Witches Hunter

di Jiulia Duchannes
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Our Past ***
Capitolo 2: *** Cry ***
Capitolo 3: *** a young man destroyed ***
Capitolo 4: *** Fuck life ***
Capitolo 5: *** Leon's nightmare ***
Capitolo 6: *** Like a song-fic ***
Capitolo 7: *** Love you till the end of time ***
Capitolo 8: *** Avviso ***
Capitolo 9: *** Violetta, your a witch ***
Capitolo 10: *** Like Venus and Mars, like different stars ***
Capitolo 11: *** avviso parte 2 ***
Capitolo 12: *** YOU AREN'T MY SON ***
Capitolo 13: *** Clichè ***



Capitolo 1
*** Our Past ***


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~Witches Hunter

Diego varcò la soglia dello Studio Onbeat, la più prestigiosa scuola di musica di New Orelans capitale dello stato americano della Louisiana,  inspirando profondamente.
Da lì iniziava la sua missione. Avrebbe catturato le numerose streghe che frequentavano la scuola e vivevano nel centro della città, dimostrando a suo padre il suo valore, facendogli cambiare idea sul suo conto.

Da sempre era stato considerato lo sfaticato, stupido, debole Diego Dominguez, figlio di Juan Dominguez, capo della setta dei Cacciatori di Streghe che dai tempi della caccia alle streghe si occupava dell’ estinzione della razza. Era sempre stato il figlio incapace di un padre che aveva portato al massimo splendore la setta, sempre quello che mai avrebbe saputo fare di meglio o quanto il padre.

Per tutta la vita, per ogni singolo istante,  non era stato altro che l’ombra del suo perfetto padre, per ogni secondo gli era stato ricordato dallo stesso Juan quanto non valesse nulla.

Ma  quel giorno, quel giorno avrebbe cambiato tutto. Sarebbe divenuto il più temibile cacciatore di streghe di New Orelans, così magari suo padre sarebbe stato orgoglioso di lui , magari gli avrebbe anche detto un “ti voglio bene”  che gli era stato negato per ben 17 anni.

Quella scuola di musica nascondeva molti segreti dietro la facciata pulita e colorata. nascondeva alunni talentuosi e per lo più cattivi ragazzi, scarti di famiglie importanti, come lui,  con problemi più grandi di loro e streghe, troppe,  pericolose.

Era un giorno di settembre più caldo del solito, in cui l’aria afosa rendeva quasi impossibile respirare, e Diego Dominguez stava per iniziare un avventura diversa da quella che si aspettava. Camminò per i corridoi scrutando i ragazzi e le ragazze vestiti di nero, blu, con giacche di pelle e capelli tinti, che sfoggiavano sorrisi beffardi e sguardi freddi. Sembravano tutti molto rilassati nonostante quel giorno la maggior parte di loro sarebbe tornata a casa a sopportare i rimproveri  continui dei genitori.

Era il giorno delle audizioni allo Studio e ogni candidato avrebbe dovuto passare una dura selezione di canto e una ancor più dura di danza.

Dominguez non era affatto preoccupato, lui era sempre stato bravo in entrambe le discipline, in oltre era bello, il che aiutava.


Violetta sbuffò chiudendo lo sportello della macchina violentemente, mentre suo padre, German Castillo, la rimproverava per la forza esagerata usata per compiere quel gesto. “ Non gli va bene nulla” pensò Vilu sbuffando. Si mosse a passi veloci sperando di allontanarsi il più presto possibile dalle urla di German, fare  quella dannata audizione ed entrare nello Studio, così da poter vivere lì con altri ragazzi come lei. Una volta lì gli insulti, i litigi e tutte quelle offese che fingeva non la scalfissero minimamente, sarebbero finiti. Avrebbe conosciuto gente nuova, fatto ciò che più le piaceva e soprattutto avrebbe vissuto senza quel suo padre iperprotettivo e perennemente nervoso.

Sapeva che non sarebbe stato facile entrare allo Studio,  ma sapeva anche di possedere un talento raro, una voce potente e dolce, chiara, limpida. Perfetta. Pochi avevano un talento come il suo, nessun professore con un minimo di cervello l’avrebbe bocciata, ne era convinta.

Arricciò una ciocca delle sue punte blu al dito, camminando con classe per i corridoi, sotto lo sguardo di tutti gli altri canditati. Sorrise, sicura di se come non mai.

Sua madre non sarebbe stata orgogliosa di lei vedendola, questo Violetta lo sapeva, ma lei si sentiva bene solo cos’, con i pantaloncini troppo corti e la maglietta aderente, con i capelli tinti e il volto coperto dal trucco.

 Sua madre Maria era morta un anno prima, per colpa di un cancro, e dall’ora Violetta non era stata più la stessa ragazzina acqua e sapone che rispettava gli ordini esagerati del padre.

 Era diventata  una ragazzaccia, come diceva suo padre, di cui oramai ignorava ogni comando, ogni parola. Una poco di buono, la chiamavano le madri delle amiche.

Ma se ne fregava Violetta, o almeno ci provava.  Il fatto era che sua madre, maledettamente giovane,  era morta, senza vivere la vita a pieno a causa della gravidanza e della nascita di Violetta quando aveva solo 18 anni, così la Castillo si sentiva in dovere di vivere fino in fondo la vita, senza regole. Per sua madre, per lei.


Leon Vergas  si aggiustò la giacca di pelle mentre assisteva all’audizione di una ragazza, se fossero
stati tutti come lei, sicuramente Leon avrebbe avuto buone ragioni per temere di non essere ammesso.
Ma Leon Vergas era  sicuro di se, lo era sempre stato.
Era eccessivamente sicuro, lo dicevano tutti che l' eccessiva autostima era il suo peggior difetto. Ma, insomma, era bravo, lo sapevano tutti,  era determinato ed appassionato. Che motivi aveva  per temere una ragazzina? O mille altri? Lui era migliore, il migliore.

I suoi futuri insegnati si complimentarono con la ragazza, Camilla Torres era il suo nome,  la quale li ringraziò ed uscì dalla sala di canto accompagnata dal rumore dei suoi scarponi neri che sbattevano contro il parquet ad ogni passo.

Leon la osservò. “Inquietante” pensò.  Aveva lunghi capelli rossicci che le ricadevano sulla maglia nera e bianca, una bocca troppo larga colorata di viola, il colorito pallido e gli occhi cerchiati di nero come dopo una rissa.

I canditati successivi furono più tosto deludenti, tanto che Leon si auto convinse ancor di più che sarebbe entrato in quella scuola.

Per lui entrare lì non era un semplice desiderio come per quei ragazzi che lo circondavano, era
questione di vita o di morte. Doveva allontanarsi da sua madre, altrimenti l’avrebbe uccisa ne era sicuro. Non era più un bambino, ora capiva, e nonostante fosse succube della donna che lo aveva messo al mondo, sapeva difendersi se lei avesse provato  a fare ciò che per anni le aveva concesso di fare con il suo corpo di bambino.  All’inizio sembrava normale che sua madre lo toccasse in quel modo, col passare degli anni si era accorto che la sua possessività e il modo di relazionarsi con lui erano totalmente sbagliati. Ma lui era  un ragazzino all’ora, orfano di padre, che conosceva solo l’affetto malato della sua mamma, e nonostante capisse che non era normale continuava a lasciare che sua madre lo toccasse.

A 16 anni si rese conto che l’unico modo per scappare da quella vita era allontanarsi definitivamente dalla madre, ma dove poteva andare un minorenne? L’unico modo era trovare un collegio dove poter vivere e studiare e dove sua madre l’avrebbe volentieri mandato. Quando lesse dello Studio Onbeat fu come ricevere un regalo a Natale. Sua madre fu facile da convincere, aveva sempre voluto vederlo famoso, ricco “ Così io e te staremo sempre insieme, piccolo, e tu ci manterrai con il tuo stupendo lavoro” diceva.

Leon non aveva intenzione di fallire, di tornarsene da lei a subire tutto quello. Per lui entrare allo Studio era questione di vita o di morte, per lui era l’unica salvezza.


Ludmilla Ferro  era sempre stata la tipica ragazzina viziata di famiglia ricca, dai genitori assenti, rovinata dal continuo ricevere oggetti materiali anziché affetto.

Ma a cosa serviva l’affetto se si aveva il potere, la bellezza, i soldi e il talento? A Ludmilla serviva, serviva sentirsi amata, anche solo per una volta in vita sua.  I suoi genitori erano i proprietari della più famosa  agenzia di commercio d’arte dello Stato, perciò erano sempre impegnati con quelle loro tele sporche, come le chiamava la Ferro.

Era stata accudita dalla servitù ,gente che non la sopportava e  passava del tempo con lei solo perché era pagata per farlo.

 La sua unica amica era la spagnola Natalia Navarro, che aveva conosciuto all’ospedale, quando entrambe erano state ricoverate, Ludmilla per anoressia, Nata per essersi tagliata una vena mentre si tagliava i polsi come suo solito.

  La Ferro aveva smesso di mangiare, e iniziato a vomitare,  per attirare l’attenzione dei genitori e quando le cose le sfuggirono di mano fu come scendere all’inferno, arrivò ad avere le gambe che non riuscivano a sostenerla.

Ludmilla scese dalla sua limousine seguita dalla sua inseparabile amica Nata. Per entrambe entrare allo Studio Onbeat era un modo per ricominciare da capo, incontrare persone nuove, che non le additassero a causa del loro passato.


 Natalia  aveva cominciato a tagliarsi all’età di 13 anni quando i suoi si erano separati perché sui padre aveva tradito la madre con una più giovane mettendola incinta.

 Nata non era mai stata forte, suo padre era sempre stato la sua ancora,  il suo modello, il suo migliore amico,  l’unico da cui non si aspettava un tradimento, il primo a tradirla.

 La Navarro aveva perso ogni speranza che in un mondo tanto difficile e crudele come quello in cui viveva, pieno di ingiustizie e cattiveria, vi fosse qualcuno di buono, puro, incapace di far del male.

Qualcuno come lei, qualcuno come l’uomo che credeva fosse suo padre.


Francesca Comello non si era mai sentita tanto felice in vita sua come quando aveva preso il microfono tra le mani e aveva cominciato a cantare sul palco dello Studio Onbeat, di fronte a quelli che sperava, e in cuor suo sapeva, sarebbero divenuti i suoi professori.

Il canto era sempre stato la sua più grande passione, la sua salvezza. Era il suo modo di esternare i sentimenti senza piangere davanti agli altri. Non le piaceva piangere, soprattutto davanti alla causa delle sue lacrime, la faceva sentire così fragile e debole, e lei non lo era. Sapeva di non esserlo. Lei era una roccia, come le diceva sempre suo fratello Luca. Luca le ripeteva sempre che lei era come il suo faro, l’unica ragione per la quale continuava a sopportare quella vita, era l’unica luce che avesse mai visto, l’unica cosa gli facesse pensare di avere una vita degna di essere vissuta.

Luca aveva avuto una vita estremamente difficile, molto più di quella di Fran. Si era dovuto prendere cura di lei per anni, dopo che entrambi erano stati adottati da una famiglia che, a differenza di come si era presentata, si era rivelata essere composta da ricchi menefreghisti, i quali vedevano i fratelli Comello più come giocattoli che come bambini e che avevano lasciato al maggiore dei due il compito di prendersi cura della più piccola. Luca non aveva mai avuto una vita normale, anzi, aveva avuto problemi di alcol all’età di 18 anni, e tutt’ora non ne era completamente uscito.

“Sono rimasto in questa maledettissima casa per te, non ti lamentare se bevo qualche bicchierino. OK?!” le gridava sempre contro Luca quando lei cercava di sgridarlo.


Maximiliano Ponte amava il suo cappellino più di ogni altra cosa. Era praticamente impossibile vederlo senza il berretto blu che aveva da anni. Glielo aveva regalato il suo papà prima di morire. Il signor Ponte era un ufficiale di polizia, morto in una sparatoria, davanti agli occhi di suo figlio, il quale era stato preso in ostaggio assieme ad una decina di persone in un supermercato della piccola cittadina in cui vivevano. Maxi  non potrà mai dimenticare l’immagine di suo padre cadere a terra, come a rallentatore, con gli occhi spalancati per il terrore, e il sangue che imbrattava la divisa. Il piccolo Ponte aveva solo 12 anni all’epoca, ed era entrato in quel supermercato per un capriccio.

Voleva comprare una di quelle bevande al cioccolato che tanto amava e che a casa erano terminate.

Maxi si incolpava ogni singolo minuto della sua vita per la morte del suo eroe. Se non fosse stato lì probabilmente so padre non avrebbe provato ad entrare nel supermercato in modo così avventato, e magari, in quel momento sarebbe stato lì a sostenerlo, mentre si esibiva davanti all’esigente professore di danza Gregorio.


Ma non c’era e Maxi lo sapeva  che era solo per colpa sua.


Marco si sentiva fuori posto circondato da ragazzi così dark, così strani, così diversi da lui.

Sembravano usciti da uno di quei film che parlano della vita nei quartieri poveri delle città americane, eppure per quel che sapeva  Marco erano tutti di buona famiglia.  Si sentiva osservato, forse per il suo abbigliamento sofisticato, o perché non incuteva abbastanza terrore, o forse perché sembrava essere un pecora bianca in mezzo ad un branco di puma feroci.

Era figlio del famoso scrittore Ponce de Leon e della sua Editrice. La sua vita era stata a dir poco perfetta. Cresciuto da genitori amorevoli, in un ambiente sano, con un educazione rigida. Aveva ricevuto un’ istruzione più che buona nelle migliori scuole della città e aveva coltivato ogni tipo di talento potesse avere: pittura, canto, teatro, pianoforte, chitarra. Suo padre voleva divenisse un giornalista, sua madre preferiva fosse un famoso compositore. Ma a Marco non piaceva scrivere, e non era un eccellente compositore.

A lui piaceva cantare, lo faceva sentire come un attore, pronto a cambiare personaggio a seconda della canzone da eseguire, amava poter essere qualcun altro anche solo per qualche minuto. Così si era iscritto  allo Studio Onbeat, facendo credere a sua madre che una volta uscito di lì sarebbe divenuto il compositore più famoso al mondo.


Federico Pasquarelli camminava  nei corridoi con le mani nelle tasche dei jeans , fissando le converse rovinate dal tempo.

Se fosse stato ammesso allo Studio Onbeat avrebbe sicuramente ricominciato a farsi, lo sapeva che la libertà non faceva per lui, che doveva essere tenuto sotto controllo.

Aveva cominciato a drogarsi all’ età di 15 anni, senza un motivo preciso,  i suoi amici lo facevano.

Perché lui non avrebbe dovuto?  Era iniziato tutto con un po’ di droghe leggere ogni tanto, per poi arrivare ad avere il bisogno compulsivo di droghe più pesanti, fino a che non aveva avuto un overdose ed aveva rischiato di morire.

Suo padre dall’ora lo aveva rinchiuso in una struttura di riabilitazione per drogati, come lui, e ora che ne era uscito lo aveva costretto a trovarsi un collegio dove andare.

Federico non aveva un particolare talento, se non la musica, l’unica cosa in cui riuscisse bene. Così suo padre lo aveva costretto ad andare a fare le audizioni per entrare in quella dannatissima scuola.

Lo aveva lasciato davanti al cancello aspettando che entrasse. Già dall’esterno aveva odiato quella scuola, con quella sua facciata così solare, colorata, felice. Volevano farti credere che lì dentro ci fosse un mondo perfetto e senza problemi, o almeno era quello che credeva Fede.

Fece le audizioni, lasciando tutti a bocca aperta con la sua voce.

Due giorni dopo solo 10 dei 103 candidati si trovavano davanti al collegio  musicale “Studio Onbeat” con le valigie in mano, e il cuore colmo di sogni, speranze, propositi per il futuro che li attendeva.

Diego storse il naso. C’era odore di streghe


Angolo autrice
Ciaoo. Torno a scrivere su questo fandom che per mesi è stato come casa mia dopo tanto tempo e ne sono entusiasta. Spero di essere migliorata rispetto a prima XD
Che ve ne pare dell storia? In questo capitolo introduciamo i personaggi principali tranne due: Pablo e Angie che sarenno fondamentali
Me la lasciate una recensione? Baci.

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Capitolo 2
*** Cry ***


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CAPITOLO 2

Angie abbracciò Pablo da dietro.
La tensione e la preoccupazione del suo migliore amico erano ben visibili, anche se lei non ne capiva la ragione.

-Che hai?-Chiese Angie dolcemente carezzando i capelli dell’uomo il quale, nel frattempo, si sentì scuotere da un brivido provocato dal tocco della sua collega.
-Nulla- Rispose lui chiudendo gli occhi beandosi del contatto, per lui  tutt’altro che amichevole, di Angie.
-Ti conosco come le mie tasche Pablo, se c’è qualcosa che ti turba me ne rendo conto. Sei preoccupato per qualche cosa e vorrei sapere di cosa si tratta- Controbatté la donna posando il capo sulla spalla di Pablo. Altri brividi.

-Quei ragazzi, i nuovi, mi preoccupano. Abbiamo già avuto con noi ragazzi..strani, ma mai tanti tutti insieme- Spiegò l’uomo con voce leggermente tremante, cercando di concentrare la propria attenzione su qualche cosa che non fossero le mani di Angie sulla sua nuca  o il suo capo sulla sua spalle.
-Cosa ti fa pensare che siano strani? Avranno i loro piccoli problemi e tanta voglia di sentirsi grandi, come ogni adolescente. Vedrai che non saranno così male, inoltre hanno tutti un enorme potenziale- Lo rassicurò la bionda.

Pablo si staccò da lei e la fissò negli occhi verdi che  sin dai primi anni della sua adolescenza aveva amato incondizionatamente.
-Angie temo che i loro problemi non siano piccoli. Basta guardare i loro occhi. Quei ragazzi sono molto diversi tra loro, ma se c’è una cosa che hanno in comune sono gli occhi, non brillano. I loro occhi sembrano morti, come quelli di qualcuno che ha sofferto. Temo che aver a che fare con loro sarà più difficile del previsto-
-Vedrai che ce la faremo. Ogni ragazzo che abbia mai messo piede qui è riuscito a diventare ciò che voleva e risolvere i suoi problemi, ed è stato merito tuo Pablo- Angie lo prese per le spalle e gli sorrise, come Pablo adorava.

Quando i ragazzi arrivarono alla scuola Pablo ed Angie li accolsero sorridenti, accompagnandoli nella struttura in cui avrebbero vissuto.

La struttura consisteva in 3 casette separate, una per  i ragazzi di ogni anno.
La loro era la prima, dalle mura gialline e il tetto spiovente. Non era grande e dall’esterno non lasciava sbalorditi, ma l’interno era bello da mozzare il fiato.
Era composto da una sala relax con tanto di tv al plasma, due corridoi in cui erano situate le stanza da letto, la cucina equipaggiata e due bagni.

-Qui il nostro principale obiettivo è quello di formarvi come star, sfruttare al massimo ogni vostra qualità, voce, coordinazione, bellezza o  determinazione che sia. Abbiamo intenzione di modellarvi come creta per rendervi adatti al mercato musicale internazionale- Spiegò Pablo mostrando ai ragazzi la sala di canto dove avrebbero seguito le lezioni della professoressa Angie.

-Ma ora basta. Propongo di presentarci come si deve visto che convivremo per tre anni- Disse Angie facendo segno ai ragazzi di accomodarsi sulle sedie verdi messe in circolo.
-Oddio che cosa stupida- Sbuffò Ludmilla  buttandosi a peso morto sulla sedia.
-Non è stupido Ludmilla . E’ importante che voi vi conosciate e socializzate- La riprese la professoressa lanciando un occhiata a Pablo.
-Anche io trovo che sia stupido- Concordò Federico passando una mano tra la cresta
-Non abbiamo 5 anni nel caso voi non lo abbiate notato- aggiunse Camilla
-Lo farete ragazzi, lo fanno tutti i nuovi arrivati, serve anche a noi per conoscervi meglio- Tentò di convincerli Pablo.

Camilla masticò rumorosamente la gomma, mentre se ne stava sbracata sulla seggiola.
-Cominciamo allora, prima lo facciamo prima finisce questo supplizio- Disse la Torres scoppiando il palloncino fatto con la big babol.
-Bene comincerai tu Camilla. Dovrai dirci il tuo nome, l’età,  cosa ti piace, cosa odi e perché canti- Le spiegò Angie.

-Oddio come se vi importasse veramente- La rossa si aggiusto il berretto che teneva in testa e con grande riluttanza iniziò a parlare.
-mi chiamo Camilla Torres, ho 17 anni. Mi piace tutto ciò che è nero, o tendente al nero, amo spaventare la gente e non ho bisogno di Hallowen per farlo. Odio il rosa, il fucizia e le ragazze bionde o finte bionde, tipo miss Supernova Ferro-Camilla indicò Ludmilla la quale incrociò le braccia risentita.- Ho iniziato a cantare dopo aver ascoltato una canzone metal, Dio me ne sono innamorata subito, ho provato a farne una cover e mi sono detta “ Wow spacco i culi con la mia voce” ed ora eccomi qui- Camilla si alzò dalla sedia, fece un piccolo inchino, e si risedette.

Sapeva di aver fatto una cattiva impressione, come sempre le era piaciuto, e di aver detto più bugie che in tutta la sua vita, ma di certo  non poteva dire la verità, soprattutto con quel Diego nei paraggi. Lo aveva capito subito chi era, il suo cognome era alquanto conosciuto, e disprezzato, tra le ragazze come lei.
Vivere con lui era un rischio inutile, per una missione che a suo parere non sarebbe servita a molto, eppure il brivido del pericolo e del rischio la affascinavano terribilmente, come un frutto proibito.

-Bene molto…Particolare Cami.Violetta parlaci di te-  Angie sorrise alla giovane dai capelli blu, che intanto si fissava con un esagerata attenzione le unghie dipinte di bordeaux.
-Passo- Rispose semplicemente la giovane senza nemmeno guardare i due adulti che si scambiavano occhiate preoccupate.
-Sentite non ce l’abbiamo con voi, davvero, ma penso di parlare a nome di tutti se vi dico che siamo esausti e non ce la facciamo più a rimanere qui, soprattutto se per una cosa inutile come questa- Cercò di giustificare Leon.

-Bene, dividetevi nelle stanze e andate a dormire. Le lezioni iniziano domani alle otto, qui in aula canto, dove Angie vi darà l’orario settimanale. Buonanotte ragazzi- Pablo li lasciò andare con una pacca amichevole sulla spalla.
Appena chiusa la porta in mogano i giovani si buttarono con non poca delicatezza sui divanetti rossi e arancioni.

-Siamo esausti. Sul serio? Sei un genio amico- Disse Maxi rivolgendosi a Leon.
-Già..sarà che io sono stanco veramente- Affermò il ragazzo dagli occhi verdi chinando il capo all’indietro.
-E’ stata una giornata lunga, il viaggio per arrivare qui dalle nostre città, il tour del collegio, le regole, le presentazioni…Siamo tutti stanchi sicuramente. Penso che ora ci mettiamo qui, ci presentiamo come si deve perché voglio essere sicura di non convivere con maniaci, e poi andiamo a dormire che ne dite?- Propose Francesca
-Per me è ok, basta che non facciamo quei giochetti della serie “ho 5 anni e sto conoscendo gli amichetti delle elementari”. Non mi piace per niente, inoltre niente domande personali. Ognuno di noi dirà quello che vuole dire e stop, non cercheremo di entrare nella vita altrui- Ludmilla si passò una mano tra i capelli d’oro, gesto che fece notare a Federico quanto fosse sexy quella ragazza dalle gambe troppo magre e l’atteggiamento troppo snob. Gli piaceva, forse per quel suo modo di fare e doveva ammettere che lo attirava fisicamente, si insomma con lei avrebbe fatto qualsiasi cosa che includesse un letto e un preservativo. No, non gli piaceva come persona, solo come bel viso dal fisico troppo asciutto ma incredibilmente attraente.
-Chi comincia?-Domandò Camilla- Io ho già dato prima, non mi ripeterò-Aggiunse poi mordendosi per una ragione ignota le labbra viola.

-Bene allora inizio io visto che non c’è nessuno volontario. Mi chiamo Leon Vergas, ho 16 anni e in questo momento mi sento molto ridicolo a presentarmi così. Non sono un maniaco ne uno stupratore, tantomeno un serial killer, anche se penso di avere dei forti istinti omicidi verso i ragazzi egocentrici e troppo sicuri di se- Si presentò Leon
-Quindi hai dei forti istinti omicidi contro te stesso?-Chiese Diego ridacchiando.
-No, solo contro quelli come te Dominguez. A Proposito, presentati- Rispose Vergas lanciando un occhiataccia allo spagnolo.
-Bene. Mi chiamo Diego Dominguez e ho 17 anni, non sono un maniaco ma potrei essere uno stupratore, forse, in futuro, non lo so preferirei fare il serial killer per ammazzare tutti quelli come Vergas, che, a proposito, già non sopporto. L’idea di dover passare tre anni qui mi da la nausea, ma l’unica salvezza è che fortunatamente le ragazze non sono affatto male, e qualcuno dei ragazzi è salvabile. Tu no Leon- Diego ridacchiò, seguito da Leon.


Inizialmente, proprio così, di vista , già dalle prime audizioni,  quel ragazzo dall’aria tristemente pericolosa che era Diego non gli andava a genio ma doveva ammettere che aveva un senso dell’umorismo particolare. Stava al gioco ed offendeva contemporaneamente, le sue battute erano armi a doppio taglio.

 Diego pensò che forse Leon non era tanto male, in fondo. Si aspettava una reazione rabbiosa ed eccessivamente permalosa da parte sua, che sembrava essere più egocentrico di quanto Diego non lo fosse mai stato, e Diego, doveva ammetterlo, era alquanto pieno di se. Il motivo era semplice, eppure complesso da capire per chi lo vedeva da fuori.

Compensava la mancanza di un amore paterno con un eccessivo amore nei propri confronti.

Si presentarono uno ad uno, senza aggiungere troppi dettagli su di se e la propria vita. Tutti loro avevano i loro segreti, tutti loro erano stati additati per una vita a causa di essi, tutti loro non desideravano altro che sentirsi normali per una  volta in vita loro.

-Non hai caldo?-Chiese Maxi indicando la felpa a maniche lunghe che indossava la spagnola Natalia, prima di ritirarsi nella stanza che divideva con Leon e Federico.
-No, sto bene così- Rispose Nata cercando di controllare l’ansia che le veniva ogni volta che qualcuno notava le sue felpe, che non toglieva mai.
-Sicura? Fa molto caldo- Continuò Maximiliano
-Senti, se ho caldo o meno non sono fatti tuoi ok? Lasciami perdere- Disse bruscamente Nata lasciando sbigottito Maxi, ma anche se stessa.

Maxi pensava di aver inquadrato i suoi nuovi compagni e Nata era a suo parere la più dolce del gruppo, timida e meno aggressiva. Era la meno spaventosa, nonostante indossasse anche lei abiti neri e pantaloni strappati.

Da parte sua Natalia era sempre stata timida, sottomessa. Lasciava che gli altri la insultassero, ci era abituata ,e non capiva il perché di quella sua reazione eccessiva ad una domanda motivata dalla semplice curiosità di un ragazzo con cui avrebbe abitato per tre anni.

-Va bene, scusa. Certo che se qui siete tutti così nervosi non sarà facile- Commentò Maxi sorridendo
leggermente prima di dirigersi verso il suo corridoio.
Nata si chiuse la porta alle spalle sospirando pesantemente.
-Che è successo?-Chiese Ludmilla voltandosi verso l’amica
-Succede che già cominciano con le domande sconvenienti. Quello con il berretto come diamine di chiama Maximo, Maximiliano si insomma lui, mi ha chiesto della felpa. Dio non voglio che mi guardino come una pazza suicida, come facevano prima tutti i miei compagni di scuola- Rispose la riccia buttandosi a peso morto sul letto.
-Tranquilla, non saresti comunque costretta a rispondere e poi qui nessuno mi sembra normale sinceramente- Commentò Ludmilla
 
-Bene per convivere con me ci sono tre semplici regole. 1) non toccate la mia roba 2) Non guardate la mia roba 3)  Non mi svegliate o vi ucciderò nel sonno- Camilla si mosse velocemente nella stanza per prendere il letto singolo, mentre a Violetta e Francesca rimaneva solo il letto al castello.
-Io vado sopra-Urlò Vilu salendo velocemente la scaletta e buttandosi sul letto felice come una bimba.
-Suppongo che a me resti solo il letto sotto- Francesca si sedé delicatamente sul materasso osservando la stanza che avrebbe condiviso con la punk e quell’altra ragazza che si vestiva peggio di una prostituta.
-Wow sei perspicace bimba- La prese in giro  la punk
-Non mi chiamare bimba, punk-Replicò offesa Francesca
-Oddio se no che mi fai? Sentiamo, sto tremando- Camilla fece una risatina di scherno
- Ti sgozziamo nel sonno- Si intromise Violetta sorridendo
-Cominciamo bene la convivenza- Osservò Francesca
-Penso che mi divertirò con voi due- Affermò Camilla legando i capelli rossi in una coda di cavallo.
 
Maxi rientrò in camera, per scoprire che Leon e Federico si stavano litigando il letto singolo della stanza.
-Oddio sono l’unico maggiorenne qui, è mio di diritto- Federico indicò il letto dalle coperte verdi.
-Hey io ho quasi 17 anni, tu nei hai appena 18, non abbiamo tanta differenza. E poi che significa, io sono più bello quindi è mio- Leon si passò con vanità una mano tra i capelli
-Scusate- Si intromise Maxi
-Che vuoi Ponte?-Domandarono all’unisono i due litiganti
-Se faceste pari e dispari- Propose intimorito da quei due, che riteneva essere i più inquietanti assieme a Diego e Camilla.

Alla fine Leon occupò il letto singolo, Maxi la parte superiore del letto a castello e Federico quella inferiore.
A Federico era sempre piaciuto dormire sopra, da piccolo immaginava di volare come Peter Pan quando era lassù, eppure sapeva che se avesse avuto una crisi, la mobilità lì era limitata e avrebbe fatto tanto rumore da svegliare i  suoi coinquilini, che avrebbero poi posto domande alle quali non voleva rispondere.
 
 
Diego si tolse la  maglia nera e la buttò sul letto, rimanendo a petto nudo davanti a Marco, il quale si sentiva in soggezione a condividere la stanza con il ragazzo a suo parere più pericoloso.
-Che hai da guardare?- Chiese Diego
-Niente- Balbettò Marco
-O Dio non mi dire che sei una checca e ti stai eccitando. No, ti prego- Sbottò Dominguez
-No, non sono gay amico, solo metti a dir poco paura- Si giustificò Marco sperando che Diego non si arrabbiasse.
-Bene, ne sono felice. Certo che sei veramente un macho se ti spaventi di un bulletto come me- Lo schernì Diego
-No solo…-Marco non sapeva che dire
-Ti insegnerò io come funziona la vita- Diego passò un braccio attorno alle spalle di Ponce de Leon.

Due settimane dopo i ragazzi avevano imparato a conoscersi e convivere era sempre più facile e divertente. Ma era allo stesso tempo sempre più arduo, perché ognuno s’era accorto delle stranezze degli altri. Le amicizie, i legami, le tensioni, le antipatie già si erano venute a creare nella piccola casa di adolescenti.
Il primo giorno di lezioni , come sia Pablo che Angie avevano previsto, i ragazzi arrivarono con un’ ora circa di ritardo.

Angie consegnò loro l’orario settimanale, che consisteva in 3 ore di canto, 2 di ballo e una di spettacolo generale al giorno.

Quello era il loro terzo  lunedì di lezione, ma poteva anche essere considerato il primo vero giorno di lezioni, visto che in quelle settimane  avevano fatto poco e niente, più che altro test per valutare il livello di partenza.
-Allora come primo giorno reale di lezioni penso che…-Angie venne interrotta da Ludmilla.
-No. Niente presentazioni, ti prego-
-No, tranquilli, niente presentazioni da bambini, inoltre  sono due settimane che siete qui, vi conoscerete abbastanza bene credo. Cominciamo a lavorare. Allora ci rimangono due ore quindi io direi di fare un esercizio- Propose Angie
-Bello. Cosa dobbiamo fare?-Domandò Marco desideroso di accontentare quella ragazza tanto dolce che era la loro insegnante.
-Allora sceglierete la canzone che meglio vi rappresenta, non vostri inediti,  la proverete per un oretta e poi vi esibirete- Spiegò Angie
-Non è poco un ora?-Chiese Natalia
-No. Voglio sentirvi così a freddo. Potete lavorare massimo in coppia. Cominciate ragazzi- Rispose la professoressa osservando  i  suoi alunni.
 

Hand clapping
Hip shaking
Heartbreaking
There's no faking
What you feel when your riding home
Yeah, yeah

Music's in my soul
I can hear it everyday, everynight
It's the one thing on my mind
Music's got control
And I'm never letting go, no no
I just want to play my music


Cantava Marco con una sicurezza e una passione inaspettata per uno come lui, che fino al quel momento era sembrato essere il più debole del gruppo, quello meno capace.
 Stava dimostrando il suo valore con tenacia, semplicità e spontaneità invidiabili. Si muoveva sul palco controllando ogni movimento, mentre i suoi compagni lo osservavano a bocca aperta per la sorpresa ed Angie sorrideva annuendo.

Dal primo momento in cui lo aveva visto aveva capito che quel ragazzo aveva qualcosa di sbalorditivo, di speciale. Che la timidezza e la compostezza con cui si presentava sparivano completamente quando era sul palco e si lasciava andare alla passione.

Love it or hate.
I can’t help the way  I am
I hope you don’t misunderstand
Cause I’m too cool, yeah too cool, to know you


Ludmilla muoveva le lunghe gambe da una parte all’altra della sala. Diego la osservò con attenzione, soppesando ogni pregio e difetto della giovane che sventolava  i boccoli d’oro da una parte all’altra e incantava tutti con le sue movenze femminili.

Federico fischiava e applaudiva, fin troppo gasato per una ragazzina che a parere di Diego era  troppo magra, snob e piena di se. Che fosse bella non lo metteva in dubbio, ma sicuramente le altre ragazze non erano da meno, alcune, secondo lo spagnolo, erano anche più belle.

Ludmilla si avvicinò a Federico tirandolo a se prendendolo per la canotta che indossava e pronunciando le parole della canzone con un ghigno di superiorità “im too cool to know you” per poi rilasciarlo  andare e terminare il pezzo con una posa.

-Dici così ora bambola, tra un po’ ti piacerò talmente tanto che la notte  i nostri compagni si lamenteranno per rumori molesti- Le gridò Fede, mentre lei faceva una smorfia di disgusto. Non lo sopportava quel ragazzo, in una settimana di convivenza aveva desiderato di ucciderlo 100, forse 1000 volte. Il solo pensiero di doverlo sopportare per tre anni le deva il voltastomaco, le faceva realmente schifo il suo atteggiamento.  Leon e Diego erano dannatamente egocentrici,  Marco era troppo perfetto,  Maxi era perpetuamente allegro come se la vita fosse tutta rose e fiori, e probabilmente la sua lo era stata. Nonostante questi difetti degli altri ragazzi Federico Pasquarelli rimaneva il peggiore.

When you feel my heat
Look into my eyes
It’s where my demons hide
 It’s where my demons hide
Don’t get you close it’s dark inside.
It’s where my demons hide, it’s were my demons hide.


Qualcosa nello sguardo del giovane Vergas, qualcosa nei suoi spenti occhi verdi, qualcosa di simile al luccichio delle lacrime, fece preoccupare Angie.

L’intensità con la quale Leon cantava era impressionante, quasi eccessiva, trasmetteva  dolore, tanto, troppo per un ragazzino che stava realizzando i suoi sogni.

Violetta lo osservò incuriosita. Non aveva mai visto nessuno sentire così tanto un pezzo, pronunciare le parole sforzandosi di non piangere, mantenendo un tono saldo eppure dannatamente malinconico che ti faceva venir voglia di andare lì e stringere tra le braccia quel ragazzo. Si fermò a fissarlo per la prima volta  da quando lo conosceva, notando quanto fosse bello, bello veramente. Aveva dei grandi occhi verdi, che in quel momento anche solo vederli ti faceva star male per la loro tristezza, il naso piccolo e diritto, la bocca perfetta e il fisico tonico. Le piaceva l’accenno di  ciuffo che portava, lo rendeva più interessante in qualche modo.

Diego che duettava con lui sembrava invece arrabbiato mentre cantava, sembrava che quelle parole così semplici avessero tirato fuori strani sentimenti, forse ricordi dolorosi. Nessuno avrebbe saputo dire il perché di quella rabbia disperata, il perché dei muscoli tesi, del volto rosso, della voce rauca e delle parole gridate con furia contro nessuno e contro tutti.

Francesca ne rimase scossa. Non aveva mai visto un concentrato simile di ira tutta assieme, e la spaventava.
Diego la spaventava, terribilmente. C’era qualcosa nel suo sguardo, qualcosa si indefinibile, come un velo che non lasciava trasparire il vero Diego Dominguez, ma solo la sua parte peggiore. Quel velo Francesca avrebbe voluto superarlo, passarci dentro, per conoscere il vero Diego, non quello strafottente ed egoista che aveva conosciuto in quella settimana, eppure c’ era qualche cosa che non le permetteva di superare il confine con Diego, aveva paura di superare il confine, di oltrepassare il velo. Aveva paura, in realtà di conoscere quello che si nascondeva dentro Dominguez, aveva paura di scoprire che non c’era nulla di diverso da ciò che vedeva, che Diego era così, un bastardo egocentrico, e non c’era nulla da cercare, nessun animo buono segnato da eventi passati.

Uno per uno si esibirono, lasciando trasparire un po’ della propria anima, un po’ dei propri dolori, un po’ del proprio passato. Si esibirono tutti, tutti raccontando una storia, tutti facendo sorgere domande ai loro, oramai amici.

Federico se ne stava in piedi davanti la finestra, a fissare il mondo fuori dal collegio.

-Stai bene amico?-Chiese Leon dandogli una pacca sulla schiena.
Erano molto uniti lui e Federico. Sembrava strano costruire un rapporto con qualcuno in due settimane  ed arrivare a considerarlo una specie di fratello. Si conoscevano da poco eppure Leon sentiva una strana, indescrivibile, empatia verso di lui, di cui sapeva poco e niente, di cui conosceva solo il lato superficiale, rumoroso, bambinesco e  divertente, ma che sapeva nascondere qualche cosa di più.

Lo vedeva nei suoi occhi marroni, che somigliavano ai suoi verdi, per quella stessa perpetua ombra che li offuscava e che quel giorno sembrava essersi scurita negli occhi di Federico.

-Sto bene- Rispose l’italiano forzando un sorriso. Leon, non volendo insistere, lasciò perdere. Sapeva quanto ricevere domande in momenti in cui non si verrebbe far altro che soffrire in silenzio fosse brutto. Eppure voleva capire cosa stava accadendo al suo amico, voleva sapere cosa gli era accaduto, ma era presto, lo sapeva. Lo sapeva perché lui, nonostante provasse quella specie di amore fraterno verso Pasquarelli, non era pronto a fargli conoscere i suoi segreti.

Quella sera, rannicchiato nel suo letto, Federico pianse, in silenzio però, come mai in vita sua. Le lacrime salate scivolavano sulle guance e bagnavano il cuscino. Il sorriso sempre presente davanti ai suoi amici era sparito, sostituito da una smorfia di dolore. Era un dolore strano quello di Federico, non era fisico e faceva più male. Era un dolore, il suo, dettato dalla vergogna, dalla rabbia, dalla frustrazione e dalla consapevolezza di essere un debole.

Perché Federico lo sapeva, solo i deboli possono ricascarci dopo esserne usciti.

Quella settimana era andato in diverse farmacie a comprare diverse scatole di morfina “Frequento un collegio musicale , non so se lo conosce, si chiama Studio Onbeat, mi hanno mandato a fare rifornimento per quando ci facciamo male ballando” diceva per giustificarsi con i farmacisti. Non aveva i soldi per comprare la droga, ma la morfina non costava troppo, non quanto l’estasi almeno, se la poteva permettere.

Per due settimane non aveva fatto altro che farsi, sballarsi, ed ora che aveva finito le scorte di morfina stava veramente male. Federico sapeva che stava per avere una crisi d’astinenza, ci era già passato. Cominciava tutto con la depressione e lui quella fase la stava attraversando. Si era reso conto tardi dell’errore, della stupidaggine che aveva combinato. La cosa che lo mandava più in bestia era che lui aveva un fottuto bisogno di morfina.


Ludmilla camminò silenziosamente verso il bagno, accese la luce e si guardò allo specchio. Sentì le lacrime pungerle negli occhi. Aveva preso qualche chilo di troppo, ne era sicura, se lo sentiva addosso. Non poteva, non ora che aveva l’occasione di diventare famosa, non ora che stava realizzando i suoi sogni.
Sapeva di non avere più nulla nello stomaco oramai, ma valeva la pena provare. Si ficcò due dita in gola e vomitò quel poco che poteva.
“Non è grave. Mi fermerò appena tornerò in forma” Pensò.

Diego chiuse gli occhi cercando di dormire. Non riusciva, troppi pensieri gli frullavano per la testa. Lui era andato lì per uno scopo, catturare streghe, ed ora frequentava un collegio di musica, dove sarebbe dovuto rimanere per tre anni e in cuor suo amava stare lì. Non aveva senso. La missione era la cosa più importante, doveva dimostrare di essere un Dominguez. Doveva catturare tutte le streghe della città, a partire da quelle che frequentavano lo Studio e che vivevano con lui, di cui lui avvertiva l’inconfondibile dolciastro odore, ma che non riusciva ad identificare.

Francesca si portò una mano alla bocca, cercando di non gridare quando lesse il messaggio che suo padre adottivo le aveva mandato. “Abbiamo portato Luca in un centro di recupero, ma si sa che tuo fratello è un caso irrecuperabile. Starà lì per un bel po’, senza visite. Ciao”
Francesca sentì il senso di colpa crollarle addosso. Se lei fosse rimasta con Luca, con lui per anni aveva fatto con lei, non sarebbe successo. Sapeva quanto Luca odiasse l’idea di stare in un posto pieno di alcolisti, sapeva che era il suo peggior incubo e, per colpa sua, era reale.
 
E quella notte le lacrime scesero degli occhi spenti degli inquilini della casa gialla dello Studio Onbeat, scesero lente scevando nel cuore con pugnali, scesero corrodenti come acido, dolorose come frecce nel cuore.

C’era chi piangeva per i ricordi dei propri cari, morti, come Violetta che si sentiva impura e sbagliata nelle vesti della ragazza facile e come Maxi, che non riusciva a smettere di odiarsi perché il suo cuore batteva forte, e lui respirava, e suo padre non poteva più farlo da tanti anni.

C’era chi piangeva per le sensazioni che provava dormendo, come Nata che sentiva la lama  fredda   e confortante del coltello sui suoi polsi e  come Leon che si dimenava nel  letto cercando di scacciare le mani di sua madre che sentiva ovunque e che non erano da nessuna parte.

C’era chi piangeva per il rimorso come Federico, Ludmilla e Frencesca.

Chi come Camilla piangeva per la nostalgia di chi ha dovuto lasciare tutto per venire a cercare streghe come lei in una scuola con pochissimi alunni  in una città che brulica di magia.  

C’era chi come Marco piangeva per le bugie dette e la paura di essere scoperto, di dover lasciare tutto.

Infine c’era chi come Diego piangeva per l’indecisione di un cuore diviso tra la voglia di rifarsi dei torti subiti e la voglia di essere felice per una volta nella vita.

Angolo Autrice
Allora inanzi tutto vi ringrazio per le 9 recensioni dello scorso capitolo. Non me ne aspettavo così tante! Che dire? questo capitolo è un po' triste lo so, ma ci saranno capitoli allegri, tranquilli. Sicuramente non potevo far risolvere ogni problema entrando nella scuola, sarebe stato irreale, quello che vivono i nostri protagonisti credo traumatizzi molto e pensare che passi da un giorno all'altro è un illusione.
Qui iniziano e delinearsi i primi rapporti.
1 Quello tra Fede e Ludmi, il primo sembra essere più preso dall'aspetto fisico della biondina che da lei come persona e fa il cretino con lei  ogni qualvolta gli sia possibile, lei per tutta risposta non lo sopporta e fino ad ora non ne è nemmeno attratta fisicamente
2 Violetta e Leon. qui parliamo solo della curiosità di Violetta nei confronti di Leon ma poi col tempo vedrete....
3 Francesca e Diego ( FAN DELLA MARCESCA NON TEMETE TROPPO)  come ho scritto nella trama questa sarà una delle coppie ma ci sarà anche la marcesca quindi tranquilli. allora Fran è attratta e allo stesso tempo impaurita dai misteri di Diego, il quale però non espireme alcun parerere su Fran
4 Nata e maxi si parlano ( oddio lo so che non è molto ma considerate che non posso mettere tutti in un capitolo)
Baci
 

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Capitolo 3
*** a young man destroyed ***


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CAPITOLO 3

Leon scrutò Violetta attraverso lo specchio davanti al quale danzavano.

Era aggraziata mentre si muoveva con leggerezza seguendo il ritmo incalzante della canzone.
Violetta ricambiò lo sguardo, Leon le sorrise leggermente e lei lo imitò
Vergas pensò che non era da lui comportarsi così con qualcuno, fissarla intensamente o sorriderle non era una cosa che faceva di solito con una ragazza. In realtà erano anni che non provava interesse per qualcuno, con la costante paura di sua madre e della sua reazione esageratamente possessiva.

Doveva però ammettere che Violetta gli era sembrata speciale, dal primo istante in cui l’aveva notata camminare come su una passerella per i corridoi della scuola, durante le audizioni. Molti l’avrebbero giudicata una puttanella, bella certo, ma pur sempre una puttanella.
E forse Leon l’aveva pensato per qualche secondo quando gli era passata accanto senza nemmeno degnarlo di uno sguardo con i pantaloncini neri che sembravano poco più che mutande  e la canotta che lasciava scoperta la pancia. Ma osservandola bene, dalla sua camminata sciolta ma allo stesso tempo  timida, dal suo sorriso perfetto ma non felice, poteva capire che dietro quei vestiti e la maschera di fondo tinta ed eyeliner si nascondeva una ragazza normalissima, forse in cerca di attenzioni, una ragazza tutta da scoprire, che nonostante la sua facciata  non si sarebbe concessa al primo che capitava.

E a Leon piaceva, piaceva l’idea di sfilarle la maschera, di vedere cosa ci fosse sotto, piaceva l’idea di scoprire chi fosse realmente, pezzo per pezzo senza fretta, giorno per giorno, stando assieme a lei, così bella e  all’apparenza così “facile”.

Passando con lei due settimane aveva imparato a studiare il suo comportamento. Il modo in cui si toccava nervosamente le punte blu quando era in imbarazzo, il modo in cui si passava le mani tra i capelli quando aveva bisogno di essere notata come per dire “ ci sono, sono qui, sono bella diamine, guardatemi”.

Violetta restituì il sorriso a Leon, continuando a scrutarlo con attenzione mentre lui si muoveva con facilità a ritmo. Aveva notato come Vergas, il ragazzo dagli occhi spenti, la fissasse spesso, ma non le dava fastidio. Le piaceva.

Essere guardata era sempre stato bello per lei, ma il modo in cui la guardava Leon era diverso dagli altri, speciale. Lui non si fermava alle gambe, al culo o alle tette. Lui la guardava nei suoi movimenti più naturali, la guardava in volto cogliendone ogni espressione. La scrutava per intero,  così da imparare a conoscere il suo corpo in ogni sfumatura.
O almeno questo era ciò che pensava Violetta, che da parte sua rimaneva strabiliata dalla complicatezza dell’animo di Leon Vergas.

Non aveva dimenticato di certo i suoi occhi, il suo sguardo, il dolore nella voce calda del giovane il giorno prima mentre cantava assieme a Diego. Dolore che sembrava essersi dissolto non appena  aveva intonato l’ultima nota. Forse era entrato nella canzone, nel personaggio, forse recitava, ma non era possibile recitare un male in quel modo. Non era possibile fingere una sofferenza tanto forte, tanto vera.

Non capiva allora dove fosse finita la disperazione, le lacrime che pensava sarebbero uscite dai suoi occhi ma che non aveva visto. Ma soprattutto sentiva il bisogno di sapere il perché, da dove scaturisse quella sofferenza che l’aveva tanto colpita. Che sembrava così simile alla sua.
 
Le gambe tremavano, instabili.
Gli occhi facevano fatica a rimanere aperti.
 I brividi percorrevano il suo tonico corpo, scuotendolo.
La stanza sembrava girare, vorticare attorno a lui, aumentando il mal di testa e la nausea.

Muoveva qualche passo scoordinato, cercando di mantenere il tempo degli  altri, in modo che il professor Gregorio non lo riprendesse.

 Ma non riusciva, non riusciva proprio.

 I muscoli dolevano come dopo una corsa di chilometri, dolevano in modo innaturale.
E, ormai, Federico si era arreso, aveva capito che non sarebbe passato. Una crisi d’astinenza  non passa facilmente.

Sentiva a mala pena la voce acida di Gregorio gridare come sempre, sentiva tutto come provenisse da lontano, ma gli sarebbe bastato girarsi per rendersi conto che
Gregorio era accanto a lui e lo fissava con rabbia.

Leon intanto gli lanciava sguardi preoccupati, come tutti d’altronde. Federico non rispondeva alle domande di Gregorio, le parole non volevano uscire, non riusciva a muoversi, la stanza girava troppo, troppo veloce.

-Cosa diamine le prede Federico?! Sta sbagliando tutto!-Gridò adirato il professore.
-Mi scusi- Sussurrò il giovane con voce appena udibile, destandosi da quel suo stato quasi comatoso all’esterno eppure dannatamente dinamico per lui.

La lezione di danza passò lenta per Federico.Tutto intorno a lui continuava a muoversi, veloce, frenetico. Sentiva freddo, eppure alla sola idea di coprirsi iniziava a sudare, sudare veramente.

Non sapeva che fare, non riusciva a muoversi normalmente e doveva attraversare assieme agli altri tutta la scuola ed il cortile per arrivare a casa loro e stendersi finalmente sul letto.

Si appoggiò alla parete ad iniziò a camminare con non poca fatica.
-Tutto bene?-Chiese Maxi
Federico annuì troppo concentrato a non cadere per rispondere a voce o per rendersi conto che erano già tutti andati via.
-Non ti reggi in piedi amico, su vieni qui- Disse Ponte prendendo il braccio del compagno e portandoselo attorno alle spalle così da poterlo sorreggere.
-Sto bene- Protestò debolmente l’italiano.
-Si come no-Lo schernì Maxi divertito dalla caparbietà con la quale Federico non voleva ammettere di sentirsi male.
-Che hai?-Chiese mentre attraversavano assieme il cortile. La casa non era molto lontana dal punto in cui si trovavano l’italiano e il rapper, e non appena Federico la scorse si sentì come rasserenato.
-Nulla mi gira un po’ la testa- Sminuì Fede.
-Tranquillo fratello siamo arrivati- Maxi bussò forte alla porta.
-Che diamine succede?-Chiese  Marco fissando Ponte e Pasquarelli.
-Gli gira un po’ la testa. Lo accompagno a letto-Spiegò il rapper
Federico si adagiò sul letto stringendo gli occhi per la fitta di  dolore che gli aveva trapassato il cranio.
-Hey io vado di là, qualsiasi cosa chiama ok?- Raccomandò Maxi

Era ormai pomeriggio inoltrato, il tramonto illuminava la piccola casa d’adolescenti con la sua luce  arancione rossiccia.

-Stavamo pensando di andare ad una festa in città-Disse Cami mentre spolverava qua e la per la casa.

-Aprono una nuova discoteca. Angie ha detto che possiamo andare, basta che si sia un maggiorenne tra noi e Marco  e Federico sono maggiorenni quindi..- Continuò Leon

-Si perché no. Sembra una buona idea. Ma non penso che Federico sia in condizione di venire- Aggiunse Maxi

-In realtà nemmeno io me la sento- Affermò Ludmilla

-Perché?-Le domandò Nata preoccupata all’idea di rimanere sola con i suoi coinquilini, senza Ludmilla.

-Sono molto stanca ecco tutto- Spiegò la bionda sorridendo all’amica
-Bene. Penso allora che ci convenga iniziare a prepararci. Dobbiamo essere lì per le otto e sono già le 18.30- Ordinò Cami
 
-Non penserai di uscire così vero?-Chiese Leon squadrando da capo a piedi Violetta
-Perché? Non ti piace?-Domandò lei ancheggiando leggermente facendo muovere la gonnellina inguinale che portava.
-No bambola solo che non so se te lo hanno spiegato che in una discoteca  non ci sono tutti bravi ragazzi come noi che si limitano a fare pensieri poco casti su di te. Lì non hanno il nostro autocontrollo, lì ti fanno quello che gli pare- le spiegò Diego ammiccando.
-Significa che avrò bisogno di protezione- Ribatté la Castillo avvicinandosi a Diego e Leon e carezzando loro il petto.
Il corpo di Leon venne scosso da un brivido.
-Ma smettila di comportarti da puttanella Violetta- La sgridò Cami con un tono di disapprovazione.
-Oddio ma come ti sei conciata?- Esclamò Vilu con una smorfia
-Parla per te- Ribatté Cami che indossava un paio di pantaloni neri con le croci, una maglietta con disegnato uno scheletro e una profonda scollatura sulla schiena.
-Invece di litigare che ne dite di andare?-Propose Francesca infastidita. Avrebbe voluto rimanere a casa con Ludmilla e Federico, ma Violetta l’aveva praticamente costretta ad andare con loro, nonostante non fosse dell’umore giusto visto che i suoi pensieri erano sempre incentrati su suo fratello.
-Aspettate manco io!-Gridò Natalia correndo.
-Non avrai caldo con la felpa?-Le chiese gentilmente Marco indicando la felpetta blu che indossava.
-Non glielo chiedere o si incavola. E’ un po’ nervosetta- Lo avvertì Maxi.
-Non avrò caldo andiamo- Rispose Nata avviandosi  scocciata all’uscita, seguita dal rapper.

Non le piacevano quelle domande, la infastidivano. Da quando era finita all’ospedale all’età di 14 anni per un errore commesso mentre si tagliava, tutti gli abitanti della sua cittadina la additavano come una suicida, una pazza, una depressa cronica. Nessuno era leale, vero con lei. Nessuno le diceva ciò che realmente pensava di lei, per paura che un commento la portasse ad ammazzarsi. Parlare alle spalle era diventato lo sport più praticato tra coloro che conoscevano Natalia Navarro.

-Mi spieghi perché ce l’hai con me? Con Marco non ti sei mica arrabbiata, se te lo chiedo io mi mangi vivo- Maxi le si affiancò, con le mani nelle tasche dei larghi pantaloni e il berretto in testa.

-Perché mi urti il sistema nervoso  centrale con la tua faccia da cazzo. Seriamente mi da fastidio che tu sorrida sempre, come se sia sempre tutto perfetto per te. Probabilmente tu hai avuto una fottutissima vita perfetta con un ricco padre che di dava tutto ciò che chiedevi.  Io no- Natalia lo guardò sperando che quel sorriso perennemente presente sul volto del giovane, e che lei tanto gli invidiava, sparisse. Ma non accadde, semplicemente si trasformò dal  classico sorriso di felicità ad un ghigno che fece pentire Nata delle sue parole.

-Ti da fastidio perche tu non sorridi mai vero? Tu non sai sorridere, forse ti è successo qualcosa, forse sei pazza o forse sei depressa. Non so sono indeciso. Comunque non ci vuole un genio a capire cosa nascondi sotto la felpa Natalia -

Replicò il rapper con  una cattiveria di cui lui stesso rimase sbalordito, un cattiveria che non era rivolta tanto alla spagnola tanto a quello che gli aveva detto.
Lui si sforzava tanto per sorridere, per non sembrare eternamente triste, per non pensare ogni singolo secondo a suo padre. Non sopportava l’idea che qualcuno lo odiasse per essere felice, o fingere di esserlo. Non sopportava che si parlasse della sua vita quando non la si conosceva. L’aveva capito che anche quella Nata aveva dei problemi,  ma comunque ciò non le dava nessun motivo di parlare così di lui, della sua vita.
-Tu non sai nulla di me-Gli rispose Natalia aumentando il passo e raggiungendo le ragazze.
 
Ludmilla non era tranquilla nel restare sola a casa con Federico. Nonostante il giovane stesse sicuramente male aveva paura che tutte quelle cose sconce che le proponeva di fare gliele imponesse con la forza.

Non era andata in discoteca perché aveva bisogno di vomitare il più possibile, ma soprattutto non voleva farsi vedere troppo in giro così, enorme. Se ne era accorta quel giorno, alla luce del giorno, davanti agli specchi di danza. Era diventata troppo, troppo grassa. Non si sarebbe stupita se Federico, l’unico suo “corteggiatore” avesse smesso  di provarci con lei.

Si diresse verso il bagno con l’intenzione di smaltire un po’ di peso,  ma un rumore proveniente dal bagno dei maschi le fece cambiare direzione. La porta era aperta e Federico era chinato sul water vomitando. Sembrava fragile ad una prima occhiata, fragile come mai avrebbe immaginato di vedere Federico, fragile come probabilmente sembrava lei ogni volta che vomitava.

Si avvicinò lentamente al ragazzo non appena si accorse che il suo corpo era scosso dai singhiozzi e il rumore del pianto le era giunto alle orecchie.

Gli toccò la spalla con mano tremante, per paura che lui s’arrabbiasse vedendola lì.
Lui si girò e Ludmilla rimase come pietrificata.
Lungo le guance le lacrime scendevano veloci e qualcosa fece pensare alla Ferro che quelle lacrime non fossero per il dolore fisico, lo vedeva negli occhi marroni di quel ragazzo che diceva tanto d’odiare e che in quel momento avrebbe voluto solo consolare. Lui soffriva anche dentro, soffriva di una sofferenza forse forte quanto la sua, anche se diversa. E  Ludmilla sentiva la strana necessità di sapere cosa fecesse star male quel gioiale ragazzo che era Federico, il suo Federico, il suo rompipalle preferito.Federico il ragazzo che odiava e al quale in fondo, voleva un bene nell'anima. L'unico che la trovasse bella nonostante il suo corpo deforme e il viso imperfetto.

Ludmilla strofinò la schiena di Federico gentilmente come nessuno aveva mai fatto con lei,  mentre lui vomitava ancora, piangendo sempre più forte.
Quando finì la ragazza lo aiutò ad alzarsi e lo accompagnò a letto, facendolo sdraiare e rimboccandogli le coperte.
-Come ti senti?-Gli domandò
-Meglio. Grazie Ludmilla- Sussurrò Federico con voce debole. La nausea e il vomito erano i sintomi che più odiava delle crisi d’astinenza. Non sapeva il perché delle sue lacrime, si sentiva terribilmente depresso, triste, debole, sporco dentro. Si faceva schifo da solo. Ci era ricaduto diamine. Non meritava nemmeno l’aiuto di qualcuno, non meritava nulla, solo il dolore, quello si che lo meritava.
-Di niente- Lei gli sorrise passando una mano tra i suoi capelli. Si accigliò quando toccò la fronte del ragazzo.

Ludmilla si guardò attorno, imbarazzata per quello che stava per fare, anche se sapeva che in casa non c’era nessuno.

-Ora faccio una cosa ok? Ma non farti venire strane idee-Si raccomandò la bionda con l’italiano, il quale teneva gli occhi chiusi per calmare la nausea e i giramenti di testa mentre altre lacrime scendevano dai suoi occhi serrati senza che le potesse controllare.

-Tu puoi fare qualsiasi cosa Ludmi-
Ludmilla si chinò e titubante posò le labbra sulla fronte di Federico per sentirne il  calore. Era come pensava. La fronte di Fede era incredibilmente calda, doveva avere la febbre alta.

-Hey penso che tu abbia la febbre, prendo il termometro, ok?Torno subito tranquillo-
Federico se lo doveva aspettare. Doveva immaginarselo che gli sarebbe venuta la febbre alta, era un altro dei sintomi.    

L’unica cosa che faceva sentire meglio Federico era la presenza della bionda Ludmilla. Si era dimostrata dolce con lui, stranamente dolce, comprensiva. Lo aveva aiutato, tranquillizzato con le sue carezze di cui Federico aveva ancora bisogno. Aveva bisogno di lei, che allontanava il pensiero fisso della sua colpa, del suo vizio, della sua dipendenza. Che lo faceva sentire migliore, un Federico Pasquarelli diverso.

Ma Federico rimaneva comunque un ragazzino piangente, un giovane uomo distrutto
 
Marco si avvicinò a Francesca che se ne stava in un angolino della discoteca con lo sguardo perso nel vuoto, pensante.

Ponce De Leon la scrutò, con sguardo sognante. L’aveva notata dal primo momento quella ragazza, che nonostante non fosse appariscente come le altre era per lui la più graziosa, dolce, bella. Quella sera con quel vestito non troppo corto viola scuro, i capelli sciolti e il trucco leggermente più marcato, sembrava una dea agli occhi del giovane.

Le si avvicinò, un po’ imbarazzato ed impaurito. Non era mai stato solo con lei. Il cuore martellava nel petto, forte, incessante, sembrava voler scoppiare, voler uscire dal suo petto ed andare da lei. Le mani sudavano in modo incontrollabile

-Non ti diverti?-Le chiese
-No, non è che non mi diverto, solo non mi piacciono le discoteche- Spiegò lei forzando un sorriso
-Neanche a me. Troppo chiasso-Concordò Marco.
-Già-
-Tu non stai bene vero?- Domandò il ragazzo
-Cosa te lo fa pensare?- Francesca era sbigottita, non se l’aspettava.
-Solo non hai mai sorriso oggi, non l’hai fatto per niente. Sai non è bello quando non sorrisi. Il sorriso è la cosa più speciale che hai…cioè…non fraintendere….. tu sei tutta speciale solo…ecco mi piace quando sorridi- Farfugliò Marco.

-Nessuno mi ha mai detto nulla di così dolce Marco, nessuno mi ha mai detto nulla di simile. Sei tu quello speciale- Rispose sorridendo Fran, sorridendo per davvero.
 


Diego ricordava a mala pena i tempi in cui aveva un cuore, in cui provava sentimenti: dolore, amore, gioia, felicità persino gelosia. Erano tempi lontani in cui la speranza nutriva il suo cuore bisognoso d’affetto paterno. La speranza che con il tempo tutto sarebbe cambiato. Ma la speranza era andata via, lasciando il cuore di Diego, indurendolo, facendolo divenire pietra.

A Dominguez mancava terribilmente la sensazione di provare qualcosa, qualsiasi cosa che non fosse l’odio o l’indifferenza, di cui ormai era sazio.

Scrutò Violetta dare spettacolo  in pista mentre Leon accanto a lei le stringeva i fianchi. Quella ragazza era strana, speciale, eppure per lei provava solo indifferenza
come per tutte le altre.

Nelle fiabe avrebbe dovuto trovare la principessa capace di riaccendere i sentimenti celati in lui, mai esternati. Ma quella non era una fiaba, era la realtà. Una realtà in cui l’odore  dolce di streghe gli riempiva le narici,gli ricordava il perché della sua permanenza a New Orelans e lo faceva sentire impotente sapendo che non poteva fare nulla senza l’attrezzatura che teneva nascosta in casa.

Sorseggiava un drink osservando i suoi compagni con invidia.

Il suo sguardo si fermò su Francesca, la quale sorrideva a Marco. Sembrava felice, come non l’aveva mai vista, sembrava che l’ombra di inquietudine che velava il suo sorriso angelico fosse sparita.

Diego si sentì improvvisamente strano. Sentiva una morsa di invidia nei confronti di Ponce de Leon, desiderando di trovarsi al suo posto, di essere lui la ragione del sorriso della Comello.

Diego la osservò, illuminata dalla luce azzurrina della discoteca. Era bellissima, non bella come Violetta o Ludmilla, di quella bellezza da modelle, non come Camilla, di una bellezza particolare, o come Nata, di una bellezza timida. Bella come mai aveva trovato una ragazza, bella  come un sogno, come un angelo.

Un angelo che, si ricordò Diego, avrebbe potuto essere benissimo un diavolo, una strega. Eppure gli sembrava impossibile, nessuna strega poteva sorridere come lei.
 

Leon posò le mani tremanti sui fianchi della Castillo, che ondeggiava in pista.
Lei alzò lo sguardo e lo fissò negli occhi verdi, di un verde ipnotico quasi irreale, incoraggiandolo con lo sguardo.

Lui  alzò le mani, portandole sulla schiena di lei, seguendo ogni suo movimento sciolto, carezzando la pelle liscia al di sotto della maglietta leggera. Lei teneva le mani sul suo collo, carezzandolo con una mano, mentre l’altra gli toccava con l’altra i capelli corti.

La musica era veloce ma sembrava che loro stessero ballando un romantico lento. Si fissavano negli occhi, parlandosi con gli sguardi in una lingua che solo loro potevano comprendere, una lingua segreta, muta, cos’ che nessuno potesse interrompere quella così piacevole discussione.

Leon posò la testa sulla spalla di Violetta, stringendola di più a se, mente il cuore pompava più forte il sangue nel corpo scosso dai brividi di piacere.

Poteva sentire il respiro della giovane solleticargli l’orecchio.
-Sei bellissimo Leon-Gli sussurrò all’orecchio, carezzandogli la guancia con una mano e il torace con l’altra.

Improvvisamente Violetta non era più Violetta.

L’alito fresco della Castillo diventava quello puzzolente di fumo di sua madre.

Le mani morbide venivano sostituite da quelle callose della donna che l’aveva messo
al mondo.

La voce seducente diveniva quella della sua mamma,che lo carezzava, ovunque, anche nelle sue intimità, lasciandolo senza fiato, schifato.

Improvvisamente i gesti innocenti di Violetta diventavano quelli perversi di sua madre.

E la paura sostituì l’eccitazione nel corpo di Leon, e i brividi di piacere divennero di terrore.

Spinse via la Castillo che lo fissò basita mentre lui si dirigeva in bagno, con passo veloce, quasi correndo.

Strinse il lavandino con forza. Fissò il suo riflesso allo specchio. Il riflesso di un giovane uomo, distrutto, ferito, piangente.

Angolo Autrice
Grazie per tutte le recensioni bellezze! Siete fantastiche. Allora questo capitolo è meno triste dell'altro, ma comunque non alegrissimo.
Parliamo di Leon e Violetta, i rapporto inizialmente più chiaro e semplice. Si piacciono, come si capisce all'inizio del capitolo. alla fine però scopriamo che Leon non riesce a sopportare la vicinanza con la Castillo per i ricordi di ciò che gli faceva sua madre, questo implicherà non pochi problemi tra i due.
Ludmilla e Fede incivece stravolgono il loro rapporto. Fede attraversa in pieno un crisi d'astinenza e Ludmilla, credendo che sia semplice febbre, gli sta accanto cercando di capire il perchè delle fragilità di Fede, il quale si sente bene con lei, come se lei lo fecesse sentire migliore. Ludmilla inoltre lascia trasperire di voler bene a federico e di considerarlo il suo rompipalle preferito.
Nata e Maxi hanno un litigio dettato dai problemi nel passato di entrambi.
Marco e fran si avvicinano, facendo ingelosire Diego che pre la prima volta torna a provare sensazioni come la gelosia.
Che ne dite?
Ah come avete visto ho aggiunto il banner, che mi ha fatto mia cugina che ringrazio, ma le ricordo che Hunter si scrive con l' H. E' colpa sua se manca XD
Baci a tutte

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Capitolo 4
*** Fuck life ***


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CAPITOLO 4

Era una tarda mattinata di sabato mattina e a New Orelans il caldo sembrava essere più soffocante del solito.

Nella casa gialla dello Studio Onbeat gli adolescenti s’erano appena svegliati, con l’intenzione di godere a pieno il weekend di riposo e divertimento che avevano programmato assieme.

Nella cucina i giovani facevano colazione parlando del più e del meno.
Ludmilla lanciò uno sguardo a  Federico.

Non sopportava di vederlo così  uguale a prima.

 Era passata una settimana in cui Federico sembrava essersi rimesso bene.

Ogni tanto la testa continuava a girargli mentre ballava, ma rispetto alla febbre dei giorni precedenti quello non era nulla.
Era tornato tutto esattamente come prima, come se in quella notte  non fosse accaduto nulla. Come se lei non si fosse presa cura di lui, e lui non avesse farfugliato più volte il suo nome nel sonno facendola arrossire.

Non le piaceva il Federico che voleva essere Pasquarelli, non le piaceva come si comportava, soprattutto con lei.

Eppure dopo quella notte non riusciva ad odiarlo come prima, non riusciva a non pensare allo strano modo in cui si era trovata a vegliare sul suo sonno, carezzandogli con delicatezza i capelli, la fronte, misurando la temperatura assicurandosi che non s’alzasse troppo, assicurandosi che stesse bene, che non piangesse, perché quelle lacrime facevano male anche a lei. Il motivo rimaneva un mistero per la giovane Ludmilla, nonostante avesse perso intere nottate a cercare di comprenderlo.

Si era comportata come mai in vita sua con il ragazzo, altruisticamente. Era cambiata, se lo sentiva dentro, fino al midollo. E lui? Lui era rimasto uguale all’apparenza  e Ludmilla non riusciva ad accettarlo, era più forte di lei.

 La consapevolezza di tenere in qualche strano, inspiegabile modo a Federico, non riuscendo ad essere indifferente a quel suo modo di fare, si era insinuata nel suo cervello, nei suoi pensieri.

Lui non aveva fatto altro che, come suo solito, provarci con lei in quel modo quasi volgare che tanto le dava sui nervi, che ripudiava, quasi la schifava. Pensava che, dopo quella notte, il loro rapporto avrebbe preso una piega diversa, meno sessista, più dolce.

Magari sarebbero divenuti amici, magari sarebbe nato qualche cosa tra loro.
Le sembrava che le lacrime  che aveva visto nei suoi occhi quella sera non fossero mai esistite, che  lui non fosse la stessa persona alla quale aveva sussurrato dolci parole sorridendo per quanto tenero apparisse dormendo.


Federico colse lo sguardo di Ludmilla.

Poteva leggere la delusione negli occhi della ragazza.


Ma non ci poteva fare nulla, i suoi bisogni in quel momento venivano al primo posto, perché Federico lo sapeva che quando si ha una dipendenza si diventa egoisti, si pensa solo a se stessi, senza nemmeno volerlo.

 Ci si dimentica degli altri.

Era riuscito ad uscire e comprare scorte di morfina per almeno una settimana, e non appena avuto la sua dose si era sentito incredibilmente meglio.
 Alcuni sintomi erano rimasti, la febbre ad esempio era perdurata per alcuni giorni, ma stava decisamente meglio. Tanto da poter tornare ad essere odiato
da Ludmilla.

Odio. A Federico faceva male pensare che Ludmilla potesse provare un sentimento tanto brutto nei suoi confronti, tanto distruttivo, tanto eterno, perché Federico lo sapeva che l’odio dura per sempre. Ma come poteva biasimarla? Si comportava da un vero idiota con lei, sempre. Si comportava come se la vedesse come un oggetto da fare suo, in ogni senso, e buttare via.
E forse si, forse all’inizio era stato così, ma ora era diverso. Ora lui sentiva di provare un certo qualcosa per lei, a cui non avrebbe saputo dare un nome, che era a metà tra l’attrazione fisica e un sentimento più profondo.

Pasquarelli non aveva certo dimenticato quanto accaduto la notte più brutta e allo stesso la più meravigliosamente bella  della sua vita

Le carezze di Ludmilla erano impresse sulla sua pelle, dolci, delicate.
Il bacio che aveva posato sulla sua fronte era indelebile, agognato, un sogno, e nonostante fosse stato un gesto innocente aveva fatto sentire Federico come in paradiso.

Era sicuro che quello che provava per Ludmilla Ferro non fosse solo attrazione fisica perché  l’aveva vista per davvero quella notte, come persona, e gli piaceva. Gli piaceva tanto, troppo, più di quanto non gli fosse mai piaciuta nessuna.

Si sentiva in qualche modo legato a lei, si somigliavano infondo.
 Entrambi indossavano una maschera per nascondere la loro vera identità.  
La Ferro non  era la snob viziata che voleva sembrare, Federico  non era l’eterno bambino  con il sesso come pensiero fisso. Erano più di questo loro due, Pasquarelli ne era sicuro, come era sicuro che forse stando insieme sarebbero migliorati.

Perché quella notte entrambi erano stati diversi, si erano cambiati a vicenda.
Ambedue lo sapevano che quel cambiamento viveva ancora in loro, non era sparito con l’arrivo dell’alba.
Ambedue lo sapevano che nonostante non lo dessero a vedere il loro rapporto era mutato.
 


Leon uscì dalla sua stanza incontrando Violetta. Rimase bloccato, solo qualche secondo ad osservarla, da vicino, come non era più accaduto da quella sera in discoteca, nella quale lui era scappato senza nemmeno dare  una spiegazione alla Castillo, smettendo persino di parlarle o osservarla da lontano come faceva prima.

Gli sembrava essere ancora più bella quella mattina, struccata e con i capelli blu scompigliati, prima di colazione.

 Gli occhi nocciola che lo scrutavano con un misto di rabbia e curiosità, sembravano più grandi senza trucco, la bocca più invitante senza rossetto.

Avrebbe voluto stingerla a se, come quella notte, ma aveva paura di rivedere in lei sua madre.
Leon non aveva perso interesse nei suoi confronti, anzi ora che non poteva averla quell’interesse sembrava essersi triplicato in lui, distruggendolo completamente. Era annientato dalla consapevolezza di quanto fosse sbagliato provare sentimenti per Violetta,  per qualcuno da cui non riusciva ad allontanarsi o a cui non riusciva ad  avvicinarsi totalmente
Stare vicino a lei portava alla mente ricordi dolorosi, ma stare lontano da lei era allo stesso modo una tortura.

 Non sapeva come comportarsi, non aveva idea di cosa fare. L’unica cosa era aspettare, lasciare che tutto facesse il suo corso, senza prendere attivamente parte al rapporto che stava nascendo tra lui e Violetta, rompendolo per sempre forse.

 Non sapeva cosa provasse esattamente la ragazza per lui, se ne fosse innamorata o se fosse solo attratta fisicamente da lui,  l’unica certezza era che in qualche modo, più o meno forte e profondo, lui scatenava sentimenti in lei .

Ma comunque lei sarebbe presto stata felice, le attenzioni dei ragazzi non le mancavano, avrebbe trovato uno migliore di lui. Non ci sarebbe voluto molto.
Lui sarebbe rimasto solo si, ma non poteva certo legarla  a se sapendo che non sarebbero mai stati veramente insieme.  

“Con Diego magari starà bene” pensò.

Il curioso avvicinamento dei due non gli era certo passato inosservato, e nonostante non ne fosse felice, sapeva che era la cosa migliore, per lui e, soprattutto,  per Vilu.
-Che dici mi lasci passare?-Domandò la giovane senza nascondere l’astio nella voce.
-Scusa- Rispose lui scansandosi.
 

Violetta non riusciva più a sostenerlo il suo sguardo, così intenso, così diverso, speciale. Speciale come aveva creduto essere Leon. Come non si era dimostrato.
L’aveva abbandonata improvvisamente quella sera, appena le cose avevano iniziato a scaldarsi, senza una parola, una scusa, una spiegazione. Aveva atteso che le dicesse qualche cosa, qualsiasi cosa, nei giorni seguenti. Ma nulla.


Leon si era chiuso in uno strano silenzio nei suoi confronti, un’insolita indifferenza che l’aveva ferita.
Da quando aveva conosciuto Leon, imparato a convivere con lui, i suoi sguardi che la scrutavano nell’anima erano divenuti parte della quotidianità, indispensabili.
Ed ora che non c’erano più Violetta non poteva impedirsi di starci male, anche un minimo.
La verità era che Leon l’aveva totalmente abbandonata, lasciata, come sua madre, allo stesso tempo in modo diverso.

Entrò in cucina dove Diego la aspettava, bello e sorridente come al solito,  con una tazza di caffè  freddo in mano.
Le diede un bacio a stampo.


Si erano avvicinati per gioco. Lei si comportava da puttanella come suo solito e lui la lasciava fare.

Era un bel rapporto il loro, una specie di fidanzamento senza impegni della serie: Ogni tanto ci baciamo, ma non stiamo insieme.

Le piaceva sentire la morbidezza delle labbra dello spagnolo sulle sue , le piaceva sentire le sue mani insinuarsi violentemente, veloci e sicure,  sotto la gonna o la maglietta.

Era una piacevole sensazione alla quale però mancava ogni sentimento.
Si volevano bene, quello si, ma  non c’era in realtà nemmeno attrazione tra loro.

 Il perché era per Vilu palesemente chiaro, dannatamente sbagliato, fottutamente doloroso .

Diego era bello, ma non era bello come Leon.

Diego la scrutava, ma non come Leon.

Diego l’abbracciava, non come Leon.

Diego aveva gli occhi spenti, ma diversi da quelli di Leon.

Diego non era Leon, non le dava le stesse emozioni, non le faceva venire i brividi ad ogni sguardo, non la faceva sentire speciale o diversa, se lui avesse smesso di interessarsi a lei non ci sarebbe stata male. Con lui non si sentiva altro che una bambola, nelle mani di un giovane uomo che caratterialmente le ricordava Vargas, e forse, per questo, un po’ le piaceva.
Dominguez era solo qualcuno da cui rifugiarsi, con cui passare il tempo, e si, anche qualcuno che facesse comprendere al ragazzo dagli occhi verdi quello che si stava perdendo.



Francesca si girò verso Marco, leggermente irritata,  mentre Diego e Violetta si baciavano rapidamente.

La prima coppia della casa si era formata eppure non riusciva ad esserne felice, forse era perché Violetta, lo si vedeva lontano un miglio, non provava nulla per Diego, forse perché entrambi erano suoi cari amici e non voleva stessero male, forse perché pensava che Dominguez meritasse di più di una  molto facile come Violetta.

Ma Francesca in cuor suo lo sapeva che il vero motivo era che , per qualche motivo assurdo, le sarebbe piaciuto essere al posto della Castillo anche solo per una volta, e assaggiare le labbra dello spagnolo. Baciandolo con passione, lasciandosi toccare da lui, lasciandosi trasportare nei movimenti, chiudendo gli occhi, passandogli una mano tra i capelli.

Avrebbe voluto baciarlo, nel più totale silenzio, con il battito furioso dei loro cuori come colonna sonora.

Le sarebbe bastata una volta, per togliere a se stessa ogni tentazione, e tornare da Marco, che era quanto di più simile ad un fidanzato avesse mai avuto, anche se non si erano mai baciati.

Non stavano assieme, non ufficialmente almeno, ma avevano il rapporto che qualsiasi coppia avrebbe voluto. Si divertivano assieme, ridevano, parlavano, si confessavano i più importanti segreti, i pensieri più profondi, i sentimenti più nascosti.

Francesca osservò Diego e Violetta di nuovo, cercando di frenare la sua fervida immaginazione.

Diego si era sempre dimostrato essere un bravo ragazzo con lei, in quella settimana era stato particolarmente dolce e premuroso, come Marco d’altronde, il che la destabilizzava un po’.
Non poteva fare a meno di domandarsi come mai Diego si interessasse tanto a lei se stava con Violetta.
Il suo era un avvicinamento amichevole, Francesca ne era consapevole, eppure le sembrava di vedere nei suoi occhi, quando erano assieme, una strana scintilla, che non sapeva identificare,  ma che faceva riaccendere  in lei la voglia di un bacio.
 


Marco sentì la rabbia e la gelosia salire alle stelle non appena s’accorse di come la Comello osservava Violetta e Dominguez.
Dominguez, quanto astio provava nei suoi confronti in quegli ultimi giorni? Da quando aveva cominciato a frequentare Fran, lui non aveva fatto altro che provarci con lei, nonostante stesse con la Castillo, nonostante sapesse quanto Marco teneva a Francesca.

Non lo sopportava, con quel suo modo di fare da bello e dannato sciupa femmine, che faceva cadere ai suoi piedi qualsiasi ragazza, anche Francesca.
Perché Marco se ne era accorto del modo in cui la sua quasi fidanzata lo guardava, con desiderio, e faceva male sapere di non bastarle, era doloroso come nulla che avesse mai provato. Gli faceva salire le lacrime agli occhi ogni volta, lasciando nel suo cuore l’amarezza, la delusione nel sapere che tutto l’amore che lui sarebbe stato capace di donarle non bastava per essere l’unico. 


-Vestitevi e datevi una mossa!-Gridò Camilla che se ne stava seduta sul divano a vedere la tv già completamente vestita e truccata, pronta per andare al parco divertimenti.

Quando arrivarono parco non sapevano cosa fare, c’era l’imbarazzo della scelta tra tutte quelle divertentissime giostre.

-Andiamo sulle montagne russe!- Esclamò eccitata Nata
-No. Io voglio andare nel tunnel dell’amore.Che ne dici Diego?-Chiese Violetta carezzando il petto del suo ragazzo, cercando di attirare l’attenzione di Leon, che sbuffando si diresse verso la casa del terrore trascinando con se Federico.
-Io vado con loro. Vieni Fran?-Domandò Marco tendendo la mano a Francesca
-Se vuoi puoi venire con me sulla ruota panoramica-Si intromise Diego lanciando uno sguardo di sfida a Marco, che smise di respirare fino a che l’ italiana non fece la sua scelta.

Francesca era confusa, non sapeva dove andare o che fare. Amava passare del tempo con Marco, le piaceva Marco, molto. Amava la sua voce ancora non troppo profonda, dolce. Amava quel suo modo delicato di carezzarla, e lo sguardo che riservava esclusivamente a lei, uno sguardo adorante, veramente innamorato.

Le sarebbe piaciuto stare un po’ sola con Diego, sapeva comunque che così facendo avrebbe ferito Ponce De Leon, e sicuramente fare del male ad un ragazzo a cui teneva tanto era l’ultima cosa che voleva.

Prese la mano di Marco e gli sorrise.
-Scusa Diego, ci andremo dopo ok?-
-Andiamo in quel cavolo di tunnel dell’amore-Sbottò irato Dominguez tirando per il polso Violetta.
-Datti una calmata- Gli gridò contro la Castillo
-Non dirmi quello che devo fare- Ribatté lo spagnolo
-Senti se Francesca non ti ama mentre tu le sbavi dietro non è certo colpa mia-Gli fece notare Castillo
-Taci puttana- Strillò Diego facendo voltare tutti quelli che facevano con loro la fila.

Gli occhi di Vilu si riempirono di lacrime.  Non si aspettava una reazione tanto furibonda, e soprattutto di essere chiamata da Diego in quel modo.
Dominguez notò gli occhi lucidi della ragazza, le prese le spalle e la fissò negli occhi.

-Scusami Vilu, non volevo solo...Che ne dici se parliamo in un posto più appartato?-Le domandò con dolcezza che non sapeva di possedere .

Si sedettero su un prato mentre i raggi del sole li scaldavano. Se li si vedeva da lontano sembravano una normale coppia d’adolescenti, forse innamorati, forse felici.

-Il fatto è che non ce l’avevo con te..solo…-
-Ti sei innamorato di Francesca?-Chiese Violetta
-Innamorato è una parola grossa. Mi piace comunque, moltissimo, giuro che non mi sono mai sentito così per nessuno e odio che stia con quel idiota viziato di Marco- Spiegò Diego
-Marco non è un idiota,  un bravo ragazzo, non come noi, tutto qui- Lo difese Castillo.
-A te piace Leon vero?-
-Si nota molto?-
-Abbastanza-
Violetta sorrise.
-Non cercare di separare Fran e Marco, se lei dovesse mai provare qualche cosa di forte per te lo lascerà, non ti mettere in mezzo, la farai stare male, e se ti piace tanto come dici non vorresti vederla soffrire no?-
 


Maxi  e Nata erano rimasti soli visto che Camilla e Ludmilla erano andate assieme sulla ruota panoramica.
-Bene..em vogliamo andare sulle montagne russe- Propose Maxi rompendo l’imbarazzante silenzio
-Con te non vado da nessuna parte Ponte-Ribatté la spagnola incrociando le braccia.
-Oddio non mi dire che ce l’hai ancora con me-Esclamò Maxi allargando le braccia
-Già-Annuì Natalia
-Senti se sono felice non puoi avercela con me, inoltre se fossimo amici magari ti farei ridere, così ti toglieresti quell’espressione ammusata-Maxi le si avvicinò e le prese la mano con delicatezza
-Lo hai detto a qualcuno?-Domandò Nata con voce leggermente impaurita
-Cosa?-Maxi aveva un’ espressione confusa in volto
-Di me..di quello che hai capito-Sussurrò Nata chinando il capo
-Certo che no-La tranquillizzò Ponte
-Ok. Suppongo che possiamo provare ad essere amici allora-Affermò Navarro sorridendo
-Nata?-La chiamò Maxi
-Si?-
-Volevo dirti che sei bella quando sorridi e che…La mia vita non è stata perfetta come credi- LE confessò Maxi che senza aggiungere altro le prese la mano e la trascinò verso le montagne russe.

 
-Hey Fran ti devo far vedere una cosa- Disse Diego.
Erano tornati a casa dopo aver passato una bella giornata da circa un ora e Francesca riposava tranquilla sul sofà rosso.
-Certo- Rispose mentre si sentì pervadere da un’ insolita e sbagliata felicità.
Diego la condusse nella sua camera, aprì l’armadio e tirò fuori un cofanetto di velluto blu.
-Cosa è?-Chiese la Comello indicando la valigia nera posata sul letto.
-Sono strumenti.. che usavo per andare a caccia..con mio padre-Spiegò incerto lo spagnolo
-Siete molto uniti?-Domandò curiosa Francesca.
L’espressione di Diego si incupì- Abbastanza-Mentì, cercando di nascondere la sofferenza nella voce, sofferenza che non passò inosservata all’italiana.
-Girati e chiudi gli occhi- Le ordinò lo spagnolo. Francesca annuì sorridente.
Pochi secondi dopo sentì qualcosa di freddo sul collo.
Aprì gli occhi e prese tra le mani il ciondolo dall’aspetto antico..
-Era di mia nonna. Voglio che lo tenga tu,  che sei la persona migliore che abbia mai conosciuto- Le spiegò Diego mentendo, aveva comprato la collana in un negozietto,  prendendole le mani piccole tra le sue

Il cuore batteva forte, troppo, come per anni non aveva fatto. Tutte le emozioni che per anni aveva dimenticato erano rinate in Diego, più intense che mai, e tutto grazie alla Comello.
Le fissò le labbra rosee indeciso su cosa fare. Avrebbe voluto baciarla, così magari avrebbe capito di voler stare con lui, ma la paura che lo respingesse, e di conseguenza di perdere la sua amicizia, era troppo forte.

Francesca lo osservò, da vicino come mai prima d’allora.
Era perfetto. Gli occhi profondi, di un marrone-verdino, il naso piccolo, le labbra carnose al punto giusto.  Carezzò il volto, la pelle era resa più ruvida da quell’accenno di barba che gli  conferiva un tocco di maturità.
Lo guardò negli occhi nuovamente, e vi lesse la felicità, vera, pura. La scintilla era più accesa ora, la luce nella sue pupille più forte, il suo sguardo più intenso.

Intenso, si ricordò Fran, come quello che Marco le donava ogni istante da quando lo conosceva, con i suoi occhi scuri e bellissimi, profondi come pochi.
Il pensiero di Marco la bloccò poco prima che le sue labbra incontrassero quelle di Diego, poco prima che potesse realizzare il suo desiderio proibito, che rovinasse lo speciale rapporto che aveva con il giovane Ponce de Leon.
Dominguez rimase basito, mentre Fran correva via, via da lui. Tornava da Ponce de Leon.


Una lacrima solitaria solcò la guancia di Diego. Suo padre aveva ragione, non valeva nulla, era una nullità, un incapace. Che cos’altro poteva essere un ragazzo rifiutato dall’unica ragazza per la quale abbia mai provato qualcosa a causa di un marmocchio muscoloso la metà di lui?


 
 
 
Era notte oramai, Camilla di muoveva silenziosamente per la casa. L’unico rumore era quello del suo respiro e dei gemiti di Ludmilla provenienti dal bagno.
Sapeva cosa stava facendo la biondina, ma non le importava, era lì per cercare streghe come lei, e una strega non era sicuramente così debole da fare ciò che faceva la Ferro
Aprì lentamente la porta della camera di Marco e  Diego che dormivano profondamente, si sdraiò sotto il letto di Dominguez così da riuscire a prendere la valigetta che aveva sentito, passando per caso davanti alla camera dei ragazzi quel pomeriggio, contenere strumenti da caccia, che Camilla aveva intuito servisse per catturare streghe.
La portò via, facendo attenzione a non svegliare nessuno, chiuse la porta alle spalle.

La mattina dopo Diego si alzò, con il tremendo timore che gli fosse stato sottratto qualcosa.
Aveva sentito come una presenza in camera sua, ma assonnato come era non era riuscito a svegliarsi.
Si buttò a terra con un tonfo e controllò che la valigetta fosse al sui posto.
Era sparita.
Il cuore perse un battito dolorosamente non appena giunse alla conclusione che, essendo l’unica a sapere di quella valigetta, la ladra fosse Francesca e che, l’unico motivo plausibile per quel gesto, era che lei fosse una strega, che avendo capito il perché della valigetta l’avesse rubata.
Diego sbarrò gli occhi, stringendo i pugni. Aveva individuato la strega, avrebbe dovuto ucciderla per ottenere gloria.
Avrebbe dovuto uccidere la ragazza, oramai per lui  i suoi sentimenti erano un’atroce certezza, che amava.

La vita era fottutamente ingiusta.

angolo autrice
allora che ve ne pare?
Questo capitolo è, a mio parere, quello che ha più contenuti.
Cominciamo da Fede e Ludmilla.
Fede riprende a drogarsi di morfina, e di conseguenza a comportarsi come prima pur sentendosi cambiato, deludendo però Ludmilla la quale si sente allo stesso modo diversa da prima.

Poi ci sono Diego e Violetta.
Il loro è più un rapporto un po' particolare d'amicizia diciamo, infatti nessuno dei due si ingelosice quando l'altro confessa di avere una cotta uno per Fran l'altra per Leon.

Leon e Vilu.
Allora Leon pur provando forti sentiementi per vilu la tiene lontana sapendo che non potendo stare insieme tenerla legata a se sarebbe sbagliato mentre Vilu è molto arrabbiata e delusa da lui, si sente abbandonata.

Nata e maxi si riappacificano provando ad essere amici e maxi rivela di aver avuto una difficile vita.

Marco e Fran...Bene le fan della marcesca mi staranno odiando per far soffrire il loro marco, scusatemiii, ma come vi ho già detto anche io tifo Marcesca quindi...non dico che non ci saranno problemi con Diego ma comuqnue Marcesca trionferà, credo. allora dicevamo marco innamorato di Fran la quale allo stesso modo prova qualche cosa per marco ma llo stesso tempo è attratta da Diego, il quale è innamorato di Fran e quando lei scappa da lui ricorda le parole del padre e crede siano vere.
Chiedo alle fan della marcesca di non avercela con DIego, la sua unica colpa è quella di essere innamorato infondo, inoltre a me fa un po' pena con il suo passato e la batosta che ha preso con fran quindi...

Passiamo a Cami, Cami che, rubando la valgietta fa credere a Diego che la strga sia Fran. Volevo diri che quello che pensa Cami su Ludmilla quindi sulle anoressiche non lo condivido, solo è questo il suo personaggio molto menefreghista quindi..scusatemi.

Spero vi piaccia il capitolo. Baci

 

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Capitolo 5
*** Leon's nightmare ***


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CAPITOLO 5

Solitamente dalla tomba si capisce quanto amata fosse una persona, eppure, nonostante Maria Castillo fosse stata  infinitamente amata, la sua tomba era spoglia, adornata solo di fiori secchi, morti che, proprio come lei,  un tempo erano stati  vivi e rigogliosi, stroncati nel pieno della loro bellezza dal sole cocente, dal vento furioso, dalla pioggia pesante per quei poveri delicati petali. Forze che unite assieme divenivano una unica, grande e devastante, come il cancro.

Ne German, ne tanto meno Violetta erano riusciti a rimetter piede in quel cimitero dopo i funerali, ed un anno dopo chiunque passasse davanti alla tomba di Maria non poteva fare a meno di domandarsi il perché della solitudine di quella donna, morta da così poco, dimenticata così in fretta all’apparenza.

Nessuno sapeva quante lacrime avessero versato i suoi cari, quanto dolore avesse dilaniato i loro cuori, quanta sofferenza li avesse colpiti cambiandoli per sempre. Peggiorandoli come solo la morte può fare.

Violetta ricordava, purtroppo o per fortuna, quei tempi felici in cui German sapeva sorridere, sapeva far qualcosa al di fuori di lamentarsi ed innervosirsi, per ogni singola cosa.

Suo padre non era più quel’ uomo buono e gioioso che a cui spesso pensava  con nostalgia, era cambiato, così come lei. Erano entrambi stati distrutti dalla morte, in mille pezzi,  rimodellati come creta dal dolore.

Un urlo squarciò l’aria, potente come un tuono nella notte silenziosa, facendo sussultare Vilu, scuotendola dai suoi pensieri tristi, ce animavano l’insonne nottata.

 Un ragazzo s’agitava nel letto, ansimando, piangendo, pregando, sussurrando frasi sconnesse.

 Il rumore rotto dei singhiozzi e delle urla fece destare i ragazzi dal loro sonno, li fece accorrere nella camera di Leon, che, nonostante fosse sveglio e rassicurato da Federico, che lo stringeva a se amorevolmente, non riusciva a fermare il fiume di lacrime che sgorgava dagli occhi verdi come smeraldi.

Violetta sentì l’irrefrenabile impulso di correre da Vargas, consolarlo, cercare di capire il perché di tutta quella sofferenza che alla fine si era inevitabilmente venuta mostrare, con quelle lacrime, salate eppure amare di sconfitta per Leon, che avrebbe tanto voluto mostrarsi forte, e che al momento si sentiva  come un bambino, incapace di frenare quel suo pianto isterico e apparentemente privo di senso.

-Uscite-Ordinò   in un tono che non ammetteva repliche Federico  che, in quel momento, non riusciva a pensare alle buone maniere, spaventato come era per il suo fratellino.
Perché oramai era palese che tra Leon e Fede ci fosse più uno splendido legame d’amicizia. Vargas era per Pasquarelli il fratello minore mai avuto, da proteggere e  tenere lontano dalla cattiva strada, facendo in modo che non commettesse i suoi errori.

-Maxi sbattili fuori!-Gridò ancora con un accenno di ire notando come nessuno dei suoi amici accennasse ad uscire.
Maxi, a malincuore, chiuse loro la porta in faccia, lasciandoli interdetti, curiosi, alcuni forse un po’ preoccupati.

Camilla non era certo tra loro. Non era curiosa, preoccupata o impietosita dalle lacrime bambinesche di Leon. Ne era indifferente, come era indifferente a qualsiasi altro problema dei suoi compagni, che ne erano pieni.

Doveva ammettere che era capitata in un’ annata difficile, difficile per chi come lei doveva sentire ogni singolo pensiero dei suoi strani coinquilini, rimanerne indifferente, distinguere ciò che viene detto da ciò che viene pensato e scovare le streghe. I suoi coinquilini poi erano così  anormali, che sembravano usciti da un film di scarsa qualità,  e soprattutto, il loro passato, era tanto crudele e incredibile da sembrare un romanzo uscito male, un ridicolo drammatico libro dalla trama scontata e troppo intrecciata.

I suoi poteri, per quanto senza di essi si sentisse vuota e insensata, erano tra i più fastidiosi mai avuti.  Sentiva ogni tragica stupida idea di quelle menti deviate dalla vita tremenda  che i suoi amici avevano avuto.
 
Federico strinse Leon a se, carezzandogli i capelli castani impregnati di sudore.

-Calmo- Gli sussurrava –Leon calmo era solo un incubo-
-Ho paura-Sussurrò Vargas con voce terrorizzata, che indusse Pasquarelli a stringere ancor più la presa su di lui. Paura. Leon ,che tanto s’atteggiava a duro, aveva ammesso di essere spaventato, e Federico sapeva che, per arrivare a confessarglielo, doveva essere veramente terrorizzato. Il perché rimaneva un mistero che Fede era deciso a svelare .

-Di cosa hai paura Leoncino?-Domandò dolcemente Federico, utilizzando quel soprannome tanto odiato dal suo amico
-Di lei- Rispose inghiottendo rumorosamente il giovane.
-Chi è lei?- Insistette l’altro ragazzo mentre lanciava uno sguardo preoccupato a Maxi.
-Nessuno-  Sussurrò il ragazzo dagli occhi verdi, rendendosi conto di aver parlato troppo, che ormai aveva fatto intuire qualche cosa, e doveva assolutamente riprendersi o la paura gli avrebbe fatto vuotare il sacco, rendendolo poi non solo il debole della situazione, ma anche quello vulnerabile, da trattare con i guanti perché ha avuto un difficile passato.
Leon non voleva. Aveva fatto in modo che nessuno lo scoprisse per ben 16 anni, non poteva crollare in quel momento, in cui  era al sicuro tra le braccia forti del suo migliore amico, dove l’unico pericolo erano i ricordi.
-Leon. Ti prego dimmelo- Lo supplicò Fede. Vargas scosse la testa.
-Non sono pronto ora, non ce la faccio- Si giustificò sapendo che così dicendo nessuno avrebbe chiesto altro.
Pasquarelli sospirò e strinse ancor più a se Leon, con l’intenzione di fargli sapere che c’era, che non lo avrebbe lasciato, mai, per nessuna ragione.


Maxi uscì dalla stanza, con  la scusa di rassicurare gli altri che si erano oramai ritirati nelle loro stanze. Si sentiva di troppo con i suoi compagni, che tra loro avevano un rapporto molto più profondo di quanto Ponte credesse. Li invidiava, forse perché lui non aveva ancora trovato un amico così, da trattare come un fratello, oppure perché, anche se non lo facevano apposta lo facevano sentire a disagio.

Camminò attento a non far troppo rumore verso la cucina per bere un bicchiere d’acqua. Sobbalzò non appena vide una figura, che, solo successivamente lo spavento, riconobbe.

La rossa Camilla se ne stava a braccia conserte sul  tavolo, con lo sguardo annoiato e vagamente infastidito, il trucco colato e le labbra, per la prima volta, di un colore umano.

-Hey-La salutò Maxi sedendosi accanto a lei.
-Ciao- salutò con molta meno euforia Cami.
-Che ci fai qui?-Domandò il rapper, sfoggiando un sorriso agli occhi della punk un po’ troppo sgargiante per uno che non voleva tornare nella sua camera, alle tre di notte, perché si sentiva in imbarazzo.
-Ci abito- Rispose annoiata la Torres.
-Si ma.. intendo.- Maximiliano venne interrotto bruscamente dalla punk.
-Qui? In cucina dici? Bhe per colpa di quell’idiota di Leon le ragazze ora non riescono più a dormire e si stanno ponendo un mucchio di inutili domande, raccontando i segreti e tutte quelle cavolate da bambine di tre anni- Sbottò
 

-Leon ha avuto un incubo non è stata colpa sua- Replicò Maxi bevendo un bicchiere d’acqua.
-Si..Pensala come ti pare. Per me siete tutti dei grandi idioti- Detto questo Camilla s’alzò, passando davanti al bagno delle ragazze udì i pensieri di Ludmilla che intanto se ne stata davanti al water, vomitando l’anima.

Sentì  quanto odio provasse quella giovane per il suo corpo, che nonostante fosse troppo magro, vedeva enorme.

Capì che dietro quella maschera da egocentrica snob si nascondeva una ragazza fragile, eppure, per qualche strano motivo, Camilla percepiva in lei per la prima volta una strana forza. E Camilla realizzò che quell’insignificante problematica biondina della Ferro, come lei, possedeva una forza magica, abbastanza potente da essere percepita in un momento di debolezza come quello.

Camilla chiuse gli occhi, strinse le mani un pugno, scrutò nell’ anima della Ferro, con la mente penetrò in lei e nel suo spirito. E poi lo vide, conservato in quella gracile piccola creatura, vi era il potere o maledizione che dir si voglia, che tutte le streghe avevano sempre ripudiato, che nessuno avrebbe mai voluto e che, in tempi come quelli, era però dannatamente utile contro gli stupri, più dello spray al peperoncino. Ludmilla Ferro aveva il potere della vedova nera, potere che, oltre a permettere l’utilizzo di normali incantesimi, causa la morte di chiunque intrattenga un rapporto sessuale con la strega dotata di questa maledizione.

Camilla sorrise, immaginando la faccia sconvolta della Ferro quando lo avrebbe scoperto, mentre faceva l’amore con uno dei ragazzi della casa, uccidendolo. Perché la punk, per qualche inspiegabile motivo, provava un grande odio per Ludmilla, e non l’avrebbe certo allertata. No, l’avrebbe guardata soffrire.

Sapeva di essere crudele, sapeva di non essere sempre stata così, eppure la voglia di potere la rendeva folle e priva di sentimento. La suprema, capo delle streghe, stava per morire e una giovane strega avrebbe preso il suo posto. Una giovane forte, innovativa ed esperta, fredda e calcolatrice. Con una Ludmilla distrutta dal dolore c’era una strega in meno da annientare per il potere.

Già, Cami si faceva schifo da sola, infondo però era veramente geniale.


La mattina dopo Marco si svegliò. Il sorriso che solitamente dipingeva il bel volto era spento, spento da quando aveva notato il cambiamento repentino di Francesca nei confronti suoi, ma soprattutto di Diego.

Non sapeva cosa fosse successo tra i due, ma qualsiasi cosa fosse aveva verificato la teoria di Marco sul fatto che tra la ragazza dei suoi sogni e il suo compagno di stanza ci fosse dl tenero.

Ponce de Leon sentì una fitta al cuore al solo pensiero di quei sue assieme. Sapeva che Dominguez stava con Violetta, ma cosa gli avrebbe impedito di scaricarla per mettersi con Francesca? Nulla. Non ci sarebbe voluto nulla, e lei gli sarebbe corsa tra le braccia, cadendo nella sua trappola. Lasciandolo.

Marco sapeva di non poter pretendere di bastare a Francesca, lui, che era così poco duro, così poco muscoloso, così poco bello forse. Lui che le avrebbe donato tutto l’amore del mondo ma che non risultava affascinante come quel bastardo di Diego, che a differenza sua, le avrebbe spezzato quel suo grande cuore romantico, innamorato del sogno di una storia perfetta.

Uscì in cortile, sedendosi sulla panchina, inspirando profondamente l’aria fresca di prima mattina.

-Marco-Una voce melodica e dolce chiamò il suo nome, facendo aumentare notevolmente i battiti del suo cuore.

Francesca corse verso di lui, con il sorriso sulle labbra che tanto Marco desiderava, muovendo frenetica le magre gambe scoperte dal vestitino che indossava.

-Fran- La salutò lui con un cenno di mano e un finto sorriso ad incurvare le labbra fini.

-Senti io ti devo parlare- Affermò la mora sedendosi accanto a lui, assumendo un’espressione seria.

-Dimmi- Disse il ragazzo cercando di non farsi prendere dall’ansia e dalla paura di quanto avrebbe potuto dirgli.

-Sei la persona migliore che io abbia mai conosciuto-Iniziò l’italiana, mentre Marco la osservava con occhi sognanti-La migliore Marco veramente. Mi sei stato vicino nell’ultimo mese, mi sei stato amico senza pretendere di sapere nulla del mio passato in più di quello che ti avevo detto. Mi hai fatto ridere sai? Si con te ho sorriso per la prima volta in vita mia. Dio non sorridevo veramente da secoli o forse da quando sono nata non so. So solo che se ora riesco ad essere felice nonostante la mia vita faccia  abbastanza schifo ed è grazie alla tua presenza. E poi se dolce, dolce come pochi, e  bello, bello dentro, ma anche straordinariamente sexy fuori. Mi vuoi bene veramente- Fran abbassò lo sguardo, mentre perdeva tutto il coraggio usato per pronunciare quelle parole.
Il suo discorso non era finito, eppure non riusciva a continuare, bloccata dalla gola improvvisamente arida e dal battere furioso del cuore.
Non sapeva se quello che stava per pronunciare fosse giusto nei confronti di Marco,di Diego e anche suoi, eppure sentiva l’irrefrenabile bisogno di fare qualche cosa per chiarire i suoi sentimenti contrastanti. Per fermare l’attrazione sempre più forte verso Diego.

-Io voglio stare con te Marco- Sussurrò infine, sapendo che quella strana sensazione che provava stando con il giovane Ponce de Leon non era minimamente paragonabile all’attrazione che provava per Dominguez.

Che per quanto volesse bene a Diego, Marco era l’unico che la rendeva veramente felice, di una felicità totale, assoluta. Diego era problemi, Diego era il proibito. Marco la gioia, Marco la stabilità di una vita serena.
Marco l’amava, Fran lo sapeva. Diego no, a Diego piaceva forse, ma non l’amava. Non come Marco. 

Il ragazzo guardò l’italiana. Stupito.

Le sorrise, veramente, lasciando che l’allegria che provava in quell’istante invadesse anche la giovane. Con occhi che brillavano Marco la scrutò per alcuni interminabili istanti.

Le carezzò il volto d’angelo, poi la nuca. Con un gesto dolce e per nulla forzato, le avvicino il volto al suo. Cercò nello sguardo della ragazza la conferma per poter continuare e non appena la trovò, posò le labbra sulle sue.
Erano morbide proprio come immaginava, e combaciavano alle sue come due pezzi di puzzle.  Le passò le mani tra i capelli lisci mentre lei  lo tirava ancor più a se per la magliettina, rischiando di strapparla.

-Ti amo- Sussurrò lei sulle labbra di lui. Quelle due parole che Marco pensava non avrebbe mai udito da Francesca gli diedero una nuova scossa d’energia, aumentando ancor più il suo desiderio di averla vicino.
Continuando a baciarla prese in braccio, sulle gambe. Le mani inesperte di Fran gli carezzavano il petto frenetiche e desiderose di strappare i vestiti che ora sembravano essere di troppo. Ponce de Leon le baciò il collo, lentamente, assaporando il momento, mentre l’italiana lanciava qualche risatina isterica di nervosismo e giocava con i riccioli del suo nuovo fidanzato.

-Ti amo- Ripeté la giovane, con una nuova sicurezza nella voce  e nel cuore, che non lasciava spazio a dubbi  o incertezze. Perché non ce ne erano. Francesca lo aveva capito che era Marco l’unico che voleva.

-Dio quanto ti amo- Rispose Ponce e Leon continuando a riempirle il collo di dolci baci.

Federico osservava la scena ridacchiando dalla finestra in salone.

-Che guardi?-Chiese Ludmilla rivolgendogli la parola, per la prima volta da quella notte della settimana precedente, senza gridargli contro quanto lo odiasse.

-Quei due- Rispose Federico indicando con il capo la nuova coppia.

-Sono carini- Ammise la bionda accennando un sorriso che fece incantare Pasquarelli. Era bellissima, nonostante fosse troppo magra, nonostante avesse i capelli che sembravano un informe massa d’orata, e gli occhi completamente struccati, era perfetta.

-Lo potremmo essere anche noi- Le fece notare il giovane voltandosi verso di lei.
-No. No, non lo potremmo mai essere. Lui ci tiene veramente a lei, se ne accorgerebbe anche un cieco,  non la vede come un giocattolo- Rispose  Ludmilla in un tono vagamente triste e deluso che fece stringere il cuore a Federico, non sopportava che stesse male, soprattutto se per colpa sua. La bionda si girò intenta ad andarsene da quella situazione che avrebbe voluto evitare e nella quale si era trovata all’improvviso, dalla quale voleva solo scappare. Voleva correre via dall’unico ragazzo che forse provava un po’ di interesse per lei nonostante il suo corpo deforme. Voleva scappare via l’unico che almeno un po’ l’aveva cambiata, dall’unico che era riuscito ad entrarle nel cuore. Voleva andarsene da lui perchè ormai per Federico provava sentimenti troppo, troppo forti per essere repressi o negati. Perché ormai era sicura d’essersi innamorata perdutamente di quell’ idiota.

-Io ci tengo a te Lud-Sussurrò Fede prendendole il polso, tanto magro e fragile che ebbe paura di poterglielo rompere, facendola voltare.

-Ci tengo-Ripeté con voce roca e suadente, fissandola con gli occhi marroni addolciti da quella nota di dispiacere che aveva udito nella giovane. Erano talmente vicini che Ludmilla poteva sentire il respiro caldo del ragazzo sulle sue labbra. Tremò, scossa dai brividi d’eccitazione.

-Dimostramelo diamine. Non…trattarmi come una da sbattere e poi dimenticare-
-Come vuoi che te lo dimostri. Vuoi che mi inchini? Che ti  compri un anello? Dimmelo- La pregò il giovane passandosi una mano tra i capelli spettinati.

-Veramente pensi che io voglia questo?! No cazzo. Io non voglio una proposta o un anello, nemmeno mille anelli. Non voglio oggetti materiali, di quelli ne ho anche troppi,  voglio solo un po’ d’amore. Voglio che tu mi ami Federico Ok?! – Gridò l’anoressica abbassando il capo e allontanandosi da lui.

-Amarti?-Domandò titubante Pasquarelli  che non aveva mai pensato che quello che provava per Ludmilla fosse amore, ma effettivamente poteva esserlo. Non riusciva a  vederla star mare, a sopportare i suoi sguardi carichi d’odio, i suoi rimproveri. S’ accorgeva d’ogni suo cambiamento, di ogni sua mutazione. Era felice solo avendola vicino, più l’aveva e più la voleva. Ludmilla era droga. L’amore era droga.  Ludmilla era amore.

-Si Pasquarelli, amarmi. Amarmi come ti amo io-Confessò a testa alta la biondina, stanca di fingere, stanca di mentire, desiderosa di confessare tutto.

-Lud io…forse..fose ti amo…io non lo so..non mi è mai successo..non lo so..ma noi..potremmo provarci volendo- Bisbigliò l’italiano grattandosi la nuca.

-Non voglio un forse Fede, quando lo saprai e ne sarai certo allora, magari, potrebbe esserci un noi-
 

Natalia sbadigliò rumorosamente destando le risa di Maxi che faceva colazione accanto a lei.

-Hai l’aria di una che non ha chiuso occhio- Le disse il rapper.
-Perché è vero diamine Ludmilla mi ha tenuto sveglia tutta la notte- Affermò la spagnola posando il capo sul tavolo.

-E perché mai?-Chiese Maximiliano curioso.

-Bho erano tipo le cinque di mattina e  stavo dormendo beatamente dopo che Leon ci aveva svegliati e lei mi viene a svegliare per parlarmi di Federico-

-Federico?-Domandò Maxi sbalordito.
-Dio non mi dire che non te ne sei accorto vero?- Nata addentò un biscotto.
-Di cosa?- Maxi le prese un biscotto dalle mani e lo mangiò
-Che quei due si piaccio- Rispose la riccia come se fosse stata la cosa più ovvia del mondo

-Io ero sicuro che a Fede piacesse la tua amica me che lei lo corrispondesse…Dio sono sconvolto-Affermò il moro in un tono vagamente ridicolo. Natalia rise di cuore.  A Maxi piaceva il suono della risata cristallina della sua amica, era forse il suono più incantevole che avesse mai sentito. Lo rendeva felice


Diego si prese la testa tra le mani, mentre lacrime silenziose solcavano le guancie di colui che si era sempre considerato un duro.

Forse la mancanza d’affetto lo aveva portato ad attaccarsi così a Francesca, forse la voglia d’amore, eppure non riusciva a non pensare alle bella italiana che gli era entrata dentro, rendendolo un debole incapace d’uccidere i suoi nemici.
Francesca era un suo nemico, era una strega, e lui non riusciva a torcerle un capello, o, addirittura, ad avvicinarsi a lei.
Era forse un vero Witches Hunter questo?  Era forse un vero Dominguez?

Sentiva già le parole crude e fredde di suo padre rimproveralrlo per la sua incapacità.  
Diamine! Avrebbe così tanto voluto dimostrare il suo valore, ma non riusciva. Era per lui impossibile. Non poteva, ne voleva, uccidere Fran, osservare la vita scivolare via dagli occhi dell’amata. Non voleva spegnere il suo sorriso. Non voleva che la pelle morbida e calda che solo una volta aveva accarezzato divenisse fredda e dura.
 
Gli era ancora impossibile credere che la dolce ragazza mora, che solo due giorni prima era stato vicino al baciare, fosse una strega, un mostro. Sembrava più un angelo lei, con il suo sorriso splendente e gli occhi luminosi come stelle nel cielo scuro notturno. Non poteva essere un diavolo, una strega.

Prese il tacquino dove sin da piccolo metteva in canzone le sue emozioni.

You're so hypnotizing 
Could you be the devil 
Could you be an angel 

Your touch magnetizing 
Feels like I am floating 
Leaves my body glowing 

They say be afraid 
You're not like the others 
Futuristic lover 
Different DNA 
They don't understand you 

Scrisse velocemente, con mano sicura, mentre le lacrime machiavano il foglio di carta. Lo accartocciò e buttò lontano da lui, e gettò la testa all’indietro preso dalla rabbia, dei pensieri contrastanti sul da farsi.
Diego Dominguez era al bivio. Doveva scegliere. O l’amore o la gloria che per anni aveva agognato.

Si, era in un bel guaio.


-Leon-Chiamò Vilu entrando nella camera del giovane che dormiva ancora profondamente.
S’avvicinò al letto, con passi traballanti di incertezza.
Si chinò accanto al ragazzo, scostandogli una ciocca di capelli dal volto perfetto.

Si intenerì, notando come pacifico e sembrasse il suo sonno e come un leggero sorriso increspasse le labbra del giovane.

Si sporse di più verso di lui e gli carezzo il collo,  le labbra, poi di nuovo il volto. Un irrefrenabile istinto la fece avvicinare ancor di più. Gli baciò la guancia e poi le labbra, mentre un espressione di dolore e fastidio di impresse sul viso di Leon, che, inizio a piangere.

Un urlo squarciò l’aria,  potente come un tuono in quella serena giornata di primo Ottobre.

Un urlo squarciò l’aria, spaventando Violetta, facendo accorrere Federico e Ldumilla, interrompendo Marco e Fran, fermando i pensieri di Diego, facendo scattare Maxi e Nata, lasciando indifferente Camilla.

Un urlo squarciò l’aria, segno che gli incubi di Leon Vargas erano tornati. E a tutti apparve chiaro. Al loro amico era accaduto qualche cosa di brutto.

 
Angolo Autrice.
Ciao Care! Scusate il ritardo. Eccomi qui conil nuovo capitolo. 
Allora iniziamo con Leon, che ha gli incubi, e qui, non viene tanto approfondita la leonetta quanto il rapporto Leon Fede che io personalmente sto amando in questa storia.
Poi  viene approfondito il personaggio di Cami fino ad ora un po' marginale. Ludmilla è una stregha ma lei non lo sa, e inoltre ammette di essere innamorata di Fede, che non è sicuro però dei suoi sentimenti.
Poi ci sono i Marcesca sui quali mi sono concentrata. allora qui abbiamo un primo bacio molto approfondito che spero vi sia piaciuto.
I Naxi che per ora sono solo amici.
Diego alle prese con una scelta difficile.
Violetta che risveglia gli incubi di leon.
Che ve ne è parso? 
Lasciate una recensione.

Baci

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Capitolo 6
*** Like a song-fic ***


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Capitolo 6
 
Cause all of me loves ol of you,
All your curves and all your edges all your perfect imperfection, give you  all to me you give me all to you, you’re my end and my beginning even when I lose I’m winning 


Ludmilla chinò il capo imbarazzata, passandosi una ciocca di capelli d’oro dietro l’orecchio.
Federico la scrutava, con un accenno di sorriso in volto. Se ne stava fermo sul quel palco, con il microfono in mano, chiudendo gli occhi di tanto in tanto, cambiando espressione a seconda delle parole che doveva intonare.
Rimasero tutti impressionati nell’udirlo, ma, soprattutto, nel guardarlo cantare, senza troppo movimento, riuscendo però a trasmettere emozioni vere, profonde, che nessuno dei suoi amici, se non forse Leon, gli avrebbe attribuito.

Aveva deciso di cantare quella canzone per il compito assegnato da Angie, che consisteva nel dedicare una canzone a qualcuno e concentrarsi sull’interpretazione, all’improvviso, appena aveva udito la consegna dell’insegnante.
Aveva pensato alla sua piccola fragile Ludmi.

Quella canzone sembrava essere stata scritta apposta per loro, apposta per lei.

Si era sentito un vero idiota, quando, quattro giorni prima, s’era reso conto per la prima volta, di quello che, ragionandoci un po’, era palesemente chiaro.
Ludmilla, la snob, viziata, figlia di papà, era anoressica.
L’aveva colta sul fatto, nel cuore di una notte più tosto calda, quando, non riuscendo a dormire, s’era alzato per andare a vedere un po’ di tv, e, passando di fronte al bagno delle ragazze aveva sentito dei gemiti, seguiti a singhiozzi. La porta era socchiusa, stranamente, perciò, Federico, decise d’entrare senza curarsi del bon-ton o di ciò che avrebbe potuto trovare.

E quando la vide capì.

Se ne stava accovacciata vicino al wc, con le mani sul volto singhiozzante, i capelli biondi legati in una cipolletta sfatta, il pigiama buttato a terra, davanti allo specchio, il reggiseno troppo grande, le costole in vista, la gambe che sembravo ossa.
Pasquarelli rimase impietrito, scioccato. L’odore acre del vomito gli face storcere il naso, ma non ci badò più di tanto.

Le si avvicinò, le posò una mano sulla spalla ossuta, lei alzò lo sguardo, lui le sorrise incoraggiante, come si fa con un bambino che s’è fatto la bua.

Le asciugò le lacrime, che continuavano a scivolare sulle guance,  con il pollice.
S’alzò, rendendosi conto che la porta era rimasta aperta, e la chiuse a chiave, sotto lo guardo spaventato di Ludmilla, che aveva paura se ne stesse andando ora che sapeva il suo segreto e che l’aveva vista in ogni sua deformità.

IL ragazzo di sedette al suo fianco e le passò una mano attorno alle magre spalle, facendo attenzione a non stringerle troppo,  perché in quel momento sembrava così fragile che aveva il terrore di romperla con una minima pressione.
La giovane posò il capo sulla spalla di Fede, mentre il sapore delle lacrime salate arrivava alla bocca.
-Perché?-Chiese Federico.
Ludmilla non rispose.

-Perché?-Insisté  l’italiano,  prendendola per le spalle e facendola voltare verso di se.
La Ferro chinò il capo, mentre i singhiozzi la scuotevano il gracile corpo.
-Perché cazzo lo fai Ludmilla!-Le gridò contro esasperato il ragazzo.
-Guardami! Sono un mostro Fede! Sono così fottutamente enorme! Sto solo cercando di tornare in forma…non faccio nulla di male- Rispose la bionda in fine.
-Nulla di male? Enorme? Mostro? Dio mio Lud, no! OK? No! Sei perfetta ok? Eri perfetta, e lo sei ancora, e lo saresti di più se la smettesti di rovinarti così- LE spiegò il giovane scuotendo il capo.

Luidmilla non voleva crederci, non sarebbe bastata qualche parolina a farle cambiare idea.

-Alzati-Le ordinò tendendole la mano per aiutarla.
La trascinò, quasi a forza, verso il lungo specchio che stava in un angolo della stanza.
La posizionò lì davanti e si mise dietro di lei.
Lud voltò la testa, non voleva guardarsi, non voleva.
-Guardati-Le  sussurrò  Federico all’orecchio, carezzandole le costole cje si potevano ben riconoscere.
La bionda si mosse, lentamente, intimorita, tremante quasi. Si voltò e fissò il suo
riflesso allo specchio.

Per la prima volta si vide per ciò che era in realtà.

Toccò la pancia, troppo piatta, le gambe troppo magre, il seno ormai quasi inesistente, il volto scarno.
Era comunque un mostro.
-Io sono così?-Domandò con ingenuità paragonabile solo a quella diun bambino la Ferro.
-Si, sei così- Le rispose Pasquarelli sciogliendole i capelli, posizionandoli on cura sulla schiena.
-Sono così…Sembro uno scheletro….faccio schifo-Bisbigliò la ragazza mentre altre lacrime le solcavano le guance.
Federico la abbracciò da dietro, baciandole il collo, carezzandole ogni parte del corpo che vedeva deforme.
-Non è un problema piccola, a me piaci anche così e, inoltre, ci penserò io a rimetterti in forma, ti cucinerò ogni piatto italiano di cui sono capace, mi assicurerò che ti riprenda a mangiare normalmente un po’ alla volta e  la notte veglierò su di te, così che tu non possa fare stronzate. Non ti lascerò un momento. Promesso-Le sussurrò all’orecchio.

Ludmilla sorrise leggermente tra le lacrime.

Quello era il suo Federico, quello di cui s’era innamorata, quello che si celava dietro la maschera, che lei, era riuscita a far cadere.
Quello era il suo Fede, quello era colui che avrebbe sempre voluto con se.
 
 
 
 
No I can't take one more step towards you, cuz all that's waiting is regret
And don't you know I'm not your ghost anymore, you lost the love I loved the most
I've learned to live half alive, and now you want me one more time


Leon chiuse gli occhi, stringendo I pugni fino a farsi male, sapendo che quelle parole, così dure eppure così vere, che Violetta saltava cantando con un’intensità che mai le aveva visto,  erano per lui, che altro non aveva fatto se non cercare di riaverla per se, sapendo che Diego non l’amava, sapendo che le serviva qualcuno che le volesse bene tanto quanto, o magari più, di lui stesso.
 Violetta lo fissava, negli occhi,  gli occhi che le avevano fatto perdere la testa.
Occhi che aveva visto piangere, soffrire, e subito dopo ridere, come se nulla fosse accaduto.
Occhi che l’avevano scrutata come solo loro sapevano fare, che incatenandola a loro l’avevano fatta riavvicinare improvvisamente a Vargas, il quale era tornato da lei, senza un perché, pretendendo di riacquistare il posto speciale che occupava prima di quella dannata sera in discoteca dove lui stesso aveva rovinato tutto.

Violetta non aveva certo smesso di essere attratta dal messicano, eppure aveva provato ad andare avanti, stando con Diego, a dimenticarlo, rendendosi conto di quanto non valesse la pena di stare male per uno che l’aveva mollata ancor prima di mettersi insieme.
Era certa che tornando ad avere un qualsiasi tipo di rapporto con il bel giovane, l’unica cosa che ne avrebbe ricavato sarebbe stata un’altra grande delusione, eppure non riusciva a steccarsi totalmente da lui. Erano collegati, in qualche modo assurdo, erano collegati.
Leon era rientrato in gioco con lei, non appena s’era accorto del rapporto malato che intratteneva con Dominguez.

Che poi malato? A Violetta non sembrava un rapporto malato. Si usavano a vicenda, per dimenticare, per divertirsi, non c’era nulla di malato finchè erano d’accordo entrambi.
Vargas s’accorse della falsa attrazione tra Dominguez e la Castillo  quattro giorni prima quando Diego distolse  lo sguardo, stringendo i pugni tanto fortemente la far divenire le nocche bianche, guardando  Marco e Francesca assieme, abbracciati l’uno all’altra, probabilmente  sapendo che sarebbe potuto starci lui lì, con lei, a carezzarle i capelli con dolcezza che nessuno gli avrebbe mai attribuito ma che sapeva avrebbe  posseduto quando si trattava dell’italiana. Si sentiva ferito, deluso, incredulo forse. Leon certo non lo sapeva, sapeva solo, lo si vedeva lontano un miglio. che per Violetta non provava nulla, nemmeno la metà di quello che, lo avevano capito tutti ormai, provava per Francesca

Lo spagnolo strinse Violetta a se con un braccio facendole posare il capo sulla sua spalla.
Si voltò di scatto, trovandosi faccia a faccia con la sua ragazza giocattolo. Incurvò le labbra in quello che avrebbe voluto essere un sorriso, ma che sembrava più un ghigno.
Portò una mano sul fondoschiena della Castillo, e, palpandolo con forza, lo spinse lentamente verso se, tanto da ritrovarsi l’uno attaccato all’altra.
Vilu sorrise per quel gesto inatteso ed improvviso, che sempre le faceva piacere da parte del giovane,  mentre il naso di Diego sfiorava il suo, solleticandolo, e,  con movimenti sicuri ed esperti cominciò ad esplorare con la lingua la bocca dal ragazzo, cercando il piacere che quei baci, che di casto avevano ben poco, le donavano.
Dominguez continuò a palpare la giovane ovunque mentre le mordicchiava il collo e le labbra colorate di rosso fuoco, depositandovi  ogni tanto qualche bacio, che aveva un non so che di violento, che spaventò Violetta e irritò terribilmente Leon , ma che allo stesso tempo  eccitò notevolmente la bella ragazza.  Si strinse al suo ragazzo ancor più inspirando l’odore di muschio che emanava, e che lei adorava,  giocò con i  capelli corti, mentre lui infilava una mano nei pantaloncini troppo corti, carezzandole le cosce scoperte.

Osservandoli Vargas,  si rese ancor più conto, che non vi era dolcezza nel  rapporto di Diego e Violetta, solo sessualità. E non lo sopportava perché la Castillo si meritava qualcuno che tenesse a lei veramente, come lui.
Non era sicuro di poter intrattenere una relazione con lei, soprattutto ora che gli incubi lo perseguitavano ogni notte, ma voleva provarci, doveva provarci. Doveva salvarla.
Provò a dirglielo, entrando in camera sua, cercando di scusarsi per quella brusca separazione, abbracciandola, sforzandosi enormemente per farlo.
Aveva letto una specie di cedimento negli occhi nocciola di lei, quando l’aveva stretta a se prendendola per la vita, carezzandole con delicatezza, che Diego mai le riservava,  la guancia.
-Possiamo provarci.Sono stato un imbecille Vilu, lo so, ma ti giuro che non accadrà più- Aveva sussurrato al suo orecchio, provocandole dei brividi.
-Perché? Perché te ne sei andato Leon?-Domandò la ragazza
-Non posso dirtelo..non ne sono pronto..è complicato- Rispose il ragazzo, scostando gli occhi verdi dai suoi.
-Finchè non lo saprò non potrà mai esserci un noi Vargas, mai. Non posso stare con qualcuno che non si fida di me- Spiegò delusa Violetta aprendo la porta, facendo segno a Leon di uscire.
-Ma puoi stare con qualcuno che non tiene minimamente a te, giusto?- Chiese con un accenno di rabbia nella voce il giovane, piazzandosi nuovamente di fronte a lei.
-Esci- Ordinò Vilu indicando con l’indice la porta.
-Rispondi- Insistette Leon.
-Esci!- Gridò Violetta spingendolo fuori e chiudendo la porta con un sonoro botto.

Quei botti, il rumore delle porte sbattute, delle grida irate, l’odore della rassegnazione, della rabbia, del dolore. Violetta era abituata a tutto quello.
Dio quanto era stata male all’inizio Vilu, le faceva male l’indifferenza di suo padre, il suo comportarsi come nulla fosse, il suo vivere normalmente.

Violetta non voleva essere normale, non più, non come prima.

Le parole erano sempre uguali in casa Castillo, sempre come prima che Maria lasciasse marito e figlia.
Sembrava che non fosse accaduto assolutamente nulla. Sembrava che non ci fosse stato alcun lutto.
Parole sempre uguali, uguali a niente, quando niente è come prima, aveva scritto Violletta, con il pennarello nero indelebile, sul muro rosa confetto della sua camera, facendo infuriare German.
Era così la vita per loro. Una perenne ribellione da parte della piccola Castillo e dei nulli tentativi di frenarla da parte di suo padre, che, alla fine, l’aveva lasciata andare, fingendo di non vedere cosa diventava sua figlia giorno dopo giorno, buttandosi nel lavoro.
Doveva ammettere però che le mancavano le urla irate di suo padre, le ricordavano che almeno in minima parte teneva ancora a lei. Ricordava la sua esistenza.
Peccato che non le udisse da mesi.

 How many times will let you me change my mind and turn around?
I can't decide if I'll let you save my life or if I'll drown...
I hope that you see right through my walls
I hope that you catch me cause I'm already falling


Diego lanciò uno sguardo a Francesca, fugace.
Lei nascose il volto nel petto del suo nuovo ragazzo, gesto che Marco prese come affettuoso, infatti accennò un sorriso, ma che Dominguez capì essere dettato unicamente del senso di colpa, ergo non riusciva a guardarlo in faccia.
Probabilmente le faceva male sapere che il ragazzo al quale aveva spezzato il cuore le stesse dedicando una canzone, forse le metteva dei dubbi.
Lo spagnolo lo sapeva di essere l’unico capace di insinuare dubbi nell’italiana, di far crollare le sue difese, di essere il suo sogno nascosto, il suo più grande desiderio, il suo segreto, e nonostante lei avesse scelto Ponce de Leon, sapeva di avere ancora un grande potere su di lei.
 
-Perché lui? Fran..io..lo so che sto con Violetta..so, si che posso sembrare un imbecille, un idiota, lo so. Ma basterebbe un fottutissimo dannato bacio e capiresti..capiresti che posso essere dolce, che posso amarti tanto quanto lui, anzi forse di più. Un bacio e io lascerei Vilu, per te, e tu Marco, per me. E potremmo essere più felici sia io che te- Aveva detto tutto d’un fiato il ragazzo prendendole a forza i fianchi, mentre la mora cercava di spingerlo via.

Bastò alzare il capo, scrutando quegli occhi tanto belli da rimanerne incantata, tanto sofferenti da piangere per il loro proprietario che ogni protesta a quell’abbraccio svanì, lasciandola inerme, immobile, impietrita tra le braccia forti di Dominguez.

 Non aveva forza, ne volontà di respingerlo crudelmente, ma non aveva nemmeno la volontà di baciarlo, per quanto ancora le labbra dello spagnolo fossero il suo sogno proibito, non voleva realizzare quel desiderio proprio in quel momento in cui s’era messa con Marco, che si ricordò, l’aveva baciata con tanta dolcezza e passione da toglierle ogni dubbio.
-Diego- Sussurrò la mora, carezzandogli la guancia liscia con delicatezza ed affetto negli occhi.
-Ti prego-La supplicò con voce talmente pietosa che, in un altro momento, se ne sarebbe vergognato, e, addirittura , pentito di averla utilizzata.


Ma in quel momento, in quel momento, la voce, rispecchiava assolutamente quel suo stato d’animo così terribilmente distrutto.
Si avvicinò a lei lentamente, inclinando il capo, e, per la seconda volta nel giro di pochi giorni fu vicino al baciarla.
Bastò sfiorare leggermente le sue labbra rosee, poco prima che lei si allontanasse, per farlo sentire in paradiso, toccare il cielo, le stelle.
Lo spinse via, riluttante, avvicinandosi alla finestra, per fissare il tramonto.
-No. No Diego, ti voglio bene ma…-Cominciò l’italiana che venne interrotta dallo spagnolo.
-No, non mi dire che non provi nulla per me. Io lo so ok? Lo so che ti piaccio, che mi vuoi, lo leggo nei tuoi occhi-
Francesca chinò il capo, lasciando che i capelli le coprissero il bel volto giovane, mentre Diego l’affiancava e le carezzava il braccio.
-Mi dispiace, anche se fosse è di Marco che sono innamorata, devi capirlo. Lui è il mio migliore amico, una sorta, ed io la sua, ma ci amiamo di più di due migliori amici. Capisci? E’ una cosa rara, amarsi ed essere amici. Quasi impossibile, ma a me sta accadendo e non voglio rinunciarci Diego, non per te, perché non ti amo- Spiegò
- Ma anche io e te siamo amici Fran. Diamine sei la mia migliore amica, l’unica, e..ti amo..e anche tu, in qualche strano modo nascosto mi ami- Cercò di convincerla Dominguez prendendole le mani nel disperato tentativo di avvicinarla a se.
-Mi dispiace- Bisbigliò Francesca uscendo dalla stanza, che s’era fatta improvvisamente troppo stretta per lei, dove l’aria le mancava ed il peso della scelta era sempre maggiore.

Dove il senso di colpa la schiacciava.

Subito dopo si diresse da Marco, uscirono insieme, cercò di dimenticare lo sguardo di dolore di Diego, il suo volto, ma, soprattutto, il brave contatto tra le loro labbra.
 Marco stringeva la mano di Fran, per lui i  suoi baci erano quanto di più dolce ci potesse essere, la sua voce il suono più melodioso, il suo aspetto simile a quello perfetto di una statua greca o romana.

Stava con lei da poco eppure erano stati dei fantastici momenti i loro, i  più belli della sua vita. Non s’era mai sentito più libero e gioioso, nonostante Diego continuasse a provarci con Francesca, era molto più sicuro di se. Sapeva che quello che c’era tra loro era molto più profondo dell’ evidente attrazione tra Dominguez e l’italiana.

Una vola tornati si sdraiarono sul letto di Francesca, a fissare il soffitto azzurrino. L’unico rumore era quello dei loro respiri.

La ragazza aveva il capo posato sul petto di Marco e ascoltava il battito vigoroso e costante del suo cuore, il suono più magico esistente dopo la voce di Ponce de Leon.
-Ti amo- Aveva detto spontaneamente, posando un delicato bacio sulle labbra del moro, sedendosi a cavalcioni sulle sue gambe.
Non sapeva per quale motivo avesse pronunciato quella frase, tanto breve quanto importante ma sottovalutata, sapeva solo che era quello che sentiva di dover dire, di dover far capire, al lui e soprattutto a se stessa.
Sentiva solo di aver bisogno di nuove certezze dopo quanto accaduto con Diego, di essere sicura che Ponce De Leon fosse il ragazzo giusto, che non stesse sbagliando. E se un bacio le aveva dato sicurezza cosa sarebbe successo portando il loro rapporto ad uno stradio successivo?

Marco le prese le vita e, facendola cadere, la fece sdraiare su di se, carezzandole la schiena.
-Anche io-Aveva risposto immergendo il capo nell’incavo del collo di lei, inspirando il suo profumo naturale, che però, quel giorno era stato coperto dai profumi di marca che tanto piacevano all’italiana.
-Ti voglio- aveva sussurrato Francesca, baciandogli il petto, e, poi, con gesti insolitamente sicuri,sfilandogli la camicia.
Marco la lasciò fare. Non sapeva se volesse o no fare l’amore con la mora. Lui l’amava, si, ma era forse troppo presto? Un gesto avventato?
Le incertezze erano troppe per continuare, eppure non riusciva a trovare la forza per fermare la sua fidanzata che ora era rimasta in reggiseno davanti a lui, con un leggero rosso di vergogna sulle gote.  Era rimasto inizialmente stupito dalla sicurezza di Francesca, ma ora, vendendola arrossire cercando di nascondere la timidezza ed andare avanti, pur non essendo sicura, l’unica cosa che poteva fare Marco era sorridere intenerito. Quella era la ragazza che amava, insicura, tenera, timida.

La attirò a se,stringendole i fianchi, carezzando le cosce coperte dai jeans, senza far nulla per toglierli.
-Mi basta questo. Non dobbiamo fare altro per ora se non sei pronta- Le sussurrò all’orecchio baciandole la guancia e poi il collo, mentre lei  faceva lo stesso, bisbigliando quanto tenesse a lui tra un bacio e l’altro.

Looking for an exit in this world of fear
I can see the pack that leads the way
Mama never left, and daddy needs me here
I wish the wind would carry a change
Looking through the window to a world of dreams
I can see my future slip away
Honey you won’t get there if you don’t believe
I wish the wind would carry a change


Camilla non era sempre stata così, crudele, assetata di potere. C’era stato un tempo, lontano anni luce in cui era una ragazzina normale, dolce e innocente, altruista e gentile. Un tempo in cui la sua vita aveva fatto veramente schifo, in cui tutti s’approfittavano della sua bontà eccessiva, prendendola in giro.

Non le piaceva essere così, perfetta ed odiata, se la dovevano odiare dovevano avere un motivo, e lei aveva tutta l’intenzione di darglielo.
L’occasione si presentò quando compì 11 anni, ed improvvisamente la mente altrui divenne un libro infinito di cui sfogliare le pagine, scoprendo ogni volta un nuovo segreto dei suoi protagonisti.

Aveva scoperto di essere una strega, figlia d’umani, ma pur sempre una strega, ed anche tra le più potenti, quindi candidata ideale a divenire Suprema. Se  fosse stata il capo sarebbe stata rispettata da chiunque, ovunque.
Ma per essere Suprema la strada era tutta in salita, ed inoltre, non era l’unica a desiderare quel ruolo ed avere tutte le carte in regola per ottenerlo. Continuando ad essere la brava piccola Camilla, la Torres sapeva che non avrebbe mai ottenuto nulla, che le sarebbero tutte passate avanti approfittando del suo animo genitile, così aveva imparato ad essere indifferente, indifferente a tutto,  indifferente a ciò che la circondava, indifferente, persino a se stessa. E per quanto sapeva che i suoi poveri genitori avessero bisogno della vera lei, era convinta che, una volta divenuta Suprema, sarebbe tornata quella di prima, e tutti sarebbero stati felici.
Non aveva messo in conto l’ idea che quella cattiveria che ostentava , che fingeva di possedere, indossando vestiti neri e trucchi spaventosi, potesse corroderla dentro, invaderle il cuore che un tempo era stato bianco, candido ed innocente, macchiandolo di nero, nero come l’inchiostro, nero come la pece, nero come le labbra di Camilla, come i suoi occhi, nero come la magia che di nascosto praticava, nero come la notte, nero come le tenebre in cui era caduto e dalle quali non era riuscita più a risalire.

Notò come Diego osservasse il vuoto pensieroso. Lo aveva sopravvalutato quel Dominguez, che si domandava se fosse veramente figlio del famigerato Juan.
Lo spagnolo, con quei suoi patetici problemi di cuore, con quelle sue sicurezze eccessive e le ancor più eccessiva insicurezze nascoste, si era fatto fregare.
Ora, anche se si fosse dato una svegliata e avesse deciso di cominciare a cacciare, non avrebbe certo potuto.

“Che deficiente!” Pensò la punk, trattenendo una crudele risatina mentre intonava la nota finale.

Si inchinò e scese dal palco, con un inquietante sorriso stampato in volto. Diego la guardò con la coda dell’occhio mentre gli passava affianco.

Quella stronzetta della Torres non gliela contava giusta.
 
Hey brother
There's an endless road to be discovered
Hey sister
Know the water's sweet but blood is thicker
Oh, if the sky comes falling down, for you
There's nothing in this world I wouldn't do


Natalia sorrideva, d’un sorriso ampio, reale, che tanto piacevano a Maxi, che lo facevano sciogliere, senza una ragione apparente, come un gelato al sole.

Cantava quella canzone, soprattutto per far capire alle due persone più importanti della sua vita di merda quanto fossero importanti, quanto, senza loro, sarebbe stata persa.

Nata ricordò i suoi giorni in ospedale, quando di  nascosto entrava nella stanza di Ludmilla a farle compagnia, e la Ferro le parlava della vita, del fatto, che, essendo stata vicina a rimetterci la pelle per i suoi problemi, aveva capito quanto fosse importante accettare la vita per quella che è. Ricordandole che per ogni sconfitta c’è sempre una vittoria, che prima o poi arriverà, rendendoci felici, ripagandoci di ogni dolore.

S’erano conosciute in un letto d’ospedale, nel periodo più buio delle loro vite, s’erano aiutate a vicenda, controllate.
S’erano protette dalle dicerie altrui, dai pettegolezzi, delle occhiatacce ricevute mentre passeggiavano assieme per la strada.
Erano state l’una l’ancora dell’altra.
Ludmilla era divenuta per Natalia, quello che era stato un tempo suo padre, con l’unica differenza, di questo la spagnola ne era convinta, che la bionda non l’avrebbe mai tradita o abbandonata.
Glielo aveva promesso in quel dannato letto d’ospedale, e Nata credeva alla sua promessa.
D’altro canto per la Ferro, Nata era divenuta l’unica fonte d’amore che avesse mai conosciuto. Un amore sano e reale, un amore amichevole, fraterno. Un amore di quelli che durano veramente per sempre.

Un amore simile a quello che provava per Maxi, colui che considerava il suo migliore amico, che l’aveva capita e supportata, che non era scappato alla vista delle cicatrici della riccia, anzi le aveva baciate una ad una con gentilezza e poi le aveva sorriso.
Maxi si fidava di lei, tanto quanto lei si fidava di lui eppure nei suoi occhi c’era sempre una sorta di velata sofferenza, una sorta di inconfessabile segreto che la Navarro era decisa a svelare, per aiutarlo.
Non sapeva cosa nascondesse il rapper dietro il sorriso finto, il berretto blu onnipresente a coprire i capelli ricci, dietro i vestiti larghi e l’aria allegra, non lo sapeva, ma aveva l’impressione che fosse  importante quasi quanto quelle sue braccia ricoperte di cicatrici.
 
 
 
Finita la giornata di lavoro Pablo tornò a casa distrutto, dolorante e assolutamente a pezzi.
Posò la borsa sul  divano e vi si buttò di peso, dopo aver preso una penna ed un foglio di carta, deciso a continuare la canzone che aveva cominciato a scrivere e che era una specie di sfogo personale alla sua misera vita amorosa.

Y no, no quiero ser, el tonto que no puede estar  sin ti
Que pienses que soy un imbecil que cayò de amor por ti, tal vez
No es justo que tu pretendas que yo sea el esclavo de tu voz, tu amigo fiel
Que salga yo corriendo appena llames otra vez. Porque eres asì?
Porque eres tan cruel conmigo?


Conticchiava il ritornello, cercando di trovare la melodia più adatta.
Scrisse velocemente un’altra frase:Tiene una cara de querer decirme algo, pero abres esa boca para hablarme de alguien màs
Immaginò Angie, con l’uomo del quale tanto gli aveva parlato, camminare assieme, felici, baciarsi magari.

L’odore del mare era forte, tanto da essere percepito in lontananza, piacevole da non dar fastidio. Il rumore delle onde che si infrangevano sulla spiaggia e gli scogli era rilassante, la sensazione delle mani di Carlos sulle sue inimitabile.
Angie chiuse gli occhi, godendo quel momento di spensieratezza. Sapeva di aver ferito Pablo accettando l’invito del ragazzo che le era accanto,  prendendo per lui addirittura un giorno di permesso, cosa che mai avrebbe fatto per uno qualunque. Sapeva che il suo migliore amico provava dei sentimenti, probabilmente nemmeno tanto grandi per lei,  e che così facendo gli aveva fatto del male, ma sapeva anche  che con il tempo sarebbe stato bene inoltre,  quando le sarebbe ricapitato che l’uomo dei suoi sogni le chiedesse un appuntamento romantico, in riva al mare, con il vento autunnale tra i capelli, la sabbia fresca sotto i piedi e il rumore dell’oceano come unica colonna sonora dell’uscita perfetta? Era un occasione più unica che rara, e, per quanto fosse ingiusto lasciare solo Pablo, con il cuore infranto,  e  Gregorio e i ragazzi da controllare,  la bionda non aveva saputo rinunciare ad una tale magica esperienza.

Aveva conosciuto Carlos Junio in un giorno d’ agosto, quando era andata in vacanza in Brasile con un gruppo di amici e amici di amici. Erano state le due settimane più incantevoli della sa vita, nelle quali aveva completamente perso la testa per il trentenne che, incredibilmente, in quel momento le era accanto, scrutandola con gli occhi azzurri, abbracciandola con le braccia abbronzate, che di più muscolose non ne aveva viste.
 
A lavoro terminato, Pablo chiuse gli occhi, li sbattè qualche volta per controllare la voglia di piangere, scrivere quella canzone era stato facile e spontaneo, rileggerla era come udire la storia della propria vita peggiorata.
 Sapeva di non essere corrisposto, era una certezza che aveva accettato con il tempo, ma, nonostante ciò, sapere che Angie frequentava un altro uomo faceva dannatamente male. Inoltre i problemi dello Studio non aiutavano a far star meglio il povero Galindo, che era ormai stanco di vivere una vita in cui non vi era altro che stress e delusioni.
In cui la sua migliore amica lo rifiutava da anni e il lavoro  che amava lo stava distruggendo.


angolo autrice.
Ciao a tutti. Questo capitolo è un po' diverso dagli altri, e spero vi sia piaciuto, scusate il ritardo ma ho dovuto riscriverlo perchè la prima versione non mi  convinceva molto.
Allora comincio con il dire che lo dedico a: 

Naxi_4ever

AhiEstare

naxinopuedetermina e 

Bellissima1995
Prima di analizzarlo vorrei fare due annunci il primo è che ho aperto una pagina facebook, le migliori fanfiction di efp, dove raccoglierò le migliori storie dal sito, ma ho bisogno di farla crescere perciò vi invito, se vi va, a lasciare un like.
La seconda è solo per chiunque conosca, sia fan o segua anche a grandi linee le Cronache di Narnia ( di cui io sono una fan sfegata dall'età di 7 anni quando vidi il primo film) sulle quali ho scritto una ff per me veramente importante, che però, essendo quello un fandom un po' abbandonato a se, essendo comunque passati quasi dieci anni dal primo film e tantissimi dai libri, ha ricevuto solo una recensione perciò invito chiunque voglia a leggerla e recensire se possibile. Grazie.
Passiamo al capitolo allora
1 i Fedemilla: Fede scopre di Ludmi e promette d'aiutarla, che dolce aww.
2 leon prova a far staccare Violetta da Diego ma non essendo pronto a raccontarle la verità lei si arrabbia con lui
3 Francesca prova a fare l'amore con marco ma lui la blocca, mentre Diego insinua ancora dubbi in fran, che però Ponce de leon fa passare
4 scopiamo ancor più del personaggio di Cami
5 Approfondiamo le dinamiche del rapporto nata-Ludmi e Maxi-Nata, che per ora è solo amore fraterno
6 i Pangie....povero Pablo, depresso e trise a causa della sua migliore amica
Che ve ne è parso?Lasciate una recesioncina ?
Baci

 

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Capitolo 7
*** Love you till the end of time ***


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Capitolo 7

Ludmilla spostò il suo sguardo dal piatto vuoto a Federico, che, appoggiato con la schiena contro il muro bianco della piccola cucina, la osservava soddisfatto, con una sorta di orgoglio negli occhi.

Quel piatto di pasta che le aveva cucinato, era, oggettivamente, piccolo, ma, nonostante ciò a la bionda c’era voluto un enorme sforzo per terminarlo completamente, non lasciando un solo maccherone all’interno del piattino di plastica.
-Contento?-Domandò la ragazza,  cercando di fermare la nascita spontanea di un sorriso, che le veniva ogni qual volta si rendesse conto di come l’italiano si curasse di lei, in modo forse esagerato.
-Certo che si bimba, domani aggiungiamo una forchettata in più ok?-Rispose  Federico, avvicinandosi alla giovane.
Ludmilla annuì, anche se poco convinta.
-Che ti va di fare ora?-Chiese Pasquarelli, tendendo la mano alla Ferro, aiutandola ad alzarsi dalla sedia.
-Non so, possiamo uscire, ma non ne ho molta voglia, oppure possiamo vedere un film il che mi piacerebbe molto di più- Rispose Lud
Si sedettero sulla poltroncina arancione, nonostante avessero a disposizione ben due divani, l’una imbraccio all’altro,  dopo una lunga ed estenuante discussione sulla scelta del film, che, alla fine, vinse Ludmilla, la quale scelse un film d’amore-storico, che aveva sempre amato: L’ultimo dei Mohicani.

La visone del film era proceduta abbastanza tranquillamente, con la ragazza che, appoggiata al petto di un Federico sempre più preso dalla storia, ascoltava il battito costante del suo cuore, sorridendo lievemente a come il corpo del suo coinquilino sussultasse nelle scene di maggior tensione.
Ed erano arrivati al finale, strappalacrime, che la bionda aveva sempre trovato incredibilmente perfetto, e dannatamente triste.

Attraverso la tv scrutarono gli occhi marroni di una delle protagoniste, che sembrava guardarli attraverso la pellicola, mentre il ragazzo, che non aveva mai visto il film si faceva sempre più agitato, Ludmilla preparava se stessa ai pianti i sterici che avrebbero seguito la scena successiva.
L’attrice lanciò loro ancora uno sguardo, poi, fissò il burrone sotto di lei, dove poco prima era stato gettato il cadavere dell’amato, infine di lasciò cadere.

Pasquarelli se ne stava con la bocca a dir poco scioccato.

Ludmilla rise alla sua espressione. Le faceva, in un certo senso, tenerezza, lui che, fino a due ora prima s’atteggiava al duro che non voleva vedere noiosi polpettoni rosa, ora stava avendo una reazione esagerata.
-E’ morta e tu ridi?- Domandò  il giovane, scollando gli occhi dalla tv e voltandosi verso la bionda, che nel fra tempo s’era alzata .
-Mi fai ridere tu, dovresti vedere che faccia che hai- Rispose Ludmi trattenendo a stendo un’altra risatina.
-Questo film ti rapisce il cuore, te lo strappa dal petto e te lo butta in un fottutissimo burrone-Constatò l’italiano raggiungendo Ludmilla, e, prendendole i fianchi.-Comunque sappi bambina mia, che anche io penso che mi butterei volentieri da un burrone se dovessi perdere te-Confessò con voce roca, che, fece emozionare Ludmilla incredibilmente.

-Federico, avevi promesso che non ci avresti provato con me fino a che non fossi stato sicuro di ciò che provi- Gli ricordò la Ferro, posando le mani sul petto di lui per allontanarlo.
-Oh ma io non ci sto affatto provando, ti sto solo abbracciando amichevolmente- Replicò il ragazzo, avvicinandosi sempre più alla coinquilina.
-E ora, lo dico giusto per avvertirti, ti sto per baciare amichevolmente- Continuò.
Ludmilla non ebbe il tempo materiale per bloccarlo, o forse la volontà, che Federico aveva già annullato la distanza tra loro.
Non appena aveva sentito le labbra sulle sue, ogni idea di fermare quel gesto era andata a farsi fottere assieme ad ogni paura che lui non l’amasse tanto quanto lei, ma che fosse solo attrazione la sua.
Si lasciò trasportare, aprendo la bocca giusto un poco per permettere alla lingua del giovane di giocare con la sua.

Passò le mani sul suo collo, carezzandolo freneticamente mentre lui le metteva le mani sotto le ginocchia per prenderla in braccio, allungandole di tanto in tanto per carezzarle le cosce magre e i glutei sodi, infilando le mani al di sotto della gonna scozzese.
Si avvicinò al divano rosso, e lì, si lasciò cadere, portando con se Ludmilla.
Si staccò da lei scrutandola negli occhi marroni, dopodiché, la baciò nuovamente, questa volta con dolcezza, mordicchiandole simpaticamente il labbro inferiore,  poi con sempre una maggiore passione, muovendo il bacino istintivamente.

Si girò, in modo da ritrovarsi sopra la ragazza, che, intanto gli sussurrava a fior di labbra quelle impegnative parole che prima d’allora Federico non era stato pronto e capace a dirle.
-Ti amo- Sussurrava la Ferro, cercando di togliere la maglia al ragazzo.
-Cazzo se ti amo bimba, ti amo- Rispose lui baciandole il collo, abbassando la gonna lasciando la giovane in slip.
Ludmilla aprì la cerniera dei Jeans di Pasquarelli, i quali erano ormai divenuti come una parete che li separava, un inutile ingombro.

Solo quando rimasero in biancheria intima, l’uno sopra l’altra, si resero conto di ciò che stavano per fare. Nessuno di loro aveva voglia di tirarsi indietro, entrambi si specchiavano negli occhi del compagno, guardansi come per mettersi d’accordo, come per decidere assieme se continuare o meno.
Federico carezzò lievemente la parte di  superiore di inguine che le mutandine di Ludmilla lasciavano scoperte, e, successivamente giocò con le l’elastico delle stesse, mentre la proprietaria di queste mordicchiava l’orecchio e la guancia del giovane sussurrando qualche ti amo casuale.


Camilla se ne stava sdraiata sul suo letto, lei e Violetta erano le uniche a non essere uscite quella domenica assieme a Federico a Ludmilla.
Poteva sentire i loro pensieri perversi e innamorati, che le davano il voltastomaco.
Da quanto aveva capito le cose tra quei due si stavano facendo interessanti, e presto, quella deficiente della Ferro avrebbe scoperto il suo grande potere, uccidendo quello che, a detta sua, era l’amore della sua vita.

Cami sorrise, abbassando la rivista che stava leggendo e posandola sulle gambe, in attesa dell’urlo che di li a poco si  sarebbe udito, dell’inutile suono delle ambulanze, delle lacrime, in attesa dell’inevitabile.
I rumorini, le risate isteriche e i sussurri erano sempre più intensi dal salone, e Violetta, che cercava di non pensare a Leon, o a Diego, o a i suoi genitori, applicando lo smalto per unghie nero, ne era stufa.

S’alzò di scatto, camminando spedita verso la porta.

-Dove credi di andare?-Domandò la punk, parandosi davanti a lei.
-A bloccare quei due, visto che io su quel divano ci guardo la tv, e occasionalmente ci magio, e mi da il voltastomaco pensare che lo facciano lì-Rispose Vilu, spingendo lievemente Cami per passare.
-Probabilmente sono già in piena attività, ti conviene lasciar stare- Cercò di convincerla la Torres, prendendole troppo fortemente il polso.
-Non mi interessa, a mio parere non hanno ancora fatto nulla- Replicò la Castillo, cercando di avvicinarsi alla porta, senza successo.
-Mollami-Gridò
-No! Non rovinerai questo momento chiaro puttenella!-Urlò Camilla, lanciando silenziosamente un incantesimo di congelamento verso la ragazza, la quale però sembrò esserne immune, il che preoccupò la strega.
-Mollami!-Ripetè, riuscendo a liberarsi, uscendo dalla camera sbattendo la porta.

Camilla rimase impietrita, scioccata non solo dal fatto che la ragazza dai capelli blu fosse stata immune al suo potente incantesimo, ma anche dal fatto che s’era liberata dalla sua ferrea presa costituita per lo più dalla magia, senza troppi sforzi, il che poteva significare solo una cosa, Violetta Castillo era una strega, la più potente forse con quel potere che si ritrovava, unico in grado di respingere gli incantesimi, quello della resurrezione. Il potere di vita, e di ridonarla a se stessa e a chiunque l’abbia perduta.

Il rumore dei tacchi a spillo di Violetta sul parquet era l’unico all’in fuori di quelli provocati da Ludmilla e Federico.

Quando entrò nel salone Vilu non si fece troppi scrupoli, iniziò a gridare come un’assatanata contro  i suoi coinquilini, intimandoli a darsi un contegno, a non farlo sul divano e soprattutto, a Federico, di tenere a bada il suo coso finchè si trovava all’interno della casa,  o l’avrebbe ucciso nel sonno.
Pasquarelli sorrise, mentre Violetta lo osservava nascondersi la dote con un cuscino.
-Non sei male sai? Qualche volta dovremo fare una cosa a tre-Propose allontanandosi
-E poi quel cuscino buttalo-Gridò quando era ormai lontana.
Ludmilla s’alzò e abbracciò da dietro Federico, baciandogli le ampie spalle muscolose.

-Forse non era destino che succedesse oggi- Gli disse la bionda, con tono leggermente deluso, che non passò inosservato al compagno, il quale si voltò, e le  posò un delicato bacio sulla bocca.
-Forse, ma, sai che ti dico? Ci rifaremo presto, e sarà tutto perfetto, te lo giuro. Candele profumate ad illuminarci, così che io possa vederti, vedere quanto diamine il  sei bella, e poi petali, petali di rosa ovunque, di quel colore tra il rosa e il fuczia, che somiglia tanto a quello delle tue labbra. Non metterò della musica, coprirebbe il suono del nostro amore. E sarà tutto perfetto, perfetto lo giuro, fantastico, come te- Le spiegò carezzando le mani piccole e diafane, che gli stringevano i fianchi, mentre gli occhi di Ludmi brillavano d’emozione, d’amore.

-Ti amo, fina alla fine dei tempi-Promise
 

Maxi camminava a passo veloce, le cuffiette nelle orecchie, che coprivano i rumori della città, i capelli ricci al vento, l’inseparabile berretto blu stretto tra le mani, così fortemente da far male.
Teneva il capo chino, le mani nelle tasche, non si curava degli spintoni che riceveva da lavoratori in ritardo, che correvano sul marciapiede, o da nervosi imprenditori in giacca a cravatta. Non si curava di nulla, non si preoccupava di nulla, nemmeno di sorridere come sempre, di indossare la maschera dell’adolescente felice, perché lui felice, non lo era mai stato, e non lo sarebbe stato quel giorno.

Salì sul pullman da viaggio che l’avrebbe portato nella sua cittadina, a sole due ore da New Orelans, così da poter andare a trovare suo padre nell’anniversario della sua morte. Così da poter trovarsi come ogni anno davanti una lapide bianca, a raccontare della sua vita, a chiedere consigli a qualcuno che non risponderà, e non perché non voglia, semplicemente perché non può. Semplicemente perché è morto.

Fissava l’esterno, la frenesia dei cittadini, i marciapiedi grigi e i palazzi alti, in attesa che il mezzo partisse, quando sentì dei leggeri colpetti sulla spalla.
Si voltò, ed incontrò un paio di occhi neri che lo fissavano dall’alto, i capelli ricci più arruffati del solito a causa del vento, le labbra incurvate in un sorriso sghembo.
Natalia lo aveva seguito, doveva immaginarlo che l’avrebbe fatto dopo lo strano comportamento di quella mattina, quando non rivolgendo la parola a nessuno era uscito, con la faccia di chi aveva appena ricevuto un’orribile notizia.

-E’libero questo posto?-Disse la spagnola indicando il sedile accanto al rapper, lui annuì.

-Come vedi si, ma devi andare a casa- Le rispose, senza riuscire a forzare un sorriso.
-No, non prendo ordini da te Ponte- Replicò la riccia sedendosi, mentre Maximiliano sbuffava.
-Che succede?-Chiese la ragazza, prendendo dolcemente la mano del ragazzo.
-Nulla- Mentì il moro, voltando lo sguardo verso di lei.

-Non sono stupida. Sono venuta qui per te, perché tengo a te,perché sei il mio migliore amico, e non sopporto vederti star male. Voglio aiutarti, devi fidarti di me Maxi, come io mi fido di te. Abbiamo tutti i nostri problemi, e grazie all’aiuto di persone che ci amano possiamo superarli. Io ho smesso di tagliarmi dopo aver conosciuto Ludmilla, lei è una sorella per me. E lo sai quando ho cominciato a sorridere per davvero? Quando sono diventata amica tua. Io sono debole, ma sono un’ottima osservatrice, mi piace guardare il mondo, ma soprattutto i suoi abitanti e fidati quando ti dico che anche i più forti, anche coloro che sono abituati ad essere le ancore di salvezza degli altri, hanno bisogno di un appiglio, di un aiuto- Continuò imperterrita la Navarro, che notò gli occhi del suo amico farsi lucidi.

-Sto andando nella mia città, perché oggi è l’anniversario della morte di mio padre Nata- Le confessò.

-Mi dispiace tanto- Nata lo abbracciò, stringendolo forte a se, mentre sentiva la camicia che indossava farsi bagnata, a causa delle lacrime che silenziose solcavano le guancie di Ponte.

-E’ morto per colpa mia. Era un giorno come gli altri, avevo dodici anni e a casa erano finite bibite al cioccolato, ed io le volevo in quell’esatto momento. Ero capriccioso, non volevo aspettare il giorno dopo quando mamma avrebbe fatto la spesa. Così andai solo al supermercato. Non avrei mai immaginato che ci sarebbe stata una rapina, che io sarei stato un ostaggio. Mio padre lavorava in polizia, era capitano sai? Lo adoravano tutti. Era entrato per contrattare con i rapitori, ma poi mi ha visto, che avevo la pistola puntata alla testa, e piangevo, tanto, e ha provato a salvarmi, ha provato e lo hanno ucciso. Gli hanno sparato davanti ai miei occhi. Ed è stata solo colpa mia- Raccontò Maxi, mentre sentiva gli occhi di Natalia su di se, la sua stretta sempre maggiore, le lacrime che minacciavano di investirla.

-Non è stata colpa tua, non lo avresti potuto sapere, e poi eri solo un bambino-Cercò di confortarlo.

-E’ quello che mi dicono tutti da una vita, ma io mi sento colpevole Naty,  io sono colpevole, e non voglio smettere di sentirmi così, merito di star male. Non basterai tu a farmi smettere di sentirmi tale- Sussurrò Maxi.

Nata gli si buttò addosso, facendo aderire il corpo dell’amico al suo, posando il capo riccioluto sulla sua spalla.

Il rapper le carezzò i capelli, mentre Natalia lo stringeva in uno di quegli abbracci che rompono le ossa, e risanano le ferite del cuore.
 

Leon correva, i capelli sudati attaccati sulla fronte, gli occhi verdi spalancati.
Si girava, ogni tanto nella sua sfrenata corsa, per controllare che non fosse seguito, e puntualmente s’accorgeva di non riuscire a seminarli.

Era andato nei quartieri poveri della città senza una vera ragione, semplicemente per la curiosità di vedere come fosse il luogo che Federico aveva detto di conoscere bene e che gli aveva intimato di evitare.

Cercò di aumentare la velocità ma era stremato, ed inoltre non conosceva la zona, quindi non aveva idea di dove andare.

Svoltò l’angolo, senza notare i sorrisi dei ragazzi che lo seguivano allargarsi, e si ritrovò in un vicolo cieco.

Si appiattì contro il muro, sperando di divenire un fantasma e attraversarlo.
Scrutò i ragazzi, con gli occhi di smeraldo colmi di terrore. Erano tre, di circa venti anni, forse più, grandi quanto armadi.

Avevano l’aria di essere drogati, o alcolisti, o comunque qualcuno da cui stare alla larga, e Leon, lo doveva ammettere, era spaventato da loro, ma soprattutto da quello che avrebbero potuto fargli.

-Che ci fai qui piccoletto?-Chiese uno di loro, che lo esaminava con gli occhi azzurrissimi, in netto contrasti con la carnagione scura.
-Sei nel posto sbagliato, al momento sbagliato- Sussurrò minacciosamente il secondo, che sembrava essere spagnolo.
-Sai cosa facciamo noi ai pivelli ricchi che vengono qui?- Domandò battendo i pugni l’uno sull’altro, il terzo, che aveva lunghi capelli castani legati in un codino, che a Vargas sarebbe parso ridicolo in un altro momento.

-Non credo di volerlo sapere- Sussurrò il sedicenne, cercando di mascherare la paura nella voce.

-Oh mai noi volgiamo insegnartelo-Replicò lo spagnolo, avvicinandosi a lui e tirandolo su per il collo della maglia di almeno dieci centimetri.
-Penso che sarebbe meglio per tutti se mi lasciate andare- Riuscì a dire Leon.
Lo spagnolo lo gettò contro il muro, mentre ogni fibra del corpo del giovane sussultava per il dolore dell’impatto.
-Josh, prendigli il telefonino, così non potrà chiamare aiuto una volta finito- Ordinò l’uomo con il codino a quello di colore.
Vargas rabbrividì al tocco dell’uomo, che infilò prepotentemente una mano nella tasca dei pantaloni.

Appena l’afroamericano di scostò da lui un  calcio allo stomaco gli fece mancare il fiato, ce ne furono altri, che lo fecero tossire, ed occasionalmente sputare sangue.
Leon sentì le lacrime pizzicare agli angoli degli occhi, per il dolore lancinante che lo stava lentamente trasportando alla deriva della coscienza.

-Fermi-Gridò improvvisamente quello di colore.

-Che diamine ti prende Josh!-Gridò irato lo spagnolo, tirando un altro calcio all’agonizzante giovane.

-Ho detto di fermarti idiota. E’ amico di Federico, non possiamo fargli del male- Spiegò Josh mostrando una foto che ritraeva il ragazzo dagli occhi verdi e l’italiano assieme sorridenti, e poi di seguito altre.

-Mm. Scusaci bello, avresti dovuto dirci che conoscevi il grande Pasquarelli, non t’avremmo certo trattato così- Disse quello con il codino tendendo una mano a Leon per aiutarlo ad alzarsi.

Lui ci riuscì a fatica, rimanendo piagato ancora per il dolore che lo invadeva a fitte improvvise.
-Come mai sei qui? Ti serve della roba?-Domandò lo spagnolo.
-Roba?-Sussurrò interrogativo Vargas.
-Si roba, come la vuoi chiamare ? Droga no? Scommetto che Fede t’ha mandato qui perché sa che siamo i migliori. A pensarci bene è un bel po’ che il tuo amico non bazzica da queste parti, è successo qualcosa?-Chiese Josh
-Oh bhe..in realtà sono qui per..dirvi che Federico, lui non è potuto più ecco si, venire qui…perché i suoi genitori..si, lo tenevano al guinzaglio, ma verrà presto- Si giustificò Leon,  nascondendo l’incredulità, la delusione e lo shock che gli stavano divorando l’anima. Non riusciva a collegare Fede a qui tizi, o meglio ci riusciva ma non poteva ne voleva crederci. Eppure tornava tutto, ogni stranezza di suo fratello era imprevvisamente chiarita. E Leon capì, che il suo migliore amico era un drogato, o una spacciatore, forse entrambe le cose.

Quando i tre uomini se ne andarono Vargas si lasciò cadere contro il muro, stringendo gli occhi per il dolore.

Non riusciva a camminare, faceva troppo male.

Prese il cellulare che gli era stato restituito e compose il numero dell’unica persona che avrebbe potuto aiutarlo.
 

Marco strinse teneramente la mano di Francesca, morbida, candida, liscia, piccola rispetto alla sua.

Carezzò la sua pelle con il pollice, in un gesto tanto semplice quanto dolce.
L’italiana sorrideva, raggiante come non mai, gli occhi che scintillavano come mai avevano fatto in una vita intera.
Ponce de Leon si fermò improvvisamente, prendendo per la vita la giovane e facendo aderire l’esile corpo al suo.
Le scostò una ciocca di capelli neri dal volto,poi si fiondò con un’ improvvisa foga sulle labbra della sua fidanzata, che rimase con gli occhi spalancati dalla sorpresa.
-A cosa devo questo gesto?-Domandò
-Voglio solo che tutti sappiano che sei mia, solo mia, che ti amo e che tu ami me…e lo devi anche al fatto che due idioti ti stavano squadrando, in pratica ti spogliavano con gli occhi, e, lasciatelo dire amore mio, mi da alquanto sui nervi che tu sia così bella-Confessò Marco, posando la fronte su quella di Francesca.
-Sei così dolce-Sussurrò lei carezzandogli il volto, ruvido a causa di un accenno di barba, che subito la portò a pensare alla sensazione che aveva provato toccando per la prima volta Diego.

Scosse la testa allontanandosi, cacciando via quei pensieri disturbatori.
-Tutto ok?-Le chiese il fidanzato
-Si, sto bene..-Bisbigliò la mora con poca sicurezza.
Ponce de Leon la prese per le spalle.
-Pensavi a lui?-Chiese
Fran scostò il capo, fissando il marciapiede girgio.
-No-Rispose prendendo un respiro profondo-No, non pensavo a lui-
-Ti conosco Comello,  puoi dirmelo. Sono il tuo ragazzo, e lo ammetto, sono anche geloso, e si, mi da fastidio il tuo rapporto con Dominguez, ma io ti amo Fran, e se c’è qualche cosa che ti fa star male voglio che me ne parli, perché io metterò da parte ogni risentimento, e t’ascolterò e no nti giudicherò. Ti resterò accanto, sempre, in ogni modo, ora come fidanzato, domani come amico se ti stancherai di me. Per te sarei qualsiasi cosa, fare qualsiasi cosa- Le disse il ragazzo, posando la testa sulla spalla di lei cingendole i fianchi in un abbraccio.

-MI dispiace tanto , mi dispiace tanto-Singhizzò Francesca carezzando i capelli di Marco.

-Di cosa?-Domandò lui asciugandole le lacrime con il pollice.
-Di aver avuto dei dubbi, di pensare ancora a Diego di tanto in tanto-Rispose l’italiana.

Marco accennò un sorriso, la avvicinò nuovamente a se e le stampò un dolce bacio tra i capelli, ricominciando a camminare.


Diego camminava, con le mani nelle tasche, fischiettando, attirando a se gli sguardi di donne mature e ragazzine sognati.

Non badava a loro, o ai mariti e padri, che lanciavano lui occhiatacce pericolose.
La sua mente era altrove, divisa in due, spaccata.
Avrebbe dovuto pensare alla missione, alla gloria, che fino a Settembre erano state per lui le priorità, invece il suo cervello era concentrato su le due ragazze della sua vita.

L’una, dolce e gentile, sorridente ed educata, indecisa eppure convinta delle sue scelte, lunghi capelli neri, occhi del medesimo colore, che risaltavano sulla pelle bianca, labbra rosee, agognate e mai possedute del tutto, fisico asciutto, vestitini innocenti, per nulla provocanti.

L’altra estroversa ed espansiva, provocante e maleducata, decisa e forte capelli castani tinti di blu a segnare una ribellione interiore a se stessa, occhi nocciola a rivelare la sua vera personalità, infine dolce e romantica, le labbra ogni volta dì un colore diverso, labbra che aveva fin troppo posseduto, di cui aveva abusato, labbra che amava sentire sulle sue, morbide ed esperte, fisico magro, vestiti provocanti, sexy, esagerati, pelle scoperta e messa in mostra, pelle che Dominguez aveva già esplorato centimetro per centimetro.

Era stato intenso fare l’amore con Violetta, coinvolgente come non avrebbe mai potuto immaginare.

Nonostante entrambi sapessero di immaginare qualcun altro in quel letto, a loro fianco, si erano donati totalmente l’uno a l’altra, s’erano amati, si, amati, nonostante non provassero amore, si erano amati.

Più Diego ci pensava più gli sembrava qualche cosa di assurdo, perché lui non amava Violetta e Violetta non amava lui, eppure fare sesso con lei non era stato come farlo con le cameriere del suo palazzo, privo di ogni sentimento, era stato qualche cosa di vero, sentimentale.

Non riusciva a capire. Perché lui sapeva che il suo cuore apparteneva a Francesca, eppure non riusciva a smettere di pensare alla Castillo, alla sua amica di letto, alla sua fidanzata, a quella che gli era stata sempre accanto a soddisfare ogni suo desiderio, a farlo divertire nel momento del bisogno.

Lui amava la Comello, lui non riusciva a non pensare a lei ogni qualvolta abbracciasse Violetta, lui amava Francesca, ma in qualche strano modo, forse completamente dettato dal rapporto sessuale che era avvenuto tra i due, provava anche qualche cosa per Vilu.
E  ne aveva una fottuta paura.    

Sentì il cellulare vibrare nelle tasche, Leon lo stava chiamando.

Angolo autrice.
Dio non ci credo che stiamo già al settimo capitolo, e che ancora più di 400  visualizzino e leggano la storia, seguendomi capitolo per capitolo, è un emozione stupenda. Vi ringrazio tantissimo.
Allora, cominciamo con il nostro riassunto.
I Fedemilla, che finalmente si dichiarano, e si trovano sulla solgia del farlo, ma per fortuna ( vi ricordo che Ludmilla ha il potere della vedova nera) arriva violetta, che inconsciamente salva Federico da morte certa.
Violetta, personaggio del quale si scopre un segreto che nemmeno lei stessa conosce, cioè che è una strega, con il potere della resurrezione ( per chi segue american horror story, in poche parole è come Misty in Coven). 
Maxi va a far visita a suo padre per l'anniversario della morte, e nata lo segue, così lui le racconta tutto.
Leon scopre che Federico ha a che vedere con il mondo della dorga dopo essere steto picchiato.
Marco assicura a Francesca che lui ci sarà semrpe per lei, mentre lei non riesce a semttere di pensare a Diego il quale, dopo aver avuto un rapporto sessuale con Violetta, la vede in modo diverso continuando però ad amare Francesca.
Intanto Camilla si preoccupa di Violetta e dei suoi poteri.
E dopo tutto ciò dobbiamo porci delle domande.
1 Cosa succederà tra Fede e Ludmi? Ci riproveranno? Federico morirà?
2 Camilla dirà a Violetta dei suoi poteri? Mettendo così a rischio la sua candidatura a Suprema? 
3 Nata e Maxi riusciranno finalmente ad avvicinarsi in modo diverso che da amici?
4 Cosa accadrà tra Leon e Federico
5 Francesca riuscirà a togliersi Diego dalla testa
6 Diego riuscirà a capire cosa prova per Violetta ? Scoprirà chi sono le streghe,? Poterà avevanti la missione?
bene questa storia mi sembra sempre più una soap di terza categoria della serie Beautiful, che io non vedo.
Ora vi saluto. Baci
 
 
 
 
 

 
 

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Capitolo 8
*** Avviso ***


Ciao a tutti, 
Non avevo  vogliia di scriverequesto avviso, ma sfortunatamente sono socstretta a farlo.
Avrei voluto aggiornare prima di partire ma ormai non ho più il tempo per farlo, dovendo partire a breve e avendo il capitolo nemmeno a metà.
Ciò significa che da oggi fino alla data del mio rotorno, il 9 agosto,  non vi saranno aggiornamenti.
Ne approfitto per dirvi che, chiunque avesse cominciato a seguiire la mia nuova long American Horro story Asylum, lho cancellata, perchè Witches Hunter mi porta via molto tempo ed ora come ora non sono in grado di gestire entrambe le storie, forse alla fine di questa long riplubblicherò l'altra.
Ora, approfitto anche per consigliarvi di passare a leggere la nuova fanfiction di Naxi_4ever
Vi lascio la trama qui sotto:
The Paladins
PARINGS:JORTINI-LODOGGERO-FALBA-MECHIANI-accenni DIELARI
Cinque ragazzi vivono in un mondo parallelo,loro sono i paladini di Eraclyon,un altrove senza spazio e senza tempo,un grande nulla al centro dell'infinito.
La loro missione é riuscire a salvare questo mondo dai Guerrieri del Buio,residenti del Regno di Phobos,situato nell'esatto contrario di Meridian: al centro dell'entroterra.
Ma questi guerrieri non solo sono imperterriti nel voler compiere la loro missione e dominare su Eraklyon,loro vogliono conquistare la Terra. 
Proprio per questo Caleb,Cedric,Ralph,Lumien e Orube intraprendono una delle missioni piú importanti per il loro popolo: andranno sulla Terra con un'identitá completamente diversa,per catturare i Guerrieri. Unica regola: nessuno lo dovrá scoprire.
Per di piú saranno costretti a frequentare un college a Chicago,convivendo in una casetta insieme ad altre ragazze.
Riusciranno ad abituarsi alla nuova vita? 
Le coinquiline scopriranno il loro segreto? 
Riusciranno a catturare i cavalieri?
E infine,sulla terra saranno davvero gli unici appartenenti a quel mondo?
Detto ciò, vi saluto con un enorme bacione, e, per coloro che hanno avuto la pazienza di leggere fino in fondo, vi lascio un piccolo regalo. Delle anticipazioni del prossimo capitolo:
 
Violetta sentì la finestra aprirsi, una folata di vento freddo innalzò le tende blu, e la fece rabbrividire anche sotto le coperte.
Sbattè gli occhi un paio di volte, svegliandosi lentamente dal suo sonno senza sogni.
Si mise a sedere, mentre il cuore accelerava nel notare una donna, una sconosciuta, in piedi nel mezzo della sua camera, assieme a Camilla.
Sembravano visioni celestiali, illuminate dalla luce della luna, piena quella notte.
Si sporse per guardare Francesca, ancora profondamente addormentata. Le sembrò strano che dormisse così, nonostante il vento incessante e i rumori esterni, proprio lei, che aveva sempre avuto un sonno particolarmente leggero.
-Chi sei?-Domandò, facendosi coraggio, stringendo le lenzuola tra le mani per calmarsi.
-Sta tranquilla puttanella. E’ amica mia- Le tranquillizzò Camilla incrociando le braccia al petto.
-Tranquilla Violetta. Sono Cordelia Good Fox, sono qui per aiutarti, per rivelarti la tua vera indole- Spiegò la bionda, con tono dolce, che ricordò alla giovane Castillo quello di sua madre.
-La mia indole?-Chiese la ragazza dai capelli blu, scendendo dal letto con un leggero tonfo, ed avvicinandosi alle figure, per toccarle ed accertarsi che fossero reali.
-Si piccola mia. Devi sapere che ora, sono passati circa 300 anni dai processi alle streghe di Salem; le streghe rimaste sono per lo più estinte e le poche che restano sono in grande pericolo, i cacciatori di streghe. Tu, Vilu, sei una di loro. Una di noi. Sei una strega dotata di enormi poteri



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-Dove la tieni?-Lo incalzò Leon.
-Cosa?-Chiese Federico alzandosi da terra.
-Cosa?! La droga! Dove cazzo la tieni dimmelo- Gridò prendendogli le spalle e spingendolo contro il muro verde.
-Come lo hai saputo?-Domandò il maggiore dei due ragazzi, capendo che fingere non sarebbe servito a nulla.  Leon sapeva, sapeva tutto, e forse, era la cosa migliore, forse era quello che Federico aveva sempre voluto.
Aveva bisogno di uscire de quella sua dipendenza, per Ludmilla, e anche per se stesso, ma solo non ce l’avrebbe fatta. Forse per questo aveva raccontato al suo fratellino di quel luogo malfamato dove amava andare. Forse il suo subconscio voleva che lo scoprisse, perché lo sapeva che lui era l’unico che poteva aiutarlo.
-I tuoi amici, i tuoi spacciatori mi hanno picchiato a sangue, e solo dopo avermi fregato il cellulare ed aver visto una nostra foto assieme, mi hanno lasciato andare. Perché ero amico tuo. Del loro miglior cliente. Il grande Pasquarelli-Spiegò il giovane degli occhi verdi, tendo sempre l’altro inchiodato al muro.
Federico scostò il capo, posando gli occhi sul pavimento, in preda ad uno strano miscuglio di sentimenti, rimasti bloccati nella bocca dello stomaco, che creavano un enorme nodo alla gola, impedendogli di parlare, o di fare qualcosa che non fosse trattenere le lacrime salate, che minacciavano di traboccare dagli occhi scuri da un momento all’altro.
Non voleva piangere Federico, perché piangere era una cosa da deboli, e lui, debole, lo era già stato tante volte, e non voleva più sentirsi tale.


 

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Capitolo 9
*** Violetta, your a witch ***


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< Capitolo 8
Leon rientrò a casa la sera, accompagnato da Diego, dopo un controllo all’ospedale, che aveva rivelato solo qualche ammaccatura. Il dolore fisico che Vargas provava non era minimamente paragonabile a quello interiore, alla rabbia, al fuoco che divampava negli occhi verdi.

Entrò in casa sbattendo la porta, e, dopo aver ringraziato velocemente Diego dell’aiuto, si avviò verso la sua camera.

Aprì la porta di scatto, sbattendola ancor più fortemente di prima, alla vista di Federico, che se ne stava comodamente sdraiato a letto, con le cuffie nelle orecchie

Leon gliele tolse, lo prese per un braccio e lo buttò a terra.
-Che succede?-Domandò l’italiano stupito, massaggiandosi il braccio dolorante per la caduta.
-Prova ad immaginarlo-Rispose irato  il messicano.
-Non lo so dimmelo tu-Replicò Pasquarelli sempre più curioso.
-Dove la tieni?-Lo incalzò Leon.
-Cosa?-Chiese Federico alzandosi da terra.
-Cosa?! La droga! Dove cazzo la tieni dimmelo- Gridò prendendogli le spalle e spingendolo contro il muro verde.

-Come lo hai saputo?-Domandò il maggiore dei due ragazzi, capendo che fingere non sarebbe servito a nulla.  Leon sapeva, sapeva tutto, e forse, era la cosa migliore, forse era quello che Federico aveva sempre voluto.

Aveva bisogno di uscire de quella sua dipendenza, per Ludmilla, e anche per se stesso, ma solo non ce l’avrebbe fatta. Forse per questo aveva raccontato al suo fratellino di quel luogo malfamato dove amava andare. Forse il suo subconscio voleva che lo scoprisse, perché lo sapeva che lui era l’unico che poteva aiutarlo.

-I tuoi amici, i tuoi spacciatori mi hanno picchiato a sangue, e solo dopo avermi fregato il cellulare ed aver visto una nostra foto assieme, mi hanno lasciato andare.

Perché ero amico tuo. Del loro miglior cliente. Il grande Pasquarelli-Spiegò il giovane degli occhi verdi, tendo sempre l’altro inchiodato al muro.

Federico scostò il capo, posando gli occhi sul pavimento, in preda ad uno strano miscuglio di sentimenti, rimasti bloccati nella bocca dello stomaco, che creavano un enorme nodo alla gola, impedendogli di parlare, o di fare qualcosa che non fosse trattenere le lacrime salate, che minacciavano di traboccare dagli occhi scuri da un momento all’altro.

Non voleva piangere Federico, perché piangere era una cosa da deboli, e lui, debole, lo era già stato tante volte, e non voleva più sentirsi tale.
-Dove è?-Ripetè, questa volta con più calma il minore dei due ragazzi.
-Nella fodera del cuscino-Confessò Federico, lasciandosi cadere a terra, scivolando lentamente contro il muro, mentre Leon controllava il cuscino, muovendo freneticamente le mani nella federa imbottita, con il volto contratto in una smorfia di disgusto al contatto con la scatola che il suo amico aveva nascosto accuratamente.
-Morfina?-Domandò interrogativo.
-E’ come una droga, ma costa meno..era l’unica cosa che potevo procurarmi, sai, per sballarmi.-Spiegò l’italiano, la voce incrinata a causa di uno strano dolore che gli lacerava l’anima, che oltrepassava il cuore, che rompeva le costole, toglieva l’aria ai polmoni, e lentamente lo uccideva.

Vargas s’avvicinò al suo amico, che accovacciato, teneva la testa tra le mani, in preda alla vergogna, alla debolezza di un giovane uomo, distrutto dal suo stesso piacere.
Si sedette accanto a lui e lo strinse a se, facendogli posare il capo sulla sua spalla, carezzandogli i capelli corti, mentre i singhiozzi gli scuotevano il corpo.

Alla fine aveva ceduto.

Leon avrebbe dovuto essere  ancora furioso, deluso, ciò che gli aveva tenuto nascosto era imperdonabile, ma non riusciva. La vista di Federico, realmente a pezzi faceva scivolar via ogni altra sensazione che non fosse l’esagerato senso di protezione fraterno che aveva per lui.

Inoltre,  anche Leon stesso aveva un segreto che non era pronto a rivelare, e nonostante ciò Federico gli era rimasto accanto, infondo se il suo fratellino faceva ciò che faceva un motivo ci doveva essere, e Leon non poteva certo abbandonarlo in quel momento di totale difficoltà.

Non voleva. C’era come uno strano filo conduttore tra lui ed il ragazzo che gli era accanto, un legame strano, forte, indissolubile, indistruttibile. Un legame più forte dell’amicizia, un amore, un amore fraterno a cui, nonostante tutto Vargas non era pronto a rinunciare.

-Perché hai cominciato?-Chiese, prendendo un respiro profondo.
Federico scosse la testa, non voleva parlarne.

-Per piacere. Se tu me lo dicessi, sarebbe più facile capirti, perdonarti ed aiutarti Fede. Tu sei mio fratello, e ti amo come tale, voglio solo aiutarti- Lo supplicò Vargas

-Ero un ragazzino idiota, un quindicenne sbandato, con dei genitori particolarmente rompipalle. A loro non piacevano i miei amici, temevano mi portassero sulla cattiva strada, perciò mi vietavano spesso di uscire, ma io ero furbo lo facevo si nascosto. Comunque avrei dovuto dar loro ragione. Era un giorno normale, io e miei amici andammo nella parte povera della città, e comprammo la droga. Non era la prima volta per loro, dicevano che era forte, farsi, così provai. Dall’ora non riuscii a smettere, finchè non andai in overdose, mi salvarono per un pelo. Mio padre mi fece chiudere in un centro per disintossicarmi. Quando uscì mi iscrissi qui- Raccontò con voce tremante Pasquarelli.

Leon rabbrividì e strinse ancor più a se l’amico, che piangeva. Lacrime amare, lacrime di debolezza, di peccato, di dipendenza. Lacrime di rimorso, di cambiamento, di pentimento.

-E hai ricominciato- Concluse Vargas.
­
Federico annuì nascondendo il volto nel petto di Leon, che intanto, se ne stava immobile, gli occhi chiusi, la testa poggiata al muro, la consapevolezza che si insinuava nella sua mente, rendendo finalmente reale ogni sua supposizione precedente. Era difficile da realizzare ora, in un momento in cui la rabbia era sparita, quello che era veramente il suo migliore amico.

Un drogato
 

Camilla corse nella notte buia e fresca, la mantella nera che portava sulle spalle ondeggiava nell’aria.

Il rumore dei suoi passi riecheggiava nel cortile vuoto, rimbombava, e si disperdeva nell’aria, assieme a quello del suo respiro affannoso. Si guardò attorno e poi, dopo aver avuto la certezza che nessuno l’avesse seguita riprese il suo cammino.

Il consiglio delle streghe aveva mandato da lei un controllore, che verificasse il suo operato fino a quel momento, e al quale consegnare la valigetta di Diego, che poi il consiglio avrebbe studiato e utilizzato per creare un piano di difesa in grado di
salvare la comunità magica in caso d’attacco.

Camilla era incredibilmente sicura di se, non aveva paura che qualcuno s’accorgesse che, in realtà, la Torres aveva trovato le streghe, ma che, a causa della sua smania di potere, non aveva detto loro nulla circa i loro poteri.

Si nascose dietro un albero, in attesa, ascoltando con attenzione ogni rumore, e poi, silenziosa e cauta come sempre, la vide.

Una figura, si muoveva nell’ombra con tranquillità, passi lenti, respiro per nulla affannoso, volto rilassato,  illuminata dalla luna che faceva splendere i lunghi capelli biondi, avanzava verso di lei la figlia della Suprema in carica.
-Cordelia-Sussurrò la rossa, con il cuore che batteva in maniera quasi troppo frenetica nel petto, un groppo che si formava in gola, la paura prendeva il sopravvento. La sicurezza aveva abbandonato il suo corpo, lasciandola sola e spaventata.

-Ciao Camilla-La salutò la donna, puntando gli occhi ciechi in un punto indefinito.
Cordelia era una delle poche streghe a possedere il dono della vista superiore, cioè la possibilità di vedere al tocco, ogni segreto dell’oggetto della magia.
-Come procedono le cose?-Domandò Cordelia stringendo al petto la giacchetta di pelle.

-Bene-Mentì Camilla, rispondendo troppo frettolosamente.
-Ti dispiacerebbe darmi la mano-La bionda tese la mano verso la giovane strega, sua allieva per diversi anni, che la afferrò tremante.
Passarono alcuni secondi, in cui la donna tenne gli occhi chiusi, e la ragazza pregò che i suoi poteri non avessero effetto su di lei.

Con uno scatto veloce Cordelia riaprì gli occhi e scostò la mano da quella della rossa.
-Camilla. Portami dalle tue amiche-Le ordinò la donna severamente, con una nota di delusione nella dolce voce, mentre la Torres chinava il capo per la vergogna, e il senso di sconfitta che la pervasero totalmente.
 

Violetta sentì la finestra aprirsi, una folata di vento freddo innalzò le tende blu, e la fece rabbrividire anche sotto le coperte.
Sbattè gli occhi un paio di volte, svegliandosi lentamente dal suo sonno senza sogni.
Si mise a sedere, mentre il cuore accelerava nel notare una donna, una sconosciuta, in piedi nel mezzo della sua camera, assieme a Camilla.

Sembravano visioni celestiali, illuminate dalla luce della luna, piena quella notte.
Si sporse per guardare Francesca, ancora profondamente addormentata. Le sembrò strano che dormisse così, nonostante il vento incessante e i rumori esterni, proprio lei, che aveva sempre avuto un sonno particolarmente leggero.

-Chi sei?-Domandò, facendosi coraggio, stringendo le lenzuola tra le mani per calmarsi.
-Sta tranquilla puttanella. E’ amica mia- Le tranquillizzò Camilla incrociando le braccia al petto.
-Tranquilla Violetta. Sono Cordelia Good Fox, sono qui per aiutarti, per rivelarti la tua vera indole- Spiegò la bionda, con tono dolce, che ricordò alla giovane Castillo quello di sua madre.
-La mia indole?-Chiese la ragazza dai capelli blu, scendendo dal letto con un leggero tonfo, ed avvicinandosi alle figure, per toccarle ed accertarsi che fossero reali.
-Si piccola mia. Devi sapere che ora, sono passati circa 300 anni dai processi alle streghe di Salem; le streghe rimaste sono per lo più estinte e le poche che restano sono in grande pericolo, i cacciatori di streghe. Tu, Vilu, sei una di loro. Una di noi. Sei una strega dotata di enormi poteri.



Una settimana dopo la pioggia scendeva fitta.Il freddo cominciava a farsi sentire.

Violetta teneva in mano una tazza fumante di cioccolata, mentre se ne stava seduta su una delle poltroncine, con le gambe rannicchiate, quasi a toccarle il petto.

Sulla poltroncina di fronte alla sua sedeva Ludmilla  che si torturava le mani in ansia.
Andava avanti così da una settimana oramai, da quando aveva scoperto dei suoi poteri di vedova nera, grazie a Cordelia.

La bionda era chiaramente agitata, non solo per se stessa, per tutte le conseguenze che porta essere una strega per di più con un potere come il suo, ma anche per Federico, che da quando le aveva confessato d’essere un drogato e aveva smesso d’assumere morfina, stava attraversando una crisi d’astinenza addirittura più forte della precedente.

A Ludmi faceva malissimo, vederlo nello stato pietoso in cui era. IL volto pallido, con una sfumatura giallina, magro, caldo, sudato. Gli incubi lo tormentavano di notte a causa della febbre troppo alta, la nausea, il vomito e il mal di testa che di giorni gli impedivano anche di stare un ora in pace.

Inoltre era depresso, e piangeva, sempre, e questo distruggeva Ludmilla più d’gni altra cosa. Cercava di stare con lui più tempo possibile, e quando non poteva o era stanca c’era Leon ad aiutarla.

Le faceva piacere che Federico avesse un amico tanto premuroso, e che, nonostante
tutto, gli rimanesse accanto.

Agli altri coinquilini, e ai professori che gli avevano accordato un permesso per saltare le lezioni ed aiutare Pasquarelli,  sia la bionda che Vargas avevano detto che era una semplice febbre, non volevano certo che additassero Federico per i suoi errori, anche se gravi, o che lo espellessero.
 

–Datti una calmata-Le ordinò la Castillo, volendo utilizzare un tono acido, non riuscendoci però.

La verità è che provava tenerezza per la Ferro, pena per il suo potere, ed ora, sconvolta come era anche lei per quell’assurda scoperta, riusciva anche a provare una certa amicizia, una certa comprensione. Perché in fondo erano uguale lei e la bionda. Perché avevano lo stesso sangue, magico. Lo stesso problema, l’essere delle streghe.

E a differenza di Camilla entrambe odiavano questa faccenda.

Lei era l’unica con cui Violetta potesse sfogarsi e parlare di tutto quell’incredibile presente.

Lei era l’ unica che la comprendesse fino in fondo. L’unica amica che ora poteva considerare tale.

No, Francesca rimaneva sempre  una sua amica, forse l’unica, ma, comunque, non poteva raccontarle nulla. Non condividevano più alcuna cosa, alcun segreto. Non potevano.

Tante cose erano cambiate in una notte, in un minuto, in una frase. Troppe.

La rivelazione di possedere il potere della resurrezione aveva acceso in lei la speranza di poter riportare in vita sua madre, speranza presto appassita quando
Cordelia le aveva spiegato che, essendo stata cremata, non era possibile in alcun modo riportarla alla vita. E da lì la despressione aveva ripreso il sopravvento, come i primi giorni dopo la scomparsa di Maria. Perché per Violetta era stato come averla persa di nuovo.

Non poteva nemmeno fare affidamento su Diego, dal quale si era tenuta a distanza dopo aver scoperto le sue origini, la sua famiglia. Dopo aver scoperto che lui era il suo peggior nemico, che era cacciatore di streghe, che l’avrebbe volentieri  uccisa non appena avesse scoperto dei suoi poteri, fregandosene di tutto quello che c’era stato tra loro.
O almeno questo era ciò che diceva Camilla.

A dir la verità era difficile crederle. Difficile perché lei aveva conosciuto Diego per ciò che era veramente e non la maschera che indossava, perché l’aveva conosciuto per il giovane degli occhi spenti, dall’ego smisurato, il cuore enorme, le labbra saporite, i sentimenti profondi e l’animo tormentato che era.

Eppure s’erano allontanati.
Troppo.
Di una lontananza che faceva male, fottutamente male.

Perché Diego prima di essere il suo ragazzo per gioco, era il suo miglior amico, e Violetta, prima di essere la sua bambolina, era la sua migliore amica. E l’uno necessitava dell’altro.


Ludmilla si stava per scusare, con il solito tono basso e triste che utilizzava da una settimana, quando due mani le toccarono le spalle con delicatezza.

Alzò lo sguardo voltandosi per incontrare gli occhi di Diego Dominguez sorridenti, verso di lei.

Le faceva sempre un certo effetto veder quel ragazzo gentile nei suoi confronti, e non ne capiva il motivo. Le faceva strano, semplicemente abbassare la maschera da duro, per una volta, con qualcuno che non fosse Francesca. E non capiva, non voleva capire, ma le piaceva, essere sua amica, perché infondo aveva imparato a volergli bene.

Perché infondo era un bravo ragazzo Diego.

-ci lasci qualche minuto soli?-Chiese il giovane cordialmente.

La bionda annuì e s’alzò,  abbracciando rapidamente Dominguez, diretta verso la sua camera, con l’ intenzione di chiacchierare un po’ con Nata. Era tanto che non parlavano come si deve, che non si mettevano sul letto a gambe incrociate, con una cipolletta sfatta a legare i capelli, e non si raccontavano ogni singolo dettaglio della loro vita.

Era troppo.

Le sembrava si stessero allontanando, e lei ora, aveva bisogno di qualcuno più che mai.

Con Federico per lo più incosciente non aveva saputo resistere alla tentazione, e aveva ricominciato a vomitare, ogni sera.

Aveva bisogno di un fottuto aiuto, e Fede ora non poteva darglielo.
Aveva già i suoi demoni da combattere lui, non doveva certo preoccuparsi di una debole ragazzina.

-Da quando in qua tu e la Ferro siete così amici?-Chiese Violetta storcendo il naso, in una buffa smorfia.

-Da quando l’ho sentita vomitare in bagno, per tre notti di fila, ed imprecare, e paingere, e ho notato che si è dimagrita ancora. Penso abbia bisogno di qualcuno su cui contare.

Non è cattiva, ne crudele, anzi mi sembra molto debole ultimamente-Spiegò lo spagnolo scuotendo il capo.

La Castillo accennò un sorriso.

-Ti devo parlare-Disse
-Prima io-Impose Diego.
-Tu sai che tengo a te giusto? Spero di si, perché tengo veramente molto a te. Non so cosa ho fatto, non so perché sei così distante ed incredibilmente fredda ultimamente. Non so cosa ti succede e sono preoccupato. In oltre mi manchi. No, non mi manca la mia ragazza, mi manca la mia amica Violetta.
Il problema è che se ti fossi allontanata da me per correre da Leon, cazzo sarei stato felice, ma tu..tu sembri esserti allontanata da tutti- Le confessò

-Ed è vero Diego, che mi sono allontanata da tutti, ma soprattutto da te. Fidati se ti dico che non sono io a volerlo, anche io sto male. Ma diamine mi hanno detto chi sei, cosa sei,chi è tuo padre. So tutto di te e del tuo lavoro, del tuo andare a caccia. So che sei un pericolo per quelle come me. Si, ti sto confessando di essere una strega, e sai è difficile dirlo così, ad alta voce, ma è vero,è ciò che sono. A sai non ho paura stando davanti a te, ora. Perché lo so, che mi ami in qualche strano modo, forse fraterno forse amichevole, non certo come ami Fracesca.  Ma mi ami e non m faresti mai del male- Rispose la ragazza, gesticolando nervosa ed avvicinandosi tanto a Dominguez da poter sentire il suo respiro caldo pizzicarle sulla pelle.

Diego rimase inizialmente scioccato, il volto contratto in una strana espressione, illeggibile per Vilu.

La abbracciò dopo svariati istanti, stringendola a se tanto forte da farle male, ma non era un abbraccio traditore, di chi ti vuole accoltellare alle spalle. Era un abbraccio di quelli veri, un abbraccio pieno di tenerezza.

-Per favore fa finta di non avermi detto nulla. Io non so cosa sei, e tu fai finta di non sapere cosa sono io. Non voglio perderti-La supplicò poi.
Violetta annuì, schiacciata contro il suo petto ascoltando il ritmo costante del suo cuore.

-Va da Leon-Le ordinò staccandosi.

-Cosa?!-Esclamò Violetta, sicura di non aver capito bene.

-Va da lui, digli che lo ami, mettetevi insieme. E’ un modo carino per lasciarti e rimanere amici. Io non ti merito, perché nonostante tu sia una puttanella Vilu, sei sempre una tra le ragazze più speciali che abbia mai conosciuto. Quindi va lui. Ora-

Ripetè Domiguez, sorridendo a Violetta che rispose con un sorriso ancor più largo.


Ludmilla entrò nella sua stanza dove Natalia se ne stava con blocco in mano a disegnare. Era sempre stata brava lei, tanto che i genitori della Ferro le avevano proposto di esporre qualche quadro nelle loro  gallerie. Ma Nata non voleva dipingere, era un hobby il suo, un modo di trasmettere ciò che sentiva. A lei piaceva ballare, ancor di più cantare, ed era nettamente milgiore in entrambe le cose, che nel disegno.

-Hey-La salutò la riccia con un sorriso che da quando la conosceva non le aveva mai visto in volto.

-Hey a cosa dobbiamo quel sorriso?-Chiese la bionda, riacquistando un po’ della spensieratezza persa da anni.

Nata chinò il capo, mordendosi il labbro imbarazzata. Le guance erano colorate di un leggero rosso, rendendo più adorabile il visino tondeggiante.

Ludmi l’abbracciò.

-Penso di aver preso una cotta per  qualcuno-Bisbigliò con vergogna la spagnola.
-Posso indovinare? Maximiliano giusto-Tentò, quasi sicura, la Ferro.
Natalia annuì.
-Non so. In realtà io e lui siamo amici…ma è così carino. Quando parla non posso fare a meno di scrutarlo e senti il cuore accelerare, ogni volta che mi abbraccia o semplicemente mi sfiora. E’ così bello, sentirsi felici, innamorati. Ora ti capisco, perché da quando stai con Fede irradi quella luce assurda che non ti ho mai visto negli occhi-

LUdmilla accennò un sorriso di circostanza. Avrebbe voluto dirle la verità. Che bene lei, non ci stava affatto. Che aveva ricominciato a vomitare, che Federico era un drogato. Che la sua vita stava andando a rotoli e la gioia a farsi fottere.

Avrebbe voluto, si, ma perché rovinare un momento  tanto belle a qualcuno che ha avuto una vita tanto difficile come Nata?

Così la lasciò parlare, annuendo, consigliandola, sorridendole di sorrisi per lo più falsi.

Leon se ne stava seduto, al capezzale di Federico.

S’agitava nel sonno, gridando, sudando, respirando affannosamente.

La febbre non scendeva e Vargas non sapeva più che fare. Avrebbe voluto aiutarlo, ma la situazione sembrava solo peggiorare.

Posò un panno inzuppato d’acqua fredda sulla fronte bollente dell’amico, scostando qualche ciocca di capelli dal volto teso.

Aveva paura Leon, tanta. Paura inspiegabile di perderlo, paura che potesse morire, di febbre, d’astinenza. Morire per colpa sua, per un cambiamento che Fede voleva fare per lui, per Ludmilla. Un cambiamento che, a dir la verità il ragazzo con gli occhi verdi non era più sicuro di volere.

Angolo Autrice.
Amatemi! Sono tornata da nemmeno due giorni ed ecco già il capitolo.
Come avrete notato, o almeno a me sembra così, è un po diverso dagli altri.
mi sono concentrata sulla questione magica, quindi finalmente Vilu e Lud scoprono i loro poteri. Violetta ne parla a Diego il quale fingerà però di non sapere nulla e nel fra tempo la spinage verso Leon, Leon che è preoccupato per un Federico febrile.
Nel fra tempo Ldumilla si rivvicina a nata la quale confessa di avere una cotta per Maxi.
Ludmilla nel fra tempo ricomincia a vomitare, e Diego la scopre, perciò le inizia ad essere amico.
Come avrete notato qui c'è l assenza della Diecesca e della Marcesca, diciamo che essendo loro in ogni capitolo ho deciso di metterli da parte ma tanquilli torneranno nel prossimo.
POi...so che a voi non frega una ceppa ma vorrei chiedervi un consigilio. allora io amo la batteria, da sempre ho provato questa attrazione formidabile per lo strumento, e ora vorrei mettemri a studiarla ed imparare a suonarla ma non avendo esperienza non so se mi converrà spendere soldi per qualche cosa in cui magari poteri fare pure pena. Da una parte però è qualche mese che non riesco a reprimere la voglia incredibile di mettermi una bandana in fronte, sedermi davanti una betteria (magari elettronica e non acustica visto che abito in un condominio) prendere le bacchette e trasformamri nella versione femminile di Ashton Irwin dei 5 secondo of summer. Voi che mi consigliate?
Baci

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Capitolo 10
*** Like Venus and Mars, like different stars ***


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Capitolo 9

Diego era stanco, di tutto. Stanco di se stesso, della magia, della sua famiglia, stanco di essere un bastardo, stanco di Marco, di Francesca, dell’amore, dell’odio, dei sentimenti in generale, che, diamine, lo rendevano il debole di cui suo padre aveva riso per anni e anni.

Avrebbe voluto tornare ad essere indifferente, come prima che incontrasse Fran. Ma ormai lei aveva riportato i colori nella sua grigia vita, come un arcobaleno, per poi coprirlo di nuvole nere e tempestose, più buie e scure dell’indifferenza che gli stava corrodendo l’anima.

Era stanco, Diego, di rimanere passivo, di accettare le storia dell’italiana con il suo compagno di stanza, di accettarla pur sapendo che lei amava anche lui, pur non avendo mai ricevuto una possibilità, di accettarla nonostante dentro stesse praticamente bruciando vivo.

Per questo, il giorno dopo la sua chiacchierata con Violetta, decise che non solo la ragazza doveva avvicinarsi all’amato, ma anche lui. Doveva mettersi in gioco, per davvero questa volta, senza maniere gentili, inutili e dolorose. Doveva farle comprendere ciò che provava, noncurante dei rischi o dell’ennesimo rifiuto.

Entrò di soppiatto della camera di Francesca, sbattendo violentemente la porta.

Lei si voltò, un espressione leggermente intimorita a dipingerle la faccia, sostituita poi dalla curiosità.

“Cosa vuoi?” Avrebbe voluto domandare allo spagnolo, ma non ne ebbe il tempo, che lui s’avventò su di lei come una belva sulla preda, spingendola contro il muro, bloccandola contro la parete fredda a pochi millimetri di distanza dal suo volto.

Avrebbe voluto gridare, Francesca, ma non di paura, di rimorso, perché sentiva dentro di se, che in una situazione del genere avrebbe perso il controllo della sua mente. Diego nonostante tutto rimaneva il suo desiderio proibito, rimaneva una specie di alcol, qualcosa dalla quale stai lontano perché sai che fa male, ma che comunque vorresti provare, una volta, e della quale, dopo averlo provato, diventi dipendente.

Aveva paura Francesca, di diventare dipendente dalla labbra di Dominguez, di deludere Marco, di farlo soffrire, di avere ancora dubbi, di essere ancora divisa, di diventare un’alcolista, come Luca.

Ma ogni cosa, ogni pensiero sconnesso, ogni idea, ogni tentativo di ribellione cessò, quando venne a contatto con l’alcol, con le labbra di Diego. Il mondo sparì in quella frazione di secondo. E c’erano solo loro due.

E Diego la baciava, Diego l’amava,e lei non riusciva a respingerlo. Non voleva.

Domiguez posò le labbra sulle sue in bacio a stampo, dal quale si staccò immediatamente, per avere la sicurezza che non sarebbe stato respinto.
La guardò, con occhi che brillavano d’emozione, con il cuore che palpitava nel petto, le carezzò il volto con mano tremante, ed infine, con un gesto decisamente meno violento del precedente posò nuovamente le labbra sulle sue.

Le loro lingue si muovevano in sincronia, quasi ballassero, gli occhi chiusi, come quando si sogna, perché quello era un sogno che si stava realizzando.

Le mani della Comello che carezzavano il petto di lui, che si insinuavano sotto la maglia,  che salivano il torace, che gli prendevano i fianchi e lo avvicinavano più a se, come a colmare un inesistente distanza, era tutto ciò che Domiguez percepiva.

Le labbra di lui onnipresenti sul collo, sul volto, sul naso, sui capelli di lei.
Ogni parte dei loro corpi fremeva, ogni parte dei loro corpi amava.
Si staccarono dopo quella che era sembrata un eternità.

-Dovevi darla anche a me, una possibilità-Sussurrò Diego, la voce più roca del solito, il sorriso più vero, gli occhi un po’ meno spenti.

-We are like fire and rain, you can drive me insane, but I cant stay mad at you for anything, we are like Venus and Mars, we are like different stars, but you are the harmony to every song I sing, and I wouldn’t change a thing-  Continuò, intonando una canzone che sapeva tanto di loro, di lui, di ciò che sentiva.

Francesca non lo udì, troppo presa ad osservarlo nella sua quasi surreale bellezza, troppo scossa, troppo felice, sorridendo con le labbra che bruciavano.

Posò le mani sul collo di lui, carezzando i capelli alla base del capo, passando poi al viso, alla pelle ancora ruvida per quell’accenno di barba che spesso portava,  che molti avrebbero considerato fastidioso, ma che  per l’italiana  lo faceva sembrare più uomo, più maturo, più spettacolare, più perfettamente imperfetto di quanto già non fosse. Gli regalò un altro bacio a stampo, dolce e delicato, con  spontaneità che della Comello mai aveva fatto parte.

-Ti amo- Bisbigliò Domiguez scostando i capelli dal volto di Fran.

Glielo aveva detta altre volte, quella frase, quelle due parole, ma ora, ora sembravano quasi più vere, quasi più importanti, quasi più incise nel cuore di quanto non lo fossero già.

Ciò che sussurrò dopo la ragazza fu però qualcosa di ancor più sconvolgente, ma altrettanto vero.

-Ti amo- Rispose.

A Diego parve incredibile come due parole potessero valere più di mille baci, di cento lotte, di migliaia di gesti. Due semplici parole e la vita può cambiare, il grigio scomparire, il nero dileguarsi, i colori e la luce tornare a regnare.

Due parole erano tutto ciò che serviva allo spagnolo per incurvare le labbra in un sorriso più vero che mai, di una felicità talmente assoluta da sembrare irreale, di una gioia mai provata.

Quella di sentirsi amato, per una volta in vita sua.



E non potevano sapere che mentre il riso dipingeva i loro giovani visi, un paio d’occhi scuri l’osservavano, e si colmavano di lacrime, di delusione, di odio, e l’amore e la dolcezza andavano a farsi fottere.

Avrebbe voluto reprimerlo, quel grido di frustrazione, Marco, ma non riuscì.

E gridò, liberando tutta la rabbia che provava, tutto il dolore ed il senso d’abbandono che lo divoravano.

Si domandava il perché, perché non le fosse bastato, cosa avesse lui in meno di Dominguez.

Si domandava perché, nonostante fosse sicuro che la risposta non la avesse nemmeno la sua fidanzata.

Perché un motivo non c’era.

Si era semplicemente ritrovato incastrato in una situazione più grande di lui, in un cuore che diviso lo sarebbe sempre stato, che mai sarebbe appartenuto del tutto a lui o del tutto a Diego.

Si voltarono, l’italiana a lo spagnolo, e i loro volti cedettero, e la sorpresa si fece largo in loro, e la tristezza li investì.

Francesca scansò Dominguez con un gesto rapido, eppure talmente delicato da sembrare uno “scusa,  scusa se ti lascio qui per correre dietro al mio ragazzo , ma amo lui tanto quanto amo te”.

Era un gesto che sapeva di rimorso.

Ponce de Leon la udì, singhiozzare, gridare il suo nome, correre con le sue ballerine rosse per cercare di fermarlo, quasi inciampando, seguendolo nel cortile della loro scuola, dove si erano baciati per la prima volta, dove erano stati felici per la prima volta.

La ragazza gli prese un polso e lo fece voltare.

Aveva il trucco colato, e le lacrime nere che scendevano lungo le guance.

E questo non andava assolutamente bene, perché cazzo, avrebbe dovuto essere lui, a piangere, e un po’ si sentiva come se stesse per farlo, ma comunque gliele asciugò con il pollice,  le lacrime, in un gesto dolce dei suoi, perchè infondo non riusciva ad odiarla, non poteva, perché non era colpa sua, ne tanto meno di Dominguez, era colpa del cuore troppo grande e troppo colmo d’amore di Francesca, un cuore che lei non poteva controllare, e vederla piangere faceva male nonostante tutto.

-Mi dispiace- Singhiozzò Comello. “Anche a me” voleva dirle il giovane, ma la voce non usciva, la gola era secca, gli occhi pungevano, il corpo fremeva.

-Non devi dispiacerti-Rispose  infine, senza rendersi conto che le lacrime solcavano ormai anche le sue gote.

E cazzo, stava malissimo, e si sentiva morire, e avrebbe voluto bestemmiare contro un Dio che forse manco esisteva, e prendere a pugni Dominguez, e mandare a fanculo Francesca, a puttane i suoi genitori fissati con la carriera, e fuggire lontano.

Ma Marco era troppo Marco per farlo veramente, quindi, nonostante volesse sfogarsi, sussurrava una mezza verità alla sua ex-forse-ragazza.

-Ti amo ma..-Bisbigliò la mora bloccandosi a metà frase, interrotta dal pianto, dal senso di nausea che le saliva alla gola. Ere difficile pronunciare quelle parole
-Lo so, che mi ami..ma ami anche lui-Continuò il giovane con voce tremante, sforzandosi però di mantenere un tono saldo. Dirlo era così fottutamente odioso e, Dio, faceva più male del tradimento in se, delle mani di Diego sul corpo di Francesca, delle loro labbra unite, più male delle certezze che Marco, seriamente, aveva avuto.

-Mi dispiace-Ripetè l’italiana. E si, avrebbe voluto urlarle contro che, no, non serviva a nulla, dispiacersi. Che le cose non cambiavano.
-Non importa-Replicò Marco tirando su con il naso, per fermare il pianto isterico che sentiva si sarebbe scatenato. Era una bugia, importava, eccome.
-Noi…-Non sapeva che dire Francesca, quindi non terminò, semplicemente si buttò tra le braccia del ragazzo, chiudendo gli occhi e bagnando di lacrime la sua maglia, stringendo le braccia attorno alla vita sottile  e abbracciandolo con quanta più forza possibile.

Non voleva se ne andasse.

E Cristo, Marco avrebbe voluto mandarla via invece, spingerla con tutta la sua forza, avrebbe voluto strapparle il cuore dal petto e calpestarlo, per farle sapere come ci si sentiva, e avrebbe voluto baciarla, per ridarle una sicurezza che ormai nemmeno il  migliore dei baci le avrebbe ridato, e avrebbe voluto non continuare ad amarla, nonostante tutto.

-Non c’è più un noi Fran, non c’è mai stato. E ok, va bene così. Mettiti l’anima in pace, pensaci, ragiona, fa ciò che vuoi. Io mi tiro via, da questo triangolo che fa male a tutti. Non voglio essere una pedina del tuo gioco, non voglio essere uno dei due, non voglio essere l’altro- Le confessò, provando ad usare un tono duro, ma che, a dire la verità sembrava più quello di chi ha appena subito un lutto, ed in effetti Marco si sentiva un po’ così, come se fosse morta una parte di se, o forse era veramente morto il suo cuore, di dolore, o forse era lui che stava per morire.

La Comello lo guardò, staccandosi. Gli occhi lucidi, le labbra rosse, il rossetto
sbavato, il mascara colato, il volto a poca distanza, e, cazzo , era bella anche così, e si, la voglia di baciarla era ancora tanta.

La spinse via, nonostante tutto con delicatezza e rientrò in casa. Si chiuse la porta della sua camera alle spalle. Non gli importava se Diego doveva rientrare, sarebbe rimasto lì in eterno, lui, da solo.




A Camilla faceva strano, o forse più che strano schifo, udire i pensieri di Leon e Violetta, che se ne stavano abbracciati sul divano, con il capo di lei sulla spalla di lui.

Le cose sdolcinate le aveva sempre odiate Cami, anche prima di diventare cattiva, perché la mettevano a disagio, e le toglievano le parole di bocca, e lei non sopportava rimanere senza parole. Perciò odiava il romanticismo, e l’amore, e alla fine ogni genere di sentimento le dava il voltastomaco, e Dio, in momenti come quello che stava vivendo avrebbe voluto avere un interruttore per spegnere i suoi poteri e non essere costretta a sentire i pensieri altrui.

Quelli di Violetta, poi, erano i più fastidiosi, perché erano come un film, bloccato sulla stessa scena, come un disco rotto, che, la Torres, era stanca di udire e vedere.

Nella stanza verde di Leon, Federico tremava, e Vargas si preoccupava, e lo curava, e gli sussurrava che gli voleva bene, e che gli dispiaceva, e così andava avanti da giorni ormai. In quel momento la Castillo se ne stava sull’uscio della porta, con il cuore in gola, ed il respiro mozzato.

Osservò il ragazzo dagli occhi verdi per minuti interi prima che lui s’accorgesse della sua presenza.

Si voltò, e le regalò un sorriso, che, a dirla tutta, di felice aveva ben poco.

-Ciao-La salutò.

-Devo parlarti-Esclamò diretta la ragazza, giocherellando con le mani nervosamente.
Ludmilla che era seduta accanto al giovane annuì, come ad accordargli il permesso d’andare, assicurandogli che sarebbe rimasta lei, con l’italiano.

Così uscirono, nel cortile della scuola. Violetta aveva la pelle d'oca, perchè nonostante fossero i primi di novembre indossava ancora gli shorts, come quelli che indossava il pirmo giorno che Leon la vide, ed era uguale a quel giorno in tutto e per tutto la giovane, se non fosse stato per le punte sbiadite, che scandivano il passare del tempo, velcoe eppure lento.

-Non me ne frega più un cavolo, del perché te ne sei andato intendo,quella sera, e del perché hai quegli incubi e del perché sussulti ad ogni tocco femminile e del perché hai gli occhi così dannatamente belli eppure estremamente spenti. So solo che non amo Diego, come lui non ama me, che eravamo una specie di scopa-amici e che, cazzo, si, mi sono messa con lui solo per vendicarmi di te, perché tu mi piaci Leon, forse troppo, e mi manda in bestia la distanza che c’è tra noi, e sento che se ci dessimo una possibilità staremo tutti molto meglio..quindi si, tu mi piaci Vargas, e si, te lo domando io. Vuoi essere il mio ragazzo? -Confessò la ragazza dai capelli blu, tutto d’un fiato.

Leon aprì la bocca in segno di shock, perché, no, non se l’aspettava, non da lei, non così, non in quel momento.
Eppure era perfetto, quel momento, quel posto, il clima, lei, lui, i loro cuori che battevano in sincronia.

Violetta gli si avvicinò gli occhi socchiusi, il cuore palpitante e Leon capì che quello era il suo momento, per sconfiggere il passato, sua madre, le sue paure, i suoi demoni.

E così, nonostante dentro si stesse cagando in mano dalla paura, le prese la nuca e la face avvicinare a se, e poi finalmente quel contatto tanto desiderato.

La baciò.

Non fu un bacio lungo di quelli da film, perché Leon tremava e non certo d’emozione, e durò poco, veramente poco, e sembrava quasi che lui stesse combattendo con un mostro più che baciare la sua ragazza, ma forse, infondo era così. Ma fu perfetto, comunque.

Per Camilla i pensieri di Leon erano invece più deprimenti ed incasinati, e le facevano venire un gran mal di testa, perché lui pensava veramente troppo, in poco tempo.

In un secondo la sua mente spaziava da Federico, la sua crisi d’astinenza, la paura di perderlo e il rammarico per non essersi accorto prima della sua dipendenza, all’amicizia che stava nascendo con Ludmilla, al bacio con Violetta, a quanto l’amasse lui, Violetta, sul serio, a sua madre, all’odore di fumo che aveva sulla pelle, e le mani callose di chi lavorava, nelle sue intimità, e la sua voce irritante che sussurrava parole perverse, e, Dio, la Torres non sopportava di più, di ascoltare i suoi pensieri, perché erano veramente tristi, e in un certo senso la toccavano, la scalfivano anche se minimamente.




Ludmilla entrò nel salone, una mano tra i boccoli d’oro, l’aria stanca, afflitta e
preoccupata, le occhiaie ben visibili e le labbra incurvate in un espressione più triste del solito, che a verderla quasi faceva star male la Castillo.

-Non le supererà mai così…Dobbiamo lasciare che prende una dose e..trovare un modo, per farlo smettere…insomma non così, è completamente a pezzi e lo sono anche io-Disse, sedendosi sul divano accanto alla coppia, che la scrutava.

-Vuoi dargli della morfina?-Chiese Violetta incredula prendendo le mani candide della bionda per confortarla.
-Si, se Leon è d’accordo-Rispose, voltandosi verso il ragazzo, che annuì, accennando un piccolo sorriso, contento del fatto che Ludmilla l’avesse interpellato.

Era bello, sentire che per lei importava del suo parere, che sapeva che Federico era suo fratello, non di sangue certo, ma pur sempre un fratello, e che come tale anche lui doveva accettare quello che avevano deciso.

Si diressero verso la camera dalle mura verdi, dove Federico se ne stava sdraiato a letto, il volto pallido e smunto, grondante di sudore eppure tramante di brividi.

Il giovane sorrise, anche se quello che aveva donato loro non risultava essere nemmeno l’ombra di quel leggendario sorriso capace di rallegrare la giornata,  successivamente sgranò gli occhi nel vedere  cosa tenesse tra le mani leggermente tremanti, la sua ragazza.

Stringeva forte  una scatola di morfina con tanta intensità piegare il cartone.
Avrebbe dovuto dargliela, lo sapeva bene Ludmilla, ma improvvisamente le mani non volevano lasciare la scatola.

Eppure lo fece, gliela mise con cura tra le mani calde, carezzandogli il dorso della mano, e regalndo un sorriso di incoraggiamento, per rassicurarlo che quella non era una prova, era solo una cura alla malattia, ma non certo alla dipendenza.

Federico s’alzò dal letto, incerto, debole, e traballante e si diresse in bagno, come se avesse avuto bisogno di privacy per ingerire una pasticca, e forse era veramente così, forse non voleva che lo vedessero, perciò lo lasciarono fare, con il dobbio di aver sbagliato, a dargli quella roba.

Dopo poco un tonfo sordo, e poi silenzio.


Allora corsero tutti, veloci, impauriti.



Leon aprì la porta a calci, perché sinceramente non gliene fregava un cazzo di doverla ripagare in quel momento, perché, ciò che vide fu così  incredibilmente atroce ed assolutamente inaspettato, che non s’impietrì e non riuscì a muovere un passo in più, perché, Dio,era troppo sconvolto.


E si sentiva ghiacciato Vargas, perché, no, non poteva essere  vero.

Ma c’era il suo corpo a terra, ed era già immobile, ed era già morto. E c’era il pacchetto che gli avevano dato, ancora stretto tra le mani, completamente vuoto.
E Leon lo sapeva, che non era la prima  volta che Federico andava in overdose, ma adesso non c’era nulla da fare, perché aveva ancora gli occhi spalancati il suo amico, a fissare un vuoto eterno.

Si chiese se avesse sofferto, mentre un lacrima gli rigava una guancia, e i singhiozzi scuotevano il corpo, e la consapevolezza che la colpa era anche sua, che lui aveva ucciso suo fratello, si insinuava nella sua mente e lo trafiggeva, cento, mille volte, di un dolore assoluto.


Cadde a terra con un tonfo sordo,  anche lui, scosso dai singhiozzi, e non gliene
fregava nulla di nessuno, e non sentiva nulla, e non vedeva altro che quel corpo, morto, pallido, freddo.



Ludmilla gridò quando lo vide a terra, e gli si buttò accanto, e lo scosse, lo chiamò, ma lui era già inerme, freddo, vuoto.

Continuò a gridare, e piangere.

Lo baciò, sulla fronte, sul viso, in bocca, e gli sussurrò qualche ti amo, come se lui potesse sentirla, e decidere di tornare indietro. Ma la Ferro, infondo, lo sapeva che i morti sono morti, non sentono, ne vedono, e non possono tornare da noi, per quanto disperatamente possiamo desiderarlo.


La bionda si sentiva un po’ come se le avessero tolto l’ossigeno, e il cuore le fosse stato trappato dal petto, e il cervello avesse smesso di ragionare, mentre stringeva a se il suo ragazzo, morto.


Amava gli occhi di Pasquarelli, li aveva sempre amati, nonostante non lo sapesse, li aveva amati dal primo istante,quegli occhi, che nonostante non fossero chiari, erano tutti particolari, perché dentro ci si poteva annegare, per quanto erano profondi, e potevi capire ogni sentimento da quegli occhi, e Dio, erano una di quelle cose tanto belle da  far schifo. Ludmilla lo capì solo allora, osservando gli occhi di Federico puntati nell’indefinito, che ciò che li rendeva speciali non erano loro stessi, ma lo sguardo che riuscivano a lanciare, e senza quello sguardo, senza quella vita, quelli non erano altro che anonimi occhi di un morto.

E faceva male pensare ciò, perché la ragazza non osservava bene quegli occhi da più di una settimana, non ci si perdeva dentro da altrettanto tempo, ed era veramente troppo, e l’idea che si sarebbe prolungato all’infinito le faceva malissimo.




Violetta s’avvicinò quasi timidamente, con le mani strette sul lembo della gonna corta, e il trucco colato.

Piangeva, anche lei, ma, nonostante lo smarrimento iniziale, sapeva come aggiustare tutto, e benedì quella santa di Cordelia di essere arrivata la settimana precedente per rivelarle i suoi poteri, con i quali poteva fare qualcosa di assolutamente giusto, e buono, qualche cosa che avrebbe fatto stare bene se stessa, Leon,  Ludmilla e Federico, perché lei lo avrebbe riportato in vita quel ragazzo.
 


Maxi diceva sempre che il parco era il loro posto, e per Nata non c’era cosa migliore che avere un posto suo e del ragazzo, perché un nostro, comprendeva un noi, ed un noi le dava tante speranze.

Maxi le parlava, ma Natalia non riusciva a comprenderlo, troppo presa a ascoltare il suono melodioso della sua voce, calda, e la sensazione delle sue mani delicate giocherellare con i ricci.

-Devo farti una domanda seria-Le disse il ragazzo, destandola dalla sua trans.

La Navarro annuì-Dimmi-

-Perché ti tagliavi? Cioè lo so che forse non dovrei chiedertelo solo..io ti ho raccontato di me e..- Balbettò in imbarazzo Ponte.

-Tranquillo sono pronta a raccontarlo, ormai è una cosa vecchia quella-Rispose la spagnola sorridendo.

Giocò nervosamente con il lembo della maglietta per calmarsi, poi iniziò a parlare.

-Sono sempre stata estremamente timida, e debole. Mi prendevano tutti in giro, sempre, e la mia unica ancora di salvataggio era mio padre, lui era il idolo, il mio eroe, l’unico che pensavo non mi avrebbe mai tradita.
Non avevamo molti soldi, e perciò non molte cose firmate, di quelle che se non hai sei una sfigata, ma a me stava bene così, perché finchè c’era il mio papà andava tutto ok. Poi però, un giorno, mia madre scoprì che aveva una relazione con una ragazzina, di 21 o 22 anni, e che l’aveva messa incinta. Lui se ne andò, senza nemmeno chiedermi di portarmi con se, semplicemente sparì di punto in bianco, limitandosi a mandarci dei soldi di tanto in tanto. Smisi di credere nella bontà, e nel genere umano in generale, divenni pessimista, e depressa, e iniziai a tagliarmi. Smisi quando un giorno mi tagliai per sbaglio una vena e rischiai di morire, in ospedale conobbi Ludmilla e mi ricredetti sull’uomo. Mi ha salvata- Raccontò la ragazza, senza accorgersi di aver cominciato a piangere.

Maximiliano la strinse a se.

-Ci sono io. Sempre-Le sussurrò. E a Nata andava bene così, perché Maxi la abbracciava, e la prometteva un sempre, e stava bene, ora che c’era lui.

-Ti amo-Bisbigliò di getto, senza pensare.

-Che hai detto?-Chiese il rapper, che non aveva ben udito.

-Nulla- S’affrettò a rispondere la riccia, scuotendo il capo.

Angolo autrice
Inizio con lo scusarmi per il linguaggio un po' colorito, in alcune parti, di questo capitolo, non so ma lo trovavo necessario.
Inizio con l'implorare perdono alle fan della marcesca, scusate, ma vi prego non smettete di seguirmi per un bacio, perchjè come dice anche Marco, fracesca ama entrambi.
Diego bacia fran, che risponde, ma Marco li vede, e si incavola non poco, nonostante ciò tiene la rabbia dentro e qui bhe forse ho esagerato con le parolaccie, ma bho, secondome ci stavano, io, quando è successo a me ne ho sparate il doppio Anyway, Federico muore, e,Dio, sto ancora piangendo per questo, per fortuna c'è Violetta, che lo potrà salvare
. Maxi e Nata sono bellissimi li amo, ma chissa che Maxi non abbia invece fatto finta di non sentire? Chi lo sa!*__________* e anche leon e vilu. sono stupendi, chissa se leon le dirà di sua madre o no.
VI prometto che nel òrossimo capitolo metterò i Pangie, e scusatemi sequesto di Capitolo è un po' più breva, ma sono successe molte cose e aggiungerne altre in questo capitlo mi sembrava solo un inutile ammasso. Ora vi saluto, ma prima spero abbiate notato la nuova introduzione e il nuovo banner.Che ne pensate?.
Baci a tutti.

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Capitolo 11
*** avviso parte 2 ***


Ciao a tutti voi che leggete witches Hunter.
So che sono impredonabile, per mettere di nuovo un avviso, non odiatemi.
I miei mi hanno organizzato una vacanza a sorpresa , partirò domani e starò via circa una settimana, quindi non potrò aggiornare ed il capitolo è in una fase troppo arretrata a mal scritta per essere publicato, pur essendo completo.
Scusatemi. Baci
 

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Capitolo 12
*** YOU AREN'T MY SON ***


Capitolo 10

Diego Dominguez camminava per la strada, con le mani nelle tasche del giubbotto grigio per proteggerle dal freddo invernale, che sembrava maggiore quel giorno, e lo sguardo fisso davanti a se. Era assente, Diego, incredibilmente pensieroso, cupo.

Gruppetti di ragazzine, e donne mature, lo guardavano, le più timide con la coda dell’occhio, le altre si voltavano totalmente sperando di ricevere un occhiata da quel bel giovane, di essere notate da lui.

Perché in quel momento sembrava veramente uno di quei protagonisti dei film romantici, o delle saghe di libri, misterioso ed incredibilmente triste. Aveva l’aria di chi ha bisogno d’amore, per sorridere, ed ogni individuo di sesso femminile lo incrociasse per la strada voleva essere la causa della sua felicità, per pena o per fantasie adolescenziali, o forse per l’incredibile voglia di una storia epica, fiabesca, che tutti noi, infondo, abbiamo

Ma Diego, se ci fosse stata , non avrebbe notato nemmeno Francesca, la causa di ogni suo bene, e della maggior parte delle cose pessime che gli accadevano da quando l’aveva conosciuta.


Ora la sua mente era proiettata  sul mondo di tenebre che aveva cercato di ripudiare negli ultimi mesi, sulle famiglia che odiava, sulla missione che non aveva concluso, sulla gloria che non voleva più e sul padre che continuava a desiderare così intensamente.

Era impegnata nel mondo dei Witches Hunter.

Perché suo padre lo aveva chiamato, senza un motivo, con voce allegra, forse affettuosa, una voce che non s’addiceva affatto a lui, chiedendogli di vedersi.

Gli mancava il suo Dieguito, aveva detto.

Diego ci aveva creduto, o almeno aveva finto di crederci, dentro di se sapeva che c’era un secondo fine, ne era sicuro. Conosceva sua padre meglio di quanto conoscesse se stesso.

L’unica ipostesi che riusciva a formulare, e che avesse un minimo di senso, era che Juan avesse brutte notizie per lui, perché quelle belle non le aveva mai festeggiate personalmente con Diego, che avrebbero peggiorato la sua vita, rendendola ancora più inutile.

Più inutile, più terribile, di quanto non lo fosse  dal bacio con l’italiana.

Il suo sogno.

Il suo incubo peggiore.

Il suo peccato.

La sua colpa.

Il suo tradimento.

Il motivo dell’improvviso allontanamento della ragazza.

La  Comello non faceva altro che incolparlo del dolore suo, e di Marco, come se lei non avesse partecipato a quel bacio, che invece aveva risposto con trasporto inaspettato.

Diego, se la ricordava bene, la passione di Francesca, e le mani piccole sul suo corpo, che lo avvicinavano a se, e le labbra che giocavano con le sue, e le loro lingue che si stuzzicavano, e l’odore di lei su i lui, e il cuore che batteva, e il respiro accelerato, e quel suo sorriso, che più vero non glielo aveva mai visto, che più bello non c’era mai stato, che più spontaneo non avrebbe potuto essere.

Non parlava più con lui,  non cercava incontrare i suoi occhi, e se lo faceva rivolgeva una sguardo duro, e pieno d’astio, forse odio, derivato dall’amore, certo, ma pur sempre un odio, che lo spagnolo sentiva di non meritare.
Perché non era certo colpa sua se si erano baciati, se Ponce de Leon li aveva visti, e se Francesca voleva entrambi.

Era colpa del destino, oppure di un Cupido alquanto stronzo che amava veder soffrire la gente.  

Marco da parte sua si era chiuso in camera loro, e ne usciva solo per la scuola, costringendo Diego a dormire in salone, dove riceveva le occhiate infuriate di tutti i suoi coinquilini, e la depressione lo divorava dentro.

Però lui era diverso dal sui compagno di stanza, lui non faceva pesare la cosa a nessuno, lui la nascondeva la tristezza, e solo se lo guardavi negli occhi, in quei suoi occhi così belli, e particolari, e puri, che non riuscivano a nascondere i suoi turbamenti, ti accorgevi che stava male. Veramente.

Ma Francesca era accecata dall’odio, e dall’amore, e Violetta troppo impegnata con Leon, e Leon troppo appiccicato a Federico, e Federico troppo impegnato con Ludmilla e Ludmilla troppo innamorata di Federico, e Nata troppo timida e Maxi troppo felice, e Camilla troppo, stranamente, amica di Marco, e Marco troppo egoista.

E nessuno riusciva ad accorgersi di niente, di lui.

E rimaneva solo, di notte, con quella coperta addosso, gli occhi chiusi per trattenere le lacrime, e gli incubi sempre presenti, e la solitudine e divorarlo da dentro, ed il senso di vuoto a consumarlo, e l’incredibile voglia di scappare via, da tutto e tutti.
 
Non sapeva come si fosse ridotto così,Diego, lui che fino a qualche mese  prima era così duro, e forte, ed incredibilmente menefreghista.

Tutta colpa di una ragazza, che ora, dopo avergli spezzato il cuore innumerevoli volte, averlo illuso, poi baciato, e poi odiato, aveva smesso di considerarlo per riacquistare la fiducia del suo ex, che, per tutti, era l’unica vittima di quella assurda situazione che sembrava essere destinata a finire male.

Si fermò ed alzò il capo.

Osservò con gli occhi verdi socchiusi l’enorme palazzo a vetrate, che sembrava contenere uffici, e nessuno avrebbe immaginato essere sede di una setta.

Il ragazzo tremava, impaurito di riaprire il capitolo della sua vita che aveva involontariamente chiuso, me che lo rendeva sicuramente più felice della sua nuova vita, allo Studio. Perché  nella setta le donne lo amavano, gli amici, seppur finti, lo facevano svagare, ed il suo cognome gli dava una certa importanza ,e nonostante non fosse altro che l’ombra di suo padre, aveva ogni cosa desiderasse, a parte un rispetto vero, e non dovuto solo dalla minaccia di Juan Dominguez.

Si fece coraggio, e deglutendo rumorosamente, entrò.
 Nell’ atrio le guardie, riconoscendolo, si lanciarono uno sguardo sorpreso, poi, lo fecero passare senza accennare un saluto o altro.
Entrò nell’ascensore affollato, dove le occhiate che riceveva lo mettevano a disagio, forse intimorivano, cosa che prima non era mai accaduta.
 
Quando finalmente raggiunse il decimo piano uscì, e già i bisbigli degli impiegati si fecero più forti, meno impauriti, più discussivi.

Bussò alla porta in mogano dell’ ufficio di suo padre.
-Avanti- La voce di Juan Dominguez era roca, e fredda, che quasi non sembrava umana.
Il giovane Dominguez aprì la porta, cercando di mettere da parte i timori ed i sentimenti e mostrarsi lo stesso egocentrico, spavaldo Diego di sempre.

L’ufficio di Juan era esattamente come il figlio lo ricordava. Le pareti bianche abbellite da foto dell’uomo, quando era ancora giovane e vigoroso, assieme a sua moglie Adriana, anch’essa bella, giovane, dai capelli biondi ed i lucenti occhi verdi, identici a quelli di Diego,  morta  quando il giovane era ancora bambino, e con il figlio prediletto Rodrigo, che mai aveva conosciuto, perché ucciso all’età di 15 anni in uno scontro tra sette, quando Diego non era altro che un neonato.

Era perfetto Rodrigo, con i capelli biondi come quelli di Juan, un tempo, i lineamenti delicati della madre, gli occhi azzurri del nonno ed il temperamento che era sempre mancato a Diego, quello di un vero Dominguez.

Si guardò attorno, e si sentì schiacciare dalla tristezza nel notare ancora una volta, come non ci fosse traccia di lui nell’ufficio. Come  non valesse ancora nulla per l’ uomo che amava ed odiava tanto contemporaneamente.
-Cosa c’è papà?-Chiese finalmente il ragazzo, sedendosi sulla poltrona in pelle.
-Raccontami della tua missione mio caro- Disse Juan, voltandosi verso il figlio, con un tono più affettuoso di quanto non fosse mai stato, un sigaro tra le labbra, i capelli bianchi, le rughe a segnare il volto, e gli occhi scuri ancora vispi, vivi e crudeli.
-Non c’è molto da raccontare. Non ho ancora scoperto niente-Mentì il giovane abbassando il capo e fissando le proprie mani.

-Oh Diego non essere modesto. Degli informatori mi hanno raccontato che hai scovato ben tre streghe, tutte candidate ad essere supreme tra l’altro- Esclamò con finto orgoglio l’uomo.
Diego scosse il capo-Non è vero-
-Oh figliolo so anche che hai fraternizzato con loro. Piano geniale direi, fingersi amico e poi tradirle, umiliandole oltre che uccidendole. Un piano degno di un Witches Hunter- Replicò Juan.
-Io…Ho bisogno ancora di tempo, per ucciderle intendo, qualche mese, sai vorrei si fidassero completamente di me- Cercò di temporeggiare Diego, mentre la paura prendeva il sopravvento.

-No, Diego, i tempi sono maturi ormai.  Attaccheremo quel collegio, ed uccideremo chiunque si metta in mezzo, umano o strega che sia, chiunque. Uccidere la prossima suprema potrebbe essere la chiave per la vittoria finale-Esclamò con fervore, ed un inquietante sorriso sulle labbra, il capo della setta.
-NO!-Gridò Diego impaurito. Perché non poteva uccidere i suoi amici, nonostante lo trattassero come un cane, ed ultimamente fossero il motivo della sua depressione, loro erano la cosa più vicina ad una famiglia che aveva.
-Perché no Diego? Forse perché tieni veramente a quei diavoli e a quegli insulsi ragazzini?!-Strillò irato l’uomo sbattendo i pugni sul tavolo davanti a lui, rosso in viso. E Diego capì, che sapeva tutto, dall’inizio.
-Si, si tengo a loro perché loro mi hanno dato affetto cosa che tu non hai mai fatto! Tu non puoi ucciderli, non te lo permetterò – Replicò il giovane mentre la rabbia trattenuta per  anni e la disperazione prendevano il sopravvento in lui.
-Tu non meriti il mio affetto, come non lo meritava quella puttana di tua madre! Tu non sei mio figlio, tu non sei Rodrigo, tu non sei un Domiguez, tu sei frutto di un tradimento-Sussurrò con voce piena di veleno l’uomo.-E poi tu, piccolo vermiciattolo, non potrai impedirmi nulla, tu, che nemmeno sei capace di uccidere una strega, come potresti uccidere l’uomo che t’ha cresciuto?- Continuò spegnendo il sigaro, e ridacchiando crudelmente, beffandosi di una verità che Diego conosceva fin troppo bene.

Diego aprì la bocca scioccato, gli occhi che minacciavano di rilasciare le lacrime troppo trattenute, il cervello che cercava di assimilare la notizia, che suo padre gli aveva appena dato.

Lui non era figlio di Juan.

Ed ora si spiegava tutto. Ogni singola cosa, Ogni singolo avvenimento della sua vita.
Gli abbracci non dati, le parole mai dette, gli sguardi di rimprovero, l’astio, la morte misteriosa di sua madre. Tutto.

-Hai ucciso mia madre vero?-Chiese il giovane Dominguez dopo qualche secondo, la voce tremante, spezzata dal dolore, dolore che mai credeva potesse provare, ma che era reale, così reale da sembrare finto.
-Lo meritava- Rispose freddamente il padre -Come lo meriti tu, le streghe e i tuoi amici. Hai segnato la vostra condanna a morte. Ed ora va. Non ti ucciderò qui, disarmato, e debole più che mai. Sul campo di battaglia porrò fine alla tua misera ed inutile vita-

Diego, con le lacrime ormai a solcare le guance, se ne andò senza voltarsi per paura di una attacco alle spalle.
Le gambe che sembravano più pesanti, ora, il cervello annebbiato, il cuore distrutto, totalmente.
Sentì due braccia magra sulla sua vita, il profumo di vaniglia inondarlo, una massa di capelli rossicci solleticare il suo collo.
Abbassò lo sguardo verso  la ragazza che lo abbracciava.
Era Zara Llort, giovane figlia del braccio destro di suo padre, l’unica amica che avesse
avuto per anni.
-Zara-Sussurrò incredulo Diego.
-Attaccheranno domani. Stai attento Dominguez, non morire, ho bisogno di te- Gli bisbigliò all’orecchio.
-Non lo farò. Grazie Llort- Ridacchiò, piangendo nello stesso tempo, scompigliando la chioma riccioluta della sua amica, che lo fissò con quei grandi occhioni azzurri lucidi di lacrime, e, con dolcezza, gli posò un bacio a stampo, che aspettava da anni, sulle labbra, sporcandole di rossetto rosso.
Poi scappò via, mentre Diego la fissava, sorridendo, perché lui voleva bene, veramente, a Zara.
 

Federico ascoltava la lezione di Angie, seduto sul uno dei cubi colorati della sala, con le mani al di sotto del capo, come per sostenerlo, senza prestare attenzione.
La trovava incredibilmente noiosa, quel giorno, forse a causa dell’assenza di Diego, che, seppur nessuno ci facesse molto caso, ravvivava anche le più noiose ora di teoria con le sue battutine.
Forse, e più probabilmente, a causa della stanchezza, ben visibile dalle occhiaie, della loro insegnante,  che, oltre che distrutta, aveva l’aria vagamente triste.
Il perché gli sarebbe piaciuto saperlo, e probabilmente lo avrebbe chiesto a Camilla più tardi.
Oramai c’era dentro fino al midollo in quella storia della streghe,e voleva anche sfruttarne i vantaggi.
Osservando con attenzione la sua prof,  Federico si ritrovò a pensare che forse quello fosse un periodo della tristezza mondiale, perché di felice, lui, non vedeva nessuno da giorni.
Diego, Francesca e Marco, ne erano usciti tutti e tre male da quella storia del bacio, finendo per separarsi totalmente, e procurarsi più dolore.
Violetta, nonostante la sua storia con Leon andasse a gonfie vele, si era lasciata contagiare dalla disperazione di Vargas, dovuta ai sensi di colpa per la morte del suo migliore amico.

Ludmilla, era tremendamente appiccicosa ed impaurita dall’eventualità di perdere il suo ragazzo, ancora una volta.
Nata sembrava essere stanca della sua amicizia con Maxi, e cercare di portarla ad uno stadio più alto, d’altra parte il rapper sembrava voler evitare ciò.
Camilla, invece, non era cambiata particolarmente, lei, la tristezza ce l’aveva avuta dentro dall’inizio dell’anno, ma ora, sembrava più evidente nel contorno assolutamente surreale e depresso che la circondava.
Pasquarelli sospirò pesantemente scrollando la spalla in modo da svegliare la ragazza dai lunghi boccoli d’oro che si stava lentamente addormentando su di lui.
Anche Federico avrebbe voluto dormire, ma, se doveva essere sincero, aveva una terribile paura di chiudere gli occhi. Paura di non riaprirli più.
Perché se era successo una volta poteva succedere ancora giusto?

Della sua morte, avvenuta circa una settimana prima, il ragazzo, ricordava ogni singolo istante, e forse era quella la cosa peggiore.
Non era stato un semplice chiudere gli occhi e lasciarsi andare, era stato molto di più.
Un processo lungo e allo stesso tempo troppo rapido, che non lasciava tempo per saluti e scuse, ma che permetteva di soffrire.

Ricordava la perdita lenta, eppure a detta degli altri che lo avevano trovato, estremamente veloce, dei sensi.
Ricordava la debolezza, i giramenti di testa, la sensazione tremenda dell’aria che non arriva ai polmoni, la droga nel sangue, ed il buio, un grande ed immenso vuoto in cui non c’era niente, assolutamente nulla.
Non c’era affatto un “qualcosa” dopo la morte, Federico lo sapeva per esperienza, solo un incredibile vuoto, non un paradiso, o un inferno, non un'altra vita. Il nulla.

Ma quando Ludmilla glielo chiedeva, come era stato dopo,  lui rispondeva sempre che non aveva fatto in tempo a scoprirlo, che non aveva potuto in ogni caso raggiungere l’altro mondo, perché Violetta lo aveva riportato subito in vita.
Non voleva che Ludmilla sapesse la verità, e che fosse spaventata dalla morte,e che si deprimesse più di quanto non lo fosse già.

E da una parte, anche lui, voleva credere alle sue stesse parole.

Da quando era tornato in vita si era ripromesso di viverla a pieno, di essere felice, di sfruttare ogni singolo istante per i suoi progetti, per se stesso, di smettere di perdere tempo inutile con la droga.
Ma si era ritrovato a dover fare da babysitter alla sua fidanzata, ed aiutare la ragazza del suo migliore amico a far passare i suoi assurdi sensi di colpa.
Perche Leon, Dio, non aveva nessuna colpa. Voleva solo aiutarlo.
La colpa era di Federico, che aveva esagerato con la dose, sua e di nessun’ altro.
Tanto meno non era di Ludmilla.
Ne era uscita distrutta, la Ferro, dalla sua morte.
I sensi di colpa che la schiacciavano.
La paura di perderlo.
Il ricordo del suo corpo freddo ed inerme.
Gli incubi ricorrenti.
Era questo ciò che viveva quotidianamente, nonostante l’italiano  non facesse altro che rassicurarla, ciò che aveva visto era troppo atroce per essere dimenticato.
 



Marco prese la mano di Camilla nella sua, e lei gli sorrise.
Si sentiva stupida, ad essere amica sua, ma non ci poteva fare nulla, le era entrato nel cuore Ponce de Leon.
Era cominciato tutto con qualche chiacchierata disinteressata, nei momenti in cui la Torres portava al giovane il cibo, perché lui si rifiutava di cenare con gli altri e lei era l’unica che lasciasse entrare,  lei non faceva domande e non tentava di consolarlo, e a Marco andava bene così.
E poi, senza che nessuno lo volesse, o provasse, quel rapporto così superficiale si era trasformato lentamente in un amicizia, strana, è vero, e forse falsa, forse dovuta alla solitudine di entrambi, ma pur sempre un amicizia, la prima che Camilla avesse, da anni.
Il ragazzo, forse, era riuscito a smuoverla da quel suo stato di indifferenza totale, perché le ricordava terribilmente come era lei, prima.
Dolce, innocente, buona dentro, incapace di ribellarsi.
Marco le aveva confessato tutto quello che avrebbe voluto fare,con voce sognate ad assolutamente deprimente.
La voce di chi, il coraggio per fuggire via, per allontanarsi da chiunque, per cambiare,
non ce lo avrà mai.
Anche Camilla quel coraggio non ce lo aveva, solo i poteri, glielo avevano conferito.
Ma Marco non aveva poteri, non aveva speranze, perciò a Camilla piaceva rassicurarlo, come una madre, o forse una sorella maggiore, dicendogli che sarebbero fuggiti insieme, un giorno di quelli, che gli avrebbe insegnato l’arte della stronzaggine, del menefreghismo e della sete di potere.
La verità è che ogni parola della ragazza non era altro che una bugia, perché lei non poteva scappare, perché per quanto lo volesse far credere non era così forte, ed era troppo sottomessa al consiglio magico, alla sua missione, che anche se ormai conclusa veniva ritenuta aperta, troppo smaniosa di essere eletta Suprema, per andarsene veramente.

Però, la strega, di questo, non riusciva ad accorgersene.

Così si illudeva, ed illudeva il suo amico, di sogni irrealizzabili, e speranze false, ma andava bene così, finchè si riusciva a stare un po’ meglio.
 


Pablo piangeva.

Pablo gridava e nessuno lo sentiva.

Pablo teneva in mano una scatolina, così comune alla vista, così letale per lui.

Pablo pregava.

Pablo si faceva forza, anche se di forse non ne aveva.

Pablo non riusciva a respirare.

Pablo si sentiva debole.

Pablo sussurrava parole a caso, ora.

Pablo pensava ad Angie.

Pablo chiudeva gli occhi.

Pablo moriva.

Senza un perché.

Solo stanchezza.

Solo stress.

Solo un inspiegabile e mai avuta voglia di lasciarsi andare.

Solo amore.

Solo odio.

Solo noia della vita.

Solo solitudine, credo.

Nemmeno io in realtà vi so spiegare perché lo fece, forse era tutto architettato.

Forse era destino, fato, non una scelta.

Forse se uno viveva qualcun altro doveva morire.

Anche lui con la morfina tra le mani.

Senza nessuno che giungesse immediatamente.

Che lo salvasse.

E lo scuotesse dal suo sonno eterno.

Solo.

Ange si diede la colpa, quando trovarono il suo amico, senza vita.

Perché era accaduto dopo il loro ennesimo litigio.

Il suo ennesimo rifiuto.

E questa volta non aveva accettato Pablo.

Ed era morto.

Ed era colpa sua.

Colpa di Angie.

Colpa dell’amore.
 
 


Arrivò a casa nel pomeriggio Diego.
L’aria sconvolta.
I suoi amici lo osservarono per qualche istante, poi ripresero le loro mansioni giornaliere.
-Vi devo parlare. A tutti-Proferì.

Spiegò la situazione, senza che nessuno lo interrompesse, gli occhi fissi su di lui, le espressioni sconvolte di chi non immaginava nulla di tutto ciò.

-Perché ce lo hai detto?-Chiese Ludmilla stupita.
-Non sono un mostro io, non son come loro-Rispose sorridendo a Violetta che gli stringeva la mano, con dolcezza.
-Cosa farai ora?-Sussurrò con voce roca e ammirata Marco, che non immaginava un aspetto così nobile del suo coinquilino, che ora acquistava un minimo della sua simpatia, e forse del suo rispetto.
-Combatterò-Scosse le spalle ovviamente.
-Sul serio?-Replicò impaurita Francesca, mentre l’impulso di correre da lui e abbracciarlo si faceva sempre più forte.
-Non mi importa più, di lui, della setta, della gloria. Siete la mia famiglia, combatterò, con voi-Disse Diego con decisione.

-E lo, uccideresti,Juan, se fosse necessario?-Chiese sospettosa Camilla, fissandolo negli occhi, che sembravano bruciare di una nuova energia, di un nuovo fuoco, di vendetta.
-Morirei, se fosse necessario-
E tutti lo sapevano in quella stanza, che sarebbe potuto succedere.


ANGOLO AUTRICE
hey vi sono mancata? scusate il ritardo ma scrivere il capitolo è stato un parto vero e proprio.
Allora inizio con il dire che manca poco alla fine tre capitoli, e vorrei arrivare a più di 70 recensioni in totale alla fine della storia per entrare non solo nei più popolari per più preferiti, in cui sono già con 27 preferiti, ma anche per il numero di recensioni.
Comunque parliamo del capitolo.
Diego socpre di non essere il figlio di Juan, che intanto decide di attaccare le streghe, qui rincontra una vecchia amica, che non sarevirà a nulla nella storia, solo a dare l'idea che diego abbia avuto una vita prima della nostra storia.
poi c'è Federico che riflette sulla sua morte, e Camilla che diventa amica di marco.
Infine il suicidio di Pablo, odiatemi, ma per me DOVEVA finire così, non immaginavo altro finale per lui, inoltre penso che ci sia un ordine delle cose per cui se uno vivev uno deve morire.
Infine i ragazzi si alleano per la battaglia.
Ora vi saluto.
Baci a tutti e grazie per seguirmi sempre. Vi amo, veramente

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Capitolo 13
*** Clichè ***


 

scusate il ritardo, ma ho cominciato il liceo ed è dura, veramente.
Comunque non so se il capitolo vi possa piacere, spero di si.Ci ho messo molto impegno essendo uno degli ultimi.
Ancora solo due capitoli ragazze.
Mi sto iniziando a daprimere..ma okay.
Buona lettura

Capitolo 11

Diego aveva il capo alzato, osservava, non il cielo, ma le stelle, o meglio la loro assenza, quella sera in cui erano coperte da una grande nuvola, nera e tempestosa, che irrequieta si muoveva, in balia del vento.

Osservava la luna, nascondersi dietro quella stessa nuvola.
Non c’era nessuno quella sera, ad illuminare il cortile dalla scuola, se non i lampioni qui e lì.

E Diego, se ci pensava bene, si sentiva un po’ come quella nuvola, in dovere di proteggere tutti, nonostante fosse travolto da forze maggiori, come la magia, la setta e Juan.

Ma che ci poteva fare?

Era colpa sua, quella situazione, e di  certo non poteva lavarsene le mani così.

Sentì un fruscio, il rumore della porta che sbatte, non violenta, ma leggera, sempre nel rispetto degli altri, nonostante nessuno di loro stesse dormendo.

I passi leggeri, e veloci.

La classica colonia che spesso portava e che tanto Dominguez prendeva in giro.

Non c’era bisogno che si girasse per sapere chi se ne stava in piedi dietro di lui, a scrutarlo in attesa di qualcosa, probabilmente con le guance tinte di un pallido rosa, imbarazzato, impaurito, con i  capelli scompigliati più del solito a causa dell’aria umida.

Conosceva Marco troppo bene, per non riconoscerlo.

Il suo “amico” si sedette accanto a lui, delicato come sempre, stringendo di più il giaccone  pesante al suo corpo, infreddolito dalla notte.

-Brutta serata eh?-Commentò osservando il cielo completamente nero con gli occhi socchiusi in due fessure.

Diego scosse la testa in senso di dissenso, e Ponce De Leon si trovò a pensare che nulla di ciò che diceva, amava, o interessava avrebbe coinvolto Dominguez, tranne la sua ex ragazza, ovvio.

-Non penso sia brutta, devi solo vederla dalla giusta prospettiva- Spiegò lo spagnolo, accennando un sorriso furbo al giovane accanto a lui, che sorrise di rimando,e poi,
lo fissò con curiosità, dimenticando ogni rivalità tra i due e trovandosi immerso in una conversazione amichevole e per nulla competitiva.

Una conversazione che non s’addiceva affatto a loro due.

Diversa.

-In che senso?-Domandò alzando il capo verso quell’immenso nero che s’ergeva su di loro.

-Il buio non è una cosa brutta, anzi, se ci pensi è forse meglio della luce, solo che la gente non lo capisce. Al buio siamo tutti uguali Marco, non esistono colori o razze, nessuna discriminazione. Al buio nessuno è l’ombra di nessuno, le ombre non esistono lì. Al buio possiamo essere noi stessi, senza paura che qualcuno ci veda, al buio possiamo avere paura senza essere giudicati. Al buio è tutto migliore- Disse, gli occhi verdi puntati verso il compagno  che ora aveva tante domande da fare.

-Tu di chi eri l’ombra?-Chiese, senza quel suo solito tatto e quella sua dolcezza che innervosivano Diego, il quale ridacchiò amaramente.

Non sembrava nemmeno lo stesso irritante ragazzino smunto e perfettino che conosceva perchè, quel Marco, che aveva vicino, gli piaceva.

-Di mio padre, della setta, più che altro del mio fratellastro Rodrigo- Rispose.

-Parlami di lui-Intimò l’altro curioso.

-Non lo conoscevo, quando morì aveva 15 anni, successe in uno scontro tra sette se ti interessa, e io era appena un neonato. Mia madre invece la uccise mio padre, non so quando, ero troppo piccolo per ricordare. Così crebbi con papà, anzi Juan, e ancora non comprendo perché m’abbia tenuto con se e poi trattato così, forse per fammi soffrire di più- Rise triste Dominguez scuotendo il capo come un folle.
Marco lo guardò con malinconia, e senso d’angoscia, e compassione.

Diego era arrabbiato e  frustrato. Così arrabbiato da non poter nemmeno piangere.

Così arrabbiato da volere solo vendetta.
Così arrabbiato da  non rendersi conto di amare ancora Juan come un padre.
Così arrabbiato da non comprendere che non sarebbe mai riuscito ad ucciderlo.

-Cercherai tuo padre, intendo quello vero?-Riprese il discorso Ponce de Leon.

-Si,credo. Il fatto è che ho bisogno di qualcuno che mi ami come dovrebbe fare un padre, di risposte, ho bisogno, sai, che faccia parte della mia vita. Però penso che lo cercherò una volta finita questa guerra, sempre che riesca a finire, sempre che sopravviva- Spiegò Dominguez

-Sai qualche cosa di lui?-Chiese Marco

-Solo che era un ballerino talentuoso, che studiò in Spagna pur essendo argentino e lì conobbe mia madre.-

-Hai pensato al nostro professore di danza?Lui ha studiato in Spagna-
-No, non può essere lui-
-Perché?-
-Perché è un pazzo isterico, un maniaco, deviato mentale, mia madre non si metterebbe mai con uno così-
-Ma si è messa con Juan, che, da ciò che dici, è più o meno peggiore, di così-
-Non voglio pensarci ora Marco. Devo essere concentrato su di voi-

Marco gli sorrise triste.

-Hai paura?-Domandò
-Di cosa?-Replicò Diego
-Di domani-Spiegò il ragazzo più minuto.
-Si cazzo, ho una fottuta paura, mi sto cagando addosso-Rise, senza motivo, Dominguez, coinvolgendo anche il compagno.

-Sembriamo due folli-Commentò Marco scuotendo il capo.
-Forse lo siamo-Commentò lo spagnolo dandogli una pacca sulla spalla.

Ponce de Leon osservò Diego sorridere, e si sentì felice, e unito, in qualche strano modo, a lui.
-Perchè non prima?-Chiese. E non c’era bisogno che specificasse cosa, entrambi lo sapevano il significato di quella frase.

Perché ci siamo fatti la guerra?

Perché non potevamo essere amici?

Perché solo ora?

Perché tanto odio?

Perché non ci abbiamo nemmeno provato?

Perché non possiamo provare?

-Francesca, la diversità tra noi, il fatto  è che io sono troppo coglione e tu troppo buono-Rispose.

-Pensi che potremo esserlo, amici, dopo..domani?-Domandò Ponce de Leon, timoroso che Diego tornasse a comportarsi da stronzo proprio in un momento così bello.

-Penso che ci potemmo provare, ma abbiamo degli interessi comuni quali la Comello-Rispose Dominguez.
-Una ragazza non ha mai diviso due amici-Commentò Ponce de Leon.

Passarono secondi di imbarazzante silenzio. Marco s’alzò lentamente allontanandosi, lasciando prima però, un ultimo sguardo allo spagnolo.

Era forse l’ultima volta che potevano parlare, parlare per davvero.

L’ultima volta prima dal giorno seguente che potevano chiarirsi.

L’ultima volta che poteva esprimere la sua ammirazione nei confronti del compagno.
-Sei veramente forte Diego, la persona più forte che abbia mai conosciuto-Sussurrò timidamente, con così poca voce che lo spagnolo non lo udì.


Mosse passi lenti ed indecisi verso la casa preso dall’ansia dovuta alla  presenza di una figura, una figura  assolutamente riconoscibile, e che ora come prima scatenava in lui contrastati emozioni.
-Ciao-Salutò Francesca sorridendo lievemente.
Aveva i capelli legati, gli occhi stanchi e il volto così pallido da sembrare l’ombra di se stessa.

Aveva paura,lei, una fottuta paura che le attanagliava il cuore.

Voleva aggiustare le cose, prima che fosse tardi. Lo aveva capito Ponce De Leon.

Voleva mettersi a posto con la coscienza, e questo faceva incazzare Marco, perché, Dio, non voleva riallacciare i rapporti con l’italiana per puro senso di colpa.

Non voleva perdonarla per timore che venisse uccisa, e non voleva far finta di nulla.

-Hey- Salutò a sua volta Marco con voce fin troppo calma per il turbamento interiore che provava.

Francesca prese un respiro profondo, guardando il suolo ricoperto da piccoli rametti e foglioline.

-Ho sentito te e Diego ridere.  Ho sentito voi due, insieme e,Dio, è stata la cosa più bella che abbia mai udito Marco-

Esordì, nascondendo dietro alla schiena la mano leggermente tramante a causa della tensione.

-Mi dispiace. Per tutto. Per avervi separati e soprattutto per avevi fatto soffrire. Non volevo. Il problema è che amo entrambi, in modi diversi certo, ma amo entrambi. Ci sei tu che sei praticamente la sicurezza, la perfezione, il sogno e poi c’è lui che è l’incertezza, l’avventura, il mistero. Ed è difficile scegliere. Comprendimi ti prego- Continuò portandosi una mano al petto, con una sorta di disperazione della voce, un cipiglio sul viso, come fosse arrabbiata con qualche entità invisibile.

Era disperata, però, più che altro.

Di quel tipo di disperazione di chi ha bisogno di sentirsi dire che è tutto okay, che qualsiasi cosa succeda la situazione è chiarita. Nulla in sospeso.

Di chi ha bisogno di avere la coscienza pulita, come
immaginava Marco, il quale lanciò un ringhio di frustrazione.

-Ma dovrai farlo, dovrai scegliere,o ci perderai entrambi- Le fece notare, con un tono di voce leggermente troppo alto,  il ragazzo, che,dannazione, voleva capisse che non poteva essere così facile scordare il passato, il dolore e, si, anche la felicità, che era derivata da quel loro malsano e nocivo, e dannatamente irreale triangolo.

Banale eppure speciale.

Perché, Cristo, che la ragazza perfetta si innamori del classico stronzo dal cuore tenero, e, allo stesso tempo, anche del classico ragazzo della porta accanto, dolce e gentile, è il clichè dei clichè. La classica storiella da romanzo rosa, con l’unica differenza che Francesca, per quanto potesse sembrarlo, non era perfetta, anzi.

Che Diego, stronzo, con lei, non lo era mai stato, e che lo stesso Marco, poteva anche non esserlo, se voleva, il classico bravo ragazzo. Camilla lo diceva sempre.

-Lo so, e lo farò. Lasciamo passare questa guerra. Lasciamo passare tutto. Una tregua. In cui tutti siamo amici.  Una tregua ad ogni sentimento. Non voglio che nessuno si faccia male per colpa della mia indecisione. Se, se qualcuno di voi morisse io..-Prese un respiro profondo- Cazzo, non dico che ci morirei, dico solo che se voi moriste, o uno di voi lo facesse, rimarrei sempre con questo fottuto senso di colpa per avervi fatto soffrire, e lo so, è una cosa egoista, ma…io sono egoista, l’ho capito grazie a voi, che perfetta non lo sono. Sono egoista. L’ho dimostrato molte volte. Voglio solo sapere che tra noi è tutto okay- Concluse, giocando con le maniche del giubbotto.

-Varemente?-Ridacchio  ironico Diego, avvicinandosi.

Aveva un sorriso pazzo.

Arrabbiato o frustrato.

Forse entrambe le cose

-Datti una svegliata Francesca! Ti stai comportando in modo assurdo. Ciò che dici è assurdo!-Gridò poi prendendole le spalle e scuotendola, gli occhi spalancati, la voce roca, ancor più del solito.

E Marco lo ammirò ancora, perché lui stava aprendo gli occhi a Francesca, e le stava facendo capire quanto stesse sbagliando, e Ponce de Leon non ci riusciva.

Rimaneva bloccato nella sua delicatezza.

Nella sua gentilezza.

Nella sua timidezza.

Nel suo amore fin troppo idilliaco, in cui provare a
contraddire la Comello non passava nemmeno
nell’anticamera del suo cervello.

-Lo so!  Ho solo così tanta paura…Non voglio perdervi-
Ribattè lei scoppiando a piangere e nascondendo il volto nel petto di Dominguez che rimase immobile, come un statua.

Freddo d’animo.

Come se non l’avesse mai amata colei che s’aggrappava a lui
con tanta forza. Colei che lo implorava, con il cuore spezzato.

Come se non l’amasse ancora.


-Diego-Singhizzò il suo nome con voce patetica.

Lui la spinse via, bruscamente, a modo suo.

Sentiva gli occhi pungere di lacrime, ma sapeva che stava
facendo la scelta giusta.

Lasciarla andare.

Marco, era il più giusto per lei.

Legarla a se stesso,che avrebbe potuto morire l’indomani, era un errore, un’enorme sofferenza per lei.

Darle una speranza l’avrebbe uccisa, nel caso il giorno dopo non fosse sopravvissuto.

Le avrebbe lasciato in eredità il rimpianto di come sarebbe potuto essere, tra loro.

Una vita con lui.

In giro per il mondo.

Liberi, vivi, innamorati.


-Vi perderò-Sussurrò Francesca, che s’era lasciata cadere nella terra, nello sporco.

Le mani trai capelli, l’aria sconvolta, il make-up colato.

Aveva paura.
E Diego la odiava.
E Francesca se lo sentiva, che gli sarebbe successo qualcosa.

-Lo perderò-Strillò, così forte che addirittura Dominguez che si stava chiudendo la porta alle spalle, la udì, e singhiozzò, perché se stava così, l’italiana, era colpa sua.

-Non ci perderai. Nessuno di noi morirà domani- La abbracciò Marco - E potrai scegliere. Ti ama ancora.E’ solo impaurito-

Non aveva idea di quanto si sbagliasse

Perché Diego non aveva paura.

O almeno non della morte in se,quello era solo un bang, e poi finisce tutto.

Aveva paura di quello che si sarebbe lasciato alle spalle.

Aveva paura del dolore di chi rimaneva, ed era da ciò che voleva proteggere Francesca, che  era entrata nella sua vita con il sorriso dolce e i vestitini quasi infantili,  e che gli aveva cambiato la vita rendendola assolutamente peggiore, in un modo migliore però.




Ludmilla.

Ludmilla, bella e radiosa.

Ludmilla così poco snob e così poco finta.

Ludmilla che la falsità se l’era lasciata alle spalle.

Ludmilla con la sua maledizione.

Con il suo velo di tristezza.

Con i capelli biondi.

Con le gambe magre.

Con il sorriso perfetto.

Ludmilla, l' imperfetta perfezione.

Ludmilla, l’amore della vita.

Era questo che vedeva Federico Pasquarelli, ex drogato, redivivo, sbandato,sempre sorridente.

Seduta sul divano con le braccia ossute incrociate, e una tazza di caffè caldo tra le mani gelide e fini, Ludmilla osservava il camino.

Federico le si avvicinò.

Gli occhi marroni si fusero assieme, incontrandosi, fondente e cioccolato, e,Dio, non c’era nulla di più perfetto di questo, per loro due.

Nulla in più da desiderare, che loro due assieme.

L’italiano le sorrise, mostrandole i denti leggermente da castoro che Ludmilla amava prendere in giro.

-Hey-Le disse baciandole la fronte lasciata scoperta dallo chignon improvvisato e disordinato che portava, e la rendeva più sbarazzina e rilassata, più giovane, più bella.

La bionda non ricambiò il saluto limitandosi a battere la mano sul posto accanto al suo continuando ad osservare il fuoco nel cammino bruciare il legno, lentamente.

E Ludmilla si chiese se il legno potesse soffrire.

Era stupido, vero, ma chi ci assicurava che non avesse un anima?Che non vivesse come lei, come il suo ragazzo, come i suoi amici? E che di conseguenza non soffrisse?

Nessuno.

Pasquarelli la abbracciò, facendole posare il capo sulla propria spalla, coperta dal golf bordeau che la ragazza gli aveva comprato in una delle loro rare giornate felici.

-Sai che penso?-Chiese rompendo il silenzio nella sala.

-No.Non mi chiamo certo Camilla sonofottutamentespaventosaevestodimerda Torres- Replicò sorridendo la Ferro.

-Giusto- Rise di gusto il giovane- Allora te lo dico io. Penso che tu sia la ragazza più bella di questo mondo-Continuò, inginocchiato davanti a lei così da poterla ammirare.
Le carezzò il volto, le guance leggermente arrossate, gli occhi un po’ lucidi, la labbra rosse socchiuse.
-E perciò, Ludmilla Ferro, ti do questo anello come una promessa, e, Dio non scoppiare a piangere come stai per fare perché non ti sto chiedendo di sposarmi. Promettimi che quest’estate verrai con me in un viaggio on the road, senza ritorno. Ce ne andiamo, io,te e i nostri fottiti vizi, io, te e la nostra intatta verginità. Andiamo via cazzo, via da tutto questo schifo-

-Oh porco boia-Sussurrò incredula Ludmilla saltandogli al collo e ridacchiando dei si, accompagnati da gridolini di eccitazione.

-Io e te e la nostra eterna verginità?-Chiese un’altra volta, per avere la sicurezza che quello non  fosse un sogno, un bellissimo sogno destinato a lasciarle un enorme rimpianto.

Federico annuì , prendendola in braccio e facendola volteggiare per tutta la stanza.

Lei rideva, e non c’era nulla di più bello della sua risata.

Nulla di più bello del sapere che era felice, soprattutto per merito suo.
 


Maxi aveva gli occhi chiusi e dormiva pacificamente, e Nata, non capiva come  diamine facesse.

“Che idiota” pensò ridacchiando tra se e se, nello scrutarlo, così innocente, infantile. Bello.

Gli scrollò con forza una spalla, intenta a svegliarlo nel modo meno delicato possibile.

Non poteva aspettare ancora, lei.

Doveva parlare con lui, era la sua ultima occasione.

Occhi negli occhi, senza paura.

Viso contro viso, così vicini, da potersi baciare.

Cuore a cuore, uniti come solo loro potevano essere.

Nata voleva questo.

Perché domani si combatteva, domani di moriva forse, domani si perdeva, o magari vinceva, ma più probabilmente perdeva, e allora Natalia non voleva morire senza che lui sapesse.

Era stufa di lasciar correre il tempo che più non sarebbe tornato. Secondi che se ne andavano, attimi di meno di vita.

Ponte saltò sulla sedia, leggermente scombussolato, puntando poi gli occhi, quei grandi occhi neri che tanto la spagnola adorava, sull’amica.

-Dimmi che hai un buon motivo per svegliarmi, sai che nessuno deve farlo o rischia la vita- Esordì innervosito.

-O bhe il fatto che magari noi tutti rischiamo la vita, e che domani forse la perderemo e che ti devo parlare, e che devo fare con te tante cose, e che si ho bisogno di qualcuno con cui condividere l’ansia, mi sembra un ampia lista di buoni, anzi ottimi,motivi.-Replicò la riccia  gesticolando in quel modo che Maxi trovava tanto carino quanto ridicolo.

-Di cosa mi devi parlare?-Domandò il rapper, che non aspettava altro che una conferma di ciò che le aveva sentito udire una volta.

Un ti amo sussurrato per non essere udito, un ti amo biascicato, insicuro, degno della timidezza della spagnola.
Natalia prese un respiro profondo.

-Del fatto che io e te siamo più che amici, o  almeno, io ho una cotta per te alquanto seria, e tu non hai idea di quanto mi senta idiota ora, comunque si, visto che domani moriremo tutti voglio solo farti sapere che ti amo- Secondi di silenzio.

L’unico rumore era il battito dei loro cuori, i loro respiri accelerati.


-Dio. Lo hai detto. Si porco..oddio- Maxi si portò una mano sulla bocca con la stessa espressione di un’adolescente che incontra il suo idolo.

-Parla!-Lo intimò Natalia sulla spine.Un sorriso sul volto, per la surrealtà di quella situazione.

Perché, no, lei non si immaginava di avere quel coraggio.
E, no, non si aspettava nemmeno la reazione di Maxi.

-Sei la donna della mia vita Navarro, lo sapevo io- Le confessò, passandole le braccia attorno alla vita e posando le labbra sulle morbide di lei.

E Maxi poter dire di  essere stato in paradiso.


Violetta giocava nervosamente con le mani, sudate e tremanti di tensione.

Le ciocche blu erano disordinate sul capo, e la matita nera colata a causa del sudore.

Si esercitava con i poteri da ore, rimetteva posto le armi, organizzava piani tattici come se  fosse solo lei, quella a dover combattere il giorno dopo.

E a Vargas, questo dava un enorme fastidio.

Perché sentire il peso di tutto sulle sue spalle, era errato. Lei non era sola. Era una questione di famiglia la loro, una famiglia strana senza nessun tipo di autorità materna o paterna, composta da adolescenti problematici,si,ma pur sempre una famiglia vera.

-Calma-Le sussurrò Leon cingendola in un abbraccio da dietro e posandole un bacio sul collo.

Gli faceva ancora un certo effetto quella vicinanza tra loro, ma si stava abituando.

-Non posso stare calma, domani combatteremo. Tu combatterai-Rispose voltandosi con gli occhi chiusi per controllare le emozioni che prendevano il sopravvento su di lei .

Si sentiva, dentro, come se stesse per piangere, a causa della paura, e, questo non era da lei.

-Ma ci sarai tu, ed in ogni caso finirà bene per noi. Abbiamo
te che praticamente puoi riportare in vita chiunque, addirittura te stessa.Non abbiamo nulla da temere-La rassicurò il ragazzo stringendola a se, ancora.

Infondendole coraggio, ancora, pur non possedendolo.

Amandola, ancora.

A Violetta piacevano i fumetti da piccola. I supereroi senza paura che combattevano il mondo, senza minimamente calcolare il rischio di morire però, le davano i nervi.

Perché puoi avere ogni potere del mondo, ma la paura è
molto più forte di ogni magia.
Perciò amava i personaggi più deboli, un po’ come si sentiva lei.

Totalmente debole, per via del terrore.

-Ho un brutto presentimento- Replicò angosciata la giovane Castillo stringendosi al suo fidanzato.
Posò il capo nell’incavo del suo collo odorando il forte profumo delle colonia che spesso portava, un po’ aspro, ed esagerato, ma che sapeva così incredibilmente tanto di lui da essere il più spettacolare degli odori.

Vargas le carezzò i capelli, con delicatezza.

La verità era che anche lui aveva paura, una fottuta paura, che qualcosa potesse andare storto, ma non poteva darlo a vedere, non a Violetta, che sembrava così fragile nonostante fosse la più forte di tutti in quella casa


 

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