Forever and on

di BaschVR
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Il Matrimonio ***
Capitolo 2: *** Una nuova casa ***
Capitolo 3: *** Alexandria! ***
Capitolo 4: *** Il racconto di Vivi ***
Capitolo 5: *** Il borgo ***
Capitolo 6: *** Cane, gatto e Grand Dragon ***
Capitolo 7: *** Caos a palazzo ***



Capitolo 1
*** Il Matrimonio ***


“Forza! Papà, mamma, sbrigatevi!!!” urlava una bambina correndo per le scale di Lindblum.

“Un momento, Eiko!” urlò Hilda dalla sala del trono.

Eiko si mosse impaziente verso l’Hilda Garde IV, costruito da poco. Ma era quello il modo di trattare una signorina per bene come lei? Ormai era grande, aveva addirittura 7 anni e mezzo! Ed invece i suoi nuovi genitori la trattavano ancora come se fosse una bambina!

“Vi prego! Fate in fretta!!!” urlò Eiko impaziente.

Dall’Hangar dell’Hilda Garde IV arrivò Cid. “che cosa ha la mia piccola Eiko?”

“Mamma perde tempo! Non arriveremo mai in tempo ad Alexandria!!!” esclamò Eiko saltellando su e giù.

“Calmati, piccolina!” le disse Cid “vedrai che arriverà in pochissimo tempo verrà anche lei e partiremo tutti!”

Eiko mise il broncio. “Io non sono piccola” esclamò.

“Può darsi che tu non lo sia… questo in base alla tua maturità, però…” rispose Cid, con fare divertito.

“Hai ragione. Aspetterò buona buona a mamma” disse infine Eiko.

“Eccomi qui!!!” disse Hilda arrivando vicino agli altri due. “partiamo? Non vorremmo mica fare tardi…”

Eiko sorrise, prese per mano i due genitori adottivi e si diresse all’interno dell’Hilda Garde IV, che poco dopo prese il volo verso il regno di Alexandria.

 

 

“Regina Garnet” disse Beatrix “siete magnifica”.

Garnet si girò verso di lei. Era vero, con quel vestito era magnifica. Il miglior vestito da sposa di tutto il continente della Nebbia. Per il miglior matrimonio che probabilmente sarebbe mai avvenuto nel continente. Non c’era nessuno, infatti, che non sapesse delle nozze tra la regina Garnet, sovrana del regno di Alexandria, e il prode cavaliere Gidan, distintosi per le sue numerose gesta durante la guerra contro Kuja.   

“Grazie, Beatrix” sussurrò Garnet in risposta.

Qualcuno bussò alla porta.

“Avanti” disse la regina.

Steiner entrò sorridendo alla vista di Garnet.

“Se mi permettete, princip… regina, siete la visione più incantevole che io abbia mai visto”

“Grazie, Steiner” disse la principessa. “Volevi dirmi qualcosa?”

“Certamente… Il cortile del castello è quasi colmo, e l’Hilda Garde IV è appena atterrato, con al suo interno Il Granduca Cid, la duchessa Hilda e la piccola signorina Eiko”

“Sono già qui?” domandò Garnet “e gli altri? Vivi, Freija, Amarant…”

“Il signor Vivi è arrivato questa mattina, insieme ai suoi figlioletti. Freija e Amarant sono appena venuti a salutarmi, credo stiano già andando alla cerimonia”.

“Quindi ci sono tutti…” sussurrò Garnet. “Bene, sono pronta. Steiner, verrò tra poco. Aspettami all’entrata del castello”.

“D’accordo” detto ciò, Steiner si inchinò a Garnet e uscì dalla stanza.

Non erano passati neanche pochi attimi, che subito la porta si spalanco ed entrò Quina.

“Aò, Garnet, C’ho ‘na ricetta che è ‘na bomba! Er cokaritos ripieno de prosciutto! Per te va bene?” urlò la Qu.

“Sembra buono… complimenti Quina…”

“E non te voglio dì che ho preparà per dolce! Na ricetta da leccarsi i baffi!” detto questo, Quina si allontanò verso le cucine, lodando ad alta voce le sue grandi abilità culinarie.

“beh, Regina Garnet, di certo sua madre sarebbe stata fiera di lei!” disse Beatrix.

“Lo pensate davvero, Beatrix?” domandò Garnet.

“Certamente. Se solo avesse potuto vedervi oggi… sarebbe sicuramente commossa”

Garnet sorrise “venite, Shogun Beatrix. Accompagnatemi fino a Steiner”.

 

 

“hai visto, Eiko? Siamo arrivati in tempo!” sussurrò Hilda alla bambina.

“Voglio vedere Daga!” esclamò Eiko.

“Sai, dovresti chiamarla Garnet…” disse Cid “e comunque, arriverà  adesso… e dopo il matrimonio noi siamo invitati al tavolo di Garnet, e, se vorrai, potrai sederti anche accanto a lei”.

Gli occhi di Eiko si spalancarono “Sul serio?”

Cid le sorrise scompigliandole i capelli. “Ma certo” rispose.

Una fanfara proveniente dall’orchestra zittì la folla, che si mise in silenzio, in attesa dell’inizio della cerimonia. Poi una nuova melodia si fece largo tra la piazza, un inconfondibile marcia nuziale.

Ed ecco che le porte del castello si spalancarono. Una figura uscì dalla porta, i capelli biondi che fluivano mossi dal vento di quella tiepida giornata primaverile. Era il cavaliere Gidan, vestito in un elegante abito nero che lo faceva apparire più grande di quanto non fosse in realtà.

Eiko notò che mancava la coda, ma quando chiese a Cid come mai non riusciva a vederla, Cid si limitò a rispondere che era solo nascosta dal vestito, un’idea di Garnet per non creare intrighi sulla provenienza del suo futuro marito.

Gidan camminò fino all’altare allestito al centro della piazza, poi si fermò e si voltò verso la porta da cui lui stesso era venuto. La gente presente in piazza urlò a squarciagola il nome di Gidan. Era infatti molto amato dal popolo, che lo vedeva come un eroe.

Quando tutto tornò silenzioso, Tutto il popolo si girò verso il portone del castello, in attesa.

E poi il portone si aprì, E Garnet uscì dalla penombra del castello mostrando il suo splendore al mondo intero. Era sottobraccio a Steiner, che, fiero, come non mai, la portava a passo di marcia verso l’altare. Alle spalle, la Shogun Beatrix, con la sua Save the Queen levata in alto, camminava sorridendo verso chiunque incontrasse il suo sguardo.

Quello era un giorno di gioia per Alexandria e per il mondo intero. E tutti lo sapevano.

“Eiko” sussurrò Cid alla bambina “Vieni qui con me. Io e Hilda facciamo i testimoni e non possiamo lasciarti qui da sola”

“D’accordo” disse Eiko, che segui i due verso l’altare.

Quando furono arrivati, vide Gidan che le fece l’occhiolino. Eiko sorrise a Garnet, che pareva parecchio nervosa.

“Cari fratelli e sorelle” disse il gran sacerdote di Alexandria “Siamo qui riuniti per…”

La cerimonia andò avanti a lungo. Eiko, che non aveva mai visto un matrimonio, si stupì della noia che provava. Era solo un accozzaglia di parole e parole! Stava un po’ irrequieta sulla sedia, e desiderava potersi muovere, ma sapeva che non poteva proprio.

“… e grazie al potere conferitomi io vi dichiaro…”

Eiko si riscosse dai suoi pensieri proprio nelle battute finali.

“… marito e moglie. Ora può baciare la sposa” disse il Gran sacerdote.

Gidan e Garnet si baciarono profondamente, davanti a tutto il popolo.

La gente applaudì, acclamando i nuovi sovrani di Alexandria.

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Capitolo 2
*** Una nuova casa ***


Dopo la cerimonia il ricevimento si tenne in un grandissimo salone del castello, agghindato per l’evento con nastri argentati provenienti da Toleno. Gli invitati erano molto pochi, ma tra questi, al tavolo della regina e del nuovo re, spiccavano gli eroi della guerra contro Kuja. Erano stati invitati personalmente dalla sovrana, e quindi venivano tutti trattati con grande rispetto.

Eiko, come sempre, saltellava qua e là urtando le gambe dei nobili che incontrava, cercando l’abito bianco di Daga, o Garnet, o come volevano chiamarla gli altri. Si imbatte in Freija e Flatrey, in Amarant e persino in Quina, che la salutò con il suo tipico accento, ma a Garnet non la trovava proprio!

“Oh, Gidan!” urlò la piccola bambina tirandolo per la manica.

“Eiko!” disse Gidan “cosa c’è?”

“Sai dov’è Daga?” chiese Eiko.

“Dovresti abituarti a chiamarla Garnet” sussurrò Gidan.

“Oh! Ma è una mania allora? Io la chiamo come mi pare e piace!” disse lei, incrociando le braccia al petto.

Gidan sospirò “D’accordo, e comunque vedi che si è appena seduta al tavolo, perché non la raggiungiamo?”

“d’accordo!” assentì Eiko, che, presa in braccio da Gidan, si diresse verso il tavolo principale, ai quali erano seduti anche Cid ed Hilda.

“Eiko! Dov’eri finita?” chiese Cid.

“E’ tutto a posto, Granduca” disse Gidan riponendola a terra. “era solo venuta a farmi gli auguri”

Eiko, mentre si sedeva, gli sibilò un “grazie”, a cui lui rispose con una strana smorfia che la fece ridere fino alla nausea, facendole guadagnare le occhiate storte di Hilda e Cid.

“Allora, Eiko” disse Garnet “proprio l’altro giorno io e Cid stavamo discutendo della tua educazione”.

“In che senso?” disse Eiko guardando i genitori adottivi.

“Beh, sei davvero una bambina intelligente, sarebbe un peccato non farti studiare”.

“Dovrei prendere… lezioni private?” chiese Eiko contrariata.

“Beh… l’idea era più o meno quella” assentì Hilda, venendo in aiuto di Garnet.

 “Dal Dottor Totto, ti ricordi di lui?” chiese Gidan.

 “beh, si…” disse Eiko a disagio “Mi ricordo… ma vive a Toleno!”

 “Lui sarebbe disposto ad insegnare qui ad Alexandria” si intromise Cid “in questo modo potresti stare accanto ai tuoi amici al contempo essere vicina a casa per venirci a trovare quando vuoi…”

 “Davvero potrei studiare qui ad Alexandria?” chiese Eiko “Voi siete d’accordo?”

 “Perché non dovremmo?” disse Hilda guardandola “Avresti potuto studiare a Lindblum, ma il Dottor Totto non se la sente di trasferirsi così lontano… e come dargli torto, vista la sua notevole età?”

 “Potrai vivere qui nel castello… dopotutto adesso sei una gran duchessina!” disse Gidan.

 “E tu sei il re!!!” rispose la bambina scoppiando in un’allegra risata.”Ma i moguri?”

 “Beh… potrebbero venire con te!” disse Garnet “ti sembra forse che qui lo spazio manchi?”

 “Grazie, Daga” disse Eiko. E poi scese il silenzio.

“Allora? Non mi correggi?” chiese stupita Eiko.

 “E perché dovrei?” rispose Garnet con un sorriso “Quel nome mi rievoca momenti meravigliosi”.


All’esterno della sala, Un bambino col cappello da merlino era troppo timido per sedersi al tavolo della regina, dove Eiko spadroneggiava con la sua aria da saputella. Oh, se solo anche lui avesse potuto essere come lei, così sfacciato da poter dire qualunque cosa senza preoccuparsi delle conseguenze, avendo coraggio…

 “Signor Vivi!!! QUO VADIS?” chiese la voce di Adalberto Steiner da dietro di lui.

 “A-Ah, S-Steiner! Stavo per A-and…”

 “E dove sono i suoi placidi figlioletti? Sono talmente simpatici, con il loro andare qua e là…”

 “Il m-maggiore sta m-male e-e i p-più piccoli n-non volevano l-lasciarlo s-solo” rispose Vivi.

 “Si vede che hanno preso da lei, Signor Vivi! Sono sempre altruisti! Venga con me, andiamo tutti e due a sederci!”

 Doveva ringraziare Steiner. La sua fiducia era qualcosa di grande per lui. Ma non lo ringraziò. Il fattore timidezza non glielo permise. Ma lo seguì nella sala, e si mise vicino al principe Puck, re di Burmesia, e ad Eiko, la sua amichetta nonché gran duchessina di Lindblum.

 Eiko stava però parlando con Garnet, che le sedeva a fianco, e non lo notò, mentre al contrario, Puck urlò: “Vivi! Amico mio!”

 “C-ciao Puck!” rispose Vivi.

 “Q-quanto tempo! Come ti va la vita?”

 “L-la s-solita… vivo i-insieme ai m-maghi n-neri e ai Jenoma nel v-villaggio, e M-mikoto mi da una mano con i p-piccoli”

 “Come stanno?” chiese Puck

 “N-non molto b-bene purtrop…” ma venne interrotto da un amico del principino che lo chiamò, e Puck si allontanò lasciandolo solo.

 Quanto era triste! Ma era davvero così insignificante? Anche il più piccolo scaraburi era più visibile di lui? E perché tutta questa insicurezza? Non poteva avere fiducia in se stesso?

 Guardò tutti al tavolo. Gidan e Garnet, insieme da quel giorno e per sempre, legati da un marchio invisibile impresso su di loro. Steiner e Beatrix che parlavano animatamente delle nuove tecniche di difesa di Alexandria. Guardò Freija e Flatrey che conversavano sulla restaurazione di Burmesia. Guardò Quina, immersa nell’arte del “magnà” da lei stessa creato. Guardo Amarant, la cui solitudine non sembrava essere un problema per lui. Ed infine guardò la piccola Eiko, assieme ad Hilda e Cid, che discutevano animatamente sulla partenza della più piccola della famiglia.

 Quel giorno era solo.

 Si sentì come quando, durante il periodo della guerra della madre della signorina Daga, veniva additato dalla gente per la sua somiglianza con gli altri maghi neri. A lui spettavano semplicemente le accuse… e lui cercava di rispondere con un “non odiatemi”. Che però non sortì mai l’effetto sperato.

 

 
Eiko finì la conversazione con Garnet e poi si girò a guardare il tavolo. Com’erano felici tutti! Tutti allegri, sorridenti… beh, tutti eccetto Amarant, che non perdeva mai occasione di sfoderare il suo musone. Ma allora perché era venuto? Boh… non lo sapeva proprio.

Poi sentì un sospiro provenire dalla sua sinistra. Si voltò e vide…

 “Vivi!!!”

Il piccolo maghetto nero alzò gli occhi di scatto.

 “Eiko?”

 “Ciao! Sai, non ti avevo notato” rispose la bambina sbracciandosi per dare maggiore enfasi alle sue parole.

 “Beh… i-io sono s-stato qui!” si ritrovò a dire Vivi.

 “Come va la vita al villaggio dei maghi neri? Come sta Bobby Cowel?” chiese Eiko.

 “S-sta b-bene!”

 “E il mago nero n°288?” domandò la piccola.

 “Beh… s-si è spento pr-proprio l-l’altro g-giorno. H-ha s-smesso d-di muoversi e l’ho d-dovuto m-mettere s-sotto t-terra” rispose il maghetto.

 Eiko se ne dispiacque moltissimo. Sapeva che questo era uno dei problemi che più affliggeva Vivi, ed infatti aveva anche notato l’aumento del balbuziare di Vivi appena aveva toccato l’argomento. Povero Vivi… come lei, anche suo nonno lo aveva  abbandonato precocemente, scaraventandolo in un mondo in cui solo la violenza regnava, mentre un animo mite come il suo è destinato a rimanere incompreso. Davanti a nazioni che combattono tra loro per il potere, davanti a prepotenti, davanti a ricchi viziati, come può sentirsi il piccoletto?

 Eiko lo abbracciò, sapendo che per lui anche quel singolo gesto era importante.

 Qualche posto più in là, Cid aveva assistito a tutta la scena, e non poté fare a meno di sorridere.

 


La cerimonia ebbe un travolgente successo. Tutti i nobili rimasero parecchio soddisfatti quando la compagnia teatrale Tantarus, di cui direttrice era Carmen, fece il suo ingresso narrando le vicende di “Sarò il tuo passerotto”, stavolta con sensibili modifiche per adattare la storia al pubblico presente in sala.

La torta venne tagliata con la Save The Queen della Shogun Beatrix. Si scoprì che gli ingredienti della “famosa” delizia promessa da Quina per dessert erano rane, ma tutto sommato era un piatto gustoso che nessuno degli ospiti poté rifiutare data la sua bontà.

E quando venne il momento dei saluti, Eiko dette un breve addio ai regali consorti, sapendo che entro qualche giorno si sarebbero rivisti.

Ad Alexandria ne avrebbe combinate delle belle!

“No!!! Non voglio andare a letto!!!” urlò Eiko alla madre “voglio fare le valigie adesso”.

 “Non mi sembra ragionevole fare le valigie adesso” rispose Hilda “E’ tardi e siamo tutti stanchi a causa del matrimonio, quindi si va a letto!”

 “Ma…”

 “Niente ma, signorinella! Cid, accompagna Eiko a letto!”

 “Si, Hilda” Cid prese in braccio la piccolina, che si dimenò con tutte le sue forze mentre veniva portata in camera.

 “Se lo sapevo ti facevamo rimanere scaraburi” brontolò Eiko.

 Cid rise, mentre entrava in camera di Eiko. La depose sulle coperte e le diede un bacio.

 “Le facciamo insieme le valigie domani?” chiese Eiko.

 “Si… domani” disse Cid, ma la piccola dormiva già, cullata dalla morbidezza del suo lettino e dalla stanchezza della giornata passata.

Cid la guardò teneramente.

 Come sei matura per la tua età, Eiko. Ti ho visto con il tuo amichetto, oggi. Sei perfetta così, non cambiare mai. Davvero. Per favore, resta sempre così, minuta, piccola, ma bella e pimpante, capace di ridare il sorriso anche dopo una tempesta.

 Ti prego, non cambiare mai.

 

 

Ciaoooo!!! Anche il secondo capitolo è andato pubblicato!!! Qui i veri protagonisti erano Eiko e Vivi, ma anche gli altri non avevano mica un ruolo banale!!! Comunque, a presto con i nuovi capitoli di “Forever and on”.

 
PS = recensire è un rimedio contro tantissime malattie curabili e non. Perché non approfittarne scrivendo un piccolo commentino?^^

Grazie a chi leggerà e a chi commenterà!

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Capitolo 3
*** Alexandria! ***


“Mmmm…” mugugnò Gidan dal suo letto. Il sole gli arrivava sul viso, non permettendogli così un dolce riposo. Si accorse che, data la particolare angolazione della camera, doveva essere molto tardi visto che il sole poteva entrarvi. Più o meno le undici del mattino.

Garnet si era già alzata. Sentiva il dolce suono dei suoi passi aldilà della parete, in bagno, sotto lo scrosciare dell’acqua. Gidan si diresse verso il secondo bagno della camera, e dopo essersi raso con una lametta, si vesti con i primi indumenti che gli capitavano a tiro. Niente più doveri regali quel giorno! Solo l’accoglienza ad Eiko, ma, figurarsi, non era una cerimonia da pompa magna accogliere una bambina che per giunta conoscevano benissimo.

Anche Garnet uscì dal bagno, vestita già di tutto punto con un grazioso abito di seta.

“Buongiorno” sussurrò.

“Buongiorno a te!” disse Gidan “un po’ di pace oggi, eh?”

“Per favore, non ne potevo più! Con la Contessa McGrevis tra i piedi che voleva a tutti i costi conoscerti… ma non pensa al suo povero marito?”

“A me ha detto che attraversano un periodo di crisi” sussurrò Gidan “Chissà, magari vuole trovarsi un nuovo marito soffiandolo alla regina di Alexandria…”

“Beh…” disse Garnet stizzita “vedo che le abitudini da donnaiolo non ti sono ancora passate!!!”

“Ops” sussurrò Gidan sorridendo alla sua consorte.”Beh… ehm… non sarebbe meglio andare all’approdo? Eiko dovrebbe arrivare a momenti”.

“Hai ragione” disse Garnet, dimenticandosi della gaffe di Gidan “oggi viene Eiko. La sua stanza è proprio quella qui accanto, l’abbiamo preparata ieri, mentre il vero problema è dove mettere il Dottor Totto, perché e vecchio e non credo se la senta di fare tutte quelle scale al giorno” Garnet sospirò “beh, a quanto pare dovrò dire disposizioni per poter allestire una camera al piano terra, e…”

“Ehm… tesoro? Non vorrei interrompere il tuo monologo, ma l’Hilda Garde sta per arrivare e…”

“No, aspetta! Dobbiamo dare precise istruzioni sulla stanza…” cominciò Garnet, ma venne interrotta da Gidan che la trasse a se e la baciò profondamente. Dopo qualche secondo i due si staccarono, e Gidan le disse: “Più tardi… adesso è molto importante accogliere Cid, Hilda ed Eiko”.

“D’accordo” disse Garnet aprendo la porta e cominciando a scendere le scale per arrivare alla sala del trono, seguita da Gidan “Te l’ho mai detto che sembri parecchio abituato a questo ambiente? Già pensi di non fare tardi, di fare una buona impressione con i nobili… sei un po’ cambiato rispetto alla prima volta che ci siamo incontrati”.

“beh… ho avuto la migliore maestra di tutto il continente della Nebbia” rispose Gidan.

“Fai il donnaiolo anche con tua moglie?” scherzò Garnet.

“Beh… visto com’era finita a Cid, è meglio fare il cascamorto solo con una persona, e preferibilmente con colei che si è scelta tra tutte le altre”.

Garnet sorrise alla risposta del Jenoma. Insieme superarono la sala del trono e scesero fino ad arrivare al cortile interno del castello. Dopodiché si diressero verso la sala di Nettuno per andare al porto ed aspettare l’arrivo di Cid e compagnia.

 

“Mamma!!! Ho dimenticato lo spazzolino!” sbuffò Eiko.

“E ti pareva” sussurrò Hilda fra sé “Non fa niente, tesoro, te ne faremo comprare un altro ad Alexandria”

“Va bene” disse la piccola sciamana.

“Piuttosto, è molto più importante che io ti ripeta che…”

“… devo fare la brava, non devo uscire da Alexandria, devo andare al borgo SOLO quando posso e soprattutto accompagnata da qualcuno, devo dare ascolto al Dottor Totto che è stato molto gentile a concedermi questa possibilità e non devo far disperare Gidan e Daga” recitò Eiko tutto d’un fiato. Quella ramanzina la sapeva a memoria!

“Esattamente, e non devi chiamarla Daga!” disse Hilda.

“Ma lei ha detto che le piace essere chiamata così, perché le fa ricordare i vecchi tempi…”

“Eiko, pretendo che tu la chiami col suo vero nome, e cioè Garnet Til Alexandros XVII!”

“Va bene, mamma!” sussurrò Eiko rassegnata. Poi si voltò e si diresse verso il ponte dell’’idrovolante, dove Cid dava indicazioni ad Erin, a cui era affidato il comando del timone.

“Papà!!!” urlò Eiko tirandolo per la manica.

“Cosa c’è?” sussurrò l’uomo prendendola in braccio.

“Quanto manca per arrivare ad Alexandria?” chiese la piccola bambina.

“Oh… davvero poco!” esclamò Cid. La portò di fronte al vetro che li separava dal cielo aperto e le disse indicando con il dito: “Guarda, adesso siamo proprio sotto la Grotta di Ghiaccio, molto famosa qui ad Alexandria. Oltre si estende la grandissima foresta del male, e…”

“Ma perché si chiama così la foresta del male?” chiese Eiko.

“Beh, io non lo so, ma sono sicuro che studiando dal Dottor Totto arriverai a saperlo benissimo” rispose Cid.

“Davvero?” chiese Eiko con i grandi occhi che brillavano di curiosità.

“Certamente!” disse Cid dandole un bacio sulla fronte.

Eiko sorrise. Come era affettuoso papà con lei! Era sempre disponibile a parlare e a coccolarla, in modo tale che non si sentisse mai sola. Chissà se gli sarebbe mancato…

“E poi? Dopo la foresta del male, c’è Alexandria, vero?” domandò la sciamana.

“Beh, alza gli occhi e lo vedrai tu stessa” sussurrò Cid.

Eiko si voltò di nuovo verso l’enorme vetrata e, ancora una volta, la magnificenza del regno di Alexandria la colpì. Lo stendersi interminato di casette borghesi, brulicanti di vita, di bambini, bambini che avrebbero anche potuto essere i suoi nuovi amichetti, e tante altre persone con cui probabilmente avrebbe conversato, riso, parlato…

Solo per la prima volta, si rese conto che Alexandria era davvero la sua nuova casa. Il posto in cui avrebbe potuto realizzare i propri sogni, vivere la sua vita, ridere, piangere, parlare… tutto ciò accanto ai suoi amici.

“Bene” disse Cid facendola scendere dalle proprie braccia “preparati a scendere, e per favore, fai contenta tua madre dando sfoggio di buone maniere almeno finché lei guarda verso di te!”

Eiko rise e poi si mise a correre per tutta la nave saltellando e fantasticando sulle sue numerose avventure che sicuramente avrebbe avuto ad Alexandria.

Quasi non si accorse dell’idrovolante in picchiata verso il porto, e stava per essere sbalzata fuori dalla nave quando essa si fermò di colpo, segnalando il loro arrivo. La piccola bambina allora schizzò fuori dall’idrovolante con la velocità di un Chocobo Dorato  si fiondò tra le braccia di Gidan e Garnet.

“Ehi! Calma” disse Gidan mentre Eiko la stritolava in un abbraccio. “Ma quanta forza hai?”

“Oh Gidan! Daga! Sono così contentissima di vedervi!!!” urlò Eiko.

“Così contentissima?” domandò Garnet riflettendo sulle strane parole della bambina.

Dall’idrovolante scesero anche Cid ed Hilda: il primo parecchio divertito dal comportamento della figlia, la seconda con una gran voglia che le lezioni del Dottor Totto cominciassero subito, in modo tale che quella scapestrata di sua figlia imparasse un po’ di buone maniere!

Le ore successive trascorsero tra il lavoro estenuante dei facchini che scaricavano roba di Eiko dall’idrovolante (per la verità roba di Hilda per Eiko, perché se fosse stato per la bambina, non si sarebbe portata niente) e le indicazioni di Hilda su come allestire la camera della figlioletta.

Eiko, nel frattempo, se ne stava con Garnet e Gidan, che le mostravano ogni anfratto del castello, visto che la sua conoscenza riguardo ad esso si limitava solo a pochissime stanze. Le mostrarono la biblioteca, la sala del trono, la sua stanza, le cucine (dove Quina si stava sbizzarrendo nel creare nuove assurde ricette dalla bontà inaudita) e le segrete, complete di sotterranei e prigioni. Le dissero anche che aveva qualche giorno libero prima dell’inizio delle lezioni, perché Il Dottor Totto era stato trattenuto da alcuni affari a Toleno (pare che all’asta vi fosse un oggetto preziosissimo), e quindi aveva sufficiente tempo per ambientarsi.

“Ed inoltre, il Dottor Totto mi ha detto di informarti che, oltre a te, insegnerà anche ad un altro ragazzo. E’ figlio di nobili a Toleno, ed i suoi genitori sono dei miei carissimi amici” disse Garnet.

“Davvero? Avrò un compagno di studi?” chiese la piccolina.

“Certo! E sono sicura che andrete d’accordo, visto il suo carattere… ehm… esuberante!” continuò Garnet.

“Wow! Chissà chi è…” disse Eiko tra sé.

Il giro continuò fino al primo pomeriggio. Quando ad Eiko venne mostrato tutto il castello (anche lo sgabuzzino delle scope e quello per gli stracci reali) la sua stanza era già bella e pronta. Era situata nel medesimo luogo in cui vi era una volta la stanza di Garnet, quando ella era solamente una principessa. Eiko poté notare il fatto che era parecchio graziosa, ma di certo non le si addiceva. Ma non voleva deludere Hilda che si era prodigata con tanto amore nell’organizzare la camera, e quindi decise di apportare modifiche in seguito, quando sua madre sarebbe tornata a Lindblum.

Durante il pomeriggio cercò molte volte di sgattaiolare verso il Borgo, ma ogni volta venne acciuffata da Steiner, che con il suo inconfondibile e tuonante “EIKO! QUO VADIS?” le tarpava le ali della libertà (in tutti i sensi, visto che la tirava dentro il castello dalle piccole alette sulla sua schiena). Addirittura, una volta venne ripresa dalla Shogun Beatrix, che le diede una bella strigliata dicendo che il borgo era parecchio pericoloso se affrontato da sola.

“E quindi” disse Beatrix “Gradirei che, prima di andare al borgo, lo chiedessi a me o a Steiner, in modo tale che uno di noi due possa accompagnarti a fare ciò che vuoi”.

La sera la famiglia Fabool e la famiglia reale cenarono insieme. Hilda e Cid, infatti, contagiati, dalla giovialità dei sovrani, avevano deciso di ripartire solo dopo la cena.

Fu una serata tranquilla e serena, molto intima, a cui nessun altro fu ammesso. Gidan e Cid, parlavano di idrovolanti e del nuovo progetto Hilda Garde V, che, a quanto pare, sarebbe sorto di lì a poco pronto per la distribuzione sul mercato. Garnet ed Hilda, invece, discutevano riguardo le ricerche di cosmetologia svoltesi a Toleno nel mese antecedente. Eiko, un po’ assonnata da quei discorsi, stava tra sé e sé, cogliendo stralci di conversazione su Idrovolanti superlusso e su Profumi favolosi.

“Sai, Mogu, se tu mi vedi, capisci ciò che sto attraversando. Come stai, invece, tu? Non posso vederti.. probabilmente sei nel paradiso dei moguri (a proposito, si chiama “Moguriparadiso?”) a crogiolarti in mezzo a tutte le bellezze che ti ritrovi in quel fantastico luogo. Ma pensi ancora a me? Pensi ancora alla tua amichetta Eiko con cui hai diviso sei bellissimi anni della tua vita? Spero di si, perché io ti penso come se tu fossi ancora qui con me.

Sei stata la mia migliore amica, e conservo ancora il tuo fiocco come pegno di affetto. Chissà come sarebbe stato buffo sulla tua testa troppo piccola per indossarlo! E poi…”

I pensieri di Eiko vennero interrotti dallo stridio delle sedie che sfregavano contro il pavimento. I commensali si erano alzati dalla tavola, e lei fece altrettanto. Li seguì verso la statua di Nettuno, che li portò al porto dove era attraccato l’Hilda Garde IV. Ma prima di partire, Cid la strinse a sé e le disse: “Per favore, Eiko, non preoccuparti se sei lontana da casa. Forse ti mancheremo, forse no, ma fatto sta che qualunque cosa accada, ricorda, quando ti senti sola, che hai una mamma e un papà che pensano sempre a te. Il nostro pensiero ti darà forza, nei momenti tristi. E ricorda che sei anche una Fabool, e noi che portiamo questo nome siamo tosti e duri da sottomettere! Quindi ricorda sempre di non farti mai manovrare. Questa atmosfera, nonostante possa sembrare tranquilla, è mossa da intrighi appena velati sotto la superficie della razionalità. Ricorda che una parola, un gesto, un’occhiata, può smascherare questo velo e  farti vedere le persone come sono in realtà. Beh… probabilmente non avrai mai bisogno di ciò che ti ho detto, ma per favore, conserva queste parole nel cuore. E’ il mio lascito per avvertirti su una realtà che non conosce se stessa”

“Beh… d’accordo, papà” sussurro Eiko. Poi lo strinse forte. E poi strinse forte anche Hilda. Si sentì triste perché realizzò che i suoi genitori sarebbero stati lontani da lei. Una lacrima scese dal suo viso, ma si affrettò ad asciugarla per non farsi vedere mentre piangeva. Lei era forte!

E l’Hilda Garde volò via, portando con sé una parte della felicità di Eiko. Me Gidan le si avvicinò e la strinse.

“Non essere triste. Vi vedrete presto” disse.

Eiko si rianimò un po’. “Si… presto” disse.

 

Ed ecco che anche il terzo capitolo è andato! Ho notato che qualche persona ha letto la fic ma non ha lasciato i commentini… su, non siate timidi!! Non vi mangio mica! Lo sapete che una volta, un mio amico, perdendo un minutino per recensire una storia si è salvato da una macchina  che altrimenti l’avrebbe investito?

Ok, la storia l’ho inventata io me è comunque di grande effetto!

Ma Grazie lo stesso a chi ha solo letto e a chi recensirà!

A presto con il prossimo capitolo!

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Capitolo 4
*** Il racconto di Vivi ***


Il Continente esterno, in primavera, era davvero un celestiale spettacolo naturale. I fiori che spiccavano lontani dal sentiero di Conde Petit contribuivano  a creare un atmosfera magnifica, adatta ad ogni genere di sentimenti affettuosi.

Ma di certo non erano quelli i sentimenti del maghetto nero che attraversava la landa, diretto verso una foresta di sempreverdi che sembrava non essere ammessa a quel tripudio di colori sgargianti che erano i fiori sugli alberi.

Vivi non riusciva a comprendere queste cose. Oh, c’erano moltissime cose che non comprendeva a dovere!!! Eppure, come sempre dopo un lungo viaggio, eccolo tornare nel luogo dove custodiva i suoi ricordi, dove vi erano gli esseri con cui si sentiva a suo agio. E soprattutto, tornava dai suoi amati figlioletti. Chissà come stavano i piccolini! Così giocosi, allegri, spavaldi! Gli mancavano enormemente, e non vedeva l’ora di riabbracciarli, uno per uno. Il più grande doveva già essere guarito da un pezzo, e sicuramente, data la sua indole esplorativa, era in giro per la foresta ad esercitarsi con il suo nuovo incantesimo Fire. Era davvero potentissimo quel piccoletto! Ricordava di quando, a sua insaputa, aveva preso il suo Caos di Zeus, ed aveva cominciato a castare magie straordinarie per tutta la foresta. Oh, come si erano arrabbiati gli animali del bosco! E lui, ogni volta che ci ripensava, rideva dalla gioia di avere un figlio così.

Fu interrotto nei suoi pensieri da un Kyactus, che venne spazzato via grazie ad un Blizzara proveniente dal suo fido bastone magico. Superò la Landa ed arrivò nei pressi di una Palude dei Qu, da dove proveniva un sordo gracidio di ranocchie e raganelle. Quina si sarebbe letteralmente fiondata su quegli anfibi, se fosse stata lì! Un altro sorriso attraverso il volto semicoperto del mago nero, che cadde in avanti, inciampando su stesso.

Si rialzò ed usò un erba Ghishal comprata ad Alexandria per richiamare un Chocobo, che arrivò dopo qualche minuto. Vivi accarezzò la testolina del pennuto, poi gli disse di andare al villaggio dei maghi neri. E lui, obbediente, si diresse proprio verso la grande foresta, addentrandosi sempre di più nel sottobosco e schivando tutti i rami con grande agilità di movimenti e maestria. Il Chocobo era anche parecchio veloce, e quindi arrivò nel villaggio dopo poco tempo.

Come al solito, sciolse il sigillo che proteggeva il villaggio dal mondo esterno ed osservò, finalmente, il luogo dove i maghi neri e i Jenoma vivevano insieme ormai da qualche tempo.

Vivi sentì delle grida gioiose dalla capanna di Bobby Cowel, il cucciolo di Chocobo che stavano allevando due maghi neri. Sicuramente erano i suoi figlioletti che, come al solito, non perdevano occasione per torturare la povera piccola bestiola con carezze e con staccamenti di piume.

“B-bambini! S-sono tornato!!” disse Vivi.

Le voci all’interno della capanna si ammutolirono. Poi uno dei piccoletti gridò: “Papi?”

“S-si!” disse Vivi.

Si udì un gran tramestio dall’interno della capanna. La porta si spalancò ed uscirono una mezza dozzina di maghetti neri, tutti saltellanti e felici per il ritorno del loro papà a casa. Gridavano “Papi! Papi! Papi!”.

Vennero abbracciati a turno da Vivi, che li baciò, li rassicurò e ascoltò ciò che volevano raccontargli, poi li rimandò a giocare. Si diresse verso la locanda. Aveva intenzione di fare una bella dormita!

“C-ciao M-Mikoto!” esclamò Vivi entrando nella locanda.

La Jenoma, che stava beatamente dormendo con la testa poggiata sul bancone del locale, si alzò di scatto per vedere chi l’aveva chiamata.

“Oh, Ciao Vivi! Quando sei tornato?”

“Pr-proprio adesso…”  rispose il maghetto nero. “C-ce l’hai un letto l-libero?”

“Certo! Seguimi!” disse Mikoto che lo condusse in una stanza piccola ma accogliente. Era piena di fiori, con un soffice letto a castello e una scrivania alla parete. “Tieni, questa è libera” .

 “Gr-grazie!” disse Vivi. Quando Mikoto chiuse la porta, lasciandolo solo, si lasciò andare sul ripiano inferiore del letto. Come era stanco! La testa gli pulsava terribilmente, sentiva le palpebre pesanti. Non avrebbe desiderato altro che poterle chiudere, ed addormentarsi per lungo, lungo tempo.

Ma non era giusto riposare. In quel villaggio tutti davano una mano durante il giorno e lui ci teneva a fare la sua parte. Era mancato al suo dovere anche troppo, in quei giorni.

D’accordo, si sarebbe riposato solo per un pochino, senza addormentarsi, per riprendersi dal lungo viaggio.

Ma il potere di Orfeo è indomabile. Il maghetto stava per chiudere gli occhi, ammaliato dalla comodità del letto, quando un piccolo esserino spalancò la porta e gli si lanciò addosso, riportandolo alla realtà. L’esserino non era altri che uno dei figli di Vivi, il più piccolo, per la verità.

“Papiii!!!” urlava il maghetto.

“C-cosa c’è?” chiese Vivi abbracciandolo.

“I fr-fratellini non vogliono giocare con me!” urlò l’altro in risposta, scoppiando a piangere tra le braccia del padre.

“E p-perché mai?” chiese Vivi stringendolo.

“P-perché sono timido e b-balbetto… ed anche perché s-sono p-piccolo…” 

Le parole colpirono nel profondo Vivi. Si rivide in quel piccolo, rivide tutte le angherie che aveva subito, tutte le volte che era stato ingannato, tutte le volte in cui era stato semplicemente emarginato. Rivide tutto, sotto gli occhi del maghetto che piangeva tra le sue braccia. Gli sembrò di vedere il futuro del figlio, non il suo passato. Ma doveva evitare che ciò accadesse. E la fiducia a volta era  un vero e proprio toccasana, il rimedio contro tutti i mali del mondo. Non gli venivano parole appropriate da dire, così strinse, ancora più forte, quell’esserino, trasmettendogli calore.

Il figlioletto si asciugo le lacrime e poi gli disse:”Andiamo a t-trovare il mago nero n°288?”

Gli occhi di vivi si illuminarono di stupore:”Sei s-sicuro che vuoi vederlo? E’ p-passato poco t-tempo da quando s-si è f-fermato…”

“S-si! Voglio andare là” disse risoluto il mago nero.

“D-d’accordo” disse Vivi prendendolo in braccio e alzandosi dal letto. Uscirono dalla stanza. Mikoto stava pulendo il banco, ma era chiarissimo il fatto che aveva sentito ogni parola. L’occhiata che scambiò con Vivi fu parecchio eloquente, ma Vivi non le fece caso. Sapeva che non doveva portarlo dal mago nero n°288, ma era stata una sua esplicita richiesta ed ormai voleva rispettarla. Uscì dalla locanda, attraversando la ferramenta da cui provenivano intensi rumori metallici, fino ad arrivare al piccolo cimitero allestito dietro il villaggio. Decine di pali erano piantati nel terreno, e su di essi svettavano i vestiti del mago nero defunto. Sembrava un grande campo di spaventapasseri contro i corvi che giravano lì intorno. Come se fosse un segnale per i corvi, che, non avvicinandosi, preservano gli oggetti rimasti in mano dei vivi.

Tra le tante tombe ne svettava una, più recente: il terreno adiacente era più fresco, come se fosse stato spostato qualche giorno prima.

“E q-quella la t-tomba?” chiese il piccolo.

“S-si” rispose Vivi.

“Ma perché ci s-sono solo i v-vestiti? Dove hanno m-messo il c-corpo?”

“S-sottoterra…”

“Ah” rispose il maghetto.”e perché?”

“N-non lo so… non l’ho mai c-capito”

Scese il silenzio tra i due. Il piccolo si stringeva forte al padre, e il padre abbracciava il suo bambino, che era uguale ma diverso al tempo stesso da lui. Balbettante, ma coraggioso. Lui non avrebbe mai avuto il coraggio di visitare la tomba pochi giorni dopo la morte di un suo amico, alla sua età. Ma suo figlio, invece, era sempre con lui, sempre pronto a dare una parola di conforto agli amici, ai fratelli, che però per questo lo prendevano in giro. E non sapendo di nuovo cosa dire,  lo abbracciò di nuovo più forte. Sapeva che il suo abbracci era più eloquente di mille parole.

“T-ti voglio bene, papi” sussurrò il maghetto.

“Anche io” disse Vivi, stupendosi per l’assenza di balbettio.

Il bambino lo guardò negli occhi luminosi “M-ma tu ce l’avevi un papi?”

“N-no, non ho m-mai avuto un papi. Però avevo un nonnino tanto s-simpatico!” disse Vivi.

Gli occhi del figlioletto si spalancarono. “Davvero? M-me lo racconti?”

“D’accordo” rispose Vivi “Vedi, qualche anno fa, mio nonno, che si chiamava Quan, trovò un grande uovo. Ne fu tanto felice perché credo volesse mangiarselo. In quell’uovo c’ero io, come capii lui quando mi schiusi” Cominciò Vivi, notando che il balbettio era svanito. La fiducia, anche se per poco, poteva davvero curare tutti i mali del mondo.

“ma com’era f-fatto Nonno Quan?” chiese il maghetto.

“Assomigliava un po’ a Quina” rispose Vivi. “Appena mi vide, Il nonno mi portò nella sua caverna e mi allevò come se fossi figlio suo. Ricordo che cercava sempre di farmi mangiare quello che preparava, ed erano tutte cose buonissime. Diceva che se non mangiavo non crescevo, ed aveva anche ragione. Ricordo che certe volte mi metteva in una grande pentola e, quando io gli dicevo il perché, lui prima non rispondeva, ma poi, quando mi riprendeva, diceva che era per farmi il bagno, perché voleva che fossi pulito e ordinato. E di solito, dopo il bagno mi faceva mangiare tanto, tanto, tanto dicendomi di cercare di ingrassare un po’, perché a nessuno piacciono i bambini scheletrici. Ed io mangiavo per farlo contento, perché mi piaceva quando il nonno era contento di me. E poi, dopo mangiato, mi misurava l’altezza e la segnava sul muro. Solo che non crescevo tanto ,e lui si preoccupava molto per questo. Ma quando passarono sei mesi da quando mi aveva trovato, smise di misurarmi e farmi mangiare tantissimo. Disse che dopotutto  stavo bene così, che non dovevo crescere per forza, e che ormai si era affezionato a me e quindi che non l’avrebbe più fatto”.

“F-fatto cosa?” chiese il figlioletto, curioso.

“Non lo so, non me lo disse mai” continuò Vivi, felice di poter parlare liberamente, per la prima volta, dopo dieci anni di vita “Ma da quel momento egli cominciò ad insegnarmi tante cose. Mi disse i nomi delle cose che non conoscevo, mi leggeva un libro di favole e a volte giocava anche con me a nascondino. Fu in una di una queste occasioni che usai per la prima volta i miei poteri. Io mi ero nascosto dentro il pendolo, ma lui stava venendo verso di me. Senza saperlo, usai una magia Vanish su me stesso, rendendomi invisibile ai suoi occhi. Quando egli aprì il pendolo, non mi trovò, ed io intuii che c’era qualcosa di strano. Ma, anche quando tornai normale, non volli parlargliene, per paura che si spaventasse e mi lasciasse solo, andandosene. Passò il tempo e, poco alla volta, mi scordai dell’avvenimento. Nonno Quan nel frattempo mi portava nei boschi vicino alla Caverna, cercando di insegnarmi a mangiare i mostri, come faceva lui. Ma io non sapevo mangiarli, e lui, dopo un po’, decise che quella non era la mia strada. Quindi mi costruì una spada in legno, solo che vide che non era bravo neanche ad attaccare. Perlopiù non ero nemmeno agile, e quindi non potevo neanche intraprendere la carriera del ladro. Mi sentivo demoralizzato. Inutile. Ma il nonno Quan mi diceva sempre di stare tranquillo, perché prima o poi avrei trovato la strada che mi si addiceva. Però io, mi sentivo lo stesso scontento, perché pensavo che lui fosse deluso dal fatto che non riuscivo ad imparare niente. Quindi, una notte, decisi di prendere una decisione drastica. Scappai di casa”

“D-davvero? E il nonno?”

“Il nonno ovviamente, appena si accorse che non c’ero mi cercò. Sentivo i suoi richiami, ma io volevo allontanarmi. Avevo deciso di andare verso le tante luci che vedevo di fronte a me. Non volevo dare altri dispiaceri al nonno. Volevo che mi dimenticasse. Nel frattempo speravo di non trovare mostri davanti a me, poiché ero davvero troppo debole per combattere. Ma ovviamente ciò non accadde: Mi trovò un uccello tutto colorato, e mi metteva paura! Io allora ho cercato di scappare, ma quello mi ha preso con gli artigli nella giacca e mi ha fatto volare! Avevo paura che mi lasciasse andare, ed allora ho chiuso gli occhi forte, per non guardare in basso. Ma poi ho sentito il nonno che cercava di lanciare un Sancta Liv.4 al mostro, e allora mi presi di coraggio. Sentii nascere dentro di me una forza sconosciuta, e riuscì a lanciare una palla di fuoco all’uccello. Solo che quello, morendo, mi lascio andare, ed io precipitai a terra. Mi svegliai il giorno successivo con un gran mal di testa. Ma secondo il nonno, poteva andarmi peggio. I miei vestiti erano però tutti rovinati, e il nonno non poteva comprarmene altri perché non avevamo i guil... e quindi cucì le parti strappate con delle toppe, e se vedi ce le ho ancora! Ma comunque, il nonno adesso sapeva del mio dono. Lui era contento perché finalmente aveva capito in cosa ero bravo. Nella magia! Mi ricordo che cercava di allenarmi facendomi usare la magia Fire, l’unica che conosceva bene. Pian pianino imparai anche Blizzard e Thunder. Probabilmente, presto, grazie al nonno, avrei imparato magie più potenti di quella, ma…”

“M-ma?” chiese il maghetto.

Vivi sospirò. Adesso non era più tranquillo come prima. “M-ma… un g-giorno…”

 

 

C’era freddo quella mattina. Vivi voleva uscire a giocare, ma il nonno non voleva.

“Te piglierai un raffreddore se esci così!” diceva Quan.

“M-ma io… mi v-voglio allenare!” sussurrava il maghetto abbassando lo sguardo.

“Non se può fa niente oggi, Vivi… Quando c’è bel tempo, usciamo” rispose Quan.

“D’accordo, n-nonno” esclamò Vivi. Si allontanò dalla stanzetta a fine caverna ed andò ad osservare le crepe della grotta, le stalattiti, le stalagmiti e tutte le altre bellezze che racchiudeva quel fantastico luogo. Com’era bella la caverna di Nonno Quan! Piena di segreti da scoprire! Colorata da quel colore rosso chiaro che tanto piaceva sia a lui che al nonno! Era davvero un bel posto per vivere.

Sentì il nonno dire: “Io vado a preparà da magnà!”, e il tramestio delle scodelle da cucina.

Vivi camminava ancora per la caverna, inciampando di tanto in tanto in un occasionale ciottolo sbucato fuori dal terreno ghiaioso.

Finché non sentì un forte tonfo provenire dalla Stanza in fondo della Caverna. Poi il silenzio. Non più i rumori delle scodelle che il nonno metteva sul fuoco. Neanche le sue canzoncine mentre cucinava, pregustando un lauto banchetto. Niente. Il silenzio della grotta era glaciale.

Vivi aveva paura. Che cosa era successo? Si mosse verso la stanza, con trepidazione. Sbirciò dentro e non vide nessuno. Neanche il nonno. Subito corse dentro la stanza, ma inciampò su qualcosa cadendo in avanti. Guardò indietro, per vedere cosa lo aveva fatto cadere, e rimase di stucco.

Non era possibile.

Era inciampato sul nonno, che se ne stava impalato a terra, senza muoversi.

Vivi gli andò vicino, e cercò di scuoterlo. Niente.

“M-ma dormi?” chiese Vivi.

Silenzio.

“N-nonno?” chiese Vivi incerto.

E Quan aprì gli occhi. Ma sembrava tanto triste e sofferente!

“N-nonno, ma c-che hai?”

Quan girò lentamente la testa, verso di lui.

“Ascolta, Vivi. Io devo andà in un artro posto” disse grave.

“E d-dove?” chiese lui.

“In c-cielo...” rispose Quan.

Vivi restò zitto. Ancora non capiva cosa volesse dire il nonno “E quando torni?”

Quan ci pensò un attimo prima di rispondere: “Non tornò più, Vivi! Non posso più tornà qui!”

“E p-perché?” chiedeva Vivi, che ancora non capiva.

“Perché sto pe morì…” rispose.

E vivi rimaneva in silenzio. Morire?

“C-cosa vuol dire m-morire?”

Quan stava impiegando sempre più fatica a parlare “Vuò dire… che… non posso più tornà… che… devo andà in un posto migliore… e che non posso più vederti…”

“M-ma io rimango solo se tu parti” disse Vivi, sempre più confuso.

“Lo so e… mi dispiace, Vivi… ora, tu… non essere triste, io sarò sempre con te, anche quando non mi… vedi…”   

Vivi abbassò lo sguardo.

“Ad-d-dio… Vivi” e Quan si fermò, per sempre.

 

 

“E il n-nonno si era f-fermato?” chiese il maghetto a Vivi.

“S-si… Q-quella notte piansi tutto il t-tempo, abbracciato al nonno, c-che era f-freddo. Ero tanto t-triste. Ma poi, u-un giorno, d-decisi di f-farmi coraggio, e ab-abbandonai la caverna per s-sempre. E c-cominciai a g-girare per il mondo, f-finché non i-incontrai G-gidan e gli altri.”

E il piccolino stese un po’ in silenzio, non sapendo cosa dire.

Vivi era triste, però. Quell’episodio aveva segnato gravemente la sua vita. Non aveva raccontato a suo figlio tutte le notti in cui era stato sveglio a guardare il cielo, immaginando di vedere il nonno scendere da una stella per andare di nuovo con lui. Non aveva detto che i primi tempi tornava spesso alla caverna di Quan, sperando che il nonno lo stesse aspettando, non aveva detto delle lacrime che aveva versato, quando aveva visto che nessuno voleva parlargli.

Ma poi il maghetto disse: “C-credo che anch’io avrei v-voluto bene al n-nonno”

“L-lo penso anche  io” disse Vivi.

 

 

Ed ecco che il quarto capitolo è andato! Tutto incentrato sul mio maghetto nero preferito! Questo è stato per me un capitolo difficile da scrivere, perché le azioni dei personaggi sono state sostituiti dall’introspettività della mente umana. Tuttavia lo reputo il capitolo più riuscito finora. Inoltre ho anche allungato il capitolo di una pagina e mezza rispetto a quello precedente.

Quello che vorrei sapere è questo: preferite dei capitoli sulla scia di questo, un mix tra i due stili o che ritorni al vecchio stile? Vorrei saperlo in modo tale che io possa accontentare i più di voi.

Inoltre, se qualcosa non va, e se volete darmi qualche consiglio per migliorare, scrivete nelle recensioni quello che volete che io faccia. Siccome è una delle mie prime fic, sono un po’ inesperto e vorrei il vostro importantissimo parere!

Ciao a tutti! A presto con un nuovo capitolo!

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Capitolo 5
*** Il borgo ***


Eiko si mosse tra due bassi tavolini, inciampando su uno e cadendo a terra rovinosamente. Oh, l’aveva detto a mamma che aveva riempito la stanza con troppa roba! Tra mobili, letto, vari tavolini, librerie, scrittoi, fiori e sedie, non c’era più spazio nemmeno per i moguri! E dove li metteva ora? A dormire nella stalla con i cavalli? Giammai!!! I moguri dovevano stare con lei. Erano i suoi amici!

Fu per questo che chiamò un servo con il campanellino che le aveva dato Daga.

“Desidera qualcosa, signorina?” chiese lui inchinandosi.

“Ehm… non potrebbe levare qualcosa da questa stanza? Avrei bisogno di più spazio!” disse Eiko con un sorriso.

“Ma la signora Hilda ha detto…” cominciò quello.

“So cosa ha detto mia madre, ma…”  disse Eiko.

“Ho il preciso ordine della signora Hilda di non aiutarla nelle sue “stramberie pericolose”, e pertanto, non sono tenuto ad aiutarla” concluse il servo.

“Ma, ma…!” disse Eiko sconcertata mentre il servo usciva e richiudeva la porta a chiave alle sue spalle. Che antipatico! Cosa aveva guadagnato? L’essere rinchiusa a chiave in camera? Provò ad abbassare la maniglia, ma niente. Era proprio in trappola.

“Ed adesso cosa faccio?” disse ad alta voce. Camminò avanti e indietro per la stanza, mentre la noia prendeva possesso di quel piccolo spazio. Se almeno avesse avuto i moguri a tenerle compagnia! Avrebbero giocato a nascondino, quella stanza era tanto grande, piena di luoghi dietro il quale nascondersi per non farsi trovare… ma purtroppo era sola.

Si mise ad osservare quella grande libreria nella parete destra della stanza, colma di libri: alcuni di notevoli dimensioni, altri piccoli e sottili formati solo da qualche pagina. Alcuni grossi come la sua scrivania, altri ancora minuscoli come il palmo della sua mano. Si arrampicò sfruttando i vari ripiani della libreria fino al puntò più alto, poi si lasciò andare sedendosi sulla mensola e curiosando i titoli dei libri. C’erano tantissimi volumi che erano appartenuti alla principessa: “Sarò il tuo passerotto”, “Il vento tra gli alberi”, “La nostra Gaya”, “Il lago ambrato del continente esterno”. Tutte opere di cui aveva sentito parlare a Lindblum, le preferite di Hilda e di molte altre donne snob che aveva dovuto conoscere. Ridicole storie d’amore di gente divisa dallo spazio e dal tempo, che poi si rincontrava dopo tempo. Nelle opere più interessanti uno dei due moriva, dando maggiora drammaticità alla vicenda.

“Che storie barbose! Non c’è niente per una signorina curiosa e intelligente come me che non sia una ridicola storia d’amore?” disse dopo un po’. Beh, evidentemente aveva sbagliato ripiano. Scese un po’ più giù, al ripiano più in basso. Questo era decisamente più interessante. Vi erano libri grandi e con belle copertine lucenti, tutti ordinati in base ad un numero. C’era il “Volume I: Bestiario dei mostri presenti su Gaya”, il “Volume II: Alleviamo il nostro primo chocobo!”,il “Volume III: Guida ai moguri”.

Ma la sua attenzione venne attirata dal “Volume IV: Guida illustrata al Gayamondo”. Il Gayamondo… non era la mappa di Gaya? Certo! Sarebbe stato interessantissimo poter vedere tutta Gaya in un sol colpo! Cominciò a spingere il voluminoso volume verso l’esterno, ma vide che era parecchio duro. Ma lei non era certo un tipo che si rassegnava facilmente, così dopo qualche fatica riuscì ad estrarlo. Oh, com’era pesante! Stava perdendo l’equilibrio, e… BAM!

Fece un volo di tre metri e il libro la colpì in piena testa, tramortendola per qualche secondo. Ohi, che male! Era proprio vero che la cultura pesava. Comunque, si rialzò e, sdraiata a terra a pancia sotto, con le gambe alzate che andavano di qua e di là, aprì il libro. Nella prima pagina era già illustrata la mappa di Gaya. Bella, grande, colorata.

Individuò subito il castello di Alexandria, in basso a destra nella mappa, situato nel continente della nebbia. Accanto sorgevano Lindblum e Burmesia. Qua e là erano segnate mete minori come la Foresta del Male, il Villaggio di Dali e le varie porte che collegavano i diversi regni.

Eiko passò con il dito in rassegna dei posti che aveva visitato: Oelivert, Il Castello di Ipsen, il vulcano Gulgu, L’albero di Iifa… e Madain Sari. Una fitta si fece sentire vicino al cuore di Eiko, che ripensò al suo villaggio natale. Ripensò alle preghiere rivolte al muro dell’invocazione, ai moguri che la aiutavano a cucinare e alla promessa fatta al nonno, in base alla quale non doveva lasciare il villaggio fino all’età di sedici anni.

Ma lei aveva disubbidito. E, anche se l’avrebbe rifatto mille volte, ogni volta era sempre più doloroso infrangere le promesse fatte al suo caro nonnino. Ma ormai tutto era stato compiuto, aveva contribuito a fermare la guerra contro Kuja ed adesso era parecchio famosa. Probabilmente il nonno sarebbe stato lo stesso orgoglioso di lei.

Vicino al villaggio notò anche la foresta dove si nascondevano i maghi neri.

“Vivi!” esclamò Eiko, folgorata da un’idea. Perché non scrivere una lettera a Vivi? Ormai doveva essere arrivato al villaggio dei maghi neri da qualche giorno, e quindi sicuramente gli avrebbe fatto piacere ricevere una lettera da una “vecchia” amica.

Si alzò da terra e si diresse verso lo scrittoio alla parete. Dentro un cassetto trovò dei rotoli di pergamena ed una piuma di Cokaritos da utilizzare come penna.

Intinse la penna nel calamaio, e poi stette qualche secondo ad aspettare che le parole arrivassero alla sua mente.

“Caro… Vivi…” disse, mentre scriveva queste parole sulla pergamena “Sei… già… arrivato… a… casa?”

 

 

Nello stesso istante, un ragazzino passeggiava per i vicoli di Alexandria, insieme alla madre che lo teneva per mano.

“Cavo, non pvovave ad allontanavti tva qvesti plebei!” disse la donna, vestita riccamente con abiti sfarzosi.

Il bambino sospirò. “Si, madre” rispose. Scosse la testa per svegliare i sensi ancora intontiti dal lungo viaggio in idrovolante. I capelli castani si mossero catturando sprazzi di raggi di sole, mentre gli occhi, azzurri e vispi, guardavano da ogni parte, cercando di assimilare ogni  singolo elemento di quel regno ancora sconosciuto ma che sarebbe diventato presto la sua casa. Il mantello blu troppo lungo si impigliava con i suoi piedi, e lui, continuava a spostarlo per impedire a se stesso di cadere.

“e mi raccomando, non fav avvabiave la vegina Gavnet e il pvode Ve Gidan!” disse ancora quella, tirandolo verso la strada principale.

“Si, madre” ripeté il ragazzino. Come se non avesse sentito quelle prediche cento volte!

Aggirarono dei bambini che si rincorrevano felici, e arrivarono in una grande piazza, dalla quale svettava un grandissimo castello… la magnificenza del regno di Alexandria davanti ai suoi occhi. Un castello pieno di torri, con migliaia di finestre. Al centro, la spada conficcata nelle antiche mura donava un’aria antica alla costruzione, come se quel simbolo stesse a significare le innumerevoli battaglie a cui il regno era sopravvissuto. Dava una sensazione di sgomento, ma al tempo stesso di serenità. All’interno delle sue mura sarebbe stato al sicuro.

Attraversarono il grande atrio. La madre del bambino parlò con il ciambellano, che le sorrise e le mandò a chiamare la regina, che arrivò puntuale poco dopo.

La prima cosa che il bambino notò della regina è che era molto giovane. I lunghi capelli neri fluivano sulle sue spalle, i lineamenti erano dolci e aggraziati. Era davvero bellissima. Spesso aveva sentito suo padre e altri nobili dire che la regina era davvero un gioiello della natura, ma non aveva mai immaginato fosse così… non trovava neanche un termine adatto per descriverla.

“Baronessa Van Kelm!” disse la regina, esponendo la sua armoniosa voce “Che piacere rivedervi!”

“Gavnet! Ti sei fatta una donna ovmai” disse sua madre guardandola “Ma dov’è il Ve Gidan?”

“A predisporre strategie in caso di guerra insieme alla Shogun Beatrix ed ad Adalberto Steiner” rispose Garnet “Mentre questo” disse indicando il bambino “Deve essere il piccolo Onion! Piacere!”

“P-piacere” disse Onion, un po’ intimidito.

Garnet gli sorrise. Com’era tenero quel bambino! Assomigliava un po’ ad Eiko, se ci pensava bene…

“Adesso ti faccio vedere la tua stanza, sei d’accordo?” disse Garnet sorridente.

“S-si, regina Garnet” rispose Onion abbozzando un sorriso.

“Oh, non voglio queste formalità! Dopotutto tu dovrai vivere in questo castello, quindi puoi chiamarmi Garnet!”

“Va bene, Garnet” disse il piccoletto. Com’era simpatica la regina! Già la adorava.

Garnet li condusse su per le scale fino agli appartamenti dove sarebbe stato Onion.

“Ecco, tu starai qui” disse al bambino guidandolo verso una porta in mogano. “Poi, quella lì è la porta che dà alla stanza della tua compagna di studi, che si chiama Eiko ed è la figlia del Granduca Cid di Lindblum. Quella lì è la stanza mia e di Gidan e l’altra è quella della Shogun Beatrix e del Comandante Adalberto Steiner”.

La visita si svolse tranquillamente, molto simile a quella con Eiko avvenuta qualche giorno prima. Quando la madre di Onion se ne andò, il ragazzino restò solo con la regina.

“Ora” disse Garnet “perché non vai ad ambientarti nella tua stanza? Avrai tempo di visitare il castello, o il borgo, domani” concluse.

“Va bene” disse il bambino.

Quando restò solo, si diresse verso la sua stanza, ma prima notò una porta aperta. Dalla porta si poteva vedere il cielo. Da lì venivano gli strilli allegri di bambini che giocavano.

 

 

Eiko posò la piuma soddisfatta e rilesse il suo capolavoro:

Caro Vivi,

Sei già arrivato a casa? Spero di si, perché i piccoletti hanno bisogno di te. Non ho un motivo ben preciso per scriverti, e solo che le lezioni non sono ancora cominciate ed io mi annoio terribilmente. Sto chiusa in camera, da sola, i moguri sono in giro invece a giocare. Ma io non posso perché Steiner e Beatrix non mi fanno uscire ed un cameriere antipatico mi ha chiusa a chiave!

Le lezioni del Dottor Totto cominciano tra qualche giorno, non vedo l’ora di imparare tante cose nuove! E ho anche saputo che avrò un compagno di studi! Chi sarà mai? Se è simpatico può darsi che possa divenire anche tuo amico!

Per il momento non so cosa scrivere, e quindi ti lascio qui.

Ciao ciao!

Eiko

Beh, forse non era un capolavoro, però era qualcosa. Ma ora, come consegnarla al moguri Artemisio? A questo non aveva pensato. La porta era ancora chiusa. Come poteva uscire.

Un'idea gli arrivò come un lampo nella sua mente. Ma certo! Aprì la finestra. Era parecchio alto lì… ma poteva farcela.

Si lasciò cadere nel tetto spiovente di una torre e da lì scivolò fino ad arrivare su un altro tetto. Si raddrizzò e camminò in equilibrio tra il ciglio del tetto e lo strapiombo sotto, che dava sul cortile reale. Se scendeva ancora di qualche tetto, poteva anche riuscire a saltare. Nel frattempo però cercava di mantenere l’equilibrio, cosa molto ardua dato il vento che soffiava nella dimensiona opposta a quella desiderata da lei.

“Oh, no!” urlò Eiko mentre perdeva l’equilibrio. “Cadoooooo” esclamò poi scivolando dal tetto e finendo dritta in una siepe che per fortuna attutì lo schianto.

“Ohi!” disse Eiko massaggiandosi il fondoschiena. Aveva fatto un bel capitombolo, non c’erano dubbi! Controllò di avere ancora la lettera in tasca, e si sent’ rassicurata nel sentire la pergamena tra le sue mani. Si alzò con le gambe tremanti e si diresse verso il cortile, attraversando il grosso arco in pietra e trovandosi nella piazza di Alexandria, piena di vita e di gente che camminava avanti e indietro.

Finalmente era fuori da quella stanza! Avrebbe fatto un rapido giro e poi si sarebbe arrampicata nuovamente in camera, e nessuno avrebbe saputo niente. Era un piano perfetto!

Camminò fino alla torre di Alexandria, dove trovò il moguri Artemisio a cui affidò la lettera. Aveva qualche guil di quelli che gli aveva dato la mamma in tasca, e quindi decise di andare al bar e prendersi una spremuta di fragole di Cleyra.

Camminò per le vie affollate, sentì il suono dei suoi passi sotto la ghiaia, vide la gente qualunque, che camminava, preparava la cena, pescava, tesseva o vendeva. Giocò al salto con la corda con le bambine, corse con Hippo, saltellò per le strade ed odorò fiori, ma non se la sentiva di andare in stanza. Dopotutto il pomeriggio era ancora lungo, chi l’avrebbe mai cercata nella sua stanza?

Decise invece di avvicinarsi a dei bambini che si stavano rincorrendo.

“Posso giocare con voi?” chiese Eiko.

Quello che pareva il capo la squadrò con occhi curiosi “Non ti ho mai visto in giro. Come ti chiami?”

“Eiko”

“E dove abiti?” chiese ancora quello, dubbioso di lei.

“Al castello della regina” rispose Eiko ingenuamente.

“Tu stai al castello della regina?” ripeté beffardo il bambino “Lo sai che a noi non piacciono le bugie?” chiese.

“Non sto mentendo, è vero!” disse Eiko sbattendo un piede a terra.

“Non è vero, mi stai prendendo in giro” disse il bambino, e se ne andò seguito a ruota dagli altri bambini, che la guardavano alcuni un po’ dispiaciuti, altri con la stessa espressione del loro capo.

“Ti sembra che una signorina come me possa dire bugie???” urlò Eiko al bambino in lontananza, ma lui non si voltò, o perché non la sentì oppure perché non seppe cosa rispondere.

Adesso Eiko era triste. Uffa, ma perché tutti erano così crudeli? Alcuni bambini erano veramente cattivi! Si alzò in piedi e camminò, senza sapere dove andare con lo sguardo basso. Non guardava dove andava, non le interessava. Evitava tutti. In lontananza sentì Steiner chiamarla. La stava cercando? Non aveva ancora voglia di tornare al castello. L’avrebbe evitato per un po’, poi si sarebbe fatta trovare e portare nel castello, con la solita ramanzina sull’essere buona, e ubbidiente.

Ma proprio mentre pensava a ciò, Sbatté contro qualcosa, o meglio, contro qualcuno. Eiko cominciava a sentirsi un po’ stanca, dopo tutte le botte che aveva preso in quel giorno. Guardò il malcapitato con cui aveva sbattuto. Era un bambino più o meno della sua età, con i capelli castani e grandi occhi azzurri e vispi. Eiko lo guardò, il bambino la guardò.

“Ma cosa guardi?” chiese Onion con curiosità.

 

Ciaoo! Anche il capitolo 5 è appena finito. Scusatemi se è un po’ corto, ma ho molti impegni e non molto tempo per scrivere. Devo aggiungere inoltre che dalla settimana prossima sarò in vacanza e tornerò dopo una settimana: non so proprio come farò, ma spero di riuscire ad inserire un altro capitolo prima della mia partenza.

Detto ciò, torniamo alla fic: E’ stato presentato un nuovo personaggio, Onion. Probabilmente molti sanno cosa vuol dire questo nome, che a me piace tanto. Per chi non lo sa, cerchio “Onion” in un dizionario d’inglese, ed avrà una (s)gradevole sorpresa! Ed Eiko… finalmente è in libertà per un po’!

Spero di aggiornare presto! Voi continuate a leggere, e ricordate che una lettura, una recensione o simili possono ribaltare l’umore della giornata!

PS: Sono anche alla ricerca di un Beta-Reader. Chiunque fosse interessato mi può contattare dal sito e farmelo sapere… prenderò in considerazione chiunque abbia tanta bontà di aiutarmi!

Grazie a tutti e a presto!

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Capitolo 6
*** Cane, gatto e Grand Dragon ***


Ciao!!! Allora, innanzitutto ringrazio Nemeryal per la sua recensione. Ha risollevato le sorti di una pessima giornata… la risposta alla recensione è a fondo pagina. Tornando alla storia, Eiko ha incontrato Onion al borgo, ma non sa ancora chi è! Che cosa combineranno i due bambini insieme? Beh, leggete e lo scoprirete!!!

 

“Ma cosa guardi?” chiese Onion con curiosità.

“Potrei farti anche io la stessa domanda” disse Eiko squadrandolo sospettosa.

“Ma te l’ho fatta prima io!”

“Non mi interessa!” chiese Eiko assumendo le redini del discorso.”Chi sei?”

“Perché dovrei dire il mio nome ad una stupida bambina del borgo?”

Eiko diventò rossa dalla rabbia “Stupida bambina del borgo a chi? Rimarresti sconvolto nel sapere chi sono io!”

“Di certo non hai nulla a che fare con me e col mio rango” disse Onion con fare di superiorità.

La bambina tremò dalla rabbia. Quel ragazzino era la persona più antipatica che avesse mai incontrato!  “Per tua informazione” cominciò Eiko con rabbia “Sappi che io sono…”

“Non mi interessa il nome di una stracciona!” concluse il ragazzino sorridendo beffardamente.  Quel sorriso era così arrogante che fece scattare qualcosa in Eiko. Si mosse verso di lui e gli diede un ceffone in piena faccia, procurandogli un grosso livido. “Finiscila subito!” disse.

Onion si toccò la guancia arrossata dal colpo subito. “Riprovaci, se ne hai il coraggio!” disse a denti stretti.

Eiko non se lo fece ripetere due volte. Mettendo ancora maggiore potenza, assestò un altro schiaffo in pieno viso al bambino, che cominciava ad arrabbiarsi sul serio.

“Chiedimi scusa” disse furioso.

“Chiedi scusa tu” rispose Eiko “Non lo sai che i bambini borghesi dovrebbero portare rispetto alle signorine come me?”

“Non voglio farti male. Sei una femmina!” rispose lui.

“Bene! In tal caso ne approfitto io!” disse Eiko, cercando di assestare un calcio nel fianco di Onion. Il bambino prese la gamba di Eiko, bloccandola a mezz’aria, e la tirò verso di se, facendola scivolare sul pavimento in pietra del borgo.

“Ahia!” urlò Eiko tenendosi il ginocchio.

Onion la guardò, forse un po’ impaurito dalla reazione della bambina. Che le avesse fatto male sul serio? Dopotutto non voleva ferirla. Stavano giocando.

“Ehi” disse, abbandonando il tono arrogante ed avvicinandosi alla ragazzina “Tutto bene?”

Eiko teneva lo sguardo basso, e non rispondeva, tenendosi il ginocchio destro tra le braccia. Pensava: “Avvicinati un po’ di più, di più, di più…”.

Ed Onion si avvicinava, come rapito dal silenzio di Eiko. Si inginocchio accanto a lei e le posò una mano sulla spalla.

“Fregato!” esclamò Eiko rialzandosi in piedi. Fece lo sgambetto al bambino, poi si mise a correre a più non posso. Si allontanò dalla piazzetta di Alexandria e corse per i vicoli, urtando persone, moguri e bambini. Oh, Stare al borgo era davvero uno spasso! E quel bambino… altro che antipatico! Aveva appena trovato un degno rivale! Si sarebbe divertita un mondo ad Alexandria, adesso ne era sicura!

Sentì un po’ di trambusto in qualche vicoletto vicino. Che il bambino la stesse cercando? Si arrampicò sulla torre di Alexandria e scrutò verso il basso, alla ricerca dei suoi capelli castani e del suo mantello blu. Ed eccolo lì, infatti, che chiedeva alla gente se l’avevano vista passare. Come fargli un bello scherzetto con i fiocchi?

Il suo sguardo cadde sul una bancarella di frutta vicino alla torre. Sul volto le si dipinse un ghigno divertito.

 

 

Onion cercava la bambina da ogni parte. Chiedeva a chiunque gli capitasse a tiro se aveva visto una graziosa ragazzina con i capelli blu ed un corno in fronte passare da lì, ma nessuno sapeva dove fosse finita.

E lui che aveva addirittura pensato che la vita nel borgo fosse noiosa! Questo prima di incontrarla. Vedeva solo gente che passeggiava, bambini che giocavano, insomma, la normalità. E soprattutto, non si sentiva parte di quel mondo. Era troppo diverso per quell’ambiente che non aveva mai visto, abituato alle ricchezze della Maison de Rois di Toleno, casa della sua famiglia. Ma adesso, con lei, aveva visto la chiave per schiudere quel mondo nuovo. Aveva abbandonato la timidezza e l’aveva stuzzicata, proprio come avrebbe fatto un ragazzino qualunque. E la bambina! Che reazione! Quella lì era proprio la sua degna rivale.

Si sedette in una panchina, guardando sia a destra che a sinistra, cercando di notare la sgargiante capigliatura blu della bambina, ma di lei nessuna traccia.

“Che se ne sia andata a casa sua?” si chiese ad alta voce dopo un po’, sbuffando sonoramente. 

“Beh, non credo proprio” sussurrò una voce alle sue spalle.

Si voltò e, ancora una volta, la vide. Era dietro di lui, e teneva la mani dietro la schiena, come se stesse proteggendo qualcosa di prezioso dagli sguardi altrui.

“Che cos’ hai lì dietro?” chiese Onion.

“Una sorpresa” rispose Eiko, con un largo sorriso in faccia.

Onion non si fidava molto della “sorpresa”. Decise quindi di mostrarsi molto diffidente riguardo ad essa, concentrandosi di più sulla ragazzina.

“Non mi hai ancora detto come ti chiami” disse.

“Te lo dirò solo se riesci a prendermi, e non ci riuscirai” disse Eiko facendo la linguaccia.

La curiosità del bambino si intravedeva attraverso i grandi occhi blu. “Perché non dovrei riuscire a prenderti?”

“Beh, potresti incontrare difficoltà per la strada” rispose la bambina con semplicità.

“Che vuoi dire?” chiese Onion, senza capire.

“Beh…” Eiko mostrò la sorpresa: un pomodoro molto grosso e maturo, che lanciò contro Onion “Intendevo questo!” detto ciò scappò via, ancora una volta.

Onion rimase per un attimo intontito nel vedersi tutto macchiato di rosso. Si levò un po’ di “salsa” dai capelli e dal viso, guardando con aria di sfida la figuretta che si allontanava. Oh, gliela avrebbe fatta pagare a quella bambina!

Cominciò a correrle dietro, incurante di ciò che la gente pensava di lui, bambino sporco dalla testa ai piedi di rosso, sicuramente visto da loro come uno zingaro. E come lo evitavano tutti! Cambiavano addirittura strada, appena se lo vedevano comparire davanti. Ogni tanto intravedeva qualcosa di blu tra la folla, e lo seguiva. Ma raramente era ciò che stava cercando, e comunque, anche quando la vide davvero (capitò una o due volte) non riuscì ad acchiapparla. Era velocissima!

Onion non si diede per vinto. Dopotutto, era convinto che ci fosse un modo per coglierla di sorpresa. Ma quale era? Passò in rassegna tutto ciò che aveva notato della ragazzina. Aveva visto che le piaceva nascondersi e guardare l’effetto dei suoi scherzi, ma questo non poteva servirgli per mettere in atto il suo piano. Amava anche farsi rincorrere, essendo molto veloce.

Ed era questo lo sbaglio che stava facendo! Non doveva rincorrerla, doveva lasciare che la corsa fosse la causa stessa della sua rovina. Fu per questo che si nascose in un vicolo, dietro ad un paio di botti, ed aspettò. Prima o poi la ragazzina sarebbe passata di lì, e lui l’avrebbe acciuffata!

 

 

Eiko si fermò per riprendere fiato nella piazzetta principale. Aveva seminato il moccioso con gli occhi azzurri. Non lo vedeva più da nessuna parte. Com’era veloce, lei! Nulla a che vedere con quel ragazzino, che probabilmente era rimasto indietro minuti e minuti prima! Era il non plus ultra della velocità, come avrebbe detto Steiner. A proposito di Steiner, aveva seminato anche lui!!! A quanto pareva il prode cavaliere di latta non correva più come una volta!

La ragazzina si insinuò nell’oscurità di un vicolo adiacente alla piazza. Nessun rumore da quella parte. Buio soltanto. Una goccia cadde dal soffitto di una casa, un topo squittì nell’ombra, proiettandosi nella parete di alla destra di Eiko. E mentre lei guardava l’ombra del topo correre sulla parete, una voce gridò “Trovata!!!”. Due braccia le tirarono la mano, facendola voltare.

Si trovò faccia a faccia con il ragazzino, ancora una volta. Gli occhi azzurri incontrarono quelli marroni di lei.

Poi lui la spinse, facendola cadere a terra. E il vestito della bambina si sporcò di fango, e i palmi delle mani le si sfregiarono.

“Perché hai buttato quel pomodoro?” chiese Onion, cercando di capire.

Eiko fece una smorfia di dolore “Hai cominciato tu…” .

“No, non è vero…” disse Onion, serio “Stai cercando delle scuse…”

“Mi aiuti ad alzarmi?” chiese Eiko un po’ seccata.

Onion le tese una mano, e fu in quel momento che notò le mani sanguinanti della bambina.

“Ma… sei ferita!” sussurrò il bambino.

“Di chi è la colpa?” chiese Eiko.

“…Mia…” sussurrò Onion, il sussurro di rimorso appena udibile. “Vieni, cerchiamo qualcuno che ti curi” disse poi, per cambiare discorso.

Eiko si tenne al bambino. Nessuno dei due parlò per un po’.

“Mi chiamo  Eiko” disse infine la bambina.

“Onion” sussurrò lui in risposta. “Dove vuoi essere portata? Dove abiti?”

Eiko ci pensò un po’ su. Tornare al castello in quel modo era da escludere. Ferita e sanguinante? Bell’ingresso trionfale! Ma dopotutto, non aveva nessuno ad Alexandria. Nessuno che fosse fuori dal castello. Non poteva neanche usare la magia davanti agli altri, Tutti glielo avevano proibito, e non voleva scatenare il panico ad Alexandria, non dopo quello che era successo per colpa di Kuja. Però, nelle foreste intorno ad Alexandria poteva trovare diversi animali che probabilmente avrebbero sganciato qualche pozione. Con quella, si sarebbe curata e sarebbe tornata al castello.

Sapeva già che l’attendeva una sgridata colossale, ma non voleva peggiorare le cose. Regola numero uno: torna a casa ferita e senza permesso di uscire e potrai dire addio alla libertà.

“Potresti portarmi fuori da Alexandria, Onion? Devo fare una cosa” lo supplicò Eiko, reggendosi a fatica in piedi.

“Aspetta, ti aiuto io” disse il bambino passandole un braccio per il collo. “Fuori Alexandria?”

“Si” rispose la ragazzina, in tono grave, sforzandosi di camminare. Ogni passo era una fitta al piede destro. Sperò fosse solo una storta.

“D’accordo” disse il ragazzino decidendo di non indagare oltre. Era davvero strana, Eiko. Un momento prima allegra e sorridente, il momento dopo triste e pensierosa. Sapeva di essere in larga parte il responsabile del repentino cambiamento d’umore e se ne dispiacque. Si premurò di portarla fuori da Alexandria, attraversando la piazzetta secondaria del borgo. Oltrepassarono la soglia e si trovarono fuori, sul grandissimo altopiano che faceva da contorno alle montagne vermiglie al tramonto. Davanti a loro, solo il verde, immenso e sconfinato. Che terminava bruscamente in uno strapiombo, molti chilometri più avanti. Onion pregò di non incappare in qualche mostro, non sapendo che quello era proprio l’obiettivo di Eiko. Non aveva mai visto un mostro vero e proprio, ma da come gli altri ne parlavano erano delle creature spaventose, di ogni genere, forma e dimensione. Si guardava impaurito intorno, cercando di non far notare il tremolio della propria mano ad Eiko. Ma Eiko lo notò, e non disse niente, ed Onion la ringraziò mentalmente per questo. Non si incontravano tutti i giorni persone come lei. Era unica. La conosceva da qualche ora e già non poteva più fare a meno di lei. Possedeva un aura che attirava a sé le persone, ed aveva funzionato anche con lui.

Era stregato dalla piccola Eiko. Si sentiva simile a lei. O forse…?

Un sasso su cui inciampò gli fece perdere il filo dei suoi pensieri. Eiko cadde vicino a lui, sulla gamba ferita.

“Ah” si lamentò Eiko. “La gamba”

“Scusa” sussurrò Onion aiutandola nuovamente ad alzarsi.

Fu in quel momento, il momento in cui le mani dei due ragazzi si toccarono, che la terra cominciò a tremare. Qualche secondo dopo, un rombo, più vicino. Veniva dalle loro spalle. Intimoriti, i due bambini si voltarono. Quello che videro li spaventò a morte. Onion urlò. Eiko si limitò a sbarrare gli occhi.

Un Grand Dragon si ergeva davanti a loro, alto 3 metri, grosso e, da come guardava i due bambini, sicuramente affamato.

Eiko non aveva idea di cosa ci facesse un Grand Dragon sull’altopiano di Alexandria. Non potevano fuggire… o meglio, Onion poteva farlo, ma lei era condannata a restare lì, per terra. A meno di non infrangere la promessa fatta a Cid, Hilda, Garnet e Gidan.

Usare i suoi poteri da sciamana, davanti ad Onion. Era capace di farlo? Decise di si. Raccolse le energie all’interno di se, invocando Madein dal suo subconscio. Uno spirito, un amica. Mogu era lì per lei, avrebbe ucciso il Grand Dragon, ce la potevano fare. Suonò il suo flauto d’angelo, la bianca luce sacra di Madein li avvolse, lo spirito di materializzò, in loro soccorso.Guardò lo spirito, poi lasciò che la sua amica colpisse il mostro provocandogli ingenti danni. Onion guardava tutto, i suoi occhietti curiosi che sguazzavano di qua e di là per godersi tutti gli effetti di luce di quella straordinaria creatura che li avrebbe protetti. Ma cos'era quella strana "cosa" che aveva invocato Eiko?

Tuttavia non bastò. La creatura si erse in tutta la sua statura, un po’ affaticata. La squadrò con il suo giallo occhio da rettile. Poi colpì con le sue zanne.

Tre delle zanne oltrepassarono il bacino di Eiko, che si irrigidì, sconvolta da quell’attacco micidiale. Si sentiva debolissima. La vista era annebbiata dalle sue stesse lacrime. Come poteva finire così? Era davvero tutto arrivato al capolinea? Guardò in su, verso Onion. Lo vide sofferente: le zanne avevano colpito anche lui, anche se solo di striscio. Nel volto aveva un espressione infuriata.

E quando Eiko pensò che fosse davvero la fine, una luce nera avvolse Onion. Un Bagliore circondò il Grand Dragon, tutto diventò nero, un esplosione uccise il mostro. La ragazzina non sapeva come, ma a quanto pare, Onion aveva lanciato un Ultima contro la bestia.

Stavolta fu Eiko a guardare sconvolta il bambino vicino a lei, stremato. Come aveva fatto ad usare la magia nera? Non era un mago nero, e nessun umano poteva utilizzare la magia nera. Ma allora… come aveva fatto??? Una fitta la riscosse dai suoi pensieri. Non le importava.

Purtroppo il mostro aveva lasciato solo qualche misera pozione, non sufficiente a curare nessuno dei due. Onion, stanco e ferito, la aiutò, ancora una volta, a sollevarsi da terra. Tutti e due guardarono da lontano Alexandria, troppo lontana per i loro piedi. Si rifugiarono invece in una grotta sulle montagne, a pochi metri da dove si trovavano ora.

Una volta lì, stanchi e stremati, si lasciarono cadere a terra. Si divisero le pozioni in parti eque e bevvero. L’emorragia di Eiko si fermò, ma la ferita era ancora aperta. Aveva bisogno di cure, ed anche urgenti. Onion non era da meno. Quella magia che aveva castato poco prima aveva preteso tutte le sue energie. E questo non sarebbe di certo giovato alla sua pronta guarigione.

Era preoccupata per tutti e due, ma ancora una volta decise di non farlo vedere. Come si ripeteva sempre, lei era forte! Sorrise a Onion, poi le forze la abbandonarono e si accasciò, svenuta, sulla dura roccia su cui erano poggiati. Qualche minuto dopo anche Onion svenne.

 

 

Ed anche questo capitolo è andato… Eiko ed Onion si sono messi nei guai seri stavolta… e ricordate che io parlerò d tutta la vita, quindi anche di ipotetiche MORTI… comunque, cambiamo discorso.

Dovete sapere che questo pomeriggio parto per la Grecia (immaginatemi con la valigia in mano e la camicia hawaiana), e, siccome torno tra otto giorni, dovrete aspettare un po’ di tempo per il settimo capitolo… ragazzi, mi dispiace, specie per chi stava cominciando ad essere coinvolto dagli avvenimenti di questa interminabile fic .

Detto ciò, annuncio Gaudium Magnum: Abemus Beta-Reader (scusate il mio pessimo latino^^). Anche se l’ho trovato, questo capitolo è ancora mio di sana pianta, perché non sono riuscito a contattarlo (forse è in vacanza). Tuttavia, spero di contattarlo per i capitoli successivi… incrociate le dita (delle mani e dei piedi^^)…

Detto ciò, rispondo alla recensione di Nemeryal! Grazie, sono contento che la fic ti piaccia, e penso che in questo capitolo il mix degli stili si faccia sentire (non a caso, la prima parte è più descrittiva della seconda). Mi raccomando, recensisci anche questo capitolo!!!

Ed anche tutti voi, prendete esempio da quella santa di Nemeryal… recensite!!! (o perlomeno, leggete^^).

Ciao a tutti e alla prossima!!  

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Capitolo 7
*** Caos a palazzo ***


Adalberto Steiner si guardò intorno freneticamente. Urtò una donna senza nemmeno guardarla, poi corse verso il vicoletto sul retro della piazza. L’armatura era pesante, tintinnava e lo accecava al sole del tramonto. Ma non gliene importava nulla. Non gli importava della gente che urtava, o degli oggetti che rovesciava nella sua disperata ricerca.

L’unica cosa che importava davvero era ritrovare i bambini scomparsi. Eiko e quel nuovo ragazzino, Onion. Conoscendola, era probabile che Eiko si fosse semplicemente fatta una passeggiata, ma ciò le era stato espressamente vietato dalla regina. E il volere della regina era legge! Quando l’avrebbe riacchiappata le avrebbe dato una strigliata così potente che non sarebbe uscita mai più senza il permesso.

D’altra parte, però, non aveva la minima idea di dove potesse essere andato Onion. Forse era solo. Forse aveva incontrato Eiko al borgo. Forse erano addirittura usciti insieme dal castello. Non lo sapeva, e questo lo preoccupava.

Per questo continuò a cercare, cercando di aguzzare la vista alla ricerca di uno dei due bimbi. Ma non vide nessuno. Si fermò un momento per riprendere fiato. Non era più giovane come un tempo! Cosa avrebbe detto la sua Beatrix se lo avesse visto così stanco dopo qualche passo?

Questo pensiero gli diede nuova forza. Continuò a cercare. Più tempo passava, più sperava che la regina non si fosse ancora accorta della sparizione dei piccoli. Ma presto sarebbe stata ora di cena, e chiaramente, Garnet si avrebbe visto l’assenza di Eiko ed Onion. E si sarebbe preoccupata moltissimo.

Nel cielo spuntarono le prime stelle. L’aria fresca del crepuscolo lo avvolse. Della folla brulicante durante il giorno al borgo non restava nulla, solo il movimento delle zanzare attirate dalle lanterne fuori dalle case. Qualche allegra risata di beoni arrivava da un bar vicino. Il rumore dei suoi passi, unico suono in quelle buie strade.

Inspirò profondamente e fece mente locale dei posti in cui aveva guardato. Tutta Alexandria, in breve. Ma possibile che non avesse incontrato Eiko o Onion? Possibile che non li avesse ancora trovati, sgridati e riportati al castello? Possibile che si fossero persi davvero, o che peggio, fossero stati rapiti?

No, non poteva… essere vero. Scrollò forte la testa, si rianimò e ricominciò ad ispezionare il borgo, in una vana ricerca che non avrebbe prodotto nessun risultato.

 

 

Nello stesso istante, la regina Garnet fece scorrere la chiave nella serratura della camera di Eiko. Dentro era buio. La piccola era già andata a letto senza cena? Aprì la porta ed uno spiffero di luce illuminò il letto. Intatto e vuoto.

“Eiko?” sussurrò la ragazza.

Silenzio.

Con crescente timore, entrò nella stanza ed accese le candele ai lati della stanza. Non c’era nessuno. Uno spiffero di vento proveniente dalla finestra spalancata spense una delle candele, che produsse una scia di fumo che volo, libera, come dotata di ali, fuori dalla stanza, come se attratta verso un nuovo mondo.

Garnet non sapeva cosa fare. Camminò per i corridoi del castello, le mani tormentate in grembo. Cosa avrebbe detto a Cid ed Hilda? Eiko era lì da pochi giorni e già spariva? Oh, si era cacciata in un grossissimo guaio!

Raggiunse il salone d’ingresso. Si chiese dove fosse Gidan. Camminò ancora un po’, accelerando il passo ad ogni angolo che svoltava, ad ogni rampa di scale che le capitava davanti.

Pensò di chiedere aiuto a Steiner, ma poi si ricordò che il cavaliere era uscito misteriosamente nel pomeriggio e non aveva ancora fatto ritorno. Poi cercò Beatrix. La trovò sconvolta, che correva ansante verso di lei.

“Regina Garnet, è successo…”

“Lo so già, Shogun Beatrix, Eiko è scomparsa”

Beatrix guardò interrogativamente la regina “Scomparsa?” si chiese “E se…?”

La Shogun stette in silenzio per qualche istante, a pensare.

“Beatrix! Volete spiegarmi cosa succede?” chiese la regina.

“Oh! Certo!” si affrettò Beatrix. “Il fatto è che anche il piccolo Onion è sparito”

Garnet si sorprese. “Crede che siano insieme?”

“E’ molto probabile” concluse la Shogun.

La ragazza sospirò. Quest’ultima mazzata non ci voleva proprio. Anche Onion era sparito. Era di importanza vitale non perderlo mai di vista. Mai. Ed adesso, invece, si trovava in un luogo sconosciuto, in un mondo di cui non sapeva niente.

“Bisogna proteggerlo… da se stesso” disse Garnet.

“Come?” chiese Beatrix, non riuscendo ad afferrare il senso delle parole della regina.

“Ascoltami, Beatrix: ho bisogno che tu ed un contingente di soldatesse di Alexandria ispezionate il borgo e le zone adiacenti. Qualunque luogo sospetto dovrà essere perquisito. Non lasciate un luogo senza esser sicuri di aver visto tutto ciò che c’era da vedere. Se incontri Steiner, digli di ordinare alla squadra Plutò di fare altrettanto. Mi raccomando, devono essere trovati.”

“Si, Regina Garnet” rispose Beatrix, inchinandosi e scomparendo oltre la porta, lasciando la ragazza sola con i suoi pensieri.

Lasciò che il suo spirito si rasserenasse un momento. Spalancò la finestra della sua camera, osservando il panorama. Una sottile linea arancione collegava quella notte con il passato giorno. Le stelle e la luna si riflettevano sui laghi e sulle cascate intorno ad Alexandria. In lontananza, i gufi emettevano suoni gutturali e grezzi. Il borgo dormiva placidamente, cullato tra le braccia di Orfeo. In lontananza, vide Beatrix correre, seguita da cinque soldatesse.

Una mano le sfiorò la schiena. Si voltò e si trovò davanti Gidan, con un sorriso dolce stampato sul volto.

“Ehi” disse.

Lei, malinconica, abbassò lo sguardo.

“Beatrix mi ha detto di Eiko e di Onion” sussurrò Gidan “Non devi preoccuparti… sappiamo di per certo che Eiko sa badare a se stessa, in quanto ad Onion, non può essere andato troppo lontano… Le porte di Alexandria vengono chiuse al tramonto, quindi è parecchio difficile che sia uscito... entro stanotte li avremo già ritrovati” concluse.

Garnet stette ancora in silenzio. Poi inspirò profondamente e disse: “Devo dirti una cosa”.

Gidan la guardò in volto “Cosa?”

“Non posso perdere di vista Onion… per un motivo ben preciso”

Il re la guardò, incuriosito dalle parole della moglie.

“Non posso perché... perché...” si fece forza, e spiegò al marito il motivo per cui Onion era venuto ad Alexandria.

A fine spiegazione, anche Gidan capì. Onion doveva essere trovato, ed in fretta.

 

 

All’interno della caverna faceva molto freddo. Le pareti erano ricoperte di una leggera brina, e il respiro si condensava rapidamente, formando una nebbiolina che andava verso l’alto. Eiko pensava che quella grotta fosse collegata in qualche modo con la Grotta di ghiaccio, dati i brividi che provava in tutto il corpo, ma non ne aveva la certezza.

Si sentiva debole, prigioniera della febbre, Inerme come un passero appena nato, che deve aspettare il ritorno della madre con del cibo. E lei aspettava che qualcuno li trovasse. Speranza remota, ma che sopravviveva ancora nel suo cuore.

Si voltò verso Onion, che dormiva placidamente. Non sembravano molto gravi le sue ferite: poco prima era riuscito a catturare un cokaritos (anche se con un po’ di sforzo) che adesso stava arrostendo su un fuoco ottenuto con alcune pietre focaie. Di lì a poco, forse Onion sarebbe stato capace di tornare ad Alexandria e di avvertire qualcuno.

Ma quanto tempo poteva volerci? Un giorno, o due, o una settimana? Quante ore, minuti, secondi doveva ancora passare in quello stato? Sarebbero stati molti, e questo lo sapeva. Ma la realtà non era per niente consolatoria. Il Sapere, in quel momento, metteva a dura prova lo Sperare.

Tutto accanto a lei continuava ad essere confuso, un insieme di colori e forme astratte che si univano per dare vita ad universi alternativi immaginari.

Le palpebre le si chiusero lentamente, scivolava lungo il mondo dei sogni… un tuono la ridestò completamente. Osservò il cielo buio e non vide le stelle, ma pesanti nubi di tempesta. Una saetta attraversò il cielo, seguita da un rombo sordo che svegliò anche Onion. La pioggia cadde sulla pianura, su Alexandria e anche sulla loro caverna. La permeabilità delle rocce fece sì che piovesse persino sulle loro teste. E mentre qualche goccia cadeva sulla sua testa, Eiko pensò che dopotutto era molto piacevole il rumore della pioggia, il suo sottile picchiettare sul mondo.

Un altro lampo attraversò il cielo scuro. Vedeva ombre vicino alla caverna, appena fuori. Mostri in cerca di riparo? Forse sì. Ma erano tenuti lontani dal fuoco. Controllò se il Cokaritos era pronto, ma era ancora troppo crudo per essere mangiato. Il suo stomaco brontolò.

Oh, si sarebbe persino mangiata delle cipolle se le avesse avute a portata di mano. E a lei le cipolle non piacevano proprio, e quindi doveva proprio essere affamata!

Un altro rombo la assordò. Onion era invece ricaduto nel suo sonno, incurante della tempesta che si dibatteva intorno a lui. Eiko ripensò agli strani eventi del pomeriggio. Come aveva fatto quel bambino a lanciare un Ultima contro il Grand Dragon? Era magia nera avanzatissima, neanche Vivi ne era capace, se non si sbagliava.

Eppure lui aveva utilizzato quella magia, come se niente fosse. L’unico essere che l’aveva mai usata oltre a lui era Kuja. Ma Kuja era morto quasi un anno e mezzo prima, Eiko ricordava ancora quando aveva visto la tomba lì, vicino all’Albero di Iifa, dove era stato sepolto per espresso volere di Gidan. Kuja era un Jenoma creato da Garland, quindi era possibile che sapesse la magia nera. I maghi neri erano creati da Kuja, quindi conoscevano anch’essi la magia, utilizzandola attraverso la nebbia.

D’altra parte, gli sciamani utilizzavano la magia bianca. Poteri di recupero, magie sacre, invocazioni. Un segreto che si tramandavano gli sciamani, e che potevano utilizzare solo loro.

Magie bianche per gli invocatori, magie nere per i Maghi neri. Ma quel bambino, cos’era? Infrangeva tutti i normali canoni di classificazione del mondo. Era nuovo, qualcosa che poteva spaventare nel suo ignoto. Ma lei non era per niente spaventata. Aveva visto Kuja, e sapeva che c’era una netta divisione tra i due. Onion era diverso, era buono. Un’eccezione, qualcosa di nuovo, che magari avrebbe potuto dar vita ad un nuovo regno.

Eiko allontanò dalla mente questi pensieri e prese in mano il suo flauto d’angelo. Lo portò alla bocca e suonò una melodia lenta e ammaliante. Gliela aveva insegnata il nonno, era la colonna sonora di tutti i suoi viaggi. Si chiamava Crossing those Hill. La suonò muovendo le dita e soffiando, dando vita ad una melodia vivace ma un po’ malinconica.

E mentre suonava, la tempesta sembrava andarsene, il dolore svanire nel nulla, il freddo scongelarsi dalla caverna. Ora tutto era bello, caldo ed accogliente, proprio come voleva che fosse Eiko.

E continuò a suonare, suonare e suonare, finché la tempesta non fu solo un ricordo che venne sostituito da un pandore azzurrino nel cielo. Era l’alba. La brutta notte era scomparsa, e stava per cominciare un nuovo giorno.

“Kupò, Kupò!” disse qualcosa entrando nella caverna.

Eiko smise di suonare e guardò verso l’entrata della grotta. Quello che stava venendo verso di lei era un moguri! Ma non era un moguri qualsiasi, era…

“Artemisio!” urlò Eiko.

“Ciao, Kupò!” disse il moguri attraversando la caverna per andarle vicino.

“Ciao!” salutò Eiko.

“Ma sei ferita, Kupò” disse Artemisio guardandola.

“Si… e ho bisogno di un favore”

“Chiedi pure, Kupò! Tu mi hai aiutato a salvare la centrale Mogu-net insieme ai tuoi amici, Kupò! Mi devo sdebitare” rispose Artemisio.

“Grazie… per favore, avverti qualcuno nel castello, e digli che siamo qui!” disse Eiko.

“D’accordo, Kupò!” rispose il moguri “Volo e torno presto!”

Detto ciò sparì oltre la grotta, e venne inghiottito dalla luce che proveniva da fuori.

 

 

Ed anche questo capitolo è finalmente terminato. Prima di tutto voglio ringraziare il mio fantastico Beta-Reader Dream_River, che mi ha molto aiutato nella sua opera di betaggio (gli farei una statua se potessi XD).

Passiamo poi alla nostra storiella: che i nostri due eroi si siano tirati davvero fuori dai guai? Ed Eiko che si sarebbe mangiata persino delle cipolle (Ok, lo ammetto, ci ho provato gusto nello scrivere la battuta^^) lo sapeva che…?

La melodia che suona Eiko, Crossing those Hill, è la melodia che si sente durante  viaggi nella world Map del mondo di FFIX!

Detto ciò, passiamo a rispondere alle nostre recensioni:

Nemeryal: una lettrice fissa!!! Uao, quale grandissimo onore!!!Sono contento che la fic ti piaccia, e non preoccuparti per ciò che ho detto!!! Le IPOTETICHE MORTI forse ci saranno, ma non così presto!!! Ma mi raccomando, recensisci ancora!!!

Eden89: un lettore nuovo!!! Sono contento che la fic ti piaccia e spero ti piaccia anche questo nuovo capitolo. Anche se mi scuso perché un po’ di tempo è passato rispetto alla pubblicazione del precedente!

Ringrazio anche Bankotsu per aver recensito il capitolo 2 (con la speranza che continui a seguire la storia) e Thaleron per aver aggiunto la fic tra le sue preferite!

Speriamo che questo capitolo non deluda nessuno di voi!!!

A proposito, ho cominciato a scrivere, in contemporanea a questa, un'altra fic, "After Crisis", su Final Fantasy VII! Leggetela tutti, mi raccomando!XD

Detto ciò, lettori, diventate recensori! (ho fatto anche la rima!)…

Alla prossima con il nuovo capitolo di “Forever and On”!!!

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