché è evidente che il fatto che ti chiami per avere notizie sulla mia salute ti disturba.-
La ragazza solleva lo sguardo e gli sorride, sedendosi sul bracciolo della poltroncina.
-Ieri sera mi ha chiamato per espormi una sua richiesta, ma pare che la mia decisione non gli stia bene, così continua a telefonare per snervarmi ancora di più.-
-Detta così sono molto più tranquillo.-
Le dice Rick accigliandosi sempre di più e lei scoppia a ridere.
-Non è niente di catastrofico papà. Sai il concorso per il viaggio studio in Europa?-
E’ lui adesso che abbassa lo sguardo, dispiaciuto per quel viaggio tanto desiderato da sua figlia e che non ha potuto fare per causa sua.
-Già, il viaggio… mi spiace tanto che al tuo posto sia partito lo studente che si è classificato dopo di te.-
Alexis scuote la testa, prendendogli la mano.
-E’ questo il punto. Non è partito nessuno al mio posto. Secondo le regole, non presentandomi alla partenza sarei stata scartata, ma oltre il regolamento pare che nei moduli per il concorso ci fossero anche delle postille… che io non ho letto.-
Rick solleva un sopracciglio storcendo le labbra.
-Quante volte ti ho detto di non firmare niente prima di aver letto attentamente tutto?-
-Papà non stavo comprando un appartamento! A me interessava il modulo d’iscrizione e i libri che mi servivano per studiare, che vuoi che m'importasse delle postille?-
Castle alza gli occhi al cielo e lei ride divertita per la faccia preoccupata del padre.
-Pare che una di queste postille, che non ho letto perché erano praticamente invisibili e scritte in miniatura ai margini dei moduli, prevedesse la possibilità di richiedere una proroga di qualche giorno, se il concorrente fosse stato impossibilitato a partire per motivi gravi.-
-Ecco vedi? Io ero un motivo grave, ma tu non hai letto le postille invisibili e non hai fatto nessuna richiesta, giusto?-
-Giusto. Ma anche se l’avessi letta non mi sarebbe passato per la testa fare una cosa del genere. Stavi per morire papà, credi davvero che m’importasse? Non ci avrei pensato comunque. Il Rettore però, pensando all’eccellente risultato ottenuto e capendo che era una questione di vita o di morte, ha ritenuto giusto fare la richiesta a mio nome…-
Si alza, lasciandogli le mani e comincia a girare intorno alla stanza.
-…ed è stata accettata, così ieri, quando al TG hanno dato la notizia che eri salvo, mi ha chiamato per dirmelo e per sapere se sono pronta a partire.-
-Tesoro ma è fantastico!-
-No papà, non lo è, perché la proroga scade tra due giorni, significa che devo prendere un aereo al più tardi domani pomeriggio.-
-E qual è il problema?-
Alexis lo guarda allargando le braccia.
-Qual è il problema? Papà tu non stai ancora bene, non riesci a muoverti, non sappiamo nemmeno quanto dovrai restare in ospedale e anche quando tornerai a casa avrai bisogno di assistenza…-
Continua a girare in tondo stritolandosi le mani, persa nel suo monologo tanto che Rick è costretto ad alzare la voce per attirare la sua attenzione.
-Ehi, ehi… frena! E’ vero che non sto ancora benissimo, ma sono in ospedale e ho assistenza continua e anche quando mi manderanno a casa, ci saranno la nonna e Beckett e se dovessi avere bisogno, prenderò un’infermiere che mi aiuti!-
La ragazza scuote la testa e Rick le prende le mani, costringendola a sedersi ancora accanto a lui.
-Non sei tu che devi accudirmi. E’ vero che ti sei sempre occupata di me, quando doveva essere il contrario, ma non è il tuo compito adesso.-
Alexis abbassa lo sguardo e deglutisce e quando Rick le mette la mano sul viso, alza gli occhi lucidi su di lui.
-Non… non mi va di lasciarti adesso papà. Sarei troppo lontano e non… alla fine non hai mai voluto che ci andassi!-
-E non lo voglio nemmeno adesso. Non lo vorrei nemmeno fra un mese o un paio di anni!-
-Allora perché insisti?-
Rick le sorride in modo tanto dolce che lei china di poco la testa per avvicinare ancora di più la mano alla sua pelle.
-Perché hai lavorato sodo per vincere questo concorso. Hai studiato anche nelle vacanze, hai rinunciato ad uscire con i tuoi amici per poter arrivare tra i primi e non tralasciare le materie obbligatorie ai corsi. Perché lo hai desiderato tanto e te lo meriti. Perché sei diventata grande, anche se è successo senza il mio permesso…-
Ridono insieme, anche se gli occhi di Alexis sono lucidi.
-Perchè, a discapito di quello che dicevo quando eri bambina, i mostri esistono Alexis e non sono sotto il tuo letto, non hanno nemmeno la faccia blu piena di pustole gialle. Sono persone normali che ci vivono accanto e, se potessi proteggerti da ognuno di loro chiudendoti in un bunker, lo farei, ma non posso. Non posso proteggerti nemmeno mentre sei qui accanto a me e saperti a cinquemila miglia di distanza mi terrorizza, ma è così che deve essere. Devi vivere la tua vita, devi fare le tue esperienze… devi cogliere al volo ogni occasione piccola mia, perché in pochi minuti può succedere di tutto e…-
Si ferma abbassando lo sguardo, deglutisce pensando a quanto la sua vita sia stata insignificante nelle ultime ore e Alexis lo abbraccia.
-Va bene papà, ho capito. È solo che… la nostra vacanza con Kate?-
Lui si allontana e la guarda negli occhi.
-Avremo tutto il tempo che ci pare per andare in vacanza e poi starai in giro per l’Europa per sei lunghi mesi, chi ti dice che non convinca Beckett ad un bel viaggetto per venirti a trovare?-
Il sorriso che gli mostra la sua zucca è più splendente del sole che li bacia sul viso.
-Allora tesoro, la domanda è: vuoi andare in Europa?-
Alexis annuisce buttandogli le braccia al collo.
-Allora richiama il signor Taller e digli che sei pronta a partire e tieni il telefono sempre carico che occuperemo Skype ogni giorno per un paio di ore.-
-Un paio di ore papà!?-
Gli chiede lei inclinando la testa, mentre lui s’imbroncia.
-Quarantacinque minuti?!-
-Papà!-
-Ok, dieci?-
Chiede con lo sguardo di un cucciolo bastonato e Alexis scoppia a ridere.
-Dieci minuti andranno benissimo. Grazie papà.-
-Di cosa? Non è mica merito mio se vai in Europa.-
Alexis allenta l’abbraccio e lo guarda dritto negli occhi.
-Non per quello. Grazie per avermi resa la persona che sono!-
-Non ho mai capito il perché, ma sei sempre stata giudiziosa, io non ho fatto molto.-
Solleva le spalle quasi imbarazzato, ma lei scuote la testa sorridendo.
-Non hai fatto molto? Io ho dei meravigliosi ricordi di quando ero piccola, come il vecchio appartamento in cui vivevamo prima che diventassi famoso?-
-Meraviglioso? Era piccolo e c’erano tanti di quegli spifferi che nemmeno le zanzare volevano farci compagnia.-
Sorride alla sua stessa battuta, ma Alexis scuote ancora la testa, continuando seria.
-Io invece ricordo te seduto a terra, con le spalle contro il mio letto, il portatile sulle ginocchia e le dita che digitavano freneticamente sulla tastiera per tutta la notte, dopo un’intera giornata passata ad occuparti di me e a scrivere quegli stupidi articoli per quello stupido giornale che odiavi, solo per poter pagare l’affitto.-
Rick corruccia la fronte e lei annuisce.
-Ricordo il profumo di latte e frittelle appena sveglia e tu che mi facevi roteare fin sopra il lampadario dopo un’intera notte passata a scrivere ed ero convinta che fossi un uomo invincibile, perché non sembravi per niente stanco… invece lo eri.  Ricordo la delusione sul tuo viso ad ogni lettera di rifiuto e quando anche io m’intristivo per i tuoi silenzi, mi raccontavi storie incredibili, portandomi in mondi fantastici con la tua voce.-
Rick le stringe le mani deglutendo.
-Ma come fai a ricordare tutto questo? Avrai avuto si e no cinque anni!-
-Forse ero davvero troppo intelligente come dicevi tu, o forse è solo l’età in cui si comincia a capire, a selezionare le persone e le loro azioni.-
-Alexis…-
Rick cerca di dire qualcosa, ma lei non gli dà il tempo di formulare una sola parola.
-La gente ti vede come un uomo ricco, sfacciato, senza problemi, io so che per raggiungere il tuo sogno hai sofferto e lavorato tanto. Ricordo le domeniche mattina al Gorilla Coffe, con il frappè al cioccolato e i pancake a forma di gorilla e tu che ne prendevi una sola porzione per me, dicendo che non era da scrittori veri mangiare un gorilla. Mi facevi ridere tanto quando lo dicevi, ma sapevo benissimo che i soldi ti bastavano per una sola porzione…-
-Lo… lo sapevi?-
Le chiede Rick con un nodo in gola. Non aveva la più pallida idea che una bambina così piccola potesse aver notato tante  sottigliezze, da ricordarle fino ad ora.
-Ti avevo visto una volta mentre ti contavi i soldi in tasca prima di andare e lì ho capito.-
-Per questo non ci sei voluta più tornare, dicendo che avevi visto uno scarafaggio vicino alla cucina?-
Lei solleva le spalle mordendosi il labbro.
-Sapevi che amavo quel posto e non mi avresti mai detto che non potevamo permettercelo. Non avevo bisogno dei pancake a forma gorilla, quando potevo mangiarli a forma di Smile cucinati da chef Castle.-
Rick le accarezza il viso con gli occhi pieni di lacrime.
-Chissà cosa ho fatto di buono per meritarmi una figlia tanto meravigliosa!-
-Mi hai amata papà. Sopra ogni cosa al mondo. Sempre. Anche quando il tuo mondo crollava per via di un rifiuto. Anche quando mamma ci lasciato soli pensando solo a se stessa. Potevi mollarmi anche tu, ma non lo hai fatto. Sono diventata la persona speciale che dici, perché ci sei sempre stato a discapito di tutto e di tutti.-
Gli accarezza il viso, quando lo vede teso perché cerca in ogni modo di ricacciare indietro le lacrime, che invece lo stanno tradendo per l’emozione e lo abbraccia ancora.
-Sei il mio papà speciale, il mio eroe.-
Rick non risponde nulla, si limita a stringerla più che può per qualche secondo, poi allenta l’abbraccio, baciandola sulla fronte.
-Corri dal signor Taller prima che qualcuno ti soffi il biglietto aereo.-
Lei annuisce godendosi ancora i baci di suo padre prima di alzarsi, prendere la borsa e mettere la mano sulla maniglia. Si volta a guardarlo, storcendo le labbra.
-Prima tappa Firenze…-
Lui le sorride sollevando il pollice e lei fa un paio di saltelli.
-Non ci credo… vado in Europa!-
Apre la porta e per poco non travolge Kate che sta per entrare e la abbraccia d’istinto continuando a saltellare.
-Non è una giornata meravigliosa?!-
Senza darle il tempo di rispondere sparisce nel corridoio, lasciandola immobile sulla porta. Corruccia la fronte, guardando Rick ed entra titubante, facendo segno con la mano verso l’esterno.
-Rideva e saltellava… significa che non devo preoccuparmi!?-
Lui annuisce ridendo e lei si avvicina.
-E’ bello vederti in piedi.-
Rick si guarda addosso e scuote la testa.
-Tecnicamente sarei seduto.-
Kate storce le labbra e alza gli occhi al cielo.
-E’ bello vederti tecnicamente seduto!-
Esclama facendolo ridere ancora. Allunga una mano e lei gliela prende, sedendosi accanto a lui.
-Allora, oltre il fatto che stai meglio, come mai Alexis saltellava felice?-
-Perché va in Europa.-
Lei corruccia la fronte e lui solleva le spalle.
-Pare che nel regolamento del concorso ci fosse anche la possibilità di richiedere una proroga nel caso i vincitori fossero impossibilitati a partire, attestando naturalmente dei motivi gravi… direi che il fatto che stavo per morire era un motivo grave, ha ancora due giorni di tempo per presentarsi al dormitorio di Firenze, prima di perdere il posto definitivamente. Per questo andava di corsa, deve mettersi d’accordo con il Rettore per la partenza.-
Il sorriso di Kate è simile a quello di Alexis, felice come se dovesse partire lei.
-E’ fantastico! E… e tu sei contento?-
-Per niente. Credo che mi crogiolerò nel mio dolore per sei lunghi mesi.-
Kate solleva un sopracciglio guardandolo male e lui si chiude nelle spalle.
-Lo farò senza dare nell’occhio però, se tu sarai brava e mi coccolerai per tutto il tempo!-
Lei scoppia a ridere e gli mette le mani sul viso, baciandolo di slancio.
-Lo sai che sei un padre stupendo?-
-Me lo hanno appena detto.-
Gli accarezza il viso e cerca di sistemargli il ciuffo ribelle, che dopo un paio di giorni di letto non ne vuole sapere di mettersi giù e restano a guardarsi per qualche secondo. Quando sentono bussare sospirano entrambi.
-Il dottor Travis è bravo e simpatico, ma dovrebbe prendersi un paio di giorni di ferie!-
Esclama Kate infastidita con l’assenso di Rick che annuisce, ma quando bussano di nuovo si rendono conto che i colpetti sono sul vetro della finestra e non alla porta. Jessica Benton li saluta con la mano e Kate le fa cenno di entrare.
-Non vorremmo disturbare…-
Esclama sorridente, entrando insieme a Gordon e Rick le porge la mano.
-Che bello sapere che sta meglio. Sono felice signor Castle, sono stata tanto in pena.-
-Grazie Jessica, tu invece come stai?-
-Fisicamente bene. Ho solo bisogno di riprendere a vivere il più normale possibile.-
Gli dice adombrandosi di poco, ma torna a sorridere guardando prima Gordon e poi ancora lui.
-Andremo un paio di giorni a trovare mia nonna, nella casa ricoperta di edera, mi serve un po’ di tranquillità e soprattutto ho bisogno… di stare con Lei.-
Rick annuisce, adombrandosi.
-Mi spiace tanto…-
-Di cosa? Ha rischiato grosso anche lei e sono felice che sia finita bene. Lei e il detective Beckett mi avete tanto aiutata e volevo ringraziarvi prima di partire.-
Rick guarda Kate deglutendo.
-Io non ho fatto niente, non devi ringraziarmi.-
-Si invece.-
Si volta verso Kate e prende le mani anche lei.
-I genitori di Geri sono partiti ieri, non se la sono sentita di venire di persona, ma mi hanno chiesto di ringraziarla per tutto.-
-Ha ragione Castle, noi non abbiamo fatto niente.-
Jessica sorride e si rivolge ancora a Rick.
-Se vi piace pensarla così, va bene lo stesso. Noi andiamo o perdiamo il treno.-
Lo abbraccia affettuosamente e quando Gordon gli stringe la mano, lui gli punta il dito contro.
-Prenditi cura di lei, mi raccomando.-
Gordon gli sorride annuendo e prima di uscire Kate prende qualcosa dalla sua borsa.
-Ti avrei chiamata oggi per portartelo a casa, ma visto che sei qui…-
Le porge una bustina trasparente con dentro qualcosa che luccica. Jessica la apre e fa scivolare la collanina nella mano. Sorride, sfiorandola con le dita.
-La foglia d’edera! Posso tenerla davvero?-
-Certo. Dunn è morto, non ci sarà nessun processo… il caso è chiuso!-
Le risponde quasi sussurrando, mentre lei continua ad accarezzare il ciondolo con gli occhi lucidi.
-Grazie detective Beckett, lei non ha idea di cosa significhi poterlo tenere con me.-
Kate deglutisce ed inaspettatamente, infila la mano all’interno della camicetta e prende la collana che nasconde sul suo cuore, apre la mano e mostra l’anello di sua madre, facendo sussultare Rick che la guarda a bocca aperta.
-Lo so invece.-
Accarezza anche lei l’anello, come Jessica ha fatto con il ciondolo e senza alzare lo sguardo, sorride.
-Era di mia madre. Lo porto al collo da quattordici anni… non sono mai riuscita a trovare il suo assassino.-
Solleva lo sguardo su Jessica che adesso non riesce a reprimere le lacrime.
-Ma non mi arrenderò, un giorno gli metterò le manette, per il momento mi limito a dare voce alle altre vittime.-
Rick la guarda stupito, emozionato e orgoglioso, mentre lei e Jessica restano in silenzio, occhi negli occhi.
-Dentro di me l’ho sempre saputo!-
Esclama la ragazza abbracciandola. Si stringono sorridendo e Jessica la ringrazia ancora.
-Riuscirà a dare giustizia anche a sua madre, ne sono sicura.-
Kate annuisce sorridendo, con gli occhi lucidi, rimette a posto l’anello e li accompagna alla porta.
-Buona fortuna Jessica.-
Quando restano soli, resta con le mani appoggiate alla porta ormai chiusa, per un attimo china la testa e chiude gli occhi, perchè sente lo sguardo di Rick su di sé. Va verso di lui che non le toglie gli occhi di dosso e inclina la testa sorridendogli.
-Perché mi guardi così?-
-Non hai mai mostrato a nessun estraneo quell’anello, tanto meno hai mai spiegato perché lo porti al collo. Non me lo aspettavo, sono commosso… e orgoglioso…-
Deglutisce stringendole le mani e lei si abbassa alla sua altezza inclinando la testa.
-Devi essere orgoglioso solo di te…-
Gli passa lentamente la mano sul viso ispido e sorride con gli occhi lucidi alla sua espressione corrucciata.
-Ogni giorno con te è una novità, un modo nuovo di vedere la vita e di scoprire una nuova, piccola parte non solo di te, ma anche di me…-
Rick socchiude le labbra e lei continua ad accarezzarlo, china sulle sue ginocchia.
-…lo hai scritto tu parlando di quello che provi per me, ma è la stessa cosa che provo io. Vicino a te ho imparato a conoscerti, ma soprattutto ho imparato a riconoscermi, a riscoprire ogni giorno angoli del mio cuore che ho voluto dimenticare con tutte le mie forze, tenendoli nascosti per non soffrire. Ho riscoperto la dolcezza di ricordare il sorriso di mia madre, invece di un corpo esanime in un vicolo buio. Sei riuscito a farmi riscoprire quella Kate che avevo seppellito insieme a lei… sei tu che mi dai il coraggio Castle!-
-Io? Io non… faccio altro che amarti…-
Sussurra lui con la voce incrinata dall’emozione, tanto da non riuscire a continuare e lei appoggia la fronte alla sua.
-…e ti sembra facile?!-
-Amarti è stato facile, fartelo capire è stato faticoso!-
Kate scoppia a ridere, Rick invece, nonostante la battuta, fa ancora fatica a parlare e i suoi occhi lucidi lo dimostrano, le mette le mani sul viso, perdendosi nel suono della sua risata e nella luce dei suoi occhi, incredibilmente chiari e limpidi, come non li vedeva da ore, mentre lei non smette di coccolarlo ricoprendogli il viso di piccoli baci.
Dopo qualche secondo appoggia ancora la fronte alla sua sospirando.
-Ora basta Castle, abbiamo una cosa più importante da fare adesso.-
Rick mugugna continuando a baciarla.
-Che c’è di più importante che stare qui a coccolarci?-
-Qualcosa che dobbiamo risolvere il più presto possibile.-
Lui corruccia la fronte dubbioso e lei lo guarda seria.
-Adesso dobbiamo parlare di Abraham...-


Angolo di Rebecca:

Non so quanto siate felici della cosa, ma sono tornata :p
Periodo un po' frenetico e poco tempo, ma vedrò di rimettermi in sesto e soprattutto in pari con la lettura di tutte voi *-* bando alle ciance...
Un capitolo pieno di emozioni, per Rick in primis, che torna pian piano alla vita attorniato dalle donne che ama di più al mondo.
Emozioni per Alexis, che con la sua dolcezza rincuora il suo papà eroe *-*
Emozioni per Kate, che trova il coraggio di esternare i suoi sentimenti, grazie all'amore di Castle...

Un bacione e grazie a chi ancora ha il coraggio di seguire la storia infinita :D

PS:. sono cosciente che la fine del capitolo farà arrabbiare almeno una di voi ;)

Non volermene Virginia, non è ancora il momento :p

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Capitolo 59
*** Cervelli in Movimento ***



 

Capitolo 59
­


-Sono quasi morto per mano di uno psicopatico, cosa può esserci di più importante che sbaciucchiarmi e coccolarmi per farmi superare lo shock?-
Kate si lascia andare ad un altro bacio, sorride sulle sue labbra e strofina il naso al suo, mettendogli poi le mani sul petto per allontanarsi da lui.
-Dobbiamo parlare di Abraham!-
Rick abbandona la sua aria da bambino coccolone e la guarda serio.
-Lo hai detto anche ieri sera prima di addormentarti. Parlare di Abraham a che proposito?-
La segue con lo sguardo mentre si alza, sistema una sedia di fronte a lui e, dopo essersi seduta, gli prende le mani.
-Mi serve il tuo aiuto per una questione che lo riguarda… sempre che tu te la senta!-
-Perché non dovrei sentirmi di aiutarti?-
Kate abbassa lo sguardo per un attimo e lui annuisce, capendo i suoi pensieri.
-Oh… non si tratta di aiutare te, ma lui! Credi che ce l’abbia con Abraham per quello che è successo?-
Lei solleva lo sguardo e lui le sorride dolcemente.
-Kate, quell’uomo è stato una vittima come me, è quasi morto per mano di Dunn e ha cercato di aiutarti in ogni modo, non ho nessun motivo per avercela con lui… se ti serve il mio aiuto per una questione che lo riguarda, io sono pronto.-
Le sorride, facendole cenno di continuare.
-Dalla tua espressione si tratta di una cosa importante. Dimmi!-
Kate annuisce prendendo un foglio dalla tasca dei jeans.
-Capirai meglio leggendo questa lettera. L’ha scritta Lester Downing il giorno stesso in cui è morto.-
-Il Professore?!-
Le chiede dubbioso, mentre apre il foglio, rendendosi conto che è una fotocopia.
-Era nella scatola insieme all’antidoto, è indirizzata ai medici che eventualmente avrebbero preso in cura Abraham dopo la sua morte e…-
Si ferma un attimo, stringendo le labbra, mentre lui la fissa.
-…a me!-
Rick corruccia la fronte, ma lei gli fa segno di leggere. Lo osserva cambiare espressione man mano che scorre le righe, proprio come era successo a lei, mentre leggeva la lettera originale nello studio della dottoressa Dobbson.
-Ha davvero lasciato la formula della medicina che ha prodotto per Abraham?-
Le chiede continuando a leggere la calligrafia poco comprensibile del Professore, mentre Kate annuisce.
-Non solo. Ci sono tutte le sue cartelle cliniche e gli studi che ha fatto sulla sua malattia. I test che ha condotto su Abraham da prima che cominciasse la cura ad oggi. Non ha tralasciato nulla. Claire ha già analizzato il composto e visionato tutte le cartelle.-
Rick solleva lo sguardo confuso.
-Ti ha nominata proprietaria della formula della sua medicina? L’ha lasciata a te! Non capisco, perché proprio a te?-
Kate stringe ancora le labbra, ma prima che possa rispondere, Rick annuisce, trovando la spiegazione da solo.
-Perché eri la vittima di Dunn, quindi la persona giusta di cui fidarsi.-
Rick richiude la lettera adombrandosi. Sposta lo sguardo fuori dalla finestra e digrigna la mascella.
-Il Professore era davvero un uomo strano.-
-Già… viveva in un mondo tutto suo, ma non era capace di fare del male. Ha cercato in ogni modo di cambiare e solo per l’affetto che sentiva per Abraham.-
Guarda Rick, sempre con lo sguardo fisso sul cielo azzurro e assolato e gli prende ancora le mani, facendolo voltare di colpo.
-Io gli devo qualcosa Castle!-
Lo sussurra senza smettere di fissarlo negli occhi e lui corruccia la fronte.
-Ha fatto in modo che tu potessi salvarti… ha organizzato tutto nei minimi particolari, dal momento in cui Dunn gli ha commissionato la tossina. Ha composto l’antidoto insieme al veleno senza che Abraham lo sapesse. Hai assorbito la tossina per oltre 48 ore e se non fosse stato attento alle sostanze utilizzate, nemmeno l’antidoto ti avrebbe salvato dopo tante ore.-
Rick deglutisce, mentre lei gli accarezza il viso.
-Ma perché non ha chiamato la polizia subito?-
-Perché conosceva Scott Dunn. Sapeva che avrebbe trovato un altro modo per vendicarsi di noi e sapeva anche che una volta tradito, si sarebbe liberato senza pietà di lui e di Abraham. Dal primo istante ha pensato solo a lui. Per questo ha sepolto la scatola sotto la quercia e ha fatto in modo che Abraham non fosse in casa, sicuro che lo avrebbe ucciso. Sapeva che l’unico modo di tenerlo a bada, era fargli credere che avesse tutto sotto controllo. Ha riscritto il libro anche lui, imbastendo una nuova trama nella storia di Dunn. L’unico che poteva portarci alla scatola sotto la quercia era il suo fidato Abraham. Ha protetto lui e anche te facendosi ammazzare!-
Rick scuote la testa stringendo la lettera nella mano.
-Quello psicopatico ha rovinato la vita di troppe persone. Morire è stata la cosa più facile che gli sia successa!-
Esclama sentendo la rabbia scuoterlo nelle viscere. Chiude gli occhi sospirando, quando Kate gli accarezza ancora il viso.
-Come vedi io gli devo la tua vita e anche la mia. Non posso lasciare che le sue ultime volontà finiscano nel dimenticatoio… e poi è importante per Abraham. Senza quella medicina fra qualche settimana, sarà impossibilitato a muoversi.-
Dice tutto d’un fiato gesticolando nervosa, così Rick le afferra le mani per bloccarla, sorridendo.
-Che intendi fare?-
-Brevettare la formula della medicina e trovare qualcuno che la produca a livello nazionale, in modo che Abraham e chiunque altro soffra della stessa malattia, possa usufruirne. Voglio realizzare le sue ultime volontà.-
Gli stringe le mani digrignando la mascella.
-E’ una malattia troppo rara perché qualcuno si prenda la briga di studiarla…-
-Perché non ci sarebbe nessun guadagno!-
Finisce lui la frase e Kate annuisce chinando lo sguardo sulla lettera.
-Però qui non si tratta di studiare la malattia e trovare la cura, quella l’abbiamo già.-
-Giusto! Bisogna solo ottenere tutti i permessi a norma di legge, avviare una produzione e metterla sul mercato senza che nessuno ci speculi sopra… una cosa da niente, che vuoi che sia!-
Kate solleva le spalle abbozzando un sorriso.
-Claire dice che la trafila comincia presentando tutte le cartelle cliniche e i test fatti su Abraham alla Commissione Sanitaria Nazionale. E’ convinta che con tutto il materiale lasciato dal Professore, potremmo avere il permesso di produzione in poche settimane.-
Rick corruccia la fronte appoggiandosi alla spalliera della poltroncina.
-Kate, ti rendi conto in cosa vuoi imbarcarti? Occorrono fondi e conoscenze perché questa cosa vada in porto al più presto e senza speculazioni!-
-Per questo mi serve il tuo aiuto…-
Gli risponde lei, sfoderando il suo miglior sorriso.
-E come potrei aiutarti?-
Rick sembra sinceramente confuso e lei sbuffa imbronciandosi.
-Davvero vuoi farmi fare una pessima figura con la dottoressa Dobbson?-
Lui solleva un sopracciglio e lei storce le labbra.
-Le ho detto che conosco qualcuno, che conosce qualcuno, che conosce qualcun altro…-
Gli spiega gesticolando verso di lui, facendolo ridere.
-…insomma Castle. Che fine hanno fatto le tue conoscenze importanti?-
-Da quando in qua sei disponibile ai miei… compromessi?-
-Hai instituito una borsa di studio a nome di Johanna Beckett in un paio di ore e dopo due giorni c’erano già i fondi per cominciare tutto e non era una cosa di vitale importanza. Questa invece lo è, quindi posso anche mettere da parte il mio orgoglio per una volta e scendere a compromessi… e tu dovresti un attimino darti una mossa. Dov’è finita la tua capacità organizzativa, Castle?-
Rick si adombra, punto sul vivo.
-Beh… sono ancora malaticcio, dammi il tempo di mettere in funzione il cervello… hai l’originale di questa lettera?-
Kate annuisce sorridendo; ha già rimesso il cervello in funzione!
-Ben conservato nel laboratorio di Claire.-
-Bene, per prima cosa dobbiamo renderlo un atto ufficiale, il Professore lo ha scritto il giorno che è morto, sono le sue ultime volontà scritte di suo pugno e vanno registrate come atto testamentario, così nessuno potrà metterci le mani obbligandoti a sparargli, indi per cui devo chiamare immediatamente il mio avvocato. Mi serve assolutamente un telefono.-
Lei sorride e gli porge immediatamente il suo, ma lui scuote la testa energicamente.
-Voglio un telefono tutto mio, sono stufo di mendicare quello degli altri!-
Kate sospira alzando gli occhi al cielo.
-D’accordo, avrai un telefono tutto tuo, ma per iniziare, il mio non va bene?-
Lui scuote ancora le testa con il solito broncio sul muso.
-Va bene. Chiamo Martha, le dico di comprartene uno mentre viene qui.-
-Scherzi! Vuoi che vada in giro con un telefono pieno di brillantini e cuoricini rosa shocking?-
Kate arriccia il naso, ridendo.
-Saresti molto fashion, Richard!-
Lui sbuffa tornando a guardare fuori dalla finestra e Kate gli mette davanti agli occhi il suo cellulare.
-Piantala Castle. Te lo prenoto io un telefono da uomo, intanto usa il mio!-
Rick la guarda serio. Ha imparato a fare il musetto imbronciato e gli occhi da cucciolo anche lei. Prende il suo cellulare fingendosi accigliato.
-Ok! Ma non dovremmo avvertire Abraham delle nostre intenzioni e soprattutto di quello che il Professore ha fatto per lui?-
Kate sospira scuotendo la testa.
-E’ ancora debole Castle. E’ già doloroso che abbia perso un amico e, dopo tutto quello che ha passato, non voglio dargli false speranze. Possiamo avvertirlo anche dopo, non c’è nulla di male ad aspettare!-
Rick le accarezza il viso cercando di allentare la tensione che l’ha colta all’improvviso.
-Come vuoi. Farò anche una bella chiacchierata con Bob, come Sindaco conoscerà di sicuro qualcuno alla Commissione Sanitaria, una scoperta così importante farà gola ad un bel po’ di gente. Bisognerà anche trovare un mucchio di soldi, io ci metterò una bella sommetta per cominciare, ma non basteranno, quindi, al momento opportuno, organizzeremo una raccolta fondi. La gente “bene” è sempre pronta a sfoggiare la sua bontà quando può ricevere in cambio notorietà, pubblicità e quant’altro e, credo che per questo, abbiamo anche  l’organizzatrice perfetta.-
Solleva un sopracciglio sorridendo e Kate si morde il labbro.
-Tua madre!-
-Giusto. Sarà nel suo elemento naturale e rilascerà meglio la tensione di questi giorni tenendosi occupata con cose che adora fare. Dovremmo anche mettere in mezzo la stampa…-
-La stampa? Credi che sia una buona idea?-
-Certo che lo è. Una notizia del genere al momento giusto può tornare a nostro vantaggio, in modo che nessuno possa bloccare tutto per tornaconto personale, trascinando il giudizio della Commissione per mesi…- 
Si ferma guardando il viso di Kate che al momento è un misto di malizia e soddisfazione. Corruccia la fronte, non capendo perché lo guarda così e lei solleva spalle.
-Riesci ad eccitarmi quando sento i cigolii degli ingranaggi del tuo cervello.-
Lo bacia al lato della bocca, mordendosi poi il labbro con aggiunta di strizzatina d’occhio e Rick alza gli occhi al cielo sospirando.
-Ti prego Beckett, comportati da detective… sono impossibilitato al momento!-
-Non importa. Sei sexy lo stesso.-
Lo bacia ancora e quando fa per allontanarsi, lui la blocca.
-Dove credi di andare?-
-A prenderti il telefono sennò poi chi ti sopporta?-
Lui scuote ancora la testa e le fa cenno con la mano di tornare a sedersi.
-Non ancora, dobbiamo prima risolvere un altro problema. Se davvero la Commissione giudicherà la scoperta del Professore idonea alla produzione, oltre ai fondi per cominciare, ci serve anche qualcuno che faccia il lavoro pratico. Sono disponibile a tutto, ma non ad allestire un laboratorio clandestino al loft!-
Kate scoppia a ridere e annuisce, disposta ad ascoltare la sua idea. Perché sa benissimo che ha già un’idea.
-Stavo pensando a John Statson.-
Quando Kate corruccia la fronte disorientata, lui alza gli occhi al cielo.
-Ma bene! Gli fa le moine e non se ne ricorda nemmeno…-
A questo punto Kate s’illumina.
-Giusto! Statson delle Green Chemicals Industries. Potrebbe essere un’idea, anche se è ringhioso come un cane arrabbiato.-
-Proprio per questo. Lo hanno incriminato per l’incendio ai suoi capannoni, l’assicurazione gli ha bloccato i pagamenti per questo, con una pubblicità negativa in prima pagina per settimane, la produzione di questa nuova medicina rivaluterebbe la sua credibilità a livello mondiale e avrebbe la possibilità di rimettere in sesto la sua società. Senza contare il fatto che dopo i primi tempi, avrà il suo tornaconto anche in guadagno di moneta sonante. Secondo me accetta.-
Kate lo guarda ammirata, è vero che ci ha messo un po’ a rimettere il cervello in movimento, ma una volta partita, quella sua meravigliosa testolina la riempie di soddisfazione.
-Bene, allora organizziamo tutto, aspettiamo un riscontro dalla Commissione e appena abbiamo un abbozzo del progetto della raccolta fondi, lo contattiamo.-
Rick annuisce serio, guardandola dritto negli occhi.
-Lui lo chiami tu.-
-Perché dovrei chiamarlo io?-
Gli chiede alzando un sopracciglio e lui si chiude nelle spalle.
-Beh, lo conosci, sei già entrata in confidenza con il signor Statson…-
Lascia la frase in sospeso continuando a fissarla e quando lei si acciglia, lui continua soddisfatto.
-Sono sicuro che accetterà senza farsi pregare, ma se fosse necessario fargli ancora le moine.-
Kate si acciglia ancora di più, stringendo anche le labbra e la cosa, normalmente lo preoccuperebbe, ma adesso è troppo divertito per cambiare discorso.
-Se non bastano puoi sbattere le palpebre, mostrando i tuoi occhioni dolci…-
-Aspetta un momento Castle…-
Ma lui non le dà modo di parlare, continuando per la sua strada.
-…direi che puoi spingerti anche ad arricciare il naso e le labbra come solo tu sai fare…-
-Castle!-
La voce perentoria lo blocca, ma non lo coglie per niente impreparato.
-Che c’è? E’ una questione di vita o di morte, hai detto che sei disposta a sottostare a dei compromessi…-
-Compromessi con te, non fare una svendita!-
Lui le prende la mano e senza smettere di fissarla con lo sguardo serio e limpido, alla luce di quel sole che li abbraccia entrambi, se la porta alle labbra, lasciandole un dolce bacio.
-Kate, quell’uomo ci serve, per tutto quello in cui si è trovato coinvolto è degno di fiducia, non metterebbe ancora in pericolo la sua credibilità professionale e la sua carriera per speculare su una cosa così grossa. Pensaci.-
La sua espressione è sempre accigliata, ritrae la mano a forza e stringe le labbra.
-Va bene, ma decido io come convincerlo!-
-Basterà solo che sorridi e lo avrai ai tuoi piedi, fidati.-
-Solo?! Ne sei sicuro?-
Si alza e ancheggia con passo sinuoso fino alla porta, con gli occhi di Rick addosso, che la guarda stranito. Si volta verso di lui prima di uscire e gli sorride, portandosi il capelli dietro l’orecchio.
-Spero che basti solo un sorriso…-
Quando Rick corruccia la fronte, lei si affretta ad uscire, chiudendosi la porta alle spalle.
-Ehi… che… che intendi dire?-
Passa davanti al vetro, gli lancia un’occhiata languida arricciando il naso e lui sbuffa.
-Kate torna qui…-
Sparisce nel corridoio e, ormai fuori dalla sua visuale, scoppia a ridere quando sente ancora la sua voce ovattata per la porta chiusa.
-Kate, aspetta… Beckett!!!-
Rimasto solo, scuote la testa divertito da quella complicità che c’è sempre stata tra loro, da quegli sguardi maliziosi e quegli ammiccamenti misti di gelosia e divertimento, che alimentano ogni momento del loro rapporto, da quando non erano ancora una coppia. Abbassa lo sguardo sulle sue mani che stringono ancora la copia delle ultime volontà del Professore e gli sfugge un altro sospiro mentre prende il telefono di Kate e compone il numero del suo avvocato. Teoricamente il loro piano non fa una grinza, è la parte pratica che lo preoccupa, Kate si sta buttando a capofitto in un’avventura importante e lui non vuole che resti  delusa. Si è lasciata prendere all’interno di una spirale che la fa sentire in obbligo verso un uomo strano, per certi versi ambiguo, che non è riuscito a deludere e tradire l’amicizia sincera che sentiva per Abraham Pratt, cercando di riabilitarsi ai suoi occhi e a quelli del mondo.
Preso accordi con l’avvocato, si premura di tastare il terreno con l’amico Sindaco che, come pensava, conosce più di qualcuno alla Commissione Sanitaria e che, dopo avergli spiegato l’importanza di quello che vogliono realizzare, si è detto disposto a smuovere mari e monti perché i medici della Commissione non se la prendano comoda.
Kate rientra un’ora dopo insieme a Martha, a cui si uniscono anche la dottoressa Dobbson e l’avvocato di Castle. Il resto della mattina trascorre tra discussioni, telefonate, ricerche su internet, consigli legali e una visione accurata della documentazione medica redatta dal dottor Downing riguardo il paziente Abraham Pratt.
Discutono anche della raccolta fondi e della possibile organizzazione di una o più serate di beneficienza, senza riuscire a convincere Martha che per informarsi a riguardo aveva tutto il tempo del mondo, visto che avrebbero dovuto comunque aspettare il giudizio della Commissione, perché la donna, presa dall’euforia e dall’importanza della situazione, si era già dileguata con l’intento di contattare tutte le sue conoscenze per cominciare ad organizzare una festa degna della sua reputazione.
Dopo essersi guardati stupiti per un attimo per l’uscita veloce della signora Rodgers, l’avvocato si congeda assicurando al detective Beckett che avrebbe depositato il tutto alla Commissione Sanitaria la mattina dopo.
Il passo successivo sarebbe stato: aspettare.
Quando anche Claire li lascia soli per tornare al suo laboratorio, Rick si ritrova a sospirare di sollievo, lasciando andare la testa di peso sulla spalliera della sedia, con gli occhi chiusi. Kate si era resa conto che da qualche minuto non riusciva a tenere il ritmo della discussione e prestare attenzione. Si siede accanto a lui stringendogli la mano e quando apre gli occhi, si rende conto che sono di nuovo contornati da occhiaie marcate.
-Mi spiace, non dovevamo fare le cose così di fretta, questa mattinata ti ha sfiancato.-
-Non credevo che mi sarei stancato tanto.-
Scuote la testa sorridendo, stringendole la mano dolcemente.
-Però mi sono divertito. Ho assaporato ancora la bellezza di progettare qualcosa per il giorno dopo.-
Kate deglutisce abbassando lo sguardo, ma lui la costringe a guardarlo.
-Sto bene, ho solo bisogno di dormire un po’.-
Sussurra proprio mentre arriva il dottor Travis, per nulla contento di quella mattinata movimentata.
-Non sei ancora in grado di reggere questi ritmi Rick.-
Lo rimprovera tastandogli il polso.
-Credo di averti già spiegato che il tuo fisico non deve subire altre pressioni, sei troppo debilitato. Non costringermi ad impedirti di ricevere visite.-
Continua secco, mentre avvicina la poltroncina al letto e lo aiuta a coricarsi.
-Sto bene Ben, davvero!-
Cerca di essere convincente, ma è davvero esausto, tanto sbiascicare le parole.
-E se vuoi saperla tutta ho anche fame.-
Ben scuote la testa, sistemandogli il cuscino dietro le spalle.
-Per adesso dormi, quando ti svegli se fai il bravo, ti porto una gelatina alla frutta.-
Si avvia alla porta guardando Kate, serio.
-Mi raccomando, deve dormire.-
Lei annuisce senza dire nulla. Abbassa lo sguardo dandosi della stupida. Per un attimo si è dimenticata delle ore passate a soffrire, del veleno e del dolore, come se non fosse mai successo niente, senza pensare che erano passate solo poche ore dal suo risveglio e che non era il momento di metterlo così sotto pressione. Rick le stringe la mano e lei lo guarda dispiaciuta.
-E’ un medico. E’ il suo lavoro essere esagerato.-
-No, ha ragione. Non c’era tutta questa premura, avremmo dovuto aspettare che tornassi a casa.-
Lui le stringe la mano ancora più forte.
-Invece è proprio adesso il momento giusto. La stampa parla ancora del caso, di me e della tossina del Professore. Per riuscire nel nostro intento ci serve parecchia visibilità, quindi battere il ferro finchè è ancora caldo. Adesso possiamo rilassarci. Fino a che la Commissione non ci dice la sua idea, non possiamo fare altro.-
Kate ha gli occhi lucidi, lui cerca di tranquillizzarla, ma parla a fatica.
-Ora però riposati, io resto qui vicino a te.-
Rick annuisce, chiude gli occhi godendosi le carezze di Kate, ma ad un tratto corruccia la fronte.
-Il dottor Travis ha detto davvero che se faccio il bravo mi porta una gelatina di frutta?-
Riapre gli occhi in tempo per vedere Kate che annuisce seria.
-Sono commosso!-
Esclama sospirando, sentendola ridere sommessamente.
-Ci sono riuscito ancora…-
Lei dapprima non risponde, confusa da quella frase, ma dopo pochi secondi capisce a cosa si riferisce.
-A farmi ridere?-
Lui annuisce e lei si china a baciarlo.
-Sempre…-
Gli sussurra all’orecchio, mentre si perde nel suo sguardo. Non riesce a tenere gli occhi aperti e ha di nuovo l’aria fragile ed indifesa di molte ore prima.
-Non mi merito qualcosa di meglio di una terribile gelatina di frutta ospedaliera?-
Lei ride ancora e appoggia la testa sul cuscino mentre Rick richiude gli occhi.
-Vedrò cosa posso fare.-
-Bene. Mi fido di te…-
Allenta la stretta alla sua mano e si lascia andare alla stanchezza.
 
Nei giorni seguenti il dottor Travis riprende le redini della sua professionalità, costringendolo a comportarsi come un vero paziente in convalescenza, senza la possibilità di trasgredire sulle sue direttive.
Non erano più tornati sul discorso “organizzazione”, Kate si era presa l’onere di tenersi in contatto con l’avvocato, che l’avrebbe informata immediatamente sulle novità, aveva anche contattato John Stantson, che senza bisogno di moine da parte sua, si era detto disposto ad imbarcarsi con loro in questa avventura, se mai fosse andata in porto.
A Rick quindi, non era rimasto altro che dormire, oziare e farsi coccolare.
L’unica emozione che gli era stata concessa è stata la partenza di Alexis. Avrebbe voluto accompagnarla all’aeroporto e salutarla con il fazzoletto bianco svolazzante, ma era una cosa fuori discussione per la sua convalescenza. Martha gli aveva giurato che avrebbe fatto le sue veci e sapeva che la sua non era una frase fatta, avrebbe davvero sventolato qualcosa, magari un foulard dai colori sgargianti, in modo da passare inosservato e non fare vergognare la povera Alexis mentre saliva sull’aereo. Non era riuscito a non sorridere divertito, immaginandosi la scena.
Era sicuro che si sarebbe sentito svuotato e che la paura che potesse succedere qualunque cosa di terribile alla sua bambina, lontana da casa, lo avrebbe attanagliato per settimane, invece era rimasto sorpreso di essere semplicemente felice. Quando Alexis lo aveva abbracciato, aveva sentito il suo calore spandersi per tutto il corpo. Sua figlia era sempre stata come un’appendice di se stesso, dove finiva lui, cominciava lei, sempre in simbiosi, ma quando si era staccata e gli aveva sorriso raggiante, non aveva potuto provare altro che felicità. Era contento di essere vivo e di avere la possibilità di vederla felice, emozionata ed elettrizzata per quel viaggio che era un po’ l’inizio della sua vita da adulta.
-Ti lascio solo perché so che ci sarà Kate vicino a te…-
Glielo aveva sussurrato prima di dargli un bacio sulla guancia e prima che Martha rompesse la magia, urlando che era ora di andare e che se si perdevano ancora in smancerie, avrebbe perso l’aereo.
Erano scoppiati a ridere guardandosi negli occhi. Lui non aveva detto niente, stranamente tutte le raccomandazioni che avrebbe voluto farle, in quel momento sembravano davvero inutili, ma i suoi occhi lucidi parlavano eccome, tanto che Alexis aveva annuito, senza dire niente nemmeno lei, come se stesse rispondendo tacitamente alle sue parole silenziose.
Dopo la sua partenza era cominciata la vera e propria riabilitazione. La febbre era scesa del tutto e Ben aveva sospeso la somministrazione dell’antidoto, tenendo sempre sotto controllo la situazione ematica. Un fisioterapista gli faceva massaggi alle gambe due volte al giorno per dare tono alla muscolatura ancora irrigidita per l’azione della tossina e anche il pasto era migliorato, era passato dalla gelatina di frutta, alla minestrina insipida.
Dopo solo tre giorni, inaspettatamente, avevano ricevuto la notizia che una Commissione era già al lavoro sui fascicoli presentati, con una notifica giuridica che li informava che a breve una equipe di medici avrebbe visitato di persona Abraham Pratt e condurre delle analisi per appurare la veridicità degli studi condotti dal dottor Downing.
Era arrivato il momento di parlare con Abraham del testamento del Professore…


Angolo di Rebecca:

E finalmente abbiamo parlato di Abraham :3 
Kate usa il suo sorriso per confondere Rick, che però riesce a rimettere in moto il cervello, facendo eccitare Beckett O.o che oltretutto ribalta la situazione e fa ingelosire Riccardone (quei due si divertono *-*)
Non so se sia realmente fattibile quello che ho scritto su brevetti e medicine, ma prendetelo come licenza poetica :p
Sicura di aver fatto contenta almeno UNA di voi, vi auguro buona serata, anche se stasera ninte Castle :(

 

 

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Capitolo 60
*** Fede ***


 

Capitolo 60
 
 
Lo sguardo penetrante completamente perso nell’infinito del cielo coperto da un grigio quasi sbiadito, dove il sole si perde, vinto dalla coltre di nuvole gonfie, pronte ad esplodere in innumerevoli gocce di pioggia.
Uno sguardo penetrante e malinconico, che cerca tra quelle nuvole un sorriso o semplicemente un ultimo saluto.
Uno sguardo che al contrario del cielo, non è velato da nessuna ombra, nessuna colpa.
Lo sguardo limpido di un animo pulito.
La porta socchiusa costringe Kate a bloccarsi con la mano a mezz’aria prima di bussare. Lei e Rick restano qualche secondo a guardare l’omino piccolo e storpio del racconto macabro di Dunn, trovandosi davanti un uomo che, tra la malattia, il dolore e la paura degli ultimi giorni, non si è arreso all’odio e alla cattiveria, il cui sguardo, rivolto a quella grande perdita che continua a cercare tra le nuvole, è rimasto luminoso e pieno di speranza.
Kate guarda Rick, che le sorride e le fa cenno di bussare, resosi conto che, improvvisamente, le serve il coraggio per distogliere quell’uomo dai suoi pensieri. Lei annuisce abbassando di poco lo sguardo, senza capire perché si sente così nervosa per quello che deve dire ad Abraham. Eppure sente il cuore galopparle nel petto.
Rick la prende per mano e si allontanano dalla porta.
-Che ti prende?-
Lei scuote la testa e storce le labbra, come se non sapesse esattamente cosa rispondere. Rick continua a fissarla e alla fine lei sospira.
-Ha sofferto tanto Castle. Forse sto sbagliando tutto. Voglio dire, ha passato la vita a fare da cavia a medici che non potevano aiutarlo in alcun modo… non avevo messo in conto che potessero richiedere una perizia medica. Lo visiteranno, lo rivolteranno come un calzino per capire se i dati del Professore sono veritieri.-
Si gira a guardare verso la stanza e scuote ancora la testa.
-Avrei dovuto parlargliene prima, potrebbe anche non essere d’accordo, alla fine è la sua vita, che diritto ho io di stravolgerla ancora e…-
Rick le prende le mani e lei si gira di scatto, trovandosi davanti il suo sguardo sereno e quell’accenno di sorriso che la tranquillizza all’istante.
 -Se non è d’accordo blocchiamo tutto, non c’è problema, ma non credo che si lascerà spaventare da una equipe di medici.-
La trascina per mano di nuovo vicino alla porta e abbassa la voce.
-Guardalo Kate. Per quel che ne sappiamo non ha fatto altro che soffrire per tutta la vita e non si è mai arreso a niente. Non si è arreso nemmeno davanti a Scott Dunn…-
Lei annuisce stringendogli la mano per farsi coraggio, bussa con decisione e si affaccia alla porta, trovandosi davanti lo sguardo di Abraham, che prontamente le sorride.
-Possiamo entrare?-
Gli chiede aprendo del tutto la porta, facendo cenno anche al suo accompagnatore.
-Detective Beckett! Certo, accomodatevi.-
Le porge la mano, che lei afferra subito, stringendogliela calorosamente.
-Castle ed io vorremmo parlarle di una cosa importante, se se la sente.-
Quando anche Rick gli stringe la mano, i suoi occhi si rattristano, ma non distoglie lo sguardo.
-Mi spiace per tutto quello che ha dovuto passare signor Castle, spero potrà perdonarmi.-
Prima che Rick possa rispondergli, fa segno ad entrambi di accomodarsi.
-Quando vengono a prendermi?-
Kate e Rick si guardano corrucciando la fronte, non riuscendo a capire come possa già sapere dei controlli medici che deve sostenere e Abraham intuendo la loro confusione, solleva le spalle tranquillo.
-Quando mi porteranno in prigione? E’ di questo che volete parlarmi?-
Si guardano ancora, ma stavolta sorridono e Kate si sporge verso di lui.
-Lei non andrà in prigione Abraham. Non c’è nessuna accusa a suo carico.-
Adesso è la faccia di Abraham ad essere confusa.
-Che intende dire? Sono stato complice di tutto quello che è successo…-
Si ferma quando Rick scuote la testa.
-Abraham, lei non è stato complice di niente. Ha rischiato di morire proprio come me e per quel che ne so, ha aiutato Beckett in ogni modo. Siamo tutti vivi anche grazie a lei, quindi non ci pensi più.-
Abraham ha lo sguardo sempre più stupito.
-Allora di cosa volete parlarmi?-
Kate guarda ancora una volta Rick per prendere coraggio.
-Dell’eredità che le ha lasciato il Professore.-
-Non… non capisco. Quale eredità?-
Balbetta sempre più confuso e Kate si sporge verso di lui.
-Il Professore le voleva bene Abraham. Non ha fatto altro che pensare alla sua incolumità da quando è cominciata questa storia. Nei mesi di prigione, in cui è stato vicino a Dunn, ha imparato a conoscerlo, sapeva che era capace di tutto e che se non lo avesse assecondato lo avrebbe ucciso…-
China lo sguardo per un attimo, quando gli occhi di Abraham si rattristano di colpo e sospira.
-…e sapeva che avrebbe eliminato anche lei. Inoltre era consapevole del fatto che anche dopo avergli dato la tossina, non avrebbe lasciato tracce dietro di sé. Eravate condannati comunque, per questo dal primo momento non ha fatto altro che agire pensando soltanto alla sua salvezza.-
Abraham stringe i pugni riportando lo sguardo fuori dalla finestra su quel cielo grigio che non accenna tregua.
-Facendosi ammazzare come un cane! Io lo conoscevo bene, avrei dovuto capire… invece mi sono fatto prendere dalla rabbia e sono andato via facendo il suo gioco. Sono stato uno stupido. Dovevo restare e forse…-
Si gira di scatto sentendo la mano di Beckett sulla sua.
-Se fosse rimasto sareste morti entrambi e noi non avremmo mai saputo niente di quella scatola sepolta sotto la quercia.-
Rick annuisce avvicinando la sedia al letto.
-E probabilmente saremmo morti anche noi due.-
Kate prende la lettera lasciata dal Professore e si ferma un attimo a riflettere per trovare le parole giuste.
-Abraham, non siamo qui per questo… nella scatola lasciata sotto la quercia abbiamo trovato anche una chiavetta USB in cui il Professore ha inserito tutta la sua storia medica, compresi i test e gli studi fatti su di lei e la sua malattia.-
Gli mostra la lettera, che Abraham prende tra le mani, ma non legge, perché resta fisso con gli occhi su di lei, in attesa di una spiegazione.
-Il suo piano era fare di tutto per fermare Dunn, per dare il tempo alla polizia di trovarlo prima che facesse una strage, anche a costo di rimetterci la vita, per questo fin dal primo istante ha pensato a lei, alla sua incolumità e alla sua salute. Nell’eventualità che Dunn lo uccidesse davvero, ha lasciato nella scatola anche la formula della sua medicina…-
Solo in quel momento Abraham spalanca gli occhi e li posa sulle parole scritte nel foglio che ha tra le mani. Quando rialza lo sguardo su di loro, boccheggia, ma non riesce a dire nulla.
-Mi ha nominata proprietaria della formula, chiedendomi di farla brevettare.-
-E… ed è una cosa fattibile? Non mi intendo di queste cose, ma so che c’è una lunga trafila medica e burocratica… ed è anche molto costoso.-
-Si può fare, sapendo come muoversi e rivolgendosi alle persone giuste.-
Guarda Rick sorridendo.
-Castle conosce gente importante e nei giorni scorsi ha preso contatti con chi poteva esserci utile. Abbiamo già mandato tutto l’incartamento alla Commissione Sanitaria, che si è mostrata molto interessata. C’è davvero la possibilità di brevettare la formula e, di conseguenza, metterla in produzione.-
Abraham non risponde, passa semplicemente lo sguardo da Kate a Rick, immaginando che il discorso non sia ancora finito.
-Questa mattina abbiamo ricevuto una notifica dal capo della Commissione. Vogliono avere riscontri pratici sui fascicoli che hanno visionato, questo significa che manderanno dei medici a visitarla, farle delle analisi e dei test…-
Abraham continua a non dire niente, digrigna la mascella e quando abbassa lo sguardo completamente in silenzio, Kate sente di nuovo l’ansia che l’aveva colta prima di entrare in quella stanza.
-Abraham mi perdoni. Avrei dovuto parlarle prima e chiedere il suo parere, ma non volevo darle un’altra delusione nel caso che la Commissione non avesse accettato di prendere in considerazione questa scoperta. Non pensavo che avrebbero risposto così presto e soprattutto che richiedessero delle visite di conferma…-
Si ferma perché Abraham sembra di ghiaccio, l’unica cosa in movimento sono le lacrime traballanti che premono nei suoi occhi. Rick le prende la mano per tranquillizzarla, sporgendosi verso di lui.
-Abraham, se per lei è un problema, se non vuole essere visitato, possiamo bloccare tutto.-
Abraham si gira a guardarli, le lacrime scorrono ormai sul suo viso, ma le sue labbra sorridono.
-Signor Castle, ho passato tutta la vita tra le mani dei medici, non è un problema. Io so bene cosa comporta avere questa malattia, so bene cosa significa per un ragazzino crescere nel dolore continuo, nell’immobilità assoluta, perché è a questo che porta questa cosa terribile che ho addosso. Se c’è la possibilità di dare sollievo a chi soffre come me, sarò ben felice di fare da cavia. Il mio corpo è a disposizione.-
Conclude aprendo le braccia, mentre Kate e Rick si guardano perplessi.
-Credevo che il suo silenzio fosse dovuto al fatto che non fosse d’accordo.-
Abraham scuote la testa continuando a sorridere.
-Pensavo solo che non capisco il perché. Non avete idea di quante volte gli ho chiesto di dare al mondo la sua scoperta. L’ho pregato, ma lui era irremovibile, continuava a dire che il mondo non si merita niente e che il suo lavoro era solo per me.-
Sospira guardando ancora fuori dalla finestra tornando silenzioso. Rick resta con lo sguardo fisso sul suo profilo. Altro che omino piccolo e storpio, la forza d’animo e la fiducia di Abraham lo emozionano tanto da fargli capire come un uomo strano e complicato come il Professore, potesse aver deciso di dare la vita per fare la cosa giusta ai suoi occhi.
-Lester Downing non si sentiva accettato dal mondo, probabilmente il suo modo di vivere, chiuso in se stesso, lo ha portato ad isolarsi del tutto dall’indifferenza di chi gli stava intorno… ma poi ha incontrato lei.-
Abraham si volta a guardarlo e deglutisce vistosamente.
-Lei è stato l’unico a non giudicarlo e a vedere dentro il suo cuore a discapito di tutto. Ha avuto in lui una fede cieca dettata solo dall’affetto. La sua fiducia nel prossimo, le sue sofferenze silenziose gli hanno fatto vedere il mondo da un’altra prospettiva. Gli ha dato affetto chiedendo in cambio solo affetto. Lester Downing è tornato sulla retta via per lei Abraham…-
Lui annuisce, asciugandosi le lacrime.
-Ma è morto per questo!-
Lo sussurra appena per evitare di singhiozzare e Rick risponde sussurrando allo stesso modo.
-E’ vero. Ma è morto con la certezza di averla salvata, di avere fatto tutto il possibile perché lei continuasse a vivere con  dignità. Ci sono persone che hanno la capacità di essere piccole luci nel buio, per la vita di qualcuno. Lei è stato questo per il Professore, una luce che gli ha mostrato la strada giusta… non aveva altro modo per ripagarla della sua amicizia.-
Abraham resta a bocca aperta senza riuscire a rispondere, perfino Kate posa gli occhi pieni di lacrime su Rick, sentendosi accarezzare da quelle parole dette con dolcezza, riscuotendosi quando sente Abraham schiarirsi la gola.
-Come… come funziona? Se la Commissione Sanitaria accetta di brevettare la formula, che succederà?-
-Abbiamo già contattato il proprietario di un’industria farmaceutica disposto ad avviare la produzione.-
Kate gli mette ancora la mano sulla sua.
-Non deve preoccuparsi Abraham, sarà fatto tutto sotto stretto controllo, nessuno speculerà su questa scoperta, se è questo che la preoccupa.-
Abraham annuisce sorridendo.
-Quindi tra qualche mese, basterà una ricetta medica per poterla prendere in farmacia? Non riesco a crederci.-
Chiude gli occhi appoggiando la testa al cuscino, lasciandosi andare ad un bel sospiro di sollievo.
-Ha un posto dove andare quando la dimetteranno?-
Riapre gli occhi alla domanda di Rick e annuisce.
-Nella mia vecchia casa. Una bella ripulita e una mano di pittura e tornerà calda e accogliente come quando ero bambino e grazie alla mia medicina, sperando che vada tutto bene, potrò essere autosufficiente e trovarmi un lavoro.-
Rick sorride e gli porge un bigliettino da visita.
-So che le piace lavorare con le piante.-
-Beh, puoi raccontare loro qualunque cosa e sai che non ti tradiranno mai, sono silenziose e non fanno caso se sei storpio, gli basta solo sentirsi amate e crescono rigogliose.-
-Allora quando sarà in forze e pronto per un lavoro, telefoni a Simon Lewis, è un amico, nonché direttore dei giardini botanici di Central Park…-
Kate si volta a guardarlo stupita e Abraham si ritrova ancora a bocca aperta.
-…i giardini richiedono molto lavoro e Simon è sempre alla ricerca di personale che parli con le piante per farle crescere sane e felici. Le darà un lavoro in qualunque momento.-
Abraham guarda il biglietto e deglutisce.
-Perché fate tutto questo per me?-
-Perché siamo sopravvissuti alla cattiveria senza arrenderci Abraham e meritiamo di sopravvivere bene.-
Si alza dandogli una pacca sulla spalla e lui gli stringe la mano, ma quando sta per dirigersi alla porta, Kate lo ferma.
-Aspetta Castle, c’è ancora una cosa.-
Allunga la mano verso Abraham e gli consegna la busta chiusa indirizzata a lui.
-Nella scatola c’era anche questa.-
Abraham la prende e l’appoggia sulle sue gambe, chiudendo gli occhi. Kate e Rick si prendono per mano e, senza dire altro, si avviano alla porta. Restano pochi istanti a guardarlo, immobile, con gli occhi fissi su quella busta che non accenna ad aprire e Kate si allontana verso l’ascensore.
-Aspetta un momento, non possiamo andarcene così!-
Esclama Rick raggiungendola per fermarla.
-Castle è una cosa privata, non possiamo stare qui a spiarlo.-
-Non voglio spiarlo. Lo hai visto quanto tutta questa storia lo ha scosso, quella lettera sarà una mazzata... magari gli serve un supporto, una spalla a cui appoggiarsi, non possiamo lasciarlo da solo…-
Kate sorride per quell’espressione sinceramente preoccupata e gli mette le mani sul viso.
-Riprendi fiato Castle. Non ha bisogno di noi, ha bisogno di restare da solo con il suo amico. Senza intrusi.-
-Anche se questo lo farà soffrire ulteriormente?-
La trascina ancora una volta verso la camera di Abraham, bisbigliando.
-Restiamo solo un attimo, giusto il tempo di capire se gli serve supporto morale.-
Kate sospira, accontentandolo. La porta è rimasta socchiusa, come quando sono arrivati ed era lei ad essere preoccupata. Abraham ha finalmente aperto la busta…
 
Abraham…
La Bibbia narra di un uomo di nome Abraham che aveva una fede cieca ed infinita verso il Dio in cui credeva, anche quando tutto era contro di lui, anche quando la sorte si abbatteva avversa sulla sua vita, lui continuava a credere, ad avere fede in qualcosa o qualcuno in cui tanti altri non credevano.
Non so se è una coincidenza, non so davvero se il nome scelto alla nascita segni il carattere e la vita di un uomo, ma se è così, il tuo nome Abraham, riflette esattamente questo di te, un uomo che, nonostante le sofferenze fisiche e l’indifferenza della gente intorno, continua ad avere una fede sconfinata nella vita e non solo. Hai sempre avuto, senza che ne capissi bene il motivo, una fede sconfinata in me, affidandomi la tua vita e la tua amicizia senza giudicare il mio modo di essere e di vivere.
Non ho mai creduto in un Bene Supremo che ci indica la strada, lasciandoci il libero arbitrio di decidere poi se prenderla o no, ho sempre pensato che una volta venuti al mondo, siamo soli e responsabili del nostro destino, ma tu ai miei occhi, sei sempre stato una strana creatura.
Sei l’eccezione che conferma la regola.
Sono uno scienziato e la mia mente ragiona come tale, perciò in un mondo in cui ogni essere vivente è solo ed indifferente a tutto quello che non rientra nella cerchia dei propri interessi, tu sei per forza un’eccezione, perché sei sempre riuscito a guardare alla vita come un dono immenso, degno di essere vissuto.
Per settimane ti ho osservato, non solo per studiare la tua malattia, ma per conoscere te, Abraham Pratt, il tuo cuore, la tua anima. Quella parte di te che mi ha scombussolato per la semplicità con cui sorridi. Per la tua fede, che senza che me ne accorgessi, giorno dopo giorno, mi ha ridato coraggio. Un coraggio che non sapevo di avere, ma che ho riconosciuto davanti a quell’essere orribile che vuole distruggere la vita, con la stessa determinazione con cui tu, invece, la ami.
Sono in obbligo con te caro Abraham, perché con il tuo modo semplice di sorridere e di amare, mi hai dato un motivo per essere felice di aver fatto parte di questo strano mondo.
Voglio credere che il mio destino, il mio essere stato su questa terra, fosse proprio lenire le tue sofferenze fisiche e, come mi hai ripetuto spesso, anche quelle di chi soffre allo stesso modo.
So che la mia decisione è giusta. So che quando leggerai queste parole, tu sarai salvo. Questo è il mio vanto più grande.
Grazie amico mio!

 
Le lacrime scorrono libere sul viso di Abraham. Stringe la lettera al petto, chiude gli occhi, appoggia la testa al cuscino e sulle labbra gli si apre un grande sorriso.
-Hai ragione tu Kate. E’ già insieme ad un amico…-
Rick chiude la porta cercando di non fare rumore.
-…non gli serve altro.-
Le mette un braccio intorno alle spalle e lei lo abbraccia prontamente, fermandosi ad aspettare l’arrivo dell’ascensore.
-Sei un tenerone, lo sai? Adoro il tuo cervellino e anche la cerchia delle tue amicizie importanti.-
Rick la guarda confuso e lei gli dà un bacio sul collo.
-Gli hai trovato anche il lavoro.-
Rick sorride, solleva le spalle, ma non risponde nulla. Il led luminoso segna l’apertura delle porte, ed entrano in ascensore. Mentre il cubicolo passa dal primo al secondo piano, Rick solleva un sopracciglio, sorridendo malizioso e ne blocca la risalita.
-Questa discussione con Abraham mi ha tolto il respiro, mi serve ossigeno.-
Kate si morde il labbro con uno strano luccichio negli occhi.
-Anche a me…-
Sussurra mettendogli le mani sul viso, con gli occhi fissi sulle sue labbra. Si baciano con molta cura per essere sicuri di riempire per bene i polmoni e riprendere al meglio la respirazione, anche se i battiti accelerano di colpo ed il respiro diventa corto. Sorridono restando attaccati con la fronte e Kate sposta lo sguardo sui pulsanti dell’ascensore.
-Siamo in un ospedale Castle, l’ascensore potrebbe servire per un’emergenza.-
Lui annuisce baciandole la punta del naso.
-Non voglio tornare in camera, hai promesso che mi avresti portato a conoscere il piccolo Lowell.-
Lei annuisce, ricambiando il bacio sulla punta del naso e preme il tasto del terzo piano.
-Ogni promessa è un debito.-
 
Sono solo le due del pomeriggio, il reparto più gioioso del Saint Andrew è completamente deserto e il silenzio è rotto di tanto in tanto dal pianto dei piccoli ospiti nella nursery. Percorrono il corridoio abbracciati, come se non avessero fatto altro nella loro vita che camminare insieme, vicini, uniti e con lo stesso passo.
Si fermano davanti alla nursery e lui non ci pensa due volte ad attaccare le mani e il naso al vetro, come un bambino davanti ad un negozio di giocattoli.
Rick guarda i bambini e Kate guarda lui.
Sorride fissando il suo profilo, gli occhi che passano da un piccolo all’altro e le labbra aperte in un tenero sorriso.
-Uh… eccolo lì… è lui!-
Si riscuote, quando lui tutto elettrizzato, batte il dito sul vetro indicando il piccolo Robert.
-Ciao Biscottone!-
-Castle!-
Lo ammonisce Kate, guardandosi intorno, nella speranza che non l’abbia sentito nessuno.
-Che c’è? E’ davvero un bambinone, ho fatto bene ad associarlo ad un enorme biscotto. Alexis quando è nata era una miniatura, lui  sembra già grande.-
-D’accordo, ma non credo che Lowell sarebbe contento se ti sentisse appellarlo con il nomignolo di biscottone.-
-Meglio Biscottino?!-
Kate alza gli occhi al cielo, lui solleva le spalle senza badarle e torna a studiare i bambini, facendo inconsciamente strane smorfie con la bocca, mentre lei non riesce a togliergli gli occhi di dosso, per quanto è buffo e dolce allo stesso tempo. Ha sempre pensato che questo suo lato paterno fosse dato dal fatto che realmente è un padre, invece si rende conto che la sua reazione verso i bambini è proprio istintiva, gli danno gioia a prescindere.
Sposta lo sguardo sui piccoli anche lei, ricordando la sensazione di leggerezza provata quando un paio di giorni prima, una  strana forza invisibile l’ha portata davanti a quel vetro, a fare le smorfiette come Castle.
-Santo cielo Kate, non sono bellissimi?-
Lei corruccia la fronte, guardandoli attentamente e poi scuote la testa.
-Onestamente non sono bellissimi… non tutti almeno.-
Rick si gira di colpo a guardarla con gli occhi spalancati come se avesse detto un’eresia.-
-Non guardarmi così Castle, alcuni sono proprio bruttini, tutti raggrinziti.-
Rick si batte la mano sulla fronte sospirando.
-Kate, sono neonati…-
-E allora? Neonato non è sinonimo di bellissimo. Robert è un bel bambino, ma quello in fondo ad esempio? Non puoi dire che è bello solo perché è un neonato, sembra un ranocchietto!-
Castle la guarda esterrefatto, gesticola cercando le parole adatte per la difesa del ranocchietto, ma boccheggia qualche secondo, facendola ridere. Alla fine chiude la bocca, sospira pesantemente e con tono serio si rivolge a lei, guardando il piccolo neonato raggrinzito.
-Se fosse tuo figlio non gli daresti del ranocchietto.-
-Certo che no, se fosse mio figlio sarebbe un bel bambino, con le mie labbra e i tuoi occhi non potrebbe mai assomigliare ad  un ranocchietto!-
Rick solleva le sopracciglia sorpreso, ancora una volta apre la bocca con l’idea di dire qualcosa, ma i suoi pensieri annegano tra le parole ‘con le mie labbra e i tuoi occhi’, mentre lei si rende conto di quello che la sua bocca ha espresso senza il parere del cervello, solo dopo aver messo il punto alla fine della frase. Resta immobile con lo sguardo fisso sui bambini, sentendo le guance prendere fuoco. Quando il silenzio comincia a diventare imbarazzante, Rick si schiarisce la gola e lei ne approfitta per cambiare discorso.
-Sarà meglio andare. Tra poco devi fare la terapia…-
Senza guardarlo s’incammina verso l’uscita, lo sente camminare dietro alle sue spalle e chiude un attimo gli occhi per riprendere fiato. Ancora non si capacita del perché quel pensiero di un probabile figlio insieme.
Ancora quella strana forza sconosciuta?
Entrano in ascensore in silenzio, sente il suo sguardo addosso e l’ultima cosa che vorrebbe è fargli vedere il rossore sulle sue guance, che stanno ancora andando a fuoco. Si fa coraggio per mettere fine a questa sciocchezza e alza lo sguardo su di lui pronta alle sue battutine pungenti, ma si rende conto che invece la guarda con una strana luce negli occhi, il suo azzurro è più scuro e, mentre si avvicina lentamente a lei, le pupille si dilatano leggermente. La imprigiona tra la parete e le sue braccia, continuando a guardarla intensamente, tanto che per un momento Kate si sente a disagio.
-Nemmeno con i tuoi occhi e le mie labbra, nostro figlio assomiglierebbe ad un ranocchietto.-
Le sussurra sfiorandole il viso con le labbra, marcando l’aggettivo possessivo. Kate chiude gli occhi, il brivido che le percorre la schiena le fa sentire le gambe molli. Sospira riaprendo gli occhi, perdendosi nei suoi che non smettono di fissarla.
Nostro figlio…
Il suo cervello, irrazionalmente, ha davvero pensato ad un figlio suo e di Rick e mentre è persa in quel cielo blu notte, il pensiero torna prepotente.
-Sarebbe un… bel bambino…-
Balbetta arrossendo ancora,  ma gli mostra un sorriso smagliante quando lui solleva un sopracciglio.
-…nostro figlio!-
Sussurra affondando il viso sul suo petto, si aggrappa alla sua schiena lasciandosi stringere dalle sue braccia forti, la cui mancanza l’ha fatta sentire fragile e sola come mai. Solleva la testa senza allontanarsi da lui e lo bacia con dolcezza.
-Ci sono persone che hanno la capacità di essere piccole luci nel buio, per la vita di qualcuno…-
Gli parla sulle labbra e lui corruccia la fronte.
-Devo essere un bravo oratore se citi a memoria una mia frase.-
Kate annuisce sorridendo.
-Tu sei la luce nella mia vita e spero di poter essere lo stesso per te.-
Rick le accarezza il viso baciandola sulla fronte.
-Sei una fiamma ardente Kate Beckett e sono felice di bruciarmi di te.-
Si baciano con trasporto, fino a che lei si stacca sospirando.
-Stiamo ancora occupando abusivamente l’ascensore…-
Rick allunga il braccio verso il pannello dei numeri e sospira a sua volta.
-Meno male che il mio corpo non è ancora in forma, sennò invece della riabilitazione avrei dovuto fare una doccia fredda!-


Angolo di Rebecca:

Momento importante per Abraham, ma ancora più importante per i due tontoloni, che parlando con lui si emozionano più di quanto immaginassero. Rick addirittura si preoccupa per la sua solitudine nel leggere le parole che il Professore ha riservato solo a lui...  
E poi emozioni a non finire davanti ai "ranocchietti"... Kate comincia a stupire anche me :p

Un grazie particolare alla mia editor, che mi ha dato la dritta della fede di Abramo. Grazie zia Vale *-*

 
Grazie a tutte e buon Castle Monday (oggi c'è oggi c'è oggi c'è)

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Capitolo 61
*** Profumo di Intimo ***





Capitolo 60
 


Sono passati esattamente otto giorni dal suo risveglio. Otto giorni intensi di cure, riabilitazione e riposo assoluto, a cui Rick si è adeguato benissimo, lasciandosi coccolare dalle attenzioni di tutti. Non ha avuto tempo di annoiarsi, tra i progetti per brevettare la formula del Professore, le visite degli amici e la vicinanza di Kate, che solo dopo qualche giorno, torna alla normalità, accettando di lasciarlo almeno per la notte e dormire a casa sua, per riposare meglio e rilassarsi. Anche il dottor Travis torna alla sua normale giornata lavorativa riprendendo possesso del suo reparto e dei suoi pazienti, passando a controllarlo durante l’arco della giornata, senza però arrivare all’improvviso e fare il solito elemento di disturbo.
Anche quel lunedì passa tranquillo, con i soliti controlli mattinieri, il solito pranzo gramo e le solite passeggiate nel corridoio deserto, per irrobustire la muscolatura delle gambe.
Nel pomeriggio accusa la stanchezza; nonostante sia tornato in forze, gli capita spesso di addormentarsi senza rendersene conto, a causa degli antidolorifici e dei sedativi che ancora il suo organismo non ha smaltito del tutto. Kate e Martha approfittano per tornare a casa e quando si sveglia si ritrova da solo, in quella stanza che ormai è diventata il suo piccolo mondo sicuro, dopo il pericolo scampato.
-Che ci fai a letto a quest’ora ad oziare?-
Sorride a Ben che entra serio, con la sua cartellina tra le mani.
-Dovresti essere in giro a camminare, hai ripreso le forze, ma i muscoli hanno bisogno di esercizio.-
Lui solleva le spalle sbuffando.
-Deciditi dottore. Prima dici che devo riposare, poi che devo camminare… potrei anche confondermi.-
Gli risponde scendendo dal letto e Ben gli fa cenno di sedersi, sempre con un’aria seria, tanto che Rick si adombra.
-Che succede?-
Guarda la cartellina nelle sue mani e si rende conto che dentro devono esserci i risultati delle ultime analisi di quella mattina.
-Qualcosa non va? Non… non sto bene?-
Ben apre la carpetta scuotendo la testa e quando solleva lo sguardo su di lui, finalmente sorride.
-Stai benissimo Rick. Domani torni a casa.-
Sospira sollevato, ma stranamente, invece di gioire per la notizia, resta in silenzio e, prima che Ben possa chiedergli spiegazioni, si alza e si avvicina alla finestra, guardando verso il basso.
Quando è stato ricoverato dentro quella stanza, pioveva a dirotto, le strade erano piene di neve fangosa, il freddo era pungente e lui stava per morire, adesso il parco è pulito, niente neve e niente fango e, anche se le giornate sono ancora uggiose, le piantine nelle aiuole fanno intravedere già i boccioli che sbocceranno entro qualche giorno.
Sente un groppo in gola senza capirne il motivo. E’ come se fosse passata un’eternità, invece tra la fine della rigidità dell’inverno e l’inizio di una timida primavera c’è di mezzo solo una settimana. Una settimana intensa in cui ha rischiato di perdere tutto e adesso il tutto è ancora lì, a portata di mano.
-Non sei contento? Non vorrai mica mettere le radici in questa stanza?-
La voce di Ben lo riporta alla realtà e si gira a guardarlo, scuotendo la testa.
-Non vedo l’ora di tornare a casa, è solo che…-
Torna a sedersi guardando l’amico dritto negli occhi.
-...c’è stato un momento in cui ho avuto la certezza che non sarei mai uscito da qui.-
-C’è stato un momento in cui anche io ho avuto questa certezza.-
Gli risponde Ben senza distogliere lo sguardo.
-E’ tutto passato Rick e domani torni a casa. Dovrai stare a riposo almeno per un’altra settimana, cibo leggero, lunghe passeggiate all’aperto e niente attività fisiche pesanti.-
-Tranquillo Ben, non sono mai stato amante delle attività fisiche, specie quelle pesanti.-
Scoppiano a ridere e il medico gli punta un dito contro.
-Intendo ogni tipo di attività fisica…-
Lascia la frase in sospeso, rimarcando la parola ‘fisica’ e Rick corruccia la fronte disorientato, ma quando Ben solleva un sopracciglio schiarendosi la voce, spalanca gli occhi.
-Oh… intendevi quel tipo di attività!-
-Proprio quello, vedi di restare a riposo ancora per un po’, anche perché tra veleno, antidoto e medicine varie, potresti avere dei problemi.-
Rick sussulta spalancando gli occhi ancora di più e Ben si premura di tranquillizzarlo.
-Solo per qualche giorno, fosse stata una cosa permanente te lo avrei detto con più tatto!-
Rick si ritrova a sospirare ancora, non trovando per niente divertente l’ironia del dottor Travis, che per la seconda volta nell’arco cinque minuti, gli ha fatto venire un colpo.
-Mi mancheranno le tue visite di disturbo e il tuo fare da rompiscatole, sai?-
Ben si alza ridendo.
-Anche a me mancherà il tuo essere impiccione e inopportuno.-
Rimette la sedia a posto e si avvia alla porta, ma si gira ancora verso di lui.
-Preparo la ricetta con le medicine che devi ancora prendere e con le direttive che devi seguire anche a casa, e… sappia signor Castle che mi aspetto una sontuosa cena per essere ripagato delle mie notti insonni.-
Rick sorride annuendo.
-Soltanto? Da adesso in avanti avrai sempre un tavolo privato all’Old Haunt, naturalmente offerto dalla casa. Dovessi avere   voglia di un aperitivo o una birra con stuzzichino in un ambiente romantico e pieno di storia, saprai dove andare.-
-Già, ho sentito dire che quel posto è tuo, ne parlano bene, io non ci sono mai stato.-
-Stai sempre chiuso qui dentro dottore, non va bene, ora non puoi più permettertelo, sennò la bella biologa ti molla.-
Scoppiano a ridere e Ben annuisce.
-Hai ragione, vedrò di diventare più mondano, Claire ama i posti che trasudano storia.-
-Uh… a proposito! E’ successo qualcosa in questa settimana, per la precisione di notte… al buio… che io dovrei sapere?-
Ben solleva un sopracciglio.
-Modalità impiccione all’attacco?-
Rick gli mostra uno dei suoi migliori sorrisi, ma ridiventa serio immediatamente quando Ben si china su di lui a pochi centimetri di distanza dal suo naso.
-Direi che non sono affari tuoi!-
Fa per uscire, ma si ferma proprio sulla porta.
-Se proprio vuoi saperlo, posso asserire che abbiamo… ehm… abbiamo trovato il vero momento giusto!-
Lo guarda schiacciandogli l’occhio ed esce richiudendosi la porta alle spalle.
Rick sorride scuotendo la testa, contento per quella nuova coppia di cui si sente responsabile, ma i buoni pensieri passano subito, sospira e si avvicina di nuovo alla finestra per guardare fuori. La luce del sole si è spenta da qualche minuto, parlando con Ben non si è reso conto dell’avanzare del tramonto. Guarda in basso e segue con lo sguardo le persone che entrano ed escono dall’ospedale, alcuni pazienti avvolti nelle pesanti vestaglie, passeggiano nonostante il freddo. Si chiude nelle spalle come se sentisse i brividi al posto loro.
Domani torni a casa…
Sospira ancora e torna a sedersi sul letto, con lo sguardo basso e mille strani pensieri nella testa, non riuscendo a capire perché quella semplice frase gli procuri ansia e un battito irregolare che, grazie al cielo, il dottor Travis, non è riuscito a sentire…
 
-Hai preso tutto? Sicuro di non aver lasciato niente nel cassetto del comodino?-
-Mh mh… preso tutto.-
Rick  le risponde, seguendola con lo sguardo come fosse una trottola, mentre rientra in bagno a dare un’altra occhiata per assicurarsi che non dimentichi niente.
-Ok, in bagno non c’è altro. Hai guardato dentro l’armadio?-
Non ricevendo risposta si gira a guardarlo, fermo davanti al letto, con le dita sulla cerniera del borsone nell’intento di richiuderlo, ma immobile.
Corruccia la fronte preoccupata. Anche la sera precedente è stato silenzioso, troppo per i suoi canoni, ma non ci ha badato più di tanto, pensando fosse stanco, in quel momento, però, è completamente assente.
-Tua madre ha ordinato una limousine per il tuo rientro a casa…-
-Mh… mh…-
Stavolta le risponde, anche se con i soliti monosillabi che sono stati l’unica forma linguistica di quella mattina.
-…forse ha un po’ esagerato, non tanto per l’auto, quanto per il colore.-
Si avvicina al suo orecchio e sussurra.
-Verde fosforescente…-
Sentendo un brivido all’orecchio si gira di colpo verso di lei corrucciando la fronte.
-Si può sapere dove sei?-
Lui continua a guardarla stranito e lei gli sorride.
-E’ da ieri sera che sei silenzioso, rispondi a monosillabi e non hai sentito una sola parola di quello che ho detto.-
-Non è vero. Mia madre ha ordinato una limousine verde fosforescente.-
Kate posa il borsone in terra e si siede sul letto facendogli segno di fare lo stesso.
-Va bene. Mi hai sentito, significa che hai una buona capacità di attenzione, anche quando sei distratto.-
-Io non…-
Gli mette un dito sulle labbra per impedirgli di mentirle.
-Che succede Castle? Sembra quasi che non sei contento di tornare a casa.-
Lui sorride, mette una mano sulla sua e sospira.
-Non vedo l’ora di sentirne il profumo, invece.-
Sussurra abbassando lo sguardo sulle loro mani.
-Allora cos’hai che non va? Hai la testa da un’altra parte… e non dirmi che non è vero.-
Lui continua a tenere lo sguardo basso, corruccia la fronte, come a voler mettere ordine nella confusione che ha in testa. Alla fine solleva le spalle.
-Hai notato che in questa settimana non ho avuto curiosità di leggere i giornali e ho anche evitato di accendere la tv?-
Lei annuisce, ma non riesce a capire dove voglia arrivare.
-Ieri, quando Ben ha detto che potevo tornare a casa mi sono reso conto che inconsciamente, non ho voluto sapere niente del mondo là fuori.-
Solleva lo sguardo e nota la sua espressione confusa.
-Non volevo sapere nulla di Dunn, del caso, di quello che pensava la gente e di cosa è successo dopo. E’ come se mi fossi creato una bolla sicura dentro questa stanza…-
Lascia la frase in sospeso e Kate sorride, sistemandogli il ciuffo ribelle con dolcezza.
-E adesso che torni a casa, la bolla sicura sta per esplodere.-
Afferma lei, mentre lui deglutisce, annuendo.
-Significa tornare in mezzo alla gente…-
La fissa con l’espressione colpevole.
-…gente sconosciuta, all’apparenza normale, che può non esserlo.-
Abbassa di nuovo lo sguardo, deglutendo ancora.
-Prima o poi dovrò anche salire su un taxi!-
Continua a scuotere la testa e quando Kate gli stringe la mano, solleva di nuovo lo sguardo su di lei.
-E’ stupido, lo so bene, ma non so perché, mi è venuta l’angoscia.-
-Si chiama paura!-
Afferma lei guardando fuori dalla finestra, poi fissa lo sguardo su di lui e gli sorride. Un sorriso dolcissimo, come se lo rivolgesse ad un bambino impaurito.
-E non è stupido provarla.-
-Si che lo è… so che ho cercato in ogni modo di proteggerti dopo che ti hanno sparato, cercando di tenerti lontana dal cecchino, ma solo ora capisco la tua bramosia di trovarlo e toglierlo dalla circolazione. Non ti sentivi sicura! Invece Dunn è morto, non ho niente da temere, non posso sentirmi così, non mi piace… è stupido!-
Finisce la frase quasi con rabbia, ma sospira calmandosi quando lei continua a sorridere dolcemente.
-Non significa niente che Dunn sia morto, o che il cecchino sia scappato…-
Abbassa lo sguardo sulle loro mani e storce le labbra.
-Io ricordo il sibilo del proiettile…-
Rick corruccia la fronte e lei torna a guardarlo.
-Non il dolore lancinante, o la sensazione durata una frazione di secondo in cui ho pensato che la mia vita fosse arrivata al capolinea. No. Quello che torna prepotentemente nelle mie orecchie è il sibilo del proiettile, come se lo avessi sentito arrivare, come se lo avessi sentito solo io…-
Scuote la testa e sospira.
-Probabilmente non l’ho nemmeno sentito, forse non c’è stato nessun sibilo e me lo sono solo immaginato, eppure ogni volta che sento un rumore simile, il cuore mi arriva in gola e mi si ferma il respiro.-
Rick si è ammutolito, le stringe le mani, ma più per la tensione che quelle parole, pronunciate con calma e quasi sussurrate, gli provocano.
-Io ricordo un momento soltanto, in cui il dolore mi portava via, poi ho chiuso gli occhi e, nonostante mi sia portata dentro lo shock per mesi, quando mi sono svegliata era tutto finito, sapevo di essere viva, ma per te Castle… tu sei stato ore a ragionare e a soffrire, pensando che stavi morendo. In questi giorni hai solo cercato di dimenticare. Solo che non puoi.-
Gli accarezza il viso e inclina la testa.
-L’altro giorno hai detto una cosa ad Abraham che mi ha fatto riflettere. Hai detto che siete dei sopravvissuti. Hai ragione Castle. Siamo sopravvissuti, non alla morte in sé, ma al male, alla violenza, al dolore e proprio per questo non potremo mai dimenticare. Possiamo solo…-
Sospira, guardando i suoi occhi lucidi e la mascella serrata, per la tensione.
-…solo sopravvivere al meglio. Per questo lascerai questa bolla sicura e tornerai a casa, ricomincerai a scrivere di delitti efferati, tornerai con me sulle scene del crimine e prenderai i taxi per spostarti da una parte all’altra della città.-
Lui abbassa lo sguardo e gli sfuggono un paio di lacrime, che lei asciuga prontamente.
-E’ strano. Da quando ti conosco, non c’è stato giorno in cui una piccola sfumatura di te non mi abbia stupito. E continui a stupirmi. Adesso come nei giorni scorsi. Il modo in cui mi parli, il tuo sorriso tranquillo, il tuo aprirti con Jessica sulla morte di tua madre…-
Le accarezza il livido sulla tempia, ormai sbiadito, sospirando.
-…ed io sto qui a fare lo stupido!-
Lei solleva le spalle, corrucciando la fronte.
-Hanno ucciso mia madre e ho smesso di vivere. Mi hanno sparato e sono ancora qui. Ho rischiato di perderti per sempre, ma sei qui al mio fianco… sono sopravvissuta e c’è poco che può farmi ancora tanto male. Voglio solo non nascondermi più, voglio stupirmi anch’io di te e… voglio solo godermi questa felicità…-
Gli mette entrambe le mani sul viso e lo bacia, restando poi attaccata alla sua fronte.
-…perché sono felice, immensamente felice!-
Rick la stringe a sé e lei sposta le labbra sul suo orecchio.
-Ma se non ti senti sicuro, puoi sempre comprare l’intero reparto e arredarlo come ti pare, restando qui per sempre.-
Lo sente ridere, mentre appoggia il mento sulla sua spalla, scuotendo la testa.
-Presumo che hai optato per tornare a casa.-
In quel momento Rick si separa da lei per guardarla negli occhi.
-Tu resti con me vero? Non… non te l’ho chiesto perché mi sembrava superfluo, ma ora… cioè… magari vuoi tornare a casa tua e per carità avresti tutte le ragioni del mondo, ma… ma davvero non mi lascerai da solo con mia madre?-
Kate cerca di reprimere una risata per l’espressione atterrita sul suo viso e stringe le labbra pensierosa.
-Beh… visto che me lo chiedi in questo modo così romantico…-
Lui continua a guardarla con la stessa espressione e lei non riesce più a trattenersi dal ridere.
-Torniamo a casa Castle!-
Si alza, prende il borsone e si dirige alla porta, mentre lui la segue con lo sguardo sorridendo, senza muoversi di un millimetro.
-‘Torniamo’ a casa… mi piace!-
-Castle sbrigati, Ben ci aspetta all’accettazione.-
Si alza di scatto correndole vicino, dà un altro sguardo alla sua bolla sicura, prende Kate per mano e chiude la porta.
Quando escono dall’ascensore vedono il dottor Travis appoggiato al banco dell’accettazione, che controlla l’orologio.
-Oppsss… siamo proprio in ritardo.-
Esclama Rick aumentando il passo.
-Alla buon’ora! Tu vai a riposare, ma io ho del lavoro da fare.-
Brontola Ben con lo sguardo torvo, mentre alle sue spalle sbuca la dottoressa Dobbson con il suo solito sorriso.
-Smettila di brontolare, non hai nessuna emergenza in corso.-
Ben la guarda come se volesse rimproverarla, ma lei continua a sorridere e lui sospira, alzando gli occhi al cielo, facendo ridere Kate e Rick.
-Cartella clinica, foglio di dimissioni e direttive per la convalescenza. Ti aspetto martedì prossimo per un controllo.-
Dice a Rick, porgendogli una carpetta con tutta la sua documentazione ospedaliera.
-Caspita dottor Travis, non vedi l’ora di liberarti di me!-
-No Rick, è solo che…-
Si volta verso l’uscita e torna a guardarlo scocciato.
-Non so come, ma i giornalisti hanno saputo che saresti stato dimesso stamattina. Sono qui fuori che ti aspettano, però se  andiamo subito, posso farvi uscire dal parcheggio sotterraneo, così li evitate.-
Rick guarda fuori adombrandosi, ci pensa su un paio di secondi, cercando di calmare l’ansia che sta bussando ancora nel suo petto, poi scuote la testa.
-No Ben, grazie. Sono venuti a vedere lo scrittore bello e affascinante… non posso deluderli!-
Guarda Kate sorridendole.
-Dobbiamo ricominciare da qualche parte, giusto?-
Lei gli sorride raggiante stringendosi a lui, cosa che di riflesso fa anche Claire con Ben, che si gratta dietro la nuca, imbarazzato.
-E’ un timidone…-
Esclama la bella dottoressa, provocando la risata di tutti.
-Mi raccomando Rick, riposo assoluto. Sei tornato in forze, ma non è stata una passeggiata quello che è successo dentro il tuo corpo, quindi prendi alla lettera le mie direttive.-
-Si, signore!-
Risponde Rick, che prendendolo alla sprovvista, lo abbraccia dandogli un paio di pacche sulle spalle.
-Grazie Ben, devo ripagarti più delle ore di sonno perso.-
Il medico si allontana dalla stretta e scuote la testa.
-Vattene, che sei davvero insopportabile!-
-Hai ragione Claire, è timido.-
Le dice dandole un bacio sulla guancia.
-Grazie anche a te dolce dottoressa.-
Claire si sistema gli occhiali sul naso e lui non può fare a meno di guardare Ben, sospirare e sussurrare con il labiale ‘deliziosa’, facendogli alzare ancora gli occhi al cielo.
Riprende Kate per mano, guarda verso l’uscita e prende un bel respiro.
-Torniamo a casa!-
 
La guida tranquilla di Kate lo cullava e, nel silenzio creatosi, sentiva gli occhi pesanti. Voleva guardare le vetrine dei negozi che passavano veloci man mano che Beckett guidava, ma non riusciva a concentrarsi. Pian piano anche i soliti rumori cittadini persero il loro suono e gli occhi si chiusero senza possibilità di ripresa.
Inconsciamente continuava ad esserci.
Sentiva i clacson delle auto e anche il vociare dei bambini che urlavano, sicuramente erano appena passati davanti ad un piccolo parco e poi… quel profumo, profumo di ciambelle dolci ricoperte di zucchero. Se solo non si fosse addormentato avrebbe pregato Kate di fermarsi a comprarle al chiosco vicino al parco. Avrebbero potuto passeggiare e sedersi sull’erba e magari dividersi una ciambella, giusto per non esagerare con il cibo pesante, come da direttive mediche. Invece si era addormentato ed il suo corpo non voleva saperne di rimettersi in moto, come se tutto il contorno non avesse importanza e si stesse beando semplicemente del calore del sole, che rifletteva dal parabrezza e del silenzio tranquillo della sua Kate, che stava tornando a casa, insieme a lui.
L’auto si fermò, forse avevano incontrato un semaforo rosso, inconsciamente si rese conto che aveva freddo, come se il sole fosse sparito di colpo. Marzo era proprio il mese pazzerello per eccellenza, un momento c’è il sole alto e caldo nel cielo e il momento dopo piove a dirotto. Il rumore della portiera che si apriva attirò la sua attenzione, senza spiegarsi il motivo sentì i battiti aumentare e dopo qualche secondo il silenzio totale gli fece aprire gli occhi. Si girò di scatto alla sua sinistra. Quando vide il sedile del guidatore vuoto, si guardò intorno terrorizzato. Cercò di chiamarla, ma non riuscì a dare voce alla paura. Mise la mano sulla maniglia dello sportello per scendere, ma qualcosa gliela tenne schiacciata contro la portiera. Si voltò di nuovo di scatto, il cuore era così veloce che non riusciva più a respirare. Due occhi rossi iniettati di sangue lo guardavano penetrandogli l’anima e quando lui spalancò i suoi, immobilizzato per la paura, quella bocca dai denti aguzzi si aprì nella solita risata maligna e terrificante. ‘Sono tornato scrittore’…
Kate!!!
 
In un solo movimento ed alla velocità della luce, solleva le spalle dal divano e ruota il corpo per ritrovarsi di colpo seduto. Non è riuscito a pronunciare il nome di Kate, lo ha urlato solo nella sua testa tanto forte da sopraffare la risata maligna del suo persecutore. Riprende a respirare affannosamente, pensando di essere circondato dal gelo bianco della neve. Si porta le mani al petto cercando di reprimere una fitta di dolore, che alla fine si rivela essere soltanto paura. Una paura incontenibile e ingiustificata perché è al sicuro. Non in mezzo alla neve, ma nel salone di casa sua, avvolto da due morbide coperte sul suo comodo divano, al caldo grazie al camino acceso e circondato dal profumo di intimo, che tanto gli è mancato.
Si passa le mani sul viso, sospira pesantemente cercando di calmarsi e si rende conto di avere la fronte madida.
Da quando si è svegliato in ospedale, non ha più avuto nessun incubo, la sua bolla sicura era diventata così perfetta che nemmeno il clown dalla risata malefica era riuscito eludere la sicurezza e lui lo aveva quasi dimenticato.
Resta seduto con le mani tra i capelli e il cuore pesante, pensando che è bastato poco per riaprire le porte della paura.
Quando era uscito nell’atrio dell’ospedale, era stato circondato immediatamente dai giornalisti. I microfoni in faccia e le labbra che si muovevano frenetiche nel pronunciare parole per lui completamente incomprensibili, perché l’udito era sparito di colpo, nonostante i buoni propositi. Per un attimo aveva trattenuto il respiro anche lì, poi Kate gli aveva stretto la mano e  lui l’aveva guardata. Sorrideva e aveva fatto un cenno impercettibile con la testa, incitandolo ad andare avanti. Non si era ritirata o nascosta dietro di lui per non farsi fotografare, era rimasta al suo fianco.
Lo scrittore e la sua musa, insieme.
Aveva sorriso anche lui e risposto a qualche domanda sulla sua salute, non aveva detto niente invece alla domanda su come si sentisse, o cosa provasse dopo la brutta avventura, era solo passato avanti, ringraziando gentilmente e fuggito via.
Non sapeva come si sentiva. Non sapeva cosa provava, o meglio lo sapeva, ma non avrebbe mai potuto dire a voce alta che gli era bastato mettere piede fuori dalla sua stanza d’ospedale per tornare ad essere una vittima impaurita.
Era sopravvissuto, è vero, ma non aveva superato il trauma.                               
In macchina era rimasto in silenzio, Kate aveva percepito la sua tensione e aveva preferito lasciarlo immerso nei suoi pensieri. Erano passati davanti al parco e aveva seguito con lo sguardo i bambini che correvano felici, con il viso imbacuccato dentro la sciarpa e il cappellino. Aveva chiuso gli occhi quando il profumo delle ciambelle ricoperte di zucchero aveva raggiunto il suo olfatto, dandogli un piacere che non ricordava. Non aveva chiesto però a Kate di fermarsi a comprarle, era rimasto ad assaporare quel piacere fino a quando il profumo era sparito.
Quando era entrato in casa, Martha si era alzata dal divano senza muoversi. Al contrario delle sue normali reazioni era rimasta immobile a guardarlo, gli occhi lucidi e le labbra strette e solo quando lui aveva sorriso allargando le braccia, lei si era letteralmente fiondata a stringerlo. Mentre l’avvolgeva nel suo abbraccio le era sembrata improvvisamente piccola e aveva sentito un nodo in gola, perché invece quella era la donna più grande che avesse mai conosciuto.
Erano rimasti sul divano a parlare per un po’, mentre Kate si era presa l’onere di preparare del tè.
La mattinata era stata faticosa perché evidentemente si era addormentato, al solito senza accorgersene e le sue donne… si guarda intorno sollevando le spalle. Non ha la più pallida idea di dove possano essere.
Si alza sospirando ancora, ruota il collo per distendere i nervi e si sofferma ad osservare ogni dettaglio del salone, quello stesso salone che aveva visto la disperazione di sua madre e di sua figlia quando aveva detto loro del veleno.
Solleva lo sguardo verso il suo studio e, stringendo le labbra, si affaccia dalla porta senza entrare, quasi timoroso di trovarlo cambiato, non perchè qualcuno si fosse preso la briga di spostare le sue cose, ma perché dall’ultima volta che ci è stato, è proprio lui che è cambiato. Per quanto ci provi, per quanto cerchi di dimenticare e fingere che non sia successo nulla, lui è cambiato. Nell’anima. È sempre lo stesso Richard Castle, ma qualcosa dentro di lui è completamente stravolta. Kate ha ragione, è tornato a casa, scriverà ancora di delitti efferati, tornerà con lei sulle scene del crimine, ma niente sarà più come prima. Le ferite nell’anima, quelle che costringono alla paura, alla mancanza di respiro improvviso, ad incubi che non controlli, quelle non spariranno nemmeno alla fine dei suoi giorni. Le accantonerà, le nasconderà in un angolino, ma quando meno se lo aspetta, sa che torneranno, proprio come succede molte volte ai personaggi di cui scrive.
Dopo un attimo entra nel suo regno, accarezza con lo sguardo i suoi cimeli, i suoi ricordi. Si siede alla scrivania, mette la mano sul portatile chiuso e, sorridendo, appoggia la testa alla spalliera della poltrona, si distende poco sullo schienale e ruota di 180 gradi fermandosi a contemplare l’enorme stampa alla parete, sua compagna di scrittura fin dall’inizio dei tempi.
Sorride alzandosi con calma, torna nel salone e si siede al piano forte, passa la mano sul legno lucido e laccato di nero, suona un paio di tasti, sorridendo al suono familiare  e si sofferma sul sorriso sdentato della sua zucca e sul viso giovane di Martha che lo abbraccia sorridente; piccole immagini della sua vita, contornate da cornici d’argento.
Sussulta leggermente quando si sente contornare il collo da un abbraccio, proprio come la foto che ha davanti, ma appoggia subito la testa nell’incavo del collo di Kate.
-Mi stavo chiedendo che fine aveste fatto?-
Lei lo bacia sulla guancia e sposta le labbra all’orecchio.
-Tua madre aveva appuntamento non ho capito bene con chi, ma si tratta della raccolta fondi e, approfittando del fatto che ti sei addormentato…-
Lascia la frase in sospeso, ridendo quando lui sbuffa e lo bacia di nuovo.
-…ho messo a lavare la roba che hai usato in ospedale.-
Lui le prende le mani e si volta verso di lei.
-Non dovevi. Kate non devi…-
Si zittisce con le sue dita sulle labbra e non può fare a meno di lasciarle un bacio.
-Tu che fai? Vuoi darti alla musica?-
Scuote la testa e sorride guardando di nuovo le foto.
-Stavo pensando che ne manca una.-
Kate guarda le stesse foto e si stringe ancora al suo collo.
-Una nostra foto insieme sul piano forte di famiglia?-
Gli chiede quasi sussurrando e Rick annuisce, corrucciando la fronte subito dopo.
-Non è che mi scappi a gambe levate per questo? Devo preoccuparmi?-
Le chiede guardandola serio e lei storce le labbra.
-Beh… direi che… è una grossa responsabilità essere immortalata in questo angolo della casa.-
Rick continua a guardarla con l’espressione preoccupata e lei attacca di nuovo il viso al suo.
-Abbracciati? Mano nella mano? Mentre mi baci?-
Lui corruccia la fronte tornando a guardarla senza capire le sue domande e lei sorride, baciandogli le labbra.
-No, qualcuno dovrebbe immortalarci mentre ci guardiamo negli occhi, in quell’attimo in cui non esiste niente e nessuno.-
Solo in quel momento Rick si rende conto che è d’accordo per una foto di loro due da mettere sul piano, guarda le sue labbra sorridenti, le mette le mani sul viso e la bacia.
Anche lei è cambiata, o semplicemente ha davvero ritrovato quella Katie che, a diciannove anni, pretendeva di essere felice. E’ cambiata per il dolore che la vita le ha inflitto ancora ragazzina, per la paura di non riuscire a salvarlo, per quell’amore che prova nel suo cuore e che adesso non intende più nascondere.
Si allontana dalle sue labbra solo per guardarla sorridere felice, la tira a sé costringendola a sedersi sulle sue gambe e la bacia ancora e, perdendosi nel suo profumo, la paura, gli occhi iniettati di sangue, la bocca dai denti aguzzi, la ristata cattiva… tutto diventa lontano, sbiadito, inesistente…
 
Nei due giorni successivi avevano ricevuto notizie dalla Commissione Sanitaria, i pezzi grossi erano molto interessati agli studi fatti dal dottor Lester Downing e quel ‘piccolo’ speciale sulle malattie genetiche rare e sul progetto della nuova scoperta in campo medico, nato dopo il brutto caso del killer silenzioso, andato in onda dagli studi della CNN, stavolta grazie alle conoscenze di Beckett, era servito per mettere all’erta l’opinione pubblica e non avere problemi nel portare a buon fine il loro progetto. Di lì a pochi giorni Abraham sarebbe stato sottoposto ai controlli medici richiesti dalla Commissione, il dottor Travis e la dottoressa Dobbson avevano ottenuto il permesso di presenziare alle visite e Beckett aveva assicurato ad Abraham che ci sarebbe stata anche lei a portare un po’ di supporto; non avrebbe lasciato niente al caso, tanto meno avrebbe permesso che usassero Abraham come cavia.
Nelle stesse ore, come era prevedibile, il telefono di casa Castle aveva squillato ininterrottamente, non solo da parte di amici che volevano informarsi sulla sua salute, ma soprattutto da parte di diverse agenzie stampa che si contendevano un’intervista in esclusiva con lo scrittore. Per togliersi dagli impicci aveva chiesto alla sua editrice di organizzare una conferenza stampa, così da poter soddisfare la curiosità di tutti in una volta sola. All’intervista aveva preteso partecipassero anche il capitano Gates e i detective Ryan ed Esposito, come rappresentanti della polizia, cogliendo l’occasione per ringraziare tutte le forze dell’ordine della città impegnate nella ricerca di Scott Dunn e per come tutti si erano prodigati per riuscire a salvargli la vita, ricordando soprattutto le altre vittime, scandendo i loro nomi, perché nessuno dimenticasse a cosa porta la follia umana.
Aveva approfittato per parlare e pubblicizzare ancora il progetto in corso con la Commissione sanitaria e l’importanza delle donazioni in questo frangete, parlando della malattia di Abraham Pratt, di quello che comportava esserne affetti e sottolineando il suo aiuto nel ritrovamento dell’antidoto che gli ha salvato la vita. Ci teneva particolarmente a mettere a tacere qualunque polemica sul suo coinvolgimento nella vicenda.
Aveva usato il solito fascino, si era mostrato tranquillo e aveva scherzato ancora una volta con il capitano Victoria Gates davanti ai giornalisti, ma per la prima volta da quando era un personaggio pubblico, felice di essere al centro dell’attenzione e sotto i riflettori, non vedeva l’ora di scappare via.
La sera stessa, nonostante la riluttanza di Kate perché non si era riposato nemmeno un momento, avevano imbastito una cenetta casalinga con Kevin e Jenny, Javi e Lanie, Ben e Claire. Una serata tranquilla, con buon cibo e vino pregiato, che lui si era astenuto dal mangiare e bere, soprattutto perché Ben lo guardava male ad ogni portata.
Il giorno dopo aveva trascinato Kate al distretto con l’intento di fare ‘ai colleghi’ una sorpresa, ordinando la colazione per tutto il 12th, ma quando erano arrivati la sorpresa l’aveva avuta ancora lui.
Tutto il distretto aspettava che uscisse dall’ascensore e, una volta fuori, si era scatenato un applauso che lo aveva bloccato, stavolta piacevolmente, a bocca aperta. Kate gli aveva sorriso chiudendosi nelle spalle, facendogli capire che era stata complice del distretto. Ancora una volta l’affetto del 12th lo aveva commosso, per un attimo era rimasto senza parole, con un enorme sorriso sulle labbra e quando aveva visto la sedia accanto alla scrivania di Beckett, quella sedia, sulla cui spalliera spiccava la scritta WRITER CASTLE, si era ammutolito del tutto.
-Non credevo che sarei riuscita ad assistere a questo miracolo!-
Aveva esclamato la Gates, uscendo dal suo ufficio, con l’espressione seria, le labbra strette e gli occhiali in mano. In quell’istante tutta la squadra omicidi si era zittita, non si sentiva volare una mosca e Rick era rimasto con le sopracciglia alzate senza capire di che miracolo parlasse.
-La sedia… è una mia idea signor Castle.-
Gli aveva detto poco dopo, avvicinandosi con fare da cospiratrice e quando Rick aveva continuato a non emettere suono, il capitano aveva storto le labbra.
-L’ho stracciata signor Castle, missione compiuta. Ha perso la parola…-
Erano scoppiati tutti a ridere e il capitano si era portata la stanghetta degli occhiali all’angolo delle labbra.
-Che vuole? Sono ancora in modalità gentilezza.-
Aveva guardato Kate sorridendole soddisfatta, ma si era immobilizzata di colpo quando Rick l’aveva baciata sulla guancia.
-Grazie capitano.-
Quando si era allontanato da lei, lo aveva puntato con il dito.
-Lei continua a non piacermi, gliel’ho già detto…-
Ma non era riuscita a finire la frase perché lui si era avvicinato nuovamente, con fare da cospiratore, come aveva fatto lei poco prima.
-Il mio inizio con Beckett è stato così, non mi sopportava, io l’ho baciata sulla guancia e… guardi come siamo finiti adesso…-
Si era allontano sollevando un sopracciglio e la Gates aveva annuito stizzita.
-Bene. Modalità gentilezza finita. Sparite!-
Ancora una volta erano scoppiati a ridere e un altro applauso si era levato quando dall’ascensore era uscito un fattorino con un carrello pieno di pasticcini di vario tipo e bicchieri colmi di cioccolata calda. Non sapeva come altro sdebitarsi, visto che il capitano, conoscendo la sua mania di esagerare, era stata chiara fin dal’inizio che nessuno dei poliziotti alle sue dipendenze avrebbe potuto accettare regali di sorta come ringraziamento, anche se alla fine, non aveva voluto sentire ragioni per l’agente Lowell, o meglio per il suo piccolo Robert, che si era visto recapitare a casa un pacco enorme con fornitura di pannolini e pappette per un anno, più il gioco completo delle spade laser. Il Biscottino alla fine non era un poliziotto, nessuno si sarebbe azzardato di certo a dire che voleva corromperlo e poi, chi avrebbe potuto fermarlo dal fare dei regali a quel bambino, venuto al mondo mentre anche lui tornava alla vita?
La serata era stata prenotata per una festa privata all’Old Haunt, per brindare come era giusto che fosse con detective e amici.
Era stato dimesso dall’ospedale da due giorni e l’idea di Kate, di convalescenza tranquilla, era sfumata come niente negli obblighi in cui si era ritrovato, immancabilmente, coinvolto. Il giorno dopo la festa al suo locale lo aveva lasciato dormire fino a tardi, nonostante fingesse energia continua, si vedeva che sentiva la stanchezza, cosa del tutto normale a detta di Ben, perché cominciava a riprendere ritmi diversi di vita ed il suo organismo smaltiva lentamente tutte le sostanze estranee accumulate nei giorni precedenti. Per non parlare del fatto che la notte dormiva male, girandosi e rigirandosi di continuo, come se il letto gli fosse diventato estraneo. Rimaneva a guardarlo e capiva benissimo quell’espressione corrucciata e i muscoli tesi mentre dormiva. Era successo anche lei in passato ed era successo anche in quei giorni. Le era capitato di addormentarsi e sognare la bottiglietta di veleno che si rompeva ai suoi piedi, infrangendo ogni sua speranza e quando riapriva gli occhi, tornava a respirare solo dopo essersi stretta a lui.
Prima di lasciare la festa, Gina aveva chiesto a Rick se potevano incontrarsi il giorno dopo, magari nel tardo pomeriggio, per parlare della promozione del suo ultimo libro che era stata interrotta dopo il suo avvelenamento e riteneva importante che riprendessero immediatamente con la scelta della copertina e l’organizzazione della pubblicità. Rick non si era mostrato per niente entusiasta, ma Gina gli aveva assicurato che gli avrebbe mandato una macchina per andare e tornare, così da non costringerlo a guidare e lo avrebbe tenuto occupato solo un paio di ore, una volta deciso con lui il da farsi, si sarebbe occupata di tutto da sola, senza disturbarlo più. Era stata così gentile e per tutta la sera si era mostrata tanto preoccupata per la sua salute, che non era riuscito a dirle di no. Kate aveva preso la palla al balzo per organizzare, in quelle due ore, qualcosa di carino per una serata tranquilla, voleva preparare l’atmosfera giusta per festeggiare senza una data particolare da ricordare, solo per stare accoccolati sul divano ad ascoltare i rispettivi respiri… per il piacere di essere vivi ed insieme…
 
Si è persa in questi pensieri, pronta ad entrare in azione appena Rick fosse uscito, quando lui riemerge dalla camera, vestito di scuro, con quella camicia rossa che le fa ribollire il sangue e quel filo di barba che adora sentire ruvida, quando lo accarezza.
-Che c’è, sono troppo in tiro? Volevo dare l’impressione di stare alla grande, ma se sono esagerato mi cambio.-
Lei si riscuote, contenta che non si sia reso conto dell’effetto che ha provocato dentro di lei.
-No, sei perfetto.-
Gli dice sistemandogli il colletto della camicia, approfittando dei due bottoni slacciati per sfiorargli il collo, risalendo poi ad accarezzargli il viso per sentire la barba ispida sotto le dita.
-Non ho nessuna voglia di andare, quasi quasi la chiamo e le dico che non mi sento bene.-
-Nemmeno per sogno!-
Esclama con un tono di voce fin troppo alto per l’occasione, tanto che Rick solleva le sopracciglia stranito.
-Vo… voglio dire… non puoi mancare, è una cosa troppo importante per il tuo lavoro… e poi l’auto è già qui, l’autista ha citofonato due minuti fa.-
Lui sbuffa, passandosi la mano tra i capelli.
-Volevo starmene un po’ a casa, con te… in questi due giorni ho fatto la trottola, altro che riposo!-
Lei lo ferma con un bacio sulle labbra, strusciando poi il naso contro il suo.
-Resteresti da solo. Devo assolutamente fare un salto a casa mia a prendere dei cambi, non ho più niente da mettermi. Tu va, tanto se non vai oggi dovrai andarci domani…-
Mentre parla lo trascina per mano verso la porta e lo aiuta a mettersi il cappotto.
-...se Gina si arrabbia poi non ti dà tregua, sai com’è fatta.-
Gli apre la porta, gli sorride inclinando la testa e lui corruccia la fronte.
-E poi prima vai, prima torni…-
Si alza sulle punte e lo bacia sul naso, mentre lui la guarda sempre più stranito.
-Sembra che tu non veda l’ora di mandarmi via!-
-Non vedo l’ora che torni…-
Gli sussurra lei, soffiandogli sul collo, spingendolo fuori dalla porta. Resta a guardarlo con un sorriso angelico sulle labbra mentre si avvia all’ascensore, invece lui si volta a guardarla un paio di volte sempre più accigliato, fino a che sparisce dalla sua vista. Chiude la porta e sospira.
-Finalmente!-
-Sembra davvero che tu non vedessi l’ora di mandarlo via!-
Sussulta sentendo la voce di Martha e si gira di colpo, trovandosi due occhi indagatori che la fissano.
-No, no, no… non è come sembra…-
Martha sorride, andando verso la cucina.
-Tesoro non devi giustificarti, so per esperienza che Richard riesce ad essere pesante!-
-No Martha davvero io…-
Sospira per riprendere fiato, si siede sullo sgabello del bancone della cucina di fronte a lei e le prende le mani.
-Volevo solo preparare qualcosa di speciale per noi due stasera, ma lui non voleva proprio andarsene!-
Martha sorride, portandosi le mani giunte davanti alle labbra.
-Che bella idea! Oh… quindi vi devo lasciare casa libera!?-
Kate si sente avvampare e scuote la testa.
-No Martha, non è niente di quello che pensi…-
-Tesoro mio, io non penso niente, agisco e basta. Mi organizzo e sarò fuori da qui entro mezz’ora e tornerò tardi, molto, ma molto tardi.-
Fa per andarsene, ma Kate la ferma prendendole ancora la mano.
-Martha puoi tornare quando ti pare, puoi anche non uscire. Mi spiace metterti così in difficoltà, avrei potuto organizzare a casa mia, ma… non posso spiegarti il perché, questa sera dobbiamo restare qui.-
Martha le sorride, accarezzandole il viso.
-Katherine non devi spiegarmi niente, qui sei a casa tua.-
Kate abbassa lo sguardo arrossendo e Martha l’accarezza ancora.
-Prima che mi dilegui ti serve aiuto?-
Lei alza lo sguardo e le sorride annuendo.
-Ho già ordinato le ciambelle…-
La donna corruccia la fronte.
-Ciambelle per cena?-
Lo chiede più a se stessa che a lei e subito dopo sventola la mano.
-Non voglio sapere…-
Kate scoppia a ridere e Martha solleva le spalle, incitandola a continuare.
-Niente di particolare, del vino, un po’ di frutta fresca e sono a posto, però… tu sei brava per creare l’atmosfera…-
Martha annuisce sorridendo.
-Ho capito. Candele, fiori, bastoncini di incenso e cannella? Lascia fare a me!-
Kate le stringe le mani prima che lei possa allontanarsi e mettersi all’opera. La guarda sorridendo, con gli occhi lucidi.
-Che succede cara?-
-Volevo solo ringraziarti Martha.-
-Per un paio di candele?-
Le chiede lei quasi ridendo, ma Kate scuote la testa seria.
-Perché sei una madre… e non solo per Rick!-
Le ultime parole le sussurra, Martha si morde il labbro sentendo gli occhi lucidi. Si alza e mettendole le mani sul viso, le lascia un bacio sulla fronte, si guardano in silenzio per un paio di secondi e alla fine sorridono.
-Mettiamoci a lavoro!-


Angolo di Rebecca:

E finalmente Riccardone torna a casa, un po' timoroso, è ancora traumatizzato, ma direi che non ha tutti i torti. 
Il dotor Travis è spiritoso, gli ha fatto prendere un colpo, ma ci sta anche questo, visto che Rick è troppo impiccione e lo costringe a spifferare... ehm... beh!!!
La Gates continua ad essere un mito (fino a che dura la modalità gentilezza) e Kate ormai ce la siamo giocata IRRIMEDIABILMENTE!!!

Baci a tutte e siate forti per il primo del doppio episodio... paura!!!

 
 
 
 
 
 

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Capitolo 62
*** NON Anniversario ***


 

Capitolo 62
 
 

Seguire le direttive di Martha Rodgers è davvero impegnativo; quando Castle parla delle organizzazioni maniacali di sua madre non esagera.
Kate Beckett, pronta a tutto, se ne rende conto solo in quel momento, mentre sulla scala, in un equilibrio abbastanza instabile, la donna continua a ripeterle: ‘un po’ più su a destra cara, stendi ancora un po’ verso sinistra, togli la piega che si è formata al centro…’  è su quella scala ormai da venti minuti, ma la serietà del viso di Martha ed il suo modo teatrale di affrontare la situazione, come se stesse allestendo una Prima, la divertono troppo.
-Perfetto!-
Sospira senza farsene accorgere, quella parola la rincuora; almeno al suo rientro, Castle non la troverà appesa al lampadario, anche se la cosa potrebbe ispirarlo. Sorride tra sé a quel pensiero insano e scende dalla scala dando un’occhiata al lavoro faticoso, ma perfetto.
Il profumo delle ciambelle, consegnate dal fattorino mentre era ancora sulla scala, le ricorda che deve sistemarle nel vassoio, apre la scatola, ma quando percepisce che Martha è troppo silenziosa, controlla che sia tutto a posto e la trova alle prese con un numero imprecisato di piccole candele sul bancone della cucina, armata di accendi gas. Scuote la testa sistemando il vassoio pieno di ciambelle tutti gusti, ad angolo sul tavolino. Guarda il risultato della sua cena improvvisata e strana, almeno così l’ha definita Martha continuando a non capire il perché delle ciambelle, dà un’occhiata in giro e sorride soddisfatta ai petali di fiori sparsi per tutto il salone.
-Tesoro dovresti prepararti.-
Martha la riscuote e si avvicina al bancone.
-Non vuoi una mano con quelle?-
-No tesoro, senza offesa, ma l’artista sono io…-
Sventola l’accendigas acceso stile lancia fiamme e fa un cenno con la testa verso la camera del figlio.
-Và, presto, quando tornerai sarai fiera di me.-
Kate le sorride e annuisce mettendosi sull’attenti, mentre il lancia fiamme le passa ad in paio di centimetri dal viso.
Si… Martha Rodgers sa essere inquietante.
Continua a chiedersi il perché quella donna le voglia un bene dell’anima, perché è questo che prova per lei, lo dimostra ad ogni sguardo, ad ogni parola e lei si rende conto di esserne innamorata. Sorride davanti allo specchio, la famiglia Castle al completo crea dipendenza, ormai non può più disintossicarsi.
Si dà un’altra occhiata allo specchio. Scuote i capelli, lasciandoli liberi sulle spalle, mette un po’ di lucido sulle labbra. Jeans neri attillati, maglia rossa per essere coordinata con lui… annuisce confermando a se stessa che lo scrittore resterà piacevolmente senza fiato quando le poserà gli occhi addosso. Fa un altro giro su se stessa e torna in sala.
Resta immobile sulla porta dello studio, perché è lei che resta senza fiato davanti allo spettacolo che Martha ha preparato in un paio di minuti.
Camino acceso, luci spente, candele colorate di diversa grandezza sparse sui mobili, mentre quelle minuscole che erano prima sul bancone sbriluuccicano sul pavimento e con le loro piccole luci indicano la strada dall’entrata al divano e l’aria profuma d’incenso misto a cannella.
-Mi avessi avvertita in tempo sarebbe stato più bello!-
Si gira a guardare Martha sorridendo.
-Ti sbagli, non potrebbe essere più bello Martha, semplice e d’effetto. Grazie!-
L’abbraccia d’istinto e la donna la stringe a sé, poi si scosta e la guarda alla luce delle candele.
-Tu sei bella Katherine… splendida!-
Sentono la chiave nella toppa e Martha sussulta.
-Oddio darling! E’ già tornato… mi dileguo!-
Sussurra afferrando borsa e cappotto dal divano e si ritrova di fronte al figlio, mentre apre la porta.
-Mamma!-
Sussulta lui, facendo un passo indietro per la sorpresa di trovarsela così vicina.
-Che…-
Non riesce a formulare nessuna frase, perché Martha si abbassa passando sotto il suo braccio teso, appoggiato ancora alla porta e sgattaiola sul pianerottolo, mentre lui fa un giro su se stesso per seguirla con lo sguardo.
-Richard, tesoro, scappo velocemente… non dovrei essere qua…-
Sventola la mano scocciata, sbuffando.
-…è anche vero che tu saresti dovuto tornare più tardi!-
Castle corruccia la fronte e apre la bocca per dire qualcosa, ma viene interrotto prontamente.
-Comunque, fingi di non avermi visto, io non sono qui.-
Corre verso l’ascensore e mentre preme il pulsante di chiamata, guarda suo figlio sorridendo.
-Tu – non - mi - hai - vista!-
Sparisce dentro l’ascensore e Rick resta un paio di secondi buoni a guardare le porte serrate del cubicolo.
Dopo un attimo entra in casa e sospira.
-Di cosa mi stupisco ancora!? E’ mia madre!-
Sussurra tra sé, rendendosi conto solo al momento della strana atmosfera in casa.
-Kate! Kate ci sei?-
Fa un paio di passi in avanti, fermandosi davanti alle piccole fiammelle che tremolano sul pavimento e che fanno strada verso il centro della stanza, dove il chiarore diventa più forte proprio dietro al divano.
-Kate!-
Chiama ancora, sempre più stupito, notando i petali di fiori colorati, sparsi per tutta la casa.
Si volta d’improvviso, sentendo una presenza alle spalle e si ritrova davanti al più bel sorriso mai visto.
La penombra saltella sul viso di Kate e i suoi occhi sono lucidi come le fiammelle che tremolano sul pavimento.
-Bentornato!-
Sussurra mettendogli le braccia attorno al collo, lasciandosi andare sulle sue labbra in dolcissimo bacio.
Si stacca da lui e appoggia la fronte alla sua sorridendo.
-Wow! Prima mi hai praticamente cacciato via! Mi fa piacere che ti sono mancato così tanto.-
Sussurra sulle sue labbra e lei scuote la testa, strofinando il naso contro il suo.
-Non era riferito a quello, il mio bentornato è per aver lasciato la tua bolla sicura.-
Si allontana da lei e corruccia il viso.
-Dopo due giorni?!-
-Proprio così. Tra i giornalisti, il distretto e le visite degli amici, non ho avuto modo di darti il benvenuto come si deve e, soprattutto, non abbiamo avuto un attimo per noi.-
Gli risponde con un dolcissimo broncio sul muso, degno dell’uomo che la stringe tra le braccia. Lui si guarda intorno ancora un momento e solleva un sopracciglio.
-Per questo mi volevi fuori di qui?-
Lei lo bacia ancora sulle labbra, sorridendo.
-E tu che non te ne volevi andare. Vuole darmi il cappotto, signor Castle?!-
Gli sfila l’indumento e lui la segue mentre lo appende sulla gruccia e lo fa sparire dentro il guardaroba, poi lo prende per mano.
Seguono le piccole luci saltellanti che fanno strada verso il centro della sala e lui inspira profondamente, lasciandosi  inebriare dal profumo misto d’incenso e cannella.
-Che significa tutto questo, Kate?-
Le chiede ammirandola da capo a piedi, facendole fare un giro su se stessa e attirandola a sé.
-Dobbiamo festeggiare!-
Gli risponde lei regalandogli un altro splendido sorriso, facendolo perdere completamente nei suoi occhi.
-Seguimi.-
Gli sussurra all’orecchio, dirigendosi verso il divano. Gli fa segno con gli occhi di guardare davanti a sé e proprio di fronte a loro, attaccato da una parete all’altra, ondeggia un enorme striscione con la scritta Buon Primo NON Anniversario.
Lui corruccia la fronte e la guarda sempre più stupito.
-Ma non è ancora il nostro anniversario!-
-Lo so benissimo. Uno scrittore attento come te dovrebbe saper leggere. C’è scritto buon primo NON anniversario e se leggi attentamente, la negazione è scritta a lettere maiuscole cubitali.-
Rick ha lo sguardo fisso sulla scritta e la fronte corrucciata.
-Allora che tipo di anniversario sarebbe?-
Le chiede girandosi a guardarla e lei solleva le spalle.
-Un anniversario senza motivo. Senza una ricorrenza particolare. Senza una data precisa da ricordare… solo per festeggiare noi!-
Castle solleva un sopracciglio. Potrebbe essere una coincidenza, ma sa benissimo che le coincidenze non esistono, non per Beckett e capisce di essere stato ‘spiato’.
-Questo NON anniversario mi ricorda qualcosa… una discussione privata tra medico e paziente vagamente familiare.-
Le dice storcendo le labbra con lo sguardo indagatore, ma lei sfodera l’espressione più angelica dell’universo intero.
-Non so proprio a cosa ti riferisca!-
Risponde mordendosi il labbro, facendogli cenno di accomodarsi sul divano.
Il tavolino è imbandito di frutta fresca, una bottiglia di vino rosso e due calici. Un delizioso centrotavola di rose spicca per il colore rosso, che prende diverse sfumature ad ogni movimento della fiamma della candela posta in mezzo.
-Per questo mia madre era qui? Per aiutarti ad organizzare tutto in fretta?-
Lei si allontana da lui con l’espressione accigliata.
-Tua madre? Perché hai visto tua madre qui?-
Lui sorride e annuisce.
-Già è vero! Non l’ho vista!-
Solleva le mani, stando al gioco, emozionato per la sorpresa inaspettata. Le accarezza il viso e la bacia.
-Che cosa strana, profumi di vaniglia!-
Le sussurra sulle labbra facendola sorridere e per fargli capire che il profumo di vaniglia non appartiene a lei, toglie il tovagliolo che ricopre le ciambelle, sollevando un sopracciglio quando nota nel suo sguardo un misto di golosità e divertimento.
-E’ la prima cosa che ho desiderato dopo aver lasciato l’ospedale.-
-Lo so! Hai chiuso gli occhi e mugugnato di piacere mentre passavamo davanti al chiosco all’entrata del parco… credevi non me ne fossi accorta?-
-Non pensavo di essere stato così esplicito!-
Lei solleva un sopracciglio maliziosa, prende una ciambella ricoperta di cioccolato, ne rompe un pezzetto e se la porta alle labbra, chiude gli occhi per il piacere del gusto e quando li riapre, sorride a Rick che deglutisce, non tanto per la frenesia di assaggiare il cibo, quanto per quella di assaggiare lei. Lo bacia prendendogli il viso tra le mani e lui si inebria del suo sapore misto al cioccolato del dolce che ha appena mangiato. Le mette le mani tra i capelli e la guarda fisso negli occhi.
-Mi piace questo NON anniversario!-
Quando si allontanano però, nota un pacchettino incartato, compreso di fiocchetto, incastrato tra le rose del centrotavola e  comincia a gesticolare nervoso.
-No, aspetta. Non puoi avermi fatto anche un regalo! Il mio NON anniversario non contemplava nessun regalo, proprio perché doveva essere semplice… e nel caso sono io che devo farti dei regali e…-
Lei lo bacia per fermarlo e lui s’imbroncia.
-Tranquillo Castle, anche tu mi farai un regalo stasera!-
Gli dice sorridendo e lui solleva un sopracciglio, guadagnandosi una spinta sulla spalla.
-Non intendevo quel tipo di regalo!-
Sbotta mettendosi con le braccia conserte e quando lui ride divertito, lei solleva le spalle e corruccia la fronte, come se stesse valutando la situazione.
-Va bene… anche quello è un buon regalo… ma dopo… forse!-
Lui la guarda serio e scuote la testa.
-Cominci a somigliarmi troppo Beckett… non sei preoccupata!?-
Scoppiano a ridere e lei prende il pacchettino e glielo porge.
-Aprilo!-
Rick sorride come un bambino, gli occhi lucidi e le mani tremanti, mentre toglie il fiocco e la carta rossa, che avvolge la scatolina quadrata.
Kate lo guarda con la stessa espressione, curiosa della faccia che farà.
Apre la scatolina e resta in silenzio. Solleva lo sguardo su di lei e deglutisce, prendendo la piccola chiave dorata, poggiata su un soffice cuscinetto di velluto.
-Perché vuoi ridarmela indietro? E’ tua… comunque…-
Alla sua affermazione, Kate sente un nodo allo stomaco, quel comunque lasciato in sospeso la riporta a quella notte nella sua camera da letto, con quella chiave tra le mani e la disperazione nel cuore. Gli stringe la mano che tiene la chiave e scuote la testa con gli occhi lucidi.
-E’ nostra Castle! Questo sarà il tuo regalo per me stasera. Aprirò quel cassetto insieme a te, sempre che tu sia ancora dell’idea che io debba aprirlo!-
Castle annuisce leggermente, senza toglierle gli occhi di dosso.
-Sono contento che hai origliato il discorso smielato che ho fatto a Ben in un momento di poca lucidità… se questo ti ha resa così romantica!-
-Io sono sempre stata romantica!-
Risponde a tono fintamente stizzita, ma quando lui solleva un sopracciglio per sottolineare l’evidenza, lei storce le labbra.
-Ok, va bene, magari non sono stata proprio espansiva negli ultimi anni…-
Rick scoppia a ridere e lei gli va dietro, diventando improvvisamente seria quando si perde nei suoi occhi lucidi.
-Un NON anniversario solo per il piacere di essere vivi. Soli. Tu ed io. Niente mondo. Solo noi…-
Si ferma senza smettere di guardarlo, perché lui la segue a ruota.
-…in silenzio, ad ascoltare i nostri respiri insieme!-
Le prende il viso tra le mani e la bacia d’impeto. Assapora quelle labbra carnose e calde e, per la prima volta, da quando ha lasciato l’ospedale, ha la certezza di avere ancora un futuro da vivere.
Si staccano ansimando e restano fronte contro fronte, con gli occhi chiusi, a godersi a vicenda.
-Allora… apriamo lo scrigno segreto?-
Gli chiede ancora titubante, per essere certa che sia davvero quello che vuole, visto che le ha lasciato la chiave in un momento di confusione e disperazione e sarebbe del tutto normale che adesso ne sia pentito.
-Guarda che ci sono dentro un mucchio di sciocchezze, mica un tesoro!-
Kate lo guarda seria.
-E’ il tuo tesoro, sennò non lo avresti nascosto così bene… parla di te…-
Lui sorride e annuisce. La prende per mano e la trascina nello studio.
Si abbassa accanto alla scrivania davanti al pannello laterale, che guarda verso la camera da letto e lo sposta con la mano, davanti agli occhi increduli di Kate, che sorride, scuotendo la testa.
-Non ci posso credere. Solo tu potevi avere una scrivania con un pannello segreto, nel XXI secolo!-
Lui la guarda ridendo e le dà la chiave.
-Apri tu…-
Inserisce la chiave nella piccola serratura, che scatta immediatamente, aprendo un secondo pannello che nasconde, più che un cassetto, uno scomparto abbastanza grande da contenere una scatola di cartone, decorata con facce buffe di cani e gatti.
Rick la tira fuori, la mette sul pavimento e fa cenno a Kate di aprirla.
Si ritrovano seduti a terra, come due bambini. Lui un po’ impacciato, prende parte del contenuto e lo sparpaglia sul pavimento e lei emozionata, senza capirne il motivo, lo guarda mentre osserva quegli oggetti che fanno parte di lui.
-Ecco qui, cominciamo con queste cianfrusaglie, non aspettarti niente di alieno o paranormale.-
Kate ride, rendendosi conto che lui è leggermente nervoso. Passa in rassegna gli oggetti, sfiorandoli appena con le dita e si sofferma su un piccolo ciuccio rosa, che rigira tra le dita, con la catenina e la mollettina per tenerlo saldo al bavaglino, ancora attaccate.
-Questo è il primo ciuccio di Alexis!-
Esclama facendola ridere, visto che è ovvio cosa sia, ma il suo sguardo è attirato da quella che sembra essere una polaroid, ma  che una volta presa tra le mani, si rivela essere una ecografia.
-La prima ecografia di mia figlia.-
Le dice sorridendo, mostrando con il dito un puntino in mezzo ad una sfumatura di luci ed ombre.
-Questa è lei. Ricordo che il medico ci disse che quel chicco di lenticchie era il nostro bambino ed io lo guardai male, intimandogli di non permettersi mai più di chiamare mio figlio, chicco di lenticchie.-
Kate scoppia a ridere per la sua faccia corrucciata, doveva avere la stessa espressione mentre rimproverava il povero medico. Rick la prende e accarezza con le dita il suo chicco di lenticchie e il pensiero della detective si perde dietro il vetro di una nursery ospedaliera piena di piccoli ranocchietti. Sospira, di nuovo confusa, rimettendo a posto l’ecografia e soffermandosi su una specie di manoscritto.
-E questo cos’è? Hai improntato una trama per un nuovo libro e la tieni nascosta?-
Gli chiede curiosa, sfogliando le pagine di quella che sembra una delle sue bozze, con i fogli un po’ stropicciati e con qualche orecchio ai bordi. Lui scuote la testa, prendendoglielo dalle mani.
-Questo è il primo manoscritto che mi tornò indietro. Non era piaciuto a nessuno ed insieme a questo ne tornarono indietro altri, insieme a lettere negative.-
Solleva lo sguardo su quella che tiene incorniciata proprio davanti alla sua scrivania e si chiude nelle spalle.
-Alla fine avevano ragione. L’ho riletto dopo aver pubblicato il mio primo best seller e mi sono reso conto che è proprio brutto. Non me lo sarei pubblicato nemmeno io!-
Lei si morde il labbro, osservando la sua espressione, proprio mentre lui solleva la testa per guardarla.
-Non ci pensare nemmeno… questo non lo leggerai mai… è davvero brutto!-
Lo rimette dentro la scatola e lei lo guarda seria.
-Ma non dovevo sapere tutto quello che c’era dentro?-
-Infatti, sai che dentro c’è questo, ma l’accordo non prevede anche la lettura!-
Lei solleva le mani divertita.
-Ah, beh! Se l’accordo non lo prevede…-
Rick cerca di baciarla, ma lei lo scansa e mette ancora le mani dentro la scatola, facendolo imbronciare.
-Questo? Un altro libro brutto che non devo leggere?-
-No, questo è il primo copione che ho studiato insieme a mia madre.-
Lo solleva leggendo il titolo e scuote la testa.
-La Bella e la Bestia… mi ha costretto a fare la Bestia!-
-Beh, una parte perfetta per te!-
Gli risponde Kate scoppiando a ridere sulla sua espressione depressa e lui s’imbroncia ancora di più.
-Ah-ah-ah. Avevo sette anni…-
Scorre le dita sulle pagine, ingiallite dal tempo e vissute dai pennarelli di colore diverso, usati per distinguere le parti, i dialoghi ed i cambi di scena.
-…ed è stato un incubo!-
Esclama guardandola serio, mentre lei non può fare a meno di continuare a ridere.
-Perché lo conservi allora?-
-Mi piaceva come era stata adattata la storia, così l’ho tenuto per me, ho sempre amato leggere e rileggere e poi me lo sono meritato… ci ho sudato tanto! Non ricordavo nemmeno di averlo ancora, quando mi sono trasferito qui al loft, impacchettando tutto per il trasloco, mi è capitato tra le mani e…-
-E!?-
Lui solleva ancora le spalle.
-…e mi sono tornati in mente quei momenti.-
La guarda con un dolcissimo sorriso, abbassando poi lo sguardo su quelle pagine.
-Mi piaceva stare con lei quando recitava. La verità è che amavo quando mi coinvolgeva, specie in teatro. Imparavo le opere, conoscevo a memoria la parte di tutti gli attori… era un modo diverso di stare insieme e di condividere il tempo con lei, c’era un’atmosfera magica.  Questa è la cosa che mi è mancata di più quando ha cominciato a lavorare per il cinema… il contatto magico con lei!-
Kate gli accarezza il viso e lui le prende la mano, baciandogliela.
-Ti va se peschiamo ancora insieme, ad occhi chiusi?-
Le dice facendo cenno alla scatola e lei annuisce, chiudendo gli occhi. Frugano insieme e Kate afferra qualcosa.
-Questo?-
Gli chiede guardando un ramoscello di vischio, ormai rinsecchito.
-Il mio primo bacio!-
Esclama lui sorridendo, accarezzando quel ramoscello tra le mani di Kate, che solleva un sopracciglio.
-Avevo 13 anni, c’era la festa di Natale a scuola e questa ragazzina che mi piaceva da impazzire, ma che non mi calcolava nemmeno lontanamente. O almeno, così pensavo.-
-Invece?-
Gli chiede lei curiosa.
-Invece, mentre ci portavano in palestra per i festeggiamenti, ci ritrovammo all’improvviso gli ultimi della fila. Lei cadde, cioè… finse di cadere…-
Solleva un sopracciglio e scuote la testa.
-…voi donne! Maliziose fin da piccole.-
Le dice serio, avvicinandosi per baciarla, ma lei si allontana di nuovo, regalandogli una linguaccia, al che Castle continua sconsolato il suo racconto.
-Mi chinai per aiutarla e la vidi guardarsi intorno, così mi guardai intorno anch’io, senza capire perchè. Eravamo rimasti soli nel corridoio. Senza dire una parola, alzò la mano e la posizionò sulle nostre teste, io la guardai stranito.-
Lei solleva un sopracciglio e lui ride rannicchiandosi dentro le spalle.
-Ok… non ero particolarmente sveglio a quell’età!-
Kate si mette la mano davanti alle labbra per poter ridere liberamente e lui continua il suo viaggio nei ricordi.
-Comunque, con una mano teneva il vischio e con l’altra mi ha abbracciato e mi ha baciato. Poi si è alzata ed è corsa in palestra, lasciando il vischio a terra.-
-Ed è finita così?-
Gli chiede lei quasi dispiaciuta.
-No! Imbranato si, ma non stupido. Conservai il vischio in tasca e ballai con lei tutto il giorno, oltre a sbaciucchiarla qua e là lontano da occhi indiscrteti… siamo stai una bella coppietta per tutto l’anno scolastico.-
-Rubacuori!-
Esclama Kate alzando gli occhi al cielo.
-E poi?-
-E poi è finita l’ultimo giorno di scuola. Ognuno di noi partì in vacanza con i rispettivi genitori, al rientro prendemmo scuole diverse e non la vidi più.-
Prende il vischio dalle mani di Kate, lo solleva sopra le loro teste e fa lo sguardo da cucciolo.
-Pensi che abbia effetto anche se rinsecchito?-
Lei gli prende il viso tra le mani e lo bacia.
-Si chiamava Priscilla e aveva un sorriso bellissimo.-
Le dice, pizzicando ancora le sue labbra, sentendola irrigidirsi all’improvviso.
-Non essere gelosa Kate, aveva 13 anni anche lei… e l’ho solo sbaciucchiata, giuro!-
Rimette a posto il vischio e, godendosi la sua risata divertita, si ritrova tra le mani una fotografia.
-Ah… questa è la svolta della mia vita!-
Esclama mostrandole un’immagine di Meredith che bacia qualcuno. Qualcuno che non è lui.
-Quel giorno il mio matrimonio è definitivamente finito.-
-Perché la conservi?-
Gli chiede curiosa e lui storce le labbra.
-Perché fa parte di me. Perché è stato il mio ennesimo fallimento. Per ricordarmi quanto male può fare tradire…-
Dice l’ultima frase quasi in un sussurro, lasciando trasparire il dolore di quel periodo che è stato bravo a nascondere al mondo rifugiandosi dietro la maschera di quello a cui non importa nulla. Kate gli prende la foto dalle mani e la rimette nella scatola, sotterrandola in fondo, mettendoci definitivamente una pietra sopra e pesca a caso un piccolo pacchetto.
-No… aspetta, quello no!-
Esclama Rick, cercando di prenderglielo, ma lei solleva la mano sorridendo.
-L’accordo prevede di vedere tutto…-
Lui abbassa le mani e resta fisso a guardarla mentre scarta l’involucro. Osserva la sua espressione stranita quando non riesce a capire immediatamente cosa siano quei piccoli frammenti di vetro. Si morde le labbra quando lei spalanca gli occhi e si porta la mano alla bocca perché si è resa conto di quello che ha tra le mani, dopo che ha visto anche ingranaggi e lancette.
Solleva lo sguardo su di lui, che trattiene il respiro, come se fosse stato colto in flagranza di reato.
-Sono i cocci dell’orologio di mio padre! Quelli sostituiti quando si è rotto nell’esplosione del mio appartamento.-
Sussurra con gli occhi lucidi e lui annuisce.
-Colbert non butta via niente e quando mi ha chiesto che volevo farne… non sono riuscito a buttarli via.-
-Perché? Sono solo cocci!-
Lui abbassa lo sguardo con l’espressione colpevole.
-Me lo ha chiesto anche lui allora ed io non ho saputo rispondergli. O forse non ho voluto…-
Alza gli occhi fissandoli ai suoi.
-Erano una parte di te, non potevo liberarmene!-
Gli occhi di Kate si riempiono di lacrime, poggia l’involucro sul pavimento e si avvicina a lui.
-Perché?-
Ripete sulle sue labbra.
-Perché era l’unica cosa che potevo avere di te… allora!-
Lei chiude gli occhi e le lacrime scorrono libere sul suo viso, Rick gliele asciuga e sospira.
-Sei sempre stata parte di me Kate. Una parte importante. Quel giorno ti sei salvata per un soffio ed io…-
Lei gli stringe le braccia al collo e lo bacia, scuotendo la testa.
-Sei di una dolcezza disarmante Castle!-
Lo bacia ancora restando abbracciata a lui per qualche secondo. Quando si scosta, china la testa in un lato, sorridendo.
-Non mi hai mai parlato di Colbert, eppure quando è venuto al distretto a riportarmi l’orologio, ho capito che è una parte importante della tua vita e che tiene molto a te.-
Rick riavvolge i cocci nella carta e li sistema di nuovo dentro la scatola.
-Non ce n’è mai stato motivo. Non è che di punto in bianco prendi a parlare di uno come Nicholas Colbert.-
Sorride, ma Kate lo guarda seria.
-Però di me gli hai parlato?-
Lui abbassa lo sguardo, scuotendo la testa.
-Mi è capitato di dover mettere ordine nei pensieri e nel cuore, riguardo te…-
Kate annuisce sospirando e Rick le prende la mano.
-…e Nicholas ha sempre saputo ascoltare!-
Le bacia la mano e le accarezza i capelli, sistemandoglieli dietro l’orecchio.
-Vuoi continuare con le cianfrusaglie, o vuoi che peschi qualcosa che abbia davvero una storia? Magari che parli anche di Colbert!-
-Tu cosa pensi?-
Lui annuisce, frugando nella scatola e lei lo segue con lo sguardo, chiedendosi quante altre sciocchezze importanti ci siano nascoste dentro un piccolo mondo rinchiuso in una scatola…


Angolo di Rebecca:

Non sapendo cosa ci aspetta stanotte (ansiaaaaa... che la Forza sia con Riccardone!) sono stata fin troppo dolciosa (ma solo perchè loro sono dolciosi *-*)
Buona lettura e buon Castle Monday <3
 
 

 

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Capitolo 63
*** I Ricordi del Cuore ***



-Vuoi continuare con le cianfrusaglie, o vuoi che peschi qualcosa che abbia davvero una storia? Magari che parli anche di Colbert!-
...




Capitolo 63
 


...
-Tu cosa pensi?-
Lui annuisce e fruga dentro la scatola, sorridendo appena trova la bustina di cellophane che cercava. La apre e con attenzione  prende il contenuto.
-Allora devi vedere questi.-
Le porge due tagliandi di carta, di un colore arancione sbiadito dal tempo, ma tenuti con cura e per niente sgualciti. Lei li prende quasi timorosa, sono consrvati così bene che ha paura di piegarli.
-Sono ricevute della biglietteria di un lunapark, datati 1977.-
Sorride sollevando lo sguardo su di lui.
-Uno aprile 1977… era il giorno del tuo compleanno!-
Esclama, incuriosita dalla storia che stanno per raccontarle quei due biglietti timbrati per l’entrata ad un lunapark di trentacinque anni addietro.
-Già! Compivo otto anni e proprio quel giorno a scuola era stata organizzata la famosa, fantastica, memorabile e supercalifragilistichespiralidosa giornata padre/figlio…-
-Oh!-
Esclama Kate quando lui lascia la frase in sospeso.
-Proprio così. Oh! Per carità, queste giornate organizzate dalle scuole sono belle ed importanti… solo che…-
-…solo che devi avere un papà!-
Lo interrompe lei e lui annuisce.
-Il punto non era non avere un padre. Non ero il solo ragazzino a non averlo. Il punto era che il mio non era morto, non era sparito, non era fuggito… il mio non esisteva. Niente nome, niente viso, niente fotografie… niente ricordi. I miei compagni sapevano essere cattivi, ma solo perché i genitori sapevamo sparlare bene. Ero il figlio di uno che non esiste e dell’attrice libertina.-
Cerca di sorridere, ma i suoi occhi non riescono a mentire e Kate vi scorge tanta malinconia.
-Sono cresciuto in un determinato modo e per me quella era l’unica realtà esistente, non mi ero mai posto il problema di una famiglia diversa da quella che formavamo io e mia madre, fino a quando sono andato a scuola. Solo quando ti rapporti con gli altri ti rendi conto che la vita può essere diversa, ma proprio perché gli altri ti fanno sentire diverso. Ed io ero diverso… per loro. L’unica cosa che avrei voluto fare quel giorno era restare sotto le coperte e fare sparire il mondo, specie quando mia madre mi disse che il problema non esisteva perché mi avrebbe accompagnato lei.-
Spalanca gli occhi gesticolando facendo ridere Kate.
-T’immagini mia madre che fa il padre, davanti ad una classe che se la ride alla grande?-
La guarda ridendo, sinceramente divertito anche lui.
-Il punto era che, con o senza di lei, non mi avrebbe mai permesso di starmene a casa ‘non hai nulla di cui vergognarti se non hai un papà… sei il mio ometto e hai coraggio da vendere Richard!’ Ti giuro che era adorabile quando cercava di tirarmi su il morale senza riuscirci. Sembra strampalata, ma era irremovibile in certe cose. La sua filosofia era che a qualunque età si ha un dovere da compiere e siccome a otto anni il mio dovere era andare a scuola, ci sarei dovuto andare comunque a meno che non stessi per morire.-
Kate sorride annuendo.
-Direi che in questo nessun genitore si smentisce.-
Scoppiano a ridere entrambi e lui abbassa gli occhi sui biglietti, guardandoli con tenerezza.
-Quella mattina indossai il mio bel cappottino nuovo, regalo di mamma per il mio compleanno e, con la cartella piena di tutti i problemi del mondo che quel giorno pesavano solo sulle mie spalle, mi preparai ad andare al patibolo insieme a mia madre e al suo nuovo vestito sgargiante comprato per l’occasione.-
Kate scuote la testa sorridendo. E’ proprio figlio di sua madre, teatrale come lei.
-L’ultima cosa che mi sarei aspettato, aprendo la porta, era di trovare Nicholas Colbert piazzato sull’attenti. Doveva essere lì da un po’ perché aveva le labbra viola pover uomo. Era aprile, ma faceva un freddo cane! Non disse nulla, mi accarezzò la testa scompigliandomi i capelli e fece cenno a mia madre che voleva parlarle. Ricordo che li guardai stranito, pensavo fosse successa una catastrofe, perché da quando lo conoscevo Nicholas non aveva mai saltato un giorno di lavoro, né a teatro, né al negozio che ancora non era suo. Parlarono per un paio di minuti, mamma scuoteva la testa, stringeva le labbra, sembrava contrariata, poi la vidi annuire. Alla fine mi venne vicino, mi tolse la cartella dalle mani e mi diede un bacio ‘oggi vai con Nicholas’ non disse altro, Colbert mi prese per mano e mi trascinò via.-
Smette il racconto per un attimo, guardando i due rettangoli di carta tra le mani di Kate, come se volesse ricordare precisamente quel momento e lei si ritrova a sorridere suo malgrado per la tenerezza del suo sguardo.
-Sul taxi non disse una parola, così io cominciai a fantasticare sul da farsi, nel senso che una volta arrivato a scuola dovevo avere una storia pronta da raccontare sul mio accompagnatore. Ero contento che non ci fosse mamma con me, ma non ero entusiasta che mi accompagnasse Colbert, avrei avuto comunque la curiosità di tutti addosso. Quando smisi di architettare un piano, mi guardai intorno e mi resi conto che quella che stavamo percorrendo non era la strada che portava a scuola e mi ricordai anche che mamma mi aveva tolto la cartella. Stavo cercando di capire quando il taxi svoltò l’angolo e mi ritrovai davanti la ruota panoramica più grande che avessi mai visto.-
Allarga le braccia per mimare la grandezza della ruota panoramica e sorride a Kate con lo stesso sbrilluccichio negli occhi che deve aver mostrato quel giorno.
-Ero così inebetito che Colbert dovette trascinarmi fuori dal taxi mentre io stavo ancora con il naso all’aria a guardare quella meraviglia che spariva per metà dietro ad un muro di cinta. Comprò due biglietti, se li mise in tasca ed entrammo nel mondo delle meraviglie.-
Si ferma ancora perdendosi nel sorriso di Kate. Lo guarda attenta, seguendo non solo il suo racconto, ma ogni espressione dei suoi occhi che parlano anche nelle pause di silenzio. Si rende conto di non aver mai raccontato quella storia a nessuno ed il modo in cui lei lo segue gli scalda il cuore.
-Abbiamo fatto ogni tipo di gioco, anche quelli pericolosi. Quando siamo saliti sulle montagne russe Nicholas era congelato dalla paura, gli occhi fissi in avanti e la mandibola serrata, per un attimo ho creduto che avrebbe dato di stomaco, ma non si è tirato indietro. Abbiamo mangiato schifezze di ogni tipo, sparato agli orsetti di legno, parlato tanto… ma nemmeno una volta ha accennato a quella giornata a scuola… eppure lo sapeva. Non mi aveva portato al lunapark per festeggiare il mio compleanno, ma per evitare che andassi a scuola proprio quel giorno.-
Solo in quel momento la sua espressione sorridente cambia. Torna serio e anche gli occhi luccicano di nuovo.
-Un paio di giorni prima ero stato da lui al negozio, di solito parlavo tanto e lui stava ad ascoltare attentamente, ma quella volta avevo il rospo in gola e non feci altro che stare in silenzio a guardarlo mentre lavorava. Lui al solito non disse una parola.-
Sospira abbassando lo sguardo.
-Questo lo rende speciale. Non chiede mai, non costringe mai, però sa guardare così nel profondo che alla fine ti senti scoperto. Così ad un certo punto scoppiai dicendo che non potevo festeggiare il mio compleanno con i miei compagni, perché proprio quel giorno dovevamo restare a scuola anche nel pomeriggio. Non ho accennai al perché, non gli parlai della giornata padre/figlio… eppure lui lo sapeva.-
Kate pende dalle sue labbra. La sua sfrontatezza, il suo essere capriccioso, quella mania di egocentrismo e di protagonismo, non sono altro che la difesa di un bambino al quale è mancata la sicurezza paterna, una difesa divenuta una maschera da mostrare, per nascondere l’uomo tradito dall’amore e da altrettante porte sbattute in faccia e che, nonostante tutto, non ha mai smesso di credere nella magia della vita e nei sogni impossibili che possono diventare possibili. Si perde con lo sguardo sulle sue labbra che improvvisamente si fermano e sente i suoi occhi fissi su di lei. Gli sorride, iclinando la testa, incitandolo a continuare.
-Siamo usciti che era praticamente buio, mentre aspettavamo il taxi, prese quelle ricevute dalla tasca e mi chiese se volessi tenerle o buttarle via, ed io gliele strappai praticamente dalla mano e le tenni strette, dovevo avere un’espressione proprio stupida, perché lui scoppiò a ridere.-
Kate ride insieme a lui, che si riprende indietro i biglietti. Li guarda con gli occhi lucidi e quel sorriso dolcissimo che doveva avere anche da bambino.
-Sul taxi siamo rimasti in silenzio come all’andata. Lui sempre impettito ed io perso nella meraviglia di quella giornata. Un paio di isolati prima di arrivare a casa lo ringraziai. ‘Serviva anche a me una giornata di svago’, mi rispose come se fosse stata una cosa da nulla, ma io presi coraggio e gli dissi che ero contento che non mi avesse accompagnato a scuola, facendogli capire che sapevo il perché del lunapark… e sai cosa mi rispose lui?-
Kate scuote la testa, mordendosi il labbro.
-‘Ti avrei accompagnato volentieri e non mi sarebbe importato della curiosità dei tuoi compagni e dei loro genitori, ma mi sarebbe importato di noi. Sappiamo bene che non sono tuo padre, quindi perché passare una giornata finta, con sorrisi finti e felicità finta da mostrare agli altri, quando potevamo passare una splendida giornata da buoni amici solo per noi… perché è quello che siamo tu ed io Richard, due buoni amici!’-
La guarda deglutendo, con gli occhi lucidi.
-Nessuno mi aveva mai detto una cosa tanto reale e tanto bella fino a quel momento e nessuno aveva mai fatto una cosa così importante per me. Quel giorno capì cos’era un padre. Una presenza, qualcuno che senti comunque, anche se lontano. Qualcuno a cui riesci a pensare anche se non ti è accanto, ed io non mi ero mai posto il problema per il semplice fatto che non ho mai avuto nemmeno l’ombra di una presenza simile. Colbert è sempre stato questo. Una presenza silenziosa, qualcuno che fa una cosa che non ama, come farsi arrotolare le budella sulle montagne russe, solo per fare felice il cuore di un bambino.-
Resta in silenzio qualche secondo, con gli occhi sui due biglietti e torna a guardare Kate.
-Passavamo mesi senza sentirci o vederci, specie quando partivo nelle tournee con mamma o poi, quando ero in collegio. Anche adesso non ci vediamo spesso, ma io so che lui è sempre lì…-
Kate annuisce sorridendo e gli stringe le mani.
-Anche lui sa che può contare su di te, me lo ha fatto capire quando abbiamo parlato al distretto. Ti vuole bene Castle, considera te e tua madre come una famiglia, per questo mi è sembrato strano che non me ne avessi mai parlato… ma adesso ho capito il perché.-
Rick corruccia la fronte e lei solleva le spalle.
-Nicholas Colbert è una persona speciale, una di quelle presenze che tieni nel cuore e di cui custodisci il posto d’onore gelosamente, lontano dalla massa… non serve parlarne!-
Rick annuisce, rimettendo a posto i due biglietti dentro la bustina trasparente che li ha protetti per anni, per riporli nella scatola dei ricordi, mentre Kate abbassa lo sguardo sulla piccola chiave che ha ripreso in mano. Il suo sguardo è corrucciato e pensieroso.
-Perché hai voluto che la tenessi io? E’ una cosa importante, perché tua figlia non ne sa nulla?-
Gli chiede in sussurro, senza distogliere lo sguardo dalla chiave.
-Alexis mi conosce… volevo che tu sapessi davvero chi sono. Credevo di poterti raccontare la mia storia vivendo con te, giorno dopo giorno, ma all’improvviso il tempo è diventato sfuggente…-
Anche il suo è un sussurro e Kate, sempre ad occhi bassi, sospira deglutendo.
-…e quella era l’unico modo di lasciarti la parte vera di me.-
Finalmente Kate solleva lo sguardo perdendosi nei suoi occhi e sorridendo, gli accarezza il viso.
-Io ho sempre saputo chi sei! Ci sono tanti modi di erigere barriere difensive. Chi impila mattoncini uno sull’altro per anni, recintandosi dietro un muro…-
Storce il naso facendo ridere Rick.
-…e chi porta una maschera allegra e buffa.-
Scuote la testa senza smettere di sorridere.
-Non mi serve una scatola per guardare in fondo al tuo cuore, mi è bastato lasciarti buttare giù un paio di quei mattoncini perché potessi guardarti realmente negli occhi e scoprire la tua storia, come tu ha scoperto la mia.-
Mette la mano sulla scatola, avvicinandola a sé e guardandoci ancora dentro.
-Non sono ancora riuscita a capire perché tu abbia scelto me. Perché ti sia interessato alla mia storia… e so che non è stato solo per i libri, ma ancora oggi non mi spiego il perché, visto che all’inizio davvero non ti sopportavo e facevo di tutto per dimostrartelo e farti desistere.-
Lui scuote la testa e solleva le ginocchia al petto, contornandole con le braccia.
-Tempo fa ti dissi che diventare improvvisamente ricchi non cambia una persona, ma amplifica la sua personalità. Io sono sempre stato uno sbruffone, era più facile superare determinate situazioni con una faccia da schiaffi e un sorriso ammaliante. Quando sono diventato famoso mi sono trovato catapultato in un mondo pieno di gente, persone che andavano e venivano come mosche e che, tra virgolette, si interessavano a me.-
Sorride mesto sempre scuotendo la testa.
-Sono sbruffone e superficiale, ma non stupido. Ogni cosa che mi ha travolto dopo, è successa con cognizione di causa.-
Quando Kate corruccia la fronte senza capire, lui allarga le braccia.
-Ho lasciato che accadesse… per anni ho lavorato sodo, scrivendo giorno e notte e avendo come unica compagnia Alexis, ad un tratto la mia solitudine si è riempita di luci, di gente che si aspettava qualcosa da me, di sorrisi falsi ed affetti effimeri. Non è che non me ne accorgessi, ne ero consapevole e ho lasciato che accadesse. Ero ancora un ragazzo, volevo godermi la vita e avendo già un divorzio alle spalle, non volevo altre complicazioni, perché la mia vita, quella vera, quella senza maschere l’avevo già: Alexis e mia madre. Il resto riguardava solo me. Mi sono divertito mostrando alla mia nuova realtà quello che voleva che io fossi.-
Le sorride prendendole la mano in cui tiene la chiave e la stringe tra le sue.
 -Poi ho incontrato te. Non mi sopportavi, non facevi niente per piacermi. Non mi volevi tra i piedi, non te ne fregava niente delle mie amicizie, dei miei soldi… tu non eri l’effimero, eri la realtà, un mondo nuovo tutto da scoprire, una specie di adrenalina che è entrata nella mia testa e ha trovato sfogo solo una volta che è stata impressa sulla carta.-
Le accarezza il viso e lei chiude gli occhi perdendosi sulla sua mano calda.
-Perché ti ho scelta? Perché mi hai permesso di leggere la tua storia, di scoprire la vera Kate e l’unica spiegazione è che ti sei fidata di me, che hai capito che al di là della mia pazzia c’era altro e volevi conoscerlo. Mi sono detto che se ero riuscito a scalfire anche solo uno dei tuoi mattoncini, significava che eri l’unica a cui avrei potuto mostrare il Richard Castle rinchiuso dentro questa scatola, l’unica che avrebbe accettato le sue paure, le sue debolezze e le sue follie.-
Si sporge in avanti lasciandole un bacio a fior di labbra.
-L’unica che avrebbe potuto anche amarlo… dovevo solo essere paziente.-
-Grazie al cielo lo sei stato.-
Le dà un altro bacio e strofina il naso al suo.
-Come ho detto a Ben, sei stata una meravigliosa battaglia e adesso sei una grande e continua vittoria.-
Kate sorride buttandogli le braccia al collo, beandosi del suo abbraccio. Restano stretti per qualche secondo fin quando lei si allontana per guardarlo negli occhi.
-Sono contenta che il mondo là fuori non conosca il tizio nascosto dentro questa scatola.-
Rick solleva un sopracciglio e lei si chiude nelle spalle.
-Potresti anche piacere a qualcuno, sai? Ed io ne sarei gelosa.-
Lo bacia sentendolo sorridere sulle sue labbra.
-Gelosissima!-
Scoppiano a ridere e lei si accoccola sul suo petto, allungando però lo sguardo dentro la scatola.
-Raccontami un’altra storia.-
-Curiosona!-
Esclama lui facendole il solletico su un fianco, lei reagisce immediatamente con la stessa arma e si ritrovano a rotolarsi sul pavimento ridendo e dimenandosi. Rick si blocca all’improvviso e restano a fissarsi in assoluto silenzio. Si baciano, ma quando lui sospira di piacere, lei si morde il labbro e sposta lo sguardo ancora verso la scatola, mentre Rick alza gli occhi al cielo.
-Donne! Tutte uguali, togli il coperchio ad una scatola e pretendono il mondo intero…-
Si guadagna uno scappellotto dietro la nuca e un’occhiata alla Beckett che non ammette repliche. Guarda dentro la scatola imbronciato come un bambino in punizione, ma basta uno sguardo per fargli tornare il sorriso.
-Ecco, questo si che ha una sua storia.-
Prende tra le mani un libro di piccole dimensioni, accarezza la copertina e lo porge a Kate, che legge il titolo e solleva lo sguardo sulla libreria alle sue spalle.
-Casino Royale!? Ne hai una copia nella libreria, perché questo lo tieni nascosto?-
-Quello nella libreria è la copia ufficiale, quella che ho comprato.-
Kate solleva un sopracciglio.
-Questo te lo hanno regalato e ha un valore sentimentale, per questo lo tieni segreto?-
Rick storce le labbra chiudendosi nelle spalle, mugugnando qualcosa d’incomprensibile e quando nota lo sguardo torvo di Kate, si riprende il libro, cominciando a balbettare.
-As… aspetta. Questo è per la donna, non per la detective!-
Lo sguardo di Kate diventa sempre più torvo, soprattutto per l’espressione allarmata disegnata sul suo viso, ma le basta un attimo per capire. Spalanca gli occhi di colpo, folgorata da un’illuminazione.
-Lo hai rubato!?-
-Shhh… n… non l’ho… rubato!-
Balbetta guardandosi intorno come se le candele nel salone potessero fare la spia.
-L’ho… l’ho preso… in prestito!-
Guarda il libro con l’espressione corrucciata e solleva le spalle.
-Comunque avevo dieci anni, quindi suppongo che il reato sia caduto in prescrizione!-
Lei annuisce trattenendo una risata quando lui la guarda male e le riconsegna il libro.
-Perché il piccolo Richard avrebbe rubato un libro che ha per protagonista l’innominabile?-
-Non l’ho rubato!-
Lei alza gli occhi al cielo sbuffando.
-Perché lo hai preso in prestito?-
-Mia madre mi aveva trascinato in biblioteca, cercava il testo di un’opera che dovevano adattare per una recita a teatro. Adoravo stare in biblioteca, ho sempre amato quel profumo di legno misto alla carta dei libri, ma quel giorno mi annoiavo, avevo letto tutti i libri per bambini e me ne andavo in giro a cercare qualcosa di più eccitante, solo che le letture davvero interessanti mi erano proibite, certe sezioni non le potevo nemmeno oltrepassare perché, a detta dei custodi, ero un bambino.-
-A detta dei custodi? Eri un bambino Castle, avevi dieci anni!-
Lui sventola la mano per aria come a dire che quello era solo un dettaglio e lei scoppia a ridere.
-Continuai a girare intorno alla ricerca di una buona lettura, guardavo nelle scaffalature alte senza fare attenzione a dove mettevo i piedi e mi scontrai con un tizio. Alzai gli occhi e mi trovai davanti ad un gigante che mi guardava storto ‘guarda davanti a te quando cammini, giovanotto’ sembrava avesse fatto l’eco dal modo in cui tuonò. Per un attimo pensai che mi avrebbe picchiato.-
Gesticola spalancando gli occhi e Kate continua a ridere, senza che lui le dia peso, troppo impegnato a proseguire il suo ricordo.
-Gli chiesi scusa e mi divincolai per svignarmela ma lui mi prese per il colletto della giacca ‘ti piacciono le storie di spionaggio?’ non so perché mi fece quella domanda, forse mi aveva visto ammirare il reparto thriller e spionaggio, comunque gli mostrai tutti i denti annuendo energicamente e lui fece una smorfia che assomigliava ad un sorriso ‘questo potrebbe piacerti, però non farti beccare a leggerlo, sennò te lo tolgono! Lo presi tra le mani e diedi un’occhiata alla prima pagina, alzai la testa per ringraziarlo, ma puff… era sparito.-
Kate corruccia la fronte, prestando più attenzione.
-Sparito! Avrà lasciato la sezione.-
-No, no… è proprio sparito, l’ho cercato ovunque, sono anche salito all’ultimo piano per guardare dall’alto, ma non c’era più… ma la cosa non era importante, avevo tra le mani uno dei libri dell’agente segreto più figo del mondo. Mi cercai un angolino appartato, camuffai la copertina del libro e cominciai a leggere. Non so quanto sono stato lì, ma quando mamma venne a cercarmi per andare via ero arrivato solo a metà…-
Guarda Kate allargando le braccia.
-Non potevo non finirlo, sarei morto per la curiosità, lo capisci non è vero?-
Kate annuisce cercando di non ridere, ma la sua faccia è troppo divertente.
-Quindi lo hai rubato!-
-Uff… non l’ho rubato! Mia madre non me lo avrebbe mai preso e io non potevo prenderlo in prestito perché tecnicamente ero un bambino.-
-Quindi lo hai rubato!-
Ripete Kate seria e lui sbuffa di nuovo.
-Certo che l’ho rubato! Me lo sono messo nella cinta dei pantaloni dietro la schiena, sotto la giacca e con la faccia da angioletto me lo sono portato a casa.-
Kate scoppia a ridere non riuscendo più a trattenersi e lui non può fare a meno di ridere insieme a lei.
-E dopo il misfatto che è successo?-
-Mi sono chiuso in camera e l’ho divorato e quando sono arrivato all’ultima parola, ho ripreso la prima pagina e l’ho riletto di nuovo, tutto d’un fiato.-
Intreccia le dita con quelle di Kate e la guarda serio.
-Sono rimasto chiuso nella mia stanza fino a sera e non me ne sono reso conto. Ero entrato nel mondo delle spie, sono stato in pericolo, in ansia, mi sono sentito forte, proprio come il protagonista. Altro che fiabe e libri per bambini. Ho anche pensato di restituirlo, davvero. Ci ho provato, sono perfino andato in biblioteca il giorno dopo uscito di scuola, mi sarei preso una strigliata da mia madre, ma ne sarebbe valsa la pena, solo che non ci sono riuscito. Mi piangeva il cuore a pensare che non avrei potuto leggerlo ancora.-
Kate lo ascolta con il solito sorriso sulle labbra, è così coinvolgente che per un attimo si è ritrovata in un angolo della stanzetta del piccolo Richard a spiarlo mentre legge e rilegge il suo Casino Royale.
-Credo che questa parte della tua storia dovrà continuare a restare segreta, sono un poliziotto, non posso essere legata ad un ladro.-
Lui le lascia un bacio sulla guancia e si riprende il libro.
-Ma la sua storia non è questa. Questa è solo la premessa.-
Lei corruccia la fronte incuriosita e lui sfoglia le pagine sorridendo.
-La vera storia è che dopo averlo letto per seconda volta nello stesso giorno, decisi che era quello che volevo fare nella mia vita.-
Kate guarda il libro e poi di nuovo lui.
-La spia?-
Scoppiano a ridere e Rick annuisce.
-Si, anche quello, ci ho pensato, ma no. Quello che volevo fare era strappare la gente al mondo reale per un paio di ore e farla entrare nel mondo magico della lettura, dove tutto è possibile, dall’essere l’eroe protagonista al cattivo di turno.-
Chiude il libro e corruccia la fronte.
-Quella sera decisi che avrei fatto lo scrittore.-
-Non posso crederci, non puoi aver preso una decisione così seria ed importante a quell’età e averla portata a termine da adulto.-
-Si invece, volevo emozionare i lettori come mi ero emozionato io leggendo questa meraviglia. Questa è la sua storia. Uno sconosciuto mi dà un libro da leggere e la mia vita prende una certa direzione. Da quel momento ho fatto tutto in funzione della scrittura, ho divorato libri di ogni genere, ho collaborato con tutti i giornalini scolastici dalle medie al liceo, ho partecipato a tutti i concorsi di componimenti letterari istituiti dalle scuole… tutto pur di arrivare a realizzare il mio sogno.-
Solleva lo sguardo sulla sua libreria e sorride.
-L’estate prima di entrare al liceo, ho lavorato per qualche settimana in una tipografia e alla prima paghetta sono corso in libreria e ne ho comprato una copia ufficiale da mettere in bella vista, così ho potuto rileggermelo in pace senza nascondermi.-
Lei appoggia la testa sulla sua spalla e nasconde il viso contro il suo collo.
-Non hai più visto quell’uomo?-
Lui scuote la testa e ripone il libro rubato nella scatola, nascosto ad occhi indiscreti.
-Se lo incontrassi non lo riconoscerei nemmeno, non ricordo il suo viso, però aveva gli occhi penetranti e gentili, almeno questo è rimasto nella mia mente, magari non era nemmeno così.-
Le mette un braccio intorno alle spalle e si stringe a lei.
-Però davvero mi ha un po’ cambiato la vita…-
Lei solleva la testa e gli lascia un bacio sul collo, rivolgendo sempre lo sguardo verso la scatola.
-Basta detective, non c’è altro d’importante. Stavolta le storie sono davvero finite.-
Kate si stacca da lui con il viso imbronciato, un po’ dispiaciuta che non ci fosse altro, osserva i movimenti di Rick che ricopre la scatola, ma invece di rimetterla a posto, si sporge ancora all’interno dello scomparto segreto e tira fuori un’altra scatola molto più grande della precedente, non di cartone, ma rifinita in pelle rossa, molto elegante.
-Però ho qualcos’altro. Questo è davvero un regalo, tutto per te.-
Quando toglie il coperchio lei si morde il labbro.
-Sono altri libri?-
Chiede dubbiosa, davanti a diversi volumi rilegati, tutti dello stesso formato e con la stessa copertina di pelle del tutto anonima, sistemati con il dorso verso il basso, quindi impossibile scorgere qualunque scritta.
-Non sono altri libri, sono le bozze originali dei miei romanzi.-
Le dice serio, con un tono molto professionale e lei corruccia la fronte.
-Non capisco. Hai la prima bozza mandata in stampa di tutti i tuoi romanzi nella libreria, perché tieni anche queste nascoste?-
-Perché quelle in libreria sono le prime stampe rilegate con copertina originale, così come poi andranno definitivamente in stampa per l’editoria, queste invece sono le copie zero.-
Kate continua a non capire e lui solleva un sopracciglio, guardandola divertito mentre il suo cervello lavora per elaborare.
-Quando finisco un romanzo, lo stampo e lo rileggo e man mano apporto correzioni, cambiamenti, tagli, aggiunte… tutto a mano, con pennarelli di colore diverso… solo dopo risistemo e ristampo al pc mandando il tutto finito a Gina.-
Kate alza lo sguardo su di lui e spalanca gli occhi. Rick la scruta con un’espressione maliziosa, gongolante per la sua reazione.
-Stai dicendo che sono le vere bozze corrette a mano di ogni tuo romanzo?-
-Proprio così, sono tanto egocentrico che me le faccio rilegare.-
Mentre si pavoneggia prende uno dei manoscritti e le mostra il titolo in copertina.
-“Fiori per la tua tomba”, il libro che ci ha fatto incontrare.-
Gli occhi di Kate luccicano ed il sorriso le si apre da un orecchio all’altro, gli prende il manoscritto dalle mani e comincia a sfogliarlo, soffermandosi sulle scritte colorate a bordo pagina.
-Non ci credo, fai anche i disegnini tra una scritta e l’altra!-
Esclama divertita ed emozionata.
-Quando non riesco a sistemare un periodo, mentre penso, continuo a fare l’artista.-
Le dice puntando con il dito cuoricini, stelline o semplici scarabocchi, mentre lei continua a sfogliare e osservare le pagine con un che di eccitazione nello sguardo.
-Hai la più pallida idea di quanto valgono questi manoscritti? Cosa sarebbero capaci di fare dei fan accaniti per averne uno se sapessero della loro esistenza?-
-Mhh… non saprei, dimmelo tu cosa potrebbe fare una fan accanita per averne uno! Oh scusa… dimenticavo, tu non sei una fan accanita, quindi come potresti anche solo immaginare cosa sarebbe capace di fare gente fuori di testa per avere uno solo di questi manoscritti!-
Solo in quell’attimo il cervello di Kate si riconnette e torna razionale. Solleva lo sguardo su di lui e stringe gli occhi a due fessure.
-Cos’è questa? Una trappola?-
Rick si chiude nelle spalle, restando a guardarla fisso. Kate storce le labbra. Era davvero una trappola e lei ci è caduta in pieno. Non riesce a celare la felicità di avere tra le mani quei manoscritti con tutti quei cuoricini disegnati a mano a bordo pagina.
-Si, è una trappola! So benissimo che hai letto tutti i miei romanzi, so che eri membro di un blog dedicato a me, ma non mi hai mai voluto dare la soddisfazione di vantarmene. Ero certo che con questi non saresti riuscita a trattenerti. Voglio vederti saltellare per casa.-
Kate continua a guardare il manoscritto, l’espressione fintamente arrabbiata sparisce del tutto. Sorride, accarezzando le pagine, man mano che le sfoglia.
-Mia madre avrebbe saltellato sicuramente…-
Rick si gela all’istante trattenendo il respiro.
-T… tua madre?-
Alza lo sguardo su di lui quando sussurra stupito.
-Proprio così Castle, era Johanna Beckett la tua fan numero uno.-
Rick resta a bocca aperta e senza parole, mentre Kate si morde il labbro, quando lui corruccia la fronte.
-E’ uno scherzo?-
Gli chiede incredulo e lei scuote la testa.
-Le piacevano diversi generi letterari, ma quando voleva distrarsi davvero, prendeva un bel giallo e s’immergeva nella lettura. Diceva che le tenevano il cervello attivo e che amplificavano il suo intuito… ‘per un avvocato l’intuito è tutto, Katie, ricordatelo sempre’ me lo ripeteva spesso quando credeva che avrei seguito le sue orme.-
Rick l’ascolta serio, si è sempre divertito a prenderla in giro per il fatto che non volesse ammettere di amare i suoi libri, ma mai avrebbe pensato che proprio sua madre fosse una sua fan.
-Una volta, in piena notte, mi alzai per bere un bicchiere d’acqua e la trovai rannicchiata sul divano, con la sua coperta preferita, che  leggeva attenta. Mi sorrise con un’espressione colpevole, dicendo che era vicina a scoprire l’assassino e non poteva aspettare…-
Sorride scuotendo la testa a quel ricordo e Rick le stringe la mano, sempre più accigliato.
-Mi sedetti accanto a lei e notai che con la matita aveva scritto ai bordi delle pagine, in maniera leggera per non sciuparle.-
Solleva lo sguardo su di lui sorridendo.
-Prendeva appunti, segnava gli indizi e le prove, come fai tu nelle tue bozze corrette, voleva scoprire l’assassino prima di arrivare alla fine.-
-Non ci credo!-
Esclama Rick addolcendo l’espressione preoccupata che ha assunto da quando Kate gli ha rivelato di sua madre e lei annuisce ridendo.
-Si, affinava il suo intuito di avvocato… almeno questa era la sua scusa. Fatto sta che amava leggere i tuoi libri.-
Abbassa lo sguardo sul manoscritto rimasto aperto e passa le dita sulle correzioni apportate da Rick in quella pagina.
-Qualche mese dopo la sua morte fui ammessa all’accademia, così affittai un monolocale lì vicino, non solo per comodità, ma per allontanarmi da casa mia, da mio padre, dalle sue bottiglie e dal suo silenzio. Pensai che lasciandolo solo senza preoccuparmi più per lui, si sarebbe dato una mossa da solo. Avevo impacchettato tutta la mia roba, le scatole imballate erano pronte per essere trasferite il giorno dopo, così feci il giro della casa per essere sicura di non lasciare niente d’importante e alla fine entrai in camera dei miei. Mio padre non ci dormiva più, era più facile arrivare al divano quando rientrava completamente ubriaco.-
Scuote la testa sospirando e Rick le stringe la mano più forte, sentendo una strana sofferenza alla bocca dello stomaco e maledicendosi di aver tirato fuori quei manoscritti, ma non si azzarda a dire nulla e resta ad ascoltarla.
-La sua bella coperta era ripiegata sul letto, la presi per portarla con me, mi serviva qualcosa di suo che mi scaldasse l’anima, mi sedetti sul letto e fu allora che mi accorsi del libro sul comodino, fino ad allora non ci avevo mai fatto caso, forse perché entravo di sfuggita ed in fretta andavo via, come se quella stanza mi soffocasse. Ma quella sera mi sentivo diversa, in fin dei conti stavo per fare un salto di qualità, lasciavo il mio nido sicuro per un meraviglioso monolocale freddo e che puzzava di pollo fritto.-
Guarda per un attimo Rick che le sorride, cercando di alleggerire il peso che quel ricordo le provoca, ma lei abbassa di nuovo lo sguardo e continua.
-Sopra la copertina c’erano i suoi occhiali e una matita, ed il segnalibro sbucava da pagina 123. Sfogliai le pagine, ricordo che mi venne da sorridere vedendo la sua scrittura a bordo pagina. Lessi il prologo e lo trovai buono.-
Lo guarda sorridendo e lui solleva le spalle come a dire che la cosa era scontata.
-Lessi anche il primo capitolo e mi ritrovai rannicchiata nel lettone con la sua coperta, il tuo libro e le sue osservazioni su quello che aveva letto e quando arrivai a pagina 123, chiusi gli occhi e pensai: lo finisco io per te mamma…-
Rick deglutisce vistosamente, quella sofferenza alla bocca dello stomaco diventa ansia senza capirne il motivo, mentre lei continua a tenere lo sguardo basso sul suo manoscritto.
-Quando arrivai alla fine albeggiava. Era passata un’intera notte e per la prima volta da quel nove gennaio, non ero rimasta con lo sguardo fisso al soffitto a sentire rumori che non esistevano o a cercare di allontanare le ombre scure che venivano a trovarmi nel sonno.-
Solleva lo sguardo su di lui e sorride. Un sorriso dolce su due occhi lucidi e splendenti.
-E’ successo quello sognava di fare il bambino di dieci anni dentro la tua scatola dei ricordi: il mondo reale era sparito per un’intera notte e mi ero persa nella fantasia, è vero che c’era di mezzo un omicidio, non era la lettura adatta in quel momento, ma ero in compagnia di mia madre e della tua storia. Il mattino dopo c’era un’altra scatola insieme alle altre, piena dei libri di Richard Edgar Castle protetti dalla coperta di mia madre. Nei mesi che seguirono, quando tornavo a casa dopo una giornata infinita in accademia, stanca morta, mi abbracciavo a mia madre e leggevo uno dei tuoi libri e spariva la solitudine, il freddo del mio splendido appartamento e perfino il puzzo di pollo fritto…-
Si rende conto improvvisamente che la guarda serio e con gli occhi lucidi, le labbra strette come a voler trattenere la commozione e non può non mettergli la mano sul viso ed accarezzarlo teneramente.
-Sei sempre stato con me Castle, anche quando non sapevi della mia esistenza.-
Lui abbassa lo sguardo e sospira, cercando di rimandare indietro l’emozione che quelle parole e lo sguardo splendente di Kate gli provocano.
-Non potevo non comprare gli altri tuoi best seller e una volta ho anche fatto la fila per avere un tuo autografo.-
Rick la guarda incredulo e sospira ancora, scuotendo la testa.
-Ed io non me ne ricordo!-
-Ero solo una ragazzina, una delle tante e tu… tu eri quello che tutte volevano! Sai Castle, quando ci siamo conosciuti ammetto di essere rimasta davvero delusa.-
Rick si acciglia e lei solleva le spalle.
-Beh, leggevo tutto quello che ti riguardava, sapevo benissimo chi eri, ma dentro di me pensavo che magari era tutto un po’ gonfiato e che dovevi per forza avere una mente brillante, invece eri esattamente come ti descrivevano. Affascinante sicuramente, ma irriverente, senza regole, egocentrico e pieno di te, convinto che il mondo fosse completamente ai tuoi piedi. Ero davvero delusa, per questo non ti sopportavo, è stato come se mi fosse caduto un mito! Poi ti ho visto con Alexis…-
Lascia la frase in sospeso e si sporge per donargli un bacio.
-Cambiavi espressione al solo dire il suo nome, quando eri con lei ti brillavano gli occhi e anche il tuo modo di parlare o di muoverti cambiava radicalmente. Diventavi buffo quando eri preoccupato o geloso e anche quando sparlavi di tua madre eri dolcissimo, la tua bocca diceva una cosa, ma i tuoi occhi dicevano solo che l’adori e, di giorno in giorno, mi sono convinta che un  uomo capace di tanta tenerezza con sua figlia, doveva per forza essere diverso, doveva esserci qualcosa in più da scoprire…-
Abbassa lo sguardo continuando a sorridere.
-E poi mi sono abituata a te, ai tuoi sorrisi, alle tue battute, alla tua allegria e ho capito che eri esattamente l’uomo che mi teneva compagnia ogni volta che leggevo un tuo libro. Sei stato una presenza continua. Sempre…-
Fissa gli occhi ai suoi e solleva le spalle.
-…forse è vero che esiste un destino che non dipende da noi, un destino in cui la nostra vita è già scritta. C’è sempre stato un filo invisibile ad unirci.-
Rick annuisce deglutendo, ma non riesce comunque a trattenere una lacrima, che lei gli asciuga con un’altra carezza.
-Credimi Castle, mia madre sarebbe andata fuori di testa per questi manoscritti.-
Rick la bacia sulla fronte e poi abbassa lo sguardo.
-Perdonami!-
Sussurra senza guardarla e lei corruccia la fronte, inclinando la testa verso di lui, chiedendogli tacitamente il perché.
-Per questi. Volevo solo giocare un po’, prenderti in giro e riderci su, non ho pensato nemmeno lontanamente che tua madre…-
Sospira guardandola dispiaciuto.
-...mi spiace di averti fatto tornare la malinconia!-
-Ti sembro malinconica?-
Gli chiede regalandogli un dolcissimo sorriso, ma quando lui continua a non guardarla, posa a terra il manoscritto e gli prende le mani.
-Non sono malinconica Castle, anzi! Mi ha fatto piacere ricordare quei momenti bui, perché ho capito quanto sono cambiata in questi anni e quanto sono serena adesso parlando di lei e hai il permesso di gongolare, perché il mio cammino verso la serenità è merito tuo.-
Finalmente lui sorride, le prende il viso tra le mani e si perdono nei loro sguardi, mentre Kate gli stringe le braccia al collo. Si lasciano andare ad un lungo bacio, scambiandosi piccoli tocchi di labbra e teneri sorrisi tra una carezza e l’altra, alla fine Kate gli accarezza il viso e sorride, facendo cenno ai manoscritti.
-Possiamo leggerne uno adesso?-
-E’ il nostro NON anniversario, possiamo fare tutto quello che ci pare.-
-Me lo leggi tu?-
Chiede con l’espressione da bambina curiosa, mentre si morde il labbro e Rick le sorride, accarezzandole i capelli, proprio come farebbe con Alexis.
-Ogni tuo desiderio è un ordine. Scegli.-
-Già scelto. Questo!-
Risponde a tono, mostrando il manoscritto di Kissed and Killed, assieme ad un radioso sorriso.
-E’ il libro che stava leggendo tua madre quando è stata uccisa?-
Lei annuisce senza dire altro e Rick si alza da terra, tendendole la mano.
-Però leggiamo accoccolati sul divano mentre ci abbuffiamo di ciambelle. Sono affamato.-
Fa per trascinarla nel salone, ma lei lo strattona e lo fa tornare indietro.
-Guarda che il tuo stomaco è ancora in convalescenza, Ben ha detto che devi stare leggero, quindi puoi mangiarne al massimo una, poi ti dai alla frutta.-
Gli dice puntandolo con il dito e lui spalanca gli occhi.
-Una? Una soltanto? Allora perché ne hai ordinata una scatola intera?-
-Perché io posso abbuffarmi!-
Lui resta a bocca aperta e lei, sorridendo, si avvia verso il salone, ancheggiando più del dovuto. Sospira sconfitto, sapendo bene che una ha detto e una sarà, quindi la segue e, mentre lei si sistema sul divano, lui prende la bottiglia di vino per aprirla.
-Anche di quello solo un sorso, poi ti dai all’acqua.-
A questo punto Rick solleva un sopracciglio e si gira a guardarla.
-Tranquilla, questo te lo lascio tutto, fa più effetto a te che a me.-
Abbozza un sorriso malizioso mentre lei si schiarisce la gola e le sue guance si tingono dello stesso colore delle rose accanto alle ciambelle. Rick le offre il bicchiere con il vino, afferra una ciambella al cioccolato bianco e si catapulta sul divano, lei si sistema accanto a lui, appoggiando la testa al suo petto, apre il manoscritto e s’immergono nella lettura.


Angolo di Rebecca:

Salve :3 siete riuscite ad arrivare sin qui? Bene :D a mia discolpa posso solo dire che Rick ha avuto una vita interessante ed intensa e quindi aveva parecchio da raccontare :p
Grazie a Vale per l'aiuto con i titoli dei libri di Castle che potevano andare bene per Johanna Beckett *-*
La ciambella al cioccolato bianco è tutta per te Virginia <3


Baci a tutte e buon Castle Monday *-*

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Capitolo 64
*** Battiti... ***




 
Capitolo 64
 


Parecchie volte ha pensato che sarebbe stato eccitante andare alla presentazione di un suo nuovo libro; dopo la morte di sua madre, Johanna e lo scrittore erano stati l’unica compagnia che si era tenuta vicino per mesi, ed era logico che, guardando quella foto sorridente e quello sguardo malizioso sul retro della copertina, fosse curiosa di sapere qualcosa in più sulla sua personalità, ma alla fine non ha mai potuto, o voluto trovare il tempo di andarci. L’unica vera pazzia che si era permessa da brava fan, era stata proprio la fila infinita per farsi autografare il libro e vederlo di persona, guardarlo negli occhi e cercare di intravederci dentro l’uomo che immaginava. Ma in un paio di secondi e con tutta la marmaglia che aveva ancora alle spalle e che fremeva di arrivare al suo stesso traguardo, non era riuscita a scorgere nulla dello scrittore su cui aveva fantasticato leggendo, perché aveva fantasticato tanto su di lui, anche se questa era una parte della storia che non era certa di volergli raccontare.
Contro ogni immaginazione, a distanza di anni, quello scrittore diventa improvvisamente ‘una sua proprietà’, gli consegna, letteralmente, la chiave del suo cuore e al momento è intento in una presentazione privata di una sua opera, segreta per giunta, solo per lei, in modo intimo e senza curiosi intorno, una lettura che fin dal primo capitolo prende una piega alquanto interessante e movimentata.
Accoccolati sul divano, già al secondo capitolo, Rick finisce la sua unica ciambella, riprende a leggere borbottando di avere ancora fame e che mangiarne un’altra non lo avrebbe di certo ucciso, visto che non ci era riuscito nemmeno Scott Dunn, ma allo sguardo fulminante di Kate, sbuffa e riprende a leggere senza fermarsi per un paio di capitoli.
Al quinto, Kate inizia a mangiare la sua terza ciambella, lei aveva il permesso di abbuffarsi in fondo, con la testa appoggiata sul suo petto, gli occhi chiusi e le orecchie tese verso la sua voce, muove le labbra lente dopo aver addentato la sua bella ciambella con la glassa di lamponi. Sorride sentendo il suo cambiamento di voce, il tono professionale dello scrittore impegnato si trasforma in una voce cantilenata e cupa per la fame.
Apre gli occhi, si gira a guardarlo e lo bacia lasciandolo senza fiato, sempre più maliziosa lo imbocca con un pezzo della sua ciambella, lasciando le dita sulle sue labbra più del dovuto. Lui ricomincia a leggere sorridendo e, tra un bacio e un altro pezzetto di ciambella, assaporata per altro in modo molto piacevole, si ritrovano alla fine del sesto capitolo.
Prima di iniziare il settimo è d’obbligo un sorso di vino, anche qui fa la maliziosa, sguardo seducente e movimenti lenti mentre gli avvicina il bicchiere alle labbra. Rick ne assaggia giusto un goccio, senza smettere di fissarla e annuisce dando ad intendere che per lui va bene così, del resto è lei quella sensibile al vino rosso. La guarda bere, passarsi la lingua sulle labbra mentre fissa gli occhi ai suoi…
Il settimo capitolo può aspettare.
Si baciano, lasciando scivolare il manoscritto sul divano, si coccolano in silenzio, con piccole carezze e piccoli baci sul collo., mentre lei slaccia un paio di bottoni della sua bella camicia rossa, per accarezzarlo sulla sua pelle calda. Restano fronte contro fronte e sorridono sospirando.
Meglio passare al famoso capitolo numero sette.
Procedono nella lettura, distraendosi di tanto in tanto per qualche bacetto qua e la, fino a quando uno sbadiglio rompe l’atmosfera.
-Mi spiace, scusami, mi s’incrociano gli occhi.-
Sussurra Rick, soffermandosi ad accarezzarle l’orecchio con le labbra. Kate gli mette la mano dietro la nuca e si gira a guardarlo.
-Scusa tu, sei stanco ed è tardissimo.-
Chiude il manoscritto stringendoselo al petto.
-Lo continuiamo al prossimo NON anniversario.-
Si baciano, accarezzandosi ancora per qualche secondo, poi restano a fissarsi, in uno di quei momenti in cui non esiste niente e nessuno tranne loro, ma uno strano lampo fa sussultare Rick, mentre Kate ride cercando sul cellulare la foto che ha appena scattato e sorride soddisfatta, mostrandola anche a lui.
-Mi sono tenuta pronta, se siamo soli al mondo, chi ci avrebbe immortalato?-
Gli chiede sollevando le spalle per l’ovvietà e lui scoppia a ridere, stringendola a sé.
-Inquadratura perfetta, non trovi?-
-Perfetta!-
Sussurra lui continuando a baciarle il collo e l’orecchio.
-Grazie…-
-Grazie…-
Si guardano sollevando le sopracciglia per quel grazie pronunciato all’unisono e scoppiano a ridere.
-Siamo davvero inquietanti Castle.-
Gli dice lei continuando a ridere, mentre lui scuote la testa.
-Io lo trovo sexy.-
Risponde a tono facendola ridere ancora di più.
-Io ho un motivo per ringraziarti, questa splendida serata solo per noi. Tu invece?-
-Per la stessa cosa. L’ho organizzata per noi, ma egoisticamente è stata un regalo solo per me.-
Appoggia la mano sul suo petto caldo, accarezzandolo.
-Per avermi aperto il cuore di quel bambino che ti ha reso l’uomo sensibile e dolce che sei adesso.-
Si stringe a lui che le bacia i capelli.
-Un giorno mi racconterai anche tu della piccola Katie? Eri già ribelle fin bambina? Magari eri anche un po’ viziatella…-
Lascia la frase in sospeso facendole di nuovo il solletico e lei annuisce tra le risate.
-E poi anche tu mi hai raccontato un altro capitolo della tua storia. Sai Kate, mi piacerebbe…-
Lei smette di ridere e lo guarda seria, avendo intuito la richiesta nascosta nei suoi occhi.
-Ti piacerebbe vedere i libri di Johanna Beckett? Quelli con le sue indagini a bordo pagina?-
Rick annuisce serio e lei si rende conto che trattiene il respiro mentre aspetta una sua reazione, tornando a riprendere aria quando gli accarezza il viso sorridendo.
-Come dice la Gates, sono in modalità gentilezza al momento, quindi si, ti mostrerò anche io la scatola delle meraviglie.-
Il suo enorme sorriso le scalda il cuore, mentre si alza e gli porge il manoscritto.
-Rimetti tutto a posto nello studio e va a letto, io sistemo qui.-
-Ti aiuto…-
Lei scuote la testa, spingendolo via.
-Devo solo spegnere un paio di candele e sistemare la lavastoviglie. Tu rimetti tutto nello scomparto segreto e cancella anche le impronte… non deve restare traccia.-
Sconfitto dalla sua aria da cospiratrice, annuisce ridendo e le lascia un bacio sulla guancia.
-Non metterci tanto, ti aspetto a letto.-
Lo guarda per un attimo, mentre sistema la scatola di pelle rossa, felice per la dolcezza di quella serata, per i suoi racconti e per la leggerezza che sente nel cuore.
Carica la lavastoviglie, passa la spugna sul piano della cucina, sistema i cuscini sopra il divano, spegne il camino e le ultime candele ancora non del tutto consumate, si guarda intorno per essere certa di non aver tralasciato nulla e si ferma un momento nello studio. Rick l’ha sistemato in maniera perfetta, dei suoi piccoli e grandi ricordi non è rimasta nessuna traccia, tranne la piccola chiave dorata lasciata sulla scrivania. Per lei. Sorride, stringendola nella mano e si dirige in camera da letto.
Immaginava di trovarlo addormentato. Era davvero stanco, si era accorta che negli ultimi minuti sbiascicava nel leggere, ma era così immersa nella sua voce calda che ripercorreva la lettura che l’aveva fatta innamorare dei suoi libri, che egoisticamente, non voleva mettere fine a quella serata magica.
Lo osserva, cercando le tracce di quel bambino che rubava i libri perché era vitale leggerli, che conservava due tagliandi di carta da trentacinque anni perché non riusciva a dimenticare la felicità e l’amore che quel giorno gli aveva dimostrato un uomo estraneo alla sua famiglia, dell’uomo che non riusciva a separarsi da un vecchio ciuccio rosa ed una foto che gli aveva spezzato il cuore e, guardandolo dormire, capisce che le tracce sono tutte lì, in ogni solco del suo viso, ben visibili solo a chi riesce a vedere oltre e lei ci era riuscita già da tempo.
Il suo cuore batteva per lui da quando? Forse da sempre, ma la paura l’aveva bloccata dietro quel muro che nessuno aveva mai cercato di scalfire, tranne lui. Sorride scuotendo la testa, il muro è caduto rovinosamente e adesso vuole prendersi tutto, senza lasciare niente al caso o al tempo. 
Basta guardare l’ora di continuo, basta puntare la sveglia anche quando non serve, basta correre e fare tutto di fretta.
Non riesce a distogliere lo sguardo da lui. Una mano sotto il cuscino, l’altra che tiene stretta il piumone come per proteggersi da qualcosa. Sospira un po’ preoccupata, sapendo bene cosa lo rende inquieto.
Proprio per questo ha deciso di non correre più.
Il suo non andare di fretta non ha nulla a che vedere con il fatto che è in ferie, non andrebbe di fretta nemmeno se dovesse correre al lavoro. La vita le ha dato un’altra possibilità di essere felice. Non le importa se ci sarà ancora un prezzo da pagare. Se dovesse presentarle di nuovo il conto, vedrà come pagarlo.
Adesso è obbligatorio vivere… accanto a lui.
Appoggia il braccio sul piano del comò e con attenzione si toglie l’orologio di suo padre, accarezza il quadrante sorridendo, segue gli scatti della lancetta dei secondi e annuisce come a volersi convincere che non deve più avere fretta, non deve più inseguire il tempo, deve solo assaporare ogni scatto per godersi la sua nuova felicità. Quella felicità che adesso guarda dormire riflessa nello specchio.
Ripone l’orologio nel porta gioie insieme all’anello di sua madre e alla chiave segreta, si spoglia con calma, piega gli abiti con cura e, con solo l’intimo indosso si corica, facendo attenzione a non svegliarlo, concedendosi ancora del tempo per guardarlo, sollevata su un gomito e con un sorriso che non riesce a togliersi dalle labbra. Solleva la mano e, senza toccarlo, traccia il suo profilo, inclinando la testa, continuando a sorridere.
Il posto vuoto e freddo nel tuo letto…
Chiude gli occhi cercando di dimenticare la voce di Dunn, che si permette ancora di tornare, di tanto in tanto, a fare eco nelle sue orecchie.
Gli mette una mano sulla guancia e gli lascia un leggero bacio all’angolo della bocca.
-Buonanotte!-
Sussurra sorridendo, allontanandosi subito perché lui corruccia la fronte. Si morde le labbra sentendosi in colpa, quando Rick stropiccia gli occhi.
-Scusa, non volevo svegliarti.-
-Mi sono addormentato!-
Esclama lui guardandosi un attimo intorno e quando lei annuisce, sbuffa.
-Volevo aspettarti sveglio. Non faccio altro che dormire.-
Brontola affondando completamente la faccia nel cuscino per nascondersi.
-Ma se hai fatto la trottola per due giorni di seguito! E’ quasi l’una e poi veleno, antidoto, calmanti… la cura migliore per smaltire tutto è proprio il sonno.-
-D’accordo. Ma non posso addormentarmi di botto appena trovo una superficie d’appoggio!-
Riemerge dal cuscino quando la sente ridere. Le mostra la faccia sconsolata, il broncio sul muso e il ciuffetto ribelle, ancora più ribelle per colpa del cuscino, con l’intento di farla sentire in colpa perché lo prende in giro, ma il risultato e che lei ride ancora più forte e lui si ritrova a fissarla inebetito.
-Hai una vaga idea di quanto sei bella in questo momento?-
Sussurra mettendole una mano sul viso, bloccando all’istante la sua risata.
Restano occhi negli occhi per un periodo imprecisato, fino a quando lei non si morde il labbro, avvicinandosi pericolosamente alle sue. Ha davanti a sé un uomo inerme, incapace di combattere quelle iridi scure che viaggiano veloci dai suoi occhi alle sue labbra e viceversa. Gli mette le mani sul viso e lo bacia. Un bacio calmo, leggero. Piccoli tocchi ai lati delle labbra, sul naso, sugli occhi, fino a tornare sulle labbra con voracità. Si baciano con passione, si cercano con le mani che cominciano ad esplorare il corpo dell’altro con leggere carezze. Lei si solleva su di lui continuando a baciarlo affamata, ma Rick la prende delicatamente per le braccia e la allontana di poco.
-Aspetta… aspetta… un momento…-
Balbetta con il respiro affannato, mentre Kate appoggia la fronte sulla sua, accarezzandogli il viso sospirando.
-Lo so… non sei in forma e devi riposare…-
Rick scuote la testa.
-Non è per quello. Sto bene, davvero. Solo… solo non so se…-
Lei corruccia la fronte, facendogli segno di continuare.
-L’hai detto prima tu. Il veleno, l’antidoto, i calmanti… tutto questo potrebbe produrre degli effetti collaterali!-
Quando lei lo guarda confusa Rick sospira sonoramente.
-Non fingere di non capire. Potrei… ecco si… potrei non essere in grado di arrivare al dunque!-
Dice finalmente tutto d’un fiato, abbassando lo sguardo, mentre lei ricomincia a ridere.
-Beh, sei gentile. Ti dico con molto imbarazzo che potrei avere dei problemi, momentanei s’intende, e tu ridi?-
-Ah… uomini!-
Esclama lei lasciandosi andare sul cuscino con le mani sulla fronte e Rick si solleva a guardarla scocciato.
-Che significa: uomini!-
-Che siete tutti uguali. Romantici, dolci, pieni di premure, belle parole e poi… riducete tutto solo alla prestazione finale.-
-Primo: non siamo tutti uguali. Secondo: la prestazione la pretendete anche voi femminucce… mi pare!-
Kate annuisce seria, dandogli atto che ha ragione.
-Terzo: una volta arrivati al traguardo, se non lo passi, a cosa si dovrebbe ridurre tutto?-
Senza distogliere lo sguardo dai suoi occhi, Kate mette le mani sotto la sua maglietta e gli accarezza la schiena e le spalle.
-Alla tua pelle che rabbrividisce a contatto con la mia e mi fa sentire al caldo e al sicuro…-
Lo bacia sul collo, soffermandosi a respirare nell’incavo della sua spalla.
-Al tuo odore che si mischia al mio…-
Sussurra vicino al suo orecchio, mentre lui chiude gli occhi trattenendo il fiato, quando sente la sua lingua accarezzargli le labbra.
-Al tuo sapore. Quel gusto familiare, ma nuovo di volta in volta, che si amalgama al mio. Preciso e perfetto, come le spezie che si usano in cucina, sempre uguali, ma che con dosi diverse danno vita a sapori diversi…-
Si guardano per un attimo, la testa sul cuscino, naso contro naso, lei con quel sorriso che gli toglie il respiro, lui completamente inerme, in balia della sua voce.
-Ossigeno Castle… si riduce tutto al bisogno di ossigeno… il resto è sicuramente piacevole e dà una grande soddisfazione, ma non necessario!-
Ossigeno. Questo è lei. Ossigeno puro. Un ossigeno strano, perché invece di aiutarlo a respirare gli stringe la gola in una morsa tra carezze, baci e sussurri.
Si solleva di poco stringendola a sé e la bacia con passione. Si abbracciano e si accarezzano, assaggiandosi avidamente, lui affonda il viso sul suo collo e le mette le mani sotto la canotta, ma si ferma di colpo e solleva la testa.
-Che altro problema c’è adesso Castle!?-
Chiede lei mordendosi le labbra divertita, ma lui la guarda serio, con gli occhi lucidi e scuri.
-L’ultima volta che abbiamo fatto l’amore avevo paura. Ti ho amato disperato, con un senso di angoscia che non mi ha abbandonato nemmeno mentre ti stringevo a me. Avevo paura che sparissi. Ho avuto davvero l’angoscia che fossi mia per l’ultima volta.-
Kate gli mette le mani sul viso.
-E’ finita Castle! Siamo qui, insieme.-
Gli sussurra e lui sorride annuendo.
-Si è finita! E voglio solo amarti, immergermi nella tua pelle. Effetti collaterali o no, voglio ricordarmi ogni minimo istante di questo momento tra noi. E’ una notte speciale e voglio che resti impressa nella mia mente…-
Solleva un sopracciglio, sfiorandole con un dito il corpo dal collo all’incavo dei seni.
-…e soprattutto voglio che resti impressa nel tuo corpo.-
Resta in silenzio a guardarla e lei trattiene il respiro sullo scintillio delle sue iridi.
-Lasciati amare Kate…-
Le brillano gli occhi mentre lo accarezza togliendogli la maglia.
-La mia vita è tua Castle!-
Sussurra al suo orecchio, scendendo poi a baciargli il collo e il torace. Rick le toglie la canotta, senza smettere di accarezzarle la pelle. Si china a baciarle lo stomaco con piccoli tocchi che la fanno rabbrividire. Resta a guardarla per pochi attimi, le passa le dita su e giù sullo stomaco, fermandosi al bordo degli  slip. Li fa scivolare lentamente sulle cosce, con le mani sempre a contatto con la sua pelle, li accompagna lentamente fino alle caviglie e glieli sfila con altrettanta lentezza, lasciandoli andare sul pavimento.
Si  distende accanto a lei e, sollevato su un gomito, resta ad osservarla seguendo con lo sguardo ogni centimetro del suo corpo. Lei deglutisce, chiude gli occhi e sente i suoi accarezzarla. Quel modo di sfiorarla solo con lo sguardo la fa fremere e sospirare. Non riesce a muoversi, sente i suoi occhi che la studiano ed ha come la sensazione che un suo minimo movimento possa distruggere la tela preziosa che sta venerando. E’ persa in questa strana e meravigliosa sensazione, quando Rick le posa una mano sul fianco e sente le sue labbra accarezzarle il seno. Solleva la testa all’indietro quando le sfiora i capezzoli con la lingua, mentre le mani viaggiano sul resto della sua pelle.
Sospira, assaporando la lentezza e la precisione di ogni movimento, di ogni tocco, di ogni bacio.
Quasi inconsciamente prende ad accarezzarlo anche lei. Le mani, dapprima lungo i fianchi, immobili, si muovono lungo la sua schiena. Per un secondo le manca il contatto fisico, apre gli occhi per capirne il motivo e sorride maliziosa quando si rende conto che si è allontanato da lei solo per togliersi i boxer.
-Direi che gli effetti collaterali ti fanno un buon effetto!-
Sussurra sollevando un sopracciglio, mordendosi le labbra e Rick riprende posto su di lei, affondando il naso sul suo collo.
-Sei tu che mi fai un buon effetto!-
Le risponde respirando il suo profumo. Kate gli prende il viso tra le mani ridacchiando e lo bacia.
-Nessuno mi aveva mai dato dell’effetto collaterale!-
Ripercorre il suo corpo con uno sguardo malizioso, su e giù, accarezzandola solo con gli occhi, soffermandosi poi sui suoi. Lei annuisce, felice di perdersi nelle sue mani e lui ricomincia il suo viaggio fatto di pelle che rabbrividisce, di odori che si uniscono, di sapori che si mischiano.
Viaggia sul suo corpo con le labbra, piccoli tocchi, accompagnati dalla lingua, assaggia ogni centimetro di pelle e, quando la sfiora tra le gambe, Kate solleva la testa all’indietro e sospira. Si china a baciarla, soffermandosi su di lei con una lentezza disarmante, vuole imprimersi nella mente il suo sapore, il suo odore, quel momento in cui niente e dominante, niente è ancora offuscato, niente è di fretta. Mentre la bacia e le accarezza i seni, sente la sua pelle rabbrividire sotto i palmi delle mani. Quella lentezza la sta eccitando all’inverosimile.
La sente gemere tra le sue mani e nella sua bocca.
Quasi esasperata, Kate si sporge in avanti e lo afferra per le spalle, costringendolo a stendersi completamente sopra di lei, gli attorciglia le gambe intorno alla vita attirandolo a sé, ma lui le passa le mani sulle cosce, sempre con lentezza e le sfiora l’orecchio con le labbra.
-Non avere fretta Kate…-
La sente sbuffare e non può fare  ameno di sorridere.
Entra dentro di lei con calma, un’unica spinta lenta che le fa chiudere gli occhi e schiudere le labbra in un gemito silenzioso.
-Guardami Kate...-
La sua voce è appena percettibile, sente le orecchie ovattate, come chiusa in una bolla in cui ci sono soltanto loro e quella sensazione di pienezza che le provoca, restando immobile dentro di lei.
Apre gli occhi come le ha chiesto, si guardano intensamente, mentre le accarezza il viso.
E’ strano come tutto sembra irreale, il colore degli occhi che diventa scuro perché le pupille si dilatano all’inverosimile, il viso rosso e i lineamenti piacevolmente deformati dalla passione, le labbra gonfie e rosse per i baci, i muscoli contratti per sopportare la tensione di quella lentezza a cui la natura stessa metterà finalmente fine.
Gli mette le mani sul viso chiedendogli di più e lui comincia a muoversi, piano, con movimenti lenti e precisi.
Ogni spinta è un sospiro, ogni spinta è scrutare lo sguardo dell’altro, ogni spinta è un graffio sulla pelle.
Chiude gli occhi quando sente i suoi denti su un capezzolo. Stringe le gambe intorno a lui con più forza e affonda le unghie nella sua schiena, facendolo gemere mentre continua a succhiarle il seno e a spingere dentro di lei.
Rick solleva la testa per guardarla e rallenta improvvisamente, costringendola ad aprire gli occhi per la sorpresa. Hanno il viso rosso, il respiro affannato e sono al limite.
Restano occhi negli occhi per riconoscere, nel viso dell’altro, i lineamenti nuovi che prendono forma nella passione, ma le contrazioni nervose del corpo di entrambi li costringono a richiuderli.
Kate si solleva aggrappandosi a lui mordendogli la spalla, affonda ancora le unghie nella sua schiena segnandola di rosso, mentre Rick affonda il viso sul suo collo, pronunciando il suo nome con la voce roca.
Attimi infiniti, in cui cuore e cervello si annullano all’improvviso per dare sfogo solo al corpo. Attimi infiniti in cui tatto ed olfatto sono gli unici sensi importanti. Attimi infiniti in cui la propria pelle esiste solo sulla pelle dell’altro.
La lentezza dei preliminari li ha eccitati prima del previsto ed il resto è stato una dolce tortura, che li lascia senza fiato e li costringe immobili, stretti l’una all’altro ad spettare di riprendere possesso dei movimenti.
Kate resta ad occhi chiusi assaporando i brividi che la scuotono ancora, mentre non riesce a togliersi dalla mente lo sguardo carezzevole di Rick su ogni centimetro del suo corpo.
Lui solleva la testa e si sofferma a guardarla. Sorride, perché dalla sua espressione, capisce che si sta ancora crogiolando nella beatitudine della passione appena consumata, un sorriso dolcissimo le disegna le labbra e non può fare a meno di accarezzarle. Le sfiora con un dito e si china a baciarla. Labbra, occhi, fronte. Piccoli baci, casti e leggeri solo per coccolarla.
-Sei una visione!-
Sussurra baciandole la spalla. Kate riapre gli occhi e il suo sorriso lo lascia ancora senza fiato.
-Sei sempre più bella.-
Lo bacia sulle labbra, accarezzandogliele subito dopo con due dita.
-Sono bella quando mi stringi tra le braccia.-
Lo bacia ancora e strofina il naso contro il suo.
-Anche tu sei più bello tra le mie braccia!-
Rick sorride e rotola sulla schiena attirandola su di sé, tenendola stretta, restio a lasciarla andare e lei, per nulla intenzionata ad opporre resistenza, si sistema comoda completamente su di lui, guardandolo fisso negli occhi.
-Come ti senti?-
Lui corruccia la fronte, sistemandole i capelli dietro l’orecchio.
-Sei ancora convalescente…-
Gli dice arricciando il naso maliziosa e Rick sorride, le prende il viso tra le mani e la bacia a fior di labbra.
-In effetti, se stai pensando ad un secondo round, dovrai aspettare un bel po’, ho bisogno di riprendermi…-
Kate scoppia a ridere, dandogli un finto pugno sulla spalla, facendo ridere anche lui, che la stringe a sé.
Si accarezzano in silenzio, godendo del calore della loro pelle, percependo i piccoli brividi che ancora rispondono alle loro mani.
-Il miglior NON anniversario mai vissuto!-
Sussurra Rick all’improvviso rompendo il silenzio che li culla da un paio di minuti. Lei annuisce e si solleva a guardarlo.
-Dobbiamo festeggiarlo più spesso.-
-Si, mi piacciono questi festeggiamenti senza senso!-
Si perdono occhi negli occhi e quando lei gli sorride raggiante, lui sente un nodo in gola, perché a quel sorriso si contrappone improvvisamente il viso di un’altra donna. Un attimo in cui sente la sicurezza venirgli meno. Le accarezza il viso cercando di non farle notare quel tentennamento e lei chiude gli occhi, appoggiando di nuovo la testa sul suo torace. Cala ancora il silenzio, mentre continuano ad accarezzarsi e pochi secondi dopo, Kate solleva la testa, appoggia il mento sulle mani incrociate sul suo petto e lo guarda mordendosi il labbro, assumendo un’espressione birichina quando si mette la lingua tra i denti.
-Posso esprimere un’opinione spassionata?-
Rick corruccia la fronte non riuscendo proprio a seguirla.
-Devo dire che gli effetti collaterali ti fanno proprio bene!-
Esclama di punto in bianco e con soddisfazione, facendosi contagiare dalla risata di Rick, che la stringe ancora a sé.
Il buio della camera si riempie delle loro risate, mentre Kate lo abbraccia forte e lui continua ad accarezzarle la schiena.
-Lo sai che fai un sacco di rumore?-
Gli sussurra sollevando la testa, perdendosi in quegli occhi adesso più chiari, che le chiedono ancora spiegazioni. Passa la mano sul suo petto e sorride.
-Il tuo cuore… rimbomba come un tamburo.-
Poggia di nuovo l’orecchio sul suo petto e sospira.
-…ed è un rumore meraviglioso!-
Sussurra alitando sulla sua pelle, stringendosi ancora più forte a lui, che deglutisce chiudendo gli occhi. Il viso disperato di donna, segnato da una lacrima di sangue si fa strada ancora nella sua mente e sente il cuore correre più veloce. Anche Kate se ne accorge, come se quel battito fosse una macchina della verità, perché alza la testa per guardarlo e quando anche lui riapre gli occhi, nota la rughetta sulla fronte, che indica una preoccupazione per quel cambiamento improvviso.
Le sorride, accarezzandole il viso, mentre lei continua a guardarlo seria, allunga il braccio verso il comodino e prende il cellulare, attiva lo schermo e osserva loro due immortalati mentre si guardano negli occhi.
-Siamo proprio belli Kate…-
Le mostra la foto e lei annuisce, ritrovando un sorriso non molto convinto.
-Domani la stampo e la mettiamo in cornice.-
La guarda mentre il sorriso sulle sue labbra torna raggiante. Gli bacia il torace e si sistema di nuovo completamente attaccata a lui e quel calore pelle contro pelle, gli dà la sensazione di essere finalmente al sicuro…
 
Un clacson impertinente la riscuote dal mondo dei sogni, si accuccia ancora di più al cuscino morbido sotto di lei, prendendo un lembo del piumone per portarselo praticamente sopra la testa.
Corruccia la fronte, combattendo con il mondo onirico che vuole trascinarla ancora con sé; razionalmente si sta chiedendo perché è abbracciata ad un morbido cuscino, invece che al corpo caldo dell’uomo con cui ha appena fatto l’amore!
Sposta il braccio verso il posto di Rick, ma lo sente freddo.
Mette KO Morfeo con la forza e apre gli occhi, stropicciandoli e guardandosi intorno.
Solleva a malincuore il piumone, sapendo già che il freddo la farà rabbrividire. Si guarda ancora intorno, cercando di scorgere la luce accesa dalla fessura della porta del bagno, ma lui non c’è. Ci sono i suoi boxer a terra, ma non i pantaloni del pigiama.
Indossa la felpa che Rick aveva lasciato sulla sedia, tira la lampo su fino al mento e china la testa a guardarsi. Il bordo le arriva sopra le cosce e le viene da sorridere. Si affaccia in punta di piedi nello studio, ma immaginava già fosse vuoto, così, a piedi nudi s’incammina verso il salone.
La penombra che provoca la lampada accesa accanto al divano, sembra combattere con le luci sfarzose che filtrano dalle finestre.
Si stringe nella felpa rabbrividendo. Lui è seduto accanto alla finestra. Il suo profilo s’infrange sul vetro e le sue spalle nude tremano, ma capisce benissimo che il suo tremore non è dato dal fatto che sono le cinque del mattino e fuori la temperatura è scesa sotto lo zero. Trema perso nei suoi pensieri, con le mani strette a pugno sulle ginocchia e gli occhi che guardano lontano, oltre le luci sfavillanti del panorama che si trova davanti.
Guarda oltre, verso il buio… e trema.
Sospira, conoscendo bene quel tipo di freddo che gela le vene e che ferma il respiro per un attimo, facendo accelerare i battiti cardiaci fino a sfinire.
Va verso di lui lentamente, senza togliergli gli occhi di dosso, riuscendo a vedere i colori del suo viso sempre più chiari mano a mano che gli si avvicina.
Gli  mette le mani intorno al collo e poggia il viso sulla sua guancia, sentendolo sussultare quando si lascia andare sulle sue spalle.
-Che… che fai sveglia?!-
Le chiede girandosi di scatto verso di lei, non avendola sentita arrivare.
-Veglio su di te!-
Sussurra lei fissandolo seria e lui spalanca gli occhi di colpo.
-Potrei chiedere la stessa cosa a te. Che fai sveglio, fuori dal letto a morire di freddo?-
Lui continua a guardarla con gli occhi spalancati e lucidi.
-E non dirmi che vegli su di me, perché stavolta non ci credo!-
Gli ruba un sorriso impercettibile, mentre torna a guardare fuori dalla finestra e Kate appoggia di nuovo il viso al suo.
-Non è gratificante per una donna, svegliarsi abbracciata ad un cuscino invece che al suo uomo, specie dopo che hanno fatto l’amore… cosa c’è là fuori più importante di me?-
Rick gira la testa ancora verso di lei e resta incollato ai suoi occhi, scuri e splendidi, con le pupille dilatate su di lui e gli si blocca il respiro per quanto è vicina e bella, senza riuscire a risponderle.
-Brutti sogni?-
Sussurra lei, ancora più piano, facendolo rabbrividire per il calore del suo fiato addosso e per come ha imparato a conoscerlo.  Senza muovere un muscolo deglutisce.
-No… io mi sono svegliato e… stavo… cioè volevo…-
Lei gli bacia il collo, solleticandolo con i capelli e lui chiude gli occhi.
-Brutti sogni!-
Sospira, sconfitto dai suoi baci.
-La cosa strana è che non sogno Scott Dunn. Continuo a vedere quell’enorme faccia di clown che all’improvviso mi sovrasta e comincia a ridere a crepapelle… e poi quella lacrima di sangue sul viso di una sconosciuta…-
Solleva lo sguardo verso di lei e scuote la testa.
-Sento il cuore in gola, mi manca il respiro all’improvviso…-
Cerca di sorridere, ma riesce solo ad irrigidirsi, Kate gli gira intorno per guardarlo negli occhi. Gli sistema il solito ciuffo ribelle e lo bacia sulla fronte.
-Non ti dirò che spariranno presto, perché non sarebbe la verità.-
Lui si lascia coccolare, mettendo la mano sulla sua.
-Però potremmo trovare insieme un modo per combatterli.-
-Vuoi spedirmi dal dottor Burke?-
Lei fa una smorfia con le labbra e sorride.
-Se dovessero diventare davvero terribili, può essere una soluzione. Il dottor Burke sa il fatto suo, ma io pensavo a qualcosa di più semplice e meno dispendioso.-
Rick resta a guardarla, finge di essere divertito, ma è davvero interessato a quello che ha da dirgli, vuole proprio smettere di sentire quella risata cattiva nelle orecchie in piena notte.
-La prossima volta che ti sveglierai di soprassalto, con il fiato corto, cercando di capire dove sei, ansimando perché credi di soffocare, cercando di trovare una via d’uscita alla paura…-
Si ferma un momento fissandolo seria, sottolineando il fatto che sa perfettamente di cosa sta parlando.
-…invece di alzarti e venire a congelarti davanti alla finestra per cercare di convincerti che dietro tutte le luci sfavillante ed effimere fuori da qui, il buio non esiste più, potresti semplicemente accucciarti di più sotto le coperte...-
Gli bacia la punta del naso.
-…potresti stringerti di più a me.-
Lo bacia sulla bocca appena socchiusa.
-Non importa se continuo a dormire o invece mi svegli. Appoggia l’orecchio sul mio cuore e lasciati cullare dai suoi battiti. Sono sicura che anche i tuoi si calmeranno e tornerai a dormire tranquillo.-
Rick le stringe le mani e senza staccare gli occhi da lei sospira.
-E se non ci riuscissi? Se nemmeno i tuoi battiti riuscissero a calmarmi?-
Lei scuote la testa, parlandogli praticamente sulle labbra.
-Funzionerà, perché ogni battito ripete ritmicamente ti amo…-
Lui sussulta in maniera impercettibile, spalancando gli occhi per lo stupore e lei gli bacia l’angolo della bocca.
-Ti amo…-
Lo bacia sulla guancia e scende lentamente sul collo.
-Ti amo…-
Continua a ripetere, con la stessa cadenza ritmica di un normale battito cardiaco. Sorride, posando gli occhi lucidi su di lui, che resta a fissarla senza respirare, riuscendo a riscuotersi quando gli accarezza i capelli. Cerca di non mostrare la sua emozione a quei meravigliosi sussurri, ma resta ipnotizzato dai suoi occhi.
-Sembri sicura della tua teoria.-
Riesce finalmente a sussurrare e lei annuisce compiaciuta.
-I miei mostri sono spariti dormendo sul tuo cuore. Ogni battito diceva di amarmi, facendomi sentire finalmente al sicuro.-
Rick deglutisce e sospira, distoglie lo sguardo da lei rivolgendolo fuori dalla finestra e Kate fa lo stesso, guardando lontano, nello stesso punto che osserva lui.
-Ho passato le ultime settimane a chiedermi perché avessi tanta paura di dirti a voce, quello che il mio cuore dice da tanto. Perché io ti amo Castle, lo sai non è vero?-
Si girano entrambi incollando gli sguardi e lui sorride.
-Certo che lo so!-
Risponde sicuro, facendole inclinare la testa.
-Davvero?! Ho cercato di fartelo capire con i gesti, con il mio comportamento verso di te. Avevo l’assurda paura che dirlo a voce alta mi avrebbe resa dipendente da te completamente. Ma io dipendo da te comunque… ho rischiato di perderti e…-
Lui le mette un dito sulle labbra e si sporge a baciarla.
-Ho fatto tanti sbagli nella mia vita, mi sono circondato di amici sbagliati, donne sbagliate… mogli sbagliate…-
Solleva le spalle ridendo, trascinando anche lei.
-…volevo solo riempire quel vuoto che non mi abbandonava mai. Poi mi sono perso dentro due meravigliosi occhi verdi e mi sono reso conto di avere trovato l’incastro esatto che riusciva a riempirlo, allora ho capito che non dovevo cercare altro, ma solo aspettare.-
Abbassa lo sguardo sulle loro mani intrecciate e se le porta intorno al collo, avvicinandola ancora di più a sé.
-Quella notte, quando ti sei presentata qui dicendo che volevi solo me, ammetto che ho voluto crederti. Avevo un disperato bisogno di crederti. Non potevo sbagliarmi ancora. Ogni tuo sguardo da allora, ogni tuo sorriso non ha fatto altro che ripetermi che mi ami. E’ vero, ho smesso di dirtelo anch’io, perché mi sono reso conto che ti mettevo in difficoltà, ma non mi è mai importato. So cosa provi per me, o non saremmo qui insieme. Non avrei accettato niente di meno. Non mi sarei più accontentato. I nostri silenzi hanno sempre detto tutto!-
Kate annuisce e inclina ancora la testa.
-Però qualcuno mi ha detto che, ogni tanto, è bello sentirselo dire!-
-E chi sarebbe quest’uomo saggio?-
Le chiede lui sollevando un sopracciglio.
-Chi ti dice che è stato un uomo a dirmelo?-
-Noi uomini siamo infinitamente più sentimentali e romantici di voi femminucce, credimi.-
Lei scoppia a ridere arricciando il naso maliziosa e lui la bacia, lasciandola senza fiato.
-Anch’io ti amo Kate!-
Le sussurra sulle labbra, mentre lei gli mostra uno dei suoi meravigliosi e radiosi sorrisi.
-Mio padre ha ragione. E’ bello sentirselo dire!-
-Tuo padre!? Visto che avevo ragione a dire che era un uomo saggio!-
Le risponde mentre lei lo stringe a sé ridendo felice. Lo abbraccia forte, sentendo il cuore battere contro il suo, con lo stesso ritmo, con le stesse parole celate da quel rumore meraviglioso e pieno di vita.
Si scosta da lui e gli prende il viso tra le mani.
-Come stai adesso Castle!?-
Gli chiede seria, corrucciando la fronte. Lui le sistema i capelli dietro l’orecchio e segue il suo profilo con la mano, soffermandosi sulle sue labbra, che gli lasciano un piccolissimo bacio.
-Sono tornato a casa. Abbiamo appena fatto l’amore, nonostante gli effetti collaterali…-
Lascia la frase in tronco sollevando un sopracciglio, beandosi della sua risata.
-…tu sei qui davanti a me, praticamente nuda, con indosso solo la mia felpa, che per inciso, a te sta d’incanto!-
Lei continua a ridere e lui fa scorrere le mani sotto la felpa, sfiorandole la pelle.
-Mi hai appena detto che mi ami…-
Si guardano seri, labbra contro labbra.
-…sono vivo Kate!-
Lei sente un nodo alla gola e lo stringe ancora a sé, ma si solleva improvvisamente,  guardando fuori dalla finestra.
-Piove!-
Esclama costringendo Rick a guardare nella stessa direzione.
-Che c’è di strano! Siamo a New York, non è difficile vedere la pioggia di questi tempi. Ringrazia che non diluvia.-
Risponde canzonandola. Ma lei continua a guardare fuori con lo stesso sguardo di una bambina che vede la neve per la prima volta.
-Vestiti!-
Gli dice allontanandosi da lui, che però l’afferra per la mano e la costringe a tornare indietro.
-Come vestiti? Perché?-
-Usciamo!-
Risponde lei allontanandosi di nuovo.
-Usciamo? E’ quasi l’alba e piove!-
-Appunto. Piove! Non eri curioso di sapere se il nostro cuore resiste anche alla pioggia?-
Lui spalanca gli occhi e scuote la testa.
-Ma… ma piove…-
-Quindi è il momento giusto per verificare la tua curiosità! Vestiti.-
Lui la guarda sconcertato.
-E’ancora buio Kate, si gela là fuori! Vuoi davvero andare al parco adesso?-
-Mettiti qualcosa di molto pesante… se siamo fortunati arriveremo anche a vedere l’alba!-
Gli risponde saltellando verso la camera da letto.
Castle la guarda sparire nel suo studio scioccato.
Torna a guardare fuori dalla finestra e rabbrividisce al pensiero di dovere uscire con quel freddo.
-Castle sbrigati, o ci perderemo l’alba!-
Quale alba? Piove! Non diventerà nemmeno giorno!
Corruccia la fronte mentre guarda verso la camera da letto. Si gratta la testa sorridendo e sospira.
-Ho creato un mostro!-


Angolo di Rebecca:

Ok... su questo capitolo non so che dire, tranne che gli effetti collaterali su Rick hanno fatto effetto (spero di non dover cambiare il rating :p) e che Kate è riuscita a trovare un modo originale di dirgli (finlamente, dopo 63 capitoli) "ti amo!"

Baci <3

 

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Capitolo 65
*** I colori del Cielo ***


 
­ 
Capitolo 65
 
 
La neve era sparita ormai da qualche giorno, ma quella parte del parco era ancora ricoperta di nevischio fangoso.
Era stato difficoltoso sollevare la muraglia di fronde bagnate che nascondeva il passaggio segreto e il sentiero si presentava umido e scivoloso. Sapevano che non avrebbero rivisto il cielo se non arrivando a destinazione, quindi andavano abbastanza veloci, o meglio, era lei che andava veloce, mentre lui si lasciava trascinare a passo pesante.
La boscaglia non era tanto fitta da impedire alla pioggia di continuare a bagnarli, abbastanza però, da non lasciare entrare altro che buio. L’unica luce era quella delle loro torce che saltellava in mezzo al nero infinito e ai rami che scendevano giù dal nulla e l’insieme faceva tanto “Il mistero della strega di Blair.”
Sorride, intravedendo la sua figura di spalle, imbacuccata in una delle sue incerate, sotto la quale nasconde un suo maglione caldo ed enorme e il suo giubbotto da neve. Non sembra nemmeno lei con quella roba parecchie misure più grandi, che la obbliga a ciondolare di qua e di là, con un andamento davvero buffo, mentre lo tiene stretto per mano, trascinandoselo dietro senza nemmeno voltarsi, puntando la torcia in terra per capire dove mettere i piedi.
In macchina non aveva mostrato divertimento per quella gita notturna, che invece lo eccitava. Si era limitato a fingere di sonnecchiare e sbuffare per il freddo. Voleva portare a termine la sua recita da pover uomo ancora convalescente, costretto al freddo e al gelo per una cosa razionalmente insensata, visto che negli ultimi giorni non era riuscito a scovare niente di ancora razionale nel comportamento di Kate e guardarla andare avanti verso la meta, imperterrita e sicura, lo riempie di gioia e di orgoglio, perché questo cambiamento repentino è tutto per lui.
Lei si diverte mai? Si lascia mai andare? Si toglie la camicetta, tipo poliziotte scatenate?
Mentre la segue, trova difficile ripensare alla Beckett di allora. Non perché si attenesse sempre alle regole o volesse sembrare seria ad ogni costo, ma perché, mai e poi mai si sarebbe fatta prendere dall’euforia per un posto definito magico da un matto patentato come era lui, tanto da andarci in piena notte, sotto la pioggia, per cercare di vedere un cuore sospeso nel cielo.
Ne è passato di tempo da allora.
Ci sono stati sorrisi, sguardi, centinaia di caffè, pericoli, piccole gioie, grandi dolori. Attimo dopo attimo si sono avvicinati, conosciuti, innamorati, amati… e la situazione si è semplicemente capovolta.
Proprio la ragazza che non si toglieva mai la camicetta lo aveva rimproverato, stupita dalla sua riluttanza ad uscire di casa ad una temperatura parecchi gradi sotto lo zero per fare una cosa irrazionale, come trovare la risposta ad una sua curiosità insensata, fatta in un momento di poca lucidità.
Il suo sorriso sparisce di colpo e abbassa lo sguardo verso la terra. Le erbacce scricchiolano sotto i loro piedi e nonostante il rumore sia appena percettibile, è come se ogni scricchiolio gli ferisca il cuore.
Quando Kate gli aveva detto che voleva andare al parco ed era corsa in camera a vestirsi, lui era rimasto nel salone. Il rumore dell’acqua che scendeva nella doccia si confondeva con quello della pioggia e all’improvviso aveva ricordato quella sera, quella richiesta…
Chissà… se il cuore si nasconde dietro le nuvole?! Devi portarmi lassù a cercare il cuore anche in mezzo alla pioggia… comunque vadano le cose!
Aveva deglutito, guardando fuori dalla finestra. Il cielo era scuro e i suoi occhi si erano posati ancora lontano, oltre le luci della città, dove il buio sembrava inghiottire qualunque cosa al di là dei confini della Grande Mela.
Gli era tornato in mente quando si sentiva distrutto dal dolore e consumato dalla paura.
L’auto di Espo sfrecciava sul ponte, la pioggerellina fitta s’infrangeva sui vetri, le mani di Kate fredde come il ghiaccio, così come il suo cuore, mentre lo stringeva a sé e gli accarezzava il viso.
Dovrai andarci anche senza di me… dovrai sorridere per farmi sorridere… dovrai guardare il mondo per farlo vedere a me… dovrai cercare sempre la magia per farla vivere anche a me!
La sua non era stata una richiesta insensata in un momento di poca lucidità. Sapeva esattamente, mentre si stringeva a lei e sentiva il battito veloce del suo cuore, cosa le stava chiedendo. E allo stesso modo ricordava lucidamente la sua voce atona e tagliente, pronunciare una risposta che lo aveva  spaventato ancora più del dolore.
Non riesci nemmeno a capire quanto sia stupido quello che hai detto!
Gli era tornata in corpo la sensazione di vuoto provata nel silenzio che era seguito fino all’arrivo in ospedale, come se una voragine l’avesse diviso improvvisamente da lei.
Capiva benissimo cos’aveva provato, sapeva perfettamente che in quel preciso istante lo aveva odiato e, lucidamente, era consapevole che farle promettere di continuare a sorridere anche senza di lui, era stato solo un desiderio egoista, perché non riusciva a sopportare di lasciarla nella disperazione, nel buio che le prospettava Dunn, in quel limbo in cui l’aveva conosciuta anni prima.
Aveva sospirato pesantemente, scuotendo la testa attirato dal suo riflesso sbiadito sul vetro della finestra, ringraziando il cielo che il veleno fosse stato destinato a lui e non a lei.
Lui non sarebbe riuscito a reggere, lui non aveva il suo grande coraggio, lui non era forte abbastanza, lui l’avrebbe odiata allo stesso modo, se solo gli avesse chiesto di continuare a sorridere senza di lei.
Aveva sentito ancora dolore nelle viscere, tanto da digrignare la mascella e, tra le goccioline di pioggia che battevano sul vetro come piccole pietre preziose, aveva intravisto nei suoi stessi occhi, altre goccioline traballanti che esitavano a scendere lungo il viso.
Non riusciva a immaginare il suo piccolo mondo senza Kate Beckett.
Si era passato le mani sul viso un paio di volte, lasciandole andare anche sui capelli, strofinandosi poi le braccia per scaldarsi dal brivido che lo aveva colto e si era girato a guardare verso il suo studio.
La pioggia e i ricordi lo avevano distratto e non aveva notato che l’acqua in bagno non rumoreggiava più, non aveva sentito Kate tornare in camera, ma l’aveva sentita borbottare qualcosa di incomprensibile verso ignoti.
Aveva guardato ancora una volta verso il buio nascosto all’orizzonte e si era deciso a raggiungerla, anche se era rimasto sulla porta, appoggiato allo stipite con le braccia incrociate al petto, la testa inclinata e un sorriso spontaneo che nasceva ogni volta che posava gli occhi su quel corpo che non smetteva di venerare.
-Sei ancora così? Faremo tardi!-
Lo aveva rimproverato lei, senza girarsi, mentre era intenta a cercare qualcosa dentro l’armadio.
-Beh, reggiseno e mutandine… direi che nemmeno tu sei proprio vestita!-
Si era girata con lo sguardo accigliato.
-Non ho niente da mettermi, i maglioni e le giacche pesanti li ho a casa mia.-
-Fantastico. Potremmo starcene a casuccia e sperare di vedere l’alba dal nostro bel lettone.-
Lui aveva preso la palla al balzo sorridendo sornione, ma lei lo aveva spento sventolando una mano per aria con sufficienza, come aveva imparato a fare dalla grande Martha Rodgers.
-Non ci provare Castle. Metterò qualcosa di tuo, tanto chi vuoi che ci veda a quest’ora al parco?-
Proprio quello che dico io. Chi mai potrebbe essere tanto pazzo da andare al parco alle cinque del mattino e con questo freddo?!
Naturalmente se lo era chiesto solo nella sua mente, a quel punto sarebbe stata una missione suicida infastidire ancora Beckett, che nel frattempo si era impadronita del suo maglione a collo alto più pesante, trovato rovistando tra i suoi cassetti.
Era rimasto a guardarla mentre lo indossava con movimenti lenti, chiedendosi come facesse ad essere sexy anche mentre aveva ancora la testa incastrata dentro il maglione e cercava di districarsi tra le maniche troppo lunghe.
Quando era riemersa dalla massa di lana morbida si era guardata allo specchio ed era scoppiata a ridere. Aveva arrotolato un po’ le maniche per potere usare ancora le mani e si era girata verso di lui allargando le braccia.
-Sono carina?-
Lui continuava a guardarla estasiato, non perché fino a poco prima fosse nuda e si muoveva con naturalezza per cercare qualcosa di caldo da mettersi, abbassandosi dentro l’armadio e ancheggiando davanti allo specchio. La loro intimità era diventata naturale fin dalla prima volta che avevano fatto l’amore, in quella notte in cui i rombi dei tuoni si accavallano ai loro gemiti e i lampi che filtravano dalla finestra illuminavano i loro sguardi che si studiavano vicendevolmente. Forse era solo un pensiero romantico, ma era fermamente convinto che stare vicini per anni, giorno dopo giorno, senza mai sfiorarsi, tranne che con gli sguardi e i sorrisi, li aveva resi intimi nell’anima, ancora prima che nel corpo e, quando si erano ritrovati stretti e abbracciati, era stato naturale come se fossero sempre stati l’uno il prolungamento della pelle dell’altra. Guardarla girare nuda per la camera era come guardare un sogno che alla fine era diventato concreto nelle sue mani.
Ma in quel momento non era quello che lo emozionava.
Era vedere il suo viso sereno. Era guardare le sue labbra piegate in un sorriso permanente senza che nemmeno se ne rendesse conto. Era quella leggerezza che traspariva da ogni suo movimento. Era vederla rovistare tra le sue cose, nei suoi cassetti come fossero una sua proprietà. Era sapere che stavano per fare una cosa abbastanza stupida come due ragazzini che scappano di casa in piena notte, ed era stata lei a proporlo, a deciderlo, ad ordinarlo.
Era sentirla felice di essere insieme a lui.
Si era riscosso di colpo quando le si era parata davanti, vestita da capo a piedi, con lo sguardo torvo e il piede che batteva minaccioso sul pavimento. Aveva finto di non capire, per continuare la sua recita di uomo scocciato da questa gita notturna, ma lei lo aveva fulminato senza nemmeno aprire bocca, così, dopo aver sollevato le braccia per difendersi e sbuffato sonoramente, aveva annuito e si era premurato di vestirsi in fretta.
Prima di uscire avevano tirato fuori i completi da sci di Rick in modo che lei potesse rubargli anche il piumino da neve e, quando erano arrivati al parco, aveva indossato pure l’incerata per cercare di bagnarsi il meno possibile, mettendosi sulle spalle anche uno zaino con dentro una coperta e un thermos di caffè caldo.
Il risultato era che, guardandola di spalle mentre lo trascinava correndo per il sentiero segreto, sembrava una specie di omino della Michelin, incappucciato dentro un’incerata di colore giallo fosforescente e invece di vedere il lato comico della situazione, pensava fosse tutto molto romantico, perché era una situazione tanto non da Beckett.
Perso nei suoi pensieri, non si accorge che sono arrivati a destinazione. Il sentiero è finito e la muraglia di fronde che nasconde l’uscita, si staglia davanti a loro. Enorme, bagnata e pungente. Lui sbuffa di nuovo per rimarcare la sua ritrosia ad essere lì in quel momento. Sollevare quella tenda di rami fradici significa inzupparsi ancora e infreddolirsi di più, lei si gira di poco e gli punta la torcia in faccia, facendolo spostare di colpo per proteggersi dalla luce, riuscendo però a notare comunque il suo sguardo accigliato.
-Si può sapere che fine ha fatto il tuo spirito di avventura stile Indiana Jones?-
-E’ rimasto a casa, al calduccio sotto le coperte!-
Esclama scocciato, allargando le braccia, lasciandole andare subito dopo lungo le gambe, mentre lei si rabbuia in viso.
-Volevo solo onorare una promessa!-
Sussurra con la fronte corrucciata, abbassando la torcia per puntarla sulle fronde. Solo in quel momento, Rick si accorge della sua espressione delusa. La rughetta sulla fronte ben marcata, nonostante il buio, lo fa sciogliere.
Le mette la mano sul viso e la costringe a guardarlo. Il guanto imbottito le ricopre l’intera guancia e lui si abbassa di poco sorridendole.
-Stavo solo scherzando, Kate. Non m’importa niente del freddo e della pioggia. Sono eccitato come un bambino per questa tua idea di correre qui senza nemmeno pensarci.-
Lei lo guarda seria, senza rispondere e lui la stringe a sé, ridendo.
-E’ tutto così da me e non da te…-
Si allontana da lei, puntandola con la torcia dalla testa ai piedi, mimando la rotondità che le disegnano addosso gli abiti pesanti ed enormi.
-…e tu sei cosi adorabilmente morbidosa con i miei vestiti addosso!-
Scoppiano a ridere e lei gli butta le braccia al collo. Quando lo lascia andare, lo guarda sorridendo, puntando la torcia ancora sul muro di fronde.
-Sei pronto ad infradiciarti ancora?-
-Con te? Sempre!-
Kate gli sorride. Raggiante. Come gli aveva sorriso qualche ora prima mentre gli raccontava del piccolo Rick. Come il sorriso che gli aveva riservato a letto, quando si era lasciata andare tra le sue braccia. Come il sorriso che gli aveva bloccato il respiro quando gli aveva detto che il suo cuore faceva tanto rumore.
Da quando stavano insieme, aveva cambiato molti dei suoi modi di fare, certo aveva ancora dei dubbi e si faceva prendere dai suoi pensieri complicati, ma era una parte affascinante di lei che non avrebbe cambiato per niente al mondo.
Il suo essere complicata la rendeva perfetta.
Nonostante questo, non era abituato a quella felicità che le veniva dall’anima.
Sente le sue labbra sulla pelle, il calore di quel bacio sulla guancia lo sorprende ancora una volta perso nei suoi sogni più improbabili. Le sorride, facendole segno di puntare la torcia sulle fronde che si accinge a spostare. Le sterpaglie bagnate scricchiolano tra le sue mani mentre le tira a forza e finalmente il portale magico si apre sul mondo incantato.
Per la terza volta si ritrovano lassù insieme e, per la terza volta, restano senza fiato davanti ad un paesaggio del tutto nuovo.
L’immensità che sapevano essere davanti a loro, è coperta da una coltre di nuvole che rende opaco e grigio anche lo splendore dell’Hudson. Delle isole non c’è traccia, come se una mano birichina le avesse cancellate dall’acquarello con un colpo di gomma magica. Tutto è ricoperto dalla tipica nebbiolina mattutina che sfuma dal nero al grigio sbiadito, eppure in lontananza, s’intravedono comunque le luci dei porticcioli e dei viali del parco, in mezzo alla foschia che sfoga la sua malinconia con sbuffi di fumo. Luci sbiadite, che disegnano una nuvola dai tanti colori e dai contorni smorzati, che cambia sfumatura di continuo, mentre il cielo cerca, disturbato dalla pioggia leggera ma insistente, di cambiare colore per dare il bentornato all’alba.
Dopo qualche attimo di silenzio, rapiti da una magia diversa dal solito, mentre le goccioline di pioggia rimbalzano sui cappucci che riparano le loro teste, Rick le prende la mano e lei si gira di colpo a guardarlo, sollevando le spalle.
-Era logico che non si vedesse molto.-
Si morde il labbro divertita, confermando la consapevolezza che correre lassù è stata proprio una pazzia e sposta la torcia verso il masso su cui Rick, da bambino, aveva inciso una croce per ricordare il punto preciso da cui poteva scorgere il cuore  sospeso nel cielo. Si siedono sul masso uno accanto all’altra, sempre imbacuccati, mentre il bordo dei cappucci gocciola, bagnando loro il viso. Guardano attentamente davanti a loro, sapendo già che il cuore non si sarebbe fatto trovare.
-Stavo proprio male quella sera… che domanda stupida che mi sono posto. Se il cielo è nuvoloso come si può vedere qualcosa!-
Esclama lui, mettendole un braccio intorno alle spalle e stringendola a sé. Lei appoggia la testa sulla sua spalla e annuisce.
-E non accenna nemmeno ad albeggiare. Peccato!-
-Beh, siamo qui, insieme… bagnati fradici, gelati. E’ romantico!-
Le sussurra all’orecchio, facendola ridere.
-E siamo comunque a due passi dal cielo…-
Risponde lei sollevando lo sguardo.
-…dove tutto diventa possibile!-
Rick annuisce, stringendola ancora più forte e quando lei alza la testa verso il cielo e la vede sorridere ancora, segue il suo sguardo, rendendosi conto che non piove più.
-Vedi? Ci ha dato comunque il benvenuto.-
Le dice contento, baciandola sulla fronte bagnata. Si tolgono i cappucci, muovendo le braccia per scrollarsi da dosso un po’ di acqua, rabbrividiscono mentre si abbracciano e scoppiano a ridere.
-Rischiamo l’assideramento sul serio Castle.-
Lui scuote la testa, le prende lo zaino dalle spalle, tira fuori la coperta e si accucciano stretti, scaldandosi con un ennesimo bacio.
-Caffè?-
Propone lui con un altro bacino a fior di labbra. Versa il caffè senza smettere di guardarla, sono divisi solo dal filo di fumo che sprigiona il calore dalle tazze. Si baciano assaporando il profumo senza decidersi a bere, restando a guardarsi ancora qualche secondo.
-A noi!-
Sussurra Rick, sollevando la tazza, mentre lei fa altrettanto con la sua, facendole tintinnare.
-A noi!-
Lo bacia prima di bere un sorso di caffè, restando stretta a lui per guardare lontano, godendosi il calore di quel liquido scuro che li accompagna da sempre, poi Rick poggia la tazza sul masso e corruccia la fronte.
-Prima hai detto che volevi onorare una promessa, ma tu non mi hai mai promesso nulla.-
-E sono stata pessima.-
Kate finisce il suo caffè senza scostarsi da lui.
-Ero spaventato e dolorante, hai fatto bene a non dare retta a quello che dicevo.-
Anche lei posa la tazza sul masso, chinando lo sguardo.
-Eri preoccupato per me, ed io non sono riuscita a tranquillizzarti.-
La sua voce è incrinata. Rick cerca di scostarsi per guardarla in viso, ma Kate gli prende la mano scuotendo la testa, impedendogli di muoversi.
-Quando abbiamo finto la tua morte e Ben mi ha buttata fuori dalla tua camera, sbattendomi la porta in faccia…-
Chiude gli occhi scuotendo ancora la testa.
-…sapevo che era una finta, eppure mi si è bloccato il respiro. Mi si sono bloccati tutti i sensi, non riuscivo a sentire niente intorno e vedevo tutto come a rallentatore. Ero immobile a guardare la porta chiusa e non so perché, ho rivisto attimi della mia vita… mi sono passati davanti gli ultimi cinque anni e in ogni ricordo, bello o brutto, tu eri lì, accanto a me, logorroico o completamente silenzioso e quelle poche volte in cui non ci sei stato è perchè…-
Solleva lo sguardo su di lui, mentre il cielo sembra schiarire all’orizzonte in un tenue grigio perla, grazie ad un raggio sbiadito che cerca di vincere le nuvole, anche se con poco successo.
-…è perché sono stata io ad allontanarmi!-
Lui sospira, accentuando lo sbuffo di fumo che producono i loro respiri per colpa del freddo, ma lei gli mette le dita sulle labbra, fermandolo ancora una volta.
-In quel momento ho avuto la certezza che eri parte di me da sempre e che era inutile fingere che non fosse vero. Quella porta chiusa è stata un pugno nello stomaco, perché ho realizzato che stava succedendo davvero. Il pensiero di non averti più accanto, mi ha annientato per un momento.-
Gli accarezza il viso, mentre gli occhi di entrambi luccicano nel primo chiarore dell’alba che sta prendendo il sopravvento.
-Poi ho rivisto il tuo sorriso, ho sentito la tua voce. Ci hai messo tutto te stesso per farmi credere in una vita diversa, nell’esistenza di una felicità che mi meritavo… ho sentito l’eco della mia voce risponderti tagliente, ed è stato come se ti avessi tradito!-
-Kate…-
Cerca di dire lui, ma lei scuote ancora la testa continuando a parlare imperterrita.
-In quel momento ho promesso… ho promesso che ti avrei portato qui. Qualunque cosa fosse successa, sarei tornata in questo posto, con te al mio fianco…-
Abbassa lo sguardo e anche il tono di voce.
-…o nel mio cuore!-
Lui le stringe la mano d’istinto e lei si gira a guardarlo con le lacrime agli occhi, ma sempre sorridente.
-Sei qui… accanto a me… e ti amo!-
Lo bacia sorridendo sulle sue labbra, si accoccola a lui e lo sente deglutire. Immagina i suoi occhi lucidi, ma non solleva lo sguardo.
-La promessa è valida per sempre Castle, ma devi promettere anche tu!-
Sussurra, aspettandosi il suo viso confuso. Lo guarda accarezzandolo e sospira.
-Sono un poliziotto, può succedermi qualunque cosa in qualsiasi momento…-
Solo allora Rick capisce cosa sta per dire, digrigna la mascella e distoglie lo sguardo, ma lei lo costringe a guardarla.
-E’ una richiesta insensata quando sono gli altri a farla, non è vero?-
Lui abbassa ancora gli occhi senza rispondere e lei inclina la testa.
-Non sopporterei di non vedere più il tuo sorriso e l’azzurro splendente dei tuoi occhi e se mi ami come io amo te…-
-Kate ti prego…-
Lui scuote la testa, ma lei non molla.
-No Castle. Promettimelo. Qualunque cosa accada da adesso in avanti…-
E’ costretto a guardarla negli occhi, sembra così serena mentre pronuncia quelle parole che a lui invece fanno sanguinare il cuore. Sposta lo sguardo verso l’orizzonte, le nuvole non si sono spostate di un millimetro, ma non sono più scure e pesanti di pioggia. Sono chiare e attraversate da un paio di raggi di sole che puntano un leggero luccichio sul fiume.
Annuisce stringendo le labbra e torna a guardarla.
-Hai ragione. E’ difficile quando lo chiedono gli altri, però… però ti prometto che tornerò sempre qui, con te… comunque!-
A discapito delle nuvole e della pioggia, l’alba comincia ad illuminare i loro visi mentre si baciano con dolcezza e Kate sorride baciandogli la punta del naso.
-Stavo pensando che tra un paio di settimane è il tuo compleanno.-
Sussurra sulle sue labbra, mentre lui solleva le spalle.
-Già… divento grande! Vuoi portarmi al lunapark? Perché sarebbe un regalo gradito.-
Lei lo bacia di nuovo e scuote la testa.
-No, per niente. Ho un’altra idea. Ho deciso che ti regalerò tutto il comò.-
Rick si scosta di colpo per riuscire a guardarla negli occhi e gli si apre un enorme sorriso sulle labbra.
-Tutto? Proprio tutto, tutto? Intero?-
Lei annuisce divertita dalla sua espressione.
-Tutto tutto… giuro.-
-Wow! Questo si che è un regalo grandioso.-
-Felice che approvi, anche perché ti serviranno un bel po’ di cassetti per mettere la tua roba, quando mi farai ancora spazio nel tuo armadio.-
Lui corruccia la fronte, guardandola confuso e lei solleva le spalle.
-Ho tanta roba anche io, sai? Mi servirà almeno un altro quarto del tuo armadio quando porterò tutto da te, quindi a te serve il mio comò, anche se lo stile non si abbina perfettamente ai tuoi mobili… alla fine è un regalo e i regali vanno sempre accettati così come sono.-
Rick si allontana da lei spalancando gli occhi, gesticolando.
-Aspetta un momento. Io non voglio il tuo comò a casa mia. Voglio il tuo comò a casa tua!-
-Che differenza fa, scusa? Sarebbe tuo comunque!-
Lui scuote la testa energicamente.
-No, non è la stessa cosa. L’importanza del regalo sta nel fatto che il comò diventa mio a casa tua. Se fosse mio a casa mia, non avrebbe senso!-
Lei solleva un sopracciglio per cercare di districarsi in quello scioglilingua comprensibile solo dai suoi neuroni, ma lui si blocca d’improvviso, corrucciando la fronte.
-Hai detto che vuoi portare tutta la tua roba a casa mia?-
Il suo tono di voce si affievolisce fino a che non diventa un sussurro e lei abbassa lo sguardo sorridendo.
-E’ un po’ stupido avere due spazzolini da denti, due accappatoi, non ricordarmi mai dove ho lasciato la camicia bianca o i pantaloni neri… e poi guardami, sembro una befana conciata così, solo perché non avevo niente di appropriato da mettermi.-
Si morde il labbro e cerca di capire i suoi pensieri guardandolo fisso negli occhi.
-Ci ho pensato tanto in questi giorni. Praticamente bivacco a casa tua, usando la mia solo per i cambi d’abito.-
Si rende conto che lui trattiene il respiro e resta in silenzio.
-Vu… vuoi venire a… a vivere con me?!-
Balbetta stupito, mentre lei abbassa ancora lo sguardo.
-E’ una cosa di cui mi piacerebbe discutere. Certo dobbiamo parlarne prima con tua figlia e…-
Si ferma un momento perché il viso di Rick le è diventato improvvisamente criptico. Non riesce a decifrare i suoi pensieri e sente il cuore batterle veloce, aspettando una sua reazione, che però non arriva.
-…guarda che puoi anche non essere d’accordo. Voglio dire, se non sei pronto non fa nulla, io non sono stata pronta per anni, quindi non fare quella faccia, non voglio trasferirmi da te domani, né deve essere per forza...-
Lui continua a non fiatare e lei comincia a pentirsi di aver messo in piazza quel suo pensiero proprio adesso, prendendolo in contro piede e si ritrova a sospirare, guardandolo fisso negli occhi.
-Sarebbe carino che dicessi comunque qualcosa, perché sta diventando imbarazzante…-
-Sposami!-
Corruccia la fronte e abbassa lo sguardo chiudendo gli occhi. Quel sussurro interrompe il suo monologo e per un attimo le sue percezioni sensoriali spariscono. Prende un respiro profondo e quando riapre gli occhi e riprende possesso delle sue facoltà, finalmente torna a guardarlo.
-Non… non ho capito.-
Balbetta senza smettere di fissarlo. I suoi occhi sono meravigliosamente chiari e riflettono l’azzurro del cielo che ormai ha vinto sulle nuvole che vanno diradandosi.
-Sposami!-
La sua voce pronuncia ancora la stessa parola, una voce sicura e senza ombra, come il suo sguardo che la sta scaldando dal gelo del mattino.
-Stai… cercando di liberarti di me?-
Quello stesso sguardo sicuro la osserva perplesso, ed è Rick adesso, che cerca di capire cosa le passa per la testa.
-Sai che scappo velocemente in determinate situazioni, se volessi liberarti di me potresti uscirne pulito e senza imbarazzo con questa trovata.-
Rick scuote la testa, ma non riesce a dire nulla perché comincia a pensare di avere sbagliato il momento.
-Se è così, stavolta caschi male Castle, perché non ho intenzione di andare da nessuna parte!-
Gli ci vuole un attimo per registrare la frase, darle un senso e riprendere fiato.
-Quindi pensaci bene, hai una sola occasione di rimangiarti tutto… ora!-
Lui scuote ancora la testa ridendo e le accarezza i capelli umidi di pioggia.
-Vuoi vivere con me. Vuoi venire a vivere a casa mia… facciamola diventare nostra. Sposami Kate!-
Lei abbassa lo sguardo, si toglie i guanti, facendo lo stesso con i suoi, vuole le mani libere, vuole sentire la sua pelle sul suo viso.
-Sei sicuro di…-
-Sposami!-
Sorride radiosa a quella strana proposta che sembra più un ordine e annuisce, mordendosi il labbro.
-Si?!-
-Si.-
Il sorriso sulle labbra di Rick scompare, la sua espressione diventa seria, ma i suoi occhi continuano a brillare.
-Si, sul serio? Si, senza ripensamenti?-
Anche l’espressione di Kate diventa seria, gli accarezza il viso, lo bacia a fior di labbra e gli stringe le braccia al collo.
-Si!-
Sussurra sfiorandogli l’orecchio, mentre le sue braccia aumentano la stretta sul suo corpo e la vertigine che volteggia nella sua testa la costringe a chiudere gli occhi, come se stesse volando sulle montagne russe.
Rick si gode il suo abbraccio, le sue braccia tremanti attorno a lui, le sue lacrime che gli bagnano il collo. Il suo cuore fa di nuovo un gran rumore assieme a quello di Kate, tanto da sentirlo rombare fin nelle orecchie. Davanti a lui il cielo si tinge di sfumature diverse, mostrando il profilo dell’isola attraverso le nuvole bianche.
La vita è una continua sorpresa, basta essere pronti a lasciarsi sorprendere, anche solo da un cielo che cambia colore di continuo. Sospira senza toglire gli occhi da quella sorpresa davanti a lui.
-Siamo proprio ciechi!-
Sussurra tra i suoi capelli, mentre lei, che non ha ancora ripreso lucidità per capire la sua esclamazione, si scosta da lui e segue con lo sguardo la traiettoria del suo, posato proprio verso l’orizzonte, girandosi subito dopo a guardarlo sempre più confusa.
-Siamo ciechi… il cuore è proprio lì.-
Kate guarda ancora nello stesso punto senza riuscire a vedere nulla e Rick posa lo sguardo su di lei, con quel luccichio azzurro e quel sorriso fanciullesco che mostra quando è eccitato per una nuova scoperta e che lo rende adorabile.
-E’ coperto dalle nuvole e non lo vediamo, ma è sempre lì. Noi sappiamo che è lì… è questa la magia!-
Riporta lo sguardo verso il cielo, con lo stesso sorriso, mentre lei resta a guardare il suo profilo.
-Si… è questa la magia!-
Ripete in un sussurro, mentre l’alba cambia ancora colore tingendosi di rosa e di giallo quando il sole grida vittoria sulle nuvole, pennellando l’Hudson di colori lucenti. Continua a guardare il suo profilo e ripensa al giorno in cui, con rabbia e rammarico, le ha detto che meritava di essere felice. Sposta lo sguardo verso l’infinito, il cuore sospeso nel cielo appare come una macchia di colore ad olio messa lì per caso, un alito di vento le sfiora il viso e sorride chiudendo gli occhi a quella carezza materna e quando le labbra di Rick si posano sulle sue, ancora ad occhi chiusi, si abbandona a quel bacio caldo ed intenso, lasciando che i diversi colori di quella nuova alba le invadano il cuore.
 
 
Angolo di Rebecca:
 
Ok, ok… lo so, devo pagarvi il dentista, me ne rendo conto che è stucchevole, l’ho pensato anche io mentre lo scrivevo, ma dopo tutto quel veleno… capite anche voi che a quei due serve un po’ di respiro :p (devo trovare qualcuno da uccidere sennò Scott Dunn mi si rivolta nella tomba!)
Ancora una volta grazie. Ci si rilegge settimana prossima (se tutto va bene) con l’epilogo di Epilogo!
Baci <3

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Capitolo 66
*** Ali di Farfalla ***







Epilogo
Ali di Farfalla
 
 
 

Avevano varcato la soglia di casa alle sette passate. Nonostante fossero fradici ed infreddoliti, erano rimasti a guardare il sole crescere di attimo in attimo davanti ai loro occhi, mentre quel cielo a due passi da loro, tingendosi delle sfumature dell’azzurro in un trascorrere del tempo sospeso, ordinava un rigoroso silenzio all’intera natura intorno, che aveva smesso di respirare per pochi secondi, inchinandosi a sua maestà Luce vittoriosa contro le tenebre.
Si erano incamminati nello stesso religioso silenzio, tenendosi per mano, guidati dai pochi raggi che riuscivano a penetrare la fitta boscaglia sopra le loro teste e, se non fosse stato per quel guardiano troppo zelante al rientro dal sentiero segreto, probabilmente non avrebbero parlato nemmeno in macchina, per gustare l’emozione di sentimenti che stava ancora volteggiando in ogni cellula del loro corpo.
Ma il guardiano era lì.
Avevano appena fatto in tempo a sistemare la sterpaglia che nascondeva l’entrata, lasciando vedere ad occhio inesperto solo una montagna di fronde cadenti a ridosso di un muro inesistente, che la sua voce li aveva sorpresi alle spalle, tuonando che quel posto era pericoloso e nessuno poteva accedervi.
Avevano sospirato insieme alla voce minacciosa, guardandosi sottecchi mentre sentivano l’uomo avvicinarsi. Si erano voltati un solo attimo a guardarlo e all’improvviso, prendendosi per mano, erano scappati a gambe levate, ridendo come due ragazzini in fuga, mentre il guardiano gli intimava di fermarsi.
Erano saliti in macchina velocemente, sgommando via proprio mentre il pancione prominente dell’uomo in divisa, lo aveva obbligato a fermarsi ad una cinquantina di metri dal cancello, respirando affannosamente per la corsa mattutina.
La loro identità ed il loro posto magico erano al sicuro. La spia era stata neutralizzata.
Kate aveva guidato in silenzio per un paio di isolati, poi si era voltata a guardare Rick, che era scoppiato a ridere, trascinandosi dietro anche lei.
Avevano continuato a ridere anche dentro casa, ripensando alla faccia sconvolta di quel pover uomo che aveva rischiato l’infarto, mentre si liberavano delle incerate e dei giubbotti bagnati lasciandoli sul pavimento.
Baciandosi erano arrivati in camera da letto, togliendosi a vicenda il resto dei vestiti, ed erano corsi ad infilarsi sotto la doccia per riuscire a scaldarsi.
Erano rimasti a coccolarsi a lungo sotto il getto di acqua bollente, perdendosi in sguardi, carezze, baci, beandosi di quel tempo che ormai era completamente di loro proprietà.
Si erano dedicati l’uno all’altra senza dire una parola, asciugandosi a vicenda, accarezzandosi con gli occhi.
La schiena di Rick mostrava ancora sulla pelle i segni di quella notte tra le lenzuola. Lei si era premurata di baciargli ogni graffio, passandoci sopra le dita con delicatezza e, senza rendersene conto, si erano ritrovati avvolti tra le stesse lenzuola ad amarsi ancora ed ad addormentarsi stretti.
Almeno lei si era addormentata.
Rick aveva chiuso gli occhi, ma li aveva riaperti di colpo quando, nel dormiveglia, sul viso di Kate era apparsa una lacrima color sangue. Aveva sospirato senza riuscire più a prendere sonno, restando a guardarla a lungo. Nella penombra che creavano i fili sottili del sole che riuscivano ad entrare dalle veneziane chiuse, aveva ripercorso con lo sguardo il suo viso per minuti interi, osservando ogni impercettibile movimento, ascoltando la cadenza tranquilla del suo respiro, per assicurarsi che quella lacrima non ci fosse davvero.
Si era dato dello stupido per questo e, facendo bene attenzione a non svegliarla, si era alzato.
Il salone era inondato dalla luce del mattino. Gli abiti inzuppati avevano formato sul pavimento un alone scuro tutto intorno. Sospirando, li aveva tolti di mezzo mettendoli nel ripostiglio, ed era stato allora che aveva notato qualcosa fare capolino dalla borsa di Kate.
Aveva visto centinaia di volte plichi sigillati come quello, buste contenenti copie di prove, foto e oggetti di casi definitivamente chiusi. Si era abbassato sulle ginocchia e aveva scostato di poco la busta in avanti per poter  leggere la scritta. Non riusciva a vedere tutto, ma era riuscito a scorgere, oltre al numero di codificazione, il nome di Scott Dunn. Aveva digrignato la mascella chiudendo gli occhi, inspirando lentamente per rallentare la corsa del suo muscolo cardiaco. Riaprendo gli occhi, auto convincendosi di essersi calmato, aveva appoggiato la mano sul plico per prenderlo, ma l’aveva ritratta di colpo come se si fosse scottato. Era uscito chiudendosi la porta alle spalle, lasciandosi andare su di essa.
Pochi attimi dopo trafficava con la caffettiera in cucina. Aveva bisogno di un caffè e, perché no, anche di una delle ciambelle rimaste dalla cena, ma la curiosità stava prendendo il sopravvento sulla fame e le budella cominciavano a contorcersi nello stomaco. Aveva guardato verso lo sgabuzzino e, inconsciamente, si era ritrovato quella busta tra le mani.
L’aveva appoggiata sul bancone della cucina, guardandola come se potesse esplodere. Corrucciando la fronte l’aveva aperta, spargendo il contenuto davanti a sé, fissandolo.
Ci aveva messo un paio di secondi di troppo per sollevare meccanicamente le braccia e mettere in movimento le mani sudate. Aveva dato un’occhiata veloce alle diverse carpette che contenevano le relazioni sul caso, guardato attentamente, nonostante le avesse studiate durante le ore terribili della sua agonia, le foto delle vittime e delle scene del crimine e alla fine si era soffermato su una chiavetta USB. Nonostante non ci fosse nessuna etichetta identificativa, sapeva perfettamente cosa conteneva. L’aveva stretta nella mano e si era diretto nel suo studio.
Prima di mettersi all’opera aveva buttato un occhio a Kate, sorridendo involontariamente quando si era reso conto che lo aveva subito rimpiazzato con il cuscino, aveva chiuso la porta della camera da letto per non svegliarla e si era seduto alla sua scrivania, aspettando che il portatile si accendesse per inserire la chiavetta.
Come supponeva conteneva tutti i capitoli della trama di Dunn.
Aveva scorso velocemente tutto il file, si era soffermato sulla copertina, fissando il viso di quella donna, la cui disperazione continuava a tormentarlo. L’aveva guardata a lungo, passando le dita sul monitor, come se volesse asciugare quella lacrima e… aveva cominciato a leggere.
Si era immerso in una trama che conosceva già. Ogni capitolo lo aveva riportato all’inizio, a quella sensazione di paura insensata che sia lui che Kate avevano sentito sulla pelle fin dal primo omicidio.
Aveva riletto, a mente fredda, il capitolo che parlava del suo avvelenamento, sentendo la voce di Dunn che lo scherniva mentre lo lasciava sulla neve, impossibilitato a muoversi a morire di paura.
Ogni parola era uno spasmo. Ogni parola era un colpo di tosse che gli toglieva il respiro. Ogni parola era paura allo stato puro. Aveva sentito ancora il dolore fisico provato nelle viscere e solo dopo aver finito il capitolo, si era reso conto di avere il respiro corto ed affannato come quel giorno.
Si era passato le mani sul viso, sentendo gli occhi lucidi ed il cuore il tempesta, scuotendo la testa come per dire a se stesso che si stava facendo solo del  male, chiedendosi anche il perché.
La risposta non era riuscito a trovarla, ma qualcosa dentro di lui continuava a spingerlo a leggere.
Si era strofinato gli occhi e li aveva fissati ancora sul monitor.
I capitoli scorrevano veloci, si era reso conto che erano corti, mentre nella realtà, quando il veleno aveva cominciato a dare i suoi frutti, nella confusione della paura, sembravano pagine e pagine interminabili che raccontavano la morte.
Rileggendo le descrizioni dei loro sentimenti, aveva provato rabbia per il modo in cui quello psicopatico era riuscito a disegnare i loro profili, dando corpo alle loro paure più profonde, leggendo e rileggendo più volte il personaggio di quella che all’inizio era solo ‘una lei’ qualunque, soffrendo per quanto vere potessero essere le sensazioni che descriveva, quando si proclamava innamorato di lei, del suo modo di agire, del suo coraggio, della sua forza. Quella stessa forza che le sarebbe venuta meno quando avrebbe messo nero su bianco il suo epilogo.
 
Lei però, aveva peccato di orgoglio… Si era affidata allo scrittore..
Lui doveva pagare…

 
L’ultimo capitolo stava per finire, quel capitolo che avrebbe dovuto lasciare sul suo cadavere…

Era arrivato il momento e lui era lì, a prendersi il suo ultimo respiro.
 

Il momento della storia che decretava non tanto la sua fine, quanto quella di Kate…

I suoi ultimi minuti di lucidità lo fecero voltare verso di lei, come se le rivolgesse una preghiera.
La sua agonia nel corpo s’irradiava in lei, facendo agonizzare anche la sua anima.

 
Il momento in cui Dunn l’avrebbe trascinata nel buio…

Quando  il movimento lento e affannato del torace si fermò di colpo, i suoi occhi si spalancarono.
L’ultimo respiro dello scrittore era stato come una pugnalata nel petto e lei aveva smesso di respirare con lui.
 

Una fitta dolorosa come la pugnalata descritta nell’ultima riga, lo aveva costretto a portarsi la mano sul petto. Era consapevole che il dolore esisteva solo nella sua mente, eppure gli stava squarciando il cuore, tanto da impedirgli di respirare. Aveva chiuso la mano in un pugno, stringendo il tessuto della maglietta che indossava, senza riuscire a distogliere lo sguardo dal monitor, imponendosi di rileggere ancora quell’ultima frase che decretava la sua morte, scorrendo la pagina oltre il punto di fine capitolo.
Ed eccolo lì, nel foglio successivo di word, campeggiare in alto, al centro.
EPILOGO…
Aveva chiuso gli occhi, appoggiando di peso la testa sulla spalliera della poltrona, si era allontanato dalla scrivania, facendo scorrere le ruote all’indietro, quasi a voler scappare dalle parole senza riuscirci, perché continuavano a rimbombare nella sua testa attraverso la voce tagliente di Dunn.
Riusciva chiaramente ad immaginarlo seduto al suo portatile, digitare freneticamente i tasti per dare vita ai suoi omicidi, sentire la vittoria vicina tanto da poterla accarezzare, sentire ogni fibra del corpo vibrare per quella trama che prendeva forma nella realtà.
Lo aveva immaginato digitare con lentezza e soddisfazione, lettera dopo lettera, proprio al centro del foglio.
Aveva riaperto gli occhi arrabbiato. Doveva eliminare quella voce. Doveva assolutamente dimenticare quel viso, quella lacrima. Doveva mettere un punto a quella storia per ricominciare a vivere.
Aveva preso il portatile e se lo era sistemato sulle gambe, dopo averle sollevate sul piano della scrivania, in una di quelle posizioni meccaniche che assume di solito quando scrive.
Aveva guardato quella scritta campeggiare al centro del foglio virtuale, ipnotizzato dalle sette lettere di colore rosso scuro scritte in maiuscolo, come se gli stessero chiedendo di riempire il foglio e, senza nemmeno rendersene conto, si era ritrovato con le dita sulla tastiera…
 
Sposami!
Sorride inconsciamente, rannicchiandosi ancora di più sotto il piumone e stringendosi a lui. Per un attimo ha pensato di essere dentro un sogno, ma ancora in dormiveglia riesce a focalizzare che la realtà, per una volta, è più bella dei sogni e il sorriso si apre splendido, mentre si stringe ancora di più a lui.
Corruccia la fronte rendendosi conto che il lui in questione è troppo morbido, come se all’improvviso fossero sparite tutte le ossa.
L’attività sensoriale si rimette in moto, anche se con lentezza, ma riesce a percepire i suoni. Sente uno strano rumore, come un ticchettio frenetico e allo stesso tempo un altro suono che ancora non riesce a decifrare.
Apre gli occhi a forza, cerca di mettere a fuoco e si ritrova abbracciata al cuscino.
Di nuovo.
Sbuffa scocciata, si gira supina, strofinandosi gli occhi e si mette seduta sul letto, barcollando un attimo per riprendere confidenza anche con l’equilibrio fisico. A quello psichico è meglio pensarci dopo, adesso non connette bene.
Guarda l’ora. Le dieci e cinque del mattino. Ha dormito meno di due ore e sente, oltre la stanchezza, anche i postumi della gita notturna e gelida.
Si passa la mano sui capelli, cercando di capire dove si è cacciato Rick  e soprattutto che sta facendo, visto che il suono che prima la sua mente addormentata non riusciva ad identificare, le sembra la stampante in funzione.
Si alza a forza rabbrividendo per la seconda volta in poche ore e, per la seconda volta, si appropria della felpa di Rick, chiudendo la zip fino al collo e, dopo aver sbadigliato scocciata, fa capolino dalla porta.
Lo osserva con la fronte corrucciata e lo sguardo dubbioso. Ha il portatile sulle gambe, come se stesse scrivendo qualcosa ed una pila di fogli già stampati messi in ordine sulla scrivania. E’ ancora assonnata, lui invece e così assorto nel lavoro che sta svolgendo, che non si accorge nemmeno della sua presenza.
-Questa cosa comincia ad irritarmi, sappilo!-
Alla sua esclamazione Rick sussulta e lei incrocia le braccia al petto guardandolo minacciosa, mentre lui corruccia la fronte confuso.
-Non riesco a capire come funziona. Prima dormivi sempre, adesso invece non stai nemmeno a letto? E’ la seconda volta in poche ore che mi sveglio abbracciata al cuscino.-
Lui sorride inquadrando finalmente la situazione, ma l’espressione della donna semi nuda che ha davanti, non cambia di una virgola.
-Non c’è niente di divertente. Patti chiari Castle. Sono io quella che si alza prima e ti lascia a letto da solo!-
Rick annuisce senza fiatare, con lo stesso sorrisetto divertito di prima, lei si avvicina ancheggiando, solleva una gamba appoggiandosi alla scrivania e resta immobile a fissarlo.
-Si può sapere che stai facendo di tanto importante dopo una notte insonne?-
Lui appoggia il portatile sulla scrivania, continua a fissarla senza rispondere, le accarezza la coscia su e giù, facendola sorridere e si allunga verso di lei, lasciandole un bacio sulle labbra.
Si ritira di poco, si guardano sorridendo e lei gli accarezza il viso, in quell’attimo si irrigidisce, fissando lo sguardo su qualcosa in particolare, seguita da Rick che si gira nella stessa direzione.
-Hai frugato nella mia borsa?-
Chiede secca, riconoscendo il plico che ha ritirato al distretto.
-Non… non ho frugato… era lì che… mi guardava…-
-Castle smettila, non mi va di scherzare su quello.-
-Non sto scherzando. Era fuori dalla tua borsa per metà, ho capito cos’era e…-
-…e al solito non hai saputo resistere alla curiosità e tenere le mani a posto! Sono documenti riservati del distretto.-
La voce è più tagliente di quanto lei stessa avrebbe voluto e lui si adombra, stringendo le labbra.
-Sono documenti che parlano di me!-
Risponde con calma, a voce bassa, tenendo tra le mani le foto delle vittime, compresa la sua.
-Se non volevi che facessi il curioso non avresti dovuto portarli a casa.-
Kate si alza, fa un paio di passi avanti ed indietro, infastidita dalla sua apparente calma. Sospira e torna a guardarlo.
-Dovevo leggere ancora dei rapporti per firmarli, ho pensato che avrei potuto farlo a casa con calma, non volevo certo che li vedessi.-
Gli risponde sussurrando e si abbassa vicino a lui, stringendogli le mani.
-Perché vuoi farti del male? Perché è questo che stai facendo guardando il contenuto di quella busta!-
Lui scuote la testa, ma le mani di Kate stringono le sue improvvisamente in modo innaturale e la sente irrigidirsi di nuovo, mentre si alza di colpo. Segue ancora il suo sguardo, posato adesso sulla copertina stampata del romanzo di Scott Dunn.
-Che… sugnifica!?-
Rick sorride cercando di stemperare la situazione, anche se non gli riesce bene, perché si irrigidisce anche lui.
-Volevo leggerlo a mente fredda. Sai, senza il veleno nelle vene posso dire che Dunn aveva talento.-
-Oh… su questo non ci sono dubbi, un grande talento per distruggere la vita…-
Kate fatica a contenere la rabbia, non riuscendo a capire il suo comportamento. Scosta la copertina per guardare il resto dei fogli, controllando alla fine il computer. Chiude gli occhi quando si rende conto che il foglio bianco dell’epilogo, adesso è  pieno di parole.
-Castle… cosa… cosa significa?-
Ripete in un sussurro quasi stanco e Rick deglutisce, percependo il dolore di quella frase. Non riesce a guardarla, così fissa gli occhi sulla lacrima rossa nella copertina, prendendola tra le mani.
-Dovevo scriverlo Kate!-
Anche il suo è un sussurro, mentre passa le dita sul viso accennato del foglio, fissando poi lo sguardo al suo. È come specchiarsi nei suoi occhi. Lo stesso dolore e la stessa rabbia, mentre lei scuote la testa.
-Perché?-
Le stringe le mani costringendola a sedersi sulla scrivania, sporgendosi verso di lei.
-Per me… per noi!-
Guarda le foto delle vittime e digrigna la mascella.
-Per loro…-
Lei continua a scuotere la testa e lui abbassa ancora di più il tono di voce.
-Dunn ci ha usato come personaggi, ha imbastito una trama con le nostre vite. Nikki e lo scrittore siamo noi Kate… io dovevo scrivere una fine.-
Lei lo guarda senza riuscire a seguirlo, i suoi occhi mostrano solo confusione, come se lui stesse vaneggiando. Rick sospira cercando di mettere in ordine le idee per farle capire le sue ragioni.
-Dunn è morto davanti ai tuoi occhi, lo hai visto sparire dentro un sacco nero, eppure sei dovuta andare in obitorio per guardarlo in faccia ancora una volta, per renderti conto che era tutto finito e che non sarebbe tornato. Me lo hai raccontato tu…-
Lei annuisce come un automa, senza riuscire a rispondere nulla, continuando a non capire.
-Io non c’ero Kate. Io non ho visto te combattere, soffrire. Non ho visto lui morire… Voglio che sparisca dalla mia testa…-
Chiude gli occhi respirando pesantemente per dare ossigeno ai polmoni, che di colpo sono tornati indietro di un paio di settimane.
-Vuoi sapere perché non ero a letto con te? Perché ho chiuso gli occhi e quella lacrima color sangue scorreva lenta sul tuo viso…-
I suoi occhi si riempiono di lacrime, come quelli di Kate che gli stringe la mano.
-Voglio guardarti dormire tranquilla senza vedere quella lacrima. Voglio smettere di sentirlo ridere perché comunque è rimasto dentro di me…-
Sospira, accarezzandole la lacrima trasparente che le solca la guancia realmente, mentre sente le sue mani tremare.
-Non basta pensarlo perché succeda, non basta nemmeno stringermi a te per riprendere a respirare. Non funziona così, lo sai anche tu. Sono uno scrittore Kate. Non so sfogare i sentimenti, la rabbia e la paura in altro modo. Lui ha cominciato la storia, tu ed io insieme abbiamo stravolto la sua trama, io dovevo chiudere.-
Kate sembra di ghiaccio, le tremano le mani e continua a scuotere la testa in maniera impercettibile, non riuscendo a dare voce a quello che sente davanti allo sguardo di Rick, come se la stesse pregando di capirlo.
-Credevo… credevo di poter essere abbastanza, evidentemente non è così!-
Esclama con la voce rotta e lui le prende il viso tra le mani.
-Abbastanza? Tu sei tutta la mia vita Kate… voglio cominciare un nuovo libro da leggere insieme a te. Voglio un numero imprecisato di capitoli da leggere con te. Voglio leggere di giornate piene di sole, o piovose e fredde con te. Voglio leggere di liti stratosferiche insieme a te e di riappacificazioni altrettanto stratosferiche…-
Si ferma godendosi il suo primo sorriso, mentre gli stringe le mani per sentirle più calde sul suo viso.
-Bisogna mettere il punto all’ultima parola e mettere via il libro nella libreria per cominciare a leggerne uno nuovo.  Dovevo scrivere il mio epilogo!-
Kate annuisce, asciugandosi le lacrime.
-Capisco benissimo cosa provi, capisco che scrivere ti serve per sviscerare quello che hai dentro e che non riesci ad esprimere, ma non condivido il fatto che tu abbia finito il suo libro.-
Si china di poco a baciarlo sulla fronte, restando attaccata a lui.
-Non lo condivido, ma lo accetto, se ti fa stare bene.-
 Rick la fissa con una strana espressione e prima di dare voce al suo pensiero, lei si stacca d’improvviso scuotendo la testa, come se avesse letto in quell’azzurro lucido, una richiesta impossibile.
-No, non chiedermelo. Hai voluto scriverlo, ma io non lo leggerò. Non ho nessuna intenzione di tenere quei fogli ancora tra le mani e posarci sopra gli occhi.-
Lui inclina la testa sorridendo.
-Ti fidi di me?-
-Non c’entra niente questo. Non voglio leggerlo, anche se lo hai scritto tu.-
Lui annuisce alzandosi. Mette a posto i fogli del suo epilogo nascondendo le parole con la copertina, dividendoli dal resto del manoscritto. Le bacia i capelli, mentre lei resta immobile seduta per metà sulla scrivania.
-Preparo il caffè, ne abbiamo bisogno. Tu fa come vuoi. Strappalo, cancellalo dal computer, brucialo… oppure leggilo. Per me va bene tutto, basta che mi raggiungi presto o spazzolo da solo le ciambelle rimaste.-
Fa per allontanarsi, ma lei gli stringe la mano senza muoversi, costringendolo ad avvicinarsi di nuovo e lui si sofferma a baciarla sul collo.
-Non è detto che i brutti sogni e le voci spariscano solo perché l’ho finito, però a me è servito scriverlo, sono sicuro che a te farebbe bene leggerlo. Potrebbe sorprenderti…-
Sussurra al suo orecchio, mentre lei si gira a guardarlo negli occhi, adesso chiari e sereni.
-In fin dei conti l’ho scritto io!-
Si allontana senza dire altro, lasciandole la mano, mentre lei sposta lo sguardo sulla scrivania.
La fotografia del viso sorridente di Geraldine Prescott copre le altre, sparse in maniera disordinata. Si alza e con movimenti lenti, sistema tutto dentro le carpette, riponendole nella busta, stringendo le labbra come fosse un lavoro faticoso e pesante, chiude il monitor del portatile e mette la mano sulla copertina stampata. Improvvisamente si sente stanca.
Digrigna la mascella sentendo l’odio verso Dunn aumentare la sua rabbia. Accartoccia il foglio stringendolo nella mano, pronta a strappare in piccoli pezzi tutto il resto, ma si ferma di colpo. Appoggia entrambe le mani sulla scrivania, le braccia tese e la testa china, respira a forza, cercando di calmare quei battiti dettati da un sentimento che non riesce a decifrare. Rabbia, dolore, sofferenza… non riesce a capirlo. Pensava di averlo superato, ma adesso davvero non riesce a capirlo.
Districa il foglio accartocciato e ci passa sopra entrambe le mani per cercare di togliere le pieghe, una delle sue lacrime cade proprio sulla lacrima rossa di quel viso, traballa incerta, mentre lei ci passa la mano sopra per asciugarla e sospira sconfitta.
Si siede avvolta dal calore lasciato dal corpo di Rick sulla pelle della sedia, sposta la copertina stropicciata e abbassa lo sguardo su quelle lettere che decretavano la parte finale di una storia.
Una storia che era parte della loro vita.
 

Quando  il movimento lento e affannato del torace si fermò di colpo, i suoi occhi si spalancarono.
L’ultimo respiro dello scrittore era stato come una pugnalata nel petto e lei aveva smesso di respirare con lui.
 
EPILOGO
 
Aveva pensato a questo epilogo, mentre tesseva la sua trama di vendetta contro di Lei.
Lui l’aveva scelta e Lei aveva fatto l’errore di rifiutarlo.
Voleva la sua distruzione totale e sapeva bene che la colpa sulla sua anima sarebbe stata peggio di una lama conficcata nel cuore, perché l’aveva seguita per anni, l’aveva studiata e conosceva bene il punto debole.
Conosceva il suo passato, conosceva il suo dolore, sapeva che si era protetta per anni all’interno di un bozzolo, divenuto nel tempo sempre più impenetrabile, rendendola dura, integerrima, forte…
Così aveva cominciato a scrivere, per sfogare il suo risentimento, l’odio che per anni, giorno dopo giorno, aveva nutrito per Lei, che non lo aveva solo tradito, rifiutando di essere la sua anima gemella, l’unica che aveva la forza, il coraggio e l’intelligenza di fare parte della sua vita, ma si era anche affidata ad un altro uomo, quello scrittore che credeva di avere creato un’eroina, quando invece l’aveva resa ancora più debole e fragile.
Questo è l’errore più grande che può fare uno scrittore: desiderare di possedere l’anima della sua musa, pensando che basti scrivere una storia per creare un personaggio e plasmarlo a proprio piacimento.
Aveva cominciato a sbagliare sin dal primo capitolo, convinto di conoscere l’essere superiore che si nascondeva dentro quel bozzolo imponente che la circondava e riuscire così, a possederne l’anima.
Mentre la studiava, mentre la osservava, mentre scriveva di Lei, non era riuscito a cogliere la differenza.
Il sentimento che la univa allo scrittore andava al di là del possesso.
Lo scrittore non voleva possedere la sua anima, voleva che lei gliela donasse.
Lo scrittore era riuscito a guardare all’interno del  bozzolo che la proteggeva, aveva intravisto la creatura che si nascondeva lì dentro per non soffrire.
L’aveva sfiorata con lo sguardo.
Aveva amato la sua forza, ma anche la sua debolezza.
Si era innamorato della sua gioia, ma anche della sua tristezza.
Aveva accettato il suo orgoglio, ma anche la sua fragilità… per il semplice fatto che lui, la sua anima, gliel’aveva già donata.
Gli era bastato guardare i suoi occhi penetranti per arrivare alla sua anima, accarezzarla dolcemente e donarle per sempre la propria.
Quella carezza sull’anima ha sconfitto la mano che ha imbastito questa trama di morte, impedendole di scrivere un epilogo tragico.
Quella carezza sull’anima ha trasformato la creatura nel bozzolo in una splendida farfalla dalle ali colorate, libera e leggera, forte e determinata, pronta a vivere.
Non si può possedere l’anima di una farfalla, si può solo amarla, venerarla e aspettare che spieghi le sue ali e ti permetta di spiccare il volo con lei…
 

Non voleva leggerlo…
Pensava che Rick avrebbe sviscerato la rabbia e il dolore parlando di Scott Dunn, entrando nella sua mente, pensando come lui, permettendo a Nikki e allo scrittore di cancellarlo completamente dalle loro vite nella maniera più crudele possibile. Questo avrebbe fatto Richard Castle scrittore. Questa poteva essere la degna fine del loro epilogo, ed era una cosa che al momento non sarebbe riuscita a sopportare, voleva davvero godersi la sua nuova felicità e non pensare ad altro.
Potrebbe sorprenderti…
Il suo sussurro torna prepotente e non può fare a meno di annuire a se stessa, perché come al solito, aveva ragione.
Si asciuga le lacrime sorridendo e accarezza i fogli, mettendoli in ordine.
Non voleva leggerlo…
Invece ha semplicemente parlato di loro.
Lo scrittore e la sua musa sulla carta.
L’uomo e la sua donna nella realtà.
Aveva semplicemente parlato di lei, paragonandola ad una farfalla che finalmente volava libera, come se vederla felice, cambiata, rinata soprattutto dopo l’inferno che avevano passato, fosse l’unico modo di far sparire le sua paure, liberandolo dal fantasma di Scott Dunn.
Guarda verso la porta socchiusa e scuote la testa.
Ci riesce sempre. Anche quando si chiude a riccio nella sua testardaggine e rifiuta di farsi sorprendere, lui ci riesce comunque.
Si porta i fogli al petto e si sporge dalla porta.
L’aroma del caffè si confonde con il profumo delle ciambelle messe a scaldare nel forno. Il camino è acceso e sul bancone brilla la fiamma di una candela, circondata dai petali colorati dei fiori che lei aveva raccolto la sera prima per buttarli via.
Si morde il labbro sorridendo mentre lo guarda preparare con cura la loro colazione romantica. Non sembra più teso. I suoi movimenti sono leggeri e rilassati, come se aver messo nero su bianco i suoi pensieri, lo avesse liberato davvero da quella risata terribile che gli toglieva il sonno.
Si decide a raggiungerlo, poggia l’Epilogo sul bancone e prima che possa aprire bocca si ritrova una tazza fumante di caffè davanti. Gli sorride, mentre lui prende le ciambelle dal forno e le sistema su un piatto. Appoggia le braccia sul bancone e resta in silenzio a guardarla, aspettando che beva il caffè, ma lei abbassa lo sguardo sui fogli corrucciando di poco la fronte.
-E’ davvero così che mi vedi?-
Gli chiede sollevando gli occhi sui suoi che si illuminano d’improvviso quando sorride, quasi divertito da quella candida domanda.
-Ah… non lo hai strappato!-
Kate scuote la testa, seria e lui le prende il viso tra le mani, sporgendosi verso di lei attraverso il bancone.
-Certo che ti vedo davvero così e vorrei che tu riuscissi a vederti come ti vedo io.-
La bacia sulle labbra e appoggia la fronte alla sua, ma lei gli prende le mani, allontanandosi di poco per poterlo guardare negli occhi.
-Sono davvero tanto cambiata in queste settimane?-
Un’altra candida domanda, con l’espressione seria e dubbiosa che lo fa sorridere ancora.
-Non sei cambiata Kate, sei solo… diventata grande, sei riuscita ad andare oltre a quel dolore che ti ha impedito di crescere nel tuo cuore! La morte di tua madre ti ha bloccato, perché ogni tuo progetto da quel momento in poi, includeva lei, il suo assassino e la sua giustizia. Una volta ti dissi che ti nascondevi dietro l’omicidio di tua madre per proteggerti da quello poteva esserci oltre il suo caso…-
Lei abbassa lo sguardo e lui deglutisce, sapendo di farle del male, ma quando stringe i pugni, come se avesse voluto mordersi la lingua, lei torna a guardarlo.
-Avevi ragione!-
Lui annuisce e lei non può non sorridere con un velo di malinconia nello sguardo.
-Avevo paura di scoprire che la mia vita era del tutto inutile senza il pensiero fisso di risolvere il suo omicidio.-
Gli accarezza il viso sollevando le spalle.
-Poi ho dato un’occhiata in giro e tu eri sempre lì intorno a rompere…-
Sorridono insieme sfiorandosi le labbra a vicenda.
-E hai capito che la tua vita era importante per me!-
Lei annuisce strofinando il naso contro il suo, mentre lui la bacia.
-Quindi sei solo diventata grande… come me. Io non ho provato un dolore terribile come il tuo grazie al cielo, ma c’è sempre stato qualcosa che bloccava la crescita del mio cuore…-
-…finchè hai avuto l’immensa fortuna di essere arrestato da me ed io l’immensa sfortuna di averti sempre tra i piedi!-
Finisce lei la frase, arricciando il naso e lui annuisce baciandola ancora.
-A questo proposito…-
Le prende le mani, le stringe tra le sue baciandole e incatena gli occhi ai suoi.
-Mi dai il permesso di starti tra i piedi per il resto della vita?-
Quando la vede corrucciare la fronte confusa, si morde il labbro sempre più divertito e si avvicina al suo orecchio, sussurrando come per rivelargli un segreto.
-Si chiama proposta di matrimonio, anche se un po’ sopra le righe!-
Lei scuote la testa sorridendo.
-Me l’hai già fatta o mi sbaglio? Ed io ho già risposto di si, non intendo rimangiarmi nulla.-
-No. In effetti non te l’ho chiesto. E’ successo tutto così spontaneamente che il mio sembrava più un ordine, faceva freddo, il tuo cervello era gelato e magari ti sei fatta prendere dal momento romantico e ti sei sentita in dovere di dire si…-
Kate solleva le sopracciglia divertita dal suo nuovo sproloquio, ma non si prende la responsabilità di fermarlo.
-…questa potrebbe essere vista come una coercizione!-
A questo punto scoppia a ridere mentre lui le mostra il suo proverbiale broncio adorabile.
-Tu ridi perché non hai esperienza in campo di proposte di matrimonio!-
Sorride anche lui quando la vede annuire sempre più divertita ed interessata alla discussione.
-Una proposta non è altro che una domanda, ed una domanda deve per forza avere un punto interrogativo alle fine. Io ho detto ‘sposami’, capisci anche tu che non è una domanda, ma un imperativo!-
Kate si morde il labbro cercando di non ridere ancora, perché lui continua imperterrito.
-Quindi… vuoi darmi l’onore di starti tra i piedi per il resto della vita… punto interrogativo?-
Mima con le dita il ricciolo del segno di domanda e lei si schiarisce la voce, trattenendosi dal ridere.
-Hai il mio permesso!-
Rick le prende il viso tra le mani e le stampa un bacio sulle labbra, allontanandosi di colpo verso lo studio.
-Non ti muovere…-
Lei lo segue con lo sguardo ridendo.
-Castle ma dove… si può sapere…-
Non riesce a formulare nessuna domanda perché lui ritorna correndo, mostrandole qualcosa che luccica.
-Santo cielo Castle! E’… è un anello…-
Lui solleva un sopracciglio, divertito dalla sua espressione scioccata.
-Caspita Beckett, ora capisco perché sei un grande poliziotto. Hai uno spirito d’osservazione fuori dalla norma, hai capito subito che questo cerchietto d’oro sormontato da un diamante, è un anello.-
Kate non gli bada per niente, restando imbambolata davanti al gioiello, riscuotendosi di colpo quando lui le prende la mano.
-No!-
Esclama ritraendosi.
-Co… come no? Hai detto si più volte, giurando che non ti saresti tirata indietro…-
Lei gesticola per fermarlo, scuotendo la testa.
-Non ho detto no, nel senso di no… no nel senso…-
Rick corruccia la fronte e lei sospira, cercando di calmarsi rendendosi conto che comincia a sproloquiare come riesce a fare lui.
-Aspetta un attimo, fammi capire. Non… non puoi averlo comprato stamattina…-
Sospira di nuovo guardandolo negli occhi.
-Da quanto tempo hai questo anello?-
Rick abbassa lo sguardo sul piccolo oggetto e solleva le spalle.
-Da un po’!-
-Da un po’, quanto?-
Ripete lei e lui sorride sconfitto, come se fosse stato scoperto a fare una cosa proibita.
-Quando mi sono svegliato, dopo la nostra prima notte insieme,  tu non eri nel letto con me e per una frazione di secondo ho pensato di aver sognato come sempre, poi sei apparsa sulla porta… con solo la mia camicia addosso, le gambe nude, il caffè tra le mani… in quel momento ho avuto la certezza che era quello che volevo ogni giorno per il resto della mia vita.-
La guarda negli occhi, sorride vedendoli lucidi, mentre lei lo fissa sorpresa ed emozionata.
-Ho sempre saputo che eri quella giusta, quella che valeva la pena aspettare, anche per sempre se fosse stato necessario. Sei perfino nella mia lista delle cose da fare prima di morire, tu hai letto solo il numero quindici, ma…-
Prende il portafogli e le consegna di nuovo la sua lista, mentre lei continua a guardarlo a bocca aperta. Apre il foglietto e dopo avergli dato un’occhiata lo guarda stupita.
-Numero uno: stare con Beckett? Ma quando hai scritto questa lista?-
-Quando la mummia mi ha maledetto… si insomma, quando credevo che la maledizione esistesse e mi avrebbe ucciso… beh hai capito quando?-
Lei annuisce e gli occhi le si riempiono di lacrime, guardando l’anello stretto tra le dita di Rick, che segue il suo sguardo e torna al discorso iniziale.
-L’ho comprato insieme agli orecchini per san Valentino, era lì che mi guardava, tutto brillante… non potevo non portarmelo a casa…-
Kate continua a restare in silenzio, cercando di tenere a bada il cuore che batte alla velocità della luce.
-…ma sapevo già che non te lo avrei dato. Non potevo dartelo subito. Non eri pronta.-
Lei abbassa lo sguardo rabbuiandosi, ma lui la costringe a guardarlo sorridendo.
-Ti sei lasciata andare, sapevo che mi amavi, ma… non eri pronta. Adesso invece...-
-…sono diventata una farfalla!-
Sussurra lei sorridendo radiosa, accarezzandogli il viso. Rick annuisce baciandole la punta del naso.
-Una meravigliosa farfalla che ha colorato la mia vita con le sue splendide ali. Adesso posso metterti l’anello?-
Lei annuisce lasciandosi prendere la mano, le infila l’anello e gliela stringe.
-E’ davvero bello!-
-Certo che è bello, l’ho scelto io!-
Esclama Rick per farla ridere, ma quando non ottiene la reazione sperata, solleva lo sguardo su di lei, rendendosi conto che invece di guardare la meraviglia luccicante al suo dito, continua a fissare lui, i suoi occhi, il suo sorriso, la sua felicità.
-Oh! Sarei io quello bello?-
Le chiede pavoneggiandosi e lei annuisce ridendo. Gli prende il viso tra le mani, muove i pollici sulla barba ispida e gli passa la lingua sulle labbra, costringendolo ad un bacio passionale e profondo.
-Promettimi che mi starai tra piedi per il resto della vita e che non ti stancherai mai di irritarmi, sconvolgermi e sorprendermi.-
Gli sussurra sulle labbra, appoggiando la fronte sulla sua e lui annuisce sorridendo.
-Sempre! Sono particolarmente bravo in questo.-
Ammicca facendola ridere. Improvvisamente sparisce di nuovo nel suo studio, lasciandola con la curiosità di sapere cos’altro ha in mente, rientra sempre di corsa tenendo tra le mani il manoscritto di Dunn e lo getta a sorpresa nel camino. Guarda prima Kate, poi il suo Epilogo, poi ancora Kate e le fa segno con la testa di raggiungerlo. Lei prende i fogli, con la copertina in testa e si avvicina lentamente a lui.
-Abbiamo finito il libro, dobbiamo riporlo in libreria…-
-Un po’ mi dispiace per questo, lo hai scritto tu!-
Sussurra lei guardando l’Epilogo di Rick, ma lui scuote la testa.
-Non importa, deve essere distrutto, quello che c’è nella chiavetta lo cancelliamo dopo, non deve restarne traccia.-
Risponde serio e Kate getta tutto nel camino, stringendosi a lui.
Restano in silenzio a guardare il viso disperato sparire tra le fiamme, cancellando per sempre quella lacrima di sangue.
-E adesso cominciamo un nuovo romanzo, questo avrà un mucchio di capitoli.-
Le dice strizzandole l’occhio, porgendole la fotografia che ha immortalato i loro sguardi rapiti ed innamorati.
-L’hai già stampata?-
-Certo. Sarà la copertina del nuovo libro che stiamo per iniziare.-
Storce le labbra, dandosi la mano sulla fronte.
-Mi sono scordato la cornice, torno subito.-
Kate scuote la testa sorridendo, si avvicina al piano forte e poggia la foto, per capire dove è meglio sistemarla, mentre Rick si ferma in mezzo al salone, con una cornice dal sottile brodo d’argento tra le mani ed inclina la testa guardando la foto.
-Sei sicura di volerla mettere lì, non sarebbe meglio vicino alla foto di Alexis?-
Lei scuote la testa, facendogli segno di avvicinarsi.
-Niente affatto, Alexis resta in prima fila, noi stiamo bene qui.-
-Sei sicura? Proprio vicino a mia madre?-
Lei lo guarda alzando un sopracciglio, divertita dalla sua espressione poco convinta.
-Vicino a tua madre. Non c’è posto migliore.-
Lui sbuffa e appoggia la cornice sul piano.
-Ok, come vuoi tu, ma ti avverto, se poi s’impiccia e ti senti osservata non ammetto lamentele!-
Kate scoppia a ridere e lo bacia sul viso, mentre lui prende la foto per sistemarla nella cornice.
-Aspetta.-
Stavolta è lei che sparisce nello studio per un attimo e torna con un pennarello.
-E’ la nostra copertina. Ci voglio una dedica… dovrebbe esserci anche la data per ricordare l’inizio, non credi?-
Rick annuisce, prende il pennarello, se lo appoggia sulle labbra e corruccia la fronte, mentre lei lo fissa divertita dalla sua concentrazione teatrale. Gli mette un braccio sulla spalla, appoggiandosi a lui per vedere meglio cosa sta per scrivere.
Sorride, nel vedere le lettere comporre le parole e prendere senso. Lui la guarda chiedendole silenziosamente se è d’accordo con il suo pensiero e lei annuisce lasciandogli un bacio sul collo, mentre lo osserva sistemare la foto nella cornice e la posiziona nel posto scelto.
-Ho fame, che ne dici di fare colazione a letto?-
Gli sussurra all’orecchio e lui annuisce guardando verso la cucina.
-Giusto, caffè e ciambelle, metto tutto sul vassoio e la mia farfalla è servita!-
-Mh… io intendevo un altro tipo di colazione…-
Esclama lei, facendolo bloccare a metà strada con il vassoio tra le mani e la bocca aperta.
-Oh… vuoi fare… quella colazione a letto!-
 Balbetta mentre lei si morde il labbro annuendo, si avvicina maliziosa, gli chiude la bocca rimasta spalancata e lo spinge verso la camera da letto.
-… comunque le ciambelle possono sempre servire.-
Lo sente sghignazzare mentre si dirige alla meta, lo segue ridendo, ma si ferma un attimo a guardare verso il camino.
Il libro di Scott Dunn è completamente distrutto, le ceneri della sua vendetta scoppiettano in mezzo alle fiamme.
Sposta lo sguardo sulla loro foto insieme sul piano forte, osserva le altre foto, mentre la voce di Rick le ricorda della colazione a letto. Accarezza il suo anello e torna sul loro sguardo incatenato, sorridendo radiosa.
 
Sabato 16 marzo 2013, la prima pagina di una vita insieme…
Tra cento anni, quando uno di noi due metterà la parola fine alle sue pagine, l’altro chiuderà il libro e tornerà indietro, guarderà la copertina, si perderà in quello sguardo divenuto immortale e sentirà la carezza degli occhi del suo amore sulla pelle, come la loro prima volta… per sempre!
 


Angolo di Rebecca:
 
26 febbraio 2013 scritto il prologo
13 ottobre 2013/16 marzo 2015 inizio e fine pubblicazione!
Devo essere sincera, mi dispiace un po’ :p
Mi mancherà lamentarmi con le mie editor (a loro non mancherà sicuro ahhaah) che non mi piace un capitolo, mi mancherà avere un appuntamento settimanale che mi “costringeva” a ritagliarmi sempre e comunque, un pezzetto di tempo solo per me, mi mancherà cercare immagini e sistemarle per dare vita ai banner…
Mi mancherete voi. Il vostro affetto assiduo, la vostra pazienza, il vostro ragionare sulla trama per capire chi era il killer silenzioso, mi mancheranno le vostre reazioni ai capitoli angst e anche quelli dolciosi della fine… insomma mi mancherete : )
Grazie per il tempo che avete dedicato ai miei due tontoloni in questo lungo anno e mezzo!
Grazie alle mie due editor, Vale e Lisetta, le mie colonne portanti, le mie compagne di scleri, le mie adorabili zie, che il giorno della premiere della sesta stagione, dopo aver visto la fine della 6x01, quando Rick era stato avvelenato, si sono preoccupate per me, perché Marlowe mi aveva rubato l’idea e avevano pensato (giustamente e conoscendomi) che non avrei voluto portare a termine Epilogo, perché poteva sembrare una copia. Lo ammetto, per un po l’ho pensato, ma alla fine, l’idea era quella del veleno, ma la mia storia non aveva nulla a che vedere con quella dello zio Barbuto :D
Grazie ziette belle, per la vostra preoccupazione, per la disponibilità ad ascoltarmi, per le letture in anteprima, per i consigli.
Grazie a tutte voi <3
 
Dimenticavo un PS per Virginia: so che dalle tue domande avevo spunti per arrivare 100 capitoli, ma rischio il linciaggio, lo capisci, no? :D
 

-Io devo ancora sapere se Rick è un uomo d'onore e va a saldare il suo debito con Colbert: Tranquilla, Rick e Kate ci andranno dopo la colazione a letto :3
-E poi Abraham come sta? Non posso saperlo da solo durante tutta la fase di sperimentazione del farmaco: Il tuo Abraham sta bene, Rick ha mandato una  squadra di operai a sistemargli casa e in pochi mesi avrà la sua medicina per sempre!
-E la fondazione? Bisogna accertarsi che nessuno ci speculi: nessuna speculazione, hanno attaccato Jim Beckett all’avvocato di Rick (stile cozza allo scoglio) ed  insieme tengono tutto sotto controllo :D
-Ed i tontoloni in erba? Seguiranno le orme dei tontoloni promessi sposi: Ben e Claire vanno d’amore e d’accordo, fanno scintille e si stanno divertendo alla  grande! ;)
-E la mia quercia? Non posso non sapere se la mia quercia continuerà ad essere curata, amata e protetta: La tua quercia è già in viaggio, spero che tu abbia fatto  spazio in giardino, facendo buttare giù il palazzo di fronte… la affido a te :3
-E poi Steve? Voglio sapere che combina Mr. Sorriso: Di Steve non ho notizie, è troppo silenzioso, ma sono sicura che sta bene :p
 
Baci e abbracci a tutte e buon Castle Monday (io finisco e lui torna PER FORTUNA!)
                                              

 

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