Storie di terre fantastiche

di DarkSimon Lecter
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** I Sedici ***
Capitolo 2: *** Agoroth: la nascita del Leone Bianco ***
Capitolo 3: *** La Morte del saggio ***



Capitolo 1
*** I Sedici ***


Erano ormai passati più di venti anni da quando il possente Leone Bianco aveva deposto il suo martello per dedicarsi ad una vita d’esilio sulle montagne dell’ Orso. La morte dei suoi compagni durante la guerra tra piani per mano di sua madre l’aveva spinto a dubitare di se stesso, di dubitare per ciò in cui aveva combattuto. Non era riuscito a salvare i propri fratelli in armi, tutta la sua forza non era bastata a fermare le orde di demoni che giungevano, le sue braccia non avevano retto il peso di quel male enorme, Agoroth aveva fallito. I suoi amici avevano sacrificato le loro anime per chiudere il portale perché l’esercito maledetto non era stato fermato, Agoroth sentiva sua la responsabilità di ogni morto ma nessuna pesava come quella dei suoi due compagni, nemmeno i corpi erano rimasti per concedere una degna sepoltura a quei due grandi eroi. Nonostante la vittoria del nostro piano Agoroth non aveva festeggiato, nonostante tutti lo acclamassero come il Leone Sopravvissuto, come l'eroe, lui non sentiva emozioni positive ma solo le urla dei suoi due amici. Si era ritirato sui monti per stare solo, lontano da quella società che aveva protetto.
Nonostante la vittoria il male non si era estinto, si era solo fatto più piccolo e più scaltro. Si era insinuato nella società tramite i meccanismi stessi della società: la politica, la propaganda, la burocrazia, la leggerezza delle persone, il finto perbenismo, la religione, il desiderio di arricchirsi.  Era un mondo peggiore, era il nostro mondo. Fortunatamente non tutte le anime che popolavano il mondo erano marce e fu così che in un piccolo regno, in cui il "Vero Male" non si era ancora instaurato, un re molto saggio, chiamato Delfino, decise di riunire un manipolo dei suoi migliori uomini per andare alla ricerca del Leone ormai scomparso dalla circolazione. In questo manipolo di uomini ero presente anche io, non rivelerò la mia identità per proteggere le persone che amo ma sappiate che ciò che state leggendo sono i miei ultimi scritti.
Partimmo il Quarto giorno del Mese del Sole, era una giornata calda, diversa da quelle che, ormai da un mese, il tempo ci aveva abituato. Prendemmo il Sole come un segno di buon auspicio; mai previsione fu più errata. Eravamo i sedici migliori del reame ma nessuno di noi era preparato a ciò che ci aspettava. Le montagne erano a cinque giorni di marcia veloce, poi avremmo dovuto trovare Lui, era un impresa impossibile e noi tutti lo sapevamo bene.
Agoroth viveva in una piccola casa intagliata nella montagna, poco sotto la cima del monte del Letargo, chiamato così poiché la leggenda narrava che: "chiunque si addormentasse si sarebbe ibernato e sarebbe caduto in un letargo eterno." Agoroth era il primo ad essere sopravvissuto su quel monte,sempre stando alle leggende del popolo, noi non potevamo averne la certezza ma lo speravamo, avevamo bisogno di lui. Lui era molto di più che un poderoso combattente, lui era un simbolo, lui era la forza della purezza d’animo perché dietro ad ogni suo modo rozzo e barbarico si nascondeva una gentilezza ed un senso di giustizia quasi infinito. Quel Leonide aveva qualcosa dentro, una forza che lo spingeva ad essere onesto a costo di farsi del male, aveva fatto scelte difficili ed aveva dovuto pagare molto ma alla fine era riuscito a fare la cosa giusta. All'epoca lo conoscevo poco, non avevo mai avuto l’onore della sua compagnia, solo le storie che venivano narrate intorno al fuoco dai capi squadra per motivare i novellini ad arruolarsi o a fare il primo turno di guardia.
Il viaggio fino ai piedi della montagna del Letargo fu tranquillo e privo di imprevisti, tutti avevano svolto il proprio compito ma all'ombra di quella montagna sentivamo il sangue raggelare, dubitavamo di riuscire ad arrivare al nostro obiettivo. Alcuni dei nostri fuggirono la notte prima di scalare la montagna, allora rimanemmo in undici. Iniziammo la scalata non senza incontrare fatica, due di noi morirono per uno strano incidente e caddero in un profondo crepaccio, allora rimanemmo in nove. Quasi metà dei componenti era dispersa o morta, il morale era bassissimo e dovevamo ancora affrontare la notte. Accendemmo grandi fuochi per restare al caldo, ma la montagna si prese comunque uno di noi, allora rimanemmo in otto. Avevamo davanti a noi almeno due giorni di marcia, la montagna reclamava il nostro sonno, ma non potevamo fermarci a riposare ancora, il nostro obiettivo era chiaro e durante la seconda notte, dopo una intera giornata di marcia veloce, vedemmo un leggero bagliore che proveniva dalla vetta. Quella luce scaldo i nostri animi e ci facemmo coraggio a vicenda ma la montagna prese altri tre di noi, allora rimanemmo in cinque. Durante il terzo giorno di marcia, senza cibo e con le scorte d’acqua congelate, avanzavamo lentamente ormai certi del nostro fallimento e della nostra morte. Ma la peggio non esiste e non esisterà mai fine, infatti un branco di strane creature simile a Orsi Mannari ci tese un'imboscata. Verso la vetta, a Nord, ci sbarravano la strada quelle orride creature, mentre ad Est un crepaccio profondo ci avrebbe inghiottito. Le uniche vie di fuga restavano ad Ovest ed a Sud. Eravamo in cinque, eravamo a pezzi, il nostro più grande errore fu di dividerci. Due corsero a Sud, nella speranza di trovare riparo a valle, uno si buttò nel crepaccio per la disperazione mentre io ed il mio ultimo compagno corremmo ad Ovest in un fitto bosco. Le piante erano tutte completamente gelate, i rami tagliavano il viso provocandoti profonde lacerazioni e perdite di sangue che quasi immediatamente raggelava, era la foresta degli Inferi Gelati. I nostri aggressori si addentrarono per un po’ nella foresta ma dopo poche centinaia di metri sembrava essere scomparsi inghiottiti dalla foresta stessa. Camminammo tutta notte verso Nord nella speranza di incontrare quel maledetto Leone, le forze ci abbandonarono ed io caddi svenuto nella neve, prima che i miei occhi si chiusero vidi il mio compagno voltarsi venire verso di me correndo ma dietro di lui una grande figura si avvicinava a lui. Al mio risveglio mi ritrovai in un letto di paglia, un fuoco alla mia sinistra ed un soffitto di pietra levigata, era forse morto? Era questo il letargo della montagna? Un picchiettio di metallo attrasse la mia attenzione e feci per alzarmi, un forte dolore mi percorse tutto il corpo, era come se mille spine roventi mi avvolgevano. Una grande figura si chinò su di me e mi disse con voce profonda e calda: “Mi spiace giovane avventuriero ma non sono in grado di salvarti, sono arrivato troppo tardi ma ti prometto che tratterò il tuo corpo con estrema cura e rispetto.” Era lui, era Agoroth, come non poteva salvarmi? Tentai di parlare ma non un suono uscì dalla mia bocca. Guardai intorno spaventato per cercare confronto ed incontrai lo sguardo del mio compagno, Dean. Gli feci cenno di avvicinarsi e gli feci capire di leggermi la mente e di scrivere tutto ciò che voi ora avete letto, gli ho chiesto di tenere un diario delle sue imprese e di raccontare tutto alla mia famiglia. Altro non so. Eravamo partiti in sedici e ne è rimasto solo uno, io forse ho fallito la mia missione ma tu Dean, tu forse no. Eravamo in sedici ed è rimasto solo Dean.

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Capitolo 2
*** Agoroth: la nascita del Leone Bianco ***


Agoroth: la nascita del Leone Bianco.


Era in ginocchio davanti a sua madre, la strega. Un silenzio regnava per tutta la sala del trono, solo il respiro affannato della Bestia rompeva il silenzio. “Figlio mio,” disse con voce vellutata e pacata la strega “ è ora che tu compia il tuo dovere verso la tua famiglia, verso tua madre che ti ha tanto amato ed allevato con estremi sacrifici..” si interruppe per una breve risata schizofrenica, si sistemo un ciuffo di capelli e riprese “ ho bisogno della tua forza, ti ho fatto combattere contro molti miei servi qui eppure sembra che la tua forza non basti a riempire le clessidre.”  Indicò una delle due enormi clessidre ancora completamente vuota. L’enorme animale albino alzo lo sguardo e fece un grande balzo verso la donna ma prima che potesse infilzare i propri artigli su di lei fu sbalzato all'indietro come se una barriera l’avesse respinto. La strega scosse la testa e mormorò:” Agoroth, Agoroth.. quando imparerai a stare al tuo posto? Pensavi davvero che con questa tua misera carica, TU avresti potuto ferirmi?” rise di gusto e poi torno improvvisamente serie e la sua voce si fece profonda e potente: “ TU STUPIDO LEONIDE NON PUOI NEMMENO TOCCARMI! NON SEI NEMMENO IN GRADO DI DARMI QUELLO CHE MI SPETTA!” mosse le mani e due enormi catene incantate legarono il leone alle clessidre e due chiodi nei polpacci lo bloccarono al pavimento. Agoroth lanciò un ruggito di dolore che echeggiò in tutto il palazzo. La clessidra non era ancora riempita e la strega era ormai spazientita, fu allora che la sua malvagità raggiunse il culmine e camminò verso suo figlio con passi lenti ed eleganti, gli fece una carezza sul viso e subito dopo gli fece un sottile graffio, poche gocce di sangue caddero. La strega sorrise e disse: “ so che hai una famiglia, una moglie ed un figlia, sangue del tuo sangue giusto?” Agoroth con un filo di voce rispose: “ lascia fuori la mia famiglia lurida put..” La strega lo blocco un'altra catena al collo ed una museruola e riprese: “ Non interrompermi figliuolo adorato, stavo dicendo che tu hai una famiglia e sembra che tu ci tenga molto a loro, vero? Prova a pensare a tutto il dolore che proveresti se ti fosse strappate.. Oooh povero micione mio senza la sua famiglia chissà quanta rabbia e quanta forza mi daresti, quindi perché farmi attendere oltre?” tocco il poco sangue di Agoroth a terra ed in pochi istanti due figure femminili apparvero incatenate. Agoroth fece per vincolarsi ma non riuscì a fare nulla, la clessidra si riempì di poco.  La strega osservò la clessidra e disse:” Allora proprio non ti basta mai, vero? Va bene facciamo a modo tuo allora.” Prese la più giovane delle due ragazze, la figlia di Agoroth, le mise un coltellaccio arrugginito sotto la gola e sussurrò piano piano: “ forza vieni a liberare la tua bambina, fatti avanti..” Agoroth si divincolò e fece per alzarsi, i chiodi lo bloccarono facendogli zampillare il sangue in abbondanza e la clessidra si riempi un altro po’. “Non mi basta!” Strillò la strega e taglio di netto la gola alla piccola. La moglie di Agoroth lanciò un grido di dolore e si alzò per lanciarsi sulla strega, la quale si sposto e la fece cadere sulle rovinosamente sulla scale, poi balzò su di lei e prese la leonessa per la testa e le fece indirizzare lo sguardo verso Agoroth. “Sai non ho mai capito cosa ci trovassi in questa puttana, non vale nemmeno la metà di me. Dammi la tua forza e io le risparmio la vita, forza prova a liberarti, ne ho bisogno! Ho bisogno della tua forza per un altro figlio!” Agoroth provò a racimolare le forze ma non ne aveva più, era completamente privo di forze, privo di vitalità. Era la sua fine, non riusciva a credere che la sua amata figlia era morta, sua moglie imprigionata e sua madre chiedeva altra forza per avere un figlio. La Strega evocò dei servi e ordino di picchiare la moglie di Agoroth fino alla morte poi voltandosi verso Agoroth disse: “Credo che andrò via per un po’ finché tu non mi darai quel che voglio o tua moglie dovrà dare qualcosa a loro”  Agoroth fece per urlare ma non un suono usci dalla bocca, la clessidra si riempì di poco ancora. I due sgherri iniziarono a prendere  a pungi e calci la povera donna indifesa, lei urlò: “Agoroth ti prego, ferma tua Madre! Uccidila! Non darle un figlio, usa la tua forza!” . Il leone bianco si rinsavì a sentire quelle parole, la vista della moglie, le immagini della morte della figlia, senti scorrere il sangue più velocemente dentro di lui, le pupille si allargarono, i muscoli ritrovarono il vigore ed una nuova forza gli scorreva dentro, un fuoco di nuova vita. Impugno le catene le tirò con tutta la nuova forza che possedeva, ruggì per il dolore rompendo la museruola e tento di mettersi in piedi. I chiodi si sfilarono lentamente dai polpacci insanguinati, la clessidra si stava ormai riempendo. Continuò a ruggire ed a tirare le catene stringendole sempre di più, uno dei sue servi della strega si avvicino e tento di colpirlo con un pugno ma con un morso, Agoroth, strappò il braccio al suo aggressore facendo spruzzare sangue ovunque. Era il momento della Ira di Agoroth, un momento in cui la ragione veniva meno per far spazio alla forza primitiva e bruta.  La clessidra era ormai piena ma Agoroth non smetteva di usare la sua forza, ormai la sua forza era scatenata. Usava talmente tanta forza che le clessidre stavano tremando per tener dentro tutta quella energia, riapparve improvvisamente la strega con aria spaventata. Agoroth gridò con tutta la voce che aveva in corpo: “Madre eccoti tutta la mia forza!” le due clessidre esplosero contemporaneamente facendo schizzare grosse ondate di energia per tutto il castello, la moglie di Agoroth con un sorriso guardò il marito e si fece lasciare andare nel gelido abbraccio della morte. La strega parlo veloce agitando le mani, il Leone su scaraventato contro una colonna e perse i sensi. La madre di Agoroth sposto con un calcio il corpo morto della leonessa e chiamo a se una strana figura  che indossava abiti molto particolari, ricchi di meccanismi e strane forme e disse con reverenza: “Professore siamo riusciti ad ottenere il risultato nonostante le clessidre siano esplose?”  la minuta figura rispose con voce squillante: “ Certo mia regina, nonostante egli crede di aver vinto io sono riuscito ad ottenere molta energia anche durante l’esplosione.” Disse mostrando una sorta di contenitore che indicava il livello massimo, “molto bene, ora prima di andarmene facciamo un ultimo regalo a mio figlio. Lo voglio crocifisso come monito per quel idiota di suo padre, Primus.” Agoroth fu messo in croce e posto davanti all'entrata del castello, dopo poche ore fu deposto da suo padre Primus, primo generale del reame, che prese una dura decisione: “ Spediamolo lontano da qui, in un mondo in cui sia lontano da lei. Non dategli i ricordi della famiglia, non voglio mandare un mostro in giro per i mondi. Marcatelo con un simbolo per monitorarlo, dategli il mio martello e fatelo partire appena sarà in forze”. Dall'altra parte del piano La Strega era  in ansia mentre il sui servi combinavano magia con scienza per creare un clone di Agoroth, un clone che avrebbe servito sua madre. Un figlio nato da un incesto d’odio.  

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Capitolo 3
*** La Morte del saggio ***


Dead.
Sono passati molti anni da quando ho lasciato la mia città natale, ma la ricordo ancora perfettamente, ogni via, ogni palazzo, ogni sacro tempio.
Ricordo tutto il male che ho dovuto subire, io Dean figlio bastardo di un soldato. La mia era una vita umile nella quale mi dedicavo al mio lavoro nei campi per aiutare mia madre, santa donna.. le mie umili origini non mi avevano permesso di avere i privilegi dei giovani nobili della città, con i quali spesso mi ritrovavo a scontrarmi ed ogni volta trattenevo dentro me la rabbia, non potevo toccarli o ci avrebbero portato via tutto, no dovevo stare zitto e subire.
 Venne un giorno, ero già sui 20 anni, in cui mi stato dedicando al mio solito lavoro di aratura quando i tre figli del mercante Boris attaccarono briga con un ragazzo schiavo del mio quartiere- tre contro uno- pensai tra me e me –sporchi vigliacchi, qualcuno dovrebbe fermarli- poco dopo una figura scusa avvolta in un martello nero che impugnava una catena blocco i tre ragazzi con il solo sguardo, lo riconobbi subito. Era uno degli inquisitori più famosi della città, un ragazzo di provincia che con le sue doti innate era riuscito a scalare la società fino ad affermarsi come inquisitore. Lo fissai un attimo con sguardo di ammirazione, si voltò verso di me, fece un sorriso beffardo e spari come era arrivato. Il suo nome era Domenik, era il mio eroe. Il giorno seguente mi diressi dal mercante Boris a contrattare, come ogni anno, quanto grano ed a quanto l’avrebbe pagato.
Boris mi accolse nella sua casa lussuosa e ben arredata, io con fare rispettoso chiesi la mia onesta parte come sempre ma prima che finissi di parlare, il mercante sbatte la mano sulla sua scrivania e urlo: "I miei figli sono stati attaccati da un inquisitore sulla tua terra! Non li ha nemmeno difesi ed io che con te, e con quella puttana di tua madre, sono sempre stato gentile ed onesto! Quest’anno ti pagherò il raccolto a metà prezzo e ringrazia che non ti denuncio alle autorità per aver pestato i miei ragazzi- stetti un attimo in silenzio con i pugni chiusi, sapevo che se avesse iniziato una causa l’avrebbe vinta, era più ricco e più rispettabile di un bastardo come me.  Uscì sbattendo la porta mentre Boris gridava contro di me. Dovevo fare qualcosa, volevo vendetta.
Mi recai al tempio della Dea in preghiera, mi inginocchiai ed mi incisi sulla mano un profondo taglio, il sangue cadde sul pavimento del tempio su una raffigurazione della Dea, era caduto sulla sua guancia quasi fosse una lacrima, decisi di parlarne con il sacerdote del tempio. Mi guardò bene la ferita e mi disse: “questo è un segno figliolo mio, devi partire per un lungo viaggio di penitenza  per trovare la via della tua vendetta! Torna tra un anno e tutto ti sarà più chiaro” tornato a casa ne parlai con mia madre, donammo i campi alla chiesa della Vendetta mentre mia madre si fece ospitare nei conventi locali. Partì con pochi oggetti alla ricerca della mia vocazione per la vendetta. In un anno esplorai le terre selvagge tutt'attorno comprendendo l’andamento del ciclo naturale, leggendo i testi sacri della Dea ed allenandomi con i pochi arnesi che avevo. 
Durante una notte, dopo circa 8 mesi di viaggio, vidi una figura nera accanto ad un fuoco, cercai di vederla meglio ma l’oscurità e la lontananza mi impedirono di capire se fosse amica o meno, umana o no. Decisi di avvicinarmi ignorando ogni buonsenso, sentivo come un richiamo da quella figura, ero ad una ventina di metri quando esclamai: “ Sono Dean e non voglio farti del male, posso sedermi accanto al tuo fuoco?” la figura nera scatto di colpo quasi come si fosse sdoppiata e me la ritrovai dietro di me che mi bloccava con una catena chiodata “ Dean un po’ troppo ottimista non credi?” riconobbi la voce, era lui, era Domenik. “ lei è il famoso inquisitore Domenik non è vero?”  mormorai mentre mi si affievoliva la voce, “si sono io, o almeno lo ero..” lasciò andare la catena e mi fece cenno di sedermi vicino al fuoco, lui si mise davanti a me  "Cosa ti porta in queste valli selvagge Dean? Forse cerchi l’amore della tua vita? Bé mi spiace ma qui ci sono solo animali e bestie feroci, non conosco i tuoi gusti ma spero che tu  punti ad altri appetiti” fece una leggera risata che subito di trasformo in tosse, si tocco il fianco e notai che perdeva sangue. “ signor Domenik lei è ferito, lasci che la l’aiuti, posso trovarle della erbe mediche, magari fare un orazione alla Dea per aiutarla.” “Che tu sia dannato ragazzo! Io non ho bisogno di essere curato, quello che mi preme di più è rispettare la mia missione, hai braccia robuste e sembri abbastanza in gamba per aiutarmi, ti andrebbe? Bé ovviamente metterei una buona parola per te per  l’esame da inquisitore, sempre che tu voglia farlo” concluse sorridendo. 
Fui uno stolto allocco ed accettai senza nemmeno chiedermi il perché di tanta gentilezza.
Mi spiego che la nostra missione era di rubare un antico artefatto in una grotta, una grotta che era di dei minori, “ zozzi pagani” li chiamava, saremmo partiti all'alba. Dopo poche ore di marcia arrivammo ad una grotta sopra la quale un grosso simbolo della Dea splendeva, mi permisi di dire: “ Domenik ma sei sicuro che sia il posto giusto? Questa è una grotta della Dea” “ taci ragazzo, questa grotta e stata profanata” taglio corto, mi fidai ancora una volta.
Entrati nella grotta dovemmo combattere, o meglio giustiziare alcuni uomini, erano indifesi ma erano infedeli! E la catena di Domenik si infrangeva sulle loro teste ed io dietro con la daga finirli. Arrivammo all’altare, era un altare della Dea della Vendetta. Bloccai per un braccio Domenik nella speranza di fermalo, ma con uno strattone mi lancio a terra, indietreggiai impaurito e le mie mani finirono per toccare un corno alla cintura di uno dei molti defunti , lo suonai con tutto il fiato che avevo in corpo. Domenik mi lancio sguardi d’ira e fece per correre fuori ma venne subito braccato ed imprigionato. Raccontai l’accaduto al gran consiglio della città, artefatto era stato distrutto da Domenik , io mi sentivo uno stupido.  Decisi di iscrivermi all’esame per diventare inquisitore, le mie esperienze di un anno e le visite  che facevo a Domenik in prigione mi aiutarono formarmi. Avevo passato ogni esame mancava solo la grande battaglia del sangue, un enorme battaglia tra tutti gli aspiranti inquisitori, troppo povero per acquistare armi pensai di dover combattere a mani nude ma Domenik mi disse: “ vai a casa mia, cerca nella mia cantina e troverai alcune armi, prendi la mia catena e fanne buon uso. Ma ricordati che la Dea della vendetta è una mentitrice, io ho visto il vero potere degli dei, lei ti usa e ti abbandona quasi fossi un oggetto, un suo giocattolo! Non c’è onore nel servirla!” Domenik aveva firmato la sua condanna a morte con quelle parole, era un inquisitore decaduto, solo una punizione poteva redimerlo: la morte. 
Il giorno dell’esame finale strinsi la catena con tutta la mia forza, osservai i miei avversari, in ognuno di quei volti vedevo le facce dei ragazzi che mi avevano insultato, erano presenti anche due dei figli di Boris. In quel momento capì che potevo solo vincere, la mia era una vendetta pura , una vendetta senza redenzione. Pensai al dolore di mia madre nel vedere mio padre andare via, pensai a tutti i soprusi e le ingiustizie che avevamo subito, la Dea mi favoriva. Al suono del gong lancia uno dei miei pugnali e centrai subito uno dei figli di Boris. Con la catena dominavo il campo facendola roteare, un dardo di balestra mi colpì la gamba, lancia un grido di dolore ma mentre il mio avversario ricaricava lo  sbilancia con la catena e gli piombai sopra finendolo.  
Erano rimasti solo due avversari, ad un primo colpo mi mancò, e grazie alle tecniche segrete di Domenik, riuscì a spostami poco distante da lui, lo presi da dietro e lo strozzai mentre l’altro avversario intimorito buttava l’arma per terra. “no ti prego non uccidermi, hai vinto tu” gridò, mai parole furono più vane. Mi avvicinai lentamente vicino a lui, lo guardi in volto dritto negli occhi, lo riconobbi era l’altro figlio di Boris, gli taglia la gola con un coltello lentamente mentre guardavo il padre negli spalti che si disperava. “Vendetta” pensai orgoglioso mentre il Sole ed il sangue dei nemici mi bagnava i piedi. Non era ancora finita, un ultima prova mi toccava superare, compiere il mio primo giudizio; il destino a volte è beffardo e volle che il mio primo giudizio venisse fatto su Domenik.
Lo portarono legato e malconcio in metto all'arena e mi passarono la sua vera arma da inquisitore: un alabarda dorata, un arma che da bambino avevo sempre sognato di impugnare ma in quel momento, ed il ricordo è ancora vivido nella mia memoria anche ora, avrei preferito rimanere il contadino ignorante di pochi mesi fa. Domenik in ginocchio davanti a me mi sorrise, come solo lui sapeva fare e disse: "Figliolo non per vendetta ma per giustizia, poni fine alle sofferenze di un vecchio che ha fatto grandi orrori, non seguire la mia via, fuggi da questa città, questa non è giustizia questa è solo sporca vendetta.” Termino la frase, ed io mentre trattenevo le lacrime, pronuncia due veloci parole della liturgia: “ il sangue si lava con il sangue” . Taglia la testa di netto, mi misi in ginocchio facendo cadere l’alabarda che fece un sordo tonfo, tutt'attorno la folla gridava di gioia ma io non sentivo nulla, riuscivo solo a vedere gli occhi del mio eroe spalancati davanti a me. 
Il giorno seguente chiesi l’incarico più lontano possibile, armato della mia fede e della voglia di dimenticare partì per quella missione per la mia sacra chiesa della vendetta. Ed ora mi chiedo, che sono qui in questa piccola stanza bianca da non so quanti giorni, se Domenik fosse davvero un folle a criticare la vendetta o se forse era solo l’uomo più saggio che io abbia mai conosciuto.

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