Segreti di famiglia di Maty66 e ChiaraBJ

di Maty66
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Hotel La Pergola ***
Capitolo 2: *** Sprazzi di vita perduta ***
Capitolo 3: *** Dov'è la mia mamma? ***
Capitolo 4: *** Di nuovo addio ***
Capitolo 5: *** Sospetti ***
Capitolo 6: *** Rabbia e delusione ***
Capitolo 7: *** Azioni e reazioni ***
Capitolo 8: *** Mia Madre è morta ***
Capitolo 9: *** Disperazione e rimorsi ***
Capitolo 10: *** Braccata ***
Capitolo 11: *** Sono stata io!! ***
Capitolo 12: *** Senza via di scampo ***
Capitolo 13: *** Apri gli occhi Ben! ***
Capitolo 14: *** Una amara verità ***
Capitolo 15: *** Ostilità e riconciliazione ***
Capitolo 16: *** Piano B ***
Capitolo 17: *** Lotta contro il tempo ***
Capitolo 18: *** Resteremo sempre insieme ***
Capitolo 19: *** Titoli di coda ***



Capitolo 1
*** Hotel La Pergola ***


Segreti di famiglia di Maty66 e ChiaraBJ



Capitolo 1
Hotel La Pergola

 

L’aereo atterrò con qualche sobbalzo nella luminosa mattina del Sud Italia.

“Benvenuti all’aeroporto di Napoli-Capodichino, solo le ore 12 e quarantacinque minuti e la temperatura esterna è di circa ventotto gradi…”

I soliti annunci della hostess svegliarono Ben dal sonno profondo in cui era caduto appena decollato dall’aeroporto di Düsseldorf-Colonia; era davvero stanco e si era meritato quella vacanza.

Sorrise nuovamente ricordando la leggera invidia che aveva letto negli occhi di Semir mentre lo accompagnava all’aeroporto, ma poi lo prese anche una leggera malinconia. In realtà era previsto che in vacanza con lui venissero anche i Gerkan, ma Lily all’ultimo minuto si era beccata la  varicella e ovviamente l’aveva subito attaccata alla sorellina.

“Pazienza scatterò tante foto della costiera amalfitana” aveva riso Ben, salutando l’amico all’imbarco, ma ora si sentiva un po’ incompleto, lì in vacanza, senza la sua famiglia.

Anche perché quello era uno di quei rari momenti in cui non aveva a portata di mano una bella ragazza da invitare in vacanza con lui.

Uscito dall’area  arrivi dello scalo con il borsone in spalla si sentì subito chiamare.

“Ben… sono qui” fece una voce familiare.

“John…” Ben sorrise andando incontro all’amico che lo attendeva oltre la barriera.

John Muller era un vecchio amico di infanzia di Ben ed era la ragione per cui il giovane aveva scelto la meta della sua vacanza. Da alcuni mesi John lavorava al consolato tedesco a Napoli e aveva organizzato una settimana di sole e mare sulla costiera amalfitana, per lui uno dei posti più belli al mondo.

I due amici si abbracciarono, dandosi grandi pacche sulle spalle.

“Peccato per il tuo collega e la famiglia… ma ci divertiremo lo stesso… faremo una vacanza da scapoli come ai vecchi tempi” rise John mentre si avviava al parcheggio esterno.

Appena fuori Ben fu quasi accecato dal sole e subito si tolse il leggero giubbotto che portava, restando con la sola maglietta.

“Accidenti… che caldo…” disse inforcando gli occhiali da sole ed infilando il giubbotto nello zaino.

“Scherzi? Siamo ad agosto, anche se a Colonia è quasi autunno, qui siamo nel pieno dell’estate. E quest’anno non è neppure particolarmente calda”

Ben già pregustò le giornate da passare in riva al mare, steso a far nulla.

“Vedrai che carino l’agriturismo che ho prenotato; lo gestisce una signora di origine tedesca con la figlia, così non ci saranno neppure problemi con la lingua” disse John salendo in auto.

“Dimentichi che io mastico un po’ di italiano… Simona mi ha insegnato un po’…”

“Simona?” chiese interrogativo John.

“Già Simona… non te la ricordi? Capelli castani, corpo da favola, faceva l’assistente alla cattedra di italiano all’Università…” rispose Ben sorridendo malizioso.

“E mica me le posso ricordare tutte le tue ragazze, non ho tutta questa memoria” rise l’amico mettendo in moto.

 
 

Dopo circa due ore di viaggio lungo una strada favolosa che costeggiava il mare, con scorci da cartolina, John parcheggiò la sua Audi lungo il vialetto d’ingresso dell’Hotel agriturismo La Pergola.

L’edificio a due piani, in stile mediterraneo, era molto carino ed appariva ben curato, con i fiori ai balconi delle camere e circondato da un bel giardino a  picco sul mare.

“Vedrai che bello, hanno la spiaggia privata” disse eccitato John scaricando i bagagli dalla macchina ed entrando nella hall.

L’interno, arredato con grandi divani bianchi, diede subito a Ben una sensazione di frescura e pulizia.

John si avvicinò al banco accettazione dove  una bella ragazza, di circa vent’anni, occhi scuri e lunghi capelli castani, lo accolse con un sorriso smagliante.

“Buon pomeriggio, ci deve essere una prenotazione a nome Muller”  disse John rispondendo al sorriso.

“Buon pomeriggio e benvenuti all’ Hotel “La Pergola”. Sì, abbiamo una prenotazione per due camere singole… giusto?” sorrise ancora la ragazza, chiamando il facchino per i bagagli.

“Io mi chiamo Sofia e se per favore mi date i documenti, mia madre provvederà subito alla registrazione”

Ben e John poggiarono i documenti sul bancone, mentre la ragazza spariva nell’ufficio retrostante.

“Carina eh?” bisbigliò John, con un sorriso malizioso, verso l’amico.

Ben sorrise anche lui, ma non ebbe il tempo di rispondere perché il cellulare iniziò a squillare nella tasca.

“Sì, Semir, sono arrivato. Tutto bene. Sì lo so che  ti  avevo detto che ti avrei chiamato appena arrivato, ma mi è passato di mente…” Ben si allontanò per continuare la conversazione in disparte.

A John venne da ridere; aveva conosciuto alcuni anni prima Semir, e Ben gli aveva più volte raccontato della sindrome da chioccia che il collega aveva verso di lui.

John aveva sempre pensato che in fondo era una compensazione  per la mancanza di protezione ed affetto di cui Ben aveva sofferto durante l’infanzia e l’adolescenza.

Dall’ufficio uscì una bella donna sui cinquantacinque anni, alta e molto elegante, con i capelli scuri appena segnati da qualche filo d’ argento.

“Buon pomeriggio sig. Muller, benvenuti. Io mi chiamo Elizabeth De Martino. Spero che il vostro soggiorno da noi sia piacevole e riteneteci a vostra disposizione. Questo è un albergo a conduzione familiare,  mia figlia Sofia ed io speriamo di essere delle amiche per voi”

Mentre la donna conversava amabilmente, prese i documenti sul bancone ed iniziò la registrazione.

“Dunque il sig. John Muller… oh… ma lei vive qui… a Napoli” sorrise la donna guardando la carta di identità.

“Sì io vivo e lavoro qui da circa un anno, ma il mio amico  vive a Colonia” rispose John indicando Ben, che nel frattempo era ancora di spalle vicino ad una grande finestra a parlottare al telefono.

“Bella città Colonia” disse la  donna aprendo il documento di Ben.

“Dunque il sig.… Jager…”

John vide la donna sbiancare e poggiarsi contro il bancone.

“Signora… si sente male?” chiese preoccupato.

La donna rimase per alcuni attimi immobile con lo sguardo fisso sul documento di Ben, mentre anche la figlia,  uscita dall’ufficio, si avvicinava.

“Mamma cosa c’è?” chiese la ragazza.

“Nulla cara… mi sono solo ricordata  che devo fare una telefonata urgente. Pensaci tu per  favore e fai accompagnare i signori nelle loro camere” disse la donna precipitandosi in ufficio.

Sofia finì con efficienza la registrazione e poi consegnò le chiavi della camere a John.

“Che c’è?” chiese Ben  avvicinandosi, dopo aver assistito con la  coda dell’occhio a tutta la scena.

Ma John poté solo stringersi nelle spalle, mentre seguivano il facchino verso l’ascensore.

 

 

Elizabeth guardò dalla finestrella dell’ufficio, il ragazzo alto, con i capelli castani, che si avviava con il suo amico verso l’ascensore.

Era un ragazzo splendido, davvero bello, e apparentemente anche simpatico, con un bel sorriso aperto.

“Mamma, ma stai bene?” chiese Sofia entrando nell’ufficio, con la faccia preoccupata.

“Ma sì tesoro, sto benissimo, non ti preoccupare” Elizabeth si costrinse ad un sorriso rassicurante sino a che la figlia non tornò al bancone.

Con le mani che le tremavano prese dalla cartellina che Sofia le  aveva portato, la copia del documento e rimase a fissarlo a lungo.

Era lui, era proprio lui, corrispondeva tutto, nome, data e luogo di nascita.

E faceva il poliziotto. La cosa la lasciò per alcuni secondi incredula, ma le indusse anche un piccolo sorriso amaro.

“Perché Signore Dio, perché dopo tanti anni mi metti di nuovo di fronte a questa prova?” pensò mentre iniziava a piangere in silenzio.

 


Sì... lo sappiamo… sia Chiara che io abbiamo delle storie in sospeso. Continueranno, non vi preoccupate, ma non abbiamo resistito alla tentazione di iniziare a pubblicare questa.
Diteci cosa ne pensate. Restiamo in attesa  di recensioni, belle o brutte, sempre gradite.   

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Capitolo 2
*** Sprazzi di vita perduta ***


Segreti di Famiglia  di Maty66 e Chiara BJ


Capitolo 2
Sprazzi di vita perdura


“E cosa si può fare qui per divertirsi la sera?”

John faceva un filo spudorato a Sofia, mentre i tre erano seduti ad un tavolino a godersi la brezza serale nel giardino dell’hotel.

“Ci sono molti localini, dove ballare e mangiare qualcosa …” rispose la ragazza.

“Mangiare? Dopo tutto quello che fa servire tua madre per la cena? Ci vuoi tutti obesi?” rise ancora John cercando di fare il simpatico. Ma era evidente che l’attenzione della ragazza era tutta per  Ben che le stava seduto accanto.

Sofia continuava a guardare Ben con occhi grandi e ammirati.

“Siamo alle solite …” pensò John con malcelata invidia. Da quando erano amici ci fosse stata una volta in cui incontravano una ragazza e quella non si fosse sdilinquita per l’amico e non per lui.

“Oltre a mangiare e ballare, cosa altro si può  fare?” chiese Ben prendendo un sorso della sua birra.

Anche lui si era accorto in quei due giorni delle attenzioni che gli riservava la ragazza, che era indubitabilmente bella, ma  verso cui lui non riusciva a provare attrazione.  In realtà a Ben Sofia continuava a ricordare  Julia, anche se non se ne sapeva spiegare la ragione.

“Beh … si possono fare delle passeggiate al chiaro di luna in riva al mare, oppure c’è il cinema … in fondo Amalfi  è paese piccolo, ma se ci si sposta a Napoli o  a Salerno si possono trovare tante altre attrazioni”  rispose Sofia  in perfetto tedesco, con un leggero accento meridionale.

“Dì un po’ Sofia, com’è che parli così bene il tedesco?” chiese Ben incuriosito.

La giovane gli rivolse un sorriso luminoso.

“Mia madre è tedesca; ha conosciuto papà quando è venuta qui in Italia in vacanza; poi si è innamorata e l’ha sposato. Quando papà è morto siamo rimaste io e lei a gestire l’hotel” Sofia raccontò la storia come una specie di favola. Si vedeva che era una ragazza romantica.

Ben la scrutò ancora una volta. Somigliava molto alla madre, anche se a dir la  verità Ben aveva visto la proprietaria dell’albergo sì e no due o tre volte in quei due giorni, e sempre di sfuggita.

Sembrava quasi che Elizabeth evitasse con cura ogni contatto con lui, anche se a volte aveva avuto la netta sensazione che lo spiasse di nascosto.

“Questo lavoro ti sta rendendo paranoico Ben” pensò ancora una volta il giovane poliziotto, mentre Sofia ciarlava allegra su di una  sagra che si sarebbe tenuta la sera dopo nella piazza del paese.

“Beh che ne dite? Potremmo andarci tutti insieme …” chiese la ragazza speranzosa.

“Alla sagra? Ma certo” rispose Ben, più che altro per essere gentile.

In fondo anche se non gli interessava, Sofia piaceva molto a John ed era arrivata l’occasione per ricambiare i molti favori analoghi che gli aveva fatto l’amico.

“Sofia puoi venire qui per favore?”

La voce di Elizabeth sembrò subito a Ben molto irata.

La ragazza si alzò e andò verso la madre.

Nonostante cercassero di parlare piano, a Ben e John arrivarono  chiari i rimproveri della mamma alla figlia.

“Mi sa che Elizabeth è diventata una perfetta ed ansiosa mamma italiana … non vuole che la figlia frequenti persone poco raccomandabili” rise piano John.

“Parla per te,  ricordati che io sono un poliziotto, sono pienamente affidabile …” scherzò Ben.

“Tu??? Qui ti chiamerebbero … aspetta come dicono … “sciupafemmine”

 

“Signor Jager per favore, le posso parlare un attimo?”

Elizabeth bloccò Ben che già si stava avviando in pantaloncini verso la spiaggia.

“Certo mi dica”  rispose Ben guardando per la prima volta bene in viso la donna.

La donna lo condusse in disparte e Ben iniziò a sentirsi seriamente a disagio da come lo fissava.

“Signor Jager,  non deve fraintendere le mie parole, ma vorrei solo farle notare che mia figlia Sofia è una ragazza ancora molto giovane …”

Ben rimase perplesso; anche se Elizabeth era  una mamma ansiosa, non si poteva certo dire che il suo atteggiamento  verso Sofia non fosse stato più che corretto.

“Signora, io non credo di aver mai dato modo a Sofia di credere …”  Ben cercò di giustificarsi, ma il suo cervello del tutto irragionevolmente iniziò a pensare ad una canzoncina “Stella stellina la notte s’avvicina, la fiamma traballa, la  mucca è nella stalla …”

“Questo lo capisco, ma Sofia è una ragazza giovane e romantica e  può fraintendere…”

Più la donna parlava, più a Ben risuonava in testa la canzoncina “La mucca ed il vitello, la pecora e l’agnello, la chioccia ed i suoi pulcini …”   

“Signora, le assicuro che, se anche Sofia può aver pensato il contrario, non ho mai avuto alcuna intenzione di metterla in qualche modo in imbarazzo o avere secondi fini con lei …” Ben si sentiva come un bimbo che si deve giustificare per qualche marachella.

“Bene, ma gradirei che lei limitasse, fino a che resta qui, il più possibile i contatti con Sofia. Non le sto dando alcuna colpa, ma è meglio così” concluse la donna.

“La chioccia  ed i suoi pulcini, ognuno ha i suoi bambini, ognuno ha la sua mamma e tutti fan la nanna” pensò ancora una volta Ben, meravigliandosi di non riuscire a restare lucido e razionale.

Mentre la canzoncina continuava a risuonargli nella testa Ben vide Elizabeth allontanarsi, ostentatamente fiera ed altera, facendo ondeggiare il ciondolo d‘oro che le aveva sempre visto al collo.

 
 

“Ben… Ben… allora a che ora ci vediamo stasera?”

Appena lo vide arrivare in spiaggia Sofia gli corse incontro.

“Ascolta Sofia … forse è meglio che  parli con tua madre … credo che non le piaccia proprio l’idea che tu esca con noi stasera … credimi io ne sarei felice , ma …”

Sofia divenne rossa di rabbia.

“Non ci posso credere! Ha parlato con te! E’ completamente impazzita, non si é mai comportata così, credimi”

“Beh, le mamme a volte sono iperprotettive”

“Sì, ma ora ha superato ogni limite, non sopporto questo suo atteggiamento. Ora mi sente.”

“Dai Sofia non esagerare, in fondo parla solo per affetto. Credimi, te lo dice uno che  praticamente la mamma non l’ha mai avuta”

“Davvero?” chiese la ragazza calmandosi

“Già, purtroppo mia madre è morta  quando avevo appena compiuto otto anni. Perciò ti dico che  anche una mamma iperprotettiva conserva comunque tutti i suoi lati positivi”

Mentre la ragazza si allontanava, Ben  si avviò inquieto verso la spiaggia dove l’aspettava John.

L’amico era già circondato da un gruppetto di ragazze che ridacchiavano alle sue battute in italiano stentato.

Ma Ben non se la sentiva di unirsi a loro.

La conversazione con Elizabeth l’aveva sconvolto, senza una ragione apparente,  e poi non riusciva a togliersi dalla testa quella canzoncina, una ninna-nanna, che non  aveva idea neppure di come e dove aveva imparato.

Non l’aveva mai cantata né a Lily né ad Aida, che amavano invece “La-Le-Lu”

Pensieroso ed agitato si stese sul telo in riva al mare e dopo un po’ si addormentò.


 

Elizabeth si avvicinò alla stanza, dove la cameriera era ancora intenta a fare le  pulizie.

“Puoi andare Cinzia, ci penso io a finire”

La donna in uniforme la guardò sorpresa, ma poi, visto lo sguardo deciso della sua datrice di lavoro, lasciò la stanza senza dire una parola.

Elizabeth chiuse con cura la porta e si guardò intorno.

Era decisamente disordinato il ragazzo. Magliette e pantaloni erano sparsi un po’ dappertutto ed il borsone giaceva a terra mezzo aperto.

Elizabeth studiò con cura tutte le cose nella stanza.

L’ospite da subito non le era sembrato un tipo da abbigliamento formale, ma rimase  comunque sorpresa dal fatto che non vi fosse alcun capo eccessivamente costoso.

Prese una delle magliette che erano sul letto e prima di ripiegarla con cura ne aspirò forte il profumo, mentre sentiva che le lacrime le salivano agli occhi.

Un bel ragazzo, un poliziotto, anche educato da come le aveva risposto, con un sano disprezzo per le cose costose, in fondo era cresciuto bene.

Accarezzò dolcemente il cuscino in cui si intravedeva ancora la forma della testa,  prima di togliere la biancheria ed iniziare a rifarlo.

Mentre era ancora intenta a rassettare la sua attenzione venne attratta da un piccolo squillo. Il ragazzo aveva lasciato il cellulare in stanza.

Cercò di vincere la tentazione e la curiosità, ma proprio non ce la fece.

Con le mani sempre più tremanti prese il cellulare dove era in bella vista la scritta “due nuovi messaggi”

Dopo un paio di tentativi finalmente riuscì ad visualizzarli.

Primo messaggio: SEMIR  “Lily e Aida non hanno più la febbre, ma continuano a grattarsi come due matte. Speriamo passi presto. Ti stai divertendo? Non fare  troppi danni. Ci sentiamo stasera”

Elizabeth si chiese chi era Semir… le pareva un nome turco e sembravano molto in amicizia dal tono del messaggio. Un amico turco, un altro segnale della sua originalità.

Scorse la lista per il secondo messaggio, ma appena vide il mittente non poté reprimere un singhiozzo: JULIA “A che ora arrivi domenica? Se vuoi  Peter ed io ti veniamo a prendere in aeroporto”.

Julia … Julia …

Alla ricerca febbrile di sprazzi di vita perduta andò alla galleria delle foto.

Le comparvero immagini di vita quotidiana: una bella famiglia, con due belle bambine in braccio al papà, un uomo piccolo di statura e alla mamma, una bella donna bionda. Poi le stesse bambine in braccio a Ben, a cavallo con lui, che giocavano in piscina o  dormivano abbracciate a lui su di un divano. Foto bellissime di una serenità familiare che Elizabeth  per un momento invidiò profondamente.

E poi una cartella di immagini che la fece sobbalzare : “Matrimonio Julia”

Si era sposata … Julia si era sposata. Ecco chi era Peter.

Piangendo ormai a dirotto, aprì le immagini e con la punta delle dita accarezzò l’immagine della ragazza bruna, così bella nel suo abito da sposa.

Pianse disperatamente fino a che, sfogliando le varie foto, non arrivò all’immagine dell’uomo alto in tight che dava il braccio a Julia, mentre la accompagnava all’altare.

Elizabeth si asciugò le lacrime e guardò con disprezzo la foto dell’uomo.

“Quanto ti odio, guarda cosa mi hai tolto. Vorrei solo vederti morto” mormorò piano.


Eccovi il secondo capitolo. Aspettiamo ansiose le recensioni. Diteci se la storia vi piace. O se non vi piace. 
Grazie a tutti.

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Capitolo 3
*** Dov'è la mia mamma? ***


Dov'é la mia mamma?

Dusseldorf, febbraio 1989
 
"Tanti auguri a te, tanti auguri a te, tanti auguri a Beeenn tanti auguri a te..."

Il coretto di piccoli e grandi fu subito seguito dagli applausi entusiasti dei partecipanti alla festa.
Ma Ben non ci faceva caso.
Aveva chiesto almeno cento volte ad Helga, la corpulenta governate di  casa Jager, di aspettare la mamma per spegnere le candeline, ma la donna - una specie di Biancaneve con il cipiglio di una  nazista- aveva risposto che ormai si era fatto tardi e gli altri bambini dovevano  andare a casa.
E così Ben aveva spento le sue otto candeline senza la presenza del papà  e della mamma.
L’assenza di suo padre ai suoi compleanni, come a quelli di Julia, era per lui una cosa del tutto naturale, ma la mamma no, era la prima volta che mancava.
E Ben  aveva anche notato il nervosismo crescente di Helga.

“Helga, ma dov’è la mamma?” chiese ancora una volta il bambino.
“Sì... dov’è la mamma?” chiese Julia che imitava tutto quello che faceva o diceva il fratello maggiore.
“Non lo so piccoli, vedrete che arriverà presto”
Ma Ben aveva un magone terribile.
Prese con noncuranza tutti i pacchetti che i suoi amici gli avevano portato  e li portò  in camera sua, come gli aveva chiesto Helga, ma non ne aprì neppure uno.
 

 
La festa era ormai finita, tutti erano andati via,  ed  era iniziata anche una leggera pioggerellina che rendeva l’aria di febbraio ancora più umida e fredda.
“Ben, dov’è la mamma?” piagnucolò Julia; lei aveva sempre paura quando si faceva sera e la mamma non era a casa.
“Ora arriva, Julia” Ben cercò di fare coraggio a se stesso e alla sorellina.
“Scartiamo i regali va bene?” propose  per distrarre la piccina.
Mentre erano seduti a terra nella camera, Ben sentì trambusto nel lungo corridoio.
La voce di Helga sembrava disperata. “Ma signore come possiamo fare questo ai  bambini?”
"Helga le ho già detto che lei deve solo fare come le ordino. E’ necessario!” La voce di suo padre sembrò a Ben come al solito arrabbiata e dura.
Poi i passi si avvicinarono e la porta della stanza  si aprì.
“Papà!!!” fece entusiasta Julia correndo in braccio al padre.
Konrad Jager prese la bambina in braccio e le diede un rapido bacio. Poi la passò ad Helga.
“Per favore porti la bambina in camera sua” le ordinò con voce atona.
Appena la governante e Julia furono uscite Konrad chiuse la porta e si avvicinò a Ben che era rimasto seduto a gambe incrociate sul pavimento.
“Alzati figliolo, ti devo parlare” gli disse sempre con lo stesso tono.
Alzandosi Ben si accorse che gli tremavano le gambe.
“Non c’è altro modo per dirtelo, ragazzo,  e ormai sei grande. Tua madre … ha avuto un incidente stradale . E’ morta”  
 

La frase aveva colpito Ben come un pugno nello stomaco, ma o per lo choc o perché  il padre, subito dopo averglielo detto, era uscito dalla stanza senza degnarlo neppure di uno sguardo e senza una parola di conforto, il bambino non riusciva a piangere.
Capiva che la sua mamma non c’era più, che non gli avrebbe più rimboccato le coperte, non lo avrebbe più salutato con i bacini sulla fronte la mattina quando andava a scuola, non lo avrebbe abbracciato  così all’improvviso e senza nessuna ragione, non gli avrebbe più fatto il solletico per farlo ridere quando tornava a casa arrabbiato … la sua mamma non c’era più.
Ora era solo.
Ma allora perché non riusciva a piangere?
“Ben…” la voce di Helga lo tirò fuori dal suo bozzolo.
Ben la guardò triste, ma con gli occhi ancora asciutti.
"Bambino vieni qui…” fece Helga aprendo le braccia.
Ben si rifugiò nell’abbraccio protettivo della governante.
“Helga … ma ora la mamma ci guarda dal cielo?” ancora ricordava le parole che gli aveva detto la mamma quando era morta la nonna materna.
“Sì piccolo, ora è con la nonna e tutt’e due vi guardano dal cielo, vi guardano e vedono tutto quello che fate. E’ così … non vi lasceranno mai …”  raccontò Helga con la voce incrinata dal pianto.
“Ma io non posso più vederla …” continuò il bambino.
“Non è vero, basta chiudere gli occhi e se vuoi la puoi vedere …”
Ben chiuse istintivamente gli occhi e si concentrò.
“Non ci riesco Helga … non la vedo …”
“Prova più tardi quando sarai più calmo …” lo incoraggiò la governante, mentre le lacrime scendevano lungo le guance e cadevano sui ricci scuri del piccolo che le stava avvinghiato.
“Ora andiamo a letto, vieni …” disse la governante, mentre prendeva il pigiama e lo aiutava ad indossarlo.
“Helga … mi canti  “stella stellina”?” chiese il bambino con voce piccola.
“Ti prego, cantamela come faceva la mamma …” pregò ancora
Ad Helga si strinse il cuore mentre iniziava a cantare
“Stella, stellina, la notte si avvicina…”


 
“Ma perché non posso venire?” chiese con voce sempre più disperata Ben al padre, che si aggiustava la cravatta  nera allo specchio.
“Ti ho già detto che devi restare qui con Julia, che non sa nulla. E poi un funerale non è un posto per bambini” rispose il padre senza guardalo e continuando ad aggiustarsi la cravatta.
“Ma è il funerale della mamma …” provò ad opporsi il bambino sempre più concitato.
“Non discutere quello che ti ordino. Fai come ti ho detto. Vai in camera tua!!” urlò il padre girandosi iroso verso di lui.
Ben si avviò mesto e a testa bassa verso la sua camera.

 
Erano passate quasi tre settimane e Ben non aveva mai pianto.
La cosa iniziava a preoccupare Helga che aveva cercato di parlarne a Konrad, ma aveva trovato un muro di freddezza.
L’imprenditore aveva fatto sparire in una notte tutte le foto della moglie dalla casa e  praticamente il nome della donna non poteva più neppure essere  pronunciato.
Una rabbia crescente si era impadronita dalla corpulenta governante; se non fosse stato per i bambini e per le promesse fatte si sarebbe immediatamente licenziata.
“Helga!!! Helga!!!” la voce disperata di Ben allarmò la donna che si precipitò per le scale sino al soggiorno, da cui proveniva il richiamo.
“Ben!!! che succede??” chiese spaventata appena entrò
Il ragazzino aveva rovesciato tutto il contenuto del mobiletto portatelevisore sul pavimento.
“Dove sono?? Dove sono??” urlò contro di lei
“Ben calmati …  cosa cerchi?” Helga cercò di calmare il bambino, ma lui continuava ad agitarsi come un matto, gettando di qua e di là tutte le videocassette che aveva trovato.
“Dove sono??” urlò ancora.
“Ma cosa??”
“Le videocassette con la mamma … dove sono? erano qui… non ci sono più”
Immediatamente Helga capì; Konrad aveva fatto sparire anche quelle.
“Forse le ha prese papà, ti ha già spiegato che se le vede Julia poi chiede  dove è la mamma …” provò a spiegare senza far trapelare l’odio che provava verso quell’uomo crudele.
“Ma Julia non è capace di vederle da sola … e poi erano mie … io e la mamma le abbiamo girate insieme … erano mie!!!” 
“Ben calmati dai“
Ma il bambino non ne voleva sapere di calmarsi … girava come una furia per la stanza in preda ad un vero e proprio attacco isterico.
Helga prese Ben per un braccio e lo strinse a sé.
“Va tutto bene piccino mio, va tutto bene” cercò di consolarlo accarezzandogli la schiena.
Il bambino la guardò con i suoi grandi occhi scuri.
“Tu non capisci Helga … io inizio a non ricordarmi più di lei … non mi ricordo più il suo viso …” balbettò. 
E finalmente scoppiò a piangere.


 

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Capitolo 4
*** Di nuovo addio ***


Segreti di famiglia di Maty66 e Chiara BJ


Capitolo 4

DI NUOVO ADDIO

 

“Corri, corri … prendimi...”

 La risata della giovane donna con i capelli scuri era  come musica, sembrava una piccola cascata di acqua brillante alle orecchie di Ben.

“Avanti sono qui… trovami .”

“Mamma ... mamma … dove sei?” fece il bambino guardandosi intorno; ma nel grande giardino non c’era traccia della donna, anche se Ben ne  udiva  ancora la risata.

“Trovami se sei capace ...” disse ancora la donna, sempre ridendo con voce squillante.

“Mamma … non ti vedo … dove sei …” ora il piccolo Ben iniziava ad avere paura, si girava  , ma non vedeva nulla, solo gli alberi ed i cespugli di margherite colorate agitati dal vento.

“Ma sono qui… vieni …” disse ancora la voce.

“Dove? Dove?” Ben era ormai quasi in lacrime e correva in tondo nel giardino senza una meta reale.

“Sono qui…” disse ancora la voce,  mentre finalmente Ben vedeva la figura vestita di bianco di spalle davanti a lui.

“Mamma!!!”urlò felice il piccolo e lei si girò …

Si girò e Ben sapeva che quella era la sua mamma , ma … lei … lei … aveva il volto coperto dai capelli e Ben voleva solo vedere i suoi occhi, non desiderava altro.

“Ben, vieni dalla mamma”…

Il bambino si avvicinò e cercò di scostare i capelli dal suo viso … ma lei non aveva viso …

  

Con un sussulto Ben si svegliò, ansimando in cerca d’aria.

Per fortuna non c’era nessuno vicino a lui. John era ancora impegnatissimo con le tre ragazze italiane.

Ancora un po’ sconvolto,  Ben si tirò a sedere sul telo steso in riva al mare.

Erano almeno vent’anni che non aveva più quell’incubo che lo aveva tormentato nella sua infanzia, subito dopo la morte di sua madre.

Con aria pensierosa ed ancora leggermente sconvolto si avviò verso il mare ed entrò in acqua, prendendo a nuotare a grandi bracciate.

L’acqua fredda era per lui un tonico piacevole, ma non gli impedì di pensare e ripensare al sogno.

Per circa cinque o sei anni dopo la morte della madre aveva fatto  quasi ogni notte quel sogno, ed ogni volta si era svegliato urlando.

Alla fine dopo le suppliche e le minacce di Helga il padre aveva consentito che la governate lo portasse da uno psicologo, il quale aveva semplicemente detto che erano solo i sensi di colpa  inconsci del bambino per aver dimenticato il volto di sua madre. Ben ancora ricordava l’espressione sconvolta del medico quando Helga gli aveva riferito che suo padre aveva fatto sparire tutte le foto della mamma da casa.

Comunque fosse, dopo un po’ di anni Ben aveva smesso di fare quel sogno … ma non aveva mai più ricordato il volto di sua madre.

Ricordava molto di lei, i giochi che faceva,  l’affetto e la cura, l’amore che gli aveva donato, ma non ne ricordava il volto. Per lui era una specie di entità astratta, benevola ed affettuosa, quasi una figura ideale.

Prese a nuotare in modo quasi frenetico cercando di far sparire le immagini del sogno dalla sua mente; si sentiva tornato bambino quando si svegliava di notte con la parola mamma sulle labbra un attimo prima di ricordare  che lei non c’era più.

Nuotò e nuotò fino a che sentì che gambe e braccia non lo reggevano più. Solo allora si appoggiò ad una boa nelle vicinanze e poi con lentezza tornò verso riva, con una sensazione crescente di angoscia.

Quella vacanza non stava andando come lui aveva sperato e non sapeva neppure perché.

 

“Ma posso sapere almeno il motivo?” la voce di Sofia era arrabbiata ed incredula.

Mai prima d’ora la madre si era comportata così, le aveva sempre lasciato la massima libertà di frequentare chi voleva, anche se erano ospiti dell’albergo, destinati ad andare via pochi giorni dopo.

“Ti ho già detto che non è un ragazzo per te. E’ molto più grande e poi entro la fine della settimana se ne tornerà in Germania …”

“E questo vuol dire che non posso neppure andarci ad una festa? Mica lo voglio sposare …”

“Stammi a sentire, Sofia, io li  conosco i tipi come quel Jager… sono qui in vacanza e credono che le belle ragazze italiane siano a loro disposizione per qualche avventuretta. Sono belli, simpatici e ti fanno girare la testa, hanno un sacco di soldi, ma poi …”

“E’ stato così anche  per papà? Così  ti doveva considerare papà? Come una signorina tedesca in cerca di avventure??” la voce di Sofia era incrinata dalla emozione.

Lo schiaffo di sua madre la colse completamente di sorpresa.

La ragazza si mise la mano sulla guancia con le lacrime agli occhi.

“Sono grande e faccio come mi pare. Tu non puoi dirmi chi frequentare … e se voglio andare alla sagra con Ben io ci andrò” disse con sguardo durissimo di sfida prima di correre via dall’ufficio della madre.

Elizabeth si sedette su una delle poltroncine completamente esausta.

Perché il fato l’aveva messa in questa situazione? Dopo tanti anni …

Una parte del suo cuore era  colmo di gioia nell’aver rivisto il suo bambino.

Era così bello, da far girare la testa, e da quello che aveva capito con un animo altrettanto bello.

Il tipico ragazzo di cui ti puoi innamorare al primo sguardo.

E l’altra parte del suo cuore era terrorizzata dall’idea di quello che poteva succedere con Sofia.

La ragazza era stata la più bella consolazione  in anni di disperazione assoluta.

Elizabeth era stata molto affezionata al suo marito italiano; Luigi era un vero gentiluomo, onesto e sereno. Non le aveva mai chiesto nulla del suo passato, l’aveva accettata così come era, con tutte le sue paure ed angosce e soprattutto le aveva regalato Sofia la cosa più bella, l’unica che l’aveva realmente consolata.

Elizabeth si guardò allo specchio e si rifece  per l‘ennesima volta la stessa domanda: quanto doveva essere cambiata per non essere stata riconosciuta da suo figlio?

Per la prima volta dopo tanti anni si rese conto delle conseguenze di quello che aveva fatto: era stata dimenticata, per il ragazzo lei non esisteva più, forse non era mai esistita.

Era un prezzo alto da pagare, ma ormai non poteva più porvi rimedio. Ma poteva salvare almeno quello che era riuscita a ricostruire.

Ed ancora una volta doveva pagare un prezzo alto: rinunciare al poco tempo che le restava con lui.


“Signor  Jager le potrei parlare?” Elizabeth si preparò mentalmente il discorso mentre il giovane si avvicinava al bancone.

Quando camminava somigliava tremendamente al nonno, aveva la stessa andatura, mentre, per fortuna, Elizabeth non riusciva a trovare in  Ben nessun elemento di somiglianza con il padre.

“Mi dica signora … se è ancora per Sofia le ho già detto che non mi sembra il caso di uscire …”

Mentre Ben parlava Elizabeth si accorse che guardava fisso il ciondolo che portava al collo.

Istintivamente la donna ci mese una mano sopra, quasi a nasconderlo.

“Purtroppo c’è stato un grave disguido, siamo andati in overbooking e le vostre stanze non sono più disponibili. Ovviamente per rimediare al disguido non vi sarà addebitato il costo delle notti che avete già passato qui e vi abbiamo trovato un altro albergo da domattina. E’ molto confortevole …”

Ben guardò la donna che aveva pronunciato tutto il discorso senza mai guardarlo in faccia e si accorse immediatamente che stava mentendo. Se ne chiese la vera ragione, ma poi una strana sensazione  lo indusse a non farsi troppe domande: quella vacanza era andata storta sin dall’inizio senza una ragione e lui non vedeva l’ora  di tornare a casa.

“Non c’è bisogno signora, per quanto mi riguarda la vacanza finisce qui. Piuttosto se potete cambiare la mia prenotazione aerea per domani mi fareste cosa grata” disse Ben con un mezzo sorriso.

“Ma signor Jager mi creda l‘albergo che abbiamo prenotato per voi è anche più confortevole del nostro …”

“Signora De Martino le assicuro non c’è nessun problema, in realtà sono sopraggiunti impegni imprevisti e comunque devo tornare a Colonia. Sono sicuro che il mio amico John gradirà molto il soggiorno nel nuovo hotel”

“Ci permetta almeno di organizzare il suo trasferimento all’aeroporto …”

“Grazie , ma va benissimo un taxi. Mi faccia sapere l’ora” Ben sorrise alla donna per toglierla dall’imbarazzo, ma non poté fare a meno di guardare di nuovo il ciondolo che aveva al collo. Era quasi magnetico quell’oggetto e anche di questo non sapeva spiegarsene la ragione.

 

Elizabeth  guardò Ben che si avviava verso l’ascensore per salire in camera. Quelle erano le ultime ore che passava con lui. Un dono del cielo durato solo poche ore.

“Perché devo sempre rinunciare alle cose cui più tengo?” pensò mentre iniziava a piangere silenziosamente.

 

“No Semir… non è successo niente. E’ solo che mi sono stancato di stare qui, non mi diverto. Ohhh … Basta! ho detto che non è successo niente, smettila di fare la chioccia isterica. Va bene, allora io arrivo alle quattro all’aeroporto. Sicuro che puoi venire? Ok va bene. Sì … Semir ho detto che va tutto bene. Ciao , ciao”

Ben chiuse il cellulare con un gesto secco; a volte Semir esagerava davvero, già aveva dovuto affrontare le rimostranze di John che si lamentava di essere lasciato solo nell’ultimi giorni di vacanza.

Ora ci si metteva anche l’amico che lo tampinava per sapere cosa  era successo per farlo rientrare prima; anche perché  lui non lo sapeva cosa era successo, sapeva solo che voleva tornare a casa e al lavoro.

Con questi pensieri  si dedicò a  fare i bagagli, ma a modo suo, ovvero buttando tutti i vestiti alla rinfusa nel borsone e lasciandolo a terra mezzo aperto.

Poi si stese sul letto e  cercò di prendere sonno nella speranza di non rifare l’incubo del mattino e dopo pochi minuti si addormentò agitato.

 

Elizabeth giocava nervosamente con il suo ciondolo, lo girava e rigirava fra le dita.

Quella era l’ultima sera, da domani il suo bambino sarebbe tornato ad essere un ricordo e null’altro.

Solo che ora sapeva che Ben era davvero un uomo e aveva una vita che lei non conosceva; faceva il poliziotto e non sapeva neppure cosa l’aveva indotto a questa scelta,   non conosceva le sue amicizie,  dove viveva …

L’aveva lasciato bambino e lo aveva ritrovato adulto. Una intera vita che le era stata rubata, su cui si era aperta solo una piccola finestra da cui sbirciare.

Finestra che stava per essere richiusa per sempre.

Pensò e ripensò a lui e a Julia, al giorno in cui erano nati a quando glieli avevano messi in braccio per la prima volta, ai loro primi dentini, ai primi passi …

Sapeva che non doveva farlo, ma l’istinto fu più forte di lei, doveva vederlo per l’ultima volta, forse poteva addirittura accarezzarlo.

Prese le seconde chiavi della stanza dal deposito dell’ufficio e silenziosa, nel buio della notte, si avviò per le scale.

Si fermò davanti alla porta e ascoltò se udiva rumori dall’interno. Con mano tremante mise la chiave nella toppa e lentamente aprì la porta.

La stanza era semibuia  le imposte dalla finestra erano aperte.

“Alcune cose non cambiano: non riesce a dormire al buio completo ed  dorme sul ventre” pensò Elizabeth guardando, immobile  e trattenendo il fiato,  il ragazzo  sul letto.

“Stella stellina la notte si avvicina …” sussurrò irrazionalmente mentre si avvicinava e tendeva la mano.

Solo un tocco leggero … voleva solo quello, toccarlo almeno un istante, sentire  sotto le sue dita il caldo della sua pelle, anche se non era più la pelle liscia del suo bambino, quella che amava tanto accarezzare.

Ma avvicinandosi nella penombra non vide il borsone a terra ai piedi del letto e per poco  non rovinò addosso al ragazzo che dormiva.

Con una imprecazione soffocata Elizabeth uscì precipitosamente dalla stanza, mentre Ben si agitava, risvegliato dai rumori.

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Capitolo 5
*** Sospetti ***


Segreti di famiglia di Maty66 e Chiara BJ


Capitolo 5

 SOSPETTI

“Ben aspetta … non mi saluti neppure?” la voce di Sofia raggiunse Ben mentre si stava infilando nel taxi per l’aeroporto.

“Ma certo … scusa, credevo non fossi in albergo” Il giovane sorrise alla ragazza che gli correva incontro.

Era molto stanco, aveva passato una notte agitata ed ad un certo punto si era svegliato quasi certo che qualcuno fosse entrato nella stanza, ma quando aveva aperto gli occhi non c’era nessuno.

Decisamente quella vacanza l’aveva innervosito e se ne chiese ancora una volta la ragione.

“Bene, spero che tu non ti sia arrabbiato per l’inconveniente, magari puoi tornare l’anno prossimo” disse Sofia con occhi che lasciavano trasparire imbarazzo.

Ben le sorrise di nuovo, anche se aveva ancora una volta la conferma che la madre di Sofia l’aveva deliberatamente buttato fuori dall’albergo.

“Questo è il mio numero di telefono. Se ti va chiamami e ti organizzo una vacanza con i fiocchi” fece la ragazza porgendogli un bigliettino, mentre si guardava intorno per essere sicura che la madre non stesse spiando.

Ben stava per rifiutare, ma poi non se la sentì. Prese il bigliettino e se lo mise in tasca, sicuro di non utilizzarlo comunque.

Salutò ancora una volta Sofia e poi salì sul taxi, felice di tornare a casa sua e al suo lavoro.

 

“Ehi... ma  non sei per niente abbronzato!!” disse Semir andando incontro al giovane amico che usciva dall’area doganale dell’aeroporto.

“Sono stato poco al sole per non farti sfigurare ora che torniamo di pattuglia” rise Ben, abbracciando l’amico. Erano passati pochi giorni, ma ora si accorgeva di averne sentito la mancanza.

“Si può sapere cosa è successo? Dovevi tornare domenica … nessuno rinuncia a tre giorni di vacanza al sole e al caldo. Guarda che tempo infame c’è qui…”

In effetti Ben rabbrividì e si  rattristò leggermente per il tempo uggioso  che lo aveva accolto.

“Vallo a capire, la proprietaria dell’hotel era una donna strana, una mezza isterica che si era messa in testa che io corteggiassi la figlia” rispose Ben salendo in auto.

“Ah! Ci risiamo, la solita vecchia storia. Ti avevo avvisato che gli italiani sono tipi gelosi” rise Semir

“A parte il fatto che la signora in questione è tedesca, ma io la figlia non l’ho neppure guardata. Piaceva a John invece”

“Fingerò di crederti. Allora vieni da noi per cena? Tanto la varicella l’hai già avuta” chiese Semir.

“Ho mai rifiutato una cena di Andrea? E poi devo dare i regali alle bambine”

 

“Zio Ben!! Cosa ci hai portato?” chiesero in coro le piccole appena videro Ben entrare dalla porta.

“Bambine, non siate maleducate. Salutate lo zio e non si chiede se ha portato qualcosa” le rimproverò Andrea uscendo sorridente dalla cucina

Ma Ben aveva già preso Lily a cavalcioni  e Aida gli si era attaccata alla gamba. Entrambe avevano ancora i puntini rossi della varicella sulle guance, ma Ben pensò che così erano ancora più carine.

“Vediamo se indovinate dove sono i regali …” disse ridendo;  Lily si dedicò ad una accurata perquisizione personale, mentre Aida si precipitava sul borsone  rimasto all’ingresso.

“Ciao Andrea” Ben salutò la donna con un bacio sulla guancia, cercando di resistere al solletico che gli faceva Lily che, imperterrita,  era fermamente convinta che i regali fossero nascosti sotto la maglietta del ragazzo.

“Ben caro, come mai già qui?” chiese la donna ridendo alla scena.

“Ben ha avuto problemi con una madre gelosa” rispose Semir entrando in casa.

“Non è vero, io non ho avuto alcun problema …” provò a ribattere l’amico.

La conversazione venne interrotta dall’urlo entusiasta di Aida. “Trovati!!” disse orgogliosa mostrando due pacchetti colorati.

Ognuno conteneva una barbie ed un costumino coloratissimo.

“Grazie zio” fece Aida scartando la bambola con occhi scintillanti.

“Sì gazzie zzio” balbettò anche la sorella minore mollandogli un bacio appiccicoso sulla guancia.

“Ben ti ho detto mille volte che le vizi troppo” lo rimproverò dolcemente Semir.

“Ho anche una cosa per te, un liquore buonissimo,  l’amaro del carabiniere. I carabinieri sono poliziotti italiani” fece Ben scavando a sua volta nel borsone e tirando fuori il pacco.

Appena consegnata la bottiglia a Semir l’attenzione del giovane venne attirata da uno scintillio fra i vestiti.

Incuriosito Ben scavò fra le magliette ed i pantaloni e tirò fuori l’oggetto rimanendo poi a guardarlo come ipnotizzato.

Era il medaglione che aveva visto indossare ad Elizabeth.

“Beh? Cos’è? Un regalo per una nuova amica? Costoso …” scherzò Semir alle sue spalle.

Il giovane rimase per alcuni secondi, silenzioso, a fissare il medaglione.

“In realtà non ho proprio idea di come sia finito nel borsone. L’ho visto al collo della proprietaria dell’albergo …”

“Che sei diventato cleptomane?” scherzò l’amico

Ben non rise alla battuta, era ancora una volta come ipnotizzato dall’oggetto.

Immagini di una donna bruna che lo faceva girare in tondo ridendo,  mentre il ciondolo oscillava davanti ai suoi occhi, gli invasero la mente, confuse e al tempo stesso angoscianti.

“Ben…” chiamò Semir che iniziava a  preoccuparsi.

“Sì … davvero Semir non so come questa cosa sia arrivata nel borsone”

“Ha la chiusura rotta, forse la  signora l’ha perso inavvertitamente” disse Semir prendendo  il ciondolo dalle mani dell’amico

“Sì, ma il borsone non si è mosso dalla mia stanza e non mi risulta che Elizabeth sia mai entrata”

“Beh, l’unica è chiamare in Italia e parlare con la signora” concluse Semir mentre esaminava ancora il ciondolo.

“Fortunatamente ho il numero della figlia” disse Ben cercando nel giubbotto.

“Guarda ci sono delle foto qui. Che carini questi due bambini. Questo qui ti somiglia” disse Semir che nel frattempo aveva trovato il piccolo meccanismo che faceva  aprire il ciondolo.

Appena vide le foto Ben sbiancò all’istante, al punto che Semir per un attimo  ebbe il fondato timore che stesse per svenire.

“Ben!! Che hai?? Ti senti male?” chiese preoccupato, ma per lunghi attimi il ragazzo non rispose continuando a guardare le foto

“Ben!!” chiamò di nuovo Semir quasi urlando.

Finalmente il giovane rispose.

“Questo bambino non mi somiglia, questo bambino sono io e la bambina dell’altra foto è Julia” balbettò.

 

“Ma come fa una signora in Italia ad avere delle foto tue e di Julia? Avete per caso parenti in Italia?” chiese Semir mentre porgeva un bicchiere d’acqua all’amico.

“No, non abbiamo parenti in Italia … sia mia madre che mio padre erano figli unici” Ben era pallido e pensieroso.

“Hai detto che la proprietaria dell’albergo, questa Elizabeth, è tedesca, forse è una amica di famiglia, una conoscente dei tuoi …” Semir cercava di trovare una spiegazione logica alla cosa.

Ma Ben era sempre più agitato.

“Semir… tu sai che io non mi ricordo bene di mia madre, ma mentre ero in Italia non ho fatto altro che pensare ad una ninna nanna, ce l’avevo sempre in mente, e poi ho ripreso a fare  l’incubo che mi tormentava da bambino … e a volte ho avuto la sensazione che quella donna mi scrutasse di nascosto”

Semir conosceva bene la storia, tempo addietro Ben si era confidato, ma non gli piaceva per nulla il pensiero che intuiva delinearsi nella mente del giovane amico.

“Ragazzo, tua madre è morta” disse brutalmente cercando di riportare l’amico alla razionalità

“Questo lo so anche io, ma quando prima ho avuto quel ciondolo  fra le mani ho avuto un ricordo strano, di mia madre che giocava con me, con questo ciondolo al collo” la voce di Ben era ormai strozzata dall’emozione.

“Ben… ti stai suggestionando, se fosse stata tua madre l’avresti riconosciuta”

“E come? Non mi ricordo per niente il suo viso, e mio padre fece sparire  tutte le sue foto da casa subito dopo il funerale. E quella donna si chiama Elizabeth, Semir… si chiama Elizabeth come mia madre”

“Ben … ma come puoi credere che tua madre sia viva? Che per tutto questo tempo sia stata lì in Italia, facendosi credere morta, per venticinque anni, senza mai dare un segno a te o a Julia? Deve esserci un’altra spiegazione” obiettò Semir che iniziava a sentire anche lui una sensazione di inquietudine.

“L’unica è chiedere spiegazioni a chi me le può dare. Mio padre” disse serio Ben alzandosi dal divano e avviandosi alla porta dopo aver preso il ciondolo che giaceva sul tavolino.

“Aspetta ti accompagno. E guido io” disse l’amico inseguendolo.

 

“Ben dai … ci sarà sicuramente una spiegazione ragionevole  per questa storia” Semir era sempre  più preoccupato per l’amico.

Nel tragitto verso la villa del padre a Dusseldorf il ragazzo aveva detto sì e no due o tre parole, e ora tremava vistosamente.

Ben si limitò a guardare l’amico con aria sconvolta.

Arrivati alla elegante costruzione alla periferia della città, Ben quasi non diede il tempo all’amico di fermare l’auto e si precipitò alla porta di ingresso

“Ben… piccolo mio, a quest’ora? Ma non eri in vacanza?” I  due vennero accolti da una stupefatta Helga,

“Ciao Helga. Mio padre?” chiese subito Ben.

“Nello studio, con il signor Sifer” rispose sempre più perplessa Helga.

Ben si precipitò verso la porta laterale e senza preoccuparsi di bussare entrò direttamente nello studio di suo padre.

“Ben, ma che modi sono questi? Non si bussa? E poi che ci fai qui? Non eri in vacanza?” Konrad Jager si alzò dalla scrivania togliendo gli occhiali con gesto stizzoso.

“Sì, ma ti devo parlare con urgenza” rispose il figlio.

“Ciao Ben, come stai?”

Luis Sifer salutò con un gran sorriso il suo figlioccio.

Era il maggiore socio di affari di Konrad Jager e padrino di Ben; una presenza talmente abituale in casa Jager che entrambi i ragazzi lo avevano chiamato “zio” sino a quando non erano diventati grandi.

“Ciao Luis, scusami,  ma devo parlare urgentemente con mio padre”

L’uomo lo guardò con aria bonaria, nonostante il viso deturpato dalla lunga cicatrice sulla guancia destra.

“Ma certo, io esco un attimo, così mi faccio fare un bel caffè da Helga” disse l’uomo sorridendo benevolo.

Nell’uscire dalla stanza Luis incrociò Semir che era rimasto sulla porta, indeciso sul da farsi.

Come al solito il piccolo ispettore provò una brutta sensazione per la presenza di quell’uomo.

Lo aveva incontrato solo poche volte, al matrimonio di Julia e ad alcune feste di famiglia cui era stato trascinato da Ben che non voleva andarci da solo. Ed ogni volta aveva provato  la stessa brutta sensazione, anche se non lo aveva mai confidato a Ben.

“Buonasera  ispettore Gerkan, anche lei qui… devo supporre che siete  in veste ufficiale. Visti i modi, sei forse venuto ad arrestarmi?” Konrad Jager si rivolse in tono ironico al figlio.

Ben aspettò che Luis richiudesse la porta alle spalle di Semir e poi tirò fuori dalla tasca il ciondolo.

“Sai forse dirmi qualcosa su questo ciondolo?” sibilò  rabbioso al padre.

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Capitolo 6
*** Rabbia e delusione ***


Segreti di famiglia di Maty66 e ChiaraBJ
Capitolo 6

RABBIA E DELUSIONE
 

Konrad Jager fissò il ciondolo nelle mani del figlio e divenne all’istante bianco come un lenzuolo.
“Ma cos’è? Non ne ho idea” balbettò, ma sia Ben che Semir capirono che stava mentendo.
“Vuoi dire che non l’hai mai visto? Che questo non è il ciondolo che aveva la mamma?” Ben bluffò, in effetti non aveva la sicurezza che quell’oggetto appartenesse alla madre.
Konrad lo guardò smarrito, mentre si sbottonava la camicia ed iniziava a sudare abbondantemente.
“Tua madre? Cosa c’entra tua madre ora? Tua madre è morta venticinque anni fa” balbettò il vecchio.
“Dove sono le foto della mamma? Dove le hai nascoste? Come è possibile che non ne hai conservata neppure una?” Ben si avvicinò rabbioso alla scrivania e aprì il ciondolo
“Questi siamo io e Julia, ci riconosci??” fece iroso sbattendolo  davanti al padre.
“Ma dove … dove … hai preso quest’oggetto? Come ... come …” il vecchio Jager era ormai completamente nel pallone.
“Dimmi la verità!! Come fa una tizia in Italia ad Amalfi ad avere un ciondolo come quello della mamma con le foto mie e di Julia??” Mai prima d’ora Semir aveva visto Ben così rabbioso e per un attimo ebbe il timore che saltasse alla gola del  padre.
“In Italia? Io … io … non lo so … tua madre è morta … è morta lo sai” balbettò ancora Konrad ormai completamente bagnato di sudore ed ansimante.
“Stai mentendo … si vede lontano un miglio che stai mentendo” urlò Ben avvicinandosi ancor più minaccioso al padre.
Semir lo afferrò per un braccio.
“Ben, smettila, calmati!!” La situazione stava decisamente degenerando.
Inaspettatamente Ben si rivoltò anche contro di lui, strattonandolo.
“Lasciami stare, resta fuori da questa storia,  questo bastardo sta mentendo!!”
“Ben finiscila, è pur sempre tuo padre ed  è malato di cuore”
Ma il giovane non lo stava neppure più a sentire.
“Ti decidi a dirmi la verità o te la devo cavare a forza dalla bocca?? Cosa è successo a mia madre??” urlò.
Konrad Jager lo fissò a lungo negli occhi prima di accasciarsi sulla sedia
“Signor  Gerkan posso chiederle di aspettare fuori?” bisbigliò.
Mentre Semir si stava già avviando alla porta fu fermato da un Ben sempre più deciso.
“Lui resta qui, quello che hai da dire lo puoi dire anche in sua presenza. Tutti devono sapere che lurido , bastardo, schifoso e bugiardo che sei”
Konrad lo guardò con occhi smarriti.
“Va bene, siediti. Ti dirò la verità” mormorò
 
 
Elizabeth aveva passato l’intera giornata a cercare inutilmente il ciondolo.
Si era maledetta più volte per non aver fatto riparare la chiusura, sapeva che poteva perderlo ed ora che era successo sentiva il cuore di pietra.
Era l’unica cosa che le restava dei suoi figli e averlo smarrito era per lei una punizione ancora più atroce di aver rinunciato a stare vicino al suo bambino per alcuni giorni ancora. O forse era una punizione proprio per quello che aveva appena fatto?
Sofia continuava a tenerle il broncio e per dispetto aveva preso a flirtare apertamente con John, chiedendogli davanti alla madre di accompagnarla alla sagra, ma  si vedeva anche che l’amico di Ben aveva perso interesse, tanto che aveva rifiutato sia pure gentilmente.
Mentre guardava il giovane diplomatico che caricava i suoi bagagli in macchina per trasferirsi all’altro albergo,  Elizabeth sentì il cuore stringersi ancora di più; stava per perdere l’unico contatto che le restava con Ben; sparito John sarebbe sparita anche l’unica ed ultima possibilità di contattarlo.
Pensò e ripensò e alla fine non seppe resistere alla tentazione.
“Allora Signor Muller sta andando … ci scusi ancora una volta per l’inconveniente. Siamo desolati” fece gentile mentre John le riconsegnava la chiave della stanza.
“Non si preoccupi, starò bene anche nell’altro albergo”
“Sì certo, ma voglia gradire questo piccolo dono” disse porgendogli un grazioso vasetto con i babà al rum della costiera.
“Sono dolci tipici della zona … e se fosse così gentile da darci l’indirizzo  vorremmo spedirli anche al suo amico a Colonia, per farci perdonare” disse poi sempre sorridendo.
“Grazie, è molto gentile gli piaceranno di certo” rispose John mentre scriveva l’indirizzo di Ben su di un foglio.
Appena si fu allontanato, Elizabeth studiò e ristudiò le parole scritte sul foglio. Friedrichstraße 12 , Colonia.
Il suo bambino viveva lì.
 
 
 
“E’… v … vero. Vi ho mentito. Tua madre non è morta in quell’incidente” balbettò Konrad pallidissimo.
Quelle parole colpirono Ben come un pugno violentissimo. Il giovane si sedette di botto sulla sedia di fronte alla scrivania, prendendosi la testa fra le mani.  Si aspettava quella verità , ma sentirla pronunciare da suo padre lo distrusse comunque.
Nella stanza calò un silenzio irreale, si sentiva solo il ticchettio dell’orologio a pendolo.
Semir iniziò a sentirsi un estraneo, aveva la forte tentazione di uscire, gli sembravano cose troppo personali per assistere, ma non aveva il coraggio di lasciare solo l’amico in quel momento. Non riusciva neppure a capire se stesse piangendo o tremando, lo vedeva solo sussultare sulla sedia.
“Mi dispiace Ben, mi dispiace … ma io l’ho fatto solo per proteggervi. Non volevo che soffrissi. Non volevo che i miei figli scoprissero la verità …” La voce di Konrad era solo un sussurro.
“Quale verità?? Cosa mai può averti spinto a farci credere  per venticinque anni che nostra madre fosse morta? Che cosa può averti spinto a privare  me e Julia di nostra madre? Cosa???” Ben era sull’orlo delle lacrime.
“Tu non puoi capire, se ho sbagliato l’ho fatto solo perché vi amavo … e vi amo …”
“Ci ami?? Maledizione, avevo otto anni e Julia cinque, eravamo bambini. Bambini senza la mamma e con un padre che ci ha completamente abbandonato”
“Mi spiace … mi spiace …” continuò a balbettare il vecchio
“Ti decidi a dirmi cosa è successo?” Ora la voce di Ben era di nuovo dura e sprezzante.
Konrad prese un gran respiro.
“Pochi giorni prima del tuo ottavo compleanno tua madre mi disse che si era innamorata di un altro uomo. Era un italiano, uno spiantato che faceva l’operaio in una fabbrica qui vicino, ma era sua ferma intenzione lasciarmi ed andare a vivere con lui in Italia. Ho cercato di dissuaderla , ma lei aveva solo odio negli occhi. Odio verso di me”
Ben lo guardava in silenzio, mentre Semir non aveva il coraggio di muovere neppure un muscolo.
“Le chiesi cosa voleva fare con vuoi due e le dissi anche che mai avrei permesso che vi portasse con lei in Italia, ma lei mi minacciò, mi disse che qualsiasi giudice vi avrebbe affidato a lei, eravate ancora piccoli ed in questi casi l’affidamento era sempre a favore della madre. A meno chi io non … non …”
“Cosa? Tu cosa?” chiese Ben
“A meno che io non le avessi dato tre milioni di marchi per ricominciare la sua vita in Italia con il suo amante. Solo così era disposta a lasciarvi con me,  e io … io non volevo perdervi…”
“E quindi cosa hai fatto?”
“Le ho dato quello che voleva, ma ho anche preteso che non si facesse vedere mai più, che sparisse per sempre, così ho organizzato tutto …”
“Vuoi dire che hai inscenato la sua morte?  Ma questo è … è …”
“Sì, lo so, ho sbagliato, ma come potevo dirvi che vostra madre vi aveva abbandonato per seguire il suo amante in Italia? Che aveva barattato il suo amore per voi con i soldi necessari a mantenere quello spiantato? Ho pensato che era meglio che voi, che tutti la credevate morta. Morta, così vi sarebbe rimasto almeno il ricordo della madre perfetta che era stata fino a quel momento”
Ben guardò ancora una volta il padre con le lacrime agli occhi.
“Chi c’è nella tomba? Chi hai seppellito al posto suo?”  chiese con la voce rotta dall’emozione
“Il corpo di una sconosciuta che  ho fatto prelevare dall’obitorio” bisbigliò il padre.
Ben rimase in silenzio per molti secondi.
“Come hai potuto mentire così per venticinque anni? Come hai fatto a guardare me e Julia ogni giorno e mentirci in ogni singolo istante  della nostra vita?”
La rabbia era svanita per far posto ad una tristezza infinita. A Semir si strinse il cuore nel vedere l’amico così.
“Se ho sbagliato l’ho fatto per amore vostro. Mi sono detto che forse quando  sareste diventati grandi, potevo dirvi la verità, ma poi il tempo passava … lei non si era più fatta viva … la vita era continuata. Mi spiace Ben, davvero, mi spiace … perdonami”
“Io non potrò mai perdonarti … mai” disse Ben alzandosi dalla sedia.
Prese con gesto rabbioso il ciondolo ed uscì senza voltarsi dalla stanza.
“Semir... la prego, lei è suo amico, ed è anche un padre. Lei mi può capire, e può far capire a Ben che  tutto quello che  ho fatto è stato solo perché non volevo farlo soffrire …” supplicò Konrad rivolto verso il piccolo ispettore che stava uscendo anche lui dalla stanza.
“Sinceramente signor Jager non so  proprio cosa dire a Ben, perché neppure io riesco a capire come abbia potuto fare una cosa del genere …”  

Nell’uscire precipitosamente da casa a Semir  per un attimo sembrò di vedere con la coda dell’occhio Luis Sifer nascosto dietro una delle porte del corridoio.
Ma non ci fece troppo caso. Era più urgente aiutare il suo migliore amico.
Anche se non sapeva proprio come.
 
 
Luis Sifer uscì dal suo nascondiglio non appena Semir uscì dalla porta.
Quello che aveva ascoltato l’aveva sorpreso e lui non era uomo che amava le sorprese. Ma non era neppure uomo da farsi sorprendere dagli imprevisti. 
Aveva superato difficoltà  peggiori nella vita ed aveva imparato ad essere sempre  pronto a reagire. Per questo era arrivato dove era ora.
Con calma prese il cellulare dalla tasca e compose un numero.
“Sì sono io. Ho bisogno di te. C’è un lavoro da fare in Italia. Ci vediamo domani mattina” disse laconicamente.
Poi chiuse la chiamata e rientrò a passo sicuro  nello studio.

 

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Capitolo 7
*** Azioni e reazioni ***


Segreti di famiglia di Maty66 e ChiaraBJ 

CAPITOLO 7
Azioni e reazioni 


Semir guidava verso Colonia,  dando un’occhiata alla strada e un’occhiata al sedile a fianco su cui sedeva in perfetto silenzio Ben.
Non sapeva  proprio cosa dire al suo giovane amico che continuava a rimanere immobile, guardando fuori dal finestrino, rigirandosi il ciondolo fra le dita.
“Stai bene?” chiese alla fine, rendendosi immediatamente conto di quanto fosse stupida quella domanda,  oprattutto fatta in quel momento.
“No, Semir non sto bene…” sussurrò dopo un po’ Ben sempre guardando fuori.
“Cosa vuoi fare ora?” chiese piano Semir, cercando di immedesimarsi, inutilmente, nel dolore dell’amico.
Una vita di menzogne: una madre creduta morta e che si era fatta credere morta per venticinque anni senza dare nessun segno ai suoi figli, un padre che aveva inscenato la morte della moglie e tentato di cancellarla dalla mente dei figli.
“Non lo so Semir, proprio non lo so. Devo parlare con Julia  prima di tutto. Ha il diritto di sapere” sussurrò il giovane con voce triste.
Semir non riuscì a trattenersi. Aveva quei dubbi da quando aveva lasciato la villa.
“Ben … scusa … ma tu sei proprio sicuro che quella che ti ha raccontato tuo padre sia la verità?” chiese cercando di restare rassicurante.
Ben lo guardò a lungo.
“Che vuoi dire?” chiese aggrottando la fronte.
Semir sospirò maledicendo la sua impulsività turca. Ma ormai aveva gettato la pietra e non poteva tirarsi indietro.
“Non lo so … è che mi sembra strano. Una donna che  vende l’affetto dei suoi figli per soldi non conserva per venticinque anni un medaglione con le loro foto, non lo porta dopo  tanti anni fisso al collo …”
“Saranno i sensi di colpa. Quello che so è che quando sono arrivato lì, lei non mi ha detto nulla, ha continuato a fingere, a mentire. Mentire a suo figlio, che non vedeva da venticinque anni, per salvare la sua nuova vita e la sua nuova famiglia. Mi ha persino cacciato via con una scusa stupida …”
Semir rimase in silenzio cercando di calibrare bene le parole.
“Ben … la verità a volte non è quella che ci si para davanti con  evidenza. L’abbiamo imparato nel nostro lavoro di poliziotti. Per lei sarebbe stato facile dopo tanti anni, quando ormai Konrad non poteva più nulla, farsi viva …”
“Evidentemente non voleva farlo”
“O forse non poteva … secondo me dovresti parlarle ….” azzardò Semir
“Per dirle cosa? Cara mamma ho scoperto che sono tuo figlio e vorrei sapere perché ti sei fatta credere morta per venticinque anni? Perché non ci hai mai cercato, neppure per sapere se stavamo bene?” la voce di Ben era ora adirata.
“Mi rendo conto che è difficile Ben … ma credimi, sono più vecchio di te e sono genitore. Una madre non dimentica facilmente i suoi figli”
“Si vede che non ho solo il padre anomalo, ma anche la madre” rispose amaro l’amico.
Ormai erano arrivati di fronte all’elegante condominio dove abitava il giovane.
“Ben … perché non dormi da noi stanotte? Non mi va di lasciarti solo …” propose Semir 
“Invece preferisco restare solo. E poi devo chiamare Julia. Ci vediamo lunedì” rispose l’amico scendendo dall’auto.
A  Semir si strinse il cuore nel vedere l’amico entrare in casa, senza mai voltarsi, ed ancora una volta si chiese se e  come  poteva aiutarlo.

 
“Ma cosa è successo?” chiese Luis  entrando nello studio.
Konrad si stava sistemando la cravatta davanti ad un piccolo specchio.
“Nulla … mio figlio  non smentisce la sua fama di emotivo  e sentimentale. Ora si è messo in testa una storia ridicola …”
“Su sua madre?” chiese duro Luis con occhi di ghiaccio.
Konrad si voltò lentamente con gli occhi colmi di sorpresa. Lo sguardo di Luis gli faceva sempre un po’ paura, anche dopo tanti anni.
“Elizabeth è morta. E’ morta venticinque anni fa. Qualunque cosa creda quello stupido di mio figlio”
“Già … morta. Ti sei occupato di tutto giusto?” La voce di Luis era assolutamente senza intonazione.
“Sì, su questo devi  stare tranquillo. Del resto siamo stati in pace per venticinque anni. E ti posso assicurare che continueremo ad essere tranquilli. Perché Elizabeth è morta e sepolta”
Nonostante i suoi sforzi la voce di Konrad tremò.
“Certo … perché sai bene anche tu cosa c’è in ballo. Molto più di me o di te. Del resto cosa non si fa per i figli … giusto?” Luis sorrise enigmatico ed ancora una volta Konrad non poté fare a meno di rabbrividire.
“Bene torniamo ai nostri affari. Allora chi si occupa del contratto a Singapore?” concluse Luis aprendo la cartellina che aveva in mano.

 
Elizabeth  finì di sistemare l’aiuola con le margherite. Era la sua preferita nel grande giardino dell’albergo, direttamente a picco sul mare e la curava personalmente. Le margherite erano sempre state il suo fiore preferito.
Il suo ricordo volò a tanti anni prima, quando coltivava quelle stesse margherite nella grande villa alla periferia di Düsseldorf. E ricordò con nostalgia le risate dei bambini, quando l’aiutavano a seminare le piantine o correvano nel giardino felici
Istintivamente si portò la mano al collo nel gesto abituale da tanti anni, prima di ricordarsi di aver perso il medaglione.
Nulla, ora le restava più nulla di quel periodo. Neppure le foto dei suoi bambini.
Cercò di scacciare il pensiero dalla mente e  di concentrarsi di nuovo sulla sua vita.
Si ripulì e poi si avviò verso la reception dove Sofia stava accogliendo due nuovi ospiti.
La ragazza continuava a tenerle il broncio, ma Elizabeth la conosceva, le sarebbe  passata presto, come ogni volta che si arrabbiava. Sofia … ora era la sua unica ragione di vita. Ma non poteva fare a meno di sentire nella testa quella vocina che la tormentava da anni … hai altri due figli … hai altri due figli … sangue del tuo sangue …
“Io vado a fare scorte al mercato” disse rivolta alla ragazza che annuì, sollevando a stento lo sguardo dai registri.
Elizabeth salì sulla sua Fiat Cinquecento e si avviò pensierosa  lungo gli stretti tornanti della costiera.
Suo marito Luigi l’aveva sempre definita come la strada più bella del mondo, ed era effettivamente tale, con un panorama che a volte era  capace, anche dopo tanti anni, di mozzarle il fiato.
Ma era anche una strada estremamente pericolosa, con  curve a gomito e tornanti che si susseguivano in continuazione a strapiombo sulla roccia.
Elizabeth la percorreva sempre con estrema prudenza ed aveva insegnato a Sofia a fare altrettanto.
“Ma guarda questo imbecille” imprecò guardando dallo specchietto retrovisore la grossa berlina scura che le si era accodata e le si faceva sempre più vicino.
L’auto aveva una targa tedesca e la cosa la inquietò, anche se non ne capì la ragione. In fondo in quella stagione Amalfi era piena di turisti tedeschi.
Continuò a guidare cercando di accelerare e guadagnare spazio rispetto alla berlina sino a che questa non accelerò a sua volta di colpo.
Elizabeth fu all’improvviso sbalzata in avanti. 
La berlina l’aveva tamponata ed a stento la donna riuscì a tenere il controllo della Fiat. Il cuore iniziò a batterle a mille mentre vedeva  nello specchietto retrovisore la berlina farsi di nuovo vicina. 
Sentì un altro colpo che la sbalzò di nuovo e si aggrappò al volante cercando di tenere la strada. Per fortuna davanti non aveva altre vetture, ma  accelerare era estremamente difficile per via delle curve.
Pensò freneticamente a cosa poteva fare, mentre vedeva la berlina farsi  di nuovo avanti e questa volta cercando di spingerla a sinistra, verso lo strapiombo.
“Dio … ti prego no …”  pensò frenetica mentre cercava di capire a quale punto della strada era. Conosceva a memoria la strada verso il paese e si chiese se poteva fermarsi in qualche modo e chiedere aiuto.
Ancora un colpo che la sbalzò in avanti.
Elizabeth era disperata mentre cercava frenetica di mantenere il controllo dell’auto.
Ceramiche Artigianali” la piccola insegna le si parò davanti come un’ancora di salvezza. Di scatto sterzò a destra nel piccolo parcheggio della fabbrica del suo amico  Giovanni.
La berlina  passò a velocità folle dietro di lei e il guidatore nel vederla cercò di frenare, ma evidentemente perse il controllo.
Elizabeth non vide quasi nulla, sentì solo lo stridio dei freni e poi il boato della vettura contro il guardrail. Dopo pochi secondi altri tonfi metallici e poi un enorme  scoppio.
Elizabeth rimase tremante nella sua auto, mentre tutti quelli che erano nella piccola fabbrica si precipitavano fuori, urlando terrorizzati.
Giovanni il proprietario della piccola fabbrica le si avvicinò.
“Elizabeth … che ci fai qui?” chiese preoccupato   vedendola ansimante e pallidissima.
“Nulla … ho fatto appena in tempo … hai visto?” disse scendendo con le  gambe tremanti.
“Mio Dio … che cosa terribile, questa è una strada tremenda …” fece Giovanni avviandosi verso il capannello di gente che si era formato. Da lontano già si udivano le sirene della polizia e delle ambulanze che si avvicinavano.
Elizabeth si avvicinò allo strapiombo e vide la berlina in fiamme sul fondo del dirupo.
L’avevano trovata. Dopo tanti anni  l’avevano trovata. E se l’avevano trovata ora, tutti erano in pericolo. Tutti i suoi figli.
 
 
Julia guardava il fratello in silenzio.
Aveva accolto la notizia con una calma tale che Ben ne era rimasto stupefatto.
“Non dici nulla?” chiese Ben guardandola negli occhi alla ricerca di una qualsiasi reazione.
“Sai … in fondo non mi importa …”
“Che significa non mi importa?” chiese incredulo il fratello.
“Che non mi importa … se lei si è  fatta credere morta per venticinque anni ha ragione papà. Non ci amava. Forse non ci ha mai amato. Quindi per me è morta” Ben non aveva mai sentito la sorella parlare in modo così duro.
“E quindi che facciamo? Andiamo avanti facendo finta che non sia successo niente?”
Julia rimase in silenzio a guardarsi le mani.
“Sì, penso proprio di sì. Abbiamo la nostra vita e, per quanto mi riguarda, non c’è posto per chi non mi ha voluto nella sua.”
Ben la guardò ancora una volta stupefatto, ma iniziò a farsi in strada in lui la stessa convinzione.
L’unica differenza era la rabbia che lui provava anche contro Konrad, mentre Julia continuava a difenderlo a spada tratta.
“Ora devo andare, Peter mi aspetta. Non pensarci più Ben. Nostra madre è comunque morta” disse mentre si alzava dal divano e dava un rapido bacio al fratello sulla guancia.
Richiudendo la porta alle spalle, Ben pensò che in fondo Julia aveva proprio ragione. Erano  adulti ormai e quel che era stato non poteva più essere cambiato.
Quasi sobbalzò allo squillo del cellulare. Era l’ennesima telefonata di Semir, aveva chiamato almeno dieci volte in meno di ventiquattro ore.
“Ciao socio. Stavo pensando. Domani è domenica, le bambine vorrebbero fare un picnic e sai che un picnic senza una chitarra e chi la sa suonare non è un vero picnic …”
Ben sorrise pensando ai mille stratagemmi che aveva usato Semir per spingerlo ad uscire di casa.
“Ok … vada per il picnic …” disse.
Era tempo di buttarsi questa storia alle spalle.
 
 
“Ma sei completamente impazzita??? Chiudere l’albergo in piena stagione?? Ed io non voglio andare dalla zia a Frosinone …” urlò  piena di rabbia Sofia
“Ti prego, ti prego Sofia. Ora non ti posso spiegare. Ma è importante. Ne va delle nostre vite. Devi aiutarmi a congedare gli ospiti e chiudere l’albergo. Io devo partire …”
“Per andare dove?? Ma che stai dicendo??”
Elizabeth prese sua figlia e la strinse a sé.
“Ti prego bambina, ti prego ti devi fidare di me … lo faccio per noi. Appena possibile torno. Ti prego”
La voce supplichevole della madre convinse la ragazza che si avviò verso l’ufficio.
Elizabeth sospirò.
Non aveva altra scelta.
Doveva tornare in Germania.
 
 

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Capitolo 8
*** Mia Madre è morta ***


Segreti di famiglia di Maty66 e ChiaraBJ
 
CAPITOLO 8

Mia madre è morta
 
Elizabeth uscì  dalle porte scorrevoli dell’aeroporto e l’aria umida di Düsseldorf la fece rabbrividire. A confronto con il clima caldo dell’Italia, le sembrava già inverno; dopo tanti anni non era più abituata al freddo della Germania.
Mentre  era in fila ad aspettare il suo turno per il taxi si chiese cosa doveva fare. Sofia aveva lottato sino all’ultimo per non essere spedita dalla zia a Frosinone, ma  poi aveva ceduto e almeno per lei Elizabeth poteva stare tranquilla. Nessuno poteva conoscere la cugina di suo marito e nessuno avrebbe trovato la ragazza nella piccola città italiana.
Si domandò se il padre dei primi due suoi figli abitava ancora nella grande villa alla periferia della città … chissà dove abitava Julia con il marito.
Ma sapeva dove abitava Ben.
“Elizabeth … non lo fare … lascialo in pace … lascia che ti creda morta …” pensò.
Ma la tentazione fu più forte di lei. Gli era così vicina. Lo voleva rivedere solo un’ultima volta, senza dirgli nulla, da lontano.
“Alla stazione. Conosce gli orari dei treni per Colonia?” chiese al tassista salendo in auto.

 
“Zio Ben… per favore ci canti ancora This Time?” chiese  Aida seduta sul sedile posteriore dell’auto con Ben e la sorellina che  gli dormiva in grembo.
“Per favore Aida, lo hai fatto cantare tutto il giorno. Ora basta e poi non può certo suonare e cantare con tua sorella che gli dorme sulle ginocchia” la rimproverò dal sedile davanti Andrea.
Era stata una bella giornata. Avevano fatto uno splendido picnic sulle sponde del Reno. Le bambine avevano riso e giocato e Ben si era a poco a poco rilassato e rasserenato.
“Allora canta ora che arriviamo a casa …” continuò imperterrita Aida
“No piccola, mi lasciate a casa mia, non ci sarò stasera” rispose Ben
La delusione si dipinse sul volto della bambina.
“Facciamo così, vengo domani sera quando io e papà torniamo dal lavoro, e ti canto la ninna nanna”
Aida sorrise felice e salutò  lo zietto del cuore con un grosso bacio quando il giovane scese dall’auto di fronte casa sua.
“A domani, mi raccomando sii puntuale, non ho voglia di cominciare la settimana con le solite ramanzine del capo”
“Io sono puntuale se tu non arrivi in anticipo” scherzò Ben salutando gli amici.
Solo allora si rese conto di quanto gli aveva fatto bene trascorrere quella giornata in compagnia della sua vera famiglia.
Perché in fondo quella  era la sua famiglia e non aveva bisogno di altro.
Stava già salendo le scale dell’ingresso del condominio quando, mettendo le mani in tasca, si accorse di aver dimenticato il cellulare in macchina.
“Maledizione” imprecò mentre scendeva di nuovo di corsa le scale, solo per vedere il retro della BMW di Semir che si allontanava.
Sempre imprecando si avviò di nuovo verso l’ingresso quando la sua attenzione fu attirata da un fruscio nei cespugli dell’aiuola di fronte.
Sospettoso Ben mise la mano a destra cercando la fondina, prima di ricordarsi che non l’aveva con sé.
Guardingo si avvicinò e scorse una figura scura nel fogliame.
Inizialmente pensò ad un barbone che si era rifugiato lì per trascorrere la notte, ma poi si accorse che era una donna
“Cosa ci fa qui??” chiese quando scostando le foglie riconobbe la figura.
 
 
Nell’istante in cui era stata scoperta Elizabeth aveva capito dagli occhi del figlio che lui sapeva la verità.
Ora lui sapeva chi era e la odiava.
Elizabeth gli aveva letto negli occhi l’odio che provava per lei.
A stento era riuscita a convincerlo a farla entrare in casa per non parlare in strada.
Entrare nell’appartamento del ragazzo l’aveva però fatta sentire ancora di più una estranea.
Nel salone c’erano chitarre di tutti i tipi in bella vista, foto di una band con lui come cantante e chitarrista, foto della famiglia che aveva visto già sul cellulare, quelle dei colleghi in uniforme. Una intera vita in cui lei non c’entrava nulla.
“Le direi di accomodarsi, ma non riesco a capire la ragione per cui è qui. E sinceramente non mi interessa neppure, cara madre” fece Ben con aria dura. Le ultime parole le pronunciò con voluta ironia
“Io … cosa … cosa ti ha detto tuo padre su di me?” sussurrò Elizabeth.
“Quello che mi ha detto è relativo, l’unica cosa certa è che lei ci ha lasciato per venticinque anni, si è fatta credere morta. Non ha sentito il benché minimo bisogno di farsi viva, di sapere qualcosa  di noi. Siamo cresciuti senza di lei, continueremo a vivere senza di lei” la voce di Ben era sprezzante e dura.
“Ben … tu devi credermi. Io non vi ho dimenticato … siete sempre nel mio cuore, lo siete sempre stati”
“Certo … è per questo che quando mi ha rivisto mi ha cacciato via dall’albergo. Comunque non credo che ora abbia importanza. Lei non fa parte della mia vita e non fa parte di quella di Julia. Torni in Italia dall’altra sua famiglia, quella che si è ricostruita. Qui non c’è più posto per lei”
“Ben, aspetta un attimo, qualunque cosa ti hanno detto non è la verità. Io volevo, volevo farmi viva con voi, ma …”
“Ma cosa? Cosa le ha impedito di dirmi la verità quando ero in Italia? La verità è che lei voleva proteggere la sua nuova famiglia, non voleva intralci. Sofia non sa nulla giusto?” chiese Ben con livore.
Elizabeth abbassò gli occhi.
“No lei non sa nulla, ma non è per questo. Tu non conosci la verità. Ci sono cose che non posso dirti …”
“Senta signora De  Martino, non mi importa. La sola verità che conosco è che sono cresciuto senza madre, perché la mia è morta il giorno in cui ho compiuto otto anni. Tutto il resto non conta. Ora esca di qui e non si faccia più vedere”
Elizabeth guardò suo figlio negli occhi e si rese conto che non poteva fare nulla per convincerlo.
“Aspetti un attimo” fece Ben mentre Elizabeth si stava avviando verso la porta.
Lei si voltò speranzosa, solo per essere delusa di nuovo.
“Questo è suo. Non so come sia arrivato nel mio borsone, ma non lo voglio” le disse il giovane lanciandole il medaglione.
Elizabeth lo prese e  uscì mogia
Toccava a qualcun altro dire suo figlio la verità.
 
 
“Sbadato, se non avesse la testa sul collo sarebbe capace di dimenticarsi anche quella” borbottò Semir scendendo dall’auto con il cellulare dell’amico in mano.
Mentre si avvicinava all’elegante ingresso del condominio scorse una figura di donna seduta sui gradini della scala esterna. Stava piangendo  mentre guardava qualcosa stretta fra le mani.
A Semir bastò uno sguardo, uno sguardo solo, per capire chi era.
Era la copia identica di Ben, stessi identici occhi, stessa bocca, stesso sguardo.
“Elizabeth?” chiese incerto
La donna alzò lo sguardo colmo di lacrime su di lui e Semir ebbe l’ultima conferma. Era la madre di Ben, non c’era bisogno di alcun esame genetico per confermarlo. In effetti si chiese come avesse fatto l’amico a non riconoscerla vista la somiglianza spaventosa.
Elizabeth lo guardò fra le lacrime. Era l’uomo ritratto nelle foto con la famiglia.
“Lei è amico di Ben?” chiese con un filo di voce.
“Semir Gerkan. Sono il partner di lavoro di Ben … e sono anche il suo migliore amico credo” fece Semir sedendosi accanto alla donna.
“Ben sa che lei è qui?” chiese con voce calma
“Sì, mi ha appena cacciato da  casa sua. Non vuole sapere nulla di me”
“Beh signora deve capire  anche la sua situazione. In fondo l’ha creduta morta per venticinque anni.”
“Mi chiami Elizabeth. Lo so che è terribile per lui sapere così la verità, ma lui crede che io non l’abbia mai amato, che io non ami i miei figli … non è vero … non è vero …”
“Elizabeth, Konrad ha raccontato tutt’altro a Ben…”
La donna lo guardò con sorpresa
“Cosa gli ha raccontato quel bastardo?” chiese

 
Semir  mentre raccontava alla donna quello che Konrad aveva riferito al figlio la vedeva impallidire sempre più.
“Quel lurido schifoso, non gli basta quello che mi ha fatto. Mi deve distruggere completamente agli occhi dei miei figli …” imprecò alla fine del racconto.
Gli occhi di Elizabeth non erano più colmi di lacrime, erano furibondi.
“Semir lei mi deve credere, la verità è un’altra. Io amo i miei figli, li ho sempre amati, sono stata costretta a fare quello che ho fatto…”
“Allora mi dica cosa è successo realmente, lo dica soprattutto a Ben e a Julia”
Elizabeth lo guardò indecisa.
“Non posso … non posso per ora, ma lei mi deve aiutare, mi deve aiutare a far capire a Ben che io lo amo, che non mi sono mai dimenticata di lui e di Julia…”
Semir non sapeva perché, ma credeva a quella donna. La guardava negli occhi e non vi vedeva falsità. 
“Io la voglio aiutare Elizabeth, mi voglio fidare, ma deve anche sapere una cosa. Amo molto Ben, per me è come e più di un fratello. Ha già sofferto molto per questa storia. Se lei lo farà soffrire ancora di più troverà in me il più feroce dei nemici. Quindi mi deve dire la verità. Ora e subito”
Elizabeth lo guardò e le lacrime tornarono sul suo viso.
“Non posso ora… devo prima parlare con quel bastardo. Lui deve dire finalmente la verità. Questa storia deve finire e solo lui può porvi fine. Altrimenti giuro che lo uccido con le mie mani” disse alzandosi dagli scalini.
“Dica Ben che tornerò. Tornerò e lui saprà finalmente la verità” fece mentre con un gesto improvviso fermava un taxi.
Semir rimase a guardare l’auto  che si allontanava ed una strana sensazione si impadronì di lui.
Si avvicinava la tempesta.
 
 
Helga era stanca morta. Aveva appena finito di preparare tutto per il pranzo dell’indomani; Konrad aveva importanti ospiti di lavoro e come al solito lei si era fatta in quattro per la migliore riuscita.
Mentre si toglieva il grembiule si chiese ancora una volta perché era rimasta in quella casa dopo che i ragazzi erano andati via.
Aveva promesso a Elizabeth di restare lì sino a che entrambi i ragazzi non fossero cresciuti, ma Ben era partito per l’accademia e poi Julia si era sposata. Entrambi i ragazzi Jager avevano lasciato la villa. Non c’era più nessuno da proteggere eppure lei era rimasta.
Ma non sapeva dove andare, era una donna senza famiglia,  i suoi figli erano Ben e Julia, ed il suo sogno era quello di aiutare a crescere i loro figli. Magari quelli di Ben. Il ragazzo era il padrone assoluto del suo cuore.
Sobbalzò nel sentire il campanello. Era molto tardi, Konrad era ancora nello studio e Luis Sifer era appena salito in camera. Anche quella notte avrebbe dormito nella stanza degli ospiti.
Con un po’ di ansia Helga andò alla porta e quando aprì le mancò il fiato.
“Elizabeth …” mormorò incredula.

 
“Helga …”  Elizabeth era commossa nel rivedere la governante. Per molti anni era stata la sua unica amica in quella casa.
Ma non fece a tempo a  gioire.
“Cosa ci fai qui??” fece Konrad, pallidissimo, fermo sulla porta dello studio.
 
“Cosa ci fai qui… avevi giurato di sparire …” Konrad a stento tratteneva la rabbia, ma continuava a parlare a bassa voce, per non farsi sentire.
“Helga lei torni in camera sua e ci resti sino a che non la chiamo, mi ha capito?” ordinò con sguardo di fuoco; la governante rimase interdetta, ma poi Elizabeth le fece un cenno di assenso e lei si avviò su per le scale mentre i due si chiudevano nello studio.
“Che sei tornata a fare? Non ti basta il disastro che hai combinato in Italia con Ben???” sibilò Konrad mentre richiudeva la porta dello studio.
“Che Ben sia arrivato nel mio albergo è stato un caso …” rispose la donna con aria sicura. Ora non aveva più paura di quell’uomo, rivoleva solo l’affetto dei suoi figli
“Ah.. ed è stato un caso anche il fatto che Ben sia venuto in possesso del medaglione …  non ti dovevo permettere di portarlo con te …”
“Sì anche quello è stato un caso, non l’avrei mai ceduto. Maledetto … è stata l’unica cosa dei miei figli che sono riuscita a prendere, non me li hai fatti nemmeno salutare”
“Mi pare che tu fossi d’accordo, non c’era altra soluzione … e comunque cosa vuoi ora qui??? Sono passati venticinque anni … i ragazzi si sono dimenticati di te …”
“Soluzione … certo che non c’era altra soluzione, mi hai minacciata, hai minacciato la vita dei miei figli… che potevo fare? Ma ora basta, ora tu devi dire la verità… costi quel che costi…”
“Sai benissimo che non posso. Anzi non voglio. Vai via! Torna alla tua vita in Italia, lì nessuno ti disturberà”
“Mi hanno trovata Konrad, mi hanno trovata, ora sanno dove sono e che sono viva. Hanno cercato di uccidermi la settimana scorsa. Chi mi assicura che non ci riproveranno? O che non faranno del male a Sofia?  E poi sono stanca. Rivoglio i miei figli, dopo venticinque anni hanno il diritto di sapere la verità” La voce di Elizabeth era calma, ma irata.
“La verità… sai cosa comporta dire la verità? Perderei tutto quello che ho costruito in questi anni … no, non sono disposto a perdere tutto… vai via sparisci, sparisci dalla mia vita, da quella di Julia e di Ben, tanto per loro sei morta e continuerai ad esserlo…”
“Konrad ti avverto io sono disposta a tutto, se non la dici tu la verità la dirò io. Ben è un poliziotto, lui o il suo amico mi aiuteranno e la cosa verrà fuori…”
Il vecchio imprenditore guardò la moglie con sguardo  di fuoco. Si rendeva conto che la donna era cambiata,  non era più la persona dolce e remissiva di un tempo.
“Elizabeth tu non sai cosa c’è realmente in gioco, basta una parola e sei morta …” fece  avvicinandosi minaccioso 
Elizabeth afferrò un candelabro. “Stai lontano da me …” disse, ma Konrad fu lesto a toglierlo da mano
“Tu stai lontana da noi …”  sibilò fronteggiandola minaccioso.
“Konrad ti avverto, io sono capace di difendermi, non sono la donna fragile di un tempo … sono capace anche di ucciderti se non dici ai nostri figli la verità”
 
   
Helga  andava avanti ed indietro nella sua stanza come un leone in gabbia.
Non doveva lasciare sola Elizabeth con Konrad. Sentiva che qualcosa sarebbe andata storta, ma non aveva il coraggio di scendere per le scale e vedere cosa stava accadendo.
Forse poteva chiamare Ben… in fondo lui era un poliziotto … ma come avrebbe reagito il suo ragazzo alla notizia che la madre era viva? Non era sicura che il giovane sapesse bene la verità, anche se giorni prima aveva captato frammenti di una conversazione fra lui e Konrad chiusi nello studio. Semir Gerkan … forse poteva chiamare lui, ma non aveva il numero del cellulare del poliziotto.
Mentre si macerava nel dubbio udì un urlo soffocato.
 
Poi nel silenzio della notte … uno sparo.
  

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Capitolo 9
*** Disperazione e rimorsi ***


Segreti di famiglia di Maty66 e ChiaraBJ

CAPITOLO 9 

Disperazione e rimorsi 

Ben si era appena addormentato, di un sonno leggero ed inquieto.
Non  bastava la visita improvvisa di quella donna che si definiva sua madre, ci si era messo anche Semir a renderlo ancora più nervoso.
Si era presentato alla porta di casa dopo averla incontrata per caso ed aveva iniziato la solita ramanzina sulla importanza della famiglia, sulla reale ragione per cui li aveva abbandonati, sul fatto che doveva concederle almeno una possibilità.
Ma lui non se la sentiva di concedere possibilità; non gliene importava nulla della ragione per cui quella donna li aveva abbandonati, sapeva solo di essere cresciuto senza che si facesse mai vedere, senza che tentasse neppure una volta di mettersi in contatto con loro, neppure quando erano ormai cresciuti.
Ormai Elizabeth, viva o morta, non era più sua madre.
Lo squillo del cellulare lo fece sobbalzare. Guardò la sveglia sul comodino. Le tre della notte.
Prese il cellulare  con il cuore che gli batteva forte e guardò incredulo il numero: Helga.
“Ben… bambino… devi venire subito qui…” fece la voce concitata della governante.
“Ma che succede?” chiese preoccupato Ben, presagendo che se Helga chiamava a quell’ora quasi certamente si trattava del padre.
“Devi venire, Ben, fai presto, tuo padre… tuo padre non sta bene…”  rispose flebile la donna.
Ben richiuse il telefono e si buttò dal letto. Il suo primo istinto fu quello di chiamare Semir, ma poi si rese conto dell’orario e si disse che non poteva disturbare per ogni cosa l’amico.
Si vestì e uscì di corsa. Entrando in macchina pregò solo di arrivare in tempo.
 
 
Helga chiuse il cellulare e tornò nello studio.
Tutto il personale di servizio era in casa e la gente continuava ad agitarsi e girare per casa come polli impazziti.
“L’ambulanza sarà qui fra dieci minuti…” disse Martina la giovane cameriera che aiutava Helga in casa  
“Dieci minuti?? Ma non ce la farà a resistere”
“Helga mi sa che comunque non c’è nulla da fare sai… hai visto anche tu… è stato colpito in pieno petto” fece di rimando, bisbigliando, Helmut il vecchio giardiniere. 
Helga cercò di reprimere i singhiozzi e si avvicinò al divano dove avevano steso Konrad. Sulla camicia bianca c’era in bella vista una grossa macchia di sangue e Luis Sifer, inginocchiato accanto, vi teneva premuto degli asciugamani nel tentativo di  fermare l’emorragia.
“Signor  Sifer… come sta il  signor Jager?” chiese debolmente Helga.
“Male Helga, male. Ha chiamato Ben e Julia?” chiese l’uomo. Conservava una calma straordinaria e Helga si chiese come facesse, visto che  quello che lui stesso definiva il suo migliore amico stava con tutta probabilità per morire.
“Sì certo, Ben sta arrivando. Ma cosa è successo?” chiese ancora Helga.
Quando era scesa di corsa aveva solo  visto Luis che soccorreva Konrad a terra con il petto insanguinato.
“Helga… se glielo dico va a finire che non mi crede … ho visto un fantasma…”
“Un fantasma?” chiese Helga, ma già sapeva a cosa si voleva riferire Sifer.
“Già, stavo andando in cucina per prendere qualcosa da mangiare, quando ho udito uno sparo nello studio e poi la porta si è aperta … e ho visto… ho visto Elizabeth… Helga. E’ stata Elizabeth a sparargli. Aveva ancora la pistola in mano, mi ha minacciato puntandomela contro e poi è scappata via di corsa”
 
 
Ben aveva percorso l’autostrada a velocità folle, tormentato dai sensi di colpa ripensando all’ultima conversazione avuta con il padre.  L’aveva aggredito e insultato e quelle potevano essere le ultime parole che gli aveva rivolto.
Quando arrivò notò subito da lontano le luci dell’ambulanza  e delle auto della polizia, ma i suoi peggiori timori si concretizzarono quando vide lo sguardo triste con cui lo guardavano i dipendenti della villa.
Entrando vide subito nel grande ingresso alcuni poliziotti ed un medico che parlavano piano con Helga e Luis.
“Ben… sei arrivato …” Helga aveva le lacrime agli occhi
“Dottore questi è Ben Jager il figlio di Konrad” Luis gli presentò il medico.
A Ben bastò uno sguardo al sanitario per capire che la situazione era tragica.
“Buonasera signor Jager, come  dicevo al signor Sifer purtroppo la situazione di suo padre è disperata. Il proiettile ha colpito l’arteria polmonare e suo padre aveva già due by-pass“ il medico aveva un’aria triste
“Ma che… proiettile? Vuol dire che gli hanno sparato??? E cosa significa che la situazione è disperata?” Ben guardava il medico con aria sconvolta.
“Non gli resta molto e spostarlo gli provocherebbe solo sofferenza, Mi creda signor Jager è già una fortuna che sia arrivato in tempo”
Ben sentiva le gambe che gli tremavano.
“Dov’è Julia?” chiese con aria smarrita a Helga
“E’ fuori città con Peter, ho avvisato anche lei, ma ci metterà almeno altre due ore ad arrivare. Ben… vai vicino a tuo padre… è di là…” fece la governante indicandogli lo studio.
Ben sentì un enorme groppo in gola. Pensò a tutte le volte in cui era entrato timoroso in quello studio per ricevere le solite ramanzine o punizioni dal padre,  a quando aveva lasciato  di corsa la stanza e la casa per andare in accademia, inseguito dalle urla e dal disprezzo di Konrad, all’ultima conversazione avuta proprio lì qualche giorno prima, alle frasi terribili che aveva rivolto a quel padre che non capiva e da cui non era mai stato capito.
Magicamente spuntò accanto a lui Semir.
“Semir, ma come…” balbettò immensamente grato di aver l’aiuto dell’amico in quel momento
“Mi ha chiamato Susanne, l’hanno avvistata  al Distretto  i colleghi di Düsseldorf, sapendo che è casa di tuo padre … Non mi rispondevi al cellulare così ho deciso di venire a vedere cosa stava succedendo”
Ben si avviò nello studio con le gambe molli.
Gli si strinse il cuore nel vedere il padre steso sul divano con due paramedici che lo sorvegliavano, l’uno facendogli una iniezione e l’altro tenendo in alto una flebo.
Qualunque cosa fosse accaduto negli anni passati quello era comunque suo padre. E stava per morire.
“Mi spiace non è cosciente …” sussurrò uno dei paramedici mentre Ben si inginocchiava accanto al divano.
Ma il giovane provò lo stesso a mettersi in contatto.
“Papà …” chiamò piano nella vana speranza di farsi sentire dal vecchio.
Konrad Jager rimase però con gli occhi chiusi ed il respiro ridotto ad un rantolo.
“Papà... sono qui, sono Ben” provò di nuovo.
E stavolta inaspettatamente il vecchio imprenditore aprì a fatica gli occhi.
Luis Sifer si precipitò anche lui vicino al divano.
“B… Ben…” balbettò  Konrad ansimando e sudando.
“Sì papà sono qui…” Ben prese la mano del padre nella sua.
“B… Ben… mi dispiace… mi dispiace… tua… tua m… madre…” la voce di Konrad era un soffio tanto che Ben per sentirla dovette chinarsi su di lui.
“Mia madre? Mia madre cosa??” chiese frenetico.
“Mi… mi dispiace … tua madre… cerca… cerca l’ag…”
Konrad non riuscì a finire la frase. Il corpo fu scosso da un forte singulto e poi, con gli occhi ancora aperti, reclinò la testa di lato.
Era morto.
 
 
Nella stanza ormai si sentivano solo i singhiozzi di Helga.
Ben era rimasto come imbambolato, ancora inginocchiato accanto al divano, con il corpo di Konrad steso, su cui qualcuno aveva pietosamente aveva messo un lenzuolo.
“Ben… vieni via dai…” Semir lo prese per un braccio e lo aiutò ad alzarsi.
Il giovane si alzò con gli occhi umidi.
“Mi spiace tanto…” fece Semir mentre l’abbracciava.
Luis Sifer si avvicinò con aria di circostanza e la sua presenza provocò ancora una volta molto fastidio a Semir.
“Ben… lascia che ti dica quanto sono addolorato. Non riesco a crederci… Konrad era il mio migliore amico…”
“Ma cosa è successo … chi è stato??” chiese Ben che stava recuperando un minimo di lucidità.
“Ben… io non so come dirtelo, so che può sembrare assurdo, ma subito dopo aver sentito lo sparo io ho visto… ho visto tua madre  uscire dallo studio con una pistola in mano…”
 
 
 
“Signor Sifer, potrebbe raccontarmi tutto daccapo, per favore?” Semir si avvicinò all’imprenditore non appena i colleghi di Dusseldorf finirono di raccogliere la sua testimonianza.
Ben era con Julia nel giardino nel vano tentativo di calmarla e consolarla. La ragazza aveva avuto un vero e proprio crollo nervoso alla notizia che il padre era morto.
“Certo ispettore, sa è un sollievo per me che  Ben e Julia  già sapessero che Elizabeth è viva, per un attimo ho creduto di avere le allucinazioni. Anche se poveri ragazzi … il padre morto e la madre assassina”
“Se la signora Elizabeth è o  non è una assassina non spetta a lei giudicarlo” rispose stizzito Semir.
Quell’uomo non gli piaceva, non gli era mai piaciuto ed ora non era disposto a concedergli fiducia.
“Certo, mi spiace. Io ho solo riferito quello che ho visto” Sifer guardò con aria di sfida Semir.
“Lei era molto amico di Konrad Jager, giusto?” chiese Semir fissando negli occhi il suo interlocutore
“Certo, di lui e di Elizabeth prima che mor… che si facesse credere morta. Sono il padrino di Ben lo sa?”
“E quindi anche lei ha creduto Elizabeth morta per tutti questi anni. Conosce la ragione per cui si è fatta credere morta?” il tono di Semir era sempre più inquisitorio.
“Certo, come tutti. Anzi per me fu un duro colpo. Elizabeth era una donna dolcissima ed una vera amica…”
La conversazione fu interrotta da un colpo di tosse alle loro spalle.
“Semir ti dovrei dire una cosa in privato…” fece Hans un corpulento poliziotto in divisa.
L’uomo aspettò che Luis si fosse allontanato e poi  continuò.
“Forse vuoi avvisare tu Ben… il giudice di Düsseldorf ha appena firmato il mandato di cattura per Elizabeth De Martino. E’ ufficialmente ricercata per omicidio”

 
Semir aveva cercato Ben per tutta la villa, ma la casa era grandissima e non aveva trovato traccia del giovane sino a che  con la coda dell’occhio  non lo aveva  finalmente visto seduto sotto un grande platano in giardino.
“Come va?” chiese  sedendosi accanto a lui
“Come vuoi che vada. Julia sta peggio di me… è sempre stata attaccata a papà molto più di quanto lo sia stato io…”
“Un padre è sempre un padre ed io sono certo che nonostante tutto lui ti voleva bene, così come gliene volevi tu”
“Il problema è che se anche fosse vero non ce lo siamo mai detto, ed ora è troppo tardi” la voce di Ben  aveva il tono amaro del rimpianto
“Certe cose non c’è mica bisogno di dirsele”
Ben non rispose e gli amici rimasero per un po’ in silenzio.
“Ben… è meglio che tu lo sappia da me. Hanno emesso un mandato di cattura per tua madre”
Ben si girò a guardarlo.
“Beh … me lo aspettavo. Spero solo che la prendano presto”
“Vacci piano Ben, forse non dovremmo tirare subito le conclusioni”
“Non vedo cosa dobbiamo aspettare. Hai sentito cosa ha detto Luis. L’ha vista con la pistola in mano e poi lei è fuggita.”
“Sì, ma … tu di fidi di quel Sifer?”
“Perché non mi dovrei fidare? Era il migliore amico di mio padre, è sempre stato dalla mia parte, anche a volte mettendosi contro di lui. Mi ha sostenuto anche nella mia scelta di diventare poliziotto. Perché dovrebbe mentire?”
“Non lo so Ben… quell’uomo non mi piace …”
“Invece ti piace quella donna giusto? Una madre che abbandona i figli per venticinque anni, che si è rifatta una vita lontano fregandosene di quello che succedeva loro. Un’assassina …”
“Ben non saltare alle conclusioni, siamo poliziotti dobbiamo considerare tutte le possibilità”
“Considerale tu le altre possibilità. Io spero solo che la prendano presto e che marcisca in galera per tutta la vita” fece Ben rabbioso, alzandosi ed avviandosi a passo sicuro in casa.
 

 

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Capitolo 10
*** Braccata ***


Segreti di famiglia di Maty66 e Chiara BJ

Capitolo 10

BRACCATA
 

Elizabeth aveva corso a perdifiato lontano dalla villa.
Era notte profonda e la grande casa era alla periferia di Düsseldorf.
Mentre correva lungo il viale completamente deserto ebbe un moto di paura … dove poteva andare? Era tutto buio. Chi poteva aiutarla ora?
Non c’era più possibilità che quel bastardo dicesse la verità, il perché era stata costretta ad abbandonare i suoi figli senza neppure salutarli per l’ultima volta.
Corse e corse, sino a che non scorse l’insegna di un pub illuminata.
Affannando entrò nel locale. Non c’era nessuno e il barista la guardò con aria sorpresa.
“Signora stiamo per chiudere …” disse l’uomo.
“Mi scusi sono rimasta in panne con l’auto potrebbe chiamare un taxi per favore?”
Mentre spettava all’esterno del pub l’arrivo del taxi, Elizabeth pensò a cosa poteva fare ora.
Ben  non era propenso ad ascoltarla e probabilmente nepure Julia; già da piccola la ragazza era morbosamente attaccata al padre e Elizabeth ci avrebbe scommesso la testa che anche lei non le avrebbe creduto.
Non le rimaneva che un’unica possibilità: Semir Gerkan.
“A Colonia per favore” disse al tassista salendo in auto.
 
 
“Ben… forse sarebbe meglio parlare del funerale, dobbiamo organizzarlo bene, tuo padre era un uomo molto in vista, ci saranno politici, imprenditori …”
Luis Sifer parlava con calma, ma né Ben né Julia, che seduta sul divano continuava a singhiozzare nelle braccia del marito, facevano molto caso a quello che diceva.
Solo Semir dedicava a quell’uomo tutta l’attenzione dovuta. Qualcosa nel suo istinto di poliziotto gli diceva che stava mentendo.
“E poi ci sarà da pensare al testamento … a cosa volete fare voi ragazzi con l’impresa di famiglia…” continuò ancora Sifer.
“Se non sbaglio è lei l’amministratore delegato giusto?” chiese a bruciapelo Semir.
“Certo, lo sono stato sino ad ora, ma adesso la proprietà con ogni probabilità passerà ai ragazzi e quindi dovranno decidere loro” la voce di Luis era stizzosa.
“Non vedo perché cambiare … tanto io non me ne occuperò mai …” disse con noncuranza Ben e a Semir non sfuggì lo sguardo di soddisfazione e trionfo che balenò per un attimo negli occhi di Luis.
“E poi dobbiamo decidere cosa dire alla stampa … già ci sono i primi cronisti qui fuori” continuò imperterrito l’uomo.
“Occupatene tu per favore … non so … dì loro quello che vuoi … anzi digli la verità, tanto  prima o poi la scopriranno. Appena quella maledetta donna sarà arrestata” 
La voce di Ben non aveva perso la sua durezza.
“Come puoi dire questo di tua madre?”  sbottò Helga che era appena entrata nella stanza con un vassoio per il caffè.
“Tu non sai cosa le è costato lasciarvi qui… non sai quanto vi amava …” balbettò emozionata.
“Cosa? Vuoi dire che anche tu sapevi che era viva?”
Gli occhi di Ben lanciavano fiamme mentre si avvicinava alla governante.
“Io … io … sì lo sapevo … ma le avevo giurato di non dirvi nulla, di crescervi con tutto l’amore del mondo perché lei non poteva …”  Helga iniziò a piangere silenziosamente.
“E ci hai mentito per tutti questi anni? Anche tu ci hai mentito?” intervenne Julia.
“Bambini io non volevo, sono stata costretta … lei mi aveva fatto giurare …”
“Già giurare di non dirci che ci aveva abbandonato per seguire il suo amante …” Il tono di Ben era sempre più iroso
Semir intervenne a calmare la situazione.
“Helga, Elizabeth le ha mai detto perché abbandonava la casa?”
“No ispettore, mi disse semplicemente che doveva andare via e doveva lasciare qui i figli, per il loro bene. Ma io ho sempre avuto l’impressione che fosse stata costretta, che la storia che  raccontava il signor Jager era tutta una montatura. Se lei avesse visto quanto amava i suoi figli …”
“Certo ci amava tanto da lasciarci soli per venticinque anni. Ci amava tanto da uccidere il padre dei suoi figli a sangue freddo…” fece Ben con l’odio che si percepiva chiaro nella voce.
“Io non so cosa è successo … ma sono certa che non è stata lei, non può essere stata lei” singhiozzò Helga.

 
 
Elizabeth si sedette sul letto della piccola stanza nella pensione alla periferia di Colonia.
Era un posto squallido e sporco, ma di sicuro lì nessuno l’avrebbe cercata e non le avevano nemmeno chiesto i documenti.
Doveva procurarsi qualcosa da mangiare e cercare di rintracciare Semir.
Forse poteva provare a casa di Ben, ma aspettare lì fuori per ore o giorni non le sembrava il caso.
Il comando di polizia, ecco dove poteva sicuramente rintracciare l’amico di Ben. Lui l’avrebbe aiutata di certo,  a lui poteva raccontare la verità.
Ansiosa accese la tv nel tentativo di distrarsi prima di uscire a procurarsi da mangiare.
Le voci monotone del documentario stavano quasi per conciliarle il sonno quando la sua attenzione fu attratta dalla sigla del telegiornale. Era così strano sentire di nuovo i notiziari in lingua tedesca. In  Italia si era sempre rifiutata di far montare la tv satellitare.
La notizia di apertura la lasciò letteralmente senza fiato.
“Sono ancora in corso le ricerche di Elizabeth De Martino, principale sospettata dell’omicidio del noto imprenditore Konrad Jager, avvenuto ieri notte nella  lussuosa villa del milionario, alla periferia di Düsseldorf. La donna è fuggita  e testimoni l’avrebbero vista in possesso dell’arma con cui avrebbe poco prima sparato all’imprenditore, che è morto poco dopo per le ferite riportate. Non è ancora confermata la notizia che la donna andrebbe in realtà  identificata come Elizabeth Jager, moglie del milionario creduta morta in un incidente stradale avvenuto venticinque anni fa”
Elizabeth rimase come imbambolata a guardare per ore lo schermo della tv, senza però vedere nulla, sino a che le trasmissioni non finirono a notte tarda.
“Cosa faccio ora?” si chiese 
 

 
Semir rientrò a casa stanco morto. Era spossato soprattutto dal punto di vista psicologico, ed era sempre più preoccupato per Ben. Sentiva che questa storia stava creando un solco fra lui è l’amico e non sapeva neppure bene perché.
Andrea gli venne incontro  con aria triste.
“Ciao tesoro, come sta Ben?” gli chiese abbracciandolo stretto.
“Come vuoi che stia … cerca di fare il duro … ma è addolorato e soprattutto arrabbiato”
“Certo povero ragazzo se ci pensi, prima viene a sapere che la madre creduta morta per venticinque anni è viva e vegeta  e si è rifatta una vita ignorandoli, poi con tutta probabilità è stata lei ad uccidere il padre …”
“Non saltare subito anche tu alle conclusioni”
“Ma tu hai detto che Luis Sifer l’ha vista ”
“Sì, so quello che ha detto Luis Sifer, ma io di quell’uomo non mi fido, non mi piace e non mi è mai piaciuto”
“Semir… tu stesso hai detto che quando le hai parlato Elizabeth ha minacciato Konrad, non dovresti illudere Ben se non sei certo della sua innocenza”
“Illudere? Guarda che Ben non si vuole illudere affatto, anzi ha una tale rabbia nei confronti dalla madre che non vede l’ora di vederla marcire in galera”
“Beh …  di cosa ti meravigli Semir? Quella non è sua madre, non più almeno …”
“Sì, ma ha una tale rabbia dentro di sé… finirà per scoppiare se non si sfoga”
“Quando c’è il funerale?” chiese Andrea cambiando discorso.
“Penso dopodomani, sempre che il medico legale rilasci la salma”
“E notizie di Elizabeth?”
“No ancora nulla, i colleghi di Düsseldorf hanno trovato il pub da cui ha chiamato un taxi dopo essere fuggita dalla villa. Sappiamo solo che l’ha portata a Colonia, ma poi si sono perse le tracce”
“Povero Ben… dobbiamo stargli vicino” sospirò Andrea.
“Già… se lui vuole che gli stia vicino” disse fra sé e sé Semir avviandosi verso la stanza da letto.

 
“Bene, allora siamo d’accordo, sapete cosa fare. Avvisatemi appena avete concluso il vostro lavoro”
Luis Sifer chiuse il cellulare con aria soddisfatta. La sua capacità di far fronte agli imprevisti non era mai venuta meno e per fortuna con tutta probabilità anche stavolta era riuscito a mettere una pezza ad una situazione che poteva farsi veramente pericolosa. Anche se il lavoro non era ancora concluso.
“Luis…” la voce di Ben lo richiamò e lui si stampò immediatamente un sorriso di circostanza sul volto.
“Dimmi Ben” gli disse mostrando tutto l’affetto possibile
“Io torno a Colonia, devo andare in ufficio e sbrigare altre faccende … volevo sapere se potevi occuparti del funerale di domani e magari dare un’occhiata a Julia. E’ ancora molto scossa”
“Ma certo Ben, certo, mi occupo di tutto io ragazzo, non ti devi preoccupare. Lo sai che per voi farei qualsiasi cosa. Siete come figli per me …” la voce di Luis era affettata e melliflua
“Grazie Luis te ne sono grato” Ben si stava già avviando alla porta quando Luis lo richiamò.
“Ben senti … mi spiace molto sai … per tua madre…”
“Luis per favore non voglio parlare di quella donna, l’unica cosa che spero è che  la prendano e questa storia finisca presto” fece Ben con aria seria
“Certo, certo, volevo solo che tu sapessi che ti sono vicino”
“Lo so Luis, grazie, ci vediamo domani”
E mentre Ben si avviava a passo sicuro verso la sua auto Luis  sorrideva soddisfatto

 
Quando Ben arrivò al Distretto Semir stava già lavorando seduto alla scrivania ed ebbe un vero e proprio moto di sorpresa. Aveva esortato l’amico a prendere qualche giorno di ferie, ma con tutta evidenza non l’era stato a sentire.
“Ben… ma non avevamo detto che prendevi qualche giorno?” chiese appena entrò nell’ufficio
“No, tu avevi deciso che io dovessi prendere qualche giorno, ma non ne ho bisogno”  rispose con voce leggermente stizzita.
La conversazione fu interrotta dall’entrata della Kruger e di Susanne.
La bionda segretaria abbracciò il giovane.
“Quanto mi dispiace Ben, davvero …” disse dolce
“Condoglianze Ben, sono veramente dispiaciuta … se le serve qualche giorno non esiti” fece anche la Kruger.
“No grazie Commissario preferisco lavorare. Anzi  vista la situazione pregherei tutti di trattare questo come un normale caso e la De Martino come una normale ricercata”
Il tono con cui aveva parlato Ben lasciò tutti abbastanza stupiti, ma nessuno ebbe il coraggio di replicare.
Quanto tutti furono usciti dall’ufficio Semir provò a riprendere il discorso.
“Ben senti … non mi sembra il caso che tu oggi riprenda a lavorare. Devi metabolizzare gli avvenimenti …”
“Metabolizzare cosa? Che mio padre è stato ucciso da  una donna che si definisce mia madre? Per me è solo la donna che mi ha generato, né più né meno. E’ una assassina e va presa e sbattuta in galera. Prima succede meglio è”
“Ben, per favore cerca di restare razionale. Se è tornata qui forse è perché voleva dire la verità. Hai sentito anche tu Helga, le è sempre sembrato che fosse stata costretta ad abbandonarvi. E poi … cosa voleva dirti tuo padre prima d morire???”
“Sinceramente Semir forse dovresti restare fuori da questa storia. Sono affari miei e della mia famiglia”
La frase lasciò Semir di stucco.
Non ebbe più il coraggio di affrontare l’argomento per tutta la giornata.
 

 
“Terra alla terra, polvere alla polvere, cenere alla cenere. Signore accogli l’anima del nostro fratello Konrad …”
La voce del prete era monotona e senza alcuna emozione.
Ben si era distratto per tutto il tempo guardando gli alberi del grande cimitero e cercando di non toccare in continuazione il nodo della cravatta, anche se aveva l’impressione di stare per strozzarsi.
Il posto era invaso da gente, ma Ben conosceva sì e no un decimo delle persone che gli avevano stretto la mano e fatto le condoglianze. Tutto gli sembrava così freddo ed impersonale. I politici, gli imprenditori venuti a salutare suo padre, le parole di circostanza di tutti,  tutto gli sembrava finto.
Finto e freddo come era stata la vita di suo padre.
Finto e freddo come il rapporto che aveva avuto con lui.
Eppure si sentiva addolorato, per qualcosa che poteva essere e non era mai stato.
Lanciò uno sguardo  Semir  ed Andrea e agli altri della squadra, erano venuti tutti, erano tutti lì per lui, schierati con aria triste.
Aveva parlato poco con l’amico in quei giorni, non se la sentiva, provava un po’ di rabbia verso di lui, come se  la difesa di Elizabeth fosse una offesa a Konrad che un figlio, nonostante tutto, non poteva permettere.
Finalmente la cerimonia finì e tutti iniziarono a scemare verso l’esterno.
Semir finalmente si avvicinò e strinse ed abbracciò Julia.
“Mi spiace molto Julia, sono veramente addolorato …”
Ma la donna non rispose. Era completamente sconvolta aveva passato due giorni a piangere senza smettere quasi mai e la cosa iniziava a preoccupare Ben.
Semir continuava a guardarlo fisso, ma non riusciva a dire  nulla. Ben iniziò a sentirsi un po’ in colpa.
“Semir… scusa per ieri …”
Il piccolo ispettore turco sorrise, ma non ebbe il tempo di rispondere.
Il cellulare che aveva in tasca squillò e Ben vide l’amico diventare molto serio mentre parlava.
“Ben… abbiamo una segnalazione, sappiamo dov’è Elizabeth …” disse chiudendo la chiamata
 

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Capitolo 11
*** Sono stata io!! ***


Segreti di famiglia di Maty66 e Chiara BJ

Capitolo 11
SONO STATA IO !
 
Elizabeth  si aggiustò, specchiandosi nel riflesso di una vetrina, il foulard che aveva messo sui capelli. Con quello e gli occhiali scuri sperava vivamente di non essere riconosciuta, poteva incontrare da un momento all’altro qualche sua vecchia conoscenza e, dopo che la tv aveva mandato e rimandato  la notizia della morte di Konrad, la cosa poteva essere molto pericolosa.
Doveva cercare di incontrare al più presto Semir, era la sua unica speranza.
Mangiato qualcosa in stanza, si sarebbe avviata al Distretto di polizia, lì forse avrebbe avuto la possibilità di incrociarlo.
Percorse la piccola hall dell’albergo, con il sacchetto della spesa in mano, più velocemente che poteva, facendo solo un rapido cenno di saluto al portiere, ma per poco non venne travolta sulle scale da due uomini.
“Mi scusi signora” fece gentile uno dei due, aiutandola a tenersi in piedi e Elizabeth si chiese cosa ci facevano due così eleganti in un posto così squallido.
“Forse ci saranno delle prostitute” si disse rientrando in stanza.
Una strana sensazione la prese. Girò intorno lo sguardo e non notò nulla di strano, ma sentiva che c’era qualcosa che non andava.
Mentre stava per spogliarsi e fare una doccia udì strani rumori nel corridoio, voci soffocate e passi veloci.
Non ebbe neppure il tempo di razionalizzare che la porta della stanza di aprì con un botto.
“Mani in vista e si inginocchi …” le fece brutale un poliziotto completamente vestito di nero, mentre le puntava una pistola addosso.
Subito dopo entrò una marea di gente nella stanza.
Terrorizzata e stupefatta Elizabeth alzò le mani e le tenne bene in vista.
“Elizabeth De Martino lei è in arresto per l’omicidio di Konrad Jager” disse una poliziotta mentre con fare deciso la ammanettava  con le mani dietro la schiena.

 
“Ma che dite? Vi state sbagliando … non sono stata io … non sono stata io!!!” urlò con quanto fiato aveva in corpo Elizabeth, ma i poliziotti non la stavano neppure a sentire.
Con modi sempre più duri la spinsero fuori dalla stanza e la trascinarono lungo il corridoio verso le scale.
“Vi prego, vi prego non sono stata io … vi prego dovete credermi … fatemi parlare con mio figlio oppure con l’ispettore Gerkan …” piagnucolò sempre più disperata.
“Sì certo, sappiamo chi è lei signora, ma non creda che solo  perché è la madre di un collega  avrà un trattamento speciale. Anzi è stato proprio suo figlio  a chiederci di trattare questo caso come tutti gli altri” le rispose sgarbato uno degli agenti.
“Ma io … io sono innocente, dovete credermi …” balbettò la donna in lacrime.
“Signora lei ha il diritto di parlare solo con il suo avvocato” concluse la poliziotta mentre la trascinava all’esterno.
 
 
Ben e Semir stavano aspettando in strada di fronte all’ingresso della squallida pensioncina.
Quella era la condizione che avevano dovuto accettare per assistere alle operazioni.
In realtà era stato soprattutto Semir ad insistere con i colleghi di Düsseldorf incaricati dell’indagine e quindi dell’arresto, Ben era rimasto completamente indifferente ed in silenzio mentre Semir trattava con i colleghi, anche se poi era salito con Semir sull’auto diretta alla periferia di Colonia
Ora stavano aspettando poggiati sul cofano della BMW.
Semir era sollevato dal non aver sentito spari o grida, evidentemente tutto si era svolto con tranquillità.
Ed infatti poco dopo Elizabeth uscì ammanettata e affiancata da due poliziotti, che subito la spinsero verso il piccolo furgone blu parcheggiato poco distante.
Ma la donna aveva notato la presenza dei due dall’altro lato della strada.
“Ben… Ben… per favore aiutami … non sono stata io, non sono stata io, tu devi credermi” urlò in lacrime.
Ma il ragazzo rimase immobile a guardare la scena dall’altro lato della strada.
“Ben… Ben…” urlò ancora Elizabeth mentre veniva spinta all’interno del furgone.
Spinto da un moto di compassione Semir attraversò la strada e si avvicinò.
“Elizabeth… si calmi, vedrà che se non è stata lei la verità verrà fuori, chiariremo tutto” le disse comprensivo
“Semir… Semir la prego, lei deve dire a Ben che non sono stata io … c’è una ragione per cui ho dovuto lasciarli, io non volevo sono stata costretta”
La conversazione venne bruscamente interrotta dai poliziotti.
“Mi dispiace Gerkan dobbiamo andare” fecero bruschi richiudendo il portellone del furgone

 
Semir tornò  verso Ben mentre il furgone si allontanava velocemente.
Il comportamento dell’amico lo lasciava sconcertato. Aveva assistito completamente indifferente all’arresto di sua madre.
“Ben… forse dovremmo andare a vedere cosa succede al carcere. Potremo procurarle un avvocato”
“Ci sono gli avvocati d’ufficio” rispose freddo il ragazzo.
“Ben… quella è pur sempre tua madre!”
“Mia madre?? Mia madre?? Quella  è al limite la donna che mi ha generato. Non è mia madre, non più almeno. E’ solo una assassina” la voce di Ben divenne all’improvviso irosa
“Ben per favore, non saltare alle conclusioni, non è ancora dimostrato”
Quasi a volerlo smentire Semir vide un collega che si avvicinava loro con un sacchetto in mano.
“Era nascosta nel cassonetto delle tende della stanza della sospettata” disse mostrando loro la pistola incellofanata.

 
“Ti prego Ben andiamo almeno a parlare con Elizabeth … vediamo cosa ha da dirci” Semir era diventato quasi ossessivo sul punto.
“Senti Semir, di quale altro riscontro hai bisogno ancora?  Quella pistola è una calibro 9, la stessa che ha ucciso mio padre. Sono matematicamente certo che la scientifica ci dirà che il proiettile è partito proprio da quell’arma”
“Sì, ma…” provò ancora  il piccolo ispettore turco.
“Niente ‘ma’, io ho chiuso con questa storia, ormai sono orfano. Se tu vuoi andare al penitenziario fai pure, lasciami al Distretto, ho dei rapporti da finire” fece Ben salendo in macchina.
“Maledetto testardo” pensò Semir salendo anche lui in auto.

 
Elizabeth venne spinta, con non molta grazia, nella sala interrogatori del penitenziario femminile.
Si era dovuta cambiare ed ora indossava la tutta arancione delle detenute.
Ancora non riusciva a credere di essere piombata in quell’incubo; in pochi giorni dalla gioia di aver rivisto dopo venticinque anni un figlio alla prigione con l’accusa di averne ucciso il padre.
Odiava Konrad, ma non sarebbe mai riuscita a fargli del male; dopo tutto aveva vissuto con lui per più di dieci anni, era il padre dei suoi primi due figli, come potevano pensare che l’aveva ucciso?
Non faceva altro che chiedersi e richiedersi chi poteva essere stato; quando era scappata  via dalla villa non aveva visto nessuno e sicuramente la cosa doveva essere avvenuta nei muniti immediatamente successivi.
“Signora De Martino è arrivato il suo avvocato” disse atono un agente entrando nella stanza.
“Avvocato? Quale avvocato io non ho chiamato nessun avvocato…” rispose Elizabeth sorpresa.
Subito dopo fece il suo ingresso nella stanza un uomo di mezza età elegantissimo e dall’aria del tutto bonaria.
“Salve signora De Martino, mi chiamo Hans Weber. Sono l’avvocato assunto da Luis Sifer per la sua difesa” le disse  con un sorriso smagliante.  
Luis Sifer… al solo sentire pronunciare quel nome ad Elizabeth gelò il sangue nelle vene.
“Non voglio niente da quell’uomo, se ne vada subito, esca di qui…” fece irosa.
“Mi creda signora De Martino le conviene starmi a sentire” rispose l’uomo sempre con il sorriso sulle labbra.

 
“Luis… cosa ci fai qui?” chiese Ben vedendo il proprio padrino seduto alla scrivania del suo ufficio che lo aspettava.
“Ti devo parlare un minuto Ben. Da solo se possibile” rispose l’uomo guardando Semir che aveva seguito il socio in ufficio.
“Certo, io vado dalla Kruger” disse Semir guardandolo fisso negli occhi. Ormai ne era certo, quell’uomo era dentro a quella storia fino al collo.
Luis aspettò che Semir fosse uscito e poi si rivolse a Ben.
“Ben volevo dirti… prima che tu lo venga a sapere da qualcun altro… ho assunto un avvocato per la difesa di tua madre”
Ben lo guardò con aria sorpresa.
“A dire il vero Luis non pensavo che tu avessi a cuore la sorte di quella donna. Dopo tutto ha ucciso il tuo migliore amico” gli disse alla fine.
“Ben… non devi parlare così. In fondo quella è pur sempre tua madre. Ed è stata una mia amica. Anche se colpevole ha diritto alla migliore difesa possibile” Luis lo guardò con aria di simpatia,
“Bene, ma comprenderai anche  perché voglio restare fuori da questa storia. Quella donna non è mia madre, non più ormai”
“Ti capisco … certo. Ma qualcuno dovrà occuparsi di lei”
“Libero di farlo. Solo non chiedermi di fare altrettanto” Ben chiuse il discorso
Luis accennò ad alzarsi per uscire.
“Ah Ben… un’altra cosa. Come ci regoliamo per gli affari di tuo padre? Prima della lettura del testamento intendo … e poi tuo padre ti ha lasciato qualcosa? Qualcosa di scritto, che so… da leggere dopo la sua morte?”
Ben notò  una certa incrinatura nella voce di Luis.
“No Luis, che io sappia no. E poi ne abbiamo già discusso, per ora occupatene tu. Anzi, personalmente  penso che sia meglio che tutto continui come prima. Dopo tutto io non ho intenzione di occuparmi della azienda. Sarebbe meglio che ne parlassi con Julia e Peter, loro mi sembrano più interessati alla cosa”
“Bene ragazzo. Comunque per qualsiasi cosa, sai dove trovarmi, giusto?” Luis sfoderò il migliore di suoi sorrisi
“Certo, a presto” lo salutò Ben.
 Ma per la prima volta mentre il suo padrino usciva dall’ufficio Ben provò una forte sensazione di inquietudine.

 
“Cosa vuole da me? Io non voglio avere niente a che fare con quel bastardo. Mi ha già rovinato abbastanza la vita” disse Elizabeth alzandosi dal tavolo per chiamare la guardia di sorveglianza.
“Le ripeto signora De Martino le conviene restare calma e starmi a sentire. Per il bene dei suoi tre figli” rispose Weber facendo scivolare sul tavolo un busta.
Elizabeth lo guardò ed una sensazione di terrore la invase.
Tremando si risedette al tavolo ed aprì la busta.
Con orrore guardò le foto che conteneva.
Erano foto di Ben, Julia e Sofia. Ritratti in vari momenti della vita quotidiana. Elizabeth riconobbe in una foto l’esterno della casa della zia a Frosinone. Sapevano anche dove si trovava Sofia.
“Che bei figli che ha signora De Martino. Davvero belli. Certo il primo pensiero di una madre è il benessere dei propri figli. Che stiano bene e non gli accada nulla” disse mellifluo l’avvocato.
Elizabeth sentì un senso crescente di nausea e paura salirle dallo stomaco.
“Maledetto bastardo…” imprecò sottovoce.
“Certo… il primo pensiero di una madre è la salute dei propri figli.  Il nostro è un mondo  così  frenetico, potrebbe succedere qualsiasi cosa… un incidente, una fatalità. Soprattutto a Ben… fa un lavoro così pericoloso. Suo padre era costantemente preoccupato per lui” la voce dell’avvocato era straordinariamente calma mentre riprendeva le foto e le richiudeva nella busta.
“Maledetti, lasciate stare i miei figli… se loro succede qualcosa …”
“Ma non si preoccupi signora De Martino. Non succederà nulla. Se lei fa quello che deve fare. Dopotutto ha già dimostrato di sapersi sacrificare per i suoi figli” sorrise l’avvocato
“Che vuole dire?” chiese Elizabeth pur sapendo quale sarebbe stata la risposta.
“Nulla, solo che lei confermi quello che già tutti sappiamo. A proposito, sa che hanno trovato nella sua stanza di albergo la pistola che ha ucciso Konrad Jager?”
Elizabeth sbarrò gli occhi: l’avevano incastrata.
La guardia di sorveglianza bussò alla porta.
“E’ arrivato il magistrato per l’interrogatorio” disse facendo strada ad una donna alta ed elegante, seguita da altri due uomini
I tre si sedettero di fronte ad Elizabeth accanto a Weber.
“Signora De Martino sono Hanna Schepp, il pubblico ministero che si occupa dell’omicidio di Konrad Jager. Lei conosce le accuse a suo carico. Ha qualcosa da dire in merito?”
Elizabeth guardò Weber dall’altro lato del capo e l’uomo con sguardo gelido la ricambiò con un sorriso beffardo, carezzando ostentatamente la busta con le foto che aveva in mano.
Dopo essere rimasta per alcuni secondi in silenzio, con le lacrime che le scendevano sulle guance Elizabeth sussurrò
“Sono stata io. L’ho ucciso io”

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Capitolo 12
*** Senza via di scampo ***


Segreti di famiglia di Maty66 e ChiaraBJ
Capitolo 12
SENZA VIA DI SCAMPO

“Davvero Semir, non c’è bisogno che venga anche tu in tribunale. In fondo questa è solo una udienza per la convalida dell’arresto …” obiettò Ben mentre prendeva la giacca.
“Scherzi … io non ti lascio solo in questo momento” rispose l’amico preoccupato, ma la risposta di Ben fu quasi acida.
“Non ho bisogno d’aiuto. In fondo quella donna ha confessato, è solo una formalità”
I giorni precedenti erano stati molto nervosi per i due soci.
Nonostante la confessione che Elizabeth aveva rilasciato al magistrato ed il fatto che sulla pistola avevano trovato le impronte della donna, Semir sentiva che c’era qualcosa che non quadrava in quella storia e soprattutto sentiva che Luis Sifer c’era dentro fino al collo.
Ma Ben sembrava completamente indifferente sia alle preoccupazioni di Semir che soprattutto alla sorte di sua madre, rifiutandosi ostinatamente anche di parlare della faccenda.
Il che aveva creato non poco nervosismo fra i due amici.
Soprattutto quando Semir aveva incaricato Hartmut di  fare qualche rilievo sulla pistola.
“Va bene se vuoi venire, vieni pure. Basta che non ricominci con la storia che devo parlarle o che c’è puzza di bruciato” disse alla fine il giovane poliziotto avviandosi verso l’auto.
Semir sospirò preoccupato mentre lo seguiva all’esterno.
 

Elizabeth scese dal furgone guardandosi intorno nello spazioso garage del Tribunale penale di Düsseldorf .
“Venga signora De Martino, il suo avvocato la sta aspettando nella sala interrogatori” disse con voce atona la guardia carceraria mentre la dirigeva per un braccio.
Elizabeth aveva pianto quasi ininterrottamente per tutti i cinque giorni da che aveva parlato con Weber.
Sentiva di non avere via di scampo, stretta tra il terrore che quei bastardi facessero del male ad uno dei suoi figli e l’ostentata ostilità di Ben e Julia.
Nessuno dei due si era presentato in carcere e lei non aveva avuto il coraggio di avvisare Sofia in Italia.
Era sola, completamente sola.
 
Entrò quasi tremando nella sala dove Weber la stava già aspettando.
L’avvocato la accolse con il solito sorriso freddo.
“Buongiorno Elizabeth. Come sta oggi?” chiese ironico.
La donna non rispose limitandosi a guardarlo con occhi di fuoco.
“Devo supporre che stia bene. Dunque pronta?” chiese sempre con lo stesso tono Weber.
“Pronta a cosa? Ad accusarmi di un delitto che non ho commesso?” trovò il coraggio di obiettare la donna.
“Elizabeth … mi pare che abbiamo già discusso di questo. Lei è senza dubbio una brava madre e con questo suo sacrificio si assicura una vita lunga e felice per i suoi figli, almeno per quanto dipende da noi”
Ancora una volta Elizabeth rimase in silenzio.
“Dunque … siamo d’accordo. Il tutto quella sera è successo perché lei era venuta a chiedere altro denaro a Konrad e lui non aveva più intenzione di darglielo. Tanto i ragazzi avevano scoperto tutto. L’ha fatto per proteggere Sofia, perché Konrad aveva minacciato di rivelare tutto alla sua ultima figlia, che era ed è all’oscuro di tutto. Il giudice è una donna, capirà senza dubbio cosa è disposta a fare un madre...” sibilò Weber beffardo prima di uscire dalla stanza.

 
L’aula del tribunale era affollatissima e piena zeppa di giornalisti.
 Del resto il caso dell’assassina “rediviva” teneva banco sulle tv locali da molti giorni e tutti aspettavano di vedere la “mantide” dal vivo.
“Mi spiace, ma l’udienza inizierà fra non meno di un’ora. Il giudice è ancora impegnato in un’altra udienza” annunciò il cancelliere, provocando il borbottio di disapprovazione del pubblico.
“Accidenti, questa non ci voleva. Julia è già così nervosa”  si lamentò Ben mentre guardava la sorella che era seduta su una delle prime panche accanto al marito.
“Io vado con Julia e Peter alla caffetteria qui di fronte. Vuoi venire?” fece poi  il giovane alzandosi.
“No grazie, aspetto qui” rifiutò Semir. In realtà aveva intenzione di indagare un po’ senza Ben fra i piedi su Luis Sifer, che era seduto su una panca laterale.
Ma appena Ben, Julia e Peter  uscirono dall’aula Sifer fece altrettanto seguendoli nella caffetteria.
Fu allora che a Semir saltò un’idea in testa.
Provò più volte reprimere la tentazione, ma alla fine il suo spirito critico e le sue sensazioni, quelle che non avevano mai sbagliato, prevalsero.
Con fare deciso scese le scale verso le celle di sicurezza.
“Ispettore Gerkan” disse mostrando il tesserino alla guardia all’ingresso.
“Ispettore non posso farla entrare. Sono ammessi solo i familiari e l’avvocato” fece il giovane poliziotto.
Si vedeva che era alle prime armi e particolarmente nervoso dall’avere a che fare con un caso famoso.
“Ma io sono un amico di famiglia. Vengo per conto del figlio della signora. Puoi chiedere se vuoi. E poi siamo tutti colleghi. Ti prego dai, fammi parlare con lei solo un minuto”
Semir sfoderò la sua aria più rassicurante  che ebbe effetto sul ragazzo.
Con un gesto nervoso gli aprì la porta  del reparto celle dove i detenuti attendevano di salire in udienza.
Inizialmente Semir neppure la vide, dovette guardare più volte prima di riconoscere la figura della donna, rannicchiata sulla panca dell’ultima cella in fondo al corridoio.
“Elizabeth …”  chiamò.
“Semir…” la sorpresa si dipinse sul volto della donna che immediatamente si alzò dalla panca e si avvicinò alle sbarre guardandosi intorno. Era evidente che sperava  che ci fosse anche Ben… ma lui non c’era.
“Come sta?” chiese gentile Semir intuendo il tormento della donna.
“Bene… bene…” sussurrò lei, tornando a sedersi sulla panca.
“Elizabeth, mi vuole dire cosa è successo quella sera?”
La donna lo guardò a lungo con le lacrime agli occhi, poi abbassò lo sguardo.
“Quello che è successo l’ho già raccontato al pm…” disse piano.
Semir la guardò a sua volta.
“Sa una cosa Elizabeth? Io capisco subito quando Ben non mi sta dicendo la verità. Non riesce mai a guardare negli occhi la persona a cui sta mentendo … è molto “tenero” in questo. Ora capisco da chi ha preso questa sua caratteristica”
“Che vuole dire?” chiese Elizabeth.
“Che lei mi sta mentendo…”
“Ma no, l’ho già detto. E’ vero, sono stata io ad uccidere Konrad” rispose Elizabeth con la voce rotta dall’emozione.
Semir la guardò fisso.
“Mi sta mentendo. Perché? Cosa può indurla ad accusarsi di un delitto così grave? E cosa voleva dire quando l’altro giorno, salendo sul furgone, mi ha detto che è stata costretta ad abbandonare Ben e Julia?”
“Io.. io … non volevo dire nulla. Sono stata io, Semir, questa è la verità” balbettò Elizabeth.
“Di cosa ha paura Elizabeth? Lei è terrorizzata … da cosa?” Semir era sempre stato molto bravo a leggere nell’animo delle persone.
“ Ma no, Semir, non  ho paura …” provò a giustificarsi la donna.
“Invece sì … l’hanno minacciata? No … aspetti, hanno minacciato i ragazzi, giusto? Sta mentendo per proteggere i suoi figli?” la incalzò ancora Semir.
Poi il poliziotto azzardò la sua mossa “E’ stato Luis Sifer? Lui la sta minacciando?”
Elizabeth sbiancò all’istante e scoppiò a piangere.
“Ora lei mi dice quello che è successo,  solo così posso aiutarla …”
 

Düsseldorf, febbraio 1989
“Ecco fatto” esclamò Elizabeth mettendo l’ultima ciliegina sulla torta di compleanno del suo primogenito.
“Elizabeth, è venuta davvero bene” esclamò Helga la governante entrando in cucina.
“Dici? E’ la sua torta preferita. Forse avrei dovuta farla più grande, a due piani. Dopotutto otto anni si compiono una volta sola” fece la donna rimirando la torta da lontano.
“E’ bellissima e a Ben piacerà moltissimo. Soprattutto perché l’ha fatta la sua mamma” concluse Helga sistemando le tazze  per il caffè sullo sfarzoso vassoio in argento.
Elizabeth  Jager sorrise.  Fra lei ed il suo primo figlio c’era un rapporto speciale, quasi di simbiosi, si capivano solo guardandosi negli occhi, senza bisogno di parole. Non che non amasse anche Julia, la secondogenita. Ma forse per quello che chiamavano il “complesso di Edipo” la bambina era legatissima al padre, nonostante Konrad non si fosse mai mostrato espansivo o dolce con i bambini. Eppure Julia pendeva dalle labbra del padre, riservando alla madre solo fugaci tenerezze.
Ben… invece il bambino era quanto di più dolce ed affettuoso potesse desiderare una madre. Era capace di leggerle l’animo, ad esempio avvicinandosi ed abbracciandola dopo i frequentissimi litigi con il marito, pur non avendovi mai assistito.
“Mio marito?” chiese Elizabeth, togliendo il grembiule e sistemandosi il vestito.
“Nello studio con il signor Sifer ed il signor Bauer” rispose Helga  mentre versava il caffè nelle tazze.
“E’ molto tardi”  Elizabeth guardò l’orologio sulla parete. Quasi mezzanotte. Era abituata alle riunioni di lavoro del marito, così come era abituata alla sua indifferenza ormai. Potevano passare giorni senza che i due coniugi si incontrassero nella grande villa, dormendo da tempo in stanze separate. Ma quello  cui non poteva abituarsi era l’indifferenza del marito verso i bambini.
“Lascia Helga, vado io” disse prendendo il vassoio.
Forse se si faceva vedere i due soci in affari di Konrad avrebbero capito che era ora di tornare a casa propria e lei poteva avere occasione di parlare con il marito per pregarlo di presentarsi almeno per cinque minuti alla festa di compleanno del figlio.
Prese il pesante vassoio e si avviò verso il lungo corridoio che conduceva dalla cucina allo studio di Konrad.
La casa era silenziosa; il personale di servizio si era da tempo ritirato nei propri alloggi nella dependance ed i bambini dormivano al piano superiore.
Avvicinandosi Elizabeth sentì voci concitate provenire dallo studio.
“Ma come avete potuto farlo? Ci sono dei limiti a tutto … vi rendete conto di quanto sia pericolosa quella roba??” la voce di Max Bauer era nervosa.
Max Bauer e Luis Sifer erano i soci in affari di Konrad e a Elizabeth non erano mai piaciuti  molto.
 Soprattutto Luis Sifer. Quell’uomo, con la lunga cicatrice che gli deturpava il viso, aveva in sé  qualcosa di demoniaco.
“Non fare il moralista  Max, quando si tratta di ricevere i profitti sei sempre pronto” fece la voce di Sifer durissima
“Ci sono dei limiti a tutto … queste schifezze inquinano le falde acquifere. Provocano il cancro!!” rispose Max
Elizabeth si era fermata poco prima della porta socchiusa e, silenziosa, assisteva alla discussione incapace anche di respirare.
“E tu Konrad? Tu sei d’accordo con questo scempio?” chiese ancora Max.
Elizabeth trattenne il fiato … l’aveva sospettato, ma ora poteva avere la certezza che il marito fosse implicato in affari illeciti.
“Max … io capisco che tu sia sensibile all’argomento per via di Martin, ma ormai ci siamo impegnati, siamo in crisi di liquidità, rischiamo di fallire se non accettiamo”
Elizabeth trattenne ancora di più il fiato; Martin era il figlio di Max, morto due anni prima a soli sette anni per una leucemia fulminante.
“Lascia stare Martin; te lo ripeto ci sono dei limiti a tutto, non lascerò che altri bambini muoiano di cancro. Non possiamo chiudere gli occhi davanti a questo crimine” Max alzò la voce rabbioso.
“E cosa vuoi fare? Denunciarci tutti? Così finisci in galera anche tu …” fece Luis Sifer con voce calmissima.
“Se necessario lo farò. Non ho paura di finire in galera. Lo devo a mio figlio” fece Max.
Elizabeth lo vide dalla porta socchiusa andare verso la scrivania per prendere una cartellina.
“Pensaci bene Max, potresti pentirtene”  Luis Sifer quasi scandì le parole e a Elizabeth gelò letteralmente il sangue nelle vene.
“Non mi fai paura Luis. Dopo la morte di mio figlio nulla mi fa più paura” rispose Max
E fu in quel momento che Elizabeth udì un suono sordo e subito dopo vide Max cadere in terra tenendosi il ventre.
Gli aveva sparato! Luis Sifer aveva sparato a sangue freddo ad uno dei suoi migliori amici.
L’urlo soffocato di Konrad non riuscì a coprire il fragore del vassoio con le tazze del caffè che Elizabeth lasciò cadere in terra, terrorizzata.
 
Elizabeth era seduta sul letto della sua stanza in attesa degli eventi.
Per molti minuti aveva creduto che la sua vita sarebbe finita lì quella sera, che Luis Sifer, uscito come una furia dallo studio, l’avrebbe ammazzata all’istante. 
E probabilmente l’avrebbe fatto se Konrad non si fosse messo di mezzo dicendo che ci avrebbe pensato lui e che era urgente sbarazzarsi del corpo di Max.
Povero Max … Elizabeth non riusciva a trattenere le lacrime al pensiero dell’uomo; l’aveva visto soffrire così tanto per la morte del suo bambino ed in fondo era morto per difenderne la memoria.
Le lacrime continuavano a scenderle copiose.
Aveva sposato un delinquente.
Anche se il pensiero si era affacciato più volte in quegli anni nella sua mente, averne la certezza la devastava. Suo marito, il padre dei suoi figli era il complice di un assassino e non voleva neppure pensare a cosa aveva voluto dire quando aveva assicurato a Sifer che si sarebbe occupato di tutto.
Con il cuore che le batteva furioso in gola vide Konrad aprire la porta della stanza.
“Elizabeth … ora bisogna prendere una decisione …” disse l’uomo guardandola negli occhi.
“Cosa vuoi fare? Uccidermi come ha fatto Luis con Max?” chiese Elizabeth asciugandosi le lacrime
“Smettila Elizabeth, nonostante tutto sei la madre dei miei figli …”
“E Max era uno dei tuoi  migliori amici. Come hai potuto assistere impassibile al suo omicidio?” replicò lei disperata
“Elizabeth … Beth… ormai siamo dentro questa storia, rischiavo il fallimento. Tutto il mio lavoro rischiava di andare a rotoli …”
“E questo dovrebbe giustificarti? Tu e quel lurido assassino che chiami amico?”
“Ascoltami Beth… … Luis non è uomo contro cui è possibile mettersi. E’ molto potente, ed è spietato, come hai visto. Ne va della vita dei nostri figli…”
“I bambini … cosa c’entrano i bambini?? Tu non puoi permettergli di avvicinarsi ai nostri figli, non puoi …” Elizabeth ora era disperata.
“No certo non permetterò che  faccia loro del male. Ma per questo sono necessari sacrifici”
“Cosa intendi? Mi devi forse uccidere? Questo gli hai promesso?
“Gli ho promesso proprio questo …” 
“Cosa??” la donna era sconvolta e terrorizzata
“E’ quello che gli ho promesso, altrimenti poteva ucciderti lì all’istante. Ma ….. ma … anche se non ho certo intenzione di farti del male, tu Elizabeth devi sparire, altrimenti se  la prenderà con Julia o Ben e non c’è posto io dove possa nasconderli”
 
Elizabeth guardò per l’ultima volta la terra tedesca dal finestrino dell’aereo che la stava portando in Italia.
Stava lasciando lì  tutto, tutta la sua vita, la sua casa e i suoi bambini. Non li avrebbe rivisti più
Konrad le aveva permesso di dare loro solo un fugace bacio senza svegliarli.
Non li avrebbe più rivisti.
Girò e rigirò fra le mani l’unica cosa che aveva preso da casa, nascondendola al marito: il medaglione con le foto dei suoi figli
Il dolore si impossessò della donna come un ondata gigantesca e per vari momenti pensò che sarebbe morta lì all’istante.
Ma non successe.
E così piano piano Elizabeth imparò a vivere senza una parte della sua anima.

 
“Lei sa cosa intendeva Max Bauer quando parlava di inquinamento delle falde acquifere?” chiese Semir dopo aver attentamente ascoltato il racconto della donna.
“No, non  ho sentito altro. So solo che poco dopo essere arrivata in Italia lessi su di un giornale tedesco, oltre che della mia morte, anche della morte di Max. La fecero passare per una rapina finita male”
Semir sospirò.
Come poteva dire a Ben che suo padre era stato complice di un omicidio e che probabilmente la sua fortuna era basata su traffici illeciti? In fondo non aveva nulla di concreto in mano, solo la parola di Elizabeth di cui Ben non si fidava affatto.
“Elizabeth lei deve parlare di questa storia con Ben”
“Assolutamente no … anzi anche lei deve tacere. Lo uccideranno, uccideranno lui o Julia o Sofia la mia ultima figlia. La prego … io non posso dire la verità, li uccideranno, uccideranno Ben facendo finta che si sia avvenuto in azione, magari. Sono capaci di tutto, mi hanno trovato anche in Italia …”
Ormai Elizabeth era un fiume in piena di parole e di emozioni. Piangeva a  dirotto.
“Ma io non posso aiutarla se non …” iniziò Semir
“Non mi importa. Se occorre passerò tutta la vita in galera per salvare i  miei figli … negherò tutto in aula se lei rivela qualcosa” lo interruppe Elizabeth
Proprio in quel momento entrò la guardia carceraria.
“Coraggio siamo pronti, l’udienza sta per iniziare” disse mentre apriva la cella.

 
Dunque ora è chiara la ragione per cui Elizabeth ha abbandonato i figli. 
Ma Ben sarà disposto a crederle? E lei troverà il coraggio di "non sacrificarsi" per i figli?
Aspettiamo ansiose le vostre recensioni.


 

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Capitolo 13
*** Apri gli occhi Ben! ***


Segreti di famiglia di Maty66 e ChiaraBJ
 
Capitolo 13
APRI GLI OCCHI BEN!
 
Semir seguì Elizabeth e la guardia carceraria mentre salivano le scale verso le aule di udienza.
“La prego Elizabeth, la prego non confessi poi diventerà difficilissimo provare a sua innocenza” le bisbigliò.
Ma l’attenzione della donna era tutta rivolta all’avvocato che l’attendeva in cima alle scale.
L’avvocato assunto da Luis Sifer, ecco come l’avevano minacciata, intuì subito Semir.
“Non posso Semir, io devo confessare altrimenti uccideranno i miei figli ed è meglio passare una vita in prigione che assistere alla loro morte” bisbigliò la donna cercando di non farsi notare dall’avvocato.
“E lei crede che con quello che sa la lasceranno viva? Aspetteranno che il processo sia finito e poi la uccideranno …” Semir era sempre più ansioso.
“Se anche fosse così  preferisco comunque morire … in fondo doveva succedere molti anni fa“
La voce di Elizabeth era decisa.
 

L’aula era stracolma e Ben prese posto accanto a Julia e a Peter in una delle prime panche.
Non vedeva Semir da nessuna parte e la cosa iniziava a infastidirlo. Ci avrebbe scommesso la testa che era andato a parlare con quella donna. L’atteggiamento del socio iniziava seriamente a farlo imbufalire e per la prima volta nel corso dei cinque anni  di lavoro non lo capiva più.
Possibile che non si rendesse conto della colpevolezza di quella donna? Perché si ostinava a  cercare di indurlo a contattarla? In fondo anche se era la sua madre biologica era comunque una assassina, l’assassina del padre dei suoi figli.
“Ben…” all’improvviso il giovane si sentì chiamare da una voce femminile.
“Sofia!” Ben rimase stupefatto nel vedere la ragazza ferma nella folla dietro di lui.
“Sofia … cosa ci fai qui?” chiese stupito mentre si faceva largo fra la folla per raggiungerla.
“Anche in Italia c’è la televisione satellitare” rispose la ragazza con le lacrime agli occhi.
“Ti prego, dimmi che non è vero, la mamma non può … non può aver…” balbettò quando furono uno di fronte all’altra.
Ben provò un moto di compassione per la ragazza.
Nonostante tutto quella che aveva di fronte era sua sorella, la sua sorella più piccola e non si meritava di vivere quest’incubo.
“Temo  che sia vero Sofia. Tua madre è anche la mia, o meglio è mia madre biologica. E tutto fa pensare che abbia ucciso mio padre”
 
All’improvviso i giornalisti ed il pubblico presente in aula si animarono e corsero tutti nel corridoio per assistere alla grande entrata della imputata.
Ma il corridoio era stretto e la calca enorme.
Le poche guardie di sorveglianza si trovarono completamente spiazzate di fronte alla marea umana che si precipitava nel corridoio.
La gente iniziò ad urlare  e  a spintonare per vedere meglio sino a che un signore anziano non cadde rovinosamente a terra, trascinando in una sorta di valanga gli altri che correvano nel corridoio.
La confusione divenne ingestibile, proprio mentre Elizabeth l’avvocato e la guardia, seguiti da Semir, imboccavano l‘ingresso del corridoio.
Nella calca infernale, mentre i poliziotti urlavano e cercavano  rinforzi, Semir si trovò bloccato con Elizabeth e separato dagli altri.
Erano proprio vicino ad una porta di sicurezza.
Semir  non era mai stato una persona impulsiva, anzi aveva sempre rimproverato proprio l’impulsività al suo giovane collega.
Ma stavolta fu più forte di lui.
Afferrò Elizabeth per un braccio e la spinse  oltre le porte di sicurezza.
“Corra!!” le disse scappando nel cortile esterno.

 
“State calmi, per favore state calmi” urlavano le guardie.
Ben spinse Sofia e Julia in un anfratto sicuro.
“Restate qui” disse loro mentre correva fuori per vedere cosa stava succedendo.
“E’ scappata!! La detenuta è fuggita!!” sentì urlare ad un certo punto.
Completamente interdetto cercò con gli occhi nella folla Semir, ma ancora una volta non lo vide.
Istintivamente guardò fuori solo per vedere la bassa sagoma di Semir correre attraverso il cortile, trascinandosi dietro una donna in tuta arancione da detenuta.
“Maledizione” imprecò Ben cercando di guadagnare l’uscita.
“No… che sta facendo, mi lasci!” Elizabeth provò a opporre resistenza, ma il piccolo ispettore, nonostante la statura bassa era davvero forte e con mano sicura la spinse verso la BMV parcheggiata nel cortile interno.
“No!! Fermo, non voglio, li uccideranno mi capisce?? Uccideranno i miei bambini,  non avranno scrupoli a farlo!!”  urlò la donna disperata.
“Elizabeth dobbiamo avere il tempo di procurarci le prove, salga in macchina e stia zitta” le intimò Semir
La donna non ebbe il coraggio di dire altro. Si rannicchiò sul sedile passeggero tremante mentre Semir partiva a razzo.
 
“Segui quella BMW” urlò Ben mentre vedeva l’auto di Semir allontanarsi a grande velocità  lungo il viale di accesso al tribunale.
“Cosa?” chiese stupito il giovane agente che era  a bordo della sua auto, una delle tante chiamate in aiuto dalle guardie del Tribunale.
“Sono l’ispettore Jager della CID. Ti ho detto di seguire quella BMW. C’è la detenuta in fuga su quella macchina” urlò salendo dal lato passeggero.
Il giovane agente sbarrò gli occhi ed obbedì mettendo subito in moto e sgommando dietro alla BMW.
Ben sintonizzò la radio sulla frequenza della BMW di Semir.
“Cobra 11 rispondi” disse con tono iroso nel microfono senza ottenere risposta.
“Semir caz … rispondi sono io … che cavolo stai facendo??” urlò di nuovo nel microfono.
 
  Elizabeth nella BMW riconobbe subito la voce di Ben e guardò Semir sconsolata,
“Gli spiegherò tutto dopo, non si preoccupi, vedrà che alla fine anche lui capirà” fece Semir  senza distogliere gli occhi dalla strada.
 Guidava ad una velocità pazzesca scansando i pedoni e le auto che gli si paravano davanti.
“Sì, ma …” provò ad opporsi Elizabeth senza però riuscire a finire la frase.    
 Semir guardò nello specchietto retrovisore e scorse l’auto della polizia che lo seguiva.
“Porca …” imprecò accelerando ancora di più, ma c’era traffico in quella zona, doveva cercare di uscire il prima possibile e dirigersi verso la periferia e la strada di  campagna che portava verso l’Eifel. Lì sarebbe stato più facile seminarla.
 
“Accelera maledizione. Non vedi che ci sta seminando?”  Ben era sempre più spazientito, l’agente alla guida era un pivellino e Semir uno dei più esperti guidatori della Polizia.
“Sto facendo del mio meglio, ma …” balbettò il ragazzo.
Ben vedeva la BMW guadagnare sempre più terreno, ormai erano arrivati alla periferia e sulle strade isolate era praticamente certo che Semir li avrebbe seminati in men che non si dica.
“Lo stiamo perdendo, pigia quel maledetto piede sull’acceleratore” urlò.
“Perché piuttosto non spara alle gomme?” protestò il ragazzo in evidente imbarazzo.
Preso dalla furia Ben tirò fuori la pistola e si sporse dal finestrino dell’auto. Era un ottimo tiratore, sarebbe stato facile colpire le gomme.
Ben prese con calma la mira, ma poi si bloccò
“E se l’auto si ribalta? C’è Semir là dentro” pensò disperato.
E così rimise la pistola nella fondina.
Come c’era da aspettarsi il ragazzo non riuscì a tenere per molto il ritmo di Semir.
A Ben non restò altro che restare a guardare la BMW che si allontanava sino a scomparire dalla sua vista.
 
   
“Dove stiamo andando?” chiese Elizabeth dopo essere stata in silenzio per più di un’ora.
“Nel cottage di un amico. Lì, lei sarà al sicuro. Ed io posso contattare Ben con calma. Abbiamo bisogni di riscontri. In primo luogo sulla morte di Max Bauer e sui traffici fra suo marito e Luis Sifer ”
Semir  guidava scuro in volto verso il cottage di Hartmut  all’Eifel. C’era stato in vacanza con Andrea alcuni anni prima e sapeva dove il tecnico nascondeva le chiavi.
Dopo un bel po’ di giri finalmente Semir parcheggiò l’autovettura davanti alla piccola casetta in legno e scese con Elizabeth.
Quasi subito trovò la chiave nascosta nella lampada sul patio.
L’interno era buio e polveroso.
“Aspetti qui, vado a prendere delle cose allo spaccio  e torno” disse Semir risalendo in auto.
 

“Allora mi spiega cosa sta succedendo?? Come sarebbe a dire che Gerkan ha fatto scappare la detenuta?” Ben non ricordava di aver mai visto Kim Kruger così adirata. Era tutta rossa in volto, sembrava dovesse scoppiare da un momento all’altro.
“Non lo chieda a me Commissario, proprio non so che dirle …” si giustificò.
“Ma se l’ha fatto deve esserci stata una buona ragione” intervenne Susanne cercando di giustificare il collega.
“Ragione?? Quale ragione?? E’ un poliziotto e ha fatto scappare una indagata per omicidio!!!” urlò di rimando la Kruger.
“Ma forse lui crede che sia innocente. Se ha fatto questo …” continuò Susanne
“Ah basta ora Susanne, per favore, lui stesso ha sentito quella donna minacciare mio padre proprio la sera in cui è stato ucciso. Hanno trovato la pistola  con le sue impronte e ha confessato davanti al pm. Cosa altro vuoi?” sbottò Ben sempre più nervoso mentre guardava dalla vetrata Sofia che parlava con Hartmut.
Doveva decidere cosa fare con lei. Julia poco prima si era rifiutata anche di salutarla, ma in fondo la ragazza non c’entrava nulla in questa storia. Era solo un’altra vittima innocente.
“Io porto Sofia a casa mia. Se ci sono novità chiamatemi” disse uscendo dall’ufficio del Commissario.
“Vieni Sofia andiamo a casa mia” fece mentre prendeva la sorella per un braccio.
“Aspetta Ben ti devo dire una cosa importante” lo richiamò Hartmut, ma Ben era già fuori con la sorella. “Non ora me lo dici dopo” gli rispose.
“Ma era davvero importante …” borbottò fra sé e sé Hartmut mentre prendeva il cellulare dalla tasca per rispondere alla chiamata che gli stava arrivando.
 

Luis Sifer era davvero furibondo.
Doveva aspettarselo da quel turco una  levata di testa. Ma mai si sarebbe aspettato che sparisse con Elizabeth. Ora lei gli stava sicuramente raccontando tutto.
E poi ancora non era riuscito a trovare quello che cercava a casa di Konrad.
Con quella maledetta governante sempre fra i piedi era difficile cercare accuratamente in tutta la casa.
Per la prima volta in tanti anni Luis sentiva che la storia gli stava sfuggendo dalle mani. E lui non era tipo da farsi cogliere di sorpresa.
Prese il cellulare e compose il numero.
“Allora avete messo sotto sorveglianza tutti? Mi raccomando non bisogna farsi sfuggire nulla” disse e come raramente in vita sua ebbe una netta sensazione di ansia.
“Va bene, ma  niente può andare storto mi raccomando” disse chiudendo la chiamata.
Era ora di tornare alla villa e cercare ancora.
 
 
“Semir!!! Ma cosa cavolo hai combinato?? Dove sei?? Torna immediatamente qui!!”
Hartmut non aveva riconosciuto il numero chiamante ed era rimasto molto sorpreso nel sentire la voce del collega.
“Non posso dirti dove sono Hartmut. Mi devi credere Elizabeth De Martino è innocente, l’hanno incastrata. E’ stata gravemente minacciata. Posso rivolgermi solo a te amico …” rispose
“Ben è incazzatissimo …  e alla Kruger stanno per scoppiare le vene del collo. Forse dovresti …”provò ad opporsi Hartmut
“Hartmut ti prego, con Ben chiarisco io. Anzi dovete tenere d’occhio lui e la sorella, hanno minacciato di ucciderli”
“Quale sorella? Ora ce ne sono due”  rispose Hartmut leggermente ironico.
“Sofia? Vuoi dire che è arrivata anche Sofia, la figlia di Elizabeth?”
“Proprio lei, Ben l’ha appena portata a casa sua”
“Cavolo anche lei qui, questa non ci voleva … comunque Hartmut mi devi credere Elizabeth è innocente”
“Oddio … quasi dimenticavo!  Semir ho scoperto qualcosa  sull’arma che ha ucciso Konrad” disse poi concitato.
 
Sofia entrò nel grande loft e si guardò intorno.
“Bello qui” disse ammirata.
“Fai come se fossi a casa tua. Ti puoi sistemare nella stanza  sopra le scale a sinistra” disse Ben portando il borsone della ragazza dentro.
“Ben… io non so proprio cosa dire. Solo che io non sapevo nulla …” la ragazza era evidentemente imbarazzata.
“Questo lo so,  tutto quello che è successo non è certo colpa tua, ma solo di Elizabeth”
“Perché ce l’hai tanto con la mamma? Se tu la conoscessi come la conosco io, sapresti che lei non può aver fatto quello che dicono” la voce di Sofia si fece improvvisamente dura.
“Appunto io non la conosco affatto. E’ tua madre non la mia e capisco che tu voglia difendere, ma io conosco i fatti. E tutti i fatti dicono che è stata lei” rispose altrettanto duro Ben.
“Non è possibile, non ci crederò mai. Tu non sai che persona dolce e affettuosa è”
“Con te forse. Invece ha abbandonato me e Julia per venticinque anni, ci ha lasciati soli facendosi credere morta. E quando sono arrivato in Italia ha avuto tutto il tempo e le occasioni per dire qualcosa, invece …”
“Forse non poteva, forse è stata costretta!!” Sofia difendeva la madre con le unghie e con i denti.
“Senti Sofia, non voglio litigare anche con te, già basta quello che ha combinato il mio collega. Piuttosto ti va qualcosa da mangiare?”  Ben chiuse il discorso
“No no grazie, piuttosto una doccia”
“Vai pure, il bagno è accanto alla stanza. Gli asciugamani li trovi nell’armadio”
Ben sospirò nel guardare la ragazza salire le scale.
Provava sentimenti contrastanti. Da un lato affetto per quella che  ora sapeva essere la sua sorellina minore, così giovane, così simile a Julia.
 E dall’altro un pizzico di invidia. In fondo Elizabeth aveva abbandonato tutto per rifarsi una vita. E lei era la nuova vita di Elizabeth. A lei la donna aveva dato tutto l’affetto negato a lui e a Julia.
Lo squillo del cellulare lo distrasse dai suoi pensieri.
Non riconobbe il numero, ma rispose lo stesso.
“Ben… sono io” fece Semir dall’altro lato della linea
“Dove cavolo sei finito??? Ma sei completamente impazzito?? Riporta quella donna qui immediatamente!!” Ben quasi urlò
“Quella donna, ti piaccia o no, è tua madre. Ed è innocente, ora ne sono sicuro e  fra poco ne avrò le prove” rispose calmo Semir
“Ti sei bevuto il cervello, sei fuori di testa …”
“Senti non ho tempo né voglia di discutere al telefono. Ci vediamo fra un’ora al distributore sulla A 24. Vieni solo.” fece Semir chiudendo la chiamata.
Ben si rimise il cellulare in tasca con un gesto rabbioso.
Era letteralmente furibondo e non riusciva a spiegarsi il comportamento dell’amico. Per un attimo fu pure tentato di chiamare i colleghi e fare arrestare lui ed Elizabeth, ma poi il sentimento di amicizia prevalse.
Lasciò un biglietto a Sofia sul tavolo, chiedendole di non muoversi da casa, ed uscì.
Mentre scendeva le scale incrociò il signor Martins, l’anziano inquilino del piano di sopra.
“Ben… aspetta poco fa è arrivato un corriere e ha lasciato un pacchetto per te. L’ho preso io, ora te lo do”
“Grazie Mark, ma ora sono di fretta appena torno passo io a prenderlo” disse  avviandosi di corsa verso l’uscita.
 
 
Semir si guardava attorno nervoso. Voleva credere che Ben non  si sarebbe portato dietro i rinforzi, ma il comportamento strano dell’amico in quelle settimane  lo rendeva insicuro.
Tirò un sospiro di sollievo quando vide la Mercedes argento entrare nel parcheggio del distributore. Non sembrava seguita da altre autovetture.
Ben scese e andò direttamente verso il socio.
“Spero che tu abbia una buona spiegazione, perché sinceramente mi  sembra che tu ti sia bevuto il cervello appresso a quella donna” disse durissimo.
“Ragazzo … vedi di calmarti” Semir iniziava a perdere la pazienza.
“Non sono io che devo calmarmi. Tu piuttosto. Ti rendi conto di quello che hai fatto? Hai aiutato una assassina a scappare. L’assassina di mio padre. Dove la nascondi? Perché lo stai facendo?” Ben continuava ad urlare.
“Ben ho detto calmati. Quella donna, come la chiami tu, è tua madre e non è un’assassina, non ha ucciso lei tuo padre ed è stata costretta ad abbandonarvi”
Il litigio stava assumendo toni sempre più duri.
“Non mi voglio calmare. Chi ti da’ il diritto di interferire? Se era innocente perché ha confessato? Dimmi dove la nascondi!!”
“No, non te lo dico, devi calmarti e starmi a sentire. Smettila di fare l’isterico” sbottò Semir
“Isterico? Io?? Tu piuttosto non ragioni più … che ti piglia eh? Che ti ha fatto quella donna per  portarti così dalla sua parte? Te la sei portata a letto??”
Lo schiaffo che gli arrivò in faccia colse Ben completamente di sorpresa.
“Non ti permettere mai più di dire o anche solo pensare cose del genere. Non te lo voglio ripetere più. Calmati e stammi  sentire”
Il giovane rimase completamente immobile, ma gli occhi lanciavano fiamme.
“Parla con Hartmut. Fatti dire  di come ha trovato delle tracce di lattice sulle impronte trovate sulla pistola. Le hanno messe apposta e so pure chi è stato: Luis Sifer”
Ben lo guardò con ironia.
“Luis? Era il migliore amico di mio padre, perché  avrebbe dovuto ucciderlo?”
“Per la stessa ragione per cui Elizabeth è stata costretta a fingersi morta per venticinque anni”
 
La spiegazione  fu lunga e difficile per Semir e Ben rimase in silenzio per tutto il tempo.
“Non ti chiedo di credermi sulla parola. Parla con Hartmut, fai riesumare il cadavere di questo Max Bauer. Dannazione Ben lavoriamo da più di cinque anni insieme, siamo i migliori degli amici, ti chiedo solo di aver un po’ di fiducia in me”
Ben annuì brevemente.
“Ok, ti chiamo domani mattina” fece Semir risalendo in macchina.
Quando lasciò il parcheggio Ben era ancora immobile poggiato al cofano della sua auto e a Semir si strinse il cuore.
In un attimo  era stato costretto a distruggergli  quasi tutte le certezze della vita.
E anche per questo Luis Sifer l’avrebbe pagata cara.
 
 
 
Luis Sifer aveva praticamente rivoltato lo studio di Konrad  senza trovare quello che cercava. Più volte aveva intravisto Helga che lo guardava torva, ma la governante non aveva osato dire nulla.
Eppure era certo che dovesse essere lì, come era certo della esistenza di quello che stava cercando.
Conosceva Konrad Jager come le sue tasche, sapeva bene che aveva conservato traccia  di quello che avevano fatto nel corso di quei lunghi anni, che si era creato un salvacondotto.
Peccato che non avesse avuto il tempo di usarlo quella sera.
Ma dove poteva essere? Oltre allo studio aveva cercato inutilmente in tutta la casa.
Furibondo uscì dallo studio giusto in tempo per incontrare di nuovo Helga che aveva una busta fra le mani.
“Cosa ha in mano Helga?” chiese duro.
“Nulla, è solo il corriere che è venuto a restituire la copia di spedizione di un pacco”  rispose Helga, con la voce chiaramente carica di disprezzo.
“Me la dia!!” disse Luis guardandola negli occhi.
Helga rimase immobile.
“Me la dia, è  documento riguardante la società ed io ne sono ancora l’amministratore delegato” sibilò di nuovo
Dopo un attimo di esitazione Helga consegnò la busta e si allontanò.
Quando la aprì Sifer si accorse che gli tremavano le mani.
Era la ricevuta di un corriere di spedizione assicurata.
Prese il telefono e compose il numero che c’era sulla intestazione.
Dovette insistere molto con l’impiegata prima e con il direttore poi per ottenere le informazioni che voleva.
Alla fine chiuse il telefono soddisfatto.
E così Konrad prima di morire aveva ceduto.
Aveva ceduto all’affetto personale e si era rivolto al figlio.



 

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Capitolo 14
*** Una amara verità ***


Segreti di famiglia di Maty66 e ChiaraBJ

Capitolo 14

 UN’AMARA VERITA’

Ben rientrò a casa completamente sconvolto.
La conversazione con Semir l’aveva scosso profondamente.

Suo padre …  suo padre, coinvolto con Luis in chissà quali affari, che uccideva a sangue freddo uno dei suoi soci e poi costringeva sotto minaccia sua madre ad allontanarsi per sempre dalla vita dei suoi figli …
Anche se non era mai andato d’accordo con quel padre tanto severo e tanto distante da lui e dal suo modo di pensare, mai, neppure nei suoi sogni più folli, avrebbe immaginato cose del genere.
Suo padre complice di un omicidio a sangue freddo, coinvolto in traffici di sostanze  che provocavano la morte di gente innocente. E tutto per il denaro, per tenere in piedi la società …

No, no, doveva esserci un’altra spiegazione, Semir si sbagliava, quella donna l’aveva ingannato.

Entrò in casa senza neppure ricordarsi che lì c’era Sofia e quasi trasalì nel vedersela davanti.

“Ben… sei tornato, ho preparato qualcosa da mangiare” gli fece la ragazza sorridente, ma Ben rispose solo con una specie di mugugno.

“Tutto bene? Notizie della mamma?” chiese Sofia preoccupata.

“Sì tutto bene, no niente di nuovo” mentì il fratello.

“Ah Ben è passato il tuo vicino di casa e ha lasciato un pacco per te, è sul mobile all’ingresso” lo informò Sofia prima di rientrare in cucina.

Solo allora il giovane si ricordò della conversazione avuta prima di uscire con l’anziano inquilino del piano di sopra.

Prese il pacchetto che era all’ingresso e lo scartò.

Dentro una piccola scatola di cartone trovò una agenda.

Era fitta di date, cifre e luoghi.

Scorrendoli rapidamente Ben si accorse che alcuni dei luoghi erano certamente cantieri in cui aveva lavorato l’impresa del padre.

Sfogliò l’agenda più volte sino a quando non scoprì che,  infilata nella copertina della prima pagina, c’era una lettera.

Con il cuore che gli batteva a mille l’aprì e riconobbe subito la grafia.

Era una lettera di suo padre, ed era indirizzata a lui.

 

“Sì capo, li abbiamo rintracciati. E’ bastato seguire Jager, aveva ragione. Gerkan si è fatto vivo con lui” disse la voce concitata al telefono

“C’era anche la donna?” chiese Luis, sorridendo di sollievo. In fondo non era ancora tutto perso, poteva recuperare.

“No, ma sappiamo dove lei e Gerkan si sono rifugiati. Sono in un piccolo cottage ad est dell’Eifel”

“Bene, sapete cosa dovete fare” ordinò Luis

“E che facciamo con lo sbirro? Lo facciamo fuori?”

Luis rimase silenzioso per un po’.

“No anzi, prendete prima lui. In questo momento forse è più prezioso  di Elizabeth” disse sorridendo maligno e chiudendo la chiamata.

 

Semir aveva comprato qualche provvista e qualche oggetto per la pulizia personale al piccolo spaccio del paese e poi era tornato subito al cottage.

Entrando per un momento  gli balzò il cuore in gola; l’interno era buio e non si vedeva nessuno.

Solo guardando meglio si accorse che Elizabeth era seduta, immobile e silenziosa, su di una sedia accanto alla finestra.

“Elizabeth … tutto bene?” chiese sedendosi accanto a lei, ma la donna si limitò ad annuire.

“Ha visto Ben?” chiese con voce sottile.

“Sì … l’ho visto, spero di essere riuscito a convincerlo …”

“Lui mi odia. Mi odia profondamente  e non mi considera più sua madre. Ormai qualsiasi cosa succeda non posso più rimediare. Ho perso sia lui che Julia”

La voce della donna era profondamente disperata.

“Non è così. Io conosco Ben, forse lo conosco meglio di quanto si conosca lui stesso. Bisogna dargli solo un po’ di tempo. Poi capirà”  Semir cercò di consolarla.

“Sa … quando l’ho visto in Italia e ho capito chi era, ne sono stata così orgogliosa. Era così bello, intelligente, così diverso da suo padre. Era diventato proprio l’uomo che speravo diventasse. Ogni minuto immaginavo come sarebbe stato dirgli la verità, abbracciarlo e sentirmi chiamare di nuovo mamma da lui. Ma poi mi bloccavo. A parte la paura per quello che poteva fare Sifer,  mi chiedevo che diritto avevo a sconvolgergli la vita dopo tanti anni … se non fosse stato per il destino e quel medaglione perso, né lui né Julia avrebbero mai saputo nulla. Sono una cattiva madre Semir, l’ho lasciato andare di nuovo, non ho fatto nulla per dirgli chi ero in Italia perché avevo paura in fondo …”

Semir non osava fiatare, sapeva che  per la donna era importante sfogarsi.

“Non è mai facile fare il genitore, ma sono sicuro che tutto quello che ha fatto l’ha fatto per i suoi figli …”

“Sì certo, ma ora mi ritrovo a pensare che se non fossi tornata, se non mi fossi di nuovo fatta viva, Ben e Julia avrebbero continuato tranquilli la loro vita e Konrad sarebbe ancora vivo”

“Lei non aveva altra scelta che tornare qui. Ora dobbiamo incastrare Luis Sifer perché sono certo che è stato lui ad uccidere Konrad, poi tutto tornerà a posto, vedrà”

Semir poggiò la mano sulla spalla di Elizabeth e fece per alzarsi quando la sua attenzione venne attratta da un movimento nella boscaglia.

Anche nella penombra della sera si accorse della figura che cercava di nascondersi nel fogliame.

Con un cenno disse Elizabeth di accucciarsi a terra, ma non riuscì a prendere la pistola dalla fondina.

Con un botto la porta del cottage si aprì e cinque uomini vestiti di nero fecero irruzione puntando contro di loro le mitragliette che imbracciavano.

  

“Caro figlio mio

Se stai leggendo questa lettera vuol dire che io sono morto e non sono morto di morte naturale.

Il notaio di famiglia ha avuto l’ordine di spedirti la lettera e l’agenda non appena saputo della mia morte per così dire ”non naturale”

E’ difficile raccontarti quello che segue, potrei mascherarmi dietro l’alibi di aver fatto quello che ho fatto per proteggere te e tua sorella, per il vostro bene, per assicurarvi un futuro migliore.

Ma la realtà è un’altra: quando ho permesso a Luis Sifer di intromettersi nella mia vita, nella nostra vita, e nei miei affari sapevo perfettamente chi era e che affari conduceva. Sapevo benissimo che Luis può tuttora considerarsi il referente tedesco di una delle più pericolose bande mafiose, con ramificazioni in tutto il mondo  e che il suo ramo era quello del traffico dei rifiuti pericolosi.

Mi ha lusingato ed attratto, per nascondere quei rifiuti nel cemento dei pilastri dei palazzi che costruivo a volte mi ha pagato più dei costi dell’intera costruzione. 

Se sapevo quello che facevo? Certo che lo sapevo; all’inizio ti dici che tanto non succederà  nulla che quei rifiuti, sepolti lì nel cemento non provocheranno danni. 

Poi vieni a sapere che la mortalità per tumori nelle zone dove hai costruito è aumentata del 100% perché quelle cose hanno inquinato le falde acquifere, ma vai avanti lo stesso, tanto sono persone che non conosci. E continui a mentire, a corrompere i politici che ti fanno avere le concessioni per costruire, i tecnici che analizzano l’acqua o il terreno perché dicano che tutto è a posto, i poliziotti perché facciano finta di non vedere quello strano traffico di camion che va e viene dai cantieri. 

Vai avanti e avanti, anche quando muore di leucemia il figlio di uno dei tuoi migliori amici, tanto non è detto che siano stati proprio i rifiuti che hai nascosto, anche se lui abitava proprio in uno di quei palazzi. Vai avanti anche quando Luis Sifer uccide il tuo amico davanti ai tuoi occhi perché si era ribellato.

E ti dici che vai avanti solo perché non puoi più uscirne, ma la realtà è che non ne vuoi uscirne, non puoi più fare a meno dei soldi che ti permettono di avere quello che vuoi, non vuoi cedere l’azienda che ti dà prestigio e potere.

La cosa che mi fa più male è di aver permesso a Luis di insinuarsi anche nella vita tua e di Julia; gli ho permesso di tenerti in braccio e farti da padrino, di fingersi tuo amico e protettore. E gli ho permesso di privarvi di vostra madre.

Perché anche questo ho fatto.

Tua madre è viva Ben; non è morta in quell’incidente stradale quando avevi otto anni. Aveva assistito all’omicidio di Max Bauer e così io l’ho costretta a lasciarvi, ad abbandonarvi. Le ho detto che se non l’avesse fatto, se si fosse fatta viva solo una volta con voi, Luis vi avrebbe ucciso.

E’ stato il prezzo per salvare almeno la sua vita, una delle poche cose buone che ho fatto credo.

Figlio mio so che ora non puoi perdonarmi, in fondo come potresti? Sei diventato quello che speravo e temevo al tempo stesso, un uomo onesto e coraggioso.

Come poliziotto saprai cosa fare delle informazioni contenute nella agenda.

Alla Colonia Bank troverai anche una cassetta di sicurezza a nome Martin Schultz. Dentro ci sono tutte le informazioni ed i conti con cui abbiamo corrotto politici imprenditori e poliziotti. E’ tutto riportato con cura e spero che servirà ad incastrare Luis e la sua banda.

Quanto a me, a quest’ora avrò già avuto la mia punizione da qualcuno al di sopra di noi.

Cerca tua madre Ben, vive in Italia, l’ultima notizia che ho avuto di lei era che viveva ad Amalfi.

Puoi non credermi, ma ti ho amato figlio mio, ho amato sia te che Julia profondamente.

Spero che avervi ridato almeno vostra madre serva ad alleviare le colpe di cui mi sono macchiato.

Tuo padre    

 

Ben richiuse la lettera ansimando. Non riusciva a credere a quello che stava succedendo e a quello che aveva appena letto.

Suo padre era un assassino, aveva coscientemente condannato a morte persone inconsapevoli per puro profitto, si era reso complice di un criminale, era stato complice dell’assassinio di uno dei suoi amici ed aveva costretto una madre a rinunciare per sempre ai suoi figli.

Semir aveva ragione.

Un enorme senso di colpa piombò su di lui al pensiero di come aveva trattato Elizabeth in quelle settimane, a quello che poco prima aveva insinuato con il suo migliore amico.

Doveva uscire per riordinare le idee, ma non fece a tempo a prendere la giacca.

Il telefono che aveva in tasca iniziò a vibrare e la voce dall’altro lato della linea lo fece sobbalzare.

“Mio caro figlioccio, a quanto pare  hai qualcosa a cui sono molto interessato. Ed io ho due persone a cui tieni molto qui con me …” disse con voce beffarda Luis Sifer dall’altro lato della linea.

  

Ben parcheggiò la moto davanti alla vecchia fabbrica, proprio come gli aveva detto Luis con il cellulare prepagato che gli aveva fatto ritrovare.

Istintivamente si toccò la tasca del giubbotto dove aveva messo l’agenda e si guardò intorno nervoso. Era in netto ritardo rispetto all’orario che gli aveva detto quel bastardo e non vedeva nessuno.

Il terrore di aver messo in pericolo Semir ed Elizabeth, che quel lurido schifoso avesse fatto loro qualcosa si impadronì di lui, ma quasi subito vide  due uomini venirgli incontro, mitragliette in mano.

“Finalmente, il signorino si è fatto attendere. Il capo iniziava ad innervosirsi” fece beffardo uno dei due mentre lo sbattevano a terra e lo disarmavano.

Con modi bruschi lo rimisero in piedi e lo spinsero verso l’interno.

Con un’ultima spinta lo gettarono a terra nel grande capannone.

A fatica Ben si rialzò e scrutò nella quasi completa oscurità.

E poi li vide. Erano seduti, legati schiena contro schiena ad un palo ed imbavagliati.

Anche da lontano e al buio Ben poteva intuire gli occhi terrorizzati di sua madre.

Fece per precipitarsi da loro, ma il freddo della canna di una pistola  sulla nuca lo bloccò.

“Calma ragazzo, non così in fretta” disse Luis alle sue spalle.

 
 

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Capitolo 15
*** Ostilità e riconciliazione ***


Segreti di famiglia di Maty66 e Chiara BJ

Capitolo 15
OSTILITA' E RICONCILIAZIONE

Ben alzò le mani e si girò lentamente, come gli aveva detto Luis.
Lo guardò con tutto l’odio di cui era capace, ma la cosa sembrava del tutto indifferente per l’uomo.
“Fuori è tutto pulito capo, non si è portato dietro gli sbirri” disse uno degli uomini entrando nel magazzino.
“Bravo. Ora dammi quello che ti ho chiesto”  disse duro Luis sorridendo sempre più malefico verso il suo figlioccio.
Ben non amava essere sfidato, era una cosa che lo mandava in bestia e lo rendeva irragionevole.
Guardò con aria disgustato il suo padrino.
“Vaffanculo” insultò con quanta rabbia aveva dentro.
Subito dopo gli arrivò un potentissimo pugno in faccia, che lo scaraventò a terra.
Con la testa intontita Ben cercò di rialzarsi; aveva il labbro sanguinante e sentiva sul fondo del magazzino le urla soffocate di Elizabeth e Semir.
Prima che riuscisse a mettersi in piedi, un altro colpo lo prese in pieno viso poco sopra il sopracciglio, lasciandolo completamente intontito.
Le urla soffocate dai bavagli di Semir ed Elizabeth si fecero  sempre più disperate e Ben sentì che qualcuno che gli frugava nelle tasche del giubbotto.
“Ecco sapevo che avresti fatto quello che ti dicevo, stupido marmocchio viziato” disse Luis prendendo l’agenda dalla tasca interna della giacca.
Sfogliò avidamente l’agenda di Konrad con aria sempre più cupa.
“Dov’è il resto?” chiese rabbioso chinandosi su Ben che ancora non aveva recuperato la lucidità.
“Il resto cosa?” sibilò il giovane guardandolo di nuovo con aria di sfida. Sentiva il sangue che gli colava sul viso dalla ferita sull’occhio.
Luis gli afferrò i capelli e gli tirò indietro la testa.
“Tuo padre  era un vigliacco  sai? Sapevo che si sarebbe creato un salvacondotto da utilizzare da vivo o da morto … dov'è  il resto dei dati? Qui c’è sì e no la metà di quello che sapeva Konrad”  sibilò furibondo.
“Non so di cosa stai parlando” rispose sfrontato Ben, ricevendo per  tutta risposta un nuovo pugno sul viso.
Ormai Elizabeth piangeva e urlava disperata attraverso il bavaglio.
“Ragazzo, smettila di prendermi in giro. Ho finito di recitare la parte del bravo zio con te. Mi fai schifo esattamente come mi faceva schifo tuo padre” rispose Luis alzandosi in piedi solo per colpire con un calcio Ben nello stomaco.
Il colpo lasciò il giovane senza fiato.
Ovattato ed in lontananza Ben continuava a sentire i mugugni disperati di Semir ed Elizabeth, ma non aveva il coraggio di guardare verso di loro.
“Allora ti decidi  parlare? Tuo padre ha lasciato senza dubbio qualche altra cosa. Dove l’hai messa??” chiese ancora una volta rabbioso mollandogli un altro calcio nello stomaco.
Ben ansimò, sentiva  forte la nausea salirgli alla gola.
Tossendo ansimò e cercò di farsi uscire il fiato per rispondere.
“Non so di che  stai parlando. Mio padre mi ha spedito solo quella agenda” sussurrò
“Credi che io sia stupido? Lurido marmocchio viziato, so io come farti parlare” disse mentre gli mollava una serie di calci.
L’ultima cosa che Ben sentì furono i singhiozzi di sua madre.
 

“Avanti sveglia!!!”
Ben sentì due forti schiaffi che gli arrivavano sulla faccia.
Cercò di riprendere lucidità, ma aveva a stento la forza di aprire gli occhi.
Le costole e la testa gli facevano un male terribile, non riusciva neppure a respirare.
Quando provò a muoversi si accorse che l’avevano legato mani e piedi ad una sedia.
Scosse la testa cercando di schiarirsi la vista, ma  ottenne solo nuove scariche di dolore.
Dopo un tempo che gli sembrò infinito riuscì  a mettere a fuoco.
Davanti a lui c’erano Semir ed Elizabeth, ancora legati che lo guardavano terrorizzati.
Sul fondo del magazzino c’erano gli uomini ancora armati di mitraglietta.
Ben cercò di tranquillizzare con lo sguardo sua madre che aveva il volto rosso per le lacrime versate.
Subito si interpose  fra loro la figura di Luis.
“Spero che il sonnellino ti abbia aiutato a ricordare” sibilò
Ben continuò a guardarlo in silenzio.
“Bene vedo che siamo testardi e coraggiosi. Il coraggio … una qualità che non aveva tuo padre. Frignava come un maiale al macello quando l’ho ucciso. Mi pregava e ripregava di salvare Elizabeth. Lo stupido … credeva che non sapessi sin dall’inizio che lei era viva” urlò furioso.
Poi si avvicinò alla donna legata e seduta a terra.
Con la canna della pistola le accarezzò il viso.
“Sarebbe stato un gioco da ragazzi farti fuori subito sai? Nonostante gli sforzi di tuo marito per salvarti la vita, sapevo dove eri, cosa facevi, tutto. Fino a che  sei rimasta lontana e silenziosa non eri pericolosa, ma ti sei  tradita e tuo figlio ha scoperto chi eri; poi sei voluta tornare … quello che sta succedendo in fondo è colpa tua”
Gli occhi di Elizabeth si riempirono di nuovo di lacrime disperate.
Luis tornò verso Ben e gli puntò la pistola alla tempia.
“Ora mi dici dove tuo padre ha nascosto le prove di quello che abbiamo fatto”
Ma Ben non si mosse.
“Ti ho già detto che non so di che cosa stai parlando …”
“Molto bene. Vedo che abbiamo bisogno di un piccolo incoraggiamento” disse avvicinandosi  ad Elizabeth e  Semir.
Inizialmente Ben pensò che volesse prendere sua madre, ma poi con terrore crescente lo vide dirigersi verso Semir.
Luis prese con calma assoluta la mira e freddo, senza nessuna emozione, sparò a Semir  alla gamba destra.
 

“Noooo!” urlò Ben con quanto fiato aveva in gola mentre vedeva il suo migliore amico urlare nonostante il bavaglio e contorcersi per il dolore.
“La prossima gliela pianto in testa” disse Luis alzando la pistola
E Ben cedette.
“Cassetta di sicurezza alla Colonia Bank. E’ a nome Martin Schultz” disse mentre iniziava a piangere silenziosamente.
 

“Chiudeteli nella stanza della caldaia. Ma aspettate che vi avvisi io prima di farli fuori,  lo sbirro potrebbe aver mentito”
Luis impartì  gli ultimi ordini ai suoi uomini prima di salire in auto e dirigersi verso la banca.
Gli scagnozzi rimasti slegarono i prigionieri e li trascinarono verso il seminterrato.
Ben era terrorizzato alla vista di Semir completamente incosciente, trascinato  brutalmente per le scale.
Poi tutti e tre vennero spinti nel piccolo locale caldaia.
Appena gli uomini chiusero la porta, Ben cercò a fatica di rimettersi in piedi e si avvicinò subito all’amico steso immobile a terra.
Lo girò piano mettendogli la testa sulle ginocchia.
“Semir… mi senti?” sussurrò con le lacrime agli occhi
Ma non ottenne risposta.
“Semir ti prego rispondimi … non mi spaventare”
La ferita sulla gamba continuava a sanguinare copiosamente. Ormai i jeans era completamente macchiati e l’uomo era pallidissimo.
“Bisogna fermare l’emorragia” fece Elizabeth avvicinandosi ai due.
Ben guardò la donna. Non sapeva bene cosa dirle, ma  sua madre gli rivolse il più dolce dei sorrisi, quello che solo una madre sa fare al proprio figlio, qualsiasi cosa fosse successa.
“Passami la cintura” disse sicura.
Ben se la slacciò e la passò alla madre che subito la strinse forte attorno alla gamba.
Dopo un po’ il sangue smise di scorrere dalla ferita e Semir sembrò riprendere un po’ di colore in viso.
“Non c’è foro di uscita, deve andare subito in ospedale. Mettiamo le gambe più in alto del corpo e slacciamo la cintura ogni trenta minuti per due o tre minuti, altrimenti la gamba può andare in necrosi” disse ancora Elizabeth esaminando la ferita.
Ben la guardò con aria interrogativa.
“Infermiera volontaria, per quasi dieci anni, in Italia” spiegò con un leggero sorriso.
Ben prese una piccola cassa di legno che trovò in un angolo e vi poggiò con delicatezza le gambe di Semir.
Poi esausto si appoggiò al muro.
La testa gli faceva un male terribile e la ferita sull’occhio sanguinava ancora.
“Fammi dare un’occhiata” disse con dolcezza Elizabeth avvicinandosi al figlio.
Negli occhi Ben  vi lesse la paura di essere di nuovo respinta, ma lui la lasciò fare.
Elizabeth  strappò un lembo della tuta arancione che portava e con quello tamponò forte la ferita sino a che non smise di sanguinare.
Elizabeth si ritrovò a guardare negli occhi scuri di suo figlio, così simili ai suoi.
E non resistette alla tentazione, gli prese il viso fra le mani e lo baciò sulla fronte.
Ben si lasciò andare ad un abbraccio liberatorio, nascose il viso nell’incavo della spalla della madre e pianse al lungo mentre Elizabeth lo cullava avanti e indietro.
“Il mio bambino … il mio bellissimo bambino …”.
 
La manovra suggerita da Elizabeth funzionò.
Lentamente il piccolo turco iniziò a gemere e poi aprì gli occhi lentamente.
“Semir, grazie al cielo” disse Ben avvicinandosi all’amico.
“C… cosa è successo? D...dove siamo?” chiese con voce debole l’amico
“Siamo rinchiusi nel locale caldaia” lo informò Ben mentre lo aiutava a mettersi seduto con la schiena poggiata al muro.
“Ti prego Ben, dimmi che hai avvisato la Kruger … dimmi che non sei venuto qui da solo …”
“Sì, la Kruger sa tutto, ma doveva essere qui già da tempo. Qualcosa deve essere andato storto” rispose Ben abbassando gli occhi.
 
“Hartmut mi dica che ha ritrovato il segnale” disse Kim guardando ansiosa verso il tecnico.
Ma il giovane dai capelli rossi scosse la testa sconsolato.
“Niente da fare l’ho perso. Deve essere in un posto schermato o senza copertura” disse arrossendo ancora di più per la vergogna.
“Maledizione Hartmut, lei ci aveva assicurato che il segnalatore sulla moto avrebbe funzionato. Ora come facciamo a rintracciarli??” la voce di Kim era tesa.
Hartmut si ingobbì completamente mortificato.
“Mi spiace commissario, mi spiace tanto …” balbettò come un cane bastonato.
“Speriamo almeno che  funzioni il piano B ” si disse Kim sconsolata.
 

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Capitolo 16
*** Piano B ***


Segreti di Famiglia di Maty66 e ChiaraBJ  

Capitolo 16
PIANO ‘B’
 
Luis Sifer parcheggiò la sua Porsche proprio di fronte alla banca e si guardò attorno nervoso prima di scendere.
Per la prima volta dopo tanti anni la situazione minacciava di sfuggirgli di mano.
E lui non era uomo da poterselo permettere, anche perché i suoi capi, i burattinai che avevano sempre diretto la situazione non gliela avrebbero perdonata.
Non dubitava che gli avrebbero fatto fare la stessa fine che lui riservava a chi sbagliava o disobbediva agli ordini.
Aveva sempre pensato in quegli anni che era stato un errore permettere a Konrad di salvare la moglie, che era un errore non farla fuori mentre era in Italia, ma conosceva l’imprenditore: venuto a sapere che la moglie era  stata uccisa avrebbe sicuramente ceduto all’emozione e tradito. E lui non se lo poteva permettere, non si poteva permettere di perdere le imprese di Konrad.
Così aveva fatto finta di nulla, mentre Jager metteva su quella patetica sceneggiata dell’incidente e del  cadavere rubato all’obitorio; ed era anche andata bene per tanti anni, tanto che quasi aveva dimenticato la faccenda, visto che effettivamente Elizabeth era sparita.
Sino a quella sera quando aveva ascoltato il racconto del ragazzo, abilmente nascosto.
Da allora la situazione era precipitata: prima i suoi uomini in Italia non erano riusciti ad uccidere Elizabeth, poi lei era improvvisamente tornata a  Düsseldorf presentandosi a casa di Konrad, poi l’uomo vistosi alle strette, non era riuscito a fermarla e quindi  si era deciso a spifferare tutto.
In fondo Konrad se l’era cercata: era sempre stato un debole e non poteva che finire così.
Luis aveva quasi provato un pizzico di dispiacere quando l’aveva ucciso; era stato così facile prendere le impronte di Elizabeth dal candelabro che aveva toccato e trasferirle sulla pistola. Ed era stato anche facilissimo trovare il suo nascondiglio e sistemarci la pistola, subito prima di chiamare la polizia.
Quello che non si sarebbe mai aspettato era la reazione del ragazzo, si era rivelato un preziosissimo alleato, e se non fosse stato per quel turco maledetto ora tutto sarebbe stato più semplice.
Ma le cose erano andate come erano andate, ora doveva solo porvi rimedio.
Poi avrebbe fatto sparire i tre, fingendo magari che i due poliziotti si fossero sparati a vicenda ed Elizabeth ci fosse andata di mezzo.
Teso Luis si aggiustò giacca e cravatta ed entrò in banca.
 
“Eccolo ci siamo” sussurrò Jenni nel microfono, mentre evitava con cura di guardare verso Luis.
Era vestita da donna delle pulizie e armeggiava un po’ imbarazzata la ramazza.
All’interno della banca c’erano almeno dieci poliziotti mimetizzati fra i clienti.
“Attenti, non fate niente, dobbiamo lasciare che prenda il contenuto della cassetta  e se ne vada. E’ la nostra unica speranza: che ci conduca da Ben e Semir” sussurrò Kim in attesa anche lei nascosta dietro una colonna.
Luis si avvicinò al banco  e chiese del direttore.
Pochi minuti dopo entrò in compagnia di questi all’interno del deposito delle cassette e ne uscì con un pacchetto.
“Ecco ha preso la chiavetta USB, attenzione cobra 12 sta andando verso la sua auto, non lo perdiamo”
 
Luis aveva afferrato la scatolina  contenuta nella cassetta con le mani che gli tremavano dalla emozione.
“Finalmente questa storia  sta per finire. Una volta fatto fuori il fratello non avrò difficoltà a farmi dare da Julia la delega per gestire la società e tutto tornerà a posto” pensò mentre sollevato si dirigeva verso l’uscita.
Ma subito prima di uscire dalle grandi porte a vetri la sua attenzione fu attirata dalla giovane ragazza delle pulizie che era lì vicino… dove aveva già visto quel viso…
Un lampo lo colse all’improvviso: al distretto di polizia, quel giorno che era andato da Ben, la ragazza alla scrivana con quei magnifici occhi verdi.
Era una poliziotta!!!
Cercò di restare calmo, anche se sapeva che se  i poliziotti erano lì, probabilmente sapevano tutto e quella che aveva in mano non era certo la USB vera.
Con passo ostentatamente tranquillo si avviò verso la sua auto.
Poi mise in moto ed accelerò bruscamente verso l’autostrada.
 
“Ce la fai a metterti in piedi? Dobbiamo uscire di qui” disse Ben girandosi intorno alla ricerca di una qualsiasi via di fuga.
Non potevano certo restare lì ad aspettare che Luis o qualcuno dei suoi uomini li facessero tutti fuori.
Ben presto Luis si sarebbe anche accorto che la USB che aveva trovato nella cassetta non era quella giusta.
Semir era pallido, ma cercò comunque di mettersi in piedi, con una smorfia di dolore, aiutato da Elizabeth
“Semir guarda…” disse Ben indicando una  finestra sul soffitto.
“Pensi che ci possiamo passare?” chiese
“ Tu e mamma sicuramente…” ragionò il ragazzo; entrambi erano di corporatura piccola, sarebbero passati facilmente, ma lui, alto e muscoloso come era, dubitava parecchio di passare la strettoia.
Elizabeth ebbe un moto di gioia incontenibile nel  sentirsi chiamare mamma, ma la drammaticità della situazione le impedì di correre nelle braccia di suo figlio.
“Ma non ti possiamo lasciare qui…” balbettò
“Aiuta Semir ad arrivare alla mia moto. Nella ruota posteriore c’è il segnalatore GPS per la centrale. Se lo riattivate o lo portate in un altro posto dove c’è ricezione ci troveranno subito. Non abbiamo altra scelta mamma…”
“Ma no io non ti lascio qui… non se ne parla…” protestò anche Semir
“E cosa vuoi fare? Sei ferito, fra un po’ Luis darà l’ordine di farci fuori, possono entrare da un momento all’altro… dobbiamo provare a farci rintracciare. Non c’è altra scelta…”
Semir lo guardò con le lacrime agli occhi, ma capiva anche lui che effettivamente aveva ragione.
Senza altre discussioni Ben fece una piccola pila con le casse di legno trovate in giro e si arrampicò.
Poi con il pugno coperto dalla propria giacca ruppe il vetro della piccola finestra.
“Avanti mamma, prima tu, poi mi aiuti a far uscire Semir” disse Ben  senza la minima indecisione nella voce.
Elizabeth fece come le era stato detto e con fatica uscì dalla finestrella che dava all’esterno sul retro della vecchia fabbrica.
“Semir, ti prego… stai attento…” disse piano Ben mentre aiutava il socio a salire faticosamente sulla pila
“Stai attento tu, socio, vedrai che ti tiriamo fuori di qui” gli sorrise Semir ma si vedeva che era nervosissimo.
“Andrà tutto malissimo” gli sorrise Ben, con la solita frase che si dicevano per scaramanzia prima di ogni missione pericolosa.
Con fatica, facendo attenzione alla gamba ferita, Ben aiutò il piccolo turco a passare dalla stretta finestra e rimase a guardare mentre lui ed Elizabeth si allontanavano, arrancando nella boscaglia.
 
“Maledizione… ci sta seminando… acceleri Bonrath” imprecò  Kim Kruger mentre inseguivano la Porsche di Luis Sifer a velocità folle.
“Capo rischiamo di investire qualcuno, non posso fare di più…” le rispose l’agente.
“Se lo perdiamo non troveremo mai Ben e Semir…”
“Sto facendo il possibile mi creda…”
“Attento!!!” urlò ad un certo punto Kim mentre vedeva una donna con il passeggino che attraversava la strada.
La Porsche di Sifer sfiorò la donna che a causa del contraccolpo finì a terra, proprio davanti all’auto di Bonrath che non poté fare a meno di frenare bruscamente per non investirla.
“Maledizione!!” imprecò di nuovo Kim mentre vedeva l’auto allontanarsi  tutta velocità.
 
“Eccola!” fece Semir ansimando vedendo la moto di Ben parcheggiata davanti all’entrata della vecchia fabbrica.
Lui e Elizabeth erano nascosti nel fogliame fitto della boscaglia e guardavano gli uomini di Sifer che si aggiravano avanti ed indietro sorvegliando il posto.
“Elizabeth io non ho la forza di arrivarci… deve farlo lei. Sotto la ruota posteriore, è un piccolo aggeggio quadrato, se lampeggia funziona, altrimenti no. Lo prenda e lo porti qui. Ma stia attenta a non farsi vedere” bisbigliò.
La donna lo guardò spaventata, ma poi annuendo si avviò silenziosa verso la moto.
Aveva il cuore che le batteva a mille, ma l’unico pensiero che aveva in mente era tirare fuori suo figlio da lì.
Più silenziosa che poteva arrivò alla moto e mise la mano sotto la ruota posteriore.
Non la trovò subito, ma poi sentì sotto le dita la piccola scatola e la staccò.
Non lampeggiava.
Di corsa tornò verso Semir quando l’ebbe in mano.
“Porca… non funziona… non ci sarà campo, dobbiamo spostarci” fece Semir.
Era sempre più pallido e ormai faceva fatica anche a parlare. La ferita gli faceva un male cane e dubitava di riuscire ad alzarsi, ma con uno sforzo sovraumano, appoggiandosi a Elizabeth si avviò in direzione della strada.
“Ecco qui va bene” sussurrò sempre più debole mentre la scatoletta nelle sue mani riprendeva a lampeggiare.
Elizabeth fece appena in tempo a trascinarlo dietro un albero nascosto, prima che Semir perdesse conoscenza.
 
“Niente, si è dileguato, nessuna delle nostre auto l’ha individuato e  non è passato per nessuno dei nostri posti di blocco” disse Jenni andando verso l’auto della Kruger.
“E ora come li troviamo? Sifer è pericolosissimo, li ucciderà”.
Per la prima volta Jenni notò una nota di vero e proprio panico nella voce del commissario.
“Mi spiace commissario, credo mi abbia riconosciuto… dovevo pensarlo, l’ho fatto entrare io quando  è venuto da Ben al Distretto” si scusò Jenni.
“Non è certo colpa sua Jenni, io piuttosto dovevo organizzare meglio la cosa” rispose di rimando il commissario.
Nessuna delle due riuscì a continuare la discussione.
Il cellulare della Kruger vibrò nella sua tasca.
Era Hartmut.
“Commissario, abbiamo di nuovo il segnale del GPS della moto di Ben” annunciò eccitato.
 
Luis Sifer nascose la Porsche in uno dei tanti cantieri della ‘Jager Costruzioni’ e prese una delle auto di servizio che vi erano parcheggiate.
Era furibondo e disperato al tempo stesso.
Era finita… dopo tanti anni in cui ogni suo affare era stato un successo ora si era fatto fregare.
E i suoi capi non gliel’avrebbero fatta passare liscia di certo.
Tutta per colpa di quel lurido ragazzino, figlio di papà.
Ma l’avrebbe pagata cara.
La rabbia salì sempre più forte in lui mentre si dirigeva rapido verso la vecchia fabbrica.
Sifer parcheggiò sgommando l’auto davanti alla entrata della vecchia fabbrica
“Capo tutto a posto?” chiese uno degli uomini vedendolo scendere furibondo dall’auto.
“Dove sono? Dove li avete messi??” urlò Sifer entrando nel magazzino.
Gli uomini lo guardarono sbalorditi.
“Nella stanza della caldaia, come ci ha ordinato” balbettò uno.
Sifer si precipitò per le scale in preda alla follia omicida.
 
Ben non faceva altro che pensare, sperare e pregare che Semir ed Elizabeth fossero arrivati alla moto e che il segnalatore GPS si fosse rimesso a funzionare.
Era la loro unica speranza.
Non poteva credere di aver trascinato sua madre ed il suo migliore amico in questa situazione: se avesse dato ascolto a Semir, se avesse concesso a sua madre almeno la possibilità di spiegarsi, di dire quello che era successo venticinque anni fa, forse ora non si sarebbero ritrovati in balia di quel criminale di Sifer.
Un criminale a cui aveva concesso tutta la sua fiducia, anche andando contro il suo migliore amico che l’aveva avvertito.
Se succedeva qualcosa non se lo sarebbe mai  perdonato.
Con il cuore che gli batteva a mille sentì la pesante porta di ferro che si apriva e sulla soglia comparve un furibondo Luis Sifer.
 
“Dove sono? Dove li hai nascosti?” urlò Sifer mentre colpiva Ben sul viso con il calcio della pistola.
Ben lo guardò mentre il sangue gli colava dal naso.
“Sono lontani Sifer ed hanno già avvisato la Polizia. Sei finito… non hai scampo, se non ti arrestiamo noi ti fanno fuori i tuoi compari mafiosi” gli rise in faccia il giovane.
Chissà perché in questi momenti Ben non perdeva mai la sua spavalderia.
“Per ora i tuoi amici sbirri ancora non ci sono… e prima che arrivino mi prenderò lo sfizio di mandarti a raggiungere tuo padre all’inferno”

 
 
 

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Capitolo 17
*** Lotta contro il tempo ***


Segreti di famiglia di Maty66 e ChiaraBJ

Capitolo 17 
LOTTA CONTRO IL TEMPO
 

Ormai la voce di Sifer  era folle di rabbia, ma Ben doveva tentare il tutto per tutto se non voleva morire lì in quel posto senza neppure sapere se Elizabeth e Semir ce l’avevano fatta.
“Voi andate a cercare il turco e la donna, qui ci penso io” disse Luis puntando la pistola verso Ben.
Mentre quello che era stato il suo padrino, lo zio protettore, quello che  l’aveva aiutato a fronteggiare in mille occasioni il padre, stava per premere il grilletto, Ben come un toro infuriato gli andò contro a testa bassa.
Sifer rimase sorpreso dalla mossa fulminea e barcollò sotto il peso del giovane.
Ma Ben era indebolito dalle botte prese in precedenza,  non vedeva e ragionava bene dal mal di testa che aveva e l’ulteriore colpo lo aveva intontito ancor di più.
Nonostante tutto, grazie alla prestanza fisica riuscì a far cadere di mano a Sifer la pistola, ma l’uomo era anche lui fisicamente in forma e quindi assestò un calcio nelle costole a Ben che rimase ansimante a terra.
“Piccolo lurido viziato… tutti questi anni passati a tenerti la manina, a consolarti… non sai quanto mi facevi schifo, forse più di tuo padre, almeno lui aveva la decenza di capire quello che era. Invece tu… il moralista, il figlio perfetto, onesto, il poliziotto incorruttibile…” Sifer  era un fiume di rabbia mentre continuava a colpire Ben con calci sempre più forti.
Il giovane ansimava in preda a dolori lancinanti, ma la forza della disperazione lo spinse ad afferrare la gamba di Sifer che gli sferrava un altro calcio.
L’uomo perse l’equilibrio e finì a gambe all’aria mentre Ben si avventava su di lui.
“Bastardo… lo hai ucciso, hai ucciso mio padre…” sibilò mentre iniziava a prenderlo a pugni.
Ma l’emozione e la furia  erano troppe.
Non si accorse che erano finiti proprio vicino alla pistola; Luis la raccolse e poi assetò un colpo deciso alla tempia del giovane che immediatamente perse i sensi.
Sifer stava per puntare la pistola e sparare, ma poi pensò che se la polizia era lì vicino avrebbero udito lo sparo  e ritracciati subito.
No, doveva avere il tempo di scappare, o almeno tentare di scappare.
Con decisione trascinò il corpo di Ben vicino alla caldaia e poi aprì il rubinetto del gas.
Così vicino alle esalazioni non ci avrebbe messo molto a crepare lo sbirro.

 
“Semir… la prego si svegli… Semir…” Elizabeth tentava inutilmente di svegliare l’ispettore.
Era terrorizzata, dovevano tirare fuori Ben da quel posto, ma ancora non si vedeva nessuno ed i minuti passavano inesorabili.
Finalmente dopo un tempo che gli sembrò infinito vide le macchine della polizia avvicinarsi  a sirene spente.
Come una folle si alzò ed iniziò a correre verso di loro.
“Aiuto, vi prego aiutatemi…” urlò parandosi davanti.
 
“Signora De Martino si calmi…” Kim cercava di calmare la donna che invece era in preda ad un vero e proprio attacco d’ansia.
“Non mi posso calmare!! Ben è là dentro, poco fa è arrivato Sifer, lo ucciderà se non lo ha già fatto!!”
“Ha ragione commissario, bisogna entrare subito”  disse Semir con voce debole.
Finalmente grazie agli sforzi di Jenni e Dieter aveva ripreso conoscenza, ma sembrava mortalmente pallido.
“Dobbiamo aspettare la SEC, non possiamo entrare da soli.  Ha visto quanti sono?” chiese Kim avvicinandosi
“Sei, forse sette, ma commissario non possiamo aspettare, Ben è là dentro da solo, ha fatto scappare noi, ma lui non ci passava…”
“Sì, lo so Gerkan, ma ora arriva la SEC, vedrà. Lei piuttosto deve andare subito in ospedale, la faccio portare da Dieter…”
Subito Semir iniziò ad agitarsi.
“NO!! Io non me ne vado senza Ben…” disse quasi adirato e Kim non ebbe il coraggio di replicare.
Finalmente dopo un tempo che sembrava infinito comparvero sulla strada due furgoni neri dei corpi speciali di assalto.
Kim si mise subito in moto.
“Allora signori c’è bisogno di un accesso rapido. Nel sottoscala, nel locale caldaia c’è un mio agente. Forse è ferito, quindi occhio”.
Poi indossò anche lei il giubbotto antiproiettile e pistola in pugno si diresse verso la fabbrica.

 
L’accesso alla fabbrica fu rapido. Gli uomini di Sifer furono subito bloccati, ma entrando Kim si accorse immediatamente che fra di loro  non c’era Luis.
Ma non poteva pensarci ora.
Correndo si diresse, seguita da Dieter, verso le scale che portavano al seminterrato, mentre un odore fortissimo di gas si faceva sempre più penetrante.
“Ma che…” balbettò mentre si avvicinava alla porta in ferro.
“Aprite presto!” urlò
Subito un agente della SEC arrivò con un piede di porco e forzò la porta.
L’interno era saturo di gas, nonostante la finestra in alto fosse aperta.
Subito Kim scorse la figura esamine, riversa su di un fianco. Era proprio vicino alla bocchetta da cui fuoriusciva il gas.
“O mio Dio Jager!!” urlò tossendo e precipitandosi verso il giovane.
Lo rigirò e cercò di svegliarlo con un colpetto sulla guancia.
“Jager!! Ben!!” chiamò senza risultato.
Sempre tossendo si rivolse a Dieter
“Dobbiamo portarlo fuori” ansimò mentre  afferrava il corpo esanime per le braccia.
Fortunatamente Dieter era forte e grosso.
“Lo prendo io!” disse;  poi rese praticamente Ben in braccio e lo portò su per le scale.
 
“Semir cerca di stare calmo, altrimenti la ferita riprende a sanguinare!!”  Jenni cercava di tenere fermo il piccolo turco, ma lui continuava ad agitarsi come punto d una tarantola.
“Voglio andare più vicino, voglio vedere, perché non escono?”
Con un gesto di disperazione cercò di alzarsi, ma ricadde subito dopo urlando di dolore.
“Ti prego Jenni, aiutami, avviciniamoci, io devo sapere che sta  succedendo altrimenti divento pazzo” mormorò
La ragazza guardò  sia lui che Elizabeth che stava  seduta e piangeva sommessamente.
Poi con un cenno del capo lei ed Elizabeth afferrarono Semir per le braccia e si avvicinarono all’entrata della vecchia fabbrica.
Giusto in tempo per vedere Dieter che usciva con Ben svenuto fra le braccia e lo poggiava delicatamente a terra.
“Ben!!” urlò Elizabeth in preda al panico.

 
Kim si inginocchiò accanto al giovane e cercò di sentirne il respiro.
“Non sta respirando…” disse concitata mentre si toglieva la giacca e si posizionava per la rianimazione.
“Dieter avanti non stia lì, mi aiuti!!” urlò al poliziotto che subito iniziò le compressioni toraciche
“Uno, due, tre, quattro, cinque” contò Dieter mentre spingeva
“Avanti Ben forza…” lo incitò Kim mentre gli immetteva aria nei polmoni
 
Semir era stato lasciato cadere delicatamente a terra da Jenni e non riusciva altro che a pensare “Ti prego… ti prego… ti prego… respira” mentre vedeva come in un film la scena, impotente a fare alcunché.
Elizabeth stava invece immobile, come pietrificata a guardare suo figlio morente; l’unico suono che riusciva ad emettere era un lamento sordo e disperato.
“Uno, due, tre, quattro, cinque” contò ancora Dieter
“Avanti Ben non ci puoi fare questo… respira… resta con me”   Kim provò ancora una volta ad incitarlo, prima di immettere di nuovo aria, ma il giovane sembrava già in un mondo lontano.
“Dove è l’ambulanza?” urlò disperato Semir, non sapendo cosa fare.
“Sta arrivando” rispose Jenni iniziando a piangere anche lei.
I tentativi andavano avanti ed avanti e Kim iniziò a sentirsi senza fiato.
“Uno, due, tre, quattro, cinque” contò ancora Dieter mentre anche a lui scendevano le lacrime sulle guance.
Kim immise di nuovo aria.
“Commissario….” disse Dieter con occhi tristi, incapace di ricominciare le compressioni toraciche.
“Non si fermi Bonrath” gli rispose decisa Kim, ma anche lei iniziava a perdere le speranze.
Semir  si mise a singhiozzare disperato, ma Elizabeth si svegliò dal suo stupore e corse vicino a suo figlio.
“Ben, sono io sono la mamma, torna qui… torna da me, non mi puoi lasciare proprio ora che ci siamo ritrovati… ti prego non mi lasciare”  disse piangendo mentre carezzava i capelli del giovane.
“Uno, due, tre, quattro, cinque” provò ancora Bonrath.
Kim era ormai demoralizzata, ma all’improvviso il corpo di Ben ebbe un sussulto e il giovane tossendo e ansimando aprì gli occhi guardando sua madre.

 
 
 

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Capitolo 18
*** Resteremo sempre insieme ***


Segreti di famiglia di Maty66 e ChiaraBJ

Capitolo 18
RESTEREMO SEMPRE INSIEME
 


Mezzo distretto si era radunato nel pronto soccorso dell’ospedale.
Andrea ed Elizabeth sembravano due leonesse in gabbia mentre si aggiravano per il reparto inquiete e incapaci di sedersi.
“Mamma!” Elizabeth sentì la voce di Sofia che la chiamava. La ragazza entrò trafelata nel reparto, seguita da Julia.
Elizabeth venne quasi travolta dall’abbraccio tempestoso della sua figlia minore.
“Si sa qualcosa?” chiese la ragazza guardandola negli occhi.
“No … lo stanno ancora visitando” rispose la madre accarezzandole i lunghi capelli scuri.
Elizabeth però non poteva fare a meno di guardare verso l’altra sua figlia.
“Julia, bambina, non vuoi venire da me?” le disse aprendole le braccia con gli occhi pieni di lacrime.
Per un attimo Julia sembrò indecisa, ma poi con gli occhi bassi si rifugiò anche lei nell’abbraccio di sua madre.
Elizabeth strinse entrambe le sue figlie nelle braccia.
“Le mie splendide bambine … finalmente siamo insieme. Ora che ci diranno che Ben sta bene staremo sempre tutti insieme, non ci lasceremo mai…” disse commossa, sperando di poter stringere presto anche il suo primogenito fra le braccia.
 
Poco dopo uscirono dalle porte scorrevoli due medici.
Il gruppo in attesa si fece vicino ansioso.
“Dunque l’ispettore Gerkan sta bene, abbiamo rimosso il proiettile che non ha leso né nervi né ossa. Tempo una settimana e sarà fuori di qui” disse uno dei medici.
Andrea tirò un sospiro di sollievo, ma subito si rifece seria.
“E Ben?” chiese per prima.
“L’ispettore Jager è rimasto per molti minuti senza ossigeno. Gli esami non hanno evidenziato nulla di anomalo per ora, ma dobbiamo aspettare che si svegli per essere sicuri che non ci siano danni permanenti” rispose l’altro medico con sguardo contrito.
Sul gruppetto calò un  silenzio glaciale.
“Starà bene, vedrete che starà bene” disse sicura Elizabeth.
 

Ormai erano diverse ore che Elizabeth era seduta accanto al letto di Ben e lo guardava dormire.
Le passavano in mente le mille immagini dell’infanzia del giovane, le ore passate seduta in quello stesso modo quando aveva avuto la polmonite e rischiato di morire a sei anni, le ninne nanne cantate a bassa voce per far passare gli incubi, i baci, le carezze, l’immensa gioia che quel bambino era capace di darle. E tutto il tempo perduto che non sarebbe mai più tornato.
Ora che sapeva che in fondo Konrad aveva fatto di tutto per salvarle la vita  sentiva di non odiarlo più, provava solo un immenso rimpianto per quello che poteva essere e non era stato.
Anche se, guardando dalla finestra della stanza, si diceva che se non fosse successo Sofia non sarebbe venuta al mondo.
In fondo per tutto c’è una ragione e se ora riaveva suo figlio sano tutto sarebbe tornato a posto.
La porta si aprì ed entrò in sedia a rotelle Semir, spinto da Andrea.
“Possiamo entrare?” chiese timido l’ispettore guardando smarrito verso il letto.
“Certo, venga…”
In fondo lui aveva molto più diritto di stare  vicino a Ben pensò Elizabeth
“Dorme ancora?” chiese Andrea ed Elizabeth si limitò ad  annuire.
“Ben… forza dai svegliati, hai dormito abbastanza” Semir prese la mano dell’amico nella sua.
E come per magia il giovane aprì gli occhi.
“Semir…” balbettò guardandolo confuso.
 

“Tutto bene, gli esami sono perfetti” disse il medico uscendo dalla stanza con un gran sorriso.
“Signore ti ringrazio” sbottò Semir mentre cercava di spingere la sedia a rotelle verso la stanza per entrare.
“Aspetta Semir…”  Andrea fece cenno verso Elizabeth che aspettava poggiata al muro.
“Elizabeth, entri prima lei” disse subito Semir facendo un sorriso di intesa verso la moglie.
 
“Mamma” fece Ben vedendola entrare.
“Dillo ancora…” fece Elizabeth avvicinandosi.
“Cosa?”
“Chiamami ancora mamma”  sussurrò la donna
“Mamma” ripeté Ben con gli occhi pieni di lacrime
“Potrai mai perdonarmi?” disse ancora il giovane mentre le lacrime scendevano sulle guance.
“Non piangere bambino mio, non c’è nulla da perdonare. Anzi sei tu che devi perdonarmi per non averti detto nulla in Italia… per non aver cercato di farmi viva con voi per tutti questi anni…”
“Io… io..” Ben non riusciva a dire nulla.
La madre si avvicinò e lo prese fra le braccia.
“Ora è finito, andrà tutto bene, resteremo sempre insieme” disse cullandolo dolcemente.
 

Semir e Ben ridevano rilassati.
Erano stati messi per alcuni giorni nella stessa stanza, ma mentre Semir stava per essere dimesso Ben doveva rimanere ancora una settimana.
Il che aveva provocato proteste e bronci a non finire.
Kim e Dieter erano anche loro in stanza, erano venuti a prendere Semir e a salutare Ben.
“E dai… è solo una settimana…” rise Semir nel vedere lo sguardo imbronciato del giovane amico
“Ma io mi annoio qui”
“Jager ora non faccia come al solito, rimanga qui buono altrimenti la  ammanetto al letto” sorrise Kim.
Il Commissario appariva straordinariamente calma e rilassata,  nonostante le ricerche di Luis non stavano dando alcun esito.
L’uomo era sparito dalla faccia della terra.
“E poi c’è l’infermiera Kiara, quella carina … lei ti farà passare il tempo in un attimo” fece Semir ridacchiando
“Sì… ma sai... non può essere più bella di quella che ho visto in sogno…” fece Ben sognante.
“Quale sogno?”
“Quello che ho fatto prima di svegliarmi qui in ospedale … una donna bruna e bellissima che mi baciava. Aveva delle labbra fantastiche, dolcissime, carnose e morbide, mentre mi baciava  mi diceva, resta con me, non mi lasciare”
Ben era talmente sognante  che si era dimenticato che Kim era nella stanza.
Il Commissario avvampò all’istante, mentre Semir e Dieter iniziavano a ridacchiare come due matti.
“Signori vi lascio, io vi aspetto in ufficio” disse mentre usciva precipitosamente dalla stanza.
Una volta fuori Kim cercò di riprendere il controllo, ma passando davanti allo specchio non poté fare a meno di fermarsi.
Con un piccolo gesto si accarezzò le labbra e sorrise pensierosa, prima di ritornare seria e uscire dal reparto.
 
“Beh, che le è preso?” chiese Ben mentre Semir e Dieter non si trattenevano più e iniziavano a ridere a crepapelle.
“Ben tu sai.. chi… chi ti ha fatto la respirazione bocca a bocca?” Semir non riusciva a parlare dalle risate
Ben guardò i due con aria sempre più perplessa.
“Noooo, non mi dite!! Dio che figura…” balbettò capendo tutto.
Semir e Dieter stavano per sentirsi male dalle risate.
“Potevate avvertirmi brutti stupidi!!” disse, ma anche a lui veniva da ridere ormai.
“Che labbra dolcissime … succose e carnose …” lo sfottò andò avanti per parecchio.
 
 
 
Un mese dopo
 
“Allora ti sbrighi, guarda che se tardi  un altro po’ Helga, Elizabeth e Sofia perdono l’aereo” urlò Semir mentre Ben scendeva di corsa le scale.
“E un momento, vai sempre di corsa tu” rispose il giovane amico mentre caricava le  valigie in macchina.
  “Se vuoi puoi venire con me in macchina” fece Hartmut guardando imbambolato Sofia, con un sorriso cretino sul viso.
Ben gli lanciò uno sguardo furibondo mentre i due si avviavano verso la macchinetta scassata di Hartmut.
“Quello fa troppo il provolone con mia sorella” disse furibondo mentre entrava in auto.
Semir scoppiò a ridere.
“Ma che fai il fratello geloso ora? Sofia è grande e Harty innocuo”
Ben sbuffò.
Semir cercò di consolarlo.
Elizabeth e Sofia stavano per tornare in Italia e anche se avevano promesso di tornare almeno tre quattro volte l’anno si vedeva che Ben soffriva per il distacco. Anche da Helga, che aveva deciso di andare a lavorare nell’albergo di Elizabeth in Italia.
“Notizie di Sifer?” chiese Ben con sguardo scuro.
Semir scosse il capo.
“Nulla, sembra sparito dalla faccia della terra” fu costretto ad ammettere
“Io non mi preoccuperei … lo faranno fuori i suoi amici mafiosi, quelli non perdonano un  fallimento”
Ben si limitò ad annuire.
I giorni passati non erano stati facili.
Lui e Julia avevano deciso di far rimuovere tutti i rifiuti tossici dalle fondamenta dei palazzi costruiti, anche se questo con tutta probabilità significava il fallimento sicuro della impresa.
Per Ben non era importante, aveva il suo lavoro ed anche la più che sostanziosa eredità dei nonni paterni, ma Julia e Peter, anche se la cosa  non significava restare senza denaro, non avrebbero più avuto un lavoro.
E poi Julia doveva fare i conti con la certezza che  il suo adorato padre era un malvivente.
Il gruppetto delle auto arrivò all’aeroporto, con in testa l’auto di Andrea.
Lei e le bambine avevano insistito per accompagnare anche loro Elizabeth a cui le piccole si erano affezionate in modo esagerato.
La chiamavano nonna e avevano passato quasi ogni giorno con lei a cucire vestitini per le bambole e fare collane di pasta colorata.
Il gruppetto vociante si avviò verso l’area partenze, dove Julia e Peter erano già in attesa.
Helga abbracciò Ben e Julia, piangendo sommessamente.
Elizabeth stava lì a guardare i suoi primi due figli senza dire una parola.
Era troppo emozionata.
“Ci vediamo in Italia fra due mesi allora…” disse e accarezzò il figlio maggiore sulla guancia.
“Abbi cura di te, mi raccomando. Dovresti trovarti una bella ragazza sai… starei più tranquilla…” fece guardandolo dolce.
“Impresa difficile, il nostro Ben è un farfallone… lo dico  sempre anche io che è tempo di mettere la testa a posto” intervenne Semir
“Eppure mi sembra che ce ne siano di belle ragazze in giro… ad esempio il tuo capo è una donna bellissima…”
“Infatti è una donna bellissima, con delle labbra stupende” fece Semir
“No, per favore no” fece Ben con aria terrorizzata, mentre  il socio ridacchiava di nuovo come non aveva mai smesso di fare da un mese a questa parte.
“E va bene, chissà quando i miei figli mi faranno diventare nonna. Oltre alle tue figlie Semir ovviamente..” fece Elizabeth mentre stringeva le due piccoline
“In realtà…” la voce di Julia era leggermente imbarazzata
“Io volevo dire proprio questo. Fra sei mesi sarai nonna e voi due zii” disse poi  guardando la sua famiglia.
Ben rimase a guardare la sua famiglia, mentre tutti si congratulavano con Julia e Peter.
Era una vera famiglia e lui  ne era orgoglioso.
Ora non c’erano più segreti di famiglia da custodire, solo gioia da conservare nel cuore.
 

L’uomo con lo sfregio sulla guancia si sedette al bar del piccolo paese italiano.
Era un paese minuscolo e poverissimo e lui si era dovuto adattare ad una vita miserevole, sempre in ansia e sempre attento a non farsi scoprire.
Bevendo l’orrendo caffè che gli avevano portato guardò la campagna brulla che c’era davanti a lui.
“Me la pagherete, me la pagherete tutti” pensò
 E quel pensiero magicamente lo calmò.
Avrebbe avuto la sua vendetta. Era solo questione di tempo.
 
Siamo alla fine della storia, ma... non vi perdete l'appendice che pubblicheremo domani. Ne vale la pena, ve lo assicuriamo.
Già da adesso  un enorme gigantesco GRAZIE a tutti quelli che ci hanno seguito, letto e recensito.

Maty e Chiara

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Capitolo 19
*** Titoli di coda ***


Titoli di coda
“Quando un uomo con la pistola incontra un uomo con la biro, l'uomo con la pistola è un uomo morto', perché la biro dà l'eternità" (Roberto Benigni).
 
 
Gentili lettrici ( perché tanto lo sappiamo che siete tutte femminucce in questa sezione, ma se ci fosse un maschietto si facesse avanti … ),
come avrete capito noi siamo le “ragazze” (ragazze Chiara?? Sì, ragazze ,ragazze Maty, almeno nell’animo)  armate di penna più o meno virtuale, o meglio di tastiera PC e quando due “ragazze”  incontrano quelli  dell’ autostradale tedesca o della CID, se il termine vi piace di più perché fa vedere che siamo “studiate” e nella fattispecie  SEMIR e BEN… il sangue , preferibilmente quello di Ben , scorrerà a fiumi … perché fa audience , fa piangere le fan , fa recensioni  (RH) positive!!!
 E se Ben non finisce all’ospedale o in coma noi non siamo contente!!!
E a quanto possiamo capire le lettrici  da noi si aspettano solo quello … altro che la storia … SANGUE,SANGUE,SANGUE!!! ( detta così pare che scriviamo di vampiri).
 
Comunque tornando a noi.
Come avrete capito Maty è napoletana ( pizza e mandolino, doc come ama dire) e Chiara è vicentina ( se non lo sapete i vicentini vengono detti Magna-gati e se vi chiedete perché e pensate che c’entrino i felini domestici, avete proprio ragione).
Questa più che una storia è stata l’evoluzione della loro amicizia.
Maty, da brava napoletana, ha un gusto spiccato per la teatralità, per cui tutte le sue storie sono come delle “sceneggiate napoletane”  perchè  lei ama le storie drammatiche e sanguinolente ( da qui le scene Matyose come le definisce Chiara, quelle dove tutti  più che piangere  ululano e si strappano vestiti, capelli, unghie, tutto ciò che è strappabile, per il dolore).
Chiara da brava vicentina nordica è invece quella delle storie ordinate, ci vorrebbe mettere poco sangue e tanto cervello, ma poi si lascia convincere da Maty e tinge di rosso pure lei la tastiera.
Insomma questa è stata la tipica sceneggiata napoletana in salsa vicentina (alla faccia di chi si ostina a dire che le due anime di questo nostro Pese non possono convivere).
 
Doverosa premessa per una migliore comprensione della vicenda.
La sceneggiata napoletana segue più o meno sempre lo stesso canovaccio.
C’è un lui (isso in napoletano), uomo buono e coraggioso che ama,  ricambiato, una lei (issa sempre in napoletano) donna bella  e di morigerati costumi, ma  il loro amore viene contrastato da un cattivissimo (o’ malamente in napoletano). Solitamente dopo varie peripezie isso e issa coronano il loro sogno d’amore e o’ malamente fa una brutta fine (come minimo in prigione, meglio ancora muore “sparato”).
Se state pensando ai “Promessi sposi” ci avete azzeccato, è proprio così.
Ci sono poi delle varianti basate su peripezie familiari, dove il bravo ragazzo di famiglia, povera ma onesta, viene circuito, di solito da una donna di facili costumi, abbandona la famiglia ( con madre, padre o qualche altro parente stretto ammalatissimo ed in punto di morte), ma poi si pente e torna indietro  giusto in tempo per dare l’ultimo abbraccio al parente morente che in alcune occasioni miracolosamente guarisce, in altre no,  ma comunque alla fine tutti piangono (di gioia o di dolore è lo stesso basta che si piange).
Esempio tipico “O’zappatore” di Mario Merola.
Insomma questa è la spiegazione di come nasce questa storia, fusione delle due tipiche sceneggiate napoletane, con varie note di saggezza e lucidità vicentine.
 
Dunque , una sera le nostre due “socie” stavano amabilmente conversando quando …
“Ben è un figo, avrà anche le gambe storte e il naso grosso, ma è uno che attizza,  ma ha un padre che è brutto come il colera “ disse con fare prima allupato e poi disgustato una delle due.
“Secondo me è figlio di un corno” ribatté l’altra che aggiunse “Oppure sua madre era una gnocca da far paura”
“E  se scrivessimo una F.F. sulla madre di Ben” contro ribatté di nuovo l’altra socia “Magari non è morta , ma … “
Ecco così è nata la F.F. SEGRETI DI FAMIGLIA .
 
Personaggi ed interpreti, con i nomignoli con cui venivano chiamati durante la stesura della sceneggiatura:
 
ISSO- Ben Jager… DEF (sì, amiche  sta per deficiente. In realtà noi adoriamo Tom Beck, ivi comprese gambe stortine e nasone, ma Bennuccio in questa storia l’abbiamo fatto un po’… Def. Come dice Maty,  mononeuronale (ovvero con un neurone solo, che funziona pure a corrente alternata) nel senso che uno le cose gliele ripete cento volte e lui  manco le capisce (mammà è innocente… e lui: no è colpevole!! Zio Sifer è o’ malamente… no è bravissimo!).
ISSA- Semir Gerkan… BAUBAU (senza alcun intento gay, issa è Semir detto baubau per la sua fedeltà ad isso-Ben). Come tutti i cagnolini è intelligente, molto più del padrone, e cerca disperatamente di ottenere una qualche connessione con il neurone di Ben.
O’ MALAMENTE- Luis Sifer… LUCIFERO  (avete provato a dire di seguito nome e cognome… l’idea è stata di Chiara). Uno che più cattivo non si può, sfregiato e satanico. Inizialmente volevamo farlo pure orbo, ma poi abbiamo pensato che somigliava troppo a Capitan Harlock e la cosa non ci piaceva.
 
Personaggi secondari
 
Madre di isso-Elizabeth De Martino… MAMMA’ (con rigoroso accento sulla A finale) in omaggio alla famosa citazione “era meglio che ti facevo zappatore… o’ zappatore non sa scorda a mammà sua” per ulteriori informazioni consultare la voce O’ zappatore su wikipedia.it).
Padre di isso (o’ malamente in seconda)-  Konrad Jager … ‘NZIVATO. Dunque ‘nzivato in napoletano vuol dire tecnicamente “unto” e viene generalmente riferito al cibo troppo grasso ( ad es. un fritto ‘nzivato). Nel caso di specie il nomignolo è stato ispirato dai capelli… avete fatto caso che sembrano sempre perennemente unti?
Sorellastra di isso- Sofia De Martino … SORA BONA (tradotto dal napoletano sorella di notevole bellezza fisica). Un po’ amorfa come tipa,  ha un riscatto finale perché  fa strabuzzare gli occhi a Harty, ma  tanto quello si attizzerebbe pure per un manichino.
Sorella di isso- Julia Jager…insieme al fratello JAGHERINI quando erano piccoli. Ha ereditato la mononeuronalità (anzi sta pure peggio combinata, ne ha mezzo di neurone, visto che fino alla fine crede che il padre sia un gentiluomo).
Gli altri personaggi non hanno ricevuti nomignoli.
 
Riassunto della storia come è venuto fuori con le varie evoluzioni:
Isso-def se ne va in vacanza, ma siccome tiene le fregole (soldi ) e siccome il tempo in Germania sinceramente fa “vumcà” (traduzione: vomitare), alla faccia della Merkel e dello spread se  va in Italia, dove l’aspetta l’amico diplomatico, mezzo fannullone buono solo ad ingozzarsi di babà. A proposito chissà che fine hanno fatti quelli che mammà ha spedito a Ben, secondo me se li è pappati lui.
Arrivano all’hotel e guarda caso fra le migliaia e migliaia di hotel che ci stanno ad Amalfi e dintorni, dove si scopre che stanno? In quello di mammà, gentile signora sparita venticinque anni prima da Colonia, che ricompare venticinque anni dopo a Amalfi con solo un, dico uno solo, capello bianco.
Altro che noi povere mortali che facciamo il colore ogni mese.
Dunque mammà appena vede Def pensa… ma quanto è bono… fosse mio figlio? Ma sì che è mio figlio, boni così solo io li posso generare.
Def invece non se la fila proprio, solo ogni tanto pensa “stella stellina…” ovvero l’unica canzone che sa a memoria, perché l’unica che il mono- neurone che possiede è riuscito ad immettere nell’hard-disk, viste tutte le volte che mammà, con anomale tendenze bucoliche, la ripeteva.
La cosa brutta è  che Def inizia a filarsi la figlia di mammà ( e qui scatta l’allarme rosso… incesto).
Dunque mammà fa il cuore duro e caccia Def dall’albergo, il quale non se ne dispiace più di tanto,  tanto in Germania c’è Baubau che l’aspetta.
Solo che la sera prima mammà, che non resiste alla tentazione di cantare stella stellina, entra come Belfagor nella stanza di Def, non se capisce bene che vuole fare (cantare.. toccare..,); comunque sia, Def si sceta (traduzione si sveglia), Mammà si scanta (traduzione si spaventa) e corre via. Ma guarda caso il ciondolo che aveva addosso magicamente finisce nel borsone di Ben e quindi di filato a Colonia ( non chiedete perché, ufficialmente la chiusura era rotta, ma come sia volato nel borsone non si sa… sono FF).
Arrivato a Colonia Semir Baubau scodinzola perché è tornato Def, e Def apre il borsone perché gli deve dare l’amaro del carabiniere (Def ha una predilezione per i carabinieri, forse per le barzellette su di loro, gli ricordano qualcuno).
E tadaaa, ecco spuntare il ciondolo. Che non è un ciondolo normale (poteva mai essere?)  dentro ci stanno le foto degli Jagherini.
Ben finalmente riconnette per un attimo il neurone e corre da papà ‘Nzivato a farsi dare una spiegazione, visto che mammà è morta venticinque anni prima.
E qui:  entrata ad effetto di o’ malamente, alias Zio Luis Sifer, brutto sfregiato con ghigno diabolico ed alito puzzolente, socio di ‘Nzivato, che solo uno con un neurone può pensare buono e bello.
‘Nzivato prima necca, poi visto che il neurone di Ben si sta incazzando, inventa una storia (quella dello stallone italiano che si porta via la moglie fedifraga e traditrice) che solo Def si beve ( perché è Def), mentre Baubau “addora subito il fieto del miccio” (tradotto dal napoletano sente subito l’odore della miccia, nel senso che si accorge immediatamente, a naso, che qualcosa non torna).
Scena Matyosa con Def che sbatte tutte le sedie e corre via, mentre zio Luis ha ascoltato tutto dietro ad una tenda. Ora vi chiederete…ma che è l’uomo invisibile che sta dietro alla tenda e nessuno lo vede? Ve lo abbiamo già detto, non fate troppe domande, è una FF.
Ora poiché zio Luis è lucifero pensa… devo uccidere  mammà e così manda due scagnozzi ad ucciderla in Italia.
Solo che ci manda due della banda Bassotti, che mammà, alla guida della cinquecento di nonna Papera semina in men che non si dica e quei due finiscono anche giù nel burrone, arrostiti e cotti a puntino.
A questo punto mammà che fa? Ma ovvio al posto di scappare lontano, torna in Germania nella bocca del leone. Donna di intelligenza spaventosa…  non per niente madre di Def.
Arriva lì tutta bellina bellina e fa… Bennuccio fighhiu mio…, ma Def… che è Def se ne frega e la caccia via, non prima di averle lanciato il famoso medaglione dietro (tanto è rotto non se ne faceva niente).
Mammà incontra Baubau che sempre, annasando il fieto del miccio, capisce (ohhh finalmente uno che capisce qualcosa…) che la storia dello stallone italiano non regge (anche perché fra stalloni turchi o italiani ci si intende).
Mammà però sta incazzata assiae e corre da ‘Nzivato che ovviamente, appena lei esce, muore “sparato”.
Indovinate da chi? Ma ovvio chiunque dotato di più di un neurone pensa a zio Luis, solo Def pensa che sia stata mammà, nonostante che Baubau lo avverte che sta ormai morendo asfissiato a furia di annasare i fieti del miccio.
Scena Matyosa in cui ‘Nzivato prima di morire, al posto di dire: guardate che mi ha sparato lo sfregiato, cerca di dire a Def che deve cercare qualcosa. ( l’a… ag… e Def capisce al volo…  deve cercare l’agrume….e così gli viene il dubbio che il padre sia morto ucciso da una aranciata avvelenata, però non lo dice a nessuno, altrimenti lo prendono per ancora più def di quello che è).
Fatto sta che non si sa come (paranormalità?  Si è rivolto al mago di Acerra?)  zio Luis scopre dove sta mammà, ci mette la pistola con cui ha sparato a ‘Nzivato e Mammà finisce in ghebba, come dice Chiara in vicentino stretto.
A questo punto mammà vorrebbe pure dire la verità, ma lo zio Luis che non per niente è lucifero, gli manda una specie di avvocato che  le mostra le foto dei piccini.. e lei… uhhh guarda come sono carini… ma no risponde lui guarda che se parli e dici che non sei stata tu a sparare a ‘Nzivato te li facciamo a fettine.
Ora mammà, che prima era crucca, ma mo’ è napoletana ( i figl’ so’ piezz’ e core) subito si mette “a lengua ‘nganno” (traduzione a senso… mette a freno la lingua) e dice al giudice sono stata io, sono stata io.
Ma Baubau che si è scocciato di annasare sempre sti fieti del miccio va da lei e si fa confessare perché ha mollato ’Nzivato e Jagherini ( oltre al fatto che ‘Nzivato era sporco e unto, perché era un vero criminalone).
Saputa la verità cosa fa? Ma ovvio la fa scappare, pure se stanno in tribunale, quindi in luogo supersorvegliato, più facile che uscire dalla messa la domenica mattina (non fate domande per favore…).
Dopo un inseguimento cobrissimo, su macchine cobrissime, con sorpassi cobrissimi, Baubau semina Def ( e capirai che ci è voluto direte voi) e si va a nascondere con mammà.
Segue litigio cobrissimo con Def, che si becca pure uno sganassone perché si crede che mammà, malafemmina, ha sedotto  Baubau ( ma dico… e quando sarebbe successo, visto che prima stava in prigione?).
Come sia o non sia Def torna a casa e tadaaaa arriva l’agenda ( ahhh non l’agrume, l’agenda…) dove ‘Nzivato spiega tutte le malefatte sue e di Zio Luis. Oltre all’agenda ci sta pure una chiavetta nascosta nella banca (ma direte voi… perché non ha messo tutto sull’agenda o tutto nella chiavetta?  Perché non ha disposto che arrivasse tutto alla polizia e l’ha mandata a Def, che essendo Def, non si sa che fine ci faceva fare? Ancora co’ ste’ domande…la risposta è  sempre la stessa… è una FF e la cosa  ci serviva per la trama).
Mentre Ben sta lì a cercare di ottenere la connessione con il suo neurone e capire cosa fare, riceve la telefonata da zio Luis che nel frattempo ha preso mammà e Baubau (trovati sempre rivolgendosi al mago di Acerra)
Ovviamente Def corre (soprattutto in aiuto di Baubau) ma  prima se becca una serie di mazzate  a non finire e poi  sparano al povero Baubau. Così lui spiffera tutto e dice dove sta la chiavetta.
Per fortuna, in un attimo in cui la connessione neuronale ha funzionato,  ha anche avvisato la Kruger e ha messo un rilevatore GPS sulla sua moto, ma guarda caso… proprio quando serve  le tacche stanno sempre a zero.
Comunque zio Luis va a prendere la chiavetta, ma quella scema di Jenni non sa fare la finta donna delle pulizie e si fa scoprire, così Lucifero scappa e al posto di fuggire lontano che fa? Ma ovvio va a riempire di mazzate Def.
Nel frattempo Def ha fatto scappare mammà e Baubau dalla finestrella, piccola piccola, ma mammà è contorsionista e Baubau nanetto, quindi non hanno problemi. Def invece aspetta buono buono che torni zio Luis a farlo fuori.
Segue lotta cobrissima, con pugni cobrissimi e calci cobrissimi. Ovviamente Def ha la peggio e poiché zio Luis non vuole sprecare la pallottola (tirchio) lo mette vicino al gas pensando… tanto quanto ci mette un neurone solo a morire gasato?
Ma non ha fatto i conti con SuperKim che arriva, afferra Def, lo porta fuori ed inizia a fargli la respirazione bocca a bocca (in realtà è tutta una scusa… lo voleva baciare… confessate tutte gliela faremmo volentieri…) e Ben subito se sceta, fra le lacrime di mammà e gli ululati di Baubau.
Beh… la fine da: e “vissero tutti felici e contenti” la sapete. Solo Luis condannato a bere caffè immondo in Italia ( di sicuro sta in un posto sopra il Tevere… da lì in su i caffè fanno schifo) preoccupa un po’ (Maty io il caffè lo faccio alla napoletana!!!ricordi col macino, il caffè in grano nel frigo ecc. ecc. Sì Chiara, ma tu c’hai il trisnonno napoletano, quindi…).
 
Sappiate per chiudere che a) eravamo indecise su quale tortura riservare a Ben in questa storia, perché ormai le abbiamo provate tutte tranne:  l’acido, l’elettricità e la pietra al collo; b) l’enciclopedia Britannica sarebbe un foglietto di fronte alle frasi dette e alle c…. ”sparate” per la creazione di questa F.F. c) ognuna di noi ha le sue fissazioni, ad es. Maty manda sempre in coma Ben… e Chiara ha una anomala propensione a farlo suicidare (quanto meno pensarci); d) nella coppia Maty è Semir, quella che stende i rapporti e fa il lavoro sporco, Chiara è Ben… giovane e spensierata che da’ idee, spunti e spuntini.
Speriamo di avervi dato l’idea e di avervi fatto divertire come ci siamo divertite noi.
 
UN CALOROSO ABBRACCIO E UN “ARRISENTIRCI” DA:
Maty66 & ChiaraBJ … e dal neurone di Ben … se c’è ancora e ammesso che ne abbia mai avuto uno!!!
 
P.S.
Bennuccio ricorda che in fondo in fondo … ti vogliamo BEN anche quando ti sfottiamo a tutto spiano …  a te e a quel “tedescotto” del tuo “alter ego” Tom Beck, che ci teniamo a rimarcarlo … senza COBRA 11 e quindi senza di te la nostra  “cobrissima “ amicizia non sarebbe mai nata … e noi due siamo come Semir e Ben : simili, ma allo stesso tempo diverse e quindi ci “completiamo” , nella vita reale siamo persone fin troppo serie, anzi magari noiose, ma con “la penna virtuale in mano” e quando ci trasformiamo in “Maty66 & ChiaraBJ” …. Si salvi chi può!!!!
 

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