Una vita intera con John Smith

di Christa Mason
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Capitolo 1 ***
Capitolo 2: *** Capitolo 2 ***
Capitolo 3: *** Capitolo 3 ***
Capitolo 4: *** Capitolo 4 ***
Capitolo 5: *** Capitolo 5 ***
Capitolo 6: *** Capitolo 6 ***



Capitolo 1
*** Capitolo 1 ***


Caro Dottore, 
da quando te ne sei andato lasciandomi John Smith, le cose si sono fatte più semplici, lineari e per i primi mesi ho addirittura pensato di aver trovato uno stato permanente da difendere. Sai cosa intendo immagino, qualcosa che si avvicinasse a una famiglia, qualcosa che le persone normali non vogliono lasciare, un amore che fosse “tutto ciò che possiedo”. Oltre all’amore, abbiamo però un appartamento, io e John, con le nostre cose e il nostro gatto. Non so perché John abbia insistito a volerne uno, immagino sia perché gli piaccia l’idea di prendersi cura di qualcosa tutto il giorno, dal momento che risulta essere troppo smarrito e stravagante per trovarsi un lavoro. Mi piace l’idea che agli altri John risulti strano, averlo intorno e sentire lo sguardo degli altri su di noi, mi ricorda com’era essere a Londra con te, anche se John non è te.
L’ho baciato una prima volta, e mi sono sentita rassicurata dal fatto che mi fosse concessa una tua copia, per metà umana, senza le complicazioni di chi viaggia ai confini del tempo, senza l’incertezza di chi come te se ne va, forse senza più tornare. 
Ogni tanto John si addormenta sul divano: abbiamo un vecchio divano prossimo allo sfondamento che mia madre non sopporta, eppure nessuno ha mai seriamente pensato di liberarsene o di sostituirlo. E su quel divano John, mi sono accorta più volte, è un uomo come tanti altri, di quelli che si abbandonano ancora con i jeans addosso al sonno estivo, con quel suo ritmico e pesante respiro. Mi commuove, in particolare, quando John si lascia andare non riuscendo ad arrivare alla fine di un film. Ieri sera li avevo entrambi, il mio gatto e il mio uomo, su quel divano, entrambi addormentati, sollevandosi ritmicamente con il medesimo respiro. Ho capito che lo amo così tanto, perché ha il tuo aspetto, e perché mi ama, e all’amore reciproco ci si abitua. Ma più passano i giorni, più tremendamente si insinua dentro di me la convinzione che ciò che amavo più di te era il fatto che non fossi umano, per questo una tua copia umana potrebbe non essere abbastanza. John è l’uomo che sceglie di chiamare Einstein un gatto randagio e che mi abbraccia quando torno a casa, ma tu, amore mio, eri l’uomo che mi portava ai confini dell’universo. 
Rose. 
 

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Capitolo 2
*** Capitolo 2 ***


Dottore,
in questi ultimi mesi ho cercato un lavoro che non mi definisse come la persona banale e invisibile che hai trovato quella sera in cui i manichini volevano ucciderci (che, incredibilmente, sarebbe stata una delle cose più normali che avrei vissuto con te). C’è stata una settimana in cui sono stata in prova in una libreria, e non c’è stata mai una libreria più noiosa di quella, poi ho dato qualche lezione di inglese ad alcuni bambini stranieri che si fermavano in un piccolo centro culturale non lontano a dove ci siamo trasferiti (credo che sia stato allora che ho cominciato a pensare ad avere una famiglia) e poi c’è stato un periodo in cui ho saputo che avrei potuto fare la scrittrice. Prova a pensare: con tutte le cose che ho visto al tuo fianco avrei potuto diventare una celebrità per i nerd inglesi, ma poi ho pensato che mi sarebbe interessato solo un lettore: e in questa Inghilterra tu non ci sei.
Ieri sono finita a lavorare in un negozio di dischi. Non ho mai potuto dirmi davvero un’esperta di musica, né credo di averne mai data l’impressione, eppure, dietro a quel bancone dove mi hanno messo, mi sento importante. Più volte indecise signore sulla cinquantina mi hanno chiesto consiglio su quale disco comprare per i loro figli, nipoti o mariti. Il più delle volte, davanti a una scelta del genere il mio consiglio era del tutto casuale, si basava su quale tra i due dischi avesse la copertina più bella, quale avesse il prezzo più basso, e cose simili. É tutta l’impulsività che potrò mai sperare di esercitare. E non insisterò per adesso perché anche lui trovi un lavoro. Ci ha provato, ma non sembrava fare una buona impressione, e John se ne rende neanche conto.
Torno a casa, abbiamo questo bell’appartamento luminoso, anche se molto piccolo, e John è di solito alle prese con i fornelli (non è molto bravo, ma migliora) o con un buon libro: è così nuovo di questo mondo che persino i più grandi classici, di cui tutti noi già sappiamo la fine, lo tengono in sospeso. Pensavo dovesse avere tutti i tuoi ricordi, ed era così in principio, ma più i mesi passano, più tutto svanisce e più voi diventate persone diverse. Lui dimentica di esser stato te, e legge “Grandi Speranze” su quel divano, non sapendo di aver vissuto con me e Charles Dickens. E dimenticando se stesso, egli fa in modo che anche io ti dimentichi.
Ti scrivo perché mi manchi, perché quando facciamo l’amore mi chiedo se anche le tue labbra hanno quel sapore, e se anche le mani si muovono lungo la mia schiena con quella gentilezza.
Rose.

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Capitolo 3
*** Capitolo 3 ***


Caro Dottore,
Le cose stanno andando bene, e continuerò a lavorare nel negozio di dischi. Sam, il proprietario, è uno di quelli che non riescono a fare a meno di farti ridere continuamente, pur senza essere invadenti, e credo che sia stato proprio la sua presenza a convincermi del fatto che quello sarebbe stato un ottimo luogo dove passare le mie giornate senza sentirmi inutile.
John ed io abbiamo fatto l’amore anche questa notte. Per lunghi attimi non ho pensato a niente, se non all’amore dell’uomo che mi cingeva. Son scoppiata a ridere quando m’ha abbracciata sotto le lenzuola, per la sua innocente dolcezza. Avere John dentro di me, le mie dita intrecciarsi con le sue, finché i nostri gemiti non si confondono con i nostri sorrisi: non posso che chiamarlo amore. E, consumata l’ultima spinta, si è lasciato cadere al mio fianco, scatenando quel poco romantico cigolio delle molle del materasso. Ci siamo osservati, consapevoli che anche il materasso, come il nostro divano, non sarebbe mai stato sostituito. Amo John perché ha qualcosa di te, ma non ti nascondo che temo il momento in cui di te non riconoscerò più nulla in John. Perché tolti quei fremiti di passione, io mi rendo immediatamente conto di non amarlo, o meglio: di amarlo solo in quanto tuo surrogato. Come faccio a non immaginare come sarebbe stato farsi da toccare da te, sul tuo Tardis, ai confini del modo, ai confini del tempo?
Io amo l’uomo senza età che mi ha scelta come compagna tra tutti gli esseri viventi di ogni epoca, io amo te, e ti desidero perché non ho mai potuto averti, amo l’uomo che non mi ha mai sfiorata come un uomo, ma che alla fine di ogni cosa mi ha detto che mi amava. John continua a perdere i suoi ricordi, i tuoi ricordi, o li confonde con cose che ha letto, ed io non so cosa rispondere quando mi chiede, con i quegli occhi profondi e tristi e una copia del Riccardo III in mano, se abbiamo mai conosciuto Shakespeare.
“Io non… credo.”
“Lo so, sarebbe assurdo. Ogni tanto ho queste fantasie che confondo…”
“Non c’è niente di male a immaginare di incontrare Shakespeare.”
“Ma non è possibile averlo incontrato, giusto?”
Ha provato a vedere se riusciva a farsi assumere in una biblioteca la settimana scorsa, ma a quanto pare bisogna vincere una specie di concorso pubblico, o qualcosa del genere.
“Non è che si può semplicemente diventare un bibliotecario così… bisogna fare tutta una serie di…”, queste e altre chiacchiere sono state rifilate a John da parte di una rotonda signora radicata sulla sua sedia.
“Ma non sarò mai in grado di fare niente.” mi ha detto tornando a casa.
“Lo sai che non è così.”
“É per quello che sta succedendo alla mia testa. Mi viene da pensare a queste cose, queste cose che non sono mai accadute.”
“Forse non è come…”
“Ricordo un ordine di suore, o qualcosa del genere, con la faccia da gatto. E ciò non è che possibile!”
John scoppiò a piangere, con lo sguardo rassegnato di un uomo razionale che non possono integrarsi con una sola realtà, men che meno con questa. Non avrei mai avuto un giusta risposta.
“Ho letto che dimenticare…” aveva cominciato a dire, rispondendo al mio silenzio. “…. e usare delle fantasie per riempire ciò che manca è una malattia…”
“Lo so ma…”
“E non c’è cura, è una variante dell’Alzheimer. E sta capitando a me.”
Credo volesse dire di essere incredibilmente giovane perché sintomi del genere si manifestassero, ma non poteva ricordare quanti anni avesse. Probabilmente si sentiva molto vecchio, così vecchio da non poter essere ancora vivo: un’altra di quelle cose impossibili.
“Sono incinta.” ho risposto, non sapendo cos’altro dire.
Rose.

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Capitolo 4
*** Capitolo 4 ***


Caro Dottore, un editore si è mostrato entusiasta di racconti di John, e li paga cinquanta sterline l’uno. Aveva iniziato a scrivere per mettere in ordine ciò che aveva in testa, riempiendo il nostro salotto di scartoffie. É stata una sera che, rientrando a casa dal negozio e ritrovando tutte le nostre, tue e mie, avventure nero su bianco, ho pensato che non poteva essere un’idea tanto brutta: c’era stato anche un momento in cui la scrittrice dovevo essere io. Scrivere tutto ciò che ricorda sta diventando un’entusiasta missione; e John scrive, scrive, scrive, guardandomi e sorridendo per non sentirsi più inutile, e appena un poco meno confuso. Col tempo, non ci sarà più nessun ricordo impossibile, nessuna macchina del tempo o attentati alieni, solo belle storie su una rivista letteraria.
Le sue mani seguono le mie curve, ogni sera appoggia l’orecchio sulla mia pancia dicendomi che sente nostro figlio, tentando forse di convincermi che possiamo funzionare come famiglia. Non sono più in tempo per abortire, e questo sembra averlo rassicurato, ma la mia freddezza…. questo no, questo lo fa impazzire.
“Perché hai tenuto il bambino, se non mi ami?”
“Io non lo so!” rispondo esausta. “Non so se voglio avere una famiglia.”
Quella mia sentenza, che suonò così definitiva e così triste, lo riempì di una fragile delusione pronta a rompersi in un suo improvviso nuovo pianto.
“Non metterti a piangere, non adesso.” lo pregai.
“É per me, vero? Perché sono pazzo e…”
“Non sei pazzo.”
“Ma sto migliorando, ho cominciato a scrivere per fissare le cose, questo aiuta.”
“John, un giorno tutto questo ti sarà più chiaro, ma…”
“Rose, il fatto che io non ricordi e non comprenda alcune cose non fa di me un cattivo padre.” mi guardò, “E il fatto che tu sia preoccupata fa di te un’ottima madre.”
Rose.

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Capitolo 5
*** Capitolo 5 ***


Dottore,
nessuno potrebbe convivere con i ricordi di qualcun altro, di questo, amore mio, non mi hai mai avvertito, non mi hai mai preparata ad affrontare l’amore di un uomo che non sei tu e che non ha più idea di chi tu sia. La parte di te in John sta sparendo, ogni cosa sta semplicandosi, e sarò una triste donna che vivrà nella speranza che tu torni da me. Non voglio una famiglia con un uomo che non ricorderà il nostro primo incontro, non voglio una famiglia che mi tratterà quando tu tornerai per me.
“Come fai a comportarti così, ad essere fredda e a non sapere perché? Come fai a…” e questo era il momento in cui John Smith non sapeva che altro dire, ed io non potevo spiegargli che amavo un altro che in lui non c’era più, che amavo l’idea di avere un figlio e una famiglia, ma non con lui. E non c’era modo di consolare John Smith, nessun modo che non fosse una menzogna.
“Abbiamo avuto un qualche incidente, vero? Uno di quelli dove l’automobile viene distrutta, lui perde la memoria e lei, incinta, perde il bambino?” ha detto all’improvviso, contenendosi il viso tra le mani, con i suoi occhi imploranti e umidi.
“Come ti viene in mente una cosa del genere?”
“É l’unica soluzione, l’unica cosa che avrebbe senso, l’unica cosa che spiegherebbe che tu non voglia…”
Un giorno avrebbe smesso di chiedersi cose del genere, e sarebbe stato un uomo normale, un uomo che non avrebbe dovuto sopportare i miei silenzi.
“So che non sei pronta a parlarne, ma quando sarai pronta io…”
“John, ci è successa una cosa, ma non è un incidente. Tutto ciò che è legato a quell’evento sta succedendo, dobbiamo solo aspettare. Un giorno smetterai di farti domande, John.”
“E saremo felici?”
“Non lo so.”
Rose. 


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Capitolo 6
*** Capitolo 6 ***


Dottore,
ho continuato a lavorare al negozio di dischi, nonostante la gravidanza. Mi piaceva il fatto di poter stare seduta, tra la folla, la musica pop, lontana dall’appartamento e dalle scartoffie di John, che contengono la nostra vita, tua e mia. É stato perfetto, finché quel giorno, alzandomi dalla mia sedia girevole dietro il bancone, tra montagne di dischi ancora da riordinare, non mi sentii le cosce bagnarsi. Mi tenni la pancia, con lo sguardo fisso e impossibilitata a muovermi. Fu Sam a destarmi da quello stato prendendomi la mano, chiamò un’ambulanza. Sapevo ciò che stava facendo, tuttavia non riuscivo a realizzare che stavo per avere quel figlio, la cui idea avevo tenuta tanto distante.

“Non so se abbiamo fatto bene a chiamare l’ambulanza.” mi disse.
Risposi con uno sguardo interrogativo, se era uno dei suoi soliti scherzi non avevo la concentrazione necessaria per comprenderlo.
“Pensaci bene.” continuò Sam. “Nascere in un negozio di dischi è veramente figo: se solo mia madre ci avesse pensato!”
Sorrisi senza entusiasmo. E continuai ad annuire ad ogni parola che mi rivolse per conforto.
Per le ore che seguirono notai solo un via vai di gente e un susseguirsi di dolorose spinte accompagnate dalle mie urla mute, desiderando che quel momento non finisse mai, per non doverne affrontare le conseguenze, e che tutto finisse il più presto possibile. Non riuscii ad essere felice, pur sapendo che sarebbe stato giusto esserlo.
“C’è suo marito, lo facciamo entrare?” disse una delle infermiere.
“Non è mio marito.” mi ritrovai stupidamente a precisare negli affanni. Non so perché lo feci, né perché non desiderassi avere John con me. So che il dolore si liberava in me, cercavo di trattenerlo, e nel mordermi il labbro versai del sangue sul mio volto.
Il primo pianto della nostra bambina ruppe le pareti. Non sapevo come l’avremmo chiamata, né se avrei ritrovato te nei suoi occhi, te che continuo a cercare in ogni cosa. John mi passò una mano sul volto, raccogliendo con il pollice il sangue del mio labbro che avevo morso fino a rompere. Teneva tra le braccia nostra figlia, e gli sorrideva segnando il suo profilo con un dito. La sfiorava come volesse esplorarla, scoprire quell’essere che era del tutto suo, la prima cosa sua che avrebbe potuto ricordare per sempre. Mi guardò con il tuo sorriso, cercando forse la mia complicità, e improvvisamente capii che sarebbe andato tutto bene, tutto banalmente bene.

Ti basti d’ora in poi sapere che sarò felice.
tua Rose.

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