John and the Beast

di Inathia Len
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo -La maledizione- ***
Capitolo 2: *** Feeling as though, you never belong ***
Capitolo 3: *** Prisoners ***
Capitolo 4: *** Do we have a deal? ***
Capitolo 5: *** And the petal fell... ***
Capitolo 6: *** Be our guest ***
Capitolo 7: *** An evil plan ***
Capitolo 8: *** The storm that took us home ***
Capitolo 9: *** From "Beast" to"Sherlock" in just one look ***
Capitolo 10: *** Together ***
Capitolo 11: *** I'm with you ***
Capitolo 12: *** It's not a date... (not yet) ***
Capitolo 13: *** Remember me. Remember this. Remember now. ***
Capitolo 14: *** Maybe it's true... maybe I ran away ***
Capitolo 15: *** All hell breaks loose ***
Capitolo 16: *** Time is running out ***
Capitolo 17: *** Run boy, run ***
Capitolo 18: *** This is the end... hold your breath and count to ten ***
Capitolo 19: *** I should have known you would bring me heartbreak... almost lovers always do ***
Capitolo 20: *** 'Cause you saved me... from myself ***
Capitolo 21: *** Epilogo ... O un nuovo inizio? ***
Capitolo 22: *** Interludio ***
Capitolo 23: *** Why? ***
Capitolo 24: *** Help me help you ***
Capitolo 25: *** I don't know how to love him ***
Capitolo 26: *** BANG! You shot me down ***
Capitolo 27: *** 'Till the siren sound I'm safe ***
Capitolo 28: *** We'll be a proper family ***
Capitolo 29: *** epilogue - Ten years later... ***



Capitolo 1
*** Prologo -La maledizione- ***


Tanto tempo fa, in un paese lontano,

un giovane principe viveva in un castello splendente.

Benché avesse tutto quello che poteva desiderare,

il principe era viziato, egoista e cattivo.

 

 

-Mycroft!-

La voce del principe squarciò il silenzio di quel pomeriggio autunnale, facendo allarmare tre quarti della servitù. Mycroft, il capo maggiordomo, corse per tutto il castello, temendo che il suo padrone fosse in pericolo.

-MYCROFT!-

Aumentava di volume, ormai non era lontano, cercò di consolarsi, il fiato grosso. Si trovava in cucina, infatti, al momento della chiamata, e stava per concedersi quel pezzo di torta, l'ultimo che era avanzato dalla festa di compleanno del principe. Ma Sua Altezza aveva chiamato e la torta doveva passare in secondo piano. A giudicare poi dall'urlo, probabilmente Sua Altezza era in grave pericolo ogni secondo poteva essere determinante...

-Eccomi, Altezza- mormorò trafelato, spalancando la porta della camera e tenendosi la milza.

Lo spettacolo all'interno gli fece torcere le budella dalla rabbia,

Il principe Sherlock era seduto alla sua scrivania, che era invasa come sempre da mille e più foglietti e vari becher e ampolle dai colori assurdi, ma era in perfetta salute. Non c'era nulla in lui che facesse presagire un disastro imminente. A parte la completa mancanza di sicurezza con cui conduceva i suoi esperimenti.

-Era ora, Mycroft! Comunque non ho più bisogno. Ci ha pensato Graham- lo liquidò, senza nemmeno alzare gli occhi dal microscopio.

-È Greg- brontolò l'altro uomo nella stanza, che stava in piedi su una gamba sola, le braccia spalancate, una bacinella che mandava strani vapori bluastri sulla testa.

-Era per questo che gridavate?- chiede sconvolto Mycroft, tentando comunque di non ridere per la posizione in cui si trovava Lestrade, il maître, spesso vittima degli esprimenti del principe.

-Era per questo che guardavate, Altezza- lo corresse il principe Sherlock, mandandolo via con un gesto della mano. -Manda qui la signora Hudson con del the fra... trentaquattro minuti e venti secondi esatti. E dille che non si porti appresso quella Clara, mi da i brividi. E alle diciannove e otto precise, fai venire Molly per pulire. Gerard sarà già caduto, per allora.-

L'interessato gemette e Mycroft gli lanciò un'occhiata solidale. Non andava troppo d'accordo con Lestrade, ma il modo in cui il principe lo trattava era ignobile. Persino per uno come lui, ligio alle regole, che voleva accontentare Sua Altezza in tutto e per tutto.

-Sì, Altezza- disse, ritirandosi e inchinandosi.

 

Accadde però, che, una notte d'inverno,

una vecchia mendicante arrivò al castello e

offrì al principe una rosa

in cambio del riparo dal freddo pungente.

 

 

-Altezza, c'è una mendicante alla porta. Ha detto di chiamarsi Irene, ma nulla di più.-

-Mandala via, Mycroft- ordinò svogliato il principe, rispedendo in cucina l'ennesimo piatto e un tremante Tom al seguito.

-Altezza, ma è Natale...- provò la signora Hudson, mentre Molly gli cambiava il tovagliolo e toglieva le briciole dal tavolo.

Il principe Sherlock la fulminò con lo sguardo, poi sembrò ripensarci.

-E sia- disse, unendo le mani affusolate sotto il mento. -Mycroft, tieni aperta la porta. Parlerò con questa Irene e vedremo.-

Tutti gli inservienti si chinarono al suo passaggio, tremanti mentre il suo mantello frusciava sul pavimento e gli stivali risuonavano nel silenzio di tomba che era calato.

Il principe si affacciò all'uscio e guardò fuori, riparandosi gli occhi per la tormenta di neve.

-Sono qui, Sherlock.-

-È Vostra Altezza, la prima volta. Poi solo Altezza- la rimbeccò, trasalendo poi per l'aspetto ripugnante della vecchina.

Era di bassa statura, curva e vestita di stracci. Il naso adunco, gli occhi piccoli e vicini, di due colori diversi e il viso era coperto come da una peluria.

-Non quello che ti saresti aspettato, vero Sherlock?- commentò la vecchia Irene, tossendo e ridacchiando al tempo stesso. Il risultato fu uno sputo che colpì il mantello del principe, che lo scostò stizzito.

-Dimmi cosa vuoi, prima che perda la pazienza del tutto. Perché mi disturbi durante la cena?-

-Cerco solo un riparo per la notte. Il mio villaggio è poco distante, ma con questa neve mi sono persa. Il tuo castello è grande e vuoto. Hai posto per me?-

-Per te?- ripeté scioccato il principe, squadrandola dalla testa ai piedi. -Assolutamente no!-

-Posso offrirti, in cambio per la tua ospitalità, una rosa. È magica- aggiunse, mostrando uno splendido fiore rosso che teneva sotto il mantello.

-Va’ via, vecchia, qui non è posto per te- esclamò il principe, -e poi mi offri una rosa? Ah! Una rosa per una notte nel mio castello? Tu non appartieni a questo mondo, liberaci della tua presenza!-

 

 

Lui, però, che provava repulsione

per quella vecchietta dal misero aspetto,

rise del dono e la cacciò.

Ma lei lo avvertì di non lasciarsi ingannare dalle apparenze,

perché la vera bellezza si trova nel cuore

 

 

La vecchia Irene scosse la testa, ridacchiando sommessamente.

-Che c'è?- chiede stizzito il principe, tornando indietro e osservando la mendicante dall'alto al basso. -Che hai da ridere? Che cosa c'è?-

-Mio caro Sherlock, è tutto sbagliato- cominciò a spiegare Irene, alzando quello sguardo strano sul principe. -Tu mi allontani perché sono vecchia e brutta, non per il mio dono. Ma hai ancora tanto da imparare... Perché il tuo cuore cieco non vede la bellezza interiore. Il vero bello è nel cuore di ognuno.-

-Ho detto vattene- sillabo il principe Sherlock, a pochi centimetri dal naso della vecchia Irene. -Fuori dalla mia proprietà!-

 

Il principe la respinse di nuovo e

in quel momento la bruttezza della mendicante si dissolse

e apparve una bellissima fata.

Il principe si scusò, ma era troppo tardi.

Perché aveva visto che non c'era amore nel suo cuore e

per punirlo lo trasformò in un'orrenda bestia.

E gettò un incantesimo sul castello e su tutti i suoi abitanti.

 

 

 

E improvvisamente, la notte venne squarciata da una luce incedibile, che illuminò a giorno anche tutto il parco. Il principe si rannicchiò prima contro il portone, che si era chiuso, alle sue spalle, poi per terra, terrorizzato da quanto stava succedendo.

La vecchia venne sollevata in aria, in un'esplosione di colore e profumi. La veste rimase per terra e il corpo della mendicante si trasformò davanti agli occhi increduli del principe, diventando quello di una donna bellissima. I capelli grigi e stopposi lasciarono posto a ciocche lunghe e nere, mentre gli occhi diventavano di un azzurro intenso.

-Che succede?- balbettò il principe, proteggendosi gli occhi per la luce. -Pietà, pietà!-

-È tardi ora- tuonò la fata, perché di fata si trattava. -Hai avuto la tua chance, due volte, ma entrambe le volte mi hai rifiutata. E ora chiedi pietà solo perché riconosci la mia potenza. Ma te l'ho detto, Sherlock, devi imparare a riconoscere la bellezza in ognuno. A partire da te stesso.-

Dette queste parole, il principe si sentì sollevare in aria, mentre uno strano fumo lo avvolgeva. Le sue membra si rattrappirono, peli crebbero su tutto il suo corpo, corna spuntarono su quello che una volta era stato il suo viso, mentre ora era un grugno e un muso. Le vesti si stracciarono, rimasero integri solo i pantaloni blu e il mantello nero, dentro il quale Sherlock, ormai la Bestia, si nascose, timoroso per il aspetto.

 

 

Vergognandosi del suo aspetto mostruoso,

la Bestia si nascose nel castello, con uno specchio magico

come unica finestra sul mondo.

La rosa che gli aveva offerto la fata era davvero

una rosa incantata e sarebbe rimasta fiorita fino a che

il principe non avesse compiuto ventuno anni.

Se avesse imparato ad amare e fosse riuscito farsi amare a sua volta

prima che fosse caduto l'ultimo petalo,

l'incantesimo si sarebbe spezzato.

In caso contrario,

sarebbe rimasto una bestia per sempre.

 

 

Il principe, non appena si rese conto del suo aspetto e della verità nelle parole della fata, distrusse parte del castello.

Affilò i nuovi artigli su ogni specchio e ritratto che trovò.

Ruppe tappeti e abiti che, credeva, non avrebbe mai più indossare.

I servitori, trasformati tutti in oggetti, non poterono fare altro che assistere muti, silenti, all'autodistruzione del loro padrone.

 

 

Con il passare degli anni,

il principe cadde in preda allo sconforto e perse ogni speranza.

 

 

 

 

Chi avrebbe mai potuto amare una bestia?







 

Inathia Len's nook:

Oh, buona persona che sei arrivata fin qua, intanto lascia che io ti ringrazi. Questo è il prologo più lungo del mondo e quindi ti devo anche chiedere scusa, ma hai presente quando i personaggi continuano a urlare e a fare cose nella tua testa e tu non puoi fare altro che scriverle per liberartene?
No, giuro, non sono pazza!
Ok, sì, forse un pochino ;)
Ma la più pazza è la mia splendida beta, che mi scordo sempre di ringraziare. Johnlock is the way è l'amore e nessuno mi convincerà mai del contrario. (citazione un po' distorta, ma ci stava).
Comunque, rimane il dato di fatto che questa storia è una rivisitazione del cartone animato della Disney in versione Sherlockiana.
Questi saranno i personaggi:
Sherlock > Bestia
John > Belle
Mycroft > Tockins
Lestrade > Lumiere
Molly > Scopina
Mrs Hudson  > Mrs Brick
Chicco > Clara
Maurice (il padre di Bella) > Harry 
Gaston > Moriarty
LeTont > Moran
Fata/Mendicante > Irene
Ok, direi di aver detto tutto :) alla settimana prossima <3

 

 

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Capitolo 2
*** Feeling as though, you never belong ***


A Johnlock is the way.
Punto e basta.



 

Feeling as though, you never belong



John Watson era strano, a detta di tutti.

Passava il suo tempo a studiare, a leggere e a pensare in grande.

Voleva diventare medico, il piccolo paesino dove si era trasferito con la sorella gli stava stretto. Non che fosse un brutto villaggio, o che la gente fosse sgarbata. No, assolutamente.

Era noioso.

Ogni giorno succedevano sempre le stesse cose, con lo stesso, identico, ritmo.

Il panettiere apriva bottega per primo e lo salutava sollevando leggermente il cappello. Accanto a lui, il fioraio e il barbiere litigavano, come ogni giorno, su chi dovesse abbassare i prezzi.

Poi c'erano le signore che uscivano per fare compere al mercato e scambiavano sempre le stesse chiacchiere, gli stessi convenevoli.

 

Come stanno i figli?

Oh, sei splendida nel tuo nuovo vestito!

 

È nuovo quel taglio di capelli?

Che bel nastro che ha tua figlia!

Dovete venire a pranzo da noi domenica!

 

Dovremmo far incontrare il tuo Henry e la mia Betty!

 

E John era stanco di tutto quello, nonostante vivesse nel paesino da solo qualche mese.

Salutò il panettiere alzando appena lo sguardo dal libro che stava leggendo e sorrise per il battibecco tra il fioraio e il barbiere.

-Ehi, Johnny!-

Il ragazzo agitò la mano in segno di saluto e attraversò la piazza, entrando in libreria. Di tutto il paese, quello era indubbiamente il suo luogo preferito.

-Buon giorno ragazzo, non mi aspettavo di rivederti così presto. Mi sembra solo ieri che...-

-E infatti era ieri- ridacchiò John. -Ma il libro l'ho finito e sono venuto a restituirglielo. È arrivato qualcosa di nuovo?- chiese, saltando poi sulla scala e cominciando ad esaminare gli scaffali con occhio critico.

-Ma John, sei venuto solo ieri!- esclamò il librario.

-Ha ragione, ha ragione. Allora... Prenderò questo.-

-Quello? Ma …. lo hai già letto almeno due volte!-

-E io cosa ci posso fare? È il mio preferito- sospirò John, cullando il libro quasi fosse un bambino, e guardandolo con occhi adoranti. -È pieno di avventure. Ci sono anche incantesimi, terre lontane, principesse da salvare...-

-Oh, ma se ti piace così tanto te lo regalo- rise il libraio.

-Davvero? Posso? Oh, grazie, grazie mille!-

E quando uscì era già immerso nella lettura, il naso che sprofondava tra le pagine, l'odore delle pagine nelle narici e un sorriso enorme sul volto. Per quello non si accorse che il signor Moriarty gli si era avvicinato.

James Moriarty era l'uomo più influente del paese, il patrigno di Mary Morstan, una bella ragazza che l'uomo sperava un giorno, presto, John avrebbe sposato. Nonostante infatti, fosse considerato strano dalla maggior parte degli abitanti, John aveva ambizioni per il futuro, serie possibilità di diventare medico e Jim voleva solo il meglio per la sua figlioccia.

Ma John di questo matrimonio non ne voleva sapere. Mary era dolce, bella, ma John non voleva sposarsi, non così giovane, almeno.

-Ecco il nostro uomo!- esclamò Moriarty, seguito, come sempre, dal suo segretario, Sebastian Moran. Giravano strane voci sui due, ma, data l'influenza di Moriarty, finivano sempre nel dimenticatoio.

-Signor Moriarty- lo salutò John, indicando il libro come a volergli dimostrare di essere occupato.

-Oh, John Watson! Sempre immerso nelle letture, eh?- scherzò, Moran che rideva dietro di lui. -Ti verrà il mal di testa.-

-No, signore. È il mio passatempo. Mi piace leggere, tutto qui.-

Moran gli strappò il libro di mano e lo passò al suo signore. Moriarty lo osservò a lungo, sfogliandolo e poi gettandolo per terra, alle sue spalle, noncurante della pozza di fango.

-Come fai a dedicarci così tanto tempo? Questi libri sono così noiosi, privi di figure...-

-Certa gente preferisce immaginare- rispose tagliente John, recuperando il libro dalla pozzanghera di fango dove era stato scagliato. -Buona giornata.-

-Via, John. Si fa per scherzare! Parlando di cose serie,- ricominciò mellifluo Moriarty, prendendolo sotto braccio da una parte, mentre Moran faceva lo stesso dall'altra parte. -Quando ti deciderai a sposare la mia Mary? La ragazza palpita per te, sogna il giorno della nozze dal primo giorno in cui ti ha visto...-

-Signor Moriarty, come lo ho già detto più e più volte- sbuffò John, liberandosi dalla presa dei due uomini, -non ho intenzione di sposare la vostra figlioccia. Non oggi, non domani, né mai. E questo è davvero un addio. Devo tornare a casa.-

-Torni dalla sorellina pazza?- lo prese in giro Moran, facendo cenno al alzare il gomito, sghignazzando, mentre Moriarty fingeva di rimproverarlo ma rideva sotto i baffi.

-Harry non è pazza, ma un'inventrice geniale- replicò John, tornando sui suoi passi. -E se beve, è per dimenticare certi idioti come voi. Vincerà il primo premio al concorso in città e finalmente ce ne andremo da qui!-

 

 

 

La casa dei Watson era poco fuori dal villaggio, immersa nel verde e nella tranquillità. Ma la pace era cosa rara, soprattutto nello scantinato, dove Harriet Watson conduceva i suoi esperimenti. Spesso si vedevano spirali di fumo salire e urla di stizza, ma John aveva imparato a non allarmarsi. Harry stava lavorando da giorni a un'accetta-tronchi automatica, per presentarla alla fiera in città. Se avesse funzionato, ed Harry lo sperava davvero, avrebbero finalmente potuto lasciare quel villaggio che si divideva in opportunisti e persone noiose il cui unico passatempo era giudicarli in quanto ultimi arrivati.

Ma presto tutto sarebbe finito.

-Harry, sono a casa!- gridò, scendendo nella cantina dove lei, sporca di olio e grasso fin nei capelli, con indosso un vecchio grembiule, osservava con astio la sua nuova invenzione.

-AH! Al diavolo, non riuscirò mai a farla funzionare!- disse sferrandogli un calcio, non troppo forte da romperla ma abbastanza potente da farla sussultare.

-Lo dici sempre e poi ci riesci sempre- la incoraggiò John, tirandole un ricciolo ribelle.

-Oh, ma questa volta sono seria. Non c’è verso di farla funzionare, questo stupido ammasso di ferraglia- sbuffò Harry, tirando un altro calcio allo strano marchingegno.

-E io invece sono sicuro che ce la farai e che vincerai anche il primo premio, domani alla fiera. E finalmente ti verrà riconosciuto il titolo che meriti: “Geniale Inventrice”- disse John, abbracciandola.

-Lo credi sul serio?- mugugnò Harry, il volto nascosto nel petto nel fratello.

-L’ho sempre pensato- la rassicurò lui.

-Bene, allora che stiamo aspettando?- esclamò euforica. –Lo aggiusterò in un battibaleno! Passami quella pinza là sul ripiano- disse, sparendo poi sotto la macchina. –Dimmi, com’è andata la villaggio, fratellino?-

-Oh, sempre al solito. Ho preso un nuovo libro… E, Harry, tu credi che io sia strano?- chiese a un certo punto, passandole la pinza e ripensando a quello che la gente al villaggio diceva di lui alle sue spalle.

-Strano? Il mio fratellino?- esclamò Harry, riemergendo con un paio di enormi occhiali per protezione sul naso, che facevano apparire i suoi occhi azzurri ancora più grandi. –E questa idea chi te l’ha messa in testa?-

-Oh, non lo so… solo, ogni tanto mi sento fuori posto qui. Non c’è nessuno con cui possa parlare davvero.-

-Che mi dici di quel Moriarty? Se non sbaglio vuole farti sposare la sua figlioccia …- chiese quasi con astio, come se il solo nome di Moriarty potesse servire a farle salire l’acido fino alla pancia.

-E chi la conosce? L’avrò vista si e no due volte, massimo tre, da quando ci siamo trasferiti, ma non ci ho mai davvero detto nulla… quella del signor Moriarty è solo un’ossessione. Sa che voglio diventare medico e quindi, automaticamente, sono il partito perfetto per la sua figlioccia!- esclamò John, esasperato, mentre Harry continuava ad armeggiare sotto la macchina.

-E allora lasciali perdere, tutti e due. Vedrai, con questa invenzione cominceremo una nuova vita da qualche altra parte, dove tu potrai studiare sul serio e non ci saranno pazzoidi con figliocce da appiopparti- concluse Harry, tirandosi in piedi e pulendosi le mani nel grembiule. –Penso di aver finito. Ora vediamo se funziona.-

Tirò una leva dal pomello rosso e del fumo cominciò ad essere sputato da una piccola ciminiera. John ed Harry si tapparono le orecchie per il rumore e guardarono timorosi la macchina che ondeggiava e vibrava tutta. Pistoni si abbassavano e sollevavano, corde si muovevano, trascinando con sé ingranaggi. Il vapore veniva incanalato in vari tubicini colorati, posti tutt’intorno all’invenzione, conferendole un’aria piuttosto ridicola. E poi, finalmente, l’accetta montata sul davanti si mosse, piombando sul tronco posto a pochi centimetri, tagliandolo in due dopo qualche colpo e spedendolo nel mucchio insieme a tutti gli altri.

-Funziona!- esclamò John estasiato.

-Funziona?- gli fece eco Harry, incredula, mentre altri ciocchi continuavano a volare sopra le loro teste. –Funziona!- gridò a sua volta, afferrando John e trascinandolo con sé nel suo personalissimo balletto della vittoria. –Funziona! E ora, via verso la fiera!-

Caricarono il carro insieme e gli aggiogarono Philip, il vecchio cavallo da tiro della famiglia, dal manto sauro e la criniera bianco panna. John rimase sulla soglia, euforico per la sorella, a salutarla.

-Ciao Harriet, fa buon viaggio! E buona fortuna!-

-Ciao John e prenditi cura di te mentre non ci sono!- ricambiò lei, storcendosi a cassetta per vederlo fino all’ultimo.

Poi scomparve all’orizzonte, inghiottita da un mare verde e giallo.

























Inathia's nook:
ed eccoci qui con il primo capitolo vero e proprio. Protagonista indiscusso: Jawn. Un ragazzo come tanti (anche se noi sappiamo che è taaaaanto taaaanto speciale), che si sente fuori posto. Ha una sorella "strana", ma solo perchè nel Medioevo/Rinascimento (non ho davvero idea di quando sia ambientata la storia della Disney... sono pessima) le donne dovevano stare a casa, fare figli e cucinare. Quindi Harry è strana ed è strano John, perchè le da corda e la sostiene. Chi è nel giusto, secondo la mentalità di allora, è Jim Moriarty, che vuole vedere la sua figliola accasata, anche se conosce il "futuro marito" solo di fama. E poi lui sarebbe quello normale... bah!
Comunque, se alcuni dialoghi/passaggi vi suonano molto familiari, è perchè li ho ripresi pari pari dal cartone animato, volendo comunque rimanere il più aderente possibile. Anche se molte cose sono, ovviamente diverse. Ma quelle le avrete notate anche da voi, lo so che siete più intelligenti di em <3
concludo queste note chilometriche con altrettanti chilometrici ringraziamenti. Immaginate che vi stia abbracciando una a una (o uno a uno, nel caso in cui ci fossero anche dei maschietti :P). QUATTRO recensioni solo per il prologo??? QUATTRO???? no, vabbè, voi siete pazze/i. Ma io vi amo!! E uno stra-casino di visualizzazioni (superiamo i 150)!!!!! per non parlare dei quasi venti matti che la ricordano. Davvero, io vi bacio una a una.
Ok. Mi eclisso dopo avervi detto un'ultima cosa: LA SETTIMANA PROSSIMA NON POTRO' AGGIORNARE. Sarò all'estero in vacanza e la vedo un po' grigia. Però, vi prometto che la settimana dopo, avrete un doppio aggiornamento, tipo uno lunedì/martedì e uno verso il fine settimana. Così non rimaniamo indietro.
Bien. Baci e abbracci, vi aspetto nelle recensioni <3

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Capitolo 3
*** Prisoners ***


Prisoners



Harry aveva condotto Philip per una scorciatoia, ne era certa. Allora perché quella strada metteva i brividi persino a lei, che non aveva paura di niente?

-Philip, credo che abbiamo sbagliato strada- disse, rivolgendosi al cavallo e rigirando la cartina per l'ennesima volta. -Su, torniamo indietro.-

Ma Philip aveva fiutato il pericolo e non era intenzionato a muovere un muscolo.

Il primo ululato fu seguito a breve da un secondo e un terzo e in un attimo furono circondati dai lupi. Harry spronò Philip, ma il carico era troppo pesante. Aveva cominciato a piovere e la strada era diventata fango, le ruote affondavano e Philip era nel panico più totale.

E persino Harry stava cominciando a perdere le speranze.

Al quarto ululato tagliò le cinghie e al quinto, quando ormai i lupi erano a pochi passi, saltò sul cavallo e lo spronò, saltando oltre la cerchia di lupi.

La fuga, però, fu breve.

Philip mise una zampa in fallo, una buca particolarmente profonda e viscida lo tradì, facendo rovinare Harry a terra. E non fece in tempo a raggiungere le redini che Philip era già scomparso, lasciandola sola in mezzo alla nebbia. Si rimise in piedi e cominciò a correre, incespicando nel vestito che aveva indossato solo per l'occasione, preferendolo ai soliti comodi pantaloni e camicia che rubava sempre al fratello.

I lupi erano ormai alle sue spalle, quando le sue mani trovarono un cancello, un enorme cancello.

-Vi prego, fatemi entrare!- cominciò a gridare, battendo contro il ferro.

E quello, come per magia, si aprì.

Corse all'interno, nel giardino, sbarrando la via ai suoi predatori e tirando un sospiro di sollievo. Bussò poi al portone, sperando in un riparo per la notte. Ormai l'invenzione era andata e così anche la possibilità di anche solo partecipare alla fiera. Ora, tutto quello che voleva era un posto quantomeno asciutto dove passare la notte e per tornare a casa propria il giorno dopo.

E anche il portone si aprì come per magia, non appena lei lo sfiorò.

-C'è nessuno?- gridò nell'androne vuoto e grigio, ma fu solo il suo eco a risponderle.

Era ampio, l'ingresso, ampio e polveroso, quasi nessuno vi avesse messo piede per anni. I passi di Harry risuonavano nel vuoto e lei si strinse nel mantello, rabbrividendo per la paura che le incuteva quel posto.

-Ehilà! Nessuno in casa?-

-Mycroft? Hai visto? C’è un’ospite …-

Harry sentì un sussurro alle sue spalle, ma quando si voltò non vide nessuno.

-Sssh! Fai silenzio!-

Harry si girò di nuovo e la sua attenzione venne attratta da un mobile a pochi passi da lei, sul quale erano poggiati un candelabro e una piccola pendola panciuta. Se non lo avesse ritenuto impossibile, avrebbe detto che i due oggetti avevano … qualcosa di umano.

Prese in mano il candelabro e giurò di aver sentito di nuovo la prima voce.

-Non ti muovere, Lestrade. Rimani esattamente immobile.-

Questa volta, però, fu più rapida. Spostò lo sguardo e vide che era stata la pendola a parlare. Lasciò il candelabro e afferrò l’altro, osservandolo da vicino.

-Oggetti parlanti? Come funzionate, esattamente? C’è un ingranaggio da qualche parte?- chiese, a nessuno in particolare, aprendo la cassa e armeggiando con il pendolo in ottone.

-Nessun trucco, madame. E le sarei grata se mi rimettesse dove mi ha trovato.-

Harry fece letteralmente un salto per la sorpresa, quando la pendola parlò di nuovo, ma non lasciò andare la presa.

-Allora, se non si tratta di scienza … magia?- sussurrò, sobbalzando quando il candelabro si accese da solo.

-Molto arguta, signorina …?- chiese il candelabro.

-Harriet Watson, ma tutti mi chiamano Harry- si presentò lei, ancora troppo scossa per articolare altro.

-Il mio nome è Gregory Lestrade, sono il maître di questa dimora, e lui è Mycroft Holmes, il capo maggiordomo.-

Mycroft accennò a un saluto, imbronciato, mentre Lestrade continuava a parlare, entusiasta di ricevere un ospite dopo così tanti anni.

-La signorina Harry si ferma per cena? La Cucina ne sarebbe entusiasta. Per non parlare dei Piatti, dei Bicchieri e delle Posate …-

-Lestrade- lo interruppe Mycroft, -non credo che madame rimarrà per molto. Accompagnala alla porta.-

-Oh, davvero volete andarvene?- chiese Greg, la cera che colava sul ripiano per la tristezza.

-Assolutamente no! Fuori diluvia e qui non c’è anima viva! Be’, a parte voi due. E quella storia su cucine, piatti e bicchieri. Chiedo solo di restare per la notte. O quantomeno finché non spioverà- lo contraddisse Harry, facendo brillare il sorriso di Lestrade.

-Bene, signorina Harry, ci segua!- si mise in marcia il candelabro, mentre Mycroft si copriva il quadrante con le … mani… e mormorava abbattuto.

-Il principe ci ucciderà …-

 

 

Lestrade la condusse in una piccola stanza di legno al primo piano, facendole salire il monumentale scalone di marmo, il cui tappeto rosso era polveroso oltre ogni dire. Più si addentrava in quel castello, più Harry si convinceva che c’era qualcosa che non andava. A partire dagli oggetti parlanti, fino ad arrivare al fatto che, evidentemente, c’era un padrone misterioso e maleducato che non era venuto ad offrirle la sua ospitalità. E poi quel posto sembrava abbandonato da anni ed era una cosa piuttosto bizzarra, dato che, a sentire Lestrade e Mycroft, c’era un principe che lo abitava.

Ma chi avrebbe mai potuto vivere in tanto squallore e disastro?

-Oh, non sulla poltrona del padrone- gemette Mycroft, quando Lestrade fece accomodare Harry davanti al fuoco che si era acceso da solo quando erano entrati nella stanza.

Harry non fece a tempo a sedersi che uno sgabello entrò di corsa, abbaiando, e piazzandosi sotto i suoi piedi.

-Ehi, piccolino- lo accarezzò lei, che aveva deciso di adeguarsi alle stranezze fin quando ci sarebbero stati un focolare e una comoda poltrona.

-Ed ecco che arrivano i rifocillamenti- esclamò allegro Lestrade, quando un carrello si spinse da solo davanti ad Harry e la teiera versò del the in una piccola tazzina.

-Signora Hudson, Clara, vi presento Harriet Watson- disse cerimonioso Mycroft, ligio al suo dovere di maggiordomo.

-Signorina, siamo così felici di vederla- esclamò la signora Hudson, la teiera, sorridendole, -è così tanto tempo che nessuno ci faceva visita …-

-Già, qui è stato davvero un mortorio- fece eco Clara, la tazzina, saltando in grembo ad Harry. –Ma adesso che ci sei tu le cose cambieranno, non è vero? Sei qui per la …-

Ma Harry non seppe mai cosa Clara stava per dire. Un ruggito interruppe l’allegro chiacchiericcio, facendo sbiancare tutti quanti, primo fa tutti Mycroft, a cui si fermò persino la pendola.

-È il padrone- bisbigliò, deglutendo a fatica. –Ve lo avevo detto di non farla entrare! Ve lo avevo detto di farla uscire immediatamente!-

In un attimo, sulla soglia comparve l’essere più mostruoso che Harry avesse mai visto. Era alto il doppio di ogni altro essere umano, vestiva solo dei pantaloni scuri e un mantello rattoppato ed era completamente coperto di peli. Sul viso, sopra gli occhi chiari, terribili corna arcuate, e dalla bocca spuntavano orrende zanne. Le zampe erano ricoperte di artigli acuminati e il ringhio che emetteva era sordo e terribile.

-Chi è questa?- esclamò, spegnendo con un respiro il fuoco e facendo piombare la stanza nel buio più totale.

-Harriet Watson- bisbigliò lei, alzandosi piano dalla poltrona e posando Clara sul carrello, accanto alla signora Hudson. –Lieta di fare la sua conoscenza …-

Ma un altro ruggito interruppe la sua tentata presentazione.

-Non sei la benvenuta!-

-Io l’avevo detto di non farla entrare, padrone- disse Mycroft, che era mezzo nascosto sotto il tappeto. –Ma gli altri non mi hanno dato ascolto …-

-SILENZIO!- ringhiò la Bestia, afferrando Harry per il colletto del vestito. –Dato che la signorina era così determinata dall’entrare nel castello, faremo in modo che non lo lasci più- concluse, trascinandola via con sé.












Inathia's nook:
ed eccomi qua, tornata in pompa magna :) un po' lo siete, felici? spero non vi siate dimenticate di me! comunque, non preoccupatevi, venerdì/sabato arriverà un altro capitolo e poi, credo, si dovrebbe tornare alla normalità.
Non ho molto da dire sul capitolo, se non che sono felicissima che la storia, che conta ancora pochi capitoli, sia già seguita e preferita da tanti. per non parlare delle recensioni <3 vi lovvo davvero davvero tanto.
Be', non mi rimane che mandarmi un grande bacione e sperare che mi lasciate un commentino :)

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Capitolo 4
*** Do we have a deal? ***


Do we have a deal?



-Philip!- esclamò, lasciando cadere il secchio che reggeva in mano e correndo verso il cavallo. –Philip, che è successo, dov’è Harry?- chiese, rendendosi conto solo dopo che Philip era solo un animale e non poteva parlargli.

Non poteva parlargli, vero, ma una cosa poteva farla.

Gli saltò in groppa mentre il sole cominciava a tramontare e gli piantò i talloni nei fianchi.

-Vai Philip, vola come il vento. E portami da Harry!-

La cavalcata durò fino a notte fonda. Philip aveva avuto qualche incertezza, ma poi lo aveva condotto fino all’ultimo punto in cui era stato con Harry. Proprio al centro della foresta, dove le ombre erano più nere e gli alberi scricchiolavano a ogni folata.

John smontò con prudenza e tenne Philip per le redini, per evitare che scappasse di nuovo. Era l’unico che li potesse riportare al villaggio e non lo avrebbe lasciato andare. Non senza Harry.

Camminò piano, inoltrandosi nel bosco e rabbrividendo sia per il freddo che per la paura.

Dove diavolo si era cacciata sua sorella? In che guaio era finita?

Alla fine raggiunsero un enorme cancello e dietro di esso, mezzo nascosto da nuvole e nebbia, uno spettrale castello.

-Philip, credi che Harry sia qui?-

Il cavallo si limitò a nitrire e John scosse la testa, legandolo a un albero.

-Buono, Philip. Torno subito. E se Harry è qui dentro, ce ne andremo tutti insieme, è una promessa- lo accarezzò un’ultima volta prima di trovare coraggio e avanzare verso il castello definitivamente, senza voltarsi indietro.

Avanzò piano, nemmeno rendendosi conto del cancello che si era aperto e poi richiuso da solo alle sue spalle, senza un cigolio né un rumore. Quasi invitandolo a proseguire senza allarmarsi.

Il giardino era mal tenuto, ma un tempo doveva essere stato splendido, con sentieri segnati da ghiaia bianca e aiuole dai fiori colorati.

Ma John non aveva tempo per la botanica, doveva trovare Harry ed andarsene, prima che la pioggia ricominciasse a scendere. Si tirò giù il cappuccio del mantello e si preparò a bussare piano al portone, ma non ce ne fu bisogno. Non appena lo sfiorò, quello si aprì, rivelando un androne buio e sinistro.

-Harry, sei qui? C’è nessuno?- cominciò a chiamare, ma nessuno rispose.

Per terra, il vecchio mantello verde della sorella.

-HARRY!- esclamò John, raccogliendolo e cullandolo quasi fosse lei in persona. –Allora sei qui …- mormorò, cercando qualcosa per farsi luce.

Salì l’immenso scalone, il mantello stretto in pugno, guardandosi in giro con occhi aperti, ma non c’era anima viva. Sembrava quasi un castello fantasma. Gli ampi corridoi, i ritratti alle pareti, i tappeti per terra … tutto mostrava i segni di un’antica eleganza e ricchezza, per qualche motivo scomparsa per sempre.

-Te lo avevo detto di non fare entrare quella tipa. Ma tu “no, no. Solo qualche minuto davanti al camino”. E proprio la poltrona del padrone dovevi scegliere?-

-Stavo solo cercando di essere ospitale!-

-Oh, proprio una genialata. Ora il padrone è arrabbiato con noi!-

-E io cosa che potevo saper …-

-Ssh!-

John si voltò di scatto, convinto di aver sentito delle voci, ma poi scosse la testa, dandosi del matto. Il palazzo era chiaramente disabitato. Forse Harry non era lì, forse tutto quello era un’immensa perdita di tempo e sua sorella era da qualche parte persa nel bosco, sola e al freddo.

-Hai visto anche tu quello che ho visto io?-

-Certo, Lestrade, ce li ho anche io gli occhi!-

-Allora, forse lui è quello che abbiamo aspettato per tutto questo tempo, il ragazzo che spezzerà l’incantesimo!-

-Ti ho detto di stare zitto!-

John sollevò un sopracciglio. Questa volta le voci erano state più vicine, era così convinto …

Nah, impossibile!

-HARRY!- ricominciò a chiamare, promettendo a se stesso che se non l’avesse trovata nemmeno a quel piano se ne sarebbe andato.

Prese il primo corridoio a sinistra, senza riuscire a togliersi dalla testa l’idea di essere seguito da qualcosa. Aprì la prima porta alla sua sinistra e cominciò a salire le scale di pietra a chiocciola.

-Ehi, c’è nessuno? Sto cercando mia sorella … solo lei. Non voglio guai!- gridò. –AH! Ma che sto facendo?- si rimproverò, scuotendo la testa.

Eppure, era così convinto che il candelabro alla sua destra gli avesse sorriso …

-John?-

Il ragazzo si voltò di scatto. La voce veniva da poco distante dalla sua posizione ed era di Harry, non c’erano dubbi.

-Harry! Sono qui, sono io, John!-

John corse tutta la distanza che lo separava della cella in cui era rinchiusa la sorella e afferrò saldamente le mani che lei aveva spinto fuori.

-Come hai fatto a trovarmi?- pianse Harry, stringendo forte la mano di John.

-Chi ti ha messo qui dentro?- chiese John, indignato per il fatto che la sorella fosse dietro le sbarre.

Ma un colpo di tosse di Harry lo riscosse.

-Devi andartene- balbettò lei, tossendo ancora. –Vai e lasciami qui.-

-Non ci pensare neanche. Dammi tempo due secondi e ti tiro fuori. Ho lasciato Philip all’ingresso, saremo a casa prima dell’alba. -

-CHI SEI TU?-

John si sentì afferrare per il collo e trascinare in aria finché non riuscì più a respirare. Boccheggiò e la presa si allentò e lui cadde bocconi sul pavimento. La torcia che aveva trovato rotolò fino a una pozza e si spense, facendo calare la torre - prigione in un buio pesto. Solo un faro di luce, al centro della stanza.

-Chi c’è?- chiese John, mentre Harry ricominciava a piangere alle sue spalle e lo implorava di andarsene. –Ho chiesto chi c’è?- ripeté John, dimostrando un coraggio che nemmeno lui stesso avrebbe mai creduto di possedere.

-Sono il padrone del castello- ringhiò una voce nell’oscurità e John, istintivamente afferrò di nuovo la mano di Harry.

-Sono venuto per mia sorella. Vi prego, lasciatela andare. Non vedete che sta male?-

-Allora non sarebbe dovuta venire!- fu la risposta secca, arrabbiata, che arrivò dal nulla.

-Vi prego!- supplicò John. –Farò qualsiasi cosa- aggiunse alla fine, respirando profondamente.

-No, non c’è nulla che tu possa fare, ragazzino. È mia prigioniera- ribadì quella voce gutturale che a John metteva i brividi.

-Oh, ma … Aspettate!- esclamò. –Prendete me al suo posto- decise alla fine, alzando fiero lo sguardo nel cono di luce.

-Te? Prendere te al suo posto? Tu … tu faresti questo per lei?- chiese la voce, perdendo per un attimo quella rabbia e quel ringhio che l’avevano contraddistinta fino a quel momento. Ora, sembrava quasi umana.

-NO! John, va’ via!- pianse Harry, aggrappandosi alle sbarre e scuotendole forte per attirare l’attenzione del fratello.

-Se lo facessi- ricominciò John, chiudendo gli occhi quasi per non sentire le urla della sorella. –Se lo facessi, la lascereste andare?-

-Sì- fu la semplice risposta. –Ma devi promettere di rimanere qui per sempre.-

John sgranò gli occhi, questo non se lo sarebbe aspettato. Ma non si sarebbe tirato indietro a quel punto. Non se era la vita di Harry ad essere in gioco.

-Venite alla luce- provocò il suo futuro carceriere, dimostrando anche curiosità.

La prima cosa che vide fu una zampa, che si allungava nel cono di luce, quasi timorosa. Poi il petto, irsuto e possente. E infine il muso, coperto anch’esso da peluria, con due grosse corna sul capo e una sfilza di zanne in bocca.

John trattenne il fiato, questo non se lo sarebbe aspettato. Per un attimo la sua sicurezza vacillò, si portò le mani alla bocca per non gridare. Si voltò verso Harry e lei lo afferrò, tenendolo stretto, le lacrime come scie d’argento sul suo viso stanco e terrorizzato.

-No, John! Non puoi farlo, non te lo lascerò fare!-

Ma John fece un respiro profondo e si girò di nuovo verso la Bestia.

-Avete la mia parola.-

-Affare fatto- ruggì quella, quasi vittorioso.

John si accasciò per terra, come svuotato, e la Bestia gli passò accanto per aprire la porta dove teneva Harry.

Lei gli corse al fianco e tentò di nuovo di dissuaderlo, ma John non sentiva più nulla.

C’era il vuoto dentro e attorno a lui.

E pensare che fino a quella mattina la sua più grande preoccupazione era stato quello scocciatore del signor Moriarty. Ora avrebbe accettato di sposare mille Mary, pur di tornare all’aria aperta, pur di lasciare quel castello e il suo carceriere per sempre.

-John, John ti prego, ascoltami! Lasciami qui, vai tu a casa!- continuava a implorarlo Harry, ma John la strinse senza calore.

La Bestia afferrò sua sorella per la collottola del vestito e solo quello sembrò riscuoterlo per un secondo. Dalla finestra della torre, guardò la Bestia trascinare Harry fino a una spettrale carrozza, che su ordine del suo padrone si mise in moto e cominciò ad allontanarsi.

Dei passi strascicati gli dissero che quell’essere stava tornando sui suoi passi. Lo sentì parlottare con qualcuno, ma poi la conversazione venne conclusa con un ruggito.

-Non mi avete dato nemmeno il tempo di dirle addio- esordì, quando la Bestia entrò nella torre, girandosi per affrontarlo. Stava cercando di rimanere calmo, ma la rabbia, sommata all’enormità della cosa che aveva fatto che solo in quel momento cominciava a capire seriamente, lo stava mettendo a dura prova.

Strinse i pugni e si disse che era meglio imparare fin da subito a non temere quel bestione, oppure quel “per sempre” sarebbe stato dannatamente lungo.

-È mia sorella e, grazie a voi, non la  vedrò mai più. E non mi avete dato nemmeno il tempo di salutarla.-

Qualcosa negli occhi chiari della Bestia si mosse. Se John non lo avesse ritenuto possibile, avrebbe creduto che si trattasse di rimorso.

-Ti mostrerò la tua stanza- disse, con quella voce che, in alcuni istanti, sembrava essere umana.

-La mia stanza? Io non ne ho una …- ribatté stupidamente John.

-Vuoi rimanere nella torre?- replicò beffarda la Bestia. –Allora seguimi, da questa parte.-

La Bestia fece luce, afferrando quel candelabro che, qualche ora prima, John era certo gli avesse sorriso. Camminarono in silenzio per i vasti corridoi e il ragazzo trasalì, nel vedere ovunque sculture e bassorilievi raffiguranti mostri e creature dall’aspetto ripugnante.

-Gli dica qualcosa di carino- sentì una voce sussurrare e la Bestia si girò verso di lui, palesemente imbarazzato.

-Spero ti piaccia qui. Il castello è casa tua adesso. Puoi andare ovunque vorrai, solo l’Ala Ovest è proibita- disse, sempre un po’ troppo rudemente, ma era un inizio.

-Cosa c’è nell’Ala Ovest?- chiese John, la curiosità che vinceva su tutte le altre emozioni.

-È proibito andarci- tuonò la Bestia, girandosi di scatto e spaventandolo.

Ripresero a camminare in silenzio, John che si teneva a debita distanza.

Si fermarono dopo qualche tempo davanti a una porta e la Bestia l’aprì, illuminando parzialmente l’interno.

-Questa è la tua stanza. Ora, se hai bisogno di qualcosa, puoi chiedere alla servitù- disse, quasi a voler rimediare della sfuriata di prima.

-Lo inviti a cena- sussurrò di nuovo quella stessa voce, ma John non se ne curò. Quella davanti a lui era la stanza più grande e più ricca che avesse mai visto.

-Cenerai con me e questo non è un invito- ordinò la Bestia, come rimangiandosi improvvisamente la gentilezza di poco prima, sbattendo la porta prima di uscire.

Non appena sentì i passi allontanarsi, John crollò sul letto, lasciandosi finalmente andare alle lacrime.












Inathia's nook:

queste note autrice cominciano con dei dovutissimi ringraziamenti. siete in tantissime (i?) a seguire la storia, a recensire e questo mi riempie davvero di gioia (non smentitemi a questo capitolo, vi prego ;P). Grazie davvero per la vostra vicinanza. La storia vi ha conquistate (i?) così come ha fatto innamorare me che la scrivevo e sono felicissima di non essere sola in questo viaggio Disney/Sherlockiano :)
restando in tema di ringraziamenti, fate un grande applauso a Johnlock is the way (e fatevi anche un giro sulla sua pagina... la signorina scrive divinamente) se questa storia è scritta in italiano.

tornando al capitolo, ormai siamo nel pieno della storia, prima interazione tra John e la Bestia/Sherlock. Non delle migliori, sono d'accordo, ma non poteva essere tutto rose e fiori fin dal principio, no? vedrete come il loro rapporto si evolverà..
ma non voglio ammorbarvi di più, vi lascio. Ssperando di poter aggiornare puntualmente la settimana prossima :)

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Capitolo 5
*** And the petal fell... ***


And the petal fell...




Solo qualche tempo più tardi si rese conto di essersi addormentato.

Si alzò stropicciandosi gli occhi, la bocca impastata e lo stomaco gorgogliante. Probabilmente aveva saltato la cena, aveva lasciato la Bestia da sola e sapeva ci sarebbero state conseguenze. Ma non gli importava. Era già suo prigioniero per l’eternità, che altro poteva fargli?

Sentì qualcuno bussare alla porta e si svegliò definitivamente, sbadigliando.

-Chi è?- chiese, avvicinandosi piano.

-La signora Hudson!- tubò una voce da fuori. –Pensavo avresti gradito una tazza di the.-

John aprì piano la porta e una teiera e una piccola tazza fecero il loro ingresso saltellando nella stanza. Le luci si accesero da sole e per poco a John non venne un infarto.

-Ma voi siete … e anche lei … non è possibile- balbettò, andando a sbattere contro il grande armadio accanto al letto.

-Ehi, piano giovanotto- esclamò l’armadio.

John lo guardò stralunato.

-Questo … questo è assurdo.-

-Lo so che lo è- commentò sempre l’armadio. –Eppure eccoci qui.-

-Te lo avevo detto che era carino- commentò la tazzina, ammiccando alla teiera.

-Sì, Clara, come dici tu. Ora,- proseguì la signora Hudson, -portagli questo the. E fai piano- comandò, dopo aver dato istruzioni alla zuccheriera.

-Oh, grazie mille- fece John, rassegnandosi a quelle stranezze e sedendosi per terra. D’altra parte, dato che quella sarebbe stata la sua casa da quel giorno in poi e la Bestia non sembrava molto di compagnia, meglio fare amicizia con chi si dimostrava attento alle sue esigenze. Che questi poi fossero una teiera, una tazzina e un armadio, poco importava.

-Guarda che so fare- esclamò Clara, diventando improvvisamente tutta rossa e producendo bolle che agitarono tutto il the.

John si ritrovò a ridere. E si stupì così tanto del fatto che rise di nuovo e ancora.

-Quello che hai fatto è stato davvero coraggioso- disse la signora Hudson con affetto nella voce.

-Sì, già …- commentò John, rigirandosi Clara tra le mani. –Ma ho perso tutto. Mia sorella, i miei sogni …-

-Oh, sono sicura che tutto finirà bene- lo rassicurò la teiera. –Ma sentimi, sto qui a blaterare quando c’è la cena da mettere in tavola! Su Clara, saluta il nostro ospite!-

Cena?

John impallidì, era sicuro di essere riuscito a scamparla …

-Allora, cosa preferisci indossare? Ho praticamente di tutto, qui dentro- esordì l’armadio. –Che ne dici di questo?- chiese, tirando fuori una camicia bianca con pantaloni e panciotto blu notte, con dei ricami d’oro.

-Non ho alcuna intenzione di andare a cena … con quello là- tentò di rifiutare John, riponendo sulla gruccia i magnifici abiti che l’armadio gli porgeva.

-Oh, ma non puoi rifiutare- ribatté scandalizzata lei.

In quel momento la porta alle loro spalle si aprì e una piccola pendola panciuta fece il suo ingresso, schiarendosi la gola come se stesse per annunciare chissà chi. L’armadio ammiccò a John, ma lui si limitò ad alzare gli occhi al cielo.

-La cena, è servita- disse, concludendo con un piccolo inchino.

 

 

 

 

Sherlock si aggirava nervoso per la sala da pranzo. Era praticamente certo che il ragazzo non sarebbe venuto. Anche se glielo aveva ordinato, non sembrava tipo che faceva qualcosa solo perché gli veniva imposto. Anzi, delle due era proprio quello che lo spingeva a fare il contrario.

-Perché non è ancora arrivato?- ringhiò, sfogando la sua ansia sui servitori. –Ho dato ordine a Mycroft di dirgli di scendere. Perché ci mette così tanto?-

-Cerchi di essere paziente, padrone- lo rassicurò la signora Hudson. –Il ragazzo ha perso la sorella e il padre nella stessa giornata. È parecchio da digerire.-

-Padrone- intervenne Lestrade, -ha pensato che lui potrebbe essere quello che spezzerà la maledizione?-

-Certo che ci ho pensato- rispose spazientito Sherlock, continuando ad andare su e giù per la stanza.

-Oh, ma allora siamo a cavallo. Lui si innamora di lei, lei si innamora di lui e … puff!- esclamò Lestrade, spegnendosi le mani. –L’incantesimo non c’è più. Lei potrebbe essere di nuovo umano entro mezzanotte!-

-Non essere sciocco, Gregory- lo rimproverò la signora Hudson. –Queste cose necessitano tempo!-

-Ma la rosa ha già cominciato a perdere i suoi petali- si allarmò Lestrade.

-E credi che per me sia semplice?- borbottò Sherlock. –Lui è bell … umano, un ragazzo. E io sono un mostro orrendo!-

-Be’, intanto può fare qualcosa per migliorarsi.-

-E cosa?- chiese Sherlock, seguendo con gli occhi la signora Hudson che atterrava sul tavolo davanti a lui.

-Stia dritto! Bene, così. E poi la smetta di essere così burbero.-

-Esatto, sorrida- lo incoraggio Lestrade. –Su, mi faccia un bel sorriso.-

Sherlock tentò, ma il risultato era a metà tra un qualcosa di spaventoso, orrendo e ridicolo.

-E non lo spaventi, lo lasci parlare.-

-Ma non sia timido, dica qualcosa anche lei.-

-Sono sicura che lo conquisterà con il suo charme regale.-

-E intelligenza- convenne Lestrade.

-Gli faccia qualche complimento …-

-… ma sia sincero e obiettivo.-

Sherlock ormai, sommerso da consigli, si teneva la testa con entrambe le mani.

-Ma, soprattutto- conclusero entrambi in coro, -controlli il suo caratteraccio!-

La porta si socchiuse quando i due finirono le loro raccomandazioni dell’ultimo minuto.

-Eccolo- trillò la signora Hudson.

Ma sull’uscio comparve solo Mycroft, in palese imbarazzo.

-Be’, dov’è lui?- ringhiò Sherlock.

-Lui?- gli fece eco la pendola. –Oh, ma certo, il ragazzo. Ovvio, ovvio. Ecco, come dire … il nostro ospite è … si trova in una situazione … mi ha detto di riferirle … lui non verrà- concluse, guardando per terra.

Sherlock sgranò gli occhi, poi serrò le labbra, facendo stridere le zanne.

-CHE COSA?- tuonò, balzando fuori dalla sala da pranzo e correndo per i corridoi, i tre servitori al seguito.

-Vostra Grazia …- tentò la signora Hudson.

-Vostra Altezza …- provò Lestrade.

-Vostra Magnificenza …- si azzardò Mycroft, ma nulla poteva placare l’ira di Sherlock.

Corse a perdifiato fino alla stanza di John e bussò talmente forte che ai tre servitori sembrò quasi che la porta potesse cedere da un momento all’altro.

-Pensavo di avervi detto di scendere per cena!-

-Non ho fame- fu la replica dall’interno, secca.

Sherlock gonfiò il petto per la rabbia, assottigliando gli occhi. La signora Hudson, Mycroft e Lestrade si presero la testa tra le mani. Sarebbe stato più difficile e complicato del previsto.

-Esci subito fuori o … o … o … o butterò giù la porta!-

-Padrone, potrei sbagliarmi- cominciò Lestrade, -ma non credo che questo sia il modo migliore per, non dico farlo capitolare, ma almeno avere la sua amicizia.-

-La prego … provi ad essere un gentiluomo- gli fece eco Mycroft.

-Lo sta rendendo piuttosto difficile- replicò stizzito Sherlock, lanciando un’occhiata astiosa alla porta.

-Provi di nuovo. E questa volta, con gentilezza- lo incoraggiò la signora Hudson.

-Scenderesti per cena?- borbottò di nuovo Sherlock, e questa volta sembrava davvero una richiesta. Non troppo entusiasta, ma era decisamente meglio di un ordine e di una minaccia a buttare giù la porta.

-NO!- fu comunque la risposta.

Sherlock si voltò verso i tre, indicando la porta, come a voler dire che era John quello in torto e non lui.

-Di nuovo. Soave e gentile- lo spronò Mycroft.

-Mi farebbe molto piacere se ti unissi a me per cena- ritentò, questa volta mettendoci anche una specie di inchino. Peccato che la colonna sonora del tutto fu il suo ringhio sordo e che il tono fosse leggermente sarcastico e sprezzante.

-Per favore- completò Mycroft, guadagnandosi un’occhiataccia.

-Per favore- aggiunse Sherlock, alzando gli occhi al cielo.

-NO, grazie- fu comunque la risposta di John e Sherlock perse definitivamente la pazienza.

-Non puoi rimanere lì dentro per sempre- sbottò.

-Oh, sì che posso- replicò John dall’interno.

-Bene, allora. Restaci- concluse, ruggendo le ultime sillabe. –Se non cena con me, allora non cenerà affatto- ordinò ai domestici.

Poi scomparve, balzando via, facendo tremare il pavimento e i muri con la sua rabbia.

-Non è andata molto bene, vero?- disse la signora Hudson. –Oh cielo, questi due testoni. Ci vorrà più del previsto-

-Lestrade, hai sentito gli ordini del padrone. Stai di guardia alla porta e avvertimi del più minimo movimento- decise Mycroft.

-Puoi contare su di me, mio capitano- annuì Lestrade, facendo il saluto militare.

-Quanto a noi- continuò Mycroft, -tanto vale che torniamo di sotto e cominciamo a pulire …-

 

 

 

Sherlock entrò come una furia nella sua ala del castello. Tutto lì parlava, anzi gridava la disperazione che lo aveva colto dopo la trasformazione, la rabbia che aveva scatenato contro qualsiasi cosa si trovasse davanti.

C’erano arazzi con segni delle sue unghie, mezzi staccati dalle pareti. Tavolini e divanetti ribaltati, sfoderati, fatti a pezzi e lasciati a marcire. Tende che sembravano fantasmi, pallide e polverose contro le vetrate.

-Ho provato a essere gentile, ma non funziona!- gridò, sfogandosi.

Arrivò all’unico tavolo che la sua furia aveva lasciato intatto, quello sul quale, in una teca, stava sospesa la rosa che aveva rovinato la sua vita. Era ancora perfetta come il primo giorno, quasi quegli anni non fossero mai esistititi, ma aveva cominciato a perdere qualche petalo, segno che il suo ventunesimo compleanno si stava avvicinando.

Afferrò con rabbia lo specchio magico.

-Mostrami il ragazzo- ordinò e la superficie si increspò per un attimo, facendogli vedere John, seduto sul letto in camera sua, che a braccia incrociate discuteva con l’armadio.

-Non è così male, una volta che ti ci abitui- stava dicendo il guardaroba -Perché non dai un’opportunità e provi a conoscerlo?-

-Io non voglio conoscerlo!- la interruppe John. –Io non voglio averci niente a che fare!-

Sherlock chiuse gli occhi, ferito da quelle parole, anche se sapeva di meritarsele.

-Mi sto solo illudendo …- mormorò, - ai suoi occhi resterò sempre un mostro, non importa quanto mi sforzi.-

E, in quel momento, cadde un altro petalo.










Inathia's nook:

ed eccomi anche questa settimana :) capitolo piuttosto lungo e intenso, lo ammetto, ma non volevo dividerlo in due. ho fatto bene?
come già detto, prendo sempre molto spunto dal cartone animato, ma alcune scene dsono davvero impossibili da replicare. Vedi la canzone che viene cantata in cucina quando Belle scende per cena e viene accolta dai domestici. Ho provato a renderla al meglio e spero di esserci riuscita.
Per quanto riguarda il resto, non ho molto da dire, se non sul finale. Sherlock non è già innamorato, ovvio, sarebbe assurdo e improbabile. Per adesso, diciamo solo che ammira molto John e trova i suoi comportamenti spiazzanti. Non si lascia intimorire, ha il coraggio di dirgli di no e di farsi valere... E quindi si è reso conto che deve cambiare, per meritarlo. Ma sa anche che non sarà facile, perchè spesso la prima impressione è quella che conta...
e servirà qualcosa di veramente grosso per avvicinarli :)
un bacione e (spero) alla prossima settimana <3

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Capitolo 6
*** Be our guest ***


Be our guest




Moriarty se ne stava seduto alla locanda del villaggio nella sua poltrona preferita, quella ricoperta dalle pelli degli animali che lui stesso aveva cacciato, a pochi passi dal fuoco. La testa tra le mani, era di spalle rispetto a tutta la sala. John Watson aveva rifiutato di nuovo la sua Mary e tutti al paese ora ridevano di lui.

Affondò nella pelliccia, sospirando.

-Su, Jim, non è andata così male- provò a tirarlo su di morale Moran, sedendosi su uno sgabellino accanto a lui.

-Non è andata così male?- lo scimmiottò Moriarty, rivolgendogli un’occhiata di fuoco e facendo poi vagare lo sguardo fino alla figlioccia, che chiacchierava tranquillamente con altre ragazze, dal lato opposto della locanda. –Guardala, Seb. Perché John Watson non la vuole sposare?-

Mary aveva portato da bere alle sue amiche e ora ridevano tutte quante. Non appena vide che il padrino la stava guardando, lo salutò con un sorriso aperto.

-Forse non è innamorato- provò Sebastian.

-E cosa c’entra l’amore in tutto questo?- ribatté Jim, sollevando un sopracciglio.

-Oh, l’amore c’entra sempre- mormorò Moran.

-Che hai detto?- chiese Jim, che non aveva sentito nulla di quello che il segretario aveva detto, perso come sempre nei suoi pensieri. –Forse dovrei lasciar perdere- concluse alla fine, allungandosi nella poltrona.

-Non saresti il Jim Moriarty che conosco io, se lasciassi perdere.-

-E quale sarebbe “il Jim Moriarty che conosci tu”?- lo citò Jim, facendosi più vicino.

Moran arrossì violentemente, ma non si ritrasse.

-Tu sei il migliore. Il meglio che questo villaggio abbia. Non ti lasci abbattere da niente, raggiungi sempre i tuoi obiettivi e sei un capo nato. Qui tutti ti devono dei favori, sei l’uomo più influente del paese e anche il più intelligente.-

-E tu come fai ad essere così sicuro di tutto ciò?-

-Perché io ti a… ti ho osservato per anni- si corresse in extremis Moran. Non sapeva se Jim ricambiasse quello che lui cominciava a provare, da come reagiva stizzito alle malelingue si poteva dire di no, ma Sebastian non demordeva. Lo aveva amato in silenzio per tutti quegli anni, avrebbe continuato, sempre.

-Quindi cosa dovrei fare, secondo te?- chiese Jim, scrutandosi attentamente le unghie, ma riuscendo allo stesso tempo a far sentire Sebastian osservato.

-Quello che fai sempre. Devi avere un piano.-

-Ah!- lo derise Jim, -Seb, i piani non piovono mica dal cielo!-

Come a volerlo contraddire immediatamente, la porta della locanda si spalancò e una trafelata Harry Watson venne spinta dentro dalla bufera di neve che si stava scatenando fuori.

-Aiuto! Vi prego qualcuno mi aiuti!- cominciò a gridare, ma nel frastuono nessuno fece caso a lei.

Anzi, una delle cameriere le chiese anche di spostarsi perché intralciava il passaggio.

-Oh, vi scongiuro, dovete aiutarmi!-

-Seb, vai un po’ a vedere che cosa blatera la pazza …- borbottò Jim, agitandosi svogliatamente la mano. –Il suo gridare mi disturba troppo.-

Moran annuì e Jim lo vide in lontananza discutere animatamente con quell’alcolizzata della sorella di John Watson. Seb sembrava intontito dalla quantità di informazioni che stava ricevendo e Harriet continuava ad agitare le mani ed a interrompersi, scossa da una forte tosse e dai singhiozzi.

Quando non ne poté più di quello spettacolino deprimente, Jim fece cenno a Sebastian di portarla da lui. Dopo tutto, si stava annoiando, e la sorella di Watson poteva rivelarsi utile, a suo modo.

-… ve lo giuro, non me lo sto inventando!- continuava a dire lei, aggrappata alla manica di Moran. –Vi scongiuro, dovete credermi!-

Sebastian la guardò disgustato e poi piantò i suoi occhi di ghiaccio su Jim. Della serie “questa è pazza, mandala via, ti prego”.

Jim scosse la testa e nascose una risatina.

-Signorina Watson, qual buon vento- disse, invece, facendola accomodare sulla sua poltrona e lasciando basito Sebastian.

-Oh, signor Moriarty, almeno lei, mi ascolti!-

-Sono tutto orecchi- sorrise mellifluo Jim, sedendosi su uno dei braccioli, Moran alle sue spalle come un’ombra. –Mi racconti tutto. Dal principio.-

-Si tratta di mio fratello, è in pericolo. Io glielo avevo detto di non farlo, ma lui si è offerto lo stesso … e ora deve stare là … per sempre …-

Jim aveva alzato gli occhi al cielo a metà del discorso di Harry, mentre Seb, dietro di lui, rideva sotto i baffi, prendendo in giro la ragazza, facendo finta di bere da una bottiglia invisibile. Jim gli diede una gomitata nelle costole, ma poi si ritrovò a ridere a sua volta.

-Falla finita- sillabò, le lacrime agli occhi.

Moran si strinse nelle spalle.

-Vuoi che la sbatta fuori?- gli sussurrò all’orecchio, procurandogli un brivido di piacere.

Jim annuì, sempre sorridendogli.

Sebastian stava per sollevare Harry di peso quando lei disse qualcosa che li fece scoppiare a ridere così tanto da dimenticarsi di tutto il resto.

-John è nel castello, con la Bestia. In un castello nel bosco, con oggetti parlanti. E la Bestia è terribile, con le corna e i peli…-

Jim si prese la testa tra le mani e si allontanò verso il camino, mentre Seb era accanto a lui, una mano premuta forte sulla bocca per cercare di trattenersi.

-Bene, signorina Watson…- cominciò Jim, che si dovette subito interrompere perché Sebastian era di nuovo scoppiato a ridergli in faccia, mandando all’aria tutti i suoi buoni propositi di non ridere in faccia alla poveretta. Che aveva evidentemente bevuto troppo e dormito poco.

-La accompagno alla porta- si propose Moran, scambiando un’ultima risatina con Jim. –Venga, venga con me.-

-Non mi credete, è così, non è vero?- pianse sconsolata Harry, lasciandosi trascinare inerte da Sebastian. –Ma vi giuro che non ho bevuto, che non mi sono inventata nulla! Non sono pazza!- gridò alla fine, atterrando nella neve, la porta che sbatteva alle sue spalle.

Moran tornò al caminetto, dove Jim aveva smesso di ridere, ma il sorriso non aveva abbandonato le sue labbra.

-Conosco quello sguardo- commentò Sebastian. –Hai un piano.-

Jim annuì, accarezzandosi il mento.

-Hai sentito cosa ha detto alla fine …-

-Quella cosa della bestia? Dai, Jim, non puoi davvero credere …-

-Io non ho detto che le credo, ma qui l’hanno sentita tutti gridare e urlare cose assurde. Abbastanza da farla passare per pazza- aggiunse, contento di vedere che Seb aveva già capito dove quel discorso sarebbe andato a parare. –Se a questo aggiungiamo la sua reputazione e le sue ultime parole. “io non sono pazza!”, cosa otteniamo?-

-Un biglietto di sola andata per il manicomio- concluse per lui Seb. –Ma John Watson non lo permetterà mai. Dovunque si sia cacciato, verrà a sapere che la sorella sta per essere rinchiusa e farà di tutto per evitarlo …-

-Esattamente, Seb. Di tutto.-

 

 

 

 

John aveva provato a dormire, ma non c’era stato verso. Un po’ per il pisolino di poco prima, un po’ perché lo stomaco non lo lasciava in pace, un po’ perché continuava a ripensare alla lite di poco prima con la Bestia.

Di certo, non erano partiti con il piede giusto.

L’armadio aveva provato a rassicurarlo, ma lui gli aveva detto, molto carinamente, di farsi i fatti suoi.

Fu quando sentì un orologio in lontananza battere l’una di notte che si azzardò a mettere il naso fuori dalla porta. Se non poteva scappare, almeno avrebbe cercato di raggiungere la cucina. La teiera, quella che si era presentata come Signora Hudson, aveva l’aria simpatica ed era certo che non gli avrebbe negato un tozzo di pane e dell’acqua.

Il corridoio sembrava tranquillo. Aveva sentito la Bestia ordinare a uno dei servitori di rimanere di guardia, ma non lo si vedeva da nessuna parte. Solo, dei gemiti e dei fruscii da dietro una tenda. Incuriosito, sollevò il tessuto e vide il candelabro abbracciare stretto quella che aveva tutta l’aria di essere una scopina, che rideva deliziata.

-Oh, scusate, non volevo interrompere- esclamò imbarazzato John, facendosi indietro.

-Ma si figuri- si schermì il candelabro, -la signorina Hooper e io … avevamo un discorso da finire … Ma che sbadato, non mi sono nemmeno presentato. Gregory Lestrade e lei è …-

-Molly Hooper. Ero una cameriera, prima di … questo- disse la scopina, imbarazzata.

-Molto piacere. Io sono John Watson, anche se nessuno si è ancora preso la briga di chiederlo- disse a sua volta John. –Ora, potreste per favore indicarmi la cucina?-

Camminarono tutti e tre insieme, scendendo sempre più in basso nei livelli del castello, con Lestrade che parlava del più e del meno e Molly che ogni tanto infilava qualche parola qua e là, ma nulla di più. Doveva essere stata una ragazza timida, azzardò John, ma ancora non aveva capito cosa fosse successo al castello e ai suoi abitanti. Erano evidentemente vittime di una qualche maledizione e forse l’Ala Ovest centrava qualcosa. E probabilmente anche il caratteraccio del suo carceriere.

Arrivarono davanti a una porta di legno, dalla quale arrivavano varie voci, tra le quali John riconobbe quella della signora Hudson.

-Forza Clara, a dormire nella credenza insieme ai tuoi fratelli e sorelle!-

-Ma io non ho- cominciò lei, sbadigliando, -sonno.-

-Oh, sì che ce l’hai. Notte notte.-

-Tutto questo lavoro e per cosa?- sentì borbottare una voce dal forte accento tedesco, probabilmente il cuoco. –Tutto questo ben di Dio sprecato! Sprecato!-

-Fai silenzio- lo rimproverò la signora Hudson, -è stata una giornata lunga per tutti quanti.-

-Be’, se chiedi a me, il ragazzo ne stava facendo solo una questione di principio- disse una quarta voce, che John aveva già sentito fuori dalla sua porta. –Il padrone ha chiesto addirittura “per favore”.-

-Oh, ma se il padrone non tiene a bada il suo caratteraccio, non spezzerà mai l’inc …-

-Che meraviglia!- esclamò la voce di poco prima, girandosi verso la porta che John e gli altri due avevano aperto, -guarda chi si vede!- disse la pendola. –Incantato di fare la sua conoscenza, prima non ne abbiamo avuto modo. Io sono Mycroft, il capo maggiordomo di questo castello. Ah. E vedo che Lestrade già lo conosce.-

-John Watson- si presentò lui, stringendo la piccola manina che Mycroft gli porgeva.

-E tu che ci facevi con Molly?- chiese stizzito la pendola, mentre Greg arrossiva, per quanto possano arrossire i candelabri.

-Fatti miei, Mycroft. O devi ricordarti che sei stato tu a lasciarmi lassù? Molly è stata solo gentile a venirmi a fare compagnia- replicò piccato Lestrade, incrociando i piccoli bracci e storcendo la bocca.

John dovette trattenere a stento una risata.

-Se ti sentivi così solo, avresti potuto …-

-Cosa, chiamare te?- lo provò Greg, mentre adesso era il turno di Mycroft di sbuffare. –Non pensavo saresti venuto.-

-Certo che sarei venuto!-

-Ragazzi, ragazzi!- intervenne la signora Hudson. –Le baruffe sentimentali dopo. Occupiamoci di John adesso.-

I due si scambiarono un’ultima occhiata poi sembrarono seppellire l’ascia di guerra.

-C’è qualcosa che possiamo fare per rendere il tuo stare qui più confortevole?- chiese Mycroft, cerimonioso.

-Avrei un po’ fame …- ammise lui, battendo dei colpetti sulla pancia, mentre la signora Hudson gli strizzava l’occhio.

-Davvero? Avete sentito? Ha fame!- esclamò, mentre piatti, bicchieri e posate si mettevano tutti sull’attenti.

-Ricordati cosa ha detto il padrone- sussurrò la pendola, lanciando un’occhiataccia alla teiera, che aveva già dato ordine alle stoviglie e al cuoco.

-Non lascerò questo povero ragazzo a morire di fame!- lo zittì la signora Hudson.

-E va bene. Dategli un tozzo di pane e un bicchiere d’acqua e rimandatelo in camera sua. Ne ho avuto abbastanza di questa baggian …-

Ma Lestrade gli mise un braccio sulla bocca, impedendogli di continuare.

-Oh, smettila! Non è un prigioniero. È un ospite!-

E subito la cucina si riempì di mille luci e colori, quasi per magia. Gli ingredienti si buttavano quasi da soli nei pentoloni e il cuoco, quello che parlava con accento tedesco, stava ai fornelli felice e contento come una pasqua.

Lestrade gli illustrava tutto ciò che avrebbe potuto ordinare, mentre la signora Hudson metteva in fila forchette e coltelli e Molly spolverava la tavola. Piatti coperti saltarono su carrelli e corsero fino a John, che si era seduto a una tavola immensa. La sedia gli legò al collo il tovagliolo e le pietanze sfilarono davanti a lui, dandogli appena il tempo di coglierne l’odore e il sapore con una forchettata o una cucchiaiata. Evidentemente erano così contenti di ricevere finalmente qualcuno che stavano mostrando tutto il loro repertorio.

Una volta che i piatti gli sfilavano davanti, andavano a impilarsi con assurde coreografie in fondo alla stanza e John non poté fare altro che applaudire, sorridendo estasiato, quando i cucchiai si tuffarono come tante ballerine nella zuppa.

Ma la cosa più divertente era Mycroft che, ossessionato dal dover fare silenzio per non far accorgere la Bestia del fatto che John fosse sceso in cucina e fosse stato accolto a braccia aperte, zigzagava come impazzito tra bicchieri, pinte e scodelle, un dito minaccioso appoggiato sulle labbra di legno, un cipiglio arrabbiato sul viso.

Il finale della coreografia furono le bottiglie di spumante che si stapparono una dopo l’altra, come in una parata, piatti e vassoi tutt’intorno, tovaglioli che ballavano con le posate e Lestrade che fece fare il casquè a Molly, Mycroft arrabbiato nero in un angolo.

-Bravi, è stato fantastico!- esclamò John alla fine.

-Oh be’, grazie, grazie- si schernì Mycroft, dopo aver rifilato un’occhiataccia a Lestrade e Molly. –Ma si è fatto tardi, vada a letto, adesso.-

-Non potrei mai andare a letto adesso. Ci sono troppe cose che voglio vedere, fare … non ero mai stato in un castello incantato, prima!-

-Incantato? Chi le ha detto che il castello è incantato?- risero la pendola e il candelabro, guardandosi come straniti. –Scommetto che sei stato tu, Gregory.-

-Assolutamente no! È tutta colpa tua!- ribatté il diretto interessato e ingaggiarono una lotta senza esclusione di colpi sotto lo sguardo divertito di John.

-Guardate che l’ho capito da solo- disse alla fine, ridendo. –Ora vorrei dare un’occhiata in giro- esclamò, per niente stanco nonostante l’ora tarda. Era eccitato e non vedeva l’ora di scoprire che altri luoghi magici si nascondevano dietro quelle mura.

-In giro? Da solo?- sgranò gli occhi Mycroft. –Non possiamo lasciarlo andare a curiosare tutto solo. Potrebbe andare dove non deve! Come ad esempio nell’ Ala Ovest!- aggiunse Mycroft, quando Lestrade sembrava non capire.

-Allora perché non mi accompagnate? Sono sicuro che voi due, e soprattutto lei, Mycroft, conoscete il castello meglio delle vostre tasche …-

I due si scambiarono un’occhiata, ma ci misero meno di un secondo a capire di essere stati messi nel sacco.



















Inathia's nook
saaaaalve! intanto, permettetemi di farmi un piccolo applauso per essere riuscita a pubblicare. Voi non sapete i salti mortali che ho fatto per ottenere qualche minuto di connessione! E poi, fate un applauso anche a voi stesse, perchè nello scorso capitolo abbiamo superato il record di recensioni: 6! Ragazze, io vi amo, punto e basta.
Passando al capitolo, forse avrei dovuto intitolarlo "Shipwar". Abbiamo davvero davvero di tutto: MorMor, Lestrolly e Mystrade. A voi quale è piaciuta di più? Io sinceramente, in diversa misura, le shippo tutte ;)
Per quanto riguarda il resto.... cerco sempre di restare fedele sia alla serie che al cartone, ma questo capitolo è stato davvero difficile. Praticamente, vedevo un pezzettino del cartone e poi trascrivevo... la parte della canzone è stata terribile, spero vi sia piaciuta :)
e spero anche se sarete altrettante a recensire, perchè mi fa un sacco piacere leggere i vostri pareri.
Un bacione e alla settimana prossima (quando sarò a casa mia e non avrò problemi di connessione. Gioia).

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Capitolo 7
*** An evil plan ***


An evil plan





-…e come può vedere, l’edificio in stile gotico è stato rinnovato completamente nel Settecento, quando è stata ristrutturata la facciata, che quindi è in perfetto stile Roccocò. Le armature, invece, sono molto più antiche, sono addirittura anteriori al periodo gotico. I dipinti del soffitto, invece, sono frutto del migliore arista Neoclassico, il famosissimo …-

John si guardò intorno, mentre la voce di Mycroft diventava solo un noioso sottofondo, con la bocca spalancata.

Più per uno sbadiglio, che per la meraviglia.

Il castello era indescrivibilmente bello, ma al quarto corridoio con gli stessi identici arazzi e dipinti alle pareti, stessi stucchi su soffitti e colonne, stessi tappeti e marmi sui pavimenti, John cominciava sul serio ad avere sonno. Ormai era davvero notte fonda, forse le tre, tre e mezzo, e quel castello sembrava aver già mostrato tutta la sua magia. Forse erano solo gli oggetti ad essere stati in un qualche modo animati …

Represse l’ennesimo sbadiglio ed annuì a Mycroft, che ora si stava dilungando a parlare di chissà quale scultore, che aveva continuato la tradizione di famiglia, abbellendo il cortile con statue di ninfe e divinità.

-… mentre invece la volta, in questa area, è a botte. Il vecchio soffitto a cassettoni, decorato in oro e bronzo, è andato distrutto durante il grande incendio, circa un centinaio di anni fa, rivelando questa originale magnificenza. E invece …-

-E invece qui cosa c’è?- chiese John, notando una scalinata in ombra e più polverosa rispetto alle altre che avevano visto solo fino a quel momento.

-Lì?- si riscosse Mycroft, correndo a sbarrargli la strada insieme a Lestrade.

-Oh, niente, non c’è assolutamente niente di interessante nell’Ala Ovest- gli diede man forte il candelabro.

-E così è questa, la famosa Ala Ovest- mormorò John, di nuovo completamente sveglio.

-Proprio un genio- commentò stizzito Mycroft, dando una gomitata all’altro. –Mi congratulo davvero!-

-Ma è veramente un posto vecchio, tetro e puzzolente- provò a dissuaderlo Lestrade, mentre John cominciava a salire i gradini, superandoli.

-Mi domando cosa venga nascosto qui- rifletté ad alta voce John, grattandosi il mento.

-Nascosto? Il padrone non nasconde nulla- sorrise forzatamente Mycroft, mentre Lestrade annuiva come un forsennato.

-E allora non sarebbe proibito andarci- ribatté John, ricominciando a salire con un sorrisetto beffardo e godendo delle loro espressioni terrorizzate.

Lì sopra c’era qualcosa e lui voleva assolutamente sapere cosa. Tanto, ormai con la Bestia era nei guai fino al collo, dopo tutta quella storia della cena e dell’essere sceso in cucina senza permesso. Tanto valeva andarsene all’altro mondo con stile.

-Ma magari il signore desidera vedere qualcos’altro- tentò Mycroft. –Ci sono degli splendidi arazzi al quinto piano, risalenti proprio al …-

-Forse più tardi- lo interruppe John, lo sguardo sempre fisso sulla sommità delle scale.

-O, ma ci sono anche i giardini- provò Lestrade. –E la biblioteca!-

Fu solo a quel punto che John si fermò e puntò i suoi occhi sui due oggetti ai suoi piedi.

-Avete una biblioteca?- chiese sorpreso.

-Oh, ma certo!- esclamò Mycroft, lo sguardo di uno che avrebbe potuto baciare il compagno per essere riuscito a sviare l’attenzione di John. –Ed è piena di libri!-

-Piena di montagne di libri!- gli diede manforte Lestrade.

-Di mari di libri!-

-Di tonnellate di libri!- esclamarono in coro, prendendosi a braccetto e cominciando a saltellare verso la biblioteca.

John li seguì per un secondo, poi il suo sguardo tornò inevitabilmente verso la scalinata e l’Ala Ovest. Represse una risata, quando realizzò che i suoi due accompagnatori non si erano resi conto della sua assenza, e riprese a salire verso l’ignoto, mentre Lestrade e Mycroft, alle sue spalle, continuarono a vantare la biblioteca fin quando la loro voce non si perse nei corridoi.

 

 

 

-Di solito non lascio il manicomio nel bel mezzo della notte …-

Moriarty finì la birra e poi tornò a guardare l’uomo seduto davanti a lui, che si era appena lamentato per la levataccia. Quello gli sarebbe costato molto, era indubbio.

Il signor Magnussen gli stava di fronte, le dita unite sotto il mento e lo sguardo di ghiaccio che traspariva attraverso gli occhiali.

Jim alzò lo sguardo verso Sebastian, che gli sorrise complice.

-Signor Magnussen, lei sa che non l'avrei mai disturbata se non si fosse trattato di qualcosa di estremamente ... importante ...- disse, sottolineando l'ultima parola.

-Non ritengo, comunque, che fosse fondamentale farmi venire a quest'ora di notte- ribatté Magnussen, facendo come per alzarsi. -Sono sicuro potrete venire domani voi al mio ufficio. Buona sera.-

-Non così di fretta, prima dovete fare qualcosa per me- lo bloccò Moriarty. -Su, non fate il cattivo, Charles- aggiunse, la voce che andava in falsetto, una risata di scherno sul nome.

-Anche?-

Jim lo scrutò con i suoi occhi neri come pozzi.

-Conosce Harriet Watson, immagino.-

-Di fama- replicò secco Magnussen, decisamente scocciato dalla situazione. Era un uomo che voleva mantenere la situazione sotto il proprio controllo e non ci stava riuscendo molto bene. -So che è un'alcolista e quindi non so cosa questo possa centrare ...-

-Ex- lo interruppe Jim. -Ex alcolista. La nostra Harry ha smesso di bere dopo le suppliche dell'adorato fratellino- precisò.

-Comunque non è pazza, non c'è posto per lei nel mio manicomio.-

-Sono sicuro che un letto lo potrà trovare. Per venirmi incontro- mentre Sebastian depositava un sacchetto tintinnante davanti a Magnussen.

-Già, forse possiamo trovare un accordo- concordò l'uomo, unendo le dita affusolate sotto il mento e sorridendo malvagiamente.







Inathia's nook:
salve gente.
Innanzitutto, mi scuso per il capitoletto più corto rispetto agli altri, ma vi assicuro che è un unicum. Torneremo presto alla "lunghezza" solita. 
Spero comunque che vi piaccia, anche se è parecchio di passaggio.
E spero sia comprensibile la "doppiezza" del titolo: Jim da una parte e John dall'altra. Entrambi hanno un piano, entrambi ingannano qualcuno... ovviamente con finalità diverse.
Ho notato un leggero calo nelle recensioni, ma spero sia solo "pigrizia estiva" (che capisco perfettamente, perchè ne soffro anche durante il resto dell'anno) e non che la storia vi piaccia un po' meno di prima...
Un bacione e in bocca al lupo a quante di voi ricominceranno la scuola :)

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Capitolo 8
*** The storm that took us home ***


The storm that took us home



John camminava sentendosi mille occhi addosso, guardandosi intorno.

Era nell'Ala Ovest e sapeva di non poterci stare.

Era un luogo spaventoso. Dovunque, statue mostruose e gargoilles che sembravano deriderlo e prendersi gioco di lui al suo passaggio. E poi, nonostante tutto, si sentiva in colpa. Mycroft e Lestrade si erano fidati di lui, si erano impegnati a mostrargli il castello e lui era così che li ripagava. Sgattaiolando via il prima possibile e infilandosi nell'unico posto in tutto il maniero che gli era proibito. Mettendoli in un mare di guai.

Ma essere lì gli metteva anche una strana adrenalina addosso. Se essere nell'Ala Ovest avrebbe fatto infuriare la Bestia, allora ne sarebbe valsa la pena. Sentiva di volersi vendicare di come era stato trattato fino a quel momento. Non era una pezza da piedi, nemmeno uno schiavo o un prigioniero. Ok, forse tecnicamente un prigioniero lo era, ma Lestrade gli aveva detto che lo consideravano un ospite e, a casa sua, gli ospiti non venivano trattati in quella maniera.

Superò saltellando un tavolino per terra, evitando per un pelo i vetri di un vaso che era evidentemente franato sul pavimento insieme al tavolo e fece una giravolta, ma finì lo stesso dritto dritto dentro un ragnatela.

Trattenendo a stento uno starnuto, si guardò attorno.

Il corridoio era identico a tutti gli altri, ma era più buio e più spettrale. Persino il tappeto per terra, che sapeva con certezza essere rosso, sembrava quasi viola, a causa del buio. Quando si era separato da Lestrade, non solo aveva perso una guida, ma anche l'illuminazione.

E solo in quel momento si rese conto di quanto potesse essere buia l'ala abbandonata di un'enorme castello alle quattro di notte.

-Sei un genio. Un maledetto genio- si prese in giro da solo, quasi inciampando in un arazzo mezzo staccato dalla parete.

Per una frazione di secondo, il suo sguardo saettò verso l'alto e venne catturato da un dipinto, rimasto quasi indenne. A parte il segno di qualche unghiata qua e là e la polvere, sembrava come nuovo. Allungò una mano e sistemò la parte che penzolava verso il basso, andando a ricostruire l'immagine.

E rimase sconvolto.

C'era un ragazzo, nel quadro, che lo guardava con aria di sufficienza. Capelli ricci e ribelli, di un castano così scuro da sembrare nero e gli occhi dal colore indefinito, che poteva variare dal verde all'azzurro. Per quanto il giovane fosse di una bellezza sconvolgente, qualcosa in lui gli metteva i brividi.

Decise di proseguire la sua esplorazione, lasciando perdere il ritratto, e la parte di tela che aveva momentaneamente sistemato tornò a pendere inerte verso il pavimento, quasi come una richiesta di pietà e di soccorso.

John scosse la testa e notò qualcosa nella sala adiacente a quella a dove era in quel momento. Un bagliore rosastro, una luce, seppur tenue, in quel mare di nero che lo aveva circondato fino a quel momento.

Si diresse con la massima cautela verso quel piccolo faro, entrando in quella che sembrava essere stata una camera da letto. Il pensiero che potesse essere il luogo dove viveva la Bestia gli attraversò per un secondo la testa. E se il castello fosse stato incantato, e se quel mostro non fosse sempre stato così, e se quella rabbia e disperazione che lo circondavano fossero tutte cose collegate fra di loro? E se quello nel ritratto fosse stato il principe come era un tempo, prima di diventare la temibile e irascibile Bestia che era?

I tasselli cominciavano ad andare al loro posto... E forse la cosa era più grande e complicata di quello che aveva pensato all'inizio. Forse la sua venuta lì non era del tutto casuale. Perché se c'era una maledizione, c'era anche un modo per spezzarlo, no?

Ormai era così vicino al tavolo che poteva distinguere chiaramente la rosa che veniva tenuta sotto teca, come una sacra reliquia e qualcosa che deve essere temuto, allo stesso tempo. Sotto la campana di vetro, il fiore stava come sospeso a mezz'aria e sembrava brillare di una luce tutta propria. La stessa luce rosastra che aveva attirato John inizialmente. Sul tavolino, ma sempre sotto vetro, qualche petalo aveva cominciato a lasciare lo stelo, ma la rosa appariva perfetta come se fosse stata appena colta. Incuriosito, John la liberò piano dalla sua prigione, osservandola come incantato. Lui era quasi un uomo, un maschio, eppure quel fiore lo muoveva nel profondo, quasi ci fosse una connessione tra di loro.

Era talmente assorto nella sua contemplazione che non si rese conto che la Bestia era entrata nella stanza fin quando quella non gli fu accanto con un balzo e un ruggito. John, spaventato, quasi lasciò cadere il vetro e urtò il tavolino, rendendo facendo oscillare pericolosamente la rosa.

-Stupido!- esclamò la Bestia, prendendo al volo tutto quanto e riposizionando il fiore dimostrando una grazia che andava ben al di là delle sue grottesche fattezze.

-Chiedo scusa, davvero non volevo ...- balbettò John, i cui propositi di vendetta e di disubbidire alla Bestia erano andati in fumo non appena aveva visto l'ira di quell'essere. Era evidente che quanto era successo qualche ora prima davanti alla porta della stanza di John non era che una minima parte di quanto era capace.

E lì stava anche cercando di essere gentile ... si ricordò John, sentendosi improvvisamente male per essersi fatto cogliere in flagrante a ficcanasare nell'unica parte del castello che gli era stata proibita.

-Che cosa volevi fare?- urlò la Bestia, mentre John si faceva piccolo piccolo sotto il suo sguardo.

-Ero solo curioso, io ...- tentò, ma il ruggito dell'altro lo zittì.

-Eri venuto a scoprire i miei segreti? L'Ala Ovest ti è proibita, sono stato chiaro?-

John lo guardò un ultimo istante, un paio di occhi disperati blu mare che incontrarono un altro paio di occhi, altrettanto disperati, il cui colore era indefinibile. Variavano dal verde all'azzurro chiaro e fu quello che convinse John della veridicità della maledizione. Qualcosa era successo al principe, qualcosa o qualcuno lo aveva fatto diventare quella cosa orrenda, piena di rancore e paura che aveva davanti.

Ma, ora come ora, non voleva sapere cosa fosse successo.

Voleva andarsene da lì il più in fretta possibile, lasciarsi alle spalle quel castello con le sue maledizioni, incantesimi e stranezze e tornare alla vita di sempre. Persino affrontare Moriarty per la solita questione di Mary ora non gli sembrava così noioso e ripetitivo.

Così diede retta alle sue gambe e sfrecciò via, più veloce che poteva.

Ignorò le urla della Bestia, che lo inseguirono fin quando non arrivò al portone.

Ignorò gli sguardi esterrefatti dei domestici, in particolare quello della signora Hudson e di Clara, che si erano affacciate dalla cucina per vedere cosa stesse succedendo.

Ignorò anche Lestrade e Mycroft, l'uno con le sue suppliche di rimanere, l'altro con i suoi rimbrotti riguardo allo sparire improvvisamente e alle conseguenze delle proprie azioni.

Ignorò tutto e tutti, ascoltando solo il battito del suo cuore impazzito, che ormai gli rimbombava nelle orecchie e in gola. Saltò in groppa a Philip e cominciò a correre all'impazzata nel bosco.

 

 

 

 

 

 

Non gli ci volle molto per capire di aver commesso un'enorme errore ma, d'altra parte, quella giornata era iniziata decisamente con il piede sbagliato. Seppe, però, di aver toccato il fondo, quando Philip si piantò in mezzo alla neve, che ormai gli arrivava quasi al garrese * , e rifiutò di muoversi oltre.

-Avanti, asino di un cavallo, o quando arriviamo a casa do a Harry il permesso di fare esperimenti su di te- provò a minacciarlo, pur sapendo che era del tutto inutile. Ma almeno aiutava a sfogare la rabbia e la frustrazione.

Anche se sapeva che era tutta colpa sua.

Smontò e recuperò un ramo non troppo grosso né troppo piccolo che spuntava quasi miracolosamente dalla neve e provò ad usarlo per scavare un passaggio per sé e per Philip.

Ovviamente, però, al peggio non c'è mai fine.

Perché non appena riuscì a liberare le zampe anteriori di Philip, sentì un ululato in lontananza.

-Oh, andiamo! Non avete di meglio da fare in una notte come questa?- gridò, parlando con i lupi, fregandosene di quanto potesse suonare ridicolo.

Stava per morire in una foresta, mangiato da dei lupi perché il suo cavallo si era piantato nella neve mentre scappava da un castello maledetto, con servitori trasformati in oggetti e un principe che era diventato una tremenda belva.

Decisamente al peggio non c'era mai fine.

Cominciò a mulinare vorticosamente il legno, più per fare scena che per altro, anche perché non appena il primo lupo attaccò, John finì lungo disteso per terra, la neve che gli scendeva lungo la schiena e si infiltrava sotto il mantello. Provò a rialzarsi, ma un secondo e un terzo animale gli furono addosso, bloccandogli entrambe le braccia. Chissà come, riuscì a recuperare il bastone, liberando la mano destra, ma un quarto lupo gli atterrò sul petto, facendogli credere che la sua fine fosse ormai arrivata. Il nitrire spaventato di Philip e il ringhiare basso dei lupi erano stati l'unica colonna sonora fino a quel momento, ma poi un terzo suonò si unì a questi, così terribile eppure così famigliare che a John sarebbe venuto da piangere dalla gioia.

La Bestia saltò ruggendo nel cerchio che i lupi avevano creato intorno a John e al suo cavallo, mordendo e graffiando tutto quello che incontrava. Se credeva di averlo visto arrabbiato poco prima, si era decisamente sbagliato. Mentre John se ne stava immobile, paralizzato dalla paura e dal freddo, la Bestia aveva afferrato i tre animali che gli stavano addosso e li aveva scagliati lontani, quasi fossero state delle pezze. John riuscì a riscuotersi solo quando un lupo si attaccò al braccio della Bestia con artigli estratti e denti acuminati. Brandì il bastone con entrambe le mani e colpì forte, mandando il lupo dolorante dritto nella neve.

Poi si fermò ansimando.

Non ce n'erano più, se ne erano andati, li avevano messi in fuga.

Anche se usare il plurale era più un eufemismo che altro.

Quello lo fece tornare al presente, l'adrenalina lasciò il posto a una strana angoscia quando, voltandosi, non vide la Bestia.

Il suo salvatore.

E invece eccolo lì, accovacciato nella neve, che si teneva il braccio ferito e guardava verso John, quasi lo considerasse un predatore ben più temibile di quelli che avevano appena messo in fuga.

E una strana paura si insidiò nel cuore di John, nel vederlo così vulnerabile e pauroso per colpa sua. Lui doveva urlargli contro, non guardarlo come un cucciolo troppo cresciuto.

-Vieni, andiamo- disse, aiutandolo ad alzarsi e chiamando Philip con un fischio perché lo sostenesse.

-Sherlock- mormorò la Bestia.

-Sherlock- ripeté John.

-E' il mio nome. Tu ...?-

-Io sono John. Solo a uno come te può venire in mente di fare le presentazioni in queste circostanze- borbottò John e gli sembrò che l'ombra di un sorriso sofferente fosse comparsa sul volto dell'altro.

-Dove mi stai portando, John?-

-A casa, Sherlock. Andiamo a casa.-







* Il garrese, nei quadrupedi, è il punto più alto del dorso; si trova nella zona di incontro tra collo e scapole, e serve a misurare l'altezza dell'animale.


Inathia's nook:
ciaao a tutte :) donzelle e donzelli (se ci siete, battete un colpo... se no io continuo a parlare al femminile XD)
ve lo avevo detto che questo capitolo sarebbe stato più lungo e più intenso dello scorso. Spero apprezziate il titolo.... anche se lo si comprende solo quando si finisce di leggere tutto il capitolo. 
Comunque, personalmente amo il capitolo e amo ancora di più come la relazione tra la Best...ops, pardon, Sherlock e John cambi. Basta un attimo, un secondo, un'occhiata e John capisce tutto. E c'è chi dice che il cervello tra i due ce l'abbia Sherlock... scherzo, ovviamente. Perchè John ha anche un gran cuore e lo dimostra, lo dimostra in questo capitolo. Perchè Sherlock non è più la Bestia temibile e orrenda, ma il suo salvatore, che lo guarda con i suoi occhioni da cucciolo (direi che abbiamo tutte in mente gli occhi di Benedict...) e lui è spaventato perchè John lo stava lasciando solo, non perchè ha dovuto mettere in fuga dei lupi. Cavolo, le priorità di quest'uomo... la sua più grande paura è, fin da subito, che John lo lasci. Non è innamorato, sia chiaro, sarebbe innaturale, ma sa che John è diverso e potrebbe fare la differenza anche per lui. 
bene, dopo questa immensa sbrodolata di sciempiaggini, che non fa altro che allungare il capitolo, vi lascio e vi saluto :)



 

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Capitolo 9
*** From "Beast" to"Sherlock" in just one look ***


From "Beast" to "Sherlock" in just one look



-Fa male- ringhiò Sherlock ritraendo il braccio per l'ennesima volta e John alzò gli occhi al cielo. Anche se da quando gli aveva salvato la vita, qualche ora prima, ai suoi occhi aveva cessato di essere "la Bestia" per diventare semplicemente "Sherlock", quell'atteggiamento stizzito e non collaborativo si conformava poco con l'immagine del principe trasformato in una belva feroce. Gli mancava ancora qualche pezzo, ma il quadro cominciava a farsi più chiaro. E il suo sesto senso gli diceva che il caratteraccio di Sherlock avesse qualcosa a che fare con l'intera faccenda.

-Se tu stessi fermo ...- lo riprese John, cercando di appoggiare il fazzoletto con il disinfettante al braccio. -Se tu stessi fermo- ricominciò, bloccandolo con una mano e poggiando la benda con l'altra, -avremmo già finito.-

-Se tu non fossi scappato, non saremmo in questa situazione- lo rimbeccò Sherlock, facendo una smorfia molto poco bestiale e fissando ostinatamente lo sguardo sul fuoco.

Attorno a loro, Lestrade, Mycroft, Molly e la signora Hudson assistevano al siparietto ridacchiando sotto voce e divertendosi più di quanto non avrebbero mai ammesso.

-Se tu non mi avessi spaventato, non sarei scappato- ribatté John, vendicandosi mettendogli un'altra benda con dell'alto disinfettante.

-Se tu non fossi entrato nell'Ala Ovest, non ce ne sarebbe stato bisogno- non demorse Sherlock, stringendo le zanne e i pugni per il bruciore.

-Se tu non avessi un pessimo carattere, non avrei rifiutato la cena e quindi non avrei sentito la necessità di vagare per il castello di notte- concluse John, lasciandolo senza parole e mettendo una pomata e bendando il tutto. -Ecco fatto, un paio di settimane e dovrebbe guarire.-

Sherlock guardò il braccio fasciato come se non fosse più il suo, poi lo mosse leggermente, quasi ad assicurarsi di poterlo usare ancora.

-Oh, guardate!- esclamò la signora Hudson, lo sguardo estasiato verso la finestra. -Sta sorgendo il sole!-

-L'alba di un nuovo giorno- rifletté John ad alta voce. -Grazie per avermi salvato, Sherlock.-

Permettimi di fare lo stesso con te, dicevano i suoi occhi.

 

 

 

John si svegliò che era tardo pomeriggio, ma non fu sorpreso di trovare la signora Hudson e Clara già in camera. Quello che lo stupì, invece, fu il carrello pieno di cose da mangiare su cui erano silenziosamente entrate.

-Il padrone non sapeva cosa avresti preferito, così ha ordinato che ti portassi tutto quanto- ridacchiò la teiera, mostrando con lo sguardo le varie leccornie. C'era davvero di tutto, dal dolce al salato. Dalla sua torta preferita alla bistecca di manzo, dal the insieme al latte ai calici di vino e spumante.

-Non ha mai fatto niente di tutto questo per nessuno- commentò Clara, zampettandogli in braccio.

-Questo mi rende speciale?- chiese John, a metà tra il curioso e il divertito.

Qualcosa era cambiato tra lui e Sherlock -già il fatto che nella sua mente non fosse più "la Bestia" la diceva lunga- ma anche quel carrello di cibo infinito sembrava un'offerta di pace niente male. Forse erano davvero semplicemente partiti con il piede sbagliato.

-Ti offenderesti molto se saltassi? Credo che tra un po' sarà ora di cena e ...- cominciò John, non sapendo bene come continuare.

-E vorresti che cenaste insieme?- completo la signora Hudson, i cui occhi già brillavano.

-Sì, giusto. Cenare insieme. Per ringraziarlo di ieri. O questa notte. Gesù, non ci sto capendo più niente- mormorò lui prendendosi la testa tra le mani, mentre Clara gli faceva l'occhiolino. Doveva essere stata un bel tipetto, quando era umana. Sarebbe andata di sicuro d'accordo con sua sorella, Harry.

-Il padrone è in giardino, puoi comunicarglielo tu stesso- squittì la signora Hudson e John non fece in tempo a ribattere che era già sparita, il carrello e Clara al seguito.

-Io. In giardino. Con Sherlock. E anche a cena- rifletté e voce alta, guardando fuori dalla finestra.

Sherlock era effettivamente là all'aperto, in compagnia di Lestrade e Mycroft, che sembrano tentare disperatamente di insegnargli a pattinare. A John sfuggì una risata e, in meno di due secondi, si ritrovò a chiedere al guardaroba un completo invernale e un paio di pattini.

Quando fece la sua comparsa al laghetto ghiacciato, Sherlock era la quarta volta che cadeva e stava guardando in modo davvero poco principesco i pattini e il ghiaccio, borbottando delle parole ben poco principesche.

-E così il temibile Sherlock non sa pattinare- lo prese in giro, il sorriso sulle labbra, sfrecciandogli davanti ed esibendosi in una piroetta perfetta.

-Che ci fai tu qui?-

-Oh, a quanto pare ci abito- rispose leggero John, aggiungendo poi con voce profonda. -"Per sempre", non è così che hai detto? Anche se devo dire che con i lampi e i tuoni in sottofondo suona meglio.-

Sherlock sbuffò e tentò di rimettersi in piedi, ma fece leva sul braccio ferito e questo lo fece gemere di dolore.

-Aspetta, ti aiuto- si fece avanti John e Sherlock si appoggiò a lui.

-Grazie per ieri notte- borbottò a un certo punto Sherlock, allontanandosi piano da John ma senza interrompere il contatto visivo.

-E grazie a te per tutta quella roba che mi hai mandato in camera- ripose John, imbarazzato tanto quanto l'altro in questa cosa dello scambio delle scuse.

-Ti sono piaciute?- si illuminò Sherlock. -Ho cucinato io ...-

-In realtà non ho toccato nulla- confessò, sentendosi molto in colpa dopo l'ammissione dell'altro.

-Oh- fu l'unico commento di Sherlock, che si sedette sul ghiaccio e cominciò a sfilarsi quella specie di pattini che aveva sulle zampe. -Avrei dovuto immaginare che non ti sarebbe piaciuto. La signora Hudson aveva ragione, avrei dovuto lasciar cucinare lei o il cuoco ...-

-No, no, no!- lo interruppe John, quasi divertito da quella ammissione di colpe. Poteva essere quell'essere la stessa Bestia che lo aveva terrorizzato e fatto infuriare il giorno prima? -Non ho mangiato perché non volevo rovinarmi l'appetito prima di cena.-

Sherlock si voltò a guardarlo, stupore e sorpresa negli occhi.

-Cena?-

-Io, te, un tavolo con delle pietanze sopra ... Cena- spiegò, scrollando le spalle cercando di nascondere l'imbarazzo.

-Cena- ripeté Sherlock. -Io e te.-

-Sono fortemente convinto che siamo partiti con il piede sbagliato ieri. E mi dispiace per tutto quello che è successo. Davvero- disse, cercando gli occhi di Sherlock per dimostrare la verità della sue parole.

-Io e te- mormorò di nuovo quello. -Cena.-

-Si è incantato il disco?- lo prese in giro John. -Non era quello che volevi anche ieri?-

Sherlock non rispose, limitandosi a fissarlo con gli occhi sgranati.

-Ok. La cosa si sta facendo preoccupante. La smetteresti di guardarmi così?-

-Vuoi davvero cenare con me?- chiese allora Sherlock, come riscuotendosi. -Non lo fai perché ti sentì in colpa o altro?-

-No, lo voglio davvero. E ora alzati e rimettiti quei pattini. È tempo che qualcuno ti insegni a pattinare.-

Passarono così tutto il resto del pomeriggio.

John che tentava di far rimanere in piedi Sherlock e quest'ultimo che, regolarmente, franava sul ghiaccio. Ci furono delle risate, soprattutto da parte di John, mentre Sherlock sembrava ancora dover capire come comportarsi in sua presenza. C'erano momenti in cui si lasciava andare ed era davvero piacevole stare con lui, mentre in altri riemergeva il caratteraccio e John era stato tentato più e più volte di lasciar perdere tutto e tornarsene in camera. Ma poi Sherlock faceva qualcosa che lo sorprendeva oppure cadeva e basta, mettendo su una faccia da fine del mondo, e il malumore di John scompariva, lasciando posto alle risate.

Poi, a poco a poco il sole cominciò a calare, e Sherlock tornò ad essere silenzioso e scostante.

-Vado su a prepararmi- disse John a un certo punto, ben interpretando il malumore dell'altro. Più ci passava del tempo insieme, più capiva che, in fondo, era solo un timido insicuro, che fingeva di stare bene da solo ma, più di ogni altri, sentiva la necessità della compagnia umana. Era un solo, un emarginato, e John lo sentiva vicino proprio per quello. Quando era al villaggio lo avevano considerato strano, lo avevano giudicato dal primo momento, ma finalmente lì poteva essere se stesso. Chi l'avrebbe mai detto che la prigionia che l'avrebbe dovuto privare della libertà gliene avrebbe regalata una del tutto diversa?

Salì in camera come di corsa e urlò all'armadio, già dal corridoio, di tirargli fuori qualcosa di bello per quella sera.

-Il signorino farà una splendida figura con questo- esclamò il guardaroba, allungandogli una giacca di velluto blu e un paio di pantaloni in tinta, leggermente più scuri. Sulle maniche della giacca, ricami in argento.

Era incredibilmente della sua taglia, ma John aveva deciso di smetterla di farsi domande su queste cose. Il suo armadio gli parlava e gli dava consigli sul vestiario e lui ancora si stupiva perché una giacca sembrava esattamente confezionata per lui.

Scosse la testa e poi sorrise quando il guardaroba gli gridò un in bocca al lupo, e cominciò a correre lungo il corridoio.

Si fermò in scivolata davanti alla grande porta della sala da pranzo, il cuore inspiegabilmente in tumulto.











Inathia's nook:

salve salvino :) scusate il ritardo, ma sono stata senza computer per tutto il week end :)
comunque eccoci qua. in molto avevano scritto che non vedevano l'ora di leggere dell' "avvicinamento" tra i due, e così eccoci qui. è solo l'inizio, ma ne vedrete delle belle .
io scappo, lasciandovi il capitolo, perchè internet ha ricominciato a fare i capricci :)
baci baci e alla prossima (spero riuscirò ad essere più puntuale)

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Capitolo 10
*** Together ***


Together




Sherlock aveva fatto del suo meglio per indossare la camicia, quella sera, ma nessuna sembrava andargli bene, così ne aveva indossato una di quelle vecchie, che si era strappata sulla schiena, e poi aveva rimesso il solito mantello, per coprire lo squarcio. Quando aveva sentito il tessuto cedere, avrebbe voluto seppellirsi, ma gli bastò ripensare a quel pomeriggio paradossalmente normale e divertente per riprendersi.

Aveva fatto addobbare al meglio la sala da pranzo e sapeva di aver esagerato, ma John, in qualche modo, era riuscito a risvegliare il suo lato umano dopo tanto tempo. E così la sala era come illuminata a giorno dal grande candelabro, i piatti di porcellana erano stati puliti così tanto che ci si poteva specchiare e le posate brillavano, per non parlare dei bicchieri.

-Verrà, non è vero?- borbottò a un certo punto, mentre Mycroft gli aggiustava il colletto della camicia, l'unico che potesse davvero aiutarlo. Lestrade gli avrebbe dato fuoco e la signora Hudson, Molly e Clara non avevano più nemmeno l'ombra delle mani.

-Stia tranquillo e si rilassi- lo confortò la pendola.

-L'ultima volta non ha funzionato- lo rimbeccò Sherlock.

-L'ultima volta non gli aveva appena salvato la vita.-

-E se venisse solo per quello, perché si vuole sdebitare?-

-Avete trascorso un bellissimo pomeriggio insieme. Quello non l'ha fatto di certo perché si sentiva in debito- gli ricordò la signora Hudson, mentre controllava per l'ennesima volta che tutto fosse impeccabile.

-E non dimentichi che è salito prima per prepararsi. Evidentemente ci tiene a fare una bella figura- aggiunse Lestrade, accendendo le ultime candele.

-Voi dite?- chiese Sherlock, che seduto a tavola giocherellava con le posate, facendole tintinnare contro il bicchiere.

Ma i quattro non fecero in tempo a rispondergli che la porta si aprì piano e la testa di John -meno arruffata del solito, doveva essersi pettinato- fece capolino.

-E' qui la festa?- domandò, ridendo da solo alla sua battuta e sedendosi a capotavola, di fronte all'altro.

-Credevo non saresti venuto- ammise Sherlock, guadagnandosi un'occhiataccia da parte di Molly. -Ma sono felice che tu sia qui- aggiunse, forse un po' troppo piano perché John potesse sentirlo e tutti i servitori alzarono gli occhi al cielo. Di quel passo, sarebbero morti di vecchiaia prima che la maledizione fosse stata spezzata.

La cena, comunque, procedette senza intoppi fino al dessert. Non parlarono molto, perché John era davvero molto affamato, non avendo toccato cibo dalla sera precedente, Sherlock perché non aveva idea di come iniziare una conversazione civile con chi non era un suo servitore.

-Tutto ottimo- disse a un certo punto John, togliendolo dall'imbarazzo. -Hai cucinato tu anche adesso?- chiese e sembrava davvero interessato.

-No, è opera di Angelo, il cuoco. Ma riferirò i complimenti- rispose, il tono più civile possibile. Poi tornò a curvarsi sul piatto e a mangiare rumorosamente il dolce.

-E cosa fai di solito, qui? A parte semi-rapire la gente e poi salvarla dai lupi, intendo- insistette John, che, a quanto pareva, i bicchieri in più di vino avevano reso più loquace del solito.

-Non granché- borbottò.

-Il principe è un appassionato di chimica- intervenne Lestrade, lanciando un'occhiataccia a Sherlock, che reagì con un grugnito davvero poco elegante.

-E così il principe gioca al piccolo chimico- rise John, versandosi altro vino rosso. -E fai anche degli esprimenti? Io li amo, amo aggiungere una cosa qua, alzare il fuoco qua, girare, travasare... lo trovo davvero divertente! Ma non mi si deve chiedere cosa sto facendo, perché non ne avrei la più pallida idea. Mi piace la parte pratica, ecco.-

-Al momento sto analizzando la diversa coagulazione della saliva post mortem negli animali e nell'uomo. Ho qualche testa giù nella ghiacciaia...-

-Sembra molto interessante- lo interruppe John, prima che Sherlock proponesse un'inquietante ed imbarazzante gita nei freezer di palazzo. -E davvero non voglio sapere di chi fosse la testa.-

-Apparteneva a un...-

-No, davvero, sono a posto così. Vino?- chiese, allungandogli la bottiglia. Ne versò mezzo bicchiere e poi aspettò che bevesse. Fino a quel momento lo aveva visto perdere il controllo per colpa dell'ira. Ora, voleva vedere cosa combinava sotto l'effetto dell'alcol.

-Allevo anche api- disse a un certo punto Sherlock. -E sono un appassionato di delitti, di casi irrisolti.-

-Entri dentro le menti dei criminali. Chissà perché, ma non sono sorpreso- commentò John, ma stava sorridendo.

E Sherlock si lasciò andare al primo e vero sorriso in tutta la serata.

 

 

 

 

 

Qualche pomeriggio più tardi, Sherlock venne a bussare alla sua porta che stava rileggendo, per l'ennesima volta, il suo romanzo preferito, copia che aveva trovato sul comodino dopo averne accennato distrattamente a tavola, la sera prima.

-Salve, raggio di sole- lo prese in giro John, in maniche di camicia e i capelli arruffati. -Oggi bussi?-

-Piaciuto il libro?- chiese Sherlock saltando, come sempre, i convenevoli.

-Molto. E' il mio preferito, potrei rileggerlo una volta terminatolo e trovarlo comunque appassionante- commentò, scrollando le spalle. -Hai bisogno?-

-Di che parla?-

John lo guardò sorridendo.

-Vuoi entrare?- domandò, indicando il divanetto davanti al camino di camera sua. Sherlock sbarrò gli occhi.

-OK, forse no. Magari un altro giorno. Avevi bisogno?-

-Perché?- fece Sherlock, confuso. -Cosa te lo fa credere?-

-Hai bussato alla mia porta.-

-Oh. Giusto. In realtà no, non ho bisogno di niente. Tu?-

-Sto bene, grazie- disse John, facendo per richiudere, ma Sherlock infilò una zampa in mezzo.

-Questa notte ha nevicato.-

-Stiamo seriamente facendo conversazione sul tempo in mezzo al corridoio, con la porta di camera mia mezza chiusa e la tua... ehm... il tuo piede che la blocca?- esclamò, sarcastico. Ma Sherlock sembrò non afferrarlo. -Sì, ho visto che ha nevicato. Per quello non sono uscito questa mattina, troppa neve che bloccava il vialetto...-

-L'ho fatta spalare- disse prontamente l'altro. -E mi chiedevo se...-

-Sì?-

-L'altro giorno, mi sei sembrato un pattinatore esperto.-

-Già.-

-Hai pattinato spesso nella tua vita. E anche ieri. Ti ho visto dalla mia finestra.-

-Precisamente.-

-E mi hai sopportato anche abbastanza a lungo, non credi? Anche le cene, dopo...-

-Abbastanza.-

-Ti andrebbe di sopportarmi ancora un po'?-

-Oh sì- ghignò John, recuperando i pattini e lasciando cadere il libro sul pavimento.

 

 

Alla fine non pattinarono, venne fuori che Sherlock -del tutto casualmente, giurò lui- aveva lasciato i pattini al castello e andarli a recuperare o mandare qualcuno sarebbe stato troppo lungo. Così l'unico a fare due piroette fu John, mentre l'altro si limitò a guardarlo, seduto nelle neve, e a fargli qualche domanda di fisica legata al pattinaggio. Alla terza, John gli frenò qualche centimetro di neve in faccia e Sherlock capì che era ora di farla finita.

Era incredibile quanto il poco tempo passato con John gli facesse venir voglia di passarne ancora. Voleva scoprire tutto di lui, imparare a conoscerlo così bene da poter dire di saperne con esattezza l'umore da come si era allacciato le scarpe alla mattina. Voleva che fosse sempre inverno, per poterlo osservare incantato volteggiare sul ghiaccio, persino facendosi schizzare la neve in faccia se diceva qualche idiozia. Ma voleva anche che venisse l'estate, per mostrargli i suoi allevamenti di api, andare a cavallo insieme -anche se forse lui si sarebbe limitato a corrergli dietro- e guardare il sole che tramontava la sera tardi oltre il lago. Voleva passare con lui le brutte giornate, quelle buone solo da stare davanti al camino a scherzare e a dire sciocchezze, magari mangiando qualcosa qua e là. Voleva stare con lui quando il sole splendeva così tanto da bruciarsi e quando buttarsi in acqua era l'unica soluzione.

Ma, soprattutto, voleva dirgli della maledizione, di come il suo aspetto non fosse sempre stato quello, di come la sua stupidità e la sua superbia lo avessero condannato alla più dolce della assoluzioni. Attraverso l'amore. E ora, nonostante conoscesse John da sole due settimane, poteva dire di sentire con lui un legame così profondo quali non ne aveva mai sentiti.

Con nessuno.

-John- chiamò quindi, alzandosi a spazzandosi la neve di dosso, che aveva ricominciato a cadere lieve ma decisa. –John, c'è una cosa che voglio mostrarti.-

Il ragazzo gli venne in contro, allarmato dal tono improvvisamente serio. Credeva stesse andando tutto bene ...

-E' successo qualcosa?- chiese, toltosi i pattini e camminandogli a fianco mentre tornavano al castello.

-No, no. Va tutto bene. Solo ...- cominciò Sherlock, prendendo un gran respiro. -Ricordi la tua prima sera qui? Quando sei andato nell'Ala Ovest?-

-Difficile dimenticare una giornata come quella. Notte movimentata, se non sbaglio- rise, cercando di stemperare la tensione con una battuta.

Non funzionò, Sherlock era ancora più scuro in viso.

-Tu l'hai sempre saputo che in questo castello c'era qualcosa di strano, no? Sai che non è un posto come gli altri. I miei servitori sono oggetti che parlano e si muovono e io stesso non ho proprio l'aspetto di un principe ...-

-Sherlock, va tutto bene. Lo so che è successo qualcosa. Un incantesimo, una maledizione ... qualcosa. E mi sta bene. Ero solo spaventato, per quello scappai. Ora non lo farei, mai più- confessò, piantando i suoi occhi in quelli di Sherlock e sorridendo apertamente della sua confusione.

-Maledizione.-

-Come scusa?- si riscosse John, credendo si trattasse di un'esclamazione per qualcosa che aveva detto o fatto.

-E' stata una maledizione. Ed è tutta colpa mia- ammise, guidandolo, senza più parlare fino alla stanza della rosa, ma fermandosi davanti al ritratto.

-Questo ero io- disse, riparando il quadro con una mano, come aveva fatto John la sera in cui era entrato lì per la prima volta. -Prima che una fata di nome Irene non mi trasformasse in questo orrore per lo sgarbo che le avevo fatto. Ero ingenuo e maleducato, peggio di quando mi hai conosciuto tu. E la sua vendetta è lo sfacelo che stai osservando. Perché non si vendicò solo su di me, ma anche sui miei fedeli servitori. Un attimo prima erano uomini, donne o bambini, un attimo dopo erano oggetti che assistevano impotenti all'autodistruzione di quella bestia che era diventato il loro padrone.-

John fissò incantato il quadro e poi Sherlock.

-Gli occhi sono rimasti gli stessi- disse alla fine John. -Sempre assurdi e magnetici. Come te.-

Sherlock incassò il complimento in silenzio e sarebbe sicuramente arrossito, se non fosse stato per tutto quel pelo.

-E la rosa è lì per ricordarmi tutto ciò, come se il mio aspetto e quello dei miei servitori, la distruzione di tutto ciò che ero non fosse un monito abbastanza eloquente. E' rimasta così come la prima volta che la vidi, solo ora ha cominciato a perdere i petali, perché il mio ventunesimo compleanno si sta avvicinando. E' il mio termine ultimo, il mio punto di non ritorno.-

John rimase in silenzio, guardandosi intorno come se fosse la prima volta. E infatti era così, perché della Bestia che lo aveva terrorizzato il suo primo giorno al castello non era rimasto nulla. Forse solo l'aspetto esteriore, ma anche quello stava mutando. Era più umano, in tutto quello che faceva o diceva, e John sapeva che era soprattutto merito suo. E non poté fare a meno di sentirsi orgoglioso per essere il fautore di quella trasformazione. Se la maledizione si fosse spezzata, sarebbe anche stato merito suo, come aveva pensato dal primo momento.

-Non hai nulla da dire?- chiese Sherlock dopo un po', male interpretando il suo silenzio e il suo sguardo in giro.

-Non credi che questo posto avrebbe bisogno di una sistematina? Insomma, non è proprio quello che uno si aspetterebbe dalla camera di un principe ...- disse a un certo punto John, sorridendo e rimboccandosi le maniche. -Quando vogliamo cominciare?-












Inathia's Nook:

ed eccoci al nuovo capitolo. Direi che le cose tra i futuri piccioncini procedono a gonfie vele. Mi avevate detto che eravate curiose di sapere come il rapporto tra i due si sarebbe evolto, un poco alla volta... be', che ne dite? 
So che non dovrebbe essere così, ma io sono piuttosto soddisfatta di questo capitolo... spero di non essere l'unica ;)
fermo subito il mio blablablare, anche perchè divento piuttosto prolissa quando mi ci metto, e vi aspetto nelle recensioni. 
Ho notato che si sono letteralmente dimezzate dallo scorso capitolo... e sinceramente mi è dispiaciuto. Spero che la storia continui a piacervi e sia solo calato il vostro tempo per dirmelo (comprendo perfettamente che siano ricominciate le scuole) e non il vostro interesse. 
bene, un mega bacione e alla settimana prossima <3

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Capitolo 11
*** I'm with you ***


I'm with you




Il lavoro si rivelò più lungo del previsto, ma solo perché John e Sherlock avevano deciso di rifiutare qualsiasi aiuto esterno. Anche perché, a essere onesti, i vari servitori-oggetti non sarebbero stati molto d’aiuto. E poi, da quando Sherlock aveva confessato tutto quanto era successo con la fata si sentiva libero, leggero e diverso. La compagnia di John era come diventata una droga. Necessaria e inebriante, irresistibile e imprescindibile. Lavorare con lui per rimettere in sesto non solo il castello, ma anche la propria vita, era come intraprendere un viaggio al centro di se stessi, ma senza sapere la strada, con il migliore dei compagni accanto.

-Quel letto … sicuro ti serva?-

Sherlock si voltò, preoccupato dal caos e dalla voce che lo avevano distolto dai suoi pensieri, ma alla fine si ritrovò a ridere. John, che stava cercando di sistemare il baldacchino, era completamente scomparso sotto una coltre di polvere e stoffa, solo una mano emergeva da quel disastro. E la sua voce, ovviamente.

-No, sai … perché pensavo che in fondo, se non il letto, almeno tutta questa sovrastruttura si potrebbe togliere. Credo che abbia degli istinti omicidi. Chi era prima della trasformazione? Un serial killer?- brontolò, riemergendo e pulendosi i vestiti, agitando un pugno minaccioso in direzione del letto.

-Un semplice pezzo d’arredamento- rise Sherlock, con quella risata che era più un ruggito, ma era sempre contagiosa. Da quando John era arrivato al castello, rideva di più. E più rideva, più voleva ridere. –Ma uno davvero terribile- aggiunse, notando John che ne era rimasto piuttosto deluso.

-Comunque, io lo cestinerei.-

-Come dici tu. Tanto non è che lo usi molto- mormorò Sherlock.

-Oh, metti via quel grugno!- lo riprese scherzosamente John. –Va bene, adesso lo aggiusto. Ma se mi attacca di nuovo, sei autorizzato ad usare gli artigli!-

Alla fine, il letto non attaccò nessuno, ma il baldacchino venne lo stesso messo da parte. Entro sera l'intera camera da letto era quantomeno pulita, con grande disappunto di Molly, che non aveva potuto prendere parte al tutto. Se ne era stata tutto il tempo ferma sulla porta, la sua squadra di scopine accanto a lei, e aveva fissato John e Sherlock il più arcignamente possibile, considerando il suo buon cuore e la dolcezza che la contraddistinguevano. Alla fine, però, si era ritrovata a ridere e a sorridere per le battute dei due, per gli scherzi e qualcosa di nuovo aveva trovato posto nel suo cuore.

Speranza.

-Giù la testa!- stava gridando John, dall'alto di una scala, armeggiando con la scopa. -Queste ragnatele sono particolarmente infide. E sono più vecchie di qualche anno. Ma che facevi, le collezionavi?-

-Pensavo dessero un certo tocco al tutto.-

-Oh certo. Collezione autunno-inverno per il vostro castello maledetto. Regalatevi delle ragnatele negli angoli, il top- rise John, allungandosi ancora di più, tenendo il manico quasi con la punta delle dita. -Cavolo. Cavolo cavolissimo!- gridò, prima di perdere l'equilibrio e franare rovinosamente per terra, completamente ricoperto dalla ragnatela appiccicosa.

-E meno male che avrei dovuto lasciare fare a te perché eri più pratico- bofonchiò Sherlock, preoccupato che l'altro si fosse fatto male.

-Ehi, non ho mai detto di aver seguito un corso di pulizie!- ribatté John, pulendosi sul mantello di Sherlock.

-Ecco. Molto meglio.-

-Ma cosa...?- sobbalzò Sherlock, mentre John scappava via, abbandonando l'arma per terra.

In breve finirono per rincorrersi per tutta la stanza, lanciandosi spugne, schizzandosi di acqua e sapone e cercando di appiccicare sull'altro quante più ragnatele possibile.

Inutile dire che questo fece ritardare di almeno un'ora la completa pulizia della stanza.

Alla fine, però, John fu categorico. Spinse Sherlock fuori e comandò a Mycroft e Lestrade -che erano accorsi, curiosi- di non farlo entrare fino a quando lui stesso non avesse aperto le porte.

-Posso entrare?- gridò dopo appena due minuti Sherlock, nervoso, mentre la pendola e il candelabro sghignazzavano.

Nessuna risposta.

-Posso entrare?- riprovò Sherlock quasi immediatamente e andò avanti così finché un John, sporco di vernice gialla dalla testa ai piedi, non andò ad aprire. Ma questa volta non sembrava scocciato dell'insistenza di Sherlock. Una strana luce gli brillava negli occhi blu.

-Accomodati, Sua Impazienza- lo prese in giro, seguendolo all'interno.

Sherlock, una volta dentro, per la prima volta nella sua vita rimase senza parole. Sulla parere opposta a quella del letto, su quella dove avevano faticosamente applicato una carta da parati bianca con ghirigori neri, John aveva dipinto con la vernice gialla un gigantesco volto sorridente stilizzato.

-Così, quando brontolerai di nuovo, ti basterà guardarlo per... be'... sorridere- disse John, imbarazzato.

Sherlock si avvicinò piano e tese una zampa, ma si fermò a pochi millimetri dalla pittura, quasi temendo di rovinare l'opera di John anche solo sfiorandola.

-Qualcosa non va? Lo so che è la parete con la carta da parati, quella che ci abbiamo messo tre ore a mettere, ma mi sembrava carino...-

Sherlock, che era ancora in silenziosa contemplazione, si volto piano verso John, ma non aprì bocca.

-Ok. Forse non è stata la mia idea migliore. Ci metto davvero un secondo a pulirlo, non si è ancora asciugato...- e, mortificato, si avviò verso il secchio, lacrime di delusione che gli bruciavano nello sguardo. E aveva paura, paura di aver rovinato tutto quello che avevano costruito in quel tempo passato insieme. Tutte le risate, gli scherzi, le parole sussurrate perché non andavano dette ad alta voce, le confidenze … tutto gli passò davanti agli occhi, mentre sollevava la spugna e si avvicinava alla parete.

-Cosa stai facendo?-

La voce di Sherlock, sempre così profonda e potente, gli arrivò come ovattata.

-Lo lavo via- rispose duro John, distogliendo lo sguardo. Non voleva farsi vedere piangere. Non da Sherlock.

-E perché?-

-Mi prendi in giro? Lo odi. E ti fa così schifo che non riesci nemmeno a dirmelo.-

-Cosa? Io … io non lo odio. E non mi fa nemmeno schifo. Che diavolo stai dicendo?-

John bloccò la spugna a pochi centimetri dal sorriso giallo e si voltò piano verso Sherlock.

-Ti … piace?-

Sherlock sgranò gli occhi.

-È un tuo regalo. Lo hai fatto tu. Come potrebbe non piacermi?-

Il sorriso comparve piano sul viso di John, allargandosi a poco a poco agli occhi.

-Cretino- mormorò, strizzandogli sul muso l’acqua. -Dirlo prima no, vero?-

Rimasero in silenzio davanti la parete, Sherlock che gocciolava sul pavimento e guardava John con sguardo ebete e John che non sapeva cosa dire. Se commuoversi per le parole dell’altro o ridere per l’espressione da cane bagnato che il pelo zuppo gli conferiva.

-Vorrei fare qualcosa per te- disse Sherlock a un certo punto, prendendo un respiro profondo. –Vieni- mormorò e, senza aggiungere altro, sparì nel corridoio nero.

John rimase un attimo interdetto, poi gettò letteralmente la spugna e seguì Sherlock. O le sue gocce d’acqua e il mantello che svolazzava nella penombra, a essere onesti.

Zigzagarono alla cieca –o meglio, John lo fece- e Sherlock quasi gli sfuggì, un paio di volte. Alla fine, quando quello se ne rese conto, si girò verso John.

-Prendi la mia mano- ringhiò nel buio.

-O zampa- borbottò John. –Oppure tu potresti andare più piano- aggiunse poi, ma non lasciò andare la presa.

Continuarono a correre nel buio, le dita intrecciate, fino a quando Sherlock non si fermò di colpo davanti a una grande porta in legno, chiusa, e John gli andò a sbattere contro.

-La prossima volta, avverti- si lamentò, massaggiandosi il naso.

-Scusa, io... C'è una cosa che vorrei vedessi- disse Sherlock.

-Ti dirò che lo avevo intuito- commentò John, curioso. -E immagino sia dietro questa porta.-

Sherlock annuì brevemente.

-Vorrei che chiudessi gli occhi.-

John obbedì. Se non l'altro, aveva imparato a chiederlo con gentilezza.

Poi, la mano/zampa di Sherlock strinse di nuovo la sua e John sentì i propri piedi muoversi come da soli, un passo dopo l'altro.

Non aveva paura, era con Sherlock. E, se avesse fatto quella considerazione un mese prima, si sarebbe dato del pazzo. Ma ora, lì, in quel momento, lasciarsi guidare da quell'enorme bestia gli sembrava la cosa più naturale e normale del mondo. Quasi non avesse fatto altro nella sua vita. E in mille altre vite.

-Tienili chiusi- sentì la voce di Sherlock dire, poi come sfumare in lontananza. E, anche se aveva gli occhi chiusi, riuscì a percepire un cambio nella luce. Sherlock aveva illuminato quel luogo, dovunque si trovassero.

-Posso...?- fece John

Sherlock grugnì in lontananza e John lo prese come un sì. E allora aprì gli occhi e con essi anche la bocca, ma quella involontariamente. Davanti al suo sguardo, la più grande biblioteca che avesse mai visto. Quella del villaggio non era piccola e anche quella della cittadina dove aveva abitato prima era abbastanza grande, ma di certo non potevano competere con questa magnificenza. Era grande almeno quanto casa sua, scaffali ovunque, zeppi di libri dal pavimento fino al soffitto, divisi per argomento.

Come in un sogno, John si mosse verso quelli di medicina e ne prese uno a caso e prese a sfogliarlo. Un perfetto manuale di anatomia, con accurati disegni e precise descrizioni. Forse, con quei tomi a disposizione, sarebbe davvero diventato il medico che aveva sognato.

-Ti piace?-

John si strinse al petto il libro e abbracciò con lo sguardo la biblioteca.

-È... più di quanto potessi sognare- disse John, sopraffatto da mille emozioni. -Grazie, davvero. Non so cosa dire- ammise, ridacchiando nervosamente.

-Potresti accettare il mio invito a cena. È un mese che sei ospite qui, pensavo di... ecco... festeggiare- propose Sherlock, quasi timoroso che l'altro potesse rinunciare.

-Considerami già a tavola- sorrise John. -E fai preparare il salone grande!-







Inathia's nook:

posso ammettere che mi sono sciolta, mentre scrivevo questo capitolo? 
Ok, forse è perchè so cosa succede poi.... No, tranquille, niente spoilers... Ma diciamo che mi è piaciuto particolarmente scrivere di questi due ciccini. Anche se la mia "specialità" è l'angst, trovo il fluff (anche quando è appena accennato) davvero ottimo per il cuore di ognuno di noi.
E poi... 
NO, non vi dico nulla.
Vi mando un mega bacione e alla prossima settimana :)

 

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Capitolo 12
*** It's not a date... (not yet) ***


It's not a date... (not yet)




-Oh, un appuntamento con il padrone!- cinguettò il guardaroba, quando John tornò in camera per prepararsi.

-Non è un appuntamento- provò smentirla John, ma con il sorriso sul volto e lo sguardo sognante non suonava molto convincente.

E poi, se non fosse stato per il fatto che a lui piacevano le ragazze, non ci avrebbe trovato nulla di male in un appuntamento con Sherlock. Non era più la Bestia irascibile, pericolosa e solitaria che aveva conosciuto quando aveva messo piede per la prima volta nel castello. Era cambiato, in meglio, ovviamente, e, se non fosse stato per il suo aspetto, si sarebbe detto principe in tutto e per tutto. Ci si era affezionato, John. Non lo avrebbe mai ammesso, ma Sherlock lo faceva ridere, lo tirava su di morale quando gli mancava casa e lo appassionava quando parlava degli omicidi che erano avvenuti nei dintorni e lui aveva risolto. Pur non mettendo mai piede fuori dal maniero. Era intelligente, affascinante...

E John doveva ricordarsi che a lui piacevano le ragazze un po’ troppe volte, quando c’era Sherlock nelle vicinanze.

-The?-

La signora Hudson comparve sulla porta, accompagnata dall'inseparabile Clara e da qualche altra tazzina.

John sorrise e le fece entrare, più per avere compagnia che per altro.

-Il padrone è molto nervoso- ridacchiò la teiera, mentre Clara si metteva a chiacchierare con il guardaroba sul colore che sarebbe stato meglio su John.

-Davvero?- finse noncuranza lui, sentendosi però, inspiegabilmente, aggrovigliare le viscere. -Perché dovrebbe esserlo?-

-Ci tiene a te, John- disse maternamente la signora Hudson, -vuole solo renderti felice. Come tu rendi felice lui.-

John si ributtò sul letto, un braccio sugli occhi. Poteva davvero dimenticare tutto il resto, quella che era stata la sua vita fino a un mese prima, e rimanere per sempre lì?

-Ecco, con questo farai un figurone- esclamò l'armadio, porgendogli un completo con pantaloni scuri, sul marrone, camicia bianca e giaccia sul dorato. Ma l'insieme, che sarebbe potuto sembrare pacchiano per il colore, era in realtà molto elegante e, come ogni altro vestito che John aveva indossato al castello, gli stava alla perfezione.

Si controllò allo specchio, nell'anta, almeno un centinaio di volte, diventando sempre più rosso ogni volta che la signora Hudson gli diceva che stava benissimo e che non aveva alcun motivo per essere nervoso.

Alla fine, lo stomaco ormai in gola, si decise per andare in sala da pranzo.

 

 

 

 

Sherlock, indeciso se aspettarlo in piedi o seduto, dopo essersi imposto di non affacciarsi alla porta ogni due minuti, aveva optato per appoggiarsi allo schienale della propria sedia, mezzo in piedi, mezzo seduto.

Per l'occasione, su consiglio di Mycroft, aveva commissionato alle sarte, ora tutte aghi, rocchetti e ditali, un nuovo completo. Per quanto possibile, voleva sentirsi a proprio agio, anche se, per la prima volta da quando John era arrivato al castello, si sentiva il cuore in gola all'idea di cenare con lui. Almeno, questa volta la camicia non era strappata sulla schiena. Bianca e immacolata, faceva il paio con una giacca blu, che riprendeva il colore del suoi occhi, con i risvolti dorati. E i pantaloni erano scuri, su misura anche quelli. Si era persino pettinato, su consiglio di Lestrade, e aveva raccolto i peli/capelli che erano più lungi sul collo in una specie di cosa, fermata da un nastro blu come la giacca.

-Padrone, andrà tutto benissimo- lo rassicurò Mycroft, dopo aver lanciato un’occhiataccia a Lestrade, che ci stava provando spudoratamente con Molly.

-E se non si presentasse?-

-Perché dovrebbe farlo?- provò a farlo ragionare la pendola, saltando dal camino alla tavolata imbandita.

Sherlock aveva voluto fare le cose in grande, ordinando di cucinare per un reggimento intero. I domestici non avevano fatto domande, felici che il padrone stesse tornando il giovane attivo di un tempo, ma con più gentilezza nel cuore.

-Magari si è sentito male… oppure mi ha detto di sì solo per farmi stare zitto… oppure…-

-John verrà- sorrise Mycroft, tornando a dedicarsi alla sua attività preferita: fissare male Lestrade e Molly che civettavano.

E, come annunciato dalle parole del maggiordomo, John entrò piano nella stanza, socchiudendo la porta.

-Posso…?- chiese, rimanendo abbagliato dalla meraviglia della sala… e dal suo ospite.

Sherlock era qualcosa di magnifico e John dovette ricordarsi più e più volte che lui era etero.

-Buona sera- lo salutò Sherlock, gli occhi che gli brillavano.

Gli andò in contro e lo guidò fino al suo posto, spostando poi la sedia perché potesse accomodarsi. Poi si sedette a sua volta, senza smettere di sorridere.

-Sei felice- constatò John, le labbra che si increspavano allo stesso identico modo. –Ultimamente, intendo. Sei più felice.-

-Ho cambiato giro di amicizie- disse Sherlock, schioccando le dita perché cominciassero a servire la cena.

-E ha funzionato- commentò l’altro.

-Decisamente.-

 

 

Il pasto proseguì tranquillo, i due conversavano tranquillamente del più e del meno. Forse si conobbero di più durante quella cena che nell’intero mese che avevano passato gomito a gomito.

John scoprì che Sherlock era appassionato di chimica, che conosceva un mucchio di cose, ma che spesso cadeva sulle più basilari definizioni.

-Il sistema solare, dai! È la rivoluzione dell’ultimo secolo, come puoi non saperlo?- lo prese in giro John, rifiutando il bis dell’antipasto.

-John, il mio cervello immagazzina solo le informazioni strettamente necessarie…- cercò di fargli capire Sherlock.

-Ma non puoi dirmi che non te ne sei neanche interessato! Stiamo parlando di te, insomma!-

-Certo che me ne sono interessato- replicò scherzosamente stizzito l’altro. –Ma una volta appurato che fosse un’informazione inutile, l’ho “cancellata” dalla mia testa.-

-Cancellata? Quindi non sai dirmi se è la Terra che gira intorno al Sole o vice versa?- rise John, versandogli del vino. –Assurdo!-

-Ma non è importante!- ribatté Sherlock, leggermente brillo. –A chi importa se ruotiamo attorno al Sole, o è il Sole che ruota attorno a noi oppure tutti i pianeti se ne stanno in cielo a ballare il valzer, con il Sole come direttore d’orchestra?-

John rise più forte e, alla fine, Sherlock smise di corrugare la fronte e si mise a ridere a sua volta.

Nel corso della serata, Sherlock venne a sapere che il padre di John era morto in guerra. Cioè, già lo sapeva, ma ne ebbe la conferma. E venne anche a sapere che, se loro due non si fossero mai incontrati, John probabilmente sarebbe dovuto partire per il fronte a sua volta. Voleva diventare medico, è vero, ma lui e sua sorella non avevano abbastanza soldi. Così, l’unico modo che avrebbe avuto per proseguire gli studi sarebbe stato quello di diventare anche un soldato.

-Quindi, ti ho salvato la vita- commentò Sherlock, alla fine del racconto di John, assaggiando il dolce.

-Oh, certo. Perché vivere prigioniero in un castello è proprio il massimo- si lasciò sfuggire l’altro, salvo poi rendersi conto di quello che aveva detto. –Scusa, non intendevo… Il vino…- tentò.

-Tu ti senti prigioniero?- chiese Sherlock, la gioia che svaniva in un attimo dal suo viso.

-Be’… i primi tempi sì. Ti avrei risposto sì in un lampo, se me lo avessi chiesto. Mentre ora… non lo so, davvero. Ma non mi sento proprio un prigioniero, non proprio- borbottò John, i pensieri annebbiati dall’alcol. –Di certo sono un prigioniero di lusso- concluse, sorridendo e sollevando il calice.

Sherlock lo fissò un secondo, indeciso sul da farsi, poi si unì al brindisi a sua volta.

-A noi- brindò John, cozzando così forte il suo bicchiere contro quello di Sherlock che entrambi andarono in pezzi.

Sherlock fece venire subito un altro bicchiere, ma John lo scostò.

-Ho decisamente bevuto troppo- commentò, ridacchiando. –Balliamo?-

Sherlock sollevò un sopracciglio.

-Sei un pessimo ballerino.-

-E tu sei una bestia- rise John.

-Sei ubriaco- tentò di rifiutarsi Sherlock, mentre l’altro lo sollevava quasi di peso dalla poltrona dove stava cenando.

-Assolutamente sì- sghignazzò John. –E questo rende il tutto più divertente.-

Alla fine Sherlock si arrese e si lasciò trascinare nel grande salone, quello che John gli aveva chiesto di preparare quel pomeriggio. Forse non era del tutto ubriaco, forse sapeva quello che stava facendo…

E mentre la testa di John continuava ad urlargli: “etero! Tu sei etero, John Watson!”, John prese la mano di Sherlock e se la mise sul fianco, poggiandogli poi la testa sull’enorme petto.

E, su della musica suonata da chissà chi, cominciarono a ballare.










Inathia's nook:
sorry, ma ho dovuto tagliare la parte del ballo. Ma ho lasciato quella prima, non ben approfondita dal cartone.
spero davvero che vi piaccia, perchè è un capitolo un po' "sperimentale", che appunto si discosta molto dalla versione Disney per avvicinarsi alla serie...
Vi è piaciuto John? Sorry di nuovo, ma niente vestito giallo da drag queen :)
comunque, vi informo che ho finito finito di scrivere la storia e ora è in fase di betaggio. Ma ditemi una cosa... sareste interessate a un seguito? in quel caso la trama sarebbe completamente mia (non credo che sia una bella e la bestia2... se non contiamo quella cosa sul natale).
Be', fatemi sapere.
Un bacione a tutte 

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Capitolo 13
*** Remember me. Remember this. Remember now. ***


Remember me. Remember this. Rember now.





-Non sei così pessimo- commentò John, il volto sprofondato nel petto di Sherlock e ciondolando a ritmo di musica. -Perché sai ballare?- chiese, confuso.

Sherlock rise piano, sentendosi a casa tra le braccia di John.

-Sono un principe, non ricordi?-

-Ah, già. Difficile ricordarlo che sotto quel pelo c'è una persona. A volte mi sembri un gigantesco peluche- sghignazzò John, ridendo alla sua stessa battuta. -Peluche- ripeté- giocherellano con il codino di Sherlock. -Peluche...-

-Sì, ho afferrato il concetto- rise sommessamente Sherlock. -Anche se è un po' degradante sentirsi chiamare così.-

-Aiuta se ti dico che sono ubriaco?-

Sherlock rise di più, poi John poggiò i piedi traballanti sulle zampe dell'altro, ridendo sotto i baffi.

-Che stai facendo?-

-Non mi reggo più in piedi. E poi, non sono tutto questo gran ballerino. Ora sarai la mia carrozza-peluche-ballerina.-

Sherlock scosse la testa, ma non si tirò indietro.

E così ripresero a volteggiare per la sala, ripresero a ballare. Anche se, a essere onesti, John si limitò a tenere stretto a sé Sherlock, mentre l'altro ballava per entrambi.

-Sai che io non sono etero?- se ne uscì a un certo punto John. Sherlock rimase un attimo confuso, dato che ormai credeva che John si fosse addormentato. E poi, non era una frase che si sentiva tutti i giorni...

-Come, scusa?-

-Io sono gay, non sono etero- biascicò John, stringendosi ancora di più a Sherlock.

-John, sei ubriaco...-

-Vero anche questo- ammise lui, arricciando il naso.

Poi si alzò in punta di piedi e appoggiò le sue labbra su quelle dell'altro.

Sherlock si staccò gentilmente, smise di ballare e si limitò a guardarlo negli occhi.

-John, che diavolo stai facendo?-

-È la mia fermata?- ridacchiò John, rimettendo i piedi per terra. -Quanto le devo, messere? Come dice? È gratis perché sono bellissimo?-

-John, John!- lo riprese l'altro, poggiandogli le mani sulle spalle e incatenando i loro sguardi.

-Oh, ciao. Ci sei anche tu?-

Sherlock si impose di rimanere serio, ma un piccolo sorriso si increspò lo stesso sul suo viso.

-Buona sera- salutò a sua volta, reggendogli il gioco.

-A te non gira la testa? Forse dovremmo fermarci...-

-Già fatto.-

-Ooh, capisco... No, in realtà no. Perché continua a girare tutto?-

Sherlock non disse nulla, limitandosi a lasciare che John si poggiasse sulla sua spalla e lo sostenne mentre si dirigevano verso il terrazzo.

Era una bella serata, mancava poco alla luna piena e le stelle splendevano placide. Sherlock fece sdraiare John, che nel frattempo si era addormentato, su una delle panchine di pietra, fece portare un bicchiere d'acqua per quando si sarebbe svegliato e poi si poggiò alla ringhiera, a guardare il panorama. Anche se i suoi occhi continuavano a spostarsi verso John. Ora riposava tranquillo, aveva bevuto decisamente abbastanza per quella sera, ma era stato divertente vederlo perdere il controllo in quella maniera. Sorrise a fior di labbra ripensando alle immense cavolate che avevano detto quella sera, ma non si pentiva di nessuna. Erano anni che non si divertiva così... E anche John sembrava risplendere di una luce nuova. E non era merito dell'alcol.

"È merito tuo" disse una vocina nella sua testa e il sorriso si allargò.

John, alle sue spalle, mugugnò qualcosa nel sonno, poi si raggomitolò su sé stesso. Aveva freddo, comprese Sherlock, e allora si tolse la sua giacca blu e la poggiò sul ragazzo. Era ridicolmente grande e faceva a pugni con il completo d'oro e marrone che lui indossava, ma John smise di tremare e Sherlock si sentì realizzato come poche volte nella sua vita.

-Sherl...- biascicò John, stringendo la giaccia. -Sherlock?-

-Sono qui- disse quello, facendosi vicino, ma parlando piano quasi John fosse di cristallo.

-Che è successo?- borbottò l'altro, tirandosi su piano, ma non accennando a lasciare la giaccia. Anzi, se la infilò proprio. -Gesù... Mi sono addormentato?- chiese, bevendo dal bicchiere che Sherlock gli porgeva. -Che schifo che sono... Decidiamo di fare festa e io mi addormento...-

-Oh, hai bevuto abbastanza...-

-Non farmelo fare mai più- lo interruppe John. -Non so mai che combino quando sono brillo. L'ultima volta che mi sono ubriacato, la mattina dopo mi sono svegliato in un fienile, con i capelli tagliati per metà e un'oca accanto. E con oca, non intendo una ragazza bella ma stupida. Un'oca vera!-

Sherlock trattenne un sorriso, mentre John cercava di mettersi in piedi, appoggiandosi all'altro.

-Di solito me lo faccio raccontare, quello che ho combinato...- aggiunge John, raggiungendo la ringhiera, Sherlock sempre accanto a lui.

-Te lo fai raccontare?- chiese confuso Sherlock.

-Sì, di solito non mi ricordo nulla. E sai, vorrei saperlo come sono finito in un fienile con i capelli mezzi rapati e un'oca che mi dorme di fianco. Così, per farsi due risate- specificò John.

-Non ricordi nulla- ripeté Sherlock, come incantato. -Nulla...-

-A quanto pare dico anche cose senza senso- aggiunse l'altro, ma la risata che seguì era più forzata delle altre. Forse non era così smemorato come voleva far credere... -Perché, che ho detto?- chiese, con voce stridula.

-Uhm... niente- rispose vago Sherlock, passandosi distrattamente una zampa sulle labbra.

-Che ho fatto?- ripeté John, allontanandosi un poco. -Mi sono messo a cantare sul tavolo?- aggiunse, il tono di uno che aveva bisogno di risposte rassicuranti.

-Sì, proprio così...- mormorò Sherlock, guardandolo triste.

John tirò un sospiro di sollievo mentre l'altro lo imitava.

-Be', almeno non ci sono andati di mezzo poveri animali, questa volta.-

-Già. Non riesco a trattenere la gioia, credimi.-

Rimasero in silenzio, ognuno perso nei suoi pensieri.

Sherlock, per la prima volta nella sua vita, non sapeva davvero cosa fare. Anzi, a essere onesti, era da quando aveva conosciuto davvero John che ogni giorno non sapeva cosa fare. Perché lui sapeva mandarlo in confusione come nessuno prima di quel momento. Persino la fata che lo aveva reso quello che era diventato non lo aveva sorpreso più di tanto. Cioè, sul momento si era preso un bel colpo, ma poi la trasformazione era diventata parte di lui e lo aveva reso quello che era. E poi, ora, sapeva di esserselo meritato.

Ma John... John era tutta un'altra storia.

John era la risata inaspettata, era il sopracciglio alzato che lo rimproverava senza una parola, era lo sguardo serio e deciso che gli parlava del suo futuro, era il coraggioso giovane che si era offerto in sacrificio per sua sorella.

E lo amava.

Quel bacio, dato al momento sbagliato, glielo aveva confermato. Il fatto che desiderasse che quel bacio non fosse l'ultimo, che John fosse tutto quello che desiderava in quel momento. Ma non sapeva cosa fare. John era ubriaco, quando aveva detto quelle cose, quando lo aveva baciato. Cosa avrebbe dovuto fare? Dirglielo? Rischiare di perderlo per sempre? Lo aveva visto come lo aveva guardato poco prima, come gli aveva parlato, come se fosse stato davvero terrorizzato dal non avere controllo delle proprie azioni. E Sherlock lo comprendeva, più di chiunque altro. Aveva passato una vita a credersi padrone del mondo, aveva sempre tutto e tutti ai suoi piedi... e proprio ora, in quella che sarebbe stata la decisione della sua vita, non sapeva cosa fare.

Si voltò piano verso John e ne studiò la fisionomia, anche se era certo che sarebbe stato in grado di disegnarlo ad occhi chiusi. Il ragazzo guardava l'orizzonte, una leggera brezza che gli scuoteva i capelli. Aveva ancora addosso la giacca che lui gli aveva dato prima e ci affondava dentro, ma la cosa sembrava confortarlo, anziché metterlo in imbarazzo. Sherlock ne osservò gli occhi grandi e blu come la notte che li circondava, la linea decisa e dolce allo stesso tempo della bocca, quella bocca che voleva più di ogni altra cosa baciare e baciare... John si accorse che lo stava fissando e ricambiò lo sguardo, leggermente confuso.

-Ehi, tutto bene?-

Chi avrebbe mai potuto amare una bestia? si ricordò Sherlock.

-Bene, sì- rispose. -Hai freddo?-

John si strinse nella giacca scura e scosse la testa.

-Ho questa, no?-

-Giusto- si diede dello stupido Sherlock. In fondo, quello che davvero voleva era sentire era la voce di John, vedere i suoi occhi illuminarsi... poco gli importava l'argomento della conversazione. -Sei stanco, vuoi che rientriamo?-

-Ho detto che sto bene- rise John. -Ho anche dormito... scusa ancora per prima- aggiunse, distogliendo lo sguardo per una frazione di secondo. Ma bastò a Sherlock per morire e rinascere quando gli occhi di John rincontrarono i suoi. Non lo amava.

Sherlock si passò una zampa sul volto e sospirò piano. Forse la sua era una causa persa. Sapeva che lo erano quando avevano cominciato a conoscerlo, ma poi aveva cambiato idea... solo per ritrovarsi deluso. Ma non era colpa di John, non si poteva scegliere chi amare. E forse c'era una bella ragazza che lo aspettava al villaggio...

-Hai presente quello che mi hai detto prima, a cena?- chiese, richiamando l'attenzione di John su di sé.

Quello lo guardò interrogativo.

-Riguardo al sentirti come prigioniero, delle volte...-

-Senti, non ero del tutto lucido- lo interruppe l'altro. -Non possiamo semplicemente dimenticare la serata?-

NO! ruggì Sherlock dentro di sé, ma si limitò ad annuire.

-Ma questa cosa mi è rimasta piuttosto impressa. Io non voglio che ti senti così, voglio che consideri questa come una seconda casa...-

-Seconda?- fece John, non capendo.

-Sì, seconda.-

-Ma io credevo...-

-Per l'eternità, vero?- chiese Sherlock, con un sorriso triste. -Ho capito che vorrei che tu stessi qui perché lo vuoi, e non per uno stupido accordo. Quello che hai fatto quella notte è stato molto coraggioso, ma io non avevo alcun diritto di chiedertelo.-

John spalancò gli occhi, sorpreso, poi cominciò a ridere come impazzito e a saltellare.

-Aspetta, sei serio?- domandò poi, mal interpretando lo sguardo di pietra di Sherlock. -Perché se stai scherzando sappi che te la farò pagare! Non so bene quando e come, ma troverò il modo.-

E mentre John andava avanti a parlare di piani e vendette, Sherlock chiuse gli occhi. Ce l'aveva già davanti la vendette di cui parlava John: era la felicità del giovane nel sapere che era libero. Ci aveva visto giusto, non lo amava. Forse erano amici, forse c'era qualcosa di più di indefinibile, oppure John aveva finto tutto quel tempo, nella speranza che quell'atteggiamento così aperto e disponibile gli fruttasse qualcosa. Ma Sherlock cercava disperatamente di evitare di pensare a quell'ipotesi. John era suo amico, almeno a quello poteva credere.

-Con questo puoi vedere casa tua proprio ora- aggiunse Sherlock, porgendogli lo Specchio Magico. -E' uno strumento che mi ha lasciato la fata che mi ha reso così, ma tu puoi usarlo per controllare come stanno i tuoi cari...-

John prese con delicatezza lo Specchio e ne scrutò la superficie liscia e le decorazioni sul manico.

-È bellissimo...- mormorò. -E cosa devo fare esattamente?-

-Devi dire il nome di chi vuoi vedere- spiegò, mettendosi alle sue spalle, curioso di vedere chi avrebbe cercato per primo. -Così non mi dimenticherai- aggiunse.

-Stai scherzando? Come potrei dimenticarti? Guarda che faccio un salto a casa, poi sono qua di nuovo. Non ti libererai di me così facilmente- rise John.

Sherlock provò almeno a sorridere, ma tutto sapeva troppo di addio per lui. C'era qualcosa, come una specie di sesto senso, che gli diceva che qualcosa di terribile sarebbe successo se John avesse lasciato il castello.

-Harriet Watson- pronunciò John, scandendo bene la voce e Sherlock si concesse di esultare un attimo. Se cercava per prima la sorella, forse non c'era nessuno che lo aspettava a casa, oltre lei, nessuna ragazza. Forse, se fosse riuscito a convincere quella Harriet, si sarebbero potuti trasferire lì al castello... forse non era tutto perduto.

Ma sentì John trasalire e si concentrò sull'immagine che si era formata sullo schermo. La ragazza, coperta a mala pena da un mantello, arrancava a fatica nel bosco, gridando disperata il nome del fratello. E, ogni grido, era accompagnato da colpi di tosse terribili e da brividi. Stava male, molto, ma non demordeva.

Sherlock vide molto di John in lei.

-Questa cosa sta succedendo adesso?- chiese il ragazzo, con voce tremante. -Harry è davvero mezza morta chissà dove nel bosco?- specificò, girandosi verso Sherlock, l'orrore negli occhi.

-Lo Specchio mostra la persona che...- cominciò, ma John lo gelò con lo sguardo.

-Sherlock, o sì o no, non è difficile. Mia sorella sta per morire?-

-Sì. È nel bosco da qualche parte...-

-Devo andare, devo trovarla- mormorò John, interrompendolo e perdendo tutta la spavalderia di poco prima. Era di nuovo un ragazzo terrorizzato. Harry era tutto quello che gli restava della sua famiglia, non avrebbe permesso che le fosse successo nulla di male, non senza lottare con le unghie e con i denti.

E Sherlock lo amava anche per quello. Anche se quell'amore lo stava distruggendo.

-Prendi lo Specchio con te, ti potrebbe servire- fu l'unica cosa che disse ad alta voce e lo sguardo di ringraziamento che gli lanciò John gli bastò.

In un attimo, era già rientrato e chiedeva ai servitori dove avessero messo il suo cavallo.

Non passò che mezzo minuto e Sherlock lo vide, dalla terrazza, sparire nel buio del bosco, il mantello che ondeggiava al vento, lo Specchio che spuntava dalla borsa a tracolla.

-Padrone... non capisco- disse Lestrade, che lo aveva raggiunto sulla terrazza, seguito da Mycroft.

-Perché l'ho fatto andare via?- chiese Sherlock, un mezzo sorriso triste sul volto.

-Perché lo ama- rispose per lui Mycroft. -E perché amare significa mettere i bisogni dell'altro davanti ai propri.-










Inathia's nook:

aggiornamento anticipato, questa settimana :) siete o no contente?
In realtà volevo rendervi felici prima di darvi una (credo) brutta notizia. Non sono più sicura se scriverò o meno un seguito. La trama sarebbe già pronta, prologo e parte del primo capitolo anche, ma più si va avanti, più l'univerisità si farà impegnativa e prima o poi dovrò seriamente cominciare a studiare. E poi ho un'altra long di Harry Potter da concludere... e non vorrei promettervi qualcosa che poi non sarei in grado di mantenere. Oppure aggiornare ogni morte di papa.

Passando invece a noti più lievi, che ne pensate del capitolo? Ve lo avevo detto che ci sarebbero state delle noti dolenti... Se, da una parte, il John ubriaco bacia Sherlock e finalmente si dichiara, dall'altra dice di non ricordarsi nulla. Vedremo quanta verità c'è in queste parole. 
E... niente, Sherlock è la dolcezza fatta uomo... pardon, bestia. L'ho amato in questo capitolo, anche se mi sento un po' in colpa per lui.
Stay tuned, come al solito, per il seguito ;) 

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Capitolo 14
*** Maybe it's true... maybe I ran away ***


Maybe it's true... maybe I ran away


 

John cavalcava con il cuore in gola. Non aveva tempo di pensare, tempo di riflettere. C'erano solo due input nel suo cervello: spronate Philip e trovare Harry.

Un ex-servitore addetto alle stalle, ora sella, gli aveva fatto trovare il cavallo già pronto e lui gli era saltato in groppa. Solo ora si rendeva conto di non aver detto una parola a Sherlock e per quello non si poteva permettere di pensare al castello, ma solo ad Harry.

Perché pensare al castello lo portava indietro di qualche ora, quando aveva detto e fatto cose che non voleva ricordare.

Scacciò con forza il ricordo del bacio che cominciava a formarsi nella sua mente e affondò i talloni nei fianchi di Philip. Era ancora vestito da festa, fortunatamente aveva il cappotto di Sherlock a tenergli caldo...

-HARRY!- gridò, cercando al buio delle tracce impossibili. -HARRY! Sono io, John! Dove sei?-

L'angoscia cominciava a farsi sentire. Il suo più grande terrore era che l'avessero aggredita i lupi, quegli stessi lupi che l'avevano attaccata la prima volta e quegli stessi lupi che avevano cercato di prendere anche lui, quando si era messo in testa di scappare dal castello.

Ora, tutto quello che riusciva a pensare, era che sicuramente Sherlock avrebbe trovato Harry in pochi secondi, lei sarebbe stata bene. Il suo viaggio mentale si concludeva con loro tre davanti al camino, al castello, felici.

Ma ora non c'era nulla di tutto quello. Non era scappato, ma qualcosa di molto simile, e proprio quando Sherlock gli aveva detto che sarebbe potuto tornare a casa... chissà cosa stava pensando di lui... sicuramente che si era approfittato della situazione, di lui...

Quando e se avesse trovato il coraggio di tornare, gli avrebbe spiegato tutto quanto. Perché quella notte, ora, nel bosco, sarebbe stata di sicuro meno silenziosa e spaventosa se Sherlock fosse stato con a lui. Lo sapeva e lo aveva sempre saputo, ma chissà cosa in quella sua testa vuota gli aveva proibito di dirlo ad alta voce.

-HARRY!- gridò di nuovo, ma tutto quello che voleva dire era: “Io amo Sherlock, la bestia che vive nel castello, il ragazzo che è diventato bestia attraverso l'odio, ma è diventato uomo per amore. E lo amo e lo amerò sempre, ma sono un cretino e ho rovinato tutto.”

Ma non lo disse, ovviamente, anche in quel momento, anche quando ormai lo aveva ammesso a se stesso, c'era una piccola parte di lui che continuava a ripetere: “Io non sono gay. Io sono etero...”.

John si mandò a quel paese da solo e aguzzò lo vista. Quasi il suo cuore saltò un battito, perché davanti a lui, a pochi metri di distanza, c'era un fagottino che si stava rapidamente colorando di bianco.

E il fagottino respirava.

E il fagottino indossava il vecchio mantello di John, quello che lui aveva provato a rammendare con pezze di vari colori, riducendolo a un orrendo patchwork.

E il fagottino era sua sorella, l'avrebbe riconosciuta sempre e dovunque.

-Harry!- esclamò, saltando giù da cavallo e precipitandosi da lei.

La ragazza si voltò piano, mani e viso quasi blu a causa del freddo. Ma la gioia che si dipinse nei suoi occhi fu immensa.

-John... John sei davvero tu?- mormorò, accarezzandogli una guancia. -Il mio fratellino... sono morta?-

John scoppiò a ridere per il sollievo. Harry stava bene. Forse non era in gran forma, ma si sarebbe rimessa. Prese un attimo in considerazione l'idea di portarla al castello, da Sherlock, dove sicuramente avrebbe ricevuto le migliori cure, ma non voleva dargli ulteriormente l'idea di essersi approfittato di lui e di essere tornato solo per Harry. Se e quando avesse rimesso piede in quel castello, sarebbe stato da solo e con le risposte che ancora stava cercando.

-Sono io, scema. Non sei morta... e non morirai questa notte, te lo posso assicurare.-

-Credevo che quella bestia...-

-Sherlock- la corresse, senza pensarci, John, mentre la aiutava ad alzarsi.

-Come dici?- fece lei, confusa.

-Si chiama Sherlock- “e io sono innamorato di lui. Credo. L'ho baciato, ma poi ho negato di ricordare” aggiunse nella sua testa. Ma ci sarebbe stato tempo di raccontarle tutto quanto. Ora, bisognava portare Harry al sicuro. Un bosco in cui aveva appena cominciato a nevicare, in piena notte, con lupi ovunque, non era proprio il posto ideale per una riunione di famiglia.

-Sei scappato, vero? E mi hai trovato... il mio fratellino- sorrise sfinita Harry, abbandonandosi a John, una volta in sella.

Lui la strinse forte, ma questa volta non la corresse.

Era scappato?

Ora cominciava a credere di sì...

 

 

 

La loro casa era come l'aveva lasciata ormai un mese prima, tranne per il disordine che aveva fatto Harry nella cucina. Evidentemente, dopo che lui se n'era andato, aveva setacciato ogni centimetro del cottage e aveva trovato tutte le bottiglie che lui aveva nascosto. E ora erano tutte lì, mezze piene e mezze vuote, sparpagliate sul tavolo.

Ma John non disse nulla. Harry stava male, la priorità era un'altra, ora.

La portò in braccio fino al suo letto e la coprì, mettendole poi una pezzuola fresca sulla fronte per abbassarle la temperatura. Poi le diede un bacio leggero sulla fronte e si addormentò, cullato dal respiro di lei che si era finalmente fatto regolare.

 

 

 

Si svegliò qualche ora più tardi, una luce calda e rassicurante che entrava dalla finestra.

Harry era cosciente e gli accarezzava i capelli con un sorriso sul volto.

-Allora non ti ho sognato. Sei davvero qui- disse, negli occhi lacrime di gioia.

-Sono qui, non ti lascio più- la rassicurò John, stringendole la mano.

-Quando hai detto a quell'essere orrendo che saresti rimasto al mio posto... Oh, John, sei stato così coraggioso!- disse, prima di scoppiare a piangere. -Ed è tutta colpa mia... mia, se sei stato prigioniero di quel … quel... coso per un intero mese!-

Per John fu come ricevere uno schiaffo sentire sua sorella dire quelle cose su Sherlock. Non era più quel mostro che lei aveva incontrato. Era un complicato essere, buono e terribile, dolce e amaro.

-Sherlock. Il suo nome è Sherlock- si limitò a dire, alzandosi ed andando alla finestra.

-Cosa c'è, John? Qualcosa è cambiato...-

-Forse si tratta solo di me- sorrise stanco lui, passandosi una mano sul volto. -Forse mi serve solo il coraggio per ammetterlo.-

Harry gli fece cenno di sedersi accanto a lei e John obbedì, raggomitolandosi come quando erano bambini, perdendosi nei riccioli e nel profumo di sua sorella.

-Tornerai, non è vero? Quella di prima era una bugia detta a una malata...-

-NO- quasi gridò lui, ritraendosi e guardandola negli occhi. -Io ho davvero intenzione di...- ma non finì la frase, perché non sapeva cosa avesse intenzione di fare. -Non lo so, Harry. Non lo so. Tu dici sempre che sono stato deciso e determinato fin da bambino...-

-Hai deciso che saresti diventato medico quando papà si prese la febbre e vedesti mamma preparargli vari decotti e prendersi cura di lui. Credo tu avessi più o meno quattro anni- sorrise Harry, persa nei ricordi. -Eri così carino- aggiunse, arricciando il naso, -correvi da una parte all'altra di casa, portando le medicine a papà e ripetendo parola per parola quello che avevi sentito dire da mamma.-

-E allora perché non sono più così? Che ne è stato della mia determinazione, di tutta quella sicurezza? Che fine ha fatto quel bambino?-

-Gli è capitata la cosa più bella del mondo. È cresciuto e si è innamorato- rispose Harry, ridendo dell'espressione sconvolta di John. -Oh, credevi davvero di poterla farla a tua sorella? “Si chiama Sherlock” e quel muso che hai messo su quando ho parlato male di lui... il fatto che tu non abbia la più pallida idea di cosa fare... è chiaro come il sole!-

John arrossì brutalmente e cercò di schernirsi, ma alla fine dovette capitolare.

-Raccontami tutto dall'inizio- lo spronò Harry, sistemandosi meglio tra i cuscini. La febbre le era quasi passata del tutto, rimaneva solo un po' di tosse, ma nulla l'avrebbe fermata dal sentire quello che John aveva da dire.

E lui parlò, cominciando dall'inizio, da quando Harry se n'era andata. Disse di come avesse subito litigato con Sherlock, di come lui avesse cercato di rimediare offrendogli la stanza più bella di tutto il castello e invitandolo a cena, invito che John aveva rifiutato in malo modo. Le raccontò delle meraviglie del castello, dello splendido pasto che gli avevano preparato i servitori-oggetti quando lui era sceso in cucina, dei battibecchi tra Mycroft e Lestrade, di come quest'ultimo ci provasse con Molly ma, sotto sotto, fosse innegabilmente attratto dal maggiordomo. Le narrò della terribile maledizione che aveva colpito il castello e i suoi abitanti, della rosa e dell'amore che erano l'ultima speranza per Sherlock. Quando arrivò alla parte in cui era stato attaccato dai lupi, nel suo patetico tentativo di fuga, Harry trattenne il fiato, anche se John era lì davanti a lei, in perfetta salute. Invece, quando le disse che Sherlock era arrivato in suo soccorso ed era solo merito suo se era vivo, le sue labbra si curvarono in un sorriso e gli strizzò l'occhio.

Dopo, raccontare divenne più difficile. Gli faceva male ricordare tutti i momenti belli passati insieme, soprattutto ora che era quasi sicuro che non sarebbero tornati. E mentre ne parlava, rivisse quel mese insieme. Quel mese che gli era sembrato immenso e che ora non sapeva come riassumerlo in poche parole.

E così non lo fece.

Passò tutta la mattinata e buona parte del pomeriggio, anche mentre preparava da mangiare e si prendeva cura di Harry, a raccontarle tutto quello che avevano detto e fatto. La fece ridere con i suoi ricordi di quando aveva tentato a pattinare sul ghiaccio, la commosse quando parlò di quello che le aveva detto Sherlock quando avevano deciso di ristrutturare la sua camera e dello smile che lui aveva dipinto.

Poi arrivò al momento della cena, della sera prima, dei bicchieri di troppo che aveva bevuto...

-L'ho baciato, Harry. Ho blaterato qualcosa decisamente privo di senso e poi l'ho baciato- concluse sconsolato, lavando i piatti.

-E com'è stato?- chiese Harry, curiosa di particolari, appoggiandosi allo stipite della cucina.

-Tornatene subito a letto- la riprese John, rendendosi conto che si era alzata, e riportandola praticamente di peso in camera. -E restaci. Non ho fatto tutta questa fatica perché tu rovinassi tutto.-

-Sì, sì, va bene, dottore. Ma non cambiare argomento. Com'è stato?- lo stuzzicò, lasciando che lui le sistemasse le coperte.

-Rapido- ammise John, sedendosi accanto alla sorella. -Mi ha allontanato non appena si è reso conto di quello che stava succedendo...-

-Oh, fratellino, mi sa che ne hai trovato persino peggio di te, in quanto a timidezza- rise Harry.

-Ma io non capisco perché...-

-Perché sapeva che eri ubriaco e non voleva approfittarne. Chi l'avrebbe mai detto che sotto tutto quel pelo ci fosse davvero un principe?-

-Quindi, che dovrei fare? Non posso semplicemente tornare al castello e...-

-Baciarlo?- completò Harry per lui. -Dichiarargli il tuo eterno amore?-

-Tu leggi troppi romanzi rosa.-

-E tu troppi pochi- lo riprese Harry, dandogli un leggero scappellotto. -Non puoi sempre aspettare che sia lui a fare la prima mossa...-

-Ma se non ha fatto nulla!- protestò John.

-Ti ha lasciato andare. Ha fatto sì che tu potessi venire da me. Sa che tornerai, ha fiducia in te. Quindi, andare al castello in questo preciso istante, è proprio quello che devi fare!-

John la guardò dubbioso, poi distolse lo sguardo e si concentrò sul sole che stava per tramontare.

Avevano parlato tutto il giorno.

-Forse domani. Tu ora non stai ancora bene e non me la sento di lasciarti sola. Magari, poi, potremo andarci insieme.-

-Non sono un fiorellino delicato, John, posso farcela anche da sola. E tu devi andare adesso, oppure ti perderai nel bosco e questa storia non avrà mai il lieto fine. E Dio solo sa quanto ve lo meritiate, tutti e due.-

John non disse nulla, perso tra i suoi pensieri, poi qualcosa lo fece sorridere.

-Non lascerai mai perdere, vero?-

-Non fin quando non ti vedrò uscire da quella porta, saltare su Philip e lanciarlo al galoppo verso il castello di Sherlock- disse, calcando sarcasticamente sul nome e battendo le ciglia in direzione di John.

-Quanto sei scema- rise John. -Ma forse hai ragione...-

-Forse? Ah, fratellino, io ho sempre ragione!- sorrise Harry, ma la sua risata si tramutò ben presto in uno starnuto.

-Ecco, vedi? Non posso neanche pensare di andarmene che tu subito ti senti male...-

-Macché male e male. Sono solo allergica... a... al legno- tentò Harry, starnutendo di nuovo.

-Harry, la nostra casa è interamente fatta di legno, ci abitiamo da mesi ed è la prima volta che starnutisci.-

-Allergia tardiva?- tentò Harry. -Oh, insomma, che devo fare per convincerti che sto bene?-

-Guarire?- risposte sarcasticamente John.

-E vattene- lo spinse giocosamente lei, facendogli perdere l'equilibrio.

-Bah, vado a chiudere la porta...-

E si allontanò dalla camera da letto.

Harry doveva essersi rassegnata al fatto che non se ne sarebbe andato, almeno non quella notte, e ora stava buona buona nel letto. Il respiro si era fatto più regolare e, John ne era sicuro, se fosse tornato di là, l'avrebbe trovata addormentata. Diceva di essersi ristabilita, lui in parte le credeva, ma ogni starnuto, ogni colpo di tosse, erano per lui una scusa per non allontanarsi da casa senza sentirsi troppo in colpa. “Harry ha bisogno di me” si ripeteva, “ci sarà tempo per parlare con Sherlock e spiegarsi.”

Si poggiò stanco allo stipite della porta d'ingresso. Se solo avesse potuto cancellare le ultime quarantotto ore...

Dei rumori lo distrassero dai suoi pensieri e usò lo strano spioncino che aveva installato Harry per vedere di cosa si trattasse. E quello che vide lo lasciò allibito.

Un'enorme folla di suoi compaesani, capeggiati da Jim Moriarty e Moran, agitava forche e fiaccole in direzione di casa sua, al grido di “rinchiudete la pazza”. Davanti a tutti, il carro del manicomio di Magnussen.







Inathia's nook:



Oooook gente, mi rendo conto che questo capitolo sia immenso e lungo sempre. Ma non volevo dividerlo per pubblicare due micro capitoli insulsi. Quindi, beccatevi 'sto polpettono ;) Dai che lo so, che in fondo i capitolo lunghi vi piacciono... *annusce con fare saggio. Poi si strozza con l'acqua e comincia a tossire in modo davvero poco saggio*
Cooooomunque, direi che qui ci sono quasi tutte le risposte alle domande del capitolo precendente.
John è coscente di aver baciato Sherlock, sa di provare qualcosa di molto forte per lui e no, non si è finto gentile solo per riguadagnare la libertà.
Bene.
E Harry... Oh, Harry ci mette mezzo secondo per capirlo... (Io ci vedo troppo Alex Kingstone per questo ruolo... si vede tanto che mi sono ispirata a lei nella scrittura del personaggio? Almeno, a lei e alla sua River, ovviamente). 
La scena in cui ci sono lui ed Harry che chiacchierano e finalmente chiariscono tutto quanto mi piace molto. Credo che John, alla fine, avesse bisogno solo di mettere in ordine i pensieri e di dirlo ad alta voce, quello che prova per Sherlock. 
Per il resto... credevate davvero che sarebbe finita lì? Che John sarebbe risaltato a cavallo e tutti sarebbero stati felici e contenti? Nah, in fondo non ci credevate neppure voi. Come si dice? Diciamo che questi capitoli sono gli ultimi "tranquilli". La calma prima della tempesta...
Ok, credo di avervi spaventato abbastanza ;) Gioia...
Un bacione e alla prossima :)

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Capitolo 15
*** All hell breaks loose ***


All hell breaks loose





-Harry, Harry svegliati!-

Dopo un attimo in cui era rimasto paralizzato dal terrore, John era tornato padrone di sé. Ma, nonostante questo, la paura era rimasta. Sapeva che lui ed Harry non erano molto amati in paese, li avevano sempre considerati strani. Ma, fino a quel giorno, si erano limitati ad emarginarli.

Solo... non sapeva cosa Harry avesse fatto in quel mese che era rimasta sola, non sapeva a cosa l'avessero spinta la disperazione e l'alcol. E forse... forse tutto quell'odio non era poi così immotivato.

Ma il fatto che fossero implicati Magnussen e, soprattutto Moriarty, non lo facevano ben pensare.

-Harry, sono serio. Dobbiamo andarcene- scosse la sorella, raccogliendo quattro cose in croce nell'unica borsa che si era portato via dal castello.

-Vai dal tuo innamorato?- lo prese in giro lei, la bocca impastata di sonno. -E fallo domani... a meno che non sia già domani...- borbottò, girandosi dall'altra parte.

-Cristo santo!- esclamò John, perdendo la pazienza. -Harriet Watson, tira su il sedere da quel letto. Subito!- ordinò, togliendole le coperte.

-John, l'amore ti ha reso maleducato...- mugugnò lei. -Che c'è, adesso? Sono sveglia, sono sveglia- ripeté, stropicciandosi gli occhi e passandosi una mano tra i riccioli.

-C'è tutto il paese alla porta... che diavolo hai combinato mentre non c'ero?-

Harry lo guardò con aria colpevole, allungandogli altre cose da mettere nella borsa.

-Ecco... ehm... potrebbe essermi scappato il fatto che il tuo fidanzato era una orrenda bestia e ti teneva prigioniero...-

-Harry, per la centesima volta, Sherlock non è il mio fidanzato!-

-Oh, a quello porremo rimedio presto- rise lei, tornando poi di colpo seria. -Ma nessuno mi credette. Parlai persino con il signor Moriarty, ma nemmeno lui...-

-Aspetta aspetta. Hai detto che ne hai parlato anche con Moriarty?- la interruppe John, che era improvvisamente diventato pallido. -E fammi indovinare, lui ti ha presa per pazza?-

-Be', cosa ti aspettavi, che mi credesse?-

-No, ma non mi aspettavo nemmeno questo- sbottò John, afferrando solo lo Specchio e precipitandosi fuori. A nulla valsero le urla di Harry, che tentava ti farlo ragionare. John era incavolato nero come poche volte nella sua vita. Moriarty aveva sempre provato ad approfittarsi di lui, fin dal primo momento in cui l'aveva visto, John per lui era solo un promettente medico, un ottimo partito per la figlioccia, non un essere umano. E Harry... oh, l'ingenua e preoccupata Harry gli aveva fornito la soluzione finale al suo problema su un piatto d'argento.

John varcò la porta di casa e se la sbatté alle spalle, stringendo i pungi per evitare di slanciarsi subito su Moriarty e suonargliele di santa ragione. Ma era più giovane e Moriarty aveva una folla dalla sua parte. Non ce l'avrebbe mai fatta. Se solo Sherlock fosse stato lì...

Scacciò quel pensiero dalla testa con fermezza. Doveva essere lucido e Sherlock di certo non aiutava.

-Oh, John, che meraviglia. Sei a casa- sorrise mellifluo Jim, alzando di proposito la voce perché tutti lo sentissero. -Harriet era tanto preoccupata. Una sorella così... sei stato un incosciente a lasciarla sola tanto a lungo. Le cose che si mettono in testa le ragazze d'oggi- e, come se fosse stato uno spettacolo a lungo provato, tutti alle sue spalle cominciarono a darsi di gomito e a ridacchiare.

John fece appello a tutto il suo autocontrollo e respirò profondamente. Harry era comparsa alle sue spalle, la borsa del fratello a tracolla sulla camicia da notte. Lei gli prese la mano. “sono qui”, sembrava dirgli, “non ascoltarlo”.

-Ma eccola, eccola la nostra fanciulla!- esclamò Moriarty, staccandosi leggermente dal gruppo e venendo sotto il portico. -Harriet, che gioia rivedervi insieme- sussurrò, giocherellando con i riccioli di lei.

-Lasciala in pace. Questa cosa è tra te e me- disse duro John, colpendogli violentemente la mano con la quale stava toccando Harry.

-Oh, Johnny, ma io sono solo preoccupato per l'incolumità del nostro villaggio. Non vorrei mai accadesse qualcosa di terribile ai nostri amati compaesani- ribatté Jim, per nulla turbato dal tono di John anzi, quasi divertito dalla bruschezza delle parole e dal fatto che avesse abbandonato ogni formalità, passando dal “voi” al “tu”. -Ora, signorina Watson- riprese, alzando di nuovo la voce, girandosi vero la folla, che inneggiò al suo nome. -Signorina Harriet Watson, potrebbe descrivermi di nuovo la terribile belva che teneva segregato suo fratello?- chiese, il tono volutamente sarcastico.

John lo squadrò con sguardo di fuoco, ma non disse nulla, mentre i suoi compaesani ricominciavano a ridacchiare. Vide Magnussen farsi avanti e anche allora si limitò solo a stringere forte la mano della sorella.

-Moriarty, manda via tutti quanti- lo minacciò piano, -possiamo parlarne...-

-Ma non c'è nulla da dire, Johnny. Tua sorella è pazza, fine della storia. Sappiamo tutti quanto le piaccia bere, più di una volta sei dovuto venire tu a saldare il conto alla locanda. E sai, quelle cose che ha detto... come ho già anticipato, sono solo preoccupato per lei. Lascia che sia il signor Magnussen a prendersi cura di lei...-

-Mia sorella non è pazza e io posso provarlo!- gridò allora John, stanco di quelle illazioni. -No, Harry, lasciami- sussurrò alla sorella, che cercava di trattenerlo. -Questa storia è andata avanti abbastanza e tu non c'entri nulla. Harry non è pazza- riprese ad alta voce, estraendo dalla tracolla lo Specchio, -e io ho davvero le prove!-

A quel gesto, tutti finalmente fecero silenzio. Persino Moriarty tacque, mentre Moran compariva al suo fianco, silenzioso come un'ombra.

-Che diavoleria è mai questa, Johnny?- provò a scherzare Jim, ma il tono non era sicuro come poco prima. Quel colpo di scena l'aveva spiazzato e doveva ancora capire come sfruttarlo a proprio vantaggio.

-Ve la mostrerò io, questa belva. Così vedremo chi è la pazza. Signor Magnussen, riattaccate i cavalli a quella carrozza, i vostri affari sono finiti. Anzi, non sono mai cominciati.-

E, detto questo, gridò il nome di Sherlock e il suo volto comparve nello Specchio. Doveva essere parecchio irritato al momento, perché sembrava stesse urlando contro qualcuno. John dovette trattenersi dal ridere, perché sicuramente stava battibeccando con Mycroft, al solito.

Ma la folla non sembrò trovarlo divertente. Cominciarono a urlare tutti contemporaneamente, a chiamare a gran voce il nome di Moriarty, imponendogli di prendere il comando.

-Bella mossa, Jonny-boy- lo derise Jim, a fil di voce, tornando a sorridere. -Amici, avete visto tutti? Harriet aveva ragione, mia è la colpa di non averle creduto fin dall'inizio. E sarò io a dover rimediare. C'è una terribile bestia nei nostri boschi, una bestia che rapisce i ragazzi e le ragazze, che divide famiglie. E, se non faremo qualcosa, ci prenderà tutti. Ma non vi chiedo nulla. Mia è la colpa, solo mia. Ero stato informato, ma non ho preso sul serio Harriet. Scusa ancora per questo- aggiunse, chinandosi verso di lei, sorridendo falso. -Ma non me ne starò qui con le mani in mano. Assalterò il castello, troverò la bestia e mi assicurerò che non faccia più del male a nessuno. Hai la mia parola, John.-

Detto, anziché calare il silenzio, la confusione si moltiplicò. C'era chi lanciava grida di incoraggiamento a Moriarty, chi lo esaltava, chi diceva che dovevano andare tutti insieme...

-Silenzio!- calmò gli animi Moran, prendendo la parola. -Jim,- disse, rivolgendosi direttamente a Moriarty, -Jim tu non sei solo. Sì, l'errore è stato tuo, ma anche di tutti noi. Ti abbiamo lasciato sbagliare, ma non sarai solo anche adesso. Perché hai un esercito dalla tua!- gridò, mentre la folla si esaltava e gridava sempre di più.

-Fermi, fermi!- gridò John, tentando di fermare quella pazzia. -Sherlock non è pericoloso...-

-Sherlock?- fece eco Jim, mettendogli un braccio attorno alle spalle. -Sherlock? Avete sentito tutti? Questa bestia è anche uno stregone! Ha gettato un incantesimo su questo bravo giovane, non è in sé nel dire queste cose. Non ascoltatelo, non fatevi traviare. La bestia è pericolosa e bisogna estirpare il male dal nostro villaggio!-

Altre grida accompagnarono queste parole.

-E di loro due che ne facciamo?- si alzò una voce.

John riconobbe in lui il panettiere che aveva salutato ogni mattina per sei mesi e il suo cuore sprofondò. Gli era sempre sembrato un brav'uomo...

-Giusto! Se la bestia gli ha fatto un incantesimo cercheranno di fermarci!- fece eco un altro, che a John sembrò tanto il libraio. L'unico che aveva creduto suo amico, un uomo evoluto che sarebbe dovuto essere al di sopra di tutte quelle chiacchiere.

-Esatto, Jim. John e sua sorella sarebbero una minaccia per loro stessi- sorrise Moran, voltandosi verso Moriarty, che si stava già mettendo alla testa di quel piccolo esercito. Quello si voltò a metà strada e sorrise a sua volta.

-Rinchiudili da qualche parte. Per la loro incolumità, ovviamente- aggiunse, facendosi poi portare quasi in trionfo dai compaesani.

John si sentì afferrare e, per un attimo, perse di vista Harry. Gridò il nome di lei, la sentì rispondere, ma nulla di più. Sfiorò la sua mano, cercò di allacciare le sue dita a quelle della sorella, ma poi furono di nuovo separati. Sentiva solo le grida dei suoi compaesani e tutto quello a cui riusciva a pensare era che era tutta colpa sua. Moriarty aveva avuto ragione, aveva fatto proprio una bella mossa a mostrare a tutti Sherlock. Loro non lo conoscevano, era normale che ne fossero spaventati, ma questo non giustificava la crociata. Non poteva essere solo l'ennesima ripicca di Moriarty...

Cercò di nuovo di chiamare Harry, ma tutto si era fatto confuso, una macchia di colori sfocati.

Poi un colpo sferratogli alla nuca fece diventare tutto nero.












Inathias' nook:

chiedo immensamente scusa per il ritardo ma, alla fine, eccomi qua. Ce l'ho fatta a mettere le mani sul mio computer.
Il titolo apocalittico per questo capitolo si stava Asshai (chi ha capito questa battuta squallida riceverà un mazzo di rose in settimana), anche perchè siamo alla vigilia della fine. L'angst ci sarà, ma non è ancora il momento, anche se questo capitolo è tutto fuorchè allegro e fluffoso.
Mi sono divertita un sacco a scrivere di Jim. Amo quel bastardo e amo ancora di più incasinare le cose ai miei stessi personaggi. Anche se... questa volta John ha decisamente fatto tutto da solo. Non che Moriarty&Co. fossero lì per prendere il the, ma tirare fuori lo Specchio... Bad bad, John. Anche se le intenzioni erano lodevoli...
La fine sta arrivando, signore. E non sarà né breve né indolore, perchè io vivo e respiro dell'ansia e del terrore altrui... quindi preparatevi.
Pace e amore :))

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Capitolo 16
*** Time is running out ***


Time is running out





Quando rinvenne, il suo campo visivo venne subito invaso da Harry e dalla sua nuvola di capelli. Lo sguardo preoccupato e gli occhi rossi di lei fecero sentire in colpa John.

-Dove...?- cominciò a chiedere, provando ad alzarsi, ma un capogiro lo stese di nuovo.

-Piano... piano- sussurrò Harry, aiutandolo a sdraiarsi. -Siamo nello scantinato, quello dove lavoravo alle mie invenzioni. Ci hanno chiusi qui. Tu eri svenuto... non sapevo cosa fare. E ti hanno preso lo Specchio, John. Mi dispiace così tanto...-

-Non è colpa tua, figurati. Quanto tempo sono rimasto svenuto?- chiese, chiudendo gli occhi e massaggiandosi la nuca dove lo avevano colpito.

-Una mezz'oretta, neanche. Ma eri così pallido... mi hai fatto prendere un colpo!- aggiunse, riprendendo il solito brusco tono di voce.

-Oh, chiedo scusa- ridacchiò John. -Ma rimane il dato di fatto che dobbiamo andarcene da qui. A meno che tu non voglia passare il resto della tua vita nel nostro scantinato...-

-Per quanto sia una proposta allettante, no grazie. La porta è bloccata, però, ci ho già provato. Devono averla sbarrata dall'esterno.-

John rimase per un attimo in silenzio, cercando di mettersi a sedere. Harry gli diede una mano ed entrambi diedero un'occhiata in giro, cercando di valutare le varie opzioni. Lo scantinato era pieno di cose, ma erano tutte una più inutile delle altre: vecchi attrezzi arrugginiti, scampoli di stoffe e pezzi di tubi...

John si lasciò sfuggire un gemito di disappunto.

-Non ce ne andremo mai da qui!- esclamò, tirando un calcio alla borsa. -E ogni istante quei pazzi sono più vicini al castello... penserà che l'ho tradito!- aggiunse, tornando a sedersi. -E avrebbe anche ragione...-

Harry gli si sedette accanto e gli passò una mano tra i capelli. John si abbandonò contro la sorella.

-È normale che siano passate solo ventiquattro ore e già mi manchi?- mormorò lui, -Tu non lo hai conosciuto, ma è davvero... davvero folle. Ma è genialmente folle. Ha senso?- chiese, voltandosi verso Harry.

-No, ma io una cosa l'ho capita. John Watson, tu sei cotto a puntino- rise lei, arricciando il naso. -E la cosa mi piace un sacco. Voglio proprio conoscerlo, questo Sherlock.-

-Ma, di questo passo, invecchieremo qui dentro!- gridò John, alzandosi di scatto e tirando un altro calcio alla borsa.

-John, John fermo- cercò di fermarlo Harry, ma ormai metà delle cose stavano rotolando sul pavimento. -Ehi, e questo...?- chiese, chinandosi a raccogliere una piccola tazzina. -Ciao- sussurrò, alzando gli occhi verso John e sorridendo. -Hai visto chi c'è, John?-

Il ragazzo si voltò a sua volta e si passò una mano sugli occhi, stanco.

-E adesso cosa c'è? Oh, ciao Clara- salutò la tazzina. -Benvenuta all'inferno.-

Clara fece un sorriso sghembo.

-Mi piace qui- disse, saltellando in mano ad Harry. -Ma il castello è meglio, soprattutto da quando ci sei tu, John. Tornerai, vero?-

John si limitò a scrollare le spalle.

-Siamo un attimo bloccati qui- intervenne Harry, per evitare l'ennesimo sfogo del fratello. -Ma appena usciremo, saremo al castello in un secondo. A proposito, tu hai qualche idea?-

Clara rimase un attimo in silenzio, gli occhi che scandagliavano lo scantinato. Poi, d'improvviso, si illuminò, sorridendo ai due.

-Che ne dite di provare ad usare quella là? Mi sembra una macchina piuttosto letale...- propose, lo sguardo fisso su una delle vecchie invenzioni di Harry, con strani tubi ovunque e una spada-ascia sul davanti.

John si illuminò e si avvicinò allo strano congegno, gli occhi che gli brillavano.

-Clara, tu sei un assoluto genio!- gridò, cercando il modo per metterla in moto. -Potrei baciarti, lo sai vero?-

-Oh, non dubito. Ma credo che lo preferirei da tua sorella, un bacio- commentò, sorridendo maliziosa ad Harry che si limitò a ridere e a poggiare le labbra sulla tazzina.

-Ma ora, mettiamoci all'opera!-

 

 

 

 

 

 

Ventisette ore e quaranta minuti.

Ventisette ore e quarantuno minuti.

Ventisette ore e quarantadue minuti.

Ventisette ore e...

-Padrone?-

La voce sottile di Molly interruppe il suo contare solitario, ma Sherlock la ignorò, ricominciando. Come se avesse potuto perdere il conto...

Ventisette ore e quarantacinque minuti.

Ventisette ore e quarantasei minuti.

Vent...

-Padrone, non vorrei disturbare, ma...-

Un ringhiare sordo fu l'unica risposta e Molly si ritrasse spaventata.

La camera da letto era in condizioni pietose, così come anche il suo unico abitante. Sherlock stava sul letto, immobile, da ventisette ore e cinquanta minuti. Non si era nemmeno cambiato, indossava ancora la stessa camicia bianca e pantaloni scuri, e non aveva toccato cibo, neppure acqua. Quasi non volesse vivere, senza John.

-Ci ho provato, ma non reagisce- sentì Molly sussurrare a qualcuno. Probabilmente Lestrade. Correva sempre da lui quando c'erano dei problemi. -Cosa credi dovremmo fare?-

Quasi sicuramente erano tutti lì, sulla soglia della sua stanza, troppo impauriti per entrare. Ma non avrebbe urlato loro contro, nel caso in cui lo avessero fatto, a mala pena forse avrebbe ringhiato. Ma non aveva senso nemmeno quello, non aveva senso nulla senza John.

-Forse dovreste semplicemente lasciarlo in pace- sentì la signora Hudson dire e, per una volta, fu d'accordo con la vecchia domestica. Che se ne andassero, che lo lasciassero in pace, per una buona volta.

-Ma non ha mangiato nulla- replicò stizzito Mycroft. -Vuoi lasciarlo morire? Quel ragazzo ne vale la pena?-

-John non è un ragazzo qualsiasi, Mycroft. Se Sherlock l'ha scelto, c'è un motivo. E poi mangerà quando avrà fame- concluse la signora Hudson e Sherlock la sentì allontanarsi. Sperò che anche gli altri seguissero il suo esempio, ma non fu così.

-Forse se gli lasciamo qualcosina vicino al letto...- propose Lestrade, subito interrotto da Mycroft.

-Non capisco perché dobbiamo sempre assecondare i suoi capricci. Siamo tornati da capo- sbottò la pendola. -Il ragazzo l'ha reso peggio di quello che era.-

-Il ragazzo- lo contraddisse Lestrade, -come lo chiami tu, John, lo ha reso migliore ed è per quello che ora sta così. Perché Sherlock è un grande principe e, se siamo fortunati, forse ne sarà anche uno buono.-

-Sempre a vedere il buono dove non c'è- borbottò Mycroft.

-È il mio difetto, sai?- replicò pungente il candelabro. -Credo sempre che le persone in generale siano migliori di quanto non siano in realtà.-

-Ragazzi, ragazzi, non ora- intervenne Molly, interrompendo il battibecco. -Dobbiamo fare qualcosa.-

-E perché?- sbottò Mycroft. -Io glielo avevo detto che questa storia è una fesseria.-

-Perché siamo quanto di più simile a degli amici lui abbia, perché ora ha solo noi?- rispose Molly, sarcastica e Sherlock si ritrovò ad ammirarla. Forse non era la cameriera timida e impressionabile che aveva sempre creduto.

-E allora, che si fa?- chiese Lestrade.

-Bisogna riportare John al castello il prima possibile, l'ultimo petalo sta per cadere.-








Inathia's nook:

salve salvino.
sinceramente, non riesco a capire se questo capitolo sia di passaggio oppure no. forse sì... 
c'è un piccolissimo assaggio dell'angst futuro (che sarà decisamente peggio di questo, non mi conoscete...), c'è un John determinato a tornare dal suo Sherlock (finalmente il testone lo sta ammettendo con se stesso che gli manca...), c'è uno Sherlock che conta le ore e i minuti e si sta praticamente lasciando morire, ci sono dei servitori preoccupati... e una rosa che sta finendo i petali. Quindi è meglio che John si dia una mossa.
comunque, sono un essere orrendo, perchè non sono ancora riuscita a rispondere alle bellissime recensioni che mi avete lasciato... vi ringrazio ora e poi vi risponderò singolarmente. è il minimo che io possa fare dopo che voi mi dedicate qualche minuto per dirmi che ne pensate di questa cosa...
un bacione e alla prossima settimana

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Capitolo 17
*** Run boy, run ***


Run boy, run




Doveva andare al castello.

Ecco l'unica cosa a cui riusciva a pensare.

Doveva impedire che Moriarty vi arrivasse per primo, che facesse del male a Sherlock, che lo ferisse...

Strinse i pugni e trattenne un sospiro di sollievo, una volta che furono tutti e tre di nuovo all'aria aperta. Si stava preparando un temporale, l'aria era carica di pioggia e il vento sembrava impaziente quanto le nuvole di cominciare lo spettacolo.

John saltò a cavallo di Philip, Harry stava per fare lo stesso, ma lui la bloccò.

-No. È una cosa che devo fare da solo. E dover pensare anche a te...-

-John Watson- lo interruppe lei, arrabbiata e spazientita. -Sono perfettamente in grado di badare a me stessa- disse, trattenendo il cavallo per le redini. -Ma ti capisco- aggiunse, il cipiglio che si scioglieva in un sorriso. -Va' e torna vincitore- lo prese in giro, arricciando il naso e dando una pacca a Philip, che partì al galoppo.

E questa volta fu Harry e seguirlo con la sguardo finché non scomparve all'orizzonte.

-Fa' che ritorni sano e salvo- mormorò, quando lo perse di vista, parlando con Clara, che era voluta rimanere con lei. -Solo questo... Fa che ritorni e non gli accada nulla di male. Ti prego- sussurrò al vento che urlava intorno a lei, attorcigliandole i capelli attorno al volto.

 

 

John cavalcò, lanciando Philip al galoppo, fin quando il cavallo non cominciò ad ansimare pesantemente e la pioggia non cominciò a cadere.

Ma ancora, l'unica cosa a cui riusciva a pensare era che doveva arrivare al castello, aggiustare le cose, quel casino che lui aveva combinato, e poi, perché no, baciare quel testone di Sherlock e vedere se il "vivere per sempre felici e contenti" funzionava anche nella vita reale delle persone normali.

Quando il castello si stagliò l'orizzonte, illuminato dai fulmini, si permise un secondo per far prendere fiato a Philip. Ma il suo sorriso si spense in fretta, perché i suoi occhi catturarono il bagliore delle fiamme e delle torce degli uomini che stavano per assaltare quel luogo che avevo imparato ad amare e a chiamare casa. A capo di tutti c'era Moriarty, accanto a lui Moran, un smorfia soddisfatta sul viso di entrambi.

E John avrebbe voluto gridare, urlare, caricare quel gruppo di folli con la spada sguainata. Ma non aveva una spada e sapeva che quella moltitudine spaventata lo avrebbe ucciso calpestandolo prima che lui avesse avuto la possibilità di arrivare a Moriarty. E allora sarebbe stato tutto inutile.

Inoltre, vide che le difese del castello erano tutte attive e che i servitori non li avrebbero lasciati entrare tanto facilmente.

E allora ricominciò a correre, fregandosene del fiatone di Philip, mosso solo dalla fretta e dal senso di colpa.

 

 

 

 

 

-Padrone, le difese non reggeranno ancora molto- gridò Mycroft, che si era auto eletto portavoce dei domestici. Lestrade, accanto a lui, annuì ondeggiando i bracci.

-I villici sono impazziti, signore. Sono tutti alle porte e agitano i loro forconi e gridano cose oscene e...-

-John?- lo interruppe Sherlock, che aveva appena finito di sigillare il portone principale, chiudendolo con delle grandi sbarre di ferro. -Lo hai visto?-

-No. C'è un uomo che li guida, capelli neri e occhi furbi, ma non è John- lo rassicurò Molly, intuendo la preoccupazione del suo padrone. -John non è con loro.-

-Non è tornato...- mormorò Sherlock, dimenticando per un secondo la battaglia che stava per avere luogo.

-Ma non è meglio così?- cercò di consolarlo Molly, mentre Lestrade e Mycroft si allontanavano. -Voglio dire... Se fosse stato qui sarebbe stato un pericolo, no?-

-E se fosse stato al capo di quel corteo?- la provocò Sherlock. -Se non se ne fosse andato per la sorella ma perché mi odiava e odiava stare qui? Ha detto che si sentiva prigioniero... Anche dopo tutto questo tempo. Anche dopo che... Oh, lascia perdere.-

-Anche dopo che ti sei innamorato di lui?- chiese lei, con un sorriso triste.

Sherlock la guardò sorpreso. Non credeva lei avesse intuito. Non Molly Hooper, la giovane e dolce cameriera.

-Io ti vedo, Sherlock- disse, chiamandolo con il suo nome, per una volta. -Io ti vedo, ma tu non vedi me. Perché io non conto, perché io non sono nessuno. Ma proprio per questo ti conosco meglio di chiunque altro. E sei innamorato di John in modo così meraviglioso e semplice che fa quasi male al cuore. Perché non sei sicuro che lui ricambi e questo ti terrorizza, il non avere il controllo, per una volta. Ma fidati, è questo il bello dell'amore, il fatto che mandi sempre all'aria qualsiasi piano, il fatto che non si possa programmare e ci sconvolga. Quindi ama, Sherlock, non avere paura delle conseguenze. Perché è meglio aver amato e perduto, che non amato affatto.-

Sherlock la guardò come se la vedesse per prima volta, ma Molly non gli diede tempo di replicare, fece un piccolo inchino e si confuse di nuovo tra la folla di domestici. E lui rimase fermo in quel via vai di voci e preoccupazioni. Fermo, sì, ma non solo.

-Meglio rotto che non avercelo affatto, un cuore- mormorò a se stesso, stringendosi nel mantello.

 

 

 

 

 

Jim stava fermo davanti all'entrata del castello, la folla che si stava ingegnando per entrare. Alzò una mano e li zittì tutti quanti, arricciando le labbra e beandosi di quel potere.

Seb, accanto a lui, lo guardava in attesa di ordini.

-Voi laggiù- disse, indicando un gruppetto di tagliaboschi che si era unito alla loro marcia lungo la strada. -Abbattete quell'albero. Altrimenti non entreremo mai e tutta questa strada sarà stata inutile. È fate in fretta, che sta cominciando a piovere- aggiunse stizzito, quando una goccia di pioggia gli cadde sulla fronte.

E così si sposto sotto un altro albero, controllando che il cielo fosse libero da lampi e tuoni. Seb lo seguì dopo pochi attimi, assicuratosi che i tagliaboschi avessero cominciato il loro lavoro.

-Non mi hai dato nulla da fare- si lamentò, appoggiandosi alla corteccia, mani in tasca, esattamente come Jim.

-Non ho dato nulla da fare a un sacco di gente.-

-Mi dai sempre qualcosa da fare- insistette Moran, cocciuto. -Perché questa volta no?-

-Stiamo davvero discutendo di questo?-

-Rispondimi, allora.-

-Perché odio vederti sprecare le tue qualità con questa plebaglia. Contento? Ho altro in mente per te.-

-Avrei dovuto saperlo che avevi un piano.-

-Sì, avresti dovuto. E ora piantala. Controlla piuttosto che non cominci seriamente il temporale. Dovranno aver finito per allora, non voglio finir colpito da un fulmine a causa delle loro inettitudine.-

Seb rimase per un attimo in silenzio, l'orecchio teso a sentire se ci fossero stati dei mutamenti nella situazione climatica. Ma nulla era diverso, a pare il fatto che ora l'aria era piena della fatica e delle urla di incoraggiamento dei tagliaboschi.

-Puoi dirmi qualcosa in anteprima? Sai che amo i tuoi piani.- "e anche te", ma questo lo aggiunse solo nella sua mente.

-Solo una cosa piccola- sorrise Jim, arricciando il naso. -Tieni d'occhio l'orizzonte, perché ho l'impressione che John Watson farà presto la sua apparizione. D'altra parte, è il protagonista dello spettacolo. Non si potrebbe mai fare senza di lui.-

 
 
 
 

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Capitolo 18
*** This is the end... hold your breath and count to ten ***


 

This is the end... hold your breath and count to ten



Sherlock sapeva che la fine era vicina. Nel salone, piani sotto lui, i suoi servitori continuavano a combattere con coraggio, ma la resistenza era inutile, lo sapeva.

Lo sentiva.

Erano entrati poco prima, le difese erano durate meno di un minuto quando i contadini si erano armati di un grosso tronco e avevano abbattuto prima il cancello e poi il portone d'ingresso.

I suoi servitori erano stati coraggiosi, lo erano tutt'ora, ma lui era stanco.

Stanco di quella battaglia inutile.

Stanco di sentire le urla di quei folli che lo chiamavamo mostro e bestia.

Stanco di vivere in un mondo in cui, lo sapeva, John non sarebbe tornato.

Così aveva fatto quello che aveva fatto, aveva scelto il male minore. Era un qualcosa di egoistico, se poi ci si pensava sul serio.

Aveva fatto un mandare un messaggio a quello che gli era stato indicato come il capo di quella rivolta assurda, Jim Moriarty, gli aveva detto che lo aspettava lì sopra, sulla terrazza doveva aveva riso e scherzato con John solo qualche giorno prima.

Ma ora John non c'era, non sarebbe tornato e, a conti fatti, forse era meglio così. Non avrebbe assistito a tutto quello.

La porta alle sue spalle si aprì cigolando e Sherlock relegò in una parte della sua mente il pensiero di farla sistemare. Non ce ne sarebbe stato bisogno. Dopo quella notte, sarebbe stato tutto inutile.

Moriarty era un uomo distinto, giovane, elegante e dagli occhi intelligenti. Ma aveva anche qualcosa di affascinante, nel contesto. Forse era per la stoffa dell'abito, perfetta e all'ultima moda, forse era per i capelli pettinati all'indietro, che scoprivano la fronte e lo facevano sembrare quasi un uomo qualsiasi, innocente.

Forse fu per il fatto che Jim Moriarty non trasalì quando lo vide per la prima volta.

-Il signor Moriarty, suppongo- disse Sherlock, staccandosi dalla balaustra e andandogli in contro.

Il tempo per pensare era finito, i giochi erano fatti.

-Puoi chiamarmi Jim- ribatté Moriarty, la voce che sembrava un gatto che miagolava. -E io ti chiamerò Sherlock. In fondo, è come se ti conoscessi. Il caro Johnny non fa che parlare di te...-

Nel sentire quel nome, la maschera di apatia sul volto di Sherlock crollò per un secondo.

-Lascialo fuori da questo discorso. Lui non c'entra- ringhiò, voltandosi verso Jim e assottigliando gli occhi. -E' una cosa tra me e te.-

-Oh, Sherlock... non posso lasciare Johnny fuori da tutto questo- lo canzonò Moriarty, mentre Sherlock gli camminava intorno, studiandolo.

Sapeva leggere le persone, Sherlock, sapeva tutto di loro in meno di un'occhiata, non aveva mai sbagliato in colpo. Eppure... con Moriarty non ci riusciva. Gli era capitato solo un'altra volta, quando quell'incubo era cominciato, quando Irene la fata si era presentata alla sua porta. All'epoca era stato troppo pieno di sé per capire quella trappola che gli stava davanti, travestita da mendicante.

E la stessa cosa stava succedendo in quel momento.

-Cosa vorresti dire?-

Jim rise, arricciando il naso e guardandolo con gli occhi che gli brillavano.

-Davvero non lo sai? Oh... io pensavo che Johnny te lo avesse detto.-

-Parla- ringhiò Sherlock, facendoglisi vicino, arrivando a un soffio dal suo viso. -Dimmi cosa sai o pensa alle tue ultime parole.-

E Jim rise di nuovo, un angolo della bocca che si sollevava e l'altro che quasi lottava per rimanere al suo posto. Sherlock stava per perdere le ultime briciole di pazienza. Moriarty non aveva alcun diritto di parlare e ridere di John. Chi era lui per farlo?

-Johnny non ti ha davvero detto niente. Esilarante- commentò, -davvero esilarante. Sai, Sherlock, ti credevo davvero diverso. Più divertente. Invece sei come tutti loro. Sei noioso- gli sibilò all'orecchio, costringendo l'altro a ritirarsi di scatto.

-Che cosa vuoi da me?-

-Distrazione?- gli fece eco Jim, scrollando le spalle. -Liberarmi dell'unica persona che potrebbe rovinare i miei piani? Miei e di Johnny... questo va specificato.-

-Ho detto di lasciarlo fuori, o sarà l'ultima cosa che farai- sibilò di nuovo Sherlock e Jim rise di nuovo.

-Come sei solenne, quando ti ci metti. Solenne e neanche un po' spaventoso. Mi hai davvero deluso... ma questo non cambierà le cose. Sono felice che tu abbia scelto questo luogo, sai? Perfetto... davvero perfetto.-

-Perfetto per cosa? Cosa vai blaterando?- chiese Sherlock, spaesato per un secondo. -Oh... adesso comprendo. Il mio suicidio, no? Devi liberarti di me, no?- disse, collegando tutti i vari pezzi e sorridendo a se stesso. -E sei io non lo facessi? Dammi una ragione... dimmi del tuo fantastico piano. Perché hai bisogno della mia morte?-

Moriarty rimase un secondo in silenzio, guardandolo negli occhi, poi una luce strana si accese nei suoi occhi.

-Perché lo hai distratto, Sherlock, lo hai distratto dal suo obiettivo.-

-John vuole fare il medico. E per lui, stare qui, è la sua migliore opportunità.-

-Non c'è solo quello. Sai, sono davvero esterrefatto. Mi è sempre sembrato un ragazzo così tranquillo ed educato- mormorò, scuotendo la testa, -mi ha deluso. Così come mi hai deluso tu... ah! Che fatica!-

Sherlock non disse nulla, si limitò a guardarlo negli occhi, a seguire il camminare di Jim attorno a lui. Non aveva nulla da dire, voleva solo sentire dove stava andando a parare. Aveva paura, ma non voleva farlo capire in nessun modo. Aveva paura perché questo Moriarty poteva davvero conoscere John in una maniera diversa da quella in cui l'aveva conosciuto lui, poteva sapere cose che lui non sapeva, che lui non aveva letto, che lui non aveva capito...

-John non ti ha mai parlato della sua fidanzata?-

La voce di Jim gli arrivò come un fulmine a ciel sereno. La sentì come lontana, poi echeggiò nella sua mente all'infinito, distorcendosi e moltiplicandosi.

-La sua... fidanzata?- chiese, la voce improvvisamente roca.

-Mary, la mia figlioccia. Si sposeranno tra un paio di settimane. Ecco perché se n'è andato. Ecco perché...-

-Non è tornato- completò Sherlock per lui, lo sguardo spento e le mani che gli tremavano.

Chiuse gli occhi e deglutì piano.

-Quindi vorresti che io morissi?-

-Precisamente. E anche in fretta, sai? Sta davvero cominciando a piovere... e il mio completo è nuovo.-

-Dimmi solo questo. Se lo faccio sul serio, se salto, se muoio... te ne andrai? Lascerai il castello e tutti i suoi abitanti in pace?-

Jim ridacchiò leggermente, poi annuì.

-Hai la mia parola. Quando salterai, dirò a un mio uomo di fiducia di fermare l'attacco.-

-Posso avere un secondo?- chiese Sherlock, ormai in bilico sul cornicione.

Moriarty alzò gli occhi al cielo, ma si allontanò, uno strano sorriso disegnato sul volto.

Sherlock fece un respiro profondo e si azzardò a guardare di sotto un secondo, aspettandosi di vedere soltanto una folla di contadini impazziti che ancora spingevano per entrare.

E invece, il suo cuore si fermò, per l'ennesima volta in quella serata.

Perché giù, quasi ai margini della foresta, non molto distante dal castello, c'era John. Dietro di lui un uomo che lui non aveva mai visto, moro e con gli occhi chiari, e sembrava tenerlo fermo, lo minacciava con una pugnale.

John stava cercando di liberarsi, di dire qualcosa, ma lo sconosciuto gli impediva anche di parlare.

E fu a quel punto che Sherlock distrasse lo sguardo e cominciò a ridere piano, poi sempre più forte, tanto da far voltare Jim, che lo guardò sconvolto. Sherlock saltò di nuovo sul terrazzo con incredibile grazia, senza smettere di ridere.

-Che hai? Che c'è? Che ho sbagliato?- farfugliò Moriarty. -Che cosa...?-

-Hai commesso un errore- spiegò Sherlock, gli angoli della bocca ancora piegati in un sorriso, gli occhi accesi.

-Io non ne faccio.-

-Hai detto che c'è un tuo uomo, là sotto. E immagino sia quello che ho appena visto, quello che ha John in “custodia”, per così dire. Quindi non c'è bisogno che io salti, non finché ho te.-

Jim rimase in silenzio, gli occhi scuri fissi in quelli dal colore indecifrabile di Sherlock, quasi lo stesse studiando di nuovo, ma questa volta sotto una nuova luce.

-E tu credi di riuscirci? Di essere in grado di fermarmi? Nessuno può farmi fare quello che non voglio. E io, di certo, non voglio fermare Sebastian. John morirà, se tu non salterai. Il tuo grande e unico amore...- canticchiò Jim, fermandosi improvvisamente quando Sherlock lo afferrò per la collottola.

-Oh, io non credo proprio. Dimentichi? Io sono te, no? Disposto a tutto, disposto a qualsiasi cosa. E io sono pronto a spingermi oltre ogni limite... vuoi che io ti stringa la mano all'inferno? Oh, non ti deluderò...-

Jim fece una smorfia, allontanandosi leggermente.

-Avevo ragione... tu parli troppo, ma non concludi nulla. Sei noioso- gli sibilò all'orecchio. -Sei dalla parte dei buoni...-

-Oh, può anche essere che io sia dalle parte dei buoni, come dici tu, ma non credere neppure per un secondo che io sia uno di loro- ringhiò Sherlock, tornando per un attimo ad essere la Bestia di un tempo, il pelo irto e le zanne bianche nella notte.

Moriarty rimase in silenzio, finalmente sorridente. Chiuse gli occhi qualche secondo, poi li riaprì, ma la smorfia sul suo viso non venne cancellata.

-Hai ragione... ora lo vedo. Tu sei come me- sussurrò, -grazie per la prova finale. Grazie davvero, Sherlock.-

E fece un passo in avanti, continuando a ripetere -Grazie, grazie, che tu sia benedetto... Hai davvero trovato una via d'uscita. Finché mi hai, puoi fermare Sebastian, puoi persino cercare di fermare le nozze- mormorò, riuscendo a colpire Sherlock persino con quelle parole. -Bravo, davvero bravo. Finché io vivo, è tutto possibile... be', buona fortuna con la parte finale del tuo piano- aggiunse alla fine, sbilanciandosi dal balcone. -Perché non è solo Sebastian ad avere sotto tiro John. E io non ho davvero intenzione di collaborare.-

E poi si lanciò di sotto, sotto lo sguardo stupito e inorridito di Sherlock.

Il suo corpo volò verso l'erba, si scontrò con essa, di fuse con il fango. Non si rialzò, non fece null'altro, il sorrisetto di poco prima ancora dipinto su quel volto ora pallido e rosso di sangue.

E Sherlock guardò attonito Sebastian lasciare John per correre dal corpo esanime di Jim, le lacrime che si confondevano con la pioggia, i tuoni che mascheravano le sue urla.

 







Inathia's nook:


ok, ci siamo.

la fine sta cominciando sul serio. 

Questo capitolo è stato davvero un parto. Dover far coincidere il cartone animato con la serie tv... un incubo, vero e proprio. Perchè, se nella serie Sherlock e Jim sono nemici giurati fin praticamente dall'inizio, qui non si sono mai incontrati. E quindi Jim doveva avere un motivo (agli occhi di Sherlock ovviamente) che andasse oltre la noia. 

Ed ecco qui che spunta la fantomatica fidanzata. E' l'unica cosa che mi è venuta in mente, l'unica cosa che possa piegare Sherlock e convincerlo ad uccidersi: John che non lo ama.

Anche se noi sappiamo ovviamente che è una bugia, ma il caro Jim non si è mai messo problemi di questo tipo ;)

Ed ecco a cosa gli serviva John, deve assistere alla morte di Sherlock. Jim ha ovviamente capito che l'amore di Sherlock è ricambiato e ora deve battere John, deve annullarlo. perchè è stato l'unico e il primo a prendersi gioco di lui (dimostrando che Harry non era pazza) e l'unico che non lo abbia mai accontentato (rifiutando più e più volte di sposare Mary)...

ora... questo è tutto, solo...

chi è la seconda persona che tiene sotto tiro John e comanda insieme a Jim?

Un bacione e un trollone a tutte quante ;)

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Capitolo 19
*** I should have known you would bring me heartbreak... almost lovers always do ***


I should have known you would bring me heartbreak... almost lovers always do

 

 

John fissava come imbambolato il corpo di Moriarty che veniva trascinato via da Moran, un lago di sangue a testimoniare l'impatto. Non aveva capito cosa fosse successo sul tetto, Sherlock e Jim di certo non avevano urlato e i fulmini e i lampi non avevano aiutato a capire cosa stesse succedendo.

Ma una cosa l'aveva intuita, oh sì. Moriarty aveva minacciato Sherlock, così come Sebastian aveva tenuto sotto tiro lui, ma Sherlock era superiore a chiunque e li aveva battuti al loro stesso gioco. E ora che Jim era morto, ora che non c'era più nessun pugnale puntato alla sua gola, poteva correre su, correre da Sherlock. E sì, forse anche lanciarglisi contro, farlo cadere e, finalmente, baciarlo.

-Sherlock!- gridò, sbracciandosi, notandolo affacciato al cornicione, lo sguardo perso in lontananza.

L'altro focalizzò la sua attenzione su John e un piccolo sorriso si disegnò sul volto, così umano, alla fine.

Ma non poteva sentirlo, si rese conto il ragazzo. Per quanto lui potesse urlare, non aveva modo di comunicargli di starsene lì fermo, che sarebbe arrivato lui.

Mosso quasi da un raptus, pescò dalla borsa lo Specchio Magico e chiamò il nome di Sherlock, vedendolo apparire. L'altro doveva aver visto o quantomeno intuito cosa aveva intenzione di fare John, perché, dalla superficie, sembrava proprio che lo stesse guardando.

-Sherlock- sussurrò di nuovo John, questa volta certo che Sherlock lo potesse sentire.

-Non posso scendere... dovremo farlo da qui.-

Erano giorni che non sentiva la voce di Sherlock, quello non era il tono che ricordava. Sherlock era stato tante cose: la Bestia che aveva rapito sua sorella, il mostro che lo aveva costretto a una terribile scelta, l'uomo dietro la maledizione che ogni giorno lottava per fare ammenda, il pazzo che parlava di fisica quando pattinavano, il folle che conservava teste e piedi nella ghiacciaia e insisteva per mostrargliele a cena, il principe che amava le api ed era stato uno stupido testone... colui del quale John si era innamorato. Sherlock era stato tutte queste cose, ma mai, mai, uno che supplicava. Uno con il panico nella voce, le corde vocali mal ferme.

-Che sta succedendo?- chiese John, guardando momentaneamente verso l'alto e trattenendo a stento un conato di vomito. Sherlock era in piedi sul cornicione, il mantello che agitava folle nel vento, il viso verso il basso, verso John.

-Ti devo delle scuse- sussurrò lo Sherlock-nello-specchio. -Per tutto quello che ti ho fatto passare, per i mesi di prigionia...-

-Sherlock...-

-Sono stato un egoista. Ti ho trattenuto qui perché io avevo bisogno di te, perché volevo che tu sistemassi il casino che avevo causato io. E non è giusto. Hai una vita tua... chi ti aspetta al villaggio...-

-Sherlock- provò di nuovo John, ma l'altro continuò imperterrito.

-Se salterò, forse la maledizione si spezzerà. È l'unico tentativo che ho, l'unica chance, l'ultima per mettere le cose a posto.-

-Oh, stai zitto. È vero, la prima volta che ti ho incontrato ho pensato che fossi la cosa più brutta che sarebbe mai potuta capitare, lo ammetto, dato che siamo in vena di confessioni idiote. Ho pensato “sono fottuto”. Ma poi ti ho conosciuto sul serio. È vero, tutt'oggi ci sono momenti in cui ti prenderei a testate, ma ora che so come sei davvero, sotto tutto quel pelo e quelle parole ringhiate... io non ti cambierei con nessuno al mondo.-

Sentì Sherlock reprimere una risata e sorridere tra le lacrime che erano spuntate nei suoi occhi e John si sentì leggermente meglio. Se solo avesse fatto qualche passo indietro, se solo fosse tornato sul terrazzo...

-Moriarty mi ha detto tutto, John.-

-Tutto? Tutto cosa?-

John non ci stava seriamente capendo più nulla. Jim era morto, perché quel testone non la smetteva con questa cosa del fare l'eroe a tutti i costi e veniva giù, da lui? Avrebbero trovato un altro modo, c'era ancora tempo per la maledizione...

-Mi ha detto della tua fidanzata. Congratulazioni... felicitazioni. Davvero, non so cosa si dica in questi casi...-

John deglutì a vuoto. Non ci poteva credere. Ecco cosa stava spingendo Sherlock a saltare, inutile che provasse a mentire a lui, lo conosceva troppo bene. Lui non aveva accettato di sposare Mary e così ora si vendicava uccidendo Sherlock. Anzi, convincendo Sherlock ad uccidersi, costringendolo a guardare.

-Sherlock, Mary e io... noi...- tentò di spiegare, avvicinandosi.

-NO!- ruggì Sherlock. -Non ti muovere. E tieni gli occhi fissi su di me, ti prego. Lo faresti per me?- supplicò, la zampa protesa in avanti a stringere il vuoto.

John, istintivamente, si fermò, la mano davanti agli occhi.

-Questo... è il mio biglietto d'addio. È quello che le persone fanno, vero? Lasciano un biglietto...-

-Lasciano un biglietto quando? Sherlock, ti prego, ascoltami...-

-Addio, John.-

-No- mormorò John, più a se stesso che a Sherlock. -Non ci provare... NO!-

Ma Sherlock non lo stava più ascoltando. Forse il contatto si era interrotto, forse lui non voleva più ascoltarlo.

La gente attorno si era finalmente fermata, tutti guardavano verso l'alto. C'era chi discuteva animatamente con il vicino, chi gridava di chiamare aiuto, chi si limitava a ridere sguaiatamente. John cominciò a stilare mentalmente una lista di persone che avrebbe ucciso con le sue stesse mani, non appena tutto quello sarebbe finito. La gente non avrebbe più riso di Sherlock.

Permise a se stesso di distrarsi un secondo, lasciò la sua mente vagare fino agli attimi felici vissuti in quel periodo che aveva vissuto al castello. Si chiese perché non glielo avesse detto prima, perché quella maledetta sera si fosse dovuto ubriacare, perché non fosse tornato prima... perché non urlava che tra lui e Mary non c'era mai stato un accidente di niente.

E invece se ne stava fermo, a metà tra il passato, il presente e la fantasia, perché la realtà non era accettabile.

Sherlock allargò le braccia e gonfiò il petto, le zampe

sempre più in bilico sul cornicione.

John lo vide chiudere gli occhi, gettare indietro

la testa quasi a raccogliere il coraggio

 

John lo tocca leggermente su una spalla,

scoppiando a ridere quando Sherlock si volta dalla parte sbagliata,

maledicendo Mosca Cieca e chiunque lo avesse inventato.

 

Lo vide stringere i pugni quasi a volersi aggrappare a quella vita

che ora lo rifiutava, proprio ora che aveva ricominciato a viverla. Lo vide

poi guardare fisso davanti a sé e non fece nulla John,

incapace di accettare quello che stava per succedere.

 

 

Ora gli fa lo sgambetto e si nasconde dietro una colonna,

facendo crollare la pila di libri che stava studiando prima.

Si sa, Mosca Cieca in biblioteca non è il massimo,

ma Sherlock si stava annoiando e, in fondo,

John può aspettare qualche altra ora a diventare medico.

 

Mancava ormai poco. Forse ora non sarebbe riuscito a fermarlo,

neppure se avesse gridato che lo amava. Neppure se

avesse chiamato Mary a confermare le sue parole.

Sherlock stava per morire, per lanciarsi,

e la sua bocca maledetta non voleva funzionare.

 

-Sono qui!- ridacchia John, sgusciandogli alle spalle.

-Se ti prendo, io ti...-

-Cosa mi fai? Mi imprigioni per sempre? Uhm... mi sa che ti

abbiano preceduto- scoppia a ridere John.

E basta quell'attimo di distrazione a Sherlock per trovarlo.

 

-SHERLOCK!- sentì la propria voce urlare.

Che le sue corde vocali fossero tornate dalla vacanza non autorizzata?

Lasciò cadere lo Specchio.

Che si rompesse pure. I suoi anni di tormenti sarebbero cominciati

nel momento esatto in cui il corpo di Sherlock

avesse toccato il suolo, e non sarebbero di certo stati i sette provocati

dalla distruzione di uno specchio.

 

John si volta lentamente.

Sherlock è lì a pochi passi da lui, la zampa ancora poggiata

sulla sua spalla.

Basterebbe un attimo, una frazione di secondi.

Due bocche che si sfiorano, mani che si intrecciano...

non c'è nessuno, sono soli.

-Sherlock, io...- comincia John, mentre l'altro si toglie la benda.

-Sì?-

Si è fatto più vicino, ora John riesce con chiarezza a vedere

la piccola macchia più scura nell'occhio destro, al centro, sopra la pupilla.

 

Il suo corpo annaspava nel vuoto, le braccia che mulinavano

come le ali di un gabbiano troppo stanco per volare,

ma troppo codardo per lasciarsi andare.

Ma Sherlock non era così, non era un codardo.

Era solo una persona a cui la vita aveva chiesto troppo,

soprattutto alla fine.

E John sapeva.

Lo sapeva mentre urlava il suo nome e spingeva via la folla.

Lo sapeva mentre non staccava il suo sguardo

dall'inarrestabile caduta.

Lo sapeva mentre il suo cuore si fermava con quello di Sherlock,

quando sentiva il vuoto tonfo sul prato.

Lo sapeva mentre mormorava: -No... ti prego no. Sherlock... no...-.

Lo sapeva mentre si accasciava per terra, una mano tesa verso il polso di Sherlock,

ne disperato tentativo di ingannare se stesso.

Lo sapeva mentre gli dicevano che non c'era nulla da fare e tutti si allontanavano.

Lo sapeva mentre i suoi occhi si rifiutavano di piangere, la bocca si faceva secca.

Lo sapeva mentre la testa gli esplodeva e il cuore si spaccava.

 

Ultimamente si incanta spesso così,

si è ritrovato a fissare Sherlock con sguardi da pesce lesso più del dovuto.

Sa perché.

Lo sa quando, a colazione, fanno a gara a chi ha i più bei baffi di panna.

Lo sa quando lo rincorre per i corridoi, assecondandolo nella sua ultima pazzia.

Lo sa quando lo ascolta per ore e ore mentre gli legge vecchie cronache di omicidi irrisolti.

Lo sa quando ci mette due nanosecondi a mollare i libri per seguirlo dovunque lui voglia andare.

Lo sa quando non riesce a dormire se non ha prima passato metà della notte davanti al camino con lui.

 

 

È morto per colpa sua.

 

Lo ama.







 

Inathia's nook:

Ooook.
Se questa non è l'apoteosi dell'angst non so cosa sia. Qualcosa si lasciava intuire dal capitolo scorso, ma ammettetelo... non ve lo aspettavate. Almeno per la parte finale, con l'alternarsi tra presente e passato.
La scena della mosca cieca è una specie di missing moment della storia, che mi sono inventata sul momento, ovviamente. E' la prima volta che John e Sherlock si sono quasi baciati, ma ovviamente non è successo nulla :( altrimenti non saremmo a questo punto.
Ma non perdete la speranza, manca ancora un capitolo all'epilogo... e sto prendendo seriamente in considerazione l'idea di scrivere il seguio. Ancora non ne sono sicura al 100%, ma ci posso seriamente pensare, perchè è praticamente tutto pronto e tra due settimane finisco le lezioni all'università...
Bene, questo è quanto.
Vi mando un bacione :)

 

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Capitolo 20
*** 'Cause you saved me... from myself ***


'Cause you saved me... from myself





-Vi prego... vi prego lasciatemi passare...-

Non rese conto di quanta gente effettivamente fosse accorsa al castello quella notte finché non dovette letteralmente attraversarla tutta.

-Vi prego... era mio amico... è mio amico...-

Ma le parole gli uscivano di bocca senza convinzione, le gambe erano molli e le persone troppe. Non appena individuava un varco, subito qualcuno si spostava, impedendogli la visuale.

Fu per quello che cadde a terra quando lo vide.

Quello non era lo Sherlock che conosceva, quello era un fantoccio di sangue e lacrime. Era come assistere alla caduta degli dei. Non sai mai quanto simili a te siano finché non se ne stanno davanti a te, feriti e rotti.

Ed era questo quello che Sherlock era in quel momento, un dio caduto dall'Olimpo, un angelo piovuto tra i mortali che la pioggia non risparmiava e il dolore neppure.

Si era rannicchiato su un fianco, dava la schiena a tutti quanti, forse per proteggersi in extremis.

-Sherlock...-

John quasi non riconobbe il rantolo che uscì dalla sua bocca.

Un suono strozzato uscì anche dalla bocca di Sherlock e, per un brevissimo attimo, John permise al suo cuore di tornare a battere.

-Sono qui... sono io...- sussurrò, prendendo delicatamente la testa di Sherlock sulle gambe.

-John...?-

-E chi altri dovrebbe essere?- si permise di ridere tra le lacrime e si trattenne dal singhiozzare come un bambino quando vide Sherlock tentare di fare la stessa cosa, ma finendo col tossire sangue. -Sei un maledetto idiota, lo sai vero?-

-Non si è spezzata?- chiese con un filo di voce. -Non è servito a nulla, vero?-

-Non è quello che voglio dire...-.

-È un no, allora.-

-La smetti di fare quello intelligente, almeno per un secondo.-

-Ma io sono quello intelligente- sussurrò Sherlock, riuscendo di nuovo a far ridere John mentre si asciugava le lacrime.

-C'è una cosa che devi sapere. Cioè, sarebbero tante, ma non credo di avere il tempo di dirle tutte- disse, la voce che si incrinava sul finale. -Primo: sei un cretino. E dico sul serio. Ma sei anche la persona più straordinaria che io abbia conosciuto. Certe volte mi è venuto il dubbio che tu non fossi umano, lo ammetto, ma io... io ci tengo a te, davvero. E mi hai reso una persona migliore, veramente. Non mi sono sentito mai un prigioniero, in questi mesi. Era davvero diventata la mia casa e... ho rovinato tutto. Infine, anche se forse avrei dovuto metterlo all'inizio, io non sono fidanzato con Mary. Nemmeno siamo amici. Io... io amo te, Sherlock- disse tutto d'un fiato, gli occhi fissi in quelli dell'altro. Ma si dovette interrompere improvvisamente, perché lo sguardo di Sherlock si era fatto vitreo, la sua mano aveva smesso di stringere quella di John e il corpo stava lentamente diventando freddo. -Sherlock... oh, Sherlock, no! Non adesso! SHERLOCK!- gridò, scuotendolo e cacciando via in malo modo i curiosi che stavano tentando di avvicinarsi. -Andate via ora o vi ammazzo con le mie mani. VIA!- urlò, recuperando da chissà dove una pistola e sparando l'unico colpo in aria. -Sherlock, ti prego... dimmi che non è finita. Svegliati. Voglio che ti svegli e mi spieghi tutti i tredici modi possibili in cui avresti potuto evitare di morire, saltando dal tetto. Voglio potermi arrabbiare con te, prenderti a testate fino a farti sanguinare il naso. Voglio che mi irriti con le tue frasi sibilline, voglio perdonarti con una battuta, voglio perdonarti con le lacrime agli occhi. Voglio baciarti, Sherlock, voglio stare con te.-

E poi si chinò piano, gli chiuse gli occhi con mani tremanti e... poggiò le proprie labbra su quelle di Sherlock. Non era come lo aveva sempre sognato, non c'erano i fuochi d'artificio nella sua testa e un'esplosione di farfalle nel suo stomaco. Non c'era Sherlock che lo guardava prima impaurito e poi sollevato, gli occhi che gli sorridevano prima di ricominciare a baciarlo sempre.

John depositò la testa di Sherlock sul prato, girandosi dall'altra parte, i pugni chiusi e le lacrime che non volevano più scendere. Strinse a sé la gamba destra, poggiò il volto sul ginocchio, ci schiacciò la fronte contro, morse la stoffa per trattenere le urla.

La pioggia, continuava a scendere, forse piangendo al posto suo.

 

 

 

 

 

 

Erano state le grida e le voci degli abitanti del villaggio a riscuoterlo. Aveva fatto per riprendere la pistola, ma dopo il colpo sparato ormai era scarica e non sarebbe servita a nulla.

Ma perché non se ne andavano? Non avevano ottenuto quello che volevano?

La terribile bestia era morta, i loro pargoli e le loro mogliettine erano al sicuro. Ora potevano lasciarlo in pace? Era così da pazzi chiedere di rimanere per sempre così, immobile, una statua di dolore, mentre i corpo di Sherlock era alle sue spalle?

Non ce la faceva ad alzarsi, non riusciva nemmeno a pensare alle cose che c'erano da fare ora. Un ipotetico funerale, una tomba... non poteva essere successo davvero.

Ma le urla continuavano e John si costrinse a pensare che qualcosa non andasse sul serio. Perché lo avevano visto piangere, lo avevano visto baciarlo... neppure loro sarebbero stati così irrispettosi.

E così si obbligò a voltarsi leggermente, quel tanto che bastava a vedere alle sue spalle, senza danneggiare ulteriormente il cuore rotto.

E quello che vide lo lasciò decisamente interdetto.

Il corpo di Sherlock era ora coperto in una nube dorata, fasci di luce gli avvolgevano le braccia, le gambe e il viso. Non poteva essere opera di nessuno dei presenti, neppure di Moran... lui era chissà dove a leccarsi le ferite. Per un attimo provò compassione per lui. Anche Sebastian aveva visto morire l'uomo che amava... Ma poi si riscosse, ricordandosi che, se Moriarty non avesse fatto nulla in partenza, ora nessuno sarebbe morto.

Si alzò in piedi a fatica, traballando.

Che accidenti stava succedendo?

Dal nulla risuonò una voce. Era gentile e sensuale al tempo stesso, da donna matura, da ragazza e da anziana. Era senza tempo, eppure antica e nuova al contempo.

-John- chiamò la voce, che assunse le fattezze di una donna mora dagli occhi di ghiaccio, vestita solo di veli. -John- disse di nuovo, questa volta sorridendo.

-Irene...- mormorò lui, riconoscendo la fata che aveva lanciato la maledizione. -Che sta succedendo?-

-E' caduto l'ultimo petalo- rispose lei, il cui sorriso non contagiò gli occhi. -E Sherlock è morto.-

-Dimmi qualcosa che non so- ribatté John, troppo arrabbiato per misurare tono e parole. -Sherlock doveva imparare ad amare ed essere amato entro l'ultimo petalo, no? Direi che siamo a posto. Perché io lo amo, questo è poco ma sicuro- disse, stringendo i pugni.

-E Sherlock è morto- sussurrò lei di nuovo. -Ma ti ama.-

-Questo mi è di grande aiuto, davvero... aspetta. Hai detto “ama”, non “amava”. Non provare a usare i tuoi trucchetti con me, perché non funzionano. Che cosa vuoi dire?-

-Perché non guardi tu stesso?-

E John lasciò il suo sguardo vagare oltre la fata che stava sospesa davanti a lui, fino a quando i suoi occhi non incontrarono quelli di Sherlock.

Per un attimo le gambe non gli ressero e dovette appoggiarsi al muro esterno del castello per non cadere.

Perché Sherlock lo stava guardando? Perché quella fata non lo lasciava in pace, anziché tormentarlo anche dopo la morte?

-Che cosa gli stai facendo?- ringhiò, rivolgendosi a Irene ma senza staccare gli occhi da Sherlock.

-Io non ho fatto nulla. È merito tuo. La maledizione si è spezzata, John- disse, prima di sparire, portandosi con sé la luce dorata che aveva avvolto il corpo di Sherlock.

E John, sotto i suoi occhi stupiti, vide il corpo dell'altro rimpicciolire e mutare. Vide i peli ritirarsi e sparire quasi del tutto, vide le zampe mutare in piedi e gambe, vide mani e braccia prendere il posto degli arti superiori. E vide il volto cambiare, diventare piccolo e sagomato. Vide riccioli scuri sostituirsi alle corna, un naso normale, zigomi affilati, una bocca carnosa e dolce al tempo stesso... e lo vide ricambiare il suo sguardo, calde lacrime in quegli occhi che aveva creduto non avrebbero mai più incontrato il suo sguardo.

-Sherlock...- si ritrovò a implorare, come un bambino piccolo.

-John- rispose l'altro, la voce sempre profonda, ma più umana.

Erano a pochi passi l'uno dall'altro ora, se avessero teso le mani si sarebbero sfiorati, ma nessuno dei due sapeva bene cosa fare. Quale sarebbe stata la cosa giusta da dire? Come ci si doveva comportare in quelle occasioni?

Si mossero, quasi sincronizzati, l'uno verso l'altro, il desiderio negli occhi e la paura nei gesti.

-Sei vivo- fu l'unica cosa che John riuscì a dire. Qualsiasi cosa pur di spezzare quel silenzio. -Sei davvero tu?- chiese, scrutandolo piano, quasi temesse si potesse rompere sotto i suoi occhi.

-Sono tornato “io”, quello di prima.-

-No, non quello di prima- lo corresse John. -E poi saresti quello intelligente...-

-Io sono quello intelligente.-

In seguito, non seppero mai dire chi avesse fatto cosa, chi avesse davvero cominciato. Ma le loro labbra si incontrarono con irruenza, paura, rabbia e stupore si mescolarono mentre le loro lingue si cercavano all'infinito, in una danza che sarebbe potuta durare millenni. Le mani di John si infilarono sotto la camicia di Sherlock, lacera e sporca di sangue. Sherlock stringeva John a sé, quasi temesse potesse scomparire da un momento all'altro, o potesse cambiare idea.

E sarebbero davvero potuti andare avanti all'infinito se un piccolo e timido applauso non gli avesse interrotti, trovandoli senza fiato e ansimanti.

Davanti a loro, radunatisi dove prima c'era la folla di contadini, stavano i servitori del castello, ognuno tornato al suo vecchio e vero aspetto. E se ne stavano lì, semplicemente, felici e anche leggermente commossi.

John sentì la sua mano intrecciarsi con quella di Sherlock mentre smetteva di piovere e il sole cominciava a fare capolino.

-Dove mi stai portando?-

-A casa, John. Andiamo a casa.-















Inathia's nook:

e così ci siamo. L'ultimo capitolo tanto temuto è arrivato. Angstoso e feeloso, no? Io, per una volta nella vita, ne sono sinceramente soddisfatta ;)
Ma non è la fine, piccole mie... 
Ci sarà un'epilogo... che getterà le basi per un seguito. Che pubblicherò sempre di seguito a questa storia. Così non dovrete impazzire per cercarla tra le nuove pubblicazioni. E anche perchè non ho un titolo da dargli, a essere onesti :)
Quindi sì, donne, il SEGUITO SI FARA', non mi tiro più indietro. Ma la pubblicazione sarà bi settimanale, almeno all'inizio. Fino a quando non finirò la storia, che per ora conta solo di due capitoli ;)
Allora bacioni e alla settimana prossima... con l'epilogo

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Capitolo 21
*** Epilogo ... O un nuovo inizio? ***


Epilogo ... o un nuovo inzio?




Dieci anni dopo....



John sentì qualcuno tirargli un piede da sotto le lenzuola, costringendolo a svegliarsi. E non era Sherlock, perché lui di solito o lo baciava, o gli mordeva piano un orecchio.

-Papà?- chiese la piccola voce.

Un sorriso si disegnò sul suo volto anche se non aprì gli occhi.

-Papà- chiamò ancora la voce.

Aprì un occhio alla volta e vide, ai piedi del letto, avvolta nella sua camicia da notte gialla, la piccola Lena. I capelli biondi erano tutti in disordine e gli occhi grigi lo scrutavano nel buio.

-Che è successo?- chiese John, passandosi una mano sul viso e sorridendo alla piccola. -Un altro brutto sogno?-

Lena annuì, arrampicandosi sul letto.

Nonostante ormai fossero mesi che la bimba viveva con loro, aveva ancora incubi sull'orfanotrofio in cui aveva vissuto per otto anni. John aveva insistito che venisse a vivere al castello sotto Natale, quando finalmente avevano avuto il permesso dalla proprietaria dell'orfanotrofio, e Sherlock ne era stato più che felice. Ormai erano passati dieci anni da quella terribile è meravigliosa notte di morte e rinascita, era tempo di allargare quella piccola famiglia.

-John...?-

Sherlock si svegliò a sua volta, rotolandosi nel letto e cercando il compagno. Poi, quando vide Lena nel lettone, si concentrò sulla piccola.

-Lena ha avuto un altro incubo- lo informò John, spostando le coperte per far spazio alla bimba.

-Su, racconta.-

Lena si sistemò tra i due, mentre Sherlock e John intrecciavano le mani dietro di lei.

-Ho sognato che non mi volevate più... Che mi rimandavate indietro...- disse Lena, guardando prima l'uno poi l'altro. -Ma io voglio restare qui, con voi. Vero che non mi manderete via?-

John incontrò lo sguardo di Sherlock al di sopra della bambina e gli fece l'occhiolino.

-Uhm... Sai che non lo so? Non sei stata molto brava, ultimamente...- cominciò, lasciando poi spazio a Sherlock.

-Già... La signora Hudson ci ha detto che l'altro giorno, in cucina, hai finito il ragù che Angelo aveva preparato per cena... E lo sai quanto a me e John piaccia il ragù...-

Ora la piccola era davvero spaventata.

Ma lo spavento mutò ben presto in una grande risata, quando John e Sherlock cominciarono a farle il solletico sulla pancia e sul collo.

-Basta... Basta!- gemette Lena, contorcendosi e ridacchiando.

-Davvero pensi che "ti manderemo via"? Lena, sei la nostra bambina!- esclamò John alla fine, quando lei si sistemò sul suo petto, con Sherlock subito accanto, le mani tra i suoi capelli.

-Lena, forse non di fatto, ma sei nostra figlia. La nostra famiglia non sarà tra le più tradizionali, ma ci vogliamo bene e questo basta e avanza.-

-Oh... Tu e papà John non vi "volete bene", voi vi amate- ridacchiò Lena. -Dai... Baciatevi- sghignazzò, guardandoli speranzosa.

John alzò le sopracciglia, poi si voltò verso Sherlock, fintamente rassegnato. Anche Sherlock finse di essere scocciato, ma quando le sue labbra toccarono quelle di John, fu come la prima volta, dieci anni prima. Fu un bacio casto, Lena era tra di loro, ma dopo qualche istante, la sentirono ridacchiare e scappare via, come spesso capitava quando loro cominciavano a baciarsi, anche se era stata lei a spingerli.

E, quando furono certi che se ne fosse andata, che la porta fosse ben chiusa, i vestiti finirono ben presto per terra e baci divennero tutto fuorché casti.

Non avrebbero cambiato quella vita con nessuna al mondo.

 

 

 

 

 

 

Portava i fiori alla tomba sulla collina almeno una volta alla settimana.

Per non dimenticare, si diceva.

Perché non aveva altro, era la verità.

Ci andava sia che ci fosse il sole sia che piovesse. Aveva lasciato che la neve si depositasse sui suoi capelli, il vento primaverile aveva scompigliato i suoi capelli... Per dieci lunghi anni. E non c'era stato giorno che non avesse sentito la sua mancanza.

-Ciao, Jim, sono sempre io- salutò la croce di legno storta, sedendoglisi poi davanti. -Non ho molto da raccontarti, a essere onesti. Ho cambiato lavoro, di nuovo... In realtà mi hanno licenziato. A quanto pare, non posso dire al mio capo quanto sia stupido.-

Rimase in silenzio, scostandosi i capelli scuri e cercando inutilmente di sistemarli in una coda. Ma erano troppo lunghi e incrostati... Da troppo tempo non si preoccupava di se stesso. Da troppo tempo non c'era più nessuno. Anche la barba era incolta e lunga, le vesti sporche e vecchie...

-La verità è che non ce la faccio, Jim. Davvero. Ci ho provato, lo giuro. Sono dieci anni che cammino su questa inutile terra senza di te... E non ce la faccio. Non ha senso senza di te. Non te l'ho mai detto prima che tu morissi, non ho fatto in tempo, ma ormai sono dieci anni che lo confesso a questa stupida croce. Chissà se poi tu la volevi, una croce... Non me lo hai mai detto. Ci sono così tante cose di cui non abbiamo mai parlato... Io ti amo, ormai lo sa anche il vento. Lo hanno sempre saputo tutti, a quanto pare, tranne te. O forse anche tu lo sapevi. Non lo so. Ora darei qualsiasi cosa per tornare indietro... e chiedertelo. Anche solo per farmi ridere in faccia. Mi manca tutto di te. La tua risata è sicuramente ai primi posti di questa classifica...-

-L'età ti ha reso melodrammatico, Moran.-

Sebastian si voltò di scatto, sentendosi scoperto.

Appoggiata a un albero, un lungo vestito scuro che le fasciava le forme, stava chi Sebastian era sicuro non avrebbe mai rivisto.

-Tu? Credevo...-

-Credevi fossi morta, lo so. In fondo, sono otto anni che non mi vedi, è piuttosto naturale. Oh, e vedo che sei andato avanti- lo prese in giro, indicando con un gesto della testa la croce sbilenca e alludendo alle lacrime di lui.

-Io...-

-Come dicevo, sentimentale- disse, quasi sputando l'ultima parola.

-E tu? Se non morta, ti credevo almeno lontana da qui. Pensavo...-

-Che sarebbe stato l'ultimo posto dove sarei tornata, vero? Ormai ti leggo dentro, Seb. Ho avuto un ottimo maestro- ammiccò, porgendogli una mano guantata. -Ora, dimmi, hai tre opzioni. Puoi far passare altri dieci anni in questa maniera- sibilò, accennando allo stato in cui si era ridotto, -puoi ucciderti e farla finita con la tua misera esistenza, oppure...-

-Oppure?-

-Oppure ti alzi, ti sistemi, ti lavi- sottolineò, -e ti unisci a me nella vendetta.-







Inathia's nook:

ed eccoci al tanto temuto epilogo. Temuto da me... ovviamente. Perchè ora non si torna più indietro, soprattutto dopo questo capitolo. IL SEGUITO SI FARA', basta ripensamenti.
E verrà pubblicato di seguito a questa storia. il prossimo capitolo sarà abbastanza di passaggio, ma da quello dopo si entrerà nella nuova storia. I personaggi saranno gli stessi, ma ovviamente la trama sarà di mia fantasia... e spero vi piacerà.
Ma tornando a questo capitolo, come ho scritto, è ambientato dieci anni dopo gli avvenimenti della settimana scorsa.
Sherlock e John hanno preso in affidamento una bimba dall'orfanotrofio... lo so, all'epoca sicuramente non glielo avrebbero lasciato fare, ma... Sherlock, anche se sono passati anni, è ancora temuto e rispettato ovunque. La loro relazione non è pubblica, ovviamente, e questo darà dei problemi soprattutto a Sherlock, ma lo vedremo...
Comunque, Lena è stata inserita non per trasformare il tutto in una zuccherosa parent!lock, ma perchè funzionale alla trama. 
Quanto al povero Moran... lui è il mio tato cuccioloso e guai a chi me lo tocca. Se nella "prima parte" non ha avuto molto spazio, da ora in poi lo vedremo molto più attivo. Così come il personaggio misterioso, di cui non rivelerò la vera identità nemmeno se mi pregherete in ginocchio. Potete provare e indovinare, ma... non vi dirò se ci avrete preso o no ;) già, oggi sono simpatica ;)
direi che questo è tutto.
Un piccolo piccino angolo saluti e ringraziamenti è dovuto, anche se di fatto la storia è appena cominciata.
Un grazie grazioso a tutti quelli che seguono e leggono la storia silenziosamente dall'inizio o si sono appena fatti una maratona per arrivare fin qua. Fatevi un applauso.
Un particolare abbraccio abbraccioso a chi ha recensito puntualmente ogni settimana. Meritereste scrivessi tutti i vostri nomi, ma sono una terribile pigrona... lo farò alla fine, promesso. 
E, dulcis in fundo, un bacione gigantesco alla donna che ha reso possibile tutto questo. Alla mia musa, a colei che mi sprona con delicatezza, alla mia rete di sicurezza. Johnlock is the way, sei la mia beta, ma anche molto di più. Mi hai fatto capire che l'amicizia vera può nascere anche così, da un sito di storie su internet. e di questo e di mille altre cose, io ti ringrazio.
Un bacione a tutti e vi aspetto la settimana prossima!

 

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Capitolo 22
*** Interludio ***


Interludio





DUE ANNI DOPO

 

Sherlock amava la sua vita.

Amava svegliarsi la mattina con John accanto.

Amava essere il primo la mattina ad aprire gli occhi, così da avere tutto il tempo di andare nella camera di Lena e baciarla piano sulla fronte, vederla poi girarsi piano su un fianco e raggomitolarsi sotto le lenzuola, mormorando di avere ancora troppissimo sonno per alzarsi.

Amava andare in cucina e preparare la colazione personalmente. Strapazzava le uova, affettava il prosciutto e riscaldava la pancetta, dava disposizione di apparecchiare. Tutto, ma non il the. Quello era di John.

Amava aspettare che la sua famiglia –ancora gli venivano i brividi a pensarci- scendesse per mangiare.

Amava i capelli spettinati di John e il pigiama infilato alla rinfusa, giusto per coprire appena le apparenze.

Amava come a volte si sbagliasse –o se lo faceva di proposito, proprio non lo sapeva- e si infilasse la sua, di vestaglia. Amava come il blu del tessuto faceva risaltare i suoi occhi.

Amava i passi scalzi di Lena sul marmo, il suo sedersi a tavola e cominciare subito a riempirsi il piatto, parlando e bofonchiando dei sogni della notte o dei programmi per quel giorno.

Amava quando si sporgeva verso di lui e, lasciandogli sulla guancia un alone di latte, gli regalava il primo bacino della giornata.

Amava la sua vita, Sherlock.

 

 

 

Lena amava la sua vita.

Amava l’enorme castello che era diventato la sua casa due anni prima.

Amava conoscerne la storia, ogni anfratto, ogni ragnatela.

Amava suo padre Sherlock, che sotto sotto era un tenero, ma non lo avrebbe mai ammesso neanche sotto tortura.

Amava fare esperimenti con lui, fargli da assistente.

Amava come la trattava, come se fosse un’adulta e non come una bambina.

Amava come riusciva a farla sentire importante e amata.

Amava suo padre John, con i suoi maglioni fatti a mano e la passione per la marmellata.

Amava le occhiate che lui e Sherlock si scambiavano, quando credevano che lei non stesse guardando.

Amava i loro baci rubati, le conversazioni sussurrate nel lettone, quando le facevano posto se non riusciva a dormire.

Amava l’abbraccio in cui l’avvolgevano quando aveva un incubo, il modo in cui la rassicuravano e le facevano dimenticare le paure, con una risata.

Amava la sua vita, Lena.

 

 

 

John amava la sua vita.

Amava fare tardi la sera davanti al camino con Sherlock, a chiacchierare della giornata.

Amava ridacchiare quando lui cercava di trattenere gli sbadigli e poi si lasciava andare, puntualmente, contro la sua spalla, addormentandosi piano.

Amava le ore passate in biblioteca con Lena.

Amava le domande interessate e persino competenti –per una bambina di dieci anni- che lei gli poneva.

Amava vederla indaffarata nella lettura di quei tomi così spessi e polverosi.

Amava quando Sherlock e Lena facevano cose insieme, anche se questo comportava spesso il suo dover calmare la signora Hudson per eventuali parti umane trovate nella ghiacciaia.

Amava svegliarsi la mattina dopo Sherlock e rotolare fino alla sua parte del letto, affondando la faccia nel cuscino e avvolgendosi nelle lenzuola.

Amava i giorni di sole passati nel parco, a insegnare ad Lena a cavalcare.

Amava i giorni di pioggia, quando se ne stavano tutti in casa anche a non fare nulla.

Amava quando nevicava la notte e il mattino dopo trovava Lena e Sherlock in giardino, in compagnia di un pupazzo di neve con il suo maglione preferito addosso.

Amava la sua vita, John.












 

Inathia's nook:

shaaaaaaaaaaaalve people!
eccomi qui con un piccolo interludio-intermezzo, che serve principalmente a stemperare l'ansia della fine dello scorso. Un piccolo quadretto della vita di questa nuova e strana famiglia, così atipica soprattutto per l'epoca in cui è ambientato il racconto. 
Come dicevo la settimana scorsa, questa sarà sì una parent!lock, ma non una di quelle tradizionali. Lena è qui per un motivo... diciamo che la sua presenza metterà in moto l'intera vicenda. Ma capirete meglio dalla prossima volta.
Non ho molto da aggiungere, il capitolo è davvero davvero breve e si spiega ovviamente da solo.
Un bacione e alla prossima
PS: IL PROSSIMO AGGIORNAMENTO SARA' IL 31. PRIMA NON AVRO' IL COMPUTER PERCHE' SARO' IN VACANZA. COSI' CI RISENTIAMO E CI FACCIAMO GLI AUGURI.
Intanto, felice Natale e alla prossima :)

 

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Capitolo 23
*** Why? ***


Why?




-Una governante per Lena?-

La voce di Sherlock risuonò per tutto il castello e John alzò gli occhi al cielo, coprendosi le orecchie con le mani. Erano a letto, ormai era tardi, e non era davvero il caso di svegliare tutti quanti.

-Vorresti davvero assumere una governante per Lena?-

-Sherlock, è la quarta volta che te lo dico. Sì, vorrei qualcuno di qualificato che si occupasse della sua educazione.-

Si rese conto di aver commesso un fatale errore solo dopo aver chiuso bocca. Sherlock si voltò verso di lui, la fronte aggrottata e un sopracciglio alzato. Come ci riuscisse, John non lo aveva capito bene. Sapeva, però, che quella era la faccia da “dici-sul-serio-perché-io-non-credo-proprio-a-volte-sei-un-idiota”. Dopo dieci anni insieme, certe cose le aveva imparate.

-E così credi che noi non siamo “qualificati”?- chiese, virgolettando irritato la parola in aria. –Io non lo sarei? Quella bambina potrebbe insegnare matematica e chimica all’università. E anche medicina, se per questo.-

-Sherlock, io non intendevo...- tentò di riprendersi John, ma venne di nuovo investito da un fiume di parole. Allora si arrese e si lasciò cadere sui cuscini.

-Lena è la bambina più intelligente ed istruita del mondo. A soli dieci anni...-

-Sono due anni, Sherlock, che nostra figlia non mette piede al fuori del castello e del parco. Sono due anni, che non parla con nessun altro se non noi due e i domestici- tentò di farlo ragionare John.

-Non vedo dove sia il problema- bofonchiò l’altro, incrociando le braccia sul petto e guardando fisso il soffitto della camera da letto.

John si ritrovò a ridere, nonostante non fosse proprio il momento. Ma amava Sherlock, anche quando faceva il bambino viziato come in quel momento. A volte gli ricordava troppo la Bestia di cui si era innamorato così tanti anni prima... anche se di certo non avrebbe cambiato quel corpo con nessun altro al mondo.

-Non può vivere come una reclusa e io e te abbiamo già fatto tanto in questi anni, forse ora è il momento...-

-E credi che un’estranea potrebbe fare meglio di noi due? John, siamo i suoi genitori!-

-Siamo i suoi genitori adottivi- specificò John. –E non fare quella faccia, non è colpa mia. Anzi, a essere precisi, ci siamo inventati che Lena è figlia mia e che sua madre è morta di parto e tu ci hai generosamente offerto un posto dove vivere e un lavoro. Cristo, Sherlock, tecnicamente non sei nemmeno mio marito... Se viviamo in tempi di merda non è colpa mia! E lo sai che la donna all’orfanotrofio ci ha affidato Lena solo perché stava diventando troppo grande e c’erano troppi bambini.-

-Quello e la lauta mancia che le ho lasciato- si sentì in dovere di aggiungere Sherlock, arricciando il naso, schifato al pensiero.

-Comunque, hai afferrato il concetto. Sai com’è la gente che abita il villaggio. Sono passati dieci anni e ci hanno lasciato in pace, ma torneranno alla carica se crederanno che la bambina non viene cresciuta come dovrebbe.-

-E quale sarebbe il modo giusto? Possono proprio parlare i tuoi ex compaesani- sbuffò Sherlock, -solo buoni ad agitare forconi e a gridare per niente.-

-Sherlock, la cosa è semplice: un passo falso, e la donna dell’orfanotrofio apre la bocca e finiamo nei casini. Quindi fai il bravo e ascoltami, una buona volta.-

Sherlock roteò gli occhi, ma non disse nulla. Sapeva che John aveva ragione e questo gli dava fastidio. Non in quanto gli toccasse avere torto, ma più che altro per le cose che John sosteneva. Sapeva di vivere in una situazione precaria e, molto probabilmente, fuori legge. Sapeva che, se i genitori veri di Lena fossero saltati fuori, la bambina sarebbe dovuta andare con loro.

E non capiva perché.

Lui amava John, perché non potevano sposarsi?

Lena era loro figlia, perché non potevano adottarla?

Sherlock amava la sua vita, ma odiava il mondo in cui era costretto a viverla. Il suo amore per John sarebbe stato visto come qualcosa di sbagliato, una malattia, se mai lo avessero reso pubblico. Ed Lena sarebbe andata via da loro, se tutta la faccenda fosse stata scoperta. E forse l’avrebbero affidata a una famiglia dove avrebbe sicuramente ricevuto meno amore di quello che le davano lui e John.

Ma stavano così le cose e lui non poteva fare nulla per cambiarle.

-Rimane solo mezza giornata- disse alla fine, facendo sorridere John. Si alzò su un fianco e si puntellò con il braccio, poggiando il viso sulla mano. –Mezza giornata mi va bene.-

-Lo sai che dovrebbe essere qui sempre.-

-E dovrei anche darle una camera?-

-La pagheremmo di meno.-

-Non me ne frega nulla dei soldi. Io non voglio un’estranea a ficcanasare in giro a ogni ora del giorno e della notte. Mezza giornata- ribadì.

-Sherlock...- provò a insistere John, cominciando piano a baciarlo, prima sul collo e poi sul petto. –Sherlock...-

Lui chiuse gli occhi e cercò di rimanere serio, ma poi un gemito gli uscì dalle labbra.

-Oh, e va bene- capitolò alla fine, incontrando finalmente la bocca di John. –Torturatore- aggiunse, sentendo John ridacchiare.

 

 

 

 

 

 

 

Cominciarono la selezione due giorni dopo. Lena era stata recalcitrante, all’inizio, ma, quando Sherlock e John le avevano spiegato seriamente la situazione, non aveva potuto fare altro che dire di sì. Aveva però chiesto di essere presente quando le varie governanti sarebbero state esaminate.

Le prime quattro vennero mandate via in malo modo da Sherlock, il quale aveva sostenuto non fossero abbastanza qualificate –ma aveva poi aggiunto sottovoce che erano talmente grasse che un giorno il cibo non sarebbe più bastato loro e si sarebbero cibate di Lena-. John le aveva accompagnate alla porta cercando di consolarle o di placare la loro ira, a seconda dei casi.

La quinta fu cacciata da John. Uscì fuori che era venuta al castello solo per vedere se c’era ancora la Bestia, perché suo padre era stato presente alla battaglia di dieci anni prima e lei voleva assicurarsene di persona. Nessuno la accompagnò alla porta anzi, John fu anche bravo a trattenersi dal tirarle una scarpa. Accanto a lui, Sherlock si divideva tra l’essere orgoglioso del compagno, la rabbia verso la sconosciuta e la spontanea ilarità che suscitava in lui John ogni volta che si arrabbiava.

Quando entrò la sesta candidata, fu John il primo a vederla. Nonostante fossero passati quasi dieci anni, nonostante al momento lui avesse la testa tra le mani e altrove per l'irritazione di poco prima, l'avrebbe riconosciuta tra mille.

-M... Mary?- balbettò, alzandosi per andato in contro sotto lo sguardo arcigno di Sherlock. -Sei davvero tu?-

Lei si limitò a ridere, una risata e un sorriso che riportarono John indietro di anni. Anche se ora portava i capelli più corti e vestiva più elegante, era sempre lei. E non la vedeva da... Dalla notte in cui il suo padrino si era ucciso, forse persino sotto i suoi occhi.

-Che ci fai qui?-

-Cercate una governante, no?-

-Oh... Sei qui per il posto, giusto?- chiese, rimettendosi a sedere, mentre Sherlock alzava gli occhi al cielo per il suo balbettio imbarazzato.

-Quello che John intende è: possiamo vedere le sue referenze, signorina...?-

-Morstan. Mary Morstan- rispose lei, sorridendo e accomodandosi, voltandosi poi verso Lena. -Ciao- le disse, in tono da cospiratrice, -scommetto che queste selezioni ti stanno annoiando un sacco.-

Lena la guardò con occhi nuovi, sollevando la testa che, fino a quel momento, era stata appoggiata alla mano.

-Sì. Sai, pensavo sarebbe stato interessante, ma non è affatto vero.-

Mary ridacchiò insieme a lei e alla risata si unì anche John, mentre Sherlock li osservava torvo.

-Le sue referenze, signorina Morstan- insistette, allungando la pallida mano verso di lei, interrompendo il momento. John si riprese dopo qualche istante, ma Lena sembrava assolutamente ammaliata dalla nuova venuta.

-Oh, eccole qui. E mi chiami Mary. In fondo, mi sembra quasi di conoscerla...- rispose Mary, allungando a Sherlock dei documenti.

-Lei non mi conosce affatto, signorina Morstan- ribatté Sherlock, insistendo nell'uso del cognome e passando in rassegna con occhio critico le carte che lei gli aveva passato.

-Allora, che ne dici?- chiese John, sporgendosi oltre la spalla del compagno, sbirciando. -A me sembra vada tutto bene.-

-Oh- mormorò Sherlock, preso dalla lettura, -è tutto fin troppo perfetto, se vuoi sentire la mia.-

John alzò gli occhi al cielo e si costrinse a mantenere un tono di voce basso.

-A te è Mary che non piace, ecco tutto.-

-Scusa se non voglio che la tua ex si occupi di nostra figlia- ribatté stizzito l'altro.

-Per la milionesima volta, Mary non è la mia ex. Era Moriarty che voleva che la sposassi, ma nessuno dei due è mai stato incline alla cosa- spiegò John, una nota di impazienza nella voce. -Senti, è tutto il giorno che andiamo avanti, ma non ne troveremo una migliore. Hai letto le referenze che ha, è persino stata in America e conosce un sacco di lingue. E, cosa più importante di tutte, sembra che ad Lena piaccia- concluse, indicando con un cenno del capo la bambina che guardava Mary con occhi sgranati, mentre l'altra le raccontava chissà quale aneddoto.

Sherlock fu costretto a scrollare le spalle davanti all'evidenza.

-E sia. Ma se ti scopro a farle gli occhi dolci sei finito, John Watson.-












Inathia's nook:
ehi salve, belle personcine! sopravvissute al capodanno? come avete festeggiato? 
Comunque, eccomi qua con un nuovo capitolo. Ed eccoci che si entra, quasi, nella nuova storia. Non vedo l'ora di leggere i vostri commenti, cosa pensiate di Mary, anche perchè io ho decisamente un rapporto conflittuale con il suo personaggio (mentre l'attrice mi piace un sacco...). E diciamo che la sua figura porterà abbastanza scompiglio nelle dinamiche "famigliari" (cosa che è già in parte successa...).
Ok, non vedo davvero l'ora di sapere che ne pensate.
UN GRANDE BACIO E UN MEGA AUGURI DI BUON 2015!!
Ps: prossimo aggiornamento tra il 10-11 gennaio :)

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Capitolo 24
*** Help me help you ***


Help me help you



-... e quello invece è un castagno- finì di elencare Lena, sedendosi sulla panchina, Mary accanto a lei.

Ormai era un mese che la donna viveva con loro e alla bimba piaceva sempre di più. Sembrava sapere un sacco di storie affascinanti e aveva proprio l'aria di una che le aveva vissute in prima persona.

Lena si lisciò il vestito azzurro e alzò gli occhi verso Mary.

-Mi sto annoiando- sbuffò alla fine, spostandosi un ciuffo di capelli biondi dalla fronte.

-Sembri proprio tuo padre quando fai così, sai? Sherlock, intendo- specificò Mary, ridendo.

-Lui non è il mio vero papà- si sentì di dover specificare Lena. -E nemmeno John. Io non lo so chi siano i miei veri genitori. Ho vissuto all'orfanotrofio per otto anni, prima che loro mi facessero venire ad abitare qua...-

-Ma qui ti piace, no?- chiese Mary, una strana apprensione nella voce. -E poi, magari la tua mamma e il tuo papà non potevano occuparsi di te, mentre qui hai tutto quello che desideri...-

-Non proprio tutto, se devo essere onesta- mormorò Lena, calciando la ghiaia, lo sguardo fisso a terra. -Il castello è bellissimo e immenso, ma ormai sono stata ovunque. E anche nel giardino. Ma non sono mai uscita.-

-Mai?-

Mary sgranò gli occhi. Quei due erano due genitori impossibili.

-I miei papà hanno paura della gente che vive nel paese qui vicino. Mi hanno raccontato cosa successe dodici anni fa, ma ancora non capisco...-

-Cosa non capisci?-

-Perché loro due, che si amano, non possano stare insieme e in pace. Hanno paura, lo so. Li sento bisbigliare quando credono che io stia dormendo- spiegò, alzando la testa e guardando Mary fisso negli occhi. -Ma io vorrei vedere il mondo come hai fatto tu!-

-Oh, piccola! Alla fine non è tutto questo granché, te lo assicuro. Alla fine, tutti i treni si assomigliano e tutte le navi che prendi puzzano allo stesso modo- rise Mary.

-Però almeno tu una nave l'hai presa. Io ho visto solo in un'illustrazione sull'enciclopedia di papà Sherlock, il treno...- mormorò la bambina.

-Sai, io sono nata là al villaggio. È così che ho conosciuto John- le sussurrò Mary, quasi le stesse confidando chissà quale segreto.

-Davvero? Conoscevi il mio papà?-

-Oh, non troppo bene, a essere onesti. Ma forse ne avrei avuto l'occasione. Sai, il mio padrino voleva che ci sposassimo!-

-Ma dopo saresti stata tu mia madre!- rise Lena, mentre Mary si limitò a sorridere.

-Non credo che avrebbe mai funzionato tra di noi, a essere onesta. Comunque, tu vuoi andare al villaggio e io ci ho vissuto buona parte della mia vita: potremmo andare insieme, sarei la tua guida- propose.

-Dici sul serio?- sgranò gli occhi Lena, saltandole al collo. -Oh, grazie! Grazie mille!-

-Ehi, vacci piano. Dobbiamo ancora avere il permesso da John e Sherlock...-

 

 

 

 

 

-Assolutamente no! E ora esci, sono impegnato.-

Aveva cominciato con Sherlock, sapendo che lui sarebbe stato l'osso duro tra i due. E non si era sbagliata, a quanto pareva.

Forse non aveva nemmeno scelto il momento giusto -Sherlock stava conducendo i suoi soliti esperimenti e lei lo aveva interrotto mentre si stava appuntando i risultati raggiunti- ma sapeva anche che l'antipatia istintiva che Sherlock provava nei suoi confronti non aiutava.

-Sarebbe solo per un pomeriggio, non essere un testone- provò a insistere, venendo bloccata da uno sguardo glaciale.

-Mary, mi sembra di essere stato piuttosto chiaro. E ora, esci.-

Alla fine aveva accettato di chiamarla per nome e di darle del tu, ma restava il principe di quel castello e lei era una sua dipendente, e come tale doveva rispettarlo.

-Quella bambina ammuffirà qui dentro e tu lo sai. Non è per quello che mi avete assunta? Capisco che tu preferisca non uscire e non farti vedere in pubblico con John e Lena, ma...-

-Non è questo il problema- ringhiò Sherlock, a mala pena sollevando la testa dal taccuino. Le dava le spalle e non aveva intenzione di voltarsi per affrontarla perché, lo sapeva perfettamente, non sarebbe stato in grado di controllarsi. Era una cosa istintiva, ma sentiva di non potersi fidare di lei. Forse era per via del suo non-passato con John; forse era perché, in un universo alternativo, lei e John sarebbero potuti essere davvero una coppia e lui sarebbe stato quello messo da parte; forse perché alla fine era stato il pensiero di Mary e John insieme a farlo capitolare, quella notte di dodici anni prima, quando si era praticamente ucciso... Forse erano tutte quelle cose insieme, oppure nessuna, ma sentiva di non potersi fidare di Mary Morstan. Perché lei nascondeva qualcosa, ne era sicuro.

-Sherlock, te lo chiedo per il bene di Lena. Andremo via dopo pranzo e saremo di ritorno per l'ora di cena. Vedrà il villaggio e si renderà conto che non è davvero nulla di che. Ma, ora come ora, quello rappresenta per lei un luogo proibito in cui deve assolutamente andare e...-

- “E” cosa?- la provò Sherlock.

-E non vorrei che facesse qualche follia come scappare di casa per questo. Ecco tutto- concluse, sospirando.

-La risposta è comunque no. Noi siamo i suoi genitori- ribatté Sherlock, alzando la voce e coprendo le proteste di Mary, -e tu sei solo la governante. Impicciati degli affari tuoi. E se le cose non ti stanno bene, la porta è da quella parte.-

-Oh, ti piacerebbe, vero?- lo provò Mary, la voce improvvisamente gelida.

Sherlock si alzò dalla scrivania e le si fece in contro. Era molto più alto di lei, la superava quasi di tutta la testa, ma Mary non sembrava affatto intimorita. Lo fissava con gli occhi in fiamme, le mani strette in pugni.

-Non so cosa tu sia venuta a fare qui, non so cosa tu voglia dalla mia famiglia, ma sappi una cosa: se provi a fare del male a Lena o a John, se provi a metterti tra me e loro... allora non importa quanto lontano andrai, quanti nomi cambierai. Io te la farà pagare. E ora, vattene dal mio studio, signorina Morstan.-

 

 

 

Sapeva riconoscere una sconfitta, Mary Morstan, quando ne subiva una e questa era una di quelle. Se Sherlock non avesse mai acconsentito, non c'erano proprio probabilità di fare uscire Lena dal castello e...

Strinse le mani a pungo e fece un respiro profondo. Prima glielo avesse detto, prima avrebbe potuto distrarla con qualcos'altro... Anche se non aveva idea di cosa si sarebbe inventata a proposito.

-Sherlock, eh?-

Tornò bruscamente al presente e solo in quel momento notò John che le camminava in contro. Aveva un libro sotto braccio e per un attimo le tornò alla mente la sua vecchia vita al villaggio, con James e Sebastian... quando poteva ancora permettersi di sognare ad occhi aperti su John Watson.

-Come, scusa?- chiese, mettendo da parte quei pensieri. Non era il momento.

-Sei scocciata, le tue mani tremano- aggiunse John, con un mezzo sorriso, -stai parlottando tra te e te. E poi quell'ala è dove Sherlock ha il suo studio. Mi è sembrato normale presupporre che lui fosse la causa del tuo nervosismo- concluse. -Mi sbaglio?-

-Sareste stati un terribile due di detective, in un'altra vita- commentò Mary, scoppiando a ridere e prendendo John a braccetto. -Però no, non ti sbagli. Forse stare con Sherlock tutti questi anni ti reso simile a lui.-

-Lo prenderò come un complimento- rise a sua volta John. -Ora, dimmi se c'è qualcosa che posso fare per rimediare a quello che ti ha detto quel testone.-

Mary lo guardò un attimo, fermandosi in mezzo al corridoio. Lo studiò con un serietà che sembrava fuori luogo, dato che fino a due minuti prima stavano scherzando, poi un ghigno furbo si aprì sul suo volto.

-Effettivamente, forse qualcosa c'è...-

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Capitolo 25
*** I don't know how to love him ***


I don't know how to love him






John e Lena non erano mai, mai, in ritardo per la cena.

Sherlock tornò a giocherellare con la forchetta, ignorando lo sguardo di rimprovero della signora Hudson, e non accennò nemmeno a sedersi a dovere. Resistette però all'impulso di mettere i piedi sulla tavola solo perché quella tovaglia bianca era appena stata lavata e la donna -che stava tagliando il tacchino- era davvero minacciosa con quel coltello.

Però John e Lena non erano mai, mai, in ritardo per la cena.

Sbuffò scocciato e cambiò posizione sulla sedia, lasciando in pace la forchetta e poggiando con mala grazia la testa sulla mano. Odiava aspettare, soprattutto per quelle che John chiamava “cene in famiglia. Per spendere del tempo di qualità con nostra figlia”. Stava conducendo un importante esperimento -lo stesso che Mary aveva brutalmente interrotto quel pomeriggio, facendogli dimenticare tutti i dati che si stava segnando- e questa volta avrebbe voluto portarlo a termine. Aveva chiesto a Molly di controllare i livelli delle provette e del gas, e si fidava della ragazza, ma ora la cosa stava diventando ridicola.

John e Lena non erano mai, mai, in ritardo per la cena.

-Signora Hudson, faccia tenere il tutto in caldo... anzi no, non mi interessa. Faccia di questo ciò che le pare- esclamò a un certo punto, alzandosi in piedi e facendo strisciare la sedia sul pavimento di legno, spaventando a morte l'anziana domestica. -Io ne ho abbastanza di questa buffonata. Se mai John o Lena si degnassero... sarò nel mio studio.-

E marciò via furioso, già rimboccandosi le maniche della camicia bianca e passandosi una mano tra i capelli ribelli.

-Assurdo- borbottò, sbattendo alle proprie spalle la porta, -assurdo...-.

 

 

 

 

John aprì piano la porta e controllò che non ci fosse nessuno, poi fece cenno alle altre due, che lo seguirono ridacchiando e scuotendosi la pioggia di dosso.

-Lasciate qui i mantelli- disse in un sussurro, aprendo la cesta della biancheria. -E tu vatti a fare una doccia, svelta- continuò, dando un buffetto a Lena, che, prima di andarsene, gli saltò al collo e gli stampò un bacio sulla guancia. -Non l'avevo mai vista così felice- commentò, frizionandosi i capelli e avvicinandosi al fuoco.

Erano rientrati da una porta secondaria, che portava direttamente agli ambienti della servitù e, in particolare, alla lavanderia. Il posto più sicuro dove lasciare gli indumenti sporchi di pioggia e fango.

-Lo avevo detto io che le sarebbe piaciuto. Comunque, credo che la cosa del villaggio le sia passata per un bel po'. Non è così spettacolare, soprattutto non con questo temporale- disse Mary, facendosi vicina al fuoco a sua volta.

-Però avevi comunque ragione, ha bisogno di uscire ogni tanto. Non capisco proprio perché Sherlock fosse tanto contrario...- mormorò John, aggiungendo un ciocco.

-Scusa se te lo dico, ovviamente è solo la mia opinione, ma secondo me Sherlock ha paura. Paura che Lena veda quanto di bello c'è fuori da qui e ne sia affascinata a tal punto da lasciarvi. Pensa a quando sarà un po' più grande, pensa a quando avrà l'età giusta per innamorarsi... non sarà sempre una bambina, John.-

-Lo so, cresce così in fretta- commentò lui, facendo un sorriso triste. -E forse hai ragione, Sherlock e io abbiamo paura, perché mi prendo anche io le mie colpe. Ma tu non c'eri, dodici anni fa, Mary- continuò, guardandola negli occhi, -tu non hai visto quello che ho visto io, tu non hai sopportato quello che... il punto è, la nostra paura non è così ingiustificata come potrebbe sembrare. Abbiamo faticato per costruire questa piccola famiglia... non vogliamo che venga spazzata via, ecco tutto. E la gente sa essere cattiva. Tu ci hai vissuto al villaggio, sai che ho ragione.-

-Con me erano sempre gentili, ma chi non lo sarebbe stato, con la figlioccia di James Moriarty? Comunque, sì, capisco cosa intendi. Solo... lasciatela respirare un po' di più, ecco.-

 

 

 

Sherlock era già a letto, quando rientrò nella sua stanza. Alla fine, la chiacchierata con Mary era durata più a lungo del previsto. Era poi passato a controllare Lena, che dormiva profondamente, e alla fine si era diretto verso la sua camera.

Ma Sherlock non stava dormendo. A mala pena lo faceva di solito, figuriamoci quando era arrabbiato. E lo era, oh se lo era. E non aveva bisogno di dedurlo, bastava conoscere Sherlock.

-Allora? Dai, sono qui. Fai la tua scenata così poi possiamo prendere sonno- lo provocò, mettendosi il pigiama.

-Io non “faccio scenate”- replicò stizzito l'altro e John sospirò. Sarebbe stata più lunga di quanto aveva creduto.

-Va bene, allora di' quello che hai da dire, così possiamo chiudere la questione. Così ti piace?- riprovò, facendo per infilarsi sotto le coperte. Ma Sherlock le tirò tutte dalla sua parte, esibendo poi la sua migliore faccia da schiaffi. E John si dovette accontentare di una micro porzione del lenzuolo. –E poi non fai scenate, eh?- borbottò, strattonando il copriletto e lasciando poi perdere.

-Eravate al villaggio, vero?- disse allora Sherlock, voltandosi finalmente a fronteggiare John. Ma non aveva lo sguardo di poco prima. Sembrava... ferito?

-Non possiamo impedirle di vivere, Sherlock, lo sai. E Lena si è davvero divertita e...-

-E tu? E tu ti sei divertito?- domandò a bruciapelo l’altro, fissando il suo sguardo in quello di John, che rimase un attimo spaesato.

-Io... cosa? Cosa accidenti..?-

-Ho chiesto se ti sei divertito. Deve essere stato bello giocare alla famiglia felice e perfetta...-

-Sherlock... Sherlock...- lo interruppe John, un mezzo sorriso sul volto. –E’ questa la mia famiglia felice e perfetta. Noi tre. Tu, Lena ed io. È stato un bel pomeriggio, non lo nego. Mary mi sta simpatica, ma tutto qui. Quando eravamo ragazzi non ci siamo frequentati più di tanto, ma ora che è qui... è come essere di nuovo ragazzo, chi ero prima di incontrare te. È stato bello andare al villaggio, ricordare. Ma ancora più bello è stato tornare qui, sapere che c’era chi mi aspettava per cena, sapere che Lena non è solo una bambina, ma la nostra. Questo è quello che conta, smetti di rimuginarci sopra.-

Sherlock rimase in silenzio qualche minuto, poi un mezzo sorriso gli attraversò il volto.

-Forse sono solo geloso.-

-Forse sei solo un idiota.-

 

 

La notte era passata praticamente indenne, ma appena spuntò l’alba, Sherlock si alzò di soppiatto e uscì, dopo aver controllato che John dormisse tranquillamente. Un po’ si sentiva in colpa, ammise con sé stesso, guardando il compagno girarsi e borbottare qualcosa, ma bisognava agire, prima che fosse troppo tardi.

Lestrade e Mycroft lo stavano aspettando nel suo salottino, attiguo allo studio. Lo usava di rado, non riceveva mai nessuno, perciò aveva fatto accendere il fuoco dalla signora Hudson. Non era ancora inverno, ma faceva già abbastanza freddo, soprattutto in quelle stanze così deserte.

I due uomini stavano parlando tra di loro, ma si interruppero non appena lo videro entrare. Lestrade accennò una piccola riverenza, l’altro sollevò un sopracciglio e si sistemò il panciotto, appoggiandosi allo schienale di una delle poltroncine. Sul tavolino sul quale di solito sarebbe stato servito il the, c’erano fogli su fogli, che sembravano essere i responsabili delle visibili occhiaie dei due uomini.

-Allora, cosa avete trovato?- chiese Sherlock, saltando i convenevoli come sempre e cominciando già a passare in rassegna i fascicoli. Li leggeva appena, sfogliandoli febbrilmente.

-Nulla che tu già non sappia- disse Mycroft, facendoglisi vicino. –Sarai felice di sapere che ci hai privati del sonno inutilmente.-

-Oh, come se passaste le notti a dormire- commentò Sherlock, facendo diventare Lestrade bordeaux, mentre Mycroft si limitava a tossicchiare. –Davvero, nulla?- insistette, tornando sull’argomento.

-Ha lasciato il villaggio un anno dopo la morte del padrino ed è tornata due anni fa. Gli altri anni, li ha passati in giro per l’Europa e persino in America. Come ti ha detto al colloquio di lavoro- confermò Lestrade, passandogli alcuni fogli. –Ecco, anche le referenze sono tutte autentiche, abbiamo controllato.-

-Maledizione!- esclamò Sherlock, frustrato, lasciando cadere i fascicoli sul tavolinetto e passandosi una mano tra i capelli.

-Non puoi esserti sbagliato, vero?- lo stuzzicò Mycroft, sistemando il caos che l’altro aveva fatto, sollevando un sopracciglio.

-Se vi dico che c’è qualcosa in lei che non mi torna e che dovete fare delle indagini, voi lo fate. I commenti non sono inclusi, grazie- sibilò, girandosi verso Mycroft. –Forse siete stati voi a non fare abbastanza?- insinuò.

-Abbiamo controllato più e più volte- ribadì Lestrade, più accomodante, mettendo una mano sul braccio di Mycroft. –Ma forse, potremmo guardarci di nuovo, no? Allora, qui dice che rimase con Moran, alla morte di Moriarty, fino al raggiungimento della maggiore età- ricominciò, passando in rassegna alcuni fogli, -e che, una volta di nuovo in Europa, tornò ad occupare la stessa casa di quando era ragazza e...-

-Aspetta!- esclamò allora Sherlock, saltando letteralmente sulla poltroncina che occupava, strappando di mano il fascicolo a Lestrade. –E se fosse tornata da Moran?-

Mycroft e l’altro rimasero in silenzio, guardandosi tra di loro.

-La cosa potrebbe avere senso...- mormorò Mycroft. –Potrebbe avere senso...- 











Inathia's nook:

ed eccomi qua, signore belle, persino in anticipo sulla mia tabella di marcia. ma l'esame di ieri (quello per cui vi avevo parzialmente abbandonate) è andato più che bene e così ho deciso di farvi/mi un regalo e pubblicare oggi. gli aggiornamenti, comunque, da adesso sono ogni due settimane, perchè di esame me ne manca ancora uno e non ho tutto questo tempo per scrivere... però prometto che non sparisco. c'è gente che legge questa storia, che ha la pazienza di recensirla... non mi sembrerebbe giusto abbandonarla di punto in bianco. quindi, IL PROSSIMO AGGIORNAMENTO E' IL 9 FEBBRAIO.
Parlando di cose più liete, direi che questo capitolo si riassuma nel suo titolo: "I don't know how to love him" (chi coglie la citazione lo sposo...). Sherlock è geloso marcio di Mary, ma c'è anche dell'altro, una specie di sesto senso che gli dice che lei non è del tutto pulita e carina come vuole sembrare. Dall'altra parte, John la sta di fatto conoscendo adesso, ma quello che vede gli piace. Ora, la domanda è la seguente: uno dei due ha ragione? Mary è la governante gentile che vuole solo in bene di Lena, oppure è di nuovo al villaggio (e con Moran) per qualche motivo in particolare?
Ovviamente io non vi dico un accidente di niente ;)
Un bacione e alla prossima

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Capitolo 26
*** BANG! You shot me down ***


NOTE: le metto qua in alto perchè voglio che leggiate il capitolo e basta, dopo, senza essere interrotte dalle mie intutili chiacchiere. Ah, e non ho neanche molto da dire, a essere onesti. Se non che tornernò ad aggiornare settimanalmente. Ho passato il week end a finire la storia e siamo davvero agli sgoccioli.... quindi ci vediamo lunedì prossimo.
Bene, questo è quanto. Fate una statua a Just Izzy se sono arrivata in fondo...

 






BANG! You shot me down





Quando John vide Sherlock arrivare a colazione con quel piccolo sorrisetto soddisfatto sul volto che mal nascondeva, capì che c’era qualcosa che non andava per tutti loro, se lui sorrideva in quel modo.

-Non sei arrabbiato, vero?- chiese Lena, alzando gli occhi dal suo latte e biscotti. Sherlock posò un leggero sulla sua testa bionda e gliela scompigliò con affetto.

-No, va tutto bene- la rassicurò, prendendo il suo posto. –Splendida giornata, vero? Ho un paio di piedi nella ghiacciaia... ti va di studiare i muscoli, oggi?- chiese, rivolgendosi esclusivamente alla piccola. Lei annuì entusiasta.

-Poi andiamo a cavallo? Ieri l’altro ho portato Mary oltre il laghetto e ho notato...- ma si interruppe bruscamente, vedendo l’ombra che aveva attraversato gli occhi de padre. –Va tutto bene? Ho detto qualcosa che non va?-

-No, no... sono solo stanco, tutto qui.-

-Tu non sei mai stanco- ridacchiò Lena, cercando di stemperare la tensione. John fece correre il suo sguardo tra la figlia e il compagno. Sapeva che doveva intervenire, ma era stanco di discutere per Mary. Aveva sperato, con la discussione della sera prima, di aver chiarito le cose, ma a quanto pare era impossibile chiudere una discussione con Sherlock, soprattutto se, alla fine, lui non aveva avuto ragione.

-Sherlock, cosa...?- tentò di dire, ma lui lo freddò con uno sguardo che poteva dire tutto e niente. Ma che, soprattutto, voleva dire di tenere le litigate lontane da Lena. –Tesoro, vai a vedere se Mary è pronta. Mi ha detto che voleva mostrarti una cosa...- disse allora, girandosi verso la bambina.

-Ma papà aveva detto...- provò a protestare lei, girandosi verso Sherlock, il quale però non rispose al suo sguardo. Se ne stava immobile, a guardare John. –Va bene- disse alla fine, alzandosi mogia da tavola. I due la guardarono uscire senza parlare.

-Ora mi puoi dire che accidenti ti passa per quella testa?- sbottò a quel punto John.

-Mary- disse allora l’altro, quasi spuntando fuori quel nome.

-Oh, non di nuovo... ti prego- lo implorò, prendendosi la testa tra le mani. –Ti sei fissato con questa cosa e...-

-Io non mi sono fissato- sbottò Sherlock. –So cose che lei non ti ha detto... che non ci ha detto.-

-Senti, non me ne starò qui a sentirti dire queste sciocchezze. L’hai presa in antipatia e... Cristo, non so davvero cosa fare per convincerti. Anzi, sai cosa? Mi sono decisamente rotto di provare a ragionare con te. Ecco- disse allora, alzandosi da tavola, -questo sono io che me ne infischio, ok? Non sollevare più l’argomento con me.-

E cominciò ad allontanarsi, le mani strette a pugno che tremavano per il nervosismo. Ma perché non la smetteva, Sherlock, perché doveva per forza vedere il male in chiunque? Certo, la gente al villaggio era stata orribile con lui, con loro, e John lo aveva provato sulla propria pelle. Quella terribile notte in cui aveva creduto di aver perso Sherlock per sempre, c’erano anche il libraio che gli aveva regalato il suo romanzo preferito, il panettiere e il fioraio che aveva salutato ogni mattina tra la folla che aveva riso della quasi morte di Sherlock... Ma Mary era diversa, doveva esserlo. La ricordava come la ragazzina che gli sorrideva ogni tanto alla locanda, la giovane donna che tutti dicevano avrebbe dovuto sposare... non aveva mai avuto davvero la possibilità di conoscerla, ma ora che lo stava facendo, quello che stava scoprendo gli piaceva. Era allegra, spiritosa, non si metteva troppi problemi e... sì, Mary Morstan gli piaceva. Forse se non avesse mai conosciuto Sherlock...

-Conosce Morstan.-

La voce di Sherlock gli arrivò quasi ovattata, penetrando i suoi pensieri. Sospirò pesantemente, non avrebbe mai lasciato perdere?

-Era il segretario del suo padrino, mi sembra normale. Altre informazioni fondamentali?- ribatté secco.

-Forse sono ancora in contatto, forse lei è tornata qui per lui...-

Ora il tono si era fatto quasi supplichevole, quasi Sherlock lo stesse pregando di credergli.

-Dimmi- disse John, parlandogli da sopra la spalla, -ci credi sul serio o vuoi che sia la verità?-

-Io...- cominciò Sherlock, non sicuro di come continuare. -Non lo so, John, non lo so. Ma vorrei che credessi a me, alle mie paranoie, anziché a una donna che conosci appena. Magari mi sbaglio, magari ti sbagli tu, ma non è questo il punto. Il punto,- disse, alzandosi da tavola e raggiungendolo, prendendolo per mano, -il punto è sei diverso da quando lei è qui. Non provare a dire che non è vero, ti prego. Se mi ami o mi hai mai amato, non mi contraddire.-

 

 

 

Il corridoio era incredibilmente silenzioso. Aveva mandato Lestrade e Mycroft a fare altre ricerche, i domestici erano tutti in libera uscita... eppure Sherlock non poteva fare a meno di pensare a quel silenzio. E non era per l'ennesima lite con John, a quelle ormai si stava abituando, suo malgrado.

Se n'era andato, non aveva nemmeno ascoltato quello che il compagno aveva da dire e se n'era andato.

Ma c'era quel silenzio...

Le cose peggiori della sua vita erano accadute quando c'era silenzio.

Era stata silenziosa la notte che si era portata via i suoi genitori.

Era stata silenziosa quanto dolorosa la trasformazione che l'aveva reso una bestia.

Era stata silenziosa la sera in cui aveva quasi perso tutto, quando aveva saltato.

E c'era silenzio anche in quel momento.

Un movimento impercettibile attirò la sua attenzione a sinistra. Una porta che si apriva, uno spiraglio di luce.

Ruotò piano la testa. Se era John, lo avrebbe evitato. Non aveva voglia di discutere di nuovo.

Ma non era John.

Si appiattì contro il muro, dietro una delle colonne, mentre una figura ammantata gli sfilava davanti, reggendo qualcosa tra le braccia.

Lena.

Quella consapevolezza lo colpì come un pugno quando vide una piccola manina sporca di colore e una ciocca di capelli biondi spuntare dal mantello.

Lena.

Non sapeva cosa fare. Per la prima volta nella sua vita, non poteva agire d'impulso. Forse per la legge non era così, ma era un padre e Lena era sua figlia. Non era più il ragazzino delle azione avventate e...

Ma mandò al diavolo tutti i buoni propositi tirando un pugno a chiunque stava reggendo Lena.

La bambina cadde per terra, ma non un solo lamentò si alzò da lei. Era stata drogata, Sherlock si convinse di questo. Stava bene, sua figlia doveva stare bene.

Dopo averle fatto una carezza, si girò verso la figura ammantata, che ora ne stava rannicchiata sul pavimento, una mano al volto dove era stata colpita. Il cappuccio era calato e Sherlock vide chiaramente i corti capelli biondi di una donna.

E non di una donna qualsiasi.

-Mary?- mormorò, mettendosi tra lei e Lena. Qualunque cosa stesse succedendo, qualunque cosa avesse in mente, non avrebbe avuto sua figlia.

-Dimmi che sei sorpreso- si rialzò la donna, spostandosi i capelli all'indietro. -È da quando sono arrivata che non fai altro che mettere in guardia John da me, come la checca gelosa che sei.-

Sherlock la fissò paralizzato. Aveva passato tanto di quel tempo a convincere John, che ora che la cosa stava succedendo davvero... ora avrebbe dato qualsiasi cosa per essersi sbagliato.

-Tu...?- chiese.

-Io, Sherlock. Ora, fatti da parte, da bravo, così io e mia figlia ce ne possiamo andare da qui. Ho in mente delle belle cose, per lei...-

-Tua figlia?-

Non aveva senso, nulla di tutto quello ce l'aveva. Lena non poteva essere la figlia di Mary, eppure...

Eppure i capelli biondi e il taglio degli occhi erano lo stesso...

Eppure il modo in cui avessero istintivamente connesso, fin dal primo momento...

Eppure il modo in cui la donna sembrava essersi preoccupata sinceramente delle condizioni della bambina, una volta al castello...

Eppure tutto, persino le tempistiche erano dalla sua, Mary aveva lasciato il villaggio dopo averla data alla luce, restava solo da capire chi fosse il padre.

-John lo sa?- chiese allora.

-Hai paura che il tuo uomo stesse pianificando di scappare con noi? No, tranquillo. John ama te, purtroppo. Sarebbe stato felice con noi. Felice e vivo. Lena sarebbe potuta tranquillamente passare per sua figlia. Quasi lo è... Oh, non fare quella faccia, non c'è mai stato nulla tra di noi, né ci sarà mai. John non ti ha mai tradito. Né lo farà mai... anzi, a giudicare dall'ora, non credo che farà mai molto altro- concluse con un sorriso, la pendola che batteva la mezz'ora.

-Il tempo... cosa...?- balbettò Sherlock, incapace di connettere. Troppe cose, troppe cose insieme.

Mary alzò gli occhi al cielo.

-Sai fare meglio di così, Sherlock Holmes. Guarda che tristezza di storia, nulla va come dovrebbe andare... io che passo per cattiva e tu per tonto... che brutta cosa!- commentò, arricciando il naso. -Ma così non va affatto... che si fa? Te lo devo mettere per iscritto che John Watson sta morendo perché ho drogato il tè o lo capisci da solo?-

-John...-

Sherlock strinse i pugni. In quella marea di cose senza senso, ecco l'unica che poteva riportarlo alla ragione. John.

John.

John.

Doveva restare lucido, altrimenti tutto sarebbe andato a rotoli...

Mary aveva detto di aver drogato il tè di John, cosa doveva fare?

Controllare, andare da lui, rendersi conto che stava bene. Perché stava bene, Mary doveva aver mentito.

E Lena era davvero la figlia di Mary?

Di questo si sarebbe occupato dopo. Ora bisognava fare queste cose in questo preciso ordine:

prendere Lena, per non lasciarla lì, forse drogata a sua volta;

andare nel salone da John e controllare che stesse bene;

chiamare i domestici per affidare loro la sua famiglia;

sistemare Mary una volta per tutte;

e finire la litigata con John, guadagnandoci qualcosina perché aveva sempre avuto ragione.

Sì, aveva un piano e il piano avrebbe funzionato.

Si girò velocemente verso Lena, si chinò per prenderla tra le sue braccia. Il salone dove avevano fatto colazione solo pochi minuti prima non era lontano, ce l'avrebbe fatta, ce l'avrebbe fatta...

Ce l'avrebbe...

BANG!












 

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Capitolo 27
*** 'Till the siren sound I'm safe ***


Note: anche questa volta vi scrivo qui, così che possiate godervi il capitolo. Be'... godervi... insomma, vedremo se vi piacerà! 
Mi avete scritto che la cosa che Lena fosse la figlia di Mary vi ha sconvolte e vi state domandando chi sia il padre... verrà tutto rivelato, non temete. Questo è il penultimo capitolo, ne manca ancora uno e poi avremo l'epilogo... se solo ci penso mi tremano le mani. Ma questa storia ha ormai fatto il suo corso, anche se mi ha regalato persone e soddisfazioni meravigliose. I ringraziamenti li farò poi, per ora mi limito a ricordare Just Izzy, perchè è la MIA dada. 
Buona lettura e vi aspetto nei commenti...







'Till the siren sounf I'm safe




Il colpo alle spalle giunse inaspettato e gli fece perdere l'equilibrio.

Crollò su Lena, sulla figlia che avrebbe dovuto tenere al sicuro. Era pallida, ma respirava. Almeno lei respirava normalmente.

Facendo uno sforzo immane si alzò e si voltò per fronteggiare Mary.

Lei gli stava di fronte, una pistola per mano, gli occhi socchiusi per prendere la mira.

-Non andrai da nessuna parte, Sherlock. Ora sta' fermo, lasciami andare via con Lena e forse, se sarai fortunato, vivrai. Ma fai un altro passo e giuro, lo giuro su mia figlia, ti uccido.-

-John... lui...?- balbettò Sherlock, le gambe sempre più instabili e la voce insicura.

-Probabilmente è già morto- sentenziò lei, la mano che le tremò appena nel dirlo. Forse, dopo tutto, a lui si era affezionata. -Ma non sarebbe mai venuto via con me, non mi avrebbe mai lasciato Lena. Ho dovuto farlo.-

-Cosa... co... cosa ne sarà di mia figlia?-

-Lena non è mai stata tua figlia, sciocco. La crescerò io, come sarebbe dovuto essere dal principio. E ora fatti da parte, non ho tempo da perdere.-

-No.-

-Sherlock Holmes, levati di mezzo.-

-NO. Lena... tu non sei sua madre. E non dico biologicamente, parlo di altro.-

-Tu che mi fai una filippica sui sentimenti?- alzò un sopracciglio Mary, un sorrisetto sprezzante sul volto.

-Non sei sua madre, lasciatelo dire. Lena non ti amerà mai, anzi ti odierà per tutto questo. Ti disprezzerà... dov'eri, Mary, quando era solo una neonata? Dove sei scappata?-

-Non sono affari tuoi- ringhiò lei, -LEVATI DI MEZZO!-

-No- sussurrò Sherlock, inginocchiandosi e baciando sulla fronte la piccola.

Chissà se avrebbe ricordato, se avrebbe mai saputo... forse sì, forse quel lieve incontro di pelli le sarebbe rimasto dentro. Perché Sherlock lo sapeva, non c'era un lieto fine in tutto quello. Non quando si aveva un buco nella schiena e una pistola puntata davanti.

Si aggrappò alla mano di Lena e gliela strinse forte. Incredibile come solo alla fine della sua vita avesse scoperto quanto belli e complessi fossero i sentimenti, quanta forza ti potesse dare il pensiero di qualcuno che conta su di te.

-Ciao, piccola. Mi sa che i muscoli li studiamo un altro giorno- le sussurrò, mentre Mary faceva esplodere il secondo colpo.

 

 

 

 

 

John sentì lo sparo e chiuse gli occhi.

Aveva capito, tardi ma aveva capito. Aveva colto sprazzi dei dialoghi, sentito la voce di Mary e quella di Sherlock.

Poi lo sparo.

Sapeva che stava morendo, aveva cominciato a sentirsi male quando Sherlock era uscito, ma aveva voluto fare finta di niente. Finché la vista non si era fatta doppia e le gambe l'avevano abbandonato. Si era aggrappato allo schienale di una delle poltrone, era scivolato lentamente a terra e aveva chiuso gli occhi, per trattenere le lacrime. Quando li aveva riaperti, il mondo non c'era più.

Sentiva il marmo freddo sotto di lui, il legno della gamba della poltrona che proprio non voleva lasciare andare... c'era il crepitare del fuoco, una pendola che contava la sua fine... ma non vedeva nulla. La bocca era impastata, l'anima gli faceva male.

Voleva andare, correre, gridare, salvare Lena e Sherlock, dirgli che era stato un cretino e che lo amava. Che lo aveva sempre fatto e che si era sbagliato su Mary.

Ma stava morendo e...

Non sarebbe venuto nessuno.

Con ironia, pensò che quello era il giorno che Harry e Clara finalmente sarebbero tornate a casa. Sua sorella gli aveva scritto tante di quelle lettere entusiaste sui luoghi che aveva visto... chissà cos'avrebbero trovato. Dei cadaveri e una scia di sangue da seguire per ritrovarsi pazzi.

Si raggomitolò su se stesso quando giunse il secondo sparo.

Era finita, nemmeno Sherlock poteva sopravvivere con due pallottole in corpo.

E allora pensò al fatto che l'ultima cosa che avevano fatto era stato discutere... non gli aveva detto che lo amava, l'aveva lasciato andare via... e invece aveva avuto ragione, Sherlock aveva sempre avuto ragione.

Sperò almeno che fosse riuscito a dire addio a Lena...

Ricordava la prima volta che l'aveva vista, un cosino tutto pugni e che urlava al mondo, rossa di pianto. Poi lui l'aveva preso in braccio e, come d'incanto, lei aveva smesso. L'aveva guardato con i suoi grandi occhi grigi e poi aveva ridacchiato. Lo sapeva, i neonati non lo facevano, eppure Lena sì. Poi gli aveva stretto il mignolo con tutta la sua manina. Era una promessa, quella, lo sapeva. Si erano promessi di esserci per i pianti l'uno dell'altra.

Ma ora...

Ora non riusciva nemmeno ad alzarsi, figuriamoci proteggerla, asciugare le sua lacrime. Pregò che almeno fosse incosciente, che non avesse visto Sherlock morire.

Sherlock morto.

No, non di nuovo... no...

Sapeva che non gli rimaneva molto, ma ogni secondo era un'agonia. Aveva già vissuto in un mondo dove Sherlock non c'era e, anche se erano stati pochi minuti, sapeva che non andava bene per lui. No... che senso aveva John Watson senza Sherlock Holmes?

Chiuse gli occhi ancora e li strinse, sperando di non riaprirli mai più.

Ma un rumore lo distrasse.

Una porta che si apriva, quella della sala.

Qualcosa che strisciava all'interno, un corpo che rantolava...

No...

No...

-Sherlock...?- tentò.

Non poteva essere Mary venuta a finire l'opera. Oh, ti prego! pregò, non lei... non lei! Un miracolo... un ultimo miracolo... non farmi morire solo...

-John...-

Fu un soffio, ma a lui bastò. Una mano artigliò la sua e, anche se non ci vedeva, John sapeva che era affusolata a pallida. Sapeva che era la mano che lo aveva fatto ballare, che aveva baciato e che lo aveva amato... c'era qualcosa di vischioso sopra, probabilmente sangue. Sherlock era evidentemente sdraiato sul pavimento accanto a lui, proteso verso di lui, mentre le forze lo abbandonavano.

-John... John... come mi descriveresti?-

Per un attimo quasi scoppiò a ridere, stringendo sempre più forte la mano dell'altro. Sherlock fece lo stesso, portandosela al volto.

-In ritardo- rispose. -Ma sempre nel giusto... avevi ragione tu- disse, sentendosi finalmente leggero. -E ti amo, ti amo, ti amo... devi saperlo, ti amo.-

-Ti amo anche io- sussurrò Sherlock.

Nell'universo di John c'era solo questo ora: il mormorio rantolato che era la voce di Sherlock e la sua mano, arpionata, stretta. Gliel'avrebbero dovuta tagliare, per fargli smettere di stringerla.

-Lena...?-

-Non lo so... quando ho ripreso conoscenza... non c'era. Non c'era più... Mary è sua madre...-

-Povera bambina.-

Sherlock ridacchiò sputando sangue

-L'avresti mai detto?- chiese John, facendosi più vicino e sfiorando il viso dell'altro. Voleva riscoprirlo tutto, centimetro per centimetro, solo con le dita. Voleva che fosse l'ultima cosa che i suoi polpastrelli toccassero. -Quando ci siamo conosciuti... l'avresti mai detto?-

-Che ti a... avrei amato per... per sempre?-

-Che la nostra favola non aveva un lieto fine.-

-Lo ha avuto. Solo... so... solo più breve di altri. Ma io amo, amo Lena e... e... e...-

-SHERLOCK!- gridò John, sentendo la presa del compagno allentarsi.

-Sono qui... non vado da nessuna p... parte...- lo rassicurò l'altro. -Fa... facev... o... solo una pausa- soffiò Sherlock. -Comunque sono felice. Se devo morire, voglio... voglio che sia con te... Sarei perso... perso senza il mio dottore... il mio John...-

John gli strinse forte la mano e se la portò alla bocca baciandola piano. Cominciava a non sentire più nulla, solo un gran freddo... ma si convinse che fosse perché era sdraiato sul marmo.

-Non è che... che la tua amica fata... ci possa aiutare, vero?- tentò.

-Temo di no...-

-Oh... peccato.-

 

 

-John...-

-Uhm?-

-Ho... freddo...-

-Anche io, Sherlock... anche io...-

 

 

-Sherlock...-

-Sì?-

-Ti amo.-

-Anche io.-

-No, dillo per intero... dillo...-

-Ti amo...-

 

 

-John...-

-Eh?-

-Avrei davvero... davvero passato il resto della vita con te.-

-Sarebbe stato... un privilegio...-

 

 

-Sherlock...-

-Uh?-

-Non mi lasciare, non... non andartene prima di me...-

-No. Sono... sono qui...-

 

 

-John...-















 

 

 

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Capitolo 28
*** We'll be a proper family ***


We'll be a proper family







Quando arrivò al villaggio era ormai notte fonda. Lena era ancora profondamente addormentata e la prese in braccio una volta smontata da cavallo. Lo legò fuori da casa ed entrò, silenziosa.

Si era convinta di non provare nulla per quello che aveva fatto e doveva andare avanti. Era una delle prime cose che Jim le aveva insegnato: “sii una macchina, fredda e calcolatrice”. Lo ricordava ancora...

Sapeva che il suo padrino non era l'uomo migliore del mondo, lo sapeva. Ma era potente, la gente lo rispettava e... e le voleva bene. Soprattutto, le voleva bene. L'aveva amata come una figlia, aveva sempre voluto il meglio per lei...

Entrò silenziosa. Sebastian l'avrebbe dovuta aspettare sveglio, ma la bottiglia sul tavolo e una figura accasciata su una sedia la convinsero del contrario.

Fece sdraiare Lena sulla brandina che avevano nell'ingresso e si tolse il mantello.

Aveva raggiunto il suo scopo, aveva ottenuto tutto. Eppure...

Eppure c'era qualcosa che la lasciava con l'amaro in bocca. Forse era perché non aveva mai ucciso nessuno, soprattutto mai a sangue freddo, o perché aveva capito che John e Sherlock sarebbero stati davvero degli ottimi genitori per sua figlia... Ma Jim doveva essere vendicato, loro due erano dovuti morire per quello. Non avevano sofferto quello che aveva sofferto lei, non avevano vissuto quello che aveva vissuto lei...

Svegliò Sebastian con mala grazia e gli fece cenno di non alzare la voce.

-Chi è quella?- borbottò lui, riprendendosi un attimo.

-Mia figlia, idiota.-

-Tua... no... non può essere- mormorò, alzandosi dalla sedia dov'era crollato e avvicinandosi alla bambina.

-L'hanno chiamata Lena. Anzi, l'avevano sarebbe più corretto. È un bel nome.-

-Non mi avevi detto di averla persa, di aver avuto un aborto?- si girò di scatto Sebastian.

Era invecchiato, quei dodici anni non erano stati clementi con lui, convenne Mary. Quando era una ragazza, lui era stato un giovane uomo atletico e prestante, dai penetranti occhi azzurri e i capelli scuri. Sempre curato fino quasi all'essere maniacali, ma c'era stato qualcosa in lui che l'aveva attratta irrimediabilmente.

Ora... ora era il fantasma dell'uomo che era stato. Il viso devastato dai segni del tempo e dell'incuria, i capelli lasciati crescere erano per lo più grigi. Solo gli occhi erano rimasti gli stessi, ma avevano perso da tempo la forza che l'aveva fatta innamorare di lui. Mary lo aveva amato tanto, da lontano, come solo una giovane può fare con il primo amore. E si era vista respinta più e più volte, perché per Sebastian esisteva solo una persona al mondo. E non era Mary.

-Ho mentito. Ti ho anche detto che sarei andata al castello solo per uccidere John e Sherlock... e invece ti ho portato anche un regalino- gli rispose, accavallando le gambe e versandosi da bere quel poco che lui già non si era scolato.

Era un uomo distrutto, lo era da anni. Lo aveva capito quando lo aveva visto cercare di rimettere insieme il cranio di Jim, dopo che lui si era lanciato di sotto dalla terrazza del castello. E ne aveva avuto la conferma quell'unica notte che l'aveva accolta nel suo letto, quando aveva invocato il nome dell'altro, al culmine del piacere.

Quando aveva capito di essere incinta, Mary aveva saputo di non potergli dire niente. Non c'era nulla che nessuno dei due poteva offrire a quel piccolo essere che aveva avuto la malaugurata voglia di vivere. E così gli aveva detto di aver abortito, aveva affidato la bambina all'orfanotrofio ed era partita, lasciandolo solo con l'alcol e le sue passeggiate rituali alla tomba di Jim.

Erano stati gli anni in America e in giro per l'Europa che l'avevano fatta maturare, che le avevano fatto capire una cosa: la sua vita non poteva essere completa, sapendo che Sherlock Holmes era vivo, quando così tante vite erano andate distrutte. Quella di Jim, quella di Sebastian, la sua... persino quella della bambina che non aveva mai voluto vedere. Perché forse, in un'altra vita, o John o Sebastian sarebbero stati dei padri felici e lei una donna amata, anziché una costretta a fuggire, alla ricerca di una nuova identità ogni volta.

Così aveva elaborato la sua vendetta, il suo piano, e aveva capito di avere la fortuna dalla sua quando aveva saputo che John e Sherlock avevano adottato proprio sua figlia. Ma aveva bisogno di un complice, di qualcuno che le fornisse una casa e un rifugio quando la vendetta sarebbe stata attuata. E così era tornata da Moran, sapeva perfettamente dove l'avrebbe trovato. Alla tomba di Jim.

E così tutto era cominciato...

Tornò al presente e sbadigliò. Era stata una lunga notte e doveva riposarsi almeno qualche ora, prima di riprendere la fuga. Avrebbe lasciato il paese la mattina seguente e doveva essere in grado di governare un cavallo.

Alzò lo sguardo su Sebastian, che ancora osservava Lena dormire.

-Ti sei incantato?-

-E' vero quello che hai detto? È davvero... nostra?- domandò, la voce che gli tremava.

-Ciao, papà- lo prese in giro sarcasticamente lei. -Io vado a stendermi un po' di là. Non ti azzardare a venire, puzzi- gli intimò, sparendo nella camera da letto.

 

 

 

 

Avrebbe voluto bere almeno un goccio, ma lei si era finita la bottiglia. Non che fosse rimasto granché, ma... ma non si diventava padri tutti i giorni, soprattutto di una bambina di dieci anni.

Ricordava quella notte, quell'errore che ora dormiva sulla sua brandina, ignara forse di tutto quello che era successo attorno a lei. Perché Mary l'aveva fatto?

Quando Jim era morto, dodici anni prima, una parte di lui era morta a sua volta. Non gli aveva mai detto che l'amava, ma forse lo aveva capito benissimo. Jim era bravo a capire la gente... Ma Jim era morto. E lui aveva sognato per così tanto tempo la vendetta e come si sarebbe sentito dopo... che ora sapeva che non era così che sarebbe dovuto stare.

Si inginocchiò accanto alla piccola e le scostò i capelli del volto.

Chissà cos'avrebbe ricordato di tutto quello. Fino a quella mattina aveva avuto chi l'amava, una casa, una quotidianità... nessuno pensava mai a quello, a quello che accadeva dopo la tragedia. Sebastian se l'era chiesto a lungo: lui, cosa voleva? Aveva voluto la vendetta, sì... ma non dovevano andarci di mezzo degli innocenti. Non era una faida, quella che voleva... anzi, ora che ci pensava, la sua vita era poi cambiata così tanto? Jim sarebbe tornato, ora che Sherlock e John erano morti?

No.

Ma Lena, la bambina che neanche sapeva di avere, l'avrebbe sempre odiato per questo. E avrebbe avuto ragione...

Quasi chiamata dal suo pensare, Lena aprì piano gli occhi, stropicciandoseli. Lo guardò per un attimo, poi diede un'occhiata intorno. Non riconosceva quel luogo, la baracca dove Sebastian si era ridotto a vivere... perché avrebbe dovuto?

-Dove sono i miei papà?- chiese, tirandosi piano a sedere, e Sebastian chiuse gli occhi, sentendosi più in colpa che mai. Un'unica lacrima cadde nella barba sfatta. -Dove sono?- insistette Lena, il tono incrinato.

-Lena, senti...- tentò Sebastian, passandosi una mano sul volto e scacciando le lacrime. Era colpa sua, quel casino era colpa sua. Certo, era stata Mary a fare qualunque cosa avesse fatto, ma se lui non l'avesse appoggiata, se magari avesse provato a dissuaderla... -I tuoi papà non sono qui. Io mi chiamo Sebastian Moran e Mary è di là, invece. Ricordi Mary, vero?-

-La mia governante, sì- annuì Lena, scrutando Sebastian con uno sguardo troppo simile al suo. -Ma cosa vuol dire che i miei... è successo qualcosa, vero? Perché mi ricordo che dovevo uscire a cavallo con Mary e poi...-

-Lena... tu lo sapevi, vero, che né Sherlock né John era il tuo vero padre, no?- chiese, prendendola alla lontana. Voleva essere lui a spiegarle quello che era successo. -E ti sei mai chiesta chi...?-

-Tu conosci i miei veri genitori? È per quello che sono qui, allora?-

-Io... sì. Io sono tuo padre, Lena. E devo dire che hai un bellissimo nome- si commosse, carezzandole una guancia. -E Mary è tua madre- continuò tutto d'un fiato. Sapeva che era solo una bambina, ma sapeva anche doveva dirle tutto e subito, altrimenti non avrebbe mai più trovato il coraggio. -Posso raccontarti una storia? Prometto che sarà breve...-

-Poi tornano i miei... Sherlock e John?- domandò. Se avesse evitato la parola “papà” per quello che Sebastian le aveva appena detto, lui non lo sapeva. Ma la vide poi annuire solennemente e così si sentì autorizzato a parlare. Ma come spiegare quell'orribile storia di vendetta e sangue?

Però parlò, lasciò libera la mente e aprì, per la prima volta dopo dodici anni, il proprio cuore. Le disse tutto, di come avesse amato Jim e di come Mary fosse, invece, ossessionata da lui. Le raccontò di quella notte in cui aveva perso il suo mondo intero e di come ancora andasse tutti i giorni alla sua tomba e gli parlasse, perché non poteva pensare che se ne fosse davvero andato. E parlò della notte con Mary, di quanto entrambi volessero cose troppo diverse. Le svelò della vendetta che la donna aveva messo in piedi, di come volesse, inizialmente, allontanare John da Sherlock, farlo soffrire e piangere come loro si erano disperati dopo la morte di Jim.

-Ma le cose le devono essere sfuggite di mano...- disse, arrivando quasi alla fine, mentre Lena gli passava un fazzoletto, incantata dalle sue parole. Non l'aveva mai interrotto, lo scrutava con quegli occhi troppo grandi e sembrava leggergli l'anima. -Lena, mi dispiace così tanto... Mary li ha uccisi entrambi. Io li ho uccisi... ho ucciso la tua famiglia e... e giuro che se potessi tornare indietro, se solo... sarei la mia vita affinché tu potessi riavere la tua. Mi è sfuggita di mano, non doveva andare così... mi dispiace...- crollò alla fine, la testa nascosta tra le gambe e il corpo scosso da singhiozzi.

-Morti?-

La voce di Lena lo riscosse piano.

-Loro sono... morti?-

Lo diceva come se tutto quello non avesse avuto il minimo senso e Sebastian sapeva che aveva ragione. Non c'era un senso, non c'era mai stato. Si sarebbe dovuto uccidere uno di quei giorni in cui le sue pistole erano sempre cariche e lucide, nei primi giorni dopo la scomparsa di Jim. Ma si era detto che doveva andare avanti, almeno per Mary, che era stata così giovane...

-Lena, io davvero non so...-

-Non è colpa tua- disse lei e Sebastian alzò lo sguardo, vide che piangeva ma che aveva anche le braccia tese verso di lui. La strinse a sé senza nemmeno pensarci. Era sua figlia, dopo tutto, anche se non meritava il suo affetto e la sua pietà.

-Tu non capisci...-

-Non sei stato tu. Tu... sì, hai le tue colpe, ma non li hai uccisi tu-.

-È come se l'avessi fatto. Avrei potuto parlare, chiederle... e invece no...-

-Riportami là, riportami a casa, ti prego. Io non voglio stare qui, non voglio stare con lei...- piagnucolò Lena, aggrappandosi al collo di Sebastian. Lui la strinse forte. Avrebbe dovuto odiarlo per quello che aveva fatto, e invece no. Odiava Mary, voleva andarsene da lì... ma non lo odiava. - Voglio solo andare...-

-Ma che quadretto commuovente.-

La voce di Mary lo trafisse come una lama tra le costole. Senza lasciar andare la bambina, si girò verso di lei.

-È stata una follia e lo sai. Domani mattina riporteremo Lena al castello e dopo ci consegneremo alle autorità. Lo sai, è l'unica cosa da fare- le disse, cercando di essere ragionevole.

-Io non mi sono fatta strada tra i cadaveri per finire in prigione- ribatté lei, dura. Alla parola cadaveri, Lena cominciò a piangere più forte sulla camicia di Sebastian. -Lena è...-

-Anche mia figlia- la interruppe lui. -E tu chiaramente non te ne puoi occupare.-

-Perché, tu sì? Non eri pronto dieci anni fa e non sei pronto nemmeno ora.-

-Avresti potuto dirmelo, avresti potuto parlarmene. Io non posso amare te, ma posso amare lei, perché è forte l'unica parte di me e te che si salva. L'unica parte non corrotta...-

-Sebastian, ho già ucciso due padri questa notte, non credere che mi metterei scrupoli a uccidere il terzo, se si mettesse tra me e il successo. Lascia andare Lena e nessuno si farà male- lo minacciò, rompendo la bottiglia e brandendo i cocci come se fossero un'arma.

-Io... io non ti capisco, davvero- mormorò lui, alzandosi piano in piedi, con Lena sempre aggrappata a lui. -Avremmo potuto avere tutto. Forse non saremmo stati la coppia dell'anno, ma ci volevamo bene...-

-Tu ami un fantasma- lo derise Mary.

-E tu no? Guardaci... fermi a dodici anni fa. Non è tempo di andare avanti?-

-Io non mi costituirò, io non ti lascerò Lena. Noi due ce ne andremo questa notte, così com'era stato pianificato.-

-Non porterai mia figlia fuori dal paese!-

-Guarda chi si scopre con l'istinto paterno... da quant'è che sei padre? Tre ore? Tre ore e mezza?-

-Lo sono da dieci anni, ma non è colpa mia se non ci sono potuto essere per lei. Mi hai detto di averla persa, sei scappata... che avrei dovuto fare?-

-Avresti dovuto amarmi!- gridò Mary, lanciandosi in avanti. Sebastian scartò di lato all'ultimo, tenendo stretta Lena, che piangeva disperata. Riuscì a fare lo sgambetto alla donna, che rovinò per terra, complici anche le lunghe gonne che le impacciavano i movimenti.

-Lena, ascoltami bene ora, va bene? C'è un cavallo qua fuori. Voglio che lo prendi e galoppi il più velocemente che puoi. Vattene, torna al castello... ma non entrare, non farlo. Aspettami, ok? Io arriverò...- le disse in fretta, depositandola per terra, e dandole un leggero bacio sulla fronte. Mary stava cominciando a rialzarsi e non era del tutto certo di poterla battere, ma Lena non poteva essere condannata a un'esistenza con la donna che aveva ucciso tutti coloro che amava.

-No...- piagnucolò lei, aggrappandosi a Sebastian. -Ti prego... vieni con me...-

-Arrivo subito. Chiarisco due cose con tu... con lei- si corresse in extremis, prima di dire “madre”, -e arrivo.-

-E' una promessa?- chiese Lena, asciugandosi le lacrime.

-Promessa solenne. Ma ora va, più veloce che puoi.-

Lena annuì solennemente e si alzò sulle punte dei piedi, dandogli un leggero bacio sulla guancia.

-Quando tutto questo sarà finito- le sussurrò all'orecchio, -saremo una vera famiglia.-






















Inathia's nook:

Ed eccomi con il nuovo capitolo :) l'ultimo.... la settimana prossima avremo l'epilogo... solo a pensarci mi squaglio, giuro.
Sul capitolo non ho molto da dire, a essere onesti, se non che Moran è un Tato con la T maiuscola, che lui è sempre stato innamorato solo di Jim, era Mary che era "fissata" con lui. E quella notte insieme... era per dimenticare. Quelle cose stupide che si fanno senza pensare alle conseguenze. Lui sarebbe stato davvero un bravo padre per Lena, dico davvero. E forse, se Mary non fosse scappata, sarebbero stati anche una bella famiglia. Seb è affezionato a Mary, le vuole bene come se ne può volere a una sorellina/migliore amica per la quale si sarebbe anche potuto provare qualcosa di più se non fosse stata così la vita... 
Non vi anticipo nulla sul finale, sulla sorte di Mary e Moran, né su quella di Sherlock e John... che tutti dicono morti, ma potrebbero essere successe mille cose, no? Non stavano tornando anche Clara ed Harry? E Lena, riuscirà ad arrivare al castello?
Ovviamente, saprete tutto. Vi avevo promesso che avreste scoperto il padre di Lena, ed eccolo qua. Pensate che vi lascerei senza queste risposte?
Vi aspetto tutti la settimana prossima per il gran finale :)

I.L.

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Capitolo 29
*** epilogue - Ten years later... ***


dieci anni dopo...

 

 

 

 

Aspettai tutta la notte, finché non venne il giorno, ma Sebastian Moran, l'uomo che era stato mio padre solo per quattro ore, non venne mai. Seppi in seguito che

si era sacrificato per me, che aveva combattuto con Mary, e che era rimasto ucciso.

Guardando indietro, ancora non riesco a pensare a quante vite siano state spezzate quella notte. E non parlo solo dei miei genitori, di John e Sherlock, ma anche

degli stessi Sebastian e Mary.

Fu la signora Hudson a trovarmi addormentata sui gradini del castello, era arrivata insieme alla zia Harry e alla zia Clara.

Nessuno di loro aveva idea di cosa fosse successo e toccò a me provare a spiegare... anche se le tracce di sangue e il mio stato di shock furono più che eloquenti.

Trovarono i miei padri nel salone dove io ricordavo di averli visti l'ultima volta. Ho impresso nella memoria quel giorno, il loro solito battibeccare che diceva più

di mille gesti affettuosi... erano sul pavimento, si tenevano per mano, aggrappati, l'ancora l'uno dell'altro per un'ultima volta. Sherlock aveva una ferita sulla

schiena e una ventre, era morto per le ferite e per il dissanguamento. John, invece, era stato avvelenato e tracce della sostanza vennero trovate nel tè che aveva

bevuto a colazione.

Furono le zie a occuparsi di me, mentre Greg, Mycroft e la signor Hudson cercavano di capire il da farsi, insieme a Molly.

Aspettai fino a sera, poi capii che Sebastian non sarebbe più tornato. Li guidai alla casetta dove mi avevano portato e fu lì che li trovammo. Mary era

probabilmente stata strangolata, mentre lui aveva dei pezzi di vetro in pancia. Si erano uccisi a vicenda ma, ora che guardo indietro, mi rendo conto che in

realtà non erano mai stati vivi.

Chiesi che Sebastian fosse seppellito accanto a James Moriarty. Sapevo che aveva fatto del male, che era colpa di quell'uomo se tutte quelle vite erano state

spezzate, ma Sebastian era stato buono con me, si era pentito di ciò che aveva fatto... sarebbe stato un buon padre, se solo ne avesse avuto l'opportunità. E così

ho voluto che fosse felice almeno in morte.

Della sorte di Mary non mi sono importata. Lei non l'ho potuta perdonare, né mai credo che lo farò. Avrebbe potuto avere tutto, sarebbe potuta rimanere al

castello con noi oppure rivelarmi la verità e vedere cosa sarebbe successo... invece no. Ha lasciato che fosse la vendetta a guidarla e io, per quanto voglia essere

superiore a tutto questo, non ce la faccio. Non riesco a pensare a “cosa sarebbe successo se...”. Anche se fa male, molto male.

I miei genitori riposano nel giardino del castello, all'ombra della quercia che dà sul laghetto, quello che si ghiaccia in inverno. Papà John amava raccontarmi di

quando, da ragazzi, lui e Sherlock avevano pattinato insieme... e ho pensato che fosse il posto giusto per loro.

Mi mancano sempre, mi mancheranno sempre, ma sono riuscita ad andare avanti. Loro sono morti per me, lo hanno fatto per proteggermi -tutti, anche

Sebastian- e io non posso permettermi di infangare la loro memoria. Ma è stata dura, non lo nego.

Zia Harry e zia Clara sono rimaste per qualche anno, poi hanno ripreso a viaggiare. Forse perché il mondo è grande, oppure perché il castello è troppo piccolo e

da ogni finestra si vedono quelle due lapidi...

Con me sono rimaste la signora Hudson, che di fatto è stata la nonna che non ho mai avuto e Molly, la sorella maggiore. Non ho bisogno di una madre. Mary lo è

stata per poco tempo e ha fatto abbastanza danni...

Mycroft e Greg stanno ancora insieme, anche se lo negherebbero con chiunque. La signora Hudson li guarda e sospira, dicendo che gli ricordano troppo i miei

genitori quando avevano la mia età...

Io non so ancora cosa fare della mia vita. Tutto e niente sarebbe la definizione corretta, ma ho appena vent'anni e, spero, la mia vita sarà ancora lunga. Per

adesso studio, cosa piuttosto anomala per una ragazza, ma la mia famiglia non è mai stata normale, perché dovrei esserlo io? Non penso ancora all'amore,

anche se c'è un ragazzo carino al villaggio che...

Nel frattempo, ho deciso di scrivere questa storia. Perché certe cose non vanno dimenticate, quindi non fatelo neanche voi che state leggendo.

Ricordatevi di mio padre John, che sacrificò se stesso per salvare sua sorella e finì per trovare l'amore.

Ricordate di mio padre Sherlock, principe senza cuore che imparò ad amare e dall'amore venne salvato.

Ricordate della vendetta di Mary Morstan, che non portò a nulla, solo alla fine di troppi.

E ricordate di Sebastian Moran, perché l'amore è davvero la magia più grande di tutte.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Inathia's nook:

 

E così siamo anche arrivati alla fine. Lo so che Koa_ ne sarà delusa (e forse anche altre di voi), ma Sherlock e John sono morti. Anzi, a essere onesti, non pensavo di

aver scritto un finale di capitolo così "aperto", pensavo si fosse capito dall'inizio... Ma è andata così. Quindi spero che il colpo al cuore non sia stato troppo ;)

Sinceramente mi fa uno strano effetto pensare che questa storia sia finita, spuntare la casella del "completa" è sempre un'emozione, ma questa volta lo sarà ancora di

più. Ormai lo sapete bene, ve l'ho detto in tutte le salse: questa è una storia nata per caso... e solo grazie a voi ha avuto una vita così lunga (raggiungendo quasi i 30

capitoli e così tante recensioni...). Mi avete sempre spronata ad andare avanti e... sarò onesta, a un certo punto ho davvero pensato di mollare, a pochissimo dalla

fine. L'università mi stava sommergendo, mille idee per mille altre fic e nessuna per questa... ma poi ho pensato a quante di voi seguissero e la storia, a quante di voi

(spero) attendevano gli aggiornamenti... e mi sono detta che sarei stata una carogna ad abbandonarvi. E così ho stretto i denti e sono andata avanti. Ma non sarei

nessuno senza la mia beta, Just Izzy. E' lei che, prima di tutti, mi ha sempre sostenuta e convinta che non potevo mollarvi a metà strada. Non dopo aver rotto per

settimane con il "sequel sì/sequel no". L'avevo voluto e dovevo continuare. Gli impegni presi si portano a termine, sempre.

Ma non c'è solo Just Izzy, nella mia lunghissima lista dei ringraziamenti. Un bacio specialissimo va a tutti voi che vi siete letti tutti la storia senza fiatare, solo

facendo crescere il numero delle visualizzazioni e aggiungendo questa pazzia ai preferiti o ai seguiti. Fatevi un bell'applauso...

E ora ci sono un paio di belle donne che meritano la sezione speciale:

Koa_, che sarà scontentissima di questo finale (e non perché odi, l'angst, ha tenuto a specificare), ma perché, per una volta, voleva il lieto fine... #sorrynotsorry

dovevano morire. tutti. muhahahahah *vola via ammantata da una nuvola nera* No, dico davvero. Avevo in mente un altro finale in cui sopravvivevano, ma...

questo mi è sembrato meglio.

Smaugslayer, che si meriterebbe una bianca laccata d'oro (o nera, laccata di blu? Di che colore è la statua... lasciamo perdere...). Perchè è una persona

specialissima, le sue storie sono BELISSIME e, da gran donna che è, segue e recensisce praticamente tutte le mie. Ogni volta è sempre disponibile per parlare e

chiacchierare, per discutere trame e fil mentali... Grazie. Se non ci fossi, ti dovrei inventare (anzi, non è che sei immagianaria? perchè sei troppo perfetta...)

Monkey_D_Alyce, perchè mi mancheranno i suoi "strasuperbacioni" che ti mettevano il sorriso e le sue recensioni piene di entusiasmo... spero di rincontrarti

ancora, perché davvero era una gioia leggerti. 

Just_Izzy... lo dico di nuovo. Grazie. Un inchino lungo sempre non basterebbe.

E... 

E ora è davvero tempo di andare. Perchè se no attacco con stronzate come "grazie alle mie gambe per avermi sempre sostenuto" o "grazie al mio pesce rosso (che

non ho) per avermi sopportato".

No. Grazie a voi. 

Grazie a te, a ogni singolo te che è arrivato a leggersi questa storia tutta d'un fiato... Grazie di esserci.

Un bacio,

I.L: 

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