64esimi Hunger Games

di Catnip_
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo ***
Capitolo 2: *** Reaping Day ***
Capitolo 3: *** To the Capital ***
Capitolo 4: *** The parade ***



Capitolo 1
*** Prologo ***


Salve,
premetto che questa è la mia prima fanfiction, che all'inizio morivo dalla voglia di scrivere, poi non volevo più pubblicarla perchè i capitoli già scritti non mi piacevano più, e alla fine ho ceduto ed eccola qui. Alla fine ho deciso di scriverla più che altro perchè così posso vedere se mi stavo facendo delle paranoie, o se davvero non è un gran ché e devo migliorare il mio modo di scrivere.

Questo è lo scopo diciamo: permettermi di migliorare. Tuttavia sono una persona abbastanza sensbili e sono alle prime armi con efp, quindi vi prego siate clementi xD accetto critiche e consigli, purchè costruttive e con lo scopo di aiutarmi a migliorare il modo di scrivere, non per criticare e basta o offendere. Grazie.

Passando alla storia: anche la protagonista non è nata per una fanfiction. Rain doveva essere un pg per un forum, ma poi ho deciso di non gestire troppi pg e quindi di non crearla, ma non riuscivo a rinunciare all'idea di raccontare la sua versione dei giochi della fame. Dunque eccola qui, calata nei 64° Hunger Games (edizione casuale) a lottare contro tutto: la sua giovane età, una stilista incapace, un mentore che non crede in lei e, al contrario di Katniss, nessun innamorato sventurato con cui far commedia. Si, perchè cercherò di non dare nulla per scontato.

Non ci saranno storie d'amore, scusate ma in un contesto del genere non mi sembravano incoerenti, e poi se ne parla in moltissime fanfiction oltre che nella storia originale, quindi ho deciso di farne a meno, anche perchè Rain ha solo 13 anni e altro a cui pensare essendo un tributo.

Poi avverto che non ho ancora deciso se Rain vincerà xD cioè, sembrerebbe scontato, ma voglio essere coerente con la mia storia: una 13enne non può vincere gli Hunger Games. E poi non voglio che sia ovvio, i pensieri di morte del protagonista (specialmente di un tributo) è una cosa che ho sempre voluto scrivere, quindi non date per scontato che non lo faccia in questa fanfiction.

Insomma, devo ancora decidere, e probabilmente non lo deciderò fino al penultimo capitolo xD quindi sappiate che nulla è scontato.

Passando alla storia: ho scritto e riscritto il solito noiosissimo capitolo sulla mietitura un centinaio di volte, fino ad esserne stufa marcia. Quindi ne metto un estratto, un pre-mietitura (l'unica cosa che ho deciso di tenere) e di riscriverlo l'ennesima volta, in modo diverso. Quello sulla mietitura vero e proprio sarà il prossimo. Per ora vi lascio con la scheda di Rain (si, più o meno quella che doveva essere la sua scheda pg xD) e il primo atto.

Se avete un po' di tempo leggete, e se ne avete un altro po' recensite: mi farebbe molto molto piacere.

Rain Wayland

Descrizione fisica: È una ragazzina dal fisico snello e agile, non altissima e un po' magrolina per via della nutrizione non sempre ottima. Ha lunghi capelli fulvi con qualche sfumatura castana, mossi e abbastanza lunghi. Gli occhi sono grigi come la pioggia da cui prende il nome, grandi e molto espressivi, con una perenne espressione furbetta e arrabbiata.

Descrizione caratteriale: È una ragazzina sveglia, con un bel caratterino. Dotata di una certa furbizia e di uno spirito ribelle, Rain è l'esempio di ragazza scavezzacollo e piuttosto anticonformista. È intelligente, difficilmente qualcosa le sfugge, e l'intraprendenza che la porta a cacciarsi spesso nei guai è la stessa che la aiuta a venirne sempre fuori. È coraggiosa, non si lascia intimidire dalle piccole cose che farebbero piagnucolare una ragazzina, ma se il rischio è degno del nome sa riconoscere il momento di lasciar perdere l'orgoglio e avere il buon senso di non rischiare troppo. Se con chi non conosce inizialmente appare timida è silenziosa, è solo perchè si è fatta una buona impressione della persona che ha davanti e in tal caso le porterà molto rispetto. Sa riconoscere una persona degna di tale rispetto, apprezzarne la compagnia e fidarsi ciecamente. Se al contrario una persona non le va a genio, difficilmente sarà in grado di far buon viso a cattivo gioco: se qualcosa non le piace lo dice, si lascia sfuggire commenti insolenti e diffida di chi le sembra infido o incredibilmente stupido. È molto curiosa, intraprendente e avventurosa, le piace esplorare ogni nuovo posto che trova, anche se potrebbe nascondere dei rischi. È testarda, se si mette qualcosa intesta farle cambiare idea è una versa impresa, e non è detto che ci si riesca dato che è più cocciuta di un mulo. Ha il grosso vizio di non riuscire a tenere a freno la lingua riguardo a commenti bisbetici, né di non reagire alle provocazioni: se qualcuno tocca un tasto dolente del suo carattere non riuscirà a passarci sopra, dovrà rispondere con la sua parlantina pungente. Insomma, è un vulcano di energia difficile da tenere a bada.

Storia: Rain acque in una famiglia non molto ricca del distretto 7. La madre lavorava nella cartiera del distretto, dove si produceva il materiale per Capitol City, il padre era uno dei numerossimi tagliaboschi che procuravano la legna per la cartiera. Entrambi mettevano molto impegno nel loro lavoro, facevano di tutto per garantire una vita felice ai loro figli, Matthew e Rain. Matthew aveva 12 anni e Rain 3 quando una forte epidemia colpì il distretto, portandosi via la loro mamma. Dopo la morte della madre i soldi iniziaroo a calare e il padre, Adam Wayland, dovette raddoppiare le ore di lavoro per portare a casa una quantità sufficiente di soldi per mantenere tutti e tre. Matthew aveva solo 12 anni e la mattina andava a scuola, così il padre doveva portare Rain con sè nei boschi. Fu per questo che lei si abituò sin da piccola all'ambiente della foresta. Dopo la scuola però Matthew era molto d'aiuto, si prendeva cura della sorellina molto amorevolmente, divenendo molto protettivo nei suoi confronti e facendo si che potesse sempre contare su di lui. Matthew iniziò ad esplorare i boschi del distretto: essendo controllati da Capitol City e frequentati da un gran numero di persone, che vi lavorava tutto il giorno, fu difficile poterne sfruttare personalmente le risorse, ma alla fine ci riuscì: trovò un'area reputata scadente, e per questo piuttosto ignorata. Lì imparò a riconoscere le bacche velenose da quelle commestibili, così come i funghi e le erbe medicinali. Inventò alcune semplici trappole che non sempre funzionavano, e a poco a poco iniziò a portare a casa ogni giorno qualcosa da mangiare. Inizialmente erano solo scarsi bottini costituiti da erbe, bacche, frutti e funghi, qualche occasionale scoiattolo o uccello, e in primavera le uova che raccoglieva dai nidi degli uccelli. Ma a 16 anni era ormai esperto di sopravvivenza, conosceva tutti i segreti del bosco, e siccome Rain aveva ormai 7 anni decise di portarla con sè. Iniziò a istruirla su tutto ciò che aveva imparato, e lei imparava in fretta poichè era attratta dai boschi ed era sveglia. Le insegnò le piante e le bacche commestibili e quelle medicinali, ad estrarre radici e fibre di corteccia, a costruire semplici trappole per catturare gli scoiattoli. Furono anni dove Rain patì la fame, ma imparò a cavarsela. Raggiunti i 19 anni Matthew andò a svolgere lo stesso lavoro del padre, ormai non più tanto giovane. Così Rain, che aveva ormai 10 anni, iniziò ad andare da sola nei boschi. Era piccola ma intraprendente, la forza che non aveva nel fisico l'aveva nel carattere, e imparò presto a cavarsela. Suo fratello le aveva lasciato molte conoscenze, e un coltello costruito con un pezzo di corno di cervo (non le disse mai come lo aveva avuto) e con un pezzo appuntito di ossidiana. Quindi, oltre a raccogliere le solite cose, Rain sperimentò nuovi sistemi: esplorò la foresta in cerca di nuovi luoghi con possibili risorse, inventò nuove trappole che le consentirono una caccia più sicura e prede lievemente più consistenti degli scoiattoli, sfuttò il suo coltello in ogni modo possibile per trovare qualcosa da mangiare anche nei periodi più duri, come l'inverno. Essendo abituata a stare nei boschi sin da molto molto piccola era agilissima, in primavera si arrampicava fin sulle cime degli alberi per prendere le uova degli uccelli e, se ci riusciva, catturarne qualcuno da mangiare. Era uno spirito libero e avventuriero, quindi quando eslporava i boschi le piaceva farlo nel modo più spericolato possibile: saltando i tronchi caduti e i massi, attraversando i ruscelli saltellando sui sassi, arrampicandosi sugli alberi e lanciarsi da uno all'altro. Ma i boschi del distretto 7 erano costantemente controllati dai pacificatori, e molte persone vi lavoravano, quindi non era affatto facile svolgere la sua attività selvatica senza farsi scoprire, specialmente per Rain che non si accontentava di restare nella zona trovata da Matthew, ma si spingeva ogni volta più in là. Quindi, forzata dal bisogno di stare all'erta, Rain sviluppò l'udito e la vista, i riflessi scattanti, la mente sempre vigile, imparò a muoversi furtiva e a nascondersi. Diverse volte venne beccata, ma riuscì sempre a cavarsela: un po' affrontando con coraggio le punzioni dei pacificatori (con cui si mostrava piuttosto sfrontata) o guadagnandosi l'aiuto dei colleghi del padre, che ormai a conoscenza della sua attività selvatica non segnalavano mai la sua presenza ai pacificatori. Dopo anni di esperienza, Rain divenne una vera esperta dell'arte di cavarsela, e tutto ciò divenne per lei una routine. In breve imparò altre cose a quelle che le aveva insegnato il fratello: inventò nuove piccole e ingenose trappole (anche se non ebbe mai l'occasione di sfruttarle, dato che nei boschi del distretto c'erano ben pochi animali) imparò a riconoscere gli alberi e qualche roccia. Ben presto si rese conto che nel distretto non c'era traccia di ossidiana, nè tantomeno di cervi, quindi dove aveva costruito il coltello Matthew? Un pensiero le si insinò nella testa: i boschi fuori dal distretto. Le aveva sempre raccomandato di non andarci, ma a questo punto era chiaro che lui invece vi era andato più volte. Dopo non poche incertezze, Rain decise di andarci, ma trovò la rete eletrizzata a impedirle il passaggio. Capendo che non avrebbe potuto oltrepassarla, iniziò a chiedersi come avesse fatto il fratello. Purtroppo non si ripresentò mai l'occasione buona, anche se Rain continuò a sperare, conscia ma noncurante del pericolo che avrebbe corso recandovisi di nascosto. Così continuò a cavarsla sempre nello stesso modo, raccogliendo quanto il bosco poteva offrire e prendendo, come il fratello prima di lei, tante tessere per la mietitura... Grazie all'aggiunta dello stipendio di Matthew, alle tessere che iniziò a prendere Rain e alla sua attività nei boschi, la situazione migliorò. Le risorse economiche aumentarono, la famiglia ebbe sempre qualcosa nel piatto e non patì nè fame nè povertà, e pur non avendo una vita facile Rain iniziò a non essere più la bambina magrolina e malnutrita che era prima...

 

- Prologo -

Rain Wayland, Distretto 7

Ore 11:00, Boschi del distretto 7

Il sole filtrava tra le foglie, il vento non si faceva sentire.

Nel bosco non c'era rumore, nessuna motosega, nessun camion, nessun tagliaboschi all'opera.

Tutto taceva, come in pausa dalla normale vita, come trattenesse il fiato per la mietitura.

Il giorno del destino.

Il giorno che ogni anno arrivava puntuale a portare terrore tra i distretti, che cercavano di mascherarlo con bei vestiti e piazze agghindate. Come se tutto ciò, perchè estraneo alla normalità, potesse prevalere su quel timore anch'esso estraneo alla normalità, ma ricorrente e incancellabile.

E proprio alla normalità si aggrappava Rain, come fosse il mezzo per sfuggire al destino.

Quando Matthew la trovò era sul suo solito albero, nella solita zona di bosco, seduta su un ramo ad intagliare un legnetto con il suo coltello di corno e ossidiana.

Il ragazzo sorrise, e con voce pacata le disse:

- Avanti diavoletto, scendi da quell'albero e vieni a casa -.

L'espressione della ragazzina non cambiò minimamente, e continuò a movere il coltello con la stessa procedura decisa, come se non l'avesse sentito.

Matthew, sbuffando, lasciò perdere ogni tentativo di restare calmo.

- È il giorno della mietitura Rain! Devi venire a casa a prepararti -.

La lama di ossidiana del coltello di Rain continuava a intagliare il pezzo di legno, continuando imperterrita in quella serie di movimenti meccanici, piccoli ma rapidi e precisi.

- Non mi importa della mietitura – rispose lei senza alzare lo sguardo – e nemmeno degli Hunger Games. Preferisco rimanere qui che recarmi in piazza ogni anno come un animale ammaestrato -.

Il tono divenne esasperato.

- Avanti, devi venire a prepararti. Una volta tanto potresti comportarti da ragazza normale?

Rain alzò lo sguardo e guardò il fratello come fosse un adultero: era venuto nei boschi senza i suoi soliti stivali di cuoio, indossava le scarpe buone, i pantaloni scuri e una camicia di seta. Lui si era tirato a lucido per la Mietitura.

- Perchè dovrei vestirmi bene per un giorno come questo? - chiese – odio gli Hunger Games, che senso ha agghindarsi di tutto punto per festeggiarli?

Non le rispose.

Solitamente non avrebbe insistito, quando Rain aveva una giornata no e sfogava le sue idee ribelli conveniva lasciarla stare, aspettando che capisse di non poter far nulla e si zittisse.

Ma la mietitura era sempre una giornata no, e per quanto si sforzasse prima o poi avrebbe dovuto obbedire.

- Su avanti, scendi da quell'albero.

Alzando gli occhi al cielo e sbuffando, Rain scavallò le gambe e ripose il coltello nel buco dell'albero. Gettò in mezzo all'erba alta il legnetto che stava intagliando e scese dal ramo con un balzo di notevole agilità, affrontato con disinvoltura.

Vedendola camminare con ampia falcata e testa alta, a Matthew quasi venne da ridere: eccola li il suo diavoletto dai capelli rossi, aspirante ribelle del distretto 7.

Lo raggiunse e gli passò di fianco senza dir nulla, dirigendosi a passo di marcia lungo il sentiero. Sospirando, Matthew la seguì a distanza.

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Capitolo 2
*** Reaping Day ***


- Mietitura -

Today, fate play dice with our lives

 


 









Rain fissava la propria immagine nello specchio.

Gli occhi fissi nelle iridi del suo riflesso, grigie come una tempesta di pioggia.

Sembravano così grandi e così belle, su quel viso da bambina.

Era lei, ma non era lei. Il viso dai tratti ancora infantili sembrava più dolce, privato della solita aria furbetta e dello sguardo corrucciato.

I capelli rossi che tanto amava, di solito sciolti in una chioma ribelle, erano legati in un tenero chignon, che le incorniciava il viso in modo differente. Così risaltavano gli occhi, gli zigomi alti, i lineamenti morbidi.

Non era mai stata vanitosa, ma non riusciva a smettere di fissare quell'immagine. Era lei, ma non era lei.

Per non parlare poi del vestitino: corto, così che fosse libera di muoversi, ma incredibilmente fine. Di pizzo, rosa confetto, con un nastrino nero in vita.

Era un vestito che il diavoletto dai capelli rossi non avrebbe mai indossato, che non le si addiceva, ma -cosa strana- le piaceva.

Forse era quello che non riusciva a spiegarsi: non riusciva a staccare gli occhi da quell'immagine di sè stessa perchè le piaceva.

Alla fine era un'altro effetto della mietitura: riportava alla luce gli aspetti più umani di ognuno di loro. La paura, il folle terrore di incontrare un destino difficile. L'affetto, l'affetto per i famigliari, per gli amici, per il luogo in cui si è nati. Lo spirito di ribellione, la rabbia verso chi ci opprime. E anche il semplice e frivolo piacere di indossare, una volta all'anno, qualcosa di carino. Di essere carina.

No, quella non era lei. Rain Wayland indossa aderenti pantaloni di cuoio, maschili, e i suoi capelli non sono un dolce chignon da brava ragazza: sono una zazzera spettinata di fili ramati, pieni di foglioline, rametti, e quant'altro.

Distolse lo sguardo dallo specchio e uscì dal bagno sbattendo la porta.

Fuori la attendevano, con aria interrogativa dipinta in volto, Matthew e il vecchio padre Adam.

- Andiamo. - rispose lei semplicemente.

Non rispondendo alle domande non espresse, ma ben chiare nelle loro espressioni, Rain aprì la porta della piccola e sghangerata casetta di boscaioli e si diresse in piazza a passo di marcia.

 

 

 

Ore 12:00, Piazza

Rain arrivò in piazza senza un minuto d'anticipo.

Camminava a passo svelto, per quanto le scarpette -che non era abituata ad indossare – glielo consentissero.

Era pieno di persone, davanti a lei un'enorme massa di ragazzi e ragazze, tutti ben vestiti e pettinati, sfilava a testa bassa davanti ai pacificatori che pungevano loro il dito.

Non appena fece il suo ingresso, si sentì osservata.

Molte facce si girarono verso di lei, alcune conosciute, altre no, alcune la notarono semplicemente per il suo lieve ritardo, altri scrutando senza ritegno la nuova pelle della ragazzina ribelle.

Non aveva mai dato peso a chi la guardava così, gli passava davanti a testa alta, orgogliosa del proprio spirito ribelle, della propria lingua bisbetica e della chioma fulva che, intrisa di rametti e foglioline, tradiva la sua attività nei boschi.

Ma ora, con il corto vestitino di pizzo rosa, lo sguardo da bambina e i capelli raccolti, si sentiva improvvisamente nuda, troppo femminile per il suo solito, e troppo poco ribelle per non riuscire a credere “normali” quegli sguardi.

Sbuffando, si mise in coda per farsi pungere il dito.

La massa di ragazzi che la circondava ricordava un gruppo di detenuti portati al patibolo. D'altra parte, non c'era paragone migliore per descrivere la mietitura. Ragazze bellissime nei loro candidi vestiti, rovinate dall'espressione triste e lo sguardo chino. I ragazzi più spavaldi piegati anche loro dalla paura, dal terrore che i dittatori esercitavano sul popolo sottomesso.

Non riusciva ad avere paura Rain, provava solo rabbia. Forse perchè l'idea di essere estratta non la toccava veramente. Funziona anche un po'così per chi non ha mai avuto a che fare con gli Hunger Games in famiglia, si comincia involontariamente a credere che sia una sciagura che capita agli altri, non a te, che tu sarai destinato a vedere gli altri morire e ad odiare sempre di più chi muove i fili di quella triste commedia.

Prese a guardarsi intorno, osservando tristemente i numerosi ragazzini che si radunavano davanti al palco, notando i loro occhi imploranti guardare la boccia colma di biglietti, e leggendo sui volti dei loro genitori la preoccupazione.

Erano tanti i dodicenni che affrontavano per la prima volta la paura della mietitura, si erano tutti radunati in prima fila, alcuni si tenevano per mano, altri fissavano la gente sul palco.

Così come erano tanti i diciottenni, che ormai abituati a quella preoccupazione, speravano ardentemente di poter scampare anche l'ultimo anno, ed esentarsi definitivamente da quell'incubo.

La fila che aveva davanti procedette velocemente, poichè erano rimasti in pochi, e Rain si trovò davanti ai pacificatori.

Le punsero il dito, strappandole una smorfia, poi la lasciarono andare.

Si fece strada tra la folla e andò a mettesi vicino a quelli del suo anno, appena in tempo per l'inizio dell'inno.

Il solito noiosissimo inno, che non avrebbe potuto essere più falso.

Di certo Capitol City non credeva davvero che i distretti si bevessero quella roba, era solo un altro modo per prenderli in giro, un modo per mostrare che loro potevano tutto, che si accorgevano delle ingiustizie che facevano ma che non gliene poteva fregare di meno.

Non era la sola a non ascoltare, altri accanto a lei fissavano la boccia colma di pezzi di carta.

Pezzi di carta con dei nomi scritti sopra, estratti da una sottospecie di folletto bizzarro di nome Daphne: ecco a cosa era affidato il loro destino. Roba da pazzi.

Finalmemte quello srazio terminò, e Daphne si avvicinò alla boccia camminando impettita sui suoi tacchi alti.

Dio com'era ridicola quella donna...

Come ogni anno, per l'occasione della mietitura nel distretto dei boschi, si era vestita di verde.

Quest'anno indossava un abitino che sembrava di cartapesta, verde muschio, con un enorme fiocco sul retro della gonna, tanto grande che si vedeva anche guardandola di fronte.

Sopra i capelli, biondi e ricci, indossava un cappello che sembrava di corteccia di betulla, con pendagli qua e là a forma di foglie.

Per non parlare del trucco, verde ed esagerato....più che una donna sembrava un folletto.

Esibendo un sorriso smagliante, -il folletto- Ophelia si avvicinò alla boccia, ed esclamò con voce acuta:

- Bene bene, siamo pronti per estrarre i nostri coraggiosi volontari!

Tsk...volontari...

- Come sempre, prima le signore!

Rain la osservò fare ancora un passettino su quei tacchi vertiginosi, per sporgersi e allungare la mano dentro la boccia.

Fissò la sua mano girare sulla marea di biglietti, col chiaro intento di aumentare la suspance.

Gli occhi grigi della ragazza la fissavano con decisione e con rabbia, ma in realtà aspettava solo di sentire quel nome, quel nome che per un altro anno le avrebbe risparmiato gli Hunger Games.

Ci saranno state poco meno di un migliaio di nomine, di cui solo 8 erano sue.

13 anni, 8 nomine.

Una morsa di tensione le prese lo stomaco: poche, molto poche, le possibilità di essere estratta erano minime, ma non inesistenti. Quello era il momento in cui anche i più spavaldi cedevano alla paura, al terrore folle.

Il momento in cui le dita di Daphne aprivano il biglietto, il momento in cui le sue labbra lucide di rossetto si aprivano per pronunciare quel nome, quello era il momento in cui il mondo tratteneva il fiato.

Finalmente l'odiosa vocetta di Daphne ruppe il silenzio disumano che si era formato, annunciando il nome della fortunata.

Rain Wayland.

 

 

 

Rain Wayland.

Quello era il suo nome.

Si guardò un attimo intorno, disorientata.

No, non poteva essere vero, quello era solo uno dei suoi incubi. Adesso si sarebbe svegliata, il palco sarebbe sparito e...e...No!...non poteva essere lei.

Rifate, ripescate, dev'essere un altro nome, non posso essere io! No no no no no...!

Si accorse che tutti si erano voltati a guardarla, Daphne le sorrideva con quella sua stupida smorfia, la gente si stava spostando per farla passare.

No, quelle erano cose che succedevano agli altri, lei aveva solo 8 nomine. Il suo destino era guardare quelle oscenità in televisione, soffrire per i compagni di distretto, non partecipare.

Si accorse che il suo cuore stava battendo a mille, che il suo battito sovrastava tutti i suoni, i mormorii della gente, le paroline frivole di Daphne che la invitava a salire.

Era vero. Non era un'incubo.

Lei, Rain Wayland, era appena divenuta il tributo femmina del distretto 7 dei 64° Hunger Games.

Deglutì, e camminò lentamente verso il palco.

Si vide sul piedistallo della cornucopia, con l'ansia alle stelle, pronta a correre verso quel bagno di sangue. Si vide con un coltello in mano, guardare negli occhi qualcuno che aveva appena ucciso, con un vuoto sapeventoso nello stomaco.

Si vide a terra, senza scampo, mentre un favorito le correva incontro brandendo una spada, sentì la lama conficcarsi nel ventre, un dolore lancinante, la vita che l'abbandonava...

Si vide negli Hunger Games, quello era il suo destino.

Le gambe parevano di piombo mentre saliva i gradini, dirigendosi verso una sorridente Daphne che le allungava una mano.

Non sentiva ciò che le diceva, non riusciva nemmeno ad odiarla, sentiva solo il grosso peso della situazione che incombeva su di lei.

Nel distretto 7 non c'erano favoriti, tutti temevano gli Hunger Games, nessuno si sarebbe offerto volontario al suo posto. Niente e nessuno avrebbero potuto salvarla ora.

Cercò di non piangere, ma non dovette sforzarsi: il vuoto che aveva dentro era troppo forte persino per le lacrime.

Cercò di scacciare l'espressione sgomenta che aveva in viso, di mostrarsi forte, ma i suoi muscoli facciali erano come bloccati.

Non ascoltò una parola di quello che disse Daphne: lei guardava in fondo, nella fila degli uomini. Matthew era avanzato di qualche passo, stava venendo verso il palco, suo padre non riusciva a vederlo.

Poi un nome la riportò alla realtà:

- Ethan Shane!

Si voltò di scatto, e vide il ragazzo che sarebbe stato suo compagno di sventura. Capelli castani, fisico robusto, e il suo stesso sguardo disorientato: era sicuramente più grande di lei, sui 17 anni. Lo guardò mentre saliva sul palco: non lo conosceva, ma era quasi triste per lui, ora erano compagni di uno stesso destino.

Ophelia fece stringere loro la mano, e Rain incrociò il suo sguardo. Occhi ambrati, profondi, oscurati da un velo di tristezza che, ne era certa, c'era anche nei suoi.

- Eccoli qui, i tributi del distretto 7 per i 64° Hunger Games: Rain Wayland, e Ethan Shane!

Migliaia di facce tristi si levarono a guardarli, chi sconsolato, chi sollevato di non essere al loro posto. Era così tutti gli anni, loro erano solo i malcapitati di turno. A nessuno importava chi fossero, pensava solo “poveri ragazzi” e nascondeva il sollievo con un cenno di dissenso, uno sguardo impotente volto all'asfalto della strada.

Rain non desiderava altro di essere portata dentro al più presto, perchè faticava a reprimere le lacrime. No, lei non era un tributo qualunque. In quel momento voleva solo veder l'affetto del suo distretto, un ultimo incoraggiamento da portare con sè, ma non arrivò.

Si chiese se tutti i tributi prima di lei avessero provato la stessa cosa, un tragico protagonismo che non vedevano rispecchiato nella reazione della folla. Era del loro destino che si parlava, della loro vita e -molto più probabile- della loro morte. In pochi sarebbero stati veramente colpiti chi fossero i tributi estratti, erano solo le vittime di turno.

Cercò con gli occhi suo padre, e quando lo trovò volle non averlo mai fatto.

I loro occhi si incontrarono, grigi etrambi, e pieni di tristezza.

Quello sguardo di tristezza era dipinto su tutto il suo volto, segnato dalle rughe e dal tempo, ma che sempre era stato pieno di vita. In quel momento Rain capì quante ne avesse passate suo padre in quegli anni, quando avesse sofferto: prima sua madre, strappata alla vita da una malattia, ora lei, estratta per gli Hunger Games.

Quando ormai gli occhi le stavano diventando lucidi vide Matthew, che era riuscito a farsi strada tra la folla fino ad arrivare al palco, e ormai li separavano soli pochi metri.

Lui alzò lo sguardo, lei fece un passo in avanti, poi un pacificatore la portò via.

 

 

 

 

Venne cacciata dentro a forza, spinta dal pacificatore che la trattava come una marionetta priva di capacità di movimento.

In altre occasione avrebbe protestato, ora no.

Era troppo sconvolta.

Si concesse un attimo per guardarsi intorno: era in una stanza piccola, dall'odore di chiuso e scarsamente illuminata, con un divanetto rosa antico alla sua sinistra.

Era la stanza degli ultimi saluti.

Camminò un po', portandosi davanti alla finestra.

Non sapeva cosa pensare, non riusciva a ragionare, l'unica immagine che le veniva in mente era quella pensata prima mentre saliva le scale.

La cornucopia, la tensione, l'omicidio, la morte...

Si prese il viso tra le mani, lasciando finalmente uscire le lacrime.

Pianse in silenzio, senza un singhiozzo nè un rumore, semplicemente pianse.

Lasciò che le lacrime rigassero il suo volto, che scorressero sulle sue guance come una torrente, imperterrito nel seguire il suo corso.

Perchè....perchè proprio a lei? Aveva sempre odiato così tanto gli Hunger Games, non avrebbe mai immaginato di venire davvero estratta.

Ora come avrebbe fatto?

Era agile è vero, e veloce anche, ma aveva solo 13 anni...

Sapeva arrampicarsi sugli alberi, correre nel bosco, riconoscere piante e bacche, costruire semplici trappole per scoiattoli...ma sarebbe bastato nell'arena? Cosa avrebbe potuto un po' di esperienza nei boschi contro le armi dei favoriti?

La sua morte era segnata, era inutile negarlo...

Ma perchè...perchè doveva morire così? Perchè! Dentro di se, il suo spirito ribelle prese il sopravvento su tutte le altre emozioni, si accese come fuoco. No, lei non sarebbe morta.

O forse sarebbe morta, ma non avrebbe sprecato 13 anni di vita per morire in un Hunger Games. L'odio verso Capitol City non era mai stato tanto forte quanto in quel momento, la frustrazione e l'ira alimentarono quel fuoco che si era acceso dentro di lei fino a far divampare un vero e proprio incendio. Voleva rompere qualcosa, doveva rompere qualcosa o avrebbe finito per strapparsi tutti i capelli. Riniziò a piangere, lacrime salate, lacrime di frustrazione e di rabbia, lacrime liberatorie. Era triste, sconvolta, ma non più persa in sè stessa. Ora aveva quella fiamma nel petto, le pareva quasi di sentirne il calore, quella fiamma che sarebbe stata la sua guida: qualcunque cosa avrebbe fatto, qualunque cosa sarebbe successa, avrebbe lottato con le unghie e con i denti per non morire invano. Era stata condannata a dei giochi tanto crudeli, almeno aveva il diritto di provare a sopravvivere.

Scacciò le lacrime, si asciugò gli occhi con la manica del vestito e si sforzò di cambiare espressione: primo passo, non mostrarsi debole.

Non doveva essere pessimista, aveva già un vantaggio contro chi veniva dal 10 o dal 12, un'abilità che compensava con la sua giovane età, una forza di spirito che sostituiva quella fisica. Sarebbe stato sufficiente? Probabilmente no, ma se lo sarebbe fatta bastare.

- Pap...!

Si voltò di scatto, aspettandosi di veder entrare Matthew e suo padre, ma non erano loro.

Era Ronald, un vecchio amico del padre.

In un certo senso si stupì di vederlo li per lei: l'altro ragazzo, Ethan, lavorava da poco con loro, pensava fosse andato a salutare lui...

Era uno dei tagliaboschi che lavorava vicino alla sua zona di bosco, ogni giorno la incotrava, e anzichè denunciarla ai pacificatori la salutava con un amichevole “Heilà Rain!”

Quante chiacchierate avevano fatto, quante volte l'aveva coperta con i pacificatori...!

In fondo, Ronald era un vecchio amico.

Entrò nella stanza quasi trascinando i piedi, tenendo la testa bassa.

La ragazza gli si avvicinò, e timidamente lui tirò fuori qualcosa dalla tasca.

- Io...ecco io ho pensato che...beh, tutti i tributi hanno un portaforuna no? Pensavo che anche tu ne volessi uno, qualcosa...qualcosa che ti ricordasse il tuo distretto...

Tirò fuori dalla tasca un sacchettino sbiadito, e lo aprì con mani tremanti.

Ne tirò fuori un a collana, un ciondolo di giada, verde, come la sua amata foresta.

Rain restò a bocca aperta.

- Era di Rebecca...vorrei che lo avessi anche tu – le disse.

Per poco non si commose.

Rebecca era la figlia di Ronald, morta molti anni prima negli Hunger Games.

Quel ciondolo era il suo portafortuna, probabilmente l'unica cosa che gli avevano restituito di lei.

- Ronald...grazie, non sai quanto ti sia riconoscente -.

Il vecchio e la ragazza si abbracciarono:

- Sii forte diavoletto, ti aspettiamo tutti qui al 7. Faremo di tutto per aiutarti, tu torna vincitrice – le sussurrò, poi un pacificatore venne a prenderlo e lo portò via.

 




Era commossa.

Si rigirava tra le mani il ciondolo di Rebecca, capendo quanto fosse importante il gesto di Ronald. E poi quella frase...sii forte diavoletto, ti aspettiamo tutti qui al 7...davvero pensavano che ce l'avrebbe fatta? Faremo di tutto per aiutarti, tu torna vincitrice...probabilmente no, ma a quanto pare nessuno si era ancora rassegnato all'idea di vederla morta.

In quella collana sentì tutto l'affetto del suo distretto: era il portafortuna perfetto, ovunque fosse finita le avrebbe ricordato che tutti contavano su di lei.

Mentre rinfilava in tasca il sacchettino, la porta si aprì di nuovo.

Come un fulmine, Matthew entrò di slancio, e lei si gettò tra le sue braccia.

Tutti i tentativi di non piangere andarono a farsi benedire.

- Matthew io... - iniziò a dire, scoppiando in lacrime.

No, dov'era finita tutta la determinazione di prima? Possibile che il solo vedere il fratello le provocasse tanto dolore? *Forse perchè non lo rivedrai mai più...*

- Shh...ascoltami – le disse.

Le prese il viso tra le mani e la guardò negli occhi, fissando le sue iridi verdi in quelle grigie di lei. Erano così belli gli occhi di Matthew...ricordavano la foresta, racchiudevano in quel piccolo cerchio di pochi millimetri tutte le sfumature di verde che la foresta poteva offrire.

C'era il verde acceso e brillante dell'erba di primavera, quello scuro degli aghi di pino che riempivano il paesaggio invernale, persino il verde del muschio, che sembrava riportarle alla mente la freschezza delle sue minuscole e morbidissime foglioline.

- Tu puoi farcela. Non importa se sei solo una ragazzina, tu conosci i boschi e...

- Ma se l'arena non è un bosco?

- Gli alberi ci saranno, devono esserci, tutte le volte che non li hanno messi la gente moriva nel giro di due giorni: una zona di bosco ci sarà.

- Ma Matthew io...

- Shh! Ascoltami Rain. Ricordati tutto quello che ti ho insegnato, costruisci trappole, imparane di nuove, cerca di evitare la cornucopia e procurati piante e bacche, poi...

- Matthew...

- Trova qualcosa per scaldarti, dormi sugli alberi, non scendere mai a terra e non farti trovare dai favoriti...

- Matthew...

- Non ti fidare di nessuno, non cercare alleati, bada a te stessa, tu puoi farcela, lo sai e...

- Matthew!

Il ragazzo ammutolì.

Rain lo guardò negli occhi, lucidi come i suoi. E in quel momento si rese conto della cosa più importante di tutte, della difficoltà più grave, al di sopra della sua giovane età, dei muscoli dei favoriti, del sadismo degli strateghi:

- Io non sarò in grado di uccidere nessuno... – gli sussurrò.

Lui fece un grosso sospiro.

- Rain...non devi per forza uccidere.

- No Matt! Nessuna persona per bene vince gli Hunger Games!

- Si invece...e se non è così, allora dovrai ucciderli. Rain non puoi pensare all'etica in una situazione del genere, tu devi tornare a casa -.

Quelle ultime parole erano così colme di decisione, di forte determinazione, quasi volesse incidergliele nel cervello in modo incancellabile, che la ragazza capì quanto suo fratello tenesse a lei.

Non era come gli altri, che rattristati dalla sua imminente morte la guardavano con compassione e le auguravano buona fortuna, lui credeva veramente in lei.

La ragazza annuì.

Lui tirò un sospiro di sollievo, sollevato dal fatto che la sorella avesse capito, di essere riuscito a farle capire ciò che voleva e di averle dato la determinazione di cui aveva bisogno, e la abbracciò. Rimasero così qualche istante, poi Rain si staccò piano piano e si avvicinò a suo padre. Era in piedi, dietro a Matthew, e la guardava con occhi tristi.

Occhi stanchi, occhi di chi ne ha viste troppe per sopportarne ancora. Era un uomo forte nonostante l'età avanzata, ma avrebbe sopportato anche questo? Con gli occhi colmi di pianto, lo abbracciò. Doveva mostrarsi forte, anche per lui, così represse le lacrime. Il vecchio padre le accarezzò la testa:

- Rain...la mia piccola Rain...la mia donna di casa...

Anche se non aveva un talento per le faccende domestiche, appunto per questo affidate a suo padre, dopo la morte della madre Rain era l'unica donna di casa.

Prima sua madre, poi lei. Il mondo gli aveva portato via troppe persone, ma lui era ancora li, quell'uomo era una persona straordinaria.

- Sii forte papà – gli disse – tornerò.

E mentre lo diceva, si rese conto di crederci davvero: quella non era una consolazione, era una promessa.

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Capitolo 3
*** To the Capital ***


Ciao a tutti^^ Prima di tutto vorrei dire che il ritardo nel pubblicare questo terzo capitolo è dovuto alla vacanza: è estate no? Come tutte le persone normali vado in vacanza, e il mio computer resta a casa, con tutte le storie da scrivere e le cose da fare.

Poi volevo dire un enorme grazie a tutti per le recensioni, sono molto lieta di riceverne e mi infondono ancora più voglia di continuare questa fanfiction. In questo capitolo si scopriranno i nomi e i volti degli altri tributi, così come quelli di Ethan Shane, il compagno di distretto di Rain, e del mentore. Rain invece ho deciso di lasciarla alla vostra immaginazione :P per esperienza i protagonisti sono sempre diversi da come li immagino io, quindi non voglio rovinarvela. Siccome preferisco non muovere i personaggi inventati dalla Collins, escluso Cesar, ho inventato un mentore che non è nè Johanna nè Blight.

Le immagini vi attendono a fine capitolo, buona lettura^^

 

 

- To the Capital -

I treni sono fatti apposta per gli addii: partono piano, lenti...”


 

La mietitura era finita, aveva salutato chi doveva salutare, era ora di andare.

Quest'anno, anzichè guardare triste i malcapitati che salivano sul treno per essere portati via una volta per tutte, era tra quei due. Era lei, questa volta, una dei protagonisti degli Hunger Games. Sembrava così surreale, così impossibile, ancora credeva che un pizzicotto sarebbe bastato per far finire tutto. E invece no. Lei e l'altro ragazzo, Ethan Shane, vennero accerchiati da 6 pacificatori, che li condussero fuori dalla piazza.

Daphne era in testa al gruppetto, affiancata da due pacificatori.

La folla radunata in piazza cercava ancora di vederli, di salutarli, di dire loro qualcosa prima che se ne andassero: erano circondati da un chiasso assordante.

- Via via fateci passare! - strillava Daphne inidgnata – abbiamo un treno che ci aspetta, non possiamo ritardare!

Rain si era asciugata le lacrime, e per non sembrare debole camminava a fianco a Ethan Shane con la testa alta e lo sguardo impassibile. Era in diretta, quella era la prima impressione che i Capitolini avrebbero avuto di lei, non doveva mostrarsi debole. Era solo una ragazzina, doveva far capire fin da subito di essere più forte di quel che sembrava.

Ignorando completamente la folla intorno a lei, procedeva a sguardo fisso seguendo i pacificatori, ignorando persino Daphne e Ethan a fianco a lei. Forse lo faceva anche perchè ogni passo che faceva verso quel treno, ogni metro che si aggiungeva a separarla dalla piazza sentiva il suo distretto sempre più lontano, e guardare in faccia persone che forse non avrebbe mai più rivisto avrebbe potuto essere troppo.

Salirono sul treno, e quando la porta si richiuse dietro di loro vennero isolati dal mondo esterno. Dentro di sè, da qualche parte, il diavoletto dai capelli rossi che Rain era era incredibilmente curioso di scoprire come fosse quel treno, cosa avrebbero fatto ora, quando sarebbero arrivati a Capitol City...ma un'altra parta si rifiutava di guardare il lusso che li circondava, di concentrarsi solo sulla disgrazia che le era capitata. Masochismo? Forse.

Le capitava a volte di arrabbiarsi con sè stessa per lasciarsi distrarre dalla curiosità, che la portava a sminuire l'importanza della situazione.

Ma Rain e Ethan si trovarono davanti uno spettacolo meraviglioso per chi come loro viveva di stenti. Il vagone era più ampio di quel che pensasse, pieno di tavoli imbanditi accerchiati da poltroncine dall'aria comoda. Sui tavoli c'era ogni pietanza possibile e immaginabile: pasticcini, torte, frutta, dolci, salatini, tartine, cupcake, ma anche primi piatti e ogni altro ben di dio immaginabile. Regnava sovrana una gigantesca torta alla frutta.

Ethan e Rain rimasero a bocca aperta.

- Non è meraviglioso? - chiese Daphne entusiasta – tutto questo è a vostra disposione! Naturalmente viaggiando a questa velocità saremo a Capitol City in sole 24 ore, ma intanto potrete godere di tuuuutti i lussi che offre il treno!

Nessuno le rispose, troppo impegnato ad ammirare la tavola imbandita.

- Vado a dire al macchinista che può partire, se incontrate Eddard ditemi che lo aspetto!

Eddard era il loro mentore per quell'anno.

Il distretto 7 aveva attualmente 4 vincitori: Johanna Mason, Lee Blight, Amanda Alistine e, appunto, Eddard Stark, che quell'anno faceva loro da mentore.

Avrebbe preferito Johanna Mason, lei si che era in gamba, ma sempre meglio della vecchia Amanda o di quello scemo di Blight.

La chioma fluorescente di Daphne sparì dietro le porte di collegamento della carrozza, e i due tributi rimasero soli, senza aver ancora aperto bocca.

Fu Rain a rompere il ghiaccio, senza troppo entusiasmo:

- Dov'è la mia stanza? - chiese rivolgendosi ad un senza-voce.

Lui prese la chiave numero 11 e le indicò il vagone a fianco.

- Vado a farmi una doccia – disse lei, fredda e sbrigativa, prendendo le chiavi e uscendo dalla stanza.

Ethan rimase solo.


 


 


 

Daphne chiacchierava vivacemente con il senzavoce che custodiva le chiavi, che ovviamente non poteva risponderle.

Eddard Stark era seduto su una poltroncina, appoggiato comodamente allo schienale, intento a spalmare della marmellata su una fetta di pane.

Ethan, su un divanetto di fronte a lui, tentava di parlargli.

Rain riemerse dalla sua stanza dopo aver fatto un'altra doccia, sciolto i capelli, ed essersi liberata del vestitino. Aveva cercato tra tutti quei vestiti qualcosa che fosse in linea con i suoi gusti, ma il 50% erano altri vestiti eleganti.

Alla fine aveva scelto un paio di comodi leggins neri e la prima camicetta che aveva trovato: verde muschio, come il vestito di Daphne, con le maniche a tre quarti.

Quando le porte automatiche si chiusero dietro di lei, tutti si voltarono a guardarla.

Non arrossì, semplicemente si guardò intorno con aria irritata, quasi sfidandoli a dirle cosa avessero da guardare.

Daphne ci mise poco a perdere l'entusiasmo, e riprese a chiacchierare con il senza-voce, Eddard non le rivolse più di uno sguardo e tornò disinteressato alla sua fetta con la marmellata.

Lei rivolse lo sguardo altrove prima di verificare se Shane invece la stesse ancora guardando.

Vide il paesaggio fuori dal finestrino scorrere ad una tale velocità che distingueva a fatica gli alberi, ma era certa che fossero ormai al confine del suo distretto.

Fece qualche passo verso il finestrino: li avrebbe mai rivisti quegli alberi che le scorrevano davanti a gli occhi? Sarebbe mai tornata a casa? Sarebbe mai tornata in quell'angolo di bosco che era ormai così famigliare da essere una seconda casa, ad arrampicarsi sul pino colpito dal fulmine, a intagliare un legnetto seduta a gambe incrociate sul grosso sasso grigio, ad inseguire quel dannato scoiattolo bruno che ormai era più un amico che una preda...?

Probabilmente no...poteva metterci tutto l'impegno che poteva, ma sarebbe stato troppo difficile per una ragazzina: aveva bisogno di aiuto, e l'unico che poteva aiutarla era seduto dietro di lei, interessato più ad una fetta con la marmellata che ai suoi tributi.

Eddard Stark, non famoso per essere un gran chiacchierone, ma piuttosto sveglio.

Il problema era fargli capire che non era una nullità, perchè il diciassettenne robusto che gli stava di fronte ispirava certamente più fiducia. Era chiaro che, se non gli dimostrava qualcosa, avrebbe scelto lui. Ma cosa poteva dimostrargli? Di conoscere qualche pianta? Di saper arrampicarsi sugli alberi? Ma per favore...iniziava a dubitare di avere una qualche abilità utile.

- Si, forse qualcuno, ma in generale i favoriti sono forti, e quest' anno non sono certamente da meno... - stava dicendo Stark.

Rain si voltò verso di lui, che le dava le spalle, e vide negli occhi di Ethan un tentativo di continuare la discussione su quell'argomento. Forse, se voleva ottenere qualcosa da lui, doveva parlare con quell'uomo prima che iniziasse a prendere il ragazzo sotto la sua ala.

Con andatura sicura raggiunse il divanetto e si sedette accanto al ragazzo, si appoggiò allo schienale e accavallò una gamba, senza mai distogliere lo sguardo dal mentore.

Stark alzò un attimo lo sguardo, senza muovere altri muscoli, e tornò disinteressato alla sua marmellata.

- Ci sono gia i video della mietitura? - chiese Rain.

Il mentore parve non averla sentita.

Beh, non si aspettava certo di essere presa sul serio al primo tentativo.

- Ci sono gia i video della mietitura? - ripetè alzando il tono, mostrandosi decisa nella voce e nel volto. Rivolgendole un altro sguardo scettico, finalmente le rispose:

- Si ci sono gia, ve li mostrerò più tardi...

Continuando a guardarla negli occhi come se la stesse prendendo in giro, addentò la fetta di pane.

Rain non distolse lo sguardo, continuò a fissarlo con decisione: è una sfida Stark? Bene, sappi che io non ci rininucio.

Mi aiuterai, che tu lo voglia o no.


 

Era quasi sera, fuori dal finestrino la luce stava calando, e il cielo iniziava a tingersi coi colori del tramonto. Le scarpe che indossava erano terribilmente scomode, lo notava solo ora che vi appoggiava tutto il peso da circa 20 minuti.

Stark aveva dato loro appuntamento alle 6:30 nel vagone tv, per mostrargli i filmati della miatitura.

Lei era gia li dalle 6:10.

Appoggiata alla parete, con tutto il peso a confluire sui piedi, stretti da delle scomodissime scarpe di tela, guardava fuori dal finestrino. Un rumore alla sua sinista la fece sussultare.

- Già qui? - chiese Ethan accennando un sorriso.

Lei lo guardò negli occhi con il suo fare freddo. *Non devi fare amicizia con lui* di disse * è un tuo nemico. Qualunque legame nell'arena sarà un'ostacolo: solo uno torna a casa. È un tuo nemico...è un tuo nemico...*

- Si, da un po' – rispose atona.

Il ragazzo si appoggiò alla parete di fianco a lei:

- Pare che tu abbia molta fretta di vedere i nostri avversari...

- Si – disse con lo stesso tono impassibile – Stark non mi prende sul serio.

Si accorse di aver rivelato una fragilità che non avrebbe dovuto condividere con nessun avversario, nemmeno col suo compagno di distretto. *Cominciamo bene Rain...*

- Oh, lo farà...

La ragazzina si voltò e lo fissò con i suoi occhi grigi: come faceva a dirlo? La conosceva?

- Sei la figlia di Adam, vero? - le chiese lui, quasi in risposta alla sua domanda.

- Si...

Allora conosceva suo padre, aveva iniziato a lavorare con lui da qualche mese in effetti.

Il pensiero di suo padre la rattristò, e involontariamente abbassò gli occhi, addolcendo lo sguardo duro che si era imposta. Suo padre...l'ultima cosa che aveva visto di lui erano gli occhi stanchi, cosa stava facendo ora? Si ammazzava di lavoro per non pensare a lei?

La porta a fianco a loro si aprì, e Rain si riscosse per tornare ad assumere l'aria determinata di sempre: si infilò svelta nella stanza, prima di Ethan, per mostrare al mentore che era più decisa di lui. Lui era li ad aspettarli, incrociò di sfuggita il suo sguardo, poi andò a sistemarsi su una poltroncina. Lo stesso fecero i due tributi.

Rain accavallò una gamba e si appoggiò allo schienale: era ora di dimostarare al mentore che aveva intenzioni serie.

- Bene, i filmati sono arrivati poche ore fa, mettetevi comodi – disse Stark premendo qualche tasto sul telecomando.

Il primo filmato ad apparire fu quello del distretto 1: sul palco salì una ragazza, una volontaria, dal fisico atletico di una 18enne favorita. Era alta e slanciata, ed incredibilmente bella: aveva lunghi capelli biondi, e sul un viso di porcellana risaltavano le labbra perfette cariche di rossetto, incurvate ad esibire un sorriso furbetto.

- Electra Queen, 18 anni, la classica favorita: bella da mozzare il fiato, pronta ad accoltellarvi alla prima occasione – disse Stark.

Come prima avversaria era tutt'altro che rassicurante, bella com'era si sarebbe guadagnata un sacco di sponsor, e con quel fisico era certamente una favorita di primo livello.

Poi sul palco salì un altro volontario, tra gli appalusi generali.

Era un ragazzo alto e muscoloso, dalla carnagione chiarissima, quasi bianca, come invece erano i capelli: bianchi, così come gli occhi e le ciglia che li incorniciavano.

- Un albino? - intervenne Rain.

- Proprio così: albino. Silver Amethist, 18 anni – spiegò Stark – con tutti quegli applausi è certamente molto popolare nel suo distretto, dev'essere molto bravo -.

E si vedeva: era salito sul palco con una calma impressionante, e salutava orgoglioso quasi fosse già vincitore. Qualcosa nel suo aspetto albino la fece rabbrividire: senza dubbio un avversario pericoloso.

Passarono al distretto 2: sul palco salì un'altra volontaria, una ragazza dal fisico slanciato, i capelli rosso-ramato, lisci, e gli occhi chiari cerchiati da una spessa linea di eyeliner.

- Jade Carter, 18 anni, anche lei una favorita. Fisico da atleta, sguardo deciso...una tosta, non c'è che dire – disse Stark.

Il modo in cui parlava dei loro avversari era incredibilmente irritante: frasi brevi ma significative, pronunciate con monotonia, quasi a intendere che il loro destino era gia segnato.

A segire Jade salì sul palco un ragazzo alto e incredibilmente muscoloso: era una montagna di muscoli, e sembrava anche più grande dei probabili 18 anni.

- Bill Jackson, 18 anni, anche lui un volontario. Beh, il fisico dice tutto... - disse il mentore guardando i suoi tributi con occhio loquace.

Ethan fece una smorfia stupita, Rain continuò a guardare Stark: se non la smetteva di parlare in quel modo non avrebbe potuto dimostargli nulla, non la degnava di uno sguardo!

Passarono al distretto 3, il primo senza volontari.

La sfortunata di turno era una ragazza con i tipici occhi a mandorla, i capelli corti e un fisico decisamente più esile delle precedenti.

- Rosemary Hill, 15 anni, la prima di cui mi pare non dobbiamo preoccuparci... -.

In effetti non sembrava un tipo atletico, e lo sguardo sconvolto e triste con cui era salita sul palco diceva molto sull'approccio timoroso con cui probabilmente avrebbe affrontato gli Hunger Games. Incredibile come da pochi dettagli si poteva capire molto su una persona, ma ovviamente avrebbero potuto sbagliarsi.

Al turno del tributo maschile, salì un ragazzino ancora più piccolo della compagna. Era decisamente mingherlino, anche se alto per i suoi probabili 13 anni, anche lui aveva i capelli scuri e occhi a mandorla spaventati.

- Liam Hawkins, 13 anni, uno degli sfortunati ragazzini di quest'anno. Credo durerà poco -.

Dopo l'iniziale irritazione nel sentire la convinzione del mentore sui ragazzini che durano poco, Rain si riscosse. Quel ragazzino, aveva qualcosa di diverso.

- Ha qualcosa al polso – osservò.

Stark corrucciò lo sguardo e ingrandì l'immagine.

- Un orologio – disse Ethan, non capendo cosa ci fosse di strano.

- No è troppo grande per essere un orologio, e poi emana strani bagliori... - replicò Rain.

Ingrandita l'immagine si vide perfettamente cosa fosse: uno strano orologio dal quadrante quadrato, che si illuminava a intermittenza.

- Un elettroA.C.R... - osservò stupito il mentore.

- Un elettroche? - chiese Ethan.

- ElettroA.C.R. È un dispositivo che si costruisce nel distretto 3, una specie di orologio in grado di rilevare le frequenze elettriche degli apparecchi elettronici circostanti. Mi stupisce che un ragazzino ne possieda uno.... - spiegò Stark - ...dev'essere molto intelligente per saperlo usare, non può essere altrimenti. Acuta osservazione Wayland -.

Sul suo viso apparve un'espressione stupita.

Non importa se l'aveva chiamata per cognome, aveva notato la sua osservazione. Era sempre stata un tipo attento ai dettagli, abilità che aveva sviluppato nei boschi alla ricerca di cose commestibili, se Stark l'aveva notata era un buon segno.

Si ricompose, decisa a non affidarsi troppo a quelle poche parole: erano ancora troppo poco.

Trascorsero così altri 40 minuti a vedere le mietiture degli altri distretti.

Dal 4 altri due favoriti: una ragazza non troppo alta ma molto sicura di sè, con degli strani capelli mezzi blu e l'espressione furbetta, e un 18enne biondo muscoloso quanto i primi due.

Dal 5 una coppia alquanto in contrasto: una ragazza molto bella dai capelli color del miele e un tipo con l'aria da nerd, entrambi sicuramente più grandi di lei ma senza abilità evidenti.

Dal 6 un altro ragazzino, probabilmente anche più piccolo di lei, e una ragazza più grande che però appariva molto spaventata.

Dall'8 una coppia simile alla loro: una ragazzina bionda che pareva della stessa età di Rain, e un ragazzo abbastanza robusto che avrebbe potuto essere il gemello di Ethan.

I tributi del 9 avrebbero potuto essere fratelli, e le fecero abbastanza tenerezza: una ragazza bellissima, con dei lunghi capelli biondi, che Stark giudicò una brutta perdita, e un ragazzino piccolo come i precedenti, biondo, con l'aria da angioletto spaventato.

Dal 10 l'ennesimo ragazzino, forse un po' meno spaventato ma piccolo come i precedenti, e una ragazza bella come la bionda dell'8: viso delicato, capelli scuri e mossi, e un fisico niente male. Strak giudicò anche lei sprecata per gli Hunger Games.

Dall'11 i tipici tributi di ogni anno, di carnagione scura: una ragazza dagli occhi verdi sicuramente poco più grande di lei, e un ragazzo sicuramente molto grande con un fisico da armadio, e l'espressione dura.

Si vedeva che era abituato a lavorare nei campi: trasudava forza da tutti i pori.

Infine dall'12 due ragazzi dalla solita aria da minatori: carnagione pallida e capelli neri.

Lei sembrava abbastanza scossa, ma Stark disse che era sicuramente più abile del compagno, magro e molto schivo.

- Col tempo ho capito che dal 12 ci sono due tipi di tributi: quelli che probabilmente avevano qualche negozio, che mangiavano di più e che di solito se la cavano meglio a giochi inziati, e i morti di fame figli di minatori. Lei è chiaramente del primo tipo, lui del secondo – dichiarò Stark.

Spiazzati da questa categorica classificazione dei tributi del 12, Rain e Ethan non commentarono. Si voltarono verso il mentore, che incorciò le braccia e fece un piccolo resoconto.

- Dunque abbiamo 6 favoriti, più la montagna dell' 11 – disse alludendo al ragazzo muscoloso che avevano visto poco prima – qualche bella ragazza che potrebbe piacere a primo impatto, ma per adesso senza evidenti abilità, e 5 ragazzini -.

Rain face qualche conto: la biondina dell'8, il ragazzino del 3 con lo strano orologio, l'angioletto biondo del 9, e quello del 10.

Quattro.

Capì che tra i “ragazzini” Stark aveva incluso anche lei.

Forse aveva notato la sua acuta osservazione, ma di certo non aveva cambiato idea su di lei: avrebbe certamente puntato du Ethan, ai suoi occhi lei era gia spacciata.

Con in testa tutti i suoi avversari, uscì dalla stanza abbastanza imbronciata, decisa a far di meglio quella sera.


 


 

Rain entrò nel vagone ristorante sotto lo sguardo di tutti.

Era di nuovo l'ultima, ma non aveva la minima voglia di mangiare. Prelibatezze o meno, aveva tutto il diritto di avere lo stomaco chiuso da quella giornata.

Indossava ancora i leggins e la camicetta verde muschio, al contrario di tutti gli altri che si erano ben vestiti, Ethan compreso.

- Rain! Benvenuta cara, su vieni a sederti con noi, ti aspetta un'ottima zuppa! - squittì Daphne.

Con fare timoroso che non le si addiceva, ma causato dall'attenzione che le era stata rivolta, si sedette accanto a Ethan.

- Tutto bene? - le chiese con un sussurro.

No, non andava per niente bene.

Aveva girato il treno due o tre volte, in preda all'ansia: il suo destino era cambiato poche ore prima, era stata estratta per gli Hunger Games insieme ad un ragazzo molto più grande di lei, il suo mentore non aveva la minima fiducia in lei, doveva conquistarsi la sua fiducia, concorrere con un ragazzo che sembrava disposto verso di lei molto meglio di quanto non lo fosse lei verso di lui, e cercare un modo di sopravvivere a 7 favoriti forti e pericolosi.

- Si tutto bene.

Dopo di chè, scese il silenzio. L'entrata della ragazzina imbronciata aveva interrotto qualunque situazione fosse in corso prima, che ora nessuno aveva voglia di continuare.

- Non trovate anche voi che questa zuppa sia deliziosa? - esclamò Ophelia per rompere il silenzio. Di tutte quelle pietanze, l'ultima cosa che si sarebbe aspettata di mangiare era la zuppa, ma quella zuppa aveva un'aria molto più invitante degli inturgli di cipollotto selvatico che mangiava quando non trovava nulla di meglio nel bosco. Prese il cuchiaio e non pensò ad altro fino a che non l'ebbe finita.

Ophelia sembrava voler chiacchierare, Ethan cercava di mantenersi su di morale, ma lei e Stark non erano di molta compagnia. Alla fine però fu proprio lui a rompere il silenzio.

- Dunque, come Daphne avrà detto almeno un milione di volte domani dopo pranzo saremo già a Capitol City. Non avrete tempo per nulla, verrete consegnati al vostro staff e lo stilista vi preparerà per la sfilata. Dopodichè, avremo solo la sera per parlare del vostro addestramento. Quindi credo sia ora di sapere qualcosa di voi: quali sono le vostre abilità?

Rain non credeva alle sue orecchie.

Dopo averli trattati con sufficienza per tutto il giorno, gli chiedeva delle loro abilità?

Cosa c'era nella zuppa? Una polverina magica?

Naturalmente non perse tempo:

- Mi muovo nei boschi sin da quando ero molto piccola, quindi conosco ogni genere di pianta, bacca, albero o fungo. So costruire alcune piccole trappole e trovare ovunque da mangiare. Sono agile – disse con particolare enfasi su queste parole – e ho sensi vigili, attenzione per i dettagli e velocità nella corsa -.

Concluse fiera, con l'espressione di una bambina che ha appena annunciato a suo padre di aver preso un 10 a scuola, soddisfatta nel vedere la faccia basita del mentore.

Forse non del tutto convinto di non avere davanti una bugiarda, Stark rivolse a Ethan uno sguardo scettico, che però confermò le sue parole con un cenno del capo, così si rivolse nuovamente a lei:

- Beh ragazzina, spero per te che sia vero, perchè costituirebbe un bel vantaggio – ammise.

L'espressione -tornata dura- della ragazza accennò brevemente un sorriso furbo e soddisfatto: era fatta, sapeva di cos'era capace, doveva solo dimostrarglielo.

- E tu? - chiese rivolto a Ethan.

- Io...beh, credo di essere abbastanza forte -Stark annuì- e taglio legna, quindi so usare l'accetta, inoltre conosco abbastanza bene i boschi.

Il mentore annuiva soddisfatto.

- Bene ragazzi, partiamo abbastanza bene. Siete preparati sulla sopravvivenza, e questo è un punto di vantaggio. Tuttavia ad accendere un fuoco si impara in fretta, a combattere no, quindi dovrete lavorare sodo. Avremo tempo di parlare dei dettagli nei prossimi giorni, ma intanto dovevo sapere qualcosa su di voi. Potete andare, domani sarà una giornata lunga -.

Detto questo li congedò.

Stranamente Rain si alzò senza aggiungere nulla, ancora incredula di essersi conquistata un po' di fiducia con così poco.

Le credeva? Probabilmente si, ma doveva dimostragli che sapeva fare molto bene le cose che aveva detto, o avrebbe puntato su Ethan, che era più una certezza.

Intanto era un punto di partenza, doveva dare il meglio di sè negli addestramenti, contando sulla testimonianza del suo compagno di distretto, e nella sessione privata.

Se avesse ottunuto un buon voto, non avrebbe potuto far altro che appoggiarla.

Le era piaciuto il modo in cui aveva affrontato la situazione, chiedendo qualche informazione di base sin da subito per confrontare le materie prime di cui disponeva, cioè le loro abilità contro quelle che poteva immaginare rivedendo ogni dettaglio dei filmati della mietitura.

Forse, tutto sommato, Eddard Stark era un buon mentore.


 


 

Arrivata in camera decise che non era il caso di farsi la terza doccia del giorno, così si svestì e gettò i leggings e la camicetta sul pavimento.

Indossò il primo pigiama che trovò nell'armadio e si infilò sotto le coperte, senza darsi tempo di riflettere sul fatto che quella non era la sua solita camera, che rannicchiarsi sotto le coperte non sarebbe servito a nulla, non si sarebbe rasserenata e svegliata il giorno dopo con fiducia sui frutti della sua nuova giornata nei boschi.

No, non la aspettava nessun distretto 7, la aspettavano niente di meno che gli Hunger Games.

Non provò a dormire, consapevole che sarebbe stato uno sforzo inutile.

In quel momento, li tra le quattro mura di una stanza buia, su un treno in movimento verso la grande Capitol City, la gravità della situazione le piombò addosso come un uragano.

La cosapevolezza di essere un tributo, e di stare andando a morire negli Hunger Games, le riempì la testa di tutte le sue paure.

Il tributo femmina del distretto 7 quell'anno era lei.

Il tributo femmina del distretto 7 quell'anno era lei. Questa era la cosa assurdamente impossibile, così surreale e spaventosa, che bastava una breve frase a riassumere tutta la paura che provava, la prospettiva terrificante che aveva visto sin da quando il suo nome era stato pronunciato alla mietitura.

Il tributo femmina del distretto 7 quell'anno era lei.

Quante volte aveva udito altri nomi, visto altri volti piangere, altre ragazze salire sul palco...ora toccava a lei, non riusciva ancora a crederci.

Prima la situazione era troppo incredibile perchè potesse piangere, adesso non potè fare a meno di lasciarsi andare.

Si, scoppiò a piangere, lasciò che con le lacrime si sciogliesse tutta la tensione provata fin ora, e continuò per ore a singhiozzare...piangere...singhiozzare...piangere...singhiozzare...

Qualche ora fa il suo destino erano diventati gli Hunger Games.

La paura di ogni rumore, la fuga da tutti, il pericolo che si nasconde dietro ogni angolo.

Il combattimento, il sangue, la paura.

Le armi, i nemici, la speranza, la paura.

L'ansia, le corse per la vita, la paura.

Era sul treno dei tributi, da alcune ore sarebbe arrivata alla famosa Capitol City.

Per quanto la odiasse, non potè fare a meno di sentirsi curiosa riguardo la sua capitale:

se la immaginava maestosa, moderna, piena di persone bizzare come Daphne, gente pronta a saltarle addosso non appena fosse scesa dal treno, ad applaudire quando avrebbe sfilato su quel carro.......sul carro dei tributi.

Su quei carri neri su cui aveva visto sfilare tante persone, ogni anno, e che poi aveva visto morire una a una. Persone di cui non ricordava il nome, perchè erano tante, troppe, e lei sarebbe stata una di quelle tante persone morte.

Rain Wayland, una ragazzina che ebbe la sfortuna di essere estratta per gli Hunger Games, che morì come tutti gli altri quando venne il suo turno, giusto per riempire un buco nella lista dei tributi dei 73° Hunger Games.

Solo l'idea le faceva schifo.

All'improvviso smise di piangere, e si accorse di quanto fosse arrabbiata. Le rimase solo la rabbia, non un singhiozzo di tristezza, non una lacrima di malinconia. Non voleva essere caricata sul treno come un pacco, spedita a morire dentro un'arena solo per divertire qualche tipo bizzarro. Non voleva essere solo una pedina del loro gioco, una delle tante e insignificanti, quello non poteva essere il suo destino. Essera estratta, sperare in qualche sciocco miracolo durante l'addestramento, essere gettata in un'arena con la paura alle stelle, combattere con una vana speranza nel cuore e, alla fine, morire.

Morire come tanti prima di lei, morire insulsamente, morire e basta. Perchè quello era lo scopo dei tributi, sin dalla loro nascita: morire. Con una debole speranza nel cuore, così fragile che poteva essere spazzata via dal vento con il solo tocco di uno stratega, ma così forte da far lottare dei ragazzi fino alla fine. Fino alla morte, già premeditata dal destino il giorno stesso in cui erano nati.

No.

No! Che cosa orribilmente schifosa, non poteva e non sarebbe stato il suo destino. Non lo avrebbe mai permesso.

Lei era una ribelle, se proprio doveva morire non sarebbe stato invano, avrebbe fatto di tutto per dimostrare a tutti che lei non era una pedina qualsiasi, l'ennesima ragazzina morta nell'arena di una delle edizioni dei giochi.

In quel momento il suo obbiettivo per gli Hunger Games cambiò: aveva solo 13 anni, vincere era una vana speranza, lontana e irraggiungibile, solo una sciocca avrebbe sperato di farcela.

Aveva appena deciso di dimostrare a tutti quanto valeva, quanto non fosse una persona presa a caso tra la massa e spedita a morire.

Quanto fuoco avesse nel cuore, quanta speranza le inondasse lo spirito, quando impegno ci avrebbe messo per sopravvivere.

Quanto non fosse una pedina del loro gioco, quanto potesse cambiare il proprio destino.

Forse anche questa era l'illusione di una sciocca?

- Beh, in tal caso brutta notizia Snow – sussurrò - io sono una sciocca -.


 


 


 

Personaggi:


 

- Daphne http://th04.deviantart.net/fs71/PRE/i/2012/042/2/d/capitol_couture___roslin_by_juniper47-d4pfhtb.jpg

- Eddard http://www.observatordebacau.ro/wp-content/uploads/2014/07/Robert-Downey-Jr.-photos1.jpg


 

- Distretto 1:
Electra Queen http://cs11030.vk.me/u95498171/120424824/x_e2fd28b1.jpg
Silver Lerman https://pbs.twimg.com/profile_images/438730391797522432/ZIguR95t.jpeg

- Distretto 2:
Jade Carter http://brunchforeverymeal.files.wordpress.com/2011/09/emma-stone-600x275-e1314904589686.png?w=584
Bill Jackson http://thesowingroom.files.wordpress.com/2013/08/ashton-kutcher-2013-ashtonkutcher-hd-wallpaper.jpg?w=570

- Distretto 3:
Rosemary Hill http://sp7.fotolog.com/photo/55/21/74/brendasongfan30/1279145432229_f.jpg
Liam Hawkins http://1.bp.blogspot.com/-nrVzv555WvE/UAp2pI25mzI/AAAAAAAABLI/U7LejS8B2Aw/s1600/baekhyun.jpg

- Distretto 4:
Ondine Wilkinson http://image.nanopress.it/donna/fotogallery/625X0/121515/highlights.jpg
Zordan Sea http://s29.postimg.org/vqd5qn6ev/Alex.jpg

- Distretto 5:
Elodie Smith http://cinemabizarre.iboard.ws/uploads/0003/d1/ae/6974-1-f.jpg
Ash Von Wane http://mortalinstruments.org/wp-content/uploads/2012/11/TMI-Simon-030.jpg

- Distretto 6:
Scarlet Williams http://i500.listal.com/image/3131223/500full.jpg
Joshua Lee http://us.cdn281.fansshare.com/photos/austinabrams/austin-abrams-83284949.jpg

- Distretto 7:
Rain Wayland
Ethan Shane http://i17.photobucket.com/albums/b58/sockrgoddess12/Hardy%20Boys/joe_hardy_jeremy_sumpter.jpg

- Distretto 8:
Mia Evans http://img2.wikia.nocookie.net/__cb20111228221554/frenemies/images/2/29/Stefanie-scott1.jpg
Cedric Black http://cs403118.vk.me/v403118553/5a7/gGmWTSX9t6c.jpg

- Distretto 9:
Ayleen Bell http://i111.piczo.com/view/5/4/c/x/e/e/o/4/6/a/k/p/img/i341323019_36731_5.jpg
Luke Miller http://ia.media-imdb.com/images/M/MV5BMTI4ODczODM3Ml5BMl5BanBnXkFtZTcwMzI0NTgyMQ@@._V1_SX640_SY720_.jpg

- Distretto 10:
Linda Middlen http://static.cinemagia.ro/img/resize/db/actor/09/73/76/laura-marano-927793l-poza.jpg
Mike Wood http://static.cinemarx.ro/poze/cache/t26/persoane-poze/2009/02/Adam_Zolotin_1234794594_1.jpg

- Distretto 11:
Christine Moore http://ia.media-imdb.com/images/M/MV5BMTU3MTYyNzk5M15BMl5BanBnXkFtZTcwNjQzNDM3NA@@._V1._SX290_SY436_.jpg
Odd Avenue http://i40.photobucket.com/albums/e204/jessmunkee/Chamber/Chamber%20cast%20pics/wood_harris_remember_the_titans_001.jpg

- Distretto 12:
Nora Walker http://www.foroswebgratis.com/fotos/3/5/7/6/4//1099788asepxia-tips-danna-paola.png
Mark Adamens http://ilgiliforum.com/resim/2013/12/05/90401_colin_morgan_biyograficolin_morgan_hayati_8.jpg

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Capitolo 4
*** The parade ***


Dopo una luuunga e bellissima vacanza, torno a pubblicare un altro capitolo. Non ho interrotto questa fanfiction, ero solo in vacanza.
Abbiamo lasciato Rain a combattere contro due nemici: quei troppo pochi 13 anni, e un mentore che la ignora. È ora di affrontare il terzo: la stilista idiota.

Ho riscritto questo capitolo un milione di volte perchè non mi convinceva, e alla fine mi sono arresa e ho pubblicato l'ultima versione. Se avete un minutino da dedicare una recensione lo apprezzerei, almeno per sapere se mi stavo facendo delle paranoie o avrei dovuto riscriverlo la milleunesima volta.
Le immagini del vestito di Rain e Ethan e del trucco vi attendono alla fine, intanto qui ci sono stilista e staff: http://s21.postimg.org/yw1hlgn1z/Staff_distretto7.jpg
 

-  The parade  -

“Pronta, incantevole...diamo da mangiare al mostro!”






La luce al neon del soffitto si rifletteva sull'acqua della vasca da bagno, creando un effetto surreale. Ma era troppo blu, troppo abbagliante, troppo...finta.
Non sembrava la luce delle luna sullo stagno del bosco, non ricordava le serate che vi aveva passato...le ricordava solo di essere in un centro immagine di tributi, pronta per essere resa splendida per il pubblico che l'avrebbe guardata.
Come un maiale guarnito di ogni spezia, pronto per essere servito al tavolo degli affamati.
L'ennesima cosa che le dimostrava di essere un pacco spedito alla capitale per compiacere il pubblico, lasciata nelle mani di qualcuno che facesse di lei ciò che preferiva.
Rain sospirò, questa volta di frustrazione, e appoggiò la testa sul bordo della vasca.
Non sapeva da quanto tempo era li dentro, troppo, ma quei tre del suo staff non si decidevano a venire a tirarla fuori. Non che le dispiacesse a dire il vero, quando ce l'avevano immersa era tutta rossa e dolorante a causa della ceretta.
Le erano saltati addosso tutti gioiosi, riempiendola di moine, per poi passare a lavorare su di lei come fosse un manichino. Misurata al millimetro in ogni parte del corpo e privata di ogni pelo superfluo (anzi, di ogni pelo in assoluto) l'avevano portata li.
Fortunatamente avendo solo 13 anni non era particolarmente pelosa, ma ovviamente loro avevano trovato qualcosa da ridire. Era grande il sollievo nell'immergersi nell'acqua colma di sali da bagno. Probabilmente la sua pelle era liscia come la seta, e i capelli (lavati ben 3 volte con 3 shampii diversi) profumati come un bouquet di fiori.
Finalmente ecco che qualcuno venne a prenderla: Eva, una donna paffutella con le guance coperte da uno spesso strato di fondotinta perlaceo.
Le porse un asciugamano e la guardò con occhio critico:
- Mmm...si, passabile – annunciò con poco entusiasmo.
Rain alzò gli occhi al cielo e si lasciò trascinare nella sala a fianco, un grosso salone a cupola dove avrebbero fatto tutto il lavoro.
Sylvia e Aldar, gli altri membri del suo staff, corsero loro incontro, la fecero sedere e iniziarono ad asciugarla tutti affrettati.
- Perchè tanta fretta? - chiese – mancano ancora tre ore alla parata...
- Perchè tanta fretta!? Dico, lo sai quanto ci metteremo a prepararti!? DUE ORE! Due ore se va bene! - esclamò Eva.
Ci rinunciò.
Con quei folletti multicolore era impossibile ragionare.
Nonostante non volesse concedersi il lusso di sospendere il giudizio morale, non poteva fare a meno di trovarsi incuriosita da tutta quella situazione. Si era sempre chiesta, guardando la sfilata (l'unica parte piacevole degli Hunger Games) quanto lavoro c'era dietro i costumi dei tributi, come li preparassero e dove. Era pur sempre una ragazzina curiosa...
Iniziò a fantasticare sul suo vestito: quello era il giorno in cui gli sponsor l'avrebbero vista per la prima volta, l'impressione deve essere buona, e quella dei tributi del 7 non lo era mai.
Già, perchè la loro stilista era un'idiota totale, li vestiva sempre da albero, ogni anno.
Rain sperò che quell'anno non fosse così, perchè la monotonia e banalità di quei costumi di certo non avrebbe fatto colpo su nessuno, anzi, proprio il contrario. A primo impatto lei e Ethan sarebbero stati solamente gli ennesimi sfortunati estratti per riempire un buco tra i 24 tributi, senza speranza di durare oltre il bagno di sangue della cornucopia, solo numeri in mezzo alle migliaia di ragazzini morti. Sarebbe stata dura liberarsi di quella prima impressione.
Dopo che i suoi capelli furono asciuttissimi e pettinati circa tre o quattro volte, iniziò il lungo trattamento di bellezza. Sylvia si occupò delle unghie, Aldar dei capelli, ed Eva del trucco.
Dai colori sulla tavolozza Rain capì che anche quell'anno lei e Ethan sarebbero stati degli alberi. Ma forse, dopotuto, avrebbe potuto indossare qualsiasi cosa e nessuno l'avrebbe notata, era solo una ragazzina, nessuno aveva mai vinto alla sua età...
Se voleva impressionarli non poteva fare affidamento sul suo staff.
Mentre quei tre le mettevano le mani addosso si trovò a divagare coi pensieri. Era gia da un giorno che aveva lasciato il suo distretto...cosa stava facendo Matthew? Era nei boschi ad ammazzarsi di lavoro per affogare il dolore? Probabilmente si, come faceva sempre. E suo padre? Il solo pensare a lui le fece salire una grande tristezza...
- Su lo sguardo! - strillò Eva.
Dio...già la detestava quella donna frivola e strillante.
Per distrarsi dai pensieri guardò cosa stesse dipingendo Sylvia sulle sue unghie. Come le vide rimase sbalordita: accidenti, era bravissima!
Sulla prima unghia era stata meticolosamente dipinto il motivo a corteccia del tronco di un'albero, con tanto di venature.
Rimase a fissare le pennellate precise di Sylvia per un po', poi lasciò che i pensieri divagassero di nuovo, stufa di stare ferma a farsi colorare di qua e di là.
Alla fine, dopo due ore di trucco e parrucco, le annunciarono che era pronta.
La fecero alzare e la portarono davanti ad uno specchio.
La prima cosa a cui pensò fu il sollievo nello sgranchirsi le gambe, convinta che un trucco da albero non avrebbe potuto renderla bella, ma una volta davanti allo specchio dovette ricredersi.
Le fecero chiudere gli occhi, e non appena aprì gli occhi quasi si emozionò: aveva ragione, non era bella, era stupenda. Anche se fosse salita sul carro con solo quell' accappatoio striminzito, il lavoro si sarebbe notato lo stesso.
Sul suo viso era accaduto un miracolo: sfumature di fard le avevano alzato gli zigomi, perfezionato la pelle, fatta sembrare più grande.
Quasi non sembrava il viso di una ragazzina.
I suoi occhi grigi erano stato contronati da un trucco leggero, ma molto bello: tante tonalità di verde, dal più scuro del mascara al più chiaro sulla palpebra, luminoso ma sfumato. Le labbra erano rosa chiaro, la cigliegina sulla torta di quel trucco leggero e perfetto, adatto ad una ragazzina ma che la faceva sembrare più grande, visibile ma non troppo pesante, perchè tutti potessero riconoscerla dopo la mietitura.
Anche Aladar sui suoi capelli aveva fatto miracoli.
La massa aggrovigliata di capelli rossi che aveva prima era diventata un autentico bouquet.
Ogni ciocca, ogni ricciolo della sua chioma ondulata era stato perfettamente domato, messo al suo posto come elemento fondamentale di quella composizione.
Aldar aveva fatto una grossa treccia laterale, a cui aveva intrecciato delle rose.
Sembrava una principessa.
Non importava se era solo la chioma dell'albero che avrebbe costruito la stilista, non importava se quei fiori avevano il ruolo di fiori di un albero, era semplicemente un capolavoro. Davvero non riusciva a smettere di cercare un capello che si ribellasse a quella composizione, e compiacersi nel non trovarla. Ogni incrocio tra due ciocche era un capolavoro a sè.
Infine anche Sylvia aveva reso le sue mani un capolavoro di perfezione.
Una volta dipinte tutte col motivo a corteccia, aveva inserito sulla punta uno smalto verde smeraldo con luccicanti brillantini.
Il risultato era come un albero in sè: tronco con tanto di venature perfettamente disegnate, e chioma brillantata.
Forse da lontano non si sarebbero notate, ma erano un dettaglio meraviglioso dell'intera composizione, del capolavoro del suo staff.
Forse erano sciocchi e stravaganti, ma di certo sapevano fare molto bene il loro mestiere.
- Oh Rain sei bellissima! - squittì Sylvia.
- Forza – annunciò Aldar – ti porto da Helenia.
Gia, per quanto bravi non potevano fare miracoli nemmeno loro: il grosso del lavoro spettava alla stilista.
Ed era ora di incontrarla.



Rimase ad aspettare per circa 10 minuti, seduta su un lettino simile a quello degli ospedali, con addosso solo il piccolo accappatoio bianco.
Con le magie che lo staff aveva fatto su di lei si sentiva bellissima, ma di certo lo erano tutti i tributi, ciò che contava veramente era il vestito.
Continuava a sperare che fosse accaduto un miracolo, che nonostante tutto la stilista avesse cambiato idea riguardo il costume da albero. Ma nemmeno lei ci credeva veramente.
- Alberi anche quest'anno? - chiese ad Aldar senza entusiasmo.
Gli scappò un risolino:
- Gia, alberi anche quest'anno...ma diciamo che c'è qualcosa di diverso questa volta... – ammise.
Rain sgranò gli occhi e si tirò a sedere, riavvivata dall'entusiasmo:
- Qualcosa di diverso? Cosa?
- Beh, io e mia sorella, dello staff del tuo amico, abbiamo persuaso Helenia affinchè apportasse alcune modifiche al costume. Abbiamo provato un po' di pietà per il destino che condannava tutti i tributi del 7. Diciamo che quest'anno avrete un aria meno banale e più...guerriera – disse con un sorisetto malizioso.
Più guerriera? Alberi guerrieri? Guerrieri-albero? Inutile cercare di estorcergli altro, avrebbe visto il costume.
Finalmente la porta si aprì ed entrò Helenia: era una donna bassotta e non molto magra, che indossava un completino di velluto verde scuro, intonato ad alcune tracce di fard che  insieme al dorato le coloravano il viso, sormontato da un'acconciatura bicolore.
- Scusate il ritardo, ho dovuto occuparmi anche del giovane qui a fianco...vai pure Aldar, grazie!
Dunque lei e Ethan avevano un'unica stilista? Non c'era da meravigliarsi che fosse andata prima da lui, aveva indubbiamente finito molto prima: non aveva bisogno di manicure, acconciatura complicata o trucco.
- Seguimi cara, vuoi vedere il tuo vestito o no?
Col cuore che le martellava nel petto, Rain seguì la stilista.




Una porta a lato della stanza si aprì non appena Helenia schiacciò un pulsante, rivelandone un'altra molto più piccola, con due pareti interamente a specchio.
Al centro, su un manichino, c'era il suo vestito.
Quell'insignificante frase “qualcosa di diverso” l'aveva fatta sperare fin troppo, così quando si trovò davanti un costume da albero rimase molto delusa.
Era formato da dei leggins a motivo corteccia, abbinati ad una corta tunica formata da tanti ruvidi nastri intrecciati che parevano fibre di corteccia, sia alla vista che al tatto.
Rain la toccò con la mano: si, era proprio ruvido, e sembrava anche piuttosto rigida. Inoltre erano stati inseriti numerosi accessori: un bracciale di foglie, orecchini di foglie, una collana di foglie, e dei gambali di vero legno.
Lo guardava cercando di non esprimere nessuna emozione, perchè dentro si sentì crollare: era un abito solo per forme, perchè per il resto sembrava davvero un conglomerato di legno e foglie, un albero.
Helenia invece sorrideva soddisfatta, cercando di decifrare la sua faccia.
- Un...albero? - mormorò Rain cercando di non far tremare la voce.
- Più di un albero! Non hai notato che è diverso da tutti i costumi usati fin ora?
In effetti di solito si usava un'aderente tuta marrone che corpiva tutto il corpo, con motivo a corteccia, e sopra si indossava un soprabito di vere foglie.
Era indubbiamente più ridicolo di ciò che le stava davanti, che però era sempre un costume da albero.
Diciamo che quest'anno avrete un aria meno banale e più...guerriera
Dove la vedeva Aldar quell'aria guerriera?
- Oh dimenticavo! - esclamò Helenia – c'è anche questa!
Si girò e le porse qualcosa: un oggetto, un arma, un'ascia. Finta, ma pur sempre un'ascia.
Rain la prese timidamente in mano: quella era un'accetta, un'ascia da combattimento ma disegnata come fosse l'attrezzo dei tagliaboschi.
Improvvisamente capì.
Si voltò a guardare il suo costume: i leggins sottolineavano la forma delle gambe, cercando di farne risaltare la tonicità, i gambali erano in legno per abbinarsi al tema “albero” ma erano come quelli usati dai soldati dell'antichità, l'accetta sembrava quella dei tagliaboschi ma era un'ascia da combattimento.
Nel costume da albero Aldar aveva nascosto un costume da guerriero.
Motivi di corteccia e di foglie, colori dal verde al marrone...tutto sembrava portare ad un albero, e in effetti ricordava il loro distretto, non c'era nulla di meglio per la parata.
Ma le forme del vestito, i dettagli come ascia e gambali...ricordavano a tutti che loro non erano li per tagliare alberi, erano li per gli Hunger Games.
Era una cosa che lei non amava ricordare, ma che il pubblico doveva capire se volevano fare colpo.
- Aldar sei un genio... - sussurrò.
- Come dici? - chiese Helenia eccitata – ti piace?
- Moltissimo – disse Rain, mentendo solo in parte – lo indosso subito.
Era ora di iniziare la sfilata.
http://s3.postimg.org/472r95083/Sfilata.jpg
La sala dei carri si stava affollando.
Rain entrò accompagnata da Helenia, che camminava tutta impettita come se avesse una gran fretta. Dio come erano scomodi i tacchi...per fortuna sul carro avrebbe dovuto stare ferma.
- Whoo! - esclamò sbilanciandosi, e per poco non cadendo.
No, decisamente non sapeva camminarci.
- Signorina, non vorrai rovinare tutto il lavoro di tre ore e il tuo bellissimo vestito!? -.
Ma perchè i tacchi? Cosa centravano col vestito da albero-tagliaboschi? Sembravano fatti di foglie è vero, ma poteva benissimo progettare degli stivali di foglie, delle scarpette di foglie, qualsiasi cosa più comoda dei tacchi. E poi aveva 13 anni santo cielo...
Concentrandosi solo sul non cadere riuscì a non pensare alla tensione, e raggiunse il settimo carro, dove la stava aspettando Ethan.
Ovviamente era vestito come lei, ma in versione maschile.
Pantaloni aderenti a motivo corteccia, gambali di legno, un giaccone da cacciatore completamente ricoperto di foglie semi-secche, e...stivali di corteccia! Allora li avevano fatti gli stivali! E perchè lei doveva indossare quegli scomodissimi tacchi che non centravano niente?
Ethan le rivolse un sorriso:
- Bellissima...
Per un attimo esitò. “È un tuo nemico...è un tuo nemico...” Ma cosa c'era di male a ringraziare?
- Grazie...hem,anche tu.
Il ragazzo represse una risata, e le disse a voce più bassa:
- Io sembro solo un albero...
- O un tagliaboschi – aggiunse Rain, sollevando un po' l'accetta – un tagliaboschi guerriero...
Rise di nuovo.
- Quelli sono vestiti da guerrieri... - disse indicando i tributi del due.
Eccoli li: Jade, bellissima nella sua armatura scintillante, acconciata e truccata in modo spettacolare, e quella montagna di Bill accanto a lei, altrettanto spaventoso.
Si atteggiavano in modo molto sicuro di loro, mentre lei annuiva decisa ai raccomandamenti della stilista e lui si guardava intorno con sguardo truce.
Quando i suoi occhi scuri incontrarono quelli di Rain, la ragazzina si voltò.
C'erano altre coppie di tributi già pronte vicino ai carri, a chiacchierare tra di loro o a guardare per terra avviliti...
Ayleen Bell, dal distretto 9, bellissima e fine nel suo vestito di paglia e teli in lino svolazzanti, Linda Middlen, dal 10, con un costume in pelle decisamente più “vedo” che “non vedo” in cui era chiaramente molto a disagio, ma che certi capitolini avrebbero...apprezzato.
La coppia di tributi dell'11, che avevano sempre i vestiti più colorati, e quelli del 6, così strani...
E poi la vide. La stella della parata.
Entrava in quel momento nel salone nelle bighe, con un look molto diverso dalla mietitura ma indubbiamente lei. Stessi capelli biondi, ma legati in un'acconciatura in stile greco che sembrava uno chignon intrecciato, stessa bocca carnosa e perfetta, di un rosso vivissimo che risaltava sulla carnagione chiara, e stessi occhi di ghiaccio dallo sguardo spavaldo, ma con le giglia allungate dal mascara per sembrare una bambolina. Una bambola assassina.
Electra Queen, sicuramente colei che avrebbe attirato tutti i riflettori su di lei durante la sfilata, e che coppia accanto a Silver, l'albino...sembravano due statute greche, la dea e il guerriero.
E non era l'unica a pensarla così dato che indossavano proprio abiti in stile greco, tempestati di pietre preziose. *Ovviamente...* pensò irritata *gemme per loro, alberi per noi. Stesso effetto, sicuramente...*
E mentre ragazzoni alti come torri e bellissime fanciulle le passavano di fianco si rese conto che lei e gli altri dodicenni sembravano solamente bambini infilati in un costume più grande, ridicoli, come se qualcuno potesse davvero notarli.
In un'impeto di innocenza e curiosità da vera bambina stava per chiedere a Ethan se anche lei sembrasse così, ma venne fermata dall'altoparlante che diceva loro di salire sui carri.
Certa che ci avrebbe messo un po' a salire per via dei tacchi, si affrettò ad aggrapparsi al fianco del carro per tirarsi su. Ma non riusciva a fare forza su quei minuscoli bastoncini di plastica verde che si trovava sotto i piedi, solo spostare il peso un millimetro più a destra l'avrebbe fatta cadere, figuriamoci puntarci i piedi per salire sul carro.
- Uff...stupidi tacchi... - sbuffò cercando di tirarsi su con le braccia, quando sentì delle mani forti prenderla per i fianchi e tirarla su.
Ethan.
Dio come doveva sembrare ridicola, la bambina aiutata dal fratello maggiore a salire sulla carrozza...
Però almeno stava salendo, e proprio quando era ormai sopra alla biga Ethan dovette rimetterla giù perchè una scarpa le si era sfilata.
- Oh al diavolo, stupide scarpe...! – sbottò, scalciando via anche l'altra e salendo sul carro con un balzo da scoiattolo.
Mentre Ethan tratteneva una risatina e le passava le scarpe, Helenia si infuriò e prese a rimproverarla con voce stridula:
- Signorina! È così che si tratta ciò che altre persone hanno costruito per te? Ingrata!  - blaterò non accorgendosi che due pacificatori stavano venendo per allontanarla dal carro - Rimettiti subito quelle scarpe, non vorrai rovinare il costume e...oh...ma cosa...aspettate! Rimettiti le scarpe!
E alla fine anche lei si tolse dai piedi. Rain rimase li su quel carro, in piedi su due inutili trampoli, con l'ansia a bloccarle il respiro e il cuore che batteva così forte che non sentiva nemmeno ciò che Ethan le stava dicendo.
Cosa?
- Dicevo, sei pronta?
- Pronta? S-si...sono nata pronta – disse abbastanza ironica, mentre cercava di calmarsi e non mettersi ad urlare. Sembrava stesse avendo un attacco d'asma.
- Hei, basta guardarsi intorno con aria decisa, questa è la parte più facile degli Hunger Games. Tieniti a me se vuoi – le disse sorridendo.
Dentro di lei una voce continuava a ripeterle che era un suo nemico, ma al diavolo la voce, un supporto era tutto quello di cui aveva bisogno in quel momento.
- Si, grazie – rispose sorridendo per la prima volta dalla mietitura.
E i carri cominciarono ad uscire, prima l'uno, poi il due. Il carro coi tributi del tre, dai vestiti neri ma pieni di neon e lampadine, quello del quattro, con ragazzi vestiti di reti che impugnavano tridenti da poseidone d'oro massiccio, poi quelli del cinque e del sei.
Quando i cavalli partirono e il carro si mosse, Rain barcollò aggrappandosi alla mano di Ethan con tanta forza che per poco non tirò giù lui.
Il cuore che batteva all'impazzata, il respiro affannato, gli occhi che minacciavano di piangere, la bocca che voleva gridare a tutti di fermarsi perchè non era pronta....e nella testa il pensiero fisso che li partivano gli Hunger Games, e doveva dare una buona impressione di sè.
Scacciò via l'ansia ripensando alla sera prima, ai suoi buoni propositi, e lasciò la mano di Ethan  per tenersi in piedi da sola. Aldar era riuscito a farli vestire diversamente e quindi doveva dimostrare di esserne all'altezza. Di essere davvero diversa.
E quando il carro entrò nell'anfiteatro, fu un'esplosione di applausi e di grida e di gente che gesticolava e che urlava, e Cesar che li annunciava e gli schermi che li riflettevano.
Era il suo momento, il momento in cui i loro carro -perchè appena entrato- era il protagonista, il momento di fare qualcosa che facesse mantenere l'attenzione su di loro.....ma la mente frastornata e le ginocchia tremanti le impedirono di fare qualsiasi cosa che non fosse guardarsi attorno con occhi spalancati.
E addio bell'occasione.
Entrò il carro dell'8, e gli applausi furono per loro. Si sentì morire dentro. Aveva perso l'attimo, e la prima cosa che avrebbero dovuto fare, la più semplice, era fallita.
Per un attimo si vide su uno schermo, e incontrò i suoi occhi grigi nelle quali lesse lo sguardo che si era tanto impegnata a non assumere alla mietitura.
*Dannazione Rain, non vorrai davvero sprecare la tua prima occasione per sembrare invece una bambina spaventata? Hai un'ascia in mano, usala!*
E quando capì che il solo modo per riportare l'attenziona su di loro era alzare l'ascia, la alzò con tanto impeto che quasi non perse l'equilibrio finendo addosso a Ethan.
Ma la alzò, in alto, verso i riflettori, verso gli schermi, perchè la gente la vedesse. Vedesse quanto fossero diversi dai soliti incapaci, quanto anche una stilista l'avesse notato e avesse modificato il vestito apposta per loro, quanto avrebbero combattuto.
Ethan fece lo stesso, e l'attenzione fu di nuovo su di loro.
Non sentiva la voce di Cesar ma le pareva che stesse dicendo qualcosa sul fatto che non si era mai vista un'accetta su un carro del distretto 7 ma era una bella trovata, e mentre la gente li indicava e gridava non le importò che fosse tutta una menzogna, che Helenia non avesse visto niente in loro e non avesse modificato proprio niente apposta per loro, che l'ascia fosse stata progettata per essere uno strumento da tagliaboschi e non un'arma.
Perchè tanto questo erano gli Hunger Games: menzogna. Non un modo per trovare la gloria ma per trovare la morte, non il prezzo da pagare per la ribellione ma un modo per tenere tutti sotto controllo grazie alla paura. Nessuno di loro era veramente ciò che gli stilisti avevano dipinto su di loro, erano tutti costumi. Costumi. E se gli altri fingevano avrebbe finto anche lei.
Siccome non era capace di fare finti sorrisini e salutare tutta contenta quella folla odiosa, si adeguò al vestito da guerriera -anche se tutti sostenevano fosse un albero, o un tagliaboschi- e mantenne alta l'ascia così come il mento, guardando la folla con aria dura e determinata. Perchè vero o no, quello per lei era un vestito da guerriera.
Se i suoi occhi fossero stati color del ghiaccio sarebbero stati più adeguati allo sguardo truce che si era dipinta in volto, ma andava bene lo stesso.
L'attenzione dei presenti si spostò su altri carri più vistosi, con costumi più belli e più appariscenti, con tributi più forti e distretti migliori, ma la loro figura l'avevano fatta.
Intanto, era già qualcosa.


Eccoci alla fine, vi prego lasciate una recensioncina di due righe giusto per farmi sapere come sto andando.
Inoltre ecco le immagini promesse. I vestiti li ho fatti io unendo i vari pezzi trovati dopo ore di ricerce scervellandomi su cosa scrivere su google per trovare ciò che volevo, quindi perdonatemi se fanno graficamente schifo ma era per dare l'idea.


Vestito Rain: http://s30.postimg.org/lxv22atbl/Carro_Rain.jpg
Unghie Rain: http://33.media.tumblr.com/tumblr_mbuip1NW1J1rnz22po1_500.jpg e http://s29.postimg.org/n2z81rn8n/Carro_Rain_unghie.jpg
Capelli Rain: http://s24.postimg.org/5ai5wp3tx/Carro_Rain_capelli.jpg
Trucco Rain: http://s3.postimg.org/4c1x52i5f/Carro_Rain_trucco.jpg

Vestito Ethan: http://s15.postimg.org/mpdnhavuj/Carro_Ethan.jpg

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