A volte capita

di oggisonoio
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Quella maledetta, dolcissima pioggia. ***
Capitolo 2: *** Finalmente arriva il sole ***
Capitolo 3: *** Una lunghissima notte. ***
Capitolo 4: *** Il buongiorno si vede dal mattino! ***
Capitolo 5: *** Una giornata speciale. ***
Capitolo 6: *** Vodka e divertimento! ***
Capitolo 7: *** ''Ti amo, Deborah.'' ***
Capitolo 8: *** Cambiamenti. ***
Capitolo 9: *** Cos'è un bacio? ***
Capitolo 10: *** Insieme. ***
Capitolo 11: *** ''Ti prego, resta.''sussurra, come per non farsi sentire. ***
Capitolo 12: *** La felicità. ***
Capitolo 13: *** ''Sta volta, per sempre.'' ***
Capitolo 14: *** Buongiorno, amore! ***



Capitolo 1
*** Quella maledetta, dolcissima pioggia. ***


POV DEBORAH
 
 
Sono le due e mezzo del pomeriggio. Però. Anche qui a Roma il clima è proprio strano: è Agosto eppure fuori sembra autunno. Piove e fa freddo.
Devo ammettere che mi manca la Sicilia: da quando ho vinto ''Amici'' sono tornata solo per un paio di settimane a casa, e poi son dovuta ripartire immediatamente. Prima
Tutti gli incontri con i fan, poi i concerti, e adesso sto lavorando al nuovo disco.
Sono seduta sul letto della mia camera d'albergo: la poca luce che entra dalla finestra è sufficiente. E' piccola ma comoda come stanza: è comunque una delle suite migliori dell'albergo. - Meglio che comincio a prepararmi. - dico tra me e me. Alle quattro devo stare all'aeroporto, e verso le 8 di stasera riuscirò ad arrivare a Milano, se tutto va bene. La mia etichetta discografica deve avere le ultime conferme per il nuovo disco: e di certo non posso risolvere tutto con una semplice e-mail. Sento dei forti rumori provenire dalla finestra. Mi alzo, mi avvicino, tiro la tenda, e vedo che sta grandinando: diamine non ci voleva!
Speriamo che smetta, non voglio avere problemi con il mio volo!
Vado in bagno, per farmi una doccia calda: che strano, ad Agosto una doccia calda. Mi tolgo i vestiti, ed entro in doccia. Apro l'acqua: sento che lentamente scivola sulla mia schiena, e mi lascia un brivido. Il profumo del bagnoschiuma, e l'atmosfera mi rilassano.
Dopo il concerto di ieri sera trovare un momento di tranquillità è molto utile. Chiudo gli occhi e lascio andare i pensieri: come sono cresciuta in questi pochi mesi.
Da quando Amici è finito, la mia vita è cambiata: non solo dal punto di vista economico, ma anche in generale.
I miei genitori non hanno più problemi, mia sorella lavora tranquillamente in Germania, io ho una vita felice. Anche se ho tanti impegni, sono contenta: finalmente ho realizzato il mio sogno. A volte ripenso a qualche mese fa: a quanto quello studio mi sembrava grande, a quanto io ero piccola in confronto ai problemi, le persone.
Non ringrazierò mai abbastanza i miei professori, perché senza di loro adesso non sarei qui. I miei compagni, vivere nella stessa casa condividere le stesse cose. Ammetto che quell'ambiente un po' mi manca.
Da quando ho messo piedi di fuori la scuola, anche la gente ha cambiato idea nei miei confronti: prima ero solo una ragazza che lavorava, adesso sono Deborah, quella che ha vinto Amici. C'è gente che prima mi odiava, e adesso mi ama alla follia. Persone che mi ignoravano, che ora mi cercano disperatamente.
Anche il mio rapporto con Danilo è cambiato: dopo il programma lui è diventato un altro. Letteralmente.
Non mi vedeva più come Deborah. Per lui ero diventata solo un attrezzo: mi usava solo per la mia fama. Mi portava alle feste solo per dare visibilità a se stesso, mi chiamava unicamente per farmi incontrare qualche suo ‘’amico’’ che ha sempre seguito amici, e cose simili. Si vantava di quanto il nostro amore fosse forte, quando invece sapevamo benissimo che il nostro rapporto era finito già da un pezzo. Così una mattina ho deciso di lasciarlo: si è disperato per i primi due, tre minuti.
Poi è tornato alla sua vita di sempre. Non gli importava di me, ma del mio successo. Avrei dovuto immaginarlo che sarebbe diventato così: infondo non è mai stato realmente innamorato. Lo posso capire, quando ci siamo fidanzati, avevamo dodici anni io e quattordici lui: eravamo ancora ingenui, non sapevamo cos'era l'amore.
Ora che ne ho ventitré le cose sono cambiate. Io sono cambiata. E non potevo perder tempo con lui.
Mi è dispiaciuto: lui è stato il mio primo amore, con lui c'è stato il primo bacio, la prima volta, le prime vacanze insieme da ''grandi''.
Ripensandoci avrei dovuto lasciarlo anni fa: non siamo mai stati realmente innamorati l'uno dell'altra. Forse solo ora mi rendo conto di quanto tempo ho sprecato.
Chiudo l'acqua, e chiudo anche i miei pensieri. Devo solo concentrarmi a firmare quest'altro contratto con la mia casa discografica: e da domani comincerà una nuova avventura.
Apro la porticina della doccia, prendo l'asciugamano, ne scelgo uno più piccolino da mettere attorno ai capelli.
Velocemente mi asciugo: sono molto freddolosa. Mi asciugo anche i capelli, me li piastro frettolosamente.
Sono ancora mezza nuda, quando il mio telefono squilla, lo prendo. ''Lorenzo'', il mio manager.
- Hey Lollo!-
- Ciao Deborah! Come va? Dormito bene? -.
- Si si, perfettamente! -.
- Mi fa piacere. Senti c'è stato un problema: mi sono ricordato ora che devo finire di incontrare un produttore per un disco importante. Non che tu non lo sia, ma posso farlo solo oggi, perché il responsabile domani parte per Londra... è un'occasione importante, e non posso lasciarmela scappare!-.
- Ah... non ti preoccupare! Chiamerò un taxi, e ti aspetterò al check-in... -.
- No Debby, non hai capito: non posso proprio venire con te! Volerai da sola!- dice con aria dispiaciuta.
- ... ah.-
- Mi dispiace! So che ce la farai lo stesso! Appena arrivi a Milano c'è un mio amico che ti aspetta, andrai con lui!-.
- Stai tranquillo Lo, tutto sotto controllo!-
- Grazie mille! Sei fantastica! Baci!- e attacca.
Diamine. Io non so neanche se c'è il fuso orario a Milano! Dover affrontare un viaggio così da sola ... non ci voleva! Mi sdraio sul letto, fissando il soffitto.
Speriamo che vada tutto bene: non voglio creare casini! Sono felice per Lorenzo, ma così, senza nessun avvertimento!
Prendo il telefono, guardo l'ora: le tre e mezzo! Oh cavolo devo sbrigarmi, altrimenti non ci arrivo proprio a Milano! Infilo i jeans chiari, una maglietta a mezze maniche bianca con alcune stampe di fiori.
Chiamo velocemente un taxi, sperando che arrivi in tempo.
Di corsa prendo la mia valigia, già pronta accanto alla porta. Prendo alla rinfusa il telefono, le sigarette e l'accendino dal letto e le metto nella borsa. Prendo gli occhiali da sole, la camicia di jeans, indosso tutto molto velocemente. Prendo la chiave, apro la porta: mi giro un'ultima volta per vedere se non ho lasciato niente. Bene, ho tutto.
Chiudo, sbattendo la porta, e mi precipito in ascensore. Diamine, ma quanto ci mette a fare tre piani? Arrivo, consegno le chiavi alla signora nella hall, le lascio l’assegno dell’affitto della stanza e corro di fuori.
Il diluvio universale: c'è ancora la grandine ed io non ho neanche un ombrello! Ecco cosa mi ero dimenticata in albergo! Ma adesso non ho tempo di risalire! Menomale che il taxi è qui sotto. Faccio una corsa, l'autista scende e mi prende le valigie. Mi fiondo nel taxi: finalmente.
- Buonasera signorina, dove la porto?- dice con dolcezza.
- All'aeroporto di Fiumicino, grazie -.
Fortunatamente il tragitto non è molto lungo: se non ci fosse il problema che a quest'ora c'è sempre troppo traffico!
Prendo uno specchietto che avevo nella borsa: sono proprio uno spettro, non ho neanche un po' di trucco! Tiro fuori dalla borsa una matita per gli occhi mezza spuntata.
Ah, fa niente! Tento di tracciare una linea decente, in un occhio e poi nell'altro. Non è tanto ma sicuramente meglio di prima.
Passo un po' di terra, anche se è inutile. Diamine, i miei capelli sono tornati tutti mossi! Erano così belli piastrati! Speriamo che non incontri nessuno, con quest'aspetto.
- Siamo arrivati! Sono trenta euro!-. la voce dell'autista interrompe i miei pensieri.
Pago, e prende la mia valigia con la borsa. Indosso gli occhiali da sole, almeno mi riconosceranno meno gente.
Devo fare un piccolo pezzo di strada all'aperto per arrivare dentro: e ovviamente mi sono bagnata tutta. - Diamine, tutte oggi!- impreco. Arrivo al check-in e c'è una fila lunghissima.
Il trucco mi è colato tutto: adesso sembro una specie di piccolo panda. Mi metto in fila, sperando di risolvere tutto velocemente. Prendo il telefono, ne approfitto per controllare le ultime mail.
- Din don. I voli in partenza da Roma Fiumicino e diretti a Milano Stazione Centrale, sono annullati per ovvi motivi climatici. Ci scusiamo per la disdetta, e vi preghiamo di dirigervi nella Cassa numero otto per il rimborso del biglietto. Ci scusiamo ancora per il disguido.- la voce dello speaker attira la mia attenzione.
No, non ci posso credere! Ma io ho bisogno di partire adesso! La casa discografica non accetterà una rinuncia: mi aspettano per firmare il contratto!
Non posso proprio: al diavolo la grandine, io alle otto devo stare davanti la porta della casa discografica. Prendo il trolley, la borsa e mi fiondo alla ''Cassa numero otto''.
Ovviamente c'è un gran caos, gente che si dispera, bambini che urlano, ragazzi che corrono di qua e di là. Mi sento così piccola in questo mare di gente. Fortunatamente nessuno mi ha riconosciuta: non che io sia poi così famosa, ma capita che qualche fan ti fermi in un posto così pieno di gente.
- Scusate, fatemi passare, ho bisogno di un'informazione.- tento di farmi spazio tra la folla. Non so come, ma riesco ad arrivare vicino a una cassa: chiederò spiegazioni qui, sperando nel meglio.
- Mi scusi signorina, ma io devo partire assolutamente! Devo firmare un contratto molto importante, non posso disdire!- tento di dire con aria disperata.
- Mi dispiace, ma come vede, sarebbe impossibile viaggiare con questo tempo: ora scusi ma devo servire gli altri -. Dice stizzita.
- Forse non ha capito: non m'interessa della grandine, tra poco più di tre ore devo stare a Milano, e non posso rinunciare per niente al mondo!- urlo disperata.
- Signora la smetta! Se non se ne va le chiamo la sicurezza!- dice arrabbiata: le urla della gente in fila hanno contribuito. Non so chi mi ha spinto indietro, e sono sbucata fuori dalla folla.
Sono nel bel mezzo dell'aeroporto, da sola, cercando disperatamente di arrivare a Milano, con i vestiti ancora bagnati e la rabbia alle stelle.
Devo chiamare Lorenzo, non posso andare proprio da nessuna parte.
Il telefono squilla, e dopo un po' risponde.
- Pronto Deb?-
- Lorenzo, non puoi capire! Non posso partire, hanno bloccato tutti i voli ed io sono qui da sola... - non riesco a finire la frase che Lorenzo dice:
- Deb ti sento malissimo! Sta tranquilla parlerò io con la casa discografica, tu torna in albergo!- riesco a sentire poco di quello che dice, evidentemente è per strada, e il rumore della pioggia sovrasta le sue parole.
- Non ho un albergo prenotato Lore!- tento di urlare, ma non mi sente.
- Ok, ci sentiamo stasera ciao!- e cade la linea.
Arrabbiata butto il telefono nella borsa: dove vado adesso? Sono completamente da sola, ho pochi soldi, che non basterebbero neanche per chiamare un taxi. Devo calmarmi. Ho bisogno di una Marlboro.
Mi dirigo all'area fumatori, ma improvvisamente inciampo su un borsone che non avevo visto. Boom. Crollo a terra, con tutto il bagaglio.
- Ma io dico, non potresti tenerla in mano la borsa?- impreco arrabbiata. Tento di tirarmi su, ma una voce mi blocca.
- Deborah! -
Oh mio Dio. Io la conosco quella voce. La conosco molto bene. Non può essere, mi starò sicuramente confondendo, infondo tante persone hanno lo stesso timbro di voce. Mi giro di scatto.
- ... Carlo! - urlo alzandomi e correndogli addosso.
 
Salve a tutti! Questa è la mia prima fanfiction/storia che (provo) a scrivere! Spero che vi piaccia, e intanto ne approfitto per parlarvene un po':
i personaggi pincipali sono appunto Deborah e Carlo, ormai una coppia molto gettonata nelle fanfiction! 
Ho pensato di creare una storia originale, e spero vivamente che la apprezziate! 
Grazie in anticipo a tutti, e mi scuso se per i primi tempi non sarò esperta nell'utilizzare il sito! :)

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Capitolo 2
*** Finalmente arriva il sole ***


- Deborah! - dice facendomi un sorriso a trentadue denti. - Cavolo, scusami per la borsa: ero distratto un attimo.- dice con la sua voce profonda. 
Carlo mi ha sempre affascinato: non so esattamente il motivo, ma tutto le volte che mi rivolge la parola sento che dentro di me qualchecosa si agita.  
- Tranquillo, non mi sono fatta niente.- oh Dio. Che imbarazzo. 
- Ma che ci fai qua? Lo sai che hanno annullato tutti i voli?- dice prendendomi la borsa che era volata in terra, anche lei. 
- Lo so... - dico sbuffando. - dovevo andare a Milano per firmare il contratto con la casa discografica per il nuovo disco, e invece sono rimasta bloccata. Mi guarda con molta tenerezza. 
- E tu invece? Dove andavi?- lo guardo. Cavolo, il tempo sembra essersi fermato: lui ha ancora il suo solito maglioncino blu, il gel nei capelli e le occhiaie profonde. 
Devo ammettere che l'ho sempre ritenuto un bel ragazzo, e oggi non si è smentito. 
- Io? No no, da nessuna parte: sono venuto a prende mio fratello. Lui è riuscito a prendere il volo precedente.- dice sorridendomi.  
Mi prende uno strano senso di vuoto allo stomaco: che sale e arriva fino alla bocca, dove ho stampato un sorriso da ebete da quando ho sentito la sua voce. Non capisco perchè mi faccia quest'effetto: non lo provavo da tanto. 
Forse prima, essendo impegnata con Danilo, non avevo mai visto Carlo sotto un altro punto di vista. Sembra che il mio stomaco si stia rivoltando, e mi sento... bene? Felice? 
- Ah, beh menomale!- le parole mi escono dalla bocca da sole. Sembra che tutto l'aeroporto si sia fermato, e non sento neanche più il nervoso e la voglia di fumarmi una sigaretta. 
- Sei qui da sola? - dice guardandomi negli occhi profondamente. 
- Eh....già... e non so neanche dove andare!- dico sospirando. Deborah scendi dalle nuvole: Milano? La grandine? La casa discografica? Improvvisamente torno al mondo reale, e tutti i problemi riaffiorano. 
La tristezza torna in me. Abbasso lo sguardo, e incrocio le braccia. 
- Ma ehm, non hai un'amica che può ospitarti?- dice aggrottando le sopracciglia, come se lo stessi prendendo in giro.  
- Qui a Roma non conosco nessuno, il mio manager ha avuto un contrattempo e non può raggiungermi, ho pochissimi soldi con me, non ho nessuna camera d'albergo prenotata, ho i capelli bagnati e ricci e il trucco sbavato che sembro un panda -. dico tutto d'un fiato. Diamine, mi sono accorta di essere stata un po' troppo aperta in questi discorsi. Infondo che c'entra lui? Mi blocco, sento le gote riscaldarsi, e divento rossa come un pomodoro. Lui mi guarda e scoppia a ridere. La sua risata. Da quanto tempo non la sentivo. Ammetto che mi mancava un po'. Ho una strana sensazione: è come se riuscisse con una risata a scaldarmi, ma non il corpo, lui mi riscalda dentro. Rido anche io.  
Poi si avvicina, e con un dito mi strofina accanto ad un occhio per togliermi un po' di trucco colato: - Diciamo che il trucco panda ti dona!- dice sorridendo. 
- Ahahaha! Scemo!- dico allontanandogli il braccio. Le sue mani sempre troppo fredde, sul mio viso bollente. Cavolo, che mi sta succedendo? Perché Carlo mi fa quest'effetto?  
- Carlo io ho finito... hey ma tu sei Deborah! La ragazza che ha vinto Amici! - una voce molto simile a quella di Carlo interrompe quell'attimo. Mi giro. 
- Oh mio Dio! Ma tu sei Carlo!- dico stralunata. Un ragazzo, identico a Carlo mi si presenta davanti: indossa dei jeans strappati e un maglioncino leggerissimo nero. Ha i capelli scompigliati.  
I due scoppiano a ridere, non capisco.  
- Ahaha! Piacere, mi chiamo Matteo, sono il fratello più figo... - dice baciandomi la mano. Ah, ecco. Aspetta, fratello? Quindi sono gemelli? 
- Matteo finiscila! Deborah lui è Matteo, purtroppo, mio fratello gemello -. dice Carlo imbarazzato. Devo ammettere che sembra anche un po' innervosito dal gesto del fratello. E la cosa non mi dispiace per niente. Mi appare un sorriso sul volto. 
- Piacere mio Matteo... sapevo che Carlo avesse un fratello ma non credevo gemello!- dico sorridendogli. Però, anche Matteo è proprio un bel ragazzo. 
- Bene ehm, Matteo prendi la borsa andiamo ... Deborah tu vieni con noi?- mi chiede Carlo con voce molto dolce: sembra quasi intimidito. 
- Oh, no no, non vorrei disturbare! Mi troverò qualcosa, un motel che costi poco, e passo la notte!- dico sorridendo. Carlo che mi invita ad andare con lui? Diamine Deborah accetta! Cosa fai! 
- Cosa? Una bella ragazza come te, in uno squallido motel di notte? Assolutamente no, tu vieni con noi! - dice Matteo prendendomi sotto braccio. 
- Grazie davvero, ma non vorrei disturbare! - tento di dire. Anche se l'unica cosa che vorrei fare è correre e andare insieme a loro.  
- Tu? Disturbare? Ma scherzi? - dice Carlo prendendomi la mano. Le nostre dita si toccano. Mi si blocca il cuore. Mi tremano le gambe...perché mi fa quest'effetto? Ci guardiamo profondamente. Io fisso i suoi occhi color cioccolato.  
- Per caso sei in imbarazzo per Matteo?- mi domanda. 
Rifletto un po' su quella domanda: perché si è soffermato su Matteo? Se davvero fossi in imbarazzo non dovrei esserlo anche con lui? Perché sottolinea unicamente 'Matteo'? 
- Ah cara mia! Fidati: con me non devi assolutamente esserlo!- afferma Matteo sorridendomi. Prende il mio trolley, come se io avessi già accettato. 
- So più cose io di te, di quanto tu le sappia di te stessa! - afferma di nuovo Matteo facendo l'occhiolino. Un momento. Matteo si è messo a cercare una biografia della mia vita o cosa? Alzo un sopracciglio dubbioso. 
- Andiamo? - domanda alzando le sopracciglia.  
Carlo mi guarda, aspettano una mia risposta. 
- E va bene! Ma solo una notte: non voglio disturbare, ne tanto meno scroccare casa vostra! - dico imbarazzata.  
- E andiamo! Venga signorina, le faccio strada!.- Matteo mi prende sotto braccio con una mano, con l'altra porta il mio trolley, e ci incamminiamo. 
- Gentile come sempre Matte!- dice Carlo, rimasto indietro. Prende la borsa di Matteo, e ci raggiunge.  
Usciamo dall'aeroporto: ha smesso di piovere. Adesso il cielo è grigio , ma ha comunque una strana luce. Raggiungiamo una macchina: è una jeep, con un portabagagli molto grande. Matteo si ferma. 
- Questa è la sua carrozza: un po' vecchia ma sempre attuale!- dice sorridendomi. Ricambio. 
Poi prende la mia valigia, la sistema nel portabagagli. Carlo è  accanto a lui, a sistemare la borsa. Li guardo da dietro. Cavolo sono proprio uguali: stesso fisico, stesse movenze. 
Se non fosse che, non so per quale motivo, ma riuscirei benissimo a distinguere Carlo: sarà che avendo passato parecchio tempo insieme mi sembra familiare. Me lo sento un po' ''mio''. 
- Pronti. Vieni Deborah, sali pure.- dice Matteo aprendomi lo sportello. 
- Grazie, ma sei troppo gentile! - dico entrando nell'automobile. Sono nei sedili posteriori, dentro è veramente spaziosa. Mi guardo attorno: vicino al posto di guida ci sono molti dischi perfettamente sistemati: musica brasiliana, cubana, alcuni gruppi rock, Fiorella Mannoia, musica italiana, Mina. C'è veramente l'imbarazzo della scelta!  Sul cruscotto ci sono alcuni fogli sparsi qua e là, carte stropicciate, ma l'automobile è perfettamente pulita.  
- Mi dispiace per te Deborah, ma dovrai stare vicino a mio fratello: non faccio guidare la mia bimba a nessuno!- dice Matteo salendo in macchina e chiudendo lo sportello. Intanto sale anche Carlo. 
- Oh Carlo, ehm ma non devi stare per forza vicino a me! Se vuoi vai davanti: in fondo la macchina è vostra, quindi tua, e io ti sto rubando un posto, ceh non voglio essere scortese e.....- sparo parole a caso. 
L'idea che dovrò stare tutto il tempo del viaggio accanto a Carlo mi agita. Non che io non lo voglia, sia chiaro. E' che mi sento battere il cuore troppo forte quando sono accanto a lui. 
- Guarda che se non mi vuoi basta dirlo eh.- dice Carlo sbattendo lo sportello. Sembra leggermente infastidito dal mio comportamento.  
- Ma no no, certo che ti voglio, anzi.- mi blocco, mi tappo la bocca con le mani. Spalanco gli occhi. Cavolo ma che diamine ho detto? 
- Cioè, non ti voglio in quel senso, ceh ti voglio ma non che ti voglio...- tento di dare spiegazioni, ma il dito di Carlo si appoggia lentamente sulle mie labbra. 
- Shh. Tranquilla.- dice molto dolcemente con la sua voce sensuale. Lo guardo. Le mie labbra scottano, e anche le mie guance. Non so come Carlo riesca a farmi stare in quel modo: quanto sto con gli altri non mi sento così, e non mi ci sono sentita neanche con Danilo. Solo lui riesce a scombussolarmi in quel modo. 
- Posso partire piccioncini?- dice Matteo ridendo. Oh Dio che imbarazzo.  
- Ehm si, parti.- si stacca Carlo velocemente. Che momento. Ma perché non riesco mai a farne una giusta. 
Passa un po' di tempo. Non ho mai spiccicato parola: non ci riuscirei, e poi ho già combinato troppi guai. Carlo ha lo sguardo fisso fuori dal finestrino e ha la testa appoggiata alla mano. 
Il tempo è migliorato: adesso c'è un sole splendente. Per le strade ci sono alcune pozzanghere che si illuminano quando ci sbatte sopra il sole. E' come se il clima lo avesse fatto apposta per me: in fondo se non ci fosse stata la grandine, io sarei partita per Milano, non avrei incontrato Carlo, e adesso non sarei nella sua macchina insieme al fratello gemello. 
- Che ne dite se mettiamo un po' di musica? - dice Matteo, rompendo quel silenzio collettivo. Carlo non risponde, non si muove neanche. Matteo lo guarda dallo specchietto. E' come se avesse qualche problema: che gli succede? Se ne è stato tutto il tempo zitto, con lo sguardo perso nel vuoto, come se volesse evitare ogni tipo di contatto con noi, con me.  
- Deborah, che ne dici di ascoltare il tuo cd? - dice Matteo dolcemente, prendendo da quella lunga fila il mio disco.  
- Avete davvero il mio disco?- dico quasi incredula. Non pensavo che lo ascoltassero! Infondo non sono poi così famosa, e non credo sia proprio il genere di musica che ascolterebbero! 
- Scherzi? Ce ne abbiamo tipo 4 copie: uno in macchina, uno a casa, uno in sala registrazione e anche uno a casa dei nostri genitori, lo apprezzano molto!- dice sorridendomi. 
- Davvero? Sono molto contenta!- dico quasi incredula. E' bello sapere che apprezzino il mio cd, e che ne abbiano anche tutte queste copie!  
Matteo infila il cd nello stereo, preme il tasto ''casuale'' e la prima canzone è la traccia numero 7: ''A volte capita''. Adoro quella canzone. Adoro quella frase. Non a caso ce l'ho tatuata sul braccio. L'adoro per il semplice fatto che ad un certo punto della mia vita ho detto basta: bisogna vivere giorno per giorno. Non devo sempre pensare a cosa fare, a cosa dire, ma prendere le decisioni sul momento, provare ad essere più libera senza pentirmi delle scelte. E vivendo così non si sa mai cosa possa succedere. Tengo il tempo con le mani, anche se non riesco a fare altro: è passata quasi un'ora da quando siamo saliti in macchina, e non ho spiccicato parola.  
- A volte ca a a a a a a apitaa!- canta Matteo. Meno male che c'è lui a spezzare questo momento di imbarazzo. La sua voce è stonatissima, e non riesco a trattenere la risata per le mosse e le smorfie che fa. 
- Ahahaha! Secondo me la canti meglio di me! Che ne dice di fare un duetto signor Di Francesco?- dico ridendo. 
- Ahahah! Guardi, non lo so, devo pensarci, sono pieno d'impegni! - dice ridendo anche lui. Carlo rimane in silenzio. E quando pronuncio questa frase sembra adirarsi. Come se fosse disturbato da quel dialogo tra me e Matteo. Si schiarisce la voce, e si sistema meglio sul sedile. Non so perché sia infastidito così tanto. 
Passa altro tempo: abbiamo finito di sentire quasi tutte le tracce del CD.  
- Ragazzi, che ne dite di fare una pausa? Insomma, prima di arrivare ad Avezzano ci mancano ancora 2 ore di viaggio, e penso sia meglio fermarci a mangiare qui: infondo sono quasi le sette e mezza! - dice Matteo accostandosi. 
Aspetta: Avezzano? Cosa?  
- Avezzano? Ma non dovevamo andare a casa vostra a Roma...- tento di dire, ma la voce di Matteo spezza la mia frase. 
- Casa nostra a Roma? E' piccolissima! Meglio stare comodi: ad Avezzano abbiamo la villa dei nostri genitori, a due piani, così tu starai tranquilla e avrai tutto lo spazio che vorrai! - dice. 
In realtà sono un po' spaventata all'idea di arrivare fino ad Avezzano: non dista molto da Roma, ma il pensiero che starò con loro due mi agita. Ma sono stati così gentili, non posso rifiutare. Sorrido come per acconsentire e scendiamo dalla macchina. Siamo vicino ad un autogrill, dove ci sono alcuni negozi ed un piccolo ristorante. C'è il tramonto, e siamo in mezzo ad un'autostrada: ma vedere il sole calare tra quelle colline lontane, sopra la galleria è una delle cose più belle che abbia mai visto.  
- Davvero sei così affascinata? - una voce mi spezza quella visione. E' Carlo. Matteo è già entrato nel ristorante a prender posto. E' la prima volta che parla da quando siamo in macchina. 
- Bhe si: non è il massimo del romanticismo, ma è proprio questo che lo rende speciale, la semplicità! - dico fissando le colline. Sento gli occhi di Carlo che mi fissano, me li sento addosso. Mi giro verso di lui. 
Con la luce del sole i suoi occhi si schiariscono: sono limpidi e profondi. Sposto gli occhi sul collo: i suoi capelli, senza gel, scendono un po' bagnati sul lato destro: ha le maniche del maglioncino tirate su ed arricciate ai gomiti. Non so, ma con questa luce è veramente bellissimo. Mi guarda anche lui negli occhi: mi sento strana, nel mio stomaco sento mille aghi che mi pungono. Cosa mi succede? Che sensazione sto provando?  
- Ehm...è meglio che andiamo ora.. - la sua voce sensuale, il suo timbro forte mi avvolgono.  
- Si, andiamo. - dico quasi sottovoce, come se nessuno dovesse scoprirci, come se fino a quel momento avessimo fatto qualche cosa di proibito e dovevamo nasconderci.  
Lentamente camminiamo verso la porticina del piccolo ristorante: questo silenzio è strano. Mi apre la porta, entro e lui mi segue. Raggiungiamo Matteo, è seduto in fondo alla sala in un tavolo per quattro persone. 
- Alla buon'ora! Sto morendo di fame! - dice ridendo.  
- Vieni Deborah, siediti accanto a me. - dice molto dolcemente. Lo ringrazio sorridendogli. Carlo è davanti a noi.  
- Allora: voi che prendete? - sto per sfogliare il menù, quando mi ricordo che non ho un soldo! Avrò a malapena dieci euro, e che ci compro? L'acqua? 
- Ehm... io non ho molta fame...- tento di dire. In realtà ne ho molta, ma non posso ordinare cose costose.  
- Ah no eh! Non ricominciare con la storia della dieta! Ordino io per te, e non puoi rifiutare. - Matteo mi toglie il menù dalle mani, lo chiude e lo poggia sul tavolo. Mi fa un occhiolino, come se avesse capito come stanno realmente le cose. Matteo è così gentile con me.  
- Allora, Deborah: come l'ha presa la tua famiglia la storia del successo? Il tuo fidanzato, le tue amiche? - dice Matteo, versando del vino nel bicchiere mio e di Carlo. 
- Oh bhe, molto bene: la mia famiglia e le mie amiche mi sono state vicine, e non mi hanno mai voltato le spalle. Sono stati molto felici e soprattutto orgogliosi, che è la cosa fondamentale per me. Al contrario di ehm Danilo... - dico abbassando lo sguardo. 
- Vi siete lasciati? - dice Carlo fissandomi.  
- Si, l'ho lasciato io: il successo ha cambiato lui, non me, mi usava come se fossi un oggetto da vendere. E poi era già da tempo che la nostra relazione era andata a rotoli. - dico rialzando lo sguardo. La situazione di Danilo non mi tocca più. 
- Ehm... mi dispiace...- accenna Matteo, imbarazzato. 
- A me no. - dice Carlo. Io e Matteo spalanchiamo gli occhi: ma cosa dice?  
- Cioè, nel senso che se ti faceva stare male: ehm è stato meglio che vi siete lasciati, cioè per te e per lui, ma più per te, ehm nel senso che ora sei felice e questo è quello che ehm conta. - tenta di rispondere. 
E' imbarazzato, e mentre parla gesticola e si sistema i capelli dietro le orecchie. Io scoppio a ridere: le sue smorfie e quello che ha detto è esilarante.  
- Ecco a voi! - il cameriere arrivare con quello che ha ordinato Matteo: tre piatti immensi di pasta alla amatriciana. Fortunatamente è arrivato al momento giusto, e ha tolto Carlo dall'imbarazzo. 
- Adesso assaggerai la vera pasta, non come la facevano la agli studi! - mi dice Matteo dandomi un colpetto al braccio. 
Mangiamo: la cena è stata davvero ottima, il ristorante è molto carino, e l'atmosfera è quella giusta. Ridiamo, scherziamo, sembra essersi sciolto anche Carlo. 
Tra una battuta è l'altra, non ci siamo resi conto che sono le undici e mezza di sera. 
- Cavolo ragazzi, è davvero tardi! - dico guardando l'ora sul telefono.  
- Già... e menomale che doveva essere solo una ''cenetta veloce che poi dobbiamo ripartire'' - ironizza Matteo. 
Ci mettiamo a ridere. Ci alziamo dal tavolo, e andiamo alla cassa. Mi sento terribilmente in imbarazzo: loro sono così gentili con me, mi hanno anche pagato la cena. 
Usciamo dal ristorante: il posto sembra essersi trasformato: il buio rende davvero tutto più terrificante. Matteo è andato avanti alla macchina, mentre Carlo ed io siamo leggermente indietro. 
La notte le autostrade non sono il posto migliore in cui stare: il parcheggio di fuori è deserto, alcune ragazze con abiti succinti fanno avanti e indietro sul ciglio della strada. In più ci sono alcuni tipi loschi che mi fissano: sembrano stranieri, hanno delle bottiglie di birra in mano, e farfugliano qualcosa tra di loro, indicandomi. 
- Carlo ho paura. - dico terrorizzata. Mi sento i loro occhi addosso, sono spaventata, mi sento goffa e piccola in confronto a loro. So già la situazione: quando era adolescente e la sera uscivo, la strada di fronte a casa mia era piena di gente così. La maggior parte sono delinquenti, e una volta hanno anche tentato di rapinarmi. Fortunatamente sono riuscita a correre via urlando. Non voglio avere altre storie del genere. Carlo appena ha udito le mie parole mi ha preso sotto braccio. 
- Non devi avere paura, ci sono io a proteggerti. - dice lasciandomi un piccolo bacio sulla testa.  
Mi sento protetta, il suo braccio che si unisce con il mio mi fa sentire sicura: ho come la sensazione che tra le sue braccia potrei restarci per sempre.  
Passiamo davanti agli stranieri: Carlo continua a fissarli, mentre camminiamo. Stringo sempre più forte il suo braccio, e abbasso gli occhi. Un brivido mi sale dalla schiena. Carlo sembra molto tranquillo: continua a fissarli finché non attraversiamo la strada ed arriviamo alla macchina. - Scusami - dico sospirando - so di essere paranoica, ma in Sicilia e soprattutto nella mia città è pieno di gente così, e la maggior parte delle volte non sono proprio ''buoni'' -. Carlo mi guarda, accennando un piccolo sorriso. - Con me devi stare tranquilla: ti proteggerò finché potrò -. Sorrido. Ed entriamo nella macchina.  
-Ragazzi, è tardi, sono abbastanza stanco: che ne dite se ci fermiamo a qualche motel? Solo per questa notte, domani mattina ci rimetteremo in viaggio. - dice Matteo girandosi verso di noi.  
-Io sono d'accordo: conosco un piccolo albergo che costa poco, possiamo fermarci là. - dice Carlo guardando Matteo. - Deborah a te va bene? - mi chiede poi.  
''Certo che va bene Carlo. Con te andrei pure sulla luna''. Penso tra me e me. -







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                                                                                                 ANGOLO DELL'AUTRICE 
Buonasera a tutti! Come state? 
Mi rendo conto che questo capitolo è leggermente più lungo dell'altro! :') Ma davvero, avevo bisogno di metterlo tutto! 
Spero che vi piaccia, è sicuramente più discorsivo dell'altro: Deborah incontra Carlo e Matteo, finalmente! 
Secondo voi accetterà di andare con loro? 
Lasciatemi qualche recensione, e sarò più che contenta di leggerla! 
Alla prossima! :) 

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Capitolo 3
*** Una lunghissima notte. ***


(...)

- Ehm, non saprei... devo dirvi che non ho molti soldi con me, e non vorrei scroccare ancora. - dico imbarazzata. Abbasso lo sguardo: penso che sensazione più brutta non ci sia.   
- Stai scherzando vero? - dice Matteo, prendendomi la mano. - Se davvero tu scroccassi, sarei il primo a dirtelo, davvero. Chiedi conferma a Carlo.-  
- Ha ragione! Deborah, tu sei nostra ospite! Anche se non siamo ancora a casa... - dice Carlo sorridendomi.  
Ricambio il sorriso ad entrambi. Matteo si risistema al posto di guida, e partiamo.   
Passiamo sotto una galleria: ne approfitto per guardare Carlo. Le piccole luci arancioni che contornano il soffitto della galleria mi sono d'aiuto. Posso guardarlo grazie alla luce, e lui non se ne accorge perchè è buio.  
Rifletto su tutta la serata: sarà davvero la scelta giusta quella che sto facendo? Ci ho pensato almeno un po' prima di prendere queste decisioni?   
E' successo tutto così in fretta, tutto all'improvviso. Matteo, Carlo, il ristorante, le risate, gli sguardi d'intesa tra di noi. Sento il telefono vibrare, è un'e-mail: è Lorenzo.  
Lorenzo:  
''Deb, scusami l'ora, ho contattato la casa discografica...brutte notizie!   
 purtroppo hanno detto che l'unico giorno disponibile per firmare  
 il contratto era ieri! Per un altro appuntamento dovremmo  
 aspettare un mese.  
 Ti lascio in allegato i contatti della casa.   
 Buonanotte   
 Lorenzo. ''  
  
  
- Che diamine! - dico ad alta voce.  
- Cosa? - mi chiede Carlo.  
- Per firmare il contratto con la casa discografica dovrò aspettare ancora un mese! Non vogliono proprio farmi uscire un altro disco! - dico gettando malamente il telefono nella borsa.  
- Le case discografiche sono tutte così: inizialmente sono perfettamente disponibili, ma più passa il tempo e più diventano incompetenti! Io ne so qualcosa! - interviene Matteo.  
Fisso le mie scarpe, dovrò cambiare tutti gli appuntamenti che avevo preso: con il fotografo, i giornalisti, gli incontri con i fan.   
L'aria triste torna in me: sto sbagliando tutto, dovrei solo tornare a casa ed impegnarmi il più possibile sul disco, invece che inseguire questi due pazzi, e tremendamente amabili gemelli...  
''Cogli l'attimo Deborah. Cogli l'attimo.'' ripeto a me stessa.  
- Matt, siamo arrivati: gira a sinistra e parcheggia.- la voce di Carlo interrompe i miei pensieri.   
Siamo arrivati al motel: Matteo parcheggia proprio vicino all'entrata. Scendiamo dalla macchina, prendo il mio trolley, ma la mano di Carlo blocca la mia.  
- Lascia, faccio io! - sussurra dolcemente. Gli sorrido.  
Camminiamo ed arriviamo all'entrata: è un piccolo motel, ma molto carino. Ci sono dei divanetti stile anni '90, delle tappezzerie colorate e alcuni quadri appesi qua e là.  
Alla reception c'è un anziano signore, con degli occhiali grandi. Ha una camicetta a mezze maniche bianca, e ci accoglie con un dolce sorriso.  
- Buonasera signori, desiderate? - dice.  
- Ehm, buonasera, vorremmo tre camere da letto singole per questa notte, grazie.- dice Carlo con voce molto sicura.  
- Si, un secondo che controllo. - l'anziano signore apre un grande registro, e lo sfoglia lentamente. Carlo lo osserva, mentre Matteo passeggia avanti e indietro.   
- Scusate ma abbiamo tutte le singole occupate: però è disponibile una matrimoniale con un lettino, se le va bene. - dice accennando un mezzo sorriso.  
- E' sicuro? Neanche una matrimoniale e una singola? - insiste Carlo. Io guardo l'anziano signore perplessa, Matteo si è fermato, e lo sta fissando anche lui.  
- Mi dispiace, abbiamo solo quella. - risponde dolcemente.  
- Grazie...- dice Carlo girandosi verso di noi, e prendendo il mio trolley per andarsene.  
- Hey ma che fai?- lo blocca Matteo.  
- Non hai sentito? Non ci sono camere! - risponde stizzito.  
- Si, una ce n'è: prenderemo quella. E poi un modo per sistemarci lo troveremo. E' mezzanotte e mezza, dove vuoi dormire, in macchina? - risponde Matteo severamente.  
Carlo sbuffa, e si ferma a pensare un secondo. Poi guarda Matteo, che annuisce dubbioso.  
- E va bene. Ma cascasse il mondo, io con te nello stesso letto non ci dormo. - dice avvicinandosi a Matteo, e gesticolando con un dito. Torna indietro dall'anziano  
signore, prende dalla tasca il portafogli.  
- Va bene la prendiamo: quant'è? -. Matteo si avvicina a me e mi accarezza la testa: ha capito che sono leggermente tesa. Gli sorrido.   
- 30 euro. - risponde deciso l'anziano.   
Carlo tira fuori i soldi, e in cambio prende la chiave: è la numero 217.   
- Grazie. E' al terzo piano, sulla sinistra. L'ultima porta infondo. - dice l'anziano sorridendo.  
- Grazie mille. - rispondiamo.  
Arriviamo all'ascensore, ed entriamo dentro. Schiaccio il numero tre sulla pulsantiera. Silenzio. Matteo sta sistemando qualcosa nella sua borsa, Carlo ha lo sguardo perso nel vuoto.   
Diiiiin. Finalmente siamo arrivati. Le porte si aprono, e piano piano ci dirigiamo alla camera 217. E' tardi, e non vorremo svegliare le altre persone.   
C'è un corridoio lunghissimo, con solo poche luci sopra ogni porta delle camere. L'ultima sulla parete destra è la nostra. Carlo mette la chiave nella serratura, fa un giro ed apre la stanza.  
Entriamo: Carlo trova subito l'interruttore, lo accende.  
La camera è più grande di quanto me la aspettavo: c'è un piccolo ingresso con un armadio color verde militare, sulla destra c'è un bagno molto spazioso, con doccia e tutto il resto.  
Sulla sinistra c'è una scrivania, sempre verde militare, con un piccolo televisore, molto anni '90 anch'esso, posto sopra.  
Una grande finestra che arriva fino a terra: probabilmente c'è anche un balcone. Infine ci sono i letti, sulla destra uno piccolino, da single, con accanto un comodino.  
E al centro un letto matrimoniale, molto ordinato, con dei grandi cuscini, e accanto un altro comodino, con una piccola abat-jour a forma di goccia, azzurra.   
- Però, è carina: sicuramente meglio di altre! - dice Matteo, sistemandosi sul letto.   
- Tipo a Salvador nel novantacinque? - risponde Carlo. Ed entrambi scoppiano a ridere. Come sono carini: sembrano tanto diversi, ma in realtà si vogliono un gran bene.  
Sorrido anche io. E' bello vedere come sono complici tra di loro.   
- Certo che siete due cose incredibili! - dico appoggiando la borsa sulla scrivania.   
- Bhe dopo 34 anni che lo conosco mi sono pure dovuto abituare a starci in qualche modo, no? - mi risponde Matteo, dandomi una leggera pacca sul braccio.   
Ci mettiamo a ridere.  
- Allora, io avevo pensato di disporci in questo modo: io mi prendo il lettino piccolo, e voi due, visto che vi amate così tanto, state sul matrimoniale! - dico ai due.  
- Ma io non voglio dormirci insieme! - risponde Matteo.  
- Ma è l'unica soluzione: vuoi dormire per terra? - dico ridendo.   
- Deborah, tu non sai com'è lui di notte: tira calci in continuazione! - dice Matteo. Sembra quasi serio.  
- Vogliamo parlare di te? Che ti prendi tutto il letto? Poi certo che scalcio, per avere un po' di spazio! - risponde Carlo seriamente.  
- Ragazzi basta: staremo così, punto. - dico alzando leggermente la voce. Wow. Quando voglio so essere anche autoritaria? In questi mesi sono proprio cambiata tantissimo.  
- E va bene...mamma.- risponde Matteo sarcasticamente.   
Ci sistemiamo: metto il mio trolley in un lato della stanza, lo apro e cerco disperatamente un pigiama. Ma niente. E adesso che mi metto per dormire?   
Cerco all'impazzata qualche cosa di decente, ma le uniche cose che trovo sono jeans, spazzole, trucchi e quant'altro.   
- Tutto ok? - mi chiede Carlo.  
- Ehm si... se solo non fosse che non ho un pigiama! - rispondo io sedendomi a terra. Matteo è in balcone a fare una telefonata.   
- Bhe se non ti crea problemi.... posso prestarti la mia maglietta: solitamente dormo senza... - mi propone Carlo dolcemente. Lo guardo un po' sconcertata. Sono in imbarazzo, non so che dire, e credo che lui se ne sia accorto. - .. sempre se ti va. - aggiunge girando lo sguardo.   
Non credo sia la cosa giusta da fare, ma non ho niente da mettermi, e non vorrei dormire con la camicia di jeans. Infondo che c'è di male: è soltanto un mio amico che mi presta la sua maglietta per dormire. Lo farebbe chiunque. Non devo preoccuparmi di niente. - La accetto molto volentieri, grazie. - rispondo alzandomi da terra.   
Siamo l'uno davanti l'altra. Ci fissiamo negli occhi. Lentamente lui comincia a sfilarsi il leggero maglioncino blu di cotone che aveva addosso. Sento come se qualcosa stesse prendendo fuoco nel mio stomaco, e sulle mie guance, e sulla mia fronte, e sul mio cuore.   
Lentamente lo fa passare oltre la testa, scompigliando i suoi sottili capelli neri color pece. Continuiamo a fissarci, non riesco a staccarmi da quei suoi occhi così profondi. Lascia cadere il maglione sul letto matrimoniale. Poi si slaccia la cintura: tira fuori la maglietta e sfila lentamente anch'essa. Piano piano vedo comparire la sua pelle: così scura, così fredda. Appare il suo petto: ricoperto da una leggera peluria scura. Fa passare la testa, e poi le braccia. Adesso è completamente a petto nudo. Ma poco importa: perché io sto fissando ancora i suoi occhi, e riesco a leggerci dentro che anche lui è in imbarazzo nonostante non lo dia a vedere.  
Mi porge delicatamente la maglietta: la prendo. Le nostre mani si sfiorano. Le sue fredde, le mie sempre troppo calde. Sento scivolare un brivido dietro la schiena. Nei suoi occhi rivedo me, rivedo quello che abbiamo passato, le giornate in cui volevo buttare tutto all'aria e che lui con un gesto mi ha fatto salvare. Rivedo quei mesi, rivedo me impacciata e timida, rivedo lui e il suo essere sempre troppo serio. Rivedo quello che siamo stati, rivedo noi.   
E posso giurare che cosa più bella non c'è.   
Sentiamo la porta-finestra aprirsi, e Matteo rientra. Spezzando quell'attimo di magia. Giro la testa imbarazzata, accartoccio la maglietta tra le mani, prendo il beauty case che avevo nella valigia e corro in bagno per cambiarmi. Chiudo la porta dietro di me. Sospiro. Che mi sta succedendo?   
Mi avvicino al lavandino, dove c'è davanti un grande specchio che prende buona parte della parete. Mi guardo. Sto facendo la cosa giusta? I miei occhi si riflettono nello specchio: vedo quelle occhiaie poco coperte dal trucco rimasto, quei capelli, troppo spettinati. Le mie labbra devastate dal troppo mordicchiarle. Rivedo me stessa, i segni delle ferite che mi porto dietro. La mia vita, la mia casa, la mia famiglia. No Deborah, non dovrai più passare quella vita. Adesso sei diversa, adesso sei finalmente tu. Apro il rubinetto, e lascio scorrere l'acqua fino a che non diventa leggermente tiepida. Mi sciacquo il viso, quanto basta per lavare via tutti i pensieri che troppo spesso mi avvelenano l'anima. Prendo un asciugamano, strofino leggermente la faccia: ho ancora un po' di matita e di rimmel, ma non mi va di struccarmi.   
Mi tolgo le scarpe, le sistemo in un angolo. Mi sfilo lentamente i jeans, e li piego. Poi tolgo la camicia, la metto vicino ai pantaloni. Sfilo la t-shirt corta con le stampe a fiori. La ripongo insieme al resto dei vestiti. Mi guardo allo specchio. La dieta sta funzionando, ma non ancora quanto io voglia.   
Infine prendo la maglietta di Carlo: è nera, e sopra è raffigurata la cantante Madonna con un aureola. Sorrido. La infilo: è molto grande, mi arriva al ginocchio. La stringo forte a me: sento il suo odore. Sento il suo sorriso, i suoi occhi, la sua voce, le sue mani. Me li sento tutti addosso, come se in quel momento ci fosse lui ad abbracciarmi. Stringo ancora più forte: non voglio perderlo. Sento come se quelle mani mi toccassero, quei occhi mi guardassero e quella voce mi parlasse. Lo sento vicino, lo sento... mio. Annuso l'ultima volta la maglietta.   
Poi prendo i miei vestiti, il beauty case che non è servito a niente, spengo la luce ed apro la porta.  
Matteo e Carlo sono già nel letto, opportunatamente distaccati. Hanno spento la luce, adesso c'è solo la abat-jour ad illuminare la stanza.   
Metto le cose alla rinfusa nella valigia, la chiudo e mi sistemo nel mio letto. - Hey, buonanotte. -   
Sussurra Carlo dolcemente. Mi giro, mi metto a pancia in giù sul letto. - Buonanotte. - dico sottovoce. Matteo già dorme. Ci guardiamo per l'ultima volta, sorridendo, come due cretini.   
Poi abbasso lo sguardo, e Carlo spenge la luce. Sono molto stanca, e nel giro di pochi minuti mi addormento. 
-….svegliati Deborah!- sento che qualcuno mi sta scuotendo il braccio: è Matteo. Mi sveglio immediatamente e salto seduta sul letto. - Che è successo? - chiedo preoccupata.  
-Ti giuro che qualsiasi favore mi chiederai te lo farò, sono in debito con te. Ma ti prego, vai a dormire tu vicino a Carlo: sono 2 ore che non fa altro che girarsi in continuazione e tirare calci! Domani mattina io devo guidare, e se non mi riposo un po' mi addormento sul volante! - mi sussurra Matteo disperato. 
-Io nello stesso letto di Carlo? Matteo ma stai scherzando? - dico incredula. Prendo il telefono dal comodino e leggo l'ora: le due e mezza.  
-Qual è il problema? Non hai mai fatto campeggio? - risponde. 
-Ma che c'entra! E poi sono mezza nuda, non mi sentirei a mio agio!- tento di rispondere. Ma è inutile, Matteo continua a pregarmi disperatamente. Non vedo niente, c'è solo la luce della luna che entra dalla finestra.  
-Ti scongiuro Deborah!- dice Matteo, mettendosi in ginocchio accanto al mio letto. Sospiro, non posso di certo dirgli di no. Sono ancora in debito con loro, se adesso sto in un letto è solo grazie alla loro bontà. Mi tolgo il lenzuolo da dosso, mi alzo. 
-E va bene... ma solo per questa notte! E domani glielo racconti tu a tuo fratello! - rispondo prendendo il telefono e gli occhiali. 
-Grazie mille!- urla Matteo, saltandomi addosso. 
-Shh! Vorrai svegliarlo?- rispondo ridendo. 
Mi da' un fortissimo bacio sulla testa, e si infila sotto le (mie) coperte. Diligentemente mi siedo sul letto matrimoniale. Appoggio gli occhiali e il telefono sul comodino, e lentamente mi infilo sotto il lenzuolo. Sono rigida come un pezzo di legno, e ho l'imbarazzo al massimo. L'ultima volta che sono stata nello stesso letto con un uomo era Danilo, e non mi ricordo di aver dormito molto.  
Tiro piano il lenzuolo verso di me, e sento Carlo muoversi: cavolo, speriamo che non si svegli. 
Faccio tutto con la massima cautela, pur tentando di muovermi. Sento che si agita. 
Si gira verso di me, e mi abbraccia. Continua a dormire. Mi blocco all'improvviso. Ho la mano di Carlo che mi cinge la vita. Sento che il mio respiro aumenta. Mi tremano le mani.  
Maledetta me e di quando ho dato retta a Matteo. Mi sento una strana sensazione che mi parte dalle gambe ed arriva fino alla testa: come un brivido. Sento il respiro di Carlo vicino al mio. Adesso che faccio? Non posso certo rimanere immobile.... l'attimo Deborah. Devi cogliere l'attimo, continuo a ripetermi. Ma si. Cogliamolo quest'attimo. Tanto non sto facendo niente di male: sono solo mezza nuda, nello stesso letto del mio ex professore di canto, anche lui mezzo nudo, che mi sta abbracciando, in un motel sperduto in mezzo all'autostrada Roma - L'Aquila, con il fratello gemello a due metri da me, indossando anche la sua maglietta.  
Sorrido maliziosamente. Non mi ricapiterà presto, devo vivermi questa notte molto bene.  
Mi giro anche io verso di lui, e mi stringo nel suo petto. Sento che i nostri respiri si mischiano diventando una cosa sola. La sua mano scivola dietro la mia schiena. La mia testa è appoggiata sulla leggera peluria del suo petto. Sento il battito del suo cuore:  o forse è il mio?  
Diventiamo una cosa sola,  un unico corpo avvolto da un leggero lenzuolo azzurro. Mi sento bene, mi sento sicura, protetta. Nel suo petto, io , mi sento a casa.


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                                             ANGOLO DELL'AUTRICE 
Buongiorno a tutti! 
Eccoci qua con un nuovo capitolo. Ho letto le recensioni che mi avete scritto e sono davvero molto felice! 
Le apprezzo tantissimo, e ringrazio singolarmente ognuno di voi! Mi rendete veramente ogogliosa! :) 
Spero che questo capitolo vi piaccia, ci sono alcune parti di dialogo, ed altre molto riflessive. 
Grazie davvero a tutti voi che leggete ciò che scrivo! 
Aspetto le vostre recensioni e vi mando un grande bacio! 
Ciao! :) 



 

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Capitolo 4
*** Il buongiorno si vede dal mattino! ***


(...)

Apro gli occhi e vengo subito accecata dalla luce del sole che proviene dalla finestra. Tiro su leggermente la testa: Carlo è accanto a me, con gli occhi chiusi. Mi giro, la mia valigia è ancora la a terra, e il lettino accanto a noi è disfatto. Allora non è stato un sogno. Ho dormito insieme a lui. Abbiamo condiviso lo stesso letto! Ributto la testa sul cuscino e mi copro il viso con il lenzuolo: sento le guance ribollire, sarò diventata rossa come un pomodoro!    

Guardo Carlo: è a pancia in giù, con la testa rivolta verso di me e sta ancora dormendo. Ha la frangia scompigliata, e la bocca leggermente aperta. Un raggio sole illumina il suo collo scoperto. Scendendo fino alle braccia. Non ha un fisico da culturista: non è come quello di Danilo, ed è una cosa che adoro. Il fisico di Danilo era finto, artefatto. Lui ha un piccolo accenno di bicipiti: niente di che, giusto la forma. E penso che sia meglio così, perché è un corpo vero, almeno. Mi siedo sul letto, lentamente per non svegliarlo. Però, oggi fa proprio caldo. Mi tiro indietro i capelli, e prendo il telefono: cavolo sono le dieci e mezza! Dovevamo partire presto, così saremmo arrivati ad Avezzano in tempo!   

- Ben svegliata! - la voce squillante di Matteo distoglie il mio sguardo dal telefono. E' in piedi, davanti a me, con un asciugamano bianco legato invita che gli arriva a malapena sulle ginocchia: è a petto nudo, ha ancora i capelli bagnati e con lo spazzolino da denti in bocca.   

Se prima ero un po' imbarazzata adesso lo sono totalmente: le mie guance sembra che stiano prendendo fuoco: - Matteo ma sei nudo! - urlo coprendomi gli occhi.   

- Bhe tecnicamente non sono nudo...- tenta di dire con lo spazzolino tra i denti. Mi alzo, mi metto gli occhiali e vado vicino a lui: - Vatti a vestire subito! - e lo spingo fino alla porta del bagno. Accenna qualcosa ma non lo capisco.  

 - Senti eh, ho già passato una notte strana non ti ci mettere anche tu! - dico gesticolando. Sono veramente agitata.   

- Perché non ti piaccio? - dice lui, muovendo le sopracciglia. Lo spingo dentro al bagno e chiudo la porta. Oh Dio. Ma possibile che debbano capitarmi tutte a me!    

Sospiro, e mi avvicino alla scrivania, dove ieri sera avevo lasciato la borsa. Cerco disperatamente le lenti a contatto, anche se non le trovo. Probabilmente le avrò lasciate nel beauty-case nella valigia. Continuo a cercare, ma una voce mi blocca letteralmente: - Ah, comunque buongiorno eh! - Carlo si è svegliato. E' seduto sul letto e si sta stropicciando gli occhi. Mi giro, lo guardo.  

 - Buongiorno a te! Stanotte devi aver dormito proprio bene, visto che non hai scalciato neanche una volta. - dico avvicinandomi alla valigia.   

-Bhe penso di si, non mi sono mai sveglia.... hey ma tu che ne sai? - dice.   

Oh cavolo è vero! Lui non sa che abbiamo dormito insieme! Maledetta me e di quando non me ne sto zitta! Ma perché devo parlare sempre?    

-Ehm ecco... - dico girandomi di spalle. - Matteo ha detto che non ce la faceva a dormire con te, e mi ha chiesto di fare cambio di ehm letto. Era tardi e ehm non potevo dire di no... - provo a dire. Anche se le parole mi escono a malapena. Sono agitatissima, ed imbarazzatissima. Deglutisco.   

-Ah.... quindi noi abbiamo ehm... dormito insieme?- dice Carlo.    

-S-si... - tento di rispondere. Aiuto. Sto vivendo un momento di totale imbarazzo. Chissà cosa penserà ora di me: che sono una poco di buono, e che soprattutto sono ossessionata da lui e...   

-...come due buoni amici? - dice lui alzandosi dal letto e venendo verso di me. Prende la mia spalla e mi gira verso di lui. Ci guardiamo. Deglutisco ancora.   

-...come due buoni amici.- rispondo accennando un sorriso poco convinto. Lui ha indosso solo un paio di boxer bianchi.  Il suo petto nudo. Quel petto in cui ho dormito.   

In quello stesso momento Matteo esce dal bagno, fortunatamente vestito, a togliermi da quel momento imbarazzante.   

-Buongiorno bell'addormentato!- dice rivolgendosi a Carlo.    

-Io e te dobbiamo parlare fratellino...- dice Carlo facendogli un sorrisetto d'intesa.    

-Ehm... io vado in bagno a prepararmi...- dico con la voce tremante. Prendo i miei vestiti e il beauty-case. Mi dirigo verso la porta del bagno... - Comunque devo dire che la maglietta di Carlo ti sta proprio bene! - dice Matteo maliziosamente.    

Oh santo cielo. Con tutta questa confusione mi ero dimenticata che anche io sono praticamente in mutande! Mi giro verso Matteo spalancando gli occhi, e corro in bagno chiudendomi a chiave la porta alle spalle.   

  

Sospiro. Mi avvicino allo specchio: ho il viso completamente rosso. Mi guardo. E mi metto a ridere. Mi siedo a terra: ''ma possibile che davvero mi sia capitato tutto questo?'' Ripeto a me stessa. Stringo forte la maglietta di Carlo: ancora per poco potrò sentire il suo odore sulla mia pelle. Mi alzo, la sfilo lentamente e controvoglia. Vorrei tenerla per sempre, vorrei che quell'odore mi entrasse dentro la pelle e ci rimanesse. Non so cosa mi succede: perché ho tutto questo bisogno di sentire lui, di averlo vicino, di guardarlo negli occhi. E' una strana sensazione, e ho paura che potrebbe sfociare in qualcosa di più grande. Non voglio. Perché so già che tra noi due non potrebbe mai nascere niente, e non voglio illudermi ancora, non voglio soffrire di nuovo, proprio adesso che finalmente sono libera. Sospiro ancora. Adesso non è il momento di pensarci. Prendo il jeans e li metto: poi infilo una canottiera color pesca. Indosso anche le scarpe. Tento di sistemare i capelli, anche se riesco a fare veramente poco. Poi tolgo gli occhiali e, dopo svariati tentativi, riesco finalmente e mettermi le lenti ad entrambi gli occhi. Prendo la camicia di jeans, e arrotolo le maniche all'avambraccio. Prendo dal beauty-case una matita nera, e traccio una linea ben definita prima ad uno, e poi all'altro occhio. Metto il fondotinta, correttore sulle occhiaie, mascara e un velo di rossetto nude.  Sono pronta.  

Esco dal bagno, mi avvicino alla mia valigia e sistemo tutto dentro : la chiudo. Carlo e Matteo sono sul letto e mi fissano: perché?   

Mi giro verso la scrivania, e sistemo le ultime cose nella borsa. Silenzio. Nessuno dei due parla.   

-Vado a prepararmi.- dice finalmente Carlo, rompendo quel silenzio.  

-Ah ehm Carlo... questa è tua. Grazie ancora.- dico porgendogli la maglietta.  

Lui mi guarda: un sorriso velato appare sul suo viso, come se quel gesto gli avesse riempito la testa di pensieri. Si ferma un attimo a guardarla, e poi la prende.  

-Grazie.- dice quasi sussurrando. I nostri occhi si incontrano, le nostre mani si sfiorano. C'è come una strana elettricità che sembra legarci. Indossa già i pantaloni e le scarpe.  Poi sorride, e si dirige in bagno, per prepararsi. Chiude la porta, e abbasso lo sguardo.  

-Deborah vieni qua.- mi dice Matteo, dolcemente.  

Mi avvicino a lui: - Ricordati che sei in debito caro!- dico sorridendo. Lui ride.   

-Senti, avrei bisogno di parlarti.- il sorriso che avevo in volto si spenge improvvisamente. Cosa ho combinato ora?   

-C'è qualche problema per il viaggio?- tento di dire.  

-No, no, assolutamente.- dice lui, sorridendo. Io lo fisso attentamente.   

-Sai, Carlo non è il massimo dell'allegria. E' un tipo molto riservato.- dice guardando a terra. Silenzio. Io continuo a guardarlo ed ora ho seriamente paura di quello che dovrà dirmi. Che c'entra Carlo?  

-Ma da quando ti abbiamo incontrato, ha cambiato totalmente espressione.- continua.  

-Penso che tra di voi possa nascere...- si ferma, gira lo sguardo su di me. Il cuore mi batte fortissimo. Un brivido mi scende velocissimo, come se qualcuno mi avesse buttato un secchio di acqua congelata addosso. Respiro sempre più forte. Non so spiegare che sensazione sto provando. E' strana, perché è un misto tra felicità e paura: non so cosa stia per dire Matteo, ma ho come l'impressione che stia alludendo ad una possibile...  

-...una grande amicizia.- dice sorridendomi.  

-Una grande amicizia, certo.- rispondo spostando lo sguardo.  

''Una grande amicizia''. Certo Deborah, che ti aspettavi? Siete amici. Due buoni amici. E così continuerete ad essere per sempre. Cosa credevi, che Carlo tra tanta gente scegliesse proprio te?   

-Ho detto qualcosa che non va?- mi chiede Matteo, interrompendo i miei pensieri.  

-No no. Sono contenta- dico sorridendo. Matteo avvicina leggermente la sua mano alla mia, e la stringe forte.   

-Sai che qualunque cosa accada, potrai contare su di me.- sussurra dolcemente - Sarò il fratello maggiore che non hai avuto!- dice ridendo.  

Insieme a lui rido anche io. Come se avesse capito cosa provo. Come se fosse entrato nella mia mente leggendo i miei pensieri.  

-Grazie.- sussurro, accennando un sorriso.   

-Io sono pronto, andiamo?- Carlo è uscito dal bagno.  

-Si si, anche noi.- dice Matteo.  

Ci alziamo, io prendo la mia borsa e Carlo, come sempre, prende la mia valigia.  

-No, davvero, la prendo io.- provo a dire.   

-Shh! Muoviti che siamo già in ritardo!- dice alzando un sopracciglio. Sorrido.  

-Si, ma questa è l'ultima volta!- dico alzando l'indice e avvicinandomi a lui. Sorridiamo entrambi, e ci guardiamo negli occhi.  

-Bhe caro fratellino, la carriera da facchino ti riesce molto bene: sicuramente molto meglio che quella da musicista!- dice Matteo ridendo. Poi prende le chiavi della stanza, ed apre la porta.  

-Ha parlato il genio della batteria!- risponde Carlo. Ridiamo tutti insieme.  

Usciamo dalla stanza, e ci dirigiamo all'ascensore, che fortunatamente arriva subito. Entriamo: con la valigia siamo un po' stretti. Din don. Arriviamo al piano terra. Matteo si avvicina alla reception dove c'è una signora anziana.   

-Ecco a lei, grazie di tutto.- dice Carlo, porgendo alla signora le chiavi della stanza.  

-Oh, grazie a lei. Suo fratello e la sua fidanzata si sono trovati bene?- chiede gentilmente la signora. Silenzio. Io divento rossa come un pomodoro, e abbasso lo sguardo. Matteo si mette a ridere. Oh Dio, un altro momento d'imbarazzo. Ma perché tutte a me? Carlo si gira, ci guarda. Fa un sorrisetto malvagio, e rivoltandosi verso la signora dice:  

-Benissimo, grazie.- Spalanco gli occhi, e guardo Matteo che si allontana per ridere. Poi Carlo viene verso di noi.  

-Bhe? Cosa ho fatto di male? E' mattina, non mi va di dare spiegazioni alla gente.- dice uscendo dalla porta principale.   

Matteo mi guarda ridendo.   

-Cammina.- dico seriamente spingendolo alla porta.   

Usciamo e finalmente raggiungiamo la macchina: intanto ripenso a quello che Carlo ha detto alla signora del motel. Chissà perché l'ha fatto. Sicuramente per scherzare, conoscendolo. Devo ammettere però che la cosa non mi dispiace affatto. Un sorriso malizioso appare sul mio volto: sono contenta di quello che ha detto, anche se scherzava.  

-Hey che ti ridi!- dice Carlo dandomi una leggera pacca sul braccio.  

-Niente, niente.- dico aprendo lo sportello. Matteo sale al posto di guida, Carlo dopo aver sistemato il mio trolley si siede accanto a me.  

-Siamo pronti per ripartire?- dice Matteo, guardandoci dallo specchietto retrovisore.  

-Prontissimi!- rispondo. Matteo accende i motori, e partiamo. Adesso manca veramente poco: neanche un'ora di viaggio. La strada è anche libera, non c'è il traffico che c'era ieri. Probabilmente perché ieri era venerdì, e si sa che il venerdì c'è la gente che parte per le vacanze. Infondo siamo ad Agosto.   

Appena tre quarti d'ora dopo arriviamo: mi affaccio dal finestrino, Avezzano è proprio una città carina.   

-Cara Deborah, benvenuta ad Avezzano!- mi dice Matteo dolcemente.   

Le strade sono molto piccole: la città è contornata da chiese molto belle e da palazzi moderni. Devo dire che è molto simile a Roma.  

-Eccoci arrivati.- dice Matteo, parcheggiando la macchina. Apro lo sportello, scendo dalla macchina, e mi blocco: ci siamo fermati davanti ad una grande villa, a due piani, con un grandissimo giardino.  

-Andiamo?- mi chiede Carlo. Senza dire una parola lo seguo, e insieme a Matteo entriamo. Arriviamo alla porta, Carlo tira fuori dalla tasca delle chiavi, ed apre.  

Loro entrano per primi, io li seguo.   

-Benvenuta a casa!- dice Matteo.  

La casa è immensa: c'è un salone molto grande, con di mobili eleganti. Delle finestre , e delle vetrine. Le pareti sono adornate con dei quadri.   

-Vieni, non aver paura.- dice Carlo. Lo seguo. Mi sento piccolissima in questa casa.  

Da lontano si intravedono le scale, che portano al piano superiore. Al centro del salone c'è un tavolo basso, con tanti giornali sopra. A terra ci sono dei tappetti bellissimi. Ci sono dei divani e delle poltrone molto confortevoli, ed una grande vetrina davanti ad essi, con un televisore a schermo piatto gigante. Seguo con gli occhi ogni centimetro di quella meraviglia.  

-Questa è la cucina.- dice Carlo facendomi cenno di avvicinarmi a lui.   

Entro, è immensa: c'è un grandissimo lavandino, un forno ampio, una lavastoviglie, un frigorifero gigantesco e un piano per cucinare nuovo di zecca. Rimango a bocca aperta.  

-Ti piace?- mi chiede Carlo appoggiandosi al piano.  

-Scherzi? E' meravigliosa! Casa mia in confronto è grande come questa cucina!- dico ammirando tutti gli utensili che sono accuratamente sistemati ai loro posti.   

-Vieni, ti faccio vedere il piano superiore.- mi prende la mano. La sua mano così fredda, che tocca la mia, sempre troppo calda. Sorrido. Sono contenta che Carlo si fidi così tanto di me da farmi vedere ogni angolo della sua casa. 

Saliamo le scale, ed arriviamo al secondo piano: c'è un lungo corridoio, e ad occhio ci saranno circa quattro, cinque stanze. E' davvero grande come casa. Se ce l'avessi io vivrei con i miei genitori, mia sorella, mio fratello e tutti i parenti dalla parte di mio padre e dalla parte di mia madre.  

Entriamo nella prima. - Questa è la camera dei miei, ma non credo che t'interessi tanto.- apre la porta.  

La stanza è molto grande, con un grande letto perfettamente sistemato. Una poltrona, una televisione, un comò con sopra una specchiera gigante: ci sono alcune scatole, e tanti profumi. Mi avvicino e li guardo: ho sempre sognato di avere una specchiera con tanti profumi davanti.  

Carlo mi guarda, e si avvicina: - Sono di mia madre. Lei adora i profumi. Infatti ha una profumeria qui vicino. Adesso è chiusa, perché i miei sono partiti.- dice appoggiandosi al comò.  

-Dove sono andati?- gli dico sorridendo.  

-Abbiamo una casa al mare, e appena possono vanno la. Io e Matteo abitiamo a Roma per lavoro, quindi ci stiamo poco tempo qui.- mi risponde dolcemente. Sorrido. Devono essere proprio una bella famiglia.   

-Vieni, ti porto nella stanza più bella di tutta casa!- dice avviandosi alla porta.  

-Sarà difficile stupirmi dopotutto ciò che ho visto!- dico ridendo.  

Entriamo in una grande stanza, che si trova alla fine del corridoio. Apre la porta: chitarre, strumenti per la batteria, varie percussioni, spartiti sparsi qua e la, ed un grandissimo pianoforte tappezzano tutta la stanza. Mi si illuminano gli occhi.  

-Oh Dio, ma è stupenda!- dico eccitatissima.  

-Questa è la mia stanza preferita.- dice lui sedendosi su un piccolo sgabello vicino. Ci sono anche dei microfoni e delle cuffie. Inoltre ci sono tanti, ma tanti amplificatori: piccoli, grandi, con i fili, senza fili, professionali, più semplici. Mi giro e mi rigiro, per ammirare tutta la bellezza di quel posto. Nello stesso momento Matteo entra e si avvicina a noi: -Ah, siete qui, nella camera magica!- dice sorridendo.  

-Ragazzi, è quasi l'una, io avrei fame non so voi.-  continua a dire. 

-Anche io: che ne dite se andiamo a mangiarci qualcosa?- si accoda Carlo.   

-Deborah ti portiamo a mangiare una pizza buonissima: è un nostro amico, e qui ad Avezzano è famoso!- dice Matteo.  

Deborah? Torna in te: non hai soldi. Già ti offrono casa, rifiuta l'offerta. Non vorrai apparire come una scroccona.  

-Ehm, grazie ragazzi, ma...- non faccio in tempo a finire la frase che Matteo mi prende per mano e mi trascina via. Scendiamo le scale, ed arriviamo all'ingresso. Prendo la borsa. Carlo ci segue.  

-La pizza più buona di Avezzano!- continua a ripetere. Sorrido. Sono davvero due ragazzi d'oro.   

Usciamo dalla casa e raggiungiamo a piedi una piccola pizzeria. E' un posto veramente carino. Mangiamo, e torniamo subito alla villa... ehm ''casa''. E' stato un pranzo veloce, ma la pizza era veramente ottima! 

Sono circa le tre del pomeriggio: e il sole che entra dalle finestre riscalda tutta la casa. Siamo seduti sul divano, stiamo bevendo un vino bianco che Matteo definisce ''il vino più buono dell'Abruzzo'' e stiamo parlando ormai da circa un'oretta buona di tutto quello che ci è succeso ad ''Amici''.  

-Ahahaha! Ma quella volta quando dopo aver preso la maglia verde, sei andata dietro le quinte per le foto ufficiali, e ti sei persa?- dice Carlo ridendo. 

-Ahahahah si! Me lo ricordo! E tu mi hai preso e mi hai riportato indietro! Ahahahaha!- rispondo ridendo fortemente.  

Il telefono di Carlo squilla, e lui risponde. 

-Pronto? Sei già qui? Perfetto allora, ti apro il cancello esterno!- sorridendo lancia il telefono sul divano. Guardo perplessa Matteo, mentre Carlo si alza e va al citofono per aprire il cancello.  

-Carlo chi è?- chiedo dubbiosa. 

-Diciamo che è una tua vecchia... ''amica''- dice facendo l'occhiolino a Matteo.  

Alzo un sopracciglio e penso a chi mai potrebbe essere: una mia amica? Quindi anche amica di Carlo e di Matteo? E chi potrebbe essere?  

Il campanello della porta suona. 

-Cara Deborah, diamo il benvenuto a...- apre la porta, spalanco gli occhi: non ci credo non può essere!  

 

 
 

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ANGOLO DELL'AUTRICE 

Buonasera a tutti!  

Finalmente sono riuscita a postare il nuovo capitolo: lo so, ammetto di aver scritto un po' troppo in una volta sola, ma quando inizio non riesco a finire! E' un capitolo ricco di episodi, ma soprattutto ricco di dialoghi! La narrazione, si fa' sempre più ''leggera'', nel senso che se prima era piena di riflessioni introspettive di Deborah, mano mano che si prosegue queste riflessioni diminuiscono, perché lo stesso animo della protagonista si rilassa e si adatta! Spero che vi piaccia come i precedenti! Lasciatemi delle recensioni, e sarò veramente contenta di leggerle! Grazie ancora a tutti voi che seguite la mia storia, vi ringrazio davvero di cuore!  
Buon continuo delle vacanze a tutti! :) 

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Capitolo 5
*** Una giornata speciale. ***


La porta si apre: non ci credo, non può essere! In tutta la sua bellezza mi si presenta Veronica.      

Con lei abbiamo avuto un bellissimo rapporto: nella scuola è stata sempre lei a tirarmi su di morale, a raccogliermi quando volevo solo che sprofondare nei miei pensieri. L'unica che ha creduto in me dal primo giorno in cui mi ha vista. Ho il cuore pieno di gioia nel vederla.     

-Veronica!- urlo, poggiando velocemente il bicchiere di vino sul basso tavolino di vetro, davanti ai divani. Le corro incontro, e la stringo fortissima in un abbraccio. Il suo solito profumo di vaniglia mi si mette sui vestiti.      

-Deborah! Quanto mi sei mancata!- dice accarezzandomi dolcemente la testa.      

-Tu sei mancata a me! Ma dimmi, che ci fai qui?- ci stacchiamo. Ha dei pantaloncini di jeans, una maglietta con maniche a tre quarti bianca e dei sandali aperti argentati. Come sempre ha i suoi lunghi orecchini, e i suoi bracciali colorati.      

-Qualcuno- dice indicando Carlo e Matteo - mi ha detto che a stare sempre con i maschi ti saresti annoiata, io e i miei ballerini ci fermiamo qui stanotte, e ho pensato di venirti a trovare!- dice con il suo solito, splendido sorriso.       

-Ragazze, non restare sulla porta,  venite a sedervi.- dice Matteo prima che io possa dare una qualunque risposta. Ci sediamo sui comodissimi divani neri di pelle, una di fronte all'altra.       

-Ma dimmi: com'è vivere questo successo? Che dice Danilo di tutti gli spasimanti che hai?- dice sorridendo. Ah, Danilo. Ammetto che lo avevo dimenticato in questi giorni.      

-Bhe ehm ecco, io e Danilo ci siamo lasciati: non era lui la persona... giusta per me.- dico facendomi scudo con un sorriso poco convinto.      

-Ah, mi dispiace...- si giustifica.      

-No tranquilla, non lo sapevi.- rispondo. Il silenzio cade su di noi. Forse perché io non ho voglia di parlare, e Veronica è in un momento di imbarazzo totale.  Lei guarda si guarda intorno cercando un argomento da propormi.      

-Bene, Veronica, vuoi annunciare a Deborah il programma per stasera?- la voce di Matteo spezza quel silenzio orrendo.       

-Ah si si: dunque, cara Deborah, oggi è il 10 di Agosto, la famosa notte di San Lorenzo, e come ben sai stanotte ci sono le stelle cadenti, e la tradizione vuole che si vedano.- tenta di spiegare, anche se è troppo emozionata. La guardo con aria interrogativa.      

-E quindi, visto che Avezzano è un cittadina che non si fa mancare niente- dice lanciando un'occhiata allusiva a Matteo - questa sera festeggiamo!-.      

-Festeggiare? In che senso?- chiedo ancora poco convinta.      

-Questa sera vi porto tutti quanti in discoteca! E appena si fa una certa ora, andremo a guardare le stelle cadenti! Bell'idea, no?- dice cercando approvazione negli sguardi altrui.      

Cavolo, si che è una bella idea! Potremmo ballare, e divertirci e una bella serata tra amici ci vuole proprio!       

-E' una bellissima idea!- dico saltellando sul divano. Sono al settimo cielo. Carlo mi sorride. Stranamente, non mi ha mai staccato gli occhi di dosso da quando è entrata Veronica.    

-Vieni Veronica, ti faccio vedere la casa.- dice Carlo, alzandosi dalla vetrina su cui era poggiato.       

-Con piacere!- le risponde lei, alzandosi dal divano. Insieme raggiungono la cucina, e poi salgono su per le scale.  I loro passi si allontanano e vanno a sfumarsi.     

-Sei contenta per stasera?- dice Matteo avvicinandosi e sedendosi accanto a me. Lo guardo.     

-Tantissimo: non vado in discoteca da quanto? Sette? Otto mesi?- rispondo.    

-Ah, ma questa non è una discoteca qualunque: questa è la discoteca.- dice sorridendo.      

-Non avevo dubbi.- rispondo a tono, ridendo.    

Silenzio. Il mio sguardo è fisso a terra.      

-Sai, l'idea di far venire Veronica è stata di Carlo: ha pensato che chiacchierare con una donna ti avrebbe fatto piacere.- dice Matteo dolcemente.     

Carlo. Quante cose sta facendo per me. Quanto anche con un semplice sguardo riesce a trasmettermi. Un sorriso spunta sulle mie labbra.      

-Lo ringrazio molto.- rispondo. - Sta, anzi state, facendo veramente tanto per me.- dico giocherellando con il bottone della camicia di jeans.      

-Fidati che lo facciamo con gioia: da quando ti abbiamo incontrato tutto è migliorato. In particolare Carlo. Sembra che sia come dire... rinato.- prova a dire. Lo guardo e gli sorrido. Ci scambiamo questi sguardi d'intesa. Penso che abbia capito.      

Il mio telefono squilla, è Lorenzo. Speriamo ci siano novità sulla casa discografica. Matteo si allontana gentilmente, e va in cucina.     

-Pronto?-.     

-Ciao Debby!-.     

-Hey Lollo! Come stai? Novità?- chiedo speranzosa.      

-Io bene, anche se qui a Londra piove sempre-.     

-Sei a Londra?-.     

-Si, sono venuto a lavorare: un produttore molto importante aveva bisogno di me, e così ho preso il primo aereo e sono volato qui. Ma passiamo a quello che devo dirti.- fa una pausa.     

-Sono brutte notizie?-.     

-Assolutamente no! L'uscita del tuo secondo singolo ha prodotto molte vendite. Ti ricordi quando quella rete televisiva ci aveva chiesto di darle l'anteprima del video di ''Piccole cose''? Bene, proprio stamane, sono arrivati i soldi del contratto-.     

-Ah, menomale! Sai che la metà, come sempre, vanno accreditati sul conto dei miei genitori-.     

-Già fatto. Il restante sono stati intestati sul tuo conto personale, e puoi ritirarli anche adesso-.     

-Finalmente!-.'' I soldi sono arrivati, non dovrò più infastidire Carlo e Matteo'' penso.     

-Per quanto riguarda la casa discografica ancora niente... Il disco tarderà ad uscire-.      

-Ah...-.     

-Adesso devo scappare, se hai bisogno di me sai dove cercarmi-.    

-Grazie Lollo, ciao!-.     

Mi sdraio sul divano e tiro un sospiro di sollievo. Almeno ho i soldi, e questo clima di imbarazzo finirà. Fisso il soffitto. Devo ripagarli di tutto ciò che hanno fatto per me, o almeno in parte.     

-Ahahaha!- le risate di Veronica e Carlo proveniente dalle scale interrompono i miei pensieri.     

-Forza Debby, tirati su che ti porto a fare shopping!-. Dice Veronica, dandomi una leggera pacca sulla schiena.    

-Shopping?- chiedo perplessa. Non ho bisogno di niente, almeno credo.    

-Tesoro, vuoi venirci in jeans in discoteca? Suvvia! Un po' di shopping non fa mai male!-.    

Guardo Carlo, come per chiedere una conferma. Lui accenna quel suo mezzo sorriso, con le labbra nascoste.     

-Va bene! Prendo la borsa e usciamo!-. dico alzandomi dal divano.    

Mi avvicino al grande comò che c'è all'ingresso, prendo la mia borsa, ci infilo dentro il telefono e sono pronta. Veronica si avvicina a me ed apre la porta. Mi guardo indietro, verso Carlo e Matteo.   

-Un pomeriggio solo tra donne!- dice insistente Veronica.     

-Ah, certo. Ehm, allora a dopo!-. Matteo e Carlo mi salutano agitando la mano. La porta si chiude, e noi raggiungiamo l'uscita. C'è una piccola macchina color beige parcheggiata di fronte al cancello della villa. E' lucida, si vede che ci tiene.    

-Prego!- accenna Veronica aprendo la macchina con la chiave.    

Entriamo, chiudiamo gli sportelli. La macchina dentro è molto pulita e ordinata: l'odore persistente di vaniglia proviene da ogni angolo dell'autovettura. Ci sono dei piccoli pupazzetti colorati, sopra il posto della radio.     

-Ti porto in un negozio meraviglioso: ci passo sempre quando sono qui.- dice dolcemente.    

-Veronica, prima di andare, avrei bisogno di ritirare dei soldi in banca: sai, ormai sono due giorni che non pago nulla...- dico abbassando lo sguardo.   

Veronica mi guarda, e con la sua mano dalle unghie colorate di fucsia e lunghissime, mi tira su il viso   

-Sta tranquilla, ci fermiamo alla prima banca che troviamo.- le sorrido. Ricambia.   

Accende il motore della macchina, fa retromarcia, e partiamo. Poco dopo intravedo una piccola banca, fortunatamente è quella che mi serve. La vede anche Veronica, accosta la macchina e scendo.    

Entro dentro: non c'è nessuno, è desolata. In effetti non vedo chi dovrebbe ritirare dei soldi il 10 di Agosto, alle quattro del pomeriggio. Mi avvicino alla cassa: c'è una ragazza molto giovane dai capelli rossi raccolti in uno chignon. Ha una camicetta bianca a maniche corte, e delle unghie lunghissime.   

-Buonasera.- dice sorridendo.   

-Buonasera, avrei bisogno di prelevare dei soldi dal mio conto-.   

-Certo. Contanti?-.   

-No, carta di credito-.   

-Prego, mi dia la carta ed un documento-. Le passo il tutto, e quando apre il documento spalanca gli occhi.   

-Ma tu sei Deborah? Quella che ha vinto ''Amici''?-. Ecco. lo sapevo. Adesso mi chiederà perché sono qui, com'è stato vincere il programma, se posso dirle qualche scoop.   

-Si, sono io-.   

-Sono contentissima della tua vittoria! Ho tifato per te dal primo giorno!-. Intanto dal computer arriva un suono, i soldi sono stati accreditati.   

-Oh, ecco. I tuoi soldi. Dice imbarazzata-. Prendo la carta, il documento, lo scontrino, infilo tutto nella borsa e mi dileguo prima che possa farmi alcun tipo di domanda.   

-Grazie mille. Arrivederci-.   

Veronica è li ad aspettarmi. Apro lo sportello, mi fiondo in macchina.   

-Tutto ok?-.   

-Si si, andiamo pure-.   

Sono contenta che la ragazza in banca mi abbia riconosciuta: anche se per me è ancora difficile pensarmi come una ''famosa''. La macchina riparte, ormai il negozio deve essere vicino. Dopo circa dieci minuti di silenzio, Veronica accenna qualcosa.   

-Com'è stare con due uomini?-. Mi blocco: stare in che senso? La guardo perplessa.   

-Dico come amici, scema-. ride.   

-Ah, si ahaha. Ehm, bello. Devo dire che non mi hanno fatto mancare niente. Sono proprio due bravi ragazzi-. Dico sorridendole.    

-E Carlo?-.    

Ecco, la domanda fatale. Lo sapevo, prima o poi me l'avrebbe chiesto. Infondo lei lo sa bene cosa ho passato con lui. Quando ero nella scuola, il periodo del serale, la mia vittoria. E non poteva non uscir fuori questa domanda.   

-Eh, Carlo...-. Mi interrompo un secondo. Prendo fiato.   

-Carlo... è simpatico-. dico poco convinta. Ripenso a quando ci siamo incontrati all'aeroporto, alla sua maglietta sulla mia pelle, al suo odore, sulla mia pelle. Alla sua mano, troppo fredda, che sfiora la mia, sempre troppo calda. Alla sua risata, ai suoi occhi, che quando mi guardano mi sento più ''coperta''.    

Silenzio.    

-Tutto qui? E' tutto quello che pensi su di lui?-. La guardo. Lei lo sa che non è tutto quello che penso. Lo sa benissimo.    

-...e intelligente. E dolce. E una brava persona, insomma.- mi fermo un secondo.    

-Riesce ad essere protettivo, ma non esageratamente. E' riservato, ma sa lasciarsi andare.- mi fermo. Adesso parlare è diventato più difficile. Le parole sono come incastrate e serrate tra i denti. Non sono brava a fare dei lunghi discorsi: sono sempre stata dell'idea che sono più importanti i fatti che le parole. Prendo fiato.   

 -Non so esattamente cosa penso di lui: forse perché ho talmente tante cose da dire che mi si mischiano in testa e non ne esce niente di buono-. sorrido imbarazzata. Riprendo a parlare.   

-Ma, una cosa la so con certezza: se avrò bisogno di lui, ci sarà. E... penso che sia la cosa più bella che una persona possa darti-. Dico girandomi verso Veronica. Lei sorride.   

-Mi sembra di rivedere la Deborah del programma.- dice ridendo.   

-Sai, prima, quando io e Carlo siamo saliti per vedere la casa, lui mi ha detto che la tua presenza qui lo rende migliore: come se alla sua immensa vita, piena di viaggi, di persone, di esperienze,  mancasse un pezzo. E quel pezzo sei tu.-   

La guardo. Sono spiazzata dalle sue parole. Vorrei risponderle che è lui il pezzo mancante nella mia vita. Che io con lui sono completa, forse con lui sono veramente felice. Ma penso che lei lo abbia capito. Tra amici non c'è bisogno di parole. Mi sorride.    

Poco dopo vedo che socchiude gli occhi per osservare qualcosa.   

-Eccoci: siamo arrivate-. Dice entusiasta.   

Posteggia la macchina in un parcheggio a spina li vicino. Spenge i motori, apriamo gli sportelli  e scendiamo. Chiude la macchina, e insieme entriamo in questo grande negozio colorato.   

Vestiti, magliette, pantaloni, pantaloncini, canottiere lunghe, canottiere corte, giacchetti leggeri, giacchetti più pesanti, dei grandi stand con orecchini, anelli e bracciali a quantità industriale. Luci colorate e cartelli luminosi costellano tutto l'immenso negozio, e un intenso profumo di lavanda mi si attacca ai vestiti.   

-Ti piace?- mi dice Veronica sorridendo.   

-E' stupendo!- tento di dire, anche se sono estasiata a quella vista. Veronica fa segno di seguirla. Mentre camminiamo, osservo i vestiti intorno a me: sono veramente belli. Ce ne sono di tutti i tipi: colorati, scuri, con delle stampe, tinta unita. Veronica si fa spazio in un angolo del negozio, io la seguo. Si ferma: intorno a noi ci saranno mille, ma che dico, diecimila tipi di abiti diversi. Rimango a bocca aperta.   

-Da quanto tempo non facevi shopping?- dice.   

-Da un po'.- tento di dire, anche se la vista di tutti quegli abiti mi lascia senza parole.   

-Bene. Scegline uno per stasera. Qualsiasi, a patto che lo approvi io.- dice sedendosi su una poltroncina bianca, vicino ai camerini. La guardo sbalordita.   

-Ma sono, tantissimi!- dico girando lo sguardo di continuo da un abito all'altro.   

-E va bene, facciamo a cambio: siediti tu qua. Scelgo io per te.- si alza, e mi fa sedere. Comincia a prendere un vestito, poi un altro ed un altro ancora. Fino a che non arriva a circa una trentina.   

-Mh, direi per ora bastano. Su, vai a provarli.- e mi lascia tra le braccia questa quantità di vestiti. Mi alzo, ed entro nei camerini. Li lascio cadere lentamente sul piccolo tavolino nero del camerino.  Sono tantissimi, da dove comincio? Ne prendo uno, bordeaux, mono-spalla, con una grande cintura nera in vita. Mi spoglio, e lo indosso. Mh, carino. Chissà che dirà Veronica. Esco dal camerino.   

-Che ne dici?-.   

-Mhh.- riflette un attimo. -No. Siamo in estate, il colore deve essere allegro. Prossimo!-.    

Torno in camerino, sfilo il vestito bordeaux e ne provo uno abbastanza colorato, di un giallo evidenziatore. E' senza maniche, ed ha un grande fiore di stoffa, sempre giallo evidenziatore, posto sulla gonna al lato destro. Esco nuovamente dal camerino.   

-Hai voluto il colore? Eccolo qua!- dico facendo una piroetta. Devo dire che la cosa inizia a piacermi.    

-Oh, no! Troppo colore! Dobbiamo andare a ballare, non sullo scaffale di una cartoleria. Prossimo!- rido. E diligentemente torno nel camerino. Non vorrà farmeli provare tutti?   

Il tempo passa: prima un vestito verde scuro, poi uno rosa, ancora uno grigio, che mi piaceva tantissimo, poi uno con lo scollo al cuore, un altro con una cintura nera in vita. Il tempo passa, ma Veronica sembra convincersi sempre di meno. Mi sfilo l'ennesimo vestito, color rosso fuoco, e lo getto nella seggiolina del camerino. Sono esausta. Ormai sono circa tre ore buone che metto e tolgo vestiti. Mi fermo un secondo a riflettere: basta, il prossimo che prendo sarà l'ultimo. Afferro dalla pila immensa di vestiti che strabordano dal piccolo tavolino nero del camerino, un vestito color verde acqua: lo indosso. Ha delle maniche a tre quarti di pizzo sempre verde acqua, uno scollo quadrato, e dire anche abbastanza lungo, è stretto in vita ed ha una gonna che si apre leggermente in fondo. Arriva circa alle ginocchia. E' leggerissimo, e sembra che me lo abbiano cucito addosso. Mi guardo allo specchio: ammetto che questo mi piace davvero tanto. Sembro più magra, più alta. Insomma sembro quasi ''bella''. Esco fuori dal camerino, sperando che Veronica non s'inventi qualcosa.   

-Questo mi piace: è colorato, ma non troppo, va bene per una sera in un locale e mi fa sembrare anche più magra!-.  

Veronica mi scruta attentamente. Poi si alza, mi gira intorno, e dopo un silenzio in cui (penso) che abbia riflettuto comincia a battere le mani.  

-Si! E' lui il vestito perfetto! L'abbiamo trovato!-. Dice sorridendo e saltellando come una ragazzina.   

-Finalmente.- tiro un sospiro di sollievo. E torno a cambiarmi. Esco dal camerino, e Veronica ha un paio di scarpe in mano: dei tacchi vertiginosi neri. Mi sorride e mi fa cenno di seguirla alla cassa.  

Dopo aver pagato, usciamo dal negozio e arriviamo alla macchina. Sono quasi le otto di sera.  

-Siamo entrate che era giorno e usciamo che è notte!- dico allacciandomi la cintura. Veronica ride. Il telefono vibra: sarà sicuramente Lorenzo. Lo prendo ma esce un altro nome.  

Carlo.   

''So che con Veronica lo shopping è infinito, ma noi uomini avremmo fame.''  

Leggo il messaggio più volte. Come per auto-convincermi che si Deorah, Carlo lo ha scritto a te. Non mi aveva mai mandato un messaggio, e leggere quel nome mi ha fatto sentire... strana. Le gambe mi tremano. Non importa cosa ci sia scritto, importa che lo abbia inviato lui: che abbia preso il suo telefono, abbia digitato il mio numero e me lo abbia mandato. Che abbia pensato a me mentre digitava quei numeri.   

-E' Carlo, vero?- la voce di Veronica interrompe i miei pensieri.  

-Ehm si, come lo sai?-.  

-Te lo leggo negli occhi, tesoro.- mi fa l'occhiolino. La guardo. Cosa mi succede? Perché sento che mi tremano le gambe quando parlo di lui? 

 La strada non è tanta, e dopo neanche quindici minuti siamo di nuovo davanti la villa. Veronica parcheggia la macchina, scendiamo e suoniamo al citofono. Senza rispondere ci aprono. Arriviamo fino alla porta, bussiamo e Matteo ci apre.  

-Finalmente! Allora è vero quando dicono che con Veronica  non bisogna mai fare shopping è vero!- dice Matteo, aprendoci la porta. 

Entriamo.  

 

 

ANGOLO DELL'AUTRICE  

Buonasera a tutti! Scusate se vi ho fatto aspettare troppo per questo capitolo: ho avuto vari impegni, e tutte le volte che provavo a scrivere ricancellavo tutto! Comunque: ho voluto provare a cambiare modo di scrivere. Avete scoperto che la persona ''amica'' di Deborah è appunto Veronica. Ho pensato a chi potesse essere, ma mi è venuta in mente da subito lei. Dicevo, ho cambiato (giusto per provare un po') scrittura: è molto più discorsiva, e meno dettagliata. Ho voluto lasciare alcune parti più semplici, sempre per rispecchiare l'umore della protagonista (Deborah). Spero che vi piaccia, e comincio già da adesso a scrivere il prossimo capitolo! Uscirà molto presto perché sono impaziente di scriverlo! Spero che lo apprezziate, e vi ringrazio tantissimo per le visualizzazioni! Vi mando un grosso bacio, e buone vacanze! Continuate a recensire! <3 

 
 

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Capitolo 6
*** Vodka e divertimento! ***


Sono le nove e mezza di sera. Dopo un'abbondante cena, preparata accuratamente da Veronica, abbiamo deciso di rilassarci un po' prima di andare al locale.    

Siamo nella sala musica, Matteo ci sta facendo sentire un'improvvisazione sulla batteria. Carlo è seduto su un piccolo sgabello accanto a lui, osservando ogni piccola mossa che fa con le mani il fratello, come per correggerlo. Veronica ed io siamo sedute su due poltroncine piccole e rosse, accanto a loro. La camera è molto grande. Le pareti sono tappezzate da poster e da quarantacinque giri incorniciati. Veronica è molto tranquilla: dopo cena ci siamo sistemate nella camera degli ospiti, ognuna sul proprio letto. Io invece sembro agitata: non so perché, ma ho come un peso sullo stomaco. Come se dovessi liberarmi di qualche cosa. Guardo Carlo, e credo di aver capito qual è il ''peso''. Sinceramente da quando sono qui non faccio altro che pensare a lui. Si, Veronica più o meno ha capito cosa provo, ma non può di certo aiutarmi: domani mattina parte di nuovo, ed io sarò sola con loro due. Chi mi aiuterà quando lei sarà partita?    

-Bene ragazzi: io direi di cominciare a prepararci, così per le undici circa siamo là. Che ne dite?-. Ci accenna Matteo, alzandosi dalla seggiolina della batteria e togliendosi le cuffie.   

-Direi proprio di si, io e Deborah dobbiamo prepararci. Andiamo Deb?-. La voce di Veronica mi sveglia dai miei, soliti, pensieri.   

-Ehm, certo. Andiamo!-. Mi alzo. Veronica è già uscita dalla porta, e si dirige nella nostra camera. La seguo. Entriamo tutte e due, e lei chiude la porta alle sue spalle.   

-Forza, abbiamo un sacco di cose da fare!-. Dice fiondandosi sulla sua valigia. Tira fuori un vestitino bianco, molto attillato, con uno scollo a cuore e delle maniche a canottiera. Poi prende delle scarpe con il tacco sempre bianche e molto lucide.    

-Aspettami qui!- mi fa l'occhiolino e si chiude in bagno.    

Io intanto prendo dalla busta, accanto alla sedia della scrivania, il mio vestito. Lo sistemo per bene sul letto. ''Certo che è veramente un bell'abito''. Penso tra me e me. Chissà cosa dirà Carlo quando mi vedrà: forse penserà che vestita così sembro ridicola? Oppure che sembro una sgualdrina così scoperta? E poi con quei tacchi? Riderà per come ci cammino? E se poi cado e tutti si mettono a ridere? Oh mio Dio, mi sto facendo mille film mentali.   

-E.... eccomi qua! Ti piaccio?- Veronica apre la porta del bagno, esce e fa una piroetta per farmi ammirare tutta la sua infinita bellezza. Sembra una visione angelica: come se luccicasse ogni volta che si muove. Ha delle gambe pazzesche, e una vita strettissima. E' perfetta.    

-Oh Dio. Ma sei perfetta.- è l'unica cosa che sono in grado di dire.   

-Bhe ehm, mi sembra un po' esagerata come reazione. Comunque grazie-. Dice avvicinandosi al vestito.    

-Ma credo che questa sera l'apice della bellezza non lo raggiunga io: questo vestito è fantastico, Deb-. Dice sorridendomi.    

-Lo so.- dico sedendomi sul letto, e sospirando. Il vestito è meraviglioso, il problema è che io non lo sono-. Veronica si siede accanto a me.    

-Hey? Vogliamo lasciarlo qui, o te lo metti?-. Noto che quello che dice è un po' ironico. La guardo con uno sguardo fulmineo.   

-Okay, okay.- dice alzandosi e mettendosi in piedi di fronte a me.   

-Quel vestito ti rende una favola. Molto di più di quanto lo facciano i tuoi amati jeans. Per una sera, potresti pensare a te stessa senza rendere conto agli altri?-. Dice gesticolando.   

-Guardo che lo so a cosa stai pensando.- dice sedendosi sulla scrivania.   

La guardo intensamente.   

-Questa sera non succederà niente. Non cadrai, non ti macchierai il vestito di vino rosso, anche perché non credo che lo servano. Non ballerai sembrando un piccolo pinguino che tenta di volare, e non ti prenderai nessun tipo di sbronza. Si cara mia, non voglio mica passare la notte a vedere te che fai avanti e indietro dal cesso-. Dice prendendo dalla sua valigia una grande trousse, e poggiandola proprio davanti al piccolo specchio che si trova sulla scrivania.   

Rido. L'immagine di Veronica che insonnolita mi tira dietro tutti i santi perché la sveglio di continuo è esilarante.   

-Allora? Ti sbrighi o no?-. Dice sorridendomi. Mi sento meglio. Ma si. Questa sera devo solo pensare a divertirmi. Al diavolo tutti i film mentali. Mi alzo, prendo il vestito, le scarpe nere e prima di andare al bagno do un bacino sulla testa di Veronica.   

-Ma come farei senza di te?-. E corro al bagno, chiudendomi la porta alle spalle.    

Eccoci di nuovo. Io e lo specchio. Comincio a togliermi la camicia di jeans, poi la canottiera, i pantaloni. Le scarpe sono andate via già da un pezzo e con loro i calzini. Prendo il vestito, è veramente leggero. Lo indosso. La stoffa scivola lentamente sulla mia pelle. Profuma ancora di lavanda. Sistemo le maniche di pizzo e la gonna. Poi prendo le scarpe. Le metto, anzi, ci salgo su. Eccomi qua: sono una ragazza giovane, carina e che non deve preoccuparsi di cosa pensa la gente.    

Esco dal bagno timidamente. Era da un bel po' che non mettevo un vestito. Chiudo la porta del bagno.   

-Oh, mio, Dio.- dice Veronica scandendo per bene le parole.   

-Non ti piace, vero?- rispondo impaurita.   

-Scherzi? Sei... oh non trovo le parole. E questo fisico dove lo tenevi nascosto!- dice avvicinandomi a me, e girandomi intorno.   

-Devo ancora truccarmi!- dico sedendomi alla scrivania, al suo posto.    

-Ah si, tranquilla. Prendo pure tutti i trucchi che vuoi: ho qualsiasi tipo di ombretto.- dice avvicinandosi a me.   

Mi passo velocemente il fondotinta, correttore. Poi traccio una linea di eyeliner abbastanza lunga. Un ombretto perlato, molto leggero ed un rossetto nude sulle labbra. Fortunatamente ho i capelli messi bene. Sono lisci e sembrano piastrati. Li dò una sistemata con le mani e mi giro verso Veronica, che stava controllando il cellulare.   

-Allora? Come sto?-. Dico avvicinandomi a lei.    

-Sei divina tesoro-.   

-Addirittura!- e ridiamo tutte e due insieme.   

Sentiamo bussare la porta.    

-Ragazze noi siamo pronti. Vi aspettiamo giù in salotto.- ci avverte Carlo.   

-Siamo quasi pronte Carlo, due minuti e scendiamo-. I passi si allontanano.    

Prendo la borsa, che fortunatamente essendo nera e anche piccola va bene per il mio vestito.   

-Ma come fai a distinguere la voce di Carlo da quella di Matteo?- dice Veronica sbalordita.   

-Bhe sai... abitudine!- dico sorridendole. Mi fa cenno di scendere, spingendomi lentamente la spalla e ridendo.    

Apro la porta, Veronica esce dopo di me spengendo la luce e chiudendo.    

Arriviamo alle scale: Carlo e Matteo sono in piedi accanto al divano.    

Scendiamo lentamente le scale, io ovviamente guardo a terra per non rischiare una caduta orrenda. Arriviamo al pavimento, finalmente. Alzo lo sguardo: Carlo è a bocca aperta, Matteo non è da meno, e dopo aver fischiato, in senso buono, dice:   

-Salve belle ragazze, qualcuna di voi è libera questa sera?- Veronica ed io ridiamo.   

-Mi dispiace per lei, mio bel giovanotto, ma ho un fidanzato che mi aspetta a casa-. Dice Veronica passando davanti gli occhi di Matteo, vestito con una camicetta blu con le maniche arrotolate al gomito e dei pantaloni scuri.    

-Ah, ma io non sono geloso-. Dice con il suo solito sarcasmo.   

-E allora per questa sera farò un'eccezione: su, mi porti alla carrozza!- dice aprendo la porta di casa. Matteo la prende sottobraccio ed escono.   

Non mi sono accorta che durante tutto ciò Carlo non mi ha ancora staccato gli occhi di dosso: forse il vestitino colorato funziona.   

-Simpatici quei due!- dico per cambiare discorso.    

-Cavolo Deborah, sei bellissima.- Mi fissa. Sono leggermente in imbarazzo. Lo guardo meglio anche io: ha dei pantaloni scuri e delle scarpe nere, una camicia bianca a maniche lunghe, ed una cravatta nera, ben annodata. I capelli sono tirati indietro, dal troppo gel che si è messo. E' veramente bello.   

-Bhe, anche tu non scherzi-. Dico accennando un sorriso. Ci guardiamo negli occhi: ancora. Sempre la stessa scena.  Sempre i soliti personaggi. Potranno passare giorni, mesi, anni. Ma io da quegli occhi non mi staccherei mai. Adesso, in questo esatto istante vorrei prenderlo per quella cravatta, e tirarlo addosso a me. E baciarlo. Toccare finalmente, con le mie, le sue labbra consumate dal troppo mordicchiarle. E poi continuare, fino a che le mie non sanguinano. E guardarlo ancora negli occhi. Perdermi, nei suoi occhi. Perché io naufragherei se il mare fossero i suoi occhi.    

-Ragazzi, muovetevi!- la voce di Matteo spezza, per l'ennesima volta, quell'attimo magico. Giro lo sguardo velocemente, scaldandomi la gola. Carlo prende le chiavi di casa, e usciamo. Cammino velocemente e raggiungo la macchina prima di lui, che si è fermato a chiudere prima la porta, e poi il cancello esterno. Apro lo sportello, entro. Nei sedili davanti alla guida c'è ovviamente Matteo. E dietro invece c'è Veronica. Mi siedo accanto a lei, e chiudo. Poco dopo ci raggiunge Carlo.   

-Pronti?-. Dice Matteo.   

-Pronti-. Rispondiamo in coro.    

Siamo arrivati: scendiamo tutti dalla macchina e Matteo la chiude con la chiave a infrarossi.    

Il viaggio non è stato lunghissimo: ci abbiamo messo circa un'oretta. Purtroppo si trova  molto in alto, su una collina abbastanza ripida, e per arrivare fino in cima, abbiamo dovuto girare tutto intorno.    

-Ragazze, benvenute!- dice Matteo facendoci strada. E' un locale molto carino: all'entrata ci sono dei camerieri che prendono le borse e quant'altro. Più avanti un corridoio piccolo e buio. Dopo aver lasciato le borse, ci dirigiamo verso il corridoio. C'è una grande porta nera, insonorizzata. La apriamo. Siamo subito travolti da una musica assordante, gente che balla, che corre, che grida. Fortunatamente Matteo e Carlo sono amici del proprietario, quindi ci hanno riservato la sala ''vip''. Dopo aver tentato di superare la gente, arriviamo nella saletta, posta poco sopra la pista. Ci sediamo.    

-Prendiamo da bere?-. Chiede Matteo.   

-Certo!-rispondo.   

-Vodka per tutti? Almeno iniziamo la serata come si deve!- urla Matteo. Il suono della musica è molto alto, e per parlare bisogna gridare.   

-Carlo mi accompagni?- dice alzandosi.   

-Andiamo-. Risponde Carlo.    

Poco dopo tornano con quattro bicchieri di vodka. Veronica è la prima a finirlo. Poi Matteo, io e infine Carlo, che è anche indeciso.   

-Non bevi?- chiedo sorridendo.   

-Non reggo molto l'alcol...- dice imbarazzato. Ma alla fine lo butta giù in un attimo.   

Le ore passano in fretta: abbiamo ballato, bevuto, parlato tra di noi, bevuto, scherzato, e ancora bevuto. Mi gira leggermente la testa, ma fortunatamente so reggere bene l'alcol. Infondo ho lavorato per quattro anni in un bar di una discoteca. Veronica sembra già un po' brilla e sta ballando insieme a Carlo. Io e Matteo ci stiamo riposando sui divanetti.    

-Sono sudato fradicio!-. Urla Matteo.   

-A chi lo dici, non so a che punto mi sia colato il trucco!- dico ridendo.   

-Hey, è mezzanotte! Andiamo a vedere le stelle di fuori, ti va?- mi chiede.    

-Certo! Recuperiamo quei due?- dico indicando Veronica e Carlo, che ''ballano'' al bordo della sala vip. Matteo sbuffa, e si alza. Mi alzo con lui, e trasportiamo letteralmente, Carlo e Veronica nella terrazza di fuori.    

E' stupenda. La vista è mozzafiato, la terrazza si affaccia proprio su tutta la città. Si vedono in lontananza le luci delle case, che col passare del tempo si spengono lentamente. Fa un po' freddo. Il vento mi passa attraverso i capelli scompigliandoli.    

-Guarda vedo tante stelle!- biascica Veronica, ormai sbronza, dimenandosi. Matteo la sostiene, per non farla crollare a terra. Carlo è accanto a me. E' silenzioso come sempre, e non sembra ubriaco. Ha solo un po' gli occhi lucidi.   

-Eccola, una stella cadente! Esprimete un desiderio!- dice Matteo, indicando il cielo.   

-Desidero un altro bicchiere di tequila con tanto tanto limone, e l'ombrellino rosa.- accenna Veronica, o almeno credo di aver capito così.   

-Ma non si deve dire!- La rimprovera Matteo, tenendola sempre sottobraccio.   

-No no, lo voglio rosa.- biascica ancora. Oh Dio, è proprio andata. E menomale che ero io quella che passava la notte facendo '' avanti e indietro per il cesso ''.    

-Tu Deborah?- mi chiede Matteo.   

Tocca a me. Cosa posso de cui guadagnavo tanti soldi. Un po' di tranquillità per mia madre, una borsa di studio per mia sorella o  di diventare io, una cantante.  Ma, i miei desideri si sono avverati senza nessun tipo di stella. Guardo il cielo, e poi guardo Carlo. Si. Eccolo, il mio desiderio. Senza ombra di dubbio.   

-Fatto!- rispondo soddisfatta a Matteo.    

-Ora tocca a te Carlo!- dice tenendo Veronica.    

Carlo si ferma per un istante a fissare il cielo: sembra pensieroso. Chissà cosa desidera.    

Silenzio. Poi si gira lentamente verso di me. Mi guarda.   

-Non ho bisogno di esprimerlo, ce l'ho già, il mio desiderio-. Accenna un sorriso.    

Ecco la prova che è ubriaco. Aspetta un momento: si riferisce a … me? Sono... io il suo desiderio? No. Sicuramente non è così. Non può esserlo. Insomma, si riferirà a qualcosa con la sua musica, magari un contratto o un incontro speciale. Ah si ci sono: probabilmente si riferisce al nuovo tour in giro per l'Italia che comincerà in inverno con la sua band. Si si, è sicuramente quello. Mi tremano, letteralmente, le gambe. Sento il cuore battermi ed arrivarmi fino alla gola. Il respiro si fa affannoso: se sono così convinta che non si riferisce a me, perché mi batte così forte il cuore?   

Rientriamo. Torniamo alla sala.  Mi sento lo stomaco sottosopra. Veronica è di nuovo al suo angolo, con un bicchiere di qualchecosa in mano: Matteo è accanto a me, e stiamo ballando. Carlo è ai divanetti, e si sta scolando cinque, sei, forse sette shortini.    

-Ti va di bere?- chiedo a Matteo.   

-No, grazie. Dopo devo guidare, e per come stanno messi quei due chi vi riporta a casa?- dice sorridendo. In effetti ha ragione.  

 

ANGOLO DELL'AUTRICE
 

Salve a tutti! Intanto vi ringrazio per le recensioni, mi riempite il cuore di gioia veramente. Ecco qua un altro capitolo. Finalmente Deborah, Veronica, Carlo e Matteo arrivano nella ''discoteca''. Vi dico solo che ne vedremo delle belle! Questo capitolo in realtà non ha una vera e propria conclusione, perchè continua, ma essendo troppo lungo ho dovuto dividerlo a metà! Quindi il prossimo capitolo arriverà praticamente tra poco, perchè l'ho già scritto. Spero che vi piaccia, continuate a recensire, e buon continuo delle vacanze a tutti!
 

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Capitolo 7
*** ''Ti amo, Deborah.'' ***


Il tempo è volato velocemente: sono quasi le due e mezza di notte. Dopo poco dall'ultimo drink, Veronica si è accasciata sui divanetti. E si è addormentata, come una bambina. Matteo è rimasto a ballare, conoscendo anche due ragazze. Carlo invece non smette di bere, e si agita sulla pista da ballo. Vedo che è proprio in brutte condizioni. Ad un certo punto lo vedo cadere. Mi precipito subito in suo soccorso. E' vicino alla sala vip.     

-Diamine Carlo, tirati su!- urlo tentando di tirarlo per il braccio. -Dai, non ce la faccio! Sei venti centimetri più alto di me!- tento di spiegargli. Ma è inutile. E' ubriaco fradicio.     

-Hey bella, sdraiati qua c-c-con me-. Biascica. Cavolo, è proprio andato.    

-Alzati immediatamente!- tento di urlare, ma niente, non si schioda di lì. Fortunatamente arriva Matteo ad aiutarmi.    

-Oh Dio Deborah! Scusami, da parte sua! - lo prende e lo tira finalmente su.    

-Ecco arrivato il supereroe … chi sei, Batman? - dice Carlo, anche se non si capisce poi tanto.     

-Si, sono Batman, adesso ti porto nella bat-mobile e poi nella bat-caverna!- ironizza come sempre Matteo. Lo guardo severa, adesso non è il momento di scherzare.    

-Deborah, tienilo tu sottobraccio, io devo andare a recuperare quell'altra.- dice stanco. Prendo Carlo sotto braccio, e raggiungiamo l'uscita.    

-Deborah, me lo dai un bacino?- dice spingendomi. Non riesco a tenere l'equilibrio con questi tacchi.     

-Carlo finiscila!- tento di urlare.     

Finalmente raggiungo la porta, la apro. Dietro di me c'è Matteo che tiene in braccio Veronica.     

Usciamo dal locale, e sento come se le mie orecchie tornassero a sentire. Il rumore della musica era davvero assordante. Mi gira leggermente la testa, ma devo restare cosciente, almeno io. Carlo continua a biascicare qualcosa, lasciandosi andare completamente al mio braccio. Arriviamo alla macchina: Matteo la apre, e carica Veronica nei sedili posteriori. Poi viene da me, aiutandomi a sistemare anche Carlo, che continua a sparare parole senza senso.   

Apro lo sportello, e salgo in macchina. Sale anche Matteo. Tiro un sospiro di sollievo.    

-Ah... mi fa male la schiena...- dico allacciandomi la cintura distrattamente.    

-Deborah, davvero, scusami.- tenta di giustificarsi Matteo.   

-Tu non c'entri niente. Sta tranquillo.- gli sorriso. Lui ricambia.   

-Andiamo va, che è tardi.- inserisce le chiavi ed accende il motore.    

-Che bella la bat-mobile anche se mi sembrava diver...sa.- dice ancora Carlo, muovendosi.    

-… appunto.- dico a Matteo, che ridendo fa retromarcia, partendo.    

Il viaggio più o meno è stato come all'andata: anzi è durato di meno, la strada era libera, e Matteo ha guidato tranquillamente. Conosce il paese come le sue tasche. Io sono stata tutto il tempo a riflettere. Mi chiedo cosa farò tra poco. Non posso mica rimanere a vivere a casa dei genitori di Carlo e Matteo, e cosa più importante, non posso mica rimanere a vivere con loro due. Anche se, a dirla tutta non mi dispiacerebbe.   

Mi guardo nello specchietto retrovisore: sembro uno spettro.   

-Eccoci arrivati.- dice Matteo, parcheggiando la macchina davanti al cancello. Mi slaccio la cintura, lui intanto scende, e prende Veronica che ha continuato a dormire. Carlo è ancora sveglio, ma continua a parlare.   

-Matteo, tu vai tranquillo con Veronica: ci penso io a Carlo.- dico dolcemente. Infondo anche Matteo è stanco. Mi sorride in senso di approvazione, mi lancia le chiavi della macchina e comincia ad andare verso la porta di casa, lasciando il cancello aperto.   

Io intanto apro lo sportello di Carlo e lo accompagno a scendere. Cammina un po' traballante, e non credo che gli sia passata completamente la sbronza. Chiudo la macchina, e insieme andiamo verso casa. Entriamo, chiudo la porta alle mie spalle.   

-Adesso andiamo a dormire, che è la cosa migliore... - dico a Carlo.   

-Vieni anche tu con me?- mi risponde. Odio il suo comportamento. Non l'ho mai visto ubriaco, e se dovessimo uscire un'altra volta spero proprio che non ricapiti.   

Appoggio le chiavi nel comò dell'ingresso. Matteo è già salito in camera di Veronica, per sistemarla. Salgo le scale, tenendo il braccio di Carlo dietro al mio collo, per evitare che si sbilanci troppo e cada, diretti verso la penultima stanza, prima della sala musica. Ormai la conosco benissimo, come se fosse casa mia.   

Apro la porta: la camera è abbastanza grande, ma neanche troppo In confronto al resto della casa sembra piccola. C'è un letto a due piazze, con delle lenzuola grigio scuro. Ci sono poster di cantanti anni novanta, che tappezzano tutte le quattro pareti. Una scrivania di legno scuro, con dei libri, alcuni fogli sparsi qua e là, e dei videogiochi abbastanza vecchi. Mi ricordo che mio cugino ne aveva alcuni simili, sono anch'essi degli anni novanta. Un armadio, sempre di legno scuro, e una chitarra. Ha vari disegni sopra: alcuni stickers, alcune scritte con la penna, altre incise. Sembra la chitarra di un adolescente. Che infondo è così: Carlo e Matteo sono andati via di casa quando avevano circa diciotto, diciannove anni. E si sono trasferiti a Roma. E' qui che hanno concluso definitivamente la loro infanzia, la loro adolescenza. In questa stanza sembra che il tempo si sia fermato: tutto è bloccato ed incastrato perfettamente. Penso a quando Carlo era adolescente, che magari si rinchiudeva qua dentro quando non aveva voglia di parlare con nessuno. Quando il mondo di fuori gli sembrava troppo poco per quello che lui desiderava.  

 Carlo va subito a sdraiarsi sul letto. Cerco l'interruttore della luce, ma non lo trovo. Fortunatamente c'è anche una grande finestra, da cui entra la luce della luna che basta ad illuminare la stanza. Intravedo che ci sono anche varie cartoline e foto di posti esotici attaccate maldestramente con dello scotch sul muro. Cuba, Copacabana, Rio de Janeiro. Spiagge stupende, che io ho solo visto in sogno.   

-Deborah, devo dirti una cosa.- dice Carlo, tirandosi su e sedendosi sul letto. Sospiro. Adesso può dire quello che vuole, tanto non ha senso. Non si rende conto nemmeno lui di cosa sta facendo.  

-Dimmi.- dico sedendomi accanto a lui. La luce che entra dalla finestra, ma che dico, la luce della luna ha un effetto strano su Carlo: quando è giorno i suoi occhi non risplendono così fortemente. I suoi capelli sono tornati come prima, e sono leggermente bagnati di sudore. Ormai il nodo che aveva alla cravatta si è sciolto, ed è penzolante sulla sua camicia, completamente stropicciata. Sorrido. Vorrei aiutarlo a sistemarsi, ma è meglio lasciarlo dormire e sistemarsi da solo.   

Mi guarda. Sembra essersi calmato un po'. O almeno non ha ancora parlato di supereroi, come ha fatto per tutto il tempo in macchina.  

-Sai... io sono... molto contento che tu stia qui con me... e non voglio che vai via...- le sue parole sono ancora un po' confuse. Forse si sta scusando per avermi fatto rischiare di rompermi l'osso del menisco e la spina dorsale per sorreggerlo tutto il tempo. Ma continuo a sorridergli, perché mi sembra così tenero.   

Si ferma per un secondo. All'improvviso mi prende le mani, e le stringe. Nonostante l'ubriacatura sono ancora congelate, in confronto alle mie che sono rosse e bollenti. Mi guarda negli occhi: sono molto lucidi, si vede che è completamente sbronzo. Lo guardo anche io.   

-Io... ti amo Deborah.- spalanco gli occhi. Come se un secchio di acqua congelata mi avesse travolto. Sento che un brivido mi scende lungo la schiena ed arriva fino ai piedi. Le gambe mi tremano, e di certo i tacchi non aiutano. Ha detto che mi ama. Carlo ama me. Il professore di canto Carlo ama me. Il mio professore di canto ha detto che mi ama. Le sue parole mi risuonano nella mente. Vorrei rispondergli: si Carlo, anche io ti amo. E lo so dal primo giorno in cui ho messo piede in quella scuola. In cui ho incrociato quegli occhi che anche in questo momento mi mettono in soggezione. Da quando in quella mattina soleggiata di Giugno ti ho visto per la prima volta. Perché adesso vorrei solo cadere nelle tue braccia, e rimanerci per sempre. E poi vorrei baciarti, e non lasciare le tua labbra per niente al mondo, e sdraiarmi su questo letto con te, e fare l'amore fino a che non siamo stanchi morti. Ed aspettare l'alba accanto a te. Vedere la nascita di un nuovo giorno. Vedere la nostra nascita.   

Cambia sguardo, e capisco che, purtroppo non è reale ciò che dice. E' sbronzo marcio, adesso potrebbe succedere qualunque cosa e lui non se ne ricorderebbe domani mattina. Mi sento un vuoto nel cuore. Deborah sii realista. Dopo aver parlato di supereroi per circa un'ora come può essere serio?  

-… adesso dormi, Carlo.- dico accarezzando le sue mani e alzandomi.   

-Non me lo dai un bacio?- continua a dire.  

-Buonanotte.- dico salutandolo con la mano. Chiudo la porta. Tiro un sospiro, chiudendo gli occhi. Chiudo dentro Carlo, quello che ha detto, i giorni che ho passato con lui, l'incontro all'aeroporto, la piccola stanza d'albergo, la sua maglietta, il suo odore sulla mia pelle, il ''sei bellissima'' e  la serata, il ''desiderio'' di cui parlava sulla terrazza della discoteca. Chiudo tutto dentro. Chiudo dentro anche un piccolo pezzo del mio cuore. Così da poter, come Carlo, dimenticarmi tutto domani mattina, anche se credo che non sarà così semplice. Mi stacco, a fatica, dalla porta. Sarebbe da ipocriti non ammettere che l'aprirei di nuovo e mi butterei tra le sue braccia. La guardo per un'ultima volta: come per sperare che da un momento all'altro si apra, e Carlo mi dica che non è ubriaco e che mi ama davvero. Sogni, Deborah. Un'altra cosa da aggiungere alla tua immensa lista di sogni irrealizzabili.   

Mi tolgo le scarpe, non ce la faccio più a stare su questi trampoli. Le raccolgo da terra e mi incammino verso la stanza mia e di Veronica. L'ultima dalla parte opposta del corridoio.    

-Hey, buonanotte wonder woman!- una voce mi chiama da dietro. E' Matteo, che torna in camera sua. Gli sorrido.  

-Buonanotte superman!- ridiamo. Non lo ringrazierò mai abbastanza per farmi ridere quando ce n'è bisogno. Si porta la mano sulla fronte, come per fare il saluto militare. Ricambio. E lo vedo allontanarsi, sorridendo.   

Con un mezzo sorriso sulla bocca apro la porta della stanza: Veronica è sdraiata, se così si può definire, visto che è a pancia sotto, con un braccio e una gamba che penzolano dal letto, con una scarpa sola e il lenzuolo tutto stropicciato sulla schiena. 

Sistemo diligentemente le scarpe accanto al mio letto. Mi stiro un po' la schiena. ''Meglio che mi metto a dormire anche io.'' penso tra me e me. Apro la mia valigia, che è ancora intonsa in un angolo della stanza. La apro, tentando di non svegliare Veronica. Mi metto a cercare una maglietta per dormire, ma appena sfioro i vestiti mi viene in mente la scena in cui Carlo mi da la sua maglietta. Afferro la prima cosa che trovo e chiudo velocemente la valigia. No, non posso continuare a pensare ancora a lui, non può starmi sempre in testa. Corro in bagno e chiudo la porta. Accendo la luce. Mi faccio una coda alta, fa caldo e i capelli sciolti non mi aiutano. Poi mi sfilo il vestito, e lo sistemo delicatamente piegandolo in un angolo, sopra agli altri miei vestiti. Devo trattarlo con cura, perché questa serata la vorrò ricordare per sempre. Prendo la maglietta che ho tirato fuori dalla valigia: è nera, molto lunga, con alcune stampe e scritte sopra. La infilo. Mi arriva quasi alle ginocchia: cavolo, qualche tempo fa mi stringeva in vita e adesso mi sta due volte! Sorrido. Poi prendo lo spazzolino, e mi lavo velocemente i denti.  

Spengo la luce, e mi sdraio sul mio letto. Fisso il soffitto.  

''Ti amo, Deborah.'' Non ce la posso fare. La sua voce mi risuona nella testa. Perché lo ha detto! Non poteva starsene zitto? Lui domani mattina non si ricorderà niente, mentre io continuerò a rivivere quella scena ogni fottutissima volta che incrocio il suo sguardo, o sento pronunciare il suo nome. Mi giro sul lato destro, con la faccia verso il muro. Chiudo forzatamente gli occhi. Anche se faccio la forte, ammetto che una lacrima mi è scivolata giù velocissima.  

Continuo a rigirarmi nel letto. Prima a sinistra, poi torno dritta, un'altra volta a destra. Stanotte non chiuderò occhio me lo sento.  

Decido di tirarmi su. Prendo il telefono che avevo precedentemente appoggiato sul piccolo comodino, accanto al letto. Le quattro spaccate. Diamine è tardissimo. Ma non riesco a stare qua. Ho bisogno di distrarmi con qualcosa. Ma qui dentro che posso fare, con Veronica che dorme come un ghiro?  

Mi siedo sul letto. Guardo intorno a me. E se scendessi in salone? Infondo nessuno se ne accorgerà... no, no. Deborah, torna in te. Questa non è casa tua. Se i padroni hanno detto che devi stare qui, starai qui. Mi ributto sul letto. Sbuffo. Mi sento come se ci fossero delle spine sotto il materasso.  

Basta, ho deciso. Ho bisogno di sgranchirmi le gambe. Non ce la faccio a stare costretta sul letto. Mi alzo lentamente, e apro la porta della camera. Devo fare pianissimo, non voglio svegliare Veronica! Anche se credo che in questo momento per quanto russa non la sveglierebbero neanche le bombe!  

Chiudo la porta alle mie spalle. Arrivo vicino le scale. Fortunatamente ci sono delle piccole lucine accanto ad ogni scalino. Scendo e raggiungo in un secondo il salone. Giro a sinistra ed entro in cucina. Non posso di certo accendere la luce! Ma come faccio a vedere dove metto i piedi? Arrivo, tastando con le mani al forno: lo riconosco. In alto c'è una cappa, con un tasto per accendere la luce sopra al piano da cucina. L'accendo. E' piccola, illumina giusto questo pezzo della stanza, e mi basta e avanza.  

Dalla credenza prendo un bicchiere: apro l'acqua dal lavandino e la faccio scorrere un po'. Poi riempio il bicchiere, e lo butto giù in un solo sorso.  

Si, lo so, non è casa mia e bla bla bla, ma ne avevo veramente bisogno. Lo riempio un'altra volta, e lo bevo lentamente. 

Rifletto un po' su quello che è successo: su come Carlo stia cambiando la mia vita piano piano, giorno per giorno. Non tocco il mio pacchetto di Marlboro rosse da quando l'ho rincontrato. Sono appoggiata al piano di lavoro davanti al lavandino: ho le braccia incrociate e il bicchiere d'acqua nella mano destra.  

All'improvviso sento dei rumori: qualcuno sta scendendo le scale. Una figura si avvicina, la riesco a vedere solo quando arriva accanto a me. E' Matteo. 

-Ciao Wonder Woman. Niente sonno?- dice appoggiandosi anche lui, dalla parte opposta alla mia. Poggio immediatamente il bicchiere d'acqua, imbarazzata. 

-Matteo, scusami tanto, ti giuro ho solo bevuto un bicchiere d'acqua, torno subito al letto- dico con la voce smorzata dal troppo imbarazzo. 

-Hey ma scherzi? Cos'è una prigione? Non so se hai chiaro il concetto che questa è anche casa tua!- dice dandomi una leggera pacca sul braccio. Lo guardo arrossendo. 

-Sai, ripensavo a quello che ci è successo in questi giorni. E ho capito che qui con voi sto bene.- dico dolcemente.  

-Ah si? Ne sono felice.- dice esibendo un sorriso stupendo. Si vede che crede seriamente in quello che dice. 

-Si, bhe... riflettevo... e, l'ultima sigaretta che stavo tentando di fumare per il nervosismo ho dovuto buttarla perché sono inciampata sulla tua borsa!- dico mettendomi a ridere. Ride anche lui, insieme a me. 

-Anche noi stiamo bene con te, Deb.- dice guardandomi negli occhi. Mi sento lo stomaco sotto sopra. Devo dirgli ciò che è successo prima con Carlo. Devo dirlo a qualcuno, altrimenti esplodo. 

-Carlo mi ha detto che mi ama.- tutto d'un fiato. La voce spezzata dalla paura di ammettere cosa mi è successo. Mi mordicchio il labbro inferiore. Silenzio. Matteo mi guarda, stupito. Forse non se l'aspettava. Ma d'altronde come può aspettarselo: non è vero, non è una cosa realmente fattibile. 

-...si ma era ubriaco. Tanto. Tantissimo.- tento di giustificarmi.  Matteo rimane in silenzio. Giro lo sguardo altrove, per togliermi dall'imbarazzo. Ho il cuore che batte a mille, le gambe che mi cedono e la testa piena, troppo piena di pensieri.  

-Bhe emh, non so che dire.- accenna Matteo. Lo guardo. Silenzio. Sento che gli occhi si stanno gonfiando, si fanno lucidi e la gola mi si stringe sempre di più. 

-Vieni qua!- mi fa cenno di abbracciarlo. Mi avvicino a lui e mi cedo completamente alle sue braccia. Ha centrato in pieno di cosa avevo bisogno.  

-Sono confusa. Matteo.- dico sospirando.  

-Tutto si risolve, Deborah.- lo stringo forte. Forse perché se non lo faccio scoppio a piangere come una fontana, e non posso adesso. Non devo. 

Dopo poco ci stacchiamo. Mi sono liberata, mi sento più tranquilla, leggera. Adesso posso anche tornare al letto, perché mi sento serena. Matteo mi guarda e mi sorride. 

-Adesso però andiamo che è tardi... l'alba la vediamo un altro giorno.- dice prendendomi sotto braccio. Mi metto a ridere. Spengo la piccola luce sopra di noi e saliamo insieme le scale. Arriviamo al secondo piano.  

-Grazie Matt. Non so cosa avrei fatto se non ci fossi stato tu.- dico girandomi verso di lui. 

-Siamo amici ormai, no? Gli amici si aiutano sempre!- dice sorridendo. Mi avvicino a lui e gli lascio un piccolo bacino a stampo sulla guancia.  

-Buonanotte superman.- e mi giro, dirigendomi alla camera. 

-Ah Deborah...- mi richiama Matteo. Mi giro sorridendo. 

-Si?-. 

-In quasi trentaquattro anni di vita ti posso assicurare che Carlo non si è mai ubriacato seriamente.- dice mettendosi le mani in tasca. Lo guardo con aria seria. Che cosa vuole dire? 

-Buonanotte!- dice ironizzando. E se ne torna in camera.  

Che intendeva? Forse che è la pima volta che vede il fratello ridursi uno straccio per colpa della troppa tequila, o forse per intendere che quello che ha detto Carlo è in realtà vero? Rifletto. Lo avrà detto sicuramente per essere sarcastico, come al suo solito. Mi giro, cammino spedita verso la mia stanza. Apro la porta, la chiudo velocemente e mi sdraio sul letto.  

La stanchezza si fa sentire. Ammetto che adesso ho un po' sonno. 

Chiudo gli occhi.  

''Carlo non si è mai ubriacato seriamente.'' 

 

ANGOLO DELL'AUTRICE

Buona sera! O dovrei dire buonanotte? Infondo si sa: le idee migliori, le poesie, le canzoni, sono tutte nate in una notte. Vi ho già spiegato tutto nell'altro capitolo, spero che questo vi entusiasmi! Vi ringrazio di nuovo a tutti e continuate a recensire!
Volevo ringraziare in particolare le due ragazze che mi hanno scritto le recensioni (non scrivo il loro nome per privacy ovviamente) vi mando ringrazio dal profondo del cuore!
Un bacio a tutti, ciao!

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Capitolo 8
*** Cambiamenti. ***


-Deborah svegliati! Su, dormigliona! - una voce confusa mi chiama, scuotendomi leggermente. Diamine. Non ho chiuso occhio stanotte. L'unica cosa che vorrei è qualcuno che mi svegli strattonandomi. Ho gli occhi chiusi, e giuro che seppure vorrei aprirli, alzarmi, vestirmi per bene e fare tutte quelle belle cose che solitamente si fanno di mattina, tipo andare a correre, oppure leggere il giornale, non ho la forza nemmeno di alzare un dito. Sono sdraiata a pancia in giù, con una gamba piegata ed una stesa. Un braccio sotto il cuscino, e uno sopra. Una specie di bradipo, si.        

Non ho riconosciuto bene la voce. Sono ancora immersa nel sonno... e nei sogni. Già. Anche stanotte ho sognato sempre la stessa persona. Lui. Carlo. Stavolta eravamo in riva al mare, e lui mi baciava dicendomi che mi amava, e io anche lo dicevo e... ''Non capiterà mai, cara Deborah. Mai.'' ripeto a me stessa, con un'autoconvinzione che non è credibile per niente. Sento che la persona si è avvicinata ed è seduta proprio accanto a me.         

-Guarda che è già mezz'ora che Veronica è scesa!- Voce maschile, Veronica è giù. Quindi è sicuramente Matteo. Decido di tirarmi su. Tanto prima o poi avrei dovuto , quindi. Mi stiracchio un po', sbadiglio, apro gli occhi.       

-Carlo!- urlo tirandomi su dal letto improvvisamente. Forse ho fatto troppo veloce, adesso mi gira la testa e vedo tutti puntini bianchi intorno a me.     

-Ehm, buongiorno. Non credevo di essere brutto da far paura!- dice ridendo.       

Ha una maglietta molto attillata color azzurro spento, e dei pantaloni lunghi, che gli arrivano sotto ai piedi a righe verticali bianche e azzurre, come la maglietta. I capelli scompigliati e gli occhi ancora un po' assonnati.        

-Bhe, con questo pigiama vorrei vedere...- dico tirandomi indietro i capelli, che mi erano scesi davanti al viso.       

-Acidella stamattina...- dice alzandosi e dirigendosi verso la porta della stanza.        

-...e comunque la super maglietta con le farfalline sopra, non è da meno.- dice ammiccando un sorrisetto cattivo. -  Diamine. Possibile che devo sempre fare queste figuracce?  Ci mancavano pure le farfalline, Deborah?      

Chiude la porta. Sospiro. Ammetto che Carlo mi ha un po' infastidito con il suo atteggiamento. Adesso vorrei aprire la porta e urlargli ''ti ricordo che ieri ti sei ubriacato come un diciottenne, e hai detto che mi ami, provocandomi non solo una notte insonne  ma un pensiero fisso che continua a tormentarmi dovunque io vada. Anche nei miei sogni.''       

Respira, Deborah, respira. Oggi Veronica parte, e tu probabilmente non la rivedrai per molto tempo, quindi devi solo pensare a rilassarti e a passare queste ultime ore felicemente con la tua amica. Sospiro ancora.        

Prendo il telefono: sono le nove e dieci. Ho dormito solo quattro ore. Mi avvicino alla scrivania, dove c'è lo specchio, e tento di sistemarmi i capelli. Poi apro la porta, e scendo giù in cucina.        

Ci sono Matteo, con una maglietta rosso fuoco, i pantaloncini corti rosso più scuro, e dei calzini bianchi molto alti che gli arrivano quasi fino al ginocchio. I capelli scompigliati, e una tazza di caffè latte in mano. E' seduto su un piccolo sgabello, accanto al forno.       

Veronica, con il vestito di ieri sera, stropicciato, che non sembra neanche più lui, un cerchietto di stoffa bianco in testa, il trucco tutto colato e dei calzini molto pesanti rossi, che le arrivano anche a lei a metà ginocchio. E' appoggiata al frigorifero. Una tazza di thè verde in mano, ovviamente.        

Infine Carlo, con il suo pigiama azzurro, scalzo, con una tazza di caffè in mano. Tutti e tre hanno lo sguardo perso nel vuoto. Mi viene da ridere.       

-Sembrate dei ricercati, seriamente.- dico avvicinandomi al piano da lavoro, dove c'è una caffettiera e una tazzina bianca.       

Non parlano. Sembrano come assorti in una specie di limbo.       

-Ehm, ci siete?- dico agitando la mano davanti ai loro occhi.      

-Ho dormito solo due ore.- dice Matteo portandosi alla bocca il cafè latte.      

-Io ho pagato le conseguenze della sbronza stamattina.- dice Veronica, fissando un punto imprecisato.       

-Io anche.- dice Carlo, girandosi tra le mani la tazza di cafè.      

-Lo credo. E vi ci resta bene, così la prossima volta ci pensate due volte.- affermo seria, facendo un occhiolino a Matteo.      

Verso nella tazza il caffè, bollente. Non aggiungo neanche una zolletta di zucchero.      

-E' amaro così. Di prima mattina qualcosa di dolce è meglio.- interviene Carlo, mentre mi appoggio al piano della cucina, per bere il caffè fumante. Non so se il suo commento si riferiva alla battuta di prima.     

-Io lo prendo così. Mi piacciono le cose amare.- rispondo accennando un sorriso.  Sorride anche lui, abbassando lo sguardo sulla tazza blu che ha in mano.    

Sorseggio il caffè, ammirando lo stato di coma in cui sono gli altri. Un brivido mi percorre lungo la schiena, ora capisco perché hanno i calzini lunghi. Lunedì undici Agosto, e qui, ad Avezzano, ci sono circa nove gradi. Sposto lo sguardo leggermente per vedere se c'è qualche finestra aperta. Nessuna. Mi viene la pelle d'oca: odio il freddo. Non resisto neanche due minuti.     

-Oggi fa freddo!- affermo buttando giù l'ultimo sorso di caffè.     

-Sei in Abruzzo tesoro. Qui fa sempre freddo.- dice Matteo, giocherellando con la sua tazza.      

-Io ho bisogno di farmi una doccia. Non saprei come togliere il trucco, altrimenti.- dice Veronica, tirandosi su, e poggiando la sua tazza nel lavandino.      

-Appena finisce mi aggrego anche io. Ne ho proprio bisogno.- rispondo.      

Veronica sale le scale, per dirigersi nel nostro bagno.      

-Ragazzi, io vado a vestirmi. Devo andare alla posta centrale a ritirare un pacco molto importante, e non voglio trovare fila!- dice Matteo, alzandosi dallo sgabellino.      

-Come ti va, con questo freddo!- rispondo sistemando le tazze nel lavandino.      

-E' molto importante: viene dall'America!- risponde. E anche lui si dilegua sulle scale, facendomi l'occhiolino.     

Sarà che sono esagerata, ma non riesco a vedere la cucina in disordine: così sciacquo per bene tutte e quattro le tazze. Infondo sono sempre un ospite, anche se ormai questa è come se fosse un po' casa mia.      

-Lascia, c'è la lavastoviglie!- dice Carlo, che stranamente si avvicina con aria dolce a me. Lo guardo.      

-No, ehm ti pare. Sono solo quattro tazze, non ci metto niente.- rispondo continuando a sciacquare. Improvvisamente sento la sua mano che si appoggia delicatamente alla mia, bagnata dall'acqua calda che scorre. Lui è accanto a me. Giro lo sguardo e ci fissiamo. Di nuovo i miei occhi sono incollati ai suoi: e in quel momento non importa se fa freddo o caldo. Se io ho una maglietta con le farfalle e lui un pigiama a righe azzurre e bianche. Il mondo può scorrere velocemente, può accadere di tutto, perché quando i nostri occhi si incontrano sparisce il resto. Il cuore mi batte all'impazzata.      

-Posso almeno aiutarti?- dice, togliendomi dalle mani la tazzina bianca che stavo per insaponare. Siamo uno accanto all'altra. Stiamo semplicemente sciacquando delle tazzine da caffè. Ma vorrei che diventassero mille, da poter passare il resto della giornata qui, accanto a lui. Poi chiude il rubinetto.      

-Visto? Non era poi così difficile.- provo a dire, tentando di evitare il magnetismo di quei suoi occhi.      

-Ah, cara Deborah. Ci serviresti proprio tu nella nostra casa.- dice sistemando le tazze nella mensola accanto al frigorifero.     

-Non è questa la vostra casa?- dico ridendo.    

-Quando siamo qui. Io e Matteo viviamo a Roma, in una piccola casa sul lungo Tevere: non è come questa, ma fidati che ne vale la pena!- dice avvicinandosi a me.   

-E con questa casa voi preferite vivere a Roma?- rispondo allibita.    

-Bhe si. Lavoriamo a Roma, abbiamo i nostri amici, e fare tutti i giorni la Roma-L'Aquila alle dieci di sera, fidati che non è bello!- ridiamo tutti e due. Forse questa è la prima volta che io e Carlo abbiamo un contatto ''diverso''. Una conversazione semplice. Anche se, devo ammettere, che da quando ha iniziato a parlare, ho il cuore che batte così veloce da far invidia ad una Ferrari.  

-Ah, capisco.- dico sorridendo. Silenzio.   

-Cosa farai quando torneremo a Roma?- mi chiede appoggiandosi al lavandino, accanto a me. All'improvviso mi blocco: Roma... oh santo cielo! E' vero! Non ho organizzato niente, devo chiamare Lorenzo per sapere cosa devo fare, da chi devo andare, se tornerò a casa o meno...  

-E' vero!- dico portandomi la mano in testa. - Perché non mi sono ricordata prima! .- dico sedendomi sullo sgabellino li vicino. Sospiro.    

-Ho la testa tra le nuvole.- dico mettendomi le mani nei capelli. Sono disperata. Non so dove andare, chi chiamare, cosa fare.  

-Tranquilla Deb...- tenta di dire Carlo. Ma non lo faccio finire di parlare, perché sono alquanto disperata.  

-Il telefono, ho bisogno del telefono.- di scatto mi giro, e prendo il cellulare che avevo poggiato su uno dei tanti ripiani della cucina. Digito di fretta il numero di Lorenzo: ''segreteria telefonica. Il numero da lei chiamato, potrebbe essere spento o non raggiungibile. La preghia...'' chiudo subito la chiamata. La solita voce starnazzante della signorina che ovviamente nei momenti peggiori ti si presenta davanti. Lancio il telefono sulla mensola là accanto. Mi siedo sullo sgabello e mi metto le mani nei capelli. Chiudo gli occhi. ''Cosa ti succede Deborah? Che ti sei promessa il primo giorno dopo la vittoria? Nella tua vita deve esserci solo il lavoro. Unicamente. La tua priorità.'' continuo a ripetermi. Mi sto auto-rovinando la carriera, perdendo tempo.  

-Tutto ok ?- mi chiede dolcemente Carlo, abbassandosi davanti a me. Sento gli occhi gonfiarsi, una piccola lacrima scende dal mio occhio. Mi sento persa, in un mare di guai. 

-A Ragusa non posso tornare. C'è Danilo, che felicemente si diverte con la mia famiglia, prendendosi i meriti di ''ex-fidanzato.'' Mi farebbe solo che rabbia. Se non ho impegni il mio manager è in giro con il suo lavoro. Cosa faccio adesso?- dico. Un nodo mi stringe fortissimo la gola. Non voglio lasciare Carlo e Matteo. Non voglio perché io in questi pochi giorni mi sono sentita bene, mi sono sentita ''viva''. Ho riscoperto dei lati del mio carattere che non sapevo di avere. Come se il mondo mi crollasse addosso in un secondo. Sono una cretina. Una completa cretina. Sento che un'altra lacrima, sta volta più grossa della prima, sta per scendermi sulla gota. E' il preludio di un fiume di pianto che non smetterà presto. Sento che la mano fredda di Carlo mi asciuga il viso: poi prende la mia, di mano, e la stringe forte. La mia, sempre troppo bollente, in confronto alla sua, fredda e bagnata.  

-Sai, volevo dirtelo quando Veronica sarebbe partita, e quando questi giorni ad Avezzano sarebbero terminati. Ma penso che, per come sei disperata, sia meglio adesso...- silenzio. Non so cosa voglia dirmi. Alzo lo sguardo. Fisso i suoi occhi. Sembra essere contento, un sorriso si accenna sul suo viso. --Deborah, ti andrebbe di venire a convivere con me, ehm, con noi, a Roma?- di nuovo silenzio. Spalanco gli occhi. Il nodo che avevo in gola sembra essersi sciolto all'improvviso. Il fiume di lacrime sembra essersi rimarginato. Stringo fortissimo la sua mano. Come se fosse qualcosa di prezioso. Come quando si perde qualcosa, e poco dopo si ritrova, e quando è così non vuoi più lasciarla andar via.  

-Ah, ovviamente solo per quando non avrai impegni, o quando ti stancherai di noi.-  dice ancora, sorridendo. Insieme a lui sorrido anche io. All'unisono, insieme. Senza dire niente gli salto addosso. Lo so che non è da me, e che ho sempre avuto timore a rapportarmi con lui in questo modo. Sarà l'effetto della disperazione, sarà che siamo ancora in pigiama, ma io ho voluto stringerlo. Forte. Anzi, fortissimo, fino a stritolarlo. Per risentire quel suo odore, che mi impregna la pelle, che mi rimane addosso, come un pezzo d'anima. Mi tremano le mani, e anche le gambe. Sento i nostri petti unirsi, i nostri cuori battere così vicini da confondersi.  

-Significa si?- dice ridendo. Lo so che anche lui è emozionato. Lo sento, ormai lo conosco come le mie tasche. Ma lo vuole nascondere per sembrare freddo e distaccato.  

-Si!- urlo stringendosi sempre più a lui. Forse a volte le cose ''belle'' succedono anche a me.  

-Deborah, scusate il disturbo, ho finito, ti ho lasciato tutto sistemato nel bagno.- Veronica, con una canottiera nera lunga, i capelli ancora bagnati e dei leggins grigi. Io e Carlo ci stacchiamo. 

-Si, si. Ehm, vado subito.- dò un'occhiata veloce a Carlo, e corro sulle scale, dirigendomi al bagno.  

Siamo tutti pronti. Sono circa le tre e mezzo del pomeriggio. Abbiamo pranzato, con quel poco che ci era rimasto in frigorifero. Veronica ha già preparato le sue valigie, che sono sistemate accanto alla porta d'ingresso. Nell'aria si sente l'angoscia. Veronica è una donna che mi ha dato molto. Dopo il percorso ad amici, averla rincontrata adesso è stato veramente importante per me.  

-Il trolley lo hai preso, la borsa anche, tu Veronica non dimenticarti la giacca che dove vai tu fa freddo, te lo assicuro!- dice Matteo, indaffarato nel sistemare le ultime cose. Veronica starà de giorni all'Aquila per dei spettacoli con il suo corpo di ballo. Io, Matteo e Carlo andremo a Roma. Non riesco ancora a crederci. Noi tre, vivremo nella stessa casa.  

-Carlo hai spento il riscaldamento al secondo piano?- dice Matteo.  

-Si, sopra è tutto apposto. Hai sistemato la cucina?- risponde Carlo, girando da un lato all'altro della casa.  

-Tutto sistemato. Per me possiamo anche andare.- afferma Matteo, dirigendosi verso la porta.  

Veronica sta chiudendo le ultime cose nella borsa. Io sono seduta su una poltroncina, osservando i gemelli affrettarsi.  

-Deborah, vieni. Siamo pronti.- mi chiama Matteo. Mi alzo, sistemo bene la maglietta che indosso. Mi avvicino alla porta. Carlo è il primo ad uscire, seguito da Veronica e poi da me. Per ultimo Matteo, che chiude accuratamente la serratura della porta. Ci avviciniamo alle macchine: la Lancia Ypsilon di Veronica, lucidissima come sempre, e il pick-up di Matteo. Sento che qualcosa mi sale in gola: l'angoscia comincia a farsi sentire sempre di più. Carichiamo tutte le valigie in macchina, Carlo aiuta Veronica con le sue.  

Poi ci riuniamo, insieme. Ci avviciniamo. Io e Veronica ci fissiamo per un po'. So che quel silenzio racchiude più di mille parole. Con gli amici si fa così. Non c'è bisogno di finte frasi profonde. Di adii artefatti e finti. Veronica mi fa segno di abbracciarla. E ovviamente le rispondo, stringendo anche lei fortissimo. Carlo e Matteo si allontanano leggermente per lasciarci da sole.  

-Deborah, ti lascio in buone mani.- dice Veronica. Ci stacchiamo. 

-Grazie per questi giorni meravigliosi.- le rispondo, stringendole le mani. -Che farò senza di te?- ridiamo. Devo nascondere l'angoscia. Ingoiando quel nodo che si era ristretto nella mia gola.  

-So che te la caverai benissimo!- mi risponde, sorridendo.  

-Sai, Deborah, io ormai ho qualche anno più di te. Ho detto qualche, non troppi.- dice ridendo.  

-Ho fatto molte cose nella mia vita, ho inseguito il mio sogno, sono diventata ciò che volevo. Ho trovato un uomo meraviglioso con cui spero di continuare a vivere, e creare presto una famiglia ''nostra''. C'è voluto del tempo, ci sono volute le sconfitte, le lacrime, le ferite profonde. Ho preso la pioggia, il vento e la neve. Ma fidati che è servito. Ho preso il treno giusto, quello che passa una volta sola nella vita.- si ferma un secondo.  

-Tu non lasciarti sfuggire il tuo.- dice guardandomi intensamente. So benissimo a cosa si riferisce. Lo sento.  

-Carlo è una persona d'oro. Fidati di me, che lo conosco da tanti anni.- abbasso lo sguardo. Vorrei prenderlo questo treno, ma non so quale sarebbe la sua reazione. Ma questo non l'ho detto.  

-Me ne ricorderò!- rispondo, sorridendole. Ci abbracciamo. So che mi ha capito. Perché c'è qualcosa che ci lega che va oltre la comune amicizia. Intanto ci raggiungono Carlo e Matteo, sorridenti. 

-Ci mancherai Veronica!- dice Matteo abbracciandola.  

-Ma tanto ci vedremo presto, ne sono sicuro!- continua Carlo.  

-Ragazzi miei! Mi raccomando! Trattate bene la mia amichetta, e tu Deborah se non ti danno retta, chiamami che arrivo subito!- mi dice facendomi l'occhiolino. Ridiamo tutti e quattro. 

-Sono le quattro meno un quarto, meglio che mi sbrighi!- risponde dirigendosi alla sua macchina. La salutiamo da lontano. 

-Vi voglio bene!- urla. 

-Anche noi!- rispondiamo. Mette in moto la macchina, fa' retromarcia, imbocca la piccola stradina e la vediamo svanire tra le casette e i negozi di Avezzano.  

-Bene ragazzi: io direi di partire. Non ci vuole molto per arrivare a Roma, ma prima arriviamo meglio è.- ci annuncia Matteo, sfregandosi le mani. In effetti ha ragione.  

-Certo!- rispondo sorridendo. Ci avviciniamo alla macchina, saliamo. Mi sfrego le mani anche io: quest'estate è stata veramente stramba. Per la maggior parte del tempo ha piovuto, o ha fatto freddo. E anche oggi non sembra esser da meno. Matteo sale al posto di guida, Carlo accanto a me. 

-Pronti?- ci chiede Matteo. 

-Pronti.- rispondiamo, come sempre.  

 

Sono le sei e mezzo di sera. Il viaggio non è stato molto lungo. Se non fosse stato per il traffico, saremmo arrivati a Roma in circa un'ora. Per tutto il tempo ho fissato il cielo: ho riflettuto. Su quello che mi ha detto Veronica, sulla mia carriera, su Carlo. Ancora penso a quel ''ti amo'' buttato così senza significato. Al ''Carlo non si è mai ubriacato'' di Matteo. A me stessa. Forse sto facendo la cosa giusta, forse no. Dovrei tornare a Ragusa, dedicarmi alla mia famiglia che ho trascurato in questo ultimo periodo. Rincontrare Danilo, e provare ad avere un buon rapporto, almeno da amici. ''A volte capita, Deborah.'' Continuo a ripetermi. E se fosse la volta buona? Se avessi incontrato la persona giusta? Se quelle sue parole avessero un po' di significato, e magari ha ragione Matteo, lui non era ubriaco, e mi ha detto che mi amava? E' come se fino ad adesso avessi vissuto sotto una teca di vetro: quest'anno non volevo fare i casting per il programma, e l'ho vinto. Non volevo restare a Roma, e ho inciso un disco. Non volevo che il mio volo venisse cancellato, ed ho incontrato Carlo e Matteo. Se fosse un segno? Se fosse questa la strada giusta da prendere, e per una volta lasciarmi andare al tempo che scorre, al destino. Per una volta provare a vivere, davvero. Tutte domande a cui non so dare una risposta.  

Un rumore leggero mi distrare dai miei pensieri: una piccola gocciolina di pioggia è scesa sul finestrino della macchina. La guardo scendere lentamente. Poi una seconda, una terza e poi altre mille. E' tornata la pioggia. Vedo le goccioline cadere nel Tevere e mischiarsi insieme alle sue acque. La macchina si ferma.  

-Eccoci arrivati!- dice Matteo, spengendo i motori. Carlo mi sorride.  

-Adesso entrerai nella nostra, vera casa.- dice. Gli sorrido anche io.  

Scendiamo: di corsa Matteo prende la sua borsa, e Carlo il mio trolley, nonostante io lo avessi rigorosamente proibito. Non è il mio facchino, e la valigia è alquanto pesante.  

-Corriamo su!- dice Matteo. 

Raggiungiamo un grande portone. Matteo inserisce la chiave, e lo apre. Dopo circa quattro cinque scalini, arriviamo all'ascensore. Matteo spinge il pulsante, ed arriva subito. Entriamo. 

Mi guardo allo specchio: ho le borse così profonde che sono grandi quanto la mia valigia. I capelli leggermente arricciati per colpa della pioggia. La maglietta nera di Matteo è completamente zuppa: quella blu di Carlo anche. La mia camicia di jeans lo è solo sulla schiena. Matteo mi fa l'occhiolino. I suoi capelli leggermente bagnati lo fanno assomigliare un sacco a suo fratello. Ma che dico, è ovvio, sono gemelli.  

Din Don. Arrivati al quarto piano. Ci avviciniamo ad una porticina di legno, accanto ad un'altra. E' un comune condominio, ma raffinato allo stesso tempo. Matteo tira fuori dalla tasca un mazzo di chiavi, ne sceglie una, la infila nella serratura. Uno, due, tre, quattro giri e apre la porta. 

-Deborah, benvenuta nella nostra, e anche tua, casa!-. 

 

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ANGOLO DELL'AUTRICE 

Buonasera a tutti! Innanzitutto mi scuso per tutto questo tempo in cui non ho pubblicato il capitolo: ma ho avuto il cosiddetto ''blocco dello scrittore'' anche se non lo sono! Allora allora allora. Come state? Io benissimo, e non ho parole per ringraziarvi. Le vostre recensioni sono veramente bellissime, avete scritto delle cose dolcissime, e non sapete quanto ogni singolo commento mi renda felice! Siete veramente eccezionali! Vi abbraccio virtualmente ad ognuno di voi! Anche una piccola parola, mi riempie il cuore di gioia. Questo capitolo segue una narrazione meno dettagliata degli altri: ho preferito lasciare spazio alle ''emozioni'' che i personaggi possano provare. Solitamente prima di pubblicarlo, io rileggo il capitolo cinque, sei volte. Questo no, ho preferito scrivere di getto e vedere dove mi portava la testa :) Ovviamente io mi ''impersonifico'' in una Deborah ancora non del tutto famosa come lo è adesso, senza aver fatto nessun tipo di concerto. Perché la mia idea è proprio quella di rendere semplice il personaggio. Infatti ho cambiato mooooltissime cose dalla realtà. Deborah e Carlo cominciano a vedersi l'un l'altro con una luce diversa: secondo voi nascerà qualcosa di serio? Deborah si lascerà andare, o tornerà alla sua razionalità? A proposito: non so se, come me, siete pazzi per la coppia Deborah-Carlo (ma penso proprio di si ;)) avete visto le ultime foto di loro due? Secondo me, sotto sotto, qualche cosa c'è stato anche nella realtà ;) Ma ovviamente io scrivo cose prese unicamente dalla scatola della mia mente, quindi è PURA FANTASIA. Questo ci tengo a precisarlo. Quindi niente, io spero che vi piaccia, continuate a recensire, e grazie ancora, perché ogni singola parola che mi scrivete mi fa cambiare stato d'animo! (ripeto per la centesima volta!) Vi adoro, e vi auguro di passare al meglio questi ultimi giorni di vacanze prima dell'inizio della scuola, o del lavoro.  
Grazie ancora, ciao! :)

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Capitolo 9
*** Cos'è un bacio? ***


In effetti la loro casa l'avevo immaginata esattamente così. Ne più e ne meno. Mi sembra come se l'avessi già vista, come se io, qui, ci fossi già stata. E' una bella sensazione. Come se tornassi in un luogo famigliare. Adesso mi sento veramente a ''casa''. Infondo le ville enormi non hanno mai fatto per me. Tutti quei soldi sprecati per una casa vuota, statica. Appena ho varcato la porta d'ingresso, rigorosamente in legno scuro, sono stata subito inebriata da un odore buonissimo. Molto forte, molto da ''uomo''. Come l'odore dell'erba bagnata e degli alberi di pino, mischiati a quello di menta. Forte e dolce allo stesso momento. E poi, verso la fine, un profumo di acqua di mare. Fresca, leggera. Che si percepisce appena. Proprio come è l'odore della pelle di Carlo. C'è un piccolo ingresso con un comò grande accanto. Da qui si intravedono le altre stanze: saranno circa quattro, cinque. Sopra di esso il delirio: chiavi, lettere, pezzi di carta, altre chiavi, alcune bollette, dei gingilli di metallo, caramelle sparse qua e là. Giuro di aver visto anche un piccolo mazzetto di fiori secchi. Forse qualcuno glieli avrà portati, ed essendo disordinati se ne saranno dimenticati, e l'avranno lasciati lì a morire. Un vaso grande, per terra, color crema, usato come ombrelliera. E l'attaccapanni. Con cappotti e quant'altro, nonostante siamo ancora in estate. Superato il comò c'è subito il salotto, dove mi trovo io in questo momento. Un piccolo tavolino, con delle sedie di legno, riposto all'angolo del muro. Quanto basta a fare scena. Con un centrino bianco posto al centro. Si vede che non lo usano mai: dal mio occhio esperto, ho notato qualche sottile strato di polvere. Infondo ho fatto anche la donna delle pulizie per un ufficio a due passi da casa mia, a Ragusa. Più il là, due divani, rivestiti da un tessuto color grigio. Alcuni cuscini, sempre grigi, disposti distrattamente. Al centro un tavolino, piccolo e basso, di vetro e rivestito in legno nella parte di sotto. Alcuni spartiti, dei pezzi di foglio accartocciati e alcuni fogli di giornale. Infine, sull'ultima parete, c'è un caminetto: penso che venga usato molto, in quanto sia Carlo, sia Matteo non sopportano il freddo. Infatti si intravede della cenere ancora fresca, di circa sei, sette giorni. Il pavimento è ricoperto da delle mattonelle di finto parquet. Le conosco, sono le stesse che ha mia cugina in casa. Il vero parquet costerebbe troppo per tappezzare tutto il salone, compreso l'ingresso ed il corridoio che porta alle altre stanze. Davanti al salone c'è la cucina: minuscola. La stanza è quadrata, quindi i mobili seguono di pari passo il muro. Un forno piccolino, avrà circa dieci anni. I piani di appoggio e le ante, sono tutte di legno. Anche i comodini sotto al lavandino lo sono. Il frigorifero, bianco, con alcune calamite attaccate sopra, e alcune mensole, stracolme di piatti e bicchieri ancora lindi e pinti. Probabilmente saranno tutti mobili del proprietario di casa da cui l'hanno affittata. Un piccolo bagno, sul corridoio, tutto rivestito di blu, con una doccia ampia, e i sanitari. Infine ci sono due camere. Stessa porta. La prima, a destra, è di Matteo. L'odore insistente di dopobarba da uomo mi ha fatto quasi girar la testa. Si vede che ci tiene all'aspetto, notando anche i vari profumi e soprattutto i vari specchi, posti qua e là nella stanza. L'arredamento è molto semplice. E devo dire anche abbastanza ordinato. Un lettino, con i lenzuoli rosso scuro, un televisore con altri aggeggi elettronici attaccati intorno, un armadio ampio e liscio, e una scrivania, con sopra il computer. Sulle pareti ci sono alcune foto: Matteo con i suoi amici, lui e Carlo da adolescenti, foto con delle ragazze, (mi sarebbe sembrato strano il contrario, essendo Matteo un playoboy). Ci sono sparsi per tutta la camera, spartiti musicali, bacchette per la batteria, fogli strappati. Infine la camera di Carlo. Mi sarei aspettata che lui fosse meno disordinato e appariscente del fratello. Mi sbagliavo. Subito vengo travolta da l'odore dell'acqua di mare. Non so, ma io lo adoro. Mi ricorda la mia di casa, la spiaggia dove vado sempre con i miei fratelli, il mare limpido e caldo delle sei del pomeriggio. Più o meno è quello il profumo. La stanza sembra essersi fermata negli anni novanta: una specie di camera da adolescenti che si vedevano nelle serie televisive di quegli anni. Le pareti sono tappezzate da foto, immagini che ritraggono tramonti mozzafiato, sono sicura di aver intravisto anche qualche immagine di alcune spiagge veramente meravigliose. Il letto è coperto da lenzuoli blu scuro, ma è disfatto, i cuscini sono tutti spiegazzati. Ci sono in tutta la stanza alcune percussioni cubane, maracas e roba del genere. Un televisore abbastanza piccolo, posto su un tavolo che ha la funzione di scrivania. Anche qui fogli di carta, alcuni stropicciati, alcuni strappati. Penne, matite. Fogli di giornali scarabocchiati. Accanto alla scrivania, proprio in un angolo delle quattro mura, c'è un enorme libreria, che non contiene i libri. Bensì CD. Di ogni tipo. Gruppi italiani, gruppi stranieri, musica antica, musica moderna, nomi famosi come ''Mina'', ''Loredana Bertè'', ''Adriano Celentano''. Alcuni nomi che non conosco, stranieri, credo spagnoli. Dischi reggae, pop, rock. Giuro di aver intravisto anche CD di musica rap ed hip-hop. Tutto ciò ha un fascino assurdo. Ho sempre pensato, che un artista, per esserlo davvero, ha bisogno di quel qualcosa di particolare che nessuno ha. Loro sono così. Sono ''strani''. Ed è una cosa che adoro.   
Siamo seduti, sui grigi divani del salotto. Abbiamo cenato, scherzato e ci siamo divertiti. Ormai è sera, anzi, quasi notte. E purtroppo piove ancora. Anche qui a Roma le temperature si sono abbassate. Mi stanno raccontando dei vari viaggi che hanno fatto: New York, Berlino, Praga, Cuba, Tokyo, New Orleans, Brasile, Cile, Argentina. Sono stati addirittura in Australia. Li ascolto con le orecchie bene aperte. Sogno da una vita di viaggiare. Adoro quando la gente ne parla. Perché anche se solo con la mente, viaggio anche io, con loro.  
-Ahahahahaha, l'hotel a Praga è stato il peggiore!- dice Carlo, ridendo di gusto.  
-E tu Deborah? Quali posti hai visitato?- mi chiede Matteo, sorseggiando un bicchiere di vino rosso.   
-Io? Ehm, no, io non ho mai viaggiato.- rispondo, con una leggera tristezza. Silenzio. I gemelli mi guardano, imbarazzati, sperando che io dica qualcos'altro.  Carlo mi fissa diversamente: come se ha capito che sotto le mie parole si nasconde una forte tristezza. 
-Si, bhe non del tutto: una volta sono stata in Emilia-Romagna con mio cugino e la sua ragazza.- rispondo ridendo. L'attimo di imbarazzo si è sciolto. Ridono anche loro. Matteo butta giù di fretta il suo ultimo sorso di vino.  Carlo, però, continua a fissarmi. 
-Bene cari ragazzi: mi dispiace per voi, ma io mi ritiro. Mi si stanno chiudendo gli occhi dal sonno.- dice, alzandosi dal divano.   
-Ma come, già vai a dormire?- domando un po' sconcertata.  
-E' mezzanotte e mezza tesoro, vi ricordo che io sono sveglio da stamattina alle otto.- risponde sorridendo. Ricambio il sorriso. Poggia il bicchiere sul piccolo tavolino di vetro.   
-Buonanotte Deb!- dice, lasciandomi un bacio a stampo sulla guancia.   
-Buonanotte Matt!- rispondo.   
-A me non me lo dai il bacino?- dice Carlo, accennando una smorfia triste.  
-Uno schiaffo ti darei a te.- risponde Matteo, sorridendo. E gli scompiglia i capelli.   
-A domani giovincelli!- dice infine, dirigendosi nella sua stanza, e chiudendo la porta.   
Siamo rimasti solo io e Carlo. A fare luce ci sono due lampade a muro, niente più. Io giocherello con i mio bicchiere di vino, finito da un pezzo. Silenzio.  
-Davvero non hai mai viaggiato?- mi chiede ad un certo punto, sedendosi proprio accanto a me. Giro la testa dal suo lato.  
-Già. Non perché io non abbia voluto. Ma perché non ce n'è mai stata la possibilità.- rispondo fissando a terra. Carlo sta toccando un tasto dolente di me. Sono sempre stata vaga sul mio passato, con qualsiasi persona. Non ho bei ricordi. E soprattutto non voglio che la gente sia con me solo per compassione. Ma lui continua a guardarmi, aspettando risposte. Decido di provare a parlarne. In fondo non ho niente da perdere.  
-Mia madre faceva la badante ad un'anziana signora, che vive a pochi isolati da casa mia. Non è male come lavoro, non richiede un grande sforzo, ma è anche vero che il guadagno è poco. Mio padre, fino a circa cinquant'anni, ha lavorato in una fabbrica di utensili da giardino: si svegliava tutte le mattine alle cinque, e alle cinque e venti era già uscito di casa, per prendere il primo autobus del mattino.- mi fermo un secondo. Sento che gli occhi mi bruciano. Il ricordo della mia infanzia mi fa sempre male. Carlo mi prende la mano: la sua è fredda, come sempre. La mia è calda, troppo. 
-Se non ti va ti continuare tranquilla, non voglio essere indiscreto.- sussurra dolcemente. Il suo gesto mi ha tranquillizzato. Vorrei smettere, ma qualcosa mi dice che prima o poi dovrò parlarne con qualcuno. Fino ad 'oggi non l'ho mai fatto, ma sento che di lui mi posso fidare. So con certezza che è la persona giusta, al momento giusto. Deglutisco. Le lacrime rientrano.  
-Alla fine del mese riuscivano a racimolare circa mille euro. Che per una famiglia di tre figli e un cane non è proprio il massimo.- sento che Carlo mi stringe forte la mano, ad ogni parola che dico.  
-Ma poi, qualche anno fa, la fabbrica in cui lavorava mio padre, chiuse. Con la crisi degli ultimi tempi, una fabbrica così piccola da' solo che peso. Così ci ritrovammo a campare con il solo stipendio di mia madre. Ovviamente non era possibile, bisognava trovare una soluzione. Il lavoro per mio padre non si trovava: chi assume un operaio di cinquant'anni, ormai bello che andato? Io frequentavo il secondo anno del liceo, e mio fratello le medie. Eravamo ancora troppo piccoli per aiutare in qualche modo i nostri genitori. Così, mia sorella più grande lasciò gli studi dell'università, e tentò invano di cercare un lavoro. Ma purtroppo più il tempo passava, più peggioravano le cose. Infine, decise di andare a vivere in Germania: si sarebbe trovata un lavoro, e avrebbe continuato a studiare, pagandosi da sola la retta universitaria, e togliendo un ''peso'' per i miei genitori. Lei ama studiare. E fece così. Ma lo stesso non bastava: e appena io finii l'ultimo anno di superiori, cercai subito un lavoro per aiutare la mia famiglia. Barista, cameriera, commessa, donna delle pulizie. Amavo cantare, ma non potevo di certo permettermi gli studi di canto. Così decisi di unire la mia passione al lavoro: matrimoni, comunioni, adii al celibato, manifestazioni in piazza. Ogni cosa che potevo, pur di trovare i soldi per la mia famiglia. Successivamente, provai ad entrare nella scuola di Amici. La situazione economica si era stabilizzata, anche perché mia sorella si era laureata, e aveva trovato un lavoro dove la pagavano bene. Ogni mese ci mandava cinquecento euro, che uniti ai soldi che guadagnavo io, il lavoro di mia madre, e quei piccoli lavoretti che faceva mio padre, bastavano. Ma non mi presero. Dopo tanti sacrifici ero riuscita a metter da parte i soldi, giusto per riprovarci. ''La seconda volta è quella buona'' mi dicevo. Ma niente. Alla fine, decisi di lasciar perdere: erano solo soldi sprecati ogni anno, e non era proprio il caso.- la mano di Carlo stringe forte la mia. Sento il suo respiro farsi sempre più forte. I suoi occhi diventar lucidi.   
-Quest'anno ero decisa a lasciar perdere. Ma mio padre mi bloccò. Mi disse che dovevo provarci, perché lui credeva in me. Sapeva che ce l'avrei fatta, che sarebbe stato l'anno fortunato. Insistette troppo, e nonostante io avessi detto un categorico ''no'', lui mi convinse. A patto che sarebbe venuto a Roma con me. Il quindici Giugno varcai per l'ennesima volta le porte degli studi. Dopo un lungo provino mi dissero che potevo andar bene. E qualche giorno dopo, mi confermarono che finalmente ero stata presa nella scuola. Il resto, è storia.- Giro lo sguardo verso Carlo, che non ha smesso di fissarmi un secondo. Sorrido. So che lui mi ha ascoltata veramente. Altrimenti, non avrebbe gli occhi lucidi, ed il cuore che gli batte a mille.   
-Ti prometto, che ti porterò in ogni angolo della terra.- dice improvvisamente, prendendomi tutte e due le mani. Rimango in silenzio. Sento il cuore battermi velocissimo.  
-Ti porterò in Francia, in Inghilterra. Andremo in Germania, e mi presenterai tua sorella. Ti farò toccare con le mani le spiagge più belle del mondo. Andremo in Olanda, e ci risveglieremo il giorno dopo in Cile. Ti farò vedere Cuba. Ti porterò in America. Mangeremo dello scadente fast-food per le vie di Manhattan, e la sera ci ubriacheremo nel miglior casinò di Las Vegas. Ti porterò in Giappone, ti farò vedere Sidney. Se sarà possibile ti porterò a fare colazione di Domenica mattina su Marte.- dice stringendo forte le mia mani. Sento gli occhi riempirsi di lacrime, ho i brividi. Non avrei mai immaginato che lui potesse dire queste cose. Le sue parole mi si attaccano addosso, mi sento come se mi abbracciassero. Le sento cucite addosso, e nessuno in vita mia era mai riuscito a farmi sentire così  
-E ti prometto, che se staremo insieme non te ne pentirai.- il suo viso è a pochi centimetri dal mio. Sento che il cuore mi batte all'impazzata. Riesco a sentire anche il suo. Non posso credere che stia dicendo tutto questo. Vorrei dirgli che io percorrerei ogni centimetro insieme a lui. Che se c'è lui io mi sento a casa anche a tremila anni luce.  Ci avviciniamo sempre di più. Sento il suo respiro che si confonde con il mio. Le nostre labbra stanno per sfiorarsi. E anche se lo bacerei seduta stante, fino a non avere le labbra consumate e sanguinanti, sento che non posso farlo.   
Mi stacco velocemente, voltando lo sguardo dall'altra parte. Sento un leggero sospiro provenire da lui.   
-Scusami, Deborah, io non volevo proprio...- tenta di spiegare, impicciandosi con le frasi. Mi rigiro verso di lui.  
-Grazie di quello che mi hai detto.- rispondo spezzando le sue inutili parole. -Sei una delle poche persone di cui mi fido veramente.- continuo, seria.  
-Per me è stato un piacere....ascoltarti.- risponde. Silenzio. Sento già che mi maledirò per questo, ma non credo che lui sia veramente convinto di ciò che stava per fare.  
-Si è fatto tardi. E' meglio andare a dormire.- dico. O almeno ci provo.  
-Si, certo.- dice lui, alzandosi. -Spero che il divano sia comodo, qui ci sono le coperte e i cuscini, e per qualsiasi cosa, vieni a bussarmi alla porta...- dice, sistemando il divano. Lo guardo: sinceramente non ho capito niente di quello che ha detto. Le sue mani si muovono velocemente, e il suo sguardo è perso dentro qualche pensiero. Poi si avvicina al corridoio, e prima di voltare l'angolo si gira verso di me. 
-Buonanotte, Deb.- dice, con lo sguardo basso. Ho gli occhi lucidi. Sento che il famoso nodo in gola sta tornando. Mi alzo, e senza dire niente lo abbraccio. Mi perdo nelle sue spalle, dentro il suo petto. Sento che anche lui mi stringe forte. Ho la testa accanto al suo torace, e sento battere il suo cuore. Quel cuore che vorrei avere mio. Ci stacchiamo.  
-Buonanotte, Carlo.- sussurro, fissando i suoi occhi. Sorride. Con un dito mi accarezza il naso. Piano piano si allontana. Arriva alla sua porta, la apre, e continuando a guardarmi la chiude.  
Sospiro. Accendo una piccola abat-jour accanto al televisore, e spengo la luce. Mi sdraio sul divano. Fisso il soffitto.  
Non potevo lasciare che mi baciasse. Non è quello che vuole, lo so. E poi diventerebbe tutto complicato. Come potrei vivere con lui nella stessa casa? No, devo pensare razionalmente. Non posso lasciarmi prendere dalle emozioni così facilmente. So che domani mattina lui se ne sarebbe già dimenticato, perché infondo cos'è un bacio? Se non un semplice incontro tra due labbra? Per me no. Per me un bacio, con lui, è molto di più. Perché io...credo di essermi innamorata. Si, ecco qual è il problema. Che lo amo. Che lo amo troppo, e anche da troppo tempo. Che ho sempre amato solo lui, sin dal primo giorno che l'ho visto. Che con lui non c'è nessun Danilo che conta, nessuna amica, nessun famigliare. Ciò che provo per lui, non l'ho mai provato per nessuno. Si, ho ventitré anni, e mi sono innamorata. Per la prima volta in vita mia.

 
ANGOLO DELL'AUTRICE
Buonasera a tutti! Inanzitutto mi scuso, ma in questi giorni non so proprio dove sbattere la testa! Sta per ricominciare, almeno per me, la scuola. E la cosa mi spaventa alquanto. Perchè non avrò neanche un secondo libero tra libri, compiti, interrogazioni. Ma non vi preoccupate: continuerò la mia storia a costo di non dormire la notte per scrivere! Questo capitolo è più ''breve'' rispetto agli altri, ma ho voluto renderlo proprio così perchè bisogna ricordare questo attimo. Senza altri episodi, altri dialoghi, solo l'essenziale. in più ci tengo molto alla descrizione della casa di Carlo e Matteo, perchè riflette a pieno l'idea che ho io di loro due. Deborah, svela finalmente il suo passato a Carlo: la sua anima forte, però viene scalfita da un pensiero: si rende conto che ama Carlo. E che l'ha sempre amato. Anche Carlo, da parte sua, tira fuori il suo animo dolce e sincero. Forse per spezzare il carattere freddo e serio di Carlo, ci vuole proprio una ragazza solare come Deborah. Questi gesti porteranno ad una storia, o alla rottura?
A proposito: lo so che vi sto facendo penare, perchè in ogni capitolo annuncio che ci sarà il fatidico bacio, ma poi non avviene mai. Tenete duro! Con il tempo FORSE, avverrà! ;) Come ultima cosa, ma non per questo meno importante, anzi, ho letto le vostre recensioni: voi non immaginate quanto le vostre parole mi rendano felice. Mi avete scritto delle cose non belle, di più. Mi regalate con le vostre parole delle emozioni meravigliose. Vi ringrazio e vi abbraccio virtualmente uno ad uno, e aspetto i vostri commenti su questo capitolo! 
Vi adoro ogni giorno di più, buon fine settimana! :) 

 

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Capitolo 10
*** Insieme. ***



 Beep beep. Beep beep. Beep beep.    
..     
La sveglia continua a suonare, ma io non ho proprio voglia di alzarmi. Il sole entra dalla finestra, illuminando il mio cuscino. Sono le nove di mattina. Ormai è inverno, e nonostante fino a ieri ci siano state piogge continue, oggi la giornata sembra meravigliosa.      
Decido di alzarmi. Tiro la coperta, mi stiracchio un po'. Mi siedo. Guardo intorno a me: com'è passato il tempo. Sembra ieri che ho sono andata a sbattere addosso a Carlo, in aeroporto. La serata in discoteca con Veronica, oh lei quanto mi manca.      
La convivenza con i gemelli devo dire che è proprio meravigliosa.  A parte qualche inconveniente. Insomma, sono sempre due maschi. E si sa come sono, i maschi. Ormai questa casa è come se fosse mia. Anche se perennemente dico frasi del tipo: ''Matteo, quante volte ti ho detto di non lasciare i calzini in giro per il salotto?'' oppure ''Carlo, la lavatrice va accesa quando metti i panni dentro. Non si avvia con la magia'' o anche: ''Matteo, Carlo, i pavimenti si lavano con il detergente per pavimenti. Non con il bagno schiuma.''     
Nonostante ciò mi trovo bene. Certo, la mancanza di casa, della mia famiglia, dei miei amici inizia a farsi sentire. In più, ho cominciato a incidere un nuovo disco: e di questo sono felicissima. Ma mi prende molto tempo, torno a casa alle otto di sera, e la mattina mi sveglio alle sette. Fortunatamente oggi è Domenica, e non ho pensieri. Se non fosse che Carlo e Matteo hanno deciso di portarmi in giro per Roma, perché, in effetti, di questa città so ancora troppo poco. E quindi devo alzarmi, vestirmi, truccarmi, come un giorno della settimana.  
Mi alzo dal divano, sistemo le varie coperte ed i vari cuscini. Vado in cucina.     
Ovviamente loro stanno ancora dormendo. Prendo la caffettiera, preparo il cafè. Aspetto un po', è pronto, lo metto in tre tazzine: una, con il latte per Matteo, una con due zollette di zucchero per Carlo, ed una vuota, per me.     
Sorseggio lentamente. Ammetto che sono un po' emozionata per la giornata di oggi. Non so cosa aspettarmi, se mi annoierò, se invece sarà divertente.     
E poi i miei pensieri si convergono sempre e solo su di lui. Già, perché ormai sono mesi che viviamo a stretto contatto, lo vedo addormentarsi, e risvegliarsi. Lo vedo mangiare, in pigiama, appena uscito dalla doccia con l'asciugamano bianco legato intorno alla vita, lo vedo di mattina presto, ed è il ''buonanotte'' di tutte le sere.    
In più, con l'uscita dell'album sto facendo anche qualche concerto importante: e come se non bastasse, Matteo è il mio batterista e lui il mio produttore.  Ci svegliamo alla stessa ora, usciamo di casa, andiamo a registrare. Torniamo la sera tardi, quando Matteo è fuori, ci sdraiamo sul divano con la pizza e un film scontato, ridiamo, scherziamo, siamo una cosa sola. Per poi vederlo allontanarsi, ''buonanotte'' e la porta si chiude.     
E rimango sola, sul quel divano che mi sembra vuoto senza di lui.    
-Buongiorno mia cara! Qualcuno è perso tra mille pensieri oggi!- una voce squillante interrompe i miei pensieri. E' Matteo. Stranamente è già vestito, e sta sorseggiando il caffè.    
-B..buongiorno Mat, scusami, riflettevo.- gli stampo un bacio sulla guancia. Ormai Matteo è diventato come un fratello maggiore, per me.     
-A che pensavi?- mi chiede con il suo diabolico sorrisetto.    
-Mah, solite cose...- tento si sviare il discorso. -..e poi ragionavo sul perché sei già pronto. Sai, non capita spesso.- accendo un sorriso malizioso.   
-Vedi? Sono un uomo dalle mille sorprese.- dice accennando uno sguardo provocante.    
Ridiamo.    
-Tra mezz'ora devo stare a casa di un mio amico, dobbiamo sistemare alcuni strumenti.- dice, buttando giù l'ultimo sorso di caffè-latte.     
-Adesso? Ma non dovevamo andare in giro per la città?- dico con aria severa. Non vorrei essermi svegliata inutilmente.     
-Certo. E Carlo sarà felicissimo di accompagnarti.- risponde sorridendo.     
-Buon divertimento e.... attenti, mi raccomando.- dice, dandomi un bacio sulla guancia, e uscendo di casa.    
Poggio la schiena al muro. Io e Carlo, da soli, di Domenica mattina, in giro per Roma. La cosa mi spaventa alquanto.     
Sorseggio l'ultima goccia di caffè, e corro in bagno a prepararmi: mi vesto, mi trucco, sistemo i capelli. Oggi fa veramente freddo, dovrò coprirmi bene, anche se ci sarà il suo cuore a riscaldarmi. Mentre passo la matita sulla palpebra sorrido come un ebete. Neanche un adolescente alla prima cotta. Esco, torno in cucina. Carlo non si è ancora svegliato. Il caffè è ormai freddo.     
Prendo la tazzina, voglio portargliela. Infondo, che c'è di male? Arrivo davanti alla porta della sua stanza. Le gambe mi tremano e no, non è per i freddo.    
Anche se ormai sono mesi che viviamo insieme, c'è ancora qualcosa che ci divide. Si, lo ammetto, vorrei dirgli cosa provo veramente per lui, ma so che sarebbe inutile. Comprometterei la mia permanenza qui, e poi al lavoro come farei? E chi mi produrrebbe i dischi?  
Questa sorta di elettricità si sente.  
E' strano da immaginare. Vivo con lui, come se facessi parte della sua famiglia, ma allo stesso tempo provo dei sentimenti forti, che non prova una ''sorella'' o una ''cugina''. 
''Deborah, devi semplicemente bussare.'' cerco di farmi coraggio, in piedi, davanti la porta della sua stanza. Vado.     
Toc toc.     
Nessuno risponde. 
''E se gli fosse successo qualcosa?'' penso.     
Apro la porta, lentamente. Lo vedo. E' completamente scoperto, con i suoi classici boxer bianchi. Senza maglietta. Mi chiedo come faccia, con tutto questo freddo. Entro lentamente, appoggio la tazzina sulla scrivania. Mi fermo a fissarlo. Si, lo so, è una cosa un po' ambigua da fare, ma lui mi attira come una calamita, e non riesco più a staccarmi. I suoi capelli, scompigliati. Il suo collo, delineato perfettamente. Mi siedo sulla sedia, davanti al letto. Ma nel fissarlo, non mi accorgo che il mio braccio si è spinto troppo il là ed in un attimo... strap. La tazzina crolla sul pavimento, e si rompe in mille pezzi.    
Carlo si muove, come se il rumore lo avesse sentito lontanamente. Sono imbarazzatissima. Mi sbrigo a raccogliere i pezzi di coccio, ma sono tanti, qualcuno è andato anche a finire sotto al letto.   
Sento una mano fredda prendermi il braccio. Diamine.   
-Deborah, lascia perdere.- dice, assonnato, con il viso sul cuscino.    
-Carlo davvero, scusa, io ero venuta per svegliarti, ma poi il braccio, cioè io non il braccio, ma anche lui, e poi è caduta e io non...- non finisco la frase che Carlo mi trascina su, portandomi accanto a lui.   
Sorride. Sorrido anche io.   
Siamo sdraiati l'uno di fronte all'altra. Lui, ovviamente, a petto nudo. Ma i miei occhi ormai, sono persi solo nei suoi. E' come guardare qualcosa di tuo, una cosa personale, una cosa preziosa.   
-Questo letto è troppo piccolo per due persone, non trovi?- domando, sorridendo.   
Lui si gira, e si mette sopra di me. Si, esattamente sopra il mio corpo.  Percorrendolo precisamente. 
-Ora siamo una sola.- dice sorridendo.   
Il cuore mi batte fortissimo. Il respiro si fa' sempre più corto. Sento che le guance stanno prendendo fuoco, le mie mani, ovviamente, sono bollenti. ''Ora siamo una sola.''  
I nostri visi sono sempre più vicini, i nostri nasi si sfiorano. Giuro che di cose belle ce ne sono nel mondo, ma niente supera i suoi occhi quando guardano i miei.    
Sento il suo petto, attaccato al mio. Stretto. Lo sento respirare, anche lui è emozionato. Abbiamo passato mesi insieme, e solo oggi decide di prendere l'iniziativa? Anche lui prova le stesse cose? 
Con un dito accarezzo le sue guance. Poi delineo il naso, le sopracciglia, le labbra. Ridiamo.   
-Hai il labbro inferiore troppo grande.- sussurro, sorridendo. Sorride anche lui.    
-Sai, questo è il secondo risveglio più bello che io abbia mai avuto.- dice, con la sua voce ancora un po' assonnata. La sua affermazione maliziosa mi intriga.    
-Ah si? E quale sarebbe il primo?- chiedo, in modo retorico. Lui ride. Abbassa lo sguardo. Io lo seguo con gli occhi.    
-Bhe.. deve ancora venire-.   
Con la sua risposta mi spiazza. Sento davvero di provare qualcosa di forte per lui. Qualcosa di veramente sincero. Forse doveva esserci lui, per farmi sentire così.    
I nostri visi si avvicinano sempre più, sempre di più...    
Driin..driin...drinn..!  
Il mio telefono squilla.  
Carlo si stacca velocemente. Si alza di scatto, prende la prima maglia che aveva e la infila. Come se si fosse risvegliato da un sogno all'improvviso. Sbuffo. Chiunque sia ha interrotto un momento... importante. Il telefono continua a squillare.   
-Non rispondi?- mi chiede lui.    
Mi alzo, anche se l'unica cosa che vorrei fare è buttarmi sul letto, insieme a lui. Vado in cucina, dove avevo lasciato il telefono.   
''Lorenzo.''    
-Pronto?-.   
-Deborah, potresti non metterci così tanto la prossima volta?.-   
-Buongiorno anche a te, eh.- rispondo acida.   
-Bando alle ciance. Ho due notizie importantissime da dirti-.   
-Sono tutta orecchi.- rispondo sedendomi sul divano.   
-La prima è che... la casa discografica ti vuole ufficialmente per un nuovo contratto!-.   
-Davvero? Oh, Dio, sono felicissima!- rispondo con la luce negli occhi. In questo momento sono davvero al settimo cielo.   
-L'altra, ancora più bella, è che... per tua fortuna il capo della casa discografica si è trasferito in Sicilia, e tu potrai finalmente tornare a casa!-.   
Silenzio. 
Mi si gela il sangue nelle vene.  
Torno a casa. 
Dovrei essere contenta. Perché sto tremando?   
-Scusa, ehm, avrò capito male io, devo... trasferirmi in Sicilia?-. chiedo, con la voce tremante. Sperando che tutto questo sia solo un incubo, che il telefono non avesse mai squillato, che il mio corpo non si fosse mai staccato da quello di Carlo.   
-Non devi trasferirti... ritornerai a casa! Rivedrai la tua famiglia, i tuoi amici, e ci rimarrai per sempre, perché il tuo produttore è a circa 50 Kilometri da casa tua!-. dice, con il massimo della gioia.   
Silenzio.   
Il mio sguardo è perso letteralmente nel vuoto.    
Devo tornare in Sicilia. Devo separarmi da Carlo e da Matteo.   
-Deborah? Deborah? Ci sei?-.   
-Si ehm, Lorenzo, scusa.-   
-Allora? Non sei contenta? Non dovrai più viaggiare kilometri e kilometri!-.   
-Si, sono contentissima.- rispondo, fingendo la felicità.   
-Bene. Così ti voglio. Ci vediamo tra due ore all'aeroporto. A dopo!-.   
-B...buona giornata.- beep.    
Il telefono mi cade dalle mani, affondandosi tra le pieghe del divano.    
Sento una stretta allo stomaco. Qualcosa di forte, molto forte. Gli occhi bruciano, la gola mi si stringe. No, non può essere. Ho appena trovato un equilibrio perfetto, io qui sto bene, questa è la mia casa. Non voglio lasciare Matteo e no... non voglio lasciare Carlo.    
In un secondo scoppio a piangere. Continuo a ripetermi di trattenere le lacrime, ma il petto sta per scoppiare, se non lo libero.    
-Deborah, che è successo?-. Carlo corre verso di me, sedendosi sul divano. Senza dire niente mi butto tra le sue braccia. Voglio stare qui, con lui, con la ''nostra'' casa, con tutte le difficoltà, il lavoro stancante, il divano scomodo, i miei asciugamani per terra nel bagno, il suo gel per capelli sparso sullo specchio, la lavastoviglie da riparare, gli spartiti cancellati e spiegazzati per terra.    
I singhiozzi si fanno sempre più forti, la voce mi si incrina, la matita sugli occhi ormai è scomparsa.   
Stringo forte il suo petto. No, non lo voglio lasciare. Quel petto che mi ha protetto e che continua a farlo.    
Passano i minuti. Cinque, sette, dieci. Forse anche di più.    
Tutto quello che avevo dentro l'ho gettato via.  
Ma la rabbia è rimasta.  
Carlo, mi tiene ancora stretta a sé, con la maglietta zuppa delle mie lacrime.    
L'ultimo singhiozzo. Quello che si fa quando si finisce di piangere. Un mezzo sospiro.    
Tiro su la testa. Mi siedo dalla mia parte.    
Silenzio.    
I miei occhi fissano il vuoto, e lui fissa me.    
-Scusami, non ti ho neanche detto perché piango...- tento di spiccicare qualche parola, ma appena apro la bocca le lacrime scendono.    
Alzo la testa, per far rientrare le lacrime. Anche se è inutile.   
-Non c'è bisogno che mi spieghi. Qualunque cosa sia la affronteremo. Insieme.- le sue parole, dette in un altro contesto, mi avrebbero riempita di gioia. Ma adesso no. Il dolore è troppo forte.   
-No, Carlo. E' questo il punto. Non potremmo più stare insieme.- tento di dire, ma ricomincio a piangere.    
Non riesco più a ragionare. Sparo parole a caso, non interessandomi di cosa mi accade intorno. 
-Cosa? Ma che stai dicendo?- i suoi occhi diventano scuri. Più di quanto non lo siano.    
-Si Carlo, devo tornare in Sicilia, mi trasferirò lì. E' finito tutto Carlo, tutto quello che forse non è neanche iniziato.- le lacrime prendono il controllo su di me.  
Carlo si mette le mani nei capelli. Come se non fosse una cosa reale.    
Il silenzio è tornato a fare da padrone. Solo i miei singhiozzi lo spezzano ritmicamente.    
-Non è possibile.- farfuglia.    
In questo momento vorrei urlare, perché è vero che lui ci rimarrà male, si, lo posso capire, ma non sa cosa si prova ad avere la persona che ami nelle tue mani, finalmente, dopo tanto tempo, e poi vedertela strappare via, da un minuto all'altro.    
-Come farò adesso?- continua a farfugliare.    
-E se poi io...- non lo faccio finire di parlare, perché il mio dolore ha raggiunto un limite.   
-Tu cosa? Non starai senza la tua amica, e allora? Tanto per te sono sempre stata un ripiego, una certezza, mi hai sempre vista come una sorella, come se fossi una dama da compagnia! - gli urlo contro, alzandomi.    
I suoi occhi si fanno tetri.  
-Io? E tu? Quando uscivi dallo studio ti faceva comodo avere un autista privato, vero?- mi urla contro, alzandosi.   
-Ah si? E a te ha fatto comodo avere una donna delle pulizie ventiquattro ore su ventiquattro, domeniche comprese?-. Urlo con tutto il fiato che ho, ma non mi rendo conto di ciò che dico.   
-Deborah, stai veramente esagerando adesso!-. dice lui, con il suo solito tono da maestrino.   
-Non sto esagerando! Tra due ore mi aspetta un aereo che mi porterà via di qui, dalla casa che è un po' mia, dalle persone che ho conosciuto, da Matteo, e sai qual è la cosa peggiore? Che le mancanze si superano tutte, anche quelle più gravi, ma quando ti strappano via la persona che ami non c'è nessun rimedio!-. urlo, frantumandomi l'osso delle corde vocali, se ce ne è uno. Le lacrime ormai, non le conto più. 
Silenzio.    
Solo dopo un po' mi accorgo di ciò che ho appena detto.    
Diamine. 
Credo che adesso abbia capito tutto. 
-La... persona che ami?- chiede lui, stupito.    
-Si, Carlo. La persona che amo. Che ho sempre amato, e che forse mi ha fregato perché non scorderò facilmente.- rispondo scocciata.  - Non dirmi che non te ne sei accorto! Ti guardo come se avessi solo te, Carlo. Perché qui, io, ho solo te. - urlo. 
Ormai ho detto tutto. Non ci sono più parole.    
Mi sono esposta. Con tutta me stessa. Mi sono sfogata, mi sono fregata e si, forse non dovevo dirlo.  
Ma questa è l'ultima occasione.   
Silenzio.   
Lui è in piedi, pietrificato.   
-Non hai niente da dire?- chiedo furiosa.   
Non mi aspetto una risposta positiva, che si metta inginocchio a dirmi che mi ama, ma almeno che spiccichi una parola. Per confermare che magari io sono importata. Che ho lasciato un segno su di lui, sulla sua pelle che è anche mia, sulla sua anima. 
Rimane in silenzio.   
Forse questo dolore supera tutti gli altri.   
Il mio cuore va in pezzi. Allora davvero non gli è importato niente di me. Ha cancellato tutto? Lo scontro in aeroporto, la notte in quel motel sull'autostrada, le notte ad Avezzano, la serata in discoteca con Veronica, quel suo stupido e falsissimo ''Ti amo Deborah'' detto da ubriaco, nel cuore della notte? Questi mesi dove abbiamo vissuto insieme, abbiamo condiviso tutto, ormai non riesco più a vedermi come una persona sola, lui li ha eliminati ?   
Ancora silenzio.    
Le mie parole sono rimaste sospese nell'aria. Ormai ho finito anche le lacrime.    
Sento lo stomaco contratto.    
Basta. E' finito tutto.   
E' come un campo di battaglia alla fine della guerra: rimane solo una polveriera di ricordi.  
-Se non hai niente da dire, io andrei a preparare le valigie. Tra poco non ti darò più fastidio-. dico, velocemente, come se neanche io volessi pronunciarle quelle parole, come e qualcosa mi frenasse. Perché so che non è ciò che voglio.    
Niente.   
Corro in camera di Matteo.   
Apro la valigia, sotterrata dai vestiti, dai dischi, dalle parole, dai giorni vissuti assieme.   
Torno in salotto, prendo qualcosa alla rinfusa, e la getto dentro. Poi mi reco in bagno, butto tutto dentro, i mie vestiti, il profumo, la spazzola, i ricordi. Probabilmente ho lasciato metà delle mie cose, ma come potrei prenderle in così poco tempo? E' come trasferirsi, allora dovrei prendere la sedia, perché l'abbiamo comprata insieme. Dovrei prendere la lavatrice, perché l'ho usata più io di loro. E il divano, la lampada, il comò. 
La valigia è strapiena, la chiudo a malapena, sotto gli occhi persi nel vuoto di Carlo. Il silenzio rimbombante nelle mie orecchie.    
I miei occhi, stanchi dalle troppe lacrime, dal troppo dolore.   
Prendo il cappotto, indosso la sciarpa, faccio tutto velocemente, perché voglio andare via, il rumore del silenzio mi frantuma i timpani. Il rumore del suo silenzio. Mi lascia davvero andar via così? Non sono importata niente, io? Mi avvicino alla porta.   
Improvvisamente, il braccio di Carlo mi blocca.   
Altre volte mi sarei girata, ma adesso provo troppa rabbia nei suoi confronti. 
-Lasciami stare.- dico con voce autoritaria. Ma lui mi gira verso di sé, con la forza.  
-Ho detto lasciami stare.- ripeto ad alta voce. Lui mi fissa. Il suo sguardo mi inchioda al muro.  
-Devo dirti delle cose.- dice, con una voce severa.   
 
 
(CONTINUA NEL PROSSIMO CAPITOLO) 
 

 
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ANGOLO DELL'AUTRICE  
Prima che pensiate qualsiasi cosa, scriviate qualsiasi recensione, voglio scusarmi. Perché ormai sono davvero tantissimi mesi che non scrivo più, e nonostante questo, avete continuato a seguirmi, non avete abbandonato le mie parole. Grazie di cuore. Grazie per ogni commento, recensione, visualizzazione. Siete davvero spettacolari. Purtroppo ho avuto vari problemi, in  più è ricominciata scuola, e davvero, non trovo un secondo libero. Quindi, con tutto il mio cuore: grazie. Ho deciso di pubblicare due capitoli, infatti adesso ne caricherò subito un altro, ma l'ho dovuto spezzare, altrimenti sarebbe stato troppo lungo. In questo capitolo, essendo in numero dieci (casualmente) vengono fuori tutte le verità: cosa prova Deborah per Carlo, cosa pensa di lui. La distanza che separerà le due persone. Ma Carlo, proverà lo stesso per Deborah? Cosa dovrà dirle? La rabbia che Deborah prova è come un crescendo: prima riesce a sfogarsi con il pianto, ma poi comincia a buttare fuori tutto ciò che si è tenuta dentro in questo tempo. E Carlo? Sarà davvero come lo abbiamo sempre immaginato? I due giovani devono affrontare un ostacolo difficilissimo da superare: la distanza. Ammetto che questo (e il capitolo che segue) sono stati i più difficili da scrivere, e sopratuttoi più dolorosi. Perchè tutto ciò che scrivo, lo provo personalmente, ed è veramente una sensazione orribile.
Spero che questo capitolo vi tenga un po' compagnia, e ancora, per la millesima volta, vi ringrazio con tutta me stessa. Amo scrivere, e sapere che ci sono persone come voi che mi apprezzano mi lasciano senza parole tutte le sante volte. Vi mando un bacio, ad ognuno di voi.  
Grazie, a tutti, di tutto. 

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Capitolo 11
*** ''Ti prego, resta.''sussurra, come per non farsi sentire. ***


(CONTINUO CAPITOLO) 

 

… 

 

-Ne hai avuto di tempo per parlare, ora lasciami stare. Mi stanno aspettando.- mi rigiro per dirigermi verso la porta, ma le sue mani mi intrecciano i gomiti, stringendoli.   

-Adesso tu mi ascolti.- dice, autoritario.   

Decido di smetterla. Tanto testardo com'è non la finirà di fare questa scenata, se non lo avrò accontentato.   

Allenta la presa, mi fa gesto di riavvicinarmi al salotto. 

Lo fisso. Provo tutta la rabbia che non ho mai provato in vita mia.  

Si appoggia al tavolino. Io rimango in piedi. 

... 

-Sei una ragazza astuta. Intelligente.- dice, con aria severa.  

-Lo so, non c'era bisogno di ripeterlo.- rispondo a tono, girando lo sguardo, in modo scocciato. Adesso non ho proprio bisogno delle sue false parole. 

..  

-Ma non lo sei del tutto.- continua, seriamente. 

-Altrimenti ti saresti accorta... di quello che anche io, provo per te.- . 

All'improvviso, un brivido mi scende lungo la schiena, il sospiro mi si blocca di nuovo. Le mani tremano.   

Silenzio.   

Ci fissiamo. Come per cercare un'intesa, quella che c'è sempre stata, ma stavolta sembra scomparsa. 

-Tu credi davvero..-  continua -... che se per me non fossi stata importante, ti avrei portata a casa, ti avrei raccontato tutto di me, ti avrei lasciata vivere qui?.- dice. Ascolto. Il mio viso si affievolisce. Le sopracciglia marcate dalla rabbia vanno via via a sbiadirsi. Lo sta dicendo sul serio? 

-Davvero ancora credi alla storia che quella sera io ero ubriaco?- continua, avvicinandosi a me. 

-No cara mia, per ubriacarmi non ci servono sette bicchieri di acqua tonica, spacciata per vodka.- spalanco gli occhi.    

Non posso crederci.   

Diceva la verità, quella sera. Quel ''Ti amo '' era vero. 

Silenzio. 

Mi cadono le braccia. Non posso, no, non può essere vero. 

-Deborah, io ti ho amata sin dal primo momento in cui ti ho vista. Tu, il tuo sorriso, la tua voce. Il programma, e la vittoria. Ti ho amata sempre, perennemente, ogni giorno dipiù, fino a farmi male, perché sapevo, e so tutt'ora che non potrò mai averti, perché ormai sei quel che sei, e non posso rovinarti la carriera.- sono allibita. Il cuore mi batte a mille, duemila.  

Non riesco a crederci. 

Ha detto di... amarmi. 

Lui, lo ha detto. Si avvicina sempre di più a me. 

Mi prende le mani. Le sue, sempre fredde  e le mie, sempre e per sempre troppo calde.    

-Tu mi hai cambiato la vita, Deborah.- le sue parole scendono come lame. Come se fossero spade che mi si infilzano nel cuore. 

-Non riuscirò mai più a provare un sentimento così forte per una persona.-. 

Lo guardo. I miei occhi cominciano a diventare lucidi. 

-Mi hai supportato, mi hai fatto sentire ''amato'', per la prima volta in vita mia. Sei stata la mia famiglia, la mia amica, il mio tutto. Pensi davvero che io non prova sentimenti, Deborah? Che io non pianga, o non possa innamorarmi?-.   

I suoi occhi, per la prima volta, sono lucidi. Li sbatte forte, ma una lacrima gli scende comunque dal viso. Allora non sta mentendo. 

Forse tutto quello che sta dicendo è vero.   

Silenzio.   

Il vuoto intorno a noi, la tensione che si taglia con il coltello.   

-E, la notizia che mi hai dato oggi, mi ha fatto morire dentro.- continua, con la voce debole. 

-Perché.. ti giuro. L'ultima cosa che avrei voluto sapere, è proprio che tu mi avresti lasciato.-  

Silenzio. 

Vorrei baciarlo. Stringerlo forte, e non lasciarlo andar via. 

Vorrei continuare la mia vita qui, insieme a lui. Saltargli addosso, buttarci per terra, e fare l'amore, così, a caso, con il freddo, tanto ci saranno i nostri corpi a scaldarci. 

Ma non.... posso. 

Devo tornare alla realtà. Devo trasferirmi per forza. Devo proseguire la mia carriera. Incidere il nuovo disco, fare concerti, diventare ciò che voglio. 

''Ricordati di mettere sempre prima il lavoro, e poi l'amore.'' mi ripeto da anni. 

Il silenzio torna a fare da padrone. 

.. 

Per la prima volta sono io, a lasciare le sue mani. Quelle mani ormai diventate calde, e le mie, al contrario, gelate.  

-Ormai è troppo tardi, Carlo.- tento di dire. Anche se sento le lacrime, stanno per riuscire.  

-Ti prego, resta.- sussurra, come per non farsi sentire. 

Ma io, ho capito bene, ciò che ha detto. 

Mi si spezza il cuore. Adesso che ho l'amore a 30 centimetri di distanza, devo lasciarlo, strapparlo via, e dimenticarlo. 

E' come logorarsi dentro, raschiare la parte più interna del mio cuore.  

-Se solo avessimo parlato prima, forse tutto questo non sarebbe successo.- dico, anche se le parole sembrano uscire fuori difficilmente. Lui guardo fisso a terra. 

-Forse avremmo trovato un accordo, un contratto, una soluzione. Anche se difficile.- continuo. 

Adesso sono io, a parlare. A prendere le decisioni difficili. 

-Troviamolo adesso, lascerò il mio lavoro, ti seguirò in Sicilia, troveremo una piccola casa, saremmo felici.- dice lui, tornando accanto a me. Stringendo le mie mani sempre più forte. 

-No no.. non puoi. La tua vita è qua, la mia è in Sicilia, tutto tornerà come prima. Come prima di conoscerci.- rispondo, staccandomi da lui. 

Sento che gli occhi mi bruciano. Qualche lacrima mi scende. 

-Ti prego, non rendere la cosa ancora più difficile.- rispondo, coprendomi il viso, quasi come mi vergognassi a piangere davanti a lui. 

-Dillo tu a Matteo. Scusati da parte mia per non averlo salutato.- pronuncio, con il nodo alla gola. 

Respiro. Sospiro. 

Le mie ultime parole. 

E' arrivato il momento di andare. 

Prendo il trolley, lo trascino fino alla porta, camminando lentamente. Non mi sono neanche girata a guardarlo. Non sopporterei di vederlo soffrire. 

Allungo il braccio, prendo la maniglia la tiro giù. 

Ma all'improvviso sento il suo braccio riprendere il mio, ancora più forte di prima. Mi trascina accanto a lui e in un attimo le nostre labbra si toccano. 

E poi le nostre lingue, e il suo respiro, che si unisce al mio, e le sue mani che stringono i miei fianchi, e le mie, che stringono la sua testa, passando per i capelli. E il rumore della valigia che cade, non ci importa del mondo fuori, siamo solo noi due. E poi le sue labbra che mordono le mie, e qual è la mia lingua? Quale la sua? Le sue labbra che passano dalla mia bocca, al mio collo, per poi tornare, e rimischiarsi, e non sapere più dove siamo, quanto tempo è passato. E gli occhi chiusi, e le mani che tremano. Quanto tempo ho aspettato questo momento. 

E poi ancora, il fiato che si fa sempre più corto, il sapore salato delle lacrime che scendono ad entrambi dal viso, e poi stringersi sempre più forte le mani, fino a graffiarsi. Baci sul collo che fanno male, ma talmente bene che potremmo continuare all'infinito.  

E nessuno riesce a staccarsi dall'altro.  

Perché ora siamo insieme, ora siamo una cosa sola, ora siamo veramente ciò che aspettavamo di essere.  

E il sapore delle sue labbra è il gusto più buono del mondo, e l'odore della sua pelle sulla mia supera qualsiasi profumo, e il rumore del respiro ansimante è il più bel suono del mondo.  

E le lacrime.  

Che scendono, sempre più forti. 

… 

Per poi staccarsi all'improvviso.  

La mia fronte contro la sua. 

-Non possiamo.- sussurro. 

-Non possiamo.- ripete lui, con voce fievole. 

Ansimando. Fisso le sue labbra, lui fissa le mie. Assetati di quel nettare. Mi giro di scatto. 

.. 

Lui ha riprovato a fermarmi, ma ho preso la valigia, ho aperto la porta, e sono uscita via, correndo. Ho trascinato la valigia giù per le scale, creando un frastuono enorme, che non riusciva comunque a sovrastare il rumore delle mie lacrime, del mio dolore. 

Ho corso fuori. 

Ho corso e basta. 

Perché so che se mi fossi fermata lui mi avrebbe raggiunto.  

Giro l'angolo della strada, mi fermo. 

Ansimo, per aver corso troppo. Le lacrime, che con l'aria si sono cristallizzate sul mio viso. Sento ancora il suo sapore, lo sento forte, su di me.  

Mi fermo. Non riesco a piangere, non riesco a camminare. 

Un passante mi chiede: - Signorina, ha bisogno di aiuto?-. 

Ma con un gesto rispondo di no, mandandolo via, adesso non mi interessa di niente e di nessuno.  

.. 

Mi sono calmata.  

Prendo il telefono, digito il numero. Chiamo un taxi, che (s)fortunatamente arriva subito. Getto maldestramente la valigia nel taxi. 

''Aeroporto di Fiumicino, ancora.'' chiedo all'autista che mi guarda perplesso.  

Mette la marcia, e parte. 

Non riesco neanche a girarmi per vedere la strada sparire. Il dolore è troppo forte. Sembra come uno di quei film sdolcinati anni '90. Alla fine, i due tornano insieme. Ma questa, è la vita reale: e non c'è nessun copione scritto, nessuna battuta preparata.  

.. 

Passano venti, trenta minuti. Il mio sguardo è perso nel vuoto del finestrino. Il dolore che provo non può spiegarsi. Ci siamo baciati. Aspettavo quel momento da troppo tempo, ed è successo così, all'improvviso, senza nessun tipo di preavviso. E, adesso, chissà quando rivedrò i suoi occhi. E toccherò le sue labbra.  

Sto lasciando tutto, qui. Sto lasciando un pezzo della mia vita. E' davvero questo ciò che voglio? Si, è davvero questo. Tornerò a casa. Vivrò lì, lavorerò lì. Chissà, forse ci sentiremo per telefono. Potrò scrivergli un' e-mail, e cominciarla con un ''Ciao, come va la vita? La mia senza di te non è più niente.'' 

Lo rivedrò. Magari quando farò un concerto a Roma. Lo vedrò lì, all'ultima fila, in piedi, a dirigere le cose. A parlare con la gente. Magari incontrerà un'altra donna di cui si innamorerà follemente. E sarà felice, perché lei riuscirà a dargli quello che io, non ho potuto.  

Mi fa male la testa. E' troppo piena di pensieri. 

Il telefono vibra. Un messaggio. 

''Lorenzo.'' 

''Sei arrivata in aeroporto? Il tuo volo ti aspetta.'' 

Non ho la forza per rispondergli. Vorrei solo tornare indietro.  

.. 

-Sono 30 euro.- dice l'autista, autoritario. 

Tiro fuori il portafoglio dalla borsa, gli do i soldi. Mi accompagna, mi prende la valigia. Lo ringrazio. Raggiungo l'aeroporto a piedi, faccio il check-in. 

Compio tutte queste azioni meccanicamente, il mio corpo è qui, ma non la mia testa. 

''I passeggieri del volo Roma Fiumicino - Catania, sono pregati di recarsi al passaggio per l'aereo. Grazie.'' 

La voce della speaker mi ricorda che è arrivato il momento. Prendo il trolley. Mi accingo ad entrare nell'aereo.  

Mi giro un'ultima volta: spero con tutta me stessa di andare a risbattere contro la borsa di Carlo, di ricominciare tutto da capo, di dire cosa provo sin dal primo momento. Ritornare ai tempi in cui scherzavamo, e la sera eravamo sempre gli ultimi ad andare a dormire. E la sbronza di Veronica, quella finta di Carlo, i sorrisi di quei tempi. 

Nessuno.  

La gente cammina frettolosamente, come se io fossi invisibile.  

No Deborah. Stavolta non c'è nessuno. 

Trascino il trolley, e lentamente entro nell'aereo. Prendo posto, mi siedo. Dopo poco, parte. Mi accorgo che è tornata la pioggia. Proprio come quel giorno che non ho preso l'aereo.  

Ma sta volta è pioggia leggera, fastidiosa.  

Guardo per l'ultima volta il cielo di Roma. Il cielo di Carlo, di Matteo, della vita passata qui, del mio cuore.  

Poi scompaio tra le nuvole. Con l'ultima lacrima, che mi riga il viso. 

 

 

 

 

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Angolo dell'autrice 

 

Buonasera, di nuovo! Come avevo detto, questo capito è abbastanza ''corto'' perché è il proseguimento di quello precedente. Ebbene si, cari e care, il bacio tanto atteso è finalmente arrivato: ma come? Come doveva arrivare. Velocemente, passionale, doloroso, graffiante, struggente. Un bacio lungo, e troppo corto, per la grande passione che ci hanno messo i due. La separazione, è stata altrettanto difficile da scrivere. Anche io voglio loro due insieme ma... il fato ha voluto ciò. Come andrà a finire? ''Lo scopriremo solo vivendo.'' 

Vi mando un grosso bacio, al prossimo capitolo. Grazie, ancora, a tutti quanti! <3  

  

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Capitolo 12
*** La felicità. ***


Sono passati due giorni da quando sono tornata in Sicilia. Ho rincontrato mia madre, mio padre, i miei fratelli. Mi mancavano. Ho abbracciato tutti gli zii, gli amici, i parenti lontani, il giornalaio sotto casa, la cassiera del supermercato, la profumiera all'angolo, il fioraio alla fine della strada. Ormai qui è come se fossi una specie di rock star famosa. Mio padre gira per le vie di Ragusa ripetendo in continuo di essere ''il padre della vincitrice di amici''.   

Io mi sono trasferita in una piccola casa affianco alla casa discografica: non ce la facevo a restare con i miei. Li adoro, sono le persone più importanti della mia vita, ma ormai sono cambiata, maturata, e ho bisogno dei miei spazi. La casa è piccola, ma ci sto bene: un piccolo saloncino, una cucina, una camera da letto ed un bagno. L'essenziale. Forse, perché non voglio che qui sia ''casa'' mia. Forse perché l'avevo già trovata una casa.  

E' inutile dire che non ci abbia ripensato. L'ho immaginato tremila volte con due giorni. E' presente in ogni singolo secondo della mia vita.  

Tutto mi ricorda lui.  

Sembra che il mondo me lo stia facendo apposta.   

Le giornate passano lente. E' come se fosse sempre nuvoloso, come se fosse sempre freddo. Tra poco è Natale. Lo passerò con la mia famiglia.   

E quante volte abbiamo progettato il nostro di Natale.  

La scelta di lasciarci non è dovuta solo alla distanza. E' per il semplice fatto, che io e lui non potremmo mai stare insieme. Se qualcuno lo venisse a scoprire, sarei assalita dai giornalisti, ed anche lui, che sulla sua vita privata è riservatissimo. Mi darebbero della ''raccomandata'' della poco di buono. Rovinerei una carriera che non è neanche iniziata, ed insabbierei la sua.   

No, non potrà ma accadere.   

Sono sdraiata, sul letto. Sono circa le sette di sera. Il cielo è plumbeo. Oggi ho avuto la giornata libera, potrei fare ciò che voglio, e invece sono stata a casa tutto il giorno.   

La televisione è accesa. Ci sono giornali sparsi ovunque, il computer nuovo di zecca, i fornelli splendenti. Ma niente riesce a spostare la mia mente da quelle immagini.  

Perché io lo sento: sento le sue mani che mi stringono forte i fianchi, e sento i suoi capelli che mi fanno il solletico sul collo, e le sue labbra sulle mie. Ho ancora il segno, di quel bacio così doloroso da essere unico.   

Da quel giorno non l'ho più sentito. Ne una chiamata, ne una mail. Anzi si, una volta ho ricevuto un messaggio, ma era di Matteo. Gli ho risposto, scusandomi di non averlo neanche salutato.   

E lui mi ha risposto che aveva capito, e che non dovevo preoccuparmi, perché l'importante era la mia carriera, e se dovevo andarmene, allora me ne andavo.   

Anche lui mi manca. Come non mai. E' diventato un po' anche il mio fratello. Mi mancano i suoi stupidi discorsi alle 4 di notte, quando non prendeva sonno. Mi manca la sua maglietta rossa, che prendevo sempre per dormire.   

Tento di nascondere tutto ciò che provo davanti alla mia famiglia: non ho fatto parola su ciò che è successo tra me e Carlo. Si sa come sono i genitori, andrebbe a finire male.   

Decido di alzarmi. Non posso continuare a deprimermi in questo modo.   

Alle otto mi aspetta una mia amica nel pub qui vicino: non ci vediamo da tanto, e poi uscire un po' mi farà solo che bene.  

Vado in bagno, ripasso il trucco, sistemo un po' i capelli, arricciati.  

Infilo un maglioncino bianco, jeans scuri, e degli stivali. Mi guardo allo specchio. Mi sento vuota.  

Spengo la televisione, prendo la borsa, le chiavi, e scendo giù.  

Vedo in lontananza Rosa. Lei, i suoi biondi capelli ricci, il solito giacchetto di pelle, anche se fa freddissimo, e il suo splendido sorriso.  

-Deborina, ma come siamo belle stasera.- il solito complimento che si fa per educazione. 

-Anche tu Rosuccia non scherzi eh.- ridiamo.  

-Stasera ci divertiamo: anche se il pub è abbastanza tranquillo, ci saranno molte sorprese.- dice ridendo sotto i baffi. 

-Mmmh, speriamo che siano belle!- rispondo ironica. 

Ci dirigiamo al pub.  

Entriamo. 

Il locale è abbastanza tranquillo, poca gente, per lo più giovani, una musica bassa di sottofondo, luci blu a led. Il solito. Ormai anche se fossimo al più bel locale del mondo, non riuscirei ad essere contenta. Ci avviciniamo al tavolo prenotato: vedo che ci sono tre sedie. 

-Dai su, accomodati che chiamo il cameriere.- dice Rosa, sedendosi, e togliendosi la giacca. 

-Rosa, ma perché ci sono tre sedie? Non siamo solo noi due?- chiedo allarmata. 

-Beh si.... può darsi.... magari ho invitato qualcuno, ma perché preoccuparsi adesso? Dai su, un martini e tutto passa.- mi risponde, sospettosa. 

Il camerieri arriva. Chiediamo due martini, dopo poco arrivano, e io lo butto giù tutto d'un fiato. 

Passa circa un'ora, dove Rosa, pettegola com'è, mi ha raccontato tutto ciò che  successo durante la mia assenza. 

-Ahahaha! Mi mancavano queste chiacchierate con te amica mia!- dice. 

-Ahahaha! Anche a me! Sono contentissima di essere qui con te stasera.- rispondo, ma il suo sguardo è spostato verso altro.  

Si alza dalla sedia. 

-Ben arrivato, finalmente!- dice. 

Sorrido, mi giro lentamente... 

…no. 

Non ci credo. 

-Ciao Deborah.- mi saluta con un'aria da cane bastonato. 

E' Danilo.  

Sono allibita. No, Rosa non può farmi questo, sono già stressata di mio, non può aggiungersi anche questo.  

Rimaniamo in silenzio. 

-..bene, perché non ci sediamo e ordiniamo qualcosa? Cameriere, altri tre martini...- tenta di dire imbarazzata. 

-Prendeteveli voi i martini. Io me ne vado.- dico prendendo la borsa ed alzandomi. 

-No Debby, aspetta..- tenta di dire Danilo. 

-Lasciami stare.- rispondo. Ed esco dal locale.  

L'aria mi rifresca le guance. Sento una rabbia tremenda dentro. 

Qualcuno mi spunta da dietro alle spalle. E' lui. 

-Deborah, posso spiegare...-. 

-Spiegare cosa?- rispondo arrabbiata. - Che hai preferito lasciarmi nel momento più difficile della mia vita invece che restare?. 

-Lo so, lo so, ma ero confuso, tu sei diventata ciò che sei adesso, ed io....capiscimi, non volevo....-. 

-Oh, adesso non venirmi a fare la predica, ti rendi solo ridicolo.- 

-Ma Deborah, io ti amo, te lo giuro, è stato solo un momento di sbando...-. 

-Sai Danilo, forse hai ragione tu. Sono cambiata. Finalmente ho trovato un equilibrio con me stessa, faccio ciò per cui mi sono sacrificata per anni, e indovina? Si, ho trovato anche qualcuno che mi ama davvero, per quello che sono, e non che si rifà vivo solo quando gli è comodo!- rispondo con tutta la rabbia che ho dentro. 

-Un altro? Deborah dai, ma cosa dici, torniamo insieme, tua madre e tuo padre sono d'accordo...- dice sfiorandomi la mano. 

-Non mi toccare. Mi hai già ferita abbastanza.-. 

-Non puoi darmi una seconda possibilità? Si da a tutti...- 

-Danilo questa sarebbe la quindicesima possibilità che ti do... Non siamo più due ragazzini. Sappiamo bene entrambi che io e te non ci siamo mai amati. Si, è stato bello, ma ormai è finito.-. 

-Ma non ti convinci? Potremmo cominciare a vivere insieme, e potremmo viaggiare, fare una bella crociera, una vacanza a...- 

-No Danilo, ti sfugge il concetto. Non sono i soldi che fanno la felicità. Te lo posso assicurare.- sento che una lacrima mi scende dal viso.  

Ci fissiamo per qualche secondo.  

Mi giro, e mi incammino velocemente, verso casa. 

Apro la porta, lancio le chiavi sul tavolo, insieme alla borsa, e mi butto sul letto.  

Scende una lacrima. E poi un'altra. E un'altra ancora.  

Non posso farcela, qui, senza di lui mi sento persa.  

Sento che gli occhi mi bruciano sempre di più. Mi accuccio su un lato. Chiudo gli occhi, e mi addormento. 

.. 

Driiin. Driiin. Driin. 

Mi sveglio all'improvviso, il telefono sta squillando. Mi giro, lo prendo. ''Lorenzo''. 

-Pronto?.-  

-Buongiorno! Stavi ancora dormendo? Sveglia sveglia, che abbiamo notizie importanti qui.- odio quando la gente di prima mattina è così contenta. 

-Wow. Dimmi.- rispondo assonnata. 

-Allora, allora: la casa discografica ha organizzato ben dieci firma copie in tutta Italia, questo vuol dire che si cara mia, si comincia a lavorare sul serio. Seconda news. Sempre la cara casa discografica ha chiesto che, visto che tra poco è Natale, sarebbe bello far uscire un nuovo inedito.- 

-Bene, sono contenta. Ehm, allora facciamo uscire ''Ogni minimo dettaglio''? Visto che è la meno ascoltata...- rispondo, alzandomi dal letto. 

-Ei ei. Ma va tutto bene?-. 

-Si, ehm, perché?-. 

-Ti sto proponendo una cosa stupenda, e tu mi rispondi cosi?.- 

Respiro. Guardo fuori alla finestra. 

-Lorenzo, il fatto è che... qui non mi sento bene. Voglio, ehm, tornare a Roma, ormai non sono più diciamo.... abituata.- 

-Vabè. Vedremo come risolvere. Per ora pensa ai firma copie e al disco. Ci sentiamo presto.- 

-Va bene, a presto-. metto giù. 

Oggi è il 24 Dicembre. La vigilia di Natale. Stasera mi aspetta una noiosissima cena con tutta la mia famiglia a casa di mio cugino. 

Mi stiracchio un po'. Vado in cucina.  

La luce che entra dalla finestra illumina il tavolo. Mi ci serve proprio un buon caffè forte. 

Prendo la moca, la sistemo, accendo il gas. Sbadiglio.  

Poi verso il cafè in una tazzina, e mi siedo. Non aggiungo neanche una zolletta di zucchero. 

''Carlo ne avrebbe messe almeno tre.'' penso tra me e me.  

Un sorriso mi spunta sul viso. Possibile che riesca a farmi sorridere anche se siamo a kilometri di distanza? 

Il telefono squilla di nuovo. Mi adiro. Neanche il cafè in pace riesco a bere. 

Ancora Lorenzo. 

-Prooonto?- rispondo con aria annoiata.  

-Senta cara signorina non disturbatemi la mattina, vuole sapere un'altra bella notizia?-. 

-Mh, si, immagino. Che programma televisivo ci ha invitato?- rispondo sorseggiando il cafè. 

-Aha. Spiritosa. Vestiti in fretta, tra tre ore hai un volo diretto a Roma- Fiumicino...- mi si illuminano gli occhi. 

-...la casa discografica ha aperto una filiale qui vicino. Per la casa ne troveremo una in affit...-. 

Sputo il caffè dalla bocca, mi tiro su in piedi. 

-Cosa? Oh mio Dio!- urlo lanciando il telefono. 

Roma, Carlo, Casa. 

Tornerò a Roma. No, non posso crederci. Devo calmarmi, calma Deborah calma.  

Devo fare la valigia, e avvertire mia madre e mio padre, e poi sistemare qua e... 

-prontooooo?-. sento la voce di Lorenzo dal cellulare. Lo raccolgo. 

-Lorenzo, scusami. Tra mezz'ora sono in aeroporto.-.  

-Ho detto tra tre ore, Deborah mi ascolti?-. 

Ma non fa in tempo a finire la frase che io stò già in camera, a preparare la valigia. 

Allora, bene ehm, questo si, quella maglietta no, anzi si, e poi queste scarpe ok, quelle no, che poi sono troppe, ehm questo maglione va bene, anche quello... 

Ho un'agitazione addosso che non riesco a spiegare.  

Sono sempre più convinta: se ho quest'altra possibilità di tornare a Roma non la spenderò così facilmente. Tornerò da Carlo, e non mi importa se lui ha cambiato idea. Tornerò, lo rivedrò, e starò con lui, senza lasciarlo mai. Mi è già sfuggito una volta. Non capiterà una seconda. 

Chiudo la valigia, mi guardo allo specchio: capelli scompigliati legati da una cosa semi storta. Sul viso mi è rimasta solo la matita, si sembro un po' un panda, ma non importa. Sorrido. Il primo vero sorriso da quando sono qui. Respiro. Chiudo gli occhi.  

Immagino lui, i suoi occhi, le sue labbra che ormai sono mie, mi appartengono, io vivo in ogni suo piccolo gesto. E' ora di andare. 

Chiudo la porta, ho scritto un biglietto per il proprietario. Le chiavi le ho lasciate in portineria, e sinceramente non mi importa, lo richiamerò....forse. 

Chiamo un taxi che arriva subito. 

-Direzione aeroporto di Catania, mio caro signore.- dico. 

L'autista mi guarda storto, ma non mi importa, adesso sono talmente felice che niente potrà fermarmi.  

Guardo fuori al finestrino: all'improvviso vedo di nuovo i colori, sento i profumi, mi sento ''Libera'', sento che sto tornando a quella sensazione che ho provato.  

Di nuovo ho le farfalle nello stomaco: mi sento come un'adolescente al primo appuntamento. 

Questo è il più bel Natale che io abbia mai... aspetta... Natale... famiglia... devo chiamare mia madre! 

Rovisto nella borsa, ecco il telefono: compongo il numero. 

beeep. beep. 

-Pronto?- 

-Ciao mamma!- 

-Tesoro, dimmi!- 

-Stasera non vengo alla cena!- 

-A mamma ma cosa stai dicendo? Ti aspettiamo tutti!- 

-Ehm... devo assolutamente lavorare, sto andando a Roma...- 

-A Roma? Minchia, ma è lontanissimo! Ma quando torni?- 

-Non lo so mamma, poi ti richiamerò...- 

-Ma perché? E' successo qualcosa, così all'improvviso?- 

Respiro. Un brivido mi scende lungo la schiena. 

-Mi sta aspettando la felicità, mamma.- rispondo, fiera. 

-La felicità? Ma che stai dicendo? Vabè, stai attenta e chiamami appena arrivi..- mette giù. 

Sorrido. Si, la felicità. 

Arrivo all'aeroporto. 

Scendo dal taxi, prendo il trolley. Mi dirigo verso il Terminal 3.  

Finalmente. Questo luogo. Qui è successo tutto. Da qui è cominciato, da qui è finito. Ed è da qui, che ricomincia un'altra volta.  

Faccio il check-in. Ho le mani che mi tremano, non so neanche se ho dimenticato qualche documento alla cassa.  

Vado sulla scala mobile quella piana, ma ad un certo punto il telefono vibra. Lo prendo, mi si gela il sangue nelle vene a leggere il nome: Carlo.  

Mi avvicino sempre di più all'entrata dell'aereo.  

E' un messaggio, lo leggo: 

Da: Carlo. 

Hey Deborah, come va? Io.... ehm, no ricominciamo. 

Ciao Deborah. Si, lo so che ormai è un mese che non ci sentiamo. So quanto sia difficile per te, e so anche che non dovevo scriverti, perché ''non possiamo'', ricordi?  

Probabilmente mi pentirò di ciò che sto scrivendo, ma dovevo.  

Deborah io credo di amarti come non ho mai amato nessuno.  

Perciò sono venuto in Sicilia. Ti spiegherò poi e tutto, e se non vorrai vedermi, prenderò il primo aereo.  

Sono in aeroporto. Ti aspetto. 

Fermi tutti: in aeroporto, quindi è.... qua?!



------------------------------------------------------------------ ANGOLO DELL'AUTRICE -------------------------------------------------------

BUONASERA A TUTTI. Ok, ok. Sono pronta a ricevere qualsiasi lamentela. Avete ragione su tutto, mi sono assentata per un lunghissimo periodo. Ma sapete che ho avuto problemi con internet, in più la scuola, i vari problemi e tuuutto.
MA, eccomi qua, ed ecco il tanto atteso capitolo! *applausi*.
Si, lo so, vi state chiedendo se Carlo e Deborah si rincontreranno. 
Ehehe. Diciamo che c'è qualcosa nell'aria. Carlo, aeroporto. Deborah, stesso aeroporto. Cosa succederà? Si incontreranno, o no? 
Questo capitolo è molto scorrevole, e serve in particolare a far chiarire le idee a Deborah...e chissà, magari anche a Carlo.
Vi amo a tutti, per i messaggi che scrivete, per le visualizzazioni, e per ciò che siete e che fate ogni giorno per me. Dopo tanto tempo, leggere i vostri messaggi positivi, mi fanno rendere conto di quanto siate speciali e di quanto sia importante la mia storia.
Vi ringrazio con ogni singola parte del mio cuore, mi scuso per i lungo tempo, ma adesso sono tornata e con me anche i capitoli.
Grazie per tutto ciò che fate, perchè la mia storia va a avanti solo grazie a voi!
Spero vi tenga un po' compagnia questo capitolo, ci sentiamo al prossimo, buon inizio settimana! :) <3

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Capitolo 13
*** ''Sta volta, per sempre.'' ***


...

''Sono in aeroporto. Ti aspetto.''  

Rileggo quelle due frasi in continuazione. Mi tremano le gambe, ho il mal di testa, lo stomaco in subbuglio. Un po' come la prima volta che l'ho incontrato. Giro lo sguardo qua e la, sposto la gente, urlo in continuazione ''Carlo'', ma nessuno risponde. Forse se n'è già andato.   

Corro in avanti, indietro, sono anche andata addosso ad una signora, ma non mi sono neanche fermata a chiederle scusa.   

Ho il respiro affannato, la valigia comincia a pesare sempre di più, e ormai anche la mia speranza se ne sta andando.   

Mi sento come in un tunnel: la confusione, e la gente che urla, e tutti quei rumori classici di un aeroporto, sono veramente orribili. 

E se se ne fosse andato? 

E se quel messaggio era uno scherzo, magari di qualche suo amico, o peggio di qualche sua amica. 

Mentre mi dimeno tra una persona all'altra, mi vengono in mente mille pensieri. 

Rivedo davanti ai miei occhi, tutte le immagini passate: io, la tuta bianca, lui, il suo sorriso dolce. L'aiuto ed il sostegno che mi ha dato dal primo momento in cui sono stata in quella scuola. 

Le mie idiozie. ''Canto anche se sono stonata'', le battute su di lui con le ragazze. 

La vittoria.  

Il suo abbraccio forte, davanti a quella telecamera, a quella gente. ''Abbiamo vinto, Deborah.'' 

''Abbiamo.'' Quelle parole, a cui prima non davo affatto importanza, adesso mi mantengono viva.  

Il mio inizio di successo, il contratto con la casa discografica, quella pioggia forte, quell'aereo mai preso, quel pomeriggio infinito. 

E poi lui.  

E Matteo.  

E la sera al motel, la prima volta che abbiamo dormito insieme.  

E poi Veronica, oh lei. Chissà se sapesse tutto ciò che è successo tra noi cosa, cosa penserebbe. 

Il suo ''Ti amo, Deborah.'' che era vero, vero come il sole la mattina. 

E poi, la nostra ''convivenza''. Le giornate, passate insieme, le più belle della mia vita. Quella maledetta chiamata, quel bacio doloroso, dato di sfuggita, con le lacrime, e la rabbia dentro.  

E il maledetto aereo. Che mi ha portata via da lui. 

Siamo passati dall'essere due, all'essere uno. Da, un imbarazzante ''ciao'', detto con lo sguardo basso, quasi ingenuo, ad un mancarci a vicenda, come se io fossi il mare, e lui la sabbia. 

Adesso sono qui, nello stesso aeroporto, con la stessa rassegnazione addosso. 

Cammino più lentamente di prima. Ormai, non ci spero più neanche tanto. 

Ma all'improvviso vedo in lontananza un uomo, alto circa 1,75, con i capelli neri, girato di spalle. Mi si blocca il cuore. Sento di nuovo i brividi lungo la schiena, e quelle maledette farfalle nello stomaco. Un sorriso mi appare sul viso: è lui.  

Corro verso l'uomo, con tutta la felicità nel cuore. Sembra avere i capelli più corti, rasati sui lati. Magari è solo una mia impressione. Ma adesso non ho tempo per pensarci. 

Corro, mi avvicino. Lascio la valigia a terra...  

-Carlo.- dico, con al voce tremante, e gli occhi chiusi. 

-Lo so che non potremmo mai amarci come vogliamo, e so anche che non sarà semplice tornare come prima, ma ti prometto che se stiamo insieme, riuscirò a fare di te l'uomo più felice del mondo.- sputo tutte le parole fuori. Avevo preparato questo discorso da troppo tempo ormai. Apro gli occhi. 

Silenzio.  

Ad un certo punto l'uomo si gira, sento le mani sudare, il cuore accelera sempre di più e..  

-...scusa, ce l'hai con me?- un tonfo al cuore.   

Non è Carlo. Non è lui. Ma come ho fatto a scambiarlo? Deborah, possibile che tu non ne combini una giusta neanche in queste occasioni? Abbasso lo sguardo, metto una mano in fronte: devo cercare ancora.  

-...comunque piacere, Andrea.- mi risponde il tizio, con uno sguardo ammiccante, porgendomi la mano.  

Lo guardo arrabbiata, anche se in effetti lui non c'entra niente. Ri-prendo la valigia, e mi dirigo verso il bar, trascinandomi.   

Ma cosa sto facendo. Si, è vero che lui ha detto di amarmi, e anche io lo amo, ma no, non può esistere. Andrebbe bene per i primi due, tre mesi. Se siamo bravi, magari anche un anno. Ma poi inizieranno  i problemi: la casa troppo piccola, il mio lavoro troppo impegnativo, il suo troppo frenetico. E poi ci saranno le interviste, i giornalisti, si, potremmo nascondere la nostra storia, ma fino a quanto? E perché dovremmo essere costretti a farlo? Non siamo mica due ladri, siamo due che si amano. Si creerebbero delle inutili polemiche. Già leggo i titoli delle riviste per adolescenti: ''Deborah, vincitrice di Amici 13, svela il segreto del suo successo: la raccomandazione.''   

Sarei presa d'assalto, la mia carriera smetterebbe di esistere prima di cominciare, la sua sarebbe definitivamente conclusa.   

Cammino lentamente verso l'entrata dell'aereo, se non l'ho trovato vuol dire che non era destino.   

Trascino il trolley, fissando a terra: sono troppo triste per fingere ancora sorrisi. Il nodo in gola sta per tornare. Tornerò a Roma, sistemerò la situazione con la casa discografica, e mi troverò una casetta piccolina. Tanto, per una persona sola, non serve una casa grande. Poi rincontrerò Lorenzo, la band, scriverò dei nuovi pezzi. 

Magari un giorno ci rincontreremo.  

Lo vedrò, alla fermata di un semaforo, davanti ad una vetrina di un negozio, in un parco, non importa dove. 

Lo ammirerò da lontano.  

Magari gli scriverò un messaggio dicendogli che eravamo troppo opposti, troppo sbagliati. 

Che abbiamo affrettato le cose, abbiamo bruciato le tappe, e così ci siamo persi entrambi. 

Lui mi chiederà di rivederci, e magari se ne avrò il coraggio, lo farò anche: in un bar del centro, quando ormai sarà tornata l'estate.  

Lo rivedrò, e proverò gli stessi sentimenti. Berremo due caffè, parlando del più e del meno. 

E poi ci ricorderemo, che esattamente un anno prima, in quell'estate piovosa e cupa, ci eravamo scontrati come due scemi: rideremo, ma per convenzione. 

Mi dirà che forse ho ragione, meglio prendere due strade diverse, due vite separate. 

''Salutami tanto Matteo'', gli dirò a fine conversazione. 

''Certamente'', mi risponderà, con un accenno di sorriso, socchiudendo le labbra.  

Si alzerà dalla sedia, dandomi un bacio sulla guancia. Sentirò lo stesso brivido della prima volta, dell'ultima. 

''Ciao, Deborah.'' mi dirà. 

E se ne andrà. Come è giusto che sia. Come succede nella vita reale. Niente baci, niente parole d'amore, nessun finale felice. Solo un tremendo silenzio, spezzato solo dalle mie lacrime, che scendono lente sul viso. 

 

Sbeeeeem.  

Fiondo per terra. Perché persa nei miei pensieri, non ho fatto caso all'uomo che ho davanti a me. Ci mancava solo questa. Mi sono fatta male alla schiena, diamine.  

-Ahia!.... mi scusi, ero distratta non volevo...- dico mentre sono ancora a terra.  

-Deborah.- dice l'uomo. 

Silenzio. Una mano mi appare davanti lo sguardo, per aiutare ad alzarmi. 

Aspetta. 

Quella mano. Quella voce. Quell'odore.  

Alzo lo sguardo, lentamente, per gustarmi questo momento, perché forse ancora non ci credo perché...  

-Carlo!- urlo, e le lacrime scendono da sole.  

Sento l'adrenalina addosso, e la tristezza scomparire. Come se fosse tornata la luce, dopo giorni di buio. 

In un istante mi tira su e..  

..ci baciamo.  

Come non ci siamo mai baciati prima d'ora. Sento le mie lacrime bagnare il suo viso, e lo stringo forte, perché no, non voglio perderlo di nuovo. Stringo il suo petto, che ormai è mio, e quel collo, liscio dove ho dormito, e i capelli, sempre più scuri. Le sue labbra, poi la sua lingua, e la mia, insieme, come non mai, meglio dell'ultima volta. Sento il suo cuore battere più forte del mio. Ormai intorno a noi tutti si è fermato, la gente che passa non ci sfiora neanche, perché quest'attimo è nostro, io e lui, come deve essere. In un attimo, ha spazzato via tutti i pensieri che avevo. 

Lui, è qui, nelle mie mani, come una cosa da proteggere, come una cosa mia, ma che dico, è mio. 

Qui, proprio dentro le mia braccia, o io dentro le sue, che importa. 

Le nostre labbra si staccano lentamente. 

-Non sai da quanto tempo aspettavo questo momento...- sussurra, nel mio orecchio.   

Il suo respiro, dolce, e i suoi capelli che lentamente mi solleticano il collo. I suoi occhi. Siamo a una distanza di due centimetri, abbracciati. Sento le farfalle, ma che dico, api inferocite, che si muovono nel mio stomaco.  

-Non sai da quanto tempo io aspettavo te.- dico, sussurrandolo, delicatamente. 

-So che sarà difficile.- dice, fissandomi negli occhi. Lo ascolto attentamente, anche se ho il viso rigato dalle lacrime, ma sta volta, di felicità. 

-So che forse, rischieremo molto.- fa una pausa. Respira. 

-Ma io ho bisogno di te. E non mi importa, se la gente penserà male. Se qualcuno insinuerà qualcosa di falso. Io sono qui per te. Per come tu sei. Perché io ho capito di amarti, come non ho mai amato nessun'altro. Ho bisogno di vederti preparare il caffè la mattina, ho bisogno della tua voce che mi dice di non lasciare la maglietta sulla sedia, ho bisogno del tuo respiro quando dormiamo, e del tuo sorriso quando siamo svegli. Voglio vederti cantare, mentre io ti guardo da sotto al palco, in un concerto in giro per il mondo, e affermo con tutto l'orgoglio che: ''quella, è la mia ragazza''. Perché ti voglio nel mio presente, e nel mio futuro. Perché io voglio te... e nessun altro. E, so benissimo, che se dovessi salire su quell'aereo da solo, non me lo perdonerei mai. Perché sono tornato per prenderti. Sta volta, per sempre.- respira, ancora. 

Il cuore mi batte a mille. Forse non saprei neanche descriverlo questo momento: è una felicità al di sopra di quanto mi sarei mai aspettata.  

Ci siamo rincontrati qui. Sempre in aeroporto. Sempre distrattamente, sbattendoci contro. Forse perché le cose belle accadono per caso: è come se il destino me lo avesse messo davanti, senza che io abbia deciso niente. 

-Io Carlo... non ho parole.- dico, tra una lacrima e l'altra.  

-Mi ero preparata, oh, un bellissimo discorso. Con parole ricercate, e anche abbastanza profonde.- ride, rido anche io. 

-Ma, adesso, ti giuro, che non riesco a dire nulla...- dico abbozzando un sorriso, mentre abbasso lo sguardo.  

-...ma una cosa te la posso dire.- respiro profondamente.  

- Ti amo Carlo.- dico chiudendo gli occhi. Forse per la troppa emozione, riaprendoli subito, per non perdermi neanche un secondo dei suoi meravigliosi occhi. 

Ride. Sento la sua emozione addosso. Le sue mani, attorcigliate nei miei capelli, tremano leggermente. 

-Ti amo anche io, Deborah.- dice, guardandomi con tutto l'amore che ha. 

Finalmente. 

Sentire queste parole, uscire dalle sue morbide labbra. 

Da quanto tempo l'ho aspettato. 

-...dillo ancora.- parlo a bassa voce, ma lui mi ha sentito lo stesso.  

-Ti amo Deborah!- urla.  

Si, qualche persona si è girata, dandoci anche dei pazzi.  

Ma siamo scoppiati a ridere.  

Insieme. 

Ci stringiamo in un lungo abbraccio. Adesso sento che tutte le mie paure sono volate via. Che quel muro di malinconia, lo ha buttato giù in pochissimo tempo. Ed è riuscito a riempire quel vuoto che mi porto dietro da anni. Forse doveva andare proprio così. Forse dovevo rincontralo, viverlo, e perderlo per capire davvero quanto possa essere fondamentale per la mia vita. 

Ma si.  

E' così che deve andare.  

Anche io ho un finale da film sdolcinato. 

Perché le cose belle accadono: lo posso giurare. 

Perché solo vivendoli, questi momenti, si possono comprendere fino infondo. 

Perché adesso lui, ed io, siamo qui. 

Perché A volte capita. Anche per me. 

Lo guardo, nei suoi profondi occhi color nocciola. Giuro che di cose belle ce ne stanno al mondo. Ma niente eguaglia i miei occhi che si specchiano nei suoi. 

Mi schiarisco la voce.  

-Torniamo... a casa?- dico, un po' imbarazzata, perché quella è la mia vera casa, ma adesso è diventata la ''nostra''. Qualcosa che appartiene solo ed esclusivamente a noi, qualcosa che custodiamo. E, potrebbe essere una villa, come una capanna, come una tenda nel bel mezzo del deserto, ma ''ci vediamo a casa'', è la promessa più bella che si possa mai fare. 

Perché torno a casa. Torno dove sto bene, dove posso essere me stessa. E casa è lui, la sua voce, i suoi occhi. Casa.  

-...torniamo a casa.- afferma, dolcemente, sorridendo. 

Ci separiamo un po': il suo braccio mi cinge i fianchi, e mentre trascina il mio trolley, ci avviamo verso l'uscita.  

''Ultima chiamata per il volo Catania - Roma Fiumicino. Si pregano i passeggieri, di recarsi all'interno dell'aereo. Ultima chiamata.'' 

Guardo Carlo. Mi sorride. 

La voce della speaker dell'aeroporto mi risuona lontanamente. Non me ne importa niente. 

Mi stringe ancora più forte, ed usciamo dall'aeroporto, per dirigerci a casa mia. 

Insieme. 

------------------ ANGOLO DELL'AUTRICE ---------------------------------- 

Buonasera a tutti! Sono tornata con un nuovo capitolo e, a mio parere il più bello scritto fin'ora. Aveste visto? Ebbene si: si sono rincontrati. E sta volta, ve lo assicuro, non si lasceranno più. Ho voluto sottolineare la confusione nella mente di Deborah, e la felicità quando invece incontra Carlo. Non mi dilungo molto nella spiegazione, voglio che lo leggete e lo vivete come piace a voi. Devo, però, comunicarvi un'altra cosa: ci stiamo avvicinando alla fine. Credo che il prossimo, sia proprio l'ultimo capitolo. Ma, per adesso, non pensiamoci: godetevi i nostri ragazzi :)  

Vi ringrazio ancora per la gioia che mi date ogni giorno, spero di non deludervi mai, e di riuscire a farvi vivere qualcosa di ''bello'', con delle semplici parole. Grazie ancora, a presto. :) <3 

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Capitolo 14
*** Buongiorno, amore! ***


------- 

 

La stessa sera, abbiamo preso un volo diretto a Roma. Era l'ultimo della giornata. E verso mezzanotte siamo rientrati nella, nostra, casa.    

Tutto uguale a com'è sempre stato. Anche se era buio, perchè non avevamo ancora acceso le luci, grazie all'ombra della luna che entrava dalla finestra, ho scrutato attentamente tutto. Il plaid sul divano, la carta stropicciata dello spartito lì, sul tavolo. I CD perfettamente allineati sulla libreria. L'odore è quello. Di un posto in cui ho vissuto, in cui sono stata bene. Guardandomi intorno vedo che tutto è esattamente ordinato: quella pentola messa in quel modo, la lavatrice pulita, le tende del salone.    

Ho fatto anche qualche battuta, sul come siano stati puliti e ordinati, quando in realtà era palese che non avessero neanche spazzato il pavimento dell'ingresso.    

Ho lasciato cadere la valigia accanto al divano. E senza dire niente, con la luce ancora spenta, Carlo, fissandomi negli occhi, ha cominciato a togliermi la sciarpa. E il cappotto. E anche il maglione. Lui si è tolto le scarpe, i jeans.    

Le sue mani fredde, accarezzavano il mio corpo caldo.  

Il suo profumo, inconfondibile.  

E i suoi occhi erano pieni d'amore.  

Tutto era perfettamente dove doveva stare.   

Non come nei romanzi, o nei film, con le candele, la musica di sottofondo, l'odore di vaniglia nell'aria.   

Ma semplice.   

Come siamo semplici noi.   

Com'è semplice il nostro amore, tanto semplice, quanto forte da esser riuscito a resistere ad ogni intemperia.   

Mi ha lentamente fatta sdraiare sul divano, mentre ci fissavamo negli occhi.   

Quel divano dove ho sempre dormito da sola.    

Quel divano dove ci siamo quasi baciati.   

E sempre lo stesso divano in cui ci siamo lasciati.    

Sento ancora le mie lacrime, e l'odore del mio profumo impregnati sui cuscini.   

Ho sentito che finalmente era arrivato il momento.  

Di unire i nostri corpi.  

Di amarci non solo con il cuore, ma anche con il fisico.   

Lentamente mi cominciò a baciare.    

E poi la sua mano, che dolcemente si fece spazio sotto la mia maglietta, provocandomi un brivido, perchè le sue mani sono sempre troppo fredde, contro la mia pelle bollente.   

- Aspettavo questo momento da troppo tempo...- sussurrai con un gemito, mentre la sua mano massaggiava lentamente la mia schiena, baciandomi il collo.   

- Io aspetto te da una vita...- rispose lui, sospirando.  

 

--- 

 

Abbiamo fatto l'amore.    

Lo abbiamo fatto con i corpi, con lo spirito, con l'anima, con il cuore.    

Ho sentito la sua pelle strisciare lentamente contro la mia.    

L'ho sentito entrarmi dentro, ma dentro l'anima, per restarci.  

E la sua bocca umida, baciare ogni parte del mio corpo. Il suo respiro che si faceva sempre più veloce, mischiato al mio ansimare.    

Ed è andato avanti per ore. Per tutta la notte.    

Ed è stato magico. Dolce. Sensuale. Ho sentito i nostri corpi unirsi veramente. Lo aspettavamo da ormai troppo tempo.   

La notte di Natale, ho ricevuto il regalo più bello che avessi mai potuto immaginare: Carlo.    

Le sue braccia che stringono i miei fianchi, e le sue labbra che assaggiano le mie.    

E finalmente, dopo tutto il tempo passato distanti, ci siamo riuniti.   

In un corpo solo.   

E poi il suo braccio che stringe la mia vita, e le mie gambe che cingono i suoi fianchi.   

E poi quei baci veloci, sulla mie labbra, o sulle sue? Non ci distinguevamo più, ormai eravamo legati nel profondo, in un abisso dal quale non si può risalire. 

L'ho sentito mio.  

Finalmente.  

 

-----   

 

Sento un raggio di sole che mi riscalda la caviglia. Apro lentamente gli occhi.    

Sono sdraiata, nuda, su di Carlo, nudo anche lui. A coprirci, solo un leggero lenzuolo azzurro.    

Lo guardo, ancora dorme.   

Il sole che entra dalla finestra illumina il suo viso. Con un dito delineo i suoi tratti: le sue sopracciglia, il suo naso, le sue labbra.   

Pensare che tutto ciò fino a qualche mese fa era impossibile.   

E adesso lui è qui.   

Tra le mie mani.   

Come una cosa troppo preziosa da proteggere.   

Sento che si muove leggermente. Si sveglia.    

- Buongiorno, Deborah.- dice, con la voce ancora impastata dal sonno.    

Lo guardo stropicciarsi gli occhi lentamente.  

- Buongiorno, amore.- rispondo, decisa. Le parole escono dalle mie labbra come proiettili. Era da tempo che aspettavo di pronunciarle. Di chiamarlo finalmente ''amore'', come è giusto che venga chiamato. 

Lui è un po' sbalordito, forse era ancora un po' addormentato. Si guarda intorno, poi guarda me: e capisce la situazione.    

Scoppia in una risata dolcissima.    

- Che hai da ridere? - rispondo maliziosamente, accennando un sorriso.  

Mi guarda, come se fossi la cosa più bella che abbia.  

- Mi sembra un sogno.- dice portandosi una mano sul viso. 

-Invece è tutto reale. Ti prego, dammi un pizzico!- dice, ingenuamente.    

- Ah si?- rispondo alzando un sopracciglio. - Allora farò di meglio di un pizzico.- lentamente mi avvicino alle sue labbra, e lo bacio, dolcemente. Le sue mani accarezzano i miei capelli, le mie i suoi.  

Ci stacchiamo. 

- Si, questo è moolto meglio di un pizzico...- risponde, continuando a baciarmi lentamente, con tutta la passione che aveva da tempo.    

   

Ma all'improvviso sento un rumore di chiavi, la serratura si gira, la porta si apre.    

-Oh, diamine.- dice Carlo, portandosi una mano sulla testa.    

Mi giro di scatto.   

-Deborah?!- urla interrogativo..... Matteo.    

Mi alzo velocemente, trascinando il lenzuolo, per coprirmi.   

-Matteo!- urlo, andandogli incontro. Mi è mancato un sacco. Lui, il suo modo di fare, la sua ingenuità apparente.   

Mi avvicino a lui per abbracciarlo, quando...  

-Aspetta aspetta: ma tu sei qui! E da quando, c'è, come, perché, io non sapevo niente!- urla. Gli occhi gli brillano. Sto per tuffarmi nelle sue braccia, ma a rompere il nostro incontro, c'è la voce di Carlo, che, imbarazzatissimo, tenta di coprirsi con qualche vestito raccattato qua e là. Avendo preso io, l'unico lenzuolo disponibile.  

-Si Matteo, è Deborah, è lei, è qui, però ora potresti gentilmente andartene?- continua con aria severa.   

-Penso che tu capisca la situazione...- dice minacciando suo fratello con uno sguardo assassino.    

Matteo gira lo sguardo verso di me, e spalanca gli occhi.  Poi guarda Carlo, e poi di nuovo me.  

-Ah....ehm....- comincia a borbottare qualcosa di incomprensibile.  

-Voi due...ehm.... si, ops.... ehm....scusate...- dice dirigendosi lentamente alla porta. All'improvviso il suo viso diventa rossissimo. Deglutisce, e molto imbarazzato, tenta di dire una frase di senso compiuto.  

-....a-a-allora io vado, ehm, a prendere, ehm, il coso....chiamatemi quando avete fatto...ehm si.... ciao eh.- e sbatte la porta, uscendo.   

Scoppio a ridere.    

-Mio fratello deve sempre stare in mezzo!- dice Carlo, aggrottando le sopracciglia. Intanto si è rivestito, e viene verso di me.    

Continuo a ridere.   

-Mi è mancato anche lui in questo periodo.- dico guardandolo negli occhi, e tenendo con entrambe le mani il lenzuolo.    

-Davvero? Allora devi avere proprio un gran cuore!- dice sistemandosi la maglietta.    

-Bhe....credo che sia il momento di ehm, andarmi a vestire.- dico girandomi verso il divano, maliziosamente.    

Ad un tratto sento che lui mi tira per i fianchi, e mi gira, dandomi un bacio appassionato.    

-Ora si, puoi andare.- dice sorridendo.    

Gli do un'ultima occhiata, poi raccolgo tutte le mie cose, la valigia, e mi chiudo in bagno.   

  

-------  

  

Dopo una bella doccia, una sistemata ai capelli e al trucco, mi sono, finalmente vestita in modo decente. Esco dal bagno.    

Carlo è seduto in cucina, che legge il giornale. Mi vede.    

-Finalmente! Ma quanto ci mettete voi donne per farvi una doccia?- dice sorridendo.    

-Ma non ci ho messo molto! Sono solo passate due ore!- rispondo, ridendo. Lui mi guarda con un'aria scettica.    

-Senti: che ne dici se andiamo a fare colazione al bar?- dico prendendo il telefono dal tavolo. Guardo l'ora: le undici e mezza.   

-Accetto molto volentieri: anche se credo che ormai sia quasi ora di pranzo.- mi dice alzandosi, e sorridendo.    

-Hey....- rispondo facendo la faccia arrabbiata.    

-Dai, scherzavo....sarei molto contento di fare colazione e pranzare con lei signorina...- dice abbracciandomi e stringendosi a me.    

-Ah si?- dico maliziosamente.   

-...allora comincia a prende le chiavi della macchina, che per trovarle ci metti sempre le ore!- dico sciogliendomi dalle sue braccia, dirigendomi nell'atrio per prendere la borsa.    

Lui ride, mi segue, e insieme usciamo.    

   

----   

Saliamo in macchina, parcheggiata proprio davanti il portone di casa, e ci dirigiamo verso un ristorante vicino.  
 
Dopo aver mangiato, decido di chiamare Matteo. Credo sia arrivato il momento di spiegargli tutto.  

-Carlo, che ne dici di sentire Matteo? In fondo dopo quello che è successo stamattina....- dico arrossendo leggermente. Lui mi guarda. 

-Ah, ehm si, ehm, credo che gli dobbiamo delle spiegazioni.- dice, prendendo dalla tasca il telefono.  

-Pronto? Matt? Ehm si, sono Carlo, senti, ehm, io e Deborah stiamo qua e, non so, ti va se ci facciamo una passeggiata tutti e tre insieme? ..... Ok, allora ci vediamo al parco sotto casa tra un quarto d'ora. A dopo. Ciao.- riattacca.  

Lo guardo sorridendo.  

-Ha detto che va bene.- mi risponde lui, rimettendo il telefono in tasca.  

Usciti dal ristorante ci dirigiamo alla macchina. 

-Secondo me anche lui è contento... di noi due intendo.- dico, mentre lo prendo per la mano.  

-Di quello ne sono convinto. Infondo anche a lui sei mancata.- dice stringendomi la mano.  

-...ma mai quanto sei mancata a me.- dice, girandosi verso di me. 

-Ah si?- rispondo alzando un sopracciglio. 

Lui ride. Il suo sorriso. Quanto mi è mancato. Vederlo ridere e sapere che il motivo della sua gioia sono io mi fa sentire bene.  
Si avvicina lentamente e ci lasciamo andare in un lungo bacio.  

Le sue labbra contro le mie sono una delle cose più belle al mondo.  

-Adesso però andiamo, altrimenti Matteo si preoccupa!- dico staccandomi da lui e correndo verso la macchina.  

-Ma dove corri!- dice lui, ridendo.  

 

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Arrivati al parco vediamo Matteo in lontananza. Essendo oggi il 25 Dicembre, il parco è desolato. E' seduto su una panchina, ed è nervosissimo. Ha un lungo cappotto blu scuro, e una lunga sciarpa nera, che lo avvolge completamente.  

-Ho capito che oggi è Natale, ma addirittura così coperto mi sembra esagerato!- dico, avvicinandomi a lui.  

-Deborah!- dice, correndo verso di me, abbracciandomi.  

-Mi sei mancata tantissimo!- sussurra dolcemente.  

-Anche tu!- rispondo stringendolo. 

-Ehm ehm.- borbotta Carlo, rimasto indietro. 

-Fratello, non cominciare a rompere. Piuttosto, raccontami un po' com'è andata stanotte... anche se la mia vasta esperienza, mi suggerisce che vi siete divertiti tanto...- dice, ammiccando un sorriso, e facendo l'occhiolino a Carlo. 

-Matteo per favore, almeno il giorno di Natale, potresti non essere sempre il solito?- risponde lui, deciso. 

-Uhh, quante storie! Allora me lo dirà la signorina qui di fronte....- dice, indicandomi. 

-Ahahah, beh, il divertimento di sicuro c'è stato, ma c'è stato anche tanto.... amore.- dico, sorridendo a Carlo. Lui ricambia. 

-Ahh. Ora cominciamo con le smancerie, i sorrisetti, bla bla bla... Meglio farci una passeggiata e chiacchierare seriamente!- dice, prendendomi sotto braccio. Rido. 

-Carlo tu che fai, vieni?- domanda ironico.  

-Comincia a camminare che è meglio.- risponde lui adirato. 

-Ahahaha! Quanto mi siete mancati tutti e due insieme!- dico, camminando insieme a Matteo. 

Ci incamminiamo per una luuuunga passeggiata intorno al parco.  

So che oggi è Natale, e solitamente, il Natale si passa insieme alla famiglia, agli amici cari, con tanta gente, e tanto da mangiare. Ma io sento che la mia casa, la mia famiglia, i miei amici, sono qui in questo momento. E non importa se invece che giocare a tombola, camminiamo intorno al parco, perchè sento che con loro, io, sono sempre a casa. Loro, sono il mio tutto. E Carlo, che ogni tanto mi da un bacio sulla fronte, mi fa sentire amata. Forse per la prima volta in vita mia. Sento che lui è tutto ciò di cui ho bisogno, tutto ciò che ho di più bello, e adesso niente e nessuno potrà portarlo via da me. Adesso stiamo insieme. Per sempre.  

 

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ANGOLO DELL'AUTRICE 

Buonasera! Si, comincio come sempre nel scusarmi, perché non pubblico un capitolo da un sacco di tempo! MI SIETE MANCATI TANTISSIMO TUTTI <3  
Ma, sono giustificata: la scuola mi ruba decisamente troppo tempo, e non ho neanche un secondo libero!  
Ora che verrà l'estate potrò dedicarmi di più a ciò che mi piace fare. Ma comunque, non parliamo di me, parliamo della storia.  
So che mi avete chiesto di ''allungarla'' il più possibile, anche se credo che le cose ben riuscite e interessanti, è meglio che si concludano in modo giusto e preciso, piuttosto che diventare una noia mortale. In fondo, '''il gioco è bello quando dura poco''. Con questo non voglio dirvi che il prossimo sarà l'ultimo capitolo, ma veramente ci stiamo avvicinando alla fine di questa dolce storia :) 
Finalmente i nostri cari si sono rincontrati, e sta volta rimarranno insieme, ve lo assicuro!  
Deborah ha capito realmente cosa siano le cose belle della vita: l'amore per Carlo, e la grande amicizia con Matteo.  
Spero che questo capitolo vi piaccia, o comunque vi tenga compagnia per un po' di tempo! :)  
Come sempre non ho parole per ringraziarvi, veramente, mi donate una gioia immensa che non so descrivere. So che leggete, commentate, e vi appassionate, e questo mi rende una persona veramente felice :)  
Vi lascio quindi al resto della storia, ma vi faccio una domanda: voi, come vorreste che continuasse? Chi personaggio vi piace di più? O quale vorreste che apparisse nella storia?  
Vi auguro una buona settimana, e vi mando un grandissimo bacio!  
A presto! :) <3 

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