Profumo

di akiremirror
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** 1. Scoprire la verità ***
Capitolo 2: *** 2. Bisogna scegliere ***



Capitolo 1
*** 1. Scoprire la verità ***


Questi personaggi non mi appartengono in alcun modo; questa storia è stata scritta senza alcuno scopo di lucro
 
Profumo
Parte 1

Erano usciti dal covo insieme, quella sera, ed era capitato un po’ per caso, un po’ perché Oliver aveva bisogno di rimanere con lei e il suo chiacchiericcio strampalato per distrarsi dalla preoccupazione di quella strana nuova banda che imperversava nelle strade di Starling City e che colpiva senza troppi problemi anche di giorno. E lui di giorno non poteva essere l’incappucciato.
Così aveva aspettato che Felicity fosse pronta per rientrare a casa, dopo l’ennesima serata a perlustrare la rete a caccia di indizi.
E ora eccoli lì, a camminare per strada senza troppa fretta di arrivare. Per raggiungere la casa di Felicity ci voleva un po’, ma a nessuno dei due sembrò pesare. L’unica cosa che preoccupava Oliver era la bella serata, serena, faceva ancora caldo e qualcosa in lui diceva di stare all’erta, di preparasi al pericolo.
Stavano per lasciare The Glades ed entrare nel quartiere residenziale in cui abitava Felicity quando lei si accorse di qualcosa di strano. Oltre l’angolo c’era un gruppo di sei uomini, intenti a parlare tra loro, non degnavano di uno sguardo né lei e Oliver, né le poche altre persone di passaggio. Ma uno di loro indossava un giubbotto particolare, uno di quelli che lei aveva visto in video addosso a un membro della banda su cui stavano indagando.
Afferrò la mano di Oliver per attirare la sua attenzione e gli si accostò, come se volesse aggrapparsi al suo braccio.
“Banda” sussurrò, sorridendogli come se stessero parlando di come organizzare una gita nel fine settimana.
Lo sentì irrigidirsi e spostare sul gruppo lo sguardo che conosceva così bene, quello di Arrow.
Felicity sapeva che Oliver avrebbe voluto catturarli al volo, ma non era prudente che Oliver Queen, e non Arrow, si mettesse a combattere in mezzo a una strada. Ma dopo un paio di secondi si accorse che il suo compagno stava esitando, e una vaga espressione interrogativa gli si era dipinta in volto.
Gli strinse un po’ la mano di nuovo per attirare la sua attenzione e lui si chinò appena verso di lei, senza distogliere lo sguardo dal gruppo.
“Non sono soli. Un paio di quelli a destra sono spacciatori, non credo abbiano a che fare con la banda…”
“Quindi non sono neanche tutti” aggiunse Felicity, “se due sono spacciatori, e la banda è formata da sette persone, qui ne abbiamo solo cinque. E forse addirittura quattro. Quello piccolo un po’ nascosto non l’ho mai visto nelle riprese delle telecamere che abbiamo recuperato.”
“Ok, allora andiamocene da qui, non voglio attirare la loro attenzione, ma domani rintracciamo gli spacciatori e li facciamo parlare.”
Felicity rise, come se lui avesse fatto una battuta e lo strattonò.
“Oliver!” sibilò sorridendogli “Se non vuoi attirare la loro attenzione smetti di fissarli! Un paio ci stanno già guardando in modo strano!”
Era vero, se ne accorse anche lui, ma aveva l’impressione che in verità stessero guardando lei. Faceva caldo, e già a Felicity piacevano i vestiti corti… però di sicuro non era il caso di correre rischi, doveva far credere a quegli uomini che loro due non erano una minaccia, ma semplicemente due persone a passeggio la sera.
Prese Felicity sottobraccio e le sorrise a sua volta.
“Dobbiamo scrollarci di dosso i loro sguardi, e far credere di non essere interessati a ciò che fanno…”
“Allora la cosa migliore è continuare lungo la nostra strada, li sfioreremo, e andiamo con calma, così vedranno che non abbiamo nulla da temere.”
“Sì” rispose lui, dubbioso “però ho guardato nella loro direzione per troppo a lungo… che cosa c’è di là? Ti viene in mente nulla che si possa usare per coprirci?”
“C’è un negozio di abbigliamento, un vicolo di servizio e poi altri negozi di cui non ricordo il genere…”
“Abbigliamento da donna?”
Felicity annuì e lui sorrise di nuovo, erano a pochi metri dal gruppo.
“Va bene, fammi vedere cos’hai visto” disse ad alta voce, quasi ridendo “però non stare mezz’ora davanti alla vetrina, ti prego!”
Felicity colse senza problemi il suggerimento e annuì con aria soddisfatta.
“Promesso!”
Non potevano non averli sentiti, e quando si fermarono davanti alla vetrina lei indicò un paio di cose a caso.
“Riesci a capire se hanno intenzione di muoversi stanotte?”
“No, dobbiamo rimanere nei paraggi… ma non possiamo rimanere incollati alla vetrina per troppo, non ci crederebbero.”
“Però tu li senti? Io faccio fatica…”
“No, posso farcela.”
“Allora è facile” disse lei, ma il suo tono trasmise un messaggio diverso. Afferrò Oliver per una mano e lo trascinò oltre l’angolo del negozio, nel piccolo vicolo di servizio. Lo aveva fatto con aria civettuola, nella speranza di dare l’idea di volersi appartare con il proprio compagno, ma sapeva che avrebbe potuto essere rischioso. Perché aveva tenuto Oliver per mano per troppo tempo, quella sera, e non riusciva a togliersi di dosso la sensazione terribile e così a lungo agognata di essere qualcosa di diverso dalla sempre disponibile esperta informatica del team Arrow.
Anche se era solo per finta.
Di nuovo.
Oliver si appiattì al muro, e per un paio di secondi andò tutto bene, poi un paio di ragazze dall’aria allegra passarono proprio davanti al vicolo. Solo una delle due diede un’occhiata perplessa alla coppia acquattata contro il muro, ma in compenso Oliver e Felicity sobbalzarono.
“Rischiamo di farci beccare. Posso sentire abbastanza quello che dicono, ma non li vedo, se si muovono verso di noi non avremo il tempo di inventare nessuna scusa.”
E c’era un’unica soluzione, passò per la mente di entrambi, ma solo Oliver parve non avere problemi.
Allungò una mano verso Felicity, che si maledisse mentre l’afferrava e si lasciava appoggiare contro il muro, proprio vicino all’angolo, dove fino a un momento prima era stato Oliver. E lui le si mise di fronte, vicino, troppo vicino per i gusti di Felicity.
La ragazza chiuse gli occhi e abbassò leggermente la testa, non era necessario che lui vedesse quanto stava arrossendo. Certo, fingere di pomiciare in un vicolo poteva essere ciò che aveva sperato per una frazione di secondo, ma non ci impiegò troppo a rendersi conto che era una cosa che stava mettendola troppo alla prova.
Dannazione, lo desiderava. E lo desiderava così tanto che faceva perfino male respirare, ad averlo così vicino.
“Qualcuno di loro è stato ferito…” le bisbigliò all’orecchio Oliver, concentrato sulla banda.
Felicity deglutì prima di rispondere, per essere certa di non avere una vocina da ragazzetta cotta.
“Non risulta dai video. Se non hanno fatto nulla che noi non sappiamo, allora è una ferita provocata da altre attività. Magari è andato in ospedale…”
“Da quello che dicono pare di sì… dobbiamo controllare anche questo, ma non…”
Non finì la frase, afferrò Felicity alla vita e nascose il volto tra i capelli di lei, mentre davanti al vicolo passavano alcuni membri del gruppo.
“A me non piace stare senza far nulla!” sbottò uno di loro.
“Dovrai fartelo piacere e basta! O tutti o nessuno, e non combinare casini, ci siamo intesi?”
Oliver sentì solo queste due frasi, poi una serie di rimbrotti scherzosi e le voci che si affievolivano per la lontananza.
Poi tutto all’improvviso divenne strano. In verità se ne era accorto anche prima, ma aveva cercato di non prestarci attenzione, però ora era impossibile tenere la testa concentrata su altro… perché sapeva che il profumo che sentiva era di Felicity, ma ora era così vicino a lei che non poteva isolare la sensazione e basta. Ed era una delle cose che più lo facevano vacillare, ogni volta che erano vicini. Perché sapeva di casa, di risate e tranquillità, di qualcosa di morbido e leggero, rassicurante.
No, non esisteva un odore che fosse tutto questo, non uno di quelli artificiali, ma il suo sì.
E ora lei era tra le sue braccia, immobile e con le mani leggermente posate su lui, così da lasciarlo libero di agire in caso di necessità. Però non c’era nessuna necessità di muoversi, di spostarsi da lì, di staccarsi da lei.
Una voce antipatica nella sua testa gli disse che in verità una ragione c’era, anzi, che non avrebbe dovuto essercene nessuna per rimanerci, ma lui non riusciva a muoversi, paralizzato, con improvvisamente la paura perfino di respirare.
Si scostò appena, solo con il volto, e la vide tenere la testa bassa, senza fiatare, senza allontanarlo. Sapeva come lui che era tutto finito, ma rimaneva ferma immobile. Stava succedendo anche a lei di non riuscire a fare altro?
Riavvicinò appena il volto a quello di lei, sfiorandole una guancia con il naso, e perdendosi nella sensazione che non riusciva a isolare. Si sentiva come se qualcuno avesse fatto sparire la strada da sotto i suoi piedi, l’unico contatto che sentiva, quasi come se bruciasse, era quello del corpo di Felicity che stava tenendo ben saldo tra le sue braccia.
E il gesto che aveva fatto, davvero, non voleva essere una provocazione, ma non aveva resistito, voleva altro contatto, voleva non allontanarsi dal suo profumo, voleva... voleva quello che non immaginava di volere.
Ma quel gesto aveva scosso Felicity, che alzò il volto come se dovesse rispondere a una domanda diretta. Così quando Oliver ebbe addosso lo sguardo confuso di Felicity, si ritrovò spiazzato, non aveva immaginato che lei potesse rispondere positivamente... in verità non aveva pensato affatto, così come stava continuando a non pensare. Perché si stava veramente chinando verso di lei, stava davvero lasciando che il suo respiro accelerasse appena, come se fosse la prima volta.
E stava quasi per baciarla, quando una moto sfrecciò così rumorosamente nella via da farli sobbalzare e allontanare.
Felicity distolse rapidamente lo sguardo e si drizzò, aggirandolo appena.
“Ah... devo proprio rientrare, ora. Domani mattina non posso arrivare tardi al lavoro, sai, il nuovo capo... Però vedrò di fare il prima possibile un controllo nei registri degli ospedali, se c’è qualcosa dovrei riuscire a saperlo per domani sera...”
Detto questo, e sempre cercando di evitare il più possibile di guardarlo, guadagnò il marciapiede della strada principale.
“Felicity!” la chiamò Oliver, ma con un tono che sfiorava la supplica.
“Dimmi.”
La ferrea resistenza di lei lo lasciò quasi senza forze.
“Sei sicura di non volere che ti accompagni?”
“Sì, non manca molto, stai tranquillo. Del resto, ormai la parte brutta di The Glades è andata, di solito da qui è tutto relativamente tranquillo, se escludi le bande di rapinatori seriali che si radunano sui marciapiedi.”
Sorrise come a sdrammatizzare, si girò e se ne andò, lasciandolo con addosso un inutile senso di rassegnazione. Quando fu sparita dalla sua vista, si decise anche lui a tornare sui suoi passi e a recuperare la moto per tornare a casa.
 
*
 
Aveva quasi raggiunto il covo, di nuovo, e gli pareva fosse passato un secolo da quando lo aveva lasciato. Perché quello che era capitato e stava per capitare con Felicity gli sembrava appartenere a un altro mondo, alla vita di qualcun altro… alla sua non sarebbe potuto appartenere, non era innamorato di lei. Giusto?
Si mosse a disagio, prendendo un bel respiro mentre si rendeva conto che qualcosa non andava. Non ne era innamorato… allora perché reagiva così ogni volta che sentiva il suo profumo, perché adorava il modo in cui gli teneva testa quando litigavano, perché se aveva bisogno di ritrovare la via chiedeva sempre a lei? E, soprattutto, perché quando Felicity gli aveva detto che aveva passato un intero fine settimana a Central City con Barry, per poco non spezzava la freccia che stava affilando?
Si fermò e fissò un punto indistinto davanti a lui. Che cosa desiderava? Poteva immaginarsi mentre portava a termine quello che poco prima non gli era riuscito? Poteva immaginare di baciarla?
Per alcuni secondi gli mancò il fiato, poi serrò la mascella e si stropicciò la faccia con le mani.
“Sono un idiota! Che cosa ho fatto…”
Parlò al vento, perché con nessuno avrebbe potuto far uscire quelle parole. Sapeva che quello che lui stesso aveva appena messo a fuoco con chiarezza era pericoloso, per lei che poteva ritrovarsi davvero presa di mira solo per colpire lui, e per lui stesso, perché se pensava anche solo per un attimo di tenersela accanto come desiderava perdeva lucidità. E non poteva permetterselo.
Raggiunse la moto in fretta, deciso a usare la velocità per lasciare indietro il proprio amore, ma non era certo avrebbe funzionato.

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Capitolo 2
*** 2. Bisogna scegliere ***


Ecco qui la seconda e ultima parte di questa mia breve FF. Spero vi piaccia.
Grazie a chi mi ha lasciato un commento, sono sempre apprezzatissimi.

Buona lettura!


Profumo
Parte 2

Felicity aveva usato tutto il proprio controllo per riuscire a non mettersi a correre o a piangere mentre si allontanava da lui, ma ora era a casa, si era appena richiusa la porta alle spalle e poteva lasciar uscire quello che provava.
E allora perché non riusciva a fare neanche un passo? Si portò le mani alla bocca e cercò di ricordare, anche se le costava uno sforzo considerevole in termini di imbarazzo e vergogna.
La stava davvero per baciare? Oh, no, non è che stava per baciare lei, di questo era convinta. Era stata la situazione, e comunque il fatto che Oliver fosse… beh, Oliver, un giovane uomo abituato a essere ammirato dalle donne. Sì, era stato solo istinto, non altro. Per lui.
Perché lei invece aveva tremato per tutto il tempo. E se l’avesse baciata sul serio sarebbero stati guai. Già così non sapeva come avrebbe fatto a guardarlo in faccia la prossima volta, ma se fossero arrivati a baciarsi probabilmente non sarebbe riuscita a sopravvivere alla mortificazione di sentirsi dire che era stato per finta. Di nuovo.
Si liberò delle chiavi di casa che ancora stringeva in mano, si tolse la giacca e appese la borsa al solito posto, e poi si rifugiò in camera, senza neanche accendere la luce. Odiava il modo in cui si era lasciata ridurre da quello che provava per lui.
Non era mai stata sdolcinata o debole, ma da quando lo aveva lasciato entrare nel proprio cuore si era ritrovata a fare e pensare cose che proprio non le appartenevano!
Si cambiò al buio, infilandosi la camicia da notte con disegnata Mafalda, si tolse con rabbia l’elastico dai capelli e si gettò a letto a fissare il soffitto, finché uno scampanellio leggero alla porta di casa non la fece balzare in piedi.
Accese una luce bassa del corridoio e andò allo spioncino, pietrificandosi nello scoprire chi fosse.
Ok, che già l’avesse vista paralizzarsi fra le sue braccia era sufficiente per quella sera, ma che Oliver la vedesse anche in camicia da notte era proprio l’ultima cosa che voleva.
Ma la sua mano, infida e traditrice, stava già aprendo la porta.
“Oliver… tutto bene?”
Lo chiese sinceramente, il ragazzo pareva aver visto un fantasma tanto era teso.
“Sì. No. Posso entrare?”
Felicity esitò un attimo, ripensando a Mafalda disegnata sulla sua camicia da notte, poi si scostò e lo lasciò entrare.
“Di solito sono io quella che balbetta e dice più parole del necessario…”
Quando la porta si richiuse alle loro spalle si sentì stranamente in trappola. Non voleva affrontarlo, non subito, non poteva proprio.
Oliver mosse qualche passo in anticamera, gli occhi stranamente interessati al pavimento, poi si volse e le piantò addosso uno sguardo che la fece sentire così debole da dover cercare la porta alle sue spalle per rimanere dritta. Perché stava fissandola in quel modo?
“Nulla? Sei venuto per rimanere in silenzio a fissarmi come se avessi un drago che mi dorme tra i capelli?” sbuffò stampandosi un sorriso tirato in faccia.
“No, scusa… davvero… non ti volevo disturbare. In realtà sono arrivato qui senza neanche accorgermene…”
“Ah, ok… e quindi?”
Cominciava a non capirci più nulla.
“Quindi…”
Oliver provò a parlare, ma tutto quello che riuscì a fare fu abbassare lo sguardo, e questo fece recuperare un po’ di coraggio a Felicity.
“Oliver, sono sempre io… insomma, se c’è una cosa che non abbiamo problemi a fare, è parlare.”
“Sì, lo so. Ed è per questo che ho paura di quello che sto per fare.”
Felicity prese un respiro un po’ più lungo. Quindi ci aveva visto giusto, si sarebbe sentita dire quello che non voleva. Ma ormai non è che potesse dirgli di andarsene, così non disse nulla, si limitò a dargli tutta l’attenzione che poteva, mentre intrecciava nervosamente le dita delle mani dietro la schiena.
E Oliver seppe di avere ora la possibilità di parlare. Era davvero finito lì senza neanche accorgersene, da quando si era messo alla guida della moto aveva ragionato su troppe cose, ma ogni volta che aveva smesso di tenere sotto controllo i propri pensieri si era ritrovato a immaginare che cosa potesse voler dire smettere di negarsi ciò che voleva.
E voleva lei, in un modo che non capiva e che non si era aspettato. Non era mai stato così viscerale, e allo stesso tempo così ovvio e certo, come se fosse la cosa più naturale del mondo. Così cercò di prendere coraggio. Assurdo… aveva paura di farsi avanti con una donna.
“Quello che è successo prima… ah… io non credo di poter far finta di nulla…”
Lei non si mosse di una virgola, e stranamente non provò a parlare.
“Non l’ho fatto apposta, davvero, non me ne sono quasi accorto… è successo e basta. E ora non so come comportarmi, perché non voglio che sia tu a pagarne le conseguenze.”
Felicity scrollò le spalle e sorrise amaramente.
“Oliver… lo so, non ti preoccupare.”
Oliver la fissò, sorpreso.
“Lo sai? Come fai a saperlo?” Era stato così evidente per tutti tranne che per lui?
“Ma dai, mi credi così ingenua? Bionda sì, stupida no. Insomma, è piuttosto risaputo che determinate situazioni fanno ragionare voi maschietti con… non esattamente il cervello. Non importa, non ho intenzione di tenerti il broncio o farmi chissà quali strane illusioni.”
Oliver la fissò corrugando appena la fronte e rimase in silenzio per alcuni secondi.
“No, le cose non stanno così, Felicity… non mi stavo riferendo a quello. O meglio, sì ma…”
Oliver si bloccò di nuovo distogliendo lo sguardo da lei, poi parve riprendersi all’improvviso.
“Hai creduto che avessi tentato di baciarti solo per rispondere alla situazione.”
Non era una domanda, ma era chiaro che Oliver voleva una risposta, e Felicity, così sicura di sapere come stessero le cose, vacillò.
“Io… sì, mi pare ovvio…”
“Non è così… quando ho detto che non l’ho fatto apposta, che non mi sono accordo di quello che stava capitando… mi riferivo ad altro.”
Felicity, improvvisamente agitata, allargò appena le braccia e lo guardò, un filo esasperata.
“Allora a cosa?”
“Al fatto di essermi innamorato di te” rispose lui a bruciapelo.
Felicity rimase immobile, bloccata per alcuni secondi, poi scosse energicamente la testa puntandogli un dito contro.
“No, non puoi dirmi una cosa del genere, come se fosse un gioco. Oliver… non so perché ti sia passato per la testa di… però non puoi, non puoi dire una cosa del genere…”
Cominciò a piangere senza neanche rendersene conto, mentre Oliver copriva con pochi passi la distanza che li separava.
“Perché credi ti stia mentendo?”
“Perché non sarebbe la prima volta!”
Oliver rimase senza fiato, come colpito da una delle sue frecce.
“Ti ho ferita più di quello che credevo, vero?”
Felicity non rispose, ma non riuscì a distogliere lo sguardo come avrebbe voluto. Era così arrabbiata per quello che lui stava facendo… di nuovo.
“Perché stai piangendo?”
“Mi sarà entrato qualcosa negli occhi! Non credere nemmeno per un secondo che sia per te! Io non… non ho intenzione di essere…”
Oliver l’abbracciò all’improvviso.
“Ti amo.”
“Oliver! Smettila!” strillò lei con rabbia, mentre non osava posargli le mani addosso.
“Ti amo” ripeté lui, più determinato, costringendola a guardarlo negli occhi mentre glielo diceva. “E sì, puoi essere arrabbiata con me per quello che ho fatto, per averti usata in quel modo… ma se c’è una cosa che ho imparato dopo Slade è che i segreti uccidono, non proteggono. E io… ora forse mi sto dimostrando più egoista di allora, dicendoti quello che provo, perché ora probabilmente per colpa mia le cose cambieranno, e se qualcuno dei miei nemici si accorgesse di quello che provo tu finiresti davvero nel loro mirino. Ma le mie bugie mi hanno portato via così tante persone che…”
Prese fiato mentre le sue stesse parole gli facevano male, e senza accorgersene allentò la presa. Felicity si mosse appena e smise di piangere, osservandolo mentre distoglieva lo sguardo da lei, in volto dipinta un’amarezza che gli aveva visto addosso così tante volte.
Gli posò una mano su una guancia, facendolo trasalire.
“Non è stata colpa tua” disse, mentre sentiva di dover dire altro. Ma non ci riusciva, perché anche lei era spaventata, anche se da qualcosa di diverso rispetto a ciò che spaventava Oliver. “E... io ho paura, Oliver.”
Sapeva che lui non avrebbe capito, e infatti lo sguardo spaesato che le restituì le fece capire che lui non aveva la più pallida idea di come stessero le cose.
“Hai detto che per colpa tua cambieranno le cose, come se l'avermi detto che mi ami potesse rovinare la nostra amicizia... ma non è così...”
Sorrise a se stessa, perché un pochino aveva sempre provato pena per quelle ragazze che si comportavano come stava facendo lei ora.
“Io provo le stesse cose, ma probabilmente da più tempo di te. E non posso immaginare terrore più grande di perderti. So che è stupido, ma è così. E ora... ora vorrei solo gettarti le braccia la collo e non pensare più a nulla. Ma non posso non chiedermi per quanto riuscirò a tenere il tuo sguardo su di me. Non sono altro che... me, e non sono certa che me ti basti per tutto il tempo che vorrei. E quindi, ho paura, tanta...”
“Allora che cosa dovremmo fare? Far finta di nulla, quando probabilmente farà male anche solo stare nella stessa stanza?”
“Togli pure il probabilmente dalla frase, fa un male che stordisce.”
Oliver trattenne il fiato, mentre la guardava con occhi diversi. Le sfiorò appena la guancia con una carezza mentre le si avvicinava un po’.
“Non ti volevo ferire così, davvero.”
“Lo so, e in verità se pensi che sia stato quello che è successo con Slade a dare il via a tutto... be’, ti sbagli di grosso! Ok, ma ora devo smetterla di tirarmi la zappa sui piedi da sola dicendoti quanto sono stata patetica...”
“Felicity... non lo sei mai stata. Ma ora cosa vuoi fare?”
La ragazza trattenne un attimo il fiato, poi sospirò pesantemente e appoggiò la fronte contro la spalla di lu. Averlo così vicino, sapendo quello che provava... non riusciva a crederci, se lui non avesse continuato a tenerla stretta probabilmente non sarebbe riuscita a farsi tenere su solo dalle sue gambe.
“Bisogna scegliere tra vivere quello che proviamo e rischiare di non farlo funzionare, o ingoiare tutto e vederti andare avanti con la tua vita senza di me... non sto più nella pelle per la contentezza della scelta da fare...”
“Ma perché non dovrebbe funzionare? Non sei mai stata pessimista, perché ora sì?”
“Perché ora ho paura davvero! Oliver...”
Gli afferrò la maglia e si strinse a lui, impedendogli di vedere il suo volto.
Oliver le lasciò il tempo di calmarsi e sorrise, mentre davanti a lui si apriva il sipario sul cuore di Felicity. Sapeva che era una persona intensa e determinata, e vederla tremare così per la paura di fallire con lui lo lasciò lusingato, felice e terribilmente convinto che lei si sbagliasse di grosso.
“Come andrà dipenderà solo da noi, Felicity, da noi e dall’impegno che ci metteremo, perché il resto è già fatto.”
Lei scostò la testa, gli occhi lucidi, e lo fissò, interrogativa.
“Lo vedi che cosa stiamo facendo? Ci siamo detti di amarci e di avere tutti e due paura di come potrebbe essere terribile essere senza l’altro. L’emozione più forte tra tutte ha già deciso per noi, perché se quello che proviamo non fosse abbastanza forte non saremmo così spaventati.”
“Lo so... mi terrorizza quello che so che potrei fare per te...”
Oliver sorrise appena e si scostò.
“Allora scegli, perché dopo quello che hai detto non ho più dubbi su quello che voglio io. Manchi solo tu.”
Felicity aprì la bocca per obiettare qualcosa, ma non seppe che cosa dire, stava solo cercando un appiglio per ragionare e non lasciare che gli occhi di Oliver la tenessero così incatenata. Poi improvvisamente si rilassò contro di lui, perché davvero non poteva più ragionare e lasciò che Oliver nascondesse il volto tra i suoi capelli, di nuovo. Solo che questa volta erano sciolti e lui vi affondò come se non avesse voluto altro per ore. Lo sentì prendere un respiro più profondo, come se stesse annusandola, e la testa le girò mentre lo sentiva fare come quasi due ore prima.
Oliver sollevò appena il volto, le strofinò il naso su una guancia in una coccola questa volta più esplicita e poi si scostò appena per cercare le sue labbra, solo che non la baciò, ma rimase fermo, a sfiorarle appena mentre le lasciava il tempo di fare un passo indietro all'ultimo momento.
Felicity però non si sottrasse, rimase ferma a godersi quel non contatto per quel tanto che riuscì a resistere, poi si alzò appena un po’ sulle punte e lo baciò delicatamente, quasi a chiedere un permesso che sapeva di avere.
Fu sufficiente per Oliver, aveva ottenuto la risposta che voleva, e poté baciarla sul serio, come aveva immaginato di fare da quando era salito sulla moto per andare inconsapevolmente da lei.
Quella notte sarebbe rimasto a dormire da lei, accoccolato al suo fianco in un abbraccio più intimo di qualunque rapporto fisico, con tutt’attorno il suo profumo.

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