Agape

di Angelo_Stella
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Capitolo 1 ***
Capitolo 2: *** Capitolo 2 ***
Capitolo 3: *** Capitolo 3 ***
Capitolo 4: *** Capitolo 4 ***
Capitolo 5: *** capitolo 5 ***
Capitolo 6: *** Capitolo 6 ***
Capitolo 7: *** Capitolo 7 ***
Capitolo 8: *** Capitolo 8 ***
Capitolo 9: *** Capitolo 9 ***
Capitolo 10: *** Capitolo 10 ***



Capitolo 1
*** Capitolo 1 ***


AGAPE 

capitolo 1

 

 COLABORAZIONE CON ANGELO NERO

 

Il punk sentì suonare il campanello e, ancora con la camicia sbottonata e la cravatta depositata sulle spalle, andò ad aprire. Sulla soglia di casa trovò lei, come un pacco regalo depositato dal postino. Era ben posata, Gwen. Con i suoi corti capelli neri sfilati che solleticavano il collo slanciato e diafano, come tutta la sua pelle. Addosso un vestitino nero, semplice e senza fronzoli, proprio come piaceva a lei, che quella sera stava facendo risaltare tutta la sua femminilità in quelle curve che il fidanzato avrebbe tanto voluto testare e in quel dolce sorriso, marchiato da una non più innocente malizia.

Duncan era bloccato a squadrarla da capo a piede, mordendosi il labbro inferiore e sospirando ogni cinque secondi, senza notare che lei lo stava studiando con più accuratezza. La camicia candida aperta lasciava vedere un fisico perfetto e curato come un tempio, mentre i bicipiti attendevano di scoppiare oltre le maniche lunghe. La cravatta stava scivolando alla sua destra e un sorriso ebete faceva da contorno alla sua bellezza ben sviluppata.

Gwen gli si avvicinò dolcemente, accarezzandogli il pizzetto con le dita affusolate, grattandolo con l’indice che scivolò in basso, depositando una scia lungo il collo e i pettorali del ragazzo, per poi arrivare al basso ventre, unirsi con il pollice e tirare su la zip del jeans scuro –Avevi la bottega aperta, tesoro- sussurrò ironicamente la gotica, con un tono falsamente seducente –Ed ora che dici, mi fai entrare o devo restare fuori tutta la giornata?-

Duncan scosse il capo, rendendosi conto che la sua ragazza lo stava davvero prendendo in giro… pazzesco! Lui si era preparato con tanta accuratezza per sembrare più sexy e lei? Lei lo smontava in quel modo. Fece schioccare la lingua contro il palato, aggrottando le sopracciglia cespugliose –Andiamo, scherzavo!-  ridacchiò lei, dandogli un paio di pacche sulle spalle e sfiorando le sue labbra con le proprie. Il punk ne approfittò per catturarla a sé, cingendole la sottile vita con un braccio e leccandole con la punta delle lingua il labbro superiore.

L’abbandonò a terra spalancando finalmente la porta –E voilà, ben venuta nella reggia Nelson!- esclamò, incrociando le braccia al petto e sorridendo compiaciuto nel vedere l’espressione strabiliata della ragazza, che ancora interdetta fissava l’enorme soggiorno, calato nell’oscurità e reso ombrato da profumate candele che facevano sfrigolare la loro fiamma contro contenitori di vetro. Un accogliente calduccio rendeva l’aria più pesante, mentre il fumo di parecchi incensi si dissipava in piccole nubi grigiastre. Numerosi petali di rosa rossa erano sparsi dappertutto, lambendo e colorando il tappeto beige e distribuendosi irregolarmente per la camerata, cadendo persino dal lussuoso lampadario di cristallo. La tappezzeria rossa, i divani carmini e le tende del medesimo colore inscenavano il tema principale della serata: la passione.

Gwen si riprese dal lieve shock, scostandosi una ciocca di capelli dall’occhio, per poi avvicinarsi al fidanzato ed accoccolare la testa sul suo petto. Duncan abbassò gli occhi sull’esile figurina dell’amata, fissandola negli occhi color pece che, talvolta, gli sembravano così immensi e profondi mentre li scrutava con maggior attenzione, come per distinguere la pupilla dall’iride, cosa complicata per la scurezza di quest’ultima. Sembrava intento a guardarle gli occhi, fino a quando questi non si fusero con i suoi, addolcendosi sempre di più. La dark toccò la cresta del ragazzo che le appariva come una grande distesa erbata, certo, anche piena di gel. Gli occhi freddi di lui, ma allo stesso tempo caldi e rassicuranti le donavano la giusta tenerezza che quella sera le sarebbe servita, facendola andare in visibilio

-Vogliamo accomodarci, my ledy?- le prese una mano chiara tra la sua, mentre faceva dissolvere la voce rauca per la camera. Allontanò la sedia bordeaux dal tavolo, facendola sedere, poi si mise difronte a lei, versandole un bicchiere di vino rosso nel calice di cristallo. Il liquido scivolò dalla caraffa vetrata e barcollò leggermente nel bicchiere che Gwen continuava a muovere tra l’indice e il pollice. Fece combaciare le labbra al bordo e saggiò l’incredibile dolcezza dell’ottimo vino –Vuoi farmi ubriacare per renderti le cose più facili?- sussurrò in domanda, con una calda voce suadente –No, non è il mio intento- si alzò ghignante, dirigendosi in cucina. La ragazza si sollevò dal suo posto, aprendo la porta dalla quale era appena uscito lui –Ehi, che mi nascondi qui?- si guardò intorno, notando le cibarie appena cotte sul tavolo, pronte solo ad essere riscaldate per qualche minuto nel forno –Vergogna, ragazzina, non dovresti entrare nella cucina di un rinomato chef come me!- si portò al petto il mestolo, battendosi con fierezza ed indicando il mangiare. Gwen si sedette sul bordo del tavolo –Allora, che si mangia?- il punk non aspettava altro che esporle ciò che aveva preparato con tanta fatica!

Subito si mise in posa, assumendo uno scadente accento francese –Qui abbiamo gli spaghetti e l’aragosta!- detto questo indicò la pasta bollire sul fuoco –Mentre qui troviamo i frutti di mare e il pesce, con tanto tanto peperoncino- la gotica sorrise, anzi no, ghignò! –Focoso…- mormorò ammiccando–Già… ehi, non mi interrompere!- la indicò accusatorio, vedendola alzare le mani e ridacchiare –Mentre in frigo giace un meraviglioso profitterò alla panna e al cioccolato- la dark avrebbe voluto articolare qualcosa, ma non ci riuscì che Duncan la prese per un braccio, trascinandola nel soggiorno. Poco dopo rientrò, servendo i piatti  cominciando a mangiare.

-Allora, come ti va l'università?- tentò di iniziare un goffo discorso, mentre si grattava la nuca –Eh, non tanto bene… non so se riuscirò ad uscire dalla quarta- e si ficcò un enorme boccone di spaghetti, cercando di masticare a bocca chiusa –Vergogna, io alla tua età ero il primo della classe!- Gwen gli gettò un pezzo di pane addosso, ridendo divertita –Oh, sì certo!- il punk accettò il cibo lanciatogli e lo mangiò immediatamente, buttandoselo in bocca. La ragazza si ricordava delle facili sospensioni che riceveva il fidanzato e le piangeva con rammarico, quando potevano stare insieme per tanto tempo! Duncan si passò la lingua sui denti, ghignando non appena si accorse che lei aveva accavallato le gambe snelle e slanciate, mettendo in mostra –non volontariamente- la mutandina di pizzo nero, sulla quale gli occhi di lui puntarono immediatamente –Spero sarà facile sfilarla!- la gotica avvampò, sedendosi immediatamente bene e riacquistando il pudore da poco perduto –Sei un cretino…- disse grattandosi il braccio e pulendosi gli angoli della bocca con un tovagliolo.

Duncan si alzò, per un secondo mortificato dall’indecente battuta con la quale aveva messo a disagio la sua piccola, le si avvicinò e le accarezzò il collo, baciandola a fior di labbra, creando un contatto casto e puro, senza malizia alcuna, senza volerlo approfondire. Gwen ritrasse le labbra all’interno della bocca, come per voler sentire il sapore di quelle di lui invaderla ancora, teneramente –Scusami- mormorò al suo orecchio, per poi baciare anch’esso e farla impazzire lentamente, cosa che con il passare del tempo era diventato il suo giochetto perverso –Va bene- lo perdonò sorridendo anche, mentre gli catturava le braccia tra la sua stretta  fissava le sue labbra, in una muta richiesta di un passionale bacio, che arrivò.

La labbra di Duncan si muovevano lentamente sulle sue, schiudendosi ed aprendosi lentamente, catturando quelle dell’amata nella sua bocca per poi giocare con la lingua e assaggiarne la punta. Il petto della dark si muoveva appena, anche se il suo cuore batteva per l’eccitazione sempre più forte e, il calore cominciava a distribuirsi per tutto il corpo. Le mani tremanti per l’emozione del punk, si avvicinarono alla scollatura del vestito della fidanzata, cominciando a giocarci ed abbassarla ritmicamente. Lei invece fremeva, silenziosa, scostando il capo lasciando le labbra della persona che più cara aveva al mondo, depositarle tanti piccoli baci umidi. Ansimò quando quei due occhi azzurri cominciarono a fissarle il seno, avvertendo la sua presenza possessoria stringerla con forza –Ehi- disse, poggiandole le mani sui capelli e facendole scivolare fino a quando non incontrò la zip del suo vestito, che abbassò con una velocita fulminea. Immediatamente si rese conto della biancheria che indossava la sua ragazza. Non sapeva perché, ma era una cosa che gli faceva gustare di più il momento. Gwen divenne di nuovo rossa, perché non si sarebbe mai abituata a farsi vedere nuda, anche se dal proprio fidanzato. Continuava a tenere la testa poggiata sul suo petto e ad accarezzargli i pettorali. Pian piano Duncan si levo il jeans, lanciando via anche la camicia. La portò fino al divano adagiandola sopra di lui. Le accarezzò la schiena seminuda, baciandola nel caldo incavo della clavicola, mentre soddisfava la lieve perversione che aveva preso il controllo del suo corpo fissando il petto tenuto dal reggiseno, che lanciò via dopo parecchi baci. La dark lo lasciò fare, abbandonandosi alla sua esperienza e godendosi la notte più romantica e perversa della sua vita.

 

                                                                                                                                     ***

9:05

La sveglia posta sul comodino a fianco del letto di Duncan continuava a trillare, interrompendosi per lasciar posto ad una voce maschile registrata, parecchio fastidiosa.

“Sono le 9:05, forza, alzati.

Facciamo il punto della giornata: i nostri concittadini continuano con la loro placida vita, il presidente lavora con indulgenza e la nostra bandiera svolazza alta. Tu sei ancora qui? Forza, alzati!”

Poi ricominciava, daccapo. Gwen si alzò, passandosi una mano sul volto e sbadigliando. Puntò gli occhi difronte lo specchio e si accorse del lieve trucco sbavato e delle profonde occhiaie che le segnavano gli occhi ancora socchiusi. Mugolò sottovoce per poi prendere la sveglia tra le mani e tentare di spegnerla. Cominciò a scuoterla, premendo più bottoni possibili e poi, dopo un paio di minuti, provata dal russare del fidanzato e da quella voce da strozzare (letteralmente), gettò l’apparecchio elettronico a terra, che si fracassò sul pavimento pulito. Duncan sobbalzò dal profondo sonno, cacciando un breve urletto –Ma che cosa…- cacciò brevi gemiti anche lui e si sollevò con i gomiti, rendendosi conto di ritrovarsi al fianco della creatura più celestiale dell’Universo, per di più questa piccola creatura era anche nuda! Perfetto. Tentò di tirarla giù per donarle un risveglio pieno di baci, ma non ci riuscì dopo che si accorse che, la seconda cosa che più amava al Mondo (perché doveva ammetterlo, il primo posto se lo contendevano la fidanzata e la sua squadra di basebal) si ritrovava fracassata lungo il pavimento –Che hai fatto?!- esclamò, indicando furioso l’apparecchio che continuava a suonare malamente brevi parole sconnesse –Cosa? Dovresti sapere che chi interrompe il mio sonno finisce male! E poi si può sapere dove hai comprato quella roba?- domandò, stendendosi di nuovo –E no, non te la scampi così! Adesso subirai la mia ira funesta!- la fece uscire dalle coperte e le salì sopra, cominciando a farle il solletico lungo i fianchi e divertendosi nel vederla contorcersi e pregarsi al di sotto del suo corpo –Come hai chiamato la mia ex-meravigliosa sveglia?- le catturò i piedi in una mano, sfiorandoli di tanto in tanto con l’indice. Gwen si avvolse tra le lenzuola, a pancia in giù –Basta!- urlò tra le risate, mentre alcune lacrime cominciavano a bagnare la coperta –Implora pietà e perdono!- -No, mai!- sentì la crudele tortura farsi più forte e alla fine si arrese –Va bene, pietà e perdono, pietà e perdono!- affondò la faccia nel cuscino e sospirò sollevata quando il solletico cessò –Brava la mia sottomessa- lei si alzò per fargli la linguaccia –Te la do io la sottomessa!- detto questo gli tirò stizzita un cuscino, alzandosi e lasciandolo solo per poi dirigersi in bagno. Duncan si alzò, bussando lievemente alla porta. Visto che nessuno l’aprì abbassò la maniglia, ma scoprì che Gwen si era chiusa a chiave –Fammi entrare, piccola- disse a bassa voce, ma dall’altra parte non sentì girare la chiave –Ah, sì? Chiedi pietà e perdono per quello che mi hai appena fatto- il punk abbassò la testa, sorridendo –Bastarda, guarda che la doccia è mia e posso anche buttare giù la porta se mi va- la intimò con voce ferma –Oh, certo, ed io però non farò più la doccia con te- colpito e affondato. Si rizzò immediatamente, chiedendo perdono. Lei aprì la porta –Inginocchiati alla mia presenza- incrociò le braccia al petto –Come, scherzi vero?- -No- trattenne a stento una risata quando il ragazzo le ubbidì –Pietà e perdono- implorò –Bene, accettato- si alzò e le prese il polso, avvicinandosela e calandole l’asciugamano, ma lei lo ripose al suo posto –Scusa, ma devo fare in fretta, non posso dilungarmi- Duncan la guardò malissimo –Ma che vuoi?- si giustificò alzando le mani –Anche io ho una mia vita! Eh… devo andare da una mia amica e non ho tempo da perdere- lui tentò di aprire la porta –Facciamo velocissimo- ma lei lo richiuse fuori, ridendo e facendo scorrere l’acqua della doccia, scusandosi falsamente.

Non appena uscì concesse un breve spettacolino al ragazzo, che le aveva fatto trovare i vestiti sul letto sfatto. Gwen si presentò completamente bagnata e guardò Duncan che si era appoggiato sulla sedia, scocciato. Si sedette sulle sue gambe, facendo scivolare l’asciugamano dal corpo e baciandolo di nuovo –Mi aiuti ad asciugarmi?- domandò con una voce talmente calda che il punk credette di andare in iperventilazione. Assentì e l’avvolse con l’accappatoio, tamponandole le braccia, la pancia, la schiena… per poi odorarle i capelli e sorridere dolcemente. Quando finì la fece alzare, rimettendole il reggiseno e facendole infilare da sola la mutandina di pizzo –Ho una cosa per te- disse arrossendo, aprendo in confusione i cassetti dei comò e sbiancando lentamente, imprecando a bassa voce e avendo paura di non trovare più il suo “regalo”, che aveva cercato con tanto affetto –Eccolo!- esultò alla fine, estraendo uno scatolino e lanciandoselo un paio di volte nella mano destra. Coprì gli occhi di Gwen con una mano, senza poter fare a meno di far combaciare nuovamente le loro labbra. La ragazza sentì dopo poco il collo coperto da della stoffa e, quando aprì gli occhi, trovo a cingerla un meraviglioso collare celeste, di pelle –Per te- sussurrò, allontanandosi e lasciandola vestire in pace –Sono onorata- si chinò sorridente e scherzosa, ora vestendosi di malavoglia. Doveva ammettere che, passare un’altra oretta focosa con il fidanzato non le sarebbe dispiaciuto, ma adesso aveva cose più importanti da fare. Quando un’amica chiama, lei risponde!

No, tecnicamente non era vero. Aveva pochissime amicizie la dark e riteneva false tutte le persone che la circondavano. Per questo prediligeva quell’asiatica cinica e scorbutica, le diceva sempre ciò che pensava, anche se erano cose parecchio spiacevoli. Infondo le accettava di buon grado. Cedette ad un’ultima coccola con il fidanzato, che giocherellò ancora con la sua femminilità. Poi, lo abbandonò senza crollare alle sue proteste e alle sue offerte di accompagnarla dovunque fosse andata.

Chiamò un taxi che la scortò sotto il palazzo dell’amica e non appena arrivò difronte il suo pianerottolo suonò il campanello. Ci vollero parecchi minuti prima che Heather si decidesse ad aprire e quando lo fece Gwen si ritrovò difronte un Alejandro mal vestito, con parecchie tracce di rossetto sul volto e la sua  miglior nemica impresentabile –Coff Coff Alejandro, sparisci Coff Coff- camuffò la frase come se la gotica fosse tanto stupida da non capirla e il bel spagnolo, no nonché la sua nuova fiamma, sparì per le scale dell’edificio. La ragazza si sistemò i capelli in un vano tentativo di apparire più presentabile e poi spalancò le porte di casa all’odiosa darkettona, come era solita nominarla –Okay, che ci faceva Ale qui, eh? Dai che a me puoi dirlo, forza!-  mentre entrava le diede una gomitata giocosa, per poi aprire la bocca esterrefatta: quella non era la casa della nemica! Ma che diavolo aveva combinato?

Sapeva benissimo che Heather, anche dopo un buon sesso, non lasciava nulla fuori posto e teneva d’occhio l’occasionale partner notturno. Eppure adesso la gotica si ritrovava in un corridoio cosparso d’acqua, trucchi dappertutto e vestiti al quanto… sexy (se così si potevano definire i mille slip lanciati all’aria e qualche vestitino che mirava a far attizzare la perversione del compagno)… L’altra la condusse in cucina, dove il pavimento era sotterrato da mille cibarie ribaltate dal tavolo, sgombrato di tutta fretta di sicuro per soddisfare le voglie dello spagnolo. E lei che pensava di aver esagerato con Duncan! Ma doveva concederlo al punk, per essere lui era abbastanza gentile e si tratteneva da idee malsane. Doveva ammettere, Gwen, che questa volta Heather era leggermente turbata. Non era sicura di sé come tutte le volte che l’aveva colta di sorpresa in situazioni imbarazzanti. Era scossa, e molto. Forse era stata l’irriducibile bellezza del latino a renderla così. Ma poco ci credeva. Lei era il chiaro simbolo della forza femminile e dell’acidità umana (certo, sempre dopo di lei). Il ragazzo che ora frequentava lo aveva conosciuto di sfuggita, ad una festa notturna organizzata da Duncan in una piscina comunale. Era arrivato di fianco alla nemica, tenendola sotto il braccio e annuendo seducente a tutte le frecciatine che lei gli tirava. La teneva ben stretta e le sussurrava parole falsamente dolci, facendo partire le mani e la lingua in modo eccessivo, tanto che Heather restò sconcertata dopo l’ennesima notte che avevano passato insieme, tra amori e litigi. Per la dark loro, insieme erano perfetti! Assolutamente. Erano identici, talmente falsi che non avresti mai potuto decifrare i loro veri stati d’animo, a meno che non li avessero messi loro a nudo.

Lo spagnolo era alto, più di lei e portava una camicia rosso fuoco completamente sbottonata e un paio di pantaloncini marroni. Non era l’abbigliamento, il punto. Quel sorriso seducente metteva in mostra una fila di denti bianchissimi e i capelli color nocciola scivolavano lungo la nuca e ricadevano anche sugli occhi smeraldini, profondi e bellissimi. Era curato per bene e non nascondeva la sua vanità e la sua sicurezza nel poter ottenere tutto ciò che cercava, tramite sorrisetti e ammiccamenti poco chiari per tutte le ragazze che lo guardavano. Faceva sognare e distruggeva sogni e, doveva ammettere che tutto sommato gli piaceva vedere donne distrutte dopo una rottura dal magnifico lui, come magari si denominava alle volte, facendo storcere le labbra ad Heather.

Se il latino era bello, l’asiatica non scherzava neppure un po’. Alta, di classe, tutta gambe e scollature. Un collo snello e un seno prosperoso erano le armi con le quali attirava le sue prede notturne, e di giorno amava mettere in mostra la sua alta figura con minigonne che per quanto erano piccole, parevano cinture.

Erano due belve, quei due, e la parte romantica –e ben nascosta- di Gwen fantasticava sul loro amore irriducibile e fantastico. Anche se la parte realista –quella che prevaleva di più- ammetteva che non sarebbero potuti durare molto

-Tazza di tè?- propose Heather, senza neppure ascoltare la risposta che mise una tazza tra le mani della mora, che annuì rassegnatasi alla disattenzione dell’altra. Non appena l’asiatica versò il liquido nella tazzina dell’amica – nemica, la invitò nel posto più ordinato della casa, cioè la sua veranda, dove mai avrebbe invitato nessuno se non Gwen. Era un po’come il loro “covo”, il loro posto speciale dove potevano parlare lontano dai ragazzi, dove potevano divertirsi a sognare quali ragazze che erano, dove potevano svolgere i loro compiti scolastici, o ascoltare musica, o anche solo stendersi per osservare gli alberi più alti di tutto il parco in cui viveva Heather… ma la maggior parte delle volte si prendevano a capelli e, per chissà quale miracolo evitavano di gettarsi giù dal piano. La bella si sedette sull’altalena in ferro battuto, poggiando la tazza di tè dalla quale non aveva ancora saggiato un sorso sul muretto coperto di muschio al suo fianco. Gwen si limitò a stendersi a pancia in su sul tappeto lilla comprato da poco dalla padrona di casa.

Ci fu un interminabile minuto di silenzio, che la dark passò a studiare i nuovi oggetti appesi alla “loro” parete. L’avevano creata un paio d’anni fa, la prima volta che si erano picchiate a sangue per poi scoppiare in una risata divertita. Heather aveva appeso l’abito della festa di fine anno al muro, mostrandolo a Gwen, alla quale era stata concesso un posto per inserire i primi guanti di pelle nera che avesse mai ricevuto. Dall’ora era andata avanti così, mentre appendevano le loro cose e le guardavano soddisfatte di loro stesse. Quella volta ci vide una cordicina, parecchio piccola e bianca, consumata però dal tempo

-Darkettona!- la richiamò l’asiatica, rendendosi conto che i suoi occhi stavano vagando fin troppo –Oh, che c’è? A proposito, che vuol dire quello per te? Come mai si merita un posto nella nostra parete?- chiese indicando la corda. Heather sospirò, passandosi una mano nei lunghi capelli neri, poi lo disse così, veloce ed indolore

-Credo di provare qualcosa per… qualcuno…- la gotica scoppiò a ridere, suscitando un’arrabbiatura da parte della bella, che le dedicò mille occhiatacce, poi Gwen si chiarì –Si capisce lontano un miglio che ti piace Alejandro, anzi, non solo ti piace! Lo ami!-

Fissò i suoi occhi in quelli grigi insoliti dell’altra, sorridendole amichevolmente ma camuffandosi con un ghigno beffeggiatorio, anche se doveva ammetterlo: voleva tanto abbracciarla. Ma non lo avrebbero mai fatto. Quando notò la bella cedere e abbassarsi alla sua altezza, alzò un sopracciglio, stranita. Heather rivolse lo sguardo alla nemica, sentendo un lieve pizzicorino agli occhi, che riuscì a scacciare –Non credo che sia Alejandro quel “qualcuno”-

 

Writen Bye Stella_2000

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Capitolo 2
*** Capitolo 2 ***


§  L'Angelo racconta  §
 

Ciao a tutti, ecco il secondo capitolo di questa long! :D
Oh, vi state chiedendo come mai stia scrivendo io? Semplice: storia a quattro mani, gente, qui le menti sono due e hanno anche idee molto diverse. xD      Ve ne accorgerete! ;D
Nonostante ciò, la storia è nata in modo strano, ma anche divertente, per cui mi sento di ringraziare Stella per aver accettato di scriverla insieme. :)
Passiamo al capitolo: io ho i numeri pari e quindi il 2 l'ho scritto io, mentre l'1 l'ha scritto Stella_2000, come avrete notato. Questo è un capitolo transitorio, ma farà sorgere delle domande sui nostri protagonisti. ;)
Spero vi piaccia ;)
Un inchino e un bacio, Angelo





AGAPE


Capitolo 2

 


COLLABORAZIONE  CON  _STELLA_2000

Batté le palpebre, Gwen, a quell' affermazione: che significava? La stava forse prendendo in giro? Se così era, l'amica era veramente una brava attrice, le aveva puntato addosso due occhi lacrimanti, tristi, spenti. Senza energia. Decisamente non da lei.
In un primo momento, non le credette: certo che lei ed Alejandro si amavano! Lo sapevano tutti, era evidente. I loro comportamenti, l'odio scostante l'uno nei confronti dell'altra, le frecciatine che si tiravano e poi, andiamo: li aveva colti in flagrante giusto pochi minuti prima, nessuno dei due era messo bene: lui aveva tracce del rossetto dell'asiatica praticamente ovunque e si era vestito molto di fretta, era ovvio, cosa che non avrebbe mai fatto. La sua amica, invece, aveva dei capelli che non si sarebbe mai sognata ed era abbigliata svogliatamente.
La casa, anche, era messa sottosopra.
No, non era possibile che il suddetto "qualcuno" non fosse lo spagnolo, non ci credeva!
Alzò le sopraciglia con una smorfia in viso. "Non contare balle, Heather!"
La ragazza la guardò, aprendo leggermente la bocca: in quell'istante più che mai in tutta la sua vita, avrebbe voluto prenderla a pugni e calci. Afferrarla per i capelli, senza darle la possibilità di difendersi. Voleva che la guardasse negli occhi rossi ed arrabbiati. Le avrebbe chiesto, allora, di ripetere.
Ma non le riuscì di adirarsi come al solito, soppressa da quelle emozioni, che di solito non provava. A cui non era abituata. Troppo orgogliosa per dargli ascolto. Troppo, terribilmente sbagliate.
" 'Fanculo!" esclamò, battendosi i pugni sulle ginocchia e mantenendoci lo sguardo.
La dark, allora, non poté fare a meno d'aggrottare le sopraciglia, scossa dai suoi comportamenti. Non riusciva a capire, in effetti.
"Bé, allora dimmi chi è questo ragazzo, con me puoi!" assicurò quindi, alzando le spalle e con la tentazione di mettere una mano su una delle sue. Ma non lo fece, non era da loro, meglio di no.
L'altra emise una risatina sarcastica. "Sì, perché tu non mi creda di nuovo?"
"Non era mia intenzione non crederti!" rispose sicura Gwen.
"Perché ti avrei chiamata d'urgenza, Darkettona?! Perché mi vedessi con Alejandro, secondo te? Perché volevo essere presa in giro? Per farmi trovare così?!" Indicò il suo corpo, ancora parecchio fuori posto. "O per farti un dispetto?"
Non piangeva, naturalmente, si sfogava gridando come d'abitudine e la sua amica la lasciava fare: non che le piacessero i suoi discorsi, ma per un motivo ancora a lei estraneo, con Heather aveva una straordinaria pazienza. Sotto sotto, le voleva bene.
"No, hai ragione!" le concesse alla fine delle eterne domande retoriche che l'amica-nemica le rivolse.
Infondo, anche a lei era dispiaciuto allontanarsi da Duncan. Per di più, non aveva fatto neanche colazione e il suo fidanzato non cucinava male! Iniziava ad apprezzare il tè che la ragazza le aveva ficcato in mano a forza. Ne bevve un po' e sgranocchiò qualche biscotto dal vassoio sul tavolino … Come c'erano arrivati là?
Si guardò in giro, mentre Heather, probabilmente, riprendeva il senno, dopo la sfuriata, come al solito: la giornata era piena di sole e il parco immenso in cui viveva la ragazza pareva ancora più bello, con la luce che filtrava tra le foglie e i giochi che creava di conseguenza a terra.
La sua amica aveva preso a bere e mangiare anche lei, parecchio in silenzio, gettandosi gli occhi intorno come Gwen e dondolandosi sull'altalena.
La dark si mise seduta a gambe incrociate, continuando il suo viaggio coi sensi: il vento fresco in volto, il rumore dello strusciare dei rami e quello dell'altalena. Il profumo del tè e dei biscotti.
La loro parete, piena di oggetti, non sapevano più dove metterli. Si sfiorò istintivamente il collo, trovando il collare di Duncan. Forse avrebbe dovuto metterlo là. Ma anche no: tenerlo addosso, lo faceva sentire vicino. Inoltre, diede un sguardo anche a quella cordetta anonima che le fece aggrottare la fronte: era iniziato così, il discorso dei sentimenti e del ragazzo e di Alejandro!
Prima di che parlavano? Non lo ricordava!
Spostò gli occhi sull'asiatica un attimo, che ricambiò lo sguardo, alzando le sopraciglia. Poi cambiò nuovamente il soggetto del suo interesse. Indicò l'amica- nemica e la parete a turno, per poi schioccare le dita.
"Il tè ti fa male!" le fece notare la ragazza, credendola pazza.
La dark diede gli occhi al cielo, aiutandosi con una mano per alzarsi ed andarsi a sedere sull'altalena, di fianco all'altra. Indicò la parete dinnanzi a loro con entrambe le mani e un sorriso che pareva fin troppo allegro.
"Bé, che c'è?" le fece l'asiatica, ancora senza capirla.
"C'ho messo un attimo, ma poi ho capito!" La prese per le braccia e la scosse . Per fortuna, aveva finito il tè! "Non mi hai mentito! E adesso ho compreso tutto! Dimmi solo: chi è?"
Doveva ammettere, Heather, che per quanto lei stessa si ritenesse intelligente, non ci stava ancora arrivando: piegò la testa da un lato. "Chi è chi?"
"Ma come 'chi'? Il ragazzo che ti ha rubato il cuore!" esclamò invece Gwen, giocosa e facendole la linguaccia. "Quel genio che ha sciolto il tuo cuore ghiacciato e che l'ha riempito d'amore!" rise ancora una volta.
La sua amica-nemica ridacchiò, ormai ripresasi del tutto. "Quando ti riprenderai e ti ricorderai di questa chiacchierata," scherzò. "sappi che io non centro nulla: non ho messo nessuna droga nella tua tazza!"
Gwen sbuffò. "Ancora non capisci?"
"No!" ammise senza tanti sforzi, scuotendo la testa: che c'era da capire, era diventata matta!
La ragazza le passò un braccio attorno alle spalle, guardando verso l'alto e descrivendo un arco immaginario con la mano, seguito dagli occhi dell'altra.
"Vedi," iniziò poi a spiegare. "quando capita a te, soprattutto se con 'te', intendiamo sul serio 'te', 'te', Heather Wilson, non ce ne accorgiamo. Ma si chiama 'a-mo-re'!" Scandì l'ultima parola e poi concluse, con tono solenne: "Ed è per questo, che quella cordicina sta là, vero?!" E puntò il dito verso l'oggetto, chiudendo un occhio per centrarlo meglio. "Te l'ha regalata qualcuno d'importante. Quel 'qualcuno' per cui provi qualcosa!"
Guardò lei e sorrise, mentre l'asiatica abbassava gli occhi: la odiava anche per quello. Si conoscevano da una vita e quindi non poteva mentirle! Oppure poteva, ma avrebbe scoperto tutto da sola. Con Gwen si sentiva leggermente fragile.
"E' giusto!" ammise allora, con non poca stizza, malcelata nella voce.
"E quindi, chi è il tizio?" chiese nuovamente la dark, andandole vicino con il viso scherzoso.
L'altra l'allontanò malamente da sé. "Smettila, non sono affari tuoi!"
"Ma io sono tua amica!" protestò Gwen, facendo alzare un sopraciglio ad Heather, che la squadrò con aria scettica. "Dai!" sbottò l'altra. "Lo sai che intendo!"
"Ti ho detto che non ti riguarda, Darkettona!" rispose rudemente l'amica-nemica, affibbiandole quel soprannome per farle intendere che aveva ripreso quella diffidenza che usava di norma. Ciò era dimostrato anche dal fatto che avesse incrociato le braccia ed accavallato le gambe.
Gwen sbuffò e si grattò la nuca, frustrata dalle distanze che la Wilson soleva mettere chissà perché. Probabilmente era semplicemente orgoglio, ma le sarebbe piaciuto che avesse un po' più di fiducia in lei: le aveva certamente raccontato di peggio!
"Ok, proviamo con un'altra domanda!" s'accontentò la ragazza, rimettendosi seduta a terra per poterla guardare negli occhi, che teneva bassi. "Se c'è questo Signor Qualcuno nel tuo cuore … come mai continui ad 'uscire' " Virgolettò la parola, perché non poteva dire che "uscissero insieme", decisamente non poteva. Lei e Duncan erano usciti e uscivano insieme. "con lo spagnolo, di grazia?"
Fece una smorfia. "Perché sì." Alzò le spalle. "Scopa bene, di che mi dovrei lamentare?"
"Giusto, capisco!" le diede corda Gwen, ripensando allo stato dei due quando li aveva trovati e anche a quello della casa di Heather.
A volte pensava che alla ragazza non servisse altro. Che non cercasse il "vero amore", nella vita. Anzi, che non sapesse nemmeno cosa volesse dire. O se lo sapeva, aveva una visione diversa dalla sua, molto diversa!
Arrossì e sorrise spontaneamente ed involontariamente, pensando a Duncan: non sapeva ancora con certezza se fosse l'amore della sua vita, ma si era trovata bene, la sera prima. E anche la notte, doveva ammetterlo, non l'avrebbe scordata per tutti i giorni, le ore ed i minuti che ancora aveva da vivere. Si morse il labbro e si passò una mano sul collo.
"Darkettona!?" Ma fu richiamata da Heather un secondo dopo, per cui alzò subito lo sguardo su di lei e smise di sognare ad occhi aperti. "Sì?"
"Ho chiacchierato io fin adesso." fece.
La prendeva in giro?
"Parliamo di te!" ghignò. "Di chi è quel collare?"
Ops!
Ecco, lo sapeva, si stava vendicando. Tipico di Heather, anche se prima o poi gliene avrebbe parlato ugualmente, scherzando un po', visto e considerato le battutine maliziose che certamente le sarebbero arrivate da parte della compagna.
"Questo …" fece, decidendo di essere sincera subito, non avendo voglia d'aggiungere acidità all'acidità. "Me l'ha … regalato Duncan!" E sorrise, pronunciando il suo nome.
"Ah, capisco!" fece la finta tonta l'amica-nemica, prolungando l'esclamazione e storcendo la bocca, quasi fingesse di pensare. "E quando, esattamente, mia cara?" Mise molta enfasi canzonatoria, nelle ultime due parole.
S'attorcigliò una ciocca di capelli sul dito, Gwen, guardando in basso. Che si prendessero un po' in giro, per smorzare la tensione che ancora aleggiava per l'argomento da poco terminato. "Sta mattina." esalò rapida e a bassa voce.
"Potresti ripetere? Credo di non aver capito bene!" domandò invece l'altra, tendendo l'orecchio verso di lei, con la mano a fargli da padiglione.
"Allora vai da un otorino!" si concesse Gwen, per poi ridire: "Sta. Mattina. Ti è chiaro, ora, Wilson?"
"Sì." rispose questa, del tutto calma. "Ma allora non sono la sola ad avere le mie 'avventure notturne'!" sghignazzò.
"Avventura notturna, un paio di balle!" replicò quasi seria la dark, ridendo anche un po'. "Io e lui ci conosciamo da una vita, lo sai! E ti do un'informazione: accadono anche tra fidanzati, queste cose!"
Le rivolse un'altra smorfia, per poi indirizzare lo sguardo per un attimo da un'altra parte. Poi, però, sopraffatta dalla curiosità, si mise per terra, di fronte a lei, a pancia in giù e tenne su il mento con le mani, i gomiti puntati a terra.
"E allora, tutto qua, non mi racconti nulla?" la prese in giro, facendola voltare sulla schiena, gli occhi falsamente scocciati.
"Tu mi hai mai raccontato nulla?" replicò Gwen, con uno sbuffo.
"Ti racconto sempre tutto!" fece l'asiatica, contrariata, scattando in piedi e mettendosi le mani sui fianchi. La guardò negli occhi, dall'alto.
"Uh! Sua Maestà si è arrabbiata!" l'ignorò la sua ospite, ripensando a quella notte e sorridendo.
Heather lo notò. "Ah-ah! Direi che Nelson ci sa fare alla grande!" commentò, con il suo solito tono.
"Scusa?" si riscosse l'amica-nemica, girando su sé stessa e seguendola con gli occhi, mentre riprendeva posto sulla sua amata altalena, incrociando le braccia.
"Con la testa sei ancora a letto con lui, Smith!" chiarì allora il suo punto di vista l'asiatica.
Le fece una linguaccia. "Almeno lui è gentile e non mette a soqquadro casa, solo perché vuole scoparmi al più presto!"
"Nelson è gentile?!" ignorò l'allusione Heather. "Mi è nuova!"
"Allora di lui non sai niente: ha cucinato tutto lui per me, ieri sera. Ha servito in tavola. Mi ha fatto trovare la casa piena di petali di rosa e candele profumate. Ha scelto un vino ottimo e tutto era perfettamente in tema e poi …"
Si fermò un secondo: aveva proprio voglia di sfogarsi, a quanto pareva. Aveva buttato tutto fuori senza che Heather lo chiedesse e lei se n'era stata zitta, seduta nella sua solita posa. Certo, si era divertita e s'era goduta lo spettacolo, ma d'altro canto, era certa d'averla anche stupita.
"E poi?" l'invogliò proprio lei, curiosa ormai di sapere la fine del racconto.
"E poi," concesse a quel punto Gwen. "ha saputo essere dolce. E anche divertente, sotto un certo punto di vista." Si concesse un sorrisino, ripensando agli scherzi di poche ore prima, tra le lenzuola, ancora svestiti. Si passò una mano tra i capelli e concluse: "Sono stata bene!"
"Ferma, frena!" l'interruppe allora Heather, portandosi le mani avanti e scuotendole.
Quasi si sentiva gelosa della luce che aveva negli occhi mentre parlava. Lei non avrebbe potuto dire quelle cose. Con Alejandro non era "stata bene", c'era semplicemente stata. E basta. Doveva esserci qualcosa che fosse andato storto anche alla compagna! Si parlava di Duncan!
"Mi stai dicendo, che la Darkettona e il Punkettaro sono stati insieme nella dolcezza e nell'amore totale?" Fece una faccetta da bambina, portando le mani al petto ed allargando gli occhi grigi, rivolti al cielo. "Senza l'ombra di battutine, prese in giro e malizia? Dai, non ci credo!"
Sapeva perfettamente che per l'amica-nemica, questi erano dei veri e propri nei, nel caso ci fossero stati in un appuntamento. Lo nascondeva, ma aveva il suo pudore.
"Bé, no. Non proprio!" alzò le spalle lei, seria. "Quando è venuto ad aprirmi aveva la camicia slacciata e la zip dei pantaloni abbassata, l'ho preso un po' in giro. Ed è ovvio che s'è concesso un po' di malizia, anche se la colpa è stata inconsciamente mia." ammise la ragazza, posata come mai. "Ma si è fatto perdonare!" Annuì convinta: si era scusato, doveva concedergli che era stato davvero molto dolce con lei!
"Sì, immagino!" rispose la padrona di casa, falsamente riflessiva.
"Dico davvero, Heather! Credimi, rispetto al tuo bello, ha idee molto più … accettabili. Ma questa è la mia opinione!" Alzò le mani, prima che potesse ribattere.
"E sarebbero, queste idee?" non le diede soddisfazione l'altra, ormai completamente ripresa.
Sbuffò, Gwen. "Piantala, questo, proprio non ti riguarda!"
"Doccia insieme?" alzò un sopraciglio l'amica-nemica, continuando ad ignorarla.
Abbozzò un sorrisetto. "Voleva!" ammise. "Ma gli ho detto di no!"
"Per colpa mia?" s'indicò con un dito, subdolamente dispiaciuta.
"Oh, no!" mentì sfacciatamente la dark, arricciando il naso e flettendo una mano. "Avevo solo un impegno con una ragazza che detesto e che non abita esattamente vicino a casa sua, ma non parlo di te, né!"
"Se solo avessi saputo non vi avrei interrotti di certo, potevi dirmelo che uscivi con lui!" la rimproverò Heather, agitando un dito. Poi parve pensare a qualcosa. "Hai detto che è stato … divertente?!" Dall'espressione, si comprendeva che non capiva.
"Sì, è stata colpa della sua sveglia!" rise l'altra, ricordando l'episodio.
"Aveva postato persino la sveglia? Ma che razza di ragazzo è?"
"Effettivamente, questo me lo sono domandata anch'io! Comunque, mi disturbava e parecchio, coi suoi discorsi sui cittadini e la vita eccetera, così gliel'ho rotta, non riuscendo a spegnerla. Lui si è svegliato e se l'è presa con me, facendomi il solletico." raccontò la ragazza. Si puntò un dito al petto. "Ho dovuto implorare pietà e perdono! Ma gliel'ho fatta pagare!" sorrise infine.
"E' questo il vostro risveglio? Siete due sdolcinati!" la beffeggiò. Poi ci ripensò: "Come gliel'hai fatta pagare?"
"Sì, non l'ho fatto entrare con me sotto la doccia. E!" Alzò un dito, bloccandola. "Gli ho fatto implorare pietà e perdono per avermi 'torturata'! Inoltre, una volta lavata, mi sono andata a sedere sulle sue ginocchia e mi son vestita davanti a lui!"
"Mica male, Smith!"
"Era bordò! Ed è stato quando sono stata in procinto di andarmene che mi ha regalato il collare!" fece Gwen, sempre più divertita e sfiorandosi la gola.
Non poté fare a meno di sorridere amaramente, Heather. Le indicò la parete. "Vuoi metterlo là?"
"Da una parte, mi piacerebbe. Ma dall'altra, non ci riesco: è un bel ricordo. Non voglio togliermelo!" confessò, sfiorandolo e sorridendo. "Comunque, non voleva lasciarmi andare! Voleva accompagnarmi!" continuò, vedendola malinconica.
"Sa che sei qui?" domandò la padrona di casa. Non che avesse nulla in contrario, ma il mondo sapeva che si detestassero, non che fossero quasi amiche. Capiva, comunque, che con i fidanzati, si poteva fare un'eccezione.
"No che non lo sa!" scosse la testa la dark, come se fosse ovvio. "Gli ho detto solo che avevo un impegno."
In quell'istante, trillò il suo cellulare, che mostrò sul display proprio il nome del suo caro fidanzato. Lo mostrò scherzosa all'amica-nemica. "Oh, forse potrei dirglielo ora!" esclamò.
"Come ti pare." rispose quella, indifferente. "Ma se proprio vuoi, puoi invitarlo a passare una serata con noi, Scott e Ale."
"Era una cosa premeditata?"
"Già! Digli che è così, tanto per divertirsi un po'. Ma di certo non dovrai insistere molto, a quello il divertimento piace. Se poi gli dici che si guarda un horror, il gioco è fatto!" Le strizzò un occhio.
"Tranquilla, ci penso io!" la zittì.
"Avete i vostri metodi persuasivi per convincervi a vicenda?" la prese ancora in giro Heather.
L'altra fece per ribattere, ma lo squillo costante del telefonino (che le ricordava la sveglia di Duncan, in quanto a romperle le scatole), le fece cambiare idea: non aveva voglia di ricomprarsi un cellulare per via di una frecciatina che le aveva fatto la Wilson! Già, era sicura di dovere un certo aggeggio a Duncan.
"Pronto?"
"Ciao piccola!" rispose lui dall'altra parte. "Sei a casa?"
"No. Perché, mi vorresti raggiungere?" rispose Gwen, facendo l'occhiolino alla compagna.
"Eh, magari!" sussurrò Duncan. "Hai la decenza di dirmi dove ti trovi oppure devo ricordarti cos'è successo alla mia sveglia?"
"Anche se mi raggiungessi, non potresti dar sfogo ai tuoi istinti, tesoro!" rise la dark, rotolando a pancia in su. "Sono a casa di Heather."
"Ah! Salutamela. Si fa per dire, ovvio!"
"Ovvio! Comunque, se ti va una serata con noi, Ale e Scott, inizia a raggiungerci." Si morse il labbro e s'arrotolò una ciocca di capelli col dito.
"Idea sua?"
"Eh già!"
"E che ci sarebbe in programma?"
"Un horror."
"Uh, capisco! Perfetto! Porto la birra?"
La ragazza tappò il ricevitore con una mano e guardò la compagna. "Porta la birra?"
"Digli che vanno bene i popcorn, sono l'unica cosa che non ho in casa!" rispose Heather.
"No, i popcorn, dice lei!"
"Va bene, d'accordo. Senti, le chiedi anche se c'è una stanza degli ospiti? Sai, nel caso …?" mormorò con tono suadente e divertito.
"Sei un cretino!" gli rispose la sua fidanzata, arrossendo e facendo così aggrottare le sopraciglia alla padrona di casa, che non sapeva e neppure immaginava l'argomento di conversazione.
"E' solo la tua voce che dice così!"
"A dopo, Duncan!" cantilenò, per poi riattaccargli in faccia.
Il ragazzo, da parte sua, squadrò il cellulare, per poi uscire dal bar dov'era andato a far colazione, mormorando: "Scusa piccola! Ma mi devi ancora una sveglia!"
La ragazza, invece, si voltò per l'ennesima volta, così da guardare l'asiatica in viso.
"Si può sapere che ti ha detto?" domandò questa, sempre con un'espressione corrucciata.
Gwen sorrise falsamente. "Ha detto che porterà i popcorn."
"E poi?" chiese l'amica-nemica, sempre curiosa, accompagnandosi con il gesto di far avanzare la mano dinnanzi a sé, come una ruota in un percorso immaginario.
In un primo momento, pensò di dirle che erano cose tra loro due, ma poi fece semplicemente: "Mi ha ricordato quanto sono sexy!"
"Tipico di Nelson!" commentò Heather, nascondendo abilmente l'invidia per l'intesta tra i due.
"Sì, è vero. Ma a me non spiace, infondo!"
"Lo sa?" l'interrogò dubbiosa.
Rise. "Certo che no!"



WRITTEN  BY  Angelo Nero
 

 

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Capitolo 3
*** Capitolo 3 ***


Capitolo 3 - AGAPE  

COLLABORAZIONE CON ANGELO NERO

 

Heather aveva ordinato alla dark di stare ferma, mentre sgattaiolava fuori la veranda. Gwen sentì sbattere parecchie porte, poi armadi e infine dei cassetti, che stavano subendo in silenzio (come se un oggetto potesse parlare, a parte l’adorabile sveglia del fidanzato) i modi poco eleganti dell’asiatica, che poco dopo rientrò con un enorme beauty case. Lo alzò dal manico verso il viso, indicandolo soddisfatta –Con questo, darkettona, se ci riesci ti farai bella-

Detto questo la costrinse a sedersi per terra, rovesciando l’interno della cassetta sul tappeto, sul quale si sparsero subito ogni forma di oggetto femminile che la quinta essenza della seduzione –cioè Heather- potesse possedere. Diversi rossetti di varie tonalità rotolarono sulle assi di legno, mentre i mascara si ammassavano vicino gli ombretti e i lucidi per le labbra e il viso si andavano a “nascondere” sotto i mobiletti. Heather sorrise vittoriosa non appena arraffò l’ultimo dei suoi trucchi che era sfuggito dal suo controllo e, con estrema pazienza li dispose uno per uno in fila indiana, con un orgoglio che a Gwen sembrò altamente esilarante

-Che c’è?- chiese irritata la mora –Guarda che questi sono figli miei! Eh!- si mise le mani sui fianchi snelli, osservando la goffaggine dell’amica-nemica nel maneggiare le boccettine di trucco. Alla fine, disperata e irritata dalla situazione, Gwen gettò via un ombretto nero che stava provando a spalmarsi senza specchio, provata soprattutto dalle risate della padrona di casa, che si stava spanciando alla sua non voluta ironia. Si asciugò con l’indice una lacrima formatasi all’angolo degli occhioni grigi, per poi sospirare e prenderla in giro. Ancora

-Non mi dire che quel bel faccino non ha mai provato il brio di un po’di trucco?- ridacchiò, facendo infuriare l’altra –Sì, l’ha visto, ma non mi piace il trucco! Duncan mi ha detto che sono bellissima al naturale!-

Mossa sbagliata.

Heather a quelle parole scoppiò letteralmente, camminando all’indietro e accasciandosi sull’amata altalena, tenendosi i fianchi per il dolore causato dalle risate –Pff… oh, sì che ti piace. Ti piace tanto il trucco. Il punto è che non sei capace di mettertelo decentemente- sentenziò, squadrandola superiore e sogghignando al fatto che si fosse letteralmente inviperita ai suoi insulti velati.

Gwen incrociò le esili braccia, mettendo il broncio e battendo con la punta della scarpa sul pavimento. Osservò Heather intenta a dividere secondo una logica che non comprendeva tutti i trucchi sparsi sul tappeto. Le si accucciò al fianco, guardando oltre il suo corpo e poggiando il mento sulla spalla –Che diavolo fai?- chiese sempre più stranita, guardandola con attenzione adesso, mentre predisponeva le boccette alla destra e alla sinistra del tavolino –Divido i trucchi più scuri da quelli chiari- disse fermandosi ed indicando, come se fosse ovvio, all’amica-nemica –Questi neri, argentati, blu e viola sono per te. Anche quelli verde metallizzato, se ci siamo-, continuò parlando come un’estetista, lavoro che era sempre stato stimato dalla ragazza, ma che a causa dei suoi “alti livelli” non avrebbe mai potuto intraprendere, almeno secondo i genitori asfissianti, che l’avevano mandata nello stesso liceo di Gwen, che aveva condiviso con lei persino le scuole medie. Comunque, Heather adorava tutto ciò che trattava di estetica, e più ne poteva avere a che fare e più si sentiva soddisfatta e felice –Questi invece sono per me: rosso sulle labbra e oro sugli occhi… poi un po’di mascara e del fard, no? Non hanno mai ucciso nessuno-

Mise i trucchi alla luce, per controllarne i colori, la consistenza e la data di scadenza, cosa che faceva abitualmente, anche se sapeva benissimo che quel prodotto sarebbe durato per interi anni. Gwen ormai l’aveva persa, certo. Non è che la sua amica fosse frivola, il fatto era che amava letteralmente tutto quello e, anche se con la dark non c’era dialogo, era più forte di lei mettere in mostra il suo amato beauty case.

Mentre Heather era concentrata sulla sua esposizione, Gwen si alzò stufa, dirigendosi in cucina. Questa volta non voleva un tè, ma un bel caffè per tenersi in vita fino a quando la lenta e complicata preparazione della ragazza non fosse finita. Mise la macchinetta sul fuoco dopo aver premuto con un cucchiaino sui chicchi bruni macinati. Accese la fiamma, prendendo senza chiedere una sigaretta dal pacchetto di Heather, lasciato incustodito sul tavolo. Non era una grande fumatrice, anzi non amava per nulla aspirare nicotina, ma aveva bisogno di farlo quando si sentiva nervosa, per distendere i nervi e rilassarsi, lasciando che le sensazioni cattive le scivolassero dal corpo e dai pensieri.

Insomma, era una sensazione magnifica, anche se non aveva motivazione di farlo, adesso. Oppure sì? Forse non se ne rendeva conto, ma nel profondo era davvero tesa. Non sapeva bene il perché, ma avvertiva i muscoli delle gambe e delle braccia tirare forte e il bacino contratto in fitte fastidiose.

Risultato? Bruciò il caffè.

L’amica-nemica arrivò attirata dall’odore e inviperita, cominciò a richiamare l’attenzione della gotica, che era ancora presa a battere con il cucchiaino nella tazzina di ceramica vuota. La schiuma della bevanda era colata sul pavimento, ma tanto, con tutto quel casino Heather era davvero costretta a rimettere a posto. La bella si mise difronte la gotica, scuotendole una mano difronte gli occhi –Oh, ma ti sei rimbecillita? L’ho detto io che il tè ti fa male!- ma nulla, quella non rispondeva. Allora Heather rassegnata prese le due presine e levò la macchinetta fumante dal fuoco, spegnendolo e prendendo uno straccio, per poi chinarsi ed asciugare il pavimento non più immacolato. Quando ebbe finito gettò la pezza nel lavello, così come l’attrezzo da cucina (tra l’altro ancora pieno di chicchi bruciati… Heather Wilson non sapeva fare i servizi) e schiaffeggiò la ragazza, che si riprese e la fissò torva

-Ma si può sapere che vuoi? Stavo facendo il caffè!- urlò, massaggiandosi la guancia arrossata e girandosi per notare poi nel lavello il disastro al quale aveva contribuito anche l’asiatica –Ma sì, diamo fuoco alla casa, che vuoi che sia!?- la riprese l’altra, mettendosi nella sua posa io-posso-sotterrarti, con tanto di mani sui fianchi e labbro superiore alzato. Okay, forse Gwen doveva ammettere che stava leggermente esagerando con la sua sbadataggine –Va bene, scusa hai ragione- concesse svitando la macchinetta e pulendola –E certo che ho ragione!- poi la notò indaffarata a pulire –Ecco brava, dammi una mano che devo rimettere a posto tutta la casa- a quelle parole Gwen spalancò gli occhi, sapendo benissimo che la casa dell’amica-nemica era grande ben due piani –Stai scherzando, vero?- l’altra scosse il capo, levandole la pezza dalle mani e portandola a fare un giro della casa

-Io e Alejandro ci siamo divertiti, sta notte- sussurrò rossa, spalancando la porta della camera da letto, di sicuro messa peggio di tutte –Eh già… vedo che vi siete dati da fare!- esclamò divertita e allo stesso tempo shockata la gotica, sollevando con la punta delle dita una mutanda decisamente piccola, anzi no… era solo l’elastico! O almeno così credeva. Doveva ammettere che, Heather aveva una grande conoscenza dell’ambito erotico, anzi, tutte le curiosità sul sesso gliele aveva chiarite lei, prima di fare la prima volta l’amore con Duncan. Il punto era che l’asiatica si dimostrava alquanto perversa nei suoi giochetti con lo spagnolo… cose che Gwen non voleva e soprattutto non poteva sapere –Ehm… questa ma la devi spiegare, però- fece cadere la mini-mutandina, prendendo ora delle manette di metallo agganciate alla ringhiera di ferro battuto del letto. La gotica strabuzzò gli occhi, senza parole nel vedere l’altra scrollare le spalle –Che c’è? Mai fatto cose del genere con il tuo punkettaro?- Gwen sollevò un sopracciglio, guardandola leggermente schifata –No! E se solo ci provasse, lo manderei fuori casa mia a calci in culo!- scoppiò strabiliata alla naturalezza dell’altra, che ghignò sotto i baffi, prendendo e chiavi delle manette da un cassetto del comò e aprendole con un “click”. Poi le gettò falsamente sprezzante sul letto macchiato, facendo una smorfia –Oh, sì, che schifo!- urlò con una voce stridula, per poi sollevare le coperte e appallottolarle –Mi aiuti a metterle in lavatrice?- la gotica fece una smorfia –Ma sono sporche!- Heather alzò un sopracciglio –A volte dubito che tu sia andata a letto con Duncan, sicuri che non avete solo limonato tutta la sera? E che te, ingenua come sei, l’hai scambiato per sesso?-

Gwen fu davvero colpita dalle parole dell’amica-nemica… davvero la credeva così noiosa? Prese con una smorfia le altre lenzuola, macchiate ancora di più –Sì, certo, me lo sono sognato… il punto è che la fa lui la lavatrice, a me imbarazza- confessò una volta arrivati nel bagno e aver messo tutto in lavatrice. Heather decise di lasciarla perdere e in silenzio rimisero a posto tutta la casa.

Oddio, rimettere a posto, che parolone!

Gwen si limitò a fissare gli “strumenti” sparsi per la casa, evitando di chiedere chiarimenti alla bella asiatica e prendendoli a calci, chiudendoli nello stanzino del piano superiore.

Similmente si comportò l’altra, che aveva un altro stanzino nella veranda, solo che apprezzava tutto ciò che trovava.

Quando finirono, Gwen si presentò esausta, con il sudore che le gocciolava sulla fronte, mentre Heather era perfetta… come al solito –Che nervi…- mormorò la dark, senza farsi sentire da lei, per poi porgerle uno scatolino –L’ho trovato sotto il letto, te l’ha dato lui?- chiese alludendo ad Alejandro ed osservando l’enorme anello di diamanti che si trovava dentro, dando una gomitata al fianco dell’amica-nemica, che lo gettò non curante nello stanzino strapieno –Bello eh? Quando lo raccatto mi sa che lo indosserò per qualche evento importante, ma ne ho così tanti che ho perso il conto- poi mostrò le dita di una mano a Gwen, alzandole ogni volta che pronunciava un nome –Ne ho identici,  tre. Me l’hanno regalati in tanti: Marcus, quell’idiota inglese, te lo ricordi?- l’altra annuì, perplessa –Logan, un altro fichetto che veniva dalle Hawaii… ah, sì! Poi c’è stato quello là, com’è che si chiamava? Ci sono andata a letto tre mesi fa e mi ha regalato la stessa cosa! Mh… Fred! Ecco, sì, Fred-

La gotica alzò un sopracciglio, sedendosi ed ascoltando la ragazza blaterale –E mi hanno regalato tutti la stessa cosa, poi ci sono stati i più erotici. Micol mi ha offerto un tanga leopardato, Louis un cacchio di frustino che gliel’ho avvolto attorno alla gola e l’ho mandato via. Era un idiota, te l’ho mai detto?- di nuovo la vide annuire, accondiscendente. No che non glielo aveva mai detto! Ma con quanti ragazzi se l’era fatta quella sua amica? –Poi ci sono stati  più romantici, con rose su rose… ti ho parlato di Jim e Leo?- continuò ad elencare nomi, su nomi, mentre stendeva il trucco sul volto pallido dell’amica-nemica, che si era infilata le cuffie del fidato MP3 che portava sempre in una tasca dei suoi pantaloni per non ascoltarla. Quando passò al lucidalabbra rosso, fu costretta a fermare la musica per dirle di metterle quello blu. Poi notò che le sue labbra avevano smesso di muoversi, procedendo il lavoro in silenzio. Per fortuna. Gwen sapeva bene che quell’improvviso mutismo della ragazza era dovuto a pensieri oscuri e quindi la incitò, sorridendo maliziosa –Però nessuno ti ha mai regalato una cordicina, eh?- Heather sussultò, sporcando la guancia nivea della sua “modella serale” con il trucco, poi ringhiò, prendendo un batuffolo d’ovatta bagnata e pulendola. Si erano di nuovo sistemati nella veranda, sul tappeto. L’asiatica storse la bocca, aggiustando finalmente l’”opera” e guardandola soddisfatta –No, nessuno. Ma una cosa vale l’altra- rispose con non curanza, prendendo lo specchio per poi farsi anche lei bella, anche se a parer suo non ce ne era bisogno. Gwen ridacchiò, alzandosi sulle punte e staccando la corda dal loro muro speciale e fu contenta nel vedere che Heather protestò come una pazza, insultandola pesantemente e blaterando qualcosa sul fatto che quella era casa sua e non doveva toccare le cose lussuose. Peccato che, la contraddisse Gwen, quella cosa non aveva alcun lusso. Era semplicemente corda, punto. Forse anche un laccio di scarpe, molto probabilmente –Allora, adesso mi dici chi è il fantastico lui che ha rubato il tuo cuore rinsecchito?-

-Ma come siamo romantiche, Gwendoline!- disse, stendendosi l’ultimo tocco di matita sugli occhi e voltandosi, per poi sfilare affascinante difronte la ragazza, che certamente-così pensava- non avrebbe mai potuto neanche sfiorare i suoi standard

-Che mi metto?-

–Oh, andiamo! Non cambiare discorso!-

-Gwen!- l’ammonì infastidita –Heather!- fece l’altra, con più dolcezza –Sei davvero una rompi scatole, sapevi?-

-Ah, ne ho sentite di peggio!- prese le forbici nel cassetto delle loro cianfrusaglie e, con uno sguardo di sfida provò a tagliare la corda. Naturalmente l’asiatica la spinse via, schiaffeggiandola nuovamente e avvertendola –Giuro che se tocchi ancora la mia roba ti ammazzo!- Gwen rise, sta volta era lei a poter comandare i giochi –Avevi detto che non ti importava, cosa c’è?- le sventolò l’oggetto difronte i suoi occhi infuriati –Dai… ammettilo!- a questo punto l’asiatica le prese il polso, stritolandolo in una morsa micidiale e facendo sì che mollasse la presa. Assottigliò gli occhi, avvicinandosi al volto della gotica, ora un po’in soggezione mentre si grattava il braccio sinistro –Te lo ripeterò solo un’alta volta, Smith. Osa toccare di nuovo questa cosa e ti ammazzo- l’altra ingoiò, ridendo istericamente e lasciando che Heather disponesse l’oggetto al suo posto, dove l’aveva trovato –Ecco, brava-

Poi riprese il suo discorso

-Non mi va di uscire oggi, né con te né da sola. Quindi indossi quello che c’è nel mio armadio, ti dovrà piacere qualcosa!-

-Okay, strano perché di solito vai a fare shopping-

-Oggi non mi va-

-Bene, ci vado io, prendo un po’d’aria, anche se odio farlo!-

-NO! Cioè.. no, hai tutto quello che ti serve… n-non andare…-

Il culmine, Heather Wilson che le chiedeva di restare insieme a lei? Con uno sguardo da cucciola indifesa che avrebbe mosso a commozione una delle più ferree e crudeli anime dell’inferno? Ah, non se la poteva perdere. Si accucciò sull’altalena, a fianco della ragazza, appoggiandole la testa sulla spalla e fissando un albero.

Se lo ricordava ancora, quando avevano cinque anni e si erano prodigate per scendere nel giardino e seppellire un seme nel terreno. Adesso quel seme era un bellissimo alberello, che con le sue fronde spiccava alto, facendo brillare loro gli occhi per i ricordi passati. Gwen si lasciò andare, chiudendo leggermente gli occhi, mentre Heather restava sveglia, immobile, a fissare ogni singola foglia che pendeva dai rami del loro albero, che per metà entrava in casa sua. Sbuffò, poco dopo, ritrovandosi con gli occhi pieni di lacrime, lasciandosi prendere da una leggera nostalgia che mai mancava in quella casa intrisa di ricordi

-Sei dolce- sussurrò la dark, staccandosi da lei e guardandola negli occhi grigi, che ora avevano sostituito un’emozione con un’altra, con troppa fretta –Dì un’altra volta una cosa del genere e ti picchio, di nuovo- sorrisero in sincronia, lasciandosi trasportare da quell’odore fantastico… quell’odore di mughetto, limoni e muschio.

Come potevano avere tanti ricordi in quella casa? Come potevano amarla così tanto, ritrovandoci loro stesse? Innaturale e sì, doveva ammetterlo, Heather, anche dolce.

 

°*°*°*°

-Donne, buona sera!-

Heather era peggio di un cane rabbioso dopo aver aperto la porta e aver trovato, appoggiato allo stipite di essa, Scott, che si passava una mano nei capelli con estrema non calanche. Aveva un braccio appoggiato al muro, mentre il piede batteva sulle mattonelle asettiche del palazzo. Era davvero scioltissimo, anche sotto gli sguardi assassini dell’asiatica, che aveva ancora il seno coperto solo dal reggiseno, visto che non aveva avuto tempo di infilarsi quello stramaledettissimo top che aveva conservato nel suo armadio… troppi laccetti, diavolo! Scott non aspettò l’invito della ragazza per entrare e quando mise piede nel corridoio notò Gwen, ancora mezza nuda, fissare un abitino celeste, che se anche l’avesse indossato, non avrebbe coperto un gran che.

Era chiaro che fosse arrivato in anticipo, ma quando glielo fece presente la mora, lui controbatté, spiegando che la sua moto era troppo veloce e che non era evidentemente colpa sua. Cazzate. Lo aveva fatto a posta! Fare piccole sorprese ad Heather non aveva prezzo, e così, con calma si era preparato verso le sette, prendendo la moto e percorrendo la lunghissima strada che lo separava dalla sua fattoria in campagna spersa chissà dove ed era arrivato lì, alle otto e mezza… un’ora prima! Quando era conosciuto proprio per i suoi ritardi!

Quando la dark lo notò, gli saltò letteralmente addosso, dimenticandosi per pochi secondi di essere quella apatica e asociale di tutta la situazione. D’accordo, non faceva parte del suo carattere quella dolcezza, ma comunque Scott riusciva a strappargliela quasi dal corpo… e poi con una facilità immane!

Sfiorò il petto del ragazzo con il seno, baciandolo sulla guancia per poi incrociare le gambe dietro la sua schiena –Da quanto che non ti vedo, mi sei mancato un casino!- Scott rise puramente, scompigliandole i capelli.

Certo, al contatto di una bella ragazza i suoi sensi si risvegliavano sempre, ma con Gwen era di verso. A parte che si conoscevano prima che arrivasse Heather e poi, chiaramente, era la fidanzata del suo migliore amico… era praticamente asessuata, lei!

-Gwen!- la riprese Heather, al culmine dell’acidità –Oh, che vuoi strega?- si lamentò l’altra con un tono infantile, cosa che diventava al minimo contatto del suo “fratellone maggiore” –Mi è mancato! Non posso?-

-Sei mezza nuda!- urlò, ringhiando di nuovo e raschiando la gola. Era troppo, non doveva permettersi di fare la ninfomane con Scott. Anche se poco aveva capito che le intenzioni dei due erano completamente ingenue.

Eppure sapeva benissimo che quei due facevano persino il bagno insieme quando erano piccoli, non potevano vergognarsi, si volevano bene. E se glielo avrebbero proposto lo avrebbero fatto, ancora! Quando si frequentavano usciva la parte più bambina di loro, quella parte che si risveglia sempre a vecchi ricordi e che nessuno può mai perdere.

Scott le diede un pugno giocoso sul braccio, mordendosi la lingua e dirigendosi in bagno –Devo fare pipì!- disse dopo che Heather lo aveva bloccato, scuotendogli l’indice difronte gli occhi ceruli e facendolo smettere di protestare

-Io mi devo finire di preparare!- chiarì, spingendolo via e rendendosi cosciente della forza del ragazzo –E che importa? Non sarà mica che vedi per la prima volta un uomo nudo?-

-E chi ti dice che non è così?- domandò furiosa l’altra, mordendosi un labbro quando lui le accarezzò i capelli neri, ghignando sornione –Ale parla, le notizie girano, tesoro! Vorrei provare quelle manette, sai?- poi le soffiò in un orecchio, facendola scalpitare innervosita. Quando distolse lo sguardo dalla porta che aveva ricevuto in faccia (tra l’altro la porta del SUO bagno, e non di quell’idiota che ci si era chiuso dentro) notò Gwen finalmente vestita e, doveva ammettere, anche parecchio sexy?

Ma infondo alla dark non importava, voleva passare quella serata a divertirsi e basta, nulla di che. L’enorme casa di Heather era un posto speciale e magari sarebbero anche potuti andare in discoteca! Sì, con tutte quelle fantastiche luci e quella musica pompante… no, ora che ci pensava meglio era preferibile restare lì, calmi e sereni, visto che detestava l’ambiente delle discoteche! Sapeva bene che non riusciva ad astenersi dall’alcool e conosceva altrettanto bene il fatto che non lo reggesse per nulla.

Quando Scott uscì dal bagno, Heather armeggiava ancora con il suo top, infuriandosi secondo dopo secondo di più.

Il rosso le si avvicinò, baciandole il collo e sbuffando in seguito. Anche se ci si metteva di impegno, non ce la sapeva fare per niente con le donne. Le labbra del lentigginoso proseguirono in una lieve scia e Heather lasciò cadere il top, ritrovandosi con il busto mezzo nudo e a gustarsi la saliva di lui depositarsi sulla pelle liscia e curata. Sentì la lingua di Scott carezzarle la nuca e le mani più grandi dei suoi fianchi posarcisi sopra e scivolare piano, come per accarezzarla. Le fissò la schiena nuda, solleticandola con l’indice e poi l’abbracciò da dietro.

Gwen era restata a vedere, silenziosa e aveva notato che a quell’abbraccio l’amica-nemica aveva letteralmente chiuso gli occhi e si era lasciata trasportare dalla dolcezza del breve momento. Strano, perché lei detestava quelle cose smielate! Scott prese il top steso per terra, gettandolo via. Si diresse in camera sua, mentre la mora guardava l’altra, che le rivolgeva sguardi accusatori e indagatori. Quando tornò aveva una semplice maglia con una stampa e, facendole alzare le braccia gliela infilò, anche se così le forme del suo corpo non apparivano per nulla

-Mi piaci molto di più quando sei semplice-

Allora lì la dark capì a chi apparteneva quel semplice e sporco laccio di scarpe.

 

Writen by _stella_2000

Angolo Me!

Ebbene stellina è tornata con il terzo capitolo :3  Ragazzi, vi avverto solo di una cosa... che mi sto divertendo per il finale della mia coppia (Scott&Heather)! Io... sto vagando con la mia ADORABILE fantasia. E quando dico che mi sto divertendo, cuol dire che ci saranno grandi cose! Perché sappiamo tutti che quando mi svago accadono catastrofi naturali! Mentre la DxG appartiene ad Angelo (con la quale sto pianificando una conquista del mondo, povere anime, site nei miei poteri) Non fateci caso... ma bando le ciance! Vi rinrazio per seguirci e scusate se nel primo capitolo vi sono sembrata scortese, vi amo tutti :)  (oh, certo) No, dai, vi adoro!  Al prossimo capitolo! BYE!!!!!

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Capitolo 4
*** Capitolo 4 ***


AGAPE


Capitolo 4



COLLABORAZIONE CON Stella_2000

 
Heather lo guardò negli occhi, mordendosi il labbro.
Era cosciente che se l'avesse fatto, se ne sarebbe pentita. Sì, perché Gwen avrebbe saputo. Perché avrebbe saputo Scott. Avrebbe potuto rovinarsi. Inoltre, non se ne capacitava. Lei lo amava! Eppure, per una vita aveva creduto che l'amore non fosse altro che sesso!
Questo perché nessuno glielo aveva mai dimostrato in modo diverso. E quindi neanche lei lo sapeva fare né sapeva vedere quando "l'amore" scendeva su quella casa. Il VERO amore, quello per cui daresti la vita. Quello di cui parlava  la dark, raccontandole di Duncan. Quello che la sua amica le dimostrava ogni volta che si lasciava scappare quel "Sei dolce!".
Ma non l'aveva mai visto. E quindi non capiva. Perché non i suoi genitori, né chiunque altro l'avesse conosciuta le aveva mai insegnato cosa fosse.
Conosceva l'Eros. Ma l'Eros e basta, gli altri tipi di amore le erano sconosciuti.
Si trovava di fronte a Scott, che le diceva quelle cose, che la baciava sulla schiena e la carezzava come nessuno aveva mai fatto, nessuno. Nessun uomo era mai stato con lei così. E lei non si era mai sentita così con nessun uomo. L'avevano toccata in tanti e le avevano fatto tanti regali, costosi, importanti. Dava valore ad un laccio di scarpa! Il SUO laccio di scarpa!
Senza che se ne rendesse conto, le loro labbra si toccavano con furia. Era pur sempre Heather Wilson, dopotutto! Ma si toccavano! Si stavano baciando! Sotto gli occhi sbarrati di Gwen. Con le reazioni terrificanti di un sorpresissimo Scott. E si baciavano, si baciavano, si baciavano con sempre più foga. Danzavano le lingue.
Le mani indagavano. Quelle del rosso, in particolare, avevano avuto il coraggio d'infilarsi sotto la maglietta della ragazza, che lui stesso, tra l'altro, le aveva messo addosso!
Quando si staccarono, sul volto del ragazzo comparve un ghigno, sotto cui l'asiatica tremò. Dentro di sé, ovviamente. E senza farsi vedere. Ma tremò. E ancora più scossa rimase quando sentì la sua voce all'orecchio domandare dove fosse una stanza. E nel sentir la sua voce rispondere. E le sue gambe muoversi, seguirlo, le dita di una mano intrecciate.
"No! Non davanti a me, vi prego!" stava nel frattempo implorando una povera Gwen che, per tutto quel tempo, era rimasta ad osservare la scena. Non aveva detto una parola, certo: come poteva?
Quella non era Heather Wilson e lei l'aveva visto. Heather Wilson non s'arrendeva in quel modo. Lei non prendeva l'iniziativa e se lo faceva, non chiudeva gli occhi e non tremava sotto carezze leggermente invadenti. Aveva già visto le mani di un ragazzo infilarsi sotto la sua maglietta, lo sapeva bene, Gwen: aveva trovato delle manette agganciate alla ringhiera del letto giusto quella mattina!
Era Scott a farle quell'effetto. La prova lampante che non le aveva mentito, che quelle mezze lacrime trattenute e poi uscite in urli erano vere! Che si era innamorata! Si. Era. Innamorata. Heather Wilson si era innamorata!
La Wilson non conosceva quel tipo di amore, ne era sicurissima. Stava con i ragazzi perché andassero a letto con lei, per l'unico tipo d'amore che conosceva. Non altro.
Eppure, ce l'aveva sotto gli occhi! Occhi che non smettevano di guardare, avrebbero voluto essere mille! Seguivano le mani di Scott e quelle dell' asiatica contemporaneamente. Ma anche gli occhi, che ogni tanto si permettevano di guardarsi, tempesta contro mare. Le labbra. E i corpi.
L'ospite era scioccata, continuava a scuotere la testa. Avrebbe dovuto far qualcosa? Il rosso faceva alla compagna lo stesso effetto della droga. Era la droga, a quanto pareva quella preferita della ragazza.
Avrebbe smesso se avesse voluto, evidentemente non voleva.
La dark strinse i pugni e si grattò il braccio nervosa. Chi era lei, per separare quei due? Quello che considerava suo fratello e la sua migliore amica (perché nonostante tutto, la Wilson lo era!)? E poi, due come loro non le avrebbero di certo dato retta. Men che meno mentre si baciavano tra loro, a quanto sembrava!
Ciononostante, le venne involontario un verso sorpreso quando il ragazzo sussurrò qualcosa che fece evidentemente scuotere ancora di più Heather. Quando sentì la sua risposta in un sussurro indefinito. Quando presero a salire le scale dinnanzi a lei, con lei mani intrecciate.
Non la guardarono nemmeno. Ciò non le impedì di vedere gli occhi di entrambi, il ghigno di Scott, che però aveva qualcosa di dolce, nel vedere la ragazza accanto a sé.
"No! Vi supplico! No!" aveva implorato nuovamente la dark, ricordando l'ora abbondante che c'aveva messo per ripulire la casa, insieme all'amica- nemica.
E intanto, quei due salivano le scale. Non poté fare a meno di seguirli, dopo un attimo. A debita distanza e fece solo alcuni gradini. Fu abbastanza, comunque, per sentire una porta sbattere.
Si mise le mani tra i capelli, correndo a guardare l'orologio: no, se avessero seminato zizzania non ci sarebbero riusciti a rimettere tutto a posto! Anche perché dovevano iniziare, fare e finire e né l'uno né l'altra erano definibili "brevi", assolutamente no!
"Oh dio!" Questo se lo lasciò sfuggire ad alta voce, non appena quei pensieri le si formarono in testa.
Così, non avendo nulla da fare e non essendo neanche psicologicamente capace di salire per "farli ragionare", si mise a camminare avanti ed indietro per il salotto, attorniata da uno strano silenzio: nessun rumore, niente di niente! Com'era possibile!? Conosceva quei due, li conosceva! Non riusciva a capacitarsi di quel silenzio ed iniziava a temere. Temere che quei due non fossero Scott e Heather!
In quell'assenza di suoni, quasi ringraziò quando Duncan la chiamò al cellulare, perché la vibrazione e la leggera suoneria che sprigionò, la fece sentire in compagnia. D'altro canto, tremò nel rispondere: quanto passava veloce il tempo? Tanto! Ed entro pochi minuti sarebbe stato lì! E lui, ancora ancora, ok. Ma come glielo spiegavi ad Ale?
"Pronto?" rispose quindi, con voce affranta.
Dall'altro lato, il ragazzo allontanò per un istante il cellulare da sé, alzando un sopraciglio e s'assicurò d'aver chiamato il numero giusto. "Gwen?" fece poi, con tono interrogativo, incredulo che la voce fosse quella della fidanzata.
"Sì, lo so, non dirmelo! Paio uno zombie! Ma che vuoi che ci faccia? Dovresti essere al mio posto, poi mi diresti! Ho appena assistito allo sbaciucchiamento e conseguente accampamento della mia migliore amica- nemica e di uno che considero un fratello. Ma tranquillo, sto bene!" Questo avrebbe voluto dire. Non lo fece e non si chiese nemmeno il perché. Forse perché amava quel giovane da morire!
"Sono io!" esclamò solo, continuando a fare avanti e indietro.
"Sto arrivando, amore!" le rispose il fidanzato.
La ragazza s'inchiodò dov'era. "Ok, perfetto!"
Proprio in quel momento, venne un rumore non esattamente a basso volume, dal piano di sopra, che fece sobbalzare sia Gwen che Duncan.
"Che succede? Sei stata tu, tesoro?" domandò quest'ultimo, allarmato dal rimbombo strano e anche un po' alterato dal microfono che gli era arrivato all'orecchio.
Peccato che la sua fidanzata non lo ascoltasse: con il telefonino in mano e il braccio lungo il fianco, l'altro ad aiutarla sul corrimano, saliva piano piano le scale, terrorizzata all'idea di ritrovarsi Scott davanti alla porta mezzo sfatto, anziché Alejandro, com'era accaduto giusto quella mattina. 
"Gwen? Gwen, mi senti?" La voce di Duncan le arrivava distrattamente. Sapeva che era là e che prima o poi avrebbe ben dovuto dirgli qualcosa. E già il fatto che lo sapesse, era un punto a suo favore.
Non seppe nemmeno lei con che coraggio mise una mano sulla porta della stanza che sapeva essere di Heather. Non tremava e nessun rumore molesto proveniva dall'interno. Né sentiva nulla per il corridoio. Lo percorse tutto in punta di piedi, accucciata. Poi tornò indietro.
Giurò a sé stessa che mai si era trovata in situazione più strana, specialmente a casa della Wilson!
"Gwen? Ci sei ancora? Per me è cauta la linea!" QUELLO, era un rumore molesto! Davvero aveva trovato fastidiosa la sua sveglia?
Si mise a scendere le scale, sempre un po' abbassata, quasi seduta sui gradini. Teneva le sbarre della ringhiera e quando finalmente si sedette alla base, al primo piano, decise di rispondere al ragazzo, con uno sbuffo.
"Che c'è?" fece, scocciata.
"Sei stata tu a fare quel rumore?" chiese nuovamente lui, passando sopra a tutti i suoi appelli senza risposta.
"Non … esattamente!" Decise che era il modo migliore di rispondergli.
"Ok!" fece lui, evidentemente confuso, prolungando la vocale. "Quindi è stata Heather?"
"Sì, sì esatto. Ha fatto cadere … una cosa …" s'inventò la giovane sul momento, annuendo e gesticolando per essere più credibile anche con sé stessa. Come se avesse potuto vederla o le avesse fatto avere un tono più convincente.
"Ehm … D'accordo!" rispose il punk, non tanto convinto. "Ora chiudo! Ciao!"
"No! Aspetta! Perché?" urlò la dark ad uno schermo che ormai mostrava la chiamata chiusa. Sbuffò.
E poi suonarono il campanello.
Restò ferma un secondo: ecco perché! Andò ad aprire il più lentamente ma anche naturalmente possibile, imprecando a denti stretti: "Sbrigati, Heather!" … Non seppe il perché del rivolgimento istintivo a lei e non a Scott. O a entrambi. Forse per abitudine …
Comunque, alla fine, aprì a Duncan, il quale aveva già la bocca aperta per salutarla di nuovo. Tuttavia, appena la vide, le braccia caddero lungo il corpo e gli occhi iniziarono a squadrarla.
"Dio, quanto sei sexy!" venne fuori dalle labbra del giovane, invece del saluto che aveva in mente.
"I- Io …"
Gwen era talmente provata da non essere in grado di rispondere col solito "Cretino!". Anche perché la prima volta aveva funzionato, ok. La seconda, già le aveva risposto per le rime, lo ricordava perfettamente, quella mattina al telefono. La terza, non l'avrebbe proprio ascoltata.
Si concesse un'occhiata rapida: alla fine l'aveva indossato, quell'abito turchino oggettivamente troppo corto e troppo sexy, come diceva il suo fidanzato.
Che, per la precisione, stava avanzando verso di lei. Si chiuse con noncuranza la porta alle spalle, per poi catturarla tra le sue braccia. L'avvicinò, scostandole i capelli dal volto e iniziando a baciarle il collo.
E lei, stava diventando pazza. Dopo un secondo, rilassò il corpo, abbandonandolo completamente ai baci del fidanzato, distese le dita delle mani. Diede gli occhi al soffitto.
"Ti … prego!" gemette senza fiato, un po' ai due di sopra che la stavano decisamente mettendo nei guai (com'era possibile che non avessero sentito il campanello? Ah, no: AVEVANO sentito il campanello, ma l'avevano ignorato, giusto!), un po' a lui che continuava a scendere con le labbra, incurante di non essere a casa propria. Né in quella di Gwen. Non si accorse nemmeno che la padrona di casa non fosse presente.
"Di che ti lamenti?" sussurrò appunto il punk, ignorandola. Allungò una mano e la carezzò dietro la gamba nuda.
"Basta! Basta!" s'impose a quel punto lei, staccandosi bruscamente e mettendo le mani tra loro, conscia che non avrebbe resistito un secondo di più. "Non siamo a casa tua, né a casa mia, Duncan!"
"E allora?" alzò le spalle il ragazzo. Poi assottigliò gli occhi e s'avvicinò, puntando il suo collo con una mano. "Hai messo il mio collare!"
"Oh! Sì!" fece allora la dark, perdendo per un attimo le difese. Arrossì lievemente e se lo sfiorò, cosa che fece anche l'altro, sorridendole.
"Ti sta benissimo!"
"Grazie!"
E istintivamente si avvicinarono ancora, sta volta unendosi in un bacio più dolce, da cui entrambi non volevano staccarsi: quando il ragazzo ci provava nel vero senso del termine, ci riusciva bene. Ma se era spontaneo, era anche meglio!
Per cui, diede fastidio ad entrambi quando la voce estranea e stranamente composta di Scott li raggiunse, dalle scale. "Ehi!"
Il punk guardò a lui repentinamente, rimanendo comunque abbracciato alla sua ragazza, con una mano sul suo fianco. "Ehi, Scott! Ciao! Quando sei arrivato? E dov'eri?" chiese, con tono dubbioso e sorpreso, guardando poi Gwen.
La ragazza, dal canto suo, non aveva tolto gli occhi spalancati dal rosso, che nel frattempo li aveva raggiunti. Poi si era voltata a Duncan.
"Sono arrivato circa un'ora fa." rispose il ragazzo. "Ero in bagno. E Gwen: ho sentito Heather imprecare in camera sua! Meglio se vai a vedere tu cos'ha!"
La dark annuì, correndo su per le scale e lasciando i due da soli. Ringraziò mentalmente il "fratellone" per averla tolta da quella situazione, anche se non capiva come fosse possibile tutto quel contegno con cui si era presentato.
Ad ogni modo, si fiondò nella stanza dell'amica e ciò che vide la lasciò ancora più basita: non solo la camera era perfettamente in ordine, quell'ordine di cui anche lei era l'artefice, ma c'era anche il fatto che Heather, non fosse lì!
Chiuse la porta e ci rimase un attimo appiattita, con la bocca spalancata, per poi schioccare le dita e capire finalmente.
Si diresse nella stanza degli ospiti dove trovò una Heather Wilson seduta sul bordo del letto, mezza svestita, indossava solo la biancheria e fissava un punto imprecisato, come stesse pensando.
L'amica le sedette accanto, sventolandole una mano dinnanzi agli occhi. "Heather? Uh- uh? Ci sei ancora?"
"Certo!" rispose a quel punto lei, acida, alzando una spalla, udendo la sua voce. "Certo!" ripeté in un sussurro più timido, quasi più per convincersi da sola. Batté rapida le palpebre, riprendendosi ed allungando una mano dietro di sé per infilarsi la maglietta che aveva addosso poco prima. Poi si diresse all'uscio.
Ci trovò una mano sopra: la sua compagna, più veloce, la stava bloccando. L'aveva presa in un momento di debolezza, ne era sicura. Che le parlasse, una buona volta!
"Che c'è, Heather?" s'impose con voce ferma, mettendosi con la schiena contro la porta e guardandola negli occhi. Incrociò le braccia.
Per un attimo, la Wilson fu tentata di dirglielo.
"Heather!" la chiamò ancora Gwen. "Avete fatto sesso?"
No, lo sapeva anche lei che non era così! Certamente li aveva guardati e aveva capito, per quei minuti che erano stati sotto i suoi occhi.
"No, non abbiamo fatto sesso!" rispose l'asiatica, per poi scansarla malamente da dov'era e avviarsi in corridoio, infuriata.
La lasciò nella stanza, le labbra schiuse in un verso sorpreso.
Si fermò prima di scendere, Heather, e sbirciò Scott senza farsi notare, che chiacchierava con Duncan. Non sentiva nulla.
Le venne quasi un singhiozzo. "Abbiamo quasi fatto l'amore!" sussurrò.
Poi scese e sgraziatamente diede il benvenuto al nuovo ospite.
Gwen, nel frattempo, non riusciva a togliere gli occhi dalla stanza. L'unica cosa fuori posto era un cassetto di un vecchio mobile in legno, leggermente aperto. Ne sbirciò il contenuto: manette, la sua compagna ne teneva un paio dappertutto, per le evenienze, pareva. Dedusse che qualcuno aveva cercato di prenderle. E che l'altro aveva socchiuso il cassetto. Il rumore.
 
 
Scott sapeva dov'era camera sua. Ci si diresse, guidandola, ma la ragazza fece una leggera pressione sulla sua mano e lo portò da un'altra parte. In un'altra stanza, probabilmente quella degli ospiti.
Entrarono e lei chiuse a chiave, per poi rimanere bloccata davanti all'uscio, senza riuscire a lasciare la maniglia: il rosso la teneva per la vita, forte. Le mani le accarezzavano il ventre, salendo sempre di più, a dita aperte. Le labbra e i denti le torturavano il collo. Non riusciva ad essere "Heather Wilson", con lui! Non QUELLA Heather Wilson.
Una mano del ragazzo andò ad intrecciarsi con la sua. Le fece fare una giravolta, per poi attirarla a sé e baciarla con la stessa foga di prima, pienamente ricambiato.
Rozzamente, si mossero verso una cassettiera appoggiata al muro. Scott cercò alla ceca la maniglia di un cassetto: se la conosceva bene, teneva delle manette in ogni stanza da letto. Lo aprì con un rumore sordo, ma prima che potesse frugarvi dentro, la mano della ragazza lo richiuse con forza, producendo un altro rimbombo.
La guardò con occhi stupiti, non vedendo nel suo sguardo quella determinazione che sapeva essere caratteristica nel suo modo di fare.
"No!" sussurrò la ragazza. Scosse la testa, gli occhi neutri. "No!"
Scott batté le palpebre, sempre più sorpreso, ma l'asiatica non gli diede occasione di domandare. Si baciarono di nuovo, allora e lui lasciò che gli sfilasse la T- Shirt con una carezza leggera, che però lo fece rabbrividire.
Le sfilò a sua volta la maglietta, per poi stenderla sul letto e mettersi sopra il suo corpo, continuando a vezzeggiarlo. Con le mani e con la bocca, sul volto, sulle braccia, sul ventre. Le lasciò una scia di baci che partiva dal mento, scendeva sulla gola e sul petto. In mezzo al seno. Poi sul busto, fino a giungere all'ombelico. E tutto ciò che sfiorava con le labbra, veniva ripassato subito dopo con un dito lieve, che toccava veramente la sua pelle solo a tratti, facendola sussultare e rabbrividire.
E Heather, sembrava goderselo semplicemente. Senza "giochi", era strano per lei, eppure, non si era mai sentita così. Le sembrava di volerlo da sempre. Così, senza giochi o parole, senza mettere a soqquadro casa.
Si era stupita di sé stessa, in effetti, quando la sua mano s'era allungata dietro per bloccare quella del rosso che, era certa, cercava il paio di manette che sapeva essere nella cassettiera … Come lo sapeva, a proposito? Alejandro aveva parlato anche di quello? Probabile, non perdeva occasione di vantarsi dello loro "avventure". Lo sapeva!
Si era stupita della sua stessa voce, che aveva detto di no! Di no! Per la prima volta in vita sua e senza sapere nemmeno il perché!
Per Scott, comunque, non sembrava fare una grande differenza: l'aveva stesa sul letto (dolcemente? Com' era possibile? Si parlava di Scott!) e aveva preso a baciarla ovunque. Ancora non aveva smesso. E l'asiatica non sembrava averne abbastanza. Forse per questo continuava.
Solitamente, avrebbe preso il controllo. Lei era fatta così: dominava e non si lasciava dominare. Mai! Non lasciava che lo facesse nessuno! E allora perché era là in quel modo, domanda? E perché non si sentiva inferiore? E perché pareva piacerle? E perché lo lasciava fare?
Non lo sapeva. Non sembrava interessarle. E lo lasciava fare! Lasciava che la baciasse dove più desiderava. Mentre lei, l'unica cosa cui pensava, era ricordarsi di respirare: le mancava il fiato.
Ansimava, forse senza rendersene conto, guardando con occhi cechi la propria mano tremante, abbandonata sul materasso. L'altra stava tra i capelli rossi del ragazzo, mentre lui era chinato sul suo bacino, senza però la forza di artigliarli, come normalmente non avrebbe avuto problemi a fare. Anch'essa era scossa. Come quella di una drogata.
Le labbra di Scott erano la sua droga, Scott era la sua droga. La sua preferita. Non come Alejandro, lui era diverso. Semplicemente droga, senza necessariamente essere la sua favorita.
Il cervello vuoto pensava a tutto questo, senza realizzarlo davvero. Pensava a Gwen, di sotto. Ai ragazzi che sarebbero arrivati entro poco. Ad Alejandro e a cosa avrebbe detto, se li avesse trovati in quel modo. Non era certo un tipo pacifico, in quell'ambito.
E anche a quella strana sensazione nello stomaco. A quei brividi e quella "sottomissione" spontanea.
E Heather rifiutò tutto, svuotandosi la testa. Tornando nella stanza e guardando Scott negli occhi, per poi dargli un bacio, facendo vagare le mani curiose sul suo corpo e godendosi le sue addosso.
Si sedettero, sempre vicini, le gambe della ragazza attorno al suo bacino. Abbracciati.
Quelle mani! Meglio che l'abito più elegante che avesse potuto trovare. Quelle labbra! Meglio di ogni gioiello d'oro e diamanti.
Il campanello che suonava arrivò lontano alle orecchie di entrambi.
Non si lasciarono subito, per quello. Si distesero ancora, anzi! Ma dopo un secondo, il giovane parve ripensarci.
"No!" disse solo. Si rialzò, passandosi una mano tra i capelli e rimettendosi la maglietta, sotto gli occhi quasi tristi della ragazza, ora seduta sul bordo del letto. "Perdonami, è stata colpa mia!" continuò. "Scusa!" E poi uscì, non prima di sentire un grido, per far sì che non fosse un pianto, da parte della giovane.
Scese veloce e composto, anche se dispiaciuto per aver interrotto Duncan e Gwen. Ma soprattutto, per non aver spiegato ad Heather: era meglio di no. Spedì la dark su da lei, togliendola dall'imbarazzo di dover spiegare e chiacchierò tranquillo con il punk.
Poco dopo, l'asiatica scese da sola e fece gli onori di casa. Per ultima, dopo altri pochi minuti, arrivò Gwen. E il campanello suonò.
Heather pareva stare bene, essersi ripresa. Solo lei sapeva che non era vero. E che se avesse potuto, avrebbe pianto.
 
 
Più Scott ci pensava, più guardava verso Heather. Più lei ci pensava, più guardava verso Scott.
Più loro si guardavano, più Gwen era scossa. Più Gwen era scossa, più Duncan la fissava preoccupato.
E quindi c'erano sguardi ovunque.
Alejandro era quello che sapeva meno e nonostante tutto sembrasse normale, nonostante gli scherzi, le risate, la malizia, i quali regnavano comunque nel salotto, non poté fare a meno di notarlo: nessuno guardava il film! Gli occhi, incontravano soltanto altri occhi.



WRITTEN BY Angelo Nero






§  L'Angelo racconta  §

Gente dall'anima pura e senza malizia, buongiorno! xD (Ma dove, senza malizia?)
Tornata dalla Francia da neanche 24 ore e già è ora di pubblicare, evvai! Questo è uno dei miei capitoli preferiti, non vedevo l'ora e non perchè l'ho scritto io! u.u
Chi è d'accordo che questi due insieme stanno benissimo, alzi la mano ;) Sono stata più che felice di aver scritto io questo chappy. Mi sono divertita e sbizzarrita, in più, con la fine del capitolo precedente, Stella me l'ha servito su un piatto d'argento! xP
Chi sperava in un "ripresa" da parte di Heather? E invece no! Sorry! xD
Che dire? Spero vi sia piaciuto, ecco e che continuerete a leggere e recensire e seguire ;D
Mi sento di ringraziare in particolare Dahlia_Gwen e Liz, per seguire la storia con così tanto interesse <3

Detto ciò, spero vi sia piaciuto ;)
Alla prossima, baci <3
Angelo

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Capitolo 5
*** capitolo 5 ***


AGAPE 

 

CAPITOLO 5- IN COLLABORAZIONE CON ANGELO NERO

Quella situazione era diventata davvero insostenibile, tra gli sguardi intensi di Scott e gli occhi veloci di Heather, che cercavano di evitarli per incatenarsi con quelli di Alejandro, sempre più confuso, che cercava mutamente spiegazioni da Duncan, che a sua volta dedicava occhiatacce a Gwen, che si torturava in silenzio il bordo del vestitino.

La dark fu avvicinata dal punk, che le stritolò il braccio, guardandola severamente –Insomma, mi dici che sta succedendo?- sussurrò per non attirare l’attenzione degli altri, che tanto, non era mai rivolta alle immagini che si susseguivano sullo schermo –Non succede nulla, lasciami- rispose acida, divincolandosi dalla presa di lui e abbassando appena le palpebre, dedicandogli stilettate furenti –Oh, senti, io ho il diritto di sapere ciò che sta succedendo in questa stanza- persistette, incrociando le braccia e mettendo il broncio come un bambino –Ah, va bene- concesse allora la gotica, addolcendosi e mordendosi l’interno della bocca.

Scattò in piedi nervosa più che mai –Heather, possiamo andare in una camera… cioè… io e Duncan?-

L’asiatica alzò un sopracciglio, come per rimproverarla di lasciarla sola in quella situazione, ma Gwen rispose con uno sguardo supplichevole –Siete in astinenza, cari?- domandò acida, gettandole addosso le chiavi della stanza degli ospiti e facendo cenno con la mano di scomparire.

Duncan sembrò dimenticarsi subito delle spiegazioni e subito la prese per una mano, salendo i gradini delle scale a due a due ed eccitandosi sempre di più –Fantastico, non aspettavo altro!- sorrise con gli occhi pieni di luccichii, come un bambino difronte a un luna park… solo che Gwen erano le sue montagne russe, capaci di rivoltargli lo stomaco come un calzino. Se la trascinò dietro, ghignando un po’di più quando arrivarono difronte la porta della stanza degli ospiti.

Il letto era sfatto, ma a lui non importava, mentre la gettava sul materasso, posizionandocisi sopra e riempiendola di baci nell’interno della scolatura dell’abito –Sei così bella…- l’elogiò, alzandole la scarsa stoffa e inserendo subito una mano nell’interno coscia, stringendola e massaggiandola

-Mh… Duncan!- per un attimo fu presa dalla lussuria, cercando di dimenticare di essere in un posto pieno di gente confusa e desiderando di fare l’amore con lui, al più presto. Però, poi, rimembrò le volte in cui aveva litigato con Duncan per una qualsivoglia sciocchezza e, Heather c’era! Sempre! A modo suo la consolava.

Ora, che razza di amica-nemica sarebbe stata a lasciarla sola?!

Mise le mani sul petto del punk, che si scostò contrariato, squadrandola malissimo –Che c’è? Non vuoi? Non… non ti va?- chiese un po’più insicuro, sospirando a un centimetro dalle sue labbra –No… cioè, sì che mi va! Ma siamo qui perché dovevo chiarirti la situazione, no?-

Duncan si mise seduto, senza però abbottonarsi la camicia mezza sfilata da Gwen –Allora, dai, muoviamoci che ho una voglia matta di saltarti addosso- disse sincero, leccandosi le labbra e notando le gambe snelle ed esili scoperte, come la sera precedente

-No, ho davvero bisogno di te!- cominciò un po’impacciata, abbassando il capo –Tu sai che io, a modo mio, voglio bene ad Heather, no? Vedi, di solito lei non condivide molto le mie idee sull’amore, ma oggi ho trovato un laccio di scarpe… contando poi che lei non mette mai scarpe da ginnastica!- il punk stava perdendo il filo del discorso. E allora? Il problema di Heather era quello di aver perso lo stile nel vestiario? Davvero?! E lei lo stava privando del sesso solo per quello?

-Io sono certo che lei si sia innamorata!- puntò un dito in alto, concludendo il discorso senza senso e guardandolo vittoriosa.

Duncan stava per scoppiare. Si stese sul letto, tenendosi la pancia con le mani e ridendo così forte da far tremare le pareti –Ahahahahahah!!! Sì… uh! Lei…. Ahahah!!!- si asciugò le lacrime dagli occhi, mordendosi il labbro e cercando di non riderle in faccia –Pfff…. Scusa, non ce la faccio! Ahahah!!!- e riprese con quella sua risata fastidiosa, facendola scalpitare

-OH! Io non sto scherzando!- lo riprese furiosa, prendendogli un braccio e costringendolo a stare seduto. Duncan smise di ridere, comunque al massimo dell’ilarità –E sentiamo, chi sarebbe il mago che ha rubato il cuore alla bella vipera del male?- Gwen schioccò la lingua sotto il palato, incrociando le braccia e gonfiando leggermente il seno, cosa che il ragazzo non si lasciò sfuggire. Sibilò impercettibilmente, soddisfatta dell’attenzione che le stava rivolgendo –Scott-

Sentenziò sicura di sé, ma vedendolo cascare per terra. Si sollevò con le gambe tremanti, spalancando gli occhi e rivelando le iridi azzurrine incredule –CHI?! Scott? Cioè, lo stesso Scott che conosco io? Quello lì?-

La gotica annuì –Mh, mh, bravo, ci sei arrivato! Da suo migliore amico avresti dovuto capirlo!- il punk le sventolò un dito difronte agli occhi –No, un momento: io non sono suo amico! E poi, che intendi fare? Le due coppiette felici che trovano l’amore e vivono per sempre felici e contenti? Guarda che Heather non è come te, si stufa subito delle sue prede! Mi sorprende poi, che una volpe come il rosso, si sia fatto catturare in questo modo!- concluse sempre incredulo, scuotendo la testa e negando interiormente le parole della fidanzata, che però aveva tanta voglia di ammazzarlo in quel momento!

-Perché no? È l’amore, nell’aria!- esclamò sognante, cosa non da lei, incrociando le mani e volteggiando allegra –Oh, sì, e Heather ha proprio voglia di innamorarsi! Come se non spendesse abbastanza tempo dall’estetista! Te lo dico io: quella ti ha preso in giro-

Gwen gli si avvicinò minacciosa –Te lo ripeto solo una volta: sono INNAMORATI!- gli saltò addosso, ridendo istericamente –Sono così felice per lei, Duncan! Finalmente è felice! Lo sarà! Sempre, sempre, sempre! Solo con Scott! È da tempo che non sorride in questo modo e oggi, quando le ho parlato, giuro che aveva gli occhi sognanti-

Il punk la guardò, così felice per quella ragazza. Sapeva che infondo avevano un buon rapporto, ma non avrebbe mai immaginato che fossero così unite! Le aveva sempre e solo viste ammazzarsi difronte ai suoi occhi –Va bene, piccola, se lo dci tu- la voce si fece più tenera mentre le accarezzava i capelli corvini –Solo che quei due sono molto… diversi e… uguali, allo stesso tempo… non so se potrebbero davvero essere felici in questo modo. Poi Scott è mio amico, perché non me l’ha mai detto?-

Era un po’deluso da quel comportamento e mise il broncio, leggermente triste –Non lo so, neppure Heather l’ha voluto dire a me, l’ho capito perché… si sono lasciati un po’andare in questa camera- ammise, rossa in viso –Lasciati andare quanto, scusa?-

Sorrise vedendo la dark far oscillare il palmo della mano e mordersi il labbro, incerta della risposta che avrebbe dovuto dare. Si accucciò sul petto del ragazzo, guardandolo sottecchi –Tu mi ami?- Duncan aprì la bocca, stupito da quella domanda così… beh, così ovvia! –Certo!-

Lei inclinò la testa, stringendolo un po’di più e socchiudendo gli occhi –Davvero davvero?- sentì un sospiro dall’altra parte –Davvero davvero, ma… perché?- però fu ignorato completamente –E lo farai per sempre sempre?- sembrava una bambina nel ripetere le frasi in quel modo, con gli occhioni chiusi e le braccia pallide allacciate dietro alla sua nuca –Sempre sempre- la rassicurò quindi, sorridendo dolcemente e coccolandola con piccole carezze sulla spalla

-Mi amerai sopra ogni altra cosa?-

-Sopra ogni altra cosa-

-Persino sopra il basbeall, il calcio e il basket?-

Annuì, lasciandole un lieve calore nell’animo

-Ora torniamo dagli altri?-

Gwen rise, alzandosi da lui e facendolo sollevare. Poi, d’un tratto, mentre si dirigeva alla porta, gli saltò addosso, cingendo velocemente le loro bocche e abbassando le braccia lungo i fianchi –Grazie- sussurrò, poggiandogli la testa su una spalla –Di nulla, strega-

La dark, poteva solo essere felice con lui. Con quel senso della sua vita, che aveva arricchito i giorni della sua esistenza. Quella maledetta nostalgia che avvertiva quando lui non c’era.

Quel continuo morire, quando da amici, lo vedeva con altre donne.

E quelle lacrime di gioia e dolore, spese per lui, sul letto dell’amica-nemica.

Tremava, da sola, senza un appiglio al quale agganciarsi e con il punk, finalmente trovava sicurezza, calore e un amore che desiderava da tempo, troppo tempo.

Le donava il suo tempo, la rassicurava, senza mai e poi mai stancarsi.

E poi, vicini, avevano fatto l’amore, chiedendosi se due persone potessero essere così in sintonia per davvero.

Cos’è che aveva, senza di lui? Completamente bloccata dalle sue iridi e dal battito del suo cuore, pura musica, nel silenzio della notte!

Le bocce si cercavano, concedendo libertà alle lingue, levando freni alla loro passione, accentuando il desiderio coltivato grazie a quell’incredibile sentimento.

Quello non era amore! No! Quello andava oltre ogni misura che l’essere umano, misero ed arido di parole e spiegazioni, potesse inserire.

Non c’era spiegazione a quello che Gwen e, infondo anche Duncan,  provavano.

Lui la prese sotto braccio, aprendo finalmente la porta –Adesso, andiamo a vederci una meravigliosa scena di squartamenti sul grande schermo di Heather?-

-Okay-

Alla fine scesero, ricavando occhiate curiose dai tre che, non dicevano neppure una parola.

Heather era seduta svogliatamente sul divano, mentre Alejandro e Scott erano uno difronte all’altro, studiandosi per bene e aumentando secondo dopo secondo la rivalità palpabile che cresceva sempre di più

-Fammi capire, davvero tu ti fai le sopracciglia e ti metti il trucco come le femmine?- chiese la volpe, ghignante e pizzicandogli fastidiosamente una guancia –Io mi curo, a differenza tua!- lo indicò, notando i capelli arruffati e la semplice maglia slabbrata che ricadeva sul suo corpo –E vado anche in palestra, se no come potrei avere questi addominali da urlo?!- si indicò il torace scoperto dalla camicia rossa sbottonata –Io fatico dalla mattina alla sera e gli addominali ce li ho lo stesso, come la mettiamo?- si alzò più arrabbiato, alzando il tono della voce e ricevendo un sonoro “Shhh” da parte di Heather, che cercava di vedere la scena del film “Disturbia”.

Gwen le si affiancò, emozionandosi quando il ragazzo protagonista cascò tra tutti quegli adorabili cadaveri –Ti sei persa la scena di quando la rossa viene squartata da lui- disse la mora, fingendosi disinteressata –Uh, lo rimetti?! A me piace tantissimo quella parte!- supplicò desiderosa la dark, venendo interrotta da un Duncan allarmato –Insomma, chiariamoci, non è che voglio rovinarvi  il momento da migliore amiche sadiche, ma avrei bisogno di un aiutino!- indicò agitato Scott e Alejandro, che si tenevano entrambi dalle maglie, quasi sollevandosi da terra.

L’asiatica si batte una mano sulla fronte, irritata, mentre la gotica accavallò le gambe, arraffando la ciotola di popcorn presente su un cuscino di un divano e cominciando a mangiare i batuffolini bianchi –Uh, questa non me la perdo! Duncan, vieni!- batté la mano su un cuscino, invitando il fidanzato a godersi la scena

-Io almeno saprei dare un futuro a qualunque donna!- replicò lo spagnolo furente

-Sì, dopo essertela scopata e averla abbandonata! Fammi il piacere, sei un essere schifoso!-

-Sentimi bene, idiota, posso ammazzarti come e quando voglio, capisci?!-

-Vogliamo provare?-

Finì il rosso ghignante, sapendo che già aveva vinto quella battaglia

-Uh, Heather! Si battono per te! Che cosa romantica!- commentò Gwen, venendo assalita dalla ragazza –E stupida, molto stupida-

Scott si gettò sul corpo del latino, mettendosi a cavalcioni e prendendo i capelli mori in una mano –Ciao, chico…- lo sfotté, ammiccando alla sua maniera e sbattendogli la testa sul pavimento. Saltò sul suo stomaco, allargando le braccia  e abbassando il viso, fissandolo inerme al di sotto di lui –Bye…- la guancia abbronzata del latino fu colpita dalle nocche pallide e punteggiate da numerose lentiggini della volpe, che si deliziò nel sentire una sua smorfia di dolore

-Vediamo se ti è chiaro il concetto: fatti vedere un’altra volta con la mia donna e sei fottuto- Alejandro digrignò i denti, cercando di levarselo da dosso, ma naturalmente poco poteva fare contro la forza superiore del rosso.

Un calciò lo colpì al di sotto della cintura, facendolo distorcere per il dolore ed urlare con una voce stridula. Scott fischiettò tranquillo –Duncan, fratello, so che fremi dalla voglia di aiutarmi e di seguire la tua indole. Beh, sappi che se vuoi, puoi farlo-

Il punk non aspettò altro, si gettò nel mucchio, dando un pugno sulle nocche all’amico e prendendo per le spalle Alejandro. Gli boccò le braccia dietro la schiena, consentendo al rosso di usarlo come un sacco da box

-Vediamo, ti alleni così, tu?-

Primo pugno, dritto nello stomaco. Alejandro cascò, abbassando il capo e tossendo sangue. Aveva ricevuto l’ultima umiliazione, quella sera.

Alzò gli occhi castani verso Heather, che non fece assolutamente nulla, godendosi la scena del suo pestaggio.

Insomma… non provava nulla? Solo piacere? La sera prima loro… loro avevano fatto l’amore! O no?

Sentì gli occhi pizzicargli appena, senza reagire al colpo inflittogli sul fianco da Scott.

Gwen si avvicinò all’orecchio dell’amica-nemica –Non è che sta esagerando, infondo Ale non ha fatto niente!- l’asiatica le rivolse uno sguardo falsamente incredulo  -Io penso che lui provi qualcosa per te, Heather, non fargli del male! Di’ a Scott di smetterla!-

Pretese alla fine, ma quella incrociò solo le braccia –Nessuno prova qualcosa per me, voglio solo vederli soffrire, tutti. Alejandro, Scott… ah, pensi che faccia differenza?! Li voglio morti- assottigliò lo sguardo –Sofferenti, sotto il mio potere. E non potranno fare nulla per impedirmelo-

Questa volta vide i suoi occhi luccicare e le ciglia calarsi, facendo scorrere qualche lacrima sulle guance pallide, che fu scacciata immediatamente –So che non è così- sussurrò solo Gwen, facendola reagire.

Si alzò dalla sua postazione, prendendo Scott per il collo della maglietta e facendolo alzare –FUORI!- decise urlando, aprendo la porta e indicando l’esterno. Le gambe le tremavano, mentre la voce non appariva più ferma come al solito. Era  spezzata, forse da un emozione che cercava sempre di tenere celata.

Uscirono stupiti, uno dietro l’altro: Gwen, Duncan, Alejandro –Puttana-, disse scomparendo il latino, senza però ricevere reazioni. Quando fu il turno di Scott chiuse la porta con le chiavi, che gettò nella pianta vicino alla finestra.

Lo guardò severamente, indicando il tavolino vicino la TV ribaltato e i popcorn sparsi dappertutto. Si avvicinò al suo viso, assottigliando gli occhi –Sei un idiota- assentì, alzando il braccio e colpendolo su una guancia. La mano restò ferma sul suo viso, bloccata da qualcosa di indecifrabile.

Solo delusioni.

Piogge e lacrime.

Lampi e tuoni.

Nessuno a consolarla, mai.

E cadeva, lentamente, distruggendosi, morendo ogni volta, ogni delusione, ogni volta illusa.

Possibile che, lì ci fosse qualcuno pronto a porre fine a tutto ciò?

Pianti quando veniva lasciata, sempre, perché era speciale, differente dalle altre.

Quella differenza celata, dopo. Quel sesso sfrenato, quel bisogno fisico e poi la nostalgia di ciò che era.

Ma la forza di continuare così.

Incredibile che quel ragazzo, stesse facendo riemergere la vecchia lei, assalita da numerose delusioni.

Il tempo delle lacrime era finito, adesso voleva solo la rivincita. Non si sarebbe più abbassata, nel chiedere scusa di qualcosa che mai aveva fatto.

Sarebbe stata lei la regina.

Comandata. Comanda.

La mano le venne scostata gentilmente e il pollice del ragazzo scacciò via le piccole gocce presenti sulle gote pallide dell’asiatica –Va tutto bene, amore- sentì un singhiozzo della ragazza rompersi contro la gola, poi cadde.

Gli occhi furono racchiusi dai suoi palmi, talmente forte da farsi male. Era entrata in un turbine di ricordi spiacevoli, causati solo dalle persone che amava. Adesso lui le avrebbe solo fatto del male! Ancora, ancora, ancora.

Sentì un tonfo. Scott si era messo in ginocchio, sporgendosi avanti e abbracciandola, riscaldandola.

Le prese il mento tra l’indice e il pollice, studiando le sue labbra –Posso?- sibilò impercettibilmente e a quella richiesta lei poté solo sentirsi morire di gioia. Mai nessuno le aveva chiesto il permesso di ricevere un bacio. Incredula, annuì, ricevendo un semplice contatto puro e una nuova stretta calorosa –Non preoccuparti, andrà tutto bene- cominciò a rassicurarla gentilmente, facendo scorrere le mani sui lunghi capelli neri e baciandole il collo profumato –L’ho fatto solo perché non sopporto vederti con un altro, io… provo qualcosa per te-

Forse per Scott era più facile ammetterlo, ma non pretese nulla, sentendo il silenzio della ragazza, che esprimeva mille sentimenti contrastanti tra loro.

Odio.

Amore.

Rabbia.

Felicità.

Nostalgia.

Solitudine.

Tristezza.

Leggerezza.

Sentì lo sfogo di Heather in un urlo. Si sorprese perché infondo, non l’aveva mai vista così e non capiva il perché di quelle grida.

Si aspettava una litigata e non quello.

La tenne stretta, baciandole entrambe le guance. La prese tra le braccia, facendola stendere sul divano e accucciandosi al suo fianco. L’asiatica mise titubante la testa sul suo petto, godendosi le piccole attenzioni che le venivano lasciate sui fianchi scoperti dal ragazzo –Scusami- chiese, interrotto subito da lei

-No, non devi chiedermi scusa. Voglio solo mandare a fanculo tutti, eppure con te non ci riesco- sussurrò in imbarazzo, sentendosi sprofondare per quella dolcezza appena dimostrata –Voglio solo dimenticarmi di ogni sentimento, ma non ce la faccio-

Si lamentò, sprofondando con la testa tra le sue braccia –Non devi, io ti voglio bene per quello che sei, con o senza emozioni, ti prendo così-

Scherzò baciandole le tempie, poi il campanello li interruppe.

La padrona di casa si nascose dietro il divano, rifiutandosi di aprire ridotta in quello stato e mandando il rosso, che quando aprì la porta si ritrovò davanti un Duncan e  una Gwen imbarazzatissimi –Scusate, mi sono dimenticato la giacca!- balbettò il punk, entrando in casa e prendendo il suo giubbotto di pelle, per poi fare un cenno a Scott e ammiccare.

Subito dopo la dark lo prese e lo tirò fuori –Ciao Heather!- salutò infine, rimproverando sotto voce il fidanzato e dandogli uno schiaffo dietro la nuca.

La volpe ghignò, abbandonandosi sul sofà e riprendendosela vicina

-Allora, che fai sta notte?-

Chiese malizioso, baciandole la fronte

-Proprio nulla, a meno che qualcuno non mi dia un piacevole diversivo-

Ma quella volta, Heather non ebbe bisogno di spogliarsi.

Scott si stese, tirandosela giù e coccolandola con piccoli baci –Buona notte- mormorò, accarezzandole le spalle –‘Notte- l’asiatica schioccò le labbra, stringendosi al ragazzo e consolandosi.

Per la prima volta, si sentì finalmente soddisfatta, con un vero uomo.

 

WRITEN BYE STELLA_2000


Angolo me!

Salve ragazzi! Eccomi qua, di nuovo per voi, tutta per voi :3 In pratica io amo la ScottxHeather e non potevo far altro di scriverci su (va bene, io amo Scott con tutti, problemi?! Non è colpa mia, è lui che è troppo perfetto, basta che non stia con Dawn e va tuuutto bene, per me). Comunque siate clementi, capisco che dopo i capitoli di angelo i miei sono deludenti, ma è la vita. Ahimè. Cooomunque, dopo ci sarà tanto Fluff, la socia si è data da fare, io vomito ancora arcobaleni! Echecosa!? Ma non vi preoccupate, sadiche seguaci (o sadici, dipende), saprò come soddisfarvi *occhi infiammati* Quiiindi, grazie mille a chi ci segue e ora basta, passo e chiudo vado a fare uno spuntino e a programmare una long! BYEEEEEE <3


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Capitolo 6
*** Capitolo 6 ***


§  L'Angelo racconta  §
Fluff! FLUFF! FLUUUUUUUUUUUUUFF!!!!!!!!!!!!!!! ...
Scusate, volevo avvertire ^_^"
Non so se sono stata chiara: qui SI ANNEGA nel fluff, si vomita arcobaleni (citazione Stella), ok? OK! xD
Sì, lo so, lo so: sono sempre la solita. Mi ringrazierete più tardi, quando tornerà Stella. ^_^" ... A parte gli scherzi, godetevi il fluff! xP
Grazie ancora a chi ci segue e recensisce, siete magnifiche, ragazze <3
E ora ... buona lettura, porto amore e buone notizie! xP

Spero vi piaccia.
Baci, Angelo




AGAPE


Capitolo 6



COLLABORAZIONE CON Stella_2000
 
"Non ho voglia di tornare a casa mia!" sbuffò Gwen, la testa abbandonata sul braccio del ragazzo e gli occhi ora rivolti a lui. Un sorriso spontaneo. "I miei mi romperebbero fino all'alba!"
"Ehi!" protestò il fidanzato, mentre entrambi camminavano ad istinto verso casa sua. "Pensavo fosse sottinteso che saresti venuta a stare da me!"
Risero, scambiandosi un bacio veloce, dinnanzi alla porta, mentre lui apriva per poi lasciarla entrare per prima e chiudere a chiave, lasciando il mazzo nella serratura. "Domani hai impegni?" le chiese, guidandola in camera con una mano sulla schiena.
Lei ghignò, camminando più rapida, fino alla stanza e lì, iniziando a spogliarsi, dandogli la schiena. Lo sentiva avvicinarsi piano. "Ti piacerebbe, non fosse così!" fece. L'abito cadde.
"Sì, lo ammetto!" le arrivò nell'orecchio, insieme a due calde mani possessive sulle spalle e poi sulle braccia nude.
Diede gli occhi al cielo, Gwen. Si girò, per guardarlo negli occhi. "Sfortunatamente per te, non è così: andrò in università e seguirò le lezioni, se non voglio essere bocciata. Grazie a dio ho la sveglia sul telefonino!" Raccolse e piegò il vestito. Lo mise sul comodino, per poi stendersi nel letto come fosse stato suo, le braccia stese sul cuscino, gli occhi chiusi. Il corpo svestito mandava in visibilio il fidanzato.
Con uno sbuffo più divertito che scocciato, si spogliò anche lui e le si stese accanto, non potendo far a meno di stare a guardarla, steso su un fianco, con la testa sorretta da una mano e l'altra a carezzarla dolcemente. Sorrideva, intenerito dai brividi che le procurava. "Sei davvero bella, Gwen!" le rivelò, dandole un bacio leggero.
La ragazza aprì un occhio, tenendolo a sé per le spalle e facendo aderire i loro corpi, lasciandosi accarezzare sulla schiena, mentre lui, da parte sua, si tratteneva dal giocare con gancio del reggiseno, per snudarla tutta: era uscita molto provata dalla casa dell'amica.
"Stai bene, Gwen?" le chiese infatti, guardandola in viso: per poco non piangeva.
"Heather non diceva sul serio, vero?" le uscì in un sussurro tremante, al quale lui rispose con uno sguardo triste. "Non lo so! Sei tu la sua migliore amica! Io so solo che Scott non mente!"
"Lì c'ero arrivata anch'io. A me … io ho paura per loro! Heather … Lei lo ama davvero. Davvero, Duncan! E questo le fa paura!" si sfogò, dandogli pugni sul petto.
"Ti credo sulla parola, amore mio!" rispose lui, stringendola solo più forte. "Io ti credo e sono certo che anche Heather e Scott stessi, ci siano arrivati! E … direi anche Alejandro." Concluse mordendosi il labbro.
"Non dovevate fargli del male!" lo rimproverò la ragazza, guardandolo negli occhi. "Non aveva fatto niente! Lui … pensava … che Heather lo amasse, gli hai visto anche tu gli occhi!"
"Sì, lo so. Ma lo conosci Scott, era … furioso. E geloso!" replicò il giovane.
"E pensi che Ale non lo fosse?" Lei si divincolò dalla sua stretta. Si tirò un po' su ed aiutandosi con le mani, lo guardò dall'alto. Si sedette e guardò altrove, in basso. "Non la conosce bene, a quanto pare! Chiunque stia con Heather deve prepararsi a soffrire, avevi ragione!"
"E Scott questo lo sa!" la rassicurò Duncan, mettendosi anche lui seduto e scuotendola lievemente per le braccia. "Ehi! Eri tu quella che parlava d'amore! L'hai smossa, Gwen! Adesso deve fare i conti con quello che prova davvero!"
"ESATTO!" urlò a quel punto lei. "Non capisci?" sussurrò poi. "Non capisci cosa potrebbe fare la paura? Quella tremenda paura che ha? Potrebbe far del male a Scott, a colui che ama. Esattamente come è successo con lei! E io non voglio che stiano male entrambi!" Lo abbracciò forte.
"Lo capisco!" E non seppe dire altro, perché per quante ragazze avesse avuto, non poteva dire di capire Heather: in quel momento, non voleva far altro che stare con Gwen, gli aveva messo la testa a posto. Voleva solo farla felice. "Sei stanca, amore." le mormorò. "Dormi!"
Si rimisero giù e lei gli si strinse contro abbandonandosi completamente alle sue braccia, alle sue mani e alle attenzioni che le dedicavano. "A me … A me piacerebbe passare la mia vita così!" le venne da dire, a bassa voce.
"Scusami?" chiese lui. Con una carezza sui capelli, fece sì che lo guardasse negli occhi. Erano lucidi.
"Vivere così." rispose. "Tra le tue braccia. Sempre. Non penso avrei bisogno d'altro, Duncan. Mi basterebbe … Possibilmente, senza una sveglia che ci interrompa mai." Si permise un risolino.
Il ragazzo l'imitò.
"Non lasciarmi mai, Duncan!" implorò ancora una volta.
La strinse e le lasciò un bacio sul collo. "Mai. Lo giuro."
A quel punto, Gwen si mise a piangere, tirandoselo addosso e lasciando che la baciasse, come sapeva desiderasse da quando si era steso accanto a lei. Sentirlo vicino la faceva stare meglio. Si ha sempre bisogno di qualcuno vicino, dopo un'esplosione di emozioni. Qualcuno di così vicino da saperci calmare con un abbraccio. Alcune carezze. Qualche bacio.
 
Si guardava intorno, indeciso: il sole entrava dalla finestra, rivelando un salotto disordinato e i loro corpi intrecciati, ancora stesi sul divano. Lei dormiva, l'espressione più serena sul viso la rendeva più bella ancora.
Lui era sveglio. Non si era quasi addormentato, a dire il vero. Solo brevi periodi di sonno poco profondo. Ma non era stanco. Avrebbe voluto aver il coraggio di stare là. Dove si stava bene, dove c'era la luce e il calore di un corpo che, seppur piccolo, ne emanava più di qualunque sole avrebbe mai potuto fare.
D'altro canto, era terrorizzato: dopo una notte di puro riposo (cosa rara per lei, ne era certo!), sarebbe stata capace di tirar fuori le unghie in un attimo. Le bastava per riprendersi. Scordarsi le lacrime e farle scordare agli altri. Tornare.
Non vide altra soluzione: la strinse un secondo più forte, per poi allentare la presa, cercando di uscirne. Ma le sue braccia erano forti, lo tenevano vicino. Sentì le mani stringersi a pugni e artigliare la sua maglietta. Forse spontaneamente, forse no. Lo toccava col corpo, lo faceva tremare.
"Vuoi andare via?" arrivò dopo un minuto, in un sussurro quasi impercettibile. La ragazza sciolse l'abbraccio e aprì consecutivamente gli occhi, guardando i suoi. "Volevi andartene prima che mi svegliassi?"
Scott si alzò in piedi, istintivamente, mentre lei si sedeva sul bordo del divano, seguendo i suoi piccoli movimenti, le mani avanti, che non sapevano come trovar occupazione, essendo state tutta la notte attorno al suo corpo. "Io non … non volevo disturbarti, ecco." Si grattò la nuca. Non sembrava arrabbiata, così riprese: "Tu … Tu ricordi come siamo finiti così?" Indicò loro due e anche la stanza.
Heather fece sì con la testa e poi abbassò gli occhi, cosa che stupì il ragazzo più dell'urlo della sera prima.  "Mi dispiace di averti trattato male!" mormorò, per poi arrossire e facendo sogghignare lui.
Lo guardò repentinamente, inginocchiato dinnanzi a lei, che le prendeva titubante le mani tra le sue e le accarezzava il volto. "Ti ho detto che non serve che ti scusi, davvero."
La giovane sorrise. "Perché volevi andartene?"
"Ecco … avevo paura. Tu sei sempre tu e …" Alzò le spalle. "Non lo so. Temevo che mi avresti cacciato fuori casa." Si alzò.
"N- No!" lo richiamò, quasi in una supplica. "Ti prego, r- rimani qui!"
"Vado a preparare la colazione!" la calmò il giovane, prendendo dolcemente la mano tesa verso di lui che la ragazza aveva alzato. "Tranquilla, davvero."
Gli rivolse un sorriso titubante, lasciandolo andare controvoglia e sperando non bruciasse il caffè come aveva fatto Gwen. Si stese nuovamente, immergendosi nel calore e nel profumo che il corpo di Scott avevano lasciato. L'espressione si rasserenò. Poi tornò triste, ripensando all'amica e a come l'aveva trattata. Al titolo affibbiatogli da Alejandro. Forse l'aveva amata davvero.
Dopo alcuni minuti, il giovane tornò: un vassoio in mano con due tazze e la caffettiera. Lo posò sul tavolino, rimessolo in piedi e servì prima per lei e poi per sé, rivolgendole un sorriso.
Rispose all'espressione, mettendosi a sedere, prendendo la tazza che le veniva porsa e ringraziando flebilmente, per poi iniziare a bere, sempre rigorosamente in silenzio.
Lui se ne accorse e mentre facevano colazione, ad un certo punto, si permise di levarle dalle mani la bevanda. Le posò entrambe sul tavolino e le scostò dolcemente una ciocca dietro l'orecchio, con una carezza sul viso. "Ehi! Ma stai bene?" domandò preoccupato.
Scosse la testa, senza preoccuparsi di mentirgli. "No!" ammise. "Ieri sera sono … stata orribile. Con te, con Gwen e Duncan … e anche con Ale!"
"Sei stata con lui, è vero?" chiese allora Scott.
Heather annuì di nuovo, però spostando gli occhi nei suoi, quasi piangente. Gli prese il volto tra le mani. "Sì! Però ti prego, non andartene ora che sai questo. Io non lo amo, era solo …" Era la prima volta che non riusciva a dirlo. A dir verità, in quel momento non riusciva nemmeno a pensarlo. E tremava di paura: non voleva che se ne andasse, che la lasciasse sola. "Non andartene, ti prego!" supplicò ancora, gettandogli le braccia al collo.
"Ehi! Hai paura sul serio, vero?" rispose, sentendola annuire e il suo corpo scosso. "Ma io non voglio andarmene via!" la rassicurò subito dopo, mantenendo l'abbraccio ma facendo sì che lo guardasse.
"Veramente?"
"Non voglio andarmene, davvero!" ripeté il ragazzo, accogliendola sulle sue ginocchia e tenendola delicatamente, come una bambina che piangeva, tremante e spaventata, che lo stringeva in un abbraccio. Artigliando la maglietta come prima. "Io ti voglio bene!" si permise di ridirle.
"Anch'io te ne voglio." le venne da rispondere spontaneamente, per poi guardarlo, deglutendo e carezzandogli una guancia. "Posso?"   
"Non chiedere mai con me!" scosse la testa e le sorrise, per poi accogliere un suo bacio incerto, che prolungò solo perché lei non si staccava, anzi lo cercava ancora di più, tanto che ad un certo punto, facendo leggermente pressione, se lo tirò addosso.
Si mise a ridacchiare più allegra, sotto di lui. "Posso chiederti una cosa?"    
"Certo, dimmi!" rispose, anche lui più sereno, indeciso se spostarsi o no.
"Perché ieri non … non hai voluto …?" Scuoteva la testa, balbettava. Non era da lei! Era come se si sentisse in imbarazzo, esattamente come il giorno prima.
"Perché … lo sapevo che stessi con Ale e … ecco … non volevo intromettermi. Mi stavo lasciando andare troppo!" sorrise amaro, ripensandoci.
"A me … a me non è dispiaciuto." rispose la ragazza, non guardandolo. "E … sai io ti ho portato nell'altra stanza perché … tu sei diverso e la mia camera ne aveva visti tanti, di ragazzi. Troppi. E non volevo che vedesse anche te!" Lo guardò negli occhi, costringendolo sopra di sé.
Lui le sorrise nuovamente, baciandola dolcemente come aveva fatto la sera prima, accarezzandola ancora sui fianchi e sulla schiena, facendola sospirare e sorridere. "Non andartene mai, Scott."
"Mai. Finché mi vorrai!"
I suoi occhi parevano dire, che l'avrebbe voluto sempre.
 
DRIN! DRIN! DRIN!
Gwen allungò una mano e spense svogliatamente il cellulare, alla cieca, ormai abituata. Si stropicciò gli occhi e si stiracchiò quanto le fosse possibile, visto che si trovava tra le braccia del fidanzato. Prima ancora che riuscisse a togliersele di dosso, queste presero ad accarezzarla sulla schiena e sul ventre. Le arrivarono le sue labbra sul collo, sulla spalla, sulle scapole e le clavicole. Sentiva il suo corpo vicino. Non vedeva i suoi occhi, ma sotto le palpebre chiuse, dovevano essere quanto mai vogliosi.
"Mi spiegheresti, come mai con la tua sveglia sei così gentile, di grazia?" le domandò con voce morbida, tra un bacio e l'altro.
Ignorarlo non era semplice, con tutte quelle attenzioni, tutt'altro che implicite. Per un minuto buono, non disse assolutamente niente e si lasciò sfuggire un gemito, quando le arrivò sulla spalla un morso leggero.
"Il gatto ti ha mangiato la lingua?" le fu domandato, senza che lui smettesse di baciarla.
In un'illuminazione, Gwen ebbe il coraggio di aprir bocca e dire rapida e senza fiato: "Fammi alzare e potrai venire sotto la doccia con me!"
Lo sentì staccarsi bruscamente e sorrise vittoriosa, alzandosi in piedi e dirigendosi in bagno, seguita dai suoi occhi. Gli fece segno di seguirla con un dito, sorridendo. "Non vieni?"
Restava seduto sul bordo del letto e la squadrava con sguardo scettico. "Per cosa? Per farmi dare la porta sul naso e implorare pietà e perdono solo per divertirti? No, grazie!"
La giovane rise puramente, appoggiata allo stipite della porta del bagno, le braccia incrociate. "Piantala di fare il moccioso! Puoi veramente entrare con me!" Il suo sorriso non pareva star dicendo una bugia.
Duncan rispose con un ghigno e la raggiunse velocemente, spingendola dentro con un bacio e chiudendosi la porta alle spalle.
"Veloci però!" lo ammonì scherzosamente lei, alzando un dito.
Alzò una mano, mentre l'altra saliva sulla sua schiena e le sganciava il reggipetto, per poi sfilarglielo delicatamente. "Promesso!"
Si accontentò, Duncan. Era già buona che gli avesse dato "il permesso" e nonostante non fosse tardi affatto (si chiese se la sua fidanzata avesse impostato la sveglia così presto in previsione del risveglio), non fece repliche e si godette quei dieci minuti col suo profumo addosso e i suoi baci.
Dopodiché, quando uscirono, si divertì ad aiutarla a rivestirsi perché nel suo cervello prese forma il pensiero contorto che fosse come spogliarla, solo al contrario. Quando glielo disse, la giovane si mise a ridere divertita, per poi avviarsi fuori casa sua, accompagnata dal ragazzo.
"Sta sera torni qui, vero?" le chiese il ragazzo.
Lei sorrise, ormai fuori la porta. "Sì. Mi sento più a casa che a casa mia!" ammise, sorpresa poi da un ultimo suo bacio, molto dolce. "Tu sei la benvenuta, qui e lo sarai sempre. Mi fa piacere davvero che ti senta bene, a casa!" le rispose lui, a fior di labbra, per poi lasciarla andare, dandole però una chiave. "Tienila tu!"
Gli sorrise e chiamò un taxi. Partì, salutandolo dal finestrino e lui la seguì finché non sparì, all'angolo della strada. Poi tornò dentro e si fece la colazione, del caffè che bevve in due minuti: aveva bisogno di uscire e riflettere. Infatti, appena finto, prese il giubbotto e uscì, camminando senza metà per Toronto.
Quando le aveva chiesto se sarebbe tornata quella sera, era terrorizzato all'idea che avrebbe potuto dirgli di no. Questo perché la sua presenza non lo faceva sentire solo. Era diventata aria, ossigeno, anche solo le sue parole, gli scherzi.
"Ehi! Tutto bene?" gli fece ad un certo punto una voce al suo fianco. Gli arrivò una mano sulla spalla, di conseguenza. Scott, Heather a braccetto con lui.
"Scott! Heather! Ehi, ciao! Tutto ok, grazie!" rispose, anche lui dandogli un pugno sul braccio. "E voi?" ghignò poi, accennando ad una Heather molto timida e taciturna.
"Bene, grazie! E fai sparire quel ghigno!" ordinò scherzoso il ragazzo, al posto di lei. "Non è successo nulla!" Abbassò la voce. La ragazza annuì, più sicura.
"Stai bene, tu? Gwen era preoccupata!"
"Sto bene, dille di stare tranquilla, quando la vedi. E scusati da parte mia!" rispose l'interpellata, annuendo seriamente.
"Ehm … avete da fare, per caso?" domandò poi il punk, senza alcuna malizia. I due scossero la testa e lui batté le mani felicemente. "Ah, perfetto! Perfetto! Perché avrei bisogno di una mano."
La giovane, dubbiosa, alzò un sopraciglio. "Una mano per cosa?"
"Adesso ve lo spiego. Intanto, andremo prima in gioielleria e tu mi aiuterai, Heather! Poi al negozio di un mio amico che dovrebbe avere quello che sto cercando ed infine a casa mia." esultò, allargando le braccia e facendo sì che i due si guardassero.
"Mi sfugge la logica!" non si trattenne Scott. "Il vostro anniversario è passato da un bel po', sei in ritardo!" giocò, credendo volesse comprarle un regalo.
La ragazza gli diede ragione, annuendo verso l'amico con una smorfia che era tutto dire. "E il compleanno di Gwen è tra sei mesi, t'informo!" fece.
Il ragazzo alzò gli occhi al cielo, spazientito: quando quei due facevano squadra, erano insopportabili, oltre che invincibili. "Vi ho già detto che ora vi spiego! Nel frattempo, tu" Indicò la giovane. "mi darai una mano in gioielleria. Tu," Indicò Scott. "mi aiuterai con la sorpresa. Ed entrambi, mi aiuterete a mettere in ordine la stanza!" concluse con stizza. "E ora, andiamo!"
Indicò la strada e s'avviarono senza una parola per un bel pezzo, finché Duncan non scherzò: "Oh, sì! E tu Heather, potrai riprenderti tranquillamente quel vestito celeste. A Gwen sta bene, ma è meglio senza niente!"  
 
Seguì le lezioni tutto il giorno. Cercò di farlo, ma stranamente, non le trovò appassionanti affatto. Non le interessavano. Aveva altro per la testa e gli occhi le brillavano perennemente pensando a baci e abbracci e carezze che la facevano perdere e stare bene. Sentendosi il collare di Duncan addosso, sul collo.
Più i professori e i compagni tentavano di farle ascoltare, più si estraniava ed allontanava da quel luogo, desiderando di essere altrove, da qualsiasi altra parte.
Fu una sua prof, molto intelligente, che la notò e la trattenne alla fine dell'ora, soltanto per dirle che si deve sempre stare dove sta il nostro cuore. Altrimenti, non serve vivere. Poi, l'aveva congedata e vedendo il suo sorriso, era certa che avesse capito.
Infatti, la ragazza svuotò l'armadietto. Parlò al preside e così come c'era entrata, lasciò l'università. Uscì nel bel mezzo dell'orario, tra studenti che andavano e venivano e chiamò un taxi, senza mai voltarsi indietro. Senza sentirsi minimamente in colpa. Senza preoccuparsi di quello che avrebbero potuto dire.
Tornò a casa di Duncan e aprì la porta con la chiave che il ragazzo le aveva regalato. La chiuse piano dietro di sé e poi si guardò attorno: buio. Silenzio. C'era solamente un grosso cerchio argentato, a sinistra. Guidata dalla sua luce, ci si diresse e c'immerse una mano, prendendo della polvere argentea. Stupita, la gettò in aria e questa parve creare delle piccole stelle per tutto il salotto.
A bocca aperta e a memoria, stando attenta a non calpestare qualcosa, si diresse nella stanza del ragazzo. "Duncan?" chiamava piano, avviandosi. "Duncan?" Pareva non esserci assolutamente nulla per terra.
Cercò a tentoni la maniglia della porta ed entrò, dilatando ancora di più le pupille, vedendo il suolo illuminarsi di bianco ad ogni suo passo, la luce sollevarsi in polvere e creare la luna e le stelle, danzando, illuminando il nero della camera, rendendolo blu notte.
Si mise le mani sulla bocca e trattenne ogni esclamazione, sentendo la porta. Delle mani dolci scorrere lungo le sue braccia, prenderla per i fianchi ed alzarla da terra. Tenerla in braccio, fino a farla stendere sul letto.
"Bentornata, Gwen!" le sussurrò Duncan, al suo fianco, per poi darle un bacio a cui non si sottrasse, come non si sottrasse ad ogni sua attenzione, ora che non aveva più lo studio per la testa, potevano veramente farlo, vivere così.
"I tuoi occhi sono le stelle più belle!" gli sussurrò forse un'ora dopo, mentre il punk ancora la baciava, accarezzandola, un po' stupito che non glielo impedisse.
Lui si fermò e rise al suo sbuffo di disapprovazione. Si sedette sul letto e invitò anche lei, che si mise tra le sue braccia. Uno l'accolse, l'altro indicò un punto d'argento in quel cielo artificiale, per poi guidare anche una sua mano e fargliela schiudere intorno a quel piccolo astro. La ragazza guardò cosa l'era rimasto in mano e gli occhi le brillarono. Li rivolse a Duncan.
"Sposami, Gwen. Resta così, con me. Sempre. Anch'io lo vorrei!" gli fece lui, a voce bassissima, quasi si vergognasse.
Al contrario, la ragazza non si vergognò affatto a girarsi e stringerlo, piangendo felicemente e baciandolo ovunque, affamata, veloce, per poi lasciare che le infilasse l'anello al dito ed intrecciasse le dita delle loro mani. Le fronti che si toccavano, le labbra che si sfioravano ogni tanto. Il respiro corto. "Sì! Certo che sì!"
"E con l'università …?"
"L'ho lasciata, l'università." l'interruppe con un sorriso. "Voglio solo stare a casa!"
Ricambiò l'espressione e la strinse più forte, baciandola di nuovo e tenendola stretta. Amandola ancora come non aveva fatto mai. Di più. Fermandosi solo ogni tanto, per sorriderle e ridere con lei. Un amore di cui non si sarebbe ritenuto capace, sperando che lo sentisse e che non vedesse solamente quel ragazzaccio che era. Felice di sentirla piangere e ridere. Ridere con lei, in ultimo, con ancora la spudoratezza di accarezzarla sotto le lenzuola, tra le sue braccia.
E lei non gli disse di no neanche una volta. Per nulla. Lo sentiva, era felice. E lo era anche lei, con lui, sempre! Piangevano e ridevano, senza lasciarsi mai. Carezzandosi e baciandosi. Chiamandosi, ogni tanto si dicevano di amarsi. E amandosi di nuovo, davvero, per poi guardare le stelle, finalmente a casa.


WRITTEN BY Angelo Nero


 
 
§  L'Angelo ritorna  §
Eh?! EH!?
Oh, andiamo! Chi non ama insieme questi piccoli pucci pu? :3

Comunque, come ho detto (l'ho detto? xD ), mi ringrazierete più tardi ;)
Baci, a presto <3



 

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Capitolo 7
*** Capitolo 7 ***


Agape

CAPITOLO 7 – COLLABORAZIONE CON ANGELO_NERO

 

 

Per sempre.

Queste parole volteggiavano nella mente di Heather.

Lui ci sarebbe stato finché lei avesse voluto.

No, troppo semplice.

Lui ci sarebbe stato finché avrebbe sopportato.

Perché l’asiatica purtroppo non era quella. Non era intrisa così tanto di dolcezza. Lo aveva fatto perché infondo, sentiva d’amarlo. E dopo?

Si sarebbe stufata di tutto ciò.

Quelle carezze, quegli abbracci e quelle parole dolci, non appartenevano a lei. Semplicemente, era diversa.

Diversa da Gwen, diversa da ogni singola ragazza che popolasse quel fottuto mondo.

Quanti ne aveva avuti, di uomini? Oh, tanti. E cos’era a rendere quel ragazzo speciale al dispetto degli altri?

Quello stesso pomeriggio avevano aiutato Duncan con i preparativi del matrimonio e lei aveva fatto di tutto per mantenere un sorriso smielato ed incoraggiante. Con un risultato nullo.

Si detestava.

Detestava il fatto che fosse così maledettamente cinica. E trincerava sé stessa e ciò che la concerneva.

Nessuno avrebbe mai dovuto dedurre quando infondo, fosse cagionevole.

Heather Wilson?

Quella stessa Heather Wilson che disprezzava ogni singola esistenza, con il solo fine di renderla invivibile?

Sì, era palesemente lei.

Lei che ora, abbracciata a quel ragazzo così diverso e speciale, temeva.

Temeva che lui avrebbe scoperto i suoi altarini.

Ma d’altro canto sperava che l’avrebbe accettata così, senza cambiarla.

I suoi pensieri erano una matassa, un garbuglio intrecciato… così ineffabili! Così cupi che neppure lei sapeva scorgerne la via d’uscita.

Avevano aiutato Duncan con la sua proposta e Scott era sembrato sinceramente felice con l’amico, senza proporre battute di cattivo genere e tirandosi indietro ogni qual volta che il punk gli poneva delle domande, giustificandosi con “Io non ne capisco nulla, di donne”.

Che bugiardo.

Ah, se ci capiva! Perché in quel momento Heather non sarebbe stata così presa a limonare con lui, negli ultimi posti del pullman che avevano preso per andare ad un ristorante parecchio distante dalle loro vie abituali.

L’asiatica, mentre rivolgeva la lingua all’interno della bocca di Scott, stentava a credere che egli non usasse nessuna strategia e che andasse a istinto, come appunto una volpe faceva.

Il ragazzo non amava perfezionare le sue mosse, se fiutava qualcuno di interessante quel qualcuno doveva essere automaticamente suo.

Cacciatore, preda.

Di chi erano i ruoli, lì?

Sapevano che i loro caratteri erano incredibilmente affini. Con Alejandro, Heather aveva sopportato parecchie notti, concedendogli tal volta più libertà nello spazioso letto matrimoniale. Ma con lo spagnolo era tutta una messa in scena.

Oh, i due cattivi che avrebbero vissuto felici e contenti in quell’instabile castello di carta che rappresentava il loro dolce amore…

Forse così, una Gwen dagli ormoni a mille e dopo la sua prima notte d’amore, aveva definito quei due. Lo avrebbe di sicuro fatto se l’asiatica non l’avesse bloccata.

Cos’era che rendeva diverso quell’idiota insignificante dai capelli rossi?

Non c’era nulla di che.

Bellezza?

Beh, di quella ne aveva avuta. Heather aveva solo il meglio.

Eppure Scott si differenziava.

Con quella poca cura in sé stesso, quella fiducia mancata verso il prossimo, quei lavori pesanti che avevano fatto sì che sviluppasse un fisico perfetto.

E poi quei capelli ispidi, non sempre profumati, ma quando lo erano sapevano di talco e bagnoschiuma. Quello fu uno di quei rari momenti, forse studiato a posta, dove lei si dilettava nell’affondare le dita affusolate tra la sua folta capigliatura.

Le lentiggini. Un’altra cosa che stranamente l’eccitava.

Poter baciare ogni singola macchiolina e scivolare su tutta la sua pelle… era la cosa più sexy che in quel momento, avvinghiata a lui e senza respiro, pensò che potesse fare.

Ironia della sorte. Poteva avere il meglio ma per lei, si era infatuata del peggiore.

Questo c’era di sbagliato nella sua mentalità

-Heather, cioè, non che voglia interromperti- cominciò con un ghigno bastardo il rosso –ma questa è la nostra fermata- l’asiatica si alzò dalle sue ginocchia, incrociando le braccia e scostando i capelli neri e lunghi –Sì sì, capisco-

Scesero dall’autobus e lei si sistemò i pantaloncini corti. Era quasi sera oramai e francamente era curiosa di avere notizie da Gwen. Anche se più guardava il cellulare e più si rifiutava nel contattarla

-Beh, dove mi hai portato? Guarda che io, pranzo esclusivamente in posti di prima classe!- si rimirò le unghie laccate, fissandolo sottecchi

-Allora ti conviene cambiare accompagnatore, perché io non ho la benché minima idea di come si mangi in quei posti strani dove va la gente come te e soprattutto, non ho intenzione di imparare per nessuno-

Sogghignò vedendole storcere le labbra –Benissimo, chiamerò un taxi e me ne tornerò a casa!- concluse falsamente.

Scott infondo sapeva che mai avrebbe rinunciato a lui per un’intera serata. C’erano tante cose che lei non conosceva della sua persona e, non capirci era una cosa ed essere stupido un’altra. Si vedeva lontano un miglio che l’asiatica moriva dalla voglia di stare con lui.

Heather batté con le dita sullo schermo a cristalli liquidi del cellulare, aspettando che la iena lo fermasse. Ma perse, quella volta e ripose l’aggeggio in un tasca

-Se continui così ti mollo qua e me ne vado-

-Tesoro…- sussurrò il rosso facendo schioccare la lingua contro il palato –Che c’è?- domandò sbrigativa lei –Potrei sputtanarti, sai?-

E così dicendo estrasse il suo di telefono dalla tasca dei jeans blu, facendo partire una registrazione

"E … sai io ti ho portato nell'altra stanza perché … tu sei diverso e la mia camera ne aveva visti tanti, di ragazzi. Troppi. E non volevo che vedesse anche te. Non andartene mai, Scott."

Heather sobbalzò –Che hai fatto?!- domandò furiosa, gettandosi su di lui e spingendolo a terra. Si ritrovò sul suo stomaco, mentre tentava di acchiappare il cellulare dalle mani forti della iena, che appunto, le aveva fatto un bello scherzo

-E non ci sono solo queste registrate, sai? Ma tutte le sdolcinatezze che mi hai detto ieri sono qui! Insomma, le ho amate… ma infondo sono sempre io, no? Così avrò la possibilità di sentire la tua bellissima voce anche quando non ci sei-

Concluse con un pizzico di romanticismo a condire il suo tono di voce

-Sei un… oddio quanto ti odio…-

Scott si alzò su i gomiti, sorridendo falsamente e assumendo una gentile aria da innocente –Grazie, anche io ti amo-

Rispose alzandosi e offrendole il suo braccio –Andiamo, signorina? O mi deve costringere a usare metodi drastici?-

Con una fintissima malavoglia Heather si attaccò al suo braccio, facendogli la linguaccia.

 

Percorsero la lunga strada di campagna, l’unica dove i mezzi pubblici le passassero difronte raramente. Heather continuava a lamentarsi per il dolore ai piedi che le zeppe le procuravano, quando Scott si calò, ponendo la sua fidata sigaretta tra le labbra, le sfilò le scarpe, tenendole in mano e placando le ormai –per lui. Innocue proteste dell’asiatica –Così sarà più facile per te e più difficile per me- ammiccò, facendo passare un braccio sotto le sue ginocchia e dietro la schiena magra, per poi sollevarla e guardarla dritto in quegli occhi adirati –Mettimi giù, razza di…- un microscopico bacio bloccò le sue proteste sul nascere e per tutto il tempo che Scott spese per camminare aveva la testa poggiata sul suo petto, imprecando a bassa voce sulle sue idee malsane.

Le spighe di grano e le canne di bambù volteggiavano piegate al vento della sera che man mano stava calando, mentre gli ultimi cinguettii degli uccelli del posto calavano, lasciando il silenzio alle cicale, ai grilli e al fastidioso gracidare delle rane presenti nel piccolo stagno al fianco al quale stavano camminando. Quella distesa gialla parve non interrompersi più e quando finalmente Scott la scosse dai suoi pensieri, Heather si stropicciò gli occhi che aveva chiuso per riposarsi.

In braccio a lui, poi. Che infinita vergogna

-Siamo arrivati-

La posò per terra e lei poté alzare il volto in alto, percependo la fresca aria serale sul viso e fissando per un paio di secondi il cielo imbrunito

-Ma mi prendi in giro? Questo è un posto identico a tutta questa schifo di campagna che qualche sfigato avrà coltivato, e pure male, ci aggiungo! Mi hai solo fatto perdere tempo-

Fece per andarsene, quando il polso esile fu bloccato dalla presa del ragazzo –Aspetta a giudicare, bella- le fece l’occhiolino, scostando le alte canne di bambù difronte a loro, prendendola per un braccio e trascinandola con poca grazia al suo fianco –Questa, è casa mia-

Presentò indicando fiero l’orizzonte.

Il sole tagliava perfettamente la linea tra il cielo e i campi, mentre le rondini volavano verso l’alto, verso un nulla sconosciuto. Quel nulla in cui, anche Heather si stava avventurando.

La distesa erbosa e, infondo a tutto, nel bel mezzo del campo, si stagliava una classica fattoria rossa, con tanto di mulino.

Il ruscello continuava sotto i loro piedi, irrigando tutta la terra che Scott con suo padre aveva lavorato per interi anni.

Il tramonto appena finito riscaldava la loro pelle, forgiata anche dal vento.

La palla infuocata solare, stava scomparendo

-Questo sono io, Heather- sussurrò per non porre fine all’espressione estasiata di lei, che si riprese battendo le ciglia –Questo sono io e se vorrai, dovrai accettarmi così. Non posso cambiare-

Attraversò di nuovo le canne, rientrando nell’altro campo e lasciando l’altura collinosa che aveva fatto godere loro il paesaggio

-Ora, te ne puoi pure andare-

La stava letteralmente cacciando.

Purtroppo l’asiatica sapeva che quel tutto non le sarebbe mai bastato.

Lei ambiva all’élite, una cosa che il contadino non le poteva offrire. Lui poteva darle solo amore.

Ma l’amore, a una come lei, non bastava.

Tornò a casa sua da sola, capendo che Scott non l’avrebbe riaccompagnata, offeso palesemente dal suo comportamento.

 

Una volta arrivata difronte la porta di casa sua, attanagliata da quelle molteplici angosce che mai le concedevano tregua dalla notte passata, ritrovò, appoggiato allo stipite della porta, un ragazzo.

Non ricordava neppure chi era, sapeva solo che era infuriato.

E capirai!

Non era la prima volta che lasciava qualcuno senza neppure ricordarsene e se uno di quei tanti idioti voleva darle rogne si sbagliava alla grande, non era in vena!

-Chi sei?- domandò sbuffando e cercando le chiavi nella borsa. Sentì il polso stretto nella mano dell’altro, che l’attirò a sé –Nessuno d’importante… e che capiscimi, sta sera nulla avevo da fare e stare un po’con te mi sarebbe piaciuto. Naturalmente senza impegni, bellezza-

Era un ragazzo dai capelli biondi e lunghi, con due occhi grigi e un sorriso perfetto. Il corpo ben sviluppato e l’aria superiore.

Sì, infondo aveva bisogno di svagarsi un po’.

Non era la prima volta neppure che andava a letto con un chissà chi dimenticato dal tempo.

Fece spallucce, indifferente

-Mi casa est tu casa-

Spalancò la porta e quello entrò. Dal suo portamento lo riconobbe subito! Dylan!

Sì, quel modello con il quale era finita col farci sesso senza naturalmente ricordandosi il perché.

Oh, tutto chiaro adesso!
Dopo aver messo ben a fuoco l’immagine annuì soddisfatta, posando la borsa sul divano in pelle –Sei agitata?- sussurrò lui al suo orecchio, spogliandola.

 

***

Duncan ha sempre pensato che un vero amico si vedesse nel momento del bisogno, difronte a una birra, seduta a un tavolino d’un bar.

Per questo alle otto e mezza di quella sera, invece di stare con la sua futura moglie, era appoggiato svogliatamente a una sedia, interessato ai discorsi di Scott

-Insomma, chi si crede di essere? Capisco che è potente e bla bla, ma nessuno si comporta in questo modo impertinente, con me, poi!-

Continuava a farneticare su quanto l’asiatica fosse scortese e il punk, da amico fedele, annuiva accondiscendete a tutte le proteste del rosso. Che poteva fare, d'altronde?

Aveva ragione! Eccome, se ce l’aveva.

Non capiva proprio il perché quel ragazzo già con tanti problemi con la sua famiglia, dovesse incasinarsi di più con una donna del genere. Una volta che l’altro bevve tutto d’un fiato l’ultimo sorso di birra, si pulì le labbra con il dorso della mano, sospirando per poi fissarlo malizioso

-Allora, come ha reagito Gwen alla proposta?-

Domandò ammiccante e sorridente. A quella domanda gli occhi gli si illuminarono. Pensare  a quella sera fantastica gli faceva venire il mal di stomaco… come lo chiamava, Gwen? Ah, sì. Le farfalle svolazzanti!

Duncan si limitò a annuire, dandogli una pacca sulle spalle –Amico, capisco che l’amore è cieco… ma… beh, potresti fottertene di Heather e cercare una vera ragazza, una donna con la “D” maiuscola, perché quella pensa solo al sesso. Non che non sia bello, però non ti mettere in testa d’avere una storia seria con quella tipa-

Scott sospirò, passandosi una mano sul viso e annuendo concorde

-Lo so, ma non posso farne a meno-

Ammise arrossendo a quella rivelazione

-E che intendi fare?- scrollò le spalle, ignorante sulle decisioni più giuste che avrebbe dovuto intraprendere –Fratello, te lo dico io: dimenticatela. Hather Wilson porta solo rogne, non è fatta né per amare né per essere amata. RASSEGNATI-

Anche lui bevve l’ultimo sorso della bevanda giallastra, senza poter fare a meno di pensare alla sua Gwen e ai discordi folli che solo due ventenni potevano fare.

Si sarebbero sposati, avrebbero fatto la loro luna di miele e sarebbero scappati per l’eternità, accompagnati fino alla vecchiaia dal loro amore. Non poté far a meno di sorridere al ricordo delle parole della fidanzata, che aveva raccontato anche a Scott, tentando di tirargli su il morale. Purtroppo non funzionava nulla, il rosso era talmente giù che neppure una super sbronza lo avrebbe aiutato a rimettersi in piedi

-Ma si può sapere che cosa vedi in lei oltre alla bellezza?- chiese esausto perché infondo, per lui non ragionava abbastanza –Tante cose- rispose ovvio

-Elencamele-

-Non lo saprei fare-

-E perché? Io potrei dirti ogni singola caratteristica della mia Gwen!-

-Vedi, non è semplice. Heather non si può definire in qualche modo, non ci sono aggettivi per lei, se non la falsità. Mi sembra che reciti sempre una parte che le di addice poco e che le venga anche male-

-Io penso il contrario- replicò, ma l’altro non lo badò –Lei ha quel qualcosa in più che mi affascina, quel gusto di stranezza che devo per forza comprendere! Mi capisci?-

-Vorrei, amico, lo vorrei tanto. Ma purtroppo, no, non comprendo-

Si alzarono entrambi insoddisfatti della chiacchierata, dirigendosi alle loro rispettive case.

Solo che a Duncan, Gwen l’aspettava.

Mentre a Scott toccava rinchiudersi in quella solitudine che era la soffitta scadente della sua fattoria.

Quella notte, posto sotto il tetto rotto e senza tegole, guardava il cielo.

E fissava le stelle, tentando di capire il mistero.

Il mistero che stava intraprendendo con quella donna.

Dio ci da l’amore, ma non sceglie chi farci amare.

Questo era ciò che sua madre gli ripeteva quando era ancora in vita, senza riuscire a spiegare cosa provasse per quell’uomo rozzo e privo d’interessi che era suo padre.

Intanto, neppure gli astri gli davano pace per resistere a intere ore notturne, che passò insonni a tormentarsi.

Su quale fossero i pensieri di Heather e quale fosse il modo migliore per comprenderli.

Eppure non trovava risposta.

Sapeva per certo che, ogni persona sulla faccia della Terra, dovesse avere qualcosa di buono.

E lui per poco tempo aveva potuto godere del lato luminoso dell’asiatica.

Voleva farlo venire alla luce.

Non sapeva se ci sarebbe riuscito.

 

Writen By Stella_2000

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Capitolo 8
*** Capitolo 8 ***



AGAPE


Capitolo 8



COLLABORAZIONE CON Stella_2000
 
Non sentiva proteste, mentre si vestiva, come ogni mattina. Sfuggiva ad ogni contatto da lui cercato. Rideva, divertita solo per metà. Dall'altra parte, molto intristita.
"Starò via solo per poco, Duncan!" lo rassicurò, dando gli occhi al cielo all'ennesimo suo imploro perché restasse.
"E' pur sempre tempo perso!" le rispose il ragazzo, camminando verso di lei e stringendola in un abbraccio da dietro. Le mani invadenti furono in un attimo ai bottoni della camicetta.
"Duncan!" sbuffò lei. "Tu lo sai che la notte prima delle nozze non sarò qui, vero?!"
"COSA?!" s'infuriò il giovane, lasciandola andare all'istante e guardando i suoi occhi attraverso lo specchio dinnanzi a loro. "Ma come no?!"
"E' normale! Starò a casa di Heather." rispose la dark.
Il suo ragazzo si rabbuiò, sentendo quel nome e non poté far a meno di indietreggiare di alcuni passi: lo sapeva bene che era la migliore amica della sua futura moglie. Lo sapeva bene, che Gwen provava affetto verso di lei. Lo sapeva cosa pensava sul suo conto. Ma dalla sera prima, Duncan aveva una visione della Wilson completamente diversa. Era solo la ragazza (per essere cortesi) che aveva spezzato il cuore al suo migliore amico.
"Stai attenta, Gwen!" non poté far a meno di dirle, serissimo, una volta che la giovane fu sulla porta di casa.
"Attenta a cosa?" rispose lei. Ghignò. "A quelli come te?"
Lui sorrise amaro, baciandola dolcemente sulla guancia. "Fossero solo quelli come me!"
Gwen aggrottò le sopraciglia, per poi lasciarlo sulla soglia, incitata dal suo gesto di andare e prendere il taxi, che si mise subito in viaggio verso l'indirizzo indicatogli.
Che voleva dire, Duncan? Cosa intendeva, che sapeva? Che le nascondeva, che era successo e con chi, Gwen non lo sapeva e durante il tragitto, non fece che chiederselo, guardando i grigi grattacieli passarle dinnanzi agli occhi. Quello dove abitava l'amica non era diverso dagli altri: alto e di cemento, con tante anonime finestre a perdersi nel cielo. Solo, era immerso in un parco.
Scese davanti ad esso e il suo sguardo corse in alto, per poi smarrirsi nell'ascensore, assorta e nel corridoio dove uscì. Entrò un ragazzo biondo, al posto suo, mentre lei suonava da Heather, che subito le aprì.
"Ah, sei tu!" fece acida come al solito, appoggiandosi allo stipite della porta. "Allora, hai accettato la proposta di Duncan?" sogghignò poi, entrando subito dopo, seguita dalla dark.
Era tutto in ordine, eppure …
"Come lo sai?" chiese in un barlume di lucidità l'ospite, continuando a guardarsi intorno.
"Perché l'ho aiutato a mettere a posto casa!" fece l'asiatica. "Tè?"
"Ho già … fatto colazione."
Continuava a guardare la casa della ragazza: era tutto troppo calmo. Casa sua non era mai calma, per definizione! L'ultima volta che c'era entrata aveva dovuto far ordine e poi … Scott dov'era?
Aprì leggermente la bocca, rammentandosi di ciò che le aveva detto Duncan. E decise di non chiedere. Un profumo aleggiava e non era di Heather. L'aveva già sentito.
"E quando sarebbe il grande evento?" le chiese ancora la Wilson, mentre s'accomodavano in veranda, la dark per terra.
"Tra un mese." fece quest'ultima, ancora in trance. Poi continuò, tutto d'un fiato: "Ho bisogno di te per organizzarlo. Devo trovare un posto. E fare la lista degli ospiti. E chiamare il ristorante e scegliere i piatti. E scegliere l'abito. E tu sarai la damigella, quindi dormirò da te, la sera prima. Mi farai la cortesia di non invitare nessuno durante la notte, Heather?" La fissò negli occhi sbalorditi, per poi alzarsi. "Non dici nulla, bene!" le urlò contro. Le diede uno schiaffo, scuotendo la testa. "Perché?"
"Perché cosa? Perché ho allontanato una persona che non avrebbe saputo restarmi accanto? Perché so di non vivere in una favola? O perché non credo nell'amore, Smith?" rispose furiosa l'asiatica, alzandosi in piedi anche lei.
"E' l'unica persona che avrebbe saputo starti accanto, Heather! E non vivi in una favola, solo perché non lo vuoi! Non credi nell'amore … ma lo provi e QUESTO ti spaventa!" fece l'altra, a tono.
"La gente non sa starmi accanto, nemmeno tu sai farlo!"
La ragazza emise una risatina, per poi abbassare gli occhi. "Lo sai? Forse è l'unica cosa sensata che tu abbia mai detto. Non ho voglia di rovinarmi la giornata per te, Wilson, quindi tranquilla, me ne vado! E non preoccuparti: non ti disturberò più. Voglio solo che tu dica di aver sentito pronunciare quel 'Sì!' che io dirò. Poi ti lascerò in pace!"
"Se rifiutassi?" la sfidò l'asiatica, nonostante i discorsi di Gwen l'avessero molto provata.
"Se rifiutassi, non sarebbe un mio problema. Scott mi vuole bene. Lo farebbe, per me!" scandì in un sibilo, vicina al suo viso, gli occhi adirati nei suoi.
"Lo farò io." emise allora Heather in un ringhio basso. "E ti aiuterò con il tuo matrimonio, se vorrai. E potrai anche restare a dormire."
A quelle parole, il volto della dark sembrò rasserenarsi e aprirsi in un sorriso felice, come se tutte le parole dette in precedenza non fossero esistite. Come le avesse dato ragione, come non fosse importante. O meglio: come se non le interessasse più. Rientrò e si diresse in cucina.
"Che fai?" la seguì una quanto mai turbata Heather, il sentimento ben nascosto negli occhi e nel viso.
"Sai, c'ho ripensato. Ora quella tazza di tè mi va proprio! E credo che anche a te non farebbe male!" disse con tono dolce. "Ne vuoi?"
Non aveva voglia di litigare nuovamente con lei. E non voleva più perdere tempo: l'aveva detto cosa pensava, stava a lei, ora. Ma già lo sapeva: neanche aveva rotto con la volpe e già si era portata in casa un ragazzo.
E soprattutto, non voleva rovinarsi il matrimonio. Lei lo voleva e lo voleva felice. Per la prima volta, lasciò indietro Heather, le diede meno importanza, dopotutto, come aveva detto lei, nessuno sapeva starle accanto!
La padrona di casa, intanto, aveva annuito e si era avvicinata a lei, forse comprendendo i suoi comportamenti. Aprì più volte la bocca per chiedere, ma alla fine, ciò che uscì fu un sorriso malizioso, un sopraciglio alzato e disse solo: "Allora, già in programma il viaggio di nozze?"
Gwen scosse la testa, sorridendo e servì per due.
 
"Alla fine … gliel'hai detto?" gli chiese Scott, mentre passeggiavano per il parco.
Duncan storse la bocca. "Tu l'avresti fatto? Avresti avuto il cuore di farlo?" rispose poi, guardandolo negli occhi, il tono sottolineava l'ovvietà.
Scosse la testa, passandosi una mano tra i capelli. "No, certo. Hai ragione! E hai ragione anche sulla storia con Heather. E' meglio che lasci stare!" Annuì.
Stupì leggermente il punk, che però non poté far a meno di battergli una mano sulla spalla, garantendogli che fosse la scelta migliore, per tutti e due. E anche per lui e Gwen, che sicuramente sarebbero stati più contenti di vederlo libero.
"Tu … non dirlo a Gwen." chiese il rosso, mordendosi il labbro al pensiero della ragazza, così dolce e romantica, sotto sotto, non l'avrebbe sopportato.
"Io non dirò nulla, hai la mia parola! Sappi solo che potrebbe comunque scoprirlo." gli rispose il punk.
"E' a casa sua, è vero?"
L'amico annuì, per poi cambiare discorso, dopo un lungo silenzio insostenibile. "Senti … lo so che forse non è il momento e che il trovarti con la Wilson come testimone di Gwen non sarà il massimo, ma … insomma … tu …?" Mai stato troppo bravo con le parole.
Scott lo interruppe, comprendendo e sorridendo. "Sta tranquillo, amico mio! Per me è un onore!"
"Grazie, fratello!"
"E se vuoi posso anche aiutarti coi preparativi." Allargò le braccia, alla sua faccia stupita. "Voglio solo dare una mano!"
"Credo che di quello se ne occuperà la mia adorabile fidanzata e … l'altra." rispose il punk.
"Ah, capisco! Vuol dire che io aiuterò te e tu aiuterai loro." Gli fece l'occhiolino. "Conosco un posto fantastico dove potremmo andare a pranzo: gli ospiti nelle sale e tu e lei in una camera. E' un albergo magnifico, vicino all'aeroporto, così potrete partire la mattina dopo per la luna di miele!"
"Lo sai che ho un budget, vero?" alzò il sopraciglio Duncan.
"Sono amico del proprietario. Ci penso io!" Si batté una mano sul petto e convinse il ragazzo.
"Va bene, Scott. Lo proporrò a Gwen."
"Consideralo il mio regalo di nozze!" scherzò il rosso. "E bada bene di non far sapere alla Wilson che son stato io a proporlo, altrimenti boccerebbe tutto!"
"Tranquillo! Lascia fare a me!"
"Avete i vostri metodi persuasivi, per convincervi a vicenda?"
Gli arrivò un pugno sul braccio e un ghigno, mentre entrambi camminavano e riflettevano: quella frase pareva famigliare …
 
DLIN- DLON!
"Sì, chi c'è?"
"Mamma? Sono io, Gwen!"
"Gwen, tesoro, che piacere rivederti. Prego, prego! Entrate!"
Duncan aggrottò le sopraciglia: durante il tragitto e anche quando erano scesi dalla macchina, era terrorizzato all'idea d'incontrare i genitori della ragazza. Non che gliene avesse parlato, ma pensava fossero i classici iperprotettivi che quando la figlia si sposa vanno in escandescenze! Invece, la voce di sua madre pareva molto gentile.
Camminò con la fidanzata fino all'appartamento dei suoi e quando la donna aprì, abbracciò istintivamente sua figlia. "Oh, tesoro! E' magnifico, ti sposi!"
Ah, lo sapeva già! Ecco, il fatto che Gwen l'avesse anticipato poteva essere un vantaggio, per lui!
"Mamma, ti prego!" rispose la sua fidanzata, alzando gli occhi al cielo per l'abbraccio ricevuto e per i singhiozzi che ormai emetteva sua madre.
"Hai ragione! E' solo che tu sei la mia unica figlia e …" Spostò gli occhi su Duncan, il quale sentì il sangue gelarsi. "Oh, tu devi essere Duncan! Molto piacere, io sono Annie, la madre di Gwen!" Gli strinse calorosamente la mano e lo baciò sulle guance, per poi entrare in casa, agitando felicemente le braccia. "Entrate, entrate. Caro, c'è tua figlia col tuo futuro genero!"
Il ragazzo squadrò la fidanzata con aria stranita e le sussurrò. "Ma … è gentilissima! E molto dolce! L'unica volta che hai accennato ai tuoi, hai detto che ti avrebbero rotto per non essere rientrata a casa!"
"Diciamo che mi sono fatta sentire e ho spiegato tutto. E loro … non lo so. Hanno accettato la cosa, semplicemente!" fece la ragazza, alzando le spalle, confusa almeno quanto lui.
"GWEN!" fu interrotta.
"Papà, ciao!" rispose, mentre riceveva un secondo caloroso abbraccio.
"Tanti auguri, figliola! E auguri anche a te, Duncan, vero? Vi auguro felicità e figli maschi!" Strinse anche lui la mano al giovane, per poi farli accomodare in salotto per brindare felicemente.
La ragazza doveva ammettere, che quando erano stati dai genitori di lui, la cosa era stata molto più formale. Sì, erano stati molto contenti, accoglienti e avevano brindato, ma molto meno ilari. Forse dipendeva dal fatto che lei fosse una femmina.
Stette di fatto, che quando lasciarono casa Smith e fecero rientro a casa di Duncan, questo sussurrò alla fidanzata: "I tuoi mi piacciono, ma sei certa di essere figlia loro?"    
"Lo sono, tranquillo!" rispose lei, per poi sedergli sulle ginocchia, sul divano ed accoccolarsi contro di lui.
"Senti, Gwen?" le fece allora il punk, facendo sì che lo guardasse negli occhi, pur senza smettere di passargli una mano tra i capelli neri.
"Dimmi." sorrise dolce.
"Tu … insomma … hai saputo di Scott e Heather?" balbettò.
Lo sguardo le si intristì. "Sì. L'ho capito da sola, ha già avuto un altro. A te l'ha detto lui, è vero? Quella sera che vi siete incontrati?"
Il ragazzo annuì.
"Bé, non fa nulla. Mi spiace per Scott, ma non per Heather. Sono stanca di cercare di aiutarla, tanto non mi ascolta e non mi ascolterà mai. Non ne parliamo più, ormai. Affari suoi!" Sorrise e s'abbassò sulle labbra del ragazzo. "Ormai mi aiuta solo a scegliere il vestito e fare la lista ospiti."
"A proposito! Scott ha un'idea di dove potremmo andare a mangiare." Alzò un sopraciglio, con malizia leggera e malcelata.
"Davvero? E come mai quell'espressione?" rispose, anche lei ghignando.
"Perché io e te staremo in camera, mentre per gli ospiti ci saranno saloni a volontà. Ogni tanto ci faremo vedere per sminuire le malelingue." Sorrise.
"Sarebbero malelingue false?" giocò la ragazza, sempre sogghignando.
"No, è vero!" Si leccò le labbra.
"Hai già visto questo posto?" l'ignorò
Scosse la testa. "Tu lo vuoi vedere?"
"Mi piacerebbe." annuì lei, per maledirlo subito dopo, lui e i suoi baci e morsi vogliosi sul suo collo. Una mano della ragazza andò involontariamente sul petto del giovane. "Va' affanculo!" mormorò quasi impercettibilmente.
"T'interessa ancora?" fece invece lui, leccandosi le labbra e guardandola dal basso.
Alzò le spalle, Gwen. "Magari dopo." ammise, mentre il punk la stendeva sotto di sé, sussurrandole: "E bada bene di non dire a Heather che è stata un'idea di Scott!"
Fu un genio a dirglielo mentre la baciava sul collo e l'accarezzava sotto la maglietta, un vero genio!
Fortunatamente, la ragazza era intelligente: c'era arrivata da sé!
 
"Molto bello!" annuì l'asiatica, guardandosi intorno, mentre Duncan sussurrava alla responsabile chi lo mandava e li raccomandava.
"Davvero bellissimo!"
Ed era sincera: tutto molto elegante, fine, sottile, non largamente sfarzoso, semplicemente perfetto. I lampadari di cristallo pendevano dai soffitti, magnifici arazzi e affreschi alle pareti, quadri immensi e stupendi. Il pavimento di piastrelle chiare, le statue in marmo bianco.
Gwen pensò che aveva fatto bene a non dirle di chi fosse stata l'idea, altrimenti non avrebbero mai cenato in quel posto magnifico. E lei e Duncan non si sarebbero mai goduti le sue stanze da letto! "E' un sogno!" esclamò.
"Sì, è davvero fantastico. Allora prenoto per novantadue, non abbiamo scordato nessuno, vero?" le chiese il punk, affiancandola e la ragazza scosse repentinamente la testa: per lei erano fin troppi!
"Vorreste seguirmi, signori? Scegliete voi stessi il menù che preferite!" disse poi loro la responsabile, dopo aver preso i dati per la prenotazione. Fece segno di seguirli. "Inoltre, gli sposi desiderano usufruire di una camera per il loro banchetto privato?"
"Sì! Sì, sì, sì!" s'affrettò a quel punto Duncan, facendo scuotere la testa alla futura moglie. "Grazie!" si ricompose poi.
"La sceglierete voi stessi!" assicurò la donna, mentre la coppia dava un'occhiata ai vari menù e sceglieva i piatti, con accordi minuziosi, seguendo anche i consigli da parte della manager e di Heather.
Dopodiché, si salì ai corridoi superiori, dove brillavano mille porte ed in ognuna c'era una stanza di colore diverso.
Le guardarono tutte con molta attenzione e la prima tentazione fu per la camera rossa, passionale, come sussurrò il punk a Gwen, che gli diede ragione. Fu solo quando videro quella blu, tempestata di candele accese, con un cielo di stelle d'argento e la luna, che entrambi eliminarono il rosso dalle loro menti.
"Questa!"
E senza intoppi, fu loro.
Dopodiché, mentre il punk stava prendendo gli ultimi accordi, passeggiando con le donne nei saloni, che sarebbero stati tutti a loro disposizione, Heather prese la sposa sottobraccio ed esclamò: "Direi che qui puoi finire anche da solo, Duncan. Ora lei viene con me, cose da donne!"
Il giovane fece appena in tempo ad annuire, che la sposina fu trascinata in macchina dalla sua testimone, la quale un attimo dopo sfrecciava per le strade.
"Mi porti a scegliere l'abito?" le fece Gwen, con un sorriso eloquente in volto.
"Non solo l'abito: pettinatura, trucchi, gioielli … biancheria!" la prese in giro.
"Divertente!"
"Ma io non scherzo! Quel ragazzo, lo devi far impazzire!" scosse la testa lei, per poi ridere insieme alla ragazza e fermarsi davanti un negozio che costava una fortuna. "Consideralo il mio regalo! Conosco la proprietaria, qui sono di casa. Andiamo!" Le strizzò l'occhio.
Scesero e spalancarono i portoni di un immenso negozio pieno d'abiti bianchi, veli, gioielli e modelli di pettinatura.
"Buongiorno Bridgette! Ti ho portato la sposa!" annunciò l'asiatica, rivolta ad una piccola biondina.
"Ciao Heather. Benvenute ad entrambe. Guardatevi pure attorno e posso aiutarvi, se desiderate!" fece subito questa, gentile.
"Mi piace quello!" indicò subito Gwen, che s'era messa immediatamente a guardarsi intorno ed aveva notato subito un vestito bianco molto semplice, con un corpetto ricamato d'argento, che lasciava la schiena parecchio nuda e una gonna larga, bianca, con un velo sopra a far da strascico.
Bridgette sorrise e ci si diresse. "Ottima scelta. E' uno dei più belli, secondo me!"
"Anche secondo me!" concordò lei.
Così, con l'aiuto di Heather e Bridgette, lo indossò, per poi guardarsi allo specchio ed annuire soddisfatta.
Intanto, la bionda, guidata dall'altra, s'era messa a cercare un paio di scarpe adatte, possibilmente con poco tacco e dopo che Gwen ebbe passato in rassegna l'ennesimo paio, scelse dei sandali che né l'una né l'altra avevano avuto l'ingegno di portarle, candidi, con tacco basso e molto fini.
In seguito, la portarono dinnanzi ad uno specchio, dove un'altra ragazza, Anne Maria, si mise a farle sfogliare delle riviste che mostravano capigliature e lei scelse semplicemente di tirare i capelli in su, con dei fermagli coi brillanti e farne ricci, lasciando due ciocche lungo le guance pallide.
Queste, ordinò, sarebbero state tinte appena appena di rosa, mentre sulle labbra si fece mettere un filo di rosso. Sulle palpebre, blu scuro e puntini argentei. Le ciglia lunghe e nere.
Scelse un girocollo d'argento e zaffiro, che metteva in risalto il decolté e che scendeva leggermente con un filo d'argento anche dietro. Si mise delle gocce blu alle orecchie.
Come tocco finale, le furono offerti manicure e pedicure, il giorno prima del matrimonio, dei guanti, che però rifiutò, un velo leggero e lungo, tenuto fermo da un diadema abbinato alla collana e dei gigli bianchi come bouquet.
Nell'insieme, pareva un diamante.
 
Il risveglio di entrambi fu il più burrascoso che avessero avuto, ma per fortuna, chi da solo, chi con l'aiuto di tre persone molto gentili, fu pronto in tempo.
Gli ospiti a casa della Wilson furono abbondanti e nessuno poteva far a meno di riempire la sposa di complimenti per l'eleganza e la bellezza. I suoi, inutile dirlo, si commossero. Al matrimonio, scoppiarono proprio in lacrime.
Heather si era vestita con un tubino semplice e nero e tutte le donne avevano un abito addosso, ma Gwen restava la più bella e sembrava anche molto calma. Fu quando tutti si mossero verso le auto, che s'irrigidì.
Duncan, invece, era andato direttamente in chiesa e l'aspettava con una certa ansia, mentre un gran numero di uomini e donne eleganti gli faceva gli auguri.
Il povero Scott, non sapeva che pesci pigliare. "Stai calmo! Arriverà! La sposa è sempre in ritardo!" gli disse alla fine e proprio in quell'istante, arrivarono le macchine coi vari parenti di Gwen.
Così, dopo aver accolto anche i loro auguri, entrarono tutti e attesero la sposa che, con l'aiuto di Heather, stava sistemandosi, per poi fare il suo ingresso con il padre, ammirata da tutti.
Duncan non le tolse gli occhi di dosso per tutta la sua camminata, era bellissima. Ci volle il sussurro di Scott, per farlo tornare in sé.
E lui, Gwen lo trovò splendido, elegante per lei. Gli sorrise, prendendogli la mano ed abbandonando i fiori tra le braccia di Heather.
Le paure scomparvero in un attimo, come le parole del prete. La cerimonia volò ed entrambi dissero: "Sì!"
 
Le risate degli ospiti si spersero nella piazza prima. Poi nei giardini ed infine nei saloni della villa scelta per il banchetto.
Non che a Duncan e Gwen importasse molto, certo: arrivarono per primi, anzi, a bordo della loro limousine e nessuno li bloccò dall'andarsi a chiudere in quella stanza bianca e blu, mentre le sale sotto s'affollavano. Non li vide più nessuno.
E là dentro, già c'era tutto il pranzo che, eventualmente, avrebbero potuto mangiare. In realtà, avevano ben poca fame e se ne stettero per secoli alla porta, lei con le mani sulla maniglia e quelle del ragazzo sulla schiena nuda, il velo già tolto, sperso chissà dove in quella camera.
Si voltò e lo guardò negli occhi, ad un certo punto. Gli sorrise, serena.
"Io ti amo, Gwen!"
"Ti amo anch'io!"
La prese in braccio e la stese con sé sul letto, per poi coccolarla un po' e quando sentì le sue mani iniziare a spogliarlo, le prese tra le sue. "Gwen?"
"Sì?"
"La prima sera, quella di quando abbiamo fatto l'amore, tu hai pensato che io volessi solo portarti a letto?" le chiese serio.
Lei aggrottò la fronte, confusa. "Eh?"
"Devo esserti sembrato un'idiota! E anche a casa di Heather … non volevo. E' solo che per me … Stare con te è la cosa più bella!" Intrecciò le loro mani, tenendola vicina.
Lei rise, dopo un attimo e lo baciò di nuovo, accarezzandogli il volto, per guardarlo negli occhi. "Anche per me, Duncan!" disse seria. "Ogni volta è bello come la prima volta. E' bello perché ci sei tu, ci sono io e siamo noi. E basta! E' bello per ogni carezza, ogni sguardo, ogni bacio." Gliene dedicò un altro, sotto i suoi occhi stupiti. "Non ti preoccupare, amore. Con te, è sempre bellissimo!"
E allora sorrise, facendola sedere, mentre le passava una mano sul corpo minuto in una carezza impura, sfilandole lentamente l'abito. Togliendo con attenzione i fermagli dai capelli. Guardandola in ogni centimetro ed iniziando a baciarla dolcemente ovunque.
Anche le mani della ragazza andarono inevitabilmente sul suo corpo, sfilandogli velocemente la camicia. E i pantaloni subito dopo. Poi, si fiondò repentinamente con le labbra sul suo petto, ogni tanto guardandolo negli occhi e carezzandogli amabilmente il viso.
Si sorridevano, mentre le mani di entrambi toglievano gli ultimi ostacoli dai corpi.
Non appena la vide, Duncan ci si fiondò sopra, affamato, facendola ridere. Mentre quando gemette, per la scia di baci che scendeva audace sempre di più, fu lui a sogghignare, senza smettere di viziarla, con le labbra e con le mani. Con gli occhi, buoni ed insieme invadenti.
E ogni volta, pensava intanto Gwen, era sempre più bello.


WRITTEN BY Angelo Nero
 
 




§  L'Angelo racconta  §

Ok, bellissima gente ... Ciao! :)
Siamo quasi alla fine, contenti? xD E come sempre, ci vuole la mia infinita fluffusità, anche perchè non durerà a lungo. ^_^
Ciononostante, io non ne posso più di questa Heather e voi?
Quello che Gwen ha fatto è stato veramente il minimo! u.u  Comunque, è andata e ora lei è sposata, felice e contenta!
VIVA GLI SPOSI! *Lancia petali di fiori bianchi mentre i lettori progettano di chiamare il manicomio*
E adesso, vi lascio.
Grazie ancora a chi leggerà e recensirà ;)


Baci, Angelo <3

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Capitolo 9
*** Capitolo 9 ***


AGAPE    

Ispirazione dal video della canzone “Fucking Perfect” di P!nk.

 

Capitolo 9 : collaborazione con Angelo_Nero

 

 

Fottuta perfezione che continua a scapparmi. Perché? Perché non la raggiungerò mai?

Infondo la sofferenza resta parte di me.

È uno stato d’animo, come la pioggia, come il sole che tramonta.

Come le lacrime che scrosciano contro i vetri di un’anima abbandonata.

E resto in compagnia della solitudine, lei, con quel gusto amabile quanto detestabile.

Che tormenta, scava all’interno del tuo corpo, ti consuma, ti logora i bordi di quel cuore che ora sbatte stanco contro la cassa toracica.

Forse non mi capiranno mai. Sicuramente.

Nessuno può capirmi.

 

Heather’s memories

 

 

Quelle due codine nere e graziose le ricadevano sulle spalle coperte dalle lunghe maniche dell’abitino a quadrettini e quell’espressione imbronciata che per nulla dovrebbe apparire sul visino di una bambina di cinque anni la caratterizzava come il suo marchio di fabbrica. Le braccine esili le segnavano i fianchi sottili e gli occhioni grigi spiccavano di tristezza intrisa d’invidia. I polsi adornati da piccole strisce di stoffa intrecciate tra loro come braccialetti di cui tanto andava fiera. E poi quelle unghie morsicchiate a sangue e quelle manine strette in due pugni. Quel coniglietto di peluche rosa stava sul tavolo del cortile dell’asilo, con la testa a penzoloni. Era vecchio con gli occhi fatti di due bottoni, uno verde e uno nero, mentre la bocca era cucita con del filo rosso che all’epoca di quel cimelio doveva essere un vermiglio brillante, mentre adesso aveva lo stesso colore delle sue scarpe consumate. Della stoffa fuoriusciva dalle orecchie lunghe e causava la sua presunta allergia. Ma a lei non importava. Stringeva il pupazzo con tutta se stessa, accarezzandone il pelo intrecciato e sporco, stendendolo, dandogli la sua minestra di terra e sabbia che aveva recuperato nella piscinetta poco distante. Se lo mise sulle gambe facendolo saltellare appena. Le iridi di quel profondo grigio brillarono di tanti piccoli cristalli, che parevano specchi pronti a riflettere, pozzi adatti per caderci dentro e precipitare, ferro bollente di rabbia –Sì, Alice! Sei bellissima! Ah ah!- e quella flebile risata accolse il piccolo sorriso pallido e le guance arrossate per lo sforzo quando fece saltare la sua Alice in aria.

Sola, ancora.

E ci stava bene, perché la gente portava solo guai.

Non serviva pregarle, indicarle, rimproverarle, cercare di capirle.

Quel mondo non era pronto per accogliere una come lei.

Si sentì tirare il bordo dell’abito e quando si girò si trovò difronte un suo compagno di classe –Mike, che c’è?- sbatté le ciglia esterrefatta quando il piccolo le strappò il pupazzo dalle mani, ridendo di lei e prendendola in giro, perché:- Che schifo! È vecchio e brutto!- Heather con risentimento provò a riprendersi il giocattolo, ma quello fu lanciato in aria e cadde in una pozza di fango, sporcandole così le guance e il vestito nuovo che la mamma le aveva appena comprato –Cattivo! Perché?!- lo indicò facendo rumore con le scarpe sul terreno e saltellando in preda alla rabbia. L’artefice della sua ira fece spallucce ma lei non lo lasciò andare, fiondandocisi sopra e bloccandolo per la schiena, sulla quale stava a cavalcioni, gli prese i capelli bruni, tirandoseli verso il petto e facendo piangere lacrime di dolore all’ “amico”.  Dopo neppure un minuto fu strappata via dal corpo del bambino, ma ancora scalciava, dimenandosi e tirandosi i bordi del vestitino con le mani paffute e sporche ora di fango. Fu ripoggiata a terra e la maestra cominciò a scuoterle l’indice difronte agli occhi, rimproverandola –Vergognati, non è così che ci si comporta, adesso fila dritta in punizione!- tanto lì lo sapevano che quella bambina era affetta da numerosi disturbi psichici, dovevano avere pazienza, se questa consisteva nel rinchiuderla in una di quelle classi al buio, facendole osservare la felicità e la spensieratezza degli altri, che scivolavano da quegli adorabili scivoli colorati e di gomma, saltavano sulle molle e giocavano a rincorrersi nella sabbia, mentre un altro contava per dare l’inizio al gioco del “nascondino”. Heather, quella piccola bambina che ora, abbracciata al suo coniglietto di peluche mentre mangiucchiava in silenzio un biscotto al Plasmon, era inginocchiata su un baule per arrivare a guardare fuori alla finestra, mentre grandi lacrimoni le circondavano le guance pallide.

***

 

Mia madre ha provato anche con l’elettroshock per darmi diventare più buona… ahahah, un successone!

 

Le mani congiunte in una sorta di preghiera che una quattordicenne normale potrebbe formulare. Le labbra mandavano piccoli messaggi alla genitrice, dietro i vetri di quell’ospedale psichiatrico.

“Ti supplico, basta...”

Poi una scossa d’elettricità che le attraversò il corpo magro, dal quale si poteva decifrare benissimo un assalimento da una forte anoressia nervosa. Dieci paia di unghie che si conficcavano nei braccioli di quella sedia foderata alla quale era stata legata come una pazza, il corpo sbattuto e attraversato da lampi dolorosi in modo allucinante, le gambe tese e piene di graffi causati dalla lametta, che aveva iniziato a usare solo da due anni.

Piccoli squarci di dolore in quegli occhi celati al mondo, luci gialle e rosa le riempivano il buio e cercava di concentrarsi solo su qualcosa di bello. Quella meraviglia che mai le aveva segnato la vita.

Ma qualunque cosa facesse il busto le era attraversato da quelle crudeli frustate d’elettricità. Quelle sedute mensili… quando sarebbero giunte al termine? Quanto ancora sua madre avrebbe creduto che con qualche scossa la sua cattiveria e la sua perenne acidità sarebbero svanite?

Non ebbe tempo di sollevare le palpebre che le ciglia andarono a toccarle le guance imporporate di rosso e che una nuova scossa le arrivasse a farle male fino al cervello.

Tossì un paio di volte, mordendosi il labbro e assottigliando gli occhi.

Oh, quella rabbia.

I medici la slegarono e cadde con le ginocchia rotte di graffi sul pavimento immacolato. Non pianse, non gemette neppure: costava troppa fatica e lei era ormai grande, una donna.

Una ragazzina che aveva provato quella terribile ebrezza dell’amore, così come i rifiuti che da essi provenivano.

E le botte, la testa ficcata dai suoi coetanei nel water, i calci durante la merenda, le spinte mentre stavano in fila, le esclusioni alle quali era sempre soggetta.

Poi il buio dello svenimento e le preghiere che formulava tacitamente.

***

Le mani stringevano il rossetto di un rosso acceso, lo passò sulle labbra che fece schioccare un paio di volte, mentre stese un filo di matita pesante lungo le palpebre e se le colorava di un nero sfocato. La maglia viola strappata e i jeans attillati e strappati, ai piedi un paio di stivali neri e le mani fasciate da guanti borchiati.

Ribellione di una normale sedicenne, voglia di essere diversa, desiderio di sfidare la propria madre, che ora le stringeva il polso vedendola conciata in quel modo. La trascinò con violenza fino la sua camera, strattonandola per scale. Nessuno, nessuno avrebbe mai dovuta vederla conciata in quel modo! Lei era figlia di buona famiglia e non una stupida come quella sua amica che vestiva uguale

-Tu non puoi decidere tutto della mia vita!-

-E tu solo perché non hai personalità non puoi copiare gli altri!-

Poi eccolo lo schiaffo che la fece arrabbiare ancora di più e piegare la testa di lato

-Vaffanculo, stronza!-

-Come ti permetti? Sono tua madre, portami rispetto!-

-Io ti odio!-

La donna le prese i capelli, staccandone con irruenza le ciocche false e tinte di rosa per poi strapparle la maglia da dosso e indicarla

-Tu fai ciò che dico io-

E dicendo così le stese una camicetta bianca sul letto e un jeans largo, guardandola con quegli occhi che volevano solo farla soffrire, dirle quanto fosse in errore, quanto facesse pena come figlia.

Lei lo sapeva e le venne confermato quando la spinse fuori casa per andare a scuola, ficcandola malamente in auto e chiudendole lo sportello in faccia.

Quel giorno, come al solito, prese una F ma non se ne curò.

Era un’artista, lei.

Prese le sue penne al gel e cominciò a disegnare attorno alla lettera, che immediatamente divenne dei denti che adornavano la faccia tonda e stupida che aveva disegnato. La guardò con soddisfazione, per poi incrociare le braccia sul tavolo e appoggiandocisi sopra. Almeno nessuno l’avrebbe riconosciuta.

***

“Perché loro tutto ed io niente?”

Era ciò che si chiedeva Heather guardando con attenzione un gruppo di ragazze che venivano a scuola con lei. Provavano con interesse un abito blu all’ultima moda, rigirandosi su se stesse e contemplandosi, facendosi allegri complimenti vicendevolmente e sorridendo ammiccando. Non poteva sopportarle: vipere! Un giorno sarebbe stata migliore di loro, di sicuro. Anche se in quel momento non aveva soldi per potersi permettere capi firmati come quelli. In un gesto impulsivo ne prese uno dalla stampella, andando negli spogliatoi e ficcandolo subito nella sua borsa, ma quando uscì un commesso stava fuori dal camerino e, sospettoso, le prese il bottino dalle mani. Quando svuotò sottosopra la borsa l’abitino firmato cadde per terra e allora tutto quel gruppo di ragazze che prima l’avevano platealmente ignorata, si girò, posando una mano sulle loro labbra tinte di rosa e spalancando gli occhi, in una espressione esterrefatta. Una prese il cellulare e riprese la scena. Il proprietario la stava spingendo fuori dal negozio e lei sospirando guardò indietro, ignara che la stessero ritraendo in quei video che subito finirono per girare su internet.

***

Diciotto anni: quella fu l’ultima volta che si tagliò. Nella vasca, mentre imprimeva una lama presa da chissà dove nel braccio. Il sangue era piombato tra la schiuma rosa e si era sparso nell’acqua che in poco tempo divenne una piscina di sangue, così come il muro, dal quale piccole gocce cadevano insistentemente. Strinse le labbra all’ultima linea disegnata sul braccio “Perfect”. Scritta in uno stampatello ordinato e preciso, segno che era lucidissima. Quando si alzò dovette fasciarsi nuovamente le braccia, in bocca aveva ancora il sapore ferroso del sangue che le macchiava la lingua e il palato, che gustavano quel liquido come se ci si nutrissero. E in qualche modo era così. Si fissò allo specchio e chiuse gli occhi, poi afferrò le forbici sul bordo del lavandino e invece che segnare la sua pelle tranciò i capelli, accorciandoli definitivamente.

E Heather Wilson da quel momento decise di cambiare, di essere la migliore, la più desiderata e di mozzare la felicità altrui con poche parole che fremevano di rabbia repressa.

Perché lei era rabbia bollente, letale come un veleno potente, quel veleno alla quale era resistita per tutta la vita.

Lei era una foresta grande e intricata, dalla quale non ci si usciva più, o se lo si faceva, si moriva dopo, feriti.

 

 

 

Adesso, la stessa bambina che giocava con quel coniglietto di peluche, stava affacciata alla finestra del bagno di quel locale di lusso, con i gomiti appoggiati al davanzale e la testa posata su i due palmi delle mani. Guardava distrattamente il cielo che si faceva sempre più scuro e qualche volta piccoli spruzzi di fuochi d’artificio adornavano il buio, rendendo omaggio a Duncan e Gwen che si stavano divertendo nella camera riservata a loro. Heather sorrise compiaciuta: era felice. Felice perché la sua migliore amica aveva trovato la gioia nascosta negli occhi di quel cielo infinito di un punk assurdamente dolce. Un cielo nel quale ci si poteva perdere, e volare, per poi riposarsi su una nuvola soffice. O un mare, profondo di azzurro, letale in una tempesta. Ci si poteva affogare. L’asiatica non poteva negare di essere attratta fisicamente da Duncan, ma comunque non l’avrebbe mai toccato. Infondo era attratta fisicamente da così tanta gente che se ne poteva scrivere un papiro. Ma solo qualcuno riusciva a scatenare in lei un vento enorme, una bufera pericolosa. Scott. Maledetto stronzo, perché doveva esistere? Crearle guai, così! Poi arrivare in quel modo, senza avvisare che le avrebbe scombussolato tutta un’esistenza. Se ci fosse stato lui, durante la sua vita, era sicurissima che le avrebbe teso la mano per tirarla su. Magari nei suoi modi di fare avrebbe trovato un rifugio, come le sue braccia, che si sarebbero tese, stringendola e facendola sentire protetta, come in un castello, grande e maestoso, nel quale nessuno poteva penetrare o distruggerlo. E quel castello molto probabilmente non sarebbe crollato mai, pronto ad alzare le mura e a farla sentire isolata dal mondo. Però Heather Wilson a tutto quello non c’era abituata. A ventitré anni aveva imparato a stare alla larga dai sentimenti. Mai avrebbe fatto sesso più di due volte con lo stesso uomo, né mai si sarebbe innamorata. Eppure quel dannato stronzo dai capelli rossi le aveva rotto i piani. Scott era arrivato troppo tardi, quando lei aveva subito troppo. Quando si passa una vita terribile si è incapaci di amare e questo Heather se l’era segnato in mente, come un promemoria. Lei sapeva che, infondo tutte quelle cicatrici le avrebbero ricordato il passato e ne era convinta: non si sarebbe mai potuta fidare di nessuno. Era restata in piedi ma dentro, era morta. Se così si poteva dire. Nel senso che, una vita senza altre emozioni se non il piacere fisico, alla fin fine stanca. Il bene per la sua amica sarebbe sempre restato, ma ora si era stufata. Doveva cambiare aria, doveva dimenticarsi di quella città che le aveva procurato solo dolore. Dove si voltava si voltava, rivedeva il passato. Allora sì, forse, con un’altra vita, sarebbe stata capace di amare sul serio. Ma ora no, così non era possibile. Una vita sfregiata in continuazione non è degna di essere definita tale, la sua, almeno, non lo era. Era in continua lotta con se stessa e mentre tutti quelli che conosceva si erano sistemati, lei era ancora così, sola, ad aspettare che il futuro entrasse nella sua esistenza appassita. Quel futuro tanto agognato si era fatto vivo sotto forma di un ragazzo, purtroppo lei non avrebbe saputo come tenerselo. Gli avrebbe potuto chiedere scusa, fare la pace, ma a che pro? Avrebbero litigato lo stesso fino a quando lei non l’avrebbe fatto soffrire così tanto da crepare definitivamente un rapporto già precario, finito al suo nascere. Per questo avrebbe mollato tutto e tutti, soprattutto Scott, perché lo amava e quando si ama una persona l’ultima cosa che si vuole fare e ferirla. Gwen l’avrebbe rivista, in un modo o nell’altro. La gotica non era più quella ragazzina immatura e scorbutica, adesso era sposata, voleva un futuro con quell’uomo straordinario che portava la sua fede. Magari avrebbero avuto dei figli, forse lei si sarebbe davvero laureata un giorno, riprendendo gli studi. Avrebbe fatto il lavoro che più le piaceva, sistemandosi e mettendo apposto la testa, come aveva costretto Duncan. Quella vita non era fatta per lei, però. Heather non poteva essere legata a qualcuno, la certezza di distruggerlo era troppo grande, troppo forte e vivida. Avrebbe provato, ma non sarebbe servito a nulla. Quella sera, già aveva deciso. Sarebbe andata forse a Londra, dove una casa di sua proprietà l’aspettava ancora vuota. Aveva scelto così, senza ripensamenti di alcun genere perché lei non aveva nessuna catena, nessuna motivazione per restare lì dov’era. E avrebbe lasciato le chiavi di casa sua a Gwen, senza dirle nulla, lasciandole solo una lettera. Quella casa, sarebbe stata donata alla gotica perché un po’sua lo era.

Heather non voleva ricominciare, voleva solo allontanarsi.

Piangere non era possibile, quindi si morse le labbra e restò a guardare le stelle, quando la spalla le fu pressata da una mano

-L’ho scelto io- si girò, era Scott –Questo posto, l’ho scelto io- non sapeva perché, ma comunque ci teneva a dirlo. Quel posto era lontano dal ricevimento, lungo le scale dell’edificio non c’era nessuno, erano tutti al primo piano, al ricevimento –Bravo, allora un po’di classe ce l’hai- il rosso sorrise e Heather scosse la testa. Quelle labbra sottili che si distendevano sul suo viso le creavano troppi malesseri –Perché non ci riproviamo, eh?- l’asiatica fece di no, girandosi e guardandolo finalmente negli occhi. Erano lucidi. Aveva… pianto? Forse lo aveva fatto per lei? No, che sciocchezze. Scott non piangeva, così come lei che adesso si ritrovava con le guance bagnate. Fottuto uomo, lo diceva che riusciva a scatenarle emozioni fuori dal normale, perché per lei piangere non era contemplato. Sogghignò a sua volta –Tieniti lontano da me- sussurrò inutilmente, tanto lei stessa sarebbe partita –Non capisco, stiamo… stiamo così bene, insieme! Cosa c’è che non va?-

-Nulla, appunto per questo. Siamo troppo perfetti e la perfezione non fa parte di me- rispose con lo sguardo perso dietro le sue spalle. Lui la spinse verso la parete, piantando i piedi a terra –Non ha senso!-

-Invece sì! Per me, ce l’ha! Potremmo baciarci adesso, fare l’amore… ma non servirebbe a nulla! Lo sai perché, Scott? Perché ti illudi. Io amo, ma non ne sono capace. Ed è difficile da capire, ma è così, punto e basta. Devi accettarlo-

Anche lui avrebbe avuto la sua vita e con il passare degli anni lei sarebbe divenuta solo un ricordo sfocato, poco piacevole. Invece l’asiatica futuro non ne aveva. Girò i tacchi, scendendo le scale per uscire definitivamente dall’edificio: si era stancata. Quella sera stessa avrebbe fatto i bagagli, prenotando un biglietto via internet. Tanto non c’era bisogno di salutare nessuno.

A quel punto Scott avrebbe dovuto fermarla, dirle che l’amava, che senza di lei non avrebbe potuto vivere. L’avrebbe dovuta solo baciare, portare in camera, stenderla delicatamente su un letto e farci l’amore, per poi restare insieme, per sempre. E dopo qualche mese avrebbero programmato il loro matrimonio, dando l’onore a Duncan e Gwen di essere i loro testimoni… ma la vita per loro non era mai stata una favola e il ragazzo restò impalato sui gradini delle scale, guardando la figura slanciata di Heather sparire, andare via.

Scott dal suo canto non aveva mai avuto una vita facile, ma nell’amore ci credeva ancora e in modo diverso dalla sua fiamma.

Lei era capace di fargli salire un desiderio fuori dal normale, per poi farglielo reprimere perché non voleva che fosse “una delle tante”.

La sua felicità ora se n’era andata e lui non aveva fatto nulla per impedirglielo.

 

Tre giorni dopo

 

Fuori la porta di casa di Heather Gwen, Duncan e Scott battevano furiosamente i pugni sul legno e urlavano preoccupati. Erano giorni che la ragazza non rispondeva alle chiamate e ai messaggi lasciati in segreteria e si stavano seriamente preoccupando. Scott era in procinto di sfondare la porta, solo per poterla stringere tra le sue braccia, ma fu fermato da Gwen che si calò notando una busta nella pianta affianco alla porta. Quando l’aprì le scivolarono in mano le chiavi dell’appartamento e una lettera che subito si posò davanti agli occhi, gli altri due ragazzi intanto scalpitavano curiosi. La carta aveva impresso sopra la calligrafia disordinata dell’amica-nemica e in fondo la sua firma vistosa che notò subito:

 

  Ciao Gwen,

questa lettera è indirizzata a te perché tu possa sapere che questa casa adesso è ufficialmente tua, intestata a te. Prendilo un po’come un regalo per ringraziarti di tutto ciò che hai fatto per me. Perché mi hai aiutata molto in questi anni.

Sei stata l’unica a farmi sentire bene anche se non te l’ho mai detto.

Io con le parole non ci so fare, quindi non aspettarti una lunga lettera di ringraziamenti, piena di metafore commoventi e significative.

Semplicemente grazie, punto.

Penso che dopo tutto una spiegazione te la devo. Sono andata via. Non ci voglio girare molto attorno, la causa della mia scelta definitiva (sì, perché ci stavo già pensando da un po’) è stata Scott, che mai finirò d’amare e considerare come il primo e l’ultimo che mi abbia fatto battere il cuore in quel senso… insomma, come tu tanto mi raccontavi di ciò che provavi con Duncan… volevo dirti che ora, ti capisco.

Per favore, capiscimi, cerca di farlo. Questa vita non mi appartiene.

Alla fine avrei raggiunto la soglia del suicidio. Tu avresti avuto la tua vita con Duncan e saresti sparita per me, io non volevo cadere di nuovo. Non puoi comprendermi a fondo, perché tu non sai com’è essere come me.

Io ho tremato troppo e beh, adesso è solo arrivata l’ora di smetterla.

Sono ventitré anni che non faccio altro che soffrire, io… io dovevo essere forte ma purtroppo neppure tu sei riuscita ad arrivare in fondo alla mia anima.

Sono troppi… i momenti da ricordare…

Ed io non voglio morire di dolore. Questa sofferenza mi ha accompagnato per troppo e non voglio ricadere in ciò che mi facevo prima, forse tu qualche volta ci sarai pure arrivata.

Il filo spinato sul quale cammino è troppo appuntito.

Urlare non servirà a nulla io cadrò e mi sciuperò.

Non ho idea se Scott sia vicino a te in questo momento, però vorrei solo dirgli che so di essere patetica. In questo momento sono seduta sulla nostra terrazza con una tazza di caffè tra le mani, che non fa altro che agitarmi. Tra cinque minuti sarò incapace di tenere la penna tra le mani. Insomma, è stato l’unico a farmi stare qualche ora in pace con me stessa e anche se so che la vita non è una fiaba, io l’ho vissuta per un po’e non smetterò mai di ringraziarlo.

Lascio tutto, quel tutto di niente che mi ha rovinato una vita.

Smetterò di guardarmi allo specchio e vedere un'altra. Nessun’incubo verrà a disturbarmi nel sonno e poi sarò capace di essere una persona migliore.

Non voglio fargli del male, Dio solo sa quanto lo ami.

Lo stesso vale per te, Gwen, ti voglio un bene dell’anima… i miei insulti, beh, prendili tutti come dimostrazioni d’affetto che non ho mai saputo farti e se solo Duncan prova a farti soffrire tornerò lì e lo ammazzerò con le mie stesse mani, ma tienitelo stretto, perché è speciale, mi è sempre piaciuto, quel tipo.

Va bene, adesso prima che bestemmi per questa cazzo di penna che si sta scaricando, finisco.

Ti voglio bene.

Heather. “

 

Poi furono come tante di schegge di vetro che si conficcano nella carne e mille farfalle che sbattono le ali per spazzarti via. E Scott cadde sulle ginocchia, tirando pugni contro le mattonelle, piangendo e mordendosi le labbra, senza urlare però –Stronza… pensa solo a se stessa- mormorò Duncan che ora poco riusciva ad avercela con l’asiatica. Tralasciò lo stupore di Gwen, inginocchiandosi verso Scott per mettergli una mano sulle spalle –Amico, dai…- ma quello non voleva sentire ragioni. Tremante si alzò, facendo aprire la porta di casa alla gotica e tutti e tre fissarono le mura spoglie dell’appartamento, che sapeva ancora ‘infusi d’erbe e granelli freschi di caffè. Fu come correre all’impazzata per una salita e poi cadere, sconfitti. Fu simile a un pugno in pieno stomaco che superò il dolore del ragazzo. Gwen pianse, Duncan si accostò al muro con le spalle e Scott stava fermo, immobile.

Fu un vortice di pianti singhiozzati e labbra morse appena. Fu come essere tirati e sbattuti al muro, fu come ingerire del veleno contro la propria volontà per poi sentirne i sintomi dopo appena tre secondi. E cadere, urlare, piangere, sfogarsi, restare all’asciutto di lacrime.

La dark si fiondò nelle braccia di Duncan, scuotendo la testa mentre Scott non fece nulla se non andarsene con un passo cadenzato e terribilmente sicuro.

Era finita e lui doveva solo accettarlo, dimenticarlo con il tempo.

E Gwen e Duncan vissero felicemente, sentendo l’asiatica qualche rara volta al telefono, per poi troncare completamente i rapporti.

E Scott, invece partì per cercare lavoro, mantenendo stabili le sue visite mensili per vedere la dark e il migliore amico, che mai l’avevano visto con una donna.

Forse è vero che infondo, dopo tante cadute non ci si riesce più a fidarsi di quelle mani che cercano di farti rialzare.

 

 

Writen By Stella_2000

Angolo Me! 


Okay, giorno bella gente che ci segue!!! Questo è l’ultimo capitolo che è spettato a me, quindi, posso capire la vostra delusione. Io non me la cavo con gli angoli dell’autrice come Angelo XD Ne sono calorosa come lei, ma ci tenevo tantissimo a ringraziare chi ci ha seguite, chi ha messo al Ficcy tra le preferite e le seguite e un grazie speciale va a Liz e Julie, che ci hanno recensito sempre e con puntualità! Siete state davvero molto calorose, meglio di un plaid (?)

Quindi, dopo questo tentativo –fallito- di dire qualcosa di sensato, vi abbandono per sempre (sì, mi piace essere melodrammatica, guardate questo finale! O.O)

Mi dispiace per chi è rimasto deluso, ma per me il “Felici&Contenti” è una grande scemenza.

Vi vogliamo bene e ci siamo divertiti un mondo a scrivere questa storia.

Forse, ci saranno altre sorprese.

Ma ringraziate solo Angioletto.

Baci,  abbracci e

BYE

💕

P.s. anche io voglio ringraziare Angelo Nero, per la sua amicizia e per la sua simpatia, che, tra una risata e l'altra, mi ha insegnato tantissimo. Ti voglio bene, la tua paxxa amica Yaoista 💘

 

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Capitolo 10
*** Capitolo 10 ***



§  L'Angelo racconta  §
* Si sbraccia per attirare l'attenzione *
BELLISSIMA GENTE! NON ERO CONTENTA DEL FINALE DI STELLA E ALLORA ...
* I lettori la guardano malissimo e tirano fuori torce e forconi *
No, aspettate: era scritto benissimo e l'ho adorato, davvero, ma io volevo il mio puccioso "Per sempre felici e contenti" e allora ho scritto un finale alternativo!
* Suona la trombetta * SORPRESA! xD
Ci sono dei riferimenti al finale di Stella, ma questo è per quei poveri tapini (come me) che volevano il lieto fine! ;)
Potete anche dirmi che preferite l'altro, anche perchè è il finale ufficiale, però io volevo il mio fluff, quindi ... sopportatemi un'ultima volta xD
Spero vi piaccia :)

Baci, Angelo




AGAPE



Capitolo 10

Finale alternativo


COLLABORAZIONE CON Stella_2000
 
Era certa non la stesse guardando nessuno, là, sulle scale, a pensare a tutto e niente. Seduta, una mano stringeva ogni secondo di più la ringhiera; a volte arrivava anche l'altra e guardava giù: sbarre, prigione. In quel momento. Prima. E dopo. Sempre.
Sentiva le musiche di sotto e le risate. Vedeva donne in abiti splendidi e uomini eleganti. Alcuni erano giovani ragazzi, tutti molto belli e di certo, se fosse stata un po' più partecipe alla festa, alla fine se ne sarebbe andata con uno di loro.
Era arrivata come una delle ultime, prendendosela molto comoda, riflettendo e mettendosi a ridere nel sentire qualche invitato sussurrare: "Ma gli sposi?".
Gli sposi erano sicuramente felici, in quella camera: si erano visti i sorrisi e gli occhi, in chiesa, il bacio e il tremore nelle iridi. Ma non avevano pianto, no. Né Gwen, né tantomeno Duncan avrebbero sopportato di farsi vedere in lacrime. Si era visto come si era trattenuto il ragazzo.
O almeno, lei l'aveva notato! E anche Scott. In effetti, era stato l'unico momento in cui i loro occhi si erano incontrati, solo per un secondo e poi non l'aveva più visto. Né l'aveva cercato. Non sapeva nemmeno se fosse arrivato: non era tra gli invitati.
E gli invitati non sembravano invitati: colori morti e mischiati, sempre tristi. Le risate erano gemiti, dolore nei loro occhi. Tutto perché Heather Wilson filtrava con occhi neri, che vedono nero e solo nero. A cui la vita ha mostrato nero, nero e basta. Nero e rosso, forse. Inutile passione!
Rosso e nero, rosso e nero. Rosso, i suoi capelli rossi. Aveva sempre trovato fossero particolari e gli occhi di tempesta! Sembravano aver visto così tanto! Sembravano quasi capirla, a volte. In certi momenti, semplicemente odiosi. E poi dolci, gentili, maliziosi, scherzosi e pazzi.
Le venne istintivamente da sorridere, al pensiero. Chissà dov'erano? Non le era mai dispiaciuto, averli addosso.
Forse, non avrebbe dovuto … Ma che avrebbe potuto fare?
Sussultò senza capirne subito il motivo, per poi girarsi di scatto e rizzarsi in piedi. Guardarsi intorno, sempre tenendosi per il corrimano, come impaurita, come avesse potuto cadere. Si sentiva leggermente debole, in realtà.
Aveva fame, ma nessuna voglia di mettersi a mangiare. Aveva bisogno di aiuto, ma nessuna voglia di parlare. Con nessuno. Né di urlare. Voglia di fare nulla e gli occhi appannati chissà perché. Sorda e ceca, così piccola, minuta, indifesa, impaurita. E sola. Tanto sola. Triste.
Quella sensazione l'aveva inquietata, scossa dentro, per cui arretrò pian piano, continuando a gettar gli occhi intorno e senza veder nulla se non una lunga scala di cui non vedeva la fine e un corridoio di porte chiuse: camere.
Le aveva già guardate tutte. Erano belle, ognuna aveva un suo tema, un colore e ricordava quella la cui porta non avrebbe dovuto aprire. Le altre, avrebbero potuto essere tutte sue. Doveva solo aprire, stendersi su un letto e mettersi a dormire. Il colore non avrebbe avuto importanza.
E così, vinta da una stanchezza odiosa, afferrò la prima maniglia che trovò e sgusciò dentro, per poi battere la fronte contro l'uscio. Appoggiarci una mano e respirare ancora, forte. Dall'altra parte, voleva ci fosse qualcuno. Che la sentissero! Che la sentisse lui!
Singhiozzò. Avrebbe voluto fargli del male, in quel momento. Ucciderlo! Lui la portava a questo, ogni ricordo le corrodeva il corpo, ogni sguardo le infiammava il sangue e la faceva urlare. Batteva i pugni sul pavimento e sulla porta.
E fuori ridevano. Mangiavano. Scherzavano, alcuni sparlavano: ormai giravano ovvie malelingue. Sugli sposi. E anche se Heather non ci avrebbe mai creduto, pure sui testimoni, spariti e più rivisti, chissà dov'erano? Si mormorava, pareva d'essere in una corte di castello dove chiunque sparla di re e regina, principe e principessa.
Scott, in realtà, non era distante da loro: le navate alla hall al primo piano erano ottime, per lui. Camminava alla loro ombra, si fermava dietro le colonne ad origliare ed ogni tanto, alla più ingenua delle dame, offriva un bicchiere e strappava qualche informazione, per poi dileguarsi nuovamente.
Non che fosse interessato: era stato lui a proporre a Duncan di prendere una stanza! Non se lo lasciò sfuggire mai, in molti non lo conoscevano e ghignava, di tanto in tanto, lanciando occhiate ai corridoi superiori.
Si fece una passeggiata anche per il corridoio di destra di sopra, ammiccando verso le camere e pensando a quei due, che di certo qualcuno avrebbe dato per morti.
Morte. L'assalì la paura che morisse lei e morì la sua espressione maliziosa. Davanti ai suoi occhi, dall'altra parte, lei non si staccava dalla ringhiera della scala, pareva quasi esser svenuta là davanti, gli occhi persi in chissà quale ricordo. Meandro buio della testa. Orecchie sorde, lei tutta così piccola, pareva molto debole. Quasi senza sensi in corpo.
"Heather!?" non poté far a meno di mormorare e allora parve svegliarsi: dov'erano le orecchie sorde e gli occhi cechi? Il corpicino di bambina minuta e affamata? Sembrò rivivere. A metà: teneva la ringhiera, ancora. Le gambe non la sostenevano quasi e tremavano.
Camminò all'indietro, le pupille dilatate, quasi avesse visto un mostro dirigersi verso di lei. Quasi avesse visto lui, il "mostro". L'unico a darle paura e sollievo. Qualcosa d'impossibile.
Ma lo sapeva, Scott. S'appiattì nel corridoio delle stanze davanti a sé, contro il muro e osservò la figura indecisa della giovane guardare anche lei le porte, per poi aprirne a caso una e sgattaiolare dentro.
Inizialmente, tirò un sospiro e s'avvicinò: vederla ancora, un'ultima volta, prima di partire e lasciarla in pace. Impagabile. Poi invece si spaventò, nel sentire contro la porta singhiozzi e pugni arrabbiati. Sentirla così, ancora. Arrabbiata ed infelice.
Esitò moltissimo. Avrebbe potuto bussare e aprire. Aprire e basta. Andarsene. Oppure restare là, così, con una mano sulla porta, a tremare per l'indecisione, ad aver paura. Ad aver paura per lei. A spezzarsi il cuore da solo: farsi del male perché lei stava male.
E aspettò tanto, più di quanto immaginasse. La gente iniziava ad andarsene e dalla finestra in fondo si vedeva il cielo scuro notturno. Duncan e Gwen forse dormivano, forse parlavano a bassa voce. Nella stanza dinnanzi a lui, più niente.
Per cui aprì, finalmente, illuminando con un fascio di luce un corpo di ragazza dormiente, per terra, accucciata su sé stessa, come avesse freddo e in effetti, aveva ben poco addosso, solo quell'abitino scuro.
"No! Cattivo, il mio coniglietto! …" E poi urlando: "No, basta! Ti prego, basta! Mamma, basta! …" Stringendosi sempre di più, incubi sconosciuti al ragazzo le turbavano il sonno. Singhiozzava ancora un po'.
Chiuse la porta, allora, Scott e le si accostò, per quanto l'oscurità lo permettesse. Come aveva già fatto altre volte, le strinse le mani chiuse a pugno tra le sue, rilassò le dita e accolse la sua stretta forte, quasi dolorosa. Non era importante, aveva smesso di piangere! La prese in braccio (più leggera di quanto avesse mai potuto credere!) e la giovane gli si fece più vicino. La mise a dormire e le dedicò una carezza e un bacio sulla fronte.
No, non poteva. Non riusciva a lasciarla, non così. Lo sapeva, sì: avrebbe potuto fargli di tutto. Ma aveva già corso quel rischio altre volte. Era un mese che non si vedevano, chissà quanti erano passati nel suo letto! Faceva niente.
Lui non sapeva e non voleva sapere! Ma se avesse voluto dirglielo, lui avrebbe ascoltato.
Non si stese con lei, non osava. Non voleva nemmeno che lo vedesse, non gli interessava prenderla e guardarla negli occhi, chiedendole di riprovarci. No. Stava dormendo bene, che dormisse!
Si sedette accanto al letto e mise la schiena contro di esso, per poi raccogliersi e tacere, lasciando che li avvolgesse il silenzio e il buio e cercando di chiudere gli occhi.
Sotto le palpebre, i suoi continui urli, ad aspettarlo.
 
Un fulmine squarciò il cielo ed Heather spalancò gli occhi: pioveva. C'era buio, i tuoni borbottavano fuori dalla finestra e sotto il suo corpo, un materasso morbido. Coperte calde, un cuscino e una grande stanza attorno a lei. Non la riconobbe e non si prese la briga di sedersi per guardare in giro.
Da stesa, vedeva solo una figura accucciata al fianco del letto, scuro come il resto, forse con una camicia bianca, perché un leggero bagliore lo emanava, dal blu che entrava dalla finestra e filtrava le tende.
"E' notte." disse senza pensarci, facendo sì che il ragazzo alzasse la testa di un poco, senza però guardarla. "Mi sono addormentata!" dedusse ancora. "Saranno già andati via tutti! Forse è meglio che torni a casa anch'io!" E si mosse per alzarsi.
"Se vuoi restare …"
Ferma dov'era, nel sentir la sua voce.
"… è tutto riservato fino a domani alle 14:00." continuò a spiegare. "Sono le regole."
"Tu come lo sai?" chiese allora la ragazza, con il cuore in gola.
"Perché questo è il mio regalo per Duncan e Gwen." rispose, con un sorrisino amaro, sempre stando nella sua posizione, ora però un po' più rilassata. Voltò la testa all'indietro, sul materasso, per vederla: i capelli sciolti e un po'spettinati, lunghi, il solito corpicino piccolo e gli occhi grigi, acuminati spilli luccicanti.
"Scott. Mi hai messa tu a letto? Come mi hai trovata?" domandò allora, stupita.
"Non ti ho mai persa. Non ti ho mai voluto perdere. Non voglio perderti nemmeno adesso. Non voglio scordarti, Heather." rispose lui, facendola divenire dubbiosa. "Grazie per avermi permesso di vederti ancora."
La giovane non capiva, cercava una risposta, lì per lì quasi dimenticandosi chi fosse e chi fosse lui. Si chiedeva il perché di quelle parole e dei comportamenti troppo buoni: gli aveva fatto del male, poteva fargliene ancora! Perché?
"Perché?" Lo chiese.
"Perché te l'ho promesso! Ci sarò per te, finché lo vorrai. Sembri non volermi, ma fa niente. Stavi male, ti ho vista, ti ho sentita e ti ho aiutata. L'avevo promesso!" Si sedette sul letto con lei, titubante e la fissò ancora nelle iridi.
"Vai via, vai! VAI VIA!" strillò invece lei, mollandogli uno schiaffo.
Gli fece sputacchiare un po' di sangue e poi ghignare. "Idiota!" la prese in giro, prendendole la mano ancora alzata, tutta scossa e carezzandola dolcemente. "Chi ti vuole bene non ti lascerà mai."
Strinse la mano che aveva libera ed assottigliò gli occhi. Li distolse. "Se mi vuoi bene, vattene!"
"Ancora più idiota!" rise nuovamente lui, facendo sì che lo guardasse ancora. "La gente che ti vuole bene, non è fatta per dirti ciò che vuoi sentire, ma per dire ciò che deve, Heather. Ascoltami: lascia perdere, va bene. E' passato. Non serve a nulla, Heather, a nulla!" E cacciò una sua lacrima.
"A nulla serve, metterti al sicuro? Lasciarti andare?" chiese allora lei. "Impedirmi di farti del male?"
"Già il fatto che dici così, sottintende che non lo farai! E se lo farai litigheremo, ti sfogherai un po' e basta. Sarà successo, vuol dire che ne avevi bisogno!"
E allora lo prese a pugni, odiandolo con amore, avvicinandosi e continuando a picchiarlo anche tra le sue braccia. "Stronzo!" esalò infine, senza fiato, abbandonandosi al suo abbraccio e quasi strappando la sua camicia con le unghie.
"Uno stronzo che ti vuole bene sopra ogni altra cosa, Heather!" rispose allora lui, baciandola dolcemente tra i capelli e stringendola più forte.
"Vuoi dire … uno stronzo che … mi ama?" fece veloce, per poi nascondere il volto rosso nel suo petto, ascoltando il cuore agitato che l'aveva portata a domandarglielo.
"Sì, Heather." sospirò allora lui, emozionato. "Uno stronzo che ti ama tantissimo!" sussurrò. Andò avanti, sentendola sorpresa per la poca vergogna celata nella voce: "E che si è sempre trattenuto. Con le parole, coi gesti. E che vorrebbe solo fare di più e di più ancora. Tutto quello che vuoi. Che vorrebbe solo farti stare bene!"
Era terrorizzata: non poteva lasciarlo andare e non avrebbe potuto più o sarebbe morta, in un modo o nell'altro. Troppo sola, troppo odiata e odiandosi troppo. Senza nessuno che le volesse almeno un po' di bene.
Terrorizzata che un giorno l'avrebbe lasciata. Ma non l'aveva lasciata, allora! Avrebbe potuto andarsene, sarebbe stato l'addio più facile: lei l'aveva cacciato, mandato via!
Mandava sempre tutti via! Paura della gente, paura dell'affetto e di un vero abbraccio.
Ma è troppo facile restare bimbi per sempre, Heather! Affronta le tue paure, adesso! Guardalo negli occhi, chiediglielo ancora. Chiedigli di restare!
"Resta!" mormorò. "Resta qui, con me! Sempre!"
"Sempre!" rispose, guardandola negli occhi. "Non avere paura di me! Io non voglio farti niente! Lascia stare l'altra gente, non voglio sapere e non ricordartene. Ci sono io. Non ti lascerò andare o cadere, mai! …" Gli tremava la voce. "Fidati di me!"
Non gliel'avevano chiesto mai. Fidati di me. Non ricordava l'ultima volta che aveva sentito quella frase, non ricordava l'ultima volta che aveva dato un po' di fiducia … Gliela donò tutta, tutta la fiducia che ancora poteva avere, un bacio e basta. E si ritrovò a piangere ridendo.
"Grazie!" le sorrise solo allora il rosso.
Scosse la testa. "A te. Troppo paziente, troppo buono. Quanto ti ho fatto aspettare, eh? Un'eternità!" gli rispose, lasciando crollare le mani in grembo.
"Abbiamo un'eternità, Heather!"
La baciò sulla fronte, lasciandole il suo tempo: pareva guardare incessantemente i baveri della sua camicia bianca, li teneva tra le mani, che dopo un po' scesero, aprendo con attenzione ogni bottone, per poi sfilargli l'indumento e guardarlo, tenendogli una mano sul cuore.
"Scott!" chiamò interminabili attimi dopo. Le prestò attenzione, cercando di dimenticare la sua mano sulla pelle. "E' una vita che non lo faccio!" confessò, tenendo gli occhi bassi.
"Non hai …" Deglutì: non era possibile! "Non hai bisogno di mentire con me."
"Non ti mentirei. Anche se forse …" Parve pensarci, mordendosi il labbro. "Forse non è proprio mai successo! …"
E allora capì meglio, lasciandole un bacio dolce e un sorriso gentile e comprensivo: infondo, nemmeno lui credeva d'averlo mai fatto sul serio. "Capisco, non c'è problema né fretta, Heather." La guardò negli occhi, in quel momento indecifrabili e le diede un secondo bacio, accarezzandola sulla schiena, con dite frementi, per poi stendersi, sotto il suo sguardo stupito.
"Ti trattieni ancora, Scott?" gli domandò la giovane, con un sorriso malizioso.
Lui le sorrise, un po' amaro. "Amore, sei stanca! Dormi, ti prego. E' ancora presto!"
"Io non voglio dormire!" s'impose a quel punto Heather. "Hai detto che volevi farmi stare bene! …" Si morse il labbro.
"Quindi?" Il volto di Scott si stava allargando sempre di più in un sorriso.
"Quindi … butta via il registratore, tanto per iniziare!" giocò, con un ghigno improvviso e maligno, estraendo l'oggetto dalla tasca dei suoi pantaloni e buttandolo con noncuranza a terra. Lo ruppe, grazie al cielo: nessuno avrebbe dovuto sentirla! (Ma lo portava anche ai matrimoni?)
Il ragazzo l'osservò fracassarsi sul pavimento e poi si volse con un ghigno alla Wilson, finalmente tornata in lei, ancora seduta sulle sue gambe.
"E poi," addolcì nuovamente il tono lei, stendendoglisi accanto e tenendo una gamba sul suo corpo e la mano sul suo petto. "voglio stare con te. Fare l'amore con te!" S'alzò un po', per guardare la sua espressione leggermente stralunata. "E' vero che non ho mai fatto l'amore in tutta la mia vita, Scott, non ti ho mentito. Ed è vero anche che sono stata con un sacco di ragazzi, per cui … ti capisco, se  mi credi poco!"
Appena smise di parlare, il ragazzo la portò sotto di sé, trascinandola nuovamente in un bacio più lungo, che le tolse tutto il fiato che aveva in corpo, tanto che subito dopo iniziò ad ansimare, sotto le mani di Scott che le tiravano giù la cerniera dell'abito, per poi toglierlo, voglioso di vederla ancora, eccitato nelle mani e nel corpo per quanto fosse bella.
"Non preoccuparti, amore mio!" le sorrise. "Va bene così!"
Le si avvicinò ed iniziò a succhiarle il collo, lentamente, per poi scendere con baci più dolci, lasciando vagare una mano sulla sua schiena, l'altra intrecciata alle sue dita. Non lasciandola andare mai, tenendola stretta, accarezzando la pelle delle sue gambe, stando chinato minuti sul suo bacino, sul suo petto, ogni tanto strappandole un gemito. Sorprendendola e facendola rabbrividire, a quel trattamento lento. Ogni tanto accostandosi al suo orecchio, per sussurrarle che l'amava, lasciandole un attimo di tregua, per poi baciarla, magari mordendogli leggermente le labbra. Facendola stare bene!
Non si sottrasse mai e si stupì solo quando entrambi si fermarono un buon minuto, completamente svestiti, ad osservarsi, per poi sorridersi, baciarsi, accarezzarsi e stringersi ancora, sempre più vicini.
Lasciando scivolare il tempo, come la pioggia fuori dalla finestra, che batteva ai vetri: le lacrime di brutti ricordi, che nessuno dei due avrebbe lasciato mai più entrare.
 
Duncan e Gwen fecero capolino dal bagno della stanza blu e il ragazzo si rigettò subito sul letto sfatto, guardando alla luce soffusa la sua ormai moglie cercare degli abiti più comodi nell'armadio, ancora completamente svestita.
Ghignò. "Ammettilo! La notte più bella della tua vita!"
"Mi spiace deluderti, Nelson!" lo contraddisse lei, giocosa, sedendosi sul bordo del letto e lasciando che il marito l'aiutasse a rivestirsi.
Lui le mise il reggiseno e poi sbuffò sonoramente, lasciandola andare. "Cosa?! Ma non è possibile! Mi sento offeso!"
La giovane rise ancora, mettendosi a cavalcioni sulle sue gambe e stendendolo nuovamente, dandogli in seguito un dolce bacio. "Scemo!" esclamò. "La più bella è stata quella in cui mi hai chiesto di sposarti!"
Duncan, allora, la rigirò sotto di sé, bloccandola per le braccia e sorridendole, con un sospiro di sollievo. "Mi hai fatto prendere un colpo, Smith! Implora pietà e perdono!" Detto ciò, si mise a farle il solletico, riportandola ad un'altra notte della sua classifica. La lasciò dopo poco, comunque e se la coccolò ancora, per poi aiutarla definitivamente a rivestirsi, seppur controvoglia.
"A che ora abbiamo l'aereo?" domandò la ragazza quando entrambi furono pronti.
"Oh, tra cinque ore." rispose l'altro. "Perché?"
Sorrise maliziosa e si lamentò, come una bimba viziata: "Perché secondo me è troppo presto!".
Si sedette sulle gambe di Duncan, che ricambiò il suo ghigno. "Stare con me ti fa male!"
"O bene!" lo contraddisse lei. "A seconda dei punti di vista."
 
"Buondì Bella Addormentata!" esultò piano Scott, quando Heather aprì finalmente gli occhi.
"Scott, buon giorno!" rispose lei, con un sorriso e stropicciandosi gli occhi. "Che ore sono?" borbottò, sempre mezza dormiente ancora.
"E' ancora presto!" liquidò lui, con un sorriso, per poi stringerla di più tra le sue braccia e mentre il suo corpo reagiva al contatto con lei.
"Scott! Che ora è?" domandò ancora la ragazza, guardandolo di sottecchi, ora decisamente più sveglia.
Il giovane sbuffò. "Uffa! Sono le 11:30." ammise poi, facendo scattare seduta la Wilson. "Cosa?! E tu mi hai lasciata dormire fino a quest'ora?"
"Sì, perché anch'io stavo dormendo, non potevo far miracoli!" rispose, anche lui mettendosi a sedere, leggermente stizzito, per poi fissarla, il corpo nudo sotto le lenzuola.
"Bene. Ora siamo svegli. Andiamocene da qui!"
Si alzò repentinamente, quasi scordatasi di essere nuda e lasciando che il ragazzo l'osservasse e la raggiungesse dopo un paio di minuti, prendendola per i fianchi e facendola sussultare. Parve ricordarsi tutto solo allora.
"Niente doccia?" le mormorò in un orecchio, per poi baciarle una spalla e sfiorarle le labbra con le sue, facendola annuire, in un tacito consenso, quasi timido.
Le prese la mano e la portò con sé, sempre ammirandola, lasciando alle loro spalle la stanza rossa.
 
"Buongiorno!" li accolse la signorina che aveva avuto il turno di notte, nel caso gli sposi avessero avuto bisogno di qualsiasi cosa. "Spero abbiate trovato i nostri servizi di vostro gradimento."
"Molto efficienti, grazie." rispose Gwen con garbo, sorridendo alla donna.
"In tal caso, posso offrirvi una colazione? E chiedervi gentilmente di lasciare una recensione, per noi sarebbe davvero importante!" domandò ancora la ragazza.
"Ma certo, grazie." fece Duncan, per poi avviarsi con la moglie e la donna nell'altra stanza.
Nel frattempo, entrò quella che aveva il turno del mattino e vedendo due giovani, un maschio e una femmina, scendere le scale, andò istintivamente verso di loro, per accoglierli. "Buongiorno! Mi auguro che abbiate trovato piacevole il vostro soggiorno qui!"
Scott e Heather si guardarono e fu la Wilson a capire che doveva averli scambiati per gli sposi, per cui s'affrettò a confermare: "Molto piacevole, grazie."
"Ne sono lieta. Perciò, potrei chiedervi di lasciare una recensione, per favore. Non vi ruberò che un minuto, per noi sarebbe importante!"
"Mi dispiace," esclamò Scott "ma non abbiamo veramente tempo! Sappiate che non abbiamo nulla di cui lamentarci!"
"In questo caso, prego, da questa parte. Prendete pure il taxi e fatevi accompagnare ovunque vogliate! Buona giornata e buona luna di miele!"
Li condusse fuori, dove salirono sul veicolo e partirono per la casa di lei, dove avrebbero fatto colazione e poi … bé, poi c'era tempo per decidere!
La donna li guardò sparire. Rientrò e sgranò gli occhi, nel vedere la vera coppia di sposi, con tanto di vestiti da cerimonia sugli appendiabiti, uscire, accompagnati da una collega, che chiamò un secondo taxi e li congedò con un "Grazie per la vostra cortesia. Arrivederci e buona luna di miele."
"Senti, Zoey: ma quei due erano gli sposi?" chiese.
"Chi vuoi che fossero, scusa?" rispose quella, come fosse ovvio.
"E allora … chi ho accompagnato, io?" si domandò l'altra, ad alta voce, facendo sorgere il dubbio anche alla compagna, che venne accentuato, quando le cameriere confermarono che per la prima volta in vita loro, avevano rimesso a posto due stanze, entrambe parecchio in disordine: la blu e la rossa.
 
Venti giorni dopo …
 
DLIN- DLON!
"Chi rompe a quest'ora del mattino?!" imprecò Scott a voce parecchio alta, facendo svegliare Heather di soprassalto.
"Che dici, torna a dormire!" sbadigliò, girandosi dall'altra parte.
Il ragazzo sbuffò sonoramente, alzandosi ed andando ad aprire, mezzo svestito, ad una Gwen e un Duncan sbalorditi e appena tornati dalla luna di miele. "Ah, siete voi! Ciao, ben tornati! Come state?" Li abbracciò entrambi calorosamente.
"Scott?" alzò un sopraciglio la ragazza.
"Stai … alla grande!" si complimentò anche Duncan.
"Amore, chi è?" li raggiunse la voce di Heather e subito dopo, appunto, Heather, con un asciugamano intorno al corpo. "Ah, siete voi. Ciao, com'è andata la luna di miele?"
"Cosa ci siamo persi? Siamo stati via due settimane!" esclamò a quel punto Gwen, mentre i due amici si scambiavano un'occhiata serena.
"Niente!" le assicurò la ragazza, per poi spalancar loro le porte. "Non è successo niente!"
"Ma prego, entrate … Scusate il disordine!" continuò Scott, facendoli venir dentro un appartamento che non sembrava affatto quello della Wilson, anche solo per l'atmosfera accogliente.
Si scambiarono un'occhiata e decisero che avrebbero chiesto i dettagli più tardi, dopo che Heather e Scott si fossero dati una sistemata, magari davanti ad una tazza di tè in veranda, ridendo e scherzando, lasciando che venissero giù quelle poche gocce di pioggia.
S'accomodarono in salotto, mentre i due andavano a vestirsi.
"Bentornati!"


WRITTEN BY Angelo Nero




§  L'Angelo ritorna  §

E con questo, è tutto finito sul serio ;)
Spero vi sia piaciuto almeno un pochino ^_^
Ringrazio tutti quelli che c'hanno seguite/ recensite/ lette ... Siete magnifici, senza di voi saremo solo due mezze matte che scrivono xD

Ma soprattuto grazie a quella mezza matta di Stella che, in ordine sparso:
- mi ha fatto ADORARE lo Yaoi (prima sapevo a malapena cosa volesse dire Yaoi xP);
- mi ha insegnato a scrivere capitoli un po' più lunghi;
- mi ha insegnato a fare introduzioni decenti;
- mi ha insegnato a fare "angoli autore" decenti;
- ha sopportato il mio fluff, i miei arcobaleni e tutto ciò che vi è collegato;
- e ultimo, ma assolutamente non meno importante, mi vuole bene nonostante tutto <3
Adesso lo sai, lascia perdere l'età, perchè mi hai insegnato tanto anche tu, grazie <3

Spero di rileggervi ancora, tutti voi ;)
A presto, magari con altre sorprese ;)

Baci, Angelo





 

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