◈ ƒяαммεηтι - ρяιмα ∂ι ραятιяε ◈

di Andy Black
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Infanzia ***
Capitolo 2: *** Amore ***
Capitolo 3: *** Paura e solitudine ***
Capitolo 4: *** Ed ora? ***



Capitolo 1
*** Infanzia ***


Frammenti.
Pezzi dissoluti di una vita che c'è. Ricordi e pensieri sciolti come ghiaccio.
Vite parallele così simili, frantumatesi alle origini, ma ancora perfettamente combacianti.
Frammenti di vita.



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Infanzia

 

 
"Sono nato tre chili e trecentocinquanta. Sì, suppongo di esser nato come una persona normale. Non che adesso io non sia normale, per quanto la parola normale sia così utilizzata a sproposito (insomma, io posso definirmi normale, e anche lei che mi ascolta può farlo, ma io e lei non siamo uguali, e quello che è normale per me può non esserlo per lei), ma fin dall'inizio avevamo capito che c'era qualcosa di straordinario in me. E non parlo del peso, o della mia opinione sulla soggettività della parola normale.
Parlo del fatto che quando una persona nasce, comincia il suo percorso nella vita. Dapprima gattona, ed è più vulnerabile, ma i problemi a quell'età sono relativi. Poi impari a camminare, a parlare, e a capire. Cioè, lì i problemi cominciano a nascere, ma non sono mai paragonabili a quelli che peschi quando impari a correre. E a quando rallenti, sia ben chiaro.
 
Io, invece, ho dovuto subito imparare a correre. Altrimenti mi avrebbero preso"

 
 

 
 
Ogni domenica mattina, nella piazza di Amarantopoli, c'era lo spettacolo delle Kimono Girls. L'autunno ad Amarantopoli era particolarmente sentito. Le bellissime donne, pettinate e vestite come vetuste e antiche nubili, danzavano con l'armonia delle foglie rosse degli aceri che incorniciavano la città, e che si staccavano dai rami finendo sulle mattonelle di pietra amaranto del posto.
La musica attirava la gente del posto, faceva affacciare i vecchietti dai balconi, spingeva i ragazzini a tirare per mano i genitori.
"Voglio vedere! Mamma, voglio vedere! Voglio vedere!"
"Xavier, non tirarmi!"
Il piccolo ragazzino, dagli occhi azzurri come il cielo del giorno prima e dai capelli biondi come il sole nascosto dalle nuvole di quel giorno, tirava la mano della sua mamma, puntando il cerchio di folla che si era posto attorno a quella fonte di attenzione.
"Xavier, non tirare tua madre" sorrise il papà di quel bel bimbo. Cinque anni e tanta determinazione.
L'allegra famigliola raggiunse l'epicentro dell'attenzione della città. Una barriera di persone divideva il piccolo Xavier dalle ballerine; a lui piaceva vedere le ragazze ballare, assieme ai loro Pokémon.
Non contento, s'infilò tra le persone come l'acqua in un tetto che perdeva, fino ad arrivare davanti.
"Santo cielo, Xavier!" urlava sua madre. La bellissima donna, in quel bell'abitino autunnale rosso, assomigliava in tutto e per tutto a suo figlio. Stessi occhi azzurri, stessi capelli biondi, stesso naso all'in su.
"Rilassati, Neira" sorrise ancora il padre, con le mani nelle tasche dei pantaloni. L'uomo guardò il volto preoccupato di sua moglie, e la tirò a sé. La donna non era piccola, ma accanto a lui sembrava minuscola. Quell'uomo era statuario, ed il suo sorriso aveva rapito la donna.
"Tu sei sempre così tranquillo! Lasci a me tutto lo stress di limitare l'esplosività di quel bambino!"
"Chissà da chi avrà preso, eh?"
"Da te, naturalmente!"
Lui sorrise ancora, e rubò alla donna un bacio, tramortendo la sua ira. Il suo sguardo però rimase apprensivo, cercando, con buon esito, la testolina bionda del figlio.
Dal canto suo Xavier guardava affascinato le danze delle Kimono Girls. Quelle donne così belle danzavano lentamente, con movimenti puri e delicati, ben studiati.
E poi c'erano quei Pokémon.
A lui piaceva quello giallo, con gli occhi neri ed i peli ispidi. Si sentiva fortemente attratto da quello.
Quando le note dolci di quello strumento a corde terminarono, lasciando il posto agli applausi fragorosi, Xavier corse ad accarezzarlo.
Il suo pelo, ispido da lontano, era invece morbido e delicato, donando tuttavia una particolare sensazione tattile.
"Sei bellissimo!" sorrideva il piccolo. Il Pokémon sembrava apprezzare.
"Jolteon! Dove sei, Jolteon!" urlava una di quelle bellissime ragazze con il kimono rosso. Fiori gialli abbellivano la sua pettinatura. "Ah, eccoti qui!" sorrise poi, nel vederlo accoccolato accanto al ragazzino.
Xavier la vide avvicinarsi e ritirò la mano nel gesto di accarezzare quel canide giallo. Jolteon, così si chiamava.
"No, no, continua se vuoi" sorrise quella, accovacciandosi sulle ginocchia. Xavier la guardò per bene, analizzando ogni cosa come soleva fare.
La prima cosa che notò era il suo vestito. Era rosso, sembrava una grande vestaglia con vari ghirigori verdi, blu e dorati. Le maniche di quella vestaglia erano lunghe e piuttosto slabbrate, tanto che le braccia di quella signorina parevano minuscole lì dentro.
In più i suoi piedi, molto piccoli ma proporzionati con il resto del corpo, erano foderati da calzini bianchi infilati in un paio di sandali di legno, che a prima vista gli sembrarono subito scomodi.
Ma era il volto di quella che lo sorprese di più. La ragazza era bellissima. Candida la sua pelle, le labbra erano rosee e piccoline, il naso risultava un'ombra su quel volto imbiancato di cerone, pallido, con solo le guance macchiate da un colore rosa vivo.
Gli occhi color nocciola risaltavano sul rosso del kimono, e sul nero corvino dei capelli di quella, fili di pece mantenuti alti da due bacchette di legno. Un fiore di tagete nano, giallo, vi era legato con dello spago.
"Ti piace?" continuò lei, vedendo il piccolo in soggezione. Quello annuì lentamente, non riuscendo a staccare lo sguardo dalle labbra di quella.
"Accarezzalo se vuoi"
"Mi piace"
"Si chiama Jolteon"
"Un cane che si chiama Jolteon. È grande"
La Kimono Girl sorrise. "Come ti chiami, piccolo?"
Gli occhi limpidi e cristallini del piccolo riflettevano il cielo d'alabastro, scurendosi. La giovane riusciva a specchiarsi nello sguardo di quello.
"Mi chiamo Xavier"
Quella sorrise di nuovo. "Ciao Xavier. Io sono Yuki".
"Ciao".
"Ciao. Ti piace Jolteon?" chiese ancora lei.
Il ragazzino annuì di nuovo. "Mi piace perché è un cane, e a me piacciono i cani. E poi questo è giallo, e mi piace anche il giallo".
"Ti piacciono i cani gialli?"
Xavier fece di nuovo sì con la testa.
"Allora devi assolutamente trovare Raikou"
"Chi?"


E poi una tremenda esplosione deflagrò tutt'intorno. Cumuli di polvere e foglie rosse si alzarono in un turbinio rumorosissimo.
"Xavier!" urlò Neira, stretta tra le braccia di suo marito che cercava di proteggerla. Il piccolo si era gettato a terra, accanto a Jolteon, mentre velocemente una ventina di persone in nero scesero da un elicottero che in quel momento stava scendendo di quota.
Quelli, con indosso tute corvine e coppole dello stesso colore, si identificavano grazie ad una R rossa, fiammante, stampata sul petto.
"Oddio!" esclamò Yuki, mettendosi velocemente in piedi su quei calzari improbabili. "Jol!"
Il canide abbaiò, rizzando il pelo. Piccole scintille si scaricavano sul pavimento di pietra.
"Prendiamole!" urlavano quei manigoldi, mentre le eliche dell'elicottero alzavano quantità enormi di polvere e detriti dal sottobosco, portati in città dal vento.
"Jolteon, attento!" fece Yuki, che fissava bene Xavier. La gente era stesa per terra, distante dal ragazzino, facile preda.
Poi un urlo di una sua amica, Laila, un'altra ragazza in kimono, la fece voltare velocemente. Uno di quegli uomini in nero l'aveva afferrata per la vita, mentre enormi reti d'acciaio ingabbiavano il suo Vaporeon.
"No! Laila!"
La stessa sorte capitò pure alle altre donne di rosso vestite, tutte brandite e legate, ad essere issate sull'elicottero.
"No!" urlava Yuki in preda al terrore e alle lacrime. "Jol, aiutami!"
"Non andrai da nessuna parte!" urlò un giovane uomo dal mento squadrato e dai capelli castani che scappavano dalla presa della coppola nera. Quello lanciò una rete su Jolteon e afferrò forte Yuki. La legò con una fune e la caricò sull'elicottero, poi fece lo stesso con la rete di Jolteon.
Rete che conteneva anche un ragazzino, in lacrime, impaurito, dai capelli biondi e gli occhi azzurri.
 
"Allora?!" urlava un uomo dai capelli rossi, ben sistemati sulla testa, con la pistola puntata sul suo obiettivo.
Era imponente. Una montagna, due pilastri al posto delle spalle ed il viso da cinquantenne segnato dalle linee del tempo.
Una ragazza col kimono era legata mani e piedi, funi legate a due ganci tra pavimento e soffitto. Lei era la prima delle sette, messe tutte in fila.
Una decina di metri più in là c'era una gabbia molto ampia, dove tutti i Pokémon delle ragazze abbaiavano ed attaccavano invano per liberarsi.
Quelle strane gabbie riuscivano a contenere gli attacchi di qualunque portata e la cosa era strana.
Cosa ancora più strana fu che nessuno si accorse del fatto che Xavier fosse all'interno di quella gabbia. Era rimasto zitto ed immobile, mentre con la coda dell'occhio vedeva quello che succedeva all'amica di Yuki.
Si trovavano in uno stanzone molto buio, sembrava una cantina. Poche lampade ad alto wattaggio erano accese, sistemate in grosse campane d'acciaio. La luce che ne derivava era fredda.
L'uomo con la pistola in mano aveva un abito grigio, senza cravatta. Le scarpe erano nere e lucide, come nera era la camicia che indossava.
In più era nera anche quella pistola. Sembrava enorme, i suoi giocattoli non erano così grossi.
"Rispondi!" urlava, facendo tremare di paura la diretta interessata e gli altri anelli di quella catena rossa.
Xavier si sporse, per guardare il viso di quella ragazza. I capelli erano sciolti, e metà volto era ricoperto di sangue. Il cerone bianco s'era sciolto, anche per via delle calde lacrime, ed aveva macchiato il kimono.
"No!" urlava quella, mentre si dimenava nell'estremo e disperato tentativo di liberarsi. Quei nodi però risultarono troppo ben fatti per essere sciolti.
L'uomo dai capelli rossi rise, con una risata grossa e sonora, quindi si grattò la fronte con la canna della pistola.
"Non hai paura di questa?" chiese, poggiandogliela sulla bocca. Le labbra dolci di quella, tutte screpolate per via dei morsi che si dava a causa del nervosismo, tremavano davanti la bocca di fuoco.
"Non rispondi?"
Gli occhi della giovane furono accesi da un'inaspettata vitalità. La Kimono Girl sputò sul volto del rosso sangue e saliva. Quello rimase colpito dal gesto, tanto inaspettato quanto poco gradito, e premette il grilletto.
Una macchia di sangue s'espanse sulla parete di mattoni grigi alle sue spalle, mentre il corpo di quella prese a ciondolare esanime.
Il rosso prese un fazzoletto nero dal taschino della giacca e si asciugò la faccia, per poi farlo cadere per terra, ormai inutilizzabile.
Il silenzio era disturbato solo dai respiri irregolari di lei, e da qualche mugolio spontaneo e necessario in una situazione simile.
Il rosso abbassò la pistola e fece un passo a sinistra. Il rumore del suo cammino riecheggiò in quella sorta di cantina come fosse una goccia d'acqua caduta sulla superficie di un lago sotterraneo dal soffitto della grotta.
Xavier tremava, mentre manteneva la zampa di Jolteon stretta. Quello cercava di coprirgli la vista con un'altra zampa ma il ragazzino continuava a svincolarsi.
"Fuori una. Come vedete non c'è alcun problema nel farvi fuori. Siete solo delle luride puttane adesso. Ma se entrerete a far parte del Team Rocket diventerete lottatrici ancora più forti, più brave. Le Kimono Girls sono famose per la loro danza e per il loro rapporto con il loro Pokémon. Noi vogliamo voi per costituire una squadra imbattibile, in grado di portarci alla conquista della regione. Ora lo chiedo a te, numero due... Come ti chiami?"
La voce del rosso era grossa e profonda. I suoi occhi lussuriosi carezzavano la superficie del kimono della moretta che aveva davanti, spogliandola di ogni sicurezza.
"Rispondi" rincalzò.
"A-Atena". La voce della donna tremò come una foglia in una tempesta. Come le altre donne appese al muro.
Come quel ragazzino biondo impaurito.
"Atena..." sorrise. "Hai un nome bellissimo. Tu? Tu vuoi entrare a far parte del Team Rocket?”
Gli occhi rossi della ragazzina sgorgavano lacrime come un tubo che perdeva, ma rimanevano lo stesso ben spalancati, mentre le labbra tremavano per la paura. Mani e piedi lottavano per sfuggire alla presa possessiva delle funi, ma invano.
L’imponente uomo si avvicinò al volto della ragazza, in cui lacrime e sudore avevano aperto ampi canali attraverso le sue guance innevate dal cerone, quindi sorrise.
“Sei la più bella. Diventeresti un Generale. Comanderesti sugli altri, avrai successo. Diventerai la migliore…”
La giovane donna aveva ancora i capelli legati. Rossa anche lei, il naso puntuto era ancora ricoperto dal cerone; la cosa fece sorridere l’uomo, che con l’indice glielo pulì.
“Quanti anni hai, Atena?”
“Quindici…” disse, tutta tremante.
“Hai l’età di mio figlio. Allora? Vuoi fare quella fine?” chiese, indicando il corpo appeso della ragazza giustiziata, senza però staccare il contatto visivo dai rubini che risplendevano tra le palpebre dell’interlocutrice.
La risposta fu ovviamente un no, secco, espresso scuotendo il capo.
“E quindi?”
Atena ansimava, faticava a respirare. Yuki era sorpresa del fatto che ancora non avesse reagito come la danzatrice che la precedeva.
Questo perché diventare una Kimono Girl non era semplice. Bisognava avere delle caratteristiche fisiche e comportamentali particolari, oltre ad una bellezza fuori dal comune.
Fin da bambine venivano addestrate ad entrare in piena empatia con il loro Pokémon. Atena aveva un Espeon bellissimo. Bisognava curare al massimo il proprio compagno, renderlo felice e soddisfatto.
Ad un certo punto si cominciava con la danza. I movimenti dei corpi delle donne e quelli dei loro Pokémon dovevano essere perfettamente coordinati, armoniosi e felici.
Il volto non doveva lasciar trasparire alcuna emozione se non tranquillità, serenità dell’esistenza.
Difatti vederle in quel modo era del tutto una novità, anche per ognuna di loro.
Yuki guardava Atena stringere gli occhi. Lacrime cristalline le pendevano stalattitiche dal mento tremante, finendo a sporcare il Kimono poggiato sui seni acerbi.
Tuttavia lo sguardo di Atena, una volta riaperti gli occhi, era strano.
Quell’uomo in giacca l’aveva rapita, anche metaforicamente parlando. Come un addestratore con un cobra, spostava il suo sguardo su di lei, e lei lo seguiva col suo.
“Verrai con me?” chiese, avvicinandosi ulteriormente al volto di quella con le labbra, sempre mantenendo il contatto visivo.
Atena si limitò ad annuire lentamente, con le labbra schiuse.
“No! Atena, non farlo!” urlò Yuki, facendo voltare immediatamente tutte le altre Kimono Girl, ed aizzando i Pokémon chiusi nella gabbia.
Fu allora che Yuki vide Xavier, steso per terra.
Spalancò gli occhi, la bella moretta. Doveva liberarsi, doveva salvare il bambino, altrimenti non sapeva dire con certezza cosa gli avrebbero fatto.
In quel momento esatto l’uomo stava sciogliendo i nodi alle caviglie della ragazza. Era distratto, e quindi era il momento perfetto per cercare di liberarsi. Alzò la testa e guardò i nodi, stretti, ben fatti.
Sapeva che non doveva tirare, altrimenti avrebbe stretto ancora di più il giogo sui suoi polsi.
No, avrebbe dovuto fare leva con qualcosa per allargare le funi.
Ma cosa? Si guardava attorno, e a portata di mano aveva solo le funi stesse.
Vide poi il rosso che si alzava, spogliando con lo sguardo Atena, che adesso poteva muovere i piedi. Uno dei calzari in legno era caduto, l’altro era rimasto appeso all’alluce.
Non guardava, lui.
Ancora un occhio a Xavier, poi l'idea.
Allungò il collo quanto più poteva, per raggiungere le mani. Si dovette contorcere per riuscire poi ad afferrare una delle due bacchette che aveva tra i capelli. La sfilò, quella uscì fuori molto agevolmente.
La pettinatura di Yuki si sfaldò, ed la parte destra del suo volto fu coperta da quei fili neri e preziosi. La parte sinistra della capigliatura era ancora mantenuta in alto da una seconda bacchetta, che però, senza la prima, avrebbe avuto poca autonomia lì dov'era.
Cominciò a contorcersi, per permettere al polso di piegarsi e alla bacchetta di entrare nel nodo. Alzò la testa, di nuovo un occhio a Xavier, quel bimbo biondo tremante, ed al carnefice, quindi fece leva.
Strinse i denti, mentre il sudore le scendeva dalla fronte, cera di una candela accesa. Doveva riuscirci.
All'improvviso i piedi di Atena toccarono terra.
"Ecco qui, cara. Hai preso la scelta giusta. Recluta!" urlò, e poi si girò verso la porta.
Le altre Kimono Girl guardavano stupefatte la scena. Atena le aveva tradite.
“Ancora un'altra occasione...” pensò Yuki, quindi tornò a fare leva con la bacchetta. Il polso le bruciava, il dolore la stava possedendo carnalmente, e quando la fune che le stringeva le mani si allentò leggermente non riuscì a nascondere un sorriso.
Poi si girò. Xavier si stava alzando in piedi.
"Dannazione..." sussurrò Yuki, digrignando i denti. Avrebbe voluto urlargli di stare giù, di nascondersi dietro a Jol, ma non poteva, avrebbe mandato tutto a farsi friggere.
L'unica cosa che poteva fare era muoversi. Liberarsi il più velocemente possibile era la chiave.
Fece leva ancora una volta, mentre la Recluta prendeva in consegna Atena. Yuki fu giusto in grado di vedere il volto di Atena urlare in silenzio "scusatemi", prima che la Recluta si allarmasse.
"Ma Simone, Signore... cosa c'è lì?!" fece.
Il rosso si girò velocemente e mise a fuoco la gabbia.
"C'è un bambino, lì!" urlò ancora la Recluta.
"Tranquillo, a lui ci penso io"
La Recluta chiuse la porta, ed il rosso prese a camminare verso la gabbia. Non si curò minimamente di guardare le sue prigioniere, altrimenti si sarebbe reso conto del fatto che Yuki aveva già una mano libera.
Si diresse invece direttamente verso la gabbia.
Un Flareon provò a sprigionare la sua potenza di fuoco sul nemico, ma quel reticolato di sbarre bloccò tutto. Dal canto suo, Simone non si era praticamente mosso. Non era turbato dall’attacco, era fiducioso nei suoi strumenti e sapeva già che quella gabbia avrebbe contenuto la furia dei Pokémon che aveva all’interno. Tutto merito delle nuove tecnologie che i suoi scienziati sviluppavano.
Si accovacciò, mettendo le mani sulle sbarre.
“Un bambino… Cosa ci fa qui un bambino?”
“Io…” Xavier cercava di parlare, ma sembrava che la sua voce si rifiutasse di uscire.
“Non dovresti essere qui. Hai visto tutto?”
Il piccolo annuì, con gli occhi arrossati e pieni di lacrime.
“E questo è un problema” sospirò alzandosi, quello grande. “Ora che ne facciamo di te?”.
I Pokémon abbaiavano e ringhiavano, cercavano invano di attaccarlo.
“Vai, Wobbuffett” fece con calma e perizia. Il Pokémon Pazienza si presentò davanti a lui. “Ora crea una barriera che spinga i Pokémon verso la parte destra della gabbia”.
E quello eseguì. I suoi arti superiori furono investiti da uno strano bagliore azzurro che poco dopo apparve anche nella gabbia. I Pokémon e Xavier erano divisi da quel muro azzurro.
Simone sorrise, prendendo le chiavi della gabbia. Le infilò nella serratura del catenaccio, diede tre mandate ed aprì la porta della gabbia, che cigolò fastidiosamente. Pezzi di ruggine caddero per terra.
“Ora vieni con me. Mi spiace che tu sia finito qui, ma purtroppo ti aspetta quello che ti aspetta…”.
E poi Simone sentì una fitta lancinante alla spalla. Il dolore lo costrinse ad inginocchiarsi e poi accovacciarsi di nuovo. Sentiva le forza lasciarlo.
“Cosa…?”.
Toccò con la mano il punto che gli doleva. Caldo e rubicondo liquido rosso colò lungo il braccio, a macchiargli la giacca e la manica rigida della camicia. Era stato infilzato da qualcosa poco sopra la clavicola.
"Corri Xavier!" urlò Yuki. Prese la sfera di Jolteon e lo fece rientrare per poi farlo riuscire alle spalle di Wobbuffett.
"Jolteon, usa Fulmine!"
L'attacco colse di sorpresa il Pokémon di Simone, che cadde al suolo esausto. La recluta spalancò gli occhi. Afferrò ciò che aveva nella spalla e lo tirò fuori. Pieno di sangue, c'era uno dei bastoncini che Yuki aveva nei capelli.
"Puttana..." ringhiò lui. Si alzò all'in piedi, e vide tutti i Pokémon rinchiusi nella gabbia uscire fuori. Leafeon liberò le altre Kimono Girl, che schermarono Yuki ed il bimbo.
"Hai fatto una brutta cosa" intervenne una di loro.
Maya, la più grande tra quelle, si girò. "Scappa, e porta il piccolo in salvo"
"No! Non andrete da nessuna parte!" urlò Simone, con voce grossa. Un enorme Nidoking uscì dalla sfera, e caricò le Kimono Girls, quelle sciolsero il loro schieramento lasciando passare l'enorme Pokémon avversario. Simone lo seguiva, correndo, mentre con la mano premeva la ferita.
Yuki tirava Xavier per la piccola mano, ed il ragazzino piangeva nel sentire il ruggito di quel Nidoking che si avvicinava sempre di più.
Yuki non riusciva a correre bene, quei calzari erano troppo scomodi. Macchie di sangue avevano macchiato le calze bianche, e la scelta che successivamente prese non mitigò il dolore: lasciò andare quegli zoccoli di legno e con i soli calzini ed i piedi spaccati, corse verso la porta alla fine di quel corridoio.
"Corri, Xavier, corri!" piangeva lei, mentre Nidoking si faceva sempre più vicino.
La porta si avvicinava, ma un cumulo di reclute si pose a sua difesa.
Come avrebbero potuto fare? Le soluzioni erano molto meno delle domande in quel momento, nella testa di Yuki, stava di fatto che avrebbe dovuto fare in modo di oltrepassare quella porta e tuffarsi nella luce.
"Ferma quei due, Nidoking! Ferma la puttana ed il bambino!"
Nidoking ruggì più forte, aumentando la propria corsa. Ma tutto ad un tratto Jolteon lo superò, e corse ancora più avanti, verso i fuggitivi.
"Jol!" esclamò felice Yuki, mentre l'aria nei polmoni cominciava a bruciare. "Aiuta... Aiutaci. Dobbiamo... uscire..."
Fu allora che Jolteon saltò in aria, e prima di atterrare fece partire un attacco Tuono, che atterrò al centro delle reclute, finendo per ferire alcuni uomini e per farne scappare altri.
"Yuki" piangeva Xavier, mentre correva a perdifiato. Spesso inciampava, ma poi la ragazza lo tirava su e continuavano a correre insieme.
Superarono a gran velocità i corpi feriti delle Reclute, e si gettarono a capofitto sulla porta, inondando il corridoio di luce.
Erano finalmente all'aria aperta.
"No!" urlò Simone, trascinando la vocale per diversi secondi. Si arrese.
Xavier piangeva, ed anche Yuki era in lacrime. Tuttavia continuavano a correre.
Erano appena fuori Amarantopoli, usciti da alcuni edifici industriali di nuova costruzione. Entrarono in città, urlando e piangendo, ma raggiunto il centro la ragazza si fermò. La Torre di Latta rifletteva la luce del tramonto, di quell'arancione vivo. S'inginocchiò, lei, stanca. Jolteon era già lì, e si fermò, spettatore dell'abbraccio liberatore che Yuki diede a Xavier.
"Stai bene?" chiese lei, mentre stringeva il bimbo al petto.
"S-si... E-e tu?"
"Sto benissimo, Xavier, tranquillo" sorrise lei, ma il pianto squassava la sua voce.
"M-ma... i tuoi calzini sono sporchi di sangue"
"L'importante è che stiamo bene" sorrise ancora. Poi diede un bacio al bambino e sfilò la bacchetta di legno che le teneva ancora alzata mezza pettinatura, posandogliela in mano.
"Tienila tu"
Xavier afferrò la bacchetta, prima di sentire la folla urlante per la ricomparsa di una delle Kimono Girls. Poi tutte le altre si presentarono alle porte della città.
Infine Xavier venne stretto dall'abbraccio vigoroso della sua mamma e del suo papà.
 


"Imparai a correre perchè dovevo. Intendiamoci, sapevo già correre, non ero così indietro. Ma non avevo mai corso per la vita. Possiedo ancora la bacchetta di Yuki, anche se dopo quel giorno non la vidi mai più. Ma l'amore per i Pokémon che aveva quella mi ha spinto ad andare avanti e a crescere, per vivere la mia vita con uno scopo. Trovare quel Pokémon di cui parlava.
Trovare Raikou".

 
Angolo di un autore ubriaco la maggior parte delle volte:
Tipo adesso.
Allora, vi ringrazio per aver letto questa storia. Recensitela perchè altrimenti mi incazzo. Qui vogliono fare tutti gli scrittori, e le recensioni le scrivo solo io. E Barks, che fa incazzare la gente.
Allora, la shot di sopra è solo la prima della raccolta, che vedrà in tutto cinque uscite con cadenza mensile.
Il progetto a cui appartiene fa parte di un ambito assai più ampio, che esploderà con la stesura di una long da parte dei Soulwriters, un gruppo di sette scrittori di cui faccio parte, tutti presenti su EFP. L'intento di questa raccolta è presentare il personaggio che ho creato per la long sopracitata, che partirà con ogni probabilità a Natale o giù di lì.
Intanto ci stiamo gettando a capofitto per presentare i nostri personaggioni.
Quindi tenete d'occhio la raccolta.
E magari anche quella di Barks. Tipo il 7 Agosto.
Forse pure quella di _beatlemania is back. Tipo il 12.
E perché, quella di Son of Mumford? Tipo il 17.
Eviterei quella di Levyan, personalmente. Tipo il 22.
Invece correrei da Auranera. Tipo il 27.


Buon proseguimento sui nostri canali.


 
 
Andy Black

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Capitolo 2
*** Amore ***


Frammenti.
Pezzi dissoluti di una vita che c'è. Ricordi e pensieri sciolti come ghiaccio.
Vite parallele così simili, frantumatesi alle origini, ma ancora perfettamente combacianti.
Frammenti di vita.





Amore
 
"Amore? No, seriamente, è complicato. Certo, non ci voleva Xavier Solomon per capirlo, ma, in generale, è complicato anche per me spiegarlo. Suppongo che l'amore sia l'espressione nella realtà di ciò che abbiamo dentro, di ciò che vogliamo per noi... Sì, non è semplice, lo so. Ma andiamo... Praticamente è come vedere se stessi in qualcos'altro. O in qualcun altro..."
 
 
 
Xavier non aveva mai avuto un rapporto stretto con il mare. Di tanto in tanto si organizzava con gli amici per scendere ad Olivinopoli, stendeva il telo su di uno scoglio e passava il tempo a rimuginare su formule matematiche ed altro.
Anche quel caldo sabato di luglio non ci furono variazioni. I suoi amici erano tutti in mare, nelle acque pulite e non inquinate alle spalle del faro. Lì una dolce lingua di sabbia lasciava spazio ai duri e grigi scogli, dove il gruppo di ragazzi si era sistemato.
Il mare era limpido a riva, e mano a mano che l'occhio si avvicinava all'orizzonte, l'azzurro del mare e quello del cielo si fondevano.
Xavier era senza maglietta, steso con la pancia sul duro scoglio mentre con le dita teneva a mente dei calcoli, ma poi desistette, tutte quelle persone che ridevano e scherzavano lo deconcentravano. Girò la testa verso destra: in un'inquadratura storta vedeva il faro di Olivinopoli e seduta su di una sdraio c'era Lidia.
La ragazza, dai tratti orientali, non amava il mare. La sua carnagione chiara quasi si confondeva con la canottiera bianca che indossava. Magrolina lei, la frangetta nera copriva le lenti tonde e doppie dei suoi occhiali.
"Xav..." fece lei. "Che c'è?" la voce di Lidia era piccola, dolce. Attraversava timida le labbra e raggiungeva le orecchie del ragazzo con poca forza.
"Ricordami perchè ho accettato di venire?"
"Già... A me non piace il mare"
"Lo vedo. A me piace, non dico questo"
"E cosa c'è allora?"
"Pensieri... Troppi pensieri..."
"Ancora quello strano macchinario?"
"Già"
Poi una lingua d'acqua congelata si schiantò sul ragazzo. Bagnato fradicio, Xavier spalancò gli occhi e si alzò, seguendo il vociare e le risate provenienti dall'acqua.
I tre gemelli, Walter, Lars e Micheal, ridevano assieme al loro Seaking. "Eddai, Xavier, buttati in acqua! Oggi è meravigliosa!" urlò Lars. Questo, come gli altri due fratelli con i quali la madre aveva fatto un pratico copincolla, era un ragazzo bassino, con i capelli castani e gli occhi verdi. Anonimo. A peggiorare la situazione c'era il fatto che girasse sempre con i suoi due doppioni.
Quindi, se non per qualche piccolo particolare somatico, era difficilissimo distinguerlo.
"Dannazione, ragazzi!" si alzò all'in piedi. Passò una mano tra i capelli biondi, tirandoli indietro, quindi guardò i tre. "Non potreste semplicemente lasciarmi in pace?"
"Ma dai! Divertiti! Cindy, diglielo anche tu!"
Xavier arrossì immediatamente nel sentire il nome della ragazza. Quella si voltò, pochi metri accanto a loro, quindi sorrise.
Alzò gli occhi celesti, incontrando quelli di Xavier, dello stesso colore. I capelli, tra il rosso ed il castano, erano bagnati ed attaccati al collo e alla schiena. Il bikini bianco risaltava sulla sua carnagione dorata, abbronzata dai baci del sole generoso di quei giorni.
"Andiamo Xavier! Tuffati!"
"Beh..."
Il ragazzo si girò e guardò Lidia. Sorrideva. Con il suo sorriso splendente gli fece cenno di andare da lei, per poi sistemarsi ancora gli occhiali sul naso.
"Xavy! Forza!"
"Non chiamarmi così... Ora, mi tuffo..."
Si sedette sullo scoglio più basso ed affondò un piede in quell'acqua cristallina. Piccoli Goldeen si allontanavano dalla scogliera, mentre alcuni Octillery si rintanavano tra le rocce.
"Andiamo!" sorrise Cindy, avanzando verso di lui. Gli afferrò il piede, per poi tirarlo. Xavier si ancorò allo scoglio, urlando.
"Mi faccio male, Cindy... scendo io..."
Lei sorrise ancora. "Hai ragione, scusa. Dai"
Xavier allungò prima un piede nell'acqua, poi un'altro, tenendosi ben ancorato allo scoglio, quando Cindy lo afferrò per la vita, tirandolo in acqua. Lui affondò, e lei non lasciò la presa dal suo corpo, finendo sotto stretta a lui. Bolle trasparenti si levarono in alto, mentre il corpo freddo di Cindy e quello bollente per via del sole di Xavier si toccavano. Il ragazzo rabbrividì.
Il fondale era formato da sabbia bianca e conchiglie. Piccoli Krabby si nascondevano dietro qualche sporadico sasso, muovendosi sinuosi nella corrente agitando le chele.
Cindy sorrideva, i suoi occhi erano carichi di vitalità. Una serie di bollicine si avvicendavano nel lasciare le sue narici mentre i capelli si muovevano lentamente, parevano alghe nella corrente.
Salirono finalmente in superficie, riprendendo respiro.
Cindy rideva, ed attaccò il suo corpo appena maturo al fisico asciutto di Xavier.
"L'acqua è gelata!" esclamò, passandosi una mano sul volto.
"Eddai, è così bello qui!"
Cindy si leccò le labbra, saggiando il sapore salato con la punta della lingua. Il ragazzo rimase a fissare la bocca di quella, perdendosi nei ricordi e nei sentimenti. Non era mai stato così vicino a quella ragazza, non aveva mai avuto le mani attorno alla sua vita, né aveva tenuto gli occhi puntati sui suoi per così tanto tempo senza sentirsi un ladro non appena incrociava le sue iridi.
Ora era davanti a lui, aggrappata al suo collo, le gambe a cingergli la vita, mentre lui le stringeva i fianchi, carezzandole la schiena.
"È vero... Qui è bellissimo"
Il suo cuore mancò un colpo; si stava perdendo nel sorriso di quella, nei suoi occhi. Di nuovo.
"Hey..." fece lei. "Ti va una nuotata al largo?"
Xavier annuì, e sentì i loro corpi separarsi. Cindy prese a nuotare davanti, seguita rapida dal ragazzo. A mano a mano che si allontanavano dalle acque basse il fondale spariva e tutto intorno il mare si colorava di blu. Si fermarono poco distanti da una boa di segnalazione arancione, quindi Cindy allungò la mano verso il ragazzo, che la afferrò, tirandola verso di sè.


 
"Sei bellissima. La tua solarità mi ha rapito, i tuoi occhi mi incatenano, le tue labbra mi tentano e sentire il tuo corpo così vicino al mio mi sta facendo impazzire. Ti prenderei e ti bacerei, ti terrei con me per tutta la mia esistenza, perchè saprei di aver trovato l'anima che perfettamente s'incastra alla mia.
 
Ecco.
 
Se non fossi stato così codardo forse queste parole gliele avrei dette; forse l'avrei baciata. Invece mi sono limitato a guardarla, a ridere un po' e poi a tornare accanto a Lidia, ripensando a quante volte il battito del mio cuore fosse diventato irregolare in quei pochi minuti. L'amore si perde, l'amore si trova. E sono anche relativamente giovane, ho venticinque anni e nessun problema di salute. Sto bene con me stesso e col mondo, mi reputo in grado d'intendere e di volere.
Ma Cindy è il mio unico rimpianto. Sono arrivato ad un metro da toccare il paradiso con le dita. Ed ora sono costretto a vederla assieme ad un altro uomo, che in più a me ha avuto soltanto il coraggio di non essere spaventato dalla sua bellezza"

 

Angolo di un autore ubriaco la maggior parte delle volte:
Tipo adesso.
Il primo racconto di questa storia è stato molto ben accolto da parte dei lettori e questa cosa non può che farmi piacere. Innanzitutto mi permetto di ringraziare chiunque abbia letto e recensito sia il precedente capitolo che quelli degli altri membri dei Soulwriters, ovvero Auranera_, Barks, beatlemania is back_, Levyan e Son of Mumford, il seguito c'è stato ed i vostri commenti sono stati molto graditi.
In ogni caso anche questo mese ci sarà un'uscita ogni cinque giorni, quindi:
Barks uscirà con il proprio frammento il 6 Settembre.
Sicuramente ci sarà quello di _beatlemania is back. Tipo l'11.
Snobbate pure, quella di Son of Mumford. Il 16 guardate una bella cosa in televisione.
Levyan invece uscirà il 21.
Auranera_ si farà gli affari propri, ma pubblicherà tipo il 26.


Buon proseguimento sui nostri canali.


 
 
Andy Black

 

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Capitolo 3
*** Paura e solitudine ***


Frammenti.
Pezzi dissoluti di una vita che c'è. Ricordi e pensieri sciolti come ghiaccio.
Vite parallele così simili, frantumatesi alle origini, ma ancora perfettamente combacianti.
Frammenti di vita.



 
 
Paura e Solitudine

Di cosa ho paura? Non lo so. Da piccolo avevo paura dei clown. E degli insetti. Sì, non ero un bambino normale. D’altronde nemmeno ora non sono un ragazzo normale, a partire da questa strana logorrea e dalla mia passione per circuiti elettrici con cacciaviti e chiodini annessi. No, non faccio l’elettricista, lasciamo perdere, faccio l’inventore. Tuttavia mi piace il modo in cui l’energia elettrica possa “donare la vita” a qualcosa. È speciale come cosa, e realizzare ciò che s’immagina lo è ancora di più. Ma ora perché sto parlando di ciò? Cosa mi aveva chiesto?”

"Le sue paure.”


Mi dia del tu, sono giovane, le ho già detto che ho venticinque anni. In ogni caso credo di avere due paure, fondamentalmente; una è rimanere solo. La solitudine mi spezza, mi terrorizza. Non perché ci sia qualche mostro sotto al letto, cose così, so che se non esci dal perimetro del materasso non possono farti niente. No, è più una questione di mentalità. Pensare che qualcuno possa abbandonarmi, quello mi sconvolge.”


E l’altra?”


Cosa, l’altra?”


L’altra paura. Mi ha detto di avere due paure.”


Beh... L’altra è la paura del buio. Ma tutti hanno paura di ciò che non si può vedere”

 



Xavier uscì dalla doccia. Casa sua era buia, e l’inverno si era letteralmente appropriato di Amarantopoli. Un mese prima, a quell’ora, il sole era ancora alto nel cielo, mentre la luna ora risplendeva pallida nel cielo blu.
Non c’erano nuvole, non pioveva, ma quel mattino la neve era scesa copiosa.
Ecco spiegato il perché di quella doccia calda. Riscaldarsi un po’ dopo aver spalato il vialetto, per esempio, ed anche per ritemprarsi dopo una giornata passata in laboratorio.
La macchina del tempo: era quello l’aggeggio su cui Xavier si stava applicando tanto in quei mesi. Era quasi arrivato alla conclusione del progetto, ma mancava qualcosa, e non riusciva a capire cosa. Sicuramente il problema stava nella parte che abbracciava il lato fisico della situazione; come si poteva viaggiare nel tempo? Questa era la domanda.
Sostanzialmente non era impossibile. Celebi ci riusciva, e aveva sentito anche di un particolare Pokémon a Sinnoh, in quella lontana regione ad ovest.
Si ritrovava davanti allo specchio, ora, con i capelli bagnati e alcune goccioline che gli pendevano dal viso, pronte a tuffarsi giù.
Pronte a saltare.
Guardò l’ora, quindi sospirò. Aveva passato l’intera mattinata lavorando su quel progetto, snobbando le piccole commissioni che doveva sbrigare.
Sarebbe dovuto passare a comprare qualcosa da mettere sotto i denti, il frigorifero sventolava bandiera bianca.
Aveva anche voglia di un aperitivo, un bel ginger. D’inverno gli saliva la voglia di avere un po’ di vita sociale, mentre d’estate cercava di lavorare quanto più era possibile.
Cominciò ad asciugarsi, e intanto pensava che le richieste erano diminuite parecchio: si guadagnava da vivere brevettando strumenti per conto di altri, prendendo il cinquanta percento dell’eventuale quota di vendita futura. Gli erano bastate un paio d’intuizioni geniali, da parte dell’ideatore del brevetto naturalmente, e con questo tipo d’accordo era diventato abbastanza abbiente. Non si faceva mancare nulla, soprattutto in ambito lavorativo, dove era passato da semplici attrezzi manuali alla più sofisticata strumentazione marcata Omega Group.
Riconosceva a se stesso che avrebbe potuto impegnarsi nella realizzazione di prodotti innovativi senza abbisognarsi delle idee di nessuno, ma la produzione di quella speciale macchina del tempo lo aveva letteralmente assorbito, annullando ogni altro tentativo da parte del suo cervello di diversificare le sue attività.
La sua conoscenza e la sua capacità di ridurre l’errore, oltre ad un’ampia abilità nell’utilizzo degli strumenti lo avevano portato a diventare il migliore, nonostante la giovane età: appena venticinque anni.
Asciugò ancora una volta il viso e mise a fuoco quello che era diventato. La sua attenzione, come ogni volta che si trovava nudo, veniva focalizzata sul fianco.
Lì aveva deciso di farsi fare un piccolo tatuaggio, un ideogramma giapponese:



 



 
Significava neve, proprio come Yuki, il nome della donna che lo aveva salvato quand’era un bambino. Una lama fredda gli trapassò il torace.
Un semplice brivido di freddo, niente di più, ma ancora una volta i fantasmi lo stavano tenendo chiuso in quelle fredde mura.
Scosse la testa, spense la luce e si immerse nel corridoio buio, dove la notte e le ombre si univano in un unico manto nero.
Camminava in quel dedalo di stanze vuote, inutili dato che viveva da solo, intanto raggiungeva la sua stanza mentre soltanto qualche debole filo di luce raggiungeva il suo sguardo attraverso la finestra di una stanza la cui porta era rimasta aperta.
Sentiva nella testa quelle urla, il colpo di pistola, la voce di quel grande uomo dai capelli rossi, il pianto delle donne, i Pokémon che abbaiavano.
Sentiva lo stesso freddo, sentiva nel naso l’odore di umido e di muffa della cantina dove da piccolo aveva assistito a quello scempio.
Vedeva nel buio davanti a sé il volto sconvolto dal pianto di Yuki; vedeva i suoi capelli sciolti a metà, il cerone segnato dalle lacrime, a formare lunghi canali neri per via del trucco, che si accumulava sul mento.
Cadevano, quelle gocce, formavano lunghe pozzanghere nere. Xavier sentiva i propri passi affondare in quella melma nera, così densa e profonda che in poco tempo la sentì al collo. Il respiro cominciò ad aumentare, i battiti pure, gli occhi si muovevano freneticamente, cercando un appiglio della realtà.
Sapeva, Xavier, che avrebbe dovuto camminare più veloce, addirittura correre, per scampare dai suoi fantasmi. Essi sembravano seguirlo, tirarlo per una spalla, soffiargli dentro aliti gelati e ricordi di un passato che poi tanto passato non era.
Sentiva la mano dei ricordi tirarlo indietro, affondargli le unghie nella carne e mettergli l’altra mano davanti alla bocca, annullando qualsiasi tentativo di urlare. Stava per fermarsi, intanto i suoi occhi guardavano Yuki piangere ancora, stringere i denti sul labbro inferiore, intaccarlo.
Ferirlo.
Poi Xavier sospirò, ed accese la luce della sua stanza.
Tutto scomparve, aria fresca entrò nei suoi polmoni e poté mettere a fuoco ciò che aveva davanti: la sua disordinatissima stanza, e le vene sugli avambracci ingrossate per via dei pugni stretti con forza.

Si vestì ed uscì. Lasciò i capelli biondi spettinati, come sempre del resto. Chiuse il trench lungo dopo appena un minuto di cammino sui marciapiedi bagnati. Di tanto in tanto passava qualche automobile che illuminava il suo viso per brevi istanti. La sera era già scesa e la piazza centrale, a poche centinaia di metri, era gremita di folla.
Lì c’era più luce, i negozi erano aperti, i bar lavoravano, in piazza i giovani ridevano e scherzavano.
Entrò da Harold’s, proprio come faceva ogni volta che andava nel centro di Amarantopoli. Quel posto era un semplice bar, con arredamenti un tantino demodé, ma con il cibo migliore di tutta Johto.
E poi c’era Cindy a servire ai tavoli.
La vedeva, nella sua divisa stretta, polo bianca e gonnellina a balze, calze trasparenti per il freddo anche se lì dentro la temperatura era buona.
Camminava velocemente con un vassoio in mano, sorrideva, un po’ forzatamente forse, ma non sembrava contrariata.
Era lì, e le piaceva essere lì.
I capelli erano acconciati in una pratica coda, dietro la testa, che metteva in risalto la forma del viso, così morbido e delicato.
Gli occhi azzurri incrociarono quelli del ragazzo, e si illuminarono.
“Xavier. Ciao.” Sorrise lei, andandogli incontro. Gli diede un bacio sulla guancia, quindi scappò, continuando a fare quello che faceva. Lui si sedette al solito tavolino, quello accanto al finestrone.
Aveva la fortuna di trovarlo sempre libero. Da lì riusciva a vedere la piazza di Amarantopoli, con stralci delle due torri e della palestra di Angelo.
Sospirò non appena mise a fuoco quel posto tetro e lugubre. Subito dopo Cindy gli si avvicinò, poggiando sul suo tavolo due menù.
“Mi siederei volentieri, scambierei quattro chiacchiere con te se avessi il tempo, lo sai. Ma purtroppo c’è così tanto da fare qui...”
“Tranquilla. Fa’ quello che devi. Puoi già portarmi dei pancakes.”
“Sciroppo d’acero?”
Xavier annuì e la vide sorridere. Il ragazzo scaldò il suo cuore solamente con uno sguardo. Erano passati gli anni ma la sua passione per quella ragazza non era mai scemata.
Non sapeva cosa diamine fosse a bloccarlo, non riusciva a capire per quale motivo non riuscisse ad alzarsi, a prenderla per la vita e a tirarla a sé. Rimaneva fermo a fissarla nella sua splendida grazia, mentre sorrideva per finta a clienti abituali e a totali sconosciuti.
E ad Angelo.
“Che diamine ci fa Angelo qui?” chiese a se stesso l’inventore. Cindy sorrideva ed arrossiva mentre il Capopalestra la guardava con occhi profondi.
Era un uomo decisamente attraente, Xavier stesso avrebbe potuto ammetterlo: I ciuffi biondi che uscivano dalla bandana che aveva sulla fronte gli coprivano in parte lo sguardo.
Gli occhi penetranti di Angelo erano di un viola brillante. La pelle era diafana, le labbra ben definite sotto il naso delicato. I lineamenti poco marcati del volto ne aumentavano la grazia e la bellezza.
Xavier riteneva Angelo ridicolo per via di quella bandana.
“Manco nascondesse il terzo occhio. Tensing.” Ripeteva spesso Xavier, sollecitato dal suo amico Lars, le sporadiche volte che lo vedeva.


“Sfotterlo tuttavia non serviva a nulla, stava spogliando con gli occhi Cindy e lei pareva starci.”

“E come si sente al riguardo?”

“Secondo lei come mi sento al riguardo?”


Xavier era rimasto per un’ora a fissare Angelo che sorrideva a mezza bocca alla donna di cui era profondamente innamorato.
Si chiedeva per quale dannatissimo motivo non si alzasse e andasse da lei, la reclamasse come sua, le piantasse le mani sui fianchi e la baciasse.
Invece, apatico, fissò Angelo sorriderle e lasciarle il numero di telefono, per poi andare via.
Cindy era estasiata da quell’avvenimento, e quasi saltellava per il locale, che intanto si era lentamente svuotato.
Poi guardò Xavier, con il collo allungato verso destra, osservava qualcosa in piazza. Gli si avvicinò come un tornado e si sedette accanto a lui, scuotendolo, facendo voltare una strana ragazza dai capelli neri con le punte azzurre, al tavolo prima del suo. Questa aveva un occhio nero ed uno azzurro.
“Il numero! Xavier! Il numero!”
“Sì. Il numero.” Faceva quello, senza voltarsi e guardarla.
“Il numero! Andiamo! Angelo mi ha lasciato il suo numero!”
Xavier si voltò e la guardò.
“Brava.”
“Ma... Tu avevi ordinato qualcosa?”
“Un’ora fa. Sì. Ma ora non fa niente.”
“No ma...”
“Non fa niente.”


 

“Mi alzai e me ne andai. Sinceramente non mi interessava più nulla. I due si sono sposati, a quanto so lei ha abortito perché lui non voleva avere figli. Lui è... tenebroso... Anche un po’ coglione effettivamente. Sta di fatto che non ho più visto Cindy da quel giorno.”

“E questo che attinenza avrebbe con la paura?”

“Beh, le ho detto che ho paura del buio. Non le basta?”

“Avrei voluto che mi contestualizzasse la sua paura del buio.”

“Cielo, Signor... Non mi ricordo il nome. Com’è che si chiama?”

“Ambrose. Sono il Dottor Ambrose, Signor Solomon.”

“Sì, mi scusi. In ogni caso non mi serve contestualizzare una cosa del genere. Si ha paura del buio anche per i semplici incubi...”

“Quindi crede che possa essere irrazionale la sua paura del buio?”

“Certamente.”

“Oh... Ok. Ma allora perché mi ha parlato della situazione con Cindy e Angelo?”

 
“Perché da allora è sceso il buio.”
 

Angolo di un autore ubriaco la maggior parte delle volte:
Tipo adesso.
Terzo frammento della vita di Xavier. Il prossimo sarà ufficialmente l'ultimo, forse lo implementerò con un quinto. Mi permetto di ringraziare chiunque abbia letto e recensito sia i precedenti capitolo che quelli degli altri membri dei Soulwriters, ovvero Auranera_, Barks, beatlemania is back_, Levyan e Son of Mumford, il seguito c'è stato ed i vostri commenti sono stati molto graditi.
In ogni caso anche questo mese ci sarà un'uscita ogni cinque giorni, quindi:
Barks uscirà con il proprio frammento il 6 Ottobre.
Sicuramente ci sarà quello di _beatlemania is back. Tipo l'11.
Snobbate pure, quella di Son of Mumford. Il 16 guardate una bella cosa in televisione.
Levyan invece uscirà il 21.
Auranera_ si farà gli affari propri, ma pubblicherà tipo il 26.

 

 

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Capitolo 4
*** Ed ora? ***


Frammenti.
Pezzi dissoluti di una vita che c'è. Ricordi e pensieri sciolti come ghiaccio.
Vite parallele così simili, frantumatesi alle origini, ma ancora perfettamente combacianti.
Frammenti di vita.
 
 
 
Ed ora?
 
Cosa possiamo dedurre da questa seduta di oggi, Signor Solomon?”.
 
“Che praticamente ho gettato la prima parte della mia vita dietro una donna che non mi ha mai calcolato?”.
 
“Sì, e poi?”.


“E poi che gli psicanalisti sono dei ladri laureati”.
 
“Perché dice questo?”.
 
“Perché che Cindy non mi degnasse di uno sguardo lo sapevo già”.
 
“In realtà c’è molto più di questo. Abbiamo analizzato il suo passato ed il suo presente, i suoi problemi ed il modo in cui l’avvenimento principe della sua vita, il rapimento per l’appunto, abbia condizionato il suo modo di relazionarsi con le persone e con il mondo più in generale”.
 
“Uhm... Continui, forse mi convince che non le ho regalato i miei soldi”.
 
“Beh, è tutto ricondotto a quel trauma. Deve cominciare a lavorare su se stesso e prendere di petto la situazione”.
 
“Lei non può sapere quanto sia difficile ciò che mi chiede”.
 
“Lo posso immaginare però. E le voglio consigliare di staccare un po’ la spina. Perché non parte?”.
 
“Per andare dove, di preciso, Dottor Ambrose?”.
 
“Non lo so, si vada a fare un bel viaggio dove c’è il mare e...”.
 
“Odio il mare”.
 
“Allora vada in città. Ci sono tantissime città d’arte. Per esempio può andare a Cuoripoli, a visitare la Cattedrale”.
 
“Sono ateo e odio le persone”.
 
“Lei è ateo?”.
 
“Sono laureato in fisica, ho diversi master e sono un inventore. So che ad ogni reazione corrisponde una reazione, non vedo perché credere in un cavallo che fa l’hula hop con un’enorme ruota dorata”.
 
“Beh, sono opinioni, e rispetto la sua, ma forse è un po’ troppo radicale”.
 
“Già, forse sì. Forse lo sono. Ma purtroppo vivo per i miei obiettivi, non posso partire, non posso andare a farmi un viaggio, devo lavorare alla macchina del tempo”.
 
“Ha solo questo come obiettivo?”.
 
“No... È che...”.
 
“Meno male. L’uomo deve avere tanti desideri. Se ne avesse uno soltanto e  lo raggiungesse sarebbe un uomo finito. La nostra vita si basa sulle volontà, muovono il mondo. Un uomo senza desideri è un uomo morto”.
 
“Dice che mi dovrei prendere una pausa da tutto questo lavoro?”.
 
“Assolutamente, Signor Solomon”.
 
“Mi chiami Xavier”.
 
“Cosa intende fare allora?”.
 
“Beh... Il mio scopo, prima di diventare un inventore, era di catturare Raikou”.
 
“Ci provi”.
 
“Ma si sente?! Raikou, non Rattata!”.
 
“E allora? Lo farà per Yuki a quanto ho capito”.
 
“Già... Yuki...”.
 
“L’ha più sentita?”.
 
“No. Mai più. È sparita”.
 
“La trovi. Vede? Ora ha un altro obiettivo”.
 
“Chi le dice che non era già un mio obiettivo prima di questa discussione?”.
 
“Sicuramente sarà come dice lei. Ma ora ho un altro appuntamento”.
 
“Mi liquida così? Senza nemmeno un lecca lecca?”.
 
“Quelli li danno i dentisti”.
 
“Non rida, ci sono rimasto male davvero”.
 
“Arrivederci, Signor Solomon”.
 
 
Con le mani nelle tasche, Xavier camminava dritto verso l’Harold’s. Stretto nel suo impermeabile, calciava un ciottolo che prendeva strani rimbalzi. Uno, due, tre calci, poi si perdeva lontano, lungo l’asfalto nero e tratteggiato. Le automobili sfrecciavano insofferenti sotto quel cielo uggioso, che minacciava con le sue nuvole nere ed arrabbiate.
La sera era scesa, in inverno il sole cala più velocemente, giusto un’ora prima era ancora ben visibile nel cielo di Amarantopoli, nel vespro vermiglio di quel giorno. Le nuvole erano lontane, ma era bastata quella seduta dal Dottor Ambrose per permettere loro di stendersi in tutto il cielo.
“Magari piove...” disse tra sé e sé, cercando una scusa per evitare quella partenza. Era necessaria, lo sapeva, doveva staccare la spina dalla sua realtà e provare ad avventurarsi nel mondo, quello dove le leggi della fisica non venivano applicate per attuare esperimenti.
“Raikou...” fece. “Come fare a trovare un Pokémon del genere?”
Aveva appena attraversato una delle tante zone residenziali della periferia della città, e stava per entrare nel centro. La gente lì, come sempre, era tanta. Strinse la sciarpa attorno al collo nell’estremo ed inutile tentativo di preservare il poco calore corporeo che gli era rimasto. Doveva comprare un berretto e lo dimenticava sempre.
L’insegna di Harold’s, la luminosa insegna, emanava forte luce bianca che probabilmente avrebbe rovinato la foto di due ragazzi che, tenendosi per la mano, si scattavano una fotografia davanti al locale dove con ogni probabilità avevano mangiato.
Sospirò e poggiò la mano sulla maniglia della porta, aprendola.
Una folata d’aria calda gli raggiunse il volto, donandogli un po’ di colorito. La musichetta di una scandalosissima canzone r’n’b circolava in diffusione, probabilmente qualcuno aveva cambiato il locale radio. Pony di Ginuwine aveva un testo più che inopportuno, specialmente in un locale pubblico ma il fatto che fosse cantata in inglese e che non tutti lo masticassero giustificava un omone grosso che offriva ad una ragazza eccitata di fare un giro sul suo pony.
Come faccio a non pensare a male, adesso?
Il locale era come sempre gremito di gente. La ragazza dalla ciocca blu e dagli occhi bigusto era sempre allo stesso tavolo. Alzava ogni volta lo sguardo, lo fissava per un paio di secondi e poi lo riabbassava, prona sui suoi problemi (forse) o su di un buon libro.
Cindy non lavorava più da parecchio in quel locale quindi Xavier non si voltò nemmeno per cercarla, anzi, si girò direttamente verso il suo tavolino, quello accanto alla finestra: occupato da tre tedeschi che ridevano in tedesco di qualcosa che uno dei tre aveva detto.
In tedesco.
“Turisti...” sussurrò sconsolato. Il locale era pieno e prima di voltarsi definitivamente e sospirare, procedendo con passo lemme verso la porta, si sentì chiamare.
“Xavier!”.
Lui si voltò immediatamente.
La voce calda e suadente era quella di Cindy, l’avrebbe riconosciuta in mezzo a tante. Sotto gli occhi bigusto di ciocca blu allungò il collo dato che non riusciva a localizzare la donna.
Poi una mano si alzò e cominciò ad agitarsi.
“Eccomi, Xavier, sono qui!”.
Era in un tavolo, quello in fondo a destra. Il tavolo di Angelo.
Effettivamente Angelo era lì, e di spalle c’era anche un’altra persona.
“Avanti, vieni a sederti qui!”.
Si alzò in piedi e sorrise, andandogli incontro.

Nella testa di Xavier era scoppiata una battaglia tra la realtà ed il suo orgoglio, perché in realtà il suo orgoglio gli avrebbe imposto di salutare la ragazza in maniera fredda, di fare un cenno col capo ad Angelo ed al suo amico e poi di andare via, rifiutando con cortesia (ed anche un po’ di superiorità manifesta), squadrando per l’ultima volta quella ragazza così silenziosa e solitaria.
Sì, insomma, quella con gli occhi bigusto.
La realtà, invece, avrebbe imposto al ragazzo di fissare per almeno cinque secondi Cindy, ancora bellissima, forse più dell’ultima volta che l’aveva vista, con la divisa di quel locale. I capelli erano legati con una coda alta, leggermente più scuri dell’ultima volta, più scuri di quel castano chiaro, ora il castano era scuro; probabilmente li aveva tinti. Una frangetta molto elegante le copriva la fronte. Soliti occhi truccati elegantemente, solito naso all’insù, solite labbra rosee, lucide. Indossava un caldo maglioncino di lana, verde smeraldo.
Ed era bella, perché Cindy era bella.
E se fosse stato orgoglioso non avrebbe letto ed interpretato quella nota di tristezza nei suoi occhi come un ciaonontivedevodatempo e mifamoltopiacerevederti e parlaredeibeivecchitempidoveerolibera e nonerocostrettaadaffogarelamiafelicitànelBarolo (diquellibuoni).  No, probabilmente avrebbe commentato nel suo orecchio, a bassa voce e magari guardando torvo Angelo con un Haivolutolabiciclettaedorapedala. Già, perché lui era un inventore e magari la bicicletta gliel’avrebbe fatta volare, a propulsione.
In più avrebbe avuto il sellino comodo.
Magari anche con il cestino.
Lui era attratto dalla dolcezza, dalla sua dolcezza, e non da quel fisico che lentamente sarebbe avvizzito come un frutto. Lui era innamorato e non eccitato al pensiero di possederla, la differenza era lì.
E con lei, Xavier un bambino l’avrebbe voluto assolutamente.
In quei pochi secondi riuscì a vedere lei durante il parto, il bambino, i primi passi, le prime parole, gli sforzi per farlo addormentare e tutto il resto.
Morse il labbro inferiore per trattenere un sorriso, lui era arrabbiato, lui era cattivo, lui era orgoglioso.
 
“Ciao. Non ti vedo da tempo”. Fece quella, sorridendo.
“Sì, hai ragione, non mi vedi da tempo. Il lavoro, sai com’è...”.
“Già, ho sentito che ti sei dato parecchio da fare e... Ma accomodiamoci!”.
“No, tranquilla, ero venuto per...”.
“Silenzio, che il tuo tavolo è occupato e ti conosco benissimo! Andiamo!”.
Cindy lo tirò verso il tavolo. La mano della ragazza, piccola e affusolata, stringeva quella del ragazzo, e la cosa lo turbava dopo così tanto tempo.
Aveva creduto di averla spinta fuori dalla sfera delle sua volontà più prossime ma gli bastò una stretta della sua manina, piccola e fredda, ben smaltata, per ricaderci di nuovo.
“Che pollo...” sussurrò.
“Come?!”.
“Niente, tranquilla”.
“Beh... Immagino tu conosca Angelo, vero Xavier? È mio marito”.
“Certo che lo conosco. Come non conoscerlo...”
Quello, che fino a pochi attimi prima parlava con l’interlocutore che aveva di fronte, si voltò e lo guardò. Lo sguardo limpido dell’uomo, con quelle iridi violacee, fece rapidi balzi lungo l’intera figura del ragazzo. Si limitò quindi ad un freddo e poco convinto “Ciao”.
“E lui è Eugenius, un caro amico” fece ancora Cindy.
Xavier lo guardò, sorridente ma per finta e strinse la sua mano guantata. Era vestito come un prestigiatore, con abito color pervinca e papillon rosso. A completare tutto un mantello bianco.
Un “Macometivesti?!” stava per esplodere dalla bocca dell’inventore come fosse una granata al C4, ma il protocollo sociale imponeva educazione, in special modo con gli estranei.
“Piacere” fece lui, con lo sguardo curioso. I suoi occhi azzurri scrutavano ogni singolo movimento che il biondo effettuava, quindi si ritrovò a sorridere. “Accomodati”.
“Grazie”.
“Allora, Xavier... di cosa ti occupi?” chiese Angelo.
“Lui fa l’inventore” s’inserì in tackle Cindy.
Il diretto interessato prese parola. “La tazza che stai utilizzando, che ti fa bere liquidi bollenti senza scottarti le mani, l’ho creata io”.
“Quindi... quindi inventi tazze” punzecchiò Angelo, con la sua voce profonda e neutra.
“No, in realtà no. Invento tante cose. Anche metodi per ammazzare persone” Xavier inarcò un sopracciglio.
“Beh, per fare quello ci vuole poco”.
L’occhiata che in quel momento Xavier ed Angelo si stavano scambiando era elettrica. Eugenius già aveva capito tutto, e decise che fosse meglio non creare questioni inutili in quel contesto.
“E dunque fai l’inventore. Ti piace la fisica?”.
“Ho una laurea, in fisica”.
“Quindi non credi nel paranormale?” chiese Angelo.
Xavier non riuscì a non rovesciare gli occhi per un attimo e sospirare. “No” disse, quasi come fosse uno sbuffo. “Esistono tanti bravissimi impostori e altrettanti creduloni”.
Cindy inarcò le sopracciglia e guardò suo marito mordersi un labbro. Guardò poi Eugenius e storse il muso.
“Angelo è un medium ed Eugenius è un mago” la ragazza puntualizzò.
“Allora ho sbagliato tavolo” sorrise, e la cosa suscitò in tutti il sorriso. “No, lascio perdere. Rispetto le opinioni di tutti, ma... beh, quando gli altri rimangono scioccati davanti ad un qualcosa io so il perché...”.
“Proviamo” sorrise Eugenius. Tirò fuori un mazzo di carte e prese a mischiarle.
“Sul serio?”.
“Andiamo! Cosa ti costa?!”.
“Vai...”
“Scegli una carta” disse infine, mostrando l’intero mazzo coperto.
“Per forza?” chiese a Cindy.
“Eddai! È divertente!”.
Xavier prese una carta e sospirò.
“Guardala” fece Eugenius.
Due di picche. Perché non sorridere a questo punto?
“Ottimo, mi fa piacere che tu ti stia divertendo. Ora mettila al centro del mazzo. Dove più ti piace, non ha importanza”.
Xavier la infilò in un punto indefinito del mazzo e poi osservò il continuo.
“Bene, Xavier. Ora Angelo mischierà per me il mazzo”.
Il mazzo passò dalle mani guantate di Eugenius a quelle fredde e pallide del Capopalestra di quella fredda Amarantopoli, venne mischiato attentamente e riposto di nuovo nelle mani del proprietario. Lui sorrise, baciò la carte e sussurrò una parola.
Suicune...”.
“Se la magia non esistesse, ora tutto questo non sarebbe possibile”.
Eugenius stese il mazzo, e tra tutte le carte dal dorso blu, una era girata.
Proprio il due di picche.
Lo sguardo di Eugenius era tronfio, pieno di sé, attendeva il plauso da parte del suo pubblico, che puntualmente arrivò, manifestato con applausi e sorrisi da parte di Angelo e di Cindy.
Ma non di Xavier.
“Avanti, Xav, è stato bravissimo!” incitò la ragazza, guardandolo e prendendogli la mano. Angelo guardava la scena, la mano di sua moglie che toccava quella del ragazzo che aveva di fronte, e la cosa sembrava turbarlo.
“No, Cindy... È come dicevo io... Lui, come tutti i maghi, i medium o chi per essi è un impostore”.
Eugenius s'indignò.
“Ma... ma come ti permetti?!”
“Indignare un corno... c'è sempre un trucco, e stavolta è palese”. Eugenius lo guardò curioso, come anche Cindy, mentre Angelo rimase impassibile. Xavier si limitò ad allungare un dito e a spostare leggermente l'ultima carta. Anch'essa era girata.
“Non ha fatto niente di speciale, Cindy. Ho semplicemente inserito una carta girata in un mazzo voltato nel verso giusto. Girando l'ultima carta ti ha fatto pensare che le carte avessero il dorso colorato verso l'alto, mentre in realtà era il contrario”.
Eugenius spalancò gli occhi, guardò Angelo e poi rise, arrossendo.
“Diamine, questo ragazzo è parecchio in gamba!”
“Già! È intelligentissimo!” sorrideva quella, stringendo ancora la mano del giovane. Xavier, dal canto suo, aveva notato lo sguardo serio di Angelo, ed una volta che i loro occhi s'incrociarono fu il  Capopalestra a rompere quel muro di silenzio.
“Credi di avere tutte le risposte?” provocò Angelo, poggiando la faccia sui palmi.
“No! Assolutamente, Angelo... È per questo che faccio il mio lavoro. Se avessi tutte le risposte mi limiterei a scommettere saltuariamente sulle gare Pokémon e a mandare qualcuno a ritirare la mia vincita... No, figurati. Lavoro per la costruzione di un progetto, ma ora come ora mi sono fermato...”.
“Che progetto?” domandò Cindy.
“Top Secret, mi spiace”.
“Eddai!”.
“Non posso, mi spiace”.
“Anche se volessi non riuscirei a rubarti il progetto, non sarei capace di fare quello che fai tu!”
“Nemmeno sai che faccio...”.
“So che fai grandi cose...” annuì lei.
Ancora silenzio.
“Lascia perdere, Cindy... piuttosto, Eugenius, prima hai detto una cosa...”.
“Che intendi?”.
“Prima... hai baciato le carte e hai detto una parola”.
“Ah, sì. Ho detto Suicune”
“Suicune?”.
“Suicune” sorrise Eugenius. Inarcò un sopracciglio e portò una mano al mento. “Suicune è un Pokémon leggendario, figlio della magia di Ho-Oh, il Pokémon protettore di Amarantopoli”.
“So che l'ha anche distrutta, Amarantopoli”.
“Per questo merita il soprannome di Tiranno. Quando lui stava bene, tutti stavano bene. Ma se lui non era tranquillo, beh... Amarantopoli è stata incendiata dal Tiranno molteplici volte”.
“Ora cosa c'entra con Suicune?”.
“Suicune è stato riportato in vita da Ho-oh dopo l'incendio della vecchia torre, quella che adesso si chiama appunto Torre Bruciata. Suicune era assieme agli altri due cani leggendari, ovvero Entei e Raikou. Tuttavia Suicune...".
"Raikou! Cosa sai di Raikou?!".
"Cosa c'entra Raikou?! Voglio parlare di Suicune!".
"No, devi dirmi cosa posso fare per trovare Raikou!".
"Vuoi trovare Raikou?" domandò poi Cindy, stupita. Xavier la guardò ed annuì, quindi si voltò nuovamente verso Eugenius.
"Beh, istinto suppongo. Il mio formidabile istinto..." Eugenius stirò il papillon "...mi ha portato a rincorrere per tempo Suicune. L'ho visto diverse volte, e sono quasi riuscito a catturarlo, ma...".
"Raikou, Eugenius, Raikou".
"Ah, beh... Hai mai avuto a che fare con dei Pokémon?".
"Meno di quanto avrei voluto".
"Allora l'istinto può andare a farsi friggere. Ma beh, avendo un Pokédex...".
"Pokédex?! Non credo sia possibile".
"Lo so. Conobbi tempo fa una giovane ragazza che ne possedeva uno... Vorrei tanto rivederla a dire il vero, però...".
"Parlami di Raikou, allora".
"Beh, è un Pokémon particolarmente forte, dal grande potenziale elettrico. Emana scintille, e secondo le dicerie ad ogni suo ruggito cade un tuono dal cielo".
"Emana elettricità?".
"Sì, l'aria attorno al Pokémon diventa elettrica... Non so il perché ma è così...".
"Ciò vuol dire che emana onde! L'elettricità possiede una frequenza! Devo riuscire a creare un apparecchio in grado di segnalarmi grandi fonti di frequenze elettriche anche a grande distanza, e potrò cominciare con l'inseguimento!".
"Beh, non fa una grinza...".
"Ora devo andare!" esclamò Xavier, alzandosi all'improvviso. Strinse forte le mani ad Eugenius e lo ringraziò, fece lo stesso con la frigida mano di Angelo, quindi mise la mano sulla fronte di Cindy e le spettinò la frangetta.
"Grazie rossa. Ora vado!".
Si alzò e scattò fuori a passo svelto.
"Ma Xavier! Aspetta!". La ragazza si alzò e lo inseguì. Quando lo raggiunse entrambi erano già fuori dal locale.
“E fermati!” urlò, stringendogli la spalla per bloccarlo.
Lui si voltò e la guardò. “Che c’è?”.
“Che significa... Questo?!” arrabbiata spettino il ciuffo davanti al ragazzo, che sorrise.
“Che avrei dovuto fare? Baciarti sulle labbra davanti a tuo marito?”.
“No! Ma... Cioè...”.
“Credo tu ti stia applicando su di una stronzata”.
“Addirittura?! Solo perché voglio essere salutata come si deve?”.
Xavier non riuscì a trattenere un sorriso, quindi la tirò a sé e l’abbracciò. Fu un momento intenso, figlio di un desiderio insito nel cuore del ragazzo. Anni prima avrebbe voluto stare in quella situazione in totale catatonia per ore, godersi quel profumo così pungente e buono.
Rosa selvatica.
“Te ne sei andata...” sussurrò lui.
“No. Sono sempre stata qui...”.
“Non capisci cosa voglio dire”.
“Mi spiace molto. Ma ora è così”.
“Sembra quasi che fossi stato corrisposto” Xavier sorrise e sciolse l’abbraccio. Lei lo guardò seria e storse le labbra.
“Eri un tale imbranato...”.
“Lo so benissimo. Ma, come hai detto tu, ora è così”.
“Già. Ora è così”.
Si salutarono con un caldo bacio sulla guancia, sotto gli occhi gelidi di Angelo che guardava il tutto.
Xavier tornò a casa, poi doccia e a nanna. Il giorno dopo sarebbe successo qualcosa di grande.
 
“Con... gli... ultimi... punti... di saldatura, ecco qua...”.
Xavier indossava un paio di grandi occhialoni per le saldature, mordeva la lingua e stringeva gli occhi, tutte cose che faceva per concentrarsi. Aveva fissato gli ultimi collegamenti, aveva montato lo schermo e soprattutto il rilevatore d’onde. Aveva impostato l’apparecchio in modo che segnalasse soltanto grandi quantitativi d’energia elettrica.
Era piccolo, pratico, comodo.
Aveva praticamente creato un SegnalaRaikou ed aveva tutta la voglia possibile di provarlo.
E per farlo, l’unica cosa che doveva fare era abbandonare quello studio, prendere la borsa che aveva preparato, la Pokéball con il suo Luxio e partire.
Andare via.
 
La sua avventura era appena iniziata.  

 
Angolo di un autore ubriaco la maggior parte delle volte:
Tipo adesso
Forse ora no, proprio adesso no. Però stasera ci farò un pensierino, anche perché domani è il mio onomastico (San Renato, mi chiamo Christian, ed il ragionamento contorto di mio padre fu Christian = Cristo = RE NATO = RENATO).
Geniale.
In ogni caso mi scuso per il ritardo nella pubblicazione, avrei dovuto pubblicare al posto di Lev, ma purtroppo il periodo è stato assai pesante. Ora è tutto a posto, mi sono ripreso ed è pronto anche il prossimo capitolo di HC, che uscirà con tutta probabilità venerdì.
E poi boh, le prossime uscite.
La questione è che per questo ultimo capitolo tutto è andato scazzo, quindi non saprei precisamente quando pubblica chi. Ma il 16 ci sarà sicuramente un'altra uscita, e cinque giorni un'altra e così via.
Parliamo un po' di Xavier, invece.
Mi è piaciuto molto il finale. Cioè, non proprio il finale, quanto la parte prima, con Cindy. Il saluto prima della partenza.
Non so se a qualcuno può essere utile, ma ho scritto l'intero ultimo capitolo con sottofondo This isn't Love di Mr. Kid, un genere che adoro. Messa in loop, la canzone, mi ha tirato fuori questo.
Ebbeh, per il resto ci aggiorniamo il mese prossimo, quando dovrebbe effettivamente cominciare la long. La cosa è ancora un po' incerta, ma qualche riga la stenderemo sicuramente.
A presto e grazie per aver letto, seguito la raccolta, sia mia che degli altri membri del gruppo di scrittura. È stata un'esperienza assai divertente.

 
Andy

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