Guilty

di TheStoryteller
(/viewuser.php?uid=85592)

Disclaimer: Questo testo proprietà del suo autore e degli aventi diritto. La stampa o il salvataggio del testo dà diritto ad un usufrutto personale a scopo di lettura ed esclude ogni forma di sfruttamento commerciale o altri usi improri.


Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Verdetto (Bella) ***
Capitolo 2: *** Terreni Oscuri (Edward/Bella) ***
Capitolo 3: *** Tradimenti (Bella/Edward) ***
Capitolo 4: *** Tempi lontani (Demetri/Edward) ***
Capitolo 5: *** Fantasmi invisibili (Demetri/Bella) ***
Capitolo 6: *** False speranze (Edward) ***
Capitolo 7: *** Ospiti Indesiderati (Demetri/Edward) ***
Capitolo 8: *** Incontri Inattesi (Edward/Bella) ***
Capitolo 9: *** Promesse di Sacrifici (Demetri/Alice/Edward) ***
Capitolo 10: *** Verità Negate (Alice/Edward/Bella) ***
Capitolo 11: *** Perdersi nel tempo (Edward/Bella) ***



Capitolo 1
*** Verdetto (Bella) ***


Questa fanfic è la prima che abbia mai scritto.
Risale al 2009, anno in cui scoprii la Saga e, con essa, questo fantastico spazio che è efp.
A suo tempo fu pubblicata con un altro nick, in un account adesso cancellato.
Nessuno sicuramente la ricorderà... Visto il tempo trascorso e la sua interruzione al trentesimo capitolo, ad un passo dalla fine.
La mia patologica incapacità di potare a termine i miei progetti, quantomeno quelli rientranti nella nozione di hobby, ha sempre costituito un problema, dal quale vorrei un giorno potermi dissociare. Nella speranza che questa costituisca una mossa nella giusta direzione, ripercorro i miei passi dall'inizio, alla ricerca di quelle parole che, alle volte, ho il sentore di aver perduto.
Thestoryteller
 
p.s. Verità Nascoste è sempre nel mio cuore e non ho mai perso la speranza di portarla a termine.

 

 

Guilty

 

 

Volterra, 15 marzo 2006
Bella
 
 
"E adesso cosa facciamo di voi?" sospirò Aro.
Al sentire quelle parole iniziai a tremare. Il nostro verdetto stava per essere comunicato e non si preannunciava nulla di buono… non ci avrebbero lasciato andare, almeno non tutti. L’unica consolazione era la possibilità per Edward e Alice di salvarsi. Le loro capacità li rendevano appetibili come soldati e questo sarebbe stato presumibilmente sufficiente a mantenerli in vita. Quanto a me, una semplice umana, le mie speranze di sopravvivenza erano drasticamente ridotte.
"La proposta è 'unitevi a noi o morite' vero? Con tanti saluti alle vostre leggi" sibilò Edward.
"Certo che no. A nessuno è concesso violare le leggi di Volterra, neanche ai suoi Signori. Se è questo che ti preoccupa, posso assicurarti che ogni cosa sarà fatta seguendo le regole” rispose Aro con calma studiata.
Benché quelle parole dovessero costituire una garanzia, non sortirono in me alcun effetto rassicurante. Al dì là dell'assoluto rispetto delle regole – chissà poi quali - si parlava di cose, cose da fare, e questo era sufficiente per alimentare la mia paura.
Mi voltai verso Edward e Alice, cercando un indizio di ciò che sarebbe avvenuto. Erano tesi e questo non era un buon segno.
Poi, in quello che mi parve un attimo, gli occhi di Alice si annebbiarono e il volto di Edward si contrasse in una smorfia di rabbia. Sentii la presa alla mia vita farsi più stretta, quasi soffocante.
Stordita dalla velocità degli eventi, cercai di rimanere attenta, così da non perdere il filo di ciò che mi stava accadendo intorno.
"Sorprendente, davvero sorprendente Alice. Hai percepito il futuro legato alla mia scelta nel momento stesso in cui essa è stata presa" osservò Aro con una smorfia di compiacimento.
"Ebbene?" incalzò Caius che, privo di poteri psichici, era ansioso di conoscere la sorte che il suo signore aveva in mente per noi.
"Come tu sai, Caius, Edward e Alice non hanno violato nessuna delle nostre leggi, quindi, se lo desiderano, possono liberamente lasciare Volterra. Per quanto riguarda Bella, invece, mi trovo costretto a…" si soffermò come a voler cercare le parole migliori da utilizzare. "…trattenerla".
A quella rivelazione le gambe mi cedettero e un senso di vertigini mi assalì. Il solo pensiero di cosa potesse significare essere trattenuta dai Volturi mi pietrificava. Mi imposi con tutte le mie forze di rimanere lucida.
Edward e Alice potevano andare, solo questo era importante.
Ripetei mentalmente quella frase all’infinito, finché non riuscii a calmarmi. Allora, facendo perno sulle solide braccia che mi stringevano, mi raddrizzai. 
"Aro mi unirò alla tua guardia, ma lasciala andare. Lei non c'entra niente con tutto questo" tuonò Edward.   
"Non pensi che sia un po’ tardi per volerla escludere dalla nostra realtà? Lei è conscia della nostra esistenza, delle nostre capacità. Ciò non può essere ignorato, anche a dispetto del mio grande desiderio di vederti parte della guardia" rispose Aro con fare comprensivo. Sembrava quasi un padre che spiegava al figlio di non poter tenere il cagnolino raccolto per strada. Peccato che in questo caso io sarei stata il cagnolino e abbandonarmi sarebbe equivalso a condannarmi a morte.
"Non rappresenterà un problema. Io posso mostrarti chiaramente che Bella non tradirà mai il nostro segreto" si intromise Alice.
"Per quanto sia curioso di poter visionare di persona una delle tue previsioni, sono costretto a ricordarti ciò che tu stessa hai affermato poco fa, ossia che il tuo dono non è infallibile. Considerando poi lo stretto legame che condividi con la nostra Bella, non puoi certo biasimare le mie remore nel fidarmi"
Un ringhio vibrò nel petto di Edward. "Sono solo scuse. Questo era il vostro intento fin dall’inizio".
"Ragazzo, comprendo il tuo rammarico, davvero… ma esistono delle regole: Regole che hanno consentito alla nostra razza di prosperare per millenni. Nessun essere umano può conoscere il nostro segreto".
"Il vostro palazzo brulica di umani, ma immagino che loro non contino" la sua voce era roca, irosa, ma controllata. Stava sicuramente ragionando su un modo che ci permettesse di uscire vivi da quella disperata situazione.
"Penso sia a Gianna cui ti riferisci. Sì, lei è indubbiamente umana, ma… ma c’è pur qualcosa che la differenzia dalla tua Bella". Edward non parlò, invogliandolo a continuare. Stava cercando di guadagnare tempo. "Diciamo che, qualora dimenticasse coloro cui deve la sua fedeltà, andrebbe incontro ad una fine cruenta. Tu non sei in grado di assicurare lo stesso. Se rivelasse la nostra esistenza, non riusciresti ad ucciderla".
"Non lo farò" promisi, imprimendo alla mia voce il tono più fermo che in quel momento mi era possibile. Ne uscì però solo un appello disperato. Aro tacque, perdendosi nei suoi ragionamenti. Non compresi la sua esitazione nel dare l’ordine della mia cattura. Era evidente che la decisione fosse già presa e nessuna eccezione, anche se la più valida, avrebbe potuto produrre il ben che minimo effetto. Arrivai alla conclusione che, forse, il prolungarsi della conversazione era per loro solo una forma di intrattenimento.
Mi sbagliavo.
"Vedi, mia cara Bella, non posso lasciarti andare. Tuttavia…" mi guardò entusiasta "…in virtù dell’amicizia che mi lega a Carlisle, potrei accontentarmi di un compromesso".
"Aro, non ora" si intromise Edward, con un tono leggermente più pacato. Le prospettive dovevano essere migliorate, altrimenti non si spiegava il suo cambio di atteggiamento.
"Su questo punto non sono ammesse trattative. E comunque spetta a Bella decidere, non credi? Dopotutto è della sua vita che stiamo parlando…"
A quelle parole non riuscii a non rabbrividire, anche se tentai comunque di mantenere un certo contegno. Continuavo a spostare lo sguardo da Aro ad Edward, aspettando che qualcuno dei due si degnasse di dirmi cosa stava accadendo. Dopo alcuni minuti di straziante attesa, Edward si decise a parlare.
"Ti concederà di lasciare Volterra solo se accetterai di essere trasformata" disse secco, non distogliendo, neanche per un attimo, l’attenzione da Aro.
Trassi un profondo sospiro di sollievo. Mi ero aspettata di peggio… Avrei sinceramente preferito che tutto ciò avvenisse in un altro modo, in altre circostanze, ma, considerando le prospettive in caso di diniego, si poteva sorvolare. 
"Allora facciamolo" dissi, senza esitazione.
Edward mi riservò un’occhiata di ghiaccio. Non riuscivo veramente a capire quale fosse il problema. Preferiva davvero che morissi anziché permettermi di diventare come lui? 
"Perfetto" disse il Volturo. "Edward, immagino vorrai tu l’onore" concluse, con un macabro sorriso.
"Ti giuro che lo farò, ma non ora" ripeté, questa volta imprimendo un tono autoritario alla sua voce.
"Sono stato già fin troppo benevolo con te, Cullen. Non otterrai altro da me. A te la scelta: trasformala tu o sarà uno dei miei a farlo" sentenziò Aro serio e fece cenno a Demetri di farsi avanti.
"Non ti azzardare ad avvicinarti a lei" ringhiò minaccioso Edward.
Lo guardai supplicante, desiderosa quantomeno di sapere cosa lo frenasse. Lui sembrava angosciato, le mani strette in pugno, la mascella serrata. Cosa c’era di così difficile nella decisione che doveva prendere? Voleva davvero fosse un altro a trasformarmi?
"Edward, ti prego"
"Bella, non capisci. Sono giorni che non mi nutro, non riuscirò mai a…". L’indecisione, mista alla rabbia, annebbiava i suoi occhi come un veleno scuro, rendendoli ancora più neri e minacciosi.
Temeva di non essere in grado di fermarsi in tempo.
Si sbagliava, ero sicura che non mi avrebbe mai uccisa… O comunque, se l’avesse fatto, era sempre meglio morire per mano sua che di uno dei Volturi. Perché in quel caso sarei morta. Niente avrebbe infatti indotto Demetri a fermarsi prima di prosciugare il mio corpo.
Dedicai un fugace sguardo ad Alice, che, qualche passo dietro di noi, era imperturbabile. Mi fece un leggero segno di assenso con la testa, in risposta all’infinita serie di domande che mi vorticavano nella mente. Quel gesto fu essenziale, mi donò la tranquillità necessaria ad impormi.
Sarebbe andato tutto bene. Ora ne ero assolutamente sicura. 
"Fallo" dissi avvicinandomi a lui e scoprendomi il collo. La mia voce suonò straordinariamente ferma e decisa, così tanto da sorprendere anche me.   
"Bella, io…"
Indugiava, continuando a fissarmi in un’innaturale immobilità.
"Allora?" sollecitò Caius, annoiato dall’attesa.
Aro, alzò rapido la mano imperiosa, zittendolo. Ci osservava come uno studioso intento ad esaminare un fenomeno raro e straordinario, del quale non intendeva perdersi neanche un momento.
La sua attenzione era ripugnante.
Mi sforzai di non pensarci e concentrarmi soltanto su me e Edward.
Incrociai veloce il suo sguardo. "Mi fido di te"
Di fronte alla sua esitazione, scostai ancora di più la maglietta. "Mi fido di te" ripetei, ancora una volta, scandendo ogni sillaba. 
Vidi a poco a poco la mia convinzione, divenire la sua. "Bella, ti amo e non…"
"Lo so" lo zittii, rendendomi conto io stessa di non aver bisogno che mi rassicurasse o mi spiegasse nulla. Avevo deciso di amarlo e di restare con lui nonostante la sua natura. Adesso era solo arrivato il tempo di raccogliere i frutti delle mie scelte. Ero consapevole fin dall’inizio che questo momento sarebbe arrivato, quello di morire o vivere per sempre. Il rischio era alto, ma il premio che avrei ottenuto in caso di vittoria, almeno a mio parere, valeva l’azzardo.  
"Perdonami" disse, carezzandomi la guancia e donandomi uno dei suoi sguardi più belli.
Chiusi gli occhi, esorcizzando la paura pensando solo al suo volto perfetto, le sue dolci carezze, i suoi baci. Tutto ciò non sortì il minimo effetto sulla mia angoscia, ma almeno mi permise di rendere maggiormente piacevole l’attesa che qualcosa si verificasse. 
Passarono alcuni secondi prima che percepissi le labbra fredde di Edward posarsi leggere sulla pelle scoperta del mio collo. Un brivido di paura mi scosse, ma fu velocemente sovrastato dal fuoco del mio corpo al suo tocco, dolce preludio all’agonia che – in un modo o nell’altro – mi stava aspettando. 
Benché persa nel turbine delle mie contrastanti emozioni, percepii con innaturale chiarezza i suoi canini penetrare nella mia pelle, affondare in profondità tra i tessuti. Un dolore forte mi trafisse, accompagnato da un grave senso di nausea. Presto l’aria divenne satura dell’odore del mio sangue, impregnata di un ributtante alone ferroso che mi impedì di respirare. 
Il mio istinto mi diceva di divincolarmi, di tentare di scappare, ma non mi mossi. Stretta tra le braccia dell’uomo che amavo rimasi immobile, permettendogli di nutrirsi di me senza resistenze.
Il suo desiderio, prima debole e timoroso, divenne più frenetico e insaziabile. I denti laceravano sempre più a fondo la mia pelle, facendomi contorcere dal dolore.
"Ed…wa…r…d". Cercai di invocare il suo nome, nel tentativo di risvegliare l’uomo, ormai completamente soggiogato dalla bestia, ma la mia voce era debole, malferma. Presto sentii il mio corpo indebolirsi e le mie palpebre diventare pesanti.
La consapevolezza mi colpì allo stomaco con la forza di un pugno.
Edward aveva sempre avuto ragione.
Lui non sarebbe stato in grado di fermarsi.
"E..d..". Un ultimo disperato richiamo.
Poi nulla.   

Ritorna all'indice


Capitolo 2
*** Terreni Oscuri (Edward/Bella) ***


Questo secondo capitolo costituisce un intermezzo. 
Ci troviamo cinque anni più tardi l'arrivo di Bella a Volterra, avuto luogo in New Moon.
Già dal prossimo capitolo, invece, la narrazione seguirà il suo naturale corso a partire dal decimo anno successivo tale accadimento. 
A breve, tutto sarà più chiaro... Promesso!! ;)
A presto,
Thestoryteller
 
 
 
Santana, 1 Maggio 2011
Edward
 
Steso su un manto soffice di erba incolta, godevo del silenzio dei boschi, nascosto all’ombra di un ciliegio in fiore. Il vento spirava leggero, creando un movimento ondulatorio tra i rami folti degli alberi, permettendo a qualche solitario raggio di sole di raggiungermi il viso. Nell’aria aleggiava una fragranza mista di fiori e muschio, inebriata dalla fusione con un vago sentore di vaniglia che, debole ma inconfondibile, era sprigionato dalla pelle di colei che sonnecchiava tra le mie braccia.
Erano alcuni minuti che Bella non parlava nonostante fosse perfettamente sveglia. Lo percepivo dal suo respiro, troppo leggero per combinarsi ad un sonno profondo, e dal suo occasionale muoversi alla ricerca di un migliore appoggio sul mio petto. Il calore delle sue guance arrossate bruciava sulla mia pelle gelida, intiepidendola sino a condurla alle soglie stesse dell’umanità.
“Per quanto tempo ancora intendi privarmi della tua compagnia?” le chiesi. Nonostante fossero passati appena pochi minuti dall’ultima volta che i nostri occhi si erano incrociati, percepii affannoso il desiderio di vedere il suo viso. Gli occhi bruni dal taglio gentile, la pelle così pallida da apparire esangue a fianco delle guance rosate e quelle labbra… tentazione irresistibile per ogni uomo: morbide, rosse come il peccato più vitale, lasciate schiuse apposta per me.
Feci scivolare la mano sul suo fianco, scavalcando la mia camicia e raggiungendo la pelle nuda della schiena. Percepii il suo sorriso crescere sulla mia pelle.
“Scusa” sussurrò piano. “Pensavo volessi rilassarti un po’…” 
“Mai”. Le diedi un bacio sulla fronte. “Non voglio sprecare neanche un minuto del nostro tempo…”
Si issò sulle braccia e mi guardò con espressione serena.
Era di una bellezza divina.
I boccoli le scendevano scomposti sulle spalle, perdendosi in pozze castane sul candore della camicia. La spalla destra era lasciata scoperta quasi fino al gomito, primo assaggio della bellezza che il lino trasparente riusciva appena a velare. I seni piccoli e sodi erano fin troppo facili da intravedere attraverso la stoffa, così come i fianchi stretti e flessuosi. Le gambe nude erano piegate sull’erba fresca...
“Vieni qui” le dissi, tirandola a me. Era inconcepibile quando intensamente desiderassi averla vicina ogni momento, come se un solo respiro speso senza di lei fosse una perdita imperdonabile, incommensurabile.
Assecondando i miei desideri si mise a cavalcioni sulle mie gambe. “Solo un ultimo bacio…” mi sussurrò all’orecchio.
“Mmm… Non faccio promesse”. Sorrisi sghembo, come sapevo piacerle, intanto che le slacciavo i bottoni della camicia, liberandola dall’unica copertura al suo corpo. Un piccolo ansito le sfuggì dalla bocca quando con le dita percorsi i tratti dei suoi seni. Lo soffocai mesto con la pressione delle mie labbra sulle sue…
Una forte sensazione di vertigine mi colse improvvisamente, annebbiandomi la vista e facendo sfumare la realtà che avevo intorno. I suoni armonici della radura mutarono nelle note selvagge di una giungla vitale e popolosa di animali selvatici, la calura piacevole dal sole primaverile fu sostituita dal caldo umido di una foresta pluviale.
Quando lo stordimento si affievolì in un malessere appena sopportabile, riuscii a riaprire gli occhi, registrando la figura aiutante e scura di una donna sudamericana davanti a me.
Zafrina mi sosteneva per le spalle e mi scrutava con sguardo grave. “Come ti senti?”
Ci volle qualche secondo per ricordare dove mi trovassi e le circostanze che mi avevano condotto nel Nord del Brasile ad invocare l’aiuto dell’unica vampira al mondo che avesse la capacità di restituirmi, sebbene in forma d’illusione, ciò che avevo perduto. In un secondo dieci anni di sofferenze mi ricaddero addosso con un macigno troppo pesante da portare.
Bella…
Lei non esisteva più.
Un’ondata di rabbia, feroce, viscerale, mi assalì, inducendomi a scagliarmi verso l’amazzone che avevo di fronte. “Fallo ancora!” le urlai con tutta la furia che avevo in corpo.
La spinta portentosa che le avevo inflitto la fece atterrare sul tronco robusto di un albero tropicale, producendo un tonfo assordante. Zafrina si rialzò senza sforzo, mantenendo un’espressione tetra ed evidentemente preoccupata. “Non posso” chiarì, senza intenzione di contrattaccare. “Edward, devi calmarti…”
In una frazione di secondo le fui addosso. Con il gomito piantato alla base della gola e un ginocchio piantato sullo sterno, la immobilizzai a terra, senza ottenere ancora alcuna reazione. “Fallo ancora” minacciai ad un soffio dal suo viso.
“Non posso” ripeté.
La guardai con rabbia, con quel rancore che più il tempo passava più diveniva difficile da controllare. Aumentai la pressione sul collo, disperato. Avrei anche potuto ucciderla…
“Edward, smettila!” sentii gridare.
Qualcuno mi arrivò alle spalle, bloccandomi le braccia con una presa ferrea. “Basta, adesso!”
Mi divincolai, usando tutta la forza di cui disponevo, ma il mio avversario non indietreggiò di un passo. Quando mi resi conto che non sarei mai riuscito ad avere la meglio, smisi semplicemente di lottare, rilassando il corpo e allentando i nervi, ancora frastornati.
Soltanto allora Jasper mollò la presa, giusto il tempo necessario per sferrarmi un pugno ben assestato in pieno volto. Caddi a terra, di schiena, sul manto umido della foresta. Non ero riuscito a carpire dalla sua mente l’idea di compiere quella mossa… Il mio dono si stavano dissolvendo, giorno dopo giorno, portando con sé le mie capacità cognitive, compromesse dalla manipolazione mentale che Zafrina stava operando da mesi sotto mia espressa preghiera.
Rimasi dov’ero, troppo debole per muovermi.
Un lieve fruscio mi informò che Zafrina si era rimessa in piedi, fortunatamente illesa. “Mi dispiace, Edward. Mi dispiace davvero” sussurrò ai miei pensieri. Si scambiò un breve sguardo con Jasper prima di sparire nella foresta, lasciandoci soli.
Un lungo silenzio impegnò i successivi minuti.
Un’infinità di pensieri affollarono la mente di mio fratello, senza che nessuno riuscisse a prendere il sopravvento. Era preoccupato, afflitto, sconfitto… La convinzione di riuscire a guarirmi, in qualche modo, si stava dissolvendo velocemente dopo tre anni trascorsi lontano da Forks, dalla famiglia, da Alice. Stava cominciando a convincersi di aver sbagliato tutto.
“È tempo che torni a casa, Jazz…” suggerii con sincera indifferenza. “Nessuno può fare più niente per me”
Lui, come al solito, ignorò il mio consiglio e condusse altrove la conversazione. “Lei è preoccupata” mi informò. “Insiste per raggiungerci”
Quell’informazione non era nuova. Erano giorni che Jasper cercava il momento adatto per introdurla, ma nonostante ne fossi cosciente fu ugualmente in grado di provocarmi un’inarrestabile ondata di rabbia, profonda e devastante. Strinsi i pugni quanto più forte ero capace, lacerandomi la pelle e lasciando che il liquido nero che mi impregnava le vene cadesse a terra in una pozza di petrolio. “Sarebbe una mossa davvero stupida”
Jasper osservò la mia collera, senza stupirsene. “Edward, stai commettendo un errore…”
“Un errore?” ringhiai. “Per colpa dei suoi giochetti ho perso tutto. Tutto”
“Sei suo fratello. Cosa ti aspettavi? Che ti lasciasse morire?”
“Avrebbe dovuto”
“Che differenza può fare? È solo questione di tempo, ormai. Non ti nutri da mesi, continui a sottoporti a continui lavaggi del cervello… Edward, il dono di Zafrina è un’arma. La tua mente non riuscirà a sostenere un simile stress ancora a lungo. Ti spegnerai senza neanche la possibilità di dirle addio”
“Non mi importa”
Jasper sospirò. “Bella non avrebbe voluto questo
Fu soltanto un pensiero inconsapevole, sfuggito alla sua mente, ma mi colpì con la forza di una coltellata sul cuore. Feci appello a tutte le mie energie e, con un scatto veloce, mi rimisi in piedi e gli arrivai davanti, issandolo per il colletto. “Cosa vuoi saperne tu di cosa avrebbe voluto?”
Jasper sostenne il mio sguardo, con perfetta calma.
Tentai di colpirlo, ma riuscì a divincolarsi con facilità e con una spinta mi rigettò a terra. Mi rialzai, ma non ebbi fortuna. Jasper mi lasciò avvicinare quel tanto che bastava a colpirmi ancora e ancora. “Hai disonorato il suo sacrificio in ogni modo che ti è stato possibile”
Impiegai le poche forze che mi rimanevano per un ultimo, inutile attacco, prima di arrendermi. “Ha ragione” ammisi a me stesso, e la collera mutò velocemente in disperazione. Con il volto nascosto nel fango e nessuna determinazione a muovermi, lasciai che Jasper mi aiutasse a rimettermi in piedi. Mi passò un bracciò dietro la schiena, tenendomi in equilibrio. “Tu che cosa avresti fatto?” sussurrai appena, senza il coraggio di guardare mio fratello in volto.
Non ebbe neanche bisogno di soppesare la mia domanda. “Mi sarei vendicato”.
 
Volterra, 1 Maggio 2011
Bella
 
Il buio più fitto mi circondava come un mantello di catene invisibili.
Cieca, correvo disperata nei meandri del sottosuolo, tentando di districarmi nel labirinto di pietra che era divenuto la mia prigione. Muri spessi e gelidi si ergevano ogni dove, bloccandomi la strada, costringendomi a tornare indietro.
Svoltai a destra, a sinistra. Andai avanti, senza direzione.
Mi ero perduta.
Fiammelle lontane riverberavano la loro tiepida luce in lontananza, avvertendomi dell’imminente arrivo dei miei carcerieri, dell’inutilità della mia fuga.
Il dolore lancinante alla testa peggiorava ogni passo, rendendomi malferma e traballante.
Avevo poco tempo.
Mi voltai. Una luce si faceva sempre più vicina e minacciosa.
Ero in trappola.
Tentai di accelerare il passo, ma inciampai.
Caddi in avanti, sulle ginocchia e le mani, senza percepire dolore.
Nemmeno un graffio scalfì la mia pelle.
Mi rialzai e corsi ancora, disperata, arrancando nelle tenebre.
Lontana, una triste cantilena scandiva i miei passi.
Mi sforzai di essere attenta, di individuare il punto da cui proveniva quella voce, ma l’eco era traditore.
Poteva provenire da dovunque.
Svoltai bruscamente e caddi ancora.
La membra cominciarono a bruciare, insopportabili.
Qualcuno mi aveva raggiunto.
Urlai, più forte che potevo, intanto che mani sconosciute mi afferravano, riconducendomi nella mia gabbia. 

Ritorna all'indice


Capitolo 3
*** Tradimenti (Bella/Edward) ***


 
Eccoci al terzo capitolo...
Siamo ancora all'inizio, dunque non vi allarmate per quanto leggerete.
Date tempo al tempo.
A presto,
Thestoryteller
 
Volterra, 16 maggio 2016
Bella
 
 
Fuoco ardente che divampa e divora le membra duttili.
Si ciba di sospiri spenti.
Porta con sé ricordi di dolori e gioie, di risa e pianti.
Due occhi amorevoli mi osservano e poi scompaiono nei meandri del sonno eterno.
Chi sei?
La domanda si dissolve nel buio tormentato di una notte senza ritorno.
Quando aprii gli occhi la luna era ancora alta nel cielo. La sua luce candida e pura penetrava dalla finestra spalancata e illuminava la stanza, riflessa nella seta candida delle lenzuola. I tendaggi preziosi del letto a baldacchino ondeggiavano silenziosi, proiettando ombre velate sul mobilio antico e ricercato che arredava la camera.  
Confusa, tentai di alzarmi, ma un dolore lancinante e improvviso mi avvolse la testa, serrandomi il respiro e facendomi ricadere all’indietro. Portai istantaneamente entrambe le mani sulle tempie. Era una gestualità puramente umana che non mi avrebbe portato alcun beneficio, ma era così impressa nel mio modo di agire da divenire un qualcosa di automatico.
Avrei desiderato gridare, ma mi trattenni.
Immobile, fui preda di quel tormento per diversi minuti; poi, improvvisamente scomparve, lasciandosi alle spalle soltanto un lieve formicolio su tutta l’area della fronte.
Proruppi in un sospiro.
Era già la terza volta che succedeva quella settimana ed il dolore sembrava aumentare ad ogni ripetizione.
La faccenda mi stava sfuggendo di mano…
Mi alzai da letto, coperta soltanto di un vestito da notte leggero, e raggiunsi il bagno. Riempii le mani di acqua gelida e mi sciacquai il viso, provando immediatamente una sensazione di sollievo. Cosa mi stava succedendo?
Stavo per tornare in camera, ma senza un vero motivo mi soffermai ad osservare la mia immagine riflessa nello specchio.
Pallido e privo di difetti, il mio volto era grazioso e sofisticato come l’opera di un grande artista, immoto e innaturale come soltanto le cose perfette sanno esserlo; soltanto gli occhi grandi e scuri sembravano ispirare un vago senso di vitalità alla mia espressione, niente comunque di paragonabile a qualcosa di umano.
“Tutto bene, ma petite chère?”
Incrociai lo sguardo di Demetri attraverso la superficie riflettente.
“Non proprio” ammisi, dedicandogli un sorriso.
“Ancora quei mal di testa?”
Teneva le braccia incrociate, in una posa che metteva in risalto la muscolatura del collo, lievemente tesa.
Era preoccupato.
“È stato solo un momento. Adesso va meglio”
Gli andai incontro, sforzandomi di assumere un’espressione serena.
L’abito di lino leggero poneva un velo sottile sulla sua corporatura asciutta ma prestante. I capelli dorati appena lavati, ancora bagnati e pettinati indietro, gli conferivano un aspetto raffinato. “Perché non torniamo a letto?” gli sussurrai, con malizia, a fiori di labbra.
I suoi occhi scuri, dalla posa perennemente concentrata, mi osservarono attenti, mostrando una certa reticenza a far cadere l’argomento. “Devi parlarne con Aro”
“Non ancora”
“Bella…”
La condiscendenza nella sua voce, mi spronò a prendere l’iniziativa. Quello sapeva diventare un discorso spinoso... Frenai ogni sua contestazione con un bacio lungo e appassionato. “Dobbiamo proprio discuterne adesso?”
Demetri parve convincersi dell’obiezione e si lasciò condurre in camera da letto, chiudendosi la porta alle spalle.
 
Gli entusiasmi della notte precedente non valsero a dissipare le questioni lasciate irrisolte. La mattina, insieme alle notizie della giornata, portò con sé il riproporsi della discussione sul mio precario stato di salute.
Demetri si era appena alzato e stava velocemente preparandosi per uscire. La divisa scura, dal taglio militare, gli conferiva un’aria affascinante. Il lungo mantello grigio fumo quel giorno sarebbe rimasto nell’armadio: troppo fuori moda per non destare perplessità negli ignari abitanti di Volterra!  
“Tra mezz’ora devo incontrare Marcus” mi informò rapidamente mentre infilava la giacca. “Più tardi, però, ho intenzione di fermarmi a palazzo”
E quindi di chiedere udienza ad Aro, avrebbe dovuto aggiungere. 
Semidistesa, poggiata alla testata del letto, gli riservai uno sguardo deluso. “Vuoi parlargli, non è vero?”
”Dovrei farlo, Bella, dannazione!” rispose, fin troppo bruscamente. “Sono mesi che rimandiamo. E per che cosa? Se esiste un modo per capire cosa ti sta succedendo, lui è sicuramente l’unico ad avere i mezzi per trovarlo! Perché ti ostini a volerglielo tenere nascosto?”
Soltanto in quel momento mi resi conto di quanto era preoccupato e… sconvolto. Fui tentata di corrergli incontro e stringerlo forte tra le braccia, ma mi trattenni, troppo orgogliosa per dargli ragione. “Aro ha ben altri problemi per perdere il suo tempo con simili sciocchezze!” ribattei. “L’offensiva che sta organizzando contro i Clan del Nord…”
Non mi diede neanche modo di finire la frase. “Chi te ne ha parlato?”
“Jane, credo” mi sforzai di ricordare. “Mi ha raccontato che Aro sta valutando di inviare le squadre speciali. È la verità?”
“Non siamo ancora a questo punto. Stiamo valutando altre soluzioni”
“Quali?”
“Non sono questioni che posso discutere con te”
Il tono definitivo con cui rispose valse a fargli guadagnare il mio astio. Era raro che discutessimo, ma ultimamente sembrava non riuscissimo a farne a meno. Da qualche mese Demetri viveva in uno stato di perenne tensione. Vedeva Aro quasi quotidianamente e impegnava la maggior parte del suo tempo in interminabili adunanze delle quali, una volta rientrato, si rifiutava di parlare, trincerandosi dietro lunghi e angustiati silenzi. Stargli vicino era diventato improvvisamente difficile: perdeva la pazienza facilmente e si rifiutava di mettermi a parte delle sue ansie.
Vederlo andar via adirato, però, mi fece quasi pentire del mio comportamento. Forse avrei dovuto essere più comprensiva. In fondo si stava soltanto preoccupando per me…
Stavo quasi per richiamarlo quando, ad un passo dall’uscire dalla porta, si voltò spontaneamente. La linea delle spalle era più rilassata, sebbene lo sguardo rimanesse serio. “Puoi stare tranquilla, non dirò niente…” promise. “Ci vediamo stasera”
Gli sorrisi, senza proferire verbo e attesi che fosse uscito per alzarmi da letto.
Non avevo impegni per quella mattina.
Da quando avevo imparato a padroneggiare il mio dono, gli allenamenti si erano ridotti ad un paio di volte a settimana. Improvvisamente mi ero trovata con una grande quantità di tempo libero. Avevo scoperto qualche nuova passione da aggiungere a quella per la letteratura, che, almeno mi avevano raccontato, mi caratterizzava anche da umana: l’ultima era la musica.
Feci una doccia e, senza curarmi di asciugare capelli, indossai un abito nero corto fino al ginocchio.
Mi spostai nell’anticamera della stanza da letto. Ultimamente era diventata la mia stanza preferita. Al suo centro, un pianoforte a coda nero troneggiava nel candido sfondo di pareti imbiancate. Una grande vetrata consentiva una vista spettacolare sulle campagne senesi.
Mi accomodai sullo sgabello e chiusi gli occhi.
Le note di Claire de lune si diffusero sofisticate nella casa vuota, conferendomi un immediato senso di pace. Padrona nell’esecuzione, lasciai le mani libere di muoversi veloce sui tasti d’avorio, godendo della sensazione di dolcezza e appagamento che quell’arte era solita lasciarmi impressa nella membra. Lasciai la mente vagare, scortata dal suono gentile lasciatoci in eredità da Debussy, quando mi resi conto, improvvisamente, che le mie dita stavano eseguendo una melodia diversa, sconosciuta alle mie orecchie, eppure tanto familiare.
Quelle note, così romantiche e tristi...
Per un momento ebbi l’impressione di poter afferrare un ricordo, l’immagine di un volto che la mia mente non si rassegnava a dimenticare.
Fui colta da una fitta alla testa, ancora più terribile di quella di questa notte. Caddi a terra, incapace di sorreggermi. Agonizzante, distesa sul lucido pavimento di parquet, mi domandai se non avessi commesso un errore nel pregare Demetri di non informare Aro. 
 
Seattle, 16 maggio 2016
Edward
 
“Il comandante informa i signori passeggeri che ha appena avuto inizio la procedura di atterraggio. Raccomandiamo di tornare ai propri posti e allacciare la cintura di sicurezza”.
La lieve accelerazione praticata dai motori decretò il rapido sfumare dell’atmosfera rilassante che aveva caratterizzato l’intera traversata transoceanica. Un fastidioso fruscio metallico andò a sostituirsi al sottofondo ovattato che, complice la durata del viaggio, aveva indotto molti passeggeri al riposo e alla completa assenza di pensieri. L’eco di un centinaio di riflessioni, generalmente affannate dal controllato calare di quota del velivolo, mi affollò la mente, ponendo fine anche al mio riposo.
Confondendomi alla massa, mi agganciai le cinture di sicurezza, guadagnandomi il sorriso interessato dell’operatrice di volo. Chiusi gli occhi, muovendomi un po’, giusto per mimare la giusta dose di agitazione.
Nel giro di pochi secondi ognuno sarebbe stato al proprio posto, troppo concentrato ad augurarsi il buon esito dell’atterraggio per far caso alla mia immobilità.
Nel sottofondo di una moltitudine di affanni, mi trovai a chiedermi cosa avrei dovuto aspettarmi, una volta a terra.
Erano più di sette anni che non tornavo a Forks.
Sette anni da quando avevo scoperto la verità su quanto era avvenuto a Volterra.
Sette anni da quando avevo semplicemente cessato di avere una famiglia.
Le grida disperate di Alice, le sue insulse giustificazioni mi riempivano ancora le orecchie come un suono stridulo e fastidioso. Tutti avevano assunto le sue difese, considerando ragionevole il movente sconsiderato delle sue azioni. Lo stesso Carlisle mi aveva esortato a valutare più razionalmente la situazione.
Traditori.
Quel giorno avevo ripromesso a me stesso che non sarei tornato mai più a casa e avrei tenuto fede alla mia parola se le contingenze non avesse richiesto inesorabilmente il mio rientro in patria.  
Fin in Europa si vociferava che Carlisle aveva compiuto una mirabile opera di sensibilizzazione riguardo le forme alternative di alimentazione, dando luogo ad una corposa serie di legami influenti, potenzialmente utili alla mia causa. Potenziali soldati, immortali dalle grandiose abilità, avrebbero potuto trovare profittevole combattere il dominio assoluto dei loro tiranni sanguinari, sostenitori della superiorità della razza vampira su quella umana e protettori dei benefici che da questa conseguono. Dovevo soltanto convincerli all’insurrezione…
Si, ma come?
Non sarebbe stato semplice…
Carlisle non avrebbe capito, ne ero certo.
Eppure era mio compito tentare.
Non appena il carrello dell’aereo si poggiò sulla pista in un tonfo, un familiare flusso di pensieri mi penetrò agile le membra.
Mi stavano aspettando. 

Ritorna all'indice


Capitolo 4
*** Tempi lontani (Demetri/Edward) ***


Scusate il ritardo, ma questioni personali hanno richiesto la mia attenzione altrove. 
I prossimi aggiornamenti dovrebbero essere più costanti.
Questo quarto capitolo è tutto al maschile, troverete un Edward un po' cambiato, provato dal tempo che ha dovuto affrontare senza Bella.
A prestissimo,
Thestoryteller
 
N.d.a. Dovrei aver risolto i problemi di grafica. Scusate!! :)
 
 
 
Volterra, 16 maggio 2016
Demetri
 
 
Alla velocità massima consentita dalla mia Alfa Spider imboccai con una brusca sterzata il bivio che conduceva a Volterra. Lo stridio dei pneumatici sull’asfalto, chiaro segno che stavo già procedendo al limite, non mi impedì di premere l’acceleratore fino al massimo. Affrontai la serie di tornanti in cui si snodava la strada ad un’andatura folle.   
Bella…
Farla mia per tutta la notte non era stato che un piccolo lenitivo alle mie angosce.
I suoi respiri, le sue carezze, i suoi baci non erano riusciti nel profondo a cancellare il terribile senso di inarrestabilità delle ore.
Restava così poco tempo...
Avevo bisogno di distogliere la mente, porre tutta la mia attenzione su qualcosa di diverso da quell’assillante serie di pensieri. Sorpassi un autoarticolato nel pieno di una curva a gomito, guadagnandomi il dissenso tanto del camionista, quando dell’uomo alla guida di una berlina dai colori pastello proveniente dall’altro senso di marcia.
Quei mal di testa…
Strinsi le mani tanto saldamente da far scricchiolare il manubrio e continuai la mia corsa verso il castello, lasciandomi alle spalle soltanto il rombo del motore e una lunga scia di polvere.
 
***
 
Entrai nel palazzo tramite un passaggio sotterraneo, dal quale si aveva accesso dalle fondamenta di una casa abbandonata posta sul retro del palazzo municipale. Marcus mi aspettava nei sotterranei, nella zona più remota dell’immenso sottobosco di sale e passaggi che costituiva le fondamenta di Volterra.
Nell’ottocento quell’area era stata il fulcro della vita di corte, ma adesso versava in un totale stato di degrado. Sfondo di una delle vicende più terribili che avevano segnato la storia della guardia dei Volturi e il dominio di Aro, era stata lasciata a marcire, ricoperta di polvere e muffa.
Quando imboccai il corridoio che conduceva alla piccola anticamera, un tempo sala di lettura privata di Marcus, smisi di respirare, liberandomi dell’inutile pena di inalare il pungente odore di fetido che sembrava prorompere da ogni pietra. Procedetti nel buio completo, orientandomi soltanto con l’aiuto dei ricordi. Chiudendo le palpebre, potevo ancora vedere la cura e lo sfarzo con cui erano arredati quegli ambienti, carichi di tappeti dai colori vivaci e quadri ricercati dalle pesanti cornici dorate. C’erano fiori ovunque e decine di candele profumate che sapevano far dimenticare di trovarsi in un sotterraneo anziché in ariosa villa in campagna.
Didyme avrebbe saputo rendere piacevole anche una prigione…
Superato il corridoio e varcata la soglia dell’ultima porta un rivolo d’aria densa di polvere allontanò ogni sentore di dolcezza abbinato alle mie memorie e mi ricondusse al lugubre scenario del presente.
Strizzai gli occhi, già abituati alla completa oscurità, per fare una ricognizione della stanza.
Un’unica fiaccola illuminava la piccola sala dall’aspetto spoglio. Del bel mobilio di un tempo non era rimasto che un tavolo e qualche sedia coperta da teli bianchi, ingrigiti dalla polvere. I pesanti scaffali, ricolmi di libri antichissimi, trascrizioni a mano dei più arcaici teoremi filosofici, erano ancora là, esposti all’umidità e pronti al disfacimento insieme a tutto ciò che li circondava.
“Credo che non riuscirò mai a visitare questo luogo senza provare un profondo senso di colpa”
La voce di Marcus proveniva dall’angolo più buio della sala. Sostava in piedi, davanti ad una parete vuota, ma che un tempo aveva accolto un bellissimo ritratto della donna che amava.
“Che fine ha fatto?”
“Bruciato” spiegò in un sussurro tanto flebile da indurre il dubbio che provenisse dall’oltretomba. “Come tutto ciò che le apparteneva”
“Mi dispiace” ammisi e mi sforzai di ricordare, senza tuttavia riuscirci, l’espressione sempre gentile di Didyme. Due secoli sapevano essere davvero troppi, anche per la mente di un vampiro…
Per un momento mi domandai se anche per Marcus fosse lo stesso, se il volgere del tempo aveva eroso anche la sua memoria, insieme alla gioia di vivere, fino a rendere il ricordo di lei solo un’ombra sfocata, priva di particolari, irraggiungibile.
“È stato tanto tempo fa…” commentò, come se la questione avesse perso di ogni importanza.
Fui profondamente grato del fatto che Marcus stesse ancora guardando il vuoto innanzi a sé e non avesse potuto scorgere nei miei occhi la profonda pena che provavo nei suoi confronti. Letale, sagace e profondamente rispettoso della vita umana era stato il migliore maestro che potessi avere… Non meritava la mia commiserazione.
“Ho ricevuto il tuo biglietto” disse, facendosi avanti e lasciandosi alle spalle il terreno di guerra che era stato il suo passato. Il suo sguardo era impassibile, come sempre, ma in fondo ai suoi occhi sembrava essersi annidata una nuova e indelebile ombra. “Perché volevi parlarmi?”
“I mal di testa di Bella si sono fatti più frequenti”
“Ha dato segno di ricordare qualcosa?”
“Non ancora”
Aggrottò le sopracciglia, in ricordo di quella che era stata la sua mimica da umano. Assunse un’aria inquieta. “La questione sta diventando preoccupante…”
Mi tornò alla mente la reazione con cui aveva accolto la notizia della mia relazione con Bella. Il sollievo di vedermi finalmente legato a qualcuno era velato da una punta di profonda delusione. Non si aspettava che il ricordo del grande amore che l’aveva legata ad Edward Cullen fosse davvero stato rimosso dalla terribile opera di manipolazione compiuta sulla sua mente.
Gli anni di agonia, rinchiusa nelle segrete del palazzo, costantemente soggetta agli attacchi mentali congiunti di Alec e Jane erano valsi a privarla di ogni memoria. Il suo dono l’aveva naturalmente resa resistente a qualsiasi intrusione mentale e soltanto il denutrimento e l’assenza totale di stimoli erano riusciti ad indebolirla tanto da sgretolare le sue difese.
La fortuna aveva voluto che durante quegli anni fossi assegnato altrove, capitano di una spedizione nel territorio scandinavo a caccia di un clan di potenziali trasgressori. Seppi che era sopravvissuta soltanto al mio ritorno, quando Aro mi diede il compito di istruirla al combattimento e, in generale, alla nostra condizione.  Quando la rividi era talmente debilitata e incapace di sopportare il duro addestramento necessario per entrare a far parte della guardia che, per la prima volta dopo decenni di ubbidienza, mi rifiutai di portare a termine i comandi che mi erano stati impartiti, pregando di essere impiegato in un altro incarico. La mia richiesta fu respinta e l’insubordinazione magistralmente punita…
“Hai informato Aro?” domandò Marcus, riportandomi al presente. “Sta organizzando una campagna in Canada. Se intende far partecipare anche Bella, è importante metterlo al corrente delle sue condizioni. Quei mal di testa potrebbero metterla in pericolo”
“È ciò che ho fatto, ma ha dato segno di non prendere seriamente la questione”
La frustrazione che avevo provato quando, dopo aver tradito la promessa di silenzio fatta a Bella, mi ero visto rivolgere un sorriso abietto e chiedere quale fosse il problema, si infiammò nuovamente dentro di me, iniziando a strepitare come un fuoco lento e pericoloso.
Aro aveva intenzione di inviare in Canada un gruppo ristretto di guardie, istruite a procedere secondo una strategia fondata sulle capacità di protezione di Bella. L’aumento di frequenza delle sue emicranie costituiva un grande pericolo per la sicurezza di tutti quanti, senza contare che avrebbe messo a rischio il buon esito dell’intera operazione.  
Marcus era sinceramente costernato. “Non ha alcun senso” valutò. “Le condizioni di Bella potrebbero determinare il fallimento della spedizione, nonché la perdita di importanti elementi della squadra… La sua partecipazione, infondo, non è utile più di altre volte in cui ne è stato fatto a meno. Perché rischiare?”
Lo guardai negli occhi e con tutta la calma di cui ero capace gli rivelai il particolare che per spirito di negazione gli avevo taciuto fino a quel momento. “Il Clan del Nord verso cui, da mesi, stiamo catalizzando la nostra attenzione è composta da una rete di famiglie accumunate dalla recente tendenza di aderire ad un nuovo stile di vita. Sono integrati con gli umani e si nutrono di sangue animale. Immagino sia superfluo chiarire a quale particolare famiglia fanno riferimento…”
Dalla sorpresa che scorsi nei suoi occhi mi resi conto che Marcus ne era totalmente all’oscuro. “Di cosa sono accusati?”
“Ufficialmente? Di cospirare contro Volterra, fraternizzare con gli umani, rivelare l’esistenza della nostra natura, generare razze miste. L’elenco è piuttosto vario…”
“Avrei dovuto aspettarmelo” si rimproverò. “Aro ha sempre avuto un’ossessione per la famiglia di Carlisle. La loro unione è sempre stata peculiare. La terribile lotta che hanno dovuto affrontare per reprimere la loro natura predatoria ha consentito loro di sviluppare una coscienza molto simile a quella umana, nonché stringere rapporti di natura più stabile rispetto a quelli tra i normali vampiri. Aro li ha sempre visti come una minaccia…” spiegò con pazienza. “Cosa sa Bella di tutto questo?”
“Ho tentato di tenerla all’oscuro quanto possibile, ma Jane le ha accennato qualcosa…”
“Quella malefica ragazzina”
“Non ho voluto indagare troppo. Puoi certamente comprenderne il motivo…”
L’immagine stravolta di un vampiro dai capelli ramati trattenuto a terra dalle terribili torture di Jane intanto che il corpo privo di vita dell’umana che amava gli veniva strappato dalle braccia e dalla vista attraversò i miei pensieri e, quasi sicuramente, anche quelli di Marcus. “La determinazione di Aro nel far partecipare Bella alla spedizione non può essere casuale. Vuole recapitare un messaggio ai Cullen”.
“Senza dubbio” convenni. “C’è, tuttavia, qualcosa che mi sfugge. Far scontrare Bella con vampiri che praticano una dieta alternativa, considerato anche lo stato preoccupante delle sue emicranie, potrebbe indurla a riacquistare la memoria. È una realtà che ha già conosciuto e potrebbe stimolare la sua mente… Che senso potrebbe avere? Finirebbe per tradire la causa di Volterra e il vantaggio che Aro crede di avere sui Cullen sarebbe perduto…”
Marcus annuì, condividendo quella conclusione. “A meno che…”
Fu solo un attimo, ma ebbi l’impressione di vedere nel suo sguardo una smorfia di terrore, presto sfumata in una posa di concentrazione.
“Cosa?” domandai, intimandolo di terminare la frase.
Marcus si trincerò in un lungo silenzio meditativo. “Ho bisogno di riflettere e di ottenere qualche informazione”.
 
 
Seattle, 16 maggio 2016
Edward
 
 
Lo sguardo affettuoso che mi riservò Carlisle appena fuori dal gate fu una prova che lungamente avevo temuto di affrontare, ma alla quale mi trovai preparato.
“Bentornato figliolo”
Già una volta avevo visto il suo viso animato da quell’espressione, quando tanti anni prima ero tornato a casa dopo un periodo trascorso a disconoscere i suoi insegnamenti, seguendo uno stile di vita più consono alla mia condizione e che non contemplasse alcuna privazione. Era trascorso molto tempo e, allora, esisteva ancora nel mio animo qualcosa da recuperare…
Le circostanze adesso erano ben differenti.
Alcun giustificabile istinto di protezione paterna o promessa di scuse avrebbe potuto cancellare il ricordo di quella notte di sette anni prima, del momento in cui l’uomo che, più di ogni altro, era detentore della mia fiducia mi aveva pugnalato alle spalle, giustificando il tradimento terribile di una sorella e amica.
Quanta falsità poteva annidarsi nella promessa di essere una famiglia.
Eravamo vampiri, anime dannate destinate alla vita eterna, non morti. Chiunque ci amasse era perito da decenni, troppi per consentirci di ricordare quale fosse un legame fraterno o parentale.
La nostra era solo finzione, una pessima commedia ideata per ingannare gli umani, pensata per ingannare la solitudine, garantirci reciproca protezione, perseguire una comunanza di interessi.   
“Non avresti dovuto disturbarti a venire” convenni, senza incedere ad alcun sentimentalismo. “Come già Alice avrà potuto prevedere, non sono tornato per restare”.
Carlisle non parve turbato dalla durezza delle mie parole. “Posso solo immaginare il motivo per il quale sei tornato… avremo modo di parlarne nei prossimi giorni. Per il momento permettimi che ti accompagni in città” si offrì, lasciandosi andare ad un sorriso che sembrava una richiesta di tregua.
Nel parcheggio dell’aeroporto ci attendeva una Mercedes dai vetri scuri. Posai la valigia vuota, portata soltanto ad onor di forma, nel bagagliaio e presi posto accanto a Carlisle nel sedile anteriore. “Alloggio al Plaza, ma immagino che tu già lo sappia”.
Carlisle non rispose alla provocazione. Mise in moto, uscì dal parcheggio e imboccò l’autostrada, diretto verso il centro di Seattle. “Negli ultimi anni le capacità precognitive di Alice ci hanno regalato le uniche notizie che avevamo di te o, almeno, la certezza che tu fossi ancora vivo. Puoi biasimarci per avervi fatto ricorso?”
“Sono più incline a credere che il tuo intento fosse di tenermi d’occhio, non è vero padre?” valutai, pronunciando quest’ultimo appellativo in una cadenza dispregiativa. “Così, all’occorrenza, avresti sempre potuto mandare Jasper ad impedirmi di fare sciocchezze”
“Dopo tutto ciò che hai visto negli ultimi anni, la vita che hai condotto, le cose che hai imparato, scoperto, assaporato, credi davvero che abbia commesso un errore a tentare di salvarti la vita?”. Lo sguardo era ancora rivolto alla strada, impassibile, ma dalla voce traspariva una punta ineludibile di speranza.
Sorrisi apertamente, provando pena per l’uomo che avevo vicino.
Il percorso che mi ero apprestato a compiere non era volto alla mia rinascita, ma alla mia distruzione. Avevo pellegrinato per il vecchio continente, riscoprendone la storia bellica e l’impronta che la presenza dei vampiri aveva giocato nell’evolversi degli eventi, avevo attraversato l’oriente per apprendere nuove forme di combattimento, una nuova filosofia di vita che mi fornisse la concentrazione necessaria a perseguire uno scopo apparentemente irrealizzabile: distruggere l’imperio dei Volturi.
Avevo conosciuto la tortura, la privazione, la guerra.
Avevo percorso tutti i livelli della meditazione, acquisito piena consapevolezza di ogni abilità fisica e mentale.
Mi ero sottoposto all’arte della seduzione, sperimentato ogni forma d’amore fisico, così da privarlo di ogni potere di condizionamento.  
Avevo stretto alleanze, posto le basi di amicizie profittevoli quanto pericolose.
Mi ero preparato alla vendetta ed a morire tentando di realizzarla.
“Se per un solo momento hai creduto di potermi salvare, sei stato un folle” commentai con scherno. “Il figlio che con tanta ipocrisia hai cresciuto è morto tanti anni fa in Italia”.

Ritorna all'indice


Capitolo 5
*** Fantasmi invisibili (Demetri/Bella) ***


Non provate neanche lontanamente a fare l'abitudine ad aggiornamenti così tempestivi!!! :P
Vi lascio al quarto capitolo,
Buona lettura,
Thestoryteller
 

 
Volterra, 16 maggio 2016
Demetri
 
Ripercorsi la strada che conduceva fuori dai sotterranei abbandonati e feci il mio ingresso nel castello dalla porta principale. Aro mi aveva convocato per quel giorno e, qualora non mi fossi presentato, non avrei che alimentato i suoi sospetti riguardo il mio tentativo di sottrarmi ai suoi comandi.
Attraversai senza esitazione la parte umana del palazzo e, facendomi strada tra umani ignari della mia stessa natura, discesi nelle profondità della struttura municipale, sino a giungere al salone di pietra che Aro aveva eletto a propria sala del trono.
Uno spazio immenso dalla forma rettangolare si dispiegava, completamente vuoto, al di là di un’antica porta medievale, progettata per resistere agli attacchi di arieti e ai fuochi degli uomini che agli albori della storia avevano tentato di purificare con le fiamme le creature della notte. Sullo sfondo, tre troni di pietra si ergevano sopraelevanti, illuminati da fiaccole antiche e perennemente accese. Dalla loro posizione privilegiata dominavano l’intero spazio della corte, suggerendo un corretto senso di padronanza su qualunque cosa si ponesse ai loro piedi.
Aro mi aspettava là, seduto sul trono centrale, in una posa di perenne attesa. “Benvenuto Demetri”
A grandi passi percorsi l’intera sala, sino a fermarmi ai suoi piedi, in ginocchio, così come esigevano le consuetudini. “Mi avete fatto chiamare, Signore?”
La sicurezza vergata dei secoli conferiva ai suoi modi un’autorità assoluta, una padronanza di sé incontrastata che avrebbe dissuaso chiunque ad opporsi al suo volere. I suoi ordini erano legge e non esisteva perdono per la loro violazione. Didyme ne era stata la provava vivente…
“Partirai tra tre giorni, accompagnato da un gruppo ristretto e formato da Jane, Bella e Felix” comunicò con una fermezza che non ammetteva repliche. “Avete il compito di reperire quante più informazioni possibili sui dissidenti del Nord: il loro numero, abilità e strategie. Al vostro ritorno non dovranno più rappresentare alcun mistero per il nostro esercito. Non siete autorizzati ad ingaggiare battaglia, per nessuna ragione”
Lo sguardo a terra in segno d’assenso, questa volta, era solo un espediente per celargli la mia espressione di frustrazione. “Permettetemi di ricordavi, Signore, che le condizioni di Isabella sono peggiorate. I suoi mancamenti si sono fatti più frequenti e potrebbero pregiudicare l’intera operazione”.
Qualcosa nel tono usato dal mio interlocutore mi suggerì che aveva perfettamente chiara l’intera situazione. “Non essere apprensivo, comandante, si tratta soltanto di una missione ricognitiva”.
Se in quel momento Aro mi avesse ordinato di porgere la mano e mostrargli i miei pensieri starei stato certamente decapitato tanta era la rabbia che provavo nei suoi confronti. “Quali sarebbero gli ordini qualora i Cullen riconoscessero Isabella o, peggio, la loro presenza stimolasse la sua memoria fino a farla ricordare?” chiesi in un tono basso e fin troppo brusco per dissimulare l’ira che mi scorreva nelle vene.
Aro proruppe in una risata distesa, stridula e raccapricciante. “Speriamo tutti che ciò non accada. Come ben ricordi Isabella è vincolata da un giuramento perpetuo che non le consente di abbandonare la guardia, se non a pena di esecuzione”
“Sarei più tranquillo se non corressimo un simile rischio” insistei, sapendo di percorrere una strada pericolosa. “Potremo portare a termine l’incarico più facilmente senza di lei”
“Non ne dubito, ma non sarebbe ciò che ti ho ordinato”
“Se lei ricordasse…”
Le mie parole si persero nel suo avvertimento. “C’è una parola che racchiude il significato di quanto stai facendo, si chiama insubordinazione e tra le file del nostro esercito è duramente punita. È questo che vuoi, Demetri?”
Sostenni il suo sguardo per un momento intero, alla ricerca di una scappatoia, qualcosa che mi permettesse di risolvere quella controversa situazione, ma non trovai altra soluzione che piegarmi. “No, Signore”.

 
 
Volterra, 16 maggio 2016
Bella
 
Il sole stava tramontando sulle colline toscane, conferendo alle linee dolci dell’orizzonte quella calda sfumatura che, nei secoli, aveva avuto la capacità di incantare grandi artisti e poeti, le più grandi menti che l’umanità avesse mai conosciuto. I vigneti e li oliveti si dispiegavano a perdita d’occhio ai piedi della torre più alta del castello di Volterra, dando vita ad un mosaico fatto delle più vive sfumature del verde e dell’ocra, uno dei panorami dei più splendidi che si potessero vedere in primavera.
Un vento tiepido spirava leggero, regalando alle mie braccia scoperte un piacevole tepore. Era quella la sensazione di calore, di vita, che si provava ad essere umani?
Abbassai lo sguardo sulle mie mani, saldamente posate sul parapetto: emanavano riflessi di luce iridescente, abbaglianti e profondamente attraenti per qualunque essere vivente vi posasse lo sguardo… Un’illusione per circuire gli istinti umani e distrarli dalla sensazione di pericolo naturalmente stimolata dalla presenza di un predatore, uno stratagemma della natura per rendere appetibile una superficie altrimenti morta e ripugnante. L’immortalità dona a chiunque, si diceva. Dopo più di cinque anni dal mio mutamento non riuscivo ancora a convincermene…
“Vedo che ancora non ti sei abituata alle nostre regole”
Una voce di bambina interruppe il flusso dei miei pensieri senza tuttavia riuscire a cogliermi di sorpresa. Il profilo di Jane era coperto dal copricapo del mantello, avvolto nell’ombra. “Non è consentito uscire allo scoperto quando il sole è ancora alto”
Sorrisi all’orizzonte, consapevole che quello era uno dei motivi per i quali avevo deliberatamente deciso di prendere residenza fuori dalle mura del palazzo. “Nessun umano può vedermi e, se lo facesse, immagino che basterebbe ucciderlo”
Jane mi riservò uno sguardo colmo d’interesse.
Il viso dai tratti fanciulleschi e delicati, incorniciato dal biondo dei capelli sempre raccolti in una pettinatura ordinata, le avrebbe anche conferito l’aspetto di una bambola bellissima se non fosse per quegli occhi terribili, tinti di un rosso vivo e splendente. Bloccata sulle soglie della prima adolescenza, non aveva ritegno nell’accondiscendere i propri stessi capricci. Le sue labbra pallide si saziavano molto più spesso di quanto fosse necessario al proprio organismo. Per mantenere invincibile il proprio potere, si giustificava, ma nessuno ci credeva veramente.
“Sei cambiata” osservò, con una punta di compiacimento. “Un tempo avresti provato ribrezzo all’idea di un compiere un assassinio per il solo desiderio di goderti l’ultimo sole”.
Mi domandai se avesse ragione.
Il sole stava carezzando la terra coi suoi ultimi raggi. Presto sarebbe sopraggiunta la notte e, con essa, l’ora della caccia. Le mie scorte di sangue erano quasi terminate, ancora qualche giorno e avrei dovuto trovare un modo per procurarmene altro, senza destare sospetti…
“Ho bisogno di una confidenza” le comunicai con una fermezza che voleva nascondere la mia riluttanza. Jane era una creatura potente e pericolosa. C’era sempre stato qualcosa nel suo modo di essere che mi aveva indotto alla prudenza. Averci a che fare era qualcosa di più di un male necessario.
“Non riesco proprio ad immaginarmi di cosa si tratti, Isabella. Non esistono informazioni alle quali la compagna del neoeletto comandante della guardia dei Volturi non possa avere accesso” valutò con un tale entusiasmo da non far credere neanche un secondo alla spontaneità con cui mi aveva rivelato un’informazione tanto importante.
La guardai stranita, senza avere idea di cosa stesse parlando.
“Non te l’ha detto, non è vero?” chiese al solo beneficio di sottolineare l’ovvio. “Demetri ha ricevuto l’investitura da un paio di settimane. Chi poteva immaginare che ne fossi all’oscuro?” Una risatina gioiosa e crudele riempì l’aria, colpendomi tanto nel profondo da raggiungere dentro di me una ferita ancora sanguinante. Quel suono stridulo suggeriva al mio corpo un ricordo raccapricciante che, tuttavia, non riusciva a trovare alcuna collocazione nella mia memoria visiva. Istintivamente rafforzai il mio scudo, ricordando che il potere di Jane sapeva avere tante di quelle manifestazioni che solo comprenderle tutte avrebbe potuto distruggere il corpo di un vampiro. “Cosa ha a che fare la sua investitura con la campagna che sta organizzando in Nord America?” domandai bruscamente, tentando di porre fine quanto più in fretta possibile a quell’incontro.
“Tutto, immagino. Gli è stato assegnato un incarico molto rischioso ed Aro ricompensa sempre i sacrifici dei propri soldati”
Mantenersi calma fu uno sforzo terribile quando il mio istinto non suggeriva altro che attaccare la mostruosità che mi era vicino e ridurla in pezzi tanto piccoli da non poterne più ricordare la forma completa. “Cosa stai insinuando?”
“Demetri si appresta ad affrontare vampiri dotati di doni molto potenti e con i quali ha almeno una questione in sospeso” raccontò Jane con voce allegra, la medesima che una bambina avrebbe impiegato nel spiegare le regole di gioco particolarmente divertente. “Devi sapere che alcuni anni fa, quando ancora non eri parte del nostro esercito, giunse a Volterra un giovane vampiro dall’animo nobile, disperato e determinato nel porre fine alla sua interminabile esistenza. Si era innamorato di un’umana e nel tentativo di preservarne la vita aveva finito per indurla al suicidio. Reso folle dal dolore, decisi di porre fine a sua volta alla propria esistenza, ma un attimo prima di compiere il proprio ultimo sacrificio l’umana che amava terminò una corsa disperata tra le sue braccia. Era sogno o realtà? si domandò il vampiro, prima di rendersi conto che la sua amata era ancora viva e accorsa per salvarlo da sé stesso. Il problema, mia cara Isabella, è che, giungendo a Volterra, il giovane aveva malauguratamente confessato un crimine, quello di aver messo la ragazza a conoscenza dell’esistenza della nostra razza. Conosci le nostre leggi, avrebbero dovuto morire entrambi…” si interruppe con una pausa ad effetto e impiegò un secondo ad osservare il mio viso, esattamente come se stesse raccontando una favola. “Aro fu magnanimo e concesse al vampiro di trasformare la ragazza in vampiro, così da coronare con un lieto fine l’increscioso episodio. Quando il giovane ne assaggiò il sangue, però, la brama di trarne pieno appagamento fu più forte dei propri sentimenti e finì per ucciderla, dissanguata tra le proprie braccia”.
“È una storia triste” ammisi, senza riuscire ad intuire quale fosse il punto del discorso. “Ma non capisco cosa abbia a che fare con Demetri”
Jane regalò un sorrisetto ambiguo all’orizzonte. “Fu lui a strappare il corpo esangue della giovane dall’abbraccio del vampiro, che, ebbro di sangue e di disperazione, si scagliò contro i nostri sovrani nel tentativo di ucciderli. Quando riuscimmo a calmarlo e allontanarlo dalla nostra corte promise che si sarebbe vendicato con tutti noi, me compresa”.
“Che ne è stato del vampiro?”
“Dicono sia divenuto folle e abbia girato il mondo alla ricerca di un esercito che gli consenta di portare a termine la sua promessa. Sembra lo abbia trovato”
“In Nord America”
Jane annuì. “Non si può sapere quanto la follia abbia eroso le sue abilità, ma, un tempo, era dotato della capacità di leggere i pensieri, senza bisogno di alcun contatto”.
La sera aveva ormai dato il proprio commiato alle ultime luci del giorno, rabbuiando l’orizzonte e raffreddando l’aria e il vento. La sensazione piacevole che avevo provato nell’affacciarmi a quella torre, carezzata dalla brezza tiepida e i raggi caldi del sole morente, era scomparsa, lasciandomi in balia soltanto un gran senso di gelo. Pur provando il desiderio di allontanarmi quanto più velocemente possibile da quella creatura malvagia, c’era una domanda che mi tamburellava nella mente, esigendo soddisfazione. “Jane” chiesi incerta, senza comprenderne bene il motivo. “Qual era il nome del vampiro?”
Lei assunse un’espressione strana nel pronunciarlo, difficile da interpretare. “Il suo nome era Edward, Edward Cullen”. 
 
Volterra, 16 maggio 2016
Demetri
 
La vecchia casa colonica che avevamo scelto come nostra abitazione, appena fuori da Volterra, versava nel buio più totale, se non per la fioca fiamma di un candelabro antico che inondava di luce profumata il perimetro centrale del piccolo salotto, arredato con un mobilio originale appartenente alla mia epoca, il sedicesimo secolo. Bella mi aspettava seduta sul seggio del pianoforte, intenta a sorseggiare una bevanda rossa, appena tiepida. “Ho parlato con Jane”.
La osservai con attenzione, quasi disperazione, rendendomi conto ancora una volta di quanto le manipolazioni che aveva subito non fossero state in grado, nel profondo, di mutare il suo animo. Non si nutriva in modo tradizionale, non lo aveva mai fatto se non nelle sporadiche occasioni in cui, le circostanze, l’avevano obbligata a portare avanti la propria recita. Le sacche di plasma, donato consensualmente dagli umani alle banche del sangue, era un buon compromesso per la propria coscienza, incapace di sopportare il peso dell’assassinio. “Ne ho preso un po’ per te” le dissi con cautela, sapendo le difficoltà che aveva nel procurarselo. Non doveva destare sospetti tra i propri compagni d’armi, né fare in modo che i ripetuti furti in ospedale fossero pubblicizzati. Aro avrebbe certamente considerato una simile violazione del protocollo come disubbidienza e avrebbe meditato chissà quale terribile modo per punirla…
Isabella mi riservò uno sguardo affettuoso che non riuscì, tuttavia, a dissipare la preoccupazione che animava il suo viso. “Perché non mi hai parlato della tua nomina a comandante?”
“Cos’altro ti ha detto quell’arpia?”
La sua espressione afflitta mi fece pentire quasi istantaneamente del modo autoritario in cui le avevo posto quella domanda. Isabella non conosceva il male che mi affliggeva, né quale supplizio dovessi affrontare, ogni giorno nel tornare alla tenuta col dubbio di non trovarla là ad aspettarmi. Un milione di volte i miei pensieri avevano visto il disprezzo sul suo volto, l’orrore per me che l’avevo ingannata. Era questa la mia punizione per averla sottratta alla sua vita?
“Mi dispiace” ammisi con una punta di dolcezza. “Non intendevo parlarti in questo modo”.
Ci misurammo un secondo con lo sguardo e soltanto quando ebbe acquisito piena certezza del mio rimorso, abbassò le sue difese e si fece avanti. “Non ti fidi di me” disse, dimenticando di pronunciare la frase con tono interrogativo.
“Non è così”
Si era fermata ad un passo esatto da me, ostinata nel cercare una risposta alle sue tante domande. Avrei voluto dargliela, quella risposta, raccontarle tutta la verità e liberarmi una volta per tutte dal fantasma invisibile del suo amore passato. Se solo non avessi avuto la profonda convinzione che, qualunque cosa potessi fare, qualunque buona azione potessi compiere, avrei comunque finito per perderla per sempre...
Il mio tormento dovette indurla ad abbandonare ogni remora. Si issò in punta di piedi, poggiando la fronte sulla mia e posandomi le mani intorno al mio viso. “Demetri” I suoi occhi avevano mantenuto quella sfumatura castana che l’aveva contraddistinta da umana, calda e rassicurante. Mi osservò con attenzione, come se la semplice motivazione fosse capace di conferirle il dono di leggermi i pensieri. “Cosa ti succede?”
Le posai le braccia intorno ai fianchi, avvicinandola ancora più a me. Ogni paura cominciò ad affievolirsi, ogni dubbio a dissiparsi, diradarsi nella mia mente, senza tuttavia abbandonarla del tutto. “Domani ti racconterò ogni cosa, te lo prometto”. Ogni cosa, avrei dovuto aggiungere, tranne la verità…
“Sarà meglio per te” sussurrò, prima di posarmi un bacio appassionato sulle labbra.
Con mosse ferme e decise, le scostai i lunghi boccoli bruni dalla schiena e lentamente le abbassai la lampo del vestito. 

Ritorna all'indice


Capitolo 6
*** False speranze (Edward) ***


Chi conosce le mie trame è ben consapevole che amo scozzare un po' le carte, così da potermi divertire, nel corso della storia, a rimetterle in ordine. 
Non fatevi quindi spaventare dai cambiamenti...
Oggi affrontiamo un intero capitolo dedicato al punto di vista di Edward. Contenta RobySwanCullen? ;)
Lo troverete cambiato dal contesto originario, incattivito dalle circostanze e dal percorso che ha scelto di affrontare per superarle. 
Spero di averlo reso anche solo lontamente interessante. 
Buona lettura,
Thestoryteller
 
 
 
 
Forks, 17 maggio 2016
Edward
 

Il silenzio che avviluppava i boschi intorno a Forks possedeva la medesima atmosfera dei luoghi di sepoltura. La selvaggina era fuggita al semplice fiutare la presenza di un predatore più temibile, lasciando soltanto un suolo arido ad accogliere i miei passi, a popolare quella terra che rimandava al passato e al dolore dei ricordi.
Si stava avvicinando qualcuno…
Le mie percezioni si erano acuite durante il mio pellegrinare, affinate nella maggiore consapevolezza e nell’omicidio. C’erano modi oscuri che consentivano di acquisirne il totale controllo, procedure segrete, destinate alla conoscenza di pochi, che permettevano di strappare ad un vampiro le innate abilità e farle proprie. Più di una vita eterna era cessata per forgiare le mie armi, il potere che mi scorreva lento nelle vene. Quale prezzo avevo pagato per carpire simili nozioni?
Proseguii nella più totale assenza di suoni, facendomi spazio nel sottobosco, tracciando una via segreta tra i rami più alti degli abeti dai tronchi secolari. Un salto dopo l’altro, una corsa ininterrotta per raggiungere la fonte di un pensiero, ridondante nella mia mente… Un’istigazione.   
Scesi al livello del suolo soltanto all’ultimo momento e, con un unico balzo, raggiunsi la minuscola radura in cui lei aveva deciso di attendermi. Fui così cauto da non farle percepire la mia presenza fintanto che non le ero già alle spalle.
“Rose”
Colta di sorpresa si voltò fulminea nella mia direzione, celando la propria sorpresa con una serie di pensieri inutilmente vacui. Mi osservò un momento, coi suoi begli occhi castani e la chioma color miele abbandonata in ampi riccioli sulle spalle nude. Indossava un abito aderente, completamente stonato con la realtà circostante.
“Perché sei qui?”
“Per essere la prima a darti il benvenuto”. I tratti dolci del viso di Rosalie, così piacevoli alla vista, si guastarono a causa della posa troppo altezzosa delle sue labbra.  “Dicono che tu sia diventato pericoloso…” disse e, con cautela, prese a girarmi intorno. “…volevo verificarlo di persona”
Aveva appena raggiunto le mie spalle quando, con una mossa veloce quanto imprevedibile, flettei la gamba sinistra e con un secco mezzo giro le travolsi le caviglie, riducendola a terra. Non ebbe neanche il tempo di capire cosa fosse accaduto che la mia mano era stretta intorno al suo collo elegante e il suo corpo immobilizzato sotto di me. “Hai commesso un grave errore”.
“Non ho paura di te”
Mi chinai su di lei fino a raggiungere il suo orecchio. “Dovresti averne”
Il riverbero di quella telefonata avuta luogo tanti anni prima mi tornò alla mente in ogni suo più piccolo dettaglio, come l’ascia del boia che cala su un arto non vitale, dando la piena cognizione della sua perdita, in ogni stilla di sangue, in ogni brandello di pelle sottratto alla carne. “Edward, ho notizie da Forks… Si è verificato un incidente, Bella… Si è gettata da una scogliera nel territorio Queileute. Alice è già in viaggio, vuole tentare di capire cosa sia successo… Non sapeva come dirtelo, voleva aspettare di avere notizie più precise prima di chiamarti, ma ho pensato fosse giusto avvisarti... Io, al tuo posto, avrei voluto saperlo. Mi dispiace tanto”.
I suoi occhi mi cercarono irrequieti, come richiamati dal flusso stesso dei miei pensieri. “Non mi farai del male” dichiarò con ingenua sicurezza. “Se avessi veramente voluto farmene Alice avrebbe già mandato Emmett e Jasper a fermarti”
La mia stretta sulla sua gola si fece più salda, tanto che appena una leggera flessione delle dita avrebbe potuto staccarle la testa. “Credimi Rosalie, non sarebbe bastato”
Con un balzo mi ritrassi, lasciandola libera di dare aria ai polmoni. Si portò istintivamente le mani alla gola e, colma di indignazione, si rialzò con tutta l’intenzione di dar sfogo alla sua rabbia. “Ti ha raggiunto sin qui solo per metterti a parte di quella verità che nessuno avrà neanche il coraggio di abbandonarsi a pensare” tuonò, carica di risentimento. “Non sei il benvenuto, Edward. Per dieci interi anni hai avvelenato di rimorso l’esistenza di ogni membro della nostra famiglia. Con che diritto ti ripresenti, col tuo nuovo bagaglio di straordinarie abilità, per convergerci nella tua ennesima ossessione suicida? Qui non c’è niente per te. Nell’intero mondo non c’è più niente per te. Dovresti scomparire dalle nostre vite, una volta per tutte”.
Un silenzio carico di inquietudine seguì il disperdersi delle sue ultime parole nella foresta. L’aspettativa nei suoi occhi, fissi nei miei, e la tensione dei suoi muscoli, pronti a difendersi dal mio prossimo attacco, si consumarono nell’attesa di una mia reazione che non venne.
“Non ci sono altre alternative”
Davanti a me c’era una venere guerriera pronta a dare una battaglia disperata con le sole armi della propria bellezza e spirito di conservazione per salvare sé stessa e la propria famiglia da una fine che credeva certa. Stupida sciocca. La disperazione nella sua voce era profonda, la rabbia indomita trattenuta per anni affliggeva uno sguardo affilato e pugni stretti fino a far male. “Ti seguiranno, tutti quanti, con l’intento disperato di riportarti alla ragione” sentenziò, ornando di collera la propria maledizione. “Ci condannerai tutti a morte”
La guardai, senza provare nulla. “Così sia”
 
***
 
Raggiungere la residenza dei Cullen significò perdersi nel ricordo di anni di felicità effimera e artefatta: le complici risate condivise nelle notti d’estate, l’affetto fraterno, il profondo senso di appartenenza e comprensione che appartengono alle relazioni familiari… imbrattati da un tradimento terribile e condiviso, perpetrato tra quelle stesse mura, dalle mani gentili di colei che più di ogni altra mi era stata cara negli anni che avevamo trascorso insieme.
Alice.
Erano là ad aspettarmi, Carlisle ed Esme, armati di sorrisi sinceri e preoccupati. La pena dei loro visi era coperta da sguardi sereni e pensieri positivi.
“Bentornato”
Il sorriso di Esme era l’unico che, forse, nei passaggi più duri del mio girovagare, avevo sperato di poter rivedere, almeno una volta. “Non stare sulla porta, tesoro. Sei a casa, adesso”. La guardai con magnanimità, quasi con tenerezza, ma non mi avvicinai ad abbracciarla come lei avrebbe voluto.
Era cambiato tutto, troppo.
Feci una panoramica della stanza, ritrovandola la stessa. Nessun ammodernamento, nessuna espressione di quella mania che era semplice passatempo ad una vita senza uno scopo. “Sono stati tempi movimentati” spiegò Carlisle, seguendo il mio sguardo. “La nostra filosofia di vita ha avuto una straordinaria diffusione e molti clan desiderano beneficiare dei nostri insegnamenti. Passiamo soltanto brevi periodi in questa casa… Avremo dovuto venderla, è un rischio tornare in queste zone. Sono passati troppi anni perché la nostra immutabilità non cominci a destare sospetti… ma abbiamo preferito aspettare il tuo ritorno per prendere qualsiasi decisione”.
“Non ho nessun interesse per questo posto”
“Potresti averne in futuro”
Lo guardai con una tale indifferenza che parve ferirlo. Il futuro… Se esisteva anche una sola possibilità di realizzare la mia vendetta senza morire nel tentativo, un patto stretto con un vecchio avversario mi condannava ad una morte violenta, la pena per avergli sottratto, contro ogni avvertimento, qualcosa di insostituibile.
“Ho incontrato Rose poco fa. Dove sono gli altri?”
“Emmett e Jasper sono stanziati in una riserva naturale poco più a nord del confine canadese. Hanno predisposto un campo di addestramento dove, gradualmente, stanno riunendo i nostri amici. Non abbiamo ancora notizie certe, ma le nostre alleanze hanno attratto l’attenzione di Volterra. È per questo, in fondo, che sei tornato”
Mi astenni da qualsiasi conferma.
L’opportunità di affrontare i Volturi in uno scontro diretto, alla guida di un gruppo numeroso e ben addestrato, era soltanto il primo dei motivi che mi avevano indotto a tornare. C’era un’altra importante questione che meritava la mia attenzione…
“Lei dov’è?”
Carlisle esitò un attimo prima di rispondere, interrogandosi su quali potessero essere le mie intenzioni. “Sta rientrando” disse, infine. “Era con Jasper ed Emmett, ma, prevedendo il tuo arrivo, ha preso il primo aereo”
“A questo proposito, Edward” Esme riprese parola, con un tono fermo, ma condito di diverse insicurezze. “Alice ha pagato in molti modi la sua scelta. Ha perso molto quel giorno e quanto è accaduto più tardi, dopo la tua partenza…”
La mia reazione, ne fui consapevole, fu commisurata all’affetto che un tempo avevo riservato nei confronti di quella madre adottiva che con tanta determinazione si era impegnata nel comprendermi ed educarmi ad una condizione che nessuno meno di lei aveva desiderato. Per anni avevo punito con la morte chiunque, per puro caso, avesse osato il più piccolo riferimento al mio passato, scoperto chissà come, chissà dove, nel ridondante richiamo di una storia curiosa avvenuta davanti al tribunale dei Volturi.
Se si fosse trattato di qualcuno che non era Esme l’elegante pavimento in parquet lucidato avrebbe riportato un’ustione scura e una vita immortale avrebbe cessato di esistere, ma il semplice osservare il suo viso, segnato dalla perdita di un figlio e il suicidio fu sufficiente a reprimere ogni istinto violento. Il suo sguardo celava la preoccupazione di una madre per un figlio, la convinzione che l’eternità avrebbe lenito quella ferita familiare che aveva causato tanto dolore in tutti i membri di quella famiglia. Così non sarebbe stato, ma lei non ne aveva raggiunta la consapevolezza. Sarebbe stata quella, in fondo, la punizione più grande…
“Dopo tutto questo tempo dovresti concederle l’opportunità di spiegarsi” aggiunse con cautela, trattando la questione al pari di un tafferuglio tra ragazzi. Era il suo limite, la convinzione che fossimo tutti poco più che bambini, anziché pluricentenari, che della gioventù mantenevano soltanto l’aspetto.
“Non ti farò alcuna promessa”
 
***
 
Dopo aver ottenuto qualche informazione sulla situazione canadese informai Carlisle che avrei raggiunto Jasper ed Emmett al campo di addestramento. I Volturi, secondo le ultime stime, non sarebbero arrivati prima di qualche settimana. Non era previsto un attacco, ma una semplice ricognizione da parte di un gruppo ristretto. L’intento era apparentemente quello di una missione perlustrativa che consentisse loro di avere piena consapevolezza del numero e delle capacità dei clan che meditavano di sopprimere. Era stato stranamente incauto da parte loro mostrarci così apertamente le loro intenzioni…
Ad ogni modo, avevamo ancora del tempo per sviluppare una strategia e Jasper stava sicuramente già svolgendo un ottimo lavoro di allenamento.
“Edward, non abbiamo bisogno di un generale” aveva detto Carlisle, sulle soglie del commiato. “I nostri alleati sono persone pacifiche che non hanno altra ambizione se non quella di vivere quanto più serenamente possibile la loro esistenza. Non vogliono una guerra”
Come avevo previsto, non sarebbe stato facile convincerlo a darmi il proprio sostegno. La sua vena antimilitarista lo rendeva determinato ad affrontare ogni situazione, anche le più estreme, con la sola arma della parola. Questa volta, però, la sua risolutezza nell’evitare ogni scontro non sarebbe bastata. Se i Volturi avevano dichiarato guerra non c’era niente che la voce di Carlisle avrebbe potuto fare. Sarebbero sopraggiunti gli scontri e, insieme ad essi, le prime logoranti perdite. Era solo questione di tempo prima che si rendesse conto di dover reagire…
Rientrai in albergo e, fin dalla hall, un particolare flusso di pensieri attrasse la mia attenzione.
Ad una regolare velocità, raggiunsi l’ultimo piano del Plaza, dove avevo prenotato una stanza appartata, dando l’indicazione di non essere disturbato per alcuna ragione. Mi chiusi la porta alle spalle e volsi lo sguardo verso il piccolo salotto che arredava l’ingresso. Un gradevole profumo femminile proveniva da quella zona, dolce e determinato, come un tempo era stata la persona che lo portava.
Alice mi guardava con l’aria tranquilla di chi conosce le sorti del mondo, compresa la propria. “Quanto tempo ho prima che tu mi uccida?”
Presi posto nella poltrona di fronte alla sua. Il tavolo di cortesia che ci divideva aveva improvvisamente assunto la consistenza di un muro alto, spesso e impenetrabile. “Come potrei mai uccidere una creatura che è in grado di prevedere ogni mia mossa?” le domandai, a puro beneficio della retorica e con l’intenzione, neanche troppo nascosta, di appurare fino a che punto le tappe del mio viaggio le erano note.
“Non prendiamoci in giro, Edward” pregò e il tono della sua voce assunse una sfumatura leggera, ma quanto mai distante dalla consueta spensieratezza. “Le tue nuove abilità ti garantiscono espedienti capaci anche di superare le mie difese”. I tratti affilati del viso mi osservavano attenti, ma privi di quel guizzo di allegria che affollava i miei ricordi. Gli occhi scuri e la pelle straordinariamente pallida, velata appena da un leggero strato di trucco, denotavano uno scarso e inefficace nutrimento, una generale mancanza di forze fisiche e psichiche che era una vera propria offesa al prezioso dono di cui era portatrice. I vestiti anonimi, la pettinatura nient’affatto studiata, erano espressione di un cambiamento che doveva aver coinvolto la sua intera personalità. “Quanti vampiri hai dovuto uccidere per procurartele?”
“Ti interessa davvero saperlo?”
“Non molto, in realtà” valutò, con schietto disinteresse. “Immagino di stare soltanto guadagnando qualche minuto prima che tu decida di avvelenarti col mio sangue”.
“Se fin dall’inizio eri consapevole delle mie intenzioni, perché sei venuta qui?” chiesi e la mia domanda si tinse di genuina curiosità. Presentarsi là, in quella stanza d’albergo, lontano da chiunque potesse difenderla, era un rischio al quale si era deliberatamente sottoposta. Le mie abilità erano tali che avrei potuto avere ciò che desideravo in un attimo, rendendo fatua ogni sua opposizione: prosciugare il suo sangue in un atto di violenza e carpire da esso ogni potere, fino a sottometterlo ai miei comandi. Perché rischiare? Scandagliai la sua mente alla ricerca di una risposta, ma vi trovai soltanto il vuoto. 
“Concederti il mio dono servirebbe ad ottenere il tuo perdono?”
C’era disillusione nelle sue parole, neanche una punta di speranza da poter infrangere.
“Non esiste perdono per ciò che hai fatto”
“Per cosa? Per averti salvato la vita?”
“Per averla condannata a morte”
Mai più avevo pronunciato il suo nome ad alta voce, tanto da dimenticare la consistenza che quelle singole lettere potevano assumere sulle labbra. Mai più avevo fatto riferimento a quegli accadimenti, sentendomi indegno anche soltanto di ricordare il modo abietto con cui avevo violato l’atto di fede di colei che amavo. “Edward, mi fido di te”. Quanta follia nella fiducia incondizionata che aveva riposto nel mio autocontrollo, nell’umanità di un mostro... Il sentore del suo sangue mi torturava ancora nelle mie notti più oscure, ardendomi nella gola e istigandomi alla ricerca di una soddisfazione feroce nelle carni di una donna o di un vampiro.
“Ti ho salvato la vita” ribadì, come se quella circostanza potesse giustificare tutto il resto.  
“L’hai condotta a Volterra con la certezza che non sarebbe tornata”
“Non ne avevo la certezza”
Erano parziali verità, fondate su possibilità tanto remote da essere irrealizzabili.
“Mi hai indotto a bere il suo sangue, rassicurandomi, facendomi vedere un futuro in cui saremmo stati felici, insieme. Sapevi che non mi sarei fermato, che sarebbe morta per mia mano”
Sostenne il mio sguardo con una tale fermezza che aveva la consistenza di un affronto. “Saremmo periti inutilmente, nel tentativo di salvarla. L’avrebbero uccisa comunque”
“Hai condannato a morte colei che dicevi di considerare una sorella
“Per salvare te”
“Non volevo essere salvato”
“Mi dispiace, Edward” concluse e la sua convinzione vacillò, minata nelle sue fondamenta da un sentimento profondo e controverso. “Ma non potevo lasciarti morire”.
Guardava in basso, adesso, tenendo gli occhi puntati sulle proprie mani.
Cosa stava cercando di dire?
Improvvisamente lasciò libero corso ai propri pensieri, inondandomi la mente di una serie di avvenimenti verificatisi negli ultimi dieci anni. I giorni spesi nel buio di una stanza, afflitta dal rimorso e dal desiderio costante di comprendere il motivo delle sue azioni. Le liti continue con Jasper, i lunghi mesi di silenzio, la necessità di nuova vicinanza dettata dalle circostanze canadesi. Le notti trascorse ad occhi aperti, con la compagnia della foresta, a tormentarsi per la sofferenza che mi aveva inflitto e la disperazione che leggeva nel mio vagabondare, solo, per il mondo. Pensieri dubbi e incerti, congiunti dal desiderio di raggiungermi.  
“Mi hai salvato perché mi amavi?” le chiesi e il mio tono, nonostante tutto, aveva smaltito la rabbia e assunto una cadenza più neutra.
“Jasper ne è convinto”
“E tu?”
Sospirò, stancamente. “Non so più che cosa credere”
“Qualunque fossero i tuoi sentimenti non ti davano il diritto di fare ciò che hai fatto”
“Lo so” ammise, con una punta di tristezza. Quel giorno, in quel palazzo di una terra lontana, aveva perso tutto, anche sé stessa e le proprie certezze. “Ma non potevo fare altrimenti… Come adesso non posso che rimuovere l’unico freno ad una guerra diversamente evitabile”. Si alzò in piedi e percorse lo spazio che ci separava con passi decisi. Si accoccolò ai miei piedi e mi strinse le mani tra le sue. “Guarda”
Chiusi gli occhi e scandagliai i suoi pensieri, cogliendo l’immagine di uno splendido panorama al tramonto. Il cielo era limpido al di là del parapetto di pietra antica, sulle cui soglie sostava una figura femminile, girata di spalle e con lo sguardo rivolto verso l’orizzonte. Lunghi boccoli scuri si muovevano al ritmo di un vento leggero, coprendole metà della schiena dritta e sottile. La pelle candida delle braccia e della gambe, lasciata scoperta dal vestito chiaro e dal taglio elegante, rilucevano del brillio leggero e attraente che contraddistingueva la razza immortale, circondandola di una luce particolare, quasi onirica.
Per lunghi minuti la ragazza restò immota, scossa soltanto dal lento saliscendi del respiro nel suo sterno.  Qualcosa, però, all’improvviso, lo sbattere di una porta o il sopraggiungere di qualcuno alle sue spalle, la indusse a volgere appena lo sguardo, mostrando un profilo affascinante e… inconfondibile.
Aprii gli occhi di scatto, rivolgendo un’occhiata furiosa ad Alice, ancora accucciata innanzi a me. “Tu menti”
Le scosse la testa, con cautela. “È accaduto ieri, a Volterra. Ho trovato questo frammento per caso mentre scandagliavo le sequenze temporali di Jane, così da capire se avrebbe fatto parte della prossima spedizione”
“È un trucco” considerai, mantenendo l’assoluto distacco. Mi aspettavo qualcosa di simile, mi ero preparato ad evitare ogni coinvolgimento e impedire ad Aro di farmi cadere nelle sue trappole. “Non è lei, non può essere. È morta tra le mie braccia…” rammentai a me stesso con quella consapevolezza che annienta ogni speranza. Per quanto ne sapevo i Volturi potevano aver scandagliato il mondo alla ricerca di una ragazza che le somigliasse abbastanza da trarci tutti in inganno e indurci ad affrettare uno scontro, magari recandoci a Volterra, armati di false speranze, e destinati ad una sconfitta terribile.
“La somiglianza è impressione, Edward” obiettò Alice con comprensione. Si era attesa una reazione ben diversa. “Io non ho dubitato neanche un secondo che…”
“Potrebbe essere una somiglianza o un’illusione” valutai. “Io stesso sono in grado di produrne, adesso. Sono passati dieci anni… Se Lei fosse ancora viva non avrebbe senso mostrarcela, se non per tenderci una trappola. Ultimamente stanno facendo trapelare troppe informazioni. C’è sotto qualcosa…”
 “Come puoi restare così impassibile?” domandò e con una mano raggiunse l’altezza del mio petto. “Non pronuncia mai il suo nome, Bella” la scoprii a pensare. “Allora è proprio vero che il tuo cuore è diventato di pietra”

Ritorna all'indice


Capitolo 7
*** Ospiti Indesiderati (Demetri/Edward) ***


 
Dopo un'assenza tanto prolungata credo non ci sia molto che posso dirvi...
Le giornate sembrano essere sempre troppo brevi, gli impegni aumentano e per qualcosa purtroppo non avanza il tempo. 
Riesco raramente a ritagliarmi qualche spazio da dedicare alla scrittura, ma quando lo faccio (come adesso che sono in ferie) ritorno sempre alle mie storie con immenso piacere: è per questo motivo che continuo aggiornarle, pur consapevole degli anni che passano e della mia difficoltà nel portarle a termine. 
Comprendo comunque perfettamente il vostro dispiacere per l'assenza di aggiornamenti e mando un caro saluto a coloro che, stanchi delle infinite attese, si sono arresi e hanno abbandonato la lettura.

Ringrazio Ciaspola che mi incoraggia sempre a tornare, nonostante tutto. 
Sei una lettrice davvero preziosa. 


Thestoryteller

Volterra, 18 maggio 2016
Demetri
 
 
L’aria fresca del mattino fluiva dalla finestra semiaperta e induceva i tendaggi ad un ondeggiare ipnotico e rilassante, un perfetto sfondo all’immagine di Isabella seduta al pianoforte, intenta a suonare una melodia lenta e vagamente malinconica.
Mi poggiai allo stipite della porta e la osservai per un po’, in silenzio.
I boccoli scuri le cadevano sulle spalle velate da una camicia da notte leggera, lunga fino alle caviglie, le incorniciavano il profilo concentrato, creando un piacevole contrasto con la pelle diafana e il bianco del vestito. Teneva gli occhi chiusi e il mento alto, nella più totale noncuranza dello spartito che doveva conoscere a memoria.
Non le avevo mai sentito eseguire quelle note prime d’allora…
Un sorriso inconsapevole le curvò leggermente le labbra rosee e piene, facendomi incuriosire quel tanto che bastava a convincermi a disturbarla. “È molto bella” commentai, facendola riscuotere.
La melodia si spezzò in un paio di accordi stonati. Isabella si volse appena nella mia direzione, dedicandomi uno sguardo solo in parte sereno. “Non ti ho sentito arrivare”.
Percorsi i pochi passi che ci separavano e mi sedetti dietro di lei sul sedile. Le cinsi delicatamente la vita in un abbraccio e le poggiai il mento sulla spalla. “Suona ancora ma belle. Mi piace ascoltarti”
Isabella sospirò e, con una mossa gentile ma risoluta, mi allontanò quel tanto che le serviva per riuscire a guardarmi negli occhi. “Dobbiamo parlare”.
Era inquieta, molto più di quanto avessi immaginato.  
Le sorrisi e la tirai nuovamente verso di me, vincendo le sue resistenze. Le feci scivolare le mani intorno alla vita, e posai appena le labbra sulla pelle lasciata scoperta dalla spallina cadente del vestito. “Non ho idea del motivo per cui Aro mi abbia nominato comandante” le raccontai, certamente indovinando quale fosse l’origine delle sue preoccupazioni. “Ha in mente qualcosa, ma non ho ancora scoperto niente al riguardo. Ho informato Marcus, stiamo cercando di venirne a capo...”
Rimase in silenzio per un po’, prendendo il tempo per soppesare le mie parole e trarne le proprie conclusioni. “Cosa c’è dietro alla campagna in Nord America?” chiese e la sua voce aveva già assunto una nota più dolce. La tensione sulle spalle si era leggermente allentata e i muscoli del collo si erano rilassati sotto il tocco appena sfiorato delle mie labbra.
“Molto più di quanto si possa credere. C’è un particolare Clan in Nord America che sta acquistando sempre maggiore notorietà” le accennai senza distogliere l’attenzione dal suo respiro e le reazioni del suo corpo alle mie parole. “I suoi ricordi erano dietro l’angolo, pronti a riemergere dalle tenebre della sua mente, inarrestabili e devastanti come la verità di cui si erano fatti testimoni”.
“Conducono uno stile di vita inusuale, per così dire” continuai, sempre con prudenza. “Si nutrono esclusivamente di sangue animale e vivono a stretto contatto con gli umani. Ne hai mai sentito parlare?”
“Avrei dovuto?”
“Il loro capo ha vissuto a Volterra per un lungo periodo”
“Era parte della Guardia?”
“Non esattamente” valutai, condividendo perfettamente la sua perplessità. “Il Dottor Cullen era più una specie di Ospite…”
Isabella si voltò verso di me, prendendo a fissarmi con un sopracciglio alzato e un mezzo sorriso sulle labbra. Sembrava aver temporaneamente accantonato ogni inquietudine. “Hai detto Dottore? Non vorrai farmi credere che un vampiro…” fece per dire prima di interrompersi bruscamente. “Aspetta…” sussurrò, pervasa da un’idea. “Hai detto Dottor Cullen? Come Edward Cullen?”
Immaginai che gli anni di logoranti battaglie e la necessità di salvare la pelle, qualunque ne fosse il costo, avessero forgiato la mia tempra solo per affrontare quella particolare conversazione. Fu con la più totale impassibilità che le risposi, con quella calma profonda con la quale ero solito rischiare la vita in combattimento. “Dove hai sentito quel nome?”
“Jane mi ha raccontato la sua storia” spiegò, senza dare a vedere alcuna forma di sconvolgimento. “Ha detto che è divenuto pazzo…”
“Così dicono, ma nessuno lo ha più visto da moltissimo tempo”
“…e che avete qualche questione in sospeso”
Sorrisi mio malgrado. “Immagino che questo sia vero”
“Spiegati” incalzò animata da placida curiosità.
“Ero presente quel giorno, quando si precipitò a Volterra pregando il Consiglio di porre fine alla sua esistenza” le raccontai, senza scendere nel dettaglio. Desideravo mettere quanta più distanza possibile tra le nostre vite e la rievocazione di quegli accadimenti, ma evitare il discorso avrebbe significato allertarla e indurre la sua curiosità verso sentieri insidiosi per la sua mente manipolata. “Immagino che questo sia valso a farmi guadagnare il suo odio”.
“Lei… l’umana, intendo… com’era?”
Trovai la risposta nell’immagine splendida della ragazza che avevo di fronte, diversa, più matura, ma fisicamente immutata da quel giorno. “Coraggiosa, innamorata e… sorprendentemente sciocca”
“Deve averti impressionato parecchio” commentò Bella con un mezzo sorriso. “Non ti ho mai sentito parlare così bene di un essere umano”
“Già e credo che non capiterà più” ammisi lasciandomi sfuggire un’amara risata. “Sei più tranquilla adesso?”
Annuì con convinzione.
“Bene, perché sono già in ritardo” annunciai posandole un bacio lieve sulle labbra e sciogliendola dal mio abbraccio. “Sono stato convocato a palazzo”
“Qualcosa di importante?” domandò e un velo d’inquietudine si riabbassò sul suo sguardo.
“Credo che ci sia bisogno di me per i preparativi della mia cerimonia di investitura” spiegai ad alta voce dalla camera da letto intanto che indossavo la divisa. “A tal proposito dovresti proprio andare a comprare un vestito nuovo”
Bastò una frazione di secondo per vederla fare capolino allo stipite della porta, armata di un sopracciglio alzato e un’espressione interrogativa.
Le sorrisi sornione e con noncuranza la informai dell’ultima novità che le avevo taciuto. “Non te lo avevo detto? Pare che la mia nomina a comandante sarà resa ufficiale durante un ballo”
 
 
Noatak National Preserve (Alaska), 26 maggio 2016
Edward
 
 
Avevo raggiunto il campo di addestramento da una settimana ormai, scontrandomi con una realtà più florida di quanto avevo preventivato. Più di un centinaio di clan di piccole e medie dimensioni erano stati radunati nella parte più desolata dell’Alaska, stanziati in una vecchia centrale elettrica abbandonata nel cuore del parco naturale Noatak.
Gli ospiti della comunità - così amava definirli Carlisle - vivevano sotto regole paramilitari, sottostando ad un ben regolato sistema che prevedeva turni di guardia, di caccia e di allenamento. I nuovi arrivati, non ancora abituati al regime alimentare animale, erano tenuti in isolamento nei caseggiati che un tempo erano abitazioni per i dipendenti della centrale. L’enorme distanza dalla presenza umana favoriva il loro adattamento che si dimostrava più rapido e meno doloroso che altrove. Nel giro di sei mesi erano già in grado di essere riassegnati agli alloggi principali e introdotti nei corsi di addestramento alle tecniche difensive di base che Jasper coordinava insieme ad altri vampiri che erano stati soldati nel corso della vita umana. Erano incoraggiati ad ogni attività di aggregazione e suddivisi in comitive di discussione che permettevano a chiunque di esprimere opinioni e avanzare proposte per una migliore organizzazione della vita comune. Apparentemente non esisteva un gruppo di comando ed ognuno poteva considerarsi libero di abbandonare la riserva qualora ne avesse il desiderio... Di fatto, comunque, Carlisle erano considerato il governante assoluto dell’avamposto, gran maestro e guida spirituale, guardato e ascoltato con assoluto rispetto da chiunque.
Quel distaccamento, al quale se ne aggiungeva un altro dislocato in Sud America, era dotato di un potenziale straordinario. Sebbene ben pochi vampiri ospiti avessero qualche interesse a prendere parte ad una guerra, tutti padroneggiavano a vari livelli le tecniche di combattimento e si erano perfettamente adattati ai nuovi schemi di vita comune. Sarebbe stata sufficiente soltanto una piccola scintilla, un torto in grado di fomentare la loro rabbia nei confronti dei Signori di Volterra…
Percorsi il viottolo che dal campo di addestramento conduceva agli alloggi, un angusto tratto di terra rocciosa che si sviluppava di fianco all’enorme fabbricato ed era delimitato da una rete fitta e coronata di filo spinato. Alte pile di neve sporca erano state spalate e abbandonate ai lati, dando un piccolo esempio dell’operosità dei vampiri che si erano allineati al pensiero di Carlisle.
Avevo avuto un’altra chiara dimostrazione di quell’operosità durante la riunione cui avevo appena assistito, dove un paio di capi clan, oltre a richiedere un maggiore alternarsi dei turni di caccia, avevano sottolineato la necessità di costruire nuovi alloggi per le coppie di neosposi che si erano venute a creare nello stabilimento: domandavano la destinazione di un paio di ore quotidiane ai lavori di edificazione di un piccolo complesso edilizio di fianco alla centrale che consentisse alle coppie più intimità delle stanze dormitorio cui erano destinati coloro che non facevano parte di alcun clan. Si poneva ovviamente la questione del reperimento dei materiali edili, ma Jasper, che presidiava alla riunione, l’aveva trovata una buona idea e si era impegnato a trovare un modo per renderla realizzabile.
Quell’impegno costituiva tra i pensieri di mio fratello un modo per distogliere l’attenzione dal vero problema, ossia l’aggravarsi della penuria di animali nella riserva, decimati dai bisogni di sostentamento della numerosa comunità di vampiri vegetariani. Nessuno ne aveva ancora coscienza, ma la riduzione dei turni di caccia aveva destato qualche malumore tra i vampiri e bisognava porvi al più presto rimedio.
Percorso il perimetro della vecchia sala macchine, svoltai verso la piccola piazza antistante agli alloggi quando un gruppo formato da quattro giovani vampiri si palesò alle mie spalle. Mi seguivano ormai da un paio di minuti, valutando quale era il posto migliore per farsi avanti. Erano tediati dalla vita di stanziamento e speravano di trovare in me un po’ di violento divertimento. “Chi sei?” domandò il più grosso e certamente il capobranco. “Ti aggiri per la comunità da giorni e non ti sei ancora dato la pena di presentarti”
Sospettavano chi fossi, altrimenti non avrei avuto diritto a quel comitato di benvenuto. La mia storia aveva avuto una diffusione tale da tramutare la mia persona in una sorta di personaggio romanzato, una leggenda capace di indurre inquietudine o scherno. Erano stati in molti a sfidarmi, credendo ciecamente alle voci che mi volevano debole e folle… in pochi tuttavia erano riusciti a raccontare quale fosse la verità. Non avevo interesse comunque ad una pubblica dimostrazione, tantomeno nei confronti di un branco di ragazzini annoiati e sciocchi. Proseguii il mio percorso senza fermarmi, ignorandoli.
“Dove credi di andare uomo del mistero? Non hai risposto alla mia domanda”
L’energumeno mi si parò davanti, impedendomi il passo. Era un ragazzo alto circa un metro e novanta e apparentemente dedito al culturismo. Gli altri, più piccoli di un paio di taglie ma comunque ben messi, mi si disposero a cerchio intorno, motivati nell’impedirmi la fuga.
“Fatevi da parte” li avvertii.
“E se non avessimo voglia di farlo?”
Sorrisi storto. “Sarebbe peggio per voi” sussurrai coi muscoli già tesi e pronto allo scontro.  
“John, Peter, Mark, Alex… smettetela subito!”
L’avvertimento anticipò di un paio di secondi l’arrivo di Kate, facendo serrare i ranghi ai miei quattro nuovi amici. “Tornate agli alloggi” ordinò, dando sfoggio di un’autorità che doveva aver conquistato sul campo. Assunse la propria posizione di difesa, dando chiaro segno che qualora avesse avuto luogo uno scontro ne avrebbe preso parte in mia difesa. “Non ve lo ripeterò un’altra volta”
Il capobanda indugiò un attimo, valutando ogni possibilità. Alla fine comunque alzò le braccia in segno di resa. “Stavamo soltanto cercando di fare amicizia” si giustificò sardonicamente e, dopo un breve cenno ai compagni, si fece precedere durante la ritirata. Scomparvero dopo pochi secondi al di là dell’ingresso dell’edificio, senza alcuna apparente intenzione di tornare.   
Kate allentò la postura e si volse verso di me. Era come la ricordavo: alta, atletica e indubbiamente affascinante con lunghi capelli color cenere e gli occhi d’ambra. “La tua presenza qui non è ben vista, Edward. Ti considerano una minaccia” valutò, dando sfoggio di quella schiettezza che era una dei suoi migliori pregi. “E non credo che si sbaglino…”
“Starò in guardia”
Non si trattenne oltre. A velocità umana riprese la propria strada, stranamente desiderosa di allontanarsi da me. “Che cosa poteva mai nascondere?”
Mi bastò scandagliare la sua mente per un breve secondo per trovarvi la risposta al mio interrogativo malamente nascosta tra pensieri vacui.
Due corpi avvinghiati giacevano appena illuminati da una candela lasciata accesa in una piccola e fredda stanza nascosta chissà dove. L’uomo era ancora poggiato sulla schiena di Kate, immobile nella posizione dell’ultimo atto che li aveva visti insieme. I suoi lineamenti restavano in penombra, ma era difficile ingannarsi sulla sua identità: folti riccioli biondi che gli ricadevano appena sopra le spalle, lasciando scoperta una schiena solida e tempestata di centinaia di cicatrici…
Jasper.
 
***
 
La luna risplendeva enorme e gelida illuminando il manto innevato di una foresta avvolta dal ghiaccio. Lunghe stalattiti pendevano dai rami piegati dei pochi alberi spogli e vinti dal freddo implacabile dell’inverno polare. Il vento spirava basso e gelido, issava la neve ancora non solidificata e avvolgeva la natura in una nebbia densa e palpabile.
Non cessai la mia corsa finché la foresta non lasciò spazio al suolo roccioso della costa. Deviai leggermente il mio percorso verso nord e imboccai un sentiero mai battuto che, al termine di una ripida ascesa, terminava in uno strapiombo sul mare di Beaufort. Un vento impietoso portava le onde ad infrangersi con violenza sull’irto scoglio: schizzi di solido gelo si disperdevano nell’aria, trasportati dalla tormenta. C’era qualcosa di poetico in quel panorama tumultuoso, un’energia che riusciva a placare il mio animo e vuotare la mente dai terribili pensieri che ormai stabilmente vi avevano preso dimora.
L’incedere di passi lungo il pendio mi avvisò che la persona che stavo aspettando era arrivata.
Jasper giunse al crepaccio dopo pochi secondi. Mi stava seguendo da quando avevo abbandonato l’accampamento al calar del sole. “Allora è qui che vieni a nasconderti”
“Lo trovo un luogo rilassante”
Jasper si lasciò sfuggire una risata distesa e si sedette di fianco alle mie gambe. “Non abbiamo avuto neanche un momento per parlare da quando sei arrivato” disse con l’intento, forse, di giustificare la sua presenza. “Ho saputo che hai avuto problemi questo pomeriggio”
“Niente che Kathrine non abbia saputo risolvere”. Le mie parole erano completamente prive di allusioni, ma furono comunque capaci di provocare in Jasper una certa agitazione.
“Sai già tutto, non è vero?”
Annuii senza alcun interesse ad approfondire il discorso. “Non hai niente da temere. Manterrò il riserbo”
“Alice ne è al corrente”
Sospirai. “Come potrebbe non esserlo?”
La mia considerazione, pronunciata forse con fin troppa leggerezza, parve turbarlo profondamente e indurre in lui una serie confusa di pensieri che impiegò un certo sforzo a zittire. C’erano questioni che voleva pormi, conferme che voleva chiedermi rispetto al comportamento della donna che era stata compagna della sua vita… ma si rendeva quanto mai conto che quello non poteva essere il momento giusto. Fu necessaria tutta la sua determinazione per riportare il discorso verso il binario maestro, spogliandolo di ogni divagazione. “Perché sei tornato, Edward? Perché adesso?”
Non risposi, o meglio, non lo feci direttamente.  “Hai fatto un ottimo lavoro con i vampiri al campo”
“Non sono un esercito” ribatté, cogliendo il punto della questione.
“Possono diventarlo”
“Non combatterebbero comunque per te”
“Hanno solo bisogno della giusta motivazione”
“E quale motivazione potrebbe mai spingerli a farsi sterminare nel tentativo disperato di vendicare la morte di un’umana che non hanno mai conosciuto?”
Ignorai la sua obiezione. Quello era un problema di difficile, ma non impossibile, soluzione. Al momento giusto si sarebbe presentata l’occasione perfetta per fomentare i loro animi. Era sufficiente prestare abbastanza attenzione ed evitare di lasciarsela scappare. “Li guideresti in battaglia per me?”
Per la prima volta da quanto era arrivato Jasper distolse lo sguardo dal burrascoso orizzonte e si voltò apertamente verso la mia direzione. Mi osservava dal basso e nel suo sguardo l’inconscio risentimento che provava nei miei confronti a causa di Alice si mischiò al più totale sconcerto e una punta di dispiacere per i deliri di un fratello che un tempo aveva amato. “Tu vaneggi”
“Lo faresti per Alice?”
“Che cosa vuoi dire?” domandò confuso, ma nell’esatto istante in cui pronunciò quelle parole un dubbio terribile si fece spazio nella sua mente, facendogli finalmente comprendere quale fosse il senso della mia domanda. “No … Lei non potrebbe mai essere tanto stupida da seguirti in quest’impresa”
“Me lo deve e Lei lo sa”
“Non puoi parlare sul serio” proruppe, alzandosi in piedi. Per un attimo fu sul punto di perdere il controllo. Non mi sarei stupito se mi avesse attaccato, ma riuscì a trattenersi. “Ha deliberatamente condotto Bella in pasto ai Volturi pur di salvarti la vita. E tu credi davvero che adesso ti seguirà perché si sente in debito?” domandò sfogando la propria rabbia in una voce bassa e densa di amarezza.
“Le sue motivazioni non sono affar mio”
“E neanche il fatto che aiutandoti nella tua folle impresa potrebbe morire è affar tuo?”
I suoi pensieri mi mostrano un particolare giorno di due anni prima in cui Alice aveva avuto una visione della sua stessa morte connessa al mio ritorno. C’era stata una lite animata tra loro: Jasper aveva preteso da lei l’impegno a restarmi distante ed evitare ogni coinvolgimento nella mia guerra contro Volterra. Aveva imputato il suo rifiuto ai sentimenti che lei sentiva di provare per me. Era stato l’ultimo atto del controverso legame che li aveva tenuti insieme a partire dal mio esilio.
“Lei non può sapere cosa davvero ci riserverà il futuro”
“Ma tu la lascerai comunque correre il rischio”
“È una sua libera scelta”
Aveva le mani strette a pugno e un gran desiderio di prendere a pugni un muro in mia vece. Sempre più profondo era il rancore che sentiva nei miei confronti, tanto che per un attimo ebbi il timore che il suo rapporto con Alice si fosse tanto logorato da non garantirmi la sua collaborazione. “Sei un fottuto bastardo, Edward”
“Mi aiuterai?”
Non parlò prima di qualche minuto. Un’infinità di pensieri gli affollarono la mente tanto confusi e contraddittori da rendermi impossibile comprendere quale sarebbe stata la sua decisione. “Devo pensarci su” mi comunicò prima di rivolgermi un ultimo cupo sguardo. Si allontanò poco dopo con la tristezza nell’animo e la convinzione che il fratello che aveva conosciuto non sarebbe mai più tornato.
 
***
 
Il vento si era ulteriormente alzato e soffiava violento nella mia direzione, portando con sé spruzzi di neve ed acqua gelida. Il mare, tinto una sfumatura sempre più scura, si era alzato di qualche metro, avvicinandosi minaccioso all’altura sulla quale avevo trovato asilo.
Sorrisi storto, con lo sguardo rivolto alla tormenta.
Un altro pezzo del puzzle si era allineato.
Ne mancava soltanto uno adesso.
E lo avrei trovato nei sotterranei di Volterra. 
 
Volterra, 28 maggio 2016
Demetri
 
Terminato l’allenamento mi attardai negli spogliatoi tentando di placare gli animi dei miei compagni d’armi. Era stata loro appena preannunciata la nomina di un comandante e non avevano apprezzato la novità. Senza contare che il mistero della campagna in Nord America, di cui era possibile carpire soltanto poche e generiche informazioni, alimentava il malcontento. Fortunatamente mancava poco alla mia investitura ufficiale. A quel punto tutto si sarebbe sistemato. O, almeno, lo speravo…
Governare un esercito ostile poteva rivelarsi molto pericoloso.
Ancora non ero riuscito a venire a capo del mistero della mia nomina.
Cosa aveva in mente Aro?
Lasciando la mente libera di vagare in cerca di risposte, mi diressi al parcheggio sotterraneo e raggiunsi la mia macchina. Sul parabrezza, assicurata sotto il tergicristallo, era poggiata una busta sigillata con lo stemma personale di Marcus. 
La aprii e lessi il breve messaggio che conteneva.
Sono arrivate notizie dal Nord.
Edward Cullen è tornato.
 

Ritorna all'indice


Capitolo 8
*** Incontri Inattesi (Edward/Bella) ***


 
Lo so, ci ritroviamo di anno in anno, ma efp è uno spazio che - da quando anni fa lo ho scoperto - mi è sempre piacuto frequentare, anche di tanto in tanto, quando gli impegni lasciano un minuto di respiro. Faccio un grande saluto ai pochi rimasti e mi scuso ancora con loro per le mie lunghe assenze. 
Una lettrice mi ha fatto una richiesta più che ragionevole alla luce dei mesi che intercorrono tra un aggiornamento e l'altro... mi appresto ad accontentarla e la ringrazio fortemente per il suggerimento. Di seguito, prima del capitolo vero e proprio, troverete una breve sintesi di quanto avvenuto fin ora.

Nei capitoli precedenti...
Quando Bella e Alice si recano a Volterra nel tentativo di salvare Edward la situazione precipita irrimediabilmente. Aro non acconsente che Bella lasci la sua Corte a meno che non sia trasformata in vampira. Rassicurato da una visione di Alice e dall'insistenza della ragazza, Edward si convince di poterci riuscire. Provato dagli stenti degli ultimi mesi, tuttavia, non riesce a fermarsi in tempo e Bella muore tra le sue braccia. 
Dieci anni più tardi le cose sono cambiate: Edward ha tagliato ogni contatto con la propria famiglia e ha intrapreso un viaggio intorno al mondo per formarsi come guerriero ed ottenere nuove straordinarie abilità, la famiglia Cullen si è dedicata a creare una comunità che avvicini qualunque vampiro ne manifesti il desiderio ad uno stile di vita vegetariano, i Volturi hanno tenuto in vita Bella, privandola della memoria ed addestrandola per divenire parte della Guardia. Quest'ultima durante il suo addestramento si avvicinata a Demetri con il quale ha relazione. Con la complicità di questi e all'oscuro da Aro, si nutre soltanto mediante sacche ematiche, ripudiando l'idea di ferire gli umani. Nell'ultimo periodo ha sviluppato uno strano malessere che la priva dei sensi e fa dubitare a Demetri e Marcus che la sua memoria possa restare manipolata ancora a lungo.
Contemporaneamente alla decisione di Aro di nominare Demetri come comandante della Guardia in vista della spedizione che lo porterà in Nord America, Edward pone fine al proprio vagabondare e rientra a casa con il proposito di convertire la comunità pacifista gestita da Carlisle in un esercito pronto ad entrare in guerra con i Volturi. Osteggiato nel suo proposito dai membri della famiglia, Edward affronta le questioni rimaste in sospeso con Alice. Quest'ultima si era difatti rivelata consapevole che Bella non sarebbe mai tornata dal suo viaggio a Volterra, ma il desiderio di salvare il fratello l'aveva indotta a tacere. La controversa natura dell'affetto nutrito da Alice nei confronti di Edward, peraltro, ha indotto Jasper ad allontanarsi ed avvicinarsi a Kate. 



 

Volterra, 1 giugno 2016
Edward
 
L’aereo privato era atterrato senza ritardi all’aeroporto di Pisa, dove una Mercedes dai vetri oscurati ci aveva atteso per condurci a San Gimignano, un piccolo borgo storico poco lontano da Volterra. Avevamo deciso di mantenere una distanza di sicurezza dal palazzo e prenotare una stanza in un albergo modesto e defilato. Ci eravamo presentati come Emily ed Anthony Smith, una coppia di americani in viaggio nelle suggestive colline toscane: nessuno aveva fatto troppo caso a noi nella bolgia di turisti che nella prima estate affollava normalmente questa regione. La scelta di affrontare il viaggio con Alice e nessun altro si stava dimostrando opportuna: era risaputo che il controllo dei Volturi si estendeva oltre le mura di Volterra e il sopraggiungere di un gruppo numeroso di ragazzi dallo straordinario aspetto poteva destare attenzioni non desiderate. Ciò nonostante Jasper non si era mostrato d’accordo…
 
“Non è una buona idea. È troppo pericoloso” aveva obbiettato Jasper dopo aver saputo della nostra partenza. 
“Non sono d’accordo” aveva ribattuto Alice. “L’intera guardia dei Volturi prenderà parte alla cerimonia di investitura del nuovo comandante. I sotterranei resteranno pressoché incustoditi: due o tre sentinelle al massimo…”
Avevo scandagliato tutte le linee temporali che la sua mente metteva a disposizione. I rischi sembravano essere minimi e il buon risultato dell’operazione abbastanza probabile. Non c’era motivo di indugiare. “È la soluzione migliore” avevo concordato. 
Jasper batté un pugno sul tavolo, dando libero corso alla propria frustrazione. “E se qualcosa va storto? E se qualcuno vi riconoscesse? Volete infilarvi completamente privi di protezione e senza neanche l’ombra di un piano in un maledetto sotterraneo senza alcuna via d’uscita! Potreste essere catturati e chissà cos’altro! È pura follia!”
“Non avremo un’altra occasione del genere nel prossimo futuro” spiegò Alice, usando con una tale pacata risolutezza da non lasciare spazio a ripensamenti. Non avrebbe cambiato idea, indipendentemente da qualsiasi contestazione potesse esserle mossa.  
Jasper la guardò un lungo minuto, incerto su quale potesse essere la giusta leva per convincerla a tirarsi indietro. L’accenno di una controversa emozione nell’animo di lei, tuttavia, ebbe la capacità di ferirlo nel profondo e indurlo a desistere da ogni proposito. Si alzò, pronto a lasciare la stanza. “Auguro ad entrambi di trovare ciò che state cercando” disse prima di chiudersi la porta alle spalle. 
 
Mi voltai verso la mia compagna di viaggio, momentaneamente intenta ad ispezionare la stanza. L’avevo osservata a lungo durante gli ultimi giorni e non avevo potuto fare a meno di notare che il suo modo di fare era mutato da quello dei miei ricordi: si muoveva in modo pratico, deciso, calcolato e sembrava aver perso quella spontaneità e vivacità che erano tratti tipici del suo carattere. Ogni sua azione appariva frutto di un complesso processo valutativo che teneva conto di ogni possibile futuro cui la sua mente le consentiva accesso. La nostra lontananza e gli accadimenti che l’avevano determinata dovevano aver impresso in lei un cambiamento tale da interessare la sua intera personalità. Mi trovai a chiedermi se fosse permanente. 
“Stai ancora pensando di uccidermi?”
“Non in questo particolare momento”
Diede un’ultima sbirciata dalla finestra e, compiaciuta da quanto aveva osservato, prese posto allo scrittoio. “Cosa c’è di tanto importante in quel libro?”
“Mi domandavo quando me lo avresti chiesto” considerai. Sapevo che durante il volo Alice aveva avuto una visione di un futuro in cui scappavamo da Volterra con un libro antico tra le mani, ma non aveva proferito parola al riguardo. Neanche dai suoi pensieri era stato possibile comprendere il motivo della sua esitazione. “Contiene una lista”
Alzò un sopracciglio, perplessa. “Una lista? E di che cosa? Ingredienti per pozioni magiche?”
“Di vampiri”
La sua espressione si fece grave e una ruga di preoccupazione le segnò il volto. Le ripercussioni di quanto stavo per rivelarle si riversarono come una valanga sul suo inconscio, capace di percepire gli esiti di quella conversazione ancora prima che fosse finita. “Non può essere” sussurrò.
“Da secoli i Volturi registrano i vampiri che posseggono particolari qualità: conservano elenchi dei loro nomi, delle loro posizioni e, ovviamente, del peculiare dono di cui sono in possesso”
Era incredula, stentava a credere alle proprie orecchie. “Come lo sai?”
“Durante i miei viaggi ho avuto modo di incontrare uno dei vampiri che ha contribuito a redigerli” 
Fu sul punto di chiedere maggiori informazioni in proposito, ma desistette, mostrandosi piuttosto attratta da quale fosse il mio movente. “A cosa ti serve consultare quelli elenchi?”
“Desidero conoscere il nome di un vampiro in possesso di un’abilità che mi interessa”
“Quale?”
La guardai con magnanimità. “La visione del futuro”
 
***
 
Il cielo era coperto di nubi scure. Una pioggia di fulmini in lontananza era l’unica fonte di luce in una notte senza stelle. “Sei pronta?”
Alice raddrizzò il lungo mantello sulle spalle e fece scivolare sopra gli occhi la maschera nera che fino ad allora aveva lasciato sulla fronte. “Sono credibile?” chiese con un vago eco di vanità nella voce. 
Era preoccupata che qualcosa andasse storto anche se cercava di non darlo a vedere. “Entrare nei sotterranei di Volterra quando l’intera guardia vi è riunita è pericoloso e stupido…” Si stava domandando se l’idea di seguirmi, anche a dispetto delle riserve di Jasper non fosse l’ennesima pazzia dettata dal senso di colpa ovvero da quei sentimenti indefiniti che provava nei miei confronti. 
“Da questa parte” le indicai, precedendola in una strettoia tra vecchie case dalle mura di pietra. 
L’imbocco dei sotterranei era poco distante. Al termine di quel corridoio ci saremmo trovati alle soglie di una piccola piazza su cui troneggiava un’antica villa abbandonata circondata da alte inferriate coperte di rovi. Una conoscenza mi aveva assicurato che dalle cantine era possibile raggiungere la vecchia corte di Volterra e che quel punto di accesso non era più utilizzato da decenni. Bisognava però attraversare la piazzetta… e non vi era altro modo se non farlo allo scoperto. “Vado per primo”
Alice annuì.
Prima di farmi avanti mi posi un momento in ascolto. Non c’era rumore di pensieri nell’aria, se non quello di una Volterra dormiente, ignara del pericolo che, da secoli, albergava nelle sue stesse viscere. 
Il passaggio era incustodito. 
Uscii fuori dal mio nascondiglio e a passi lunghi e cadenzati percorsi il diametro della piazza fino all’alto cancello. Alice procedeva alle mie spalle, con circospezione. La sua mente era proiettata nel nostro futuro prossimo e più certo. Tutto sembrava procedere come programmato
Il cancello si aprì praticando appena una leggera pressione. All’apparenza era vetusto, ma i battenti scivolavano silenziosi, segno di una perfetta manutenzione. 
Raggiungemmo l’interno della villa e attraversammo il salone abbandonato e vuoto. Cherubini e angeliche creature seguirono dall’alto dei soffitti affrescati i nostri passi fino all’antro delle scale, dal quale era possibile salire al piano padronale o scendere nelle cantine. Sondai ancora lo spazio che ci circondava alla ricerca di qualche pensiero sfuggito al precedente controllo. Nulla, se non le riflessioni di Alice. Mi voltai appena nella sua direzione, facendole cenno che era tutto a posto. 
Discesi lungo le scale fino a giungere ad un vecchio scantinato spoglio, ricavato nelle mura antiche della Volterra del medioevo. Diedi alle fiamme un pezzo di legno apparentemente abbandonato nel sottoscala. Alla luce della fiaccola scandagliai l’enorme stanzone alla ricerca del pesante portone di ferro che avrebbe dovuto costituire l’accesso alla corte abbandonata. 
Trovai la porta dietro un arco che divideva l’ampio spazio della cantina da un piccolo antro che doveva servire per la buona conservazione del vino. Attesi che Alice mi raggiungesse e, non appena mi fu di fianco, lasciai la fiaccola a crepitare sul pavimento. Secondo le nostre previsioni dall’altra parte avremmo dovuto trovare solo un corridoio cadente e spoglio, ma era meglio essere prudenti… Da lì avremo proseguito al buio. 
Varcammo la soglia e ci trovammo all’interno di una reggia sotterranea ben organizzata e funzionale ad accogliere un impero sorprendentemente popoloso. Procedemmo senza intoppi per un labirinto di passaggi, corridoi, saloni e appartamenti, diretti verso il luogo che era certamente stato il più temuto e inaccessibile di quella Corte sconfessata… Aro non voleva tutt’ora lasciarlo incustodito, nonostante fosse disabitato da decenni. 
I suoi vecchi appartamenti
La più grande fonte di conoscenza della nostra razza era nascosta nel cuore di quelle stanze che erano state la sua privata dimora. Storia, anatomia, filosofia, scienza… qualsiasi cosa avesse avuto a che fare con i vampiri nei secoli, era raccolta nei suoi archivi. Lì avrei trovato il volume che stavo cercando, quello sulle cui pagine erano riportate le generalità dei vampiri che nei secoli avevano dato sfoggio di inusuali capacità. Erano tutti classificati in elenchi anagrafici che tracciavano la storia del vampiro e definivano i caratteri del potere che custodiva. Così erano selezionate le nuove reclude dei Volturi, circuite e indotte alla resa
Due Volturi erano stati eletti alla veglia perpetua di quell’archivio dimenticato, tanto segreto che soltanto in pochi avevano il beneficio di conoscerne l’esistenza. Secondo la mia fonte svolgevano quell’incarico, instancabilmente, da almeno duecento anni… ed erano in grado di resistere a qualsiasi condizionamento. Avremmo presto scoperto se era la verità
“Che cosa credi di fare?” chiese Alice, strattonandomi per un braccio e obbligandomi a rallentare. La sua mente mostrava le immagini di un futuro in cui ero costretto in un angolo dai colpi dei due guardiani e sostanzialmente prossimo alla capitolazione. “Ti farai ammazzare”
“Resta qui” le intimai perentorio e mi svincolai dalla sua presa. 
Percorsi il corridoio rapidamente e mi bloccai soltanto al suo termine, un passo prima di rivelare la mia presenza. Chiusi gli occhi e respirai profondamente, quanto bastava a raggiungere la massima concentrazione. Ne avrei avuto bisogno per usare a pieno il mio potere… 
Mi mossi più velocemente che potevo, sfruttando la loro sorpresa e la lentezza dovuta all’immobilità e assenza di stimoli cui erano stati obbligati durante quella veglia centenaria. Prima che potessero rendersene conto ero loro davanti e tenevo saldi tra le mani i loro avambracci, creando tra noi il contatto di cui avevo bisogno per usare il mio nuovo e prezioso talento. I loro occhi si velarono della nebbia del condizionamento, i loro propositi, i loro rimpianti, la storia delle loro intere esistenze si riversò nella mia mente con un fiume in piena... fu necessaria tutta la mia concentrazione per non lasciarmi sopraffare. “Raggiungete la festa. Indossate una maschera. Nessuno deve sapere che avete abbandonato la vostra postazione” ordinai loro in tono basso e perentorio. Tanto bastava per imporre la mia volontà sul loro libero arbitrio, spezzare ogni resistenza della mente e renderla schiava di ogni mio imperio. “All’alba riprendere il vostro posto e dimenticherete di esservi mai allontanati. Ricorderete una notte come le altre, in cui non è accaduto niente di strano”. 
Li liberai dalla mia presa e gli osservai dirigersi ubbidienti verso la direzione dalla quale ero arrivato. 
Percepii Alice irrigidirsi nel vederseli passare affianco, ma ben presto si rese conto che non riuscivano a vederla. Mi raggiunse un istante più tardi. Aveva sul viso un’espressione profondamente turbata. “Stai bene?” 
Attraverso i suoi pensieri vidi riflessa un’immagine provata di me stesso: occhiaie marcate e annerite sotto gli occhi affaticati, il volto scavato, la posa un po’ meno che flessa. “Più sono antichi, più è impegnativo condizionarli…” spiegai, senza scendere nel dettaglio. 
Un’infinità di domande, delle quali in parte conosceva già la risposta, affollava la sua mente, ma decise di non dar loro voce, almeno per il momento. “Nessuno ci disturberà, adesso” valutò, facendo cadere il discorso. “Ma facciamo in fretta”
Annuii e la precedetti all’interno del grande portone rimasto incustodito. Ci trovammo alle soglie di una enorme biblioteca composta di almeno una decina di stanze, tutte tra loro connesse con passaggi ad arco. Ognuna di esse era arredata con scaffali che andavano dal pavimento fino all’alto soffitto e da un enorme tavolo centrale, attrezzato di leggio, calamaio e pergamena antica. Nella più totale assenza di feritoie e luce viva, l’aria era claustrofobica. Un umano non avrebbe resistito in quel luogo per più di pochi minuti… 
“C’è una qualche sorta di classificazione?” chiese Alice, ponendosi una mano davanti alla bocca in un gesto umano ed assolutamente inutile. Non stava più respirando da qualche minuto. 
“Non ne ho idea. A quanto pare Aro non ha mai consentito a nessuno – tranne forse Marcus, Caius e Dydime - di entrare in questo posto” 
“Ci metteremo tutta la notte” considerò con la consapevolezza di chi conosce il futuro e, senza perdersi d’animo, mi fece cenno che avrebbe iniziato a cercare nella prima sala rivolta ad est. 
Per contro mi spostai sul lato ovest, imbattendomi in una serie di volumi rarissimi trascritti in latino che riportano la storia bizantina da un punto di vista certamente inedito per gli storici contemporanei... Dopo poco mi resi conto che l’intera sala era dedicata a quell’area tematica e mi spostai nella successiva e poi ancora nella seguente. 
“Trovato qualcosa?” chiese Alice dopo più di un’ora di ricerche a velocità accelerata. 
“Niente”
Presi una deviazione che, passando attraverso un basso arco conduceva in una sala dal soffitto bassissimo e dall’aria ancora più insalubre delle altre. Gli scaffali lì erano fino a metà parete ed erano riempiti soltanto nella fila centrale da quattro enormi volumi. Mi avvicinai al tavolo sommerso di carte e notai che vi erano appuntati lunghi elenchi di nomi. 
Ero nel posto giusto…
Chiamai Alice e insieme cominciammo a sfogliare i pesanti volumi rilegati. “Credo che ogni volume corrisponda ad un continente. Questo è dedicato alle Americhe. Ci sono anche i nostri nomi…” indugiò appena un secondo prima di continuare. Aveva un’espressione grave sul viso. “…e quello di Isabella”
 “Di cosa stai parlando?”
“Guarda”
Mi porse il pesante volume aperto alla pagina che riportava il nome di Isabella Swan. Era poco più di un appunto che riportava la data del 15 aprile 2006 e il dono posseduto, identificato col termine “scudo”. “Probabilmente hanno iniziato ad appuntare anche i nomi di coloro che mostrano fin da umani potenzialità che con la trasformazione possono divenire talenti. La data è quella della sua morte”
“Edward, se solo tu volessi prendere in considerazione la possibilità che…”
La ammonii con uno sguardo di ghiaccio. La speranza di rivederLa aveva distrutto tutto quello che ero stato e che avrei mai potuto essere. La mia stessa esistenza era dipesa esclusivamente dallo sforzo di strapparmi di dosso quel fardello. “Se i registri sono classificati per continente, allora dobbiamo trovare quello dedicato all’Europa”
Alice mi osservò qualche secondo, indecisa sull’aggiungere qualcosa, ma desistette e riprese la ricerca.
Il volume era l’ultimo della fila. Lo sfogliai velocemente, quanto bastava ad assicurarmi che contenesse l’indicazione che stavo cercando. 
“Possiamo andare?”
Controllai l’ora. Erano le quattro del mattino… tutto era andato come previsto. “Sì, sbrighiamoci”
Uscimmo dall’archivio e ripercorremmo a ritroso la strada che conduceva all’uscita della Corte sotterranea. Stavamo quasi per varcare le soglie della cantina della villa abbandonata quando Alice si fermò di colpo, travolta da una visione. Il loggiato affacciato sul giardino interno del Palazzo Vecchio di Volterra era illuminato da decine di torce accese che irrogavano la loro luce calda ed accogliente sul profilo pallido di un vampiro il cui volto era coperto da una maschera. I serici capelli raccolti in una coda ordinata e il volto esangue e dai lineamenti affilati dai secoli non lasciavano dubbi sul fatto che si trattasse del Signore di Volterra. Il silenzioso avvicinarsi di qualcuno alle sue spalle lo indusse a voltarsi ed a rivolgere un sorriso compiaciuto al nuovo ospite. “Bentornato, Edward Cullen”
Alice impiegò un minuto intero prima di tornare pienamente cosciente ed appena un secondo per posare la sua mano sul mio avambraccio in una stretta che costituiva di per sé una preghiera. “Non puoi andare” disse, avendo ben previsto le mie intenzioni. 
Meditai qualche secondo, osservando l’inquietudine nei lineamenti della sorella che avevo rinnegato. Che provasse o meno dei sentimenti nei miei confronti, lei sembrava essersene convinta. “Desidera incontrarmi” le spiegai con durezza. “Voglio sapere perché”
“Edward, è una trappola…”
Posai la mano sulla sua. “Porta il libro al sicuro. Ti raggiungerò appena possibile”. 
Se avesse insistito ancora l’avrei soggiogata ad andarsene, ne fu consapevole appena un secondo più tardi che quel pensiero si formò nella mia mente. Quella prospettiva riuscì talmente a sdegnarla che allontanò immediatamente la propria mano, interrompendo ogni contatto tra noi. “Come preferisci”
Ci salutammo con un breve cenno appena fuori la vecchia villa abbandonata. Lei si sarebbe allontanata da Volterra e avrebbe atteso, nascosta, che si facesse l’ora per ripartire dall’Italia… Io sarei andato incontro al mio destino, dritto al Palazzo Vecchio di Volterra. 
 
***
 
Entrai nel Palazzo da un ingresso laterale ed evitai accuratamente il salone in cui stava avendo luogo la festa. Indossavo una maschera sul volto e vestivo l’uniforme dei Volturi - completo scuro a doppio petto abbottonato fino al collo e un mantello lungo fino ai piedi calzati da stivali di cuoio nero. Non avrei destato l’attenzione, ma era meglio prestare la massima cautela…
Raggiunsi il cortile interno senza incrociare nessuno, come se tutti i corridoi fossero stati per magia privati della bolgia che normalmente li animava e che, quella sera, avrebbe dovuto essere traboccante a causa della festa. 
All’esterno, nonostante fosse giugno, l’aria era densa di elettricità e a momenti sarebbe iniziato a piovere. Trovai Aro ad attendermi esattamente nel punto in cui si trovava nella visione di Alice. La sua mente era vuota di particolari macchinazioni e impegnata soltanto nel valutare l’organizzazione che Caius aveva scelto per la festa. Se si aspettava qualcosa da quell’incontro i suoi pensieri non ne portavano traccia. Mi concentrai sulla realtà circostante e mi accertai che nei dintorni non vi fosse nessuno. 
Eravamo soli.  
Si voltò appena sentendomi arrivare, dedicandomi un sorriso cordiale quanto raccapricciante. “Bentornato, Edward Cullen”
Mi feci avanti senza rispondere, fermandomi ad appena un paio di passi di distanza, quanto bastava affinché, allungando la mano, non fosse in grado di toccarmi. “Come sapevi che ero a Volterra?”
“Vorrai perdonare la mia scortesia, ma non posso rispondere a questa domanda… Non trovo equo condividere i miei trucchi con qualcuno che non è disposto a fare lo stesso con i propri” dichiarò, porgendomi la mano in un invito a condividere i miei pensieri. La mia assenza di reazione parve compiacerlo perché proruppe in una risata stridula e consumata dai secoli. “Come pensavo” ammise ed abbassò la mano, rinunciando ad avere accesso alla mia mente.
I suoi pensieri, ancora una volta, erano vacui e non mi fornirono più elementi di quanto avessero fatto le sue parole. “Come sapevi che ero a Volterra?” 
Assunse un’aria pensosa ed esitò prima di rispondere. “Ho le mie fonti e tuoi metodi sono molto meno sofisticati di quanto tu creda. Sono contento, comunque, che tu sia passato a farmi una visita. Ero molto curioso di rivederti. Sono sorte delle leggende intorno al tuo nome… Dicono che tu sia diventato molto potente oltre che folle e che tu stia cercando un esercito per sconfiggerci, per vendicarti di quello che accadde dieci anni fa. È questo il tuo intento? Distruggere l’unica organizzazione abbastanza temuta da garantire il rispetto delle regole tra i membri della nostra razza?” 
Restai impassibile mentre misurava il mio sguardo con una lunga e attenta occhiata. Senza muovermi, allertai ogni difesa, colto dalla netta sensazione che, da un momento all’altro, avrebbe potuto coprire la distanza che ci separava e guadagnare la presa sul mio braccio e miei pensieri. Fu con grande sorpresa che lo osservai portare una mano all’altezza del cuore e schernirsi con fare bonario. “Perdonami, mio caro. Sono stato egoista e ho pensato esclusivamente ai miei interessi. Se hai accettato di incontrarmi è perché brami disperatamente una risposta… Non voglio farti attendere oltre”
“Non ho posto alcuna domanda”
Rise sonoramente con la sua voce stridula e consumata dai secoli. “Arrogante, come sempre” considerò. “Almeno questo non è cambiato… Lei ne sarà certamente conquistata”
Gli rivolsi un’occhiata ammonitoria. “Non sono interessato ai tuoi trucchi”
“Trucchi?” domandò con un’espressione di finto stupore. “Tu credi che sia tutta un’illusione, che ti abbia mostrato un bel fantoccio soltanto per stanarti, circondarti e farti affrontare, da solo, il mio potente esercito? No, mio caro, ti stai ingannando. Non è questo il futuro che ho in mente per te… Questa sera lascerai Volterra illeso e con il tuo prezioso bottino. Tu vuoi una guerra e non ho nessuna intenzione di tirarmi indietro…” si interruppe e i suoi occhi si accesero di una luce malvagia. “Se ho voluto vederti è per concederti un’ultima possibilità di dare un significato alla tua misera esistenza. Tu credi di avere il controllo di te stesso e di essere pronto a sacrificare ogni cosa ti sia mai stata a cuore per ottenere la tua vendetta, ma ti sbagli. Non ne sei consapevole, ma hai ancora molto da perdere: la famiglia a cui sei inscindibilmente legato, la ragazza per la cui perdita hai raggiunto l’orlo della follia, il docile gruppo di vampiri che rinnega la propria natura nella speranza di vivere integrato con il genere umano e gli umani stessi, a cui dimostri tanto attaccamento. Ognuno di loro è un’arma nelle mie mani che mi permetterà di mandarti in pezzi. Non sei pronto per una simile impresa. Inchinati al mio volere, entra nella guardia spontaneamente e tutto ti sarà perdonato… altrimenti ti porterò via ciò che più ti è caro, pezzo dopo pezzo, ti ridurrò in catene e annienterò tutto quello che ti rende umano fino a renderti una bestia al mio comando”
Mi lasciai andare ad un mezzo sorriso. “Tu non hai idea di chi io sia diventato e di cosa, adesso, io sia capace. Non mi unirò mai al tuo esercito”
“Perché non dovresti? Le tue capacità sarebbero valorizzate come in nessun altro luogo tra le mie guardie.… Edward Cullen, rispettato e temuto ogni dove. E in fondo, Isabella è qui. L’ho tratta in salvo per te. È il tuo regalo di benvenuto”
Osservai l’essere abbominevole che avevo di fronte, chiedendomi se si rendesse conto dell’odio e del desiderio di vendetta che provavo nei suoi confronti. Lo avrei ucciso con le mie mani, avrei depurato la terra dal tutto il male che aveva causato col fuoco della sua pira. Lo avrei fatto già adesso, se non fosse così protetto, nel cuore del suo palazzo, circondato dal suo esercito. Lo avrebbero salvato prima che le sue carni si fossero tramutate in cenere. No, non avrei sprecato così la mia occasione… Il momento giusto sarebbe arrivato, presto
“Non mi interessa la gloria” ribadii con calma, senza lasciare all’odio il sopravvento. 
“E la pace? Neanche quella ti interessa?”
“Otterrò la pace soltanto dopo averti seppellito sotto le macerie del tuo palazzo”
“Sapevo che avresti risposto in questo modo, ma ti concederò ugualmente un po’ di tempo per ripensarci. Dopotutto, prima di considerare in modo definitivo le tue parole, desidero che tu possa rivedere la tua Isabella…”
Un tempo il solo sentire pronunciare il suo nome da labbra indegne mi avrebbe fatto reagire, ma non adesso che avevo accettato la sua morte e intrapreso la strada che mi avrebbe consentito di vendicarla. Non abbassai lo sguardo dal predatore innanzi a me né accolsi la sua provocazione. “Lei è morta dieci anni fa, Aro, e non esiste artifizio che possa averla mantenuta in vita” 
“Oh, Edward, mi sottovaluti” mi schernì con un’espressione di trionfo sul viso cereo. “Affrettati, ti attende nella torre nord”
 
***
 
Volterra, 1 giugno 2016
Bella

Il salone delle adunanze era illuminato da centinaia di candele che riverberavano la loro luce fioca sui lucidi pavimenti di marmo chiaro. Articolate composizioni floreali addobbavano gli angoli della sala, scendendo a grappoli dai lampadari di cristallo e creando l’illusione di luogo incantato sospeso nel tempo anziché in un sepolcro eroso dai secoli. Tutta la guardia sembrava essere presente: gli uomini indossavano l’alta uniforme con gli stivali fino al ginocchio e il lungo mantello posato sulle spalle, le donne vestivano abiti sofisticati e tacchi vertiginosi, secondo l’ultima moda umana. C’era qualcosa di lugubre in quell’artefatto tentativo di emulare una realtà della quale nessuno faceva ormai più parte… Qualche umano era presente, ignaro di convogliare su di sé l’attenzione dei presenti anche rimanendo in disparte: un paio di uomini d’affari desiderosi di protrarre le proprie fortune per l’eternità, qualche drogato arruolato per strada con la promessa di qualche spicciolo alla fine della festa, una decina di donne invaghite dall’avvenenza dei loro accompagnatori non morti e, ovviamente, Gianna. Mi venne il voltastomaco al pensiero che tutto quello sfoggio di antica magnificenza si sarebbe tramutato nell’ennesima carneficina. 
Mi feci spazio tra la folla, in cerca di Demetri. A momenti Aro avrebbe ufficializzato la sua nomina a comandante della guardia, investendolo di un privilegio che prima d’allora non era mai stato concesso a nessun altro. Non riuscivo a fare a meno di chiedermi quale fosse il movente di quella decisione e quale ne sarebbero state le conseguenze. La linea di comando era in procinto di cambiare. Ci sarebbero stati reparti che avrebbero dovuto rispondere direttamente al nuovo comandante, spedizioni che sarebbero state coordinate direttamente da Demetri e delle quali lui stesso avrebbe dovuto farsi garante. Avevo motivo di pensare che i presenti non avrebbero accolto positivamente quel cambiamento… perché avrebbero dovuto? Quella nomina pioveva dal niente e non sembrava costituire la ricompensa per alcun particolare trionfo. Era merito di Marcus? Non sapevo che pensare. Lui e Demetri erano sempre stati molto legati, ma non avevano mai dato l’impressione che la loro amicizia avesse risvolti politici. Ero preoccupata e temevo che qualcuno della guardia avesse una reazione violenta. 
Scorsi Demetri dall’altro lato della sala, intento in un’apparentemente concitata discussione con Marcus. Sembrava inquieto. Feci per avvicinarmi quando una sgradevole sensazione mi avviluppò. Seppi di cosa si trattava ancor prima di accertarmene. Jane
“Aro ha degli ordini per te”
Osservai un sorriso insolente deturpare i suoi tratti aggraziati di fanciulla d’altri tempi. Indossava un vestito rosso vermiglio a palloncino ed aveva stranamente lasciato i capelli sciolti. Somigliava ad una bambola dallo sguardo crudele. “Di cosa si tratta?”
“Vieni con me”  
Misurai un momento il suo sguardo, incerta. Avevo la sensazione che stesse tramando qualcosa e che ne fosse estremamente divertita. Non si preannunciava niente di buono. “Lasciami solo un momento per avvertire Demetri”
Non ebbi modo di compiere nemmeno un passo prima che la stretta ferrea della sua mano minuta mi immobilizzasse l’avambraccio. “Lui non deve saperlo”.
Senza allentare la presa mi trascinò via con sé fuori dalla sala. Fino all’ultimo minuto cercai lo sguardo di Demetri, sperando di renderlo consapevole di cosa stava avvenendo. Sfortunatamente, non si si voltò. “Dove mi stai portando?”
Jane non disse una parola fintanto che non raggiungemmo l’ingresso della torre nord dove appena pochi giorni prima mi aveva raccontato della nomina a comandante. “Raggiungi la sommità delle scale ed aspetta. Aro ha un ospite speciale questa sera e vuole che tu gli dia il benvenuto”
“Perché qui? E perché io?”
Mi rispose con un’allegria innaturale che soltanto all’apparenza poteva essere scambiata per entusiasmo giovanile. C’era malignità nei suoi occhi sempre troppo vermigli… “Non posso dirtelo” rispose, con simulata innocenza. “Rovinerebbe la sorpresa”. Mi fece un candito sorriso e se ne andò senza aggiungere altro. 
La osservai fintanto che non svanì dal mio campo visivo poi, sospirando, rivolsi lo sguardo verso le scale. Il vestito che avevo indossato mi intralciava i movimenti. Era rosa pastello, aveva il corpetto ricamato di piccole perline che aumentavano di numero all’altezza della vita e scendeva a terra in una pozza di chiffon sempre meno velato man mano che si avvicinava ai sandali dorati. Lo drappeggiai su di un lato con la mano ed iniziai a salire. Il rumore dei tacchi sulla pietra riecheggiava ad ogni scalino come fosse un eco della mia stessa inquietudine. C’era qualcosa che non andava… non avrei saputo dire di cosa si trattasse, ma avevo la strana sensazione che quella serata nascondesse molte più macchinazioni di quanto potesse sembrare. La campagna in America del Nord nei confronti di un clan diretto da un vampiro che aveva dimorato a Volterra, la nomina di Demetri a comandante, l’ambiguo atteggiamento di Jane, il misterioso visitatore che Aro aveva scelto di ricevere proprio questa sera… Ero curiosa di conoscere la sua identità e quale fosse il motivo per riservargli una simile accoglienza. “Perché qui? E perché io?” tornai a chiedermi, senza ottenere altra risposta se non il riverbero della criptica risposta di Jane. “Rovinerebbe la sorpresa”.
Arrivai in cima alle scale ed aprii la porta della torre. Mi guardai velocemente intorno… non c’era ancora nessuno. Il cielo era scuro e i lampi in lontananza preannunciavano l’arrivo di un violento temporale. Raffiche di vento gelido e impetuoso piegavano i rigogliosi cipressi, flettendone il gambo e stracciando le loro folte chiame. I capelli che avevo accuratamente legato sulla nuca con un fermaglio si sciolsero e iniziarono ad ondeggiare al vento. Mi feci avanti verso il parapetto, stando attenta a mantenere una buona visuale della porta da cui ero arrivata, unico accesso e via di fuga dalla torre.
Mi trovai davanti un panorama spettrale. Quello che alla luce del sole di maggio aveva rappresentato uno dei più belli esempi di rigogliosa campagna toscana, adesso mostrava le fattezze da una terra tormentata. Non si scorgeva alcuna luce in lontananza, se non quella dei lampi che saltuariamente illuminavano il cielo… 
Il sentore della presenza di qualcuno alle mie spalle allertò i miei sensi. Mi voltai di scatto e istintivamente arretrai fintanto che non sentii la schiena urtare col parapetto. Avevo davanti un membro della guardia col volto coperto da una maschera. Non lo avevo sentito arrivare, cosa davvero incredibile considerate le mie abilità e il fatto che ero concentrata ad attenderlo. 
Lo osservai per qualche secondo con cautela, tentando di capire chi fosse. Le spalle larghe, la corporatura atletica, la vita sottile… avrebbe potuto essere chiunque. C’era tuttavia qualcosa nel suo sguardo affilato, nei suoi occhi di un rosso tanto scuro da sembrare nero, nei capelli ramati mossi dal vento che mi diede la sicurezza di non averlo mai visto prima d’allora. Non era un Volturo, ne ero certa, nonostante indossasse l’uniforme. “Chi sei?”
Non rispose, ma si fece avanti. 
“Non lo sai”
La sua voce era ferma e profonda, non aggressiva ma nemmeno carezzevole. Pronunciò quelle parole in un tono che avrebbe potuto appartenere a una costatazione o a una domanda. Non risposi, continuando a guardarlo avanzare. I suoi passi sicuri e cadenzati si arrestarono soltanto quando tra noi non si frapponeva altro che un soffio di vento. Manteneva lo sguardo fisso sul mio, conservando un’immobilità che avrebbe potuto essere tanto minaccia quanto quiete. Senza abbandonare i suoi occhi alzai una mano con cautela, così che non si sentisse attaccato e potesse fermarmi in qualsiasi momento. Con delicatezza posai le dita sul bordo della sua maschera e la sfilai verso l’alto, scoprendogli il volto. 
I suoi tratti erano di una tale raffinatezza che avrebbe potuto anche essere bellezza se non fosse stato per quel velo di malinconia che sembrava essere calato sul suo sguardo fino ad appannarne lo splendore. I suoi occhi esprimevano un misto di rabbia e struggimento. Ebbi un istintivo moto di pena per lui. Qualunque fosse il suo demone lo stava divorando dall’interno, pezzo dopo pezzo. “Mi dispiace”
“Per che cosa?”
Non avrei saputo dirlo nemmeno io, in verità. “Per qualunque cosa ti faccia soffrire in questo modo” dissi, cercando di dare sfogo a quell’inspiegabile groviglio di angoscia e tristezza che negli ultimi minuti si era impadronito di me. 
Il rumore di un tuono ci scosse, penetrando nella roccia e facendo vibrare impercettibilmente il parapetto. Lui mi osservò per un attimo ancora, attonito, come se fosse la cosa più assurda che avesse mai sentito. Proruppe in un sorriso sghembo, forse stonato con la tristezza del suo viso, ma non per questo meno affascinante. Fu quasi con dispiacere che lo vidi fare un passo indietro ed iniziare ad allontanarsi. 
“Aspetta, perché Aro ha voluto che ti incontrassi?”
Si voltò appena, mostrandomi il profilo. “Non ha voluto che tu incontrassi me, ma che io incontrassi te” mi corresse. “Assomigli incredibilmente ad una persona che mi era cara”
Fu in quel momento che capii: la storia del vampiro divenuto folle per aver ucciso l’umana di cui era innamorato, il suo desiderio di distruggere Volterra, la malignità di Jane nel condurmi a quell’incontro. “Tu sei…” 
Intanto che la pioggia iniziava a scendere impetuosa la mia mente perse un attimo di lucidità. Una fitta dolorosa alla testa mi annebbiò la vista, privandomi di ogni percezione. 
Quando mi risvegliai ero distesa su una panca nell’anticamera del salone. Mi issai sulle braccia e mi guardai intorno, cercando di capire come fossi arrivata lì… poi ricordai. Avevo appena incontrato Edward Cullen.
 
***
 
Quando rientrai Alice era seduta sul parapetto dell’ampia finestra affacciata sul vigneto. Lo sfondo della pioggia torrenziale creava un piacevole chiaroscuro sul profilo serio e concentrato del suo volto. Teneva lo sguardo fisso all’orizzonte, il mento sollevato ad esaltare la linea delle guance e gli zigomi appuntiti. I capelli bruni lunghi fino alle spalle erano raccolti su una spalla e lasciavano scoperti parte del collo e la clavicola. 
“Non dovresti esporti così tanto” suggerii, chiudendomi la porta alle spalle. “Qualcuno potrebbe notarti”
Una violenta folata di vento fece ondeggiare la larga t-shirt maschile che indossava, lasciandole completamente scoperte le gambe sottili. “Che importanza può avere? Sei stato loro ospite fino a pochi minuti fa… Se avessero voluto farci del male lo avrebbero già fatto”. 
“Dov’è il libro?”
“Nel mio zaino, nel fondo dell’armadio” 
Lo presi e una volta che mi fui sfilato mantello, giacca e stivali, mi distesi sul letto ed iniziai a sfogliarlo alla ricerca dell’informazione che cercavo. Alice non diceva una parola, nemmeno in relazione al mio proposito di non tornare immediatamente in Nord America e di fare una tappa intermedia in Europa. Non le importava altro che il mio incontro con la ragazza. I suoi pensieri vorticavano intorno sempre alla stessa idea e sapevano assordanti quanto quelli di una città intera. 
“Cosa vuoi sapere?” le chiesi infine, nella speranza di porre fine a quel supplizio.
Scelse di non voltarsi nel rispondere e di mantenne lo sguardo rivolto verso il vuoto. “È davvero Lei?” chiese e la stessa speranza nella sua voce era un’offesa al Suo ricordo. Voleva espiare la colpa di averla condotta a Volterra nonostante la consapevolezza che non sarebbe mai tornata e niente avrebbe potuto agevolarle il compito più del fatto che Bella fosse ancora in vita. Sciocca illusa, ottenebrata dai tuoi stessi desideri.
“No, non era Lei, ma costituirà comunque un problema” tagliai corto, omettendo di riferirle il pensiero che mi assillava da quando mi ero lasciato alle spalle le luci del palazzo di Volterra. Non ero riuscito a leggerle la mente.

Ritorna all'indice


Capitolo 9
*** Promesse di Sacrifici (Demetri/Alice/Edward) ***


Questa volta è passato soltanto qualche mese e non, come di consueto, un anno intero. Sto facendo piccoli progressi... chissà che un giorno riesca ad aggiornare con regolarità. Faccio, come sempre, un grande saluto ai lettori rimasti e mi scuso ancora con loro per le mie lunghe assenze. 
All'inizio dello scorso capitolo potete trovare una breve sintesi della storia fino a quel punto. Di seguito il riassunto dello scorso capitolo.
Buona lettura

Nel capitolo precedente

Edward ed Alice si recano a Volterra con l'intento di sottrarre ad Aro il registro dei talenti e riuscire a trovare un vampiro dotato del dono della preveggenza. Mentre alla corte dei Volturi è in corso un ballo per celebrare il neonominato comandante della guardia - Demetri - i due si introducono nella vecchia corte e riescono a procurarsi il libro. Prima che possano scappare, tuttavia, Aro riesce ad indurre Edward ad un incontro nel quale gli chiede di rinunciare al proprio desiderio di vendetta e di unirsi al suo esercito. Come segno di pace gli combina un incontro con Bella, la quale è tenuta all'oscuro di tutto. Edward si reca all'incontro, ma non si convince che la vampira sia la ragazza che amava. 

Volterra, 3 giugno 2016
Demetri

 

Il dolore era ancora lanciante nonostante che il mio castigo fosse terminato almeno da un paio d’ore ormai. Ogni terminazione nervosa pulsava nello sforzo di rigenerarsi e di lenire il tormento provocato alla furia distruttiva del dono di Jane. Avevo la vista appannata e nessuna possibilità di muovermi. Non reagii quando sentii aprire il pesante portone della cella in cui ero stato malamente sbattuto dopo l’efficace trattamento rieducativo.
“Sono accorso appena ho saputo”
Mi lasciai sfuggire un mezzo sorriso che mi costò una fitta lanciante all’intero viso. “La tua catena di informatori non è più efficiente come un tempo” scherzai, tossendo sangue.
“Ti ha conciato davvero male” valutò Marcus inginocchiandosi accanto a me e studiando le mie condizioni con fare pratico. “I tuoi tessuti nervosi stanno comunque iniziando a rigenerarsi. Questo li aiuterà” mi avvicinò alla bocca una bottiglietta colma di liquido vermiglio.
Ne bevvi qualche sorso. “Grazie”
“Riesci ad alzarti?”
“Non credo proprio”
Con cautela mi passò il braccio sopra le sue spalle e mi issò sostenendomi per la vita. Trattenni un grido quando un dolore lacerante mi scosse dalla base della spina dorsale fino alla nuca.
“Ti porto a casa”
“C’è Bella a casa. Non voglio che mi veda in questo stato”
“Va bene”
Chiusi gli occhi e mi lasciai trascinare per i passaggi che dalle prigioni conducevano verso la vecchia corte. Marcus si sapeva orientare meglio di chiunque altro in quell’intricato groviglio di corridoi e stanze abbandonate. Nessuno ci vide. Nessuno probabilmente nemmeno si accorse che non ero più nella cella che mi era stata temporaneamente destinata.
L’odore di legno marcio e di polvere mi fecero capire che avevamo raggiunto la meta. Mi sentii adagiare su qualcosa che sembrava un vecchio e scomodo divano. Un’altra fitta atroce mi trapassò lo sterno, facendomi contorcere dolorosamente. “Tutto bene?”
“Una meraviglia”
Piano piano la puntura dolorosa si attutì, ma continuavo comunque ad avere difficoltà a ragionare lucidamente e la testa mi faceva un male atroce. Continuai a tenere gli occhi chiusi.
Marcus si allontanò per qualche minuto. Tornò poco più tardi, armato di un panno umido con cui cominciò delicatamente a ripulirmi la faccia dal sangue.
“Vuoi dirmi cosa è successo?”
“Non lo sai?”
“Lo immagino, ma vorrei conoscere i dettagli”
“Cullen era qui a Volterra la sera della cerimonia. Aro ha fatto in modo che incontrasse Bella”
“Ha dato segno di ricordare qualcosa?”
“No”
Non chiese maggiori chiarimenti né sembrò particolarmente stupito di venire a conoscenza di quell’informazione: tutti segnali che già sapeva.
“Cos’altro è successo?”
“Stamattina Aro mi ha convocato. Aveva degli ordini. La nostra spedizione in Canada è solo un pretesto… vuole che Bella si lasci catturare. In questo modo si darà l’impressione che loro tengano in ostaggio uno dei nostri e Aro otterrà una giustificazione concreta per dichiarar guerra al clan Cullen - tra l’altro con la straordinaria possibilità di sostenere che sono stati loro ad iniziarla. In previsione di un futuro scontro vuole assicurarsi che Edward non crei problemi”
“Vuole che Bella lo uccida?”
“Solo qualora non riesca a convincerlo ad unirsi alla guardia… ma questa è una prospettiva che trovo davvero improbabile”
Marcus non ebbe nuovamente alcuna particolare reazione. Sapeva anche questo. Perché non mi aveva avvertito? Alle ferite che già mi tempestavano il corpo se ne aggiunse forse un’altra, più dolorosa delle altre.
“Lo sapevi già, non è vero?”
“Avrei dovuto avvisarti, ma pensavo di avere più tempo. Stavo cercando una soluzione”
“A che punto sei arrivato?”
“Aro è irremovibile”
Sospirai. “Allora non mi rimane molta scelta”
“Ti ha dato l’ordine di lasciarla con loro e ti sei rifiutato?” chiese, avvicinandomi ancora alla bocca la bottiglietta e sorreggendomi la testa in modo che potessi bere un altro paio di sorsi.
“Più o meno. In fondo Jane ogni tanto va fatta divertire”
“Demetri, devi parlare con Bella…”
“Lo so, devo dirle la verità”
“Sì e devi farlo presto”
Marcus mi poggiò una mano sulla spalla in segno di sostegno. “Mi dispiace, infinitamente”
“Toglimi una curiosità” chiesi, cercando di cambiare discorso e di celare il turbamento che la prospettiva di raccontare a Bella la sua storia mi provocava. “Cosa diavolo ci faceva Cullen a Volterra?”
“Ha rubato un libro”
“Quale libro?”
“Il registro dei talenti”

 

 Oblast' di Arcangelo (Russia), 5 giugno 2016
Alice

 

La periferia di Arcangelo, una piccola città della Russia settentrionale affacciata sul Mar Bianco, era una distesa ghiacciata nonostante fossimo a metà giugno. Dopo una primavera temperata, in linea con la media stagionale, una gelata improvvisa aveva riportato la temperatura sotto lo zero, riconducendo tutta la zona alle porte dell’inverno. 
Il Land Rover Evoque preso a noleggio in città procedeva senza intoppi lungo la statale deserta che ci avrebbe condotti in una zona selvaggia più a nord, praticamente non civilizzata dall’uomo e sede di un paio di clan di piccole dimensioni. Ci stavamo dirigendo verso uno di questi, almeno per quanto avevo potuto carpire dall’analisi delle nostre linee temporali. Diveniva sempre più difficile riuscire a prevedere le mosse di Edward, ultimamente… I suoi propositi tendevano ad essere insondabili, schermati dall’allenamento cui si era sottoposto e da almeno un paio di abilità che aveva acquisito lungo il suo viaggio. Raramente riuscivo ormai a percepire in modo chiaro qualunque futuro lo riguardasse. 
Istintivamente volsi lo sguardo verso di lui. 
Sembrava rilassato alla guida, come era un tempo… ma era soltanto apparenza. La calma innaturale che ormai sembrava animare ogni suo movimento raccontava una tensione latente che non lo abbandonava mai e che lo teneva perennemente in guardia di fronte a qualsiasi pericolo potesse ritenere ad attenderlo. Negli ultimi giorni non aveva praticamente parlato. Eravamo andati all’aeroporto di Pisa, avevamo comprato un biglietto aereo per Stoccolma e poi per Arcangelo-Talagi, un piccolo aeroporto poco trafficato nei pressi della città. Avevamo impiegato tre giorni ad arrivare. C’era stato soltanto il tempo di una breve sosta per acquistare qualche capo di abbigliamento invernale che ci permettesse di confonderci con gli umani e di sbrigare le pratiche per il noleggio. Durante tutto ciò non aveva proferito parola sui suoi intenti, né in qualche modo aveva messo in chiaro il motivo di quella deviazione. 
Un vago senso di inquietudine aveva iniziato ad avvilupparmi fin dalla nostra partenza dall’Italia. 
Da quando aveva letto quel nome sul volume che avevamo sottratto ai Volturi – Diana – brevi flash avevano cominciato ad affollarmi la mente: Edward che parlava con una vampira dai tratti angelici e dagli occhi vuoti accanto ad un camino acceso; Edward che portava la vampira in braccio in una passeggiata al chiar di luna nello scenario di una spettrale campagna innevata, l’amplesso che li vedeva uniti nella calda luce di una candela morente… e poi il sangue nero che scendeva a fiotti dalla gola della vampira, imbrattandole il petto, e le fauci mostruose di Edward affondate nella sua carne devastata dai morsi. Voleva il suo dono, la capacità di prevedere il futuro. Non c’erano dubbi su questo… Il nostro viaggio in Italia era stato solo un modo per riuscire a trovarla. 
“Non devi restare, se non vuoi”
Provai un profondo senso gelo vedendo farsi sempre più vicina quella logora capanna che aveva fatto da sfondo alle mie macabre previsioni. Stavo per essere complice di un massacro e mai prima di adesso sentivo farsi opprimente il dubbio che non fosse rimasto nulla della creatura che era Edward. 
In lontananza, una vampira alta dai capelli color dell’ebano e la carnagione incredibilmente pallida ci stava aspettando.

 

***

Oblast' di Arcangelo (Russia), 6 giugno 2016
Alice

 

Era il secondo giorno che aveva raggiunto il rifugio di Vara e Diana e l’atmosfera era ogni momento più surreale. Edward aveva passato tutta la notte e la mattina accanto al fuoco, a parlare concitatamente con Diana della sua storia e i suoi progetti… il suo piano per annientare Volterra. Lei conosceva certamente qualunque cosa stesse per dirle, ma sembrava ascoltarlo con profonda attenzione. Lo scrutava al di là dei suoi occhi ciechi e giova o si angosciava a seconda di quanto lui stava raccontando. C’era un’atmosfera intima tra loro, qualcosa che non riuscivo davvero a capire. Col dono della preveggenza, Diana non poteva non sapere il motivo per cui eravamo venuti eppure ci aveva accolto come gli ospiti più graditi che avesse mai avuto modo di ricevere. Forse la sua condizione si era semplicemente fatta troppo gravosa e non desiderava altro che l’oblio. Riusciva a mala pena ad alzarsi da quella sedia posta davanti al camino e anche quando vi riusciva non faceva che pochi passi senza l’auto di Vara, la vampira bruna che ci aveva accolto al nostro arrivo. Vara si occupava di lei costantemente, come fosse una sorella o una figlia. Non riuscivo a fare a meno di provare un gran senso di tristezza: stava per perdere la persona alla cui cura aveva dedicato buona parte della sua esistenza. 
“Quanti anni ha?” chiesi, indicando Diana. Vara era seduta accanto a me al vecchio di legno, unico arredo oltre ad un letto e un paio di sedie davanti al camino di quella spoglia baita. Non parlava troppo bene l’inglese, ma si sforzava di farsi capire.
“Neanche lei lo sa più con precisione… Il futuro occupa la sua mente da così tanto tempo che non ricorda quasi più nulla della sua vita. Una volta mi parlò di uomo che aveva amato. Credo fosse un cavaliere diretto in Terra Santa per le crociate. Fu soltanto un momento, comunque. È raro che parli ed è raro soprattutto che parli di sé. Questa” spiegò, indicando Edward e Diana che stavano conversando a bassa voce, “è soltanto un’eccezione dettata dalle circostanze. Impegnare la propria attenzione in una conversazione le richiede uno sforzo di concentrazione sovrumano. Lo stesso che le è necessario per consentire a tuo fratello di leggerle la mente. Senza i filtri che lei pone ai suoi pensieri lui rischierebbe di perdere la via e impazzire”
Guardai Edward, sempre più angosciata. Io avevo sperimentato il trauma di risvegliarmi vampira col dono della vista… Era stato atroce. Avevo passato anni senza nemmeno essere in grado di muovermi dal letto. C’era voluto un decennio affinché fossi in grado di distogliere l’attenzione dei miei pensieri e potessi iniziare ad avere una vita al di là delle mie visioni. Lui già doveva gestire la lettura del pensiero. Se avesse acquisito anche il dono di Diana, apparentemente di una tale potenza che il mio era soltanto un gioco da bambini, la sua mente non avrebbe retto. Senza contare gli effetti a lungo termine. Diana era invalida ormai da più di un secolo. 
Edward non aveva idea a cosa stava andando incontro. Dannazione, dovevo trovare un modo per fermarlo e farlo prima possibile.  

 

Oblast' di Arcangelo (Russia), 8 giugno 2016
Edward

 

Il fuoco scoppiettava nel camino vivace e caldo, conferendo all’ambiente un’atmosfera intima. Vara si era offerta di aiutare Alice nella ricerca di qualche animale di cui saziarsi. Considerava la nostra dieta qualcosa di curioso e un’occasione per distrarsi dalla routine. Non senza esitazione mi avevano lasciato solo con Diana. Anche Alice mi aveva riservato uno sguardo angosciato prima di uscire dal rifugio, ma non aveva detto nulla. 
“Non puoi immaginare da quanto tempo ti stia aspettando, Edward Cullen”
Diana era seduta di fianco a me in una piccola poltrona di vimini e rivolgeva lo sguardo vuoto innanzi a sé. Gli occhi color del ghiaccio, incapaci alla vista, erano rivolti nella direzione del fuoco. Sembrava un angelo vestita di quel candido vestito color del cielo e i capelli tanto biondi da sembrare bianchi. Mi ricordava quelle bambole di porcellana che venivano regalate alle bambine agli inizi del secolo, nel tempo che mi aveva visto nascere. Era incredibile come quel corpo ormai esile e indebolito nei secoli conservasse una tale forza interiore da consentire al suo dono, il più prezioso di tutti, di raggiungere la sua massima espressione. Nella sua mente un vorticare infinito di percorsi disegnavano la sorte di questo mondo e di quelli che ad esso sarebbero seguiti, al di là del tempo stesso. Le sue predizioni non erano condizionate dalle decisioni altrui. Lei vedeva ciò che il fato aveva in serbo per ognuno di noi. Mi aveva spiegato che c’erano dei punti fermi nella vita di ogni essere che non sarebbero mai potuti mutare, a prescindere dalle scelte compiute e dalle strade che si era deciso di percorrere. Era il destino, nella sua forma più pura. 
“Non è stato semplice trovarti” 
Mi fece un piccolo sorriso. “Sarei venuta io, se avessi potuto”
Diana era praticamente inferma. Nei secoli la potenza del suo dono le aveva consumato il fisico e il spirito. Era troppo intenso da gestire persino per un vampiro. Da un certo momento in poi la capacità rigenerativa del suo organismo aveva iniziato a cedere. La vista non era più tornata e le forze avevano cominciato semplicemente a scemare. Non si muoveva quasi più, persa nei meandri dei suoi pensieri, spettatrice impotente delle sorti di milioni di storie di cui era solo spettatrice. Se non fosse per Vara che si occupava di lei, Diana si sarebbe semplicemente lasciata morire di fame, incapace anche solo di muovere un passo per procurarselo. “Che cosa si prova a conoscere la sorte del mondo?”
Il suo sguardo rimase fisso sul fuoco, ma intravidi che la sua espressione si era fatta grave. “Solitudine, la maggior parte delle volte, e, per il resto, impotenza. A dispetto di quello che tu credi la mia condizione è una maledizione”
“È lo strumento più potente di cui un vampiro possa disporre” 
Scosse leggermente la testa in senso di disaccordo. “Non lo è, Edward. Ti consuma in modo profondo ed irreversibile. Ti porta via ogni alito di vita che ti è rimasta dopo la morte. Finisci per diventare un involucro vuoto, un contenitore di un grande dono di cui non puoi fare assolutamente nulla”
Lei conosceva il motivo per cui ero lì, era al corrente delle mie intenzioni forse fin da prima che io stesso le ponderassi e sapeva che sarei stato io a porre fine alla sua esistenza. “Stai cercando di dissuadermi?”
“Sto cercando di avvertirti e di assicurarmi che tu sia pronto”
Stavo per assicurarle che ero pronto da anni e che niente al mondo avrebbe potuto distogliermi dai miei propositi, quando i miei pensieri mi riportarono sulla vetta di quella torre buia del luogo ove ogni cosa era iniziato. La vampira dei capelli bruni era là, stesa a terra, baciata da una pioggia rabbiosa. Sembrava avere perso i sensi. Le avevo rivolto le spalle e stavo per andarmene, lasciandola là, al proprio destino… quando il ricordo di Lei mi aveva travolto come una marea in piena, come non faceva più da anni. Senza una ragione, ero tornato indietro, l’avevo presa in braccio e condotta dabbasso, fino all’ingresso della sala da ballo. I bei boccoli scuri erano bagnati dalla pioggia, così il suo viso. Era incredibile quanto Le somigliasse… Avrei voluto rubarle un bacio, ma l’avevo considerata una stupida debolezza e avevo desistito. Con delicatezza l’avevo adagiata su un seggio e me ne ero andato, lasciandomi alle spalle Volterra e la crudeltà del suo sovrano che dopo avermi privato di ciò che più amavo si divertiva a mostrarmi quando esisteva di più simile a colei che avevo perduto. Sì, ero davvero pronto. “Lo sono” confermai, ma Diana aveva letto la mia esitazione come se fossi un libro aperto. 
La vampira accanto a me si girò nella mia direzione, come se potesse vedermi, e assunse un’espressione antica, di quelle il cui significato sia era perso all’alba dei tempi. “Non mi chiederai di colei che hai incontrato a Volterra? Non mi chiederai se quella somiglianza è soltanto coincidenza o nasconde qualcos’altro?”
Per la prima volta da quando avevo intrapreso il mio viaggio riuscii a parlare di Lei con un interlocutore diverso dai miei stessi pensieri. Parlare con Diana era come farlo con un confessore, un vecchio saggio che conosce i segreti dell’animo umano e non subisce più i suoi turbamenti. “Bella è morta dieci anni fa. Non c’era più un alito di vita in lei quando me l’hanno strappata dalle braccia. Non ho mai avuto dubbi su questo, nemmeno in quei momenti in cui la disperazione stava prendendo il sopravvento. Quella vampira le somiglia in un modo surreale, ma non può essere davvero Lei. È un modo per torturarmi, un inganno per indurmi a cedere alle loro lusinghe”
“È la paura che parla per te. Se scoprissi di esserti sbagliato, riusciresti mai a perdonarti per averla lasciata a Volterra e non essere mai tornato a prenderla?” 
Mi alzai dal panchetto in cui mi ero seduto e mi lasciai cadere in ginocchio ai piedi di Diana. Il suo sguardo era quello di una dea pagana che tutto sa e tutto può. “Mi stai forse dicendo che è Lei?”
Mi posò una mano gentile sulla guancia. “Sto dicendo che sono molte le cose di cui sei all’oscuro, Edward Cullen”

Ritorna all'indice


Capitolo 10
*** Verità Negate (Alice/Edward/Bella) ***


 
Oblast' di Arcangelo (Russia), 10 giugno 2016
Alice
 
Stava per albeggiare quando Edward e Diana rientrarono dalla lunga passeggiata che li aveva tenuti fuori per tutta la notte. La vampira aveva manifestato nel pomeriggio il desiderio di camminare sotto le stelle e mio fratello l’aveva accontenta portandola sulle spalle in giro per le pianure di Arcangelo e fino alle sponde più lontane del Dvina settentrionale dove l’assenza di luce artificiale consentiva di osservare l’intero firmamento. Non c’erano dubbi sul significato che aveva quella malinconica escursione… Mancava poco al rituale – o comunque si potesse chiamarlo – con cui Edward le avrebbe strappato il talento della vista e con esso l’esistenza. Il tempo era agli sgoccioli e non avevo ancora trovato un modo per fermarlo. 
Osservai mio fratello adagiare Diana con cura sulla sedia davanti al camino, sussurrarle qualcosa all’orecchio e prendere nuovamente la direzione della porta. Frugai con la mente nel futuro di Edward, ma era ancora offuscato, segno che stava impiegando i suoi talenti per annientare il mio dono.
Lo seguii fuori nel tentativo di capire cosa diavolo stesse architettando. “Dove credi di andare?”
Non si voltò neanche a guardarmi e continuò a dirigersi verso il SUV abbandonato nella neve a circa una cinquantina di metri dalla capanna. “In città”
Avrebbe dovuto aggiungere “per nutrirmi”, ma si era astenuto nel tentativo di evitare qualunque discussione con me. 
“Stai per commettere l’errore più grosso della tua esistenza” urlai alle sue spalle. 
“Come potrei, Alice?” chiese e la sua voce si fece improvvisamente bassa e minacciosa. “Lo ho già commesso quando ti ho dato ascolto a Volterra e ho perso tutto quello che avevo” 
“È Lei
“Stai mentendo”
“È Lei
Senza nemmeno rendermi conto che si era mosso mi trovai trenta metri più indietro. L’impatto provocò un enorme fragore che si perse nel vuoto circostante della desolata campagna innevata. Il suo avambraccio mi premeva sul collo tenendomi immobilizzata al capanno. La rabbia animava i suoi occhi dandogli un aspetto pericoloso. Erano pozzi bui senza fine, alimentati dalla sofferenza e dal rimorso. “Non giocare con me” 
“Non sto giocando. Aro potrebbe aver scandagliato il mondo intero, ma Non Può Esistere qualcuno che somigli a Bella in quel modo” 
“Tu non hai idea di cosa ci sia là fuori”
“Ne ho un’idea molto precisa, invece. Ti ho seguito nel tuo vagabondare. Sono stata con te ad ogni passo, ad ogni nuovo incontro, ad ogni fottuta notte senza stelle. Ho visto tutto. Non c’è niente che tu hai vissuto che non conosca. Sei tu a non sapere nulla, stupido idiota. Cosa credi? Di annientare quella creatura, rubare il suo dono e avere sufficienti forze per ordire la tua vendetta? Non puoi controllarlo, non possedendo già la lettura della mente. Nella migliore delle ipotesi impazzirai e nella peggiore vivrai nella più totale incoscienza”
“Correrò il rischio”
“Non è un rischio, Edward. Io so cosa significa avere un dono del genere e il mio non è nemmeno lontanamente al livello di quello di Diana”
Allentò la presa e fece un passo indietro. “Vattene”
“Non te lo farò fare”
Non rispose e si diresse verso la macchina. Entrò, lanciandomi uno sguardo di avvertimento.
È lei, stupido sciocco, e sarai un vegetale la prossima volta che la vedrai” gli dissero i miei pensieri quando sapevo che poteva ancora ascoltarli.
Si allontanò sgommando, lasciandosi alle spalle una nuvola di neve fresca.
Dovevo trovare una soluzione perché era chiaro che non sarei mai riuscita a convincerlo a desistere da quel folle proposito.
Dannazione
Feci un giro cercando di schiarirmi un po’ le idee. Camminai per ore alla ricerca di una maledetta soluzione. Indurlo a credere che la vampira incontrata a Volterra fosse Bella era l’unica arma che avevo per convincerlo. Non ero sicura che fosse lei, ovviamente, ma il solo dubbio che potesse esserlo avrebbe potuto dissuaderlo. Forse con l’aiuto della famiglia avrei potuto fargli cambiare idea… no, chi volevo prendere in giro? Non era più il ragazzo che aveva convissuto con noi per decenni. Tutto quello che lo rendeva umano sembrava essere venuto meno.
E se non c’era modo di convincerlo, c’era soltanto una cosa che mi rimaneva da fare. 
Ebbi il desiderio per un momento di parlare con Jasper. Era lui lo stratega, quello che sapeva sempre quale era la decisione migliore da prendere, che sapeva quali pedine si potevano sacrificare e a che costo… ma non avevo con me un telefono satellitare e la zona era completamente isolata. Potevo raggiungere anche io la città, ma avrei perso l’unico vantaggio che avevo rispetto ad Edward. 
La sua assenza.  
Tornai alla baita, percependo come un balsamo sulla pelle il calore emanato dal fuoco nella stanza. 
Vara stava posando sulle labbra di Diana una vecchia boccetta di vetro contenente un liquido vermiglio. “Lasciaci” le chiesi. Mi guardò smarrita, incerta di fronte alla mia risolutezza. Lo sguardo di Diana dall’eternità in cui era disperso. Mi rivolse un sorriso tirato che doveva risultargli estremamente faticoso. “Grazie Vara, puoi andare adesso”. La vampira indugiò, apparentemente avvinta da un moto di tenerezza. Ad ogni modo obbedì. “Non mi allontanerò troppo”
Quando ci lasciò il silenzio piombò nella vecchia baita. 
Decisi di avvicinarmi a Diana in modo da renderle la nostra breve conversazione un po’ meno gravosa. Mi sedetti nella piccola sedia di vimini che Edward aveva occupato negli ultimi giorni e attesi qualche minuto in silenzio, cercando di capire da dove potessi cominciare per ottenere le conferme che volevo. Solo allora avrei deciso il da farsi. “Sai perché sono qui” le dissi, alla fine.
Diana sorrise gentile senza spostare l’attenzione dal fuoco. “Non potrebbe essere diversamente”
“Ho alcune domande, ma voglio la verità”
“Va bene”
Tentai di farmi coraggio. Conoscere la risposta alla domanda che stavo per porre portava con sé un’infinita serie di implicazioni. Tra le altre, la speranza di porre fine ad una guerra o impedire la morte di tutte le persone che mi erano care a questo mondo. “È Bella?”
“Sì”
Chiusi gli occhi, ringraziando il cielo e allo stesso tempo provando il desiderio di imprecare. “Devi dirglielo” la pregai.
“Non accetterà quella verità da parte di nessuno. Deve scoprirla da solo”
Aveva ragione, anche se era difficile accettarlo. Se si trattava davvero di Bella per quale motivo non aveva dato il minimo segno di riconoscerlo? Avrebbe reso tutto dannatamente più semplice, maledizione
“Non è in grado di gestire il tuo dono, non è vero?” 
Mi lanciò un’occhiata colma di pena, l’unica dotata di espressività che vidi mai sul suo volto. “Conosci già la risposta a questa domanda”
“Allora aiutalo, per l’amor del cielo. Digli cosa gli serve ed evitagli tutto questo. Spiegagli che non può gestire un potere simile, che sarà condotto all’oblio”
“Non posso essere io la sua guida e non posso impedirgli di prendere ciò che vuole”
“Perderà questa guerra ancora prima di iniziarla”
“È destinato comunque a perderla senza il mio dono. Aro possiede un vampiro dotato del mio stesso talento. Non è così forte, ma lo è abbastanza per rendere inutili i vostri sforzi”
“Deve pur esserci un modo per salvarlo da sé stesso”
Un piccolo sorriso mi parve incresparle le labbra fragili. “Richiederà un sacrificio”
Ero entrata in quella capanna con la convinzione di porre fine alla sua esistenza immortale prima che Edward tornasse in modo tale da impedirgli di portare a termine la sua follia. Ma se davvero lo spreco del dono di Diana avrebbe vanificato ogni possibilità di vincere la guerra con Aro... Non potevo fargli questo, anche se era per il suo bene. Ero disperata. “Farò qualunque cosa”
La ascoltai con calma intanto che mi spiegava ciò che andava fatto. Appena terminò mi presi un momento per ricordarmi chi ero e il motivo per cui mi trovavo lì, in quelle lande sperdute della Russia, pronta a compiere un altro sacrificio solo per salvarlo. 
Forse lo amavo davvero. 
Mi avvicinai e le carezzai il viso, certa che avrei perduto un altro pezzo della mia anima. 
 
***
 
Oblast' di Arcangelo (Russia), 10 giugno 2016
Edward
 
Rientrai che era notte profonda. Durante tutto il viaggio, quando i miei sensi si erano rinvigoriti per la caccia, le parole di Alice mi tormentavano, stuzzicandomi dove faceva più male. 
È Bella.
No, impossibile. 
Alice farebbe qualunque cosa per fermarmi. 
Non le avrei permesso di darmi false speranze, non di nuovo. Già una volta avevo ceduto alle sue parole rassicuranti e avevo pagato quell’errore con la vita di Lei. 
Non era Bella.
Non poteva esserlo. 
Scesi di macchina e percorsi con calma il viale alberato coperto di neve. Non mi piaceva quello che dovevo fare, non mi piaceva mai… mi metteva in contatto con la parte più violenta del mio essere e mi conduceva verso luoghi dai quali alcuna anima può tornarne integra. 
Ma andava fatto. Una volta ancora.
Ero ad una decina di metri dall’ingresso quando mi resi conto che qualcosa non andava. Nessun pensiero nell’aria e un silenzio irreale avvolgeva l’intera baita. Spalancai la porta bruscamente per trovarmi davanti ad una scena raccapricciante. Alice era rannicchiata in un angolo, il volto contratto in una smorfia carica d’orrore, gli abiti grondanti di sangue. Poco lontano da lei, sul pavimento, il corpo di Diana giaceva scomposto e abbandonato. Dalla giugulare un fiotto di sangue le aveva inzuppato i bei capelli cerei. 
“Che cosa hai fatto?”
Mi accucciai accanto al corpo di Diana e le chiusi gli occhi senza vista. Nonostante le circostanze lo sguardo era sereno, finalmente in pace. La adagiai con attenzione sulla sedia che le aveva dato accoglienza per tanti secoli e mi diressi verso Alice. 
Teneva le gambe strette tra le braccia e ondeggiava ad un ritmo incessante. Gli occhi aperti rivolti verso il nulla davanti a sé. 
“Alice”
Non parve nemmeno sentirmi. Mi inginocchiai davanti a lei così che i suoi occhi incrociassimo il mio viso. “Perché?”
Leggendole i pensieri fui invaso dalla marea in piena che stavano affollando la sua mente. I futuri di tutti i mondi riuniti in un unico punto. 
C’era solo una cosa da fare. 
Le presi il volto tra le mani e sfruttando al massimo l’energia che mi ero procurato per il rituale la condizionai a separare la parte della sua coscienza che organizzava i suoi pensieri e il suo dono. Cominciò a piangere di un pianto inconsapevole e volontario prima che perdesse i sensi.
Senza spettatori mi lasciai scivolare a terra. Lo sforzo di condizionare una creatura di tale potere fu devastante. Sentii un rivolo di sangue scendermi dal naso al culmine dello sforzo, fintanto che tutte le energie definitivamente non mi abbandonarono.
 
***
 
Volterra, 11 giugno 2016
Bella
 
Il silenzio assordante della sala del trono era interrotto soltanto dal incedere dei miei passi sul pavimento. Aro mi attendeva seduto sul suo seggio. Un sorriso ambiguo animava il suo volto spento dai secoli. 
“Mi hai fatto chiamare”
Mi fece cenno di farmi avanti e con la consueta naturalezza mi porse la mano così che gli concedessi accesso ai miei pensieri. Nel mio caso si trattava di una procedura ancora più intima perché presupponeva la ritrazione del mio scudo e la piena volontà di lasciargli scandagliare la mia mente alla ricerca di qualunque cosa lo aggradasse. Dedicò un paio di minuti all’operazione, un tempo interminabile, in cui il contatto con la consistenza insolita della sua mano aumentava a dismisura il mio disagio. 
“Interessante” commentò infine, interrompendo ogni contatto e lasciando che mi allontanassi. Osservava il vuoto davanti a sé con aria meditabonda e vagamente soddisfatta. “Tu come te lo spieghi?”
“Che cosa?”
Mi riservò un’occhiata ammonitoria, simile a quella di un padre verso la figlia che finge di sapere per cosa la stia rimproverando. “L’altra sera, quando hai incontrato il mio Ospite, hai provato un profondo senso di attaccamento nei suoi confronti. Hai percepito la sua pena. Come te lo spieghi?” 
Distolsi lo sguardo, infastidita da quello sfacciato riferimento a pensieri privati. Mi ero tormentata con quella domanda negli ultimi giorni, incessantemente, senza riuscire a darmi una risposta. Avevo omesso di parlarne a Demetri per non turbarlo… negli ultimi giorni si era fatto sempre più sfuggente: era sempre fuori e difficilmente riuscivamo a scambiarci più di qualche parola sconnessa. “Non me lo spiego”   
“Stai sviluppando attitudine all’empatia? Ti è già capitato con altri?”
“No, con nessun altro”
Annuì, non avrei saputo dire se soddisfatto o meno. “È davvero una reazione insolita. Cosa pensi di fare al riguardo?”
Lo guardai con un certo smarrimento. “Che cosa potrei fare? Come ho già avuto modo di spiegare, non ho mai provato niente di simile con nessun altro vampiro con cui sia venuta in contatto”
“Potresti vederlo ancora una volta”
“Se ho ben capito, Edward Cullen è un nemico che intende radere al suolo l’intera guardia. Non è esattamente il tipo di vampiro da invitare a casa per quattro chiacchere tra amici”
Rise divertito. “Non sarebbe consigliabile, te lo concedo... ma sta per aver luogo la spedizione in Nord America. Lui sarebbe presente”
Istintivamente mi irrigidii. C’era qualcosa che mi metteva a disagio in quella proposta. “Mi stai consigliando di prendervi parte?”
“No, mia cara. Ti sto consigliando di lasciarti catturare”
***
Quando tornai a casa Demetri mi attendeva in veranda. Aveva in mano un bicchiere di vino che faceva roteare senza sosta. “Dove sei stata?” chiese appena fui sufficientemente vicino da sentirlo. 
Mi sedetti accanto a lui. “Aro mi ha convocato”
“Cosa voleva?”
Ignorai la sua domanda e l’inquietudine che celava. “Che cosa sta succedendo Demetri?”
Sospirò, appoggiando la schiena sulle assi rifinite della sedia a dondolo, imprimendole un piacevole ritmo ondulatorio. La sua voce era ferma, così come il suo sguardo, perso nel rimirare il tramonto all’orizzonte. “C’è una cosa importante che devo dirti”
La melodia che qualche volta fuoriusciva inconsapevole dai meandri della mia mente per assumere consistenza nelle note del pianoforte mi riempì improvvisamente le orecchie come un tenero avvertimento. Il ricordo del mio risveglio, sola, sulle soglie di quella stanza da ballo con il sentore doloroso dell’abbandono a scuotermi le ossa aveva risvegliato in me terribili emozioni di cui non avevo mai avuto alcuna consapevolezza. Il terrore di trovarmi in un luogo sconosciuto, sinistro, pauroso… in cui Lui, Edward Cullen, non era con me.
Conoscevo già la verità e l'invito di Aro a lasciarmi catturare era stata solo l'ultima conferma.
Annuii, lasciando che Demetri iniziasse il proprio racconto. Mi narrò, come prima di lui aveva fatto Jane, la favola triste del vampiro e della ragazza umana, recatasi a Volterra per tentare di salvarlo e finendo invece uccisa per la fame insaziabile del predatore di cui era innamorata. Lo fece con calma, tentando di essere preciso, e spogliando il racconto del proprio punto di vista. Quando raccontò del sopraggiungere della morte della ragazza e della lotta disperata del vampiro per stringere a sé il suo corpo esangue, indugiò per momento.
Anche senza guardarlo percepivo in ogni sua parola la pena che gli stava avviluppando l’animo. Potevo soltanto intuire cosa fosse accaduto... ma qualunque cosa fosse non avrebbe mai potuto annullare la tenerezza con cui Demetri si era occupato di me durante l’addestramento e più tardi quando aveva acconsentito al mio desiderio di condividere la nostra esistenza. Spinta da un moto di dolcezza, cercai di rendergli le cose più facili. “Come è riuscito Aro a riportarmi in vita?”
Si voltò, sconvolto. “Ricordi?”
Gli sorrisi gentile. “No, non ricordo nulla di quanto è stato, ma qualcosa dentro di me si ricorda di lui: Edward Cullen”.
***
Quando Demetri finì di raccontarmi la mia storia il sole era già tramontato e il buio della notte aveva dispiegato il suo manto sulla campagna davanti alla villa. “Se desideri che me ne vada devi soltanto dirlo” disse e si alzò, lasciandomi sola con i miei pensieri.
Cercai di pensare a come mi sentivo, a quali implicazioni poteva avere per me tutta quella storia. Pensai alla ragazza che ero stata, pur non ricordandola, e pensai a Lui ed a come la perdita di Lei doveva averlo cambiato. “Dicono sia divenuto folle e abbia girato il mondo alla ricerca di un esercito che gli consenta di vendicarsi di tutti noi” aveva detto Jane sulla cima della torre del palazzo di Volterra. 
Se solo potessi ricordare le cose sarebbero più semplici
Di tutta quella storia non mi restava che un brivido, un'emozione che mi aveva fatto sentire legata a quel vampiro… vampiro di cui mi risultava estraneo anche il nome. 
Che cosa dovevo fare? 
Andare in Nord America? 
Farmi catturare come suggeriva Aro?
Non ne avevo idea e sicuramente non lo avrei scoperto quella notte. 
C’era qualcosa di più urgente di cui dovevo occuparmi. 
Entrai in casa e trovai Demetri seduto al pianoforte. Mi avvicinai e gli posai una mano sulla spalla, creando un contatto che sperai potesse riavvicinarci. “Tutto ciò non ha nulla a che fare con noi” gli dissi, ma nel pronunciare quelle parole sentii sulle labbra il sapore amaro della bugia. Gli sorrisi comunque quando si voltò e cercai di cancellare con un bacio il tormento che leggevo nel suo viso. 
Non disse niente e continuò a guardarmi, come se fossi la cosa più cara che avesse al mondo e stesse per perdermi.
“Non cambia niente” gli sussurravo all’orecchio mentre gli prendevo la mano e lo conducevo verso la camera da letto.
Non oppose resistenza quando iniziai lentamente a sbottonargli la giacca e la camicia. Sentii che mi desiderava e questo rese tutto più facile. Si lasciò trascinare sul letto, su di me.
“Non cambia niente” continuai a ripetergli con dolcezza.
Facemmo l’amore in modo intenso e disperato, con la consapevolezza che qualcosa era già cambiato e quello sarebbe potuto essere un addio. 

Ritorna all'indice


Capitolo 11
*** Perdersi nel tempo (Edward/Bella) ***


 
Noatak National Preserve (Alaska), 1 settembre 2016
Edward
 
Un sole tiepido di fine estate stava tramontando al di là dell’orizzonte irregolare della foresta, illuminando con i suoi raggi la vecchia e logora stanza che negli ultimi mesi era stata un giaciglio e una prigione. Nell’angolo più remoto, separata da me da una lama di luce fumosa e screziata da un velo di polvere scura, Alice viveva uno stato di catatonia. Sdraiata sul letto, completamente immobile, fissava il soffitto con occhi vuoti. Non parlava, non si muoveva, non si nutriva se non del poco sangue che le somministravamo e soprattutto non riposava, mai.  
La sua mente era dispersa negli sconfinati itinerari del mondo passato e futuro. Il destino di ogni essere umano, mutevole nelle proprie scelte, si mischiava un ingroviglio indistricabile di accadimenti: persone, luoghi, trame, tutto mischiato in un unico pensiero indefinito che non lasciava spazio ad altro. Il tempo, l’intera sua dimensione, si era riversato nella sua testa e aveva spazzato via tutto quello che esisteva prima di sé. 
Poggiai la testa sul muro alle mie spalle e cercai di concentrarmi ancora una volta nel tentativo di ritrovarla in quel labirinto senza fine. 
Soffocai un’imprecazione e sferrai un pugno alla parete, facendola tremare.
Erano mesi che tentavo, ma non ero riuscito a carpire neanche il più piccolo dei pensieri. 
Il rumore di passi per le scale e l’eco di riflessioni ostili mi preannunciarono l’arrivo di Jasper e della sua contrarietà. La situazione tra noi era precipitata dopo la mia partenza con Alice e soprattutto il nostro ritorno. Era fuori discussione adesso che collaborasse con me per consentirmi di realizzare i miei propositi. Non bussò nemmeno prima di entrare. “Controllati, fottuto coglione, o farai cadere tutta la palazzina”. 
Lo osservai sedere sul letto accanto ad Alice e prendere a sussurrarle parole rassicuranti all’orecchio. Le strinse la mano in una stretta gentile e gliela carezzò a lungo cercando di alleviare il terrore che percepiva nel suo animo. “Andrà tutto bene” ripeteva. “Troverò un modo per sistemare tutto”
Lo guardai in tralice senza darmi pena di celare il mio disprezzo. Non c’era davvero nulla che lui potesse fare. Se con le mie abilità non riuscivo a comunicare con Alice nessuno al mondo poteva farlo e comunque… non un vampiro il cui dono era una debolezza più che un’arma. Stava solo perdendo il suo tempo.
“Vorrei che te ne andassi” mi comunicò con un’occhiata aggressiva che ricambiai con un mezzo sorriso. 
“Come vuoi” 
Qualche ora di caccia non mi avrebbe fatto male. Era passata più di una settimana dall’ultima volta che mi ero nutrito. 
Mi scostai dalla parete scrostata che era ormai diventata una sorta di stampella e scesi le scale fino al piano terra. Come ogni sera Kate aspettava Jasper sull’ultimo scalino con lo sguardo serio e la mente persa in quella domanda che si concedeva soltanto quando lui era altrove. “Avrebbe mai dimenticato Alice?”
Già, come se tutti – lei compresa - non conoscessero già la risposta. 
L’oltrepassai senza concederle attenzione, ignorando il suo sguardo piantato sulla mia schiena, e uscii nel piazzale innevato. Era appena iniziato settembre, ma la temperatura era già sulle soglie dello zero e l’aria aveva acquisito quella densità che appartiene agli inverni. Mi guardai intorno senza scorgere nessuno, segno che doveva essere in corso la settimanale riunione dei membri della Comunità presieduta da San Carlisle. Se i mormorii che provenivano dal fabbricato dall’altro lato del campo non mi ingannavano, l’ordine del giorno era sempre stabile sul Problema Edward che, a quanto pareva, nessuno riusciva ad ignorare. Gli uomini erano intimiditi dalla mia presenza e un antico vampiro che se non erravo si faceva chiamare Garrett stava loro dando voce, chiedevano il mio allontanamento a Carlisle, che, di tutta risposta, invitava i presenti a avere pazienza e si dichiarava garante delle mie azioni. 
Il fatto che quel patetico teatrino non vedesse ancora diminuita la propria popolarità la diceva lunga sulla noia che soprassedeva su quel campo dimenticato da Dio. 
Stupidi e petulanti vampiri, così deboli da non meritare il sacro dono dell’immortalità… non si rendevano ancora conto che la guerra che – loro malgrado – mi avrebbero aiutato a combattere sarebbe stata l’unica cosa in grado di dare un senso alle loro misere esistenze. Li renderò forti, fieri, intrepidi come mai nemmeno hanno sognato di essere. Dovevo soltanto trovare un modo per comunicare con Alice nonché la giusta leva per indurli spontaneamente ad unirsi alla mia causa. 
Era solo questione di tempo e tutti i pezzi della scacchiera si sarebbero allineati.
Mi lasciai il piazzale alle spalle e tagliai per la zona degli alloggi in modo da imboccare il sentiero che attraverso la foresta conduceva verso il confine orientale della riserva. Questa volta avrei dovuto allontanarmi più del solito se volevo evitare cittadine in cui mi ero già nutrito. L’ultima cosa che volevo era attrarre l’attenzione degli umani. 
Non ero nemmeno a metà percorso quando il riverbero di pensieri ingenuamente trattenuti e il rumore leggero di passi attutiti dalla vegetazione mi preavvisarono la presenza di un goffo inseguitore. Presi a correre più velocemente di quanto fosse necessario e quando fui certo di averlo distanziato feci un balzo verso il ramo più alto di un grosso abete. Aspettai qualche secondo fintanto che una chioma ramata non fece capolino nella piccola radura ai miei piedi. La osservai guardarsi intorno, fare qualche giro nei dintorni nel tentativo di seguire le mie tracce ed infine arrendersi ad avermi perso. Poggiò le spalle al tronco di un abete poco distante da quello che mi aveva dato riparo e si fece scivolare a terra come se fosse esausta. I suoi pensieri adesso circolavano liberi nella sua mente, raccontandomi la sua storia e dando voce alle sue sciocche fantasie. 
Facendo in modo di evitare qualunque rumore passai di ramo in ramo fino a raggiungere l’albero cui era appoggiata. Scesi esattamente dal lato opposto del tronco in cui trovava e sempre nel più assoluto silenzio vi posai la schiena con fare distratto. Eravamo così vicini che nonostante la mia circospezione avrebbe dovuto percepire la mia presenza, ma era talmente persa nei suoi ragionamenti e convinta di essere al sicuro che non si accorse di me fintanto che non le parlai. “Cosa vuoi da me?”
Un sospiro a metà tra strada tra un’esclamazione e un singhiozzo le uscì dalle labbra. Sorpresa, terrore e vergogna le riempirono la mente in flusso di pensieri ingarbugliati. La sentii mettersi in piedi e con una certa diffidenza compiere i pochi passi che le servivano per essermi di fronte. 
Era una giovane ed esile vampira dai lunghi capelli rossi e gli occhi ambrati. L’avevo vista girovagare nei dintorni della palazzina a cui Alice era stata destinata… più di qualche volta a dire il vero. Da una breve panoramica della sua mente ebbi modo di appurare che a partire dal mio ritorno aveva sviluppato una certa ammirazione nei miei confronti. Nei suoi vaneggiamenti mi descriveva come una sorta di eroe maledetto, potente e affascinante, circondato da una perenne aura di mistero. Si trattava comunque di pensieri piuttosto personali che sul momento – ovviamente – non volle palesare. “Ho sentito dire in giro che cerchi vampiri da arruolare per combattere contro i Volturi” disse tutto d’un fiato. “Sono interessata”
Sorrisi storto e mi avvicinai quel tanto che bastava a metterla in imbarazzo. “Sei qui di tua spontanea volontà o ti ha mandato qualcuno?”
Era una domanda retorica – la risposta era già scandita a chiare lettere nella sua mente fantasiosa, irrimediabilmente bloccata all’età dell’adolescenza – ma volevo divertirmi un po’ con lei. Se fosse stata ancora umana probabilmente sarebbe arrossita, colta nel vivo del proprio orgoglio ferito. Ad ogni modo non indietreggiò, né abbassò lo sguardo. Continuò a guardarmi con i suoi grandi occhi ambrati e un’espressione profondamente risoluta. “Voglio unirmi alla tua causa”
“Cosa ne sai tu della mia causa?”
“Tutti lo sanno” spiegò con voce animata da ingenua ammirazione. “Vuoi vendicare la morte dell’umana che amavi”
Mi feci ancora avanti, inducendola ad indietreggiare fino a che non sbatté la schiena col tronco di un grosso abete poco distante. Le posai una mano a fianco del viso, facendola rabbrividire. Aveva un po’ di paura adesso, ma non abbastanza da indurla a scappare. “E una volta che mi avrai aiutato in questa mia impresa, rendendoti indispensabile ai miei scopi, che cosa dovrebbe succedere? Cadrò in ginocchio ai tuoi piedi e ti pregherò di essere mia?”
Le sussurrai quella domanda – eco dei suoi vivaci pensieri – con una voce calda e insinuante. La sua espressione fu smarrita, ma solo per un momento. “Ti prego di non leggermi la mente” chiese e un velo di collera le indurì i lineamenti acerbi, donandole l’espressione di una graziosa bambina indispettita. “Sei sgradevole, comunque. Lo avevano detto al campo”
Mi lasciai andare ad una risata e mi ritrassi di qualche passo, liberandola dall’imposizione della mia vicinanza. Il tempo dei giochi era finito. “Cos’altro si dice al campo?” le domandai, mettendola alla prova. Avevo bisogno di qualche informazione sugli equilibri all’interno del campo e lei, forse, era in grado di darmela.
“Hanno paura di te e temono che la tua presenza possa destare l’attenzione dei Volturi. Il dottor Cullen cerca di rassicurarli, ma sono sempre più numerosi quelli che pensano sia necessario prendere provvedimenti prima che sia troppo tardi. Fossi in te non me ne andrei troppo in giro da solo per il campo”
Sorrisi storto. I suoi pensieri mi svelarono che credeva davvero di essere preoccupata per me. “Sta tranquilla, ragazzina. Nessuno di loro può farmi niente”
“Ad ogni modo ti ho avvertito. Potrebbero attaccarti”
“Chi li guida?”
“Un nomade di nome Garrett. È uno che parla molto, simpatico e sempre gentile. È molto attivo nella Comunità” 
Mi soffermai un secondo a riflettere. La giovane vampira dal volto piccolo dai tratti graziosi incorniciato da lunghi capelli color ruggine mi guardava con una certa aspettativa. Aveva l’aspetto di una ragazzina di circa quindici anni, gracile e un po’ anonimo. Non aveva particolari talenti, ma poteva comunque rendersi utile in qualche modo. “Qual è il tuo nome ragazzina?”
“Bree”
“Va bene Bree, ho un compito da affidarti”
 
***
 
Volterra, 1 settembre 2016
Bella
 
“Grazie di avermi raggiunto con così poco preavviso” esordì Marcus, alzandosi in piedi e dando sfoggio di vecchia e desueta cavalleria. “Accomodati, ti prego”
La terrazza dell’Osteria del Borgo, una vecchia enoteca a pochi passi dal palazzo comunale, era deserta in quel tardo pomeriggio di inizio settembre. Una pioggia fine e costante scendeva da quella mattina sulle campagne circostanti, incupendo i colori vivaci dell’estate e saturando l’aria di asfissiante umidità. I pochi turisti rimasti in paese se ne stavano ben chiusi nelle loro pensioni al riparo dalle intemperie od erano fuggiti altrove alla ricerca di un meteo più clemente per le loro escursioni. Solo qualche coppia di avventurieri, armata di k-way e di ombrello, girovagava ancora per il centro, godendo dell’ultima ora di luce prima che il tono grigio di quella giornata sfumasse verso la densa oscurità della notte. Nessuno di loro aveva comunque pensato di trovare riparo nell’Osteria appena aperta e, anche se lo avessero fatto, non avrebbero certo scelto di essere sistemati nella veranda esterna, coperta da un vecchio tendone ed esposta al vento. La vista sulla campagna antistante era mozzafiato, ma non valeva il disagio di cenare fuori in una giornata piovosa. 
Quella conversazione sarebbe rimasta privata… per quanto possibile a Volterra, almeno.
Mi sedetti davanti a Marcus, al di là del tavolo, e lo guardai vagamente incuriosita. Indossava un completo nero elegante con cravatta in tinta e aveva raccolto i capelli con un laccio di cuoio. Per salvare le apparenze aveva ordinato un bicchiere di vino rosso e dei salatini che giacevano dimenticati sulla tovaglia umida per la pioggia. Sedeva in una posa composta, con la sedia e lo sguardo rivolto verso l’orizzonte. 
“Non sono mai stata qui prima d’ora”
Lui fece un sorriso tirato, enigmatico, capace di esprimere un tale senso di malinconia da indurmi a credere che non fosse realmente rivolto a me. “Questo è l’unico posto al mondo in cui credo di essere stato davvero felice” spiegò con un tono assente. “Un tempo era una casa privata”
Non ebbe bisogno di aggiungere altro. La storia di Marcus e Dydime era indimenticata alla Corte di Volterra, un monito della crudeltà di Aro che non aveva mancato di sacrificare nemmeno l’amata sorella all’alto fine di consolidare la sua supremazia. 
Percependo l’inquietudine delle mie emozioni, Marcus sembrò ridestarsi da un sogno e riportò improvvisamente l’attenzione su di me. “Mi dispiace, non volevo sconvolgerti”
“Non lo hai fatto” gli assicurai con un sorriso. 
Annuì, desistendo da indagare ancora sui miei sentimenti. “Sei al corrente del motivo per cui ho voluto vederti?”
 “Vuoi parlarmi di Edward Cullen” tirai ad indovinare e questa volta fu il mio turno di volgere lo sguardo all’orizzonte.
La pioggia scendeva ancora regolare sul panorama al di là del terrazzo, diffondendo nell’aria un brusio ovattato e vagamente ipnotico: grosse gocce scivolavano dal tendone di copertura per infrangersi sulle pietre lise del selciato intanto che folate di vento umido si riversavano sul parapetto minacciando di raggiungerci. Tentai di concentrare tutta la mia attenzione sull’ondeggiare di una fila di cipressi in lontananza e di reprimere quel brivido traditore che mi scuoteva ogni volta in cui mi trovavo a pensare o dire quel nome. Valutai se fosse opportuno usare il mio scudo così da porre un velo sulle mie emozioni e impedire al vampiro seduto davanti a me di avvertirle, ma ritenni che fosse troppo tardi e comunque che non sarebbe servito a molto. Non ero abbastanza potente per raggirare il suo dono…non prima di almeno un paio di centinaia di anni.
“Non puoi combatterlo” disse Marcus dopo un po’ con un tono che mi parve comprensivo.
“Che cosa?”
“Ciò che senti per lui”
Un amaro sorriso mi piegò le labbra. “Oh, capisco. Demetri ha chiesto l’aiuto della cavalleria. Intendi anche tu suggerirmi, una volta che mi sarò infine ricongiunta col mio unico amore, di scappare con lui così lontano da far perdere le mie tracce e non guardarmi mai indietro?” chiesi, sentendo riaffiorare quel fiotto di irritazione che immancabilmente mi bruciava la gola ogni qual volta veniva toccato l’argomento. Trattenni a stento l’impulso di sbattere i pugni sul tavolo. Tutti avevano la presunzione di dirmi cosa avrei dovuto fare, cosa avrei dovuto provare in relazione a quella faccenda, senza curarsi minimamente di quali fossero i miei sentimenti e desideri. Mi trattavano come una bambina a cui si è in procinto di giustificare una brutta azione… come se fossero tutti certi che nel momento in cui avrei rivisto Edward Cullen la mia autonomia di pensiero si sarebbe assopita, destinata a non risvegliarsi più. 
L’espressione di Marcus si fece profondamente grave, anche più del solito. “È questo che Demetri ti ha detto?”
“In estrema sintesi, sì”
“Quell’uomo ti ama davvero”
“Chissà perché mi viene da pensare il contrario”. Pronunciai quella risposta con risentimento e ben poco rispetto per il mio compagno che certamente, tra tutti, si trovava nella posizione più difficile. Che cosa avrei fatto io al suo posto? Gli avrei dato la mia benedizione con tanti saluti ai miei sentimenti e dandomi cura di non mostrarmi mai meno che amorevole di fronte alla prospettiva che non sarebbe mai più tornato? No, non ci sarei riuscita. Avrei combattuto – forse lo avrei anche pregato – affinché restasse con me. Forse era per quello che non riuscivo a perdonargli… il fatto che per lui fosse così semplice lasciarmi andare. “Cinque anni insieme ed è tutto quello che ha saputo dirmi, con tanti cari saluti di buon viaggio”
Marcus aveva certamente aveva avuto una panoramica piuttosto dettagliata delle mie emozioni, ma non lo diede a vedere. “Bella, tu non capisci”
“Che mi considerate come una stupida adolescente che appena incrocerà lo sguardo di Edward Cullen tradirà l’unica persona che si è presa cura di lei nei momenti più difficili della sua vita? Lo capisco perfettamente, mi pare” 
“Non è questo il punto” 
“E allora qual è?”
Marcus non aveva dismesso neanche per un momento la sua espressione pacata, come se il mio turbamento fosse niente di più che una piccola increspatura nella superficie di un lago le cui acque sono naturalmente destinate a tornare immote. “Tu, da umana, eri la sua cantante ed è stato il suo veleno a trasformarti”
“E con questo?”
Mi riservò uno sguardo magnanimo che per un momento mi parve colmo di sincera compassione. “Sei sua, semplicemente”
Mi ritrassi istintivamente e indurii lo sguardo, incapace di comprendere davvero di cosa stesse parlando. Lui lo capì e, cercando forse di darmi conforto, mi diede un momento per riprendermi prima di ricominciare a parlare. “Non voglio spaventarti, mia cara, ma devi sapere la verità. Fu Dydime a trasformarmi e riuscì a farlo, forse per la prima volta nella storia del mondo, nonostante io, da umano, fossi il suo cantante”
 
***
 
La pioggia aveva aumentato di intensità e stava cominciando a fluire tra le scanalature della vecchia pietra della terrazza. Il cameriere era uscito per chiederci se non preferissimo essere spostati all’interno piuttosto che restare prede del temporale. Marcus aveva risposto con un sorriso affabile, raccontando di essere un artista a tempo perso e di essere incantato dalla bellezza della campagna bagnata dalla tempesta. L’uomo sulla sessantina lo aveva considerato forse un po’ eccentrico ma aveva assentito e non era tornato lasciandoci nuovamente indisturbati.
“Non so dirti se si trattasse di qualcosa di biologico o di trascendentale, ma non desideravo altro che lei” stava raccontando Marcus col suo sguardo indecifrabile e rivolto al passato. “Era come se fossimo due parti di un unico insieme… era qualcosa di assolutamente irripetibile
“Vorresti lasciarmi intendere che non avevi altra scelta se non quella di amarla?” chiesi con sdegno, scoprendomi incapace di mostrare comprensione per un vampiro che stava rievocando a mio beneficio i dolorosi ricordi di un amore passato e perduto nei secoli. “È abbominevole”
Lui sospirò stancamente. “No, Bella, ti sto dicendo che per me amarla era naturale come respirare. Era così giusto che il solo pensare di non farlo sarebbe stata un’assurdità”
“Per voi, forse, era diverso” obiettai, cercando di mostrarmi ragionevole ma non riuscendo a dissipare dalla mia voce una certa nota adirata. “Forse eravate davvero innamorati, a prescindere dal fatto che tu fossi il suo cantante e che lei ti avesse trasformato”
“Forse” ammise. “Ma ho motivo di credere il contrario”
“Perché?”
“Il suo sangue era l’unica cosa a questo mondo che riuscisse davvero a saziarmi”
Impiegai qualche secondo prima di capire cosa potesse significare quello che stava dicendo. “Ti nutrivi di lei?” chiesi e un profondo senso di inquietudine mi avviluppò, insidioso, lasciandomi preda di una sensazione angosciante.
“A volte” confessò. “Mi rendeva estremamente forte e in pace con me stesso”
“Perché pensi che sia lo stesso per me?”
“I tuoi mancamenti, Bella. Sei incredibilmente debole e credo che dipenda dal fatto che non esiste sangue diverso da quello di Edward Cullen che possa saziarti”
“Potrebbe essere la mia memoria. Potrei stare iniziando a ricordare” suggerii. “Ho l’impressione che si presentino solo quando la mia mente cerca di afferrare un ricordo”
“Potrebbe essere così, ma potrebbe anche dipendere da altro. Che cosa hai provato quando lo hai visto?”
Malinconia. Rimorso. Pena. Struggimento... tutte emozioni che non potevano appartenermi ma che più probabilmente appartenevano a Lui. Come avevo fatto a percepirle? 
“Non lo so” mentii. 
“È comprensibile che tu non sia pronta per ammetterlo” convenne Marcus in tono improvvisamente basso e e dolce. “Vorrei che tu capissi una cosa: non so che cosa ti abbiano raccontato di Edward Cullen, ma ti assicuro che non ho mai visto un essere così disperatamente innamorato di un umano. Ha fatto tutto quello che era in suo potere per riportarti a casa. Non ti ha abbandonato qui e non si è semplicemente dimenticato di te. Per quel poco che sappiamo ha passato l’ultimo decennio in giro per il mondo tentando di diventare abbastanza forte per abbattere il più potente esercito di vampiri che sia mai esistito e vendicare il tuo nome. È probabilmente l’uomo che io stesso avrei dovuto essere” confessò e una folata di vento si portò via un sorriso stanco e sconfitto. “Quando persi la donna che amavo ne fui completamente annientato e non ebbi la forza di fare nulla. Lo invidio terribilmente e vi invidio perché avete ancora l’occasione di vivere quella pace dell’animo che non proverò mai più” 
“Marcus, io amo un altro”
“Lo so, Bella. E Demetri è il migliore tra gli uomini e meno di chiunque altro meriterebbe di essere ferito, ma la vita non è giusta e lui lo ha scoperto molto tempo fa”
Si riferiva a quando aveva perso la sua giovane moglie nella Francia del XVIII secolo. Una ragazza carina, apparentemente amabile, di cui conservava una piccola miniatura in un vecchio orologio da taschino che era l’unico oggetto a cui tenesse davvero. L’altro ieri glielo avevo rivisto in mano dopo tanto tempo. Mi aveva chiesto di suonare qualcosa al piano ed era andato a sedersi sul portico. Un’ora dopo lo avevo raggiunto. Era seduto sull’ultimo scalino e guardava l’orizzonte, in silenzio, rigirandosi tra le mani l’orologio con fare assorto. Per un momento avevo avuto l’impressione che fosse tanto perso nei propri pensieri da non essersi nemmeno accorto che avevo smesso di suonare e che lo avevo raggiunto. “Lui sa tutto questo?” chiesi e mi resi conto, udendo la mia voce, che il rancore era sfumato in inquietudine.
Marcus annuì. “Lo sa da tempo. Gli ho raccontato tutto anni fa, quando iniziai a notare che vi stavate avvicinando. Le mie parole, come puoi ben immaginare, non bastarono a dissuaderlo da innamorarsi di te”
Tutto all’improvviso mi sentii infinitamente triste. “C’è altro che dovrei sapere?”
Marcus annuii con fare grave. “Prima di partire Aro intende impartirti l’ordine formale di lasciarti catturare durante la spedizione in Nord America. Il tuo compito sarà quello di sfruttare il tuo legame con Edward Cullen per indurlo ad unirsi alla Guardia. Qualora tu non ci riesca sarà tuo compito ucciderlo. È inutile che ti ricordi, a questo punto, che disobbedire ad un ordine comporterebbe per te gravi e irreparabili conseguenze”
“Mi stai dicendo che se non lo convinco ad unirsi alla Guardia o, altrimenti, non lo uccido, sarò processata per tradimento?”
“Esattamente”
“Ma lui non si unirà mai alla Guardia, non dopo quello che gli ha fatto Aro e, se è vero quanto mi hai detto fin ora, io non sarò mai in grado di ucciderlo”
“Anche se decidessi di voler tentare, Edward sarebbe comunque troppo forte per te. Non sei in grado di fargli alcun male, a meno che, ovviamente, lui non te lo consenta”
Un senso di irreparabilità mi si posò addosso come un velo impalpabile fatto di paura e stordimento. Adesso le parole di Demetri, i suoi consigli, la pena dietro il suo sguardo acquisivano il loro vero significato. “Sono condannata”
“Non se fai perdere le tue tracce e non metti mai più piede a Volterra” 
“Mi troverebbero comunque prima o poi. Non si può fuggire per sempre”
“Prima o poi” convenne Marcus. “Ma avresti del tempo”
“E per cosa? Per scappare dalla morte?”
“Per vivere
 
***
 
Noatak National Preserve (Alaska), 2 settembre 2016
Edward
 
Quando tornai al campo dalla caccia era quasi l’alba. Il buio della notte stava lasciando lentamente spazio alle luci del mattino. La zona destinata all’addestramento era stranamente deserta. Nessuno sembrava essere in giro in quella zona normalmente parecchio popolata. 
Sorrisi storto mentre un vociare di pensieri concitati mi preannunciò la presenza di un gruppo composto da una decina di vampiri, pronti a scagliarsi contro di me una volta che avessi raggiunto il centro dell’ampio spiazzo acciottolato. I penosi tentativi di tenere a freno i loro pensieri così da potermi cogliere di sorpresa stavano naufragando miseramente. Una mandria di bisonti impauriti avrebbe probabilmente fatto meno chiasso dei loro elementari ragionamenti. Avrei potuto cambiare distrattamente strada, allungare un po’ il percorso passando dal viottolo che conduceva sul retro della palazzina cadente usata come dormitorio e così evitare inutili perdite di tempo… ma avrebbe significato perdersi tutto il divertimento. Avanzai allora, dritto e apparentemente inconsapevole, verso il punto in cui mi volevano. Era una follia pensare di attaccarmi in quel momento, appena tornato dalla caccia e con le vene ancora colme di caldo sangue umano. Ma chi ero io per impedirglielo? Avrebbe reso tutto ancora più interessante
Quando arrivai nel punto designato un gruppo variamente composto mi circondò. C’erano un paio di donne, qualche ragazzo e soprattutto uomini. Mi soffermai appena un secondo a registrare che Garrett non era presente. Dai pensieri di un vampiro alle mie spalle registrai che aveva approvato l’aggressione, ma aveva preferito non presentarsi – o meglio, non compromettersi.  
Per il resto nessuno di loro era dotato di talenti. Il tutto si sarebbe quindi risolto molto velocemente. 
“Fatevi da parte” intimai. 
“Chi ti credi di essere?” domandò un ragazzo, facendo la voce grossa. 
“Credi di poter arrivare qui e darci ordini? Non riconosciamo la tua autorità” aggiunse un altro.
“Sei una calamita per Volturi. Dovresti tornartene da dove sei venuto. A noi non importa nulla della tua stupida umana morta” concluse un terzo. 
Decisi chissà perché che avrei iniziato proprio da quest’ultimo. “Come volete” Ad una velocità che nessuno di loro era in grado di registrare mi portai alle spalle del vampiro e lo colsi alle spalle, rompendogli il collo con un gesto pratico e lasciandolo scivolare a terra. Si sarebbe ripreso tra un paio d’ore. 
I due vampiri al suo fianco si scagliarono allora verso di me. Mi abbassai, distendendo la gamba e falciando le loro. Caddero rovinosamente a terra intanto che un altro paio si facevano avanti. Intrapresi un corpo a corpo con uno di loro, scagliando l’altro lontano con un calcio ben assestato. Dopo aver parato un paio di ganci ed un montante le ossa del mio aggressore sembravano ridotte in poltiglia. Non era in grado di resistere ai miei colpi, non con la sua dieta, non senza addestramento. Feci un balzo indietro e anticipai le mosse di altre tre vampiri che scoraggiati dalla cattiva sorte dei loro predecessori avevano deciso di abbandonare ogni remora e attaccarmi in gruppo. Si erano scagliati verso di me e stavano per raggiungermi quando chiusi gli occhi e cercai il minimo di concentrazione che mi serviva per la mia magia. Dalla mia persona si irradiò un’onda d’urto che gli scaravento lontano un paio di metri. Mi voltai per affrontare i tre vampiri che restavano, ma non ne ebbi modo. Tra di noi si frappose improvvisamente la figura vigorosa di un vampiro dall’altezza eccezionale e le ampie spalle. Appresi che era stato attirato dal trambusto ed era accorso, sperando di evitare incidenti. Ad ogni modo aveva avuto l’incarico di trovarmi. “Qui abbiamo finito” comunicò ai miei nuovi amici – quello coscienti, almeno – con una voce tonante che non lasciava spazio a obiezioni. “Portate via i vostri alla svelta e non saranno presi provvedimenti” concluse. Poi si voltò verso di me. “Quanto a te” mi disse. “Se hai finito di dare spettacolo, Jasper vuole vederti”.
Allentai la tensione e voltai le spalle a Emmett, il cui sguardo e i cui pensieri mi seguirono fintanto che non raggiunsi la palazzina. Anche lui adesso aveva paura di me.
 
***
 
Raggiunsi velocemente la stanza di Alice e lì trovai Jasper, seduto dove lo avevo lasciato al suo capezzale. L’ostilità sembrava avere momentaneamente abbandonato il suo volto, lasciando spazio soltanto a… speranza. “Lo sento, Edward. Lei è qui, da qualche parte”
Le loro mani erano unite sul copriletto, come un tempo, prima del dubbio sui sentimenti di lei e la collera di lui. Gli costava chiedermi aiuto, ma la gioia di poterla ritrovare era qualcosa che andava in Jasper al di là dell’orgoglio ferito.  Nessuno, del resto, avrebbe potuto comunicare con lei, se non io. Anche lui in fondo lo sapeva. Per un momento avvertii il desiderio che ci lasciasse – non avrei saputo spiegarne il perché – ma mi astenni dal chiederglielo. 
“Che cosa è successo là fuori?”
“Niente di importante”
“Sei ferito?”
Negai e mi avvicinai al letto, silente, cercando di scacciarmi dagli occhi il ricordo dello sguardo cieco di Diana e della malinconia che l’aveva accompagnata per tutta l’esistenza. Jasper non poteva saperlo, ma era quello il destino che attendeva Alice… un destino che non le spettava e che mi ero coscientemente scelto. La vendetta o l’oblio. Non ero nemmeno sicuro che mi importasse quale delle due alternative si sarebbe concretamente realizzata. Poco importava, conducevano ambedue alla pace. 
Mi attardai un momento a guardarla, ignorando Jasper e le sue aspettative. Il viso piccolo e raffinato contornato da capelli castani che ormai le arrivavano fino alle spalle, il collo e le spalle sottili, il corpo magro coperto da un lenzuolo candido. Non sarebbe dovuta andare così. Lei non avrebbe dovuto sacrificarsi, non a quel prezzo. Era la sua espiazione e se si era spinta a tanto era solo colpa mia. Avrei dovuto sapere che avrebbe fatto qualunque cosa per salvarmi. Non era la prima volta che lo faceva. A qualunque costo. 
“Riesci a sentire i suoi pensieri?”
La voce di Jasper mi provocò un vago senso di fastidio. Quel momento non lo riguardava, era qualcosa che apparteneva soltanto a noi due. Lui non sapeva e non capiva, non ancora almeno. “Potrebbe volerci del tempo” mentii, sperando che se ne andasse. 
“Ho tutto il tempo del mondo” disse, invece, prendendo a carezzarle la fronte.
Non è te che aspetta, avrei voluto dirgli, ma improvvisamente mi resi conto di quanto fosse crudele e tacqui. Per il resto, non esitai oltre. Mi sedetti sul ciglio del letto e presi la mano di Alice, con delicatezza, preparandomi ad usare il mio potere. Mi ero appena nutrito e sentivo che le mie capacità erano al massimo. Mi concentrai e impartii alla sua mente l’ordine di bipartirsi in due emisferi separati, l’uno che racchiudesse il suo dono e l’altro la sua sola persona. 
Lei rimase immobile e i suoi pensieri silenziosi.
Mi concentrai ancora più intensamente, sentendo pian piano le forze defluire. Il disordine della sua mente si riversò nella mia, destabilizzandomi sempre più e dandomi l’impressione di stare smarrendo la via per la ragione. 
Andiamo, Alice. 
Torna da me. 
Attesi, paziente, per secondi, minuti, ore, perso nei meandri di un tempo senza fine. 
Soltanto quando fui di nuovo allo stremo, un attimo prima di perdere i sensi, percepii un flebile pensiero emergere dal suo subconscio. “Siete in pericolo. Loro stanno per arrivare

Ritorna all'indice


Questa storia è archiviata su: EFP

/viewstory.php?sid=1924051