Alive

di allyourlittlethings_
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo ***
Capitolo 2: *** Amore a prima vista ***
Capitolo 3: *** L'incontro ***
Capitolo 4: *** Incontrollabile ***
Capitolo 5: *** Il cocktail ***



Capitolo 1
*** Prologo ***


Prologo

Era quel genere di ragazza che non mostrava i suoi sentimenti a nessuno, era chiusa in se stessa come se tutto quello che avesse dentro fosse un tesoro nascosto che lei, purtroppo ,non riconosceva. Era la solita asociale,insicura, timida, le cui guance si arrossavano per nulla. Se avesse potuto sarebbe diventata piccola piccola per non essere notata, a differenza delle sue coetaneee che facevano di tutto per mostrarsi, a volte in modo ostentato ed esagerato. Ma man mano che cresceva aumentava in lei l’interesse verso il suo aspetto fisico, come é giusto che sia. Ogni volta che passava fugacemente davanti a uno specchio guardava irritata la sua immagine, ricca di imperfezioni …ma lei non sapeva una cosa. Non sapeva che dentro lei nascondeva la perfezione, incatenata nel profondo del suo animo in attesa di essere liberata. Lei, ignara della perfezione che occultava, vedeva ogni sua parte del corpo come un qualcosa di sbagliato che la rendeva sempre la solita sfigata. Ma un giorno decise di cambiare. Era stanca di tutto, delle risatine maligne alle spalle, di guardare le altre ragazze ed esclamare “che belle”, degli indici puntati verso di lei come per dire “guardate quella li”. Cambiò tutto. Cambiò il suo atteggiamento impacciato, la sua camminata un po’ goffa, il suo modo di parlare, i suoi vestiti che forse erano un po’ infantili per la sua eta’, il suo taglio di capelli. Passo’ pomeriggi interi a sperimentare la sua nuova identita’, davanti allo specchio a mo’ di sfilata con i tacchi che la rendevano instabile fino a farla cadere. Ma non si arrendeva, ogni volta aveva la forza di rialzarsi, non si dava per vinta perchè lei era una ragazza determinata. Tinse i capelli di rosso poiché il suo nero naturale le faceva ribrezzo, nascose le lentiggini e i brufoli con il fondotinta, sostituì le gonne decisamente fuori moda con i leggings attillati, le camicette rosa con maglie scollate, le ballerine con stivali a tacco alto. Finalmente era pronta per uscire di casa con una nuova immagine di sé, più aggressiva e attraente. Era il primo giorno di scuola. Era pronta a dimostrare ai bulli ciò che prima non apparteneva a lei, quello che aveva tenuto nascosto fino ad allora. Era l’ora di svelare la vera Rose.

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Capitolo 2
*** Amore a prima vista ***


ROSE’S pov “Bip-Bip” A quel suono impreco sottovoce rompendo il muto silenzio della stanza, ricordandomi della scuola. Avevo passato una notte insonne e no, non possono essere già le sette. Tasto ad occhi chiusi nel buio la superficie del comodino, in cerca del mio cellulare facendo cadere la lampada con un tonfo, attutito dal tappeto sottostante. “Merda.”-sospiro, la giornata non era iniziata nel modo giusto. Apro gli occhi con molta fatica, come se fossero di metallo e osservo la stanza invasa dai raggi di sole che filtrano dalle piccole fessure della tapparella, disegnando nella parete una sottile striscia di luce, come per delinearne il perimetro. Per evitare altri danni accendo la luce e afferro il cellulare visualizzando l’ora sul display e sbuffo, nel vedere che sono realmente le sette. Mi alzo e mi trascino pigramente in cucina per la colazione. Appena mi vede, mia madre Margaret mi urla che sono inutile e potrei starmene a letto, ma non bado alle sue parole, ormai ci ho fatto l’abitudine dal momento che si è separata da mio padre e sicuramente questo periodo non è dei migliori. Anche il mio umore è pessimo e ingurgito controvoglia un paio di biscotti e latte freddo. In realtà non vedo l’ora di uscire da questa casa: dopo che mio padre se n’era andato improvvisamente è diventata inospitale e squallida, priva della vitalità di un tempo e mia madre non fa altro che peggiorare la situazione. Si sa, il primo giorno di scuola non è come tutti gli altri, si cerca sempre di dare una svolta, di cambiare. E questo non è il momento adatto a perdersi in depressioni varie, e corro in bagno per prepararmi al meglio. Per quest’anno mi ero preposta un cambiamento radicale rispetto all’anno precedente: andrò in una nuova scuola e non ho intenzione di essere presa in giro anche lì dai bulli. Osservo la mia immagine riflessa nello specchio sfiorandone la superficie, compiacendomi della tinta rossa che avevo applicato ai miei capelli qualche settimana fa. Il rosso mi piace, mi fa sentire forte come non mai. Do una sistemata ai capelli, mi trucco mascherando tutte le imperfezioni, tanto da assomigliare a una bambola e sorrido soddisfatta: ora mi sento più sicura, più bella e convinta di non essere l’ultima fra le ragazze come invece accadeva l’anno scorso. E’ come se il trucco e la finzione fossero la mia arma segreta, il mio scudo, la mia corazza contro i giudizi degli altri che sono la cosa che temo di più al mondo. Anche se sono la prima a dire di essere sè stessi, in fondo avverto anch’io quel desiderio impellente di mostrarsi agli altri facendo emergere una parte di me stessa che non mi appartiene. “Tanto ormai vivo in una società di travestiti, io che aspetto?” – finisco sempre col dire così, ma nel profondo avverto comunque dei sensi di colpa per quello che sto facendo. Ritorno in camera e apro l’enorme guardaroba che nelle ultime settimane avevo ingrandito utilizzando i soldi che mi aveva lasciato mio padre prima di partire. Rimango a fissare la grande quantità di vestiti per qualche minuto, senza però venirne a capo. E’ in questi momenti che risento della mancanza di un’amica alla quale chiedere consigli, un appoggio per qualsiasi situazione e mi rendo conto di quanto io sia dannatamente sola. Soprattutto in questo periodo, in cui persino mia madre sembra non accorgersi di me, quasi fossi trasparente. Ma la realtà è che sono sola come un granello di sabbia in mezzo al deserto ed è inutile cercare di non crederci, tanto è così. Da qualche tempo inoltre, cerco di distruggere l’oppressione della solitudine con l’autolesionismo. E’ il mio sfogo. “Everything that kills me makes me feel alive” canticchio le parole della mia canzone preferita che turbina in testa come un tormentone, mentre faccio scivolare le mani fra gli ometti dei vestiti. Non trovo parole più giuste di queste per esprimere ciò che penso. Infatti l’autolesionismo è un po’ come uccidersi, ma questo mi fa sentire particolarmente viva. Quando incido il mio polso, per un attimo il dolore provocato fa scomparire tutto il dolore che ho dentro facendomi percepire che non sono vuota ed inutile come penso. Lo so, dovrei smetterla, ma ne ho dannatamente bisogno. Finalmente trovo un paio di jeans stretti che potrebbero andare bene abbinati a una felpa degli Arctic Monkeys, band che ho iniziato ad adorare da quest’estate perché riflette il mio stato d’animo, il mio carattere un po’ ribelle. Infilo le mie doctor martens dall’aspetto un po’ vissuto ed esco richiudendo violentemente la porta di casa, come per voltare le spalle alla sofferenza. Piove. La pioggia mi piace, rende l’atmosfera più familiare, più simile alla mia condizione e questo mi infonde nel corpo un brivido di piacere. Salgo sulla bici e mi dirigo verso la scuola, incurante del fatto che mi sarei bagnata. Adoro le gocce che picchiettano incessanti sulle mie braccia, il loro rumore estremamente tranquillizzante, i capelli bagnati che si appiccicano al viso fino ad oscurare la vista. Inizio a scorgere la scuola in fondo al vialetto e le folle di studenti che continuano ad arrivare. Una volta giunta, mi limito a rifugiarmi ai bordi del piazzale tenendo saldamente il manubrio della bici, quasi per non lasciarla scappare e cercare sostegno in mezzo a questa moltitudine di persone che non conosco. Mi sento a disagio. I miei occhi all’improvviso si bloccano su una figura in mezzo alla folla simile a una scultura greca, perfetta. Mi avvicino un po’ strizzando gli occhi per vedere meglio e sì, è un ragazzo in carne ed ossa, che ride e scherza con i suoi amici. Si gira verso la mia direzione. Non sento più il battito del cuore. Una frazione di secondo, ma abbastanza per delinearne tutta la sua bellezza. Morbidi riccioli castani gli ricadono sul viso incorniciando un viso splendido dove spiccano occhi di un verde magnetico, quasi surreale. Indossa una polo con il collo ripiegato all’insù che lo fa apparire incredibilmente sexy, dei pantaloni stretti che evidenziano il fisico asciutto e muscoloso al punto giusto. Un dio. Rimango incantata per non so quanto tempo a guardarlo. Una ragazza, probabilmente vedendomi cosi persa e sotto la pioggia si avvicina a me preoccupata, ma la ignoro completamente. -Hey, che fai lì, sotto la pioggia? S-stai bene? Svegliaaa- mi domanda, facendomi risvegliare da quella specie di torpore mentale in cui sono immersa. Annuisco distrattamente continuando a fissare quel ragazzo. Mi porge l’ombrello, ma la respingo malamente dimenticandomi di nascondere il lato del mio carattere brusco e maleducato. La mia testa ora è come un groviglio che mi impedisce di ragionare, capisco solo di essere innamorata di quel ragazzo, questo è certo. Suona la campanella,tutti si precipitano all’ingresso e il ragazzo sparisce tra la folla. Lascio la bicicletta accasciata ad un albero che costeggia il viale e salgo titubante per le scale che accedono al piano terra. Sono smarrita, non conosco nessuno ne' tantomeno l'aula dove si terrà il mio corso. Faccio scorrere velocemente il dito sui tabelloni appesi sulle enormi vetrate dell'ingresso fermandomi al nome Rose Chifford. Il primo corso sarà di biologia, in un'aula al terzo piano. Sbuffo, un po' per la mia sensazione di essere un po' disadattata a tutto questo e anche per l'ansia di conoscere i nuovi compagni. Do un' occhiata fugace alla lista dei miei compagni di corso pur sapendo di non riconoscere nessuno e inizio a salire le scale fino al terzo piano. Arrivata lì scorgo la scritta a caratteri cubitali appena sulla sinistra: " AULA DI BIOLOGIA" E' proprio quella. Faccio un sospiro, devo mantenere il mio atteggiamento che ho preparato con tutte le mie forze, non posso permettere che il mio vecchio atteggiamento riemerga distruggendo tutto ciò che ho conquistato a fatica. So di essere in ritardo ma preferisco farmi qualche piccolo esame di coscienza prima di buttarmi in una nuova 'avventura'. 'Fingi Rose, sii tutto quello che hai sempre desiderato' mi ripeto mentalmente, e dopo essermi sistemata i capelli spettinati per via della pioggia e del vento, busso. -toc,toc- -avanti- risponde una voce maschile dal tono deciso. Apro timidamente la porta mettendo in mostra uno dei più grandi sorrisi (e anche dei più finti) che io abbia mai avuto. - Buongiorno- riesco a spiaccicare un saluto seppur con la voce strozzata-sono Rose Clifford, scusi per il ritardo- Non riesco a guardare in faccia nessuno, sebbene mi sforzi, la timidezza è più forte di me. Ho sempre odiato le situazioni in cui si è al centro dell'attenzione. -Buongiorno Rose. La prossima volta cerca di essere puntuale, siediti pure accanto a Louis la' in fondo - Vado al posto indicatomi dal prof dando un'occhiata in giro per la classe cercando invano quel ragazzo stupendo che avevo visto poco prima, ma mi accorgo che il Louis citato dal prof e' nientemeno che uno degli amici con cui scherzava il ragazzo. Brividi di gioia. Mi siedo accanto a Louis, che si presenta stringendomi la mano terribilmente fredda accompagnando il tutto con un sorriso sincero. Dopotutto è un bel ragazzo, amo già i suoi capelli un po' spettinati che gli danno un'aria originale e ribelle. Indossa una canotta nera un po' scollata che mette in evidenza i tanti tatuaggi che ricoprono le sue braccia e il petto, a dire il vero un po' bizzarri e curiosi che non ho mai visto prima. La lezione scorre veloce ed è come se fossi in aula solo fisicamente, la mia mente infatti è da tutta altra parte, a sognare il ragazzo fuori da scuola, le sue linee perfette e il suo sorriso mozzafiato. < Signorina Rose! Svegliaaa!> ad un tratto sento gridare il prof e io, con la faccia di chi si è appena svegliato mi guardo in giro smarrita e sento Louis che mi richiama afferrandomi il braccio. < Rose, qui > mi indica Louis le righe sul libro con aria incredibilmente paziente mormoro con le guance rosse dalla vergogna. Avrei preferito sparire in quel momento. Inizio a leggere sforzandomi invano di capire, ma continuo a distrarmi. < Allora Rose dimmi, con quale strumento si può osservare i fenomeni citati?> "Oh sono nella merda" mi dico. Louis mi sussurra la risposta senza farsi notare ma è un nome incomprensibile, del quale apprendo solo la prima parte. Non faccio in tempo ad aprire bocca che suona la campanella. Tiro un sospiro di sollievo. -Che fortuna ahah- mi dice Louis -eh già-rispondo io sorridendo -vedo che ti piacciono gli arctic Monkeys- dice osservando la mia maglietta -si!- -anche a me piacciono sai? Adoro quel tipo di rock, è bestiale- - wow non pensavo piacessero anche ai ragazzi di qui- - ah si? Vieni da fuori allora- - si, vengo dal cheshire però ora abito qui- - ho un amico che viene pure lui dal Cheshire, all'uscita te lo presento - -oh con piacere- dico, sperando con tutto il cuore che sia quel ragazzo. La mattinata passa veloce ed è già ora di tornare a casa. All'uscita vado da Louis e aspettiamo insieme che esca il suo amico. Sono impaziente, continuo a tamburellare le dita sui fianchi. - Harry!- grida Louis facendo cenno con la mano. Alzo lo sguardo e fremo.

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Capitolo 3
*** L'incontro ***


Lascio la bicicletta accasciata ad un albero che costeggia il viale e salgo titubante per le scale che accedono al piano terra. Sono smarrita, non conosco nessuno ne' tantomeno l'aula dove si terrà il mio corso. Faccio scorrere velocemente il dito sui tabelloni appesi sulle enormi vetrate dell'ingresso fermandomi al nome Rose Chifford. Il primo corso sarà di biologia, in un'aula al terzo piano. Sbuffo, un po' per la mia sensazione di essere un po' disadattata a tutto questo e anche per l'ansia di conoscere i nuovi compagni. Do un' occhiata fugace alla lista dei miei compagni di corso pur sapendo di non riconoscere nessuno e inizio a salire le scale fino al terzo piano. Arrivata lì scorgo la scritta a caratteri cubitali appena sulla sinistra:
" AULA DI BIOLOGIA"
E' proprio quella. Faccio un sospiro, devo mantenere il mio atteggiamento che ho preparato con tutte le mie forze, non posso permettere che il mio vecchio atteggiamento riemerga distruggendo tutto ciò che ho conquistato a fatica. So di essere in ritardo ma preferisco farmi qualche piccolo esame di coscienza prima di buttarmi in una nuova 'avventura'.
'Fingi Rose, sii tutto quello che hai sempre desiderato' mi ripeto mentalmente, e dopo essermi sistemata i capelli spettinati per via della pioggia e del vento, busso.
-toc,toc-
-avanti- risponde una voce maschile dal tono deciso.
Apro timidamente la porta mettendo in mostra uno dei più grandi sorrisi (e anche dei più finti) che io abbia mai avuto.
- Buongiorno- riesco a spiaccicare un saluto seppur con la voce strozzata-sono Rose Clifford, scusi per il ritardo-
Non riesco a guardare in faccia nessuno, sebbene mi sforzi, la timidezza è più forte di me. Ho sempre odiato le situazioni in cui si è al centro dell'attenzione.
-Buongiorno Rose. La prossima volta cerca di essere puntuale, siediti pure accanto a Louis la' in fondo -
Vado al posto indicatomi dal prof dando un'occhiata in giro per la classe cercando invano quel ragazzo stupendo che avevo visto poco prima, ma mi accorgo che il Louis citato dal prof e' nientemeno che uno degli amici con cui scherzava il ragazzo. Brividi di gioia. Mi siedo accanto a Louis, che si presenta stringendomi la mano terribilmente fredda accompagnando il tutto con un sorriso sincero. Dopotutto è un bel ragazzo, amo già i suoi capelli un po' spettinati che gli danno un'aria originale e ribelle. Indossa una canotta nera un po' scollata che mette in evidenza i tanti tatuaggi che ricoprono le sue braccia e il petto, a dire il vero un po' bizzarri e curiosi che non ho mai visto prima. La lezione scorre veloce ed è come se fossi in aula solo fisicamente, la mia mente infatti è da tutta altra parte, a sognare il ragazzo fuori da scuola, le sue linee perfette e il suo sorriso mozzafiato.
< Signorina Rose! Svegliaaa!> ad un tratto sento gridare il prof e io, con la faccia di chi si è appena svegliato mi guardo in giro smarrita e sento Louis che mi richiama afferrandomi il braccio. 
< Rose, qui > mi indica Louis le righe sul libro con aria incredibilmente paziente 
mormoro con le guance rosse dalla vergogna. Avrei preferito sparire in quel momento. Inizio a leggere sforzandomi invano di capire, ma continuo a distrarmi.
< Allora Rose dimmi, con quale strumento si può osservare i fenomeni citati?> 
"Oh sono nella merda" mi dico. Louis mi sussurra la risposta senza farsi notare ma è un nome incomprensibile, del quale apprendo solo la prima parte. Non faccio in tempo ad aprire bocca che suona la campanella. Tiro un sospiro di sollievo.
-Che fortuna ahah- mi dice Louis
-eh già-rispondo io sorridendo
-vedo che ti piacciono gli arctic Monkeys- dice osservando la mia maglietta
-si!-
-anche a me piacciono sai? Adoro quel tipo di rock, è bestiale- 
- wow non pensavo piacessero anche ai ragazzi di qui- 
- ah si? Vieni da fuori allora-
- si, vengo dal cheshire però ora abito qui-
- ho un amico che viene pure lui dal Cheshire, all'uscita te lo presento -
-oh con piacere- dico, sperando con tutto il cuore che sia quel ragazzo.

La mattinata passa veloce ed è già ora di tornare a casa. All'uscita vado da Louis e aspettiamo insieme che esca il suo amico. Sono impaziente, continuo a tamburellare le dita sui fianchi. 
- Harry!- grida Louis facendo cenno con la mano.
Alzo lo sguardo e fremo.

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Capitolo 4
*** Incontrollabile ***


Occhi verde smeraldo. Ricci morbidi che se ne vanno da tutte le parti e che vengono puntualmente risistemati dal ragazzo in un gesto plateale. Bocca sottile in perfetta armonia con i suoi lineamenti delicati. Braccia muscolose ricoperte da tatuaggi. Polo sbottonata. Ci vede,e sul suo volto compare una leggera smorfia complice. Si avvicina con passo svelto e da' una pacca sulla spalla a Louis lanciando un'occhiata a me e successivamente guardando il suo amico con aria interrogativa. 
- Nuove conquiste neh, Lou?- dice scherzoso facendo l'occhiolino a Louis. Farfalle nello stomaco.La sua voce è così roca e sensuale.
- Ahah no haz, lei è Rose Chifford, la mia nuova compagna. Rose, lui è Harry Styles.
Sig. Styles sposta lo sguardo su di me, squadrandomi con la bocca piegata in un lieve sorriso.
Avverto le farfalle nello stomaco agitarsi e minacciare di uscire rimanendo poi intrappolate in gola, rendendomi incapace di parlare. Potrei scoppiare da un momento all'altro. Cerco disperatamente un punto di fuga a tutte queste emozioni che mi riscaldano le membra fino a scottarle e salgono fino alla bocca, impregnandola di un sapore nuovo, un sapore amaro e dolce allo stesso tempo. Abbasso lo sguardo, sulla punta delle mie doctor martens. E mi pento subito dopo, consapevole che la timidezza ha ancora vinto. Scaccio quel demone dalla mia testa e sorrido guardando dritto negli occhi a quel riccio che pare un dio. E solo ora mi accorgo che hanno il colore dell'erba di primavera, quel verde che alla luce del sole brilla di mille sfumature e al buio diventa profondo, più del mare, in cui ti potresti perdere e non riemergere più. Mi porge la mano che, titubante, stringo delicatamente.
-P-piacere- balbetto, senza abbandonare quel sorriso che ho dipinto sul volto da quando è comparso Harry.
Anche lui mostra un sorriso in risposta, un sorriso cordiale e incredibilmente ampio in grado di infondere gioia a chiunque lo guardi. Mi costringo a spostare lo sguardo altrove per non destare alcun sospetto, per evitare di venire catturata da quello che pare sia amore a prima vista. Per quanto queste nuove sensazioni siano piacevoli, ho paura. Ho paura di innamorarmi, perché non ho idea di cosa sia l'amore dal momento che non l'ho mai ricevuto ne' tantomeno dato. E' come se mi inoltrassi in un dedalo di strade sconosciute. Si aggroviglieranno ancora di più fino a farmi soffocare? Oppure mi guideranno verso la felicità?
Ho sempre avuto paura di tutto ciò che non conosco. Non sono mai stata curiosa, non sono quel genere di ragazza che si butta in nuove esperienze ad occhi chiusi, che si ciba di emozioni mai provate. Non sono mai andata sulle montagne russe, non ne ho mai avuto il coraggio. La novità mi spaventa. E cerco, per mio istinto naturale, di evitarla. Ma si può evitare di innamorarsi? 
- Mi ha detto che viene dal Cheshire-
La voce cristallina di Louis mi riscuote dai pensieri che invadono la mente.
- Si, più precisamente da Holmes Ch..-
- Incredibile, vengo anch'io da li- mi interrompe Harry, con gli occhi che brillano dalla sorpresa.
Rimango a bocca aperta. Possibile che io non abbia mai visto un ragazzo del genere nella mia città? Forse sta scherzando, eppure la sua voce nel pronunciare quella frase non aveva nulla di ironico o alterato.
- wow- esclamo, sbarrando leggermente gli occhi.
- N-non ti ho mai visto Styles- aggiungo, usando un tono il più distaccato possibile, come per forzarmi a non apparire interessata a lui.
- Neanch'io- risponde, lasciandosi sfuggire un ghigno rivolto a Louis. Per un attimo ho avuto l'impressione di captare una sorta di complicità tra Louis ed Harry, come se mi stessero nascondendo qualcosa, il che mi dà in po' di fastidio.
- Beh,ora vado da Ashlee, a domani- dice ad un tratto Harry spostando lo sguardo oltre la mia testa. Mi sento crollare il mondo addosso mentre sussurro un 'ciao' che molto probabilmente non sarà giunto alle sue orecchie. Seguo con lo sguardo Harry, che raggiunge una ragazza alta quasi quanto lui, magra e aggraziata. Le cinge i fianchi e la bacia appassionato.
'Crac'. Credo che dentro di me qualcosa si sia rotto. Sono io che vado a pezzi, o solo il mio ottimismo che mi aveva illuso fin da subito? Oppure è la gelosia che mi corrode? 
Sento come se l'asfalto sotto di me si staccasse dai miei piedi, inghiottendomi in un vortice mentre il mio sguardo è ancora là, su quella coppia i cui corpi non si decidono ancora a staccarsi. Non avrei dovuto innamorarmi, dovevo restare fedele alla mia paura, che in fondo voleva solo avvertirmi in che situazione mi sarei andata a cacciare. Ma è facile seguire l'istinto e poi ricoprirsi di condizionali, su cosa avrei dovuto fare e cosa no, è facile fare passi avanti e poi voler tornare indietro.

"So can we start it all over again?"

Mi volto in cerca di Louis, che probabilmente si sarà fatto qualche domanda in tutto quel tempo che io sono rimasta a fissare Harry e la sua ragazza, ma non c'è nessuno attorno a me, la folla ormai si è già dileguata. E mi sento terribilmente sola, abbandonata a me stessa e ai miei rimorsi. Prendo la bici e mi avvio verso casa.

"Illusion never changed

Into something real

I'm wide awake

And I can see the perfect sky is torn"

Canticchio, mentre la pioggia ricomincia a scendere lieve facendo stridere le gomme della bici in frenata davanti a quella che non ho il coraggio di chiamare casa. Una casa con la C maiuscola dovrebbe essere un rifugio,un luogo accogliente e sereno. E nella mia di casa tutto questo non è mai esistito, anzi.

Entro e ciò che vedo spero solo sia un brutto incubo. Mia madre accanto ad un uomo, uno di quelle persone che si portano dietro l'odore di whisky e vodka dalla mattina alla sera come se fosse profumo, uno di quelli con gli occhi persi nel vuoto sempre velati, in cui è impossibile vederci se non buio, buio dell'anima offuscata dall'alcool. E se ne sta li, sul divano con un braccio che cinge le spalle di MIA madre e l'altro che regge una bottiglia vuota, l'ennesima a quanto pare, visto che ce ne sono altre vuote sparse sul tappeto. Sbatto la porta, in preda a una crisi nervosa e forse anche esistenziale. 
" perché tutte a me?"
Mi butto sul letto e piango come se non ci fosse un domani, urlando qualche volta un' insulto verso mia madre e la mia vita, che a questo punto non vale assolutamente la pena di essere vissuta.

'I wish That i could wake up with amnesia

And forget about the stupid little things ...'

Mi interrompo, sentendo bussare la porta della mia camera.

-Rose, lascia che ti spieghi- urla mia madre

-Non ci sono spiegazioni, non voglio più vedere quell'essere che ti porti dietro, via!- le urlo contro, come se fossi animata da un demone.

- Hai fatto di tutto per rendere la mia vita un incubo e ora con quella merda di persona che hai portato qui dentro hai raggiunto l'apice!- aggiungo tutto d'un fiato.

- Ma Rose, e' una persona dolce, credimi, dovresti conoscerlo!-

- Si, la dolcezza della vodka che lo riempie dalla testa ai piedi-

-Ma..-

- Niente ma, me ne vado via da qui. E non ritornerò facilmente.-grido con la voce rotta dal pianto, e con questa frase inizio a buttare un paio di tacchi e qualche vestito nello zaino alla rinfusa, insieme a quei pochi soldi del salvadanaio.

Sento mia madre disperata urlarmi di non andare . Ma sono impassibile, le passo davanti senza degnarla di uno sguardo animata da una furia ribelle e dalla volontà di voltare pagina e ricominciare da capo nonostante il passato abbia inciso la mia anima, ma sono determinata a porre fine a tutto questo circolo vizioso di odio, finzione, egoismo e menefreghismo.
Ho bisogno di fuggire da questa situazione che mi sta lacerando e non avvertirla più sulla mia pelle. So che questa scelta può sembrare avventata e discutibile, ma ammetto che non sono stata io a volere ciò. Hanno agito per me tutto quell'odio e quella rabbia repressa che oggi hanno ripreso a ribollire, esplodendo incontrollabili.
Mia madre cerca di trattenermi afferrandomi violentemente per il braccio ma la spingo indietro con una forza che non credevo di possedere. Lancio un ultimo sguardo carico di odio a quella casa che in solo 4 mesi che la abitavo non ha fatto altro che ferirmi, buttarmi in un baratro dal quale non sarei mai più emersa. E guardo disgustata quell'alcolizzato che se ne sta inerme sul divano a osservare la scena senza intervenire, la sua faccia rossa dall'alcool, senza riuscire a provare un briciolo di pena.

- hai solo 16 anni, dove credi di andare?!?- dice mia madre tra i singhiozzi.

- andrò molto più lontano da sola che qui con te-dico con un accenno di sorriso.
-addio- aggiungo poi, scandendo le lettere.

-Ferma!-

- Margaret, lasciala stare vieni qui- interviene l'uomo con una voce profonda e flebile, come se l'ultimo neurone rimasto stesse soffocando.

- No, non la lascerò andare-

-troppo tardi- ghigno, e chiudo la porta di casa con l'espressione di chi sa di avere la vittoria fra le mani, la libertà scorrere nelle vene, incontrollabile.

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Capitolo 5
*** Il cocktail ***


Prendo la mia inseparabile bici e fuggo. Mia madre cerca di inseguirmi, ma é costretta a desistere con un 'ti prenderò, Rose'.

'We got to live before we get older

Do what we like

We got nothing to lose

Shake off the weight of the world from your shoulders

We got nothing to prove'

Canto l'inno della mia libertà, mentre sfreccio lungo viali, stradine, ponti e piazze della Londra periferica sentendo la vita pulsare dentro di me.

Continuo a pedalare scoprendo zone di Londra che in quattro mesi non ho avuto il tempo di esplorare e chiunque può leggere la meraviglia nei miei occhi nel vedere i grattacieli che sembrano sfiorare il cielo, le vetrine dei negozi lussuosi che potrò solo guardare, l'allegria che trasmettono gli artisti di strada, la musica che inonda le stradine di vitalità. L'aria è fresca e mi riempie polmoni infondendomi coraggio e tranquillizzandomi. Ma all'improvviso quel senso di libertà svanisce, lasciando spazio alla paura. Oh, non ci avevo pensato. Io e quella fottuta fobia delle cose nuove. Mi fermo,sfinita ,come se la paura stessa mi avesse risucchiato tutte le energie mentre a poco a poco il giorno lascia spazio alla notte, colorando il cielo di un vago rossore leggermente oscurato dall'inquinamento proveniente dalle industrie a est di Londra. No, non mi pento di nulla, la libertà non ha prezzo, riuscirò a sconfiggere la paura che mi immobilizza in tutte le situazioni sconosciute. Questioni di sopravvivenza. Ma ora dove sarei andata? Come mi sarei guadagnata da vivere? Tutto l'entusiasmo iniziale mi ha lasciato un vuoto dentro, che dovrei riempire di sicurezze e punti fermi. Ma dove trovare tutto ciò?

Scorgo sull'angolo della 26th avenue una pizzeria d'asporto, dove mi dirigo, pensando che lo stomaco pieno avrebbe colmato in parte il vuoto. Ordino una pizza Margherita, che in pochi minuti viene sfornata e decido di consumarla nel piccolo parco li' accanto. Tira un leggero venticello fresco che mi fa venire la pelle d'oca. Cerco nello zaino una felpa e la indosso, tremante. Il parco ha un che di sinistro, avvolto nella penombra, così vuoto e privo di bambini, a questo orario insolito. Prendo il cellulare osservando che sono le 8 p.m. Dove sarei andata stanotte? Ho come l'impressione che la libertà che ho in mano sia troppo grande per essere gestita, troppo grande per una sedicenne che sa ancora ben poco della vita, che ha ancora il terrore del futuro e allo stesso tempo é fin troppo sconsiderata di ciò che fa. E sulla panchina di un parco avvolto ormai nell'oscurità, che pare invisibile così nascosto tra gli edifici, aggrappandomi alle uniche cose che rimangono di me stessa e della mia vita, lo zaino e la bici, piango in silenzio, soffocando i singhiozzi e i gemiti in gola, scaricando la rabbia mista a sensi di colpa che mi é rimasta dentro. Non so neppure chi sono io, ora. Una sedicenne vagabonda di cui nessuno si accorgerà, una anonima ragazza svuotata di tutto.

Vorrei dimenticare tutti i miei problemi esistenziali e di tutte le mie paure. La discoteca sembra essere la soluzione più adatta in questo momento. Faccio appello a tutte le forze che mi rimangono e salgo sulla bici, pedalando fino a che non vedo l' insegna luminosa " London disco". Fuori, forse perché è ancora presto, oppure perché è Lunedì, non c'è nessuno. Ci sono invece molte bottiglie vuote, sparse in mezzo ai vetri rotti, non ancora rimosse dalla serata precedente. Parcheggio la bici poco più in là e il mio riflesso sulla vetrina mi fa notare che indosso ancora felpa e dr martens. Sorrido amaramente, mentre penso a quanto mi sia dimenticata di me stessa. Dovrò cambiarmi, se voglio entrare. Un ragazzo ubriaco esce a stento dall'ingresso della disco appoggiandosi alle pareti. All'improvviso mi ritorna in mente l'immagine dell'uomo che ha portato a casa mia madre oggi e un'ondata di ribrezzo mi travolge. Non sono più così sicura di voler entrare lí dentro. Ma attraverso la vetrata scorgo ragazzi felici e spensierati, i cui corpi si muovono a ritmo di musica, che riesco a sentire sin da fuori. Non un velo di tristezza, solo divertimento. Vengo attratta dai quei sorrisi e quegli sguardi che pensano solo allo sballo. Appena entro, l'odore di alcool mi risucchia attirandomi verso la sala, mentre la musica prende il controllo sul mio corpo facendolo muovere a suo piacimento. Corro in bagno a cambiarmi, cercando di ignorare invano tutte quelle persone che in bagno ci vanno per fare ben altro. Ragazzi svuotati dell'anima e riempiti di droga, le siringhe sparse per terra e quegli sguardi apatici e bui simili a quelli dei peluches. Il locale troppo affollato, che sa fin troppo di alcool e fumo, si trasforma presto in un teatro di azioni orripilanti e disgustose. Mi affretto a infilarmi un vestito corto nero e dei tacchi vertiginosi. Corro via raggiungendo la sala che si sta riempiendo notevolmente. Abbandono lo zaino su un divanetto accanto a me e lascio che la musica mi trasporti, staccandomi dai pensieri che mi stanno strangolando. La musica è altissima, tanto da sentirla scandire il ritmo del mio battito cardiaco, come un martello. Chiudo gli occhi e mi abbandono a questa sensazione che mi fa sentire viva sia dentro che fuori, capace di colmare un po' i buchi che la giornata ha lasciato. Vorrei che il tempo si congelasse, catturando dentro di sé questo piacere, senza lasciarlo svanire. Mi dirigo a stento spingendo tra la folla verso il bancone del bar, dove prendo un cocktail leggero, giusto per sciogliermi un po'.

Ad un tratto avverto una mano che mi afferra per il braccio e mi attira a se'. Cerco di divincolarmi, ma la presa è troppo forte. Alzo lo sguardo e inorridisco nel vedere un ragazzo muscoloso e alto torreggiare su di me, con una smorfia compiaciuta sul volto.

-Lasciami! - grido, cercando di superare il volume della musica assordante.

- ehi bella- dice, mollando la presa

-ti va di ballare con noi? Ci dispiace lasciarti sola- aggiunge con aria innocente un ragazzo moro più mingherlino, dalla pelle dorata e gli occhi che, nonostante siano marroni, brillano di una luce insolita.

-n-non so- dico confusa, non capendo ancora cosa stesse succedendo. La musica riecheggia in testa, rendendomi incapace di ragionare e l'affollamento del locale mi fa mancare il respiro. Ho deciso di rispondere con un neutro 'non so', che non è bianco ne' nero, come per salvarmi da una situazione che non mi va a genio. Da un lato ho paura della sua reazione, dall'altra non mi dispiacerebbe ballare con quel moro dall'aria innocente. Lancio uno sguardo al moro e rapita dalla sua bellezza annuisco appena, forse anche intimidita dallo sguardo del ragazzo muscoloso. "In che

guaio mi sto cacciando' mi dico. Lo so, sono un controsenso. Troppo tardi per rimangiare ciò che ho detto. Vengo spinta al centro della sala e mi ritrovo incastrata fra i corpi dei due ragazzi . Il moro mi cinge i fianchi mentre l'altro fa scivolare le sue mani lungo le mie braccia ma li allontano, forse hanno capito che io sia una ragazza facile. Si sbagliano. O forse sono io che non ho compreso il concetto di 'ballare insieme', o perlomeno cosa possa significare per loro?' Che stupida, avrei dovuto pensarci prima. Ad un tratto il tipo muscoloso scompare e ritorna poco porgendomi il cocktail che avevo lasciato sul tavolino.

- credo che tu abbia dimenticato qualcosa-

-ah si vero, grazie-

Gli do' un sorso.

- Rose, no!- una voce familiare giunge alle mie orecchie e per un attimo intercetto lo sguardo allarmato di Louis, che rapidamente si avvicina. Ma nel frattempo un brivido mi scorre lungo il corpo appannando i sensi, la ragione e poi, buio.

LOUIS' POV

Sono seduto su un divanetto della London disco accanto a Niall, un amico che non vedo da tempo perché si è trasferito lontano dal mio quartiere. Abbiamo deciso di incontrarci proprio qui, poiché è un locale a metà strada, non troppo lontano per entrambi. L' atmosfera è carica di sballo e divertimento, ma non siamo intenzionati a perdere la ragione come gli altri, si tratta solo di un semplice incontro fra amici, accompagnato da un aperitivo leggero, di quelli che si bevono in compagnia.

- Lou, ti ricordi quando eri il mio vicino di casa? Bei tempi quelli, quando scappavamo da tutto e da tutti e ce ne andavamo in quel nascondiglio del quale solo noi due sapevamo l'esistenza- sospira Niall, nostalgico.

- eh già Nì-

Niall mi fa cenno di andare fuori a fumare una sigaretta. Lo seguo, non perché avessi bisogno di fumare, solo per fargli compagnia. Intravedo una timida figura in bicicletta, illuminata appena dalla luce fioca del lampione. La figura scende dalla bici e, in un attimo in cui la luce le illumina appieno il volto, mi accorgo con stupore che è Rose. Che ci fa qui, dalla parte opposta della città, a quest'ora da sola? Non ho il tempo neanche di chiamarla, che Niall mi tira dentro per il braccio dicendo:

- c'è Liam!-

- Hey Niall! E Lou, da quanto tempo!-

- Ciao!- dico controvoglia, senza un velo di sorpresa. Liam è il migliore amico di Niall, ora frequentano la stessa scuola e sono come fratelli. Però a me sta antipatico, nonostante lui sia sempre cordiale con me. È una di quelle antipatie di cui non sai l'origine o il motivo, così, come se bastasse un solo sguardo a respingermi da lui, come due calamite. Non voglio credere che la mia sia una fottuta gelosia, sarebbe da vigliacchi. E ' da tanto che non lo vedo per via della distanza, ma non sono felice di rivederlo, al contrario di lui. Ci sediamo nei divanetti un po' lontani dal centro della sala, troppo affollata. Mi guardo in giro, chissà se nel frattempo è entrata Rose oppure ha semplicemente proseguito lungo la strada. La musica è talmente forte che fatico ad ascoltare i discorsi di Niall e Liam accanto a me. Decido di non interessarmi e non partecipare alla chiacchierata, mentre il mio sguardo continua a cercare Rose, la ragazza dai capelli rossi e lunghi, così misteriosa e bella. Perché mi preoccupo così tanto di lei? È solo una compagna di banco, e per di più ci conosciamo solo da un giorno. Scaccio via l'ipotesi di una cotta, non voglio nemmeno pensarci, visto che manca poco al mio fidanzamento con Alexia. Soprattutto se si tratta di un fidanzamento forzato come il mio. Sospiro, pensando alle parole di mio padre, quando mi annunciò che avrei dovuto stare assieme ad Alexia, solo per i suoi affari, solo per farsi amico dei suoi genitori, proprietari di una delle aziende più ricche di Londra. Quanto lo odio per questo. Alexia non è brutta, anzi è molto desiderata in tutta la scuola, forse anche perché è ricca, ma non è quel genere di ragazza che voglio. Μa non c'è stato verso di spiegarlo a mio padre, mi ha subito riempito di minacce.

Ad un tratto Una chioma rossa attira la mia attenzione. E' lei, Rose. Indossa un vestito nero corto e dei tacchi altissimi che la fanno apparire bellissima. No, non può essere la stessa Rose che ho conosciuto stamattina. Avverto qualcosa in gola che minaccia di soffocarmi con il suo calore. Provo a deglutire ma non ci riesco. Che mi prende? Gli occhi rimangono incollati alla figura di Rose che balla da sola con movimenti sensuali, i più aggraziati che io abbia mai visto.

' Little black dress just walked into the room

Making head can't get stop looking at you

It's so right, it's so right, it's so right to know'

Il testo della canzone di sottofondo non può essere più azzeccata. Mi cullo tra l'immagine di Rose e la canzone. La vedo raggiungere il bancone e prendere un cocktail. Ha degli atteggiamenti semplici e fini allo stesso tempo, a differenza delle altre ragazze che desiderano solo guadagnarsi lo sguardo dei ragazzi. Mi fa tenerezza, così sola e spaesata, quasi avesse paura della gente attorno. Potrei andare là a farle compagnia, ma ho come un blocco dentro, una voce interiore che mi immobilizza, in contrasto con il mio inconscio che è attratto irrimediabilmente a lei. Improvvisamente un gruppo di ragazzi dall'aria misteriosa e strana si avvicina lei, ma fatico a riconoscerne i volti poiché sono girati di spalle. Sembrano discutere con lei. Un gruppo di altri ragazzi passa davanti, Rose scompare. Un senso di irrequietezza mi travolge, deve averlo notato anche Niall, dal momento che mi rivolge uno sguardo interrogativo.

'Oh niente'

'Mi sembri molto strano Lou stasera'

'È tutto okay, tranquillo'- concludo velocemente, cercando di intravedere Rose, ma niente. Ora la sala si è riempita ed è difficile pure ballare senza rischiare di colpire qualcuno. L'aria è pesante, carica di alcool e fumo. E fa caldo, troppo caldo.

'Niall, vado in bagno un attimo'

'Ok' - risponde distrattamente, continuando a parlare con Liam.

In realtà voglio andare da Rose, troppa è l'inquietudine e la curiosità di scoprire i volti di quei tizi dall'aria non troppo innocente. Avendo cura di nascondermi tra la mischia per non farmi vedere da Niall, raggiungo il bancone. Riconosco immediatamente dalla corporatura massiccia uno del gruppetto che si era avvicinato a Rose. Egli da' un'occhiata in giro e tira fuori dalla tasca qualcosa che non riesco a realizzare, tanta è la velocità con cui lo immerge in un cocktail che pare abbandonato poco più in là.

'Ma quello è il cocktail di Rose!' Mi viene da urlare, ma la voce mi si spegne in gola, bloccata dal panico. Non ci vuole un genio per capire che Rose sta per essere avvelenata da una pasticca. Si, quella che ha tirato fuori così lestamente non può essere altro che droga. Spingo la folla violentemente, urlando il nome di Rose con tutte le forze e seguendo quel dannato uomo. Sento gli occhi puntati su di me, ma nessuno si sofferma più di tanto, e riprendono tutti a ballare.

'Rose! Rose, no! Rooose!' grido pestando i piedi per terra e agitando le mani, alla vista di Rose con il cocktail in mano.

Mi faccio largo tra la gente, urtandola e spostandola bruscamente, ma arrivato sul posto, Rose ha già bevuto il cocktail. Troppo tardi.

'Rose no!!' ripeto, con la rabbia che mi lacera il petto e mi brucia le vene.

Lei mi guarda per un istante, con uno sguardo tutt'altro che lucido. Chissà se mi ha riconosciuto. Socchiude gli occhi e si accascia per terra, svenuta. Mi precipito su di lei, con le lacrime che mi annebbiano la vista.

'Pensavo reggesse la droga, che peccato. Dan, andiamo'- riesco a sentire una voce cupa dietro di me.

E la rabbia esplodere dentro di me, divorandomi, bruciandomi le membra, le mie viscere.

'Fa' qualcosa' mi dico, ma non posso lasciare Rose

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