The power of the elements

di Colpa delle stelle
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo ***
Capitolo 2: *** Distretto 4 ***
Capitolo 3: *** Distretto 11 ***
Capitolo 4: *** Distretto 12 ***
Capitolo 5: *** L'inizio di tutto ***
Capitolo 6: *** Quando il coraggio sconfigge la paura ***
Capitolo 7: *** Il fuoco non si può domare ***
Capitolo 8: *** Non è un addio, ma un arrivederci ***
Capitolo 9: *** La notte permette agli incubi di sopraffarci ***
Capitolo 10: *** Con tutto l'entusiasmo di cui sono capace ***
Capitolo 11: *** Un amico inaspettato ***
Capitolo 12: *** L'acqua è il più puro dei quattro elementi ***
Capitolo 13: *** Il nostro momento di gloria ***
Capitolo 14: *** Che i cinquantanovesimi Hunger Games abbiano inizio ***
Capitolo 15: *** Noi combattiamo ***
Capitolo 16: *** Attacco a sorpresa ***
Capitolo 17: *** Un nuovo membro ***
Capitolo 18: *** Il labirinto di Dedalo ***
Capitolo 19: *** Salvataggio sul filo del rasoio ***
Capitolo 20: *** Verità svelate ***
Capitolo 21: *** Sensi di colpa ***
Capitolo 22: *** Un incantesimo finito male ***
Capitolo 23: *** Per voi, questo ed altro ***
Capitolo 24: *** Niente è come sembra ***
Capitolo 25: *** La verità ha un prezzo ***
Capitolo 26: *** Epilogo ***



Capitolo 1
*** Prologo ***


The power of the elements






PROLOGO

 

 

Anno 2200, Inghilterra.

Anche i tempi d'oro in seguito alla sconfitta di Voldemort terminarono e una nuova epoca di problemi e battaglie si fece strada nel Mondo Magico. Gli eroi del passato persero la loro importanza, gli antichi ideali furono distrutti da una nuova grave minaccia, che si fece strada tra le debolezze dei Maghi.
La nazione andò incontro ad una crisi, che decimò la popolazione e cambiò per sempre quelli rimasti, portandoli a relazionarsi con i Normali per riuscire a sopravvivere. Il gene magico mutò, il numero di maghi diminuì e i loro poteri con essi subirono una radicale trasformazione. Fu allora, quando le persone erano deboli e non potevano combattere, che un giovane uomo, a dispetto della sua natura non magica, ideò un colpo di stato e piegò con il suo potere dittatoriale l'intera nazione, dividendola poi in 14 parti, per meglio governarla: la capitale, Diagon City, e altri 13 Distretti, che la circondavano e la mantenevano in vita. Ma nemmeno il suo regno imposto a forza durò molto e i popoli dei Distretti si ribellarono sotto la morsa di quella dittatura non voluta.
Il giovane presidente Snow comunque, dopo anni di battaglie che sconvolsero e distrussero l'intero paese, grazie al suo pugno di ferro mantenne intatto il suo governo riportando così la pace, che però i ribelli pagarono a caro prezzo. Il Distretto 13 venne raso al suolo e una condizione fu imposta a tutti i cittadini degli altri Distretti: ogni anno un giovane uomo e una giovane donna, di un'età compresa tra i 12 e i 18 anni, sarebbero stati prelevati dalla Capitale per essere quindi rinchiusi in un'arena pubblica, dove si sarebbero dovuti sfidare fino alla morte. Solo i più forti sopravvivevano, solo gli “Invincibili” si salvavano.
Da allora e per sempre, questa competizione prese il nome di Hunger Games, i giochi della fame.

 

 

ACQUA

 

L'acqua dona la vita, trasporta e cancella,
il tutto senza esitazioni, né pregiudizi.
Non esiste altro elemento più puro nella sua funzione e potere."

 

 

Margot era terrorizzata dall'acqua e se non fosse stata sua sorella, probabilmente Lucinda l'avrebbe detestata.
Vivevano nel Distretto 4, che confinava con il Distretto 6, e se non fosse stato per quel piccolo pezzo di terra che li univa, sarebbe stata un'isola, vasta e libera. Invece, come tutti gli altri dodici distretti, faceva parte di Panem, il nuovo stato sorto dalle ceneri dell'Inghilterra dopo la Grande Ribellione. 
Odiare l'acqua, agli occhi degli abitanti, sarebbe potuto passare alla stregua di un crimine.
Il nonno di Lucinda era un ribelle ed era morto combattendo la sua causa, con valore. Era da sempre il suo punto di riferimento, nonostante lei non fosse una ribelle e non aspirasse a diventarlo. Il suo scopo era partecipare agli Hunger Games e uscirne viva. Si allenava appositamente per quel giorno da quando era piccola e non c'era arma di cui non ne conoscesse i segreti. Riusciva a domare le onde dell'oceano con uno sguardo o a sollevarle in onde impetuose.
Per la sorella era una fortuna non avere nessun potere, non sarebbe stata in grado di controllare un elemento di cui aveva una così grande paura, ma per Lucinda si trattava di un onore: la prima della famiglia, dopo generazioni di mediocrità.
Nei combattimenti era la migliore e faceva di tutto per vantarsene. Era un'opportunista, un'egoista, un'impulsiva. Odiava i piagnistei e tutti i suoi coetanei la temevano, per svariate ragioni.
Aveva solo quindici anni, ma aveva ben chiaro il suo obiettivo ed era vincere. Sempre.

 

 

TERRA

 

"La terra è immortale, per questo
in lei si trova il mistero della creazione.

 

I frutteti si estendevano a perdita d'occhio fino all'orizzonte, non un solo centimetro di terra era lasciato incolto. Camille era appollaiata su di un masso, le gambe incrociate, la schiena dritta e gli occhi chiusi, a stimolare la concentrazione. Dei sassolini ruotavano intorno al suo viso, grazie ad un rapido movimento dell'indice.
Omar in quel momento si stava spaccando la schiena sui campi di pomodori, Camille se lo figurava chiaramente nella mente. Così come vedeva il padre sui rami del melo e la madre piegata in due dalla tosse, nel letto della loro casa. Si andava avanti solamente grazie alle sue tessere ormai. Il fratello aveva raggiunto la maggiore età da un pezzo e non aveva più diritto ad alcuna nomina. Per lei invece, una ragazzina di quindici anni appena compiuti, era tutta un'altra storia.
Da quando la madre si era ammalata e non aveva più potuto dare una mano nei campi, la famiglia era caduta nella miseria più di quanto già non lo fosse e faticava a trovare cibo nel piatto ogni sera.
Il giorno dopo ci sarebbe stata la Mietitura, gli Hunger Games stavano iniziando. E lei aveva all'incirca una cinquantina di nomine.
La fortuna non era decisamente a suo favore.

 

 

FUOCO

 

"Il fuoco è sempre stato e, ragionevolmente,
rimarrà sempre, il più terribile degli elementi.

 

Camminava rapida per le vie del Giacimento, attenta a qualsiasi movimento estraneo e potenzialmente pericoloso. Felicity non era di quell'ambiente, la polvere di carbone sugli scarponi non faceva per lei: era figlia del panettiere, abitava nell'area residenziale del Distretto 12, ma i guadagni della panetteria ormai non bastavano più e la madre l'aveva mandata al Forno, a cambiare alcuni vestiti vecchi e logori per qualcosa da mangiare.
Era dalla mattina che non metteva i denti su qualcosa, salvo un pezzo di carne mezzo bruciacchiato. Il furto era un reato grave, punibile con la morte, ma non era un valido motivo di preoccupazione per chi rischiava di morire di fame. Il macellaio aveva lasciato la porta aperta e mentre lui era scomparso nel retro del negozio, a Felicity erano bastati pochi secondi per afferrare un pezzo di carne crudo e scappare via. Era stata la fiammata di fuoco sprigionata dalle sue mani a bruciare la sua colazione, se così si poteva chiamare quel misero pezzo di manzo. Aveva imparato da sola a controllare i suoi poteri e non ci era ancora riuscita completamente. Nel Distretto 12 non c'era nessuno in grado di insegnarle qualcosa e chiunque possedeva la magia come lei era costretto a mettersi a servizio della Capitale, rinunciando alla propria liebrtà senza possibilità di scelta.
Nessuno doveva sapere di quel lato della sua personalità, nessuno doveva sapere delle fiammelle di fuoco che così spesso le sue mani generavano.
Ne andava della sua stessa vita.

 


 

Angolo d'autrice:

 

Salve popolo di Panem EFP!
Eccomi dunque con una nuova storia, frutto di un esperimento e di ore ed ore di creazione.
Prima di spiegarvi brevemente la trama, o almeno provarci, ci tenevo a precisare che questa storia è già finita, quindi ho tutti i capitoli terminati e pronti per essere pubblicati. Aggiungerli tutti subito sarebbe stato un vero e proprio suicidio, senza contare che la mia opera potrebbe non avere tutto il successo che immagino, quindi preferisco procedere per gradi.
Penso di pubblicare un nuovo capitolo ogni domenica, comunque. Nel caso mi senta particolarmente felice e contenta, potrei anche fare un'eccezione, ma chissà...
Passando alla trama: da come spero abbiate capito, questa fanfiction è una specie di crossover tra la saga di Hunger Games e quella di Harry Potter, con anche qualche accenno a quella di Percy Jackson, tanto per non farci mancare niente.
In sintesi: dopo la pace della seconda guerra magica, c'è un periodo di crisi del Mondo Magico e una sorta di “epidemia” che decimerà e muterà i geni dei maghi sopravvissuti. Le persone infatti saranno dotate di un solo potere, legato a ciò che producono nel Distretto.
Ad esempio, in questo primo capitolo, ho citato il potere dell'acqua del Distretto 4 (molto Poseidone, si), il potere della terra del Distretto 11 (molto Demetra, si) e il potere del fuoco del Distretto 12 (molto Efesto, si).
Naturalmente anche gli altri Distretti avranno un potere, che scoprirete man mano che la storia procederà.
Ora, entrando nei dettagli: ho deciso di pubblicare questa fanfiction nella sezione “Hunger Games” perché l'ambientazione e gran parte della trama si rifà ad essa. L'unico cambiamento che mi sono sentita di apportare, per soddisfare i miei bisogni, è il problemino del singolo vincitore. Ho modificato le regole, facendo sì che i Tributi non si dovranno più uccidere a vicenda, ma cercare di sopravvivere il più possibile nell'Arena ed entrare così a far parte degli “Invincibili”, coloro che “ce l'hanno fatta” e vincere così gli Hunger Games.
La protagonista della storia sarà Lucinda, il mio personaggio, ma alcuni capitoli saranno scritti anche dal punto di vista di altri personaggi, Camille e Felicity, visto e considerato che l'idea di questa fanfiction è venuta a me e ad altre due mie amiche e non mi sembrava giusto prendermi tutto il merito.
Sperando di non essermi dilungata troppo e che la storia vi possa piacere, vi saluto e vi auguro una buona lettura. 
Alla prossima,
Colpa delle stelle

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Capitolo 2
*** Distretto 4 ***


Distretto 4




 

  "Il mare è un nemico che gli uomini
si sforzano di amare"

 

 

Quando Lucinda aprì un occhio, il sole non era nemmeno sorto e una delicata sfumatura rosa colorava il cielo. Doveva essere quasi l'alba. Sentì una mano che le toccò la spalla, costringendola a girarsi nelle coperte, ancora mezza intontita. Margot, sua sorella, doveva averla vista muoversi. Aveva i capelli scompigliati e delle orribili occhiaie nere rendevano ancora più evidente l'ansia sul suo viso stremato. Probabilmente non aveva dormito per tutta la notte, troppo preoccupata a pensare a cosa l'aspettava quel giorno. Il giorno della Mietitura.
- Cosa vuoi? Cerca qualcun altro con cui disperarti per la tua sorte ingiusta e cattiva, io non ho tempo da perdere. - sibilò Lucinda, alzandosi dal letto e ignorandola volutamente. 
I suoi occhi la seguirono tristi, finché non trovò il coraggio di parlare. - Non avevo intenzione di lamentarmi con te. -
La sua voce flebile costrinse Lucinda a voltarsi. Era la prima volta che la sentiva rispondere a tono a qualcuno più grande di lei. Con i suoi compagni di scuola era abbastanza battagliera e raramente si faceva zittire da qualcuno, ma in famiglia e con gli adulti diventava un'altra persona, più riservata e schiva, e perdeva la sua parlantina. Evidentemente era davvero convinta di morire entro due settimane e l'occasione di poterle tener testa almeno una volta nella vita doveva essere troppo ghiotta per pensare di non coglierla.
Lucinda le sorrise beffarda e si appoggiò al muro con le braccia incrociate.
- Stai tranquilla, se uscirà il tuo nome non sarai tu ad andare a Diagon City. -
Gli occhi di Margot si staccarono dal pavimento e si fissarono in quelli della sorella.
- Qualunque nome verrà estratto, sarò io a giocare quest'anno. -
Senza aggiungere altro, Lucinda uscì dalla stanza, ridendo tra sé e sé del sospiro di sollievo scappato dalla bocca di Margot. Era una delle prime volte che le diceva la verità. Nessuno poteva rubarle la scena quel giorno, soprattutto non la sorella. Si sarebbe sicuramente messa a piangere, attirando il disonore sulla loro famiglia e su di lei, e Lucinda non poteva permetterglielo.
Ingoiò senza nemmeno masticare un po' di pane e marmellata, sorseggiando del latte direttamente dal pentolino. Il silenzio della casa era assoluto, segno che tutti stavano ancora dormendo. Anche Margot era tornata a letto e fino alle due del pomeriggio avrebbe avuto tutto il tempo necessario per capire se fidarsi o meno delle parole di Lucinda.
La ragazza indossò la tuta dell'addestramento e uscì subito, diretta verso la palestra. Frequentava quell'edificio ogni giorno, senza eccezioni, ed era arrivata a considerarlo una sorta di seconda casa, molto meno accogliente della prima e traboccante di armi, ma comunque familiare.
Tuttavia, per quanto si fosse allenata tutta la vita, Lucinda non si sentiva del tutto pronta. Era solo la sua costante ricerca della perfezione ad avere la meglio o una reale mancanza di abilità? Lucinda propendeva per la prima, sarebbe stata comunque troppo orgogliosa da ammettere la seconda in caso di verità.
Camminò velocemente nelle vie del Distretto addormentato, accompagnata solamente dagli sguardi freddi dei Pacificatori. Tutti la conoscevano lì, era la figlia del direttore della palestra.
All'ultimo momento però, Lucinda decise di cambiare la sua meta e anziché svoltare a destra, girò a sinistra verso la fila di alberi che divideva le abitazioni dal confine. C'era un appuntamento che l'attendeva e l'importanza di quell'incontro superava di gran lunga tutti gli altri impegni della giornata.
Arrivata alla periferia del Distretto, scostò un ramo di pino e superò parecchi cespugli, prima di sbucare davanti al cimitero. Quel posto non aveva più segreti per lei, da piccola lo frequentava tutti i giorni. Faceva visita al nonno e lo teneva aggiornato sui progressi che faceva, come se lui potesse davvero risponderle o anche solo sentirla. La sua tomba e quella di sua moglie erano in un angolo remoto, all'ombra di un faggio e ricoperte da un sottile strato di edera.
Di rado l'accompagnava anche il padre, ma quando era in sua compagnia non parlava. Si limitava a guardarlo sostituire i fiori appassiti con dei fiori freschi. Il compito di riportare l'acqua del vaso pulita spettava a lei.
Alzò rapida la mano verso i fiori appassiti sulla sua lapide e quelli subito tornarono a vivere, grazie all'acqua che bagnò le loro radici. Quella era la prova inconfutabile: mancava da troppo tempo, dal momento esatto in cui i suoi genitori si erano decisi a svelarle il vero motivo della morte di suo nonno. La sua famiglia era stupida se aveva pensato davvero di poterle nascondere un segreto, Lucinda era già arrivata a sospettare qualcosa prima che svuotassero il sacco di loro spontanea volontà, facilitandole il lavoro. Venne così a conoscenza della reale fine che il destino riservò a suo nonno. Nessuna malattia e nessuna giustificazione ricercabile nella vecchiaia: suo nonno era morto annegato.
Se qualcuno ti teneva di forza sott'acqua, impedendoti di respirare, le tue abilità di nuotatore perdevano importanza. E lui non aveva nessun potere, non aveva nessun legame con l'acqua. Fu solo la causa della sua morte.
Presa da un impeto di furia, Lucinda mosse un braccio verso l'albero più vicino e un enorme getto d'acqua gli strappò gran parte dei rami, lasciandolo mezzo spoglio. Dentro di lei si muoveva l'assassina di suo nonno e non era ancora riuscita ad accettarlo pienamente. Era grata della magia che le scorreva nelle vene, di come le facilitasse la vita e le aprisse innumerevoli porte per il futuro, ma non poteva semplicemente non pensarci.
Prese un respiro profondo, calmando i battiti del suo cuore, e tornò a fissare la foto sulla tomba. Capelli chiari e occhi verdi, animati dalla stessa sfumatura di determinazione che popolavano quelli di Lucinda davanti a una sfida. Suo nonno era un bell'uomo e se non fosse stato un ribelle sarebbe ancora al suo fianco, pronto a portarla fuori in barca o a leggerle una storia a voce alta. Non gli importava quante volte Lucinda glielo facesse notare, per lui rimaneva sempre la sua bambina.
Lucinda era fiera e sollevata di aver preso tutto da lui e niente da suo padre. La passione per le armi, la voglia di non arrendersi mai, la familiarità con l'acqua. Erano tutti aspetti che la legavano a suo nonno in maniera indissolubile e che, allo stesso tempo, l'allontanavano dalla sua famiglia. Se solo non ci fosse stato suo padre però a intercedere per lei e a farle continuare la scuola e gli allenamenti, Lucinda si sarebbe ritrovata con gli altri abitanti del Distretto 4 a raccogliere conchiglie e perle dal fondale marino, esattamente come facevano tutti gli altri ragazzi privi di potere che non facevano degli Hunger Games una prospettiva per il loro futuro. Ma gli obiettivi di Lucinda erano ben più importanti di quelli riservati agli altri ragazzi e anche se per quanto riguardava il suo impiego da adulta le lasciavano abbastanza campo libero, aveva un solo interesse nella vita, per il quale era nata e si era allenata così a lungo: vincere gli Hunger Games. Non c'era niente di più importante.
Senza accorgersene era scivolata in ginocchio, con una mano ad accarezzare per l'ultima volta la foto del nonno. Se fosse riuscita nella sua vendetta, tornare davanti a quella tomba non avrebbe più avuto senso.
Lucinda si sollevò di scatto, recuperò lo zaino che aveva abbandonato in terra e tornò sui suoi passi, senza più voltarsi indietro.

 

Non appena superò la soglia dell'Accademia, la voce di Atos l'aggredì, strappandole un gemito di fastidio.
- Lucinda Lockwood, in ritardo di tre minuti. Credi che io sia qui esclusivamente per te? - ruggì lui, la faccia rossa e le mani strette lungo i fianchi.
Quando si arrabbiava, l'omone che il padre di Lucinda aveva scelto come suo allenatore personale perdeva credibilità.  Sapeva benissimo che il semplice schioccare delle sue dita avrebbe potuto significare per lui morte certa, ma lo ignorava. L'aveva già steso una volta in passato e la punizione che subì le fece perdere la voglia di riprovarci di nuovo, ma il divertimento della minaccia non avrebbe potuto rubarglielo nessuno.
Lucinda continuò tranquillamente a camminare, finché non si fermò davanti alla postazione delle armi. Afferrò la prima ascia della fila e se l'appoggiò con noncuranza sulle spalle.
- Non credo, ne sono sicura. - disse tranquillamente, passando un dito sulla lama affilata. 
Atos la fissò in cagnesco, ma poi si limitò ad afferrare un bastone di ferro. Da quando Lucinda aveva spaccato in due quello di legno, mancandogli per un soffio il viso, aveva adottato dei nuovi metodi di allenamento.
- Saper parlare non è tutto nella vita. -
Non fece in tempo a mettersi in posizione di difesa, che il bastone le aveva raggiunto il polpaccio. Un dolore acuto le attraversò tutta la gamba e fu solo grazie ai suoi riflessi che Lucinda non perse la presa sull'ascia. Sperò per lui che fosse solo un'innocua botta.
- Domani sarò a Diagon City, pronta per gli Hunger Games - soffiò tra i denti, schivando un colpo al braccio e poi uno alla testa. - E non voglio regali indesiderati da parte tua. -
- Troverai i miei colpi una piuma in confronto a ciò che ti attende nell'arena. -
Aveva ragione, ma era un caso che l'avesse colpita, perché non si sarebbe più fatta trovare impreparata.
Sollevò l'ascia, bloccando un suo attacco, poi si girò verso destra, fintò e indirizzò la lama a sinistra, verso l'estremità del bastone. Atos aveva capito tutto e gli bastò un passo indietro per evitare di rimanere colpito. Tradendo uno sbuffo di rabbia, Lucinda indietreggiò e si mise a distanza di sicurezza Il sorriso che campeggiava sul viso del suo allenatore tuttavia la fece infuriare e sollevando con un braccio solo l'ascia, indirizzò l'altra mano al terreno, che si fece subito bagnato e scivoloso. Passarono pochi secondi e un'onda gigantesca era spuntata dal nulla. Nel mezzo, Lucinda la cavalcava. Girò intorno ad Atos, che non sembrava più molto sicuro, e poi ritornò all'altezza della sua faccia, mantenendosi comunque a distanza.
- Sai Atos, dovresti imparare a non sottovalutarmi. - ghignò Lucinda, pronta a colpirlo.
Se lui poteva lasciarle tutti i lividi che voleva, di certo non poteva lamentarsi del piccolo colpo che avrebbe ricevuto nei secondi successivi. Lucinda era pronta a lanciare l'incantesimo, quando la punta fredda di una spada sul suo collo la fece sobbalzare. Perse la concentrazione e il controllo sull'onda, che girò su sé stessa e la fece precipitare di schiena sul pavimento. Aveva mollato l'ascia e riuscì a mitigare il danno della caduta con la forza delle mani.
- E tu dovresti imparare a non dare le spalle al nemico. -
Dopo essersi spostata un ciuffo di capelli dal viso, Lucinda si voltò e incontrò il viso di Joey, l'altro tributo che si sarebbe offerto volontario con lei quell'anno alla Mietitura. In famiglia le avevano consigliato di farselo amico, in quanto il suo aiuto, unito a quello degli altri Favoriti, l'avrebbe sicuramente fatta uscire dall'arena con facilità, ma Lucinda mal lo sopportava. Rappresentava il canone di ragazzo tutto muscoli e niente cervello che non le suscitava alcuna attrattiva. Le veniva solo voglia di buttarlo a terra e riempirlo di pugni. Era troppo egocentrico, anche per gli standard della ragazza, e non aveva nessun potere che lo aiutasse ad assumere importanza agli occhi di Lucinda.
Alzò il viso e lo guardò con sfida. Prima che se ne potesse accorgere, era lungo disteso a terra, bagnato dalla testa ai piedi.
- Guarda le tue spalle prima di osare interrompere una mia sessione di allenamento. - replicò Lucinda, alzandosi in piedi e tendendogli la mano. Per quanto avesse affermato che non avrebbe fatto squadra con lui nei giochi, prenderlo in giro le sembrava un passatempo abbastanza divertente, che l'avrebbe tenuta impegnata nei giorni precedenti agli Hunger Games. Era curiosa di vedere se sarebbe riuscito a tenerle testa.
Joey sembrò accettare di buon grado l'offerta di aiuto, afferrando la mano di Lucinda e sfruttando anche la sua forza per sollevarsi. Poi le sorrise.
- Impossibile guardarsi le spalle. Non sono un gufo! -
Senza trattenersi, Lucinda sentì le labbra che le si piegarono involontariamente in una smorfia di irritazione. Probabilmente la sua stupidità era in grado di uccidere più persone di quante ne uccidesse lui stesso con la spada. Lucinda scosse affranta la testa, ma non si trattenne oltre. Lo abbandonò senza salutarlo e raggiunse la postazione del tiro con l'arco che, per quanto detestasse, era senz'altro meglio del restare in compagnia di Joey. E poi Atos sembrava avesse bisogno di parlarci.
Accordò un arco in poche mosse e subitò lo incoccò, indirizzandolo verso il manichino più vicino. Scoccò e la freccia vorticò in aria, per andare a infilarsi solo nell'estremo anello del cerchio. Abbassò l'arco con stizza e fissò il bersaglio, come se avesse potuto incenerirlo con una sola occhiata. Sfruttare il suo potere le riusciva fin troppo facile, ci condivideva da una vita, ma affinare la sua mira era tutta un'altra storia.
Prese un'altra freccia e scacciò il moto di irritazione che l'aveva invasa. Se voleva vincere non doveva essere brava. Doveva essere perfetta.

 




Angolo d'autrice:

Okay, vi confesso che non resistevo più a pubblicare. Non sono mai stata capace di tener fede alle programmazioni, di qualsiasi genere, e molte volte consegno dei lavori in anticipo. Mi sembrava inutile e tremedendamente masochista quindi farvi aspettare e ho anche deciso di levare la promessa di pubblicare la domenica che vi avevo fatto nel precedente capitolo. Pubblicherò seguendo la giornata, magari in base a come mi sveglio, quando ho voglia e tempo di farlo... Andrò un po' a naso ecco, ma vi assicuro che più di settimana non rimarrete senza avere notizie di me.
Odio i ritardatari e odio anche di più quando sono io a fare qualcosa di importante in ritardo, perché a questa storia ci tengo davvero molto, così come tengo alla vostra opininione.
Quindi, se avete un po' di tempo libero dedicatelo a me e lasciatemi una piccola recensione. Apprezzo i consigli e anche le critiche!
A presto,
Colpa delle stelle

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Capitolo 3
*** Distretto 11 ***


Distretto 11




 

"Ci sono campi, campi sterminati
dove gli esseri umani non nascono:
vengono coltivati"

 

 

La preparazione ai giochi nel Distretto 11 non era mai esistita. Tutti i suoi tributi si consideravano spacciati, costretti a perire davanti agli occhi beffardi dei Favoriti, i fortunati dei Distretti 1, 2 e 4 che si allenavano dalla nascita. Questi erano i pensieri che attanagliavano Camille, in quelle prime ore del giorno che avrebbe visto la Mietitura rubare la vita ad altri due bambini innocenti, per gettare nello sconforto le loro famiglie e tutto il Distretto, impotente davanti alla loro morte.
Lei era stata scelta per la Mietitura finale. Nei giorni precedenti si erano svolti delle ulteriori estrazioni per decidere chi avrebbe fatto parte del gruppo scelto per l'estrazione conclusiva di quella mattina. I bambini erano troppi per un'unica estrazione, dovevano per forza ridurne il numero, riducendo così anche la speranza, perché era ovvio che il sorteggio fosse stato truccato. Non un solo bambino delle caste più agiate aveva visto il loro nome estratto tra i tanti bigliettini bianchi che riempivano la bolla di vetro. Il nome di Camille invece c'era e lei se l'era aspettato, aveva troppe nomine per sperare di riuscire a passare inosservata e aveva la magia che le scorreva nelle vene, un motivo in più per essere buttata nell'Arena a combattere contro altri ragazzi, la maggior parte suoi coetanei o addirittura più piccoli di lei. La capitale voleva solo spettacolo e Camille sarebbe stata costretta a darglielo, che lo volesse oppure no.
Suo fratello Omar era salvo perché nonostante anche lui possedesse il potere, era troppo grande per venire coinvolto. Una magra consolazione rispetto a quello che presto avrebbe atteso la sorella.
Ormai Camille sapeva ciò che tutti sospettavano da tempo, sapeva che avevano capito chi fosse l'artefice delle continue esplosioni nei campi, che costringevano i Pacificatori a mandare a casa le famiglie un giorno si e l'altro no, dei furti di cibo. Volevano solo trovare il momento giusto per fargliela pagare e ora era arrivato. Non c'era pena peggiore che costringerla a partecipare agli Hunger Games.
Il suo nome sarebbe stato estratto quel giorno e nel giro due settimane, o anche meno, Camille sarebbe morta nell'Arena. Era meglio imprimersi quel pensiero in mente ed accettarlo quanto prima, così si sarebbe fatta trovare pronta e avrebbe onorato il suo Distretto fino alla morte.
I tributi non erano obbligati a uccidersi a vicenda durante i giochi, venivano solo rinchiusi per un determinato periodo di tempo in un luogo infernale e abbandonati lì finché i più deboli non sarebbero morti e i più forti gli unici rimasti. Solo allora si sarebbero conosciuti i nomi dei Vincitori, coloro che erano riusciti a sopravvivere all'orrore dell'Arena e che sarebbero stati considerati “Gli Invincibili” per sempre. Quel giochetto era andato avanti per molto tempo ormai, quello era il cinquantanovesimo anno che si ripeteva, e quanti erano i tributi del Distretto 11 che avevano conquistato quel titolo? Appena 4. Due erano vivi, due erano morti, ma non per la vecchiaia. Chi usciva dall'Arena non era più lo stesso e dei bambini non potevano pretendere di sopravvivere con il ricordo delle atrocità subite negli occhi. Di sopravvivere con lo stesso terrore a tutti i giorni della vita che gli rimaneva.
Due mentori prossimi al suicidio e due che ormai avevano passato la soglia del mondo dei morti da un pezzo.
Camille non avrebbe avuto alcuna possibilità. E lo sapeva.

 

Nella mattina della Mietitura, le nuvole oscuravano il cielo e rendevano ancora più desolato il paesaggio, reso silenzioso dalla mancanza dei lavoratori nei campi. L'unico aspetto positivo di quel giorno, se poteva essere considerato tale, era che a tutti venivano concesse delle “ferie obbligatorie”, che però non garantivano nessun pasto gratuito. O avevi del cibo da parte o pativi la fame, ma non era una novità per la sua gente.
Camille si era alzata presto quel giorno e sgattaiolava rapida per le vie del Distretto addormentato, stando ben attenta alla presenza di eventuali Pacificatori, che però sembravano svaniti nell'ombra. Probabilmente la consideravano già condannata a morte da non provare a fermarla nel caso l'avessero vista gironzolare davanti ai loro occhi in maniera sospetta. Se avesse provato a scappare sarebbe stato un altro paio di maniche, ma anche quel pericolo remoto non spaventava perché nessun era riuscito a scappare vivo dal Distretto 11. E chi c'era riuscito, ora era un Senza-voce al servizio della Capitale.
Superò le macerie di una casa abbandonata e si fermo nei pressi di un'altra abitazione, lurida e malridotta come le altre. Bussò tre colpi, seguendo un preciso ordine, e poi si dileguò nel retro, in attesa. Una testa scura sbucò dalla porta che fino a un secondo prima sembrava non dovesse nemmeno aprirsi, tanto l'aspetto della casa sembrava abbandonato, e seguì lo stesso percorso di Camille.
-Non ti sei fatta aspettare.- sussurrò il ragazzo, rivolgendole un rapido sorriso, che lei ricambiò all'istante. -Hai tutto?- domandò dopo.
Ancora una volta Camille annuì senza fiatare e si affrettò nella strada che conduceva ai campi.
-Jason, lo sai che se ti venissero a scoprire potresti...- tentò di dire, interrompendosi poi a metà del discorso davanti all'occhiata furente dell'altro.
-Il tuo destino non è segnato, non verrai sorteggiata Cam, non lo permetterò.-
Le sue parole non sortirono un effetto diverso sul viso della ragazza da un sorriso rassegnato, che si affrettò a rendere più credibile possibile. Jason non era stato sorteggiato e non avrebbe corso il rischio di finire nell'Arena. Non aveva fatto saltare in aria di proposito le abitazioni dei Pacificatori e nemmeno i campi che lui stesso coltivava. L'aveva solo accompagnata nelle sue missioni mantenendosi nell'ombra, senza mai esporsi, e il fratello maggiore gli aveva rassicurato la giusta protezione dalle nomine senza permettergli nemmeno una volta di iscriversi per le Tessere. Jason aveva diciotto anni, mai più si sarebbe dovuto preoccupare della Mietitura. Era salvo.
Camille invece no. Non aveva mai avuto nessuno che le avesse impedito di iscriversi per le Tessere, nessuno mai si sarebbe sacrificato per lei, nessuno si sarebbe mai offerto volontario per lei. L'unica persona che le aveva voluto bene al mondo era suo fratello e se aveva perso il suo affetto per sempre la colpa era solo sua.
-Jaz, non puoi fare niente contro la Mietitura e nemmeno se il mio nome venisse estratto. Nessuno può fare più niente per me.- esordì Camille abbassando gli occhi -Ma sappi che se mai dovrò entrare in quell'Arena, lotterò per tornare a casa. Per tornare da te, dalla mamma, da papà... E da Omar.-
Continuò poi a correre, senza più voltarsi a parlare finché non raggiunse il luogo stabilito: il centro esatto del campo di carote, la verdura su cui aveva speso la maggior parte del suo tempo in vita. Fece cenno a Jason di tenersi a distanza, per poi chiudere gli occhi e concentrarsi. Puntò i piedi a terra e sollevò le braccia, per poi aprirle di scatto all'infuori. La terra si divise, comandata dalla forza silenziosa che scatenavano i suoi poteri, e solo al suo gesto si fermò. L'espressione di Camille cambiò, come succedeva sempre quando dava vita alla forza che le scorreva dentro. Si sentiva sempre così forte e invincibile quando manipolava la terra e non avrebbe permesso che le fosse tolto anche quel misero istante di felicità che l'animava ogni volta che un suo incantesimo andava a buon fine. Estrasse quindi dalla tasca una manciata di piccole sferette, che seppellì poi alla vista dei curiosi grazie all'ennesimo movimento delle sue mani. Jason le passò poi un piccolo telecomando di metallo, dal quale spuntava un tasto rosso. Prima di premerlo, Camille si prese del tempo per pensare e fu inevitabilmente catturata dal mare di ricordi che la vista di quell'oggettino comportava. All'apparenza sembrava insignificante, ma nascondeva un potere enorme quanto il suo. Era stato per merito di suo padre e delle sue conoscenze se aveva saputo far funzionare quelle bombe.
C'era un Pacificatore, del quale si era dimenticata il nome, che aveva aiutato la sua famiglia molti anni prima. Passava loro il cibo di nascosto e qualsiasi cosa avrebbe potuto alleviare la loro misera condizione di vita e da quando la madre di Camille si era ammalata aveva anche provveduto in parte a fornirle le medicine della quale aveva bisogno. Poi, da un giorno all'altro, quest'uomo scomparve, e con lui le possibilità di riuscire a vivere, se non nella ricchezza, almeno in modo dignitoso. Fu quello l'anno in cui Camille si iscrisse per le tessere e il momento in cui Omar smise per sempre di parlarle. Quel Pacificatore era l'unico che era a conoscenza delle piccole esplosioni che attraversavano il Distretto 11 di tanto in tanto e l'unico, a parte la sua famiglia, a conoscenza del responsabile: suo padre. Da tempo però, era lei ad aver continuato il suo lavoro. I soldi per le medicine non c'erano più e la madre era destinata a morire. La voglia di ribellarsi del padre era scomparsa, per poi crescere, inaspettatamente forte, in lei.
Era per la sua famiglia che faceva tutto quello. Per Jason. E anche per quel Pacificatore che tanto l'aveva aiutata in passato.
Era per vendetta che premeva quel pulsante rosso ogni dannata volta. Ed era per quello che sorrideva, ogni volta che il suono dell'esplosione le entrava nelle orecchie e il fuoco le abbagliava gli occhi.
Per vendetta.
E per vendetta avrebbe azionato le bombe, anche quella volta.


 



Angolo d'autrice:

Buonsalve!
E finalmente iniziamo a conoscere anche Camille, la nostra bella Strega della Terra.
Se qualcuno fino ad ieri si stava chiedendo cosa fossero tutti quei botti che si sentivano, ora sapete di chi è la colpa. E si che il Distretto 11 è parecchio lontano da qui...
*momento ironia forzata e penosa finito*
Eccoci dunque al secondo capitolo della storia, dedicato ad un'amica speciale: Camille VanHorn, la suddetta creatrice del nostro personaggio.
Ci tengo a ringraziare tutti delle recensioni, chi ha inserito la storia nelle preferite/seguite/ricordate e anche chi legge in silenzio.
Ovviamente aspetto di sapere i vostri pareri sulla mia storia e sul nuovo capitolo, non fatevi pregare! E lasciatemi una piccola recensione! :)
A presto,
Colpa delle stelle

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Capitolo 4
*** Distretto 12 ***


Distretto 12




 

"Chi combatte il fuoco col fuoco
di solito finisce in cenere" 

 

 

Il Distretto 12 non vedeva un vincitore dalla lontana Edizione della Memoria del venticinquesimo anno degli Hunger Games. L'unica ragazza a trionfare fu Adeline, proprio quell'anno, e da quel misero giorno di feste non si sentirono più sue notizie. Felicity aveva fatto un incubo orribile proprio su di lei. Sognò di essere nell'Arena e di essere uccisa da Adeline.
La giovane vincitrice ra ancora parecchio famosa in tutta Panem, nessuno si era scordato di come si cibasse della carne delle sue stesse vittime una volta che le aveva uccise. Gli Strateghi avevano più volte cercato di farla fuori, come facevano sempre con tutti quelli che manifestavano apertamente il cannibalismo. Offriva un ottimo spettacolo, uno dei più cruenti, ma nessuno poi avrebbe voluto ritrovarsi da solo in un ascensore con un vincitore che aveva fatto fuori i suoi avversari a suon di morsi. Adeline riuscì comunque a vincere, ma dall'ultima sua apparizione in pubblico erano passati ormai troppi anni. Probabilmente Diagon City l'aveva fatta sparire una volta fuori dall'Arena senza troppe cerimonie.
Il fatto che, così facendo, i Tributi del 12 non avrebberp avutp un mentore non era mai stato considerato un problema degno di nota. Avrebbero riciclato un Vincitore di un altro Distretto e lo avrebbero convinto a seguire dei ragazzini che non voleva nessuno. Così andava il mondo per gli svantaggiati come lei.
Felicity si alzò tremante dal letto, cercando di scacciare dalla mente quelle immagini spaventose, ma non riuscì a trattenersi dal controllare se avesse ancora le gambe. L'aria della stanza era impregnata dal profumo di pane appena sfornato, segno che i suoi genitori stavano lavorando nonostante fosse il giorno della Mietitura. Quella parola le fece serrare gli occhi, mentre un altro brivido di paura le attraversava il corpo, così come la vista del vestito che sua madre aveva scelto per lei le fece salire il cuore in gola. Era lo stesso dell'anno scorso, di tutti gli altri anni, ma non riusciva ancora a digerirlo. Tra tre anni sarebbe stata fuori pericolo una volta per tutte e lo avrebbe bruciato per non doverlo più vedere. Se mai ci sarebbe arrivata però ai diciott'anni.

Si alzò dal letto con uno scatto, afferrando la divisa da caccia e sgusciando fuori dalla sua stanza, senza farsi vedere. Era appena passato mezzogiorno, ma aveva ancora un po' di tempo prima di doversi recare in piazza insieme agli altri.
Un anno un ragazzo di diciassette anni aveva provato a fuggire la Mietitura e non appena i Pacificatori lo avevano scoperto le conseguenze erano state tragiche e indimenticabili per l'intera famiglia. E la sorellina aveva appena due anni.
Scacciò ancora una volta quei pensieri pessimistici dalla testa e uscì dal retro bottega, attenta a non fare rumore. I suoi genitori non volevano che andasse a cacciare di frodo come facevano la maggior parte dei suoi coetanei, ma Felicity non riusciva a resistere. Adorava la foresta e il suo silenzio, adorava il fatto che potesse essere sé stessa in mezzo a quegli alberi, senza dover stare attenta a cosa dire o cosa fare.
Si accostò alla recinzione metallica e rimase in silenzio per qualche secondo, accertandosi che la corrente elettrica non scorresse nei cavi. Il Distretto 12 aveva a malapena elettricità sufficiente ad illuminare le case dell'Area Residenziale, di certo non l'avrebbe sprecata per la recinzione. Nessuno della popolazione poteva essere considerato un pericolo, nessuno sarebbe mai fuggito, avevano tutti troppa paura.
Felicity cavalcò il filo metallico senza badare a cosa le sue spalle urtarono e corse nella foresta, verso le voci che era certa di avere sentito. E aveva ragione: il suo gruppo era lì. Da parecchi anni ormai molti ragazzi del Distretto che non avevano ancora compiuto diciott'anni, e che quindi non erano obbligati a scendere nelle miniere, si ritrovavano lì e insieme cacciavano la selvaggina per le loro famiglie. Felicity si era aggregata da poco, ma nessuno glielo faceva mai pesare perché la sua mira era troppo perfetta e non permetteva a nessuno di negare il suo aiuto e così, dal primo tiro con l'arco che aveva messo a segno, si era subito guadagnata la fiducia del “capo”, che l'aveva accolta senza troppi problemi. Le avevano affidato l'unico arco che possedevano e anche se lei era molto abile a colpire i bersagli lontani e in movimento, ciò che l'avrebbe veramente fatta sentire appagata era tenere tra le mani un vero fucile da cecchino. Da quando aveva visto dei soldati in azione alla televisione, non aveva fatto che desiderare segretamente un'arma uguale, con cui potersi esercitare tutti i giorni. Ovviamente, era un sogno irrealizzabile. Nella foresta qualsiasi arma da fuoco era vietata perché le esplosioni avrebbero inevitabilmente attirato l'attenzione dei Pacificatori e nessuno poteva correre il rischio di farsi scoprire.
La ragazza raggiunse Sophie, la capo gruppo, e le scambiò un cinque alto, seguito da un sorriso.
-E brava Felicity, non pensavo avessi il coraggio di venire nella foresta anche oggi.- Tutti la consideravano una sorta di suo braccio destro e Felicity non aveva mai fatto niente per nascondere quanto la onorasse essere considerata tanto importante all'interno del loro gruppo clandestino. -Qualcuno invece è stato costretto, anche contro la sua volontà.-
Sophie fece un gesto con la testa in direzione del masso dietro di loro, su cui sedeva mogia Heather, la sua migliore amica. Era la prima volta che la vedeva nella foresta, aveva talmente tanta paura dei Pacificatori che era restia addirittura a farsi vedere nel Prato, il piccolo spiazzo d'erba punteggiato di fiori che separava il Distretto 12 dal confine. Felicity corse nella sua direzione, preoccupata.
-Che ci fai tu qui?- indagò, prendendole una mano e stringendogliela forte.
Heather alzò gli occhi, colmi di lacrime. -Mia madre mi ha obbligato a uscire, mi ha detto che devo imparare anche io a procurare cibo per la famiglia. Come fa Sophie.-
Sophie era sua sorella maggiore e non poteva essere più diversa da Heather. La prima furba e determinata, la reincarnazione della ribellione, e la seconda timida e solitaria, spaventata sin dalla sua ombra.
-Stai tranquilla, mentre cacciamo rimani dietro di me e se proprio non vuoi prendere in mano un coltello, basta che mi passi le frecce al momento giusto. Divideremo il bottino per due.- le fece l'occhiolino, lasciandole poi la mano e afferrando l'arco da una cavità dell'albero a fianco.
Come rinata, Heather saltò subito giù dalla roccia e riuscì anche a sorridere, per poi però riafferrarle subito la mano. Felicity si lasciò sfuggire un sospiro, mentre procedeva verso l'interno della foresta al seguito degli altri. Heather le era molto cara e anche se a volte era così fastidiosamente sottomessa da farle venire voglia di mollarle uno schiaffo, non l'avrebbe abbandonata per nulla al mondo. All'inizio l'aveva reclutata a scuola per costringerla a farle i compiti, con il lavoro in panetteria e la caccia nella foresta non aveva mai tempo di prendere in mano un libro, poi però il loro rapporto era pian piano cambiato e Felicity si era ritrovata una sorella minore adottiva prima ancora di accorgersene. Era di un anno più grande della sua amica, era più alta e non aveva peli sulla lingua, ma riuscì comunque a trattenere il suo orgoglio e a stringere un accordo con Heather: si sarebbe seduta con lei alla mensa e avrebbe finto di essere sua amica se lei avesse continuato a farle i compiti. La strategia era andata avanti per molto e Felicity recitava talmente bene da indurre Heather a confidarsi con lei, come se fossero realmente amiche. Scoprì di come doveva esserle stato difficile vivere in famiglia costantemente all'ombra di sua sorella maggiore e si costrinse ad ammettere che doveva aver sofferto molto, forse anche più di lei.
Felicity voltò appena la testa e incontrando gli occhi grigi di Heather non poté fare a meno di sorriderle, per cercare di infonderle un po' di sicurezza. La mano della sua amica era ancora saldamente ancorata alla sua e a lei non dava fastidio per il momento. C'erano giorni in cui invece proprio non riusciva a sopportare quella vicinanza continua e finiva per mandarla a quel paese, salvo poi scusarsi il giorno dopo e tornare ad abbracciarla come sempre. La sua continua ricerca d'affetto aveva finito per favorire anche lei: aveva Heather e il gruppetto della foresta, non si sarebbe mai più sentita sola come prima. Quando poi si ricordò che la sua amica, vivendo nel Giacimento, aveva minimo il triplo delle sue nomine, si morse il labbro preoccupata. Neanche la foresta riusciva a farle dimenticare la Mietitura e il tempo che scorreva ininterrottamente verso la fine di due giovani vite.
Ingoiò il magone che le era salito in gola e mollò la mano di Heather, per poi imbracciare l'arco. Ora doveva concentrarsi sulla caccia e su quel bel coniglietto che la guardava con occhi supplichevoli. Felicity prese la mira per pochi secondi e poi scoccò. La freccia si incastrò nell'incavo del collo dell'animale, sfiorando l'osso e squarciandogli la gola. Il sangue imbrattò il tronco dell'albero dietro il quale l'animale aveva cercato riparo e la riempì di un'inaspettata angoscia. Lei era il coniglio e la freccia la mano di qualche Favorito. Loro non si facevano scrupoli ad uccidere le persone, si divertivano e non si sarebbero risparmiati neanche quell'anno. Aveva un terribile presentimento e rimase ferma a guardare il coniglio martoriato, impietrita. 
Poi Sophie lo raccolse e le mostrò il pollice alzato.


 



Angolo d'autrice:

E finalmente conosciamo anche Felicity!
Per questo aggiornamento tempestoso, ringraziate Felicity Weedon, la mia cara amica ideatrice di questo personaggio, che mi ha rotto così tanto le scatole che non potevo non pubblicarlo subito (fa anche judo, oltretutto)! <3
Ci tengo a ringraziare chiunque abbia recensito, inserito la storia tra le preferite/seguite/ricordate e anche tutti quelli che leggono in silenzio.
Spero che il capitolo vi piaccia. :)
Alla prossima,
Colpa delle stelle

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Capitolo 5
*** L'inizio di tutto ***


La mietitura - L'inizio di tutto




 



"Non esiste circostanza, né destino, né fato
che possa ostacolare la ferma risolutezza
di un animo determinato"

 



Mia madre aprì le mani e il vestito mi scivolò sul corpo, fermandosi appena sotto il ginocchio. La seta verde metteva in risalto i miei occhi, appena più chiari del tessuto, e sembrava che sottolineasse anche a chi mi vedeva da fuori che non era da tutti permettersi un vestito di quel calibro. La maggior parte delle persone avrebbero avuto del misero cotone addosso, ma a me non importava poi molto del mio aspetto esteriore. Era più importante che partissi determinata fin da subito, anche se con i capelli biondi che mi cadevano così ordinatamente sulle spalle sarei stata scambiata più per una dolce e delicata ragazzina che per una determinata guerriera. Peggio per loro, poi nell'arena si sarebbero accorti di che pasta ero fatta e avrebbero tirato da soli i conti.
Mi ammirai per l'ultima volta allo specchio, stentando ancora a riconoscermi. Le mani abili di mia madre avevano davvero fatto un miracolo, non mi ero mai vista così elegante e bella prima di allora. Fu la scintilla di consapevolezza che mi balenava nello sguardo a tranquillizzarmi: ero sempre io, solo più in tiro rispetto al normale.
Sorrisi a mia madre, che mi guardava emozionata e con gli occhi lucidi, e a mio padre, che si limitò a farmi un breve cenno con il capo. Era l'unico gesto che speravo di ricevere, la sua approvazione. Poi mi girai verso Margot e le tesi una mano, che lei afferrò con timore.
-Devi stare tranquilla, okay? Non hai niente di cui preoccuparti.- esordii, sorridendole persino. -Per quest'anno, almeno.- aggiunsi, senza riuscire a trattenermi.
Mia sorella annuì, comunque sollevata, e mi strinse forte la mano. Quello era l'unico giorno di anni in cui potrei renderla felice se venisse sorteggiato il suo nome. La Mietitura e gli Hunger Games cambiavano davvero le persone e forse non tutte in peggio. Volevo comunque bene a Margot, anche se molte volte la consideravo molto più inutile del cane bastardo del mio vicino. Se era sangue del mio sangue, doveva per forza esserci qualcosa di buono lei. Magari io non ero la persona adatta per fare emergere il suo lato migliore, ma sapevo che volevo essere ancora viva se mai quella persona sarebbe arrivata.
La strinsi in un veloce abbraccio, che la lasciò completamente ammutolita, e senza lasciarle la mano affrontai con lei tutto il percorso che ci separava dalla piazza. Poi la salutai, sperando solo che non si mettesse a piangere già dal momento in cui le avessero punto il dito con l'ago.
Eravamo tra le prime ad essere arrivate e i banchi di registrazione erano ancora mezzi vuoti. Mancavano almeno venti minuti abbondanti alle due, ma io non avevo saputo trattenermi. Raggiunsi decisa il primo tavolo, allungando subito l'indice verso il Pacificatore che impugnava l'ago.
Lui mi sorrise e mi domandò, sottovoce: -É il grande giorno?-
Gli sorrisi determinata, sobbalzando appena per la puntura. Era grazie al grado che mio padre deteneva che tutti i Pacificatori erano più inclini a sorridermi invece che punirmi o forse il Distretto 4 era uno dei più magnanimi nei confronti delle persone? Sospettavo fosse la prima opzione, anche se infondo non ci sarebbe stato niente di cui lamentarsi se un Pacificatore ti sorrideva al posto di prenderti a frustate. Ormai da anni non si assistevano a punizioni sulla pubblica piazza, il che era tutto dire.
Mentre succhiavo il poco sangue che usciva ancora dalla puntura dell'ago, mi incamminai verso la mia postazione e le altre ragazze di quindici anni che aspettavano in silenzio. Tutte preoccupate, tutte con il viso tirato. Probabilmente non ero capitata nel girone di ragazze “scelte”, come me. Nessuna di quelle avrebbe potuto far muovere le onde del mare con un solo sguardo, figuriamoci avere il coraggio di offrirsi come tributo alla Mietitura. Sbuffai annoiata e intravidi con la coda dell'occhio Joey, che parlottava insieme ad altri ragazzi. Lo raggiunsi, decisa a iniziare il mio piano per farmelo amico. Non che mi dovessi impegnare poi molto vista la sua innata stupidità.
-Joey.- lo salutai allegra, prendendolo per un braccio e tirandolo fuori dal gruppo dei suoi amici -Non ti rimangerai la parola data vero?-
Quella volta fu facile tirare le labbra in un sorriso, ero talmente euforica dall'imminente inizio dei giochi che non stavo più nella pelle.
-Certo che no, tu e io saliremo su quel palco oggi ed entro domani saremo a Diagon City, ad onorare il nostro Distretto!- esclamò lui, puntando un pugno in aria.
Sospirai, per poi annuire distrattamente e riformulare la domanda in un modo più chiaro e comprensibile.
-Intendevo per l'alleanza. Mio padre ha contattato un suo amico del Distretto 1 e ci ha confermato quello che sapevo già: i loro Tributi ci vogliono nei Favoriti, insieme a quelli del 2. Sei dei nostri?- battei lentamente le ciglia, in un vano tentativo di convincerlo con il mio fascino, che alla fine non si rivelò un completo fallimento, perché Joey mi mise un braccio sulla spalla e urlò: -Ma che domande, ovvio che ci sto. Tu, io e loro verso la vittoria!-
Puntò ancora il pugno verso il cielo, consentendomi di spostarmelo di dosso. L'alleanza mi stava bene, ma se comprendeva anche contatti fisici non ci avrei messo molto a tradirlo.
-Ottimo.- sospirai di nuovo, voltandomi poi verso il palco.
La donna che avrebbe estratto i nomi dei possibili Tributi di quell'anno, della quale mi dimenticavo sempre il nome, aveva preso posto davanti al microfono, che picchiettava con un dito per accertarsi del suo funzionamento. Salutai con un cenno Joey e raggiunsi svelta la mia postazione, rannicchiandomi quasi nella posizione che mi preparava allo scatto nelle gare di atletica. Era inutile e lo sapevo, ma mi faceva rimanere concentrata sul mio obiettivo, che presto avrei raggiunto: il palco e il posto vuoto alla sinistra della donna.
-Popolo del Distretto 4, diamo il via alla Mietitura dei cinquantanovesimi Hunger Games!-
Aveva pronunciato giusto una frase, ma con talmente tanto entusiasmo che la parrucca verde le era scivolata su un lato. Si aspettava spettacolo quel giorno dai sui tributi e per quanto mi riguardava non l'avrei delusa. La musichetta del filmato sui Giorni Bui invase la piazza e mi fece innervosire. Avevo voglia di agire, di salire su quel palco e sul treno per Diagon City, non avevo tempo da perdere su filmati visti e rivisti decine di volte. Picchiettai velocemente il piede sul cemento, finché l'ultima immagine del filmato non sparì e la donna di avvicinò alla boccia di vetro, senza dimenticare il consueto: -Prima le signore!-
Mentre la sua mano frugava tra i vari nomi, le mie gambe avevano fatto spontaneamente un balzo in avanti, sfiorando la ragazza davanti a me. Mi costrinsi a calmarmi e incrociai lo sguardo divertito di mio padre. Non sarebbe potuto essere più fiero di sua figlia come in quel momento.
-Jackie Rosembert.-
La ragazza chiamata impallidì vistosamente, mentre le persone intorno a lei si facevano rapidamente indietro per sottolineare il fatto che erano salve. Mi tratteni per qualche secondo, lasciando libero sfogo alla mia cattiveria. Le lacrime solcavano il viso della ragazza, che sembrava camminasse verso il patibolo e non verso un semplice palco. La conoscevo, era la figlia del pescivendolo. Mediocre, sapeva tenere in mano il coltello solo per pulire il pesce e sorrideva sempre, a tutti. In quel momento però, sembrava che la felicità non avrebbe più potuto illuminarle il viso.
Mi voltai in direzione della sua famiglia e sorrisi alla vista della madre svenuta, tra le braccia del padre, che aveva la stessa espressione del pesce morto che vendeva nel suo negozio. Jackie era quasi arrivata, ma mi feci avanti solo quando fu ai piedi della scale. Camminai tra le altre ragazze, che si scostavano ancora prima di incrociare il mio sguardo. Ero conosciuta, tutti sapevano che la magia mi scorreva nelle vene e che era meglio non contraddirmi od ostacolarmi. Raggiunsi la strada lastricata, mentre due Pacificatori si facevano rapidamente strada verso di me.
Li fermai con un gesto, per poi rivolgermi alla donna sul palco: -Mi offro volontaria.-
Assaporai ogni parola che uscì dalla mia bocca, sorridendo, certa che avrei dovuto ripeterle, tanto la faccia sconvolta di Jackie mi faceva intuire che non aveva capito niente di quello che avevo appena detto.
Mi schiarii la voce e ripetei, a voce più alta: -Mi offro volontaria come tributo!-
La madre di Jackie, rivenutasi all'improvviso, si lasciò sfuggire un singulto di sollievo, lo stesso sollievo che traspariva chiaramente sul volto della figlia, che fu subito spostata dalla strada dai Pacificatori. Continuai a camminare decisa verso il palco e salii gli scalini a piccoli saltelli. Una volta davanti al microfono, esibii il mio sorriso migliore, mentre la donna entusiasta si raddrizzava la parrucca.
-Come immaginavo, il Distretto 4 non mi ha deluso. Come ti chiami tesoro?-
Il suo sorriso era talmente finto che mi dava la nausea al solo guardarlo, ma riuscii comunque a mantenere il mio.
-Lucinda Lockwood.-
-Era una tua amica quella per cui ti sei offerta volontaria?-
Guardai per un secondo Jackie, stretta tra le braccia del padre, e scossi la testa.
-No, semplicemente era giunto il mio momento.- sorrisi ancora, mentre la folla mi applaudiva fragorosamente.
Mio padre era fiero di me, lo si vedeva da come erano alte le sue spalle, mia madre aveva paura per me, ma allo stesso tempo i suoi occhi esprimevano orgoglio e felicità per quella figlia che non l'aveva delusa. Anche Margot sorrideva timidamente e mi mostrò addirittura il pollice. La mia doveva essere stata una risposta d'effetto, visto che anche la donna accanto a me applaudiva con trasporto.
-Allora complimenti al nostro primo Tributo del Distretto 4: Lucinda Lockwood!-
Non tutti sarebbero stati applauditi così come me quel giorno, non tutti avrebbero provato la stessa euforia e lo stesso orgoglio che sentivo dentro di me, forte e potente. Non per tutti partecipare agli Hunger Games era un onore, ma per me lo era. Ed era lo stesso per Joey.
-Ora tocca al giovane uomo.-
Ancora in preda all'estasi, la donna si avvicinò all'ampolla dei nomi dei ragazzi e frugò per un po' di tempo, estraendo poi un foglio dal fondo. Doveva essere stata promossa da poco, non l'avevo mai vista alla Mietitura. Eppure avrebbe dovuto sapere che i Tributi si offrivano praticamente ogni anno nel nostro Distretto, e anche se eravamo di gran lunga meno brutali del 1 e del 2, anche noi sapevamo essere letali. Bastava guardare Joey e i suoi muscoli. O i miei poteri e la mia ascia.
-George Wilfrey.-
Il mio futuro compagno di giochi non aveva la stessa pazienza e crudeltà che avevo avuto io e non diede il tempo nemmeno al povero estratto di impallidire. Alzò come al solito il pugno verso l'alto e tuono con il suo vocione: -Mi offro volontario come Tributo!-
La donna saltellò contenta, mentre un altro applauso invase la piazza, molto meno fragoroso del mio però, il che mi fece sorridere nonostante quell'oca in verde mi urlasse nelle orecchie.
-Ottimo, ottimo. Ecco un altro volontario! Come ti chiami caro?-
-Joey Mackoy.-
-Joey, complimenti anche a te. Stringetevi la mano, forza!- trillò la donna, battendo ancora le mani.
Era più irritante di un bambino in preda ai capricci, ma ero capace di sopportarla per il mio successo. Sorrisi decisa a Joey, porgendogli la mano destra che strinse con forza. Poi mi schiacciò l'occhio e alzò le nostre mani intrecciate verso il cielo, ululando a squarciagola. In un altro momento, nemmeno da morta avrei voluto apparire in televisione con una persona talmente infantile, ma la mia dignità aveva perso la battaglia contro l'entusiasmo della Mietitura.
Ero pronta per brillare.


 



Angolo d'autrice:

Buongiorno Tributi!
Ecco che le Mietiture iniziano e Lucinda, come ci aspettavamo, non ci delude: si è offerta volontaria e si considera una Favorita alla pari degli altri suoi futuri alleati del Distretto 1 e 2.
Chissà se tutta questa sicurezza non nasconda qualcosa di più profondo e oscuro...
Come sempre, ringrazio tutti coloro che hanno recensito, che hanno inserito la storia tra le preferite/seguite/ricordate e anche tutti quelli che leggono in silenzio.
Mi auguro che il capitolo vi sia piaciuto :)
A presto,
Colpa delle stelle

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Capitolo 6
*** Quando il coraggio sconfigge la paura ***


La mietitura- Quando il coraggio sconfigge la paura


 


"Gli inferiori si ribellano  per poter essere uguali e
gli uguali per poter essere superiori.
É questo lo stato d'animo 
dal quale nascono le rivoluzioni."

 

 

Le file dei ragazzi davanti ai banchi dei Pacificatori si muovevano lente, quasi a voler rallentare il tempo che passava inesorabile.
Camille se ne stava in un angolo, con le braccia al petto e gli occhi chiusi.
Si concentrava sui passi della gente che calpestavano la terra, sul rumore che producevano e sull'emozioni che portavano.
C'erano bambini appena dodicenni, che più che camminare venivano trascinati dai genitori o dai fratelli maggiori, altrettanto sofferenti.
C'erano quelli che ostentavano sicurezza e pestavano con forza i piedi sul terreno, come sfida verso il destino.
C'erano quelli come lei, che camminavano leggeri e quasi consapevoli che quella sera non sarebbero tornati a casa, non avrebbero più abbracciato la famiglia, non avrebbero potuto costruirsi una vita.
E poi c'era Jason, che si avvicinava rapidamente, preoccupato per la sorte dell'amica, ma rassicurato dalla propria.
Ancora prima che Camille potesse aprire gli occhi, l'amico l'abbracciò stringendola forte.
-Non mi hanno ancora estratta.- sussurrò, ricambiando la stretta.
-E non succederà.- chiarì lui, staccandosi e guardandola negli occhi. -Non verrai estratta.-
Camille sorrise lievemente. -Si invece.-
Jason si incupì e serrò forte la mascella. -Cosa te lo dice? Non puoi conoscere anche il tuo futuro.-
-Lo avverto nell'aria.- rispose semplicemente Camille, alzando per un attimo il viso e guardando il cielo azzurro.
Quando riabbassò lo sguardo, si rese conto che la presentatrice era salita sul palco e che il momento della Mietitura era arrivato.
-Tu vai. Ci vediamo dopo, così festeggiamo.- chiarì Jason, ostinato a non voler mollare.
Camille non gli rispose e si limitò a raggiungere il suo posto nella fila delle quindicenni: più negava la verità, più avrebbe sofferto.
-Buongiorno Distretto 11! Signori e signore, andremo ora ad estrarre i Tributi che avranno l'onore di rappresentarvi in questa cinquantanovesima edizione degli Hunger Games.-
Makayla,una grassa signora ricoperta di gioielli, si mosse barcollando verso la boccia dei ragazzi e ci infilò la mano.
Mescolò un po', poi pescò un biglietto dal fondo e lo aprì.
-Thomàs Hamilton.-
A rappresentare il Distretto 11, ad occupare il posto del Tributo maschio, c'era un dodicenne.
Gracile, debole e spacciato.
Raggiunse il palco, tremando visibilmente, e non riuscì nemmeno a rispondere alle domande di Makayla la quale, piuttosto scocciata, passò subito alla boccia delle ragazze.
Camille era immobile.
Il vento le gonfiava il vestito e le spettinava i capelli, ma lei rimaneva ferma con gli occhi chiusi.
Dopo che un dodicenne, un bambino, era stato estratto, la sua decisione azzardata prendeva sempre più forma.
-Camille VanHorn!-
Il suo nome invase la piazza, riecheggiò sulle mura del Palazzo di Giustizia e si infilò nelle vie del Distretto, svanendo nell'aria.
Solo in quel momento Camille aprì gli occhi.
-Me l'aspettavo.- esclamò, avanzando lenta verso il palco.
Per una volta si sarebbe fregata dei Pacificatori che la tenevano sotto tiro, delle rigide regole del suo Distretto e anche della prospettiva di una morte istantanea, per ribellione, non la spaventava.
Perché quello che stava per fare e dire, andava davvero oltre l'immaginario.
-E sapete perché?- domandò, ostentando ironia.
Salì velocemente le scale del palco e si portò davanti al microfono, strappandolo letteralmente dalle mani di Makayla.
-Perché le estrazioni sono state truccate.-
La folla che occupava la piazza iniziò a rumoreggiare: persone con la bocca
spalancata dalla sorpresa e dal terrore la guardavano, aspettandosi di vederla saltare in aria da un momento all'altro.

Ma le sue parole avevano letteralmente preso alla sprovvista tutti e Camille ne approfittò.
-Voi conoscete mio padre. Conoscete mia madre e la sua malattia, l'impossibilità di curarla perché siamo costretti ad una vita di miseria e di sofferenza. Conoscete mio fratello.- lanciò un veloce sguardo verso le persone che la fronteggiavano e poi tornò a fissare il vuoto davanti a sé. -E quello che ha dovuto subire. Eppure non reagite. Perché siete deboli. Ed è il Presidente Snow la causa.-
Deglutì, ma non si diede tempo di riprendere fiato.
-Ha conquistato questa terra con il sudore, con la fatica, ma senza onore. Ha instillato la paura nei nostri animi, ma non ha fatto i conti con la speranza, l'unica cosa che può vincere il nostro timore.-
Respirò a fondo e puntò lo sguardo dritto nelle telecamere.
-Mi trovo qui ora perché ogni giorno, da quando sono nata, ho sfidato la Capitale. Perché sono io che faccio saltare in aria i campi con le bombe. E perché sono una delle poche che non ha smesso di credere in una vita migliore. Eppure non sono stata forte abbastanza, sto andando contro la morte. Sono debole, come tutti voi.-
Si portò una mano al cuore e chiuse gli occhi, con l'ultima immagine del suo Distretto nella mente.
-Panem oggi. Panem domani. Panem per sempre.-
Furono le ultime parole che riuscì a dire, prima di essere afferrata con forza da due Pacificatori e scortata rudemente nel Palazzo di Giustizia, con un silenzio angosciato come unico sottofondo.
 

 

Il primo ad entrare fu suo padre.
Con la bravata che aveva fatto, Camille era quasi certa che l'avrebbero infilata nel primo treno e spedita alla Capitale senza nemmeno la possibilità di salutare i propri cari.
Le regole però parlavano chiaro e c'erano delle persone che ci credevano davvero, che non le avrebbero ignorate come aveva fatto lei pochi istanti prima.
-Non hai idea di quanto sia fiero di te.- commentò l'uomo, avvolgendo subito il corpo della figlia con le sue enormi braccia. -Hai concluso quello che io avevo iniziato. Ma...-
-La pagherò cara.- terminò Camille, affondando il viso nella camicia del padre. -Come sempre.-
Rimasero abbracciati, in silenzio, per tutti e tre i minuti a loro disposizione, finché un Pacificatore non li separò.
-Tempo.-
Camille fece appena in tempo ad urlare a suo padre di salutarle la madre, quando l'uomo fu condotto fuori e al suo posto entrò Jason, trafelato e paonazzo.
-Sei un'incosciente!- le urlò addosso. -Avresti potuto farti ammazzare! Davanti a tutti!-
-Morirò davanti a tutti. Negli Hunger Games.- disse Camille, guardandolo con tristezza. -E devi accettarlo come ho fatto io.-
-Tu non sei così. La Camille che conoscevo non si arrendeva mai.- Jason le afferrò le mani e gliele strinse forte. -Quella che disseminava di bombe i campi non si sarebbe mai permessa di parlare così. Quando sarai là dentro lotterai e farai di tutto per tornare da me, intesi? O il discorso che hai appena fatto in piazza non varrà niente.-
Un calore la pervase, nel rendersi conto che Jason aveva ragione.
Non aveva più niente da perdere, o combatteva o moriva.
-Contaci.- assicurò Camille, prima che lo stesso Pacificatore li divise.
Il ragazzo che entrò subito dopo era l'ultima persona che la ragazza si sarebbe mai aspettata di vedere.
-Che ci fai qui?- domandò incredula, avvicinandosi.
Omar la fermò, alzando una mano e indietreggiando leggermente.
-Non si può sfuggire al proprio destino.- commentò grave, senza però trovare il coraggio di guardarla.
Camille sapeva bene a cosa si riferiva, sapeva che lo avrebbe detto, ma le parole del fratello le fecero comunque salire le lacrime agli occhi.
-Avrei dovuto morire l'anno scorso.- sussurrò, abbassando lo sguardo sul pavimento.
Camille era già stata estratta, l'anno prima.
E la fidanzata del fratello l'aveva salvata, offrendosi volontaria al suo posto e morendo nell'arena.
Omar l'amava profondamente e da quel momento non fu più lo stesso.
Incolpò la sorella del fatto, preso dal folle dolore, convinto che fosse stata lei a spingere Coraline a offrirsi alla Mietitura.
Con il passare del tempo però, si accorse che le sue accuse erano infondate, ma non riuscì comunque a ristabilire il rapporto con la sorella.
Forse, solo lo stesso dolore che aveva provato alla morte della sua ragazza avrebbe potuto guarirlo.
-Lei non si sarebbe mai fatta influenzare. Specialmente da me.- aggiunse Camille, sollevando finalmente lo sguardo.
Incontrò quello del fratello. -Lo so. Sapeva quanto ti volevo bene. E sapeva anche che non avrei sopportato la tua morte, che sarei morto anche io con te. L'ho capito troppo tardi.-
-L'importante è che tu mi abbia perdonato.-
Omar strinse forte i pugni, ma per la prima volta dalla terribile morte di Coraline i suoi occhi non serbavano rancore.
-Non ho mai dovuto perdonarti niente.- disse solo e poi uscì dalla stanza, veloce com'era arrivato.

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Angolo d'autrice:

Buongiorno!
Ammettelo, ve lo aspettavate da una tranquilla e innocente come Camille?
Che poi non è così indifesa, se con le sue bombe fa scoppiare i campi... ;)
La mia amica è tosta, quindi ho voluto rendere anche il suo personaggio forte.
Spero vivamente di esserci riuscita!
Ringrazio come sempre chiunque abbia recensito, chi abbia inserito la storia tra le preferite/seguite/ricordate e anche chi legge in silenzio.
Alla prossima,
Lucinda_Lockwood

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Capitolo 7
*** Il fuoco non si può domare ***


La mietitura- Il fuoco non si può domare




 

"Il valore di un sentimento è la somma dei sacrifici
che si è disposti a fare per esso"



Quando Felicity rientrò dalla foresta, cercando di chiudere con cautela la porta sul retro della forneria, si ritrovò faccia a faccia con la madre, visibilmente preoccupata.
-Sei andata ancora a cacciare con quelle poco di buono del Giacimento?- domandò preoccupata, stringendola all'istante in un lungo e soffocante abbraccio.
Felicity sbuffò e tentò di allontanarla, arrabbiata. -Sono mie amiche e non sono delle poco di buono.-
-Chiunque vada a cacciare nelle foreste, contro le regole, è una poco di buono.-
-Sai mamma, chi soffre la fame molto spesso ricorre a questi provvedimenti, per non morire.- ironizzò Felicity, certa di offenderla.
E così fu.
-Tu non hai problemi, perché ti vuoi cacciare nei guai?-
Le lacrime sul volto della donna non tardarono ad arrivare, così come il senso di colpa di Felicity.
Era inutile che continuasse a provarci: con le persone a cui teneva non riusciva ad essere cattiva e se loro stavano male, stava male anche lei.
-Non mi scopriranno, mai. Sono troppo furba.- ironizzò Felicity, sorridendole mestamente.
Il suo tono era tornato normale, non era più arrabbiata.
Sapeva che la madre si preoccupava e se diceva quelle cose era solo perché aveva paura che le potesse capitare chissà che cosa.
Ed essere estratti agli Hunger Games era una di quelle cose.
-Forza, preparati.- sospirò Catherine, asciugandosi velocemente le guance. -Così mangiamo qualcosa prima di andare in piazza.-
Felicity annuì e scappò in camera sua.
Il vestito era sempre lì, sul letto, ad aspettarla.
Odiava le gonne, si sentiva sempre troppo nuda con le gambe scoperte, ma alla Mietitura dovevi andarci con il tuo aspetto migliore.
E la divisa da caccia non aiutava.
Si spogliò velocemente e si infilò nella tinozza d'acqua tiepida, levandola dal camino.
Si strofinò a fondo tutto il corpo, risciacquando abbondantemente anche i capelli.
Poi si avvolse in un asciugamano e si lasciò cadere sul letto, incurante dei ricci gocciolanti che le bagnavano le coperte.
Sarebbe rimasta così, con gli occhi chiusi, per sempre se la madre non l'avesse chiamata a gran voce per il pranzo.
La porta cigolò e Felicity si sollevò all'istante, ma fu il padre ad entrare nella stanza.
Le fissò i capelli bagnati e poi sorrise. -Ti verrà un malanno se non ti asciughi.- la mise in guardia bonariamente, sedendosi accanto a lei.
Felicity non si azzardò a dire niente, limitandosi ad avvolrgere i ricci in un'altra salvietta ruvida.
-Potresti fare più veloce.- suggerì il padre, stando attento comunque a non rivelare troppo.
Se solo qualcuno nel Distretto avesse scoperto i poteri della figlia, non si sarebbero trattenuti troppo dall'andare a denunciarla ai Pacificatori.
-Meglio di no, hai visto cos'è successo l'altra volta con quel pezzo di carne.- sentenziò Felicity, sorridendo amaramente.
Poi si alzò e guardò il padre, esortandolo con lo sguardo.
L'uomo sembrò capire al volo e balzò in piedi. -Esco subito allora. Così ti cambi.-
Le accarezzò lievemente una guancia e le depositò un bacio sulla fronte, per poi uscire e lasciarla di nuovo sola.
Felicity aveva un bel rapporto con lui, si volevano bene e non esitavano a dimostrarlo.
Eppure il gesto d'affetto del padre non aveva calmato il suo turbamento.
Sentiva una brutta sensazione da quando era entrata in quella camera e aveva iniziato a prepararsi per la Mietitura.
Non sapeva se le streghe avessero una sorta di sesto senso che le informava del loro futuro o sui fatti spiacevoli che le avrebbero colpite e per questo sperava vivamente di sbagliarsi.
Perché quello che sentiva in quel momento non prometteva nulla di buono.

 

-Heather Cornwell.-
Sarà che dell'istinto di streghe bisogna imparare a fidarsi.
Perché la presentatrice del Distretto 12 aveva chiamato la sua migliore amica, quella che non avrebbe avuto alcuna possibilità di sopravvivere agli Hunger Games.
Quella che aveva paura della foresta e di disubbidire alle regole della Capitale.
Anche Felicity aveva paura, come tutti, ma era diversa.
Poteva farcela.
E ce l'avrebbe fatta.
-Heather!- chiamò, allungando una mano verso di lei.
Lei si girò, con le lacrime agli occhi, e la guardò implorando aiuto.
Corse verso di lei, ma i Pacificatori le si pararono davanti, bloccandole la strada.
-Aspettate aspettate!- urlò verso la presentatrice. -Vengo io!-
La donna spalancò la bocca, poi gli occhi e infine si esibì in un urletto emozionato e in un balletto sul palco, saltellando a destra e a sinistra nonostante i tacchi alti.
-Vuoi forse offrirti volontaria cara?- domandò, invitandola a salire sul palco.
Tutti guardavano Felcity increduli, mentre lei si sforzava di riflettere rapidamente.
C'era ancora una via d'uscita, avrebbe potuto ancora tirarsi indietro e lasciare partire Heather.
Avrebbe potuto rimanere al sicuro, guardarla morire...
-Si si, mi offro io.- si affrettò a ripetere, fiondandosi verso Heather.
La sua amica era ancora troppo sconvolta, non riusciva a parlare, la guardava e basta, con gli occhi colmi di gratitudine e di paura.
-Ma cara, che coraggio! Che coraggio! Sali pure sul palco, qui, davanti a tutti.- si affannò la presentatrice, andandole incontro. -Come ti chiami?-
-Felicity Weedon.- rispose, schiarendosi la voce.
Aveva la gola stretta in una morsa, gli occhi pericolosamente lucidi, ma non poteva assolutamente dimostrare timore in quel momento.
-Cameron Printchell.-
Non poteva dimostrare più paura di quanta ne dimostrasse il tredicenne che si avvicinava alle scale del palco, con gli occhi vuoti e il terrore di morire stampato in faccia.
Lo conosceva bene.
Era il fratello di un suo compagno di scuola, un ragazzo con il quale condivideva anche tutte le gite clandestine nella foresta.
Era giovane, ma era l'unico che si offriva sempre per scuoiare e pulire i suoi conigli una volta che lei li aveva catturati.
-Vi chiedo un bel applauso per i nostri Tributi! E ora ragazzi, stringetevi la mano.-
Felicity non aveva fratelli e nemmeno sorelle, era figlia unica, ma l'angoscia profonda che la colpì nell'esatto istante in cui incrociò gli occhi bagnati dalle lacrime di Cameron la sconvolse.
Prima non voleva bene a nessuno.
Trascorreva le sue giornate chiusa in casa, a nascondersi, e di tanto in tanto incendiava una coperta, ma nulla di più.
Dopo che la zia era stata portata via davanti ai suoi occhi per colpa dei suoi poteri, aveva imparato a reprimere quella parte pericolosa della sua personalità e a starsene in un angolo, senza causare problemi.
L'odio per la Capitale e il suo istinto di ribellione però non avevano fatto altro che crescere e la voglia di allenarsi aveva presto preso il sopravvento.
Ogni giorno provava e riprovava a controllare le sue fiammate, ma si rendeva sempre più conto che il suo potere era troppo instabile e che non ce l'avrebbe fatta da sola.
Aveva bisogno di un aiuto e l'unica persona che poteva offrirglielo era lontana, probabilmente morta.
La madre aveva paura di lei, Felicity lo sapeva, ma al contempo non faceva nulla per farle cambiare idea.
Il padre invece le voleva bene, ma era troppo assillante e protettivo e con una personalità ribelle e impulsiva come quella di Felicity non poteva esserci troppa intesa.
Gli voleva bene, come ogni genitore ne voleva alla propria figlia, eppure manteneva le distanze.
Solo grazie ad Heather quell'odio intenso che provava aveva conosciuto un momento di pausa.
Felicity ne aveva passate tante, ma aveva superato tutte le difficoltà e si era costruita una vita nel Distretto 12.
Aveva un lavoro assicurato grazie al negozio dei suoi genitori e lei adorava così tanto impastare, fissare anche per ore il pane che lentamente lievitava e spandeva il profumo per tutto il negozio.
Aveva il suo gruppetto della foresta.
Se fosse riuscita a tornare, avrebbe potuto aiutarli con i soldi, ma non avrebbe mai rinunciato ad andare a cacciare con loro.
Magari avrebbe anche potuto comprarsi quel famoso fucile da cecchino che così spesso la rincorreva nei suoi sogni più profondi, fin da quando era bambina.
Avrebbe potuto continuare ad andare a scuola, si sarebbe fatta fare i compiti da Heather, l'avrebbe trattata male di nuovo e poi le avrebbe prontamente chiesto scusa.
La sua vita non era niente di che, non aveva niente di speciale, ma le apparteneva, l'aveva resa la persona che era.
E non avrebbe permesso a nessuno di privarla della possibilità di essere felice.
Perché lei era fuoco e il fuoco non si può domare.

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Angolo d'autrice:
E con la Mietitura di Felicity, si conclude un ciclo.
Ebbene si, da questo capitolo in poi la storia continuerà dal punto di vista di Lucinda.
Camille e Felicity torneranno molto presto, sono protagoniste anche loro dopo tutto, ma scrivere ogni parte dal punto di vista di entrambe sarebbe venuto troppo disordinato e troppo in stile interattiva.
Ritroverete le vostre beniamine (stati attenti a non ignorare Lucinda o lei vi punirà) una volta nell'Arena, quando la storia entrerà quindi nel vivo dell'azione.
Come sempre ringrazio chiunque abbia recensito la storia, chi l'abbia inserita tra le preferti/seguite/ricordate e anche chi legge in silenzio.
A presto,
Lucinda_Lockwood

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Capitolo 8
*** Non è un addio, ma un arrivederci ***


The powers of the elements- Non è un addio, ma un arrivederci




 


"Non c'è differenza tra vigliacchi e coraggiosi:
i primi trovano  rifugio nella paura, i secondi 
cercano di nasconderla.
Ma sempre spaventati sono."


 


Salimmo le scale del Palazzo di Giustizia sorridendo, scortati da alcuni Pacificatori e da Faith, la donna che aveva estratto i nostri nomi alla Mietitura.
Le domandai il significato del suo nome, pentendomene subito non appena la sua vocetta fastidiosa mi penetrò i timpani: -Significa fede, tesoro. La fede che provo in Capitol City e nei giochi.- cantilenò, per poi condurmi in una stanza appartata, identica a quella in cui era entrato Joey.
La sua risposta mi fece salire un incredibile voglia di prenderla a pugni.
Capivo ciò che provava quella donna, anche io era orgogliosa di poter partecipare agli Hunger Games dopotutto, ma le sensazioni felici che provavo erano finite lì.
Pensavo ai Tributi degli altri Distretti, costretti a partecipare ai giochi con la paura di morire, e non ci trovai niente di bello, niente di giusto e niente in cui credere.
Era una passione morbosa quella di Faith, così come lo era l'entusiasmo che colpiva i sudditi della capitale alla sola vista dei Tributi, che li spingeva a scommettere su chi per primo ci avrebbe rimesso le penne.
Il malumore mi prese all'improvviso, tanto che quasi non mi accorsi di aver tirato un calcio alla poltrona di pelle nel lato della stanza, che si ammaccò.
La mia famiglia entrò in quel momento, fermandomi prima di dare un altro colpo, questa volta al tavolino.
Mi bloccai in tempo e stirai le labbra in un sorriso, abbastanza convincente: era da anni che ingannavo le persone, di certo non avrei avuto problemi a farlo di nuovo.
-Tesoro, che bella eri!- il tono dolce di mia madre non fece che irritarmi ancora di più, ma non potei evitare il suo abbraccio.
La strinsi, per poi scostarla gentilmente.
-Grazie mamma.- sorrisi ancora, mentre l'entusiasmo che mi aveva animato sul palco lentamente sciamava.
Mio padre mi posò una mano sul capo e mia sorella mi prese la mano.
-Sono inutili eventuali raccomandazioni, sappiamo cosa sai fare. Sei abile, sei forte, sei furba. Tornerai da quell'Arena senza problemi, non ti devi preoccupare.-
La scintilla di preoccupazione che gli balenava negli occhi mi stupì e allentò per un attimo la morsa che avevo all'imboccatura dello stomaco.
-Le persone cambiano quando tornano dall'arena, papà. Tutti.- sussurrai, guardandolo negli occhi.
Avevo voglia di combattere, ero anche sicura di vincere e anche se il mio carattere non era dei migliori, ci tenevo a tornare sana e salva, oltre che fisicamente anche mentalmente.
Tutti avrebbero potuto prepararsi per anni a quel momento, ma sarebbero comunque stati impreparati a ciò che li aspettava nell'Arena.
L'unica differenza era tra chi riusciva a nascondere la paura e chi invece trovava rifugio in essa.
L'importante era mantenere la proprio personalità, ciò che veramente si era.
E io non ero sicura di riuscire a farlo.
-Solo i più deboli Lucinda e tu non lo sei.- affermò lui, abbracciandomi subito dopo.
Il calore delle braccia di mio padre sciolse all'istante quel poco di preoccupazione che mi aveva attanagliato la mente.
Mi ero allenata contro le regole, mi ero preparata per anni ed ero pronta a dare spettacolo.
-Hai ragione.-
Ci unimmo in un abbraccio collettivo, con Margot che piangeva silenziosamente.
Sotto la sua scorza molliccia e paurosa mi voleva comunque bene e anche io gliene volevo, ma ero certa che l'avrei minacciata a morte se solo avesse raccontato in pubblico che l'avevo abbracciata come una normale sorella.
Un Pacificatore entrò in quel momento, segno che il tempo era scaduto, e fece cenno ai miei di uscire.
Mio padre lasciò andare avanti mia madre e mia sorella e mi abbracciò ancora per l'ultima.
-Lucinda, non devi perdere te stessa nell'Arena, devi combattere per quello che credi, non ti devi lasciare influenzare dagli altri, è la cosa più importante ora, lo farai?- sussurrò ancora, lasciandomi abbastanza interdetta.
Credevo di avere finalmente capito qual'era il mio ruolo in quegli Hunger Games.
Annuii comunque.
-Promettilo, Lucinda!- esclamò ancora lui, scuotendomi appena per le spalle.
-Lo prometto!- quasi urlai, colta dall'ansia.
Il Pacificatore batté il piede sul pavimento, segno che avevamo di gran lunga sforato il tempo massimo dei saluti, ma mio padre sembrava ancora non aver finito.
Si frugò freneticamente in tasca ed estrasse il pugno chiuso, per mostrarmi poi cosa nascondeva soltanto quando lo portò davanti ai miei occhi.
Un sasso nero, tondeggiante e di grandezza abbastanza ridotta.
Sulla superficie, c'era disegnata una piccola onda blu stilizzata.
Lo guardai rapita, mentre al solo tatto avvertii una lieve scossa alle dita che avevano sfiorato il disegno.
-Appartiene alla nostra famiglia da generazioni e generazioni, ora lo affido a te. Custodiscilo con attenzione.-
Il tono di mio padre si era abbassato di nuovo e a malapena avvertii lo spostamento d'aria che provocò mentre si chinava a baciarmi la fronte e usciva.
Poteva essere l'ultima volta che lo vedevo, l'ultima volta che potevo parlarci e non riuscii nemmeno ad alzare lo sguardo per seguirlo mentre usciva dalla stanza.
Neanche mi accorsi del Pacificatore che chiudeva la porta.
Ero completamente rapita da quel sasso, all'apparenza così insignificante, ma che invece era riuscito ad annullare i miei sentimenti, tutto ciò che provavo e che mi circondava.
Mi accomodai sulla poltrona, con gli occhi ancora fissi su quella piccola pietra nera, il mio portafortuna che mi avrebbe seguita nell'Arena.
Rimasi così per un bel po' di tempo, senza più essere disturbata.
Non era una novità che nessuno si curasse di me, non avevo amici nel Distretto.
Contro ogni mia previsione però, la porta si aprì di nuovo e due braccia sconosciute mi avvolsero: Jackie.
E tutta la sua famiglia al seguito, i genitori e i tre fratelli.
Singhiozzava ancora, si vedeva lontano un miglio che non sarebbe durata neanche due secondi nell'Arena.
-T-ti volevo... Ringraziare.-
Feci ricorso a quel poco di umanità che avevo e mi trattenni dal spostarla, anche se con quelle lacrime mi avrebbe bagnato tutto il vestito.
-Non c'è niente di cui ringraziarmi, davvero, era tutto...- provai a spiegare, ma una volta che la ragazza si era staccata, mi abbracciò anche la madre.
Dalla spalla della donna riuscivo a vedere gli occhi di Jackie, che erano bagnati dalle lacrime, ma nel contempo felici.
-Avevo sempre pensato che tu fossi una persona malvagia, che se fregava dei problemi della gente, capace solo di vantarsi. Mi hai aperto gli occhi.-
Il sorriso di scuse che mi rivolse mi fece sorridere a mia volta, ma non fu quello a sorprendermi: il battito del cuore mi rubava l'aria e mi appannava la vista.
Nel contempo il sasso si scaldò, scottandomi le dita.
Lo mollai sorpresa sul pavimento, sfregandomi irritata il palmo della mano.
Feci un segno di noncuranza alla ragazza che mi fronteggiava, mentre un altro Pacificatore arrivò per scortare fuori la famiglia del pescivendolo.
Il caldo sorriso di Jackie fu l'ultima cosa che vidi, prima che la porta si chiuse di nuovo.
Mi appoggiai con la fronte alla parete, respirando piano e a fondo.
La superficie fresca fu un enorme sollievo e mi permise di calmarmi un poco.
Le parole sibilline di mio padre, l'affetto di Margot, la preoccupazione di mia madre, la riconoscenza di Jackie.
Erano tutti sentimenti che mai in vita mia avevo provato, erano sensazioni che mi scaldavano il cuore ed era un controsenso che si presentassero proprio in un momento del genere, in cui avrei dovuto dimostrarmi forte e senza paura.
Faith irruppe nella stanza in quel momento e il solo vederla così pimpante e allegra mi irritò a tal punto che recuperai all'istante la mia consueta freddezza.
Mi apprestai a seguirla all'esterno, quando mi ricordai del sasso ancora a terra.
Mi aveva quasi bruciato una mano e nemmeno sapevo perché, senza contare che non sarebbe stato di alcuna utilità nell'Arena: c'erano già troppe persone che volevano ferirmi, ci mancava solo che volesse provarci anche una pietra nera e rovinata.
L'unico pensiero che mi spinse a raccoglierla fu che apparteneva a mio padre, a mio nonno e a tutta la famiglia Lockwood prima di allora.
Avere qualcosa della mia famiglia accanto avrebbe potuto aiutarmi molto, per lo meno a ricordarmi chi ero e a non cadere nelle consuete manie di grandezza che colpivano chiunque sopravvivesse all'arena ed entrasse di diritto nella ristretta cerchia degli Invincibili.
Lo toccai con delicatezza, notando con sollievo che era tornato ad una
temperatura normale.

A tempo debito avrei scoperto perché si era scaldato così all'improvviso, ora dovevo solo salire sul treno e raggiungere Diagon City.
Chiusi la porta dietro di me e raggiunsi Faith, ferma con Joey sulla soglia dell'entrata del Palazzo di Giustizia.
La faccia del mio compagno sembrava parecchio rilassata, segno che tutto era andato come previsto.
Lo guardai di sottecchi per qualche secondo, per poi indossare la mia consueta espressione sicura e spavalda e uscire nella piazza.
Il sole mi abbagliò e non mi permise di vedere le persone riunite ad acclamare la nostra partenza, ma dalle esclamazioni che sentivo si capiva che più della metà della popolazione del Distretto 4 era lì ad applaudirci.
Anche durante il viaggio in automobile la folla non ci mollava, finendo poi per aumentare ancora di più una volta giunti alla stazione, abbagliata dai flash dei fotografi.
Tutti urlavano e mi chiamavano per assicurare alla stampa un mio primo piano.
Salutai un po' a destra e un po' a sinistra, ma non mi trattenni troppo in mezzo a quella massa urlante: non vedevo l'ora di sedermi e mettere qualcosa sotto i denti.
Joey si fece strada verso il treno contando sui suoi muscoli, mentre Faith ed io lo seguivamo.
Una volta a bordo sbuffai di sollievo e mi decisi ad abbassare la guardia solo quando le porte si chiusero e il treno iniziò a muoversi.
-Arriveremo a Diagon City domani mattina. Ora incontrerete il vostro mentore e insieme visionerete le Mietiture degli altri Distretti. Prima iniziate a lavorare, meglio è.-
Eccolo di nuovo, quel fastidioso tono da so-tutto-io.
-Gradirei pranzare prima.- sbuffai, piantandola in mezzo al corridoio con Joey ed entrando nel vagone ristorante, dove il tavolo era già apparecchiato e i Senza-voce erano pronti ad obbedire ad ogni mio ordine.
Un ragazzo, seduto con le spalle alla porta, era intento ad infilzare una bistecca di carne mentre guardava il vuoto davanti a sé.
Tossicchiai, attirando la sua attenzione.
-Chase White, superstite dell'edizione passata.- si presentò lui, alzandosi in piedi.
Annuii, ricordandomi di lui: era l'unico ad avere vinto l'anno scorso, sorteggiato a diciott'anni.
Quindi tecnicamente, aveva quattro anni più di me.
Lo studiai, seccata: tra tutti i mentori vecchi e capaci del mio Distretto, dovevano assegnarcene proprio uno giovane e inesperto.
-Lucinda Lockwood.- dissi a mia volta, sedendomi di fronte a lui.
-So già cosa stai pensando. Devi stare tranquilla, ho le mie carte da giocare e tutti mi conoscono a Diagon City. Tornerai dall'arena, insieme a lui.- indicò Joey, che era entrato a sua volta e si era seduto vicino a me.
Ci studiammo a vicenda e fui costretta ad annuire di nuovo davanti al suo sguardo fermo.
-Mi ricordo di te.- esclamò all'improvviso Joey -Avevi preso 6 nell'addestramento,
ma non hai tentennato a far fuori la tua compagna quando aveva preso per prima l'unica borraccia piena d'acqua della Cornucopia.-

Sussultai lievemente, mentre le immagini macabre e sanguinose dell'anno scorso si facevano strada nella mia mente.
Il mio allenatore mi aveva costretto a guardare i vecchi Hunger Games ogni giorno, senza perdere neanche un particolare, e a me non aveva seccato più di tanto, almeno finché non avevo visto Chase trapassare con una lancia la figlia della migliore amica di mia madre e solo perché era stata la prima a trovare uno zaino con l'acqua.
Conoscevo quella ragazza solo di vista, ma mi era comunque dispiaciuto vederla morire così, per mano della persona di cui si fidava.
-Spero abbiate capito che quel 6 era un trucco. Uno che fa parte degli Invincibili non può meritare un punteggio così scarso.- precisò Chase, decidendosi finalmente a inghiottire un boccone di carne.
Lo guardai ancora.
Non era il massimo della simpatia, ma come carattere infondo mi assomigliava e non potevo lamentarmi di niente.
Prima che me ne potessi accorgere, avevo il piatto pieno di ogni ben di Dio e iniziai anche io a mangiare, distogliendo per un attimo l'attenzione dal mio mentore.

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Angolo d'autrice:
*cof cof*
Ehm... Mi rendo conto che ho più di una settimana di ritardo, ma contavo di pubblicare lunedì... E lunedì mi sono ammalata.
Contemporaneamente, la chiavetta di internet è scaduta e i miei non hanno tempo di rinnovarmela.
Però sono qui!
Sto pubblicando da scuola, ma è un dettaglio...
Per quanto riguarda il capitolo, si arriva ai saluti di Lucinda.
Quello che ha detto il padre non lo avrei capito nemmeno io, sinceramente.
Chissà che avevo in testa di così arzigogolato in quel momento, però la pietra è d'effetto!
E non ho intenzione di svelare niente su questo portafortuna!
Muahahaha!
Il prossimo capitolo arriverà molto presto del previsto, prima che voi riusciate a dire: "che-figo-che-è-Peeta."
Adios
Lucinda_Lockwood

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Capitolo 9
*** La notte permette agli incubi di sopraffarci ***


The power of the elements- La notte permette agli incubi di sopraffarci






"La notte non porta alcun consiglio,
 è solo una facile scorciatoia che
permette agli incubi di sfuggire
al nostro controllo."



Joey si lanciò sul divano, piegando un ginocchio e appoggiando la testa sul braccio destro.

Occupava tutto il posto libero davanti allo schermo.

Mi lasciai cadere sulle sue gambe, sorridendogli poi ingenuamente.

Ero un fuscello, lui un bestione grande e grosso, non se la sarebbe presa né si sarebbe lamentato.

-Ora visioneremo tutti i filmati della Mietitura degli altri Distretti. Non ci sono grossi cambiamenti degni di nota rispetto agli altri anni: gli unici Tributi ad offrirsi volontari siete stati voi, quelli del 1 e quelli del 2. Poi dal Distretto 12... Be', vedrete con i vostri occhi.-

Chase schiacciò il primo pulsante e la televisione si accese.

Il primo filmato era quello del Distretto 1.

Prestai particolare attenzione ai volti che si susseguirono sullo schermo: erano i miei futuri alleati, prima di fidarmi completamente di loro dovevo studiarli bene.

Seguii l'estrazione e alla fine conobbi i Tributi del Distretto 1: Alton e Melyanna, fratello e sorella.

Durante un'edizione passata, due gemelli si erano offerti volontari, per poi mutilarsi a vicenda nell'Arena.

Anche lo spirito fraterno si azzerava durante i giochi.

Del Distretto 2 poi, mi colpì il Tributo maschio: Nick Spencer, moro e occhi verdi.

La femmina invece non era degna di nota: brutta come un pomodoro rinsecchito, sembrava che l'unico suo vantaggio fossero le enormi braccia muscolose.

Vedendo poi la mia Mietitura, mi scappò un sorrisetto entusiasta: il mio volto in mezzo alla folla, mentre camminavo verso il palco e quando mi offrivo volontaria.

Poi staccarono sulla Mietitura di Joey e infine, il nostro urlo finale.

-Devo dire che la Mietitura del Distretto 4 mi ha davvero entusiasmato e Lucinda... Non dovremmo perderla d'occhio, che ne dici Caesar?-

-Dico che ci riserverà delle belle sorprese, sono d'accordo!-

Le voci dei commentatori di sottofondo mi fecero alzare automaticamente le spalle.

Mio padre diceva sempre: “Attira la loro attenzione sin dalla Mietitura e il tuo percorso sarà in discesa, fino alla vittoria”.

Era quello che avevo fatto.

Le altre Mietiture non mi scalfirono nemmeno di striscio: tutti bambini piagnucoloni o ragazzi che si fingevano calmi, ma le loro espressioni sottintendevano un terrore ben più grande di quello che ostentavano.

Dal Distretto 11 però, qualcosa cambiò.

La ragazza sorteggiata, una certa Camille, aveva fatto un breve sorrisino consapevole appena aveva sentito il suo nome e sembrava ben più sveglia rispetto a tutte le altre facce smunte che popolavano la piazza.

I suoi occhi però passavano dalla paura alla follia e continuava a tormentarsi la camicia di seconda mano che indossava, tirandola prima a destra e poi a sinistra.

Non doveva esserci molto con la testa.

Le inquadrature poi erano parecchio strane: sembravano aver raccolto diversi momenti, per poi cercare di riunirli e creare così la sua camminata verso il palco.

Ed era nel contempo chiaro che c'era qualcosa che nascondevano.

Ma la cosa che più mi stupì, fu vedere la volontaria del Distretto 12.

Felicity Weedon.

Si era offerta al posto di un'altra ragazza, gracile e minuta tanto quanto lei.

Avevano trasmesso il loro abbraccio in primo piano, poi le espressioni di terrore di quelli che sembravano i suoi genitori e infine il bambino di tredici anni sorteggiato insieme a lei.

Se la ragazza era passabile, l'altro sarebbe senz'altro morto nel bagno di sangue iniziale alla Cornucopia.

Gli Strateghi si divertivano così tanto a creare mille diversivi, soprattutto all'inizio.

Inquadrarono per l'ultima volta i volti dei Tributi del 12, per poi staccare sul simbolo di Diagon City e concludere con l'inno della nazione.

Mi sfregai gli occhi e mi stiracchiai, dopo un'ora di continua immobilità.

-Vi siete fatti un'idea?- domandò Chase.

Era rimasto in piedi per tutta la durata del filmato, senza mai tradire un'emozione, senza mai dare vita ad un commento.

Sollevai le spalle con noncuranza e poi feci una smorfia.

-Nessuno degno di nota. Forse il ragazzo del 2, non lo so...-

Joey annuì, incrociando le braccia sul petto.

-Appena arriveremo a Diagon City avvierò le trattative con i mentori del Distretto 1 e 2, ma sono sicuro che non ci penseranno troppo con una come lei.-

Mi indicò con un dito, ma non avrei saputo dire se per onorarmi o per schernirmi.

Probabilmente si riferiva ai miei poteri, se non avevo capito male non c'erano molti maghi quell'anno.

-E se non sbaglio, avevano messo gli occhi anche sul Tributo del 9.-

Ricordavo anche quello: Alexander, aria.

Avere un potere in più nel gruppo non poteva farci male, quindi annuii convinta.

-Ottimo. Domande, impressioni, dubbi?- chiese ancora Chase, nascondendo abilmente uno sbadiglio.

Oltre che giovane, impreparato, noioso e terribilmente antipatico, sembrava che il nostro mentore se ne fregasse altamente di noi.

Eppure appena prima aveva detto che ci avrebbe fatti uscire vivi dall'arena...

-Quando si comincia?- domandai subito, forse a voce un po' troppo alta, per strapparlo dai suoi pensieri.

Lo sguardo di Chase si spostò dal finestrino del treno a me, continuando a fissarmi per un po' in silenzio.

Poi sembrò svegliarsi dal sogno ad occhi aperti in cui era caduto e si mise a camminare per la stanza.

-Domani, appena arriveremo a Diagon City, verrete affidati al vostro staff di preparatori che vi farà belli in vista della sfilata dei Tributi. Conoscerete anche il vostro stilista, che vi illustrerà il vostro look per la serata.-

In bocca a lui, quei discorsi frivoli perdevano tutta l'importanza che avevano: anche io non ero propriamente felice di farmi spennare come una gallina, ma se serviva ad attirare l'attenzione degli Sponsor mi sarei sacrificata volentieri.

-Dal giorno dopo avrete cinque giorni di addestramento, in cui studierete le vostre strategie e affinerete le vostre tecniche. Un consiglio, soprattutto a Lucinda: non mostrate troppo in pubblico quello di cui siete capaci o vi attirerete automaticamente l'odio dei tributi. Riservatevi per la prova individuale davanti agli Sponsor e agli Strateghi. E risparmiate anche le moine per l'intervista, la sera del sesto giorno. La mattina del settimo giorno verrete poi scortati da un overcraft alle camere di lancio e da lì inviati nell'Arena. Tutto chiaro?-

Pausa ad effetto e risatina di Faith.

-Che emozione, sarete i più bei Tributi che Diagon City ha mai accolto, ve l'assicuro!- starnazzò, alzandosi poi dalla poltrona e traballando sui tacchi.

La parrucca, inevitabilmente, le scivolò di lato.

Mi scappò una risata: -Faith, non avrai esagerato con il vino?-

Fece un gesto con noncuranza, per poi continuare a camminare verso il vagone a fianco.

-Ora tutti a letto, domani sarà una lunga giornata. E non dobbiamo sprecare nemmeno un'istante!-

Sentimmo la sua risata ancora per un po', finché non si dileguò in camera sua seguita da Chase, che non sprecò nemmeno un saluto verso di noi.

Mi alzai dalle gambe di Joey con uno slancio.

Ora che il mio stomaco era sazio avrei saltato volentieri la cena, non stavo più in piedi dal sonno.

E poi una doccia prima di mettersi a letto non sarebbe stata una brutta idea.

Joey si alzò a sua volta, sorridendo a trentadue denti.

-E così domani si comincia, eh!- esclamò, sfregandosi le mani e assumendo un'espressione che voleva essere minacciosa, ma che mi fece solo scuotere la testa compassionevole.

-Sembrerebbe di si.-

-Cerca solo di non restarci male quando io prenderò dodici nella prova individuale, okay?-

Mi scompigliò i capelli, neanche fossi diventata improvvisamente un cane, e abbandonò il vagone ristorante.

Roteai gli occhi al cielo, evitando di rispondergli, ed entrai in camera mia.

L'ambiente era piuttosto spartano: un letto, un comodino, un armadio e una scrivania.

E fra le coperte c'era il mio sassolino nero.

Lo guardai di sfuggita, mentre mi spogliavo e mi infilavo sotto la doccia, canticchiando tra me e me.

Continuai a pensare a cose senza senso finché non fui costretta a coricarmi e considerazioni ben più profonde mi fecero rabbuiare.

Spensi la luce, buttandomi tra le coperte e sospirando.

Il rumore del treno che viaggiava sulle rotaie, invece che tranquillizzarmi, mi innervosiva e la luce dei lampioni delle strade illuminava la stanza in modo sinistro, riempendola di ombre strane.

Continuai a rigirarmi nel letto per quelle che mi sembrarono ore, poi decisi di alzarmi ed uscii in corridoio.

Afferrai una coperta da un armadio e congedai senza troppe cerimonie la donna che mi si era avvicinata, rimanendo finalmente sola nel vagone della televisione.

L'indomani la mia vita sarebbe cambiata, per sempre, e non riuscivo a capire se avrebbe rappresentato un vantaggio oppure uno svantaggio.

Ma non era la possibilità di morire nell'arena che mi preoccupava in quel momento.

A non farmi dormire erano le parole di mio padre, che continuai a cercare di decifrare finché i miei occhi non si chiusero inesorabili in un sonno senza sogni

 

 

Un buffetto al naso, un pizzicotto sul braccio e uno schiaffo sulla guancia.

Ancora prima di svegliarmi completamente, afferrai il braccio di chi osava disturbarmi e lo rovesciai sul divano, per poi bloccargli il collo con una mano.

Mi fermai in tempo prima di strozzare il mio aggressore, rendendomi conto che era Joey e che probabilmente voleva solo avvertirmi del nostro imminente arrivo alla capitale.

Ritornai in piedi, lasciandolo libero, e mi stiracchiai, incurante della sua espressione indignata.

-Avrei gradito di più un “Buongiorno Joey, che gioia vederti e grazie per avermi svegliata”!- bofonchiò lui, alzandosi a sua volta e sistemandosi la camicia.

Lo guardai male. -Se la prima faccia che vedo è la tua, non potrà mai essere un buongiorno.- ringhiai, sparendo all'istante in camera mia.

Avevo dormito tutta la notte, quindi le poche ore che mi rimanevano prima dell'alba, sul divano e avevo tutti i muscoli stanchi, quasi come se non avessi mai chiuso occhio.

Trovai sul letto il mio vestito verde della Mietitura e lo indossai, dopo una rapida doccia.

Raccolsi i capelli in una coda e raggiunsi gli altri nel vagone ristorante, più in fretta che potei.

-Alla buon'ora.- commentò Chase, assicurandosi la mia prima occhiataccia della giornata.

-Non ho dormito bene stanotte.- risposi, cercando di mantenere un tono tranquillo, e limitandomi a sedere di fianco a Joey, che mi guardava in un modo strano.

-Cara mia, si vede che non hai riposato adeguatamente, il tuo viso è un orrore!- esclamò Faith, senza minimamente cercare di mascherare il disgusto che provava.

Joey ululò dalle risate, come al suo solito, e anche Chase sorrise divertito.

-Ottimo, allora è meglio che tolga il disturbo, così non siete più costretti a vedere la mia brutta faccia.-

Afferrai una brioche e me ne andai, indispettita, sentendo comunque un “permalosa” lasciare le labbra del mio mentore.

Non tornai indietro a picchiarlo solo perché mi era di utilità, in caso contrario non sarebbe durato per molto.

Dormire male e poco non si era mai rivelata una buona soluzione quando si trattava di me: diventavo ancora più scontrosa e intrattabile di quanto già non fossi.

Chiusi la porta della mia camera con forza, facendo traballare le pareti, e mi buttai sul letto, a sbollire la rabbia.

Speravo veramente che Faith non mi raggiungesse e mi domandasse delle scuse o seriamente Diagon City avrebbe rischiato di rimanere senza un'accompagnatrice del Distretto 4.

E far fuori una donna prima degli Hunger Games poteva rivelarsi un aspetto per niente positivo.

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Angolo d'autrice:
Salve gente!
Scusate l'ennesimo ritardo, ma i miei non mi vogliono proprio rinnovare l'abbonamento a internet, così sono costretta ad aggiornare a scuola e non sempre trovo tempo... Così ho dovuto rimandare ad oggi!
Questo capitolo è un po' di passaggio, come lo considero io: non ha niente di particolrmente importante, introduce solo alcuni personaggi che avranno la loro parte in questa storia e stop.
Però sentivo che ci doveva essere, anche la parte della Mietitura.
E poi volevo rendere Chase ancora più odiabile, si.
Con Faith non c'è ne bisogno, lo fa da sé.
Ringrazio come sempre chiunque abbia recensito la storia, chi legge in silenzio e chi ha inserito la storia tra le preferite/seguite/ricordate.
Grazie davvero.
Alla prossima,
Lucinda_Lockwood

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Capitolo 10
*** Con tutto l'entusiasmo di cui sono capace ***


The power of the elements- Con tutto l'entusiasmo di cui sono capace



"L'artista è un'eccezione: il suo ozio è un lavoro,
e il suo lavoro un riposo: è sia elegante che trascurato;
indossa, per scelta, la blusa da contadino
e impone il frac indossato dall'uomo alla moda;
 non subisce le leggi: le detta."


 


Ero ancora sul letto a giocare con l'acqua del mio bicchiere quando Faith mi venne a chiamare con la faccia sorridente, come se non fosse successo niente.
La fulminai con lo sguardo, ma fui costretta a seguirla: eravamo arrivati a Diagon City.
Non appena misi un piede fuori dal treno, una massa urlante di persone si strinse intorno a me, assalendomi letteralmente di parole, grida e domande a cui mi era vietato rispondere.
-Niente anteprime, i giornalisti dovranno guadagnarsele le informazioni che cercano.-
Per la prima volta da quando l'avevo conosciuta, mi trovavo pienamente d'accordo con Faith. Meglio risparmiarsi per la sfilata di quella sera.
Un folto gruppo di Pacificatori ci prese in consegna, scortandoci all'interno dell'edificio che ci avrebbe ospitati finché non saremmo scesi nell'arena, ed ebbi appena il tempo di salire al quarto piano e vedere la mia camera, prima che il mio staff di preparatori mi rapì di nuovo, spostandomi in una stanza al piano terra.
Phil, Trenna e Alexis.
Avevo a disposizione tre persone che mi avrebbero preparato in vista della mia prima apparizione alla Capitale.
Non riuscivo a capire se ne ero felice: nella mia mente c'era solo l'immagine del letto matrimoniale che avevo visto di sfuggita pochi minuti prima.
Mi affidai comunque nelle loro abili mani, pregando silenziosamente che non mi avrebbero trasformato in un evidenziatore vivente.
-Cara, sei una visione davvero incredibile!-
Le ciglia verdi di Trenna si scontravano tra loro mentre sbatteva le palpebre, tanto erano lunghe e spesse.
-La materia prima è praticamente perfetta!-
E i capelli di Phil facevano invidia all'arcobaleno, non avevo mai visto così tanti colori su una testa sola.
-Se fossero tutte come te!-
Per non parlare delle unghie di Alexis.
Li lasciai blaterare, senza prestare troppa attenzione ai loro discorsi ed estraniandomi dal mondo, per concentrarmi.
I discorsi frivoli non facevano per me.
Ritornai in me solo quando mi chiesero di spogliarmi e di immergermi in una
vasca dall'acqua boccheggiante, ma l'imbarazzo mi colorò appena le gote.
Mi sfilai il vestito e mi infilai nella schiuma colorata, senza fare troppe storie, mentre il mio staff si apprestava a strigliarmi tutto il corpo.
Quando arrivarono ai capelli, mi trattenni dal scostare le loro mani impiastrate di lozioni dai miei boccoli biondi e mandai giù l'irritazione.
Non potevo fare altro.
Una volta uscita dalla vasca e avvolta in un telo di morbida spugna, passarono alla manicure e alla pedicure, applicando poi sulle unghie un divertente motivo di onde blu.
Immaginavo già su cosa verteva il mio vestito per la parata, in fondo io venivo dal mare.
Dovetti trattenermi anche durante la critica fase della ceretta e a niente servirono le mie proteste sul fatto che i miei peli biondi non si sarebbero visti nemmeno con una lente d'ingrandimento.
Evidentemente lì se non eri pelato come il culetto di un bambino non potevi essere considerato attraente.
Mi spalmarono poi una quantità esagerata di lozioni profumate sul corpo, mentre Phil mi acconciava i capelli su una sola spalla, fissati con un elaborato copricapo blu, ricco di decori e strass.
Il trucco del viso era stranamente leggero, gli occhi verdi sfumati da un ombretto azzurro e le labbra lucidate dal gloss, mentre una graziosa fila di brillantini mi attraversava la guancia destra.
Una volta che fui pronta ad incontrare il mio stilista, ero diventata più intrattabile di mia madre quando finiva il suo maledetto budino al cioccolato.
Con l'accappatoio ancora addosso, mi rinchiusero in una stanza grigia e spoglia come le precedenti, ordinandomi di aspettare lì.
Camminai su e giù per il pavimento una decina di volte, prima che qualcuno si decidesse a raggiungermi.
-Era ora.- esclamai indignata, mentre una bellissima donna sulla trentina venne verso di me.
Mi si fermò di fronte, studiandomi seria.
I capelli biondi, appena più scuri dei miei, erano raccolti in un duro chignon, e la serietà della sua acconciatura faceva a pugni con il trucco pesante e il vestito a balze.
Ma nel complesso non era male.
Ed era l'unica persona che non aveva riso e non aveva strillato entusiasta alla mia vista.
-Mi chiamo Crystal e sono la tua stilista. Perdona il ritardo.-
L'odioso accento di Diagon City pronunciato da lei sembrava musica e mi ritrovai a pendere dalle sue labbra ancora prima di rendermene conto.
Ma sotto il suo sguardo truce, ripresi immediatamente il contegno.
-Lucinda Lockwood.-
Non sapevo se tenderle la mano o se aggiungere altro, ma visto che lei se ne stava zitta, mi limitai a studiarla a mia volta.
Quando l'esame si concluse, il suo viso assunse un'espressione soddisfatta.
-Avevo ragione.- disse, girandomi attorno -Il vestito su di te sarà perfetto.-
Recuperò da una tasca che non avevo nemmeno visto un pezzo di stoffa, a prima vista di normale chiffon blu.
-Toccalo.- suggerì, avvicinandolo.
Appoggiai delicatamente un dito sul tessuto e spalancai le labbra dalla
meraviglia: l'acqua si muoveva nelle venature della cucitura, scendeva, saliva, girava in piccoli vortici.

Era viva.
Crystal sorrise davanti alla mia espressione sbalordita -Mi sono ispirata al tuo
potere. Sei l'unica in grado di attivare il meccanismo, Lucinda.- spiegò brevemente, mentre io ero incapace di distogliere gli occhi dalla magia che avevo davanti agli occhi.

-Davvero incredibile.- commentai, tenendo per me le mie considerazioni.
Da quello che mi ricordavo delle lezioni di storia sui quattro fondatori della magia, era un uomo quello che deteneva il controllo dell'acqua, ma non avevo né voglia né tempo per fissarmi sulle piccolezze.
La mia stilista annuì, rimettendo poi il tessuto in tasca e facendomi cenno di seguirla.
Ci spostammo nella stanza a fianco, tappezzata interamente di specchi, ma non accese la luce.
Mi fece solo cenno di raggiungere il centro e toccare la figura scura che intravedevo in lontananza.
Ubbidii, curiosa di scoprire il mio abito per intero.
Appoggiai il palmo su quello che sembrava un manichino e la stanza si illuminò all'istante di una tenue sfumatura celeste.
Il minuscolo pezzo di stoffa che Crystal mi aveva mostrato poco prima era riprodotto mille volte, insieme ad ogni più piccolo dettaglio e sfumatura, sul vestito che mi fronteggiava.
Mi tolsi in fretta l'accappatoio e lo infilai, trepidante.
Il bordo mi sfiorava le caviglie e svolazzava ad ogni mio piccolo movimento, il colletto del vestito mi circondava dolcemente il collo e le lunghe maniche mi nascondevano le mani.
Ma la parte più incredibile era il corpetto che, come il mantello, era illuminato dai giochi d'acqua, riprodotti fedelmente.
Ero una cascata vivente.
Avevo gli occhi lucidi e Crystal se ne doveva essere accorta, perché sorrideva entusiasta.
-Sei bellissima Lucinda.-
Le sorrisi sinceramente, mentre non riuscivo a smettere di ammirarmi allo specchio.
Anche il mio incarnato, che prima mi sembrava così pallido, risplendeva a contatto con l'abito.
-Ti ringrazio, è davvero bellissimo.- ammisi, guardandola riconoscente.
Agghindata così com'ero, non sarei mai potuta passare inosservata.
Anche un ceco avrebbe avvertito il mio bagliore, tant'era la luce che emanavo.
-Il merito è tuo, il vestito rispecchia ciò che l'acqua è per te. Sei radiosa e... Singolare. Non riusciranno a toglierti gli occhi di dosso.-
Il tempo di ammirarmi però era finito e Phil venne a chiamarmi, ma non prima di
essersi esibito in un urletto di entusiasmo.
-Sei stupenda, tesoro. Davvero incredibile!-
Riuscii a sorridere, in preda all'euforia del momento, e raggiunsi Joey, fermo in un angolo della stanza.
Gli angoli della sua bocca si curvarono in un sorriso entusiasta non appena mi vide e fischiò di approvazione.
-Sei uno splendore.- commentò, guardandosi poi dubbioso la sua anonima tuta blu.
Roteai gli occhi al cielo, come solo lui mi induceva a fare, e sfiorai il suo vestito con la punta delle dita.
Lo stesso incredibile motivo d'acqua che animava il mio vestito fece la sua comparsa anche su di lui, che non smise di ammirarsi e atteggiarsi in buffe pose.
-Non ti sembro Poseidone, il Dio del mare?- rise lui, flettendo i muscoli delle braccia e sollevando il mento.
-Più che un Dio, assomigli a una trota, ma penso comunque che sia un semplice fattore soggettivo.- commentai, assumendo una finta espressione di disgusto, per poi scoppiare a ridere.
Ora che il momento era arrivato, il mio stomaco rischiava di scoppiare di tensione, oltre che a brontolare insistentemente per la fame.
Qualcuno mi picchiettò sulla spalla e nel girarmi riconobbi Alton, il ragazzo del Distretto 1, con una strano copricapo a piume e il vestito intarsiato di gioielli.
-Complimenti Lucinda, bel costume.- esclamò lui, tendendomi la mano.
Gliela strinsi, guardandolo titubante, mentre i riflessi delle pietre preziose del suo cappello mi abbagliavano gli occhi.
-Anche il tuo non è male.- dissi, prima che Mirna mi invitò a raggiungere il mio carro.
-Lucinda, complimenti! Ora si che sei guardabile!- trillò Faith, passandomi una mano adorante sulla spalla.
La guardai male: cos'aveva quella donna contro di me?
Le sorrisi comunque, salendo poi sul carro insieme a Joey.
Lo sguardo del mio compagno però era perso nel vuoto e stranamente sorrideva: con quell'espressione sembrava davvero un pesce lesso e mi chiesi curiosa cosa potesse averlo mandato in brodo di giuggiole.
Seguì il suo sguardo e incontrai la figura di una ragazza sconosciuta, probabilmente il Tributo del Distretto 11 visto com'era vestita.
I capelli ricci erano vaporosi, ma non disordinati, e il grembiule a quadretti le evidenziava alla perfezione la figura, nonostante l'orrendo copricapo di frutta finta che aveva in testa.
Ed era proprio a lei che Joey stava sorridendo.
Quando però Camille incontrò il mio sguardo, perse il rossore imbarazzato e si voltò di scatto, ignorandoci e rivolgendosi verso il suo compagno di Distretto.
Joey all'inizio mi guardò male, quasi ad incolparmi di quello che era successo, ma non gli permisi di commentare.
-La conosci?- domandai invece, guardandolo furbamente.
Le occhiate che si erano scambiati non potevano essere fraintese.
-N-no no, m-mai vista.- balbettò Joey, lasciandomi a bocca aperta.
E da quando un ragazzone come lui si metteva a balbettare?
Non ebbi tempo di rinfacciarli nulla, perché il nostro gruppo ci raggiunse.
-Questo non è un carro qualunque, sono riuscita a ottenere il permesso sin del presidente in persona.- sorrise Crystal, picchiettando con una mano la schiena di un cavallo bianco.
A parte il colore del carro e il manto degli animali, non mi sembrava ci fosse così tanta diversità dai carri degli altri tributi, se non per un piccolo buco vicino alla maniglia a cui tenersi, a forma di mano.
-Basterà appoggiare la tua mano lì, aprire i rubinetti e... Magia! Ma aspettate il momento giusto, quando avrete la piena adorazione del pubblico. Non un minuto prima, non un minuto dopo.- aggiunse Chase, raggiungendoci in quel momento, senza sprecare nessun commento sui nostri abiti.
Si limitò ad allungarmi un anello, con fare misterioso.
A uno sguardo più attento, la pietra incastonata sulla montatura non era altro che il mio sasso nero, leggermente levigato ai bordi.
Lo infilai all'anulare destro, ringraziandolo con un cenno del capo, che ricambiò all'istante.
Poi ci fu il segnale che apriva la cerimonia e, stringendo saldamente la presa sulla maniglia, mi preparai ad uscire, mentre il carro del Distretto 1 aveva già
iniziato a muoversi.

Mentre il mio staff di preparatori si affannava per migliorare ciò che già era perfetto, Chase ci diede l'ultimo consiglio: -Prendetevi per mano e cercate di apparire felici. Anche se non sarà difficile...-
Le ultime parole, espresse con odio, mi lasciarono interdetta e mi deconcentrarono giusto per quel secondo che precedeva la mia uscita, ma mi ripresi in fretta.
Joey mi afferrò la mano e nel momento esatto in cui alzammo le due braccia unite, i cavalli partirono e ci trainarono avanti, subito dietro al carro del Distretto 3, che emanava scintille di elettricità dalle ruote.
Alcune raggiunsero anche il pubblico, che non sembrò gradire troppo.
Come predetto da Crystal, avevamo tutti gli occhi addosso: ogni persona era incantata dai giochi d'acqua dei nostri vestiti.
A circa metà percorso guardai Joey, che annuì, e con tutti gli occhi addosso, attivai il meccanismo che mi aveva illustrato Crystal.
L'acqua prese a circolare nel carro e fuoriuscì da dei piccoli buchini ai nostri fianchi, raccogliendosi in semi cerchi sopra alla nostra testa.
Erano una cornice perfetta per degli eroi come noi e anche se richiedevano una notevole concentrazione, riuscii comunque a sollevare la testa e salutare la gente.
Ma non eravamo gli unici che avevamo attirato così tanta attenzione: a quelli del Distretto 12 andavano in fiamme i vestiti, letteralmente.
Per tutta la durata della cavalcata, il costume si consumò poco a poco, facendo rimanere entrambi i tributi in biancheria intima.
La folla li acclamava esultante e il pubblico sembrava diviso a metà tra chi gridava il mio nome e chi invece urlava quello della ragazza del 12.
La fulminai con un'occhiataccia, che ricambiò senza troppe cerimonie, e alzò ancora di più il mento alle urla delle persone, sfidandomi.
Felicity Weedon, mi ricordavo di lei.
L'unica ad essersi mai offerta volontaria dal Distretto più remoto dello Stato.
I cavalli si arrestarono da soli davanti al balcone del presidente, che sorrideva amabile e salutava i suoi sudditi.
-Benvenuti Tributi, benvenuti. Che i quarantanovesimi Hunger Games abbiano inizio.- la sua voce risuonò per l'intera piazza seguendo un copione che veniva ripetuto ormai da quasi mezzo secolo. -E possa la fortuna sempre essere a vostro favore.-
I suoi occhi si posarono su tutti i ragazzi a bordo dei carri, ma quel decimo di secondo che impiegò in più per guardarmi, mi fece automaticamente sollevare le spalle.
Nessuno se n'era accorto a parte me, ma non era quello l'importante ora.
Sapevo di essere una Favorita, una ben vista da Diagon City, che si sarebbe meritata la vittoria, ma anche che avrebbe dovuto guadagnarsela.
E da quel piccolo episodio sembrava che avessi iniziato bene.
Rifacemmo il percorso inverso e tornammo al coperto, senza smettere di salutare a destra e a sinistra.
Le parole entusiaste di Faith rimbombavano per tutta la stanza, mentre ci veniva incontro.
-Siete stati grandiosi, unici, inimitabili.-
Non le prestai minimamente attenzione perché in quel momento mi passò davanti Felicity, insieme al suo compagno di Distretto.
Li seguii con lo sguardo finché non salirono in ascensore e nel momento stesso in cui si voltò, le lanciai un sorriso carico di odio: non poteva permettersi di sfidarmi davanti a tutti e rimanere impunita.
Ma volevo seriamente uccidere qualcuno solo perché aveva ottenuto il mio stesso successo alla sfilata?
Non riuscivo a rispondermi.

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Angolo d'autrice:
Ed eccolo qui, il primo sviluppo interessante della storia!
Joey e Camille, Camille e Joey.
Lei che arrosisce e lui che balbetta... Non ci nasconderanno mica qualcosa?
Da parte mia, li vedo bene insieme: lei la supercervellona e lui il pesce lesso senza troppo cervello ma dotato di raziocinio.
Succederà qualcos'altro tra questi due?
Mah, per il momento mi fermo qui con le anticipazioni e vi saluto.
Sono comunque convinta che abbiate già capito qualcosa! ^^
Alla prossima,
Lucinda_Lockwood

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Capitolo 11
*** Un amico inaspettato ***


The power of the elements- Un amico inaspettato



 

"In ogni vita, ci sono amicizie
che non possiamo tradire."

 

Una volta tornati dalla sfilata ero ancora talmente su di giri che ci misi il doppio del tempo che usavo di solito per spogliarmi e struccarmi.
E il massaggio dell'acqua era talmente rilassante che rischiai di addormentarmi sotto il getto della doccia.
Ma la mattina dopo non risentii per niente della fatica accumulata e dei pasti saltati: all'alba ero già sveglia e vestita con la tuta d'addestramento.
In sala da pranzo, oltre ai quattro Senza-voci attaccati alla parete, l'unico seduto alla tavola era Chase.
Stavo per fare dietrofront e godermi ancora un po' la solitudine di camera mia, quando lui mi vide e mi fece cenno di sedere.
-L'unica cosa fondamentale ora è decidere se preferite essere allenati insieme o divisi.- esordì, appoggiando la tazza del caffè.
-Buongiorno anche a te.- ribattei, incrociando le braccia al petto.
Lui mi fissò torvo e fui costretta a rispondergli: -Ne abbiamo parlato ieri sera prima di dormire e, di comune accordo, abbiamo deciso che ci alleneremo insieme.-
Joey entrò in quel momento insieme a Faith e sprizzava energia da tutti i pori.
Di Mirna e Derek, lo stilista di Joey, nemmeno l'ombra.
Mentre il mio compagno si ficcava in bocca tutto il cibo che riusciva a ingoiare, riuscì ad annuire in direzione di Chase, confermando le mie parole.
-Ottimo. E niente incantesimi.- disse ancora, rivolto soprattutto a me.
-Lo sapevo già.- sbuffai -E quale strategia dovremmo adottare?-
-Limitatevi a socializzare con gli altri Favoriti, il resto lo farò io.-
Si alzò dal tavolo, facendo grattare la sedia sul pavimento, e si apprestò a ritirarsi nella sua stanza per prepararsi, quando persi la pazienza.
-Lo sai vero che ci andiamo noi nell'Arena?- domandai -É inutile voler provare a proteggerci o a esternarci dai tuoi piani. Più sappiamo e meglio è.-
-Non ho mia voluto proteggervi. Solo penso che sia parte del mio lavoro farvi vincere.-
Le parole erano giuste, ma il tono con cui le pronunciò no.
Evidentemente ci teneva totalmente incapaci da non essere in grado di formularci le strategie da soli.
-Hai già avuto il tuo momento di gloria, sei già entrato nell'arena e ne sei uscito vincitore. Il tuo tempo è finito, ora tocca a noi.- continuai -Tu sei il passato e forse è questo che ti spaventa.- aggiunsi, studiando la sua reazione.
Il suo viso si contorse in una smorfia, ma non disse niente.
Mi stava dando ragione o non mi riteneva nemmeno in grado di ascoltare una sua risposta?
Era questo il problema con Chase, non capivi mai cosa provava, cosa pensava e lui non aiutava, non esternava i suoi sentimenti.
Gli altri si erano ammutoliti alle mie parole: la mano di Faith era bloccata a mezz'aria, a pochi centimetri dalla sua bocca, ma non si azzardava a mandar giù il caffè, Joey spostava lo sguardo prima verso di me e poi verso Chase, senza riuscire ad aprir bocca.
-Qual'è il tuo problema?- esplosi, balzando in piedi e sbattendo la mano sul tavolo.
Il succo si rovesciò sul pavimento, colorandolo d'arancione.
Lui si limitò a sospirare di rassegnazione: -La gente.-
Fu il mio turno di rimanere in silenzio, mentre Chase si girava e scompariva dietro alla porta, e non provai nemmeno a fermarlo.
Avevo attirato la sua attenzione, avevo ricevuto per la prima volta una risposta diretta, ma non avevo ottenuto niente alla fine, ero sempre al punto di partenza.
Mi lasciai ricadere sulla sedia e presi a sbocconcellare la brioche che avevo lasciato sul piatto.
Faith scuoteva la testa, mentre i Senza-voce rimediavano al disastro che avevo combinato e Joey sorrideva furbamente.
-Sei proprio un tipetto tosto, eh?-
Non feci in tempo a ribattere che Faith diede voce ai suoi pensieri non richiesti, come faceva sempre d'altronde.
-Suscettibile e permalosa. I tuoi alleati ti uccideranno con le loro stesse mani se non ti dai una calmata, Lucinda.- commentò e il suo tono di voce rimase incredibilmente basso.
Avevo superato il limite anche per lei quindi.
Joey aspettò che se ne andasse per dire la sua, invece.
-Non ho mai pensato di ammazzarti. Non troppo almeno.- rise della sua stessa battuta e si alzò, lasciandomi sola con i Senza-voce.
Otto paia di occhi puntati addosso nel silenzio totale del salone erano troppi anche per me e me ne andai a mia volta, aspettando gli altri sul divano di pelle blu.
Dovevamo essere al centro di addestramento alle dieci in punto e l'unica che sembrava avere fretta ero io.
Aspettai fino alle nove e mezza e quando ero decisa a scendere da sola, Chase si degnò di comparire, accompagnato da Joey, ma la cosa che mi fece infuriare non era il loro ritardo: stavano parlando insieme, civilmente.
Non fiatai, limitandomi a salire in ascensore e schiacciare il bottone del piano terra.
Il silenzio era pesante, ma non mi metteva più di tanto a disagio.
Una volta arrivati procedetti da sola, senza aspettare Joey, che per tutta risposta si fermò ancora per qualche attimo a parlare con il nostro mentore.
Strinsi i pugni arrabbiata, avanzando spedita, senza accorgermi che in mezzo al corridoio stava ritto un ragazzo.
Lo scontro con la sua schiena fu inevitabile.
Mi tenni in piedi per miracolo, ma non mancai comunque di urlargli addosso tutto il mio nervosismo: -Si può sapere qual'è utilità di stare fermi in mezzo ad un corridoio quando le persone ci devono passare?- sbuffai infuriata, rendendomi conto solo dopo che stavo parlando con Nick, il ragazzo del Distretto 2 e mio futuro alleato.
Oppure, dopo la mia scenata contro gli ordini di Faith, mio assassino.
Dipendeva dai punti di vista.
-Nervosetta Lucinda?- rise lui invece, incrociando le braccia al petto.
Era minimo di venti centimetri più alto di me e le sue braccia erano praticamente davanti al mio viso.
Mi spostai, mantenendo le distanze.
-Mi conosci?- domandai restia, incrociando le braccia a mia volta.
Nick sorrise e alzò le spalle -Ci ha parlato di te il nostro mentore e devo dire che
anche se sapevo delle tue abilità, mi hai stupito ieri alla sfilata.-
Un elogio di una persona che non conoscevo mi metteva sempre di buon umore, anche se magari il secondo prima stavo urlando.
-Anche di te so tutto. Difficile rientrare nella mediocrità vero?- sorrisi a mia volta, per poi tornare seria e riportare le braccia lungo il petto.
Quel tipo aveva un irritante modo di fare uguale al mio.
-Mi basta fare magie con la mia spada.- replicò lui e per i successivi secondi ci studiammo in silenzio.
Poi arrivò Joey che con la sua mole da elefante rovinò tutto, come sempre.
Guardò titubante Nick e si tranquillizzò solo quando vide il suo 2 appiccicato al petto.
-Joey, Distretto 4.- si presentò, accostandosi a me.
-Piacere.- replicò Nick, per poi voltarsi ed entrare nella palestra.
Lo seguimmo, per notare solo allora che eravamo gli unici ad essere già arrivati, a parte la ragazza del 2, che aveva già messo gli occhi sulle lance appese alle pareti.
La salutai con un cenno del capo, ma non mi sprecai in inutili presentazioni: loro sapevano chi ero ed io sapevo chi erano loro, tanto bastava.
Mentre studiavo a mia volta le armi che facevano bella mostra sugli scaffali, pronte per essere usate, gli ascensori si aprirono contemporaneamente e con loro uscì la maggior parte dei tributi mancanti.
Individuai nella folla Camille, la ragazza dell'11, che si portò subito in disparte, rabbuiata, e Alexander, che invece raggiunse gli altri Favoriti.
Mi unii a loro anche io, terminando per una buona volta i convenevoli.
Alton, quello dell'1, sembrava convinto di essere il capo indiscusso del gruppo, ma Nick non era del suo stesso avviso e si misero d'accordo per una stupida gara con le lance: chi trafiggeva più manichini al cuore avrebbe vinto e avrebbe guidato il nostro gruppo nell'arena.
Non appena una donna di colore ci raggiunse e iniziò a spiegarci le regole di quei giorni d'addestramento, fui finalmente libera di distrarmi da quelle assurde litigate infantili.
Gli unici che avrebbero avuto il diritto di guidare il gruppo eravamo io e Alexander, i soli veramente potenti da riuscire a combinare qualcosa.
-In questi cinque giorni d'addestramento avrete la più assoluta libertà nell'uso delle armi e delle varie postazioni. Un consiglio: non sottovalutate le tecniche di sopravvivenza. Anche un Tributo come voi avrà bisogno di bere o soffrirà il freddo.-
Guardai rapidamente Alexander, che mi sorrise: noi di certo non avremmo avuto quel tipo di problema con i nostri poteri.
-Per quanto riguarda le scope, evitate giochetti stupidi ai danni di altri Tributi, o ci saranno conseguenze, e per le pozioni... Non fate scoppiare niente. Detto ciò, avete tempo fino a mezzogiorno. Possa la fortuna essere sempre a vostro favore.- si congedò, rapida com'era venuta, con la frase che più di tutte mi faceva innervosire: non era più una questione di fortuna ormai, o eri bravo o lo diventavi o ti dovevi preparare a morire.
Anche se era scontato che ci potesse essere più di un vincitore, tutti e ventiquattro i Tributi non potevano tornare dall'arena, era la regola.
Sbirciai con la coda dell'occhio Felicity che prendeva per mano Camille e insieme si dirigevano verso la postazione vicino agli archi, per provare ad accendere un fuoco con due semplici rametti.
Non capivo di che utilità potesse essere quell'esercizio per Felicity e le alternative erano due, entrambe ugualmente possibili: o non aveva imparato a controllare i suoi poteri, d'altronde non tutti si erano allenati come me per anni, oppure la sua tattica era di mantenere celata agli altri la sua vera identità, così come mi aveva detto di fare Chase e tutto il contrario invece di quello che volevo fare io.
Anche se gli altri erano a conoscenza dei miei poteri, e al momento sembravano sapere le mie vere abilità solo i Favoriti, una volta entrata nell'arena avrei potuto far fuori con un semplice gesto chiunque avrebbe provato a minacciare me o i miei compagni.
Per il momento però preferii attenermi al piano del mio mentore e mi avviai verso le lance insieme ad Alton e a Nick.
Non era essenziale che mi allenassi sin da subito, avevamo comunque un sacco di tempo a disposizione, quindi decisi di far loro da arbitro.
Tutt'al più, con la scopa me la cavavo abbastanza bene, con le pozioni mi capitava di litigarci nel mio Distretto, ma ero sicura che fosse più per le “buone” maniere del mio allenatore che per altro.
Come immaginavo, la sfida lanciata così su due piedi attirò sia l'attenzione degli Strateghi e degli Sponsor, fermi sopra di noi, che dei Tributi.
Tutti avevano interrotto le loro attività per assistere a come i manichini venivano crudelmente trapassati dalle lame di Alton e Nick, mentre Camille sussultava ad ogni colpo inferto, come se qualcuno venisse ucciso veramente.
-Certe persone sono davvero troppo suscettibili.- sussurrai a Joey, indicandogli la ragazza dell'11, e lui acconsentì vagamente, per poi però constatare: -Carina la tipa.-
Dopo l'ennesimo tiro, la lancia di Alton andò fuori di mezzo centimetro dal cerchiolino rosso e visto che Nick invece aveva fatto l'ennesimo centro perfetto, si aggiudicò la sfida quest'ultimo, che sollevò le braccia al cielo e mosse i pugni.
Terminato il mio compito, mi ritirai nella postazione da lancio.
Superai tutte le pistole e i fucili, per fermarmi davanti agli archi, guardando poi rammaricata le asce dall'altra parte della stanza.
Chase però era stato categorico e fino alla prova individuale non avrei potuto nemmeno sfiorarne una.
Anche se probabilmente molto presto avrei finito per disobbedirgli: era già tanto che non avevo ceduto a dare libero sfogo ai miei poteri, vista anche la piscina in un angolo della palestra, dove i Tributi del 10 si stavano allenando a nuotare, con risultati piuttosto scarsi.
Distolsi lo sguardo e afferrai un arco, mentre l'addetto a quella postazione recuperò una faretra e mi seguì davanti al bersaglio, per poi passarmi una freccia dopo l'altro, che mandai tutte in centro.
Feci lo stesso con la postazione dei coltelli, mentre con quella delle lance incontrai qualche problema: erano troppo lunghe e non mi sentivo a mio agio a impugnarle, però in mancanza d'altro avrei potuto uccidere anche con quelle.
Sospirai, così come facevo sempre quando la mia voglia di sangue aveva la meglio sulla ragione.
Arrivò infine mezzogiorno e insieme agli altri Tributi ci ritirammo nella mensa per consumare il nostro pranzo.
Chi si sparpagliò per i tavoli, chi sedette da solo, chi in coppia con il compagno, ma il gruppo più numeroso era sicuramente il nostro, quello dei Favoriti.
Nel tavolo di fianco Camille e Felicity parlottavano tra loro, insieme ai rispettivi compagni di Distretto: evidentemente avevano deciso di stringere un'alleanza.
Incrociai il loro sguardo, ma poi lo distolsi subito, seguendo invece il discorso del
mio tavolo.

-In quanto capo del gruppo- esordì Nick, alzando il bicchiere pieno d'acqua. -Vorrei un bel brindisi per la nostra squadra, la più forte.-
Mi unii al loro brindisi, mentre gli altri Tributi ci guardavano male, attirati dalle nostre urla, e gli Sponsor invece, fermi dietro al vetro d'osservazione, annuivano compiaciuti.
E meno male che non dovevo attirarmi l'odio degli altri.
Terminai velocemente il cibo che avevo nel piatto e abbandonai il tavolo con Joey, prima di tutti gli altri che continuavano a ridere sguaiati.
-Non li sopporto.- sibilai sui denti, attirandomi l'occhiata divertita dell'unico vero amico che avevo lì dentro.
-L'ho notato.- rise, appoggiandosi con noncuranza al muro.
Lo fissai, improvvisamente preoccupata: -Se ne sono accorti anche gli altri?-
Lui scosse la testa. -Erano troppo occupati a decidere chi far fuori per primo, come se non bastassero già gli scherzetti degli Strateghi.-
Sospirai, più tranquilla.
-E tu come hai fatto a capirlo?-
-Mi alleno con te da più di otto anni, Lucinda. Penso di conoscerti bene, ormai.-
La sua voce trasudava affetto, abilmente contenuto, e me ne resi conto solo allora, per la prima volta.
Non era male scoprire di avere un fratello maggiore in un momento di così tanto bisogno.
Lo avrei anche abbracciato se non lo avessi trovato così fuori luogo e così poco adatto a me.
Era comunque Joey, l'energumeno stupido che... Iniziava a starmi simpatico.
-Quindi non ti sembrerà strano se a un certo punto nell'arena ti chiederò di separarci dagli altri e proseguire la nostra sfida da soli?-
-Tutto ciò che dici è un ordine per me.- si inchinò al mio cospetto, mentre anche io mi ingeniavo in una riverenza, per poi finalmente scoppiare a ridere.
Gli altri Tributi uscirono dalla mensa in quel momento e ognuno tornò alle attività che aveva iniziato prima del pranzo.
Mi avviai con l'espressione più innocente possibile nel settore dei nodi, accompagnata da Nick, e gli mostrai tutto ciò di cui ero capace.
Inutile dire che le corde non nascondevano segreti con me, mentre con il mio alleato sembravano provare una sorta di resistenza, che rendeva vano ogni suo tentativo di annodarle.
Per la prima volta in quel giorno era lui a trovarsi in svantaggio in un'attività manuale e passai il pomeriggio ad insegnarli, o almeno a provarci, come trattenere la sua forza per non spezzare la corda in due e mandare tutto al diavolo.
Come se controllarsi fosse stato veramente possibile per uno che non aveva fatto altro che menare persone da quando era nato.

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Angolo d'autrice:
Ed entra in scena un nuovo personaggio: Nick, caro Nick.
Direttamente dal Distretto 2, avrà un ruolo fondamentale nella storia e per la nostra Lucinda, eh già.
E cosa ne dite di questa alleanza tra Camille e Felicity?
Secondo me è azzeccata, ce le vedo troppo bene insieme!
Odio i loro compagni di Distretto.
Non li ho nemmeno attribuito un nome, ma li odio...
Ringrazio come sempre chiunque legga in silenzio e chiunque abbia inserito la storia tra le preferite/seguite/ricordate.
Al prossimo capitolo,
Lucinda_Lockwood

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Capitolo 12
*** L'acqua è il più puro dei quattro elementi ***


The power of the elements- L'acqua è il più puro dei quattro elementi




 

"È necessario cogliere negli altri solo quello che di positivo sanno darci
e non combattere ciò che è diverso, che è "altro" da noi.
"

 



I giorni dell'addestramento erano passati in un lampo, tanto che non riuscii nemmeno ad essere troppo sofferente dal fatto di non avere potuto prendere in mano un'ascia.
Chase non mi aveva più rivolto parola, limitandosi a consigliarmi sulla tattica da utilizzare nella prova individuale tramite Joey, che trovava la situazione molto più divertente di quanto invece non fosse.
E anche se sapevo che inimicarmi il mentore prima della mia discesa in arena non era propriamente la migliore mossa che avessi potuto fare, me ne fregai altamente e non provai a scusarmi.
D'altro canto, nemmeno Chase sembrava aspettare le mie scuse: l'ultimo giorno di addestramento lo aveva passato esclusivamente con Joey, ad allenarlo personalmente, mentre io provavo il corpo a corpo con l'addestratore messo a disposizione da Diagon City.
Ma più che provare, subivo i colpi dell'uomo, che non sembrava capace di trattenersi e mi buttava rigorosamente a terra ogni volta che provavo ad attaccarlo.
Avevo anche io un punto debole alla fine: senza aiuti soprannaturali, in un combattimento ravvicinato non sarei durata a lungo.
Ecco un motivo in più per evitare Felicity.
Mi doleva ammettere, ma quella ragazza sapeva il fatto suo nei combattimenti e, a differenza mia, non era mai stata atterrata una volta.
Camille preferiva invece dedicarsi alla postazione delle piante velenose, come se davvero potesse anche solo minimamente passare per una sprovveduta: era nata nel Distretto 11 in fondo.
Le avevo studiate molto durante l'addestramento e nemmeno io riuscivo a capirne il motivo.
Forse perché erano le uniche della mia età, ma di certo non le temevo e nemmeno mi spaventavano.
Prima della prova individuale, venimmo tutti scortati nella stanza a fianco la Palestra, abbellita solamente da divani e poltroncine, dove poter aspettare il nostro turno.
Non avrei avuto molto tempo per rilassarmi però e anche se avevo in mente una serie di esercizi determinati, il nervosismo cominciava a farsi sentire, soprattutto quando fu chiamato Joey dall'altoparlante.
Neanche venti minuti dopo, fu il mio turno.
Mi alzai rigida, inspirando profondamente, e una volta che la grata davanti all'entrata della Palestra si sollevò, espirai, avviandomi verso il centro della stanza per presentarmi.
-Lucinda Lockwood, Distretto 4- esclamai a gran voce e solo quando il capo stratega annuì, mi avviai verso la postazione delle asce.
Sfiorai delicatamente l'impugnatura dell'arma, per poi afferrarla saldamente e girarmi di nuovo verso le persone sopra di me, che non mi toglievano gli occhi di dosso.
Sollevai lo sguardo, mi concessi un breve sorriso sicuro e diedi il via alle danze.
Mi lanciai verso i manichini mulinando l'ascia e mutilando qualsiasi mano, braccio o testa di legno che mi capitavano davanti, per poi fare una capriola a mezz'aria e atterrare davanti alla piscina.
Grazie al movimento delle mie mani, l'acqua si sollevò in aria e prese a vorticare su sé stessa, fermandosi solo quando un enorme uomo trasparente, armato di spada, mi attaccò, ingaggiando anche una sorta di duello che però controllavo io stessa.
Diedi spettacolo per qualche minuto, parando e schivando i colpi del mio avversario con l'ascia, per poi trafiggerlo al petto.
Ma non avevo ancora finito: come gran finale, plasmai ancora l'acqua in un'onda che cavalcai proprio sulla punta per poter arrivare così all'altezza degli strateghi e mi esibii in un inchino, tornando poi a terra con un lieve salto, nello stesso istante in cui anche l'acqua scese e inondò il pavimento.
Difficile che gli altri Tributi avrebbero potuto dare il massimo mentre scivolavano, soprattutto dopo che un così grande spettacolo aveva allietato gli occhi degli strateghi, che annuivano compiaciuti da dietro i loro bicchieri di vino.
Misi a posto l'ascia e uscii dalla palestra, con un sorriso a trentadue denti stampato sul viso.

 

-...ho trafitto tre manichini con un solo colpo di lancia, per poi colpirne al cuore un altro con la spada, il tutto a cavallo di una Firebolt. Gli strateghi erano impenetrabili, ma credo comunque di aver lasciato una buona impressione.- concluse Joey, masticando rumorosamente la sua coscia di tacchino.
Quando Chase aveva domandato delle nostre prove individuali, per poco non mi strozzavo con l'acqua talmente tanta era la mia sorpresa e lui sembrò non gradire il mio non voluto sarcasmo.
Ma poi Joey aveva iniziato a ciarlare ininterrottamente sulla sua prova e io avevo potuto tranquillamente continuare a mangiare, accompagnata dalle esclamazioni di Faith e dallo scontato silenzio del nostro mentore.
-E la tua prova Lucinda?- domandò Crystal, provocandomi un sorrisino entusiasta.
Ingoiai il boccone che stavo masticando e mi pulii la bocca con il tovagliolo, prima di decidermi a parlare.
-Ho tranciato un po' di manichini con l'ascia, ho combattuto contro un temibile mostro d'acqua e, per concludere, sono salita su un'onda e mi sono inchinata davanti agli strateghi.-
Le espressioni stupite di Crystal e di Denver e la bocca spalancata dalla sorpresa di Faith mi fecero sorridere ancora di più, mentre il silenzio di Chase mi provocò indifferenza.
-E loro cos'hanno fatto? Che hanno detto?- chiese Joey incuriosito, provocandomi l'ennesimo sorriso soddisfatto.
-Uno per poco non cadeva dal divano per lo spavento, infondo avevo ancora in mano l'ascia, ma per il resto mi sembravano piuttosto soddisfatti.-
-Posso immaginare.- borbottò Chase sottovoce, ma non abbastanza perché io non lo sentissi.
-Potrei sapere cos'ho fatto di sbagliato questa volta, di grazia?-
Il mio tono allegro era diventato improvvisamente acido, gelando l'intera stanza come solo io sapevo fare.
-Se solo avessi seguito i miei consigli, anziché improvvisare e rischiare inutilmente forse...-
-Forse cosa?- tuonai -Se solo tu ti fossi degnato di allenarmi così come hai fatto con Joey, di parlarmi senza rimproverarmi ad ogni parola, forse avrei potuto prendere in considerazione i tuoi consigli, ma visto quanto poco ti importa di me, non penso che ti interesserà se andrò male o bene nel punteggio!-
Avevo il fiatone, tanto la rabbia mi aveva smorzato il respiro.
Odiavo le persone che mi prendevano in giro, che mi ignoravano e che poi pretendevano facessi di testa loro.
Non ero così, non ero nata per piegarmi o per seguire ordini.
-Con te è impossibile parlare.- disse Chase, mantenendo un tono basso e fece per alzarsi, ma personalmente non avevo intenzione di lasciargli l'ultima parola.
-Continuare a scappare non facilità la comunicazione.-
I suoi occhi incontrarono i miei e si studiarono a vicenda per molti secondi, affogando l'uno nel verde dell'altra.
E proprio quando riuscii a cogliere un lampo di tristezza negli occhi del mio mentore, nell'esatto istante in cui la sua bocca si mosse per parlare, la televisione sulla parete si accese automaticamente, con l'inno di Panem a riempire il silenzio della stanza.
Era giunto il momento di scoprire i nostri punteggi, ma la chiacchierata interrotta avrebbe sicuramente avuto una fine.
Dovevo assolutamente scoprire cos'aveva Chase contro di me, con le buone o con le cattive: ero stanca di discutere con lui per questioni che nemmeno capivo.
Mi lasciai cadere sul divano vicino a Joey, che mi diede una pacca sulla spalla, infondendomi tutta la rassicurazione che era capace di trasmettere.
Nemmeno a lui doveva essere chiaro il comportamento del nostro mentore e lo ringraziai con un sorriso sincero.
In quel momento, i volti di Caesar Flickerman e Claudius Templesmith invasero lo schermo e le loro voci introdussero i punteggi delle prove individuali di ogni singolo Tributo.
Guardai distrattamente i miei alleati, giusto per ricordare i 9 di Alton e Nick.
Poi comparve la foto di Joey.
La sua stretta sul bracciolo del divano si rafforzò e non azzardò a tranquillizzarsi, almeno finché un 9 non apparve vicino al suo volto, che lo fece sospirare di sollievo mentre tutti lo applaudimmo.
Fu poi il mio turno e mi stupii della foto che vidi sullo schermo.
Probabilmente mi avevano immortalata durante le introduzioni alle postazione del primo giorno di addestramento.
Avevo il volto carico di determinazione, la bocca curvata in un sorriso consapevole, ma gli occhi... erano distanti, quasi spenti.
Quel particolare mi prese talmente impreparata che quasi non mi accorsi del 10 che apparve sullo schermo.
Solo l'esclamazione entusiasta di Faith mi riscosse, appena in tempo per sollevare la mano e non beccarmi il cinque di Joey in faccia.
Anche gli stilisti mi fecero i complimenti, arrivando persino a regalarmi un veloce abbraccio di felicitazioni.
Il resto dei punteggi me li aspettavo, ma non potei comunque fare a meno di arrabbiarmi: Camille e Felicity si erano guadagnate, rispettivamente, un'8 e un 9.
Erano degli ossi duri e lo sarebbero state anche nell'arena.
Quando poi però posai gli occhi su Chase, per un breve istante, accadde
l'inaspettato.

Le sue labbra si mossero appena, ma io riuscì comunque a capire quello che voleva dirmi: “l'acqua è il più puro dei quattro elementi.”

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Angolo d'autrice:
E ci siamo quasi!
-1 all'entrata delle nostre protagoniste nell'arena!
Qui abbiamo scoperto i voti, poi nell'intervista cercheremo di scoprire qualcosa su di loro, se si scuciranno abbastanza!
Ringrazio come sempre chiunque legga, recensisca e abbia inserito la storia tra le preferite/seguite/ricordate.
A presto,
Lucinda_Lockwood

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Capitolo 13
*** Il nostro momento di gloria ***


The power of the elements- Il nostro momento di gloria




 

"Quando vedi la verità fiorire sulle labbra del nemico,
devi gioire, perché questo è il segno della vittoria."



Nell'incubo correvo su una spiaggia e avevo alle spalle tutti e ventitré i tributi armati di coltelli.
Le lance volavano nell'aria, ma non riuscivano a colpirmi, finché un'onda colossale non si alzò dal mare, per inghiottirmi e trasportarmi nelle profondità acquatiche.
Non potevo respirare.
Le parole di Chase mi rimbombavano in testa, mentre scivolavo nell'oscurità: “l'acqua è il più puro dei quattro elementi.”
Mi svegliai ansimando, madida di sudore.
L'aria che circolava libera nei polmoni fu un enorme sollievo e mi permise di calmarmi un po'.
Era il primo incubo che facevo a Diagon City e anche se con l'avvicinarsi dei giochi la paura era inevitabile, non era per la mia imminente entrata nell'arena che avevo sognato di morire, ma per quella stupida frase del mio mentore che non avevo capito.
Unita alle frasi sibilline di mio padre di cui non avevo ancora chiarito il significato, erano un'accoppiata che non garantiva assolutamente un sonno tranquillo, men che meno bei sogni.
Buttai di malavoglia le gambe giù dal letto, per poi recarmi in bagno e cercare di cancellare i residui del sogno sotto il getto della doccia.
Quando poi mi ricordai di quel piccolo particolare legato al mare, mi asciugai il più in fretta possibile, per poi vestirmi con la camicia e i pantaloni che avevo trovato sul letto.
Il tempo dell'addestramento fisico era finito, ora dovevo dimostrare all'intera Capitale cosa si nascondeva sotto il nome di Lucinda Lockwood e non potevo farlo lanciando un'ascia contro un manichino.
Per l'ennesima volta, quando superai la soglia della mia camera, notai che seduto al tavolo c'era solo Chase.
Feci dietrofront, ma la sua voce mi richiamò prima che potessi nascondermi dietro alla porta della mia stanza.
-Lucinda.-
Era solo il mio nome, ma il tono con cui l'aveva pronunciato mi spinse a raggiungere alla velocità della luce il tavolo a cui era seduto, per chiedere una buona volta chiarimenti che la sera prima mi erano stati negati.
Ma il mio mentore non sembrava disposto a darmeli.
Non ancora almeno.
-Avrai due ore di lezione con me stamattina e altre due con Faith. Con me lavorerai sull'aspetto di te stessa che vuoi trasmettere al pubblico, con lei invece ti occuperai di tacchi alti e galateo.-
Trattenni a stento una smorfia, non riuscendo a stabilire quale delle due prospettive fosse la peggiore, ma poi annuii comunque, non potendo fare altro.
Mi sedetti e cominciai a mangiare, mentre il silenzio si faceva sempre più pesante.
-Chase.- sbottai alla fine -Posso sapere cos'hai contro di me?-
Diretta, senza troppi giri di parole: prima di entrare nell'arena avevo tutta l'intenzione di togliermi eventuali dubbi che non avrei potuto lasciare irrisolti.
La sua reazione mi stupì.
Con un breve cenno della mano, mi fece segno di seguirlo sulla terrazza, probabilmente per poter parlare lontano da orecchie indiscrete.
Il panorama mi distrasse per un attimo, facendomi quasi dimenticare perché eravamo usciti all'aperto mentre ancora il sole sorgeva.
Ma infondo era Chase a dover iniziare e la sua risposta non tardò troppo ad arrivare.
-Non ho niente contro di te Lucinda.- esordì. -Forse in questi giorni non ti ho trattato molto bene e me ne dispiaccio, ma è la prima volta che torno qui dopo la mia vittoria e forse il dolore per le vecchie ferite mi ha offuscato la vista.-
Annuii, facendogli intendere che accettavo le sue scuse, ma che comunque non poteva cavarsela con una spiegazione così scarna e, soprattutto, non poteva convincermi con la carta della malinconia e del dolore.
-Durante i miei Hunger Games, non ero come te. Non ero sicuro, non ero capace e non ero potente. Quel 6 nell'addestramento me lo meritai interamente e solo grazie alla mia intelligenza e alla mia astuzia riuscii a trasformarlo in una specie di copertura a ciò che ero veramente.-
Aveva la voce velata di tristezza e il vento che gli scompigliava i capelli non faceva che rendere il racconto ancora più interessante: finalmente avrei avuto la risposta che cercavo.
-Nel momento esatto in cui la mia lancia trapassò Eltanine, la mia compagna del Distretto 4, e vinsi i giochi, il mondo mi crollò addosso. Avevo permesso alla Capitale di manipolarmi, di rendermi una persona diversa e... terribile. Non me lo perdonerò mai. Per questo ero così duro con te, per questo ho sollevato dei dubbi su ciò che credevi scontato. I deboli non sono chi ha paura dello scontro o chi ha il timore dell'arena, i deboli sono coloro che tradiscono loro stessi per il successo.-
Ascoltai rapita, mentre un lieve senso di rimorso mi attanagliava lo stomaco.
Il senso delle parole del mio mentore era lo stesso del discorso che mio padre mi aveva fatto nel Palazzo di Giustizia.
-Non penso che perderò me stessa nell'arena. Io sono così, voglio vincere e voglio brillare. Voglio il successo. Mostrarmi debole e impaurita... allora si che tradirei me stessa.- ribattei, mantenendo lo sguardo fermo anche se il cuore mi batteva a mille.
-Sei più cocciuta di quanto immaginavo.- borbottò -Ma mi piace il tuo stile e sono certo che otterrai davvero il successo che sogni nell'arena.
Cerca almeno di farlo in modo leale.-
-Non ucciderò nessuno, se nessuno proverà a far fuori me. Basteranno le trappole degli strateghi a tenere impegnati i tributi e poi vorrei far uscire Joey dall'arena... Vivo.- confessai, attirandomi lo sguardo stupito di Chase.
-É il primo vero amico che ho mai avuto e mi dispiacerebbe vederlo morire. In caso di pericolo, mandali a lui i doni e non pensare a me. Saprò cavarmela.-
-Non mi sbagliavo su di te Lucinda.-
Mi tese la mano, in quello che sembrava in tutti i sensi un gesto di riconciliazione, e io gliela strinsi, finalmente sollevata.
-Le prime due ore di lezione sono con Faith, preparati ai tacchi alti.- avvisò, prima di rivolgermi un debole sorriso e lasciare la terrazza.
Lo seguii, senza riuscire comunque a trattenere l'ennesima smorfia di disgusto.

 

Credevo fosse impossibile sopportare la voce di Faith per più di due minuti consecutivi, e invece riuscii a resistere per quasi due ore.
Quasi appunto.
Avevo camminato su e giù per la stanza su delle scarpe impossibili, con la schiena dritta e i libri sulla testa, come se per un'unica sera, in cui fra l'altro sarei rimasta seduta per tre minuti su di una sedia, sarebbe servito a qualcosa tutta quella preparazione.
Joey aveva addirittura finito prima con Chase ed era venuto ad assistere alla mia sfilata improvvisata, ma non prima di essersi beccato un'occhiata risentita.
Lui fece spallucce e si giustificò con un patetico: -Chase ha detto che sono spontaneo e che, anche se le mie barzellette sono un disastro, sarò perfetto sul palco.-
Lo guardai male di nuovo, per poi tornare verso Faith ondeggiando sui tacchi, così come mi aveva mostrato lei.
Mi sedetti sul divano accavallando le gambe, poggiando le mani in grembo e, con la schiena dritta, sfoderai il mio miglior sorriso finto.
Faith finalmente sembrò soddisfatta e mi fece addirittura un piccolo applauso.
-Sei nata per quelle scarpe, Lucinda! E direi anche che sei pronta per stasera. Puoi lasciarmi sola con Joey, per cortesia?-
Mantenni il mio sorriso finché non mi chiusi la porta alle spalle, poi scalciai via i tacchi nel corridoio e poggiai finalmente i piedi nudi sulla moquette, sospirando di sollievo.
Probabilmente entro sera li avrei avuti ricoperti di vesciche, il che, più lo spennamento del pomeriggio, non poteva che peggiorarmi l'umore.
Come se fosse possibile essere messi peggio di così.
In quel momento, dalla porta davanti a me, apparve Chase che mi fece cenno di seguirlo all'interno.
Una volta seduta, sbuffai di sollievo.
-Allora, com'è andata con Faith?- domandò, sedendosi di fronte a me.
-Dopo oggi mi piacerebbe uccidere qualcuno con un tacco a spillo.- risposi sarcastica, provocandogli un sorriso.
Infondo era piacevole aver fatto pace con il mio mentore e non era solo per una questione di utilità: non eravamo poi così diversi e non era nemmeno difficile intenderci.
-Proverò a farti dimenticare questa brutta esperienza. Ora ti farò qualche domanda su di te, sulla tua vita nel Distretto e poi vedremo quale lato del tuo carattere far emergere nell'intervista di stasera.- iniziò -Possiamo già escludere l'arroganza.-
Mentre si girava a prendere dei fogli, gli feci il verso, per poi però ritornare subito seria.
Era finito il tempo di giocare.
Le ore successive furono se possibile ancora più stressanti di quelle con Faith e a livello mentale ero praticamente distrutta, non avendo fatto altro che cercare scorciatoie alle domande di Chase.
Non mi aprivo con i miei genitori, figuriamoci se mi fidavo di un mentore che fino al giorno prima mi odiava.
-Nel complesso non sei male, riesci a sviare le domande più complicate e a inventare di sana pianta le risposte. C'è qualcosa di vero in quello che hai detto fino ad adesso?-
Evidentemente Chase ed io eravamo fin troppo uguali.
-Diciamo che... Il verde è davvero il mio colore preferito.- scherzai, attendendo però il responso.
Speravo vivamente che non fosse obbligatorio raccontare la verità, con tutta Panem che mi guardava non ne sarei stata troppo entusiasta.
Per di più ognuno aveva i suoi segreti, c'era chi ne aveva meno, chi non era in grado di tenerseli per sé, come Joey, e chi invece ne aveva un po' troppi, come me.
E avere un punto debole era l'ultima cosa che mi serviva in quel momento, dopo aver dichiarato apertamente che avevo tutta l'intenzione di proteggere Joey una volta nell'Arena.
-Diciamo che... Tutto sommato non è male come strategia. Reciti talmente bene che tutto quello che dici sembra oro colato. Unito a questo bel faccino non potranno che fare colpo. Cerca solo di sorridere un po' di più e di non guardar male le persone. Se ci riesci.-
A parte l'irritante frecciatina finale, le parole del mio mentore mi tranquillizzarono e fui finalmente libera di pranzare.
La pace però non durò per molto.
Il mio staff di preparatori fece irruzione appena terminato il dolce e mi trascinò senza troppi complimenti al piano terra, nella stessa stanza in cui li avevo incontrati prima della parata dei Tributi.
-Brillerai stasera grazie a noi!- trillò Trinna, senza perdere tempo.
Il procedimento fu uguale alla prima volta: bagno, infarinatura, impanatura e spennamento.
Cercavo comunque di tenermi per me le mie considerazioni, Phil non sembrava prendere bene nessun appunto sul suo lavoro.
Così mentre mi sfoltiva le sopracciglia, trattandole quasi fossero una sorta di foresta pluviale mal gestita, ciarlava ininterrottamente sulle mode di Diagon City, pensando davvero che mi potessero anche solo lontanamente interessare.
Quando ormai avevo perso la pazienza e stavo per infilzarlo con la lametta, almeno sarebbe servita a qualcosa, arrivò Crystal a salvarmi da quella tortura e da un possibile omicidio, di cui in seguito mi sarei pentita.
Forse.
-Ho il vestito pronto. Qui come va?-
-Splendidamente bene.- bofonchiai, alzandomi di scatto dal lettino -E penso proprio di essere pronta anche io.-
Non aspettai nemmeno che il mio staff mi diede il permesso e seguii Crystal nella stanza a fianco alla velocità della luce.
Anche quella volta, il buio non mi permetteva di avere alcuna anteprima sull'abito che aveva ideato per me.
-Chiudi gli occhi. Avrai una bella sorpresa.- disse Crystal, aiutandomi a indossare la sua creazione.
Non mi piacevano le sorprese ed ero già fin troppo curiosa di mio, ma preferii non protestare, e sollevai le braccia verso l'alto, mentre la stoffa del vestito mi scivolava sulle gambe.
Sentii i suoi passi allontanarsi e subito dopo l'interruttore che scattava, ma non doveva essere ancora il momento, visto che venni scortata delicatamente in avanti, senza ricevere istruzioni.
-Ora puoi guardare.-
Appena la voce di Crystal mi raggiunse, aprii gli occhi, al limite dell'impazienza, e la mia bocca si curvò automaticamente in un'espressione di completo stupore.
La stoffa del vestito era di un tenue azzurro, rivestita da un particolare tessuto che era identico agli schizzi che provocava il mare quando si scontrava con gli scogli: le goccioline sembravano quasi sospese nel vuoto e non accennavano a cadere.
La gonna, che si fermava giusta al ginocchio, si apriva in una soffice nuvola, ondeggiando e colorandosi di blu ad ogni mio piccolo movimento.
E il corpetto si arrampicava sulla mia spalla destra in piccole onde, rilucenti di sfumature e piccoli brillantini.
L'abito era, se possibile, ancora più stupefacente di quello della parata: era un autentico capolavoro.
Ad un'occhiata più attenta notai le scarpe dello stesso colore delle onde, fortunatamente di un altezza passabile, e il fermaglio nei capelli, che mi lasciava libero il viso dai boccoli biondi.
-Crystal... Non ho parole.- riuscii a dire, in completa estasi.
-Zittirti era un mio sogno irrealizzabile, Lucinda.- rise, mentre l'orgoglio e l'imbarazzo le coloravano le gote già rosse.
Era una stilista incredibile, l'unica nel suo genere, eppure si sottovalutava.
-Ci sei riuscita, l'hai realizzato.-
Le sorrisi riconoscente e se non fosse stata per la mia fama di dura e impenetrabile Tributo del Distretto 4, l'avrei abbracciata.
Avevo gli occhi accesi di gioia, non mi ero mai vista così contenta, e nemmeno l'entrata improvvisa di Faith rovinò il momento.
Un enorme copricapo blu le copriva gli occhi, tanto che dovette piegare la testa all'indietro per ammirarmi.
Non le scoppiai a ridere in faccia solo per dimostrargli che non ero arrogante come pensava e anche Crystal si trattenne a stento, lanciando un'occhiata piuttosto eloquente al suo capello.
Se solo avessi avuto una stilista come Faith, l'intera Capitale, anziché acclamarmi, non avrebbe fatto altro che ridermi dietro.
Fortunatamente non correvo quel rischio, anzi.
-Incredibile Lucinda, davvero incredibile.-
Stavo per puntualizzare che il lavoro lo aveva fatto la mia stilista e che io ci avevo messo esclusivamente la faccia, ma non sembrava avere tempo e voglia di ascoltarmi, visto che mi trascinò senza troppi problemi fin nel corridoio, dove Joey e la maggior parte dei Tributi aspettavano in fila la loro chiamata.
Dovevo ammettere che se non fosse stata per la lezione della mattina, probabilmente non avrei saputo muovere un passo viste le scarpe, ma badai bene di non farlo notare a Faith o con ogni probabilità me lo avrebbe rinfacciato per chissà quanto tempo.
Raggiunsi Joey, in fila dietro al Tributo del Distretto 3, che si fece prontamente indietro, per lasciarmi lo spazio di infilarmi.
Poi sorrise, toccando delicatamente una goccia del mio vestito.
-Che figata!- esclamò, suscitando la mia risata e uno sguardo divertito dei Tributi intorno a noi.
-Anche tu sei parecchio elegante.- aggiunsi, convinta che il mio commento non avrebbe fatto altro che pomparlo ancora di più.
La giacca azzurra però gli stava veramente bene, fasciava i suoi muscoli alla perfezione e metteva in risalto il verde dei suoi occhi, così simili ai miei.
Tutti avevano gli occhi chiari nel Distretto 4.
Una volta che i ventiquattro Tributi raggiunsero il corridoio, venimmo scortati sul palco e invitati a sederci ognuno al proprio posto, nell'enorme semicerchio alle spalle del conduttore e davanti all'enorme schermo dove già si susseguivano le immagini.
Alla nostra apparizione, il pubblico era andato in visibilio e la sua curiosità non dovette nemmeno attendere troppo, visto che nel momento esatto in cui mi sedetti la sigla di apertura del programma di Caesar Flickerman mi invase le orecchie, facendomi immediatamente irrigidire.
Dovevo essere perfetta e trionfare, anche più di come avevo fatto per la parata, e non era facile con l'ansia che saliva sempre di più.
Feci un paio di rapidi respiri per tranquillizzarmi e visto che non funzionavano, fissai la mia attenzione sul conduttore che era ormai salito sul palco.
Fui distratta per un attimo dalla sfumatura arancionata dei suoi capelli, che mi fecero arricciare il naso.
In quasi vent'anni di conduzione degli Hunger Games, Caesar non era mai apparso con un colore uguale a quello dell'edizione passata, includendo nel suo cambiamento, oltre ai capelli, le labbra e le sopracciglia, per poi aggiungere la stessa sfumatura anche al vestito.
Di certo, tutto era fuorché banale.
Quell'anno sembrava un'arancia vivente e per i miei canoni, per niente guardabile.
Ma la moda di Diagon City era uno dei tanti aspetti che gli abitanti dei Distretti non avrebbero mai potuto capire.
Dopo una rapida introduzione e una battuta accettabile, le interviste iniziarono e la mia alleata del Distretto 1 fu chiamata sul palco.
Poi Alton, Olimpia, Nick, i due Tributi del Distretto 3 e infine...io.
-E ora il Distretto 4. La sua potenza e la sua bellezza sono ormai note a tutti e penso che voi sappiate già di chi sto parlando vero?- esclamò, per poi sorridere davanti al boato immenso della folla -Invito sul palco lei, la Strega dell'Acqua!-
Era il mio momento.
Mi alzai dalla poltrona e raggiunsi Caesar con eleganza senza smettere di
sorridere, complici anche le sue parole: avere un soprannome che mi rappresentava e che mi avrebbe fatto riconoscere una volta nell'arena non era poco.

Dopo avermi baciato la mano, mi invitò a sedermi di fianco a lui e mi abbagliò con il suo sorriso arancione.
-Benvenuta, Lucinda! Benvenuta a Diagon City!- esordì, scatenando un'altra acclamazione del pubblico.
-Grazie! Grazie a tutti!- sorrisi, rendendomi conto che era una delle poche volte della mia vita in cui ringraziavo qualcuno senza sentirmi obbligata.
Poteva passare come uno strambo, ma Caesar era un uomo a posto invece, lo si vedeva da come cercava in tutti i modi di mettermi a mio agio.
Non ci volle poi molto.
-Allora Lucinda, ti sei offerta volontaria alla Mietitura...- la folla si era improvvisamente zittita -... e tutti ci chiedevamo se quella Jackie, la ragazza che avevano estratto, centrasse qualcosa con questo tuo bel gesto.- aggiunse, indirizzando un occhiolino generale alla folla.
Probabilmente la mia risposta non sarebbe servita a niente, il pubblico lo sapeva bene perché mi fossi offerta, ma l'aspettarono comunque.
-La figlia del pescivendolo non ha influito minimamente sulla mia decisione. Era il mio momento, nessuno poteva rubarmelo.-
Anche se le mie parole avevano sortito l'effetto voluto, mi pentii all'istante del tono con cui le avevo pronunciate.
Guardai incerta le telecamere, per poi tornare subito a sorridere sicura.
Jackie era una ragazza sveglia e avrebbe capito senza troppe difficoltà che quello che avevo detto faceva parte di un copione, a cui dovevo attenermi per attirare l'attenzione degli Sponsor.
Anche se in realtà non lo era.
-Avete sentito? Lucinda ha le idee molto chiare.- continuò, senza smettere di sorridere -Raccontaci allora come hanno reagito i tuoi genitori. Cos'hai detto per rassicurarli?-
Questa era facile.
-Preparate gli striscioni per la vittoria.- risposi, notando con la coda dell'occhio che Nick e Alton mi guardavano soddisfatti e Joey che se la rideva alla grande.
Il ruggito del pubblico soffocò la voce di Caesar, che dovette attendere un attimo prima di continuare con le domande.
-Non avresti potuto trovare parole più adatte, davvero!- rise, asciugandosi addirittura una lacrima dall'angolo dell'occhio -Quindi non sei preoccupata dal fatto che nelle tue vene scorra sangue ribelle, ho indovinato?-
Il suo tono era diventato serio, quasi solenne, e anche se quella domanda se la sarebbe potuta risparmiare, immaginai che non l'avesse fatto con cattiveria.
Mi irrigidii comunque, mentre la mia mente lavorava frenetica alla ricerca delle parole giuste e il volto del nonno non faceva che confondermi ancora di più le idee.
Mentire o essere me stessa?
-Il passato è passato. Ora penserò solo a fare la cosa giusta... Per me.- conclusi, mascherando un sospiro di sollievo.
Mi avevano messo a dura prova, su una questione che in quel momento non era chiara nemmeno a me, e tutto sommato me l'ero cavata.
Il segnale acustico determinò la fine della mia intervista.
Caesar rifece il baciamano e poi mi sollevò il braccio in aria.
-Lucinda Lockwood, la Strega dell'Acqua!-
Tornai al mio posto, accompagnata dalle urla della gente, e per il resto della serata, galleggiai in una nuvola di sollievo.
Avevo portato a termine il mio compito, avevo fatto colpo sul popolo di Panem e ora potevo godermi gli ultimi momenti di pace prima dell'indomani.
Non seguii le battute di Joey, la voce leggera e saggia di Camille non mi scalfì e nemmeno le risposte brillanti di Felicity mi fecero innervosire.
Niente avrebbe potuto rovinarmi il mio piccolo momento di gloria.

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Angolo d'autrice:
Avete capito il nostro Chase?
Covava rancore e sensi di colpa, ma non ce l'aveva con Lucinda, oh no: ce l'aveva con sé stesso!
E direi che si è ravveduto al momento giusto.
Prossimo capitolo= arena.
Ne vedremo delle belle!
Alla prossima,
Lucinda_Lockwood

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Capitolo 14
*** Che i cinquantanovesimi Hunger Games abbiano inizio ***


The power of the elements- Che i cinquantanovesimi Hunger Games abbiano inizio



 

"Tutto quello che vogliamo combattere fuori di noi è dentro di noi;
 e dentro di noi bisogna prima cercarlo e combatterlo"



Nel giorno d'inizio degli Hunger Games, l'alba arrivò presto su Diagon City e mi trovò già sveglia.
Avevo fatto ancora l'incubo della notte prima, ma ora la voce era cambiata: non era più Chase a dirmi che “l'acqua è il più puro dei elementi”, era qualcuno che non conoscevo, qualcuno che rendeva ancora più oscuro il significato nascosto di quella frase.
Ma il tempo di riflettere mi fu presto tolto.
Faith fece irruzione nella mia camera, spalancando le finestre e scuotendomi allegramente, senza smettere di strillare entusiasta: -É il grande giorno Lucinda! È il grande giorno!-
Dal canto mio, se fossi stata in vena di scherzare, le avrei tirato una cuscinata in testa solo per farle cadere quella stupida parrucca verde, ma non avevo voglia di ridere.
Feci una rapida doccia e una colazione altrettanto veloce, per poi essere costretta a salutare Faith e il mio staff dei preparatori.
Li abbracciai, lasciano tutti abbastanza sconcertati, me per prima, e senza dire niente seguii Chase e Joey sul tetto, dove un' hovercraft ci aspettava per condurci nelle cabine di lancio dell'arena.
Dopo neanche venti minuti, i finestrini si scurirono e fui costretta a lasciare Joey.
Lo avrei rivisto una volta nell'arena: ogni Tributo doveva vivere da solo l'inizio del suo viaggio.
Una volta atterrata, due Pacificatori mi scortarono per un lungo e largo corridoio, disseminato di porte, e mi lasciarono davanti alla quarta a destra, dove mi aspettava Crystal.
Mi sorrise, inducendomi ad allontanare le mani dalla bocca: non avevo fatto altro che tormentarmi ininterrottamente le unghie, tanto che iniziava a intravedersi la carne insanguinata.
L'uniforme dei giochi era chiusa in un involucro e la mia stilista mi invitò a chiudere gli occhi, prima di abbassare la cerniera ed aiutarmi a vestirmi.
Poi mi condusse delicatamente verso lo specchio nell'angolo della parete e mi invitò a guardare.
A prima vista, non sentii altro che delusione.
Una semplice maglietta blu a maniche lunghe era unita ad un'armatura leggera, che mi proteggeva solamente il busto, ma di una lega molto resistente, così come le gomitiere e le ginocchiere.
Quest'ultime le guardai, abbastanza interdetta e titubante.
A che servivano quelle semplici protezioni in un'arena mortale?
-Vogliono prenderci in giro?- domandai scandalizzata a Crystal, apprestandomi a levarle, ma lei mi fermò.
-Non farlo, se troverai una scopa ti saranno molto utili in caso di un atterraggio di fortuna.- spiegò lei, assicurandomele meglio e raddrizzandomi l'armatura.
-Sarebbe stato più utile un casco.-
-Credimi, nella Cornucopia ci sarà.-
La guardai ancora, ma qualcosa nella sua espressione mi fece capire che aveva ragione, quindi non obbiettai.
Passai poi a studiare la parte inferiore della mia uniforme.
Normali pantaloni blu elasticizzati, scuri come la maglietta, e degli stivali, stretti e lunghi.
-Uniforme dinamica, adatta alla corsa e agli spostamenti veloci. Trattiene il calore corporeo, il che può rivelarsi sia un vantaggio che uno svantaggio. É impermeabile e quelli- mi indicò gli stivali -Sono perfetti per nuotare, ma non il massimo per arrampicarsi.-
Mi afferrò poi un braccio, mostrandomi che le gomitiere si potevano aprire.
-Qui ci puoi mettere le boccette delle pozioni e le erbe, ti consiglio quelle mediche a sinistra, così saranno più riparate in caso di un combattimento, e quelle velenose a destra.-
-Gli antidoti sono sempre i più difficili da trovare- conclusi, ricevendo un'occhiata affermativa.
-Il tessuto non è infiammabile, ma non può nulla contro gli esplosivi e nemmeno la tua armatura ti sarà di grande aiuto. Questi invece- afferrò dei guanti di pelle e me li porse – ti garantiscono una presa migliore delle armi, ma bloccano il flusso dei poteri. Ti consiglio di tener libera la destra. La sinistra la sfrutterai per la tua abilità con l'ascia e con qualsiasi altra cosa affilata e potenzialmente letale.-
Le sorrisi riconoscente e li indossai comunque tutti e due, per evitare di perderli nello scontro iniziale alla Cornucopia.

30 secondi

La voce metallica mi fece sussultare, prendendomi alla sprovvista.
-Sei fortunata, non correrai il rischio di disidratarti e potrai scampare dall'avvelenamento grazie all'acqua, ma gli Strateghi troveranno mille altri modi per metterti in difficoltà, quindi non sottovalutare in nessun modo le tecniche di sopravvivenza e...-
-...Se qualcosa ti sembra troppo facile, allora non lo è.- la interruppi di nuovo, terminando io stessa quello che lei voleva dire, e sorrisi di nuovo.

20 secondi

Mi guardò soddisfatta, per poi prendermi una mano e stringerla forte.
-L'unica cosa che ti chiedo, è di non dubitare mai di Joey. È l'unico vero amico che puoi avere lì dentro.-
Annuii, consapevole della veridicità del suo avvertimento, e ricambiai la sua stretta.

10 secondi

Le lasciai la mano, per poi entrare a grandi passi nel tubo di vetro.
Solo allora notai il mio anello, quello con la pietra nera di cui avevo dimenticato l'esistenza da quando ero arrivata a Diagon City, nella stessa mano che prima stringeva quella di Crystal.
Doveva essersi conta che era il mio portafortuna e me l'aveva passato senza che me ne rendessi conto.
Me lo infilai velocemente in tasca, avvertendo finalmente un senso di completezza.
In quel momento, la piattaforma si mosse lentamente, ma non nella direzione che mi aspettavo: pensavo mi avrebbe sollevato e invece si abbassò.
Sorrisi per l'ultima volta a Crystal, che sembrava stupita quanto me, e sprofondai nell'oscurità, con solo il battito del mio cuore a farmi compagnia.
La piattaforma continuò a scendere per un po', finché non si arrestò bruscamente e proseguì a muoversi verso destra e poi di nuovo verso l'alto.
Il buio non mi faceva paura e usai quei secondi di pace per riflettere, prima della battaglia.
Quell'anno ci avrebbero fatti giocare in un'arena sotterranea? Avevano forse intenzione di far vincere i Tributi del Distretto 11?
Nella terra comunque l'acqua era facile da trovare, ma stare per due settimane lì sotto, con tutte le diavolerie degli Strateghi in agguato, non era una previsione allettante.
Finalmente, uno sprazzo di luce comparì sopra la mia testa e rimasi con la fronte per aria tutto il tempo, finché non mi resi conto dell'incredibile fortuna che avevo avuto.
Il tubo di vetro continuò la sua corsa, per fermarsi solo quando la piattaforma su cui poggiavo i piedi arrivò alla pari con il fondale sabbioso.
Sabbia, conchiglie e pesci.
Eravamo sott'acqua.
Un sorriso consapevole mi attraversò il volto, mentre studiavo l'ambiente che mi circondava.
Eravamo messi a semicerchio, intorno a noi solo acqua e davanti invece l'imboccatura di una grotta dalla quale si intravedeva il bagliore della Cornucopia.
Il conto alla rovescia arrivava ovattato, ma mancava poco ormai all'inizio.
Ignorai la bombola d'ossigeno a fianco me e mi limitai a scrocchiare le dita, in attesa del gong finale.
Gli altri tentavano disperatamente di legarsi la bombola d'ossigeno nel modo giusto, ma non sembravano cavarsela granché bene.
La maggior parte di loro avrebbero nuotato in superficie alla velocità della luce, lasciando a noi l'intero bottino della Cornucopia.
Con gli altri Favoriti avevo ideato un piano, studiando le arene precedenti.
Quella non era la prima gara a sommersione e avevamo fatto in tempo a prepararci, vagliando con attenzione ogni possibilità.
Se fossimo stati in superficie, con l'aiuto di Alexander, avrei evocato un enorme ondata d'acqua, circondando la Cornucopia, e lui poi, con una ventata d'aria, l'avrebbe gelata, per non permettere agli altri Tributi di entrare.
Così mentre i nostri compagni si attrezzavano, noi tenevamo impegnati i Tributi rimasti “chiusi fuori”.
Ma in quell'occasione, sarei stata io l'unica protagonista.

10... 9...8...

Mi abbassai, mettendomi in posizione da corsa, e aspettai pazientemente, scambiando poi un'occhiata d'intesa con Nick.
Eravamo anche tutti vicini, nessuno avrebbe fatto in tempo ad esaurire l'aria.

7... 6... 5...

Guardai per un attimo Felicity, che aveva rinunciato a lottare con la bombola e respirava a fondo, preparandosi all'imminente mancanza d'ossigeno.

4... 3...

Camille invece era seduta, a gambe incrociate e occhi chiusi.
Si era rassegnata o aveva un piano in mente?
Notai però che aveva le mani appoggiate a terra e capii tutto: avrebbe usufruito di un passaggio veloce verso la superficie grazie ai suoi poteri, ma non era affar mio.
Dovevo solo pensare a difendere i miei compagni.

2... 1... 0

Il vetro del tubo si sollevò e fui invasa dall'acqua.
Respirai a pieni polmoni, concedendo ai miei occhi un secondo per abituarmi all'oscurità degli abissi, e poi nuotai verso i miei compagni.
Senza perder tempo sollevai un braccio e un enorme bolla d'aria li inghiottì, uno per uno, tranne me.
Volevo godere della freschezza dell'acqua ancora un po'.
Una volta tornati a respirare, nuotammo indisturbati verso la Cornucopia.
Come previsto, eravamo gli unici ad essere rimasti immersi.
Mi lasciai trasportare spedita dalla corrente e raggiunsi l'unica ascia presente, che faceva bella mostra di sé in mezzo alle lance.
Me la misi sulle spalle, rassicurandola con la cinghia di pelle, e poi mi guardai intorno.
Afferrai uno zaino, il più completo possibile, al quale aggiunsi qualche coltello di modeste dimensioni e tutte le boccette di pozioni che poteva portare.
Non persi tempo a studiarne il contenuto, lo avrei fatto dopo, una volta al sicuro.
Mi rassicurai un pugnale alla cintura ed infine mi voltai verso gli altri.
Nick mi fece un cenno affermativo e li guidai fuori dalla Cornucopia, ma prima che potemmo uscire dalla grotta, un branco di squali si profilò all'orizzonte.
Melyanna si lasciò sfuggire un singulto di paura, che mi costrinse ad andare in avanscoperta.
Se fossi stata sola, sarei uscita in un batter d'occhio, ma gli altri erano troppo lenti.
Nuotai ancora un po' e solo quando fui a pochi metri dal branco, mi fermai, sollevando le braccia.
Un incantesimo di illusione acquatico era quello che ci voleva.
Una sottile nebbiolina bianca uscii dai miei palmi aperti e ci circondò, appannando appena la mia vista.
Gli squali procedettero, ma senza dar segno di avvertire la nostra presenza.
Fiutarono all'interno della Cornucopia e poi tornarono indietro, scomparendo
all'orizzonte.

Senza perdere altro tempo, nuotai fino in superficie.
L'incantesimo aveva funzionato, ma era comunque meglio non correre rischi.

 

Nell'esatto istante in cui riemergemmo, le bolle d'aria scoppiarono, lasciandoci asciutti e al colmo dell'entusiasmo su una spiaggia dalla sabbia bianca.
Doveva trattarsi a tutti gli effetti di un'isola in mezzo all'oceano, ma un muro di piante ci oscurava la vista ed era troppo fitto per poter guardarci dentro.
Eravamo gli unici e il silenzio era spezzato solo dal gracidare di qualche uccello.
Un vulcano fumava in lontananza ed ero certa che presto ci avrebbe sicuramente causato dei problemi, ma al momento non volevo pensarci.
-Sei una strega Lucinda!- esclamò Alton, allontanandosi una volta per tutta dall'acqua e sorridendomi entusiasta.
-Lo sapevo già.- sorrisi di rimando, incamminandomi verso la fitta giungla.
Nick mi raggiunse e mi mise una mano sulla spalla, annuendo compiaciuto, per poi superarmi e mettersi lui a capo del gruppo.
Evidentemente gli avevo rubato la scena già per troppo tempo.
-Non ho mai visto alberi del genere.- disse Olimpia, tenendo un ramo tra le mani e mostrandocelo -E non vorrei dire una stupidaggine, ma sembrano tanto quelle piante dei libri di storia.-
Alexandre annusò l'aria e poi spalancò gli occhi -Siamo nell'era dei Dinosauri! Riesco a sentirne la puzza fin da qui!-
Ci voltammo esterrefatti verso di lui.
-Dinosauri?- lo schernì Alton.
-Dinosauri.- confermò lui, senza perdere terreno -Ibridi.- specificò subito dopo, annusando meglio.
-Tutto torna... Quei pesci nell'acqua, non sembravano squali. Dovevano essere degli ibridi di qualche specie antica.-
Seguii Nick nella vegetazione, tenendomi a distanza di sicurezza dalla sua lancia, che mulinava per tranciare i rami sporgenti che ci impedivano il passaggio.
Fui subito raggiunta da Joey, che mi prese a braccetto e mi sorrise, mentre l'adrenalina gli faceva brillare gli occhi.
Stavo per ritrarmi e mettere fine a quel contatto, quando l'avvertimento di Crystal si fece strada nella mia mente.
Infondo, non c'era niente di male a tener per braccio un amico.
Ricambiai il suo sorriso, ignorando l'occhiata indignata di Nick che ci precedeva, e infilai rapidamente la mano libera in tasca.
L'anello era sempre là, a ricordarmi il vero obiettivo della mia missione: dimostrare che, nonostante avessi sangue ribelle nelle vene, anche io avrei potuto trionfare.
La pietra si scaldò di nuovo, strappandomi un singulto di sorpresa.
Ignorai lo sguardo indagatore di Joey e proseguii imperterrita, senza far caso all'improvvisa stretta allo stomaco che mi aveva lasciato nuovamente un insopportabile e ormai conosciuto amaro in bocca.

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Angolo d'autrice:
Finalmente posso dirlo: ecco a voi l'arena!
Da queste prime battute sicuramente non capirete molto, ma nei prossimi capitoli avrete modo di studiare la nostra isola misteriosa molto più nel dettaglio e risolvere possibili dubbi.
Come sempre ringrazio chi legge in silenzio, chi recensisce e chi ha inserito la storia nelle preferite/seguite/ricordate.
Al prossimo capitolo,
Lucinda_Lockwood

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Capitolo 15
*** Noi combattiamo ***


     The power of the elements- Noi combattiamo

 


 


"Nessuno è libero  se non è padrone
di sé stesso"

 


Rimanere a letto e dormire la notte prima degli Hunger Games sembrava a Felicity una grande stupidaggine, ma cambiò totalmente idea la mattina, quando dovette alzarsi con solo quattro ore di sonno sulle spalle.
Le palpebre erano pesanti e le gambe molli, ma tre tazze di caffè bastarono a Felicity per permetterle di connettere i neuroni e svegliarsi del tutto.
Appena in tempo per l'arrivo della sua mentore.
-Ti ricordi ancora la nostra strategia?- domandò, appoggiandosi allo stipite della porta, senza entrare.
Felicity annuì e trangugiò l'ultimo sorso di caffè dal fondo della tazza. -Si, ma continua a non piacermi.-
L'alleanza tra il Distretto 11 e il suo era andata a buon fine e non erano i suoi compagni a preoccuparla: l'amicizia tra Felicity e Camille invece era un altro paio di maniche.
I rapporti tra maghi e streghe di Distretti diversi avevano sempre attirato l'attenzione e l'entusiasmo degli abitanti della Capitale, e non solo.
Troppa attenzione.
E Felicity odiava essere sotto gli occhi di tutti, costantemente.
-Ne sono consapevole.- disse la donna, avvicinandosi. -Ma è la strategia migliore da adottare. Se vuoi vincere.-
L'ultima affermazione colse Felicity di sorpresa.
-Se vogliamo vincere.- la corresse. -Camille, Brian, Derek ed io.-
-Brian e Derek hanno tredici anni e sono degli incapaci. Camille è in gamba, ma non avrebbe il coraggio di uccidere qualcuno, glielo si legge in faccia. Tu sei l'unica sulla quale scommetterei a cuor leggero.-
Le parole della sua mentore erano dure, ma Felicity sapeva, in cuor suo, che erano vere.
In cinquantanove edizioni degli Hunger Games, ma più di un mago o di una strega all'anno avevano vinto.
Quasi mai ne venivano estratti così tanti come quell'anno, poi.
-Hai ragione.- ammise Felicity. -Ma Camille è una mia amica. A volte è strana certo e non la conosco nemmeno tanto bene, ma non la lascerò morire senza fare niente.-
La donna sospirò, ma alla fine sorrise.
-Lo trovo un atteggiamento nobile, ma non dimenticare mai quello che ti ho detto. Me lo prometti?-
Il silenzio invase per qualche attimo la stanza, poi si udì lo sbuffo contrariato di Felicity.
-Certamente.-
 

La piattaforma continuava a scendere e Felicity, stretta nella sua tuta nera, non vedeva ad un palmo dal suo naso.
Non le piaceva stare al buio, la faceva sentire indifesa, e fu quasi tentata di accendere una fiammella, almeno per illuminare il vuoto che la circondava, ma non ne ebbe il tempo.
La luce arrivò, puntuale e blu.
Non ci mise molto a scoprire che era in fondo al mare, insieme agli altri ventitré Tributi.
La rabbia la sopraffece all'istante e Felicity mollò un pugno alla teca di vetro, che non traballò nemmeno.
Un altro elemento che odiava più del buio, era l'acqua salata, quella che non era utile nemmeno da bere.
Cercò con lo sguardo Camille e la trovo a pochi passi da lei, seduta per terra e con gli occhi chiusi.
Se possibile, Felicity si arrabbiò ancora di più.
Il conto alla rovescia scorreva sempre più veloce e Camille si preoccupava di... Pregare?
Quando però Felicity si rese conto di dove le sue mani fossero appoggiate e degli strani movimenti della sabbia, si rese conto di quanto fosse stata stupida.
Allo scadere dei sessanta secondi, la teca non fece nemmeno in tempo a sollevarsi che si ritrovava già sulla spiaggia, con i vestiti grondanti d'acqua, ma i polmoni sani e salvi.
Brian ci mise qualche secondo per riprendersi e rendersi conto di quello che era accaduto, mentre Derek si preoccupava di tossire ed espellere l'acqua che aveva ingoiato: probabilmente si era dimenticato di chiudere la bocca.
Camille, dal canto suo, era asciutta e seduta nella stessa posizione di prima, sorridente e tranquilla.
-Sei un genio amica, lasciatelo dire.- si complimentò Felicity, precipitandosi verso di lei e aiutandola a rialzarsi.
-Oh, non ho fatto niente di che.- si schernì Camille, appena imbarazzata.
Per lei era facile parlare così: non aveva mai avuto problemi di controllo dei poteri o di concentrazione.
Era una Strega della Terra.
L'unico problema di Felicity era l'indomabilità del suo elemento, che unita al suo carattere tutt'altro che arrendevole, erano un'accoppiata difficile da gestire.
In quei giorni aveva imparato qualche trucco in più, proprio da Camille, ma era ben lontana dal suo stesso auto-controllo.
-Rimpiango solo di non essere riuscita a prendere niente dalla Cornucopia.- commentò Camille, senza badare ai pensieri della compagna. -A quest'ora sarà tutto nelle mani dei Favoriti.-
-E di Lucinda.- aggiunse Felicity, con una smorfia.
Ammettere che anche lei sapesse usare alla grande il suo potere era difficile, ma innegabile.
-Sarà meglio spostarci.- gracchiò Derek, con una mano sulla gola.
Brian lo affiancò, annuendo e ridendo nel contempo.
-Sembri mia nonna.- disse subito dopo, suscitando le risate di tutti.
Derek li guardò male. -Vorrei vedere tu con due litri d'acqua giù per la gola.-
-Evidentemente io ho tenuto la bocca chiusa, a differenza tua.-
Mentre quei due iniziavano a discutere animatamente, l'acqua davanti a loro iniziò a ribollire e prima ancora che Felicity potesse dire qualcosa, Camille fece dietrofront e iniziò a correre come una matta nel bosco.-Sono i Favoriti, ci scommetto!-
La seguirono a ruota e si rifugiarono tutti in un cespuglio, appena in tempo.
Lucinda e Nick furono i primi ad uscire dall'acqua, seguiti dagli altri loro compagni.
E com'era inevitabile che succedesse, erano carichi di zaini.
Vederli così felici, così potenti, fece aumentare la rabbia di Felicity.
Nell'ultimo periodo, lo ammetteva anche lei, si arrabbiava troppo spesso e aveva iniziato a prendere tutte le questioni sul personale.
In quel momento, mentre gli altri si costringevano al silenzio, lei avrebbe voluto urlare tutto il suo disappunto.
Da quando aveva messo piede nell'arena, dal primo secondo, non aveva potuto far altro che augurarsi che fosse tutto uno scherzo.
Un'arena in fondo ad un mare, con una Strega dell'Acqua in gara, e Favorita per di più, non poteva essere solo una semplice coincidenza.
Poi il modo in cui tutti i capitolini l'avevano applaudita all'intervista, il dieci alle sessioni private, superiore al suo nove di un solo punto, e anche la sua entrata
fenomenale nella sfilata.

Se Felicity era meravigliosa, Lucinda era fantastica.
Se Felicity era potente, Lucinda era invincibile.
L'acqua batteva il fuoco, lo diceva la logica.
Ma Felicity non aveva mai fatto affidamento sulla logica.
Li guardò sparire nella foresta, rammaricandosi solo di non aver convinto Alexander ad unirsi al suo gruppo.
Erano due contro due: con un altro mago dalla loro parte, Felicity avrebbe facilmente convinto Camille ad attaccarli all'istante, mentre Brian e Derek si sarebbero riparati da qualche parte, e avrebbero rimediato così tutte le provviste e gli oggetti che ora invece erano nelle mani dei Favoriti.
-A cosa pensi?- le sussurrò Camille nell'orecchio, mentre i loro nemici erano ormai spariti dietro gli alberi.
-Domani li attacchiamo.- risponde Felicity, premurandosi di farsi sentire anche dai loro compagni. -E prendiamo la loro roba.-
Camille spalancò gli occhi e scosse la testa. -Pessima idea. Si tratta di un furto.-
-Sono gli Hunger Games.- obiettò Felicity, sorridendo furbamente. -E se gli Strateghi possono permettersi di giocare con le nostre vite, noi combattiamo.-


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Angolo d'autrice:
Secondo capitolo dell'arena, punto di vista di Felicity!
La ragazza è un po' combattuta per il fatto che possiede si il potere più distruttivo di tutti, ma ha un po' di difficoltà nel controllarlo.
E vedere un'arena fatta d'acqua non l'aiuta!
Ringrazio come sempre chiunque abbia recensito, chi legge in silenzio e chi ha inserito la storia tra le preferite/seguite/ricordate.
Alla prossima,
Lucinda_Lockwood

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Capitolo 16
*** Attacco a sorpresa ***


The power of the elements- Attacco a sorpresa

 

 



 

"Chi è prudente e aspetta con pazienza chi non lo è,
sarà vittorioso"

 



Camminammo per un po' e anche se così facendo ci inoltravamo sempre di più nel folto della foresta, non avevamo ancora incontrato nessun tipo di minacce e il clima era piuttosto tranquillo.
Alexander di tanto in tanto si alzava in volo, controllando all'orizzonte, ma puntualmente ci rassicurava e mi faceva salire una sorta d'invidia verso i suoi poteri: la sua agilità e la sua destrezza potevano fare la differenza tra la vita e la morte, molto più di quanto non avrebbe potuto farlo una scopa e noi altri non avevamo nemmeno quella.
Nella Cornucopia non c'era, il che in fin dei conti era un bene.
Inutile rovinare delle scope con l'acqua corrosiva del mare se poi non ci potevano essere di nessun aiuto.
Ci saremmo fatti bastare le gambe.
Solo quando il cielo si sfumò di arancione e il sole si apprestò a tramontare, Nick ordinò di fermarci.
-Accenderemo un fuoco, mangeremo qualcosa e poi possiamo iniziare con i primi turni di guardia.- esordì e il suo tono sembrava non lasciare spazio a contestazioni.
Alexander però non riuscì a stare zitto.
-La foresta brulica di mostri e noi vogliamo stare vivi, giusto?- domandò, con un tono che mi faceva innervosire: doveva essere il suo modo di fare, ma quando parlava sembrava sempre che stesse spiegando una questione facilissima a qualcuno che non ci arrivava troppo con la testa.
E quel qualcuno eravamo noi.
-Dove vorresti arrivare?- esclamai scocciata.
Lui mi guardò e fece spallucce.
-Con il fuoco sarebbe una sorta di messaggio.- spalancò le braccia e si mise a
urlare a squarciagola -Ehi ibridi, siamo qui! Perché non venite ad assaggiarci?-
Sobbalzai, come punta da un ago, e mi aspettai un attacco da un momento all'altro, che però non arrivò.
Mi rilassai impercettibilmente, per poi fare un rapido cenno con la mano, a dargli ragione -Hai reso l'idea.- dissi, limitandomi a guardarlo male.
-Quindi cosa suggerisci sapientone?- chiese Nick, anche se era chiaro che gli costava molto.
-Basterà trovare la corrente giusta e...Voilà.-
Un leggero venticello si sollevò da terra, spirando nelle fessure delle nostre tute e riscaldandoci all'istante le ossa.
Non era una bella trovata, era una vera e propria genialità.
-Bravo Eolo.- approvò Alton, entusiasta.
Squadrai Alexander, per poi mostrargli il pollice.
Non soffrivo troppo il freddo grazie ai miei poteri, ma i denti di Joey battevano già da troppo tempo e se non l'avesse fatto smettere lui, ci avrei pensato io, solo in un modo un po' più brutale.
Il colpo dei cannoni spezzò l'aria in quell'istante, gelandoci sul posto.
Mi scoprii a contare in silenzio i colpi: uno, due, tre, quattro, cinque, sei e sette.
Chi o cosa poteva aver fatto fuori così tanti Tributi in un colpo solo?
-Il primo turno di guardia lo faremo io e Lucinda.- disse Nick e mi trovò d'accordo.
Eravamo di certo i più riposati del gruppo.
-Tre ore per gruppo dovrebbero bastare. A mezzanotte toccherà a Joey, Melyanna e Alexander, poi nell'ultimo turno ci penseranno Alton e Olimpia. Tutto chiaro?-
Annuimmo, per poi tornare alle nostre attività.
Il colpo dei cannoni non mi aveva turbato, mi aveva solo riempito di curiosità: ero ansiosa di scoprire chi fosse apparso nei caduti quella sera, durante il riassunto dei morti della giornata.
I maschi scomparvero nella foresta alla ricerca di un cibo più sostanzioso di quello trovato negli zaini, mentre io, con Melyanna e Olimpia, rimanemmo sedute sotto l'albero che avevamo scelto come riparo per la notte.
Intrecciai dei bicchieri con le grandi foglie che cadevano dai rami sopra di noi e con un veloce gesto della mano le riempii d'acqua, per poi passarli pieni alle altre due.
Li accettarono di buon grado, ringraziandomi, e una volta che si furono idratate, mi lanciarono un'occhiata divertita.
-Che avete voi due?-domandai, forse un po' troppo bruscamente.
Sembravano non averci fatto caso e continuavano imperterrite a ridersela sotto i baffi.
Persino Olimpia, così grossa e brutale, sembrava una normale ragazzina di sedici anni in quel momento.
-Prevedo sviluppi interessanti.- disse proprio lei, guardando poi verso Nick, che si era ritirato in un angolo a scuoiare chissà cosa con un coltello.
Seguii il loro sguardo, poi mi alzai in piedi e andai davanti a quelle due,
mettendomi le mani sui fianchi.
-Dovrei sapere qualcosa?-
Scoppiarono a ridere, mentre Melyanna fece un gesto di noncuranza -Ci sembrava solo strano che mentre tu e Joey parlavate, Nick non smetteva di lanciare occhiate assassine al tuo amichetto. E poi guarda caso, vi ritrovate nello stesso turno di guardia...-
Le guardai scandalizzata, rendendomi conto che quei discorsi assurdi non solo erano fatti in una situazione di potenziale pericolo, ma erano anche sotto il naso di tutta la Capitale, in diretta nazionale.
-Siete impossibili.- bofonchiai, girandomi dall'altra parte, per mascherare il rossore delle guance.
In che razza di gruppo mi ero andata a cacciare...
Fui salvata dall'arrivo di Alton e degli altri, con la cena a fettine sanguinolenti tra le mani.
Cercai nel mio zaino il sacchetto di carbone che avevo intravisto prima studiandone il contenuto e anche i fiammiferi.
Li porsi a Joey, ma poi ci ripensai e li porsi a Nick, che accese all'istante una fiammella e la buttò in mezzo ai carboni.
Il mio compagno di Distretto non era molto affidabile, probabilmente avrebbe incendiato in un batter d'occhio l'intera foresta.
Una volta terminata la cena, tutti si rannicchiarono nei loro sacchi a pelo e caddero subito in un sonno profondo.
Dal canto mio, rimasi nei pressi del carbone accesso, giocando con la sottile nuvoletta di fumo che si sollevava dal mucchietto nero e sentendo chiaramente gli occhi di Nick su di me.
-Dicono che se guardi una cosa a lungo per troppo tempo al buio, rischi di perdere la vista.- sussurrai nella sua direzione, senza però togliere l'attenzione dal carbone.
Le mie parole improvvise lo fecero sussultare, ma non per questo distolse lo sguardo.
-Correrò il rischio.-
Fu il mio turno di rimanere spiazzata, mentre la mia mano si era fermata a mezz'aria.
-Poi non dire che non ti avevo avvertito.- riuscii a sillabare, nascondendo l'irritazione.
Avrei di gran lunga preferito fare il turno di guardia con Joey, lui almeno riusciva a capire quando non avevo voglia di parlare.
-Sempre sulla difensiva, Lucinda?-
Doveva essere duro di comprendonio.
Cosa del mio sbuffo, della mia occhiataccia e del mio tono non aveva capito?
-Perché dovrei?- domandai, non trovando di meglio da dirgli.
-Non si risponde ad una domanda con un'altra domanda.- sentenziò, portando finalmente lo sguardo sulla spada che stringeva in mano.
Repressi l'istinto di strozzarlo ingoiando tutto il nervosismo e l'irritazione, sorridendo poi fintamente.
-Qualcuno ha specificato che nei turni di guardia bisogna parlare?- chiesi ancora, con il tono più ingenuo possibile.
Lui non sembrò capire la mia strategia e sorrise a sua volta.
-No, nessuno.- rispose.
-Ottimo.- mi portai le gambe al petto e appoggiai il mento sulle ginocchia, chiudendo quella conversazione.
Il simbolo di Panem illuminò in quel momento il cielo buio, accompagnato dall'inno della nazione: era il momento di scoprire chi era caduto in quel primo giorno di giochi.
La faccia del Tributo del 3 fu la prima ad apparire, seguita da quella della sua compagna.
Poi fu la volta dei Tributi del 6, seguiti dal ragazzo del 7 e dalla ragazza del 9, la compagna di Distretto di Alexander.
A chiudere la fila, il volto del Tributo del 12, segno che sia Camille che Felicity erano sopravvissute.
Prima che il cielo ritornò buio, apparì anche il conto alla rovescia: eravamo nell'arena da appena tredici ore ed eravamo rimasti in diciassette.
Non era un numero confortante, probabilmente gli Strateghi l'avrebbero tirata per le lunghe.
-Sfrutteranno tutti il tempo a loro favore.- mugugnai, attirando l'ennesima occhiata di Nick, che però ignorai.
Non ero dell'umore adatto per chiacchierare quella sera.

 

L'indomani mattina ero pronta per partire all'esplorazione dell'isola, nonostante avessi dormito si e no due ore.
-Melyanna, Olimpia e Lucinda resteranno qui a badare al nostro accampamento, noi andremo in esplorazione.- chiarì Nick, mentre si armava.
Lo guardai male.
-Non penso proprio.- esclamai, balzando in piedi -Io vengo in esplorazione con voi e Alexander rimane al campo.-
A Melyanna e Olimpia non dava fastidio rimanere lì sedute, ma io avevo troppi pensieri in testa e starmene con le mani in mano non mi avrebbe aiutato.
Per di più, preferivo tenere Joey sott'occhio.
Non dubitavo delle sue capacità e della sua forza bruta, ma l'avvertimento di Crystal mi rimbalzava costantemente in testa: sentivo che se lui sarebbe morto, non ci avrei messo molto a seguirlo a ruota.
E non potevo permettere che succedesse.
-Ti cedo il posto volentieri Lucinda.- acconsentì Alexander, sedendosi vicino all'albero con un sospiro di sollievo.
Guardai Nick con sfida, finché non fu costretto a cedere e senza nemmeno aspettarmi, si infilò nella foresta.
Afferrai al volo la mia ascia e il mio pugnale e li seguii, salutando gli altri con un gesto della mano.
Mi sembrava quasi di essere in gita, piuttosto che in una missione altamente suicida e l'unica nota stonata, era solo il caldo asfissiante.
-Questa temperatura... è... normale?- ansimò Joey.
-Direi di si, se siamo nei pressi di un vulcano.- rispose Nick, continuando a procedere.
-E perché siamo nei pressi di un vulcano?- chiesi scocciata, senza ricevere attenzioni.
Ci rinunciai, rimanendo a chiudere la fila.
Procedemmo per un po', in silenzio, con solo il ronzio delle zanzare a far da sottofondo.
-Ci siamo.- esclamò Alton ad un certo punto, correndo verso quello che sembrava un'apertura nel muro di alberi che ci circondava e sparendo dalla nostra vista.
Il suo urlo fu talmente improvviso che mi bloccò sul posto.
Nick partì all'inseguimento, seguito da Joey, e li avrei imitati anche io, se non fossi stata trascinata verso l'alto da una forza sconosciuta.
Imprecai per la sorpresa, ritrovandomi a dondolare a testa in giù, appesa ad una liana per la caviglia.
Ma ero pronta ad affermare che non era per colpa di una trappola, quella pianta si era mossa di sua spontanea volontà.
Il colpo di cannone mi raggiunse quando stavo ancora lottando per liberarmi, ma non proveniva dalla direzione che mi aspettavo.
-Hanno attaccato il campo!- strillai, indirizzando nel contempo un getto d'acqua verso l'alto, riuscendo miracolosamente a tranciare la liana che mi aveva imprigionata.
Atterrai a terra con un tonfo, sbattendo la testa su qualche pietra, ma non persi tempo a controllare l'entità del danno e corsi a più non posso nella direzione in cui erano spariti gli altri, sentendo chiaramente delle urla.
-Voi!- esclamai, riconoscendo subito Felicity e Camille, in piedi nella radura, che combattevano con Nick e Joey, mentre Alton era a terra e tentava disperatamente di spegnere le fiamme sulla sua schiena.
Mossi la mano rapida verso di lui, soffocando immediatamente il fuoco e lasciandolo bagnato fradicio, ma all'apparenza vivo.
Stavo per gettarmi anche io nella mischia quando le nostre avversarie si dileguarono, rapide com'erano arrivate, portandosi dietro i nostri zaini.
Feci per inseguirle, ma Joey mi prese per il polso e scosse la testa -Dobbiamo
pensare al campo.-

Ritornammo indietro più velocemente possibile, ma non bastò.
Lo spiazzo era vuoto, tutte le nostre cose erano distrutte e degli altri nemmeno l'ombra.
Gli cercammo dappertutto, senza comunque allontanarci troppo, e trovammo solo delle grosse impronte e dei graffi sulle cortecce degli alberi.
-Porca puttana!- imprecò Nick, mollando un pugno al tronco più vicino.
La pianta ondeggiò appena e alcune foglie si staccarono, depositandosi poi con calma sul terriccio.
Mi lasciai cadere a terra, riprendendo fiato, mentre un altro colpo di cannone spazzava l'aria.
-Come hai fatto a prendere fuoco?- domandai poi a Alton -La mia stilista ha detto che il materiale delle nostre tute non era infiammabile.-
-Quella stronza del 12. Nemmeno sapevo io che aveva i poteri. E che non li sa controllare, non voleva nemmeno colpirmi! Ha solo alzato la mano e PUF!- borbottò, tastandosi con cautela la schiena -L'unica cosa di cui sono sicuro, è che la mia maglietta si è incendiata subito, tessuto infiammabile o no.-
Era impossibile che Crystal si fosse sbagliata, non avevo mai incontrato in vita mia una persona che si intendeva meglio di lei di moda e vestiti.
E mi sembrava anche abbastanza inusuale che avesse provato a ingannarmi: non ne aveva motivo!
-La buona notizia è che non c'è sangue in terra, quindi probabilmente sono riusciti a scappare.-
Nick si riprese dalla trans in cui era caduto e iniziò a riflettere, rapidamente.
-La cattiva è che dovremo trovarli. Se sono ancora vivi.- concluse.
-E non abbiamo più acqua da bere. Quelle megere ci hanno rubato gli zaini.- mugugnò Joey, sedendosi accanto a me.
-Per quello non c'è problema.- sbuffai -Basta ritornare al mare. Ci penserò io a renderla potabile.-
-Allora andiamo, non c'è tempo da perdere.-
Mi rialzai, tirando con me Joey, e mi incamminai dietro agli altri due.
Avevo i muscoli in fiamme per la corsa, la testa mi pulsava e avevo la guancia bagnata.
Quando ci passai la mano, scoprii che era sangue, ma non mi preoccupai: mi sarebbe bastata un po' d'acqua e una benda.
Nessuno parlo più, a parte gli sporadici commenti di Joey che camminava a fianco a me, ma che facevo finta di non notare.
Poi però disse, o meglio sussurrò, qualcosa che attirò la mia attenzione.
-Un vero peccato...- stava borbottando -...Un bel culo...-
Mi arrestai in mezzo alla foresta e lo afferrai per un braccio.
-Stai forse dicendo che quella dell'11 ha un bel culo?- sbottai infuriata.
Lui mi guardò e fece spallucce.
-Si, ha un bel culo.-
Continuò a camminare e poi si girò, sorridendo.
-Ma stai tranquilla, anche il tuo non è male.-
Nascosi un sorrisetto divertito e gli mollai un pugno sulla spalla, facendo più male a me che a lui, e lo lasciai lì, correndo dagli altri che intanto avevano raggiunto la spiaggia.
-E io che ti ho fatto un complimento!-
Lo ignorai, raggiungendo Nick in riva al mare.
Presi la borraccia, la riempii d'acqua e la scossi un po': si illuminò di un tenue bagliore azzurro e poi tornò del colore normale.
La assaggiai, assicurandomi che fosse dolce, e poi la passai al mio vicino, che la trangugiò tutta.
-Comunque è vero.- disse Nick, senza sollevare gli occhi dalle bottiglie che stava riempiendo.
Mi voltai verso di lui, guardandolo incuriosito.
-Cosa?-
-Che hai un bel culo.- sentenziò, alzandosi e lasciandomi lì da sola, turbata e con le guance in fiamme.
Non riuscivo a capire se mi faceva arrabbiare più il fatto che la notizia sarebbe passata in milioni di televisioni e che la gente avrebbe riso di me oppure il fatto che il mio cuore batteva a più non posso e non voleva fermarsi.
Sicuramente la prima.

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Angolo d'autrice:
Salve!
E finalmente un po' d'azione!
Camille e Felicity ci hanno attaccato, hanno quasi ammazzato Alton, ci hanno rubato gli zaini...
Presto la mia vendetta cadrà su di voi!
Ringrazio come sempre chiunque abbia recensito, chiunque abbia inserito la storia tra le preferite/seguite/ricordate e anche chi legge in silenzio, perché io so che ci siete!
Al prossimo capitolo,
Lucinda_Lockwood

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Capitolo 17
*** Un nuovo membro ***


The power of the elements- Un nuovo membro

 



 

"ll combattente migliore è quello che vanifica i piani del nemico;
secondo viene quello che sa spezzarne le alleanze; 
dopo colui che adotta lo scontro armato;
peggiore è infine chi ricorre all’assedio."



Il peso degli zaini appena presi ai Favoriti rallentava la loro corsa, ma Camille e Felicity non avevano bisogno di velocità per seminare i nemici.
Quando si girarono, per controllare se le seguissero ancora, trovarono solo alberi e piante ad oscurargli la vista.
Nessuna minaccia per il momento.
A corto di fiato, Felicity si fermò e Camille la raggiunse subito, all'apparenza infuriata.
-Si può sapere il perché di quella fiammata?- esplose, cogliendo di sorpresa la sua compagna.
Lei, che di solito era così calma, criptica, che nascondeva così bene le sue emozioni, sembrava una belva e i capelli, ricci e disordinati, la sua criniera.
-Non so controllarmi, lo sai!- esclamò Felicity, cercando di difendersi. -Eravamo in pericolo, dovevo fare qualcosa!-
-Hai rischiato di ucciderlo!- replicò Camille.
-Meglio lui che noi!-
Un fruscio sospetto interruppe il loro litigio e le colse di sorpresa, facendole sobbalzare.
-Chi è là?- chiamò Felicity, incapace di trattenersi.
Il gesto stizzito di Camille la zittì all'istante, aiutato dal tonfo incoraggiante che accompagnò le sue parole.
Si inoltrarono entrambe con attenzione nei margini della foresta e si fermarono solo quando videro una figura, appesa a testa in giù, che si dimenava furiosamente.
Nonostante la situazione pericolosa, Felicity arrossì nel riconoscere il Tributo che si dibatteva.
Alexander sgranò gli occhi quando le vide e solo il sangue freddo di Camille gli impedì di fare pazzie.
Unito a una buona dose di maniere forti.
Un suo gesto della mano ritirò la liana che reggeva Alexander per un piede e lo mandò a terra, sollevando una nuvola di polvere.
-Alexander, giusto?- domandò Camille, avvicinandosi. -Veniamo in pace.-
Sollevò le mani, come a voler sottolineare la verità della sua affermazione, e gli tese una mano, per aiutarlo a rialzarsi.
Dopo averla studiata a lungo, Alexander accettò il suo aiuto e si risollevò, spolverandosi i pantaloni.
-Hai perso i tuoi amichetti?- chiese ancora Camille, senza smettere di fissarlo truce.
-I Favoriti?- domandò Alexander, tossendo. -Mai stati miei amici.-
-E perché ti ci sei alleato?-
Felicity sembrava essersi ricordata solo in quel momento che avevano davanti un nemico e ritornò a indossare la sua facciata seria e minacciosa, che tanto sembrava incutere timore negli altri.
-Mio padre è uno storico della magia ed è interessato all'origine dei nostri poteri, dei quattro elementi.- spiegò Alexander, con lo sguardo fisso a terra. -E non ha mai incontrato una Strega dell'Acqua nella sua vita. Spero di vivere a sufficienza e tornare a casa, per raccontargli quello che ho visto fare a Lucinda.-
Felicity serrò la mascella, infastidita, e Camille sollevò un sopracciglio.
Sapeva che Panem non abbondava di Streghe dell'Acqua e che comunque erano rare rispetto alle Streghe della Terra e ai Maghi dell'Aria, come Alexander, ma in quanto a diffusione, nessuno riusciva a battere Felicity.
Le Streghe di Fuoco erano pressoché estinte, non c'era più nessuna nei Distretti, perché erano state tutte trasferite a Diagon City.
La capitale si impegnava a nascondere i loro scopi e ciò che di oscuro facevano, ma il padre di Camille sapeva e, di conseguenza, lo sapeva anche lei stessa.
-Ora si spiega tutto.- constatò Camille, guardandolo di sbieco. -E scommetto che, essendo il tuo piano fallito, i tuoi obiettivi sono cambiati.-
Alexander sollevò lo sguardo e lo puntò su Felicity, sorridendole.
-Non ho mai visto una Strega di Fuoco e sarebbe un onore assistere ad un tuo incantesimo.-
Dopo essere arrossita di nuovo e aver sollevato uno sguardo curioso da parte di Camille, Felicity annuì e fece cenno ad Alexander di seguirle.
-Stiamo tornando al nostro campo, abbiamo lasciato Brian e Derek lì. Puoi venire con noi.- propose Felicity, ignorando l'occhiataccia della compagna.
Camille era certa che stessero facendo un enorme sbaglio.
Era sempre stata piuttosto leale e disponibile verso gli altri, di chiunque si trattasse, ma in quel momento non ci riusciva.
Soli due giorni nell'arena e già la diffidenza si era impossessata di lei, dopo che si era ripromessa così tante volte di non permetterlo.
Stiracchiò le labbra in un sorriso e si mise alla testa del gruppo.
-Va bene.- sbuffò Camille verso Felicity. -Ma non farmene pentire.- aggiunse, guardando Alexander.
Si sistemò meglio lo zaino sulla spalla e la cintura di esplosivi intorno alla vita, poi si incamminò verso il folto della foresta, apparentemente senza una vera meta, ma seguendo un percorso ben preciso.
Disseminati sui vari alberi del bosco c'erano dei lacci colorati e Camille li usò per ritornare al loro campo, senza incontrare particolari difficoltà lungo il percorso.
Dopo aver spostato l'ennesimo ramo, la chioma scura di Brian si mosse rapida verso di loro, chiamandoli a gran voce.
-Camille! Felicity! C'è un proble...- si bloccò spontaneamente alla vista di Alexander e strinse il coltellino che teneva in mano, indeciso sul da farsi.
-Calma B. É con noi.- lo tranquillizzò Camille, guardandosi intorno. -Dov'è D.?-
Quegli strani soprannomi che prima suscitavano sempre un sorriso sulle labbra a chi li pronunciava, non sortì alcun effetto sul viso duro di Camille.
-Era finita la legna e Derek si è offerto di andare a prenderla.- spiegò concitatamente Brian, dopo aver guardato con sospetto Alexander. -E non è ancora tornato.-
-Da quanto manca?- chiese Felicity, preoccupata.
-Venti minuti, più o meno.-
Il colpo di cannone sparò in quel momento, seguito da un ruggito profondo e dallo schianto di un albero.
Un grido strozzato abbandonò le labbra di Camille, che lo smorzò subito con una mano.
Alexander fece appena in tempo a sollevarsi in volo e a gridare di scappare, che il ruggito si rifece sentire, molto più vicino di prima, e gli alberi dietro al gruppo si spezzarono.
Dopo aver afferrato la mano di Brian, Camille scattò in avanti e ritornò a tutta velocità dalla direzione in cui erano venute, trascinandoselo dietro.
Si voltò un secondo indietro, giusto il tempo di accertarsi che ci fossero anche gli altri, e poi riprese a correre, con il cuore a mille.
Le radici si ritirarono, i rami si spostarono dietro a un silenzio comando di Camille
e le facilitarono la corsa
Nemmeno sapeva dove stessero andando, l'unica cosa chiara era che dovevano allontanarsi da quella creatura perché, qualunque cosa fossero, non potevano affrontarla senza perdite.
In un lampo di genio, slacciò un piccolo cilindro dalla sua cintura e la lanciò in dietro.
La bomba subito esplose e colpì la testa del mostro, che ruggì di nuovo, ferito e arrabbiato.
Ne lanciò un'altra, poi ancora un'altra e un'altra.
Non appena superarono il campo semidistrutto dei Favoriti, capirono che ormai la spiaggia era poco distante.
Brian a un certo punto inciampò e si tirò dietro Camille, cadendo di faccia sulla tera.
Il corpo della Favorita del 2 era a pezzi, ricoperto di sangue e spappolato da chissà cosa.
-Cosa l'avrà ridotta così?- domandò inorridito Brian, incapace di togliere lo sguardo da quella visione orrenda davanti a lui.
-Credo di saperlo.- sussurrò Camille, alzandosi di scatto e precipitandosi verso un altro corpo, a fianco di quello di Olimpia.
Derek era completamente insanguinato, gli mancava una gamba, ma il suo petto si muoveva ancora, su e giù, troppo rapidamente.
Lo afferrò per le braccia e fece cenno a Felicity di fare altrettanto, mentre Brian corse avanti, intuendo l'ordine di Camille.
Alexander era scomparso e il ruggito del mostro si avvicinava.
-Sollevalo!- urlò Camille, affannata. -Portiamolo in mare!-
Con fatica, riuscirono a sollevarlo e a trascinarselo dietro, dritti verso la spiaggia.
Il mostro, per tutta risposta, li inseguì ancora per qualche metro, poi ruggì di nuovo, scuotendo il terreno, e tornò da dove era venuto.
Il mare era sempre più vicino e fu con un certo sollievo che si buttarono tutti in acqua, girando Derek sulla schiena per evitare che affogasse.
Aveva gli occhi chiusi e respirava sempre più lentamente.
Camille lo scosse a lungo, lo chiamò e lo pregò di svegliarsi, ignorando il dolore allucinante alla caviglia, probabilmente slogata.
Felicity non parlava, non riusciva dire nulla, e continuava a guardarsi intorno, alla ricerca di Alexander.
Il cannone per Derek sparò in quel momento e Brian scoppiò in lacrime, liberando tutta la tensione e la paura accumulate in quei minuti concisi.
Dopo aver accarezzato delicatamente una guancia del compagno, Camille lo sospinse in avanti, abbandonandolo alla corrente.
L'overcraft spuntò subito e con il braccio di metallo lo sollevò, portandolo a bordo e sparendo all'orizzonte.
Felicity sospirò e si sedette in acqua, con la testa tra le mani, ma Camille non ebbe nemmeno il tempo di chiederle quando si fosse separata da Alexander: il mare intorno a loro prese a ribollire, sinistramente.

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Angolo d'autrice:
In arrivo...

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Capitolo 18
*** Il labirinto di Dedalo ***


The power of the elements- Il labirinto di Dedalo



 

"La vita è un labirinto,
nel quale si prende la via sbagliata
ancora prima di imparare a camminare"



Il viso di Olimpia era comparso insieme a quello della ragazza del 7, durante il riassunto dei caduti della giornata.
Nick si alzò furibondo e scomparve nella foresta, ignorando il buio e i ruggiti che continuavamo a sentire dal pomeriggio.
Olimpia doveva essere stata una grande amica per lui, forse aveva promesso di proteggerla, così come avevo fatto io per Joey, e aver fallito lo riempiva di rabbia.
Mi apprestai a seguirlo, quando Alton mi fermò -Se la caverà, è meglio lasciarlo da solo per il momento.-
Stavo per rimettermi seduta, quando delle voci mi fecero voltare di nuovo verso la foresta.
Ma non era la voce di Nick quella che si sentiva: doveva essere un bambino, a giudicare dal timbro infantile.
Feci un rapido cenno a Joey che, senza fiatare, si alzò e calpestò i pezzi di carbone ancora acceso, per poi seguire me e Alton al riparo, lontano dalla spiaggia.
Nick ci raggiunse e nello stesso istante tre persone sbucarono dalle piante e si fiondarono correndo nel mare, abbandonando i loro averi sulla sabbia.
Trascinavano qualcuno a braccia, ma nel buio non riuscivo a capire chi era.
Immaginai comunque che fosse qualcuno di ferito, a giudicare dal modo in cui se lo tiravano dietro.
-Sono quelle che ci hanno attaccato oggi.- bisbigliò Alton.
Strizzai gli occhi e notai all'istante la chioma riccioluta di Camille, che si affannava sopra ad un bambino.
-Ho un piano per riprenderci i nostri zaini. Fate silenzio.- sussurrai e senza nemmeno aspettare la risposta degli altri, entrai in azione.
Infilai le mani in cespuglio verso il mare, non prima di essermi levata i guanti di protezione, e trattenni una smorfia di disgusto.
Se solo fossi stata più vicino, avrei anche fatto a meno di quella copertura, ma in mancanza d'altro mi accontentavo anche di una mimetizzazione del genere.
Fissai l'acqua intorno al gruppetto e nemmeno mezzo secondo dopo, iniziò a ribollire.
Camille cacciò un urlo di terrore e provò a fuggire sulla spiaggia, ma non glielo permisi: l'acqua si raccolse su se stessa e sotto la mia spinta silenziosa, formò un mostro alto cinque metri, identico a quelli che avevo evocato nella mia prova individuale davanti agli strateghi.
Abbandonarono il ragazzo ormai morto e sfoderarono le armi, pronti a combattere.
Feci un cenno agli altri, ma solo Nick ebbe i nervi freddi abbastanza per alzarsi e, senza farsi vedere, recuperare gli zaini.
Alton e Joey erano rimasti immobili, a bocca spalancata, e li dovetti scuotere a lungo prima che si riprendessero.
Poi fuggimmo nel folto della foresta con il nostro bottino, senza riuscire a trattenere le risate.
-Devo ammetterlo Lucinda, sei un genio!- rise Nick, fermandosi solo quando il mare scomparve dalle nostre spalle.
-E stai sanguinando.- aggiunse, passandomi una mano sulla fronte.
Nella foga di scappare, dovevo aver fatto un movimento brusco e la ferita si era riaperta.
Joey frugò nello zaino, scuotendo la testa.
-Hanno fatto piazza pulita delle nostre pozioni curative.- esclamò indignato, ma fu interrotto da una strana musichetta e da un piccolo contenitore, che scese dal cielo insieme a un paracadute.
Lo presi meravigliata, scoprendo che al suo interno c'era una pomata per i tagli e delle bende.
Li passai a Nick, che iniziò a medicarmi, e presi il biglietto sul fondo del barattolo.
 

Continua così

       C.

 

Sorrisi, mostrando agli altri il messaggio.
-Chase ti ha perdonato davvero! Se non l'avessi visto, non ci avrei mai creduto.- esclamò Joey.
-Avevi litigato con il tuo mentore?- domandò Alton incuriosito, mentre Nick mi guardava divertito.
-Una cosa da nulla.- bofonchiai, con un gesto noncurante della mano.
Una fitta alla testa mi trapassò in quell'istante, strappandomi un gemito.
-Fermiamoci a riposare. Così la tua fronte avrà tempo di guarire. E per stasera salterai il turno di guardia.-
Ringraziai Nick con un cenno del capo e mi distesi, sospirando di sollievo quando la stoffa gelida del sacco a pelo poggiò sulla mia tempia.
Le ferite da nulla erano sempre quelle più dolorose e fastidiose e la testa era sempre il punto che sanguinava più di tutti gli altri se colpito.
Si, anche io avevo seguito le basi del pronto soccorso in passato.
Atos, il mio allenatore, era dell'opinione che se sapevi applicare un cerotto nel modo giusto, eri a cavallo.
Dopo aver mangiato un pezzo del coniglio che avevamo catturato la mattina, lasciai scivolare nel dormiveglia, senza smettere di sorridere al ricordo degli anni passati: non mi ero mai resa conto di essermi divertita così tanto.
Ma la pace non durò che poche ore.
Il pavimento all'improvviso iniziò a tremare, come se qualcuno di troppo grande si stesse avvicinando, e il ruggito più potente che avessi mai sentito ci raggiunse dagli alberi dietro di noi.
Scattai in piedi e infilai tutte le mie cose nello zaino, non avevo alcuna voglia di perderle un'altra volta, e raggiunsi gli altri vicino al fuoco.
-Che succede?- domandai con il fiato corto.
-Niente di buono.- rispose Alton, calpestando a lungo il carbone per spegnerlo.
I passi si avvicinavano rapidamente e noi non sapevamo cosa fare.
Poi, al bagliore della luna, due enormi corna brillarono in lontananza e capii all'istante: eravamo in una marea di guai.
-Scappiamo!- esclamai spaventata, prendendo per un braccio Joey e
trascinandomelo dietro.

-Cos'è quel coso?- urlò Nick, affrettandosi comunque dietro di noi.
-Un Minotauro.-
Feci fatica a credere alle mie stesse parole, ma la sagoma che riuscivo a intravedere al buio era inequivocabile.
-Non c'erano ai tempi dei Dinosauri.- ansimò Nick, zigzagando veloce tra gli alberi.
Non ero mai stata un asso nella corsa e mai mi ero allenata troppo, non ero nata per scappare davanti ai pericoli, ma quando c'erano delle bestie mitologiche in ballo, le mie gambe non avevano tempo di batter la fiacca.
-Alexander si sarà sbagliato. Avrà sentito il suo odore e lo ha scambiato per qualcosa d'altro.- ipotizzai, anche se la mia testa avevo un'idea ben diversa.
-Non c'è posto per gli sbagli nell'arena. Eolo ci ha ingannati.-
Il soprannome di Alexander, che prima mi aveva strappato sempre una risata, non fece che incupirmi ancora di più: mi stava simpatico e non pensavo avesse un motivo per tradirci.
-Odia i Favoriti, come tutti gli altri. Dovevo stare più attento e non farmi accecare dal suo potere. Le nostre armi e te sarebbero bastati.- sibilò Nick, il volto trapassato dalla rabbia -Scommetto che è stato lui a uccidere Olimpia.-
Non riuscii a controbattere e mi limitai a continuare a correre.
I passi dietro di noi erano scomparsi, ma non poteva essere un buon segno: il Minotuaro probabilmente era arrivato al nostro accampamento di fortuna e dopo una bella annusatina, sarebbe ripartito all'attacco con noi come obiettivo.
Raggiungemmo una radura e ci fermammo per pochi attimi a riprendere fiato.
-Ehi, guardate là!- esclamò Joey, alzando un braccio a indicare qualcosa davanti a noi.
Un enorme costruzione di pietra sorgeva tra gli alberi, ma aveva un aspetto tutt'altro rassicurante: c'era un simbolo azzurro vicino all'ingresso buio e lo conoscevo bene.
-Non faremo che complicarci la vita entrando lì.- dissi, attirandomi li sguardi indignati di tutti.
Mi affrettai a spiegare: -Quello è il labirinto di Dedalo, il che nella mitologia greca significa “morte certa”. Non ne avete mai sentito parlare vero?-
Alton e Joey scossero la testa, ma gli occhi di Nick si illuminarono.
-Certo! Ho sentito qualcosa del genere durante le lezioni di storia a scuola, ma non mi ricordo cosa...-
-Non c'è tempo per un riassunto. Sappiate solo che non è prudente entrare. É impossibile che sia il vero Labirinto, ma non ho nessuna voglia di ficcarmi in un prototipo che trasuderà trappole da ogni parte. Continuiamo a correre o escogitiamo qualcosa per uccidere il bestione.- conclusi, interrompendolo.
Joey mi fissò per un secondo e poi portò una mano in avanti. -Voto per la seconda.-
Alton lo imitò, seguito a ruota da Nick.
Poggiai a mia volta la mano sopra le loro, e sorrisi sicura.
-Ottimo. Ho già qualcosa in mente.-
Gli spiegai brevemente il mio piano, rammaricandomi mentalmente dell'assenza di Alexander: con lui sarebbe stato tutto più facile, ma ce la saremmo cavati lo stesso.
Dopo avermi ascoltato, ognuno andò alle proprie postazioni.
Alton, con la sua tuta rossastra, avrebbe provato ad attirare l'attenzione del Minotauro, visto che era un toro alla fine, mentre Joey e Nick mi avrebbero coperto le spalle in caso di un altro attacco non previsto, visto che ero io la punta dell'azione.
I passi della bestia si avvicinarono rapidi e il suo respiro era talmente
nauseabondo che le piante intorno a noi cominciarono a inaridirsi.

Mi tolsi i guanti, infilandomeli nella stessa tasca dell'anello, e mi rannicchiai nei cespugli vicino all'entrata.
Il Minotauro spuntò dalle piante in quell'istante, annusando pesantemente l'aria, e non ci mise molto ad individuare Alton.
Partì all'attacco e nonostante la sua rapidità sugli zoccoli, non mi trovò impreparata.
Appoggiai le mani a terra e subito l'acqua lo attaccò, trascinandolo inesorabilmente verso l'entrata.
Con un salto, Alton si spostò dalla sua posizione infelice, mentre il Minotauro scivolò nel buio del Labirinto.
Rapida, puntai le braccia verso l'alto e i massi che sovrastavano l'entrata iniziarono a cadere, chiudendo l'accesso al Labirinto.
Ma anche quella volta, niente andò come previsto.
Una radice si allungò e afferrò la caviglia di Alton, trascinandolo dietro al Minotauro.
-Joey! Nick!- chiamai a gran voce, mentre invertii affannosamente il processo e provai a sostenere il peso delle rocce grazie all'onda di acqua.
Loro afferrarono ciascuno un braccio di Alton e iniziarono a tirare dalla parte opposta, ma un'altra radice spuntò dal buio colpendo Joey e mandandolo a
sbattere contro il tronco di un albero.

Nick cadde all'indietro sbilanciato e mollò la presa, mentre Alton veniva trascinato inevitabilmente nel Labirinto, invocando il mio nome.
Il peso dei massi divenne insostenibile e fui costretta a mollare la presa, con le lacrime agli occhi.
La valanga di roccia sigillò l'entrata e mi trovò troppo vicina: una pietra si staccò dal mucchio e atterrò su di me, ma riuscii ad evitarla buttandomi negli alberi e sbattendo di nuovo la testa.
La vista mi si appannò e l'ultima cosa che vidi fu Nick che correva a grandi passi verso di me, accompagnato dal rumore del cannone.
Poi, il buio.

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Angolo d'autrice:
Ed eccomi qua con il capitolo POV Lucinda!
So benissimo che ho un sacco di recensioni in arretrato e mi impegnerò a rispondere, al più presto!
Per quanto riguarda il nuovo capitolo, è morto Alton!
Mi dispiace per la sua morte e non me lo aspettavo!
Prossimo capitolo, ancora punto di vista di Felicity.
Nel frattempo, ringrazio come sempre chi ha letto, recensito e chi ha inserito la storia tra le preferite/seguite/ricordate.
Alla prossima,
Lucinda_Lockwood

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Capitolo 19
*** Salvataggio sul filo del rasoio ***


The power of the elements- Salvataggio sul filo del rasoio



 

"Non è mai facile scegliere tra ciò che è giusto
e ciò che è facile"



Felicity aveva visto il Minotauro, aveva capito cosa aveva ucciso Derek e sembrava ormai preparata a tutto, anche a incontrare il Labirinto di Dedalo sulla sua fuga dal mostro, ma mai si sarebbe aspettata di vedere Camille compiere quello che aveva fatto.
Si erano resi conto subito che il mostro d'acqua era un trucco di Lucinda e non uno scherzo degli Strateghi e l'avevano appena sconfitto, quando si erano accorti che i loro zaini erano spariti.
I Favoriti si erano vendicati e ora loro volevano vendicarsi ancora, di nuovo, in un gioco senza fine.
“L'edizione della vendetta” era un perfetto riassunto di quei cinquantanovesimi Hunger Games.
Erano scappati nella foresta, dietro al Minotauro, ed erano arrivati appena in tempo per assistere al formidabile piano dei Favoriti.
La liana che aveva attirato Alton nelle profondità del Labirinto, trascinandolo verso morte certa, era stata mossa proprio dal potere di Camille.
E Felicity faticava ancora a crederci.
-Smettila di guardarmi così- la rimproverò Camille, con una mano su un tronco e l'altra sulla milza, a riprendere fiato. -Meglio noi che loro.-
-Concordo.- si limitò a dire Felicity, anche lei a corto di fiato.
Brian le guardava da sotto in su, stravaccato sul terreno, e non azzardava a commentare.
Aveva dodici anni, ma si era talmente abituato a vedere gente cadere e morire una dietro l'altra che non osava commentare sul fatto che proprio la sua compagna di Distretto aveva fatto fuori un Favorito.
-Piuttosto, dov'è andato Eolo?- domandò ironica Camille, guardandosi intorno.
-Qui sopra!-
Una voce improvvisa le fece sussultare e un tonfo a pochi metri di distanza da loro, suscitò un urlo di terrore da parte di Brian, che si tappò prontamente la bocca.
Alexander era in piedi davanti a loro, senza un graffio e sorridente per la sua ennesima fuga andata a buon fine.
-Carino da parte tua lasciarci da sole ad affrontare il Minotauro.- commentò acida Felicity, cercando di nascondere il sollievo che aveva provato a ritrovarselo lì davanti all'improvviso, vivo e vegeto.
-L'aria non può sottostare a nessuno.- rispose enigmatico Alexander, incamminandosi. -Fareste meglio a seguirmi, comunque.-
Brian lo fissò sconcertato mentre spariva dietro ad un albero e Camille si tamburellò la tempia.
-Non è pazzo.- protestò Felicity, apprestandosi a seguirlo. -Mi sembra normale che un Mago dell'aria non voglia barriere o pressioni.-
Camille sollevò le spalle, quasi a sottolineare la sua totale indifferenza per quella situazione, e Brian continuò a guardare il punto dove Alexander era scomparso con un certo sgomento.
-Andiamo!- esortò Felicity, afferrando Brian per un braccio e trascinandoselo dietro.
Dopo aver cancellato i segni del loro passaggio con una cura quasi maniacale, Camille li seguì, senza però trattenere un gemito di sorpresa dopo appena due passi.
Letteralmente appeso all'albero davanti a lei, con un ramo conficcato nel braccio, c'era Joey, con il volto pallido e imperlato di sudore e le palpebre chiuse.
Senza nemmeno richiamare gli altri, Camille gli corse incontro e studiò la ferita del ragazzo.
-Camille, che...- prima che potesse continuare, Felicity si bloccò in mezzo al sentiero, con una mano sulla bocca e un espressione di puro disgusto sul volto.
Brian non disse niente e si fiondò dietro ad un albero, a vomitare.
Alexander sembrava l'unico con abbastanza sangue freddo da fare qualcosa.
Non guardò nessuno negli occhi e si limitò a spezzare il ramo al quale era attaccato Joey, prendendolo per le braccia prima che potesse sbattere con la faccia sul terreno.
-Lo hanno abbandonato qui in queste condizioni?- domandò incredula Felicity, avvicinandosi solo quando girarono Joey su un fianco.
-Lucinda era svenuta, altrimenti non l'avrebbe permesso.- protestò Alexander, afferrando con entrambe le mani il legno.
-Tu dici?-
ignorò il tono ironico di Felicity e strinse la presa sul ramo.
Proprio in quel momento, Joey si riscosse e iniziò ad agitarsi.
Il viso di Camille davanti agli occhi e Felicity in piedi poco lontana non miglioravano il timore che gli si leggeva negli occhi.
Provò anche ad alzarsi, ma la presa ferma di Alexander glielo impedì.
-Stai giù, dobbiamo toglierti questo coso prima che si infetti o perderai il braccio.- spiegò concitatamente Camille. -E poi morirai.-
Joey strinse i denti, ma tornò a sdraiarsi su un fianco.
-Stringimi la mano se vuoi. E non cerca di non muoverti.-
Dopo aver afferrato la mano che Camille gli porgeva, Joey serrò forte le palpebre e fece cenno ad Alexander di proseguire.
-Felicity, prendi l'acqua e le bende dal mio zaino.-
Dopo aver lavato via il sangue secco, Alexander si asciugò le mani nella maglia e
tirò.

Il ramo uscì dal braccio di Joey con un forte schiocco e il suo urlo di dolore si diffuse per tutta la foresta.
Rapido, Alexander gli versò il resto dell'acqua sulla ferita, che aveva ripreso a sputare sangue, e gliela tampono con del muschio.
Poi la bendò.
-Spostiamoci da qui, siamo troppo in vista.- commentò subito dopo, pulendosi le mani in un altro pezzo di muschio.
-L'accampamento che abbiamo lasciato?- propose Brian, che nel frattempo era
tornato e cercava in tutti i modi di non guardare il braccio di Joey.

-Potrebbe essere un'idea.- acconsentì Camille. -Ce la fai a camminare?-
Joey annuì appena, fece due lunghi e profondi respiri e poi si risollevò
lentamente, facendosi forza con le gambe e con la mano di Camille, che non aveva ancora mollato per un secondo la sua.
-Ci sono.- rantolò, una volta in piedi.
Si vedeva chiaramente che non sarebbe durato per molto, la sua presa sulle gambe non era per niente salda e la strada per l'accampamento era lunga.
-Che si fa?- domandò Camille, preoccupata.
-Lo lasciamo qui?- ironizzò Felicity, rimettendosi lo zaino sulle spalle e ignorando l'occhiataccia di Camille.
-Lo portiamo a braccia.- disse invece Alexander. -Iniziamo io e Camille, poi faremo cambio con Felicity. B., tu vai avanti e cerca di liberare la strada da rami e radici. Se cade una sola volta, non si alza più.-
Uno sbuffo uscì dalle labbra di Joey, che stiracchiò le labbra in una smorfia.
-Non troppo ottimista, mi raccomando.- commentò.
Poi, quasi colto da un'illuminazione, sollevò di scatto la testa.
-Ma dov'è Lucinda?-
Non aveva fatto parola di Nick e forse fu proprio questo particolare che infastidì Camille, ma si costrinse a rispondere lo stesso.
-L'ultima volta che l'abbiamo vista era svenuta e ferita, proprio come te, ma c'era quello del 2 con lei.-
Il sollievo era lampante negli occhi di Joey, che si raddrizzò anche di qualche centimetro.
-Andiamo al vostro accampamento, riposo un po' e poi vado a cercarla.- disse sicuro, senza rendersi conto dell'occhiata di scherno che gli rivolse Felicity.
-Se volevi proprio morire, potevi dircelo prima di tirarti giù da quel ramo.- sibilò, scocciata, ma Alexander la fermò con un gesto, prima che potesse dire altro.
-Muoviamoci.- ordinò, incamminandosi verso la spiaggia.
Camille e Felicity si rivolsero un breve sguardo, ma poi si incamminarono a loro volta.
Stare zitti e seguire gli ordini di qualcuno non era per niente facile in un momento del genere.

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Capitolo 20
*** Verità svelate ***


The power of the elements- Verità svelate



 

"L'uomo crede più facilmente vero
ciò che vuole sia vero"



La prospettiva del sogno che mi tormentava così frequentemente negli ultimi tempi cambiò: non stavo più fuggendo dagli altri Tributi, non ero in pericolo, ero io ad attaccare.
Ma allo stesso tempo non ero nel mio corpo.
Ero troppo alta, troppo grossa, troppo... Maschio.
Ero Alton.
Mi svegliai di soprassalto, drizzandomi a sedere, e sbattendo contro qualcosa di duro.
Mi lasciai ricadere all'indietro, con una mano sulla testa fasciata, e cercai di mettere a fuoco il volto che mi sovrastava.
-Si può sapere cosa avete tutti contro la mia testa?- sbottai, trattenendo un gemito.
Nick si risollevò, guardandomi male. -Bel modo di ringraziarmi.-
Mi porse un piatto di minestra con un cucchiaio e del pane, accorgendosi poi del mio sguardo meravigliato.
-Hai degli ottimi sponsor Lucinda.-
Seguii la sua occhiata e notai che, nell'angolo della tenda dentro cui ero coricata, c'era un piccolo paracadute, simile a quello che avevo già ricevuto.
Non feci altre domande e mi avventai sulla zuppa, senza nemmeno godermi il calore e il piacere che ogni boccone provocava al mio stomaco vuoto: era da quasi due giorni che non toccavo cibo e non ero affatto abituata a soffrire la fame.
Nemmeno la presenza di Nick e i suoi occhi fissi su di me riuscirono a distrarmi e me ne preoccupai solo quando terminai il pasto.
A ben guardare, sembrava parecchio triste e demoralizzato.
-Dov'è Joey?- domandai con un filo di voce, accorgendomi solo ora dell'assenza
del mio amico.

-Ho dovuto...- provò a dire, ma si bloccò davanti al mio sguardo.
-Hai dovuto?- ripetei, incitandolo a continuare.
Nick prese un respiro profondo e pronunciò le parole che mai avrei immaginato di dover sentire -Ho dovuto abbandonarlo, non riuscivo a portare entrambi. E la tua testa sanguinava molto. Ho trovato una grotta e ti ho portato qui.
Fortunatamente le medicine sono arrivate subito.-

Impiegai parecchi secondi a digerire la notizia e la zuppa che fino a poco prima avevo mangiato con così tanto entusiasmo, brontolò pericolosamente nel mio stomaco.
Deglutii, cercando di mantenere la calma.
-Joey è morto?-
Ero rimasta svenuta per due giorni da quello che avevo capito e non avevo potuto sentire eventuali spari di cannoni.
-No. Ci sono stati parecchi spari, ma il suo volto non è apparso. In compenso... Melyanna e Alton sono morti.-
-In quanti siamo rimasti?- domandai ancora, senza togliere lo sguardo da Nick.
-In quattordici.-
La consapevolezza che mancasse così poco alla fine e che io non avevo fatto altro che dormire mentre delle persone morivano, mi fece scattare verso l'alto, nel tentativo di alzarmi e sfogare la mia rabbia contro qualcosa, ma un'improvvisa vertigine mi fece ricadere all'indietro.
Nick balzò su di me e mi tenne giù -No Lucinda, che fai? Hai perso troppo sangue.-
Lo ignorai, provando a spostarlo, ma i miei muscoli non rispondevano.
-Aiutami ad alzarmi. Dobbiamo trovare Joey.- protestai con un filo di voce, mentre la mia vista traballava pericolosamente.
-Tu non vai da nessuna parte fino a domani, devi riposare.- disse Nick e il suo tono pieno di preoccupazione mi colpì talmente tanto che mi convinse a smettere di lottare.
Senza contare che stavo svenendo di nuovo.
Ma prima che il buio mi inghiottì, diedi voce ai miei pensieri con una domanda che mi frullava in testa già da un bel po', ma che non avevo avuto il coraggio di esporre per paura di tradire la mia indole da dura e impenetrabile.
-Perché ci vuole un istante per morire e una vita intera per vivere?- domandai, con il tono pieno di angoscia.
Nick non seppe cosa rispondermi, ma d'altro canto non mi importava.
Chiusi gli occhi e caddi in un sonno profondo, popolato dai volti delle persone a cui mi ero inevitabilmente affezionata e che ora non avrebbero più potuto parlarmi.

 

-Lucinda, svegliati!-
Qualcosa mi scosse con forza, strappandomi dalla dormiveglia.
Mi sfregai gli occhi confusa e guardai Nick già pronto per andarsene: l'accampamento era disfatto e rimaneva solo la tenda in cui riposavo io.
-Che succede?- domandai, alzandomi a fatica.
Rimasi in piedi ferma per qualche secondo, mentre il mondo traballava allegramente davanti a me e gli occhi mi si riempivano di puntini neri.
-Dei Tributi si sono accampati vicini a noi. Meglio non correre rischi e spostarci.- spiegò lui, chiudendo la tenda e prendendomi una mano -Ma tu ce la fai a camminare?-
Provai a muovere qualche passo, stringendo i denti, ma la nausea mi bloccò e dovetti sedermi, respirando a fondo.
-Ce la... faccio... devo solo... riposare un po'- ansimai, chiudendo gli occhi.
Nick non disse niente e si limitò a prendermi fra le braccia.
-Se ti fermi ogni metro non arriveremo molto lontano, così invece saremo più veloci.-
Partì verso la foresta e io non ebbi la forza di protestare, nonostante il mio orgoglio ruggisse ferito e le mie guance bollivano dall'imbarazzo.
Mi appoggiai al suo petto, titubante, e ignorai il suo sorriso.
-Appena recupero le forze, ti pentirai di tutto quello che stai pensando adesso.- ringhiai.
Lui scoppiò a ridere -Aspetta e spera!-
Procedemmo in silenzio per un po', ma non arrivammo nemmeno in vista della spiaggia: ci circondarono prima.
Nick si arrestò improvvisamente e mi fece scendere con delicatezza, passandomi poi un pugnale.
Non sapevo a quanto potesse servirmi contro un attacco, visto che riuscivo a malapena a non farlo cadere dalla mia mano.
Il fruscio aumentò e dei rami iniziarono a spostarsi, silenziosamente.
-Vi serve aiuto?- domandò sarcasticamente Felicity, uscendo dal fogliame con l'arco puntato alla mia fronte.
Camille comparve dietro di lei, armata, ma con un'espressione tutt'altro che felice.
-Ce la caviamo benissimo da soli.- risposi, aggrappandomi al braccio di Nick per non cadere.
Felicity se ne accorse e sorrise.
-Non mi sembra.-
Alexander apparve in quel momento, mettendosi poi davanti all'arco della ragazza.
-Non fare cazzate. Abbiamo già troppo di cui preoccuparci e di certo non vorrai macchiarti le mani anche di un altro omicidio.-
-Hai già ucciso qualcuno? Non l'avrei mai detto.- esclamai, senza riuscire a trattenermi, e attirandomi l'occhiata di fuoco di Felicity.
-Il mio compagno di Distretto aveva una ferita al petto. Ho solo ridotto le sue sofferenze.-
Il suo tono non era più tanto sicuro e il braccio che teneva l'arco tremò leggermente.
Rimasi in silenzio, ascoltando in lontananza il rumore del mare.
Ero troppo debole e non sarei riuscita a usare i miei poteri senza rimetterci la pelle, ma almeno Nick sarebbe riuscito a scappare e magari a vincere, ne aveva le possibilità.
Camille mi seguì con lo sguardo, mentre lentamente cercavo di portare le braccia dietro, e mi fermò con un cenno.
-C'è Joey al nostro accampamento. Se ci uccidi ora, nessuno potrà più curarlo.-
La guardai incredula, chiedendomi come avesse fatto a scoprire con una sola occhiata tutti i miei piani, poi mi resi conto di cosa volessero dire quelle parole e mi ricomposi.
-Portami da lui.- pregai, facendo un passo avanti.
Lei annuì e Nick mi fu subito dietro, mentre Felicity e Alexander si fermarono a litigare e non ci degnarono di alcuna occhiata.
Il mio migliore amico era steso in un sacco a pelo, sommerso da alcune coperte, e aveva la fronte imperlata di sudore.
Mi inginocchiai con cautela accanto a lui, ignorando le vertigini, e gli passai una mano sul viso: era bollente.
-Che gli è successo?- domandai con un filo di voce, alzando lo sguardo verso Camille.
-Lo abbiamo trovato con un ramo conficcato nel braccio. Siamo riusciti a levarlo, ma poi è subentrata l'infezione ed è così da due giorni.-
Annuii distrattamente e feci un piccolo calcolo: forse due giorni non erano ancora abbastanza per uccidere qualcuno.
Presi la mano di Joey e invocai a gran voce -Per favore, per favore, per favore.-
Non feci in tempo a finire la mia preghiera, che la musichetta che tanto aspettavo raggiunse le mie orecchie e un contenitore di metallo si posò vicino a me.
Lo aprii e, senza perdere tempo, liberai Joey dalle coperte.
La ferita al braccio era davvero brutta: il taglio era profondo, la pelle era rossastra e coperta di pus verde.
Ignorando il disgusto, recuperai tutto ciò che trovai nel contenitore e iniziai a medicarlo.
Prima disinfettai la ferita, levando tutto il pus e spurgandogliela premendo leggermente sui contorni del taglio.
Joey si mosse appena, ma non si svegliò.
Spalmai quindi con cautela la crema e lo bendai, facendo attenzione a non sporcare la garza candida.
Solo a processo terminato, mi accorsi di avere gli sguardi di tutti addosso: quello incredulo di Camille e Alexander, quello infuriato di Felicity e quello ferito di Nick.
-Che c'è?- domandai seccata.
Camille fece spallucce -Hai dei buoni Sponsor.- rispose e la sua voce nascondeva un pizzico d'invidia.
Non seppi cosa dire e rimasi in silenzio, a fissare Felicity che strappava furibonda l'erba dal terreno.
-Ci accamperemo con voi.- esordì Nick all'improvviso.
-Che cosa?- sbottai incredula.
-Non ti sei ancora ripresa e vuoi stare vicina a Joey. Meglio rimanere in gruppo.-
Non mi diede il tempo di dire altro e se ne andò, scomparendo nella foresta.
Feci per alzarmi arrabbiata e seguirlo, ma Camille mi mise una mano sulla spalla e scosse la testa.
-Sei debole e l'ultima cosa che ti ci vuole è litigare.-
La ascoltai e seppur malvolentieri, rimasi seduta.
Felicity mi scoccò un ultimo sguardo arrabbiato e poi se ne andò a sua volta, seguita all'istante da Alexander.
Rimasi sola con Camille, ma non avevo voglia di parlare e, anche se così apparivo come un'ingrata, non volevo nemmeno ringraziarla.
Senza di lei Felicity non avrebbe esitato a scoccare la sua freccia dritta verso la mia fronte, tant'era l'odio che scorreva tra noi due.
Perlomeno io non la odiavo, non la sopportavo e basta.
Da parte sua non capivo se il sentimento era ricambiato o se era addirittura peggio di quello che sembrava.
-Non c'è bisogno di ringraziarmi.- commentò Camille, facendomi sobbalzare.
La guadai inorridita. -Leggi nel pensiero?- domandai incredula.
-No, ma la tua espressione combattuta parla chiaro. Ti senti in colpa per aver abbandonato Joey e non riesci a trovare il coraggio di ringraziarmi per averti salvato la vita, ma non è un problema, davvero.-
Quella ragazza era davvero così intelligente da capire con un semplice sguardo tutto ciò che provavo in quel momento?
Rimasi senza parole, a bocca aperta, incapace di ribattere.
Poi però mi riscossi. -Non è assolutamente vero.- bofonchiai contrariata, serrando le labbra.
Mi ero già aperta fin troppo per i miei gusti, dovevo tornare a controllare i miei sentimenti o non sarei uscita viva da quell'arena.
-Anche io ho notato qualcosa sai?- inventai sul momento, guardandola arrogantemente.
Lei sussultò e mi guardò, spaventata. -Cos'hai notato?-
-Dalla Mietitura.- iniziai, ricordandomi all'istante il particolare che mi aveva colpito. -Sembrava quasi che sapessi di venire sorteggiata.-
Camille impallidì vistosamente e mi portò immediatamente le mani sulla bocca, impedendomi di continuare.
-Non qui.- sillabò, muovendo appena le labbra.
Fece un gesto a Felicity, che era appena ricomparsa all'accampamento, e le seguii nella tenda di Joey, senza commentare mentre chiudeva furiosamente la cerniera.
-Io creo esplosioni nel mio Distretto.- esordì, mantenendo comunque il tono di voce basso. -E i Pacificatori lo sanno. Avranno informato la Capitale e visto e considerato che ho i poteri, hanno preferito farmi fuori agli Hunger Games piuttosto che in una piazza.-
-Più spettacolo.- tradussi, senza osare aggiungere niente.
Il Distretto 11 era messo male, così come tutti gli altri Distretti remoti e quelli produttori.
-Esatto, ma io e Felicity pensiamo che ci sia qualcos'altro sotto...- sussurrò, ma quando la guardai alla ricerca di una spiegazione, non mi rispose.
-Felicity è del Distretto 12, ma ha i poteri. Dovrebbe essere a lavorare nei campi speciali di Diagon City, se non sbaglio.- dissi ancora, mentre la situazione si chiariva finalmente davanti ai mie occhi.
Non sapeva controllare i suoi poteri perché non si era mai esercitata, non aveva mai provato ad esternarli: doveva rimanere nascosta se non voleva essere portata via dalla sua famiglia.
Camille annuì e io non persi l'occasione. -Sai cosa fanno in questi campi speciali?- 
-Allenano le persone con i poteri e li preparano ad entrare nella squadra degli Auror, i protettori del Presidente.- mi rispose Felicity. -Ma non tutti hanno l'onore di farne parte. Solo i più potenti e i più fedeli alla Capitale ci riescono.-
Sembrava essersi calmata, non era più arrabbiata e non voleva più uccidermi, quindi decisi di approfittare del momento. -Ma perché tutti quelli del 12 sono portati lì?-
Felicity mi lanciò una breve occhiataccia, ma poi si prese il disturbo di soddisfare la mia curiosità. -Perché il fuoco è il potere più distruttivo di tutti e quattro gli elementi. Non è il più forte, non è invincibile, solo è difficile da contenere. E di certo lo stato non vuole rischiare di trovarsi un esercito di Maghi e Streghe del Fuoco che bruciano le loro case.- mi spiegò, sarcastica. -I più bravi diventano Auror, gli altri sono trasferiti in delle abitazioni apposite e vivono tutti insieme, sorvegliati dai Pacificatori e con i poteri limitati. È una vita che non augurerei nemmeno al mio peggiore nemico.-
Strabuzzai gli occhi. -Gli ex-vincitori possono scegliere se diventare Auror oppure no.- constatai, rimuginando mentalmente.
-Appena uscirai da quest'arena ti recluteranno all'istante.- commentò acida Felicity.
-L'invidia è una brutta bestia.- replicai, alzandomi all'istante e guardandola un'ultima volta in cagnesco, prima di abbandonare la tenda a grandi passi.
Avevo già familiarizzato fin troppo e se con Camille sembravo andare abbastanza d'accordo, l'arroganza di Felicity proprio non riuscivo a digerirla.
Ero l'unica lì che si potesse permettere di passare per antipatica.
-Non è male per essere una Favorita.- sentii sussurrare Camille, mentre Felicity scoppiava in una risata che di veritiera non aveva niente. -Quando sta zitta... Allora si che mi sta simpatica!-

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Capitolo 21
*** Sensi di colpa ***


The power of the elements- Sensi di colpa


 

"Ogni giorno, ogni ora, ogni minuto 
siamo costretti a scegliere tra ciò che è giusto
e ciò che è facile"



I successivi giorni furono piuttosto tranquilli e nessuna morte o scoppio di cannone disturbò la quiete della giungla.
Joey a poco a poco, grazie anche alle cure di Camille, si era ripreso in un baleno e sembrava non volesse più allontanarsi dalla ragazzina riccioluta.
Se la cosa un po' mi turbava, visto e considerato che prima si fidava ciecamente solo di me, agli altri non sembrava importare poi molto.
Solo Nick era felice come una pasqua e sfogava la sua adrenalina repressa nella ricerca del cibo e nella caccia agli animali.
Felicity e Alexander stavano tutto il tempo insieme e una volta gli avevo addirittura visti tenersi per mano e sorridersi, ma se il loro rapporto si era sviluppato in qualcosa di più profondo a me non era dato saperlo.
La mia testa era guarita e la ferita si era rimarginata.
Rimaneva solo una sottile cicatrice, che a detta di Camille però sarebbe scomparsa presto.
Avevamo raggiunto senza ulteriore difficoltà la prima settimana completa nell'arena ed eravamo addirittura alla metà della seconda, ma dieci Tributi sopravvissuti erano davvero troppi per gli standard di Diagon City.
Non sarebbero mancati altri combattimenti nel corso dell'ultima settimana.
I Tributi del Distretto 8 e 10 non si erano fatti vedere e non accennavano a proporre un'alleanza.
Se ne stavano tutti sparpagliati in mezzo agli alberi, a distanza di sicurezza dal nostro accampamento.
Eravamo l'unico gruppo rimasto infondo e incutevamo abbastanza paura da indurli a rimanere lontani da noi.
La noia faceva da padrona ormai e mi colpiva a tradimento sempre più spesso.
Fu per quello che quando Nick decise di trasferire il nostro accampamento sulla
spiaggia, accettai all'istante.
-Siamo a corto di acqua e dobbiamo rifornirci. Muoversi da soli però è troppo pericoloso, meglio restare uniti.- spiegò agli altri, mentre piegava il suo sacco a pelo.
-Poteva andarci Lucinda visto che è così brava a giocare con l'oceano.- disse Felicity, rivolgendosi chiaramente a quel piccolo particolare del mostro marino che avevo dimenticato.
-Ci avevate rubato gli zaini.- obiettai, ma dal mio tono sembrava quasi fosse una sorte di giustificazione inutile.
-E tu non hai esitato a voler farci fuori con un gigante acquatico.-
Sbuffai indispettita, ma inaspettatamente Joey mi diede man forte. -E tu non hai esitato a bruciare la giacca di Alton. Se non ci fosse stata Lucinda ci avrebbe rimesso al pelle.- constatò, provocandomi un sorriso di trionfo.
La gioia però non duro molto.
Il viso di Felicity si irrigidì e la ragazza, senza aggiungere altro, imbracciò le sue cose e si incamminò verso la foresta.
Alexander mi lanciò uno sguardo accusatorio, quasi l'avessi offesa io, e corse dietro alla sua amata.
-Felicity non ha mai voluto lanciare quella fiammata, lo sai che non sa ancora bene controllare i suoi poteri.- spiegò Camille, con il suo consueto tono calmo.
Joey sembrava fin dispiaciuto dalla piega presa della discussione e fece spallucce, ma io no.
-Allora dovrebbe imparare, prima di ammazzarci tutti.-
Questa volta anche Camille mi guardò storto, seguita a sua volta da Joey.
-Ha represso i suoi poteri per molto tempo, senza permettere di vivere pienamente con sé stessa e queste non mi sembrano le parole più giuste da rivolgerle.-
-Ora esageri Lus.-
Lo sguardo duro di Joey fu la goccia che fece traboccare il vaso.
Gli occhi mi si appannarono all'istante e la tasca dei pantaloni dove tenevo l'anello si surriscaldò.
Afferrai il mio zaino e la mia ascia e poi mi girai verso di loro, guardandoli per l'ultima volta.
-Perfetto, allora correte dietro a lei visto che le volete così bene.- sibilai. -E l'acqua potete anche scordarvela.-
Ricattarli non era un comportamento molto maturo, ma io non avevo bisogno del loro aiuto e nemmeno del loro perdono.
Me l'ero sempre cavata bene da sola, una come me non poteva avere amici.
La delusione mi offuscò i pensieri, mentre l'anello pulsava di calore.
Presa da un impeto di rabbia, lo tolsi dalla tasca e lo buttai a terra, con un gemito di frustrazione.
-Te la prendi anche con il tuo portafortuna ora?- domandò Nick, sbucando dagli alberi.
Non gli risposi e continuai a camminare.
Sentii che si piegava per un momento, probabilmente per raccogliermi l'anello, e poi riprese a camminare, seguendomi.
-Lasciami in pace.- ringhiai, senza voltarmi.
Stavo valutando se mettermi a correre o no per seminarlo, quando mi afferrò un braccio e mi costrinse a voltarmi.
-La gelosia è una brutta malattia.- ghignò lui, stringendo la presa sul mio polso quando iniziai a divincolarmi.
-Non mi piace Joey se è questo che ti preoccupa.- dissi, costringendolo a mollare la presa.
I suoi occhi feriti non mi scalfirono più di tanto e sostenni il suo sguardo.
-Ti diverti così tanto a far star male la gente?- chiese lui a bruciapelo.
Scossi la testa. -No. Siete voi che mi costringete!- sbottai, infuriata. -Io sono venuta qui per vincere e non ci sto a subire tutte quelle accuse da persone che non si meritano di passare per vittime.-
Una lacrima sfuggì al mio controllo e mi scese sulla guancia, ma l'asciugai con rabbia.
-Odio Felicity e i suoi disperati tentativi di nascondere la paura, odio Camille e la sua dannata intelligenza, odio Alexander e i suoi poteri di gran lunga più utili dei miei, odio Joey e il fatto che nulla lo possa intristire e poi odio te, che non fai altro che mettermi in difficoltà.-
Nick si limitò a guardarmi e a seguire il mio sfogo in silenzio, senza commentare.
-Non sono interessata ad averli come amici, non possono permettersi di dirmi cosa o cosa non fare. Ho sempre trattato male le persone, lo so, e mi sembra inutile cambiare ora. Sono fatta così, non posso farci niente.- conclusi, liberandomi finalmente di un enorme peso.
Avevo sopportato una situazione che non mi apparteneva, di cui non volevo far parte ed era arrivato il momento di finire con i sentimentalismi.
-Avere degli amici è bello, Lucinda.-
-Degli amici veri, non persone che ti sostengono solo perché hanno paura di te e che poi ti abbandonano per un'offerta migliore.-
Nick sospirò e mi prese le mani. -Joey non ti ha mai tradito Lucinda, ti vuole molto bene e si vede.-
-Nell'arena si cambia.- dissi. -E bisogna saperlo ammettere.-
Mi liberai ancora una volta dalla sua presa e mi voltai.
-Bisogna anche saper ammettere di aver bisogno di aiuto.-
Nick non mollava e si spostò davanti a me, fronteggiandomi.
-Ho sempre affrontato la vita da sola, non ho bisogno di nessun aiuto.- sibilai, guardandolo in faccia. -Lasciami passare.-
Scosse la testa e mi tese l'anello di mio nonno. -Dovrai imparare a far parte di un'unione.-
-Perché?- chiesi incredula, afferrando il mio portafortuna.
Non ebbe il tempo di rispondermi: il terreno vibrò all'improvviso e una scossa mi fece perdere l'equilibrio, buttandomi a terra.
-Lucinda!- gridò Nick.
Feci forza sulle braccia e mi sollevai all'istante, voltandomi verso la direzione della sua voce.
Un'enorme crepa occupava lo spiazzo d'erba in cui ci eravamo fermati prima e nel mezzo Nick, che cercava in tutti i modi di non cadere.
Mi precipitai nella sua direzione, ma una nuova scossa mi fece scivolare dalla parte opposta.
-Non ve la caverete così a buon mercato.- esclamai rivolta agli Strateghi e ferma dove mi trovavo indirizzai una mano verso la crepa.
L'acqua eruttò dal terreno e spedì con forza Nick accanto a me, dolorante e bagnato, ma incolume.
Lo raggiunsi subito, aiutandolo a sollevarsi.
-Tutto bene?- lo scossi con foga, costringendolo a guardarmi.
Tossì a lungo, con una mano sulla gola. -Direi di si.- riuscì a dire, maledicendosi subito dopo. -Devo imparare a stare zitto.-
Un colpo di cannone improvviso mi impedii di chiedere dei chiarimenti e mi bloccò sul posto.
-Lucinda!- chiamò Joey, sbucando dalle fronde degli alberi seguito da Camille.
Prima ancora di provare sollievo alla vista di vederlo vivo fui circondata dalle sue braccia.
-La prossima volta che te ne vai ti amputo le gambe.- disse, affondando il viso nella mia spalla.
Sbuffai, stringendolo a mia volta. -E tu prova ancora a snobbarmi per quella e non rispondo di me.-
-Ma come, volevo lasciarti sola con Nick...-
Mi guardò furbamente e poi scoppiò a ridere, prendendosi un pugno sul braccio dalla stessa Camille.
-Ti dobbiamo delle scuse Lucinda, non sapevamo che la tua situazione era anche peggio di quella di Felicity.- spiegò Camille, beccandosi un'occhiataccia di Nick.
-In che senso?-
Ancora una volta le spiegazioni mi furono negate da un fruscio nei cespugli.
Ci voltammo all'unisono.
-Giù!- gridai, buttandomi su Camille un istante prima che una freccia le colpisse la testa.
Un'altra freccia sfiorò il braccio bendato di Joey e si conficcò nell'albero a due centimetri dalla faccia di Nick.
-Okay, chi si diverte così tanto?- urlai, levandomi i guanti protettivi e avvicinandomi al cespuglio.
Il tizio grande e grosso del Distretto 10 sbucò dal fogliame con l'arco incoccato e puntato verso di me.
-Evidentemente due giorni di pace erano troppi.- commentai, portandomi le mani davanti al viso.
Il silenzio era tale da sentire il cinguettio degli uccelli tra i rami e il lontano sciabordio dell'oceano.
-Pensaci bene.- disse Nick. -Se ti allei con noi hai il triplo delle possibilità di vincere che rimanendo da solo.-
I nervi del ragazzo si tesero, ma non accennò a voler abbassare l'arco.
-Non ho voluto allearmi con la mia compagnia, figuriamoci con voi.- sputò tra i denti, aumentando la presa sull'arco e scoccando.
La scena mi apparve quasi al rallentatore: la freccia che si avvicinava inevitabilmente al mio petto, le mie mani che si muovevano verso essa circondandola con un sottile strato di acqua e costringendola a invertire la sua traiettoria.
Gli occhi del ragazzo del 10 si aprirono in un'espressione consapevole e un attimo dopo fu trafitto dalla stessa freccia che aveva scagliato contro di me.
Rimase in piedi per un secondo, guardandomi con disprezzo, e poi cadde all'indietro, nell'esatto istante in cui il cannone sparava.
Sentii lo sguardo incredulo di tutti su di me.
-Un problema in meno, no?- domandai a voce alta, recuperando lo zaino che mi era caduto. -Possiamo andare a cercare Felicity e Alexander ora.-
Nick mi sorrise, titubante, e accennò a voler far strada nella foresta.
Lo seguii, senza curarmi dell'espressione sconvolta di Camille e degli occhi strabuzzati di Joey.
Sapevo già cosa si stavano chiedendo, ancora prima che potessero esprimere i loro pensieri ad alta voce.
Ma non mi andava sempre di giustificarmi.
Gli Hunger Games erano i giochi della fame, o imparavi ad uccidere o continuavi a scappare e speravi che gli Strateghi se ne fregassero di te.
E la prima mi sembrava di gran lunga una prospettiva migliore della seconda.
-Per prima cosa, andiamo alla spiaggia.- propose Camille. -Sempre se Lucinda ha cambiato idea riguardo all'acqua. Avrei una certa sete.-
Le sorrisi, arrivando addirittura a schiacciarle un occhio. -Farò uno sforzo.-
Lei ricambiò il sorriso e poi tornò seria. -Una volta che si saremo dissetati, avrò bisogno del vostro aiuto per ritrovare Felicity e Alexander.-
Capii che Nick non si fidava delle sue parole, mentre invece Joey avrebbe preso per oro colato qualsiasi cosa avrebbe detto.
Per quanto mi riguardava, potevo tranquillamente collocarmi nel mezzo.
-In che modo ci riuscirai?- le domandai curiosa.
Camille mi sorrise di nuovo e poi pestò con forza lo scarpone sulla terra. -Con questa.-

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Capitolo 22
*** Un incantesimo finito male ***


The power of the elements- Un incantesimo finito male




 

"Soltanto perché è l'evento più naturale e quotidiano
la magia appare così incredibile."



Dopo esserci idratati a lungo e aver riempito abbastanza bottiglie di acqua da farcele bastare per tutta la settimana, seguimmo Camille di nuovo nella foresta, fermandoci appena l'oceano fu alle nostre spalle.
-Ho bisogno del tuo aiuto.- esordì lei, guardandomi.
-Del mio aiuto?- domandai sbigottita, scostandomi una ciocca di capelli dagli occhi.
Camille annuì e si sedette, con i palmi delle mani a terra.
Poi mi fece cenno di sedermi di fronte a lei, mentre a Nick e a Joey ordinò di spostarsi.
-Ora compiremo un incantesimo-fusione.- spiegò, guardandomi per un momento. -Uniremo i nostri poteri.- ripeté, chiarendomi finalmente il mio compito.
Annuii sicura, appoggiando a mia volta i palmi sul terreno.
-Dovrai assumere il controllo dell'acqua che scorre sottoterra. Solo allora potrò
intervenire io e visualizzare la posizione degli altri. Tutto chiaro?-
Annuii di nuovo, mentre Joey e Nick facevano altri due passi indietro, per sicurezza.
-Okay.- disse Camille. -Al mio tre.-
Mi sgranchii rapidamente le mani, per poi ritornare alla posizione iniziale.
-Uno.- contò Camille, chiudendo gli occhi.
Subito la imitai.
-Due.-
Strinsi le palpebre e mi concentrai su tutta l'estensione dell'isola, che comunque mi era ignota.
-Tre.-
Quando diedi libera vita ai miei poteri, fu come se fossi stata afferrata e trasportata in un'altra dimensione.
Tutti i suoni mi arrivavano ovattati, sostituiti da una forza maggiore: non sapevo come e non sapevo perché, ma ora tutta l'acqua dell'isola obbediva ai miei comandi.
Sollevai con delicatezza una mano, lentamente e senza movimenti bruschi, per poi portarla davanti a quello che pensavo fosse il volto di Camille.
Non potevo aprire gli occhi o l'acqua che rimaneva in equilibrio sul mio palmo sarebbe caduta e avrei perso il contatto.
Sentii un rapido spostamento d'aria, il suo dito che toccava la mia mano e subito dopo, il buio.

 

Un altro sogno mi venne a far visita, ma sembrava di gran lunga diverso dagli incubi che avevo avuto fino ad allora nelle notti che avevo passato nell'arena.
Galleggiavo nel nulla bianco ed era così piacevole e caldo che sarei rimasta così per sempre, ma una voce spezzò l'incanto.
-Dai quattro elementi il mondo è stato forgiato,
Sotto la pace che i Fondatori avevano portato.
Uno di loro però decise di tradire,
Perché il male aveva voluto seguire.
Salazar Serpeverde, così si chiamava,
Rinnegò i fratelli e il potere che prima amava.-
La filastrocca si interruppe di colpo e l'onda che già conoscevo si profilò all'orizzonte.
Si avvicinava inesorabile mentre io non potevo muovermi ed ero costretta ad aspettare la morte senza potermi ribellare.
Uno schiaffo improvviso mi convinse ad aprire gli occhi e un altro ancora mi snebbiò la vista offuscata, tanto da riuscire ad impedire di riceverne un terzo.
Afferrai la mano del mio aggressore, ma mi bloccai non appena gli occhi scuri di Camille si fermarono a due centimetri dai miei.
-Non una parola.- mi sussurrò, prima di essere spostata bruscamente da un Nick alquanto affannato.
-Tutto bene?-
-Se star bene vuol dire vedere doppio e sentire le gambe di gelatina allora si, sto a meraviglia.-
Respirai a fondo, rendendomi conto solo allora di essere con la testa sul sacco a pelo e con una mano fasciata, che scottava terribilmente.
Prima ancora che qualcuno riuscisse a fermarmi, mi liberai dalla morsa soffocante della garza ed esposi alla luce uno strano disegno, simile ad una mappa.
Le cicatrici erano ancora fresche, ma non facevano male né lasciavano intravedere il sangue.
Due punti si muovevano su e giù, spinti dal flusso della corrente d'acqua che mi scorreva nelle vene, letteralmente.
Accarezzai in punta di dita la cicatrice e poi sollevai lo sguardo su Camille.
-Ma che è successo?-
Fece spallucce. -L'incantesimo-fusione è andato a buon fine.-
Guardai di nuovo i puntini che si muovevano rapidamente nell'intricato insieme di linee frastagliate che mi attraversavano il palmo.
-Quando avremo trovato Felicity e Alexander scomparirà da sé- assicurò. -Credo.- aggiunse sottovoce, allungandomi poi un braccio.
L'afferrai di buon grado con la mano sana, per poi fare peso con le gambe e sollevarmi.
-Potevi avvertirmi.- l'accusai, una volta che il mondo intorno in a me smise di muoversi.
-E come facevo? Non lo sapevo nemmeno io.-
-Camille Van Horn che per la prima volta non sa spiegare qualcosa.- commentò Nick, staccandosi solo in quel momento dall'albero al quale era rimasto appoggiato per tutto il tempo. -Non l'avrei mai detto.-
Camille per tutta risposta gli rivolse un'occhiataccia, ma non rispose alla provocazione.
Imbracciò il suo coltello e partì, senza nemmeno aspettarci.
Joey le fu subito dietro e così io, solo dopo aver minacciato Nick con la forza però.
-Non mi fido di lei.- mi confessò, a tiro d'orecchio. -E nemmeno di quella cosa che hai sulla mano.
Roteai gli occhi al cielo e sbuffai. -Questa cosa.- indicai la sottospecie di mappa. -Ci porterà da Felicity e da Alexander.-
-Da Carbonella e Eolo vorrai dire.- protestò lui a mezza voce.
Lo guardai male, di nuovo, e solo allora lui si fermò, prendendomi da parte.
-Non è normale fare incantesimi così. Ho studiato Lucinda e nessuna Strega dell'Acqua sa fare queste cose. Men che meno ho mai sentito parlare di questa
roba della fusione...-

Gli feci cenno di tacere, controllando che Camille non si fosse voltata.
-Nemmeno io, ma è lei la sapientona del gruppo ed è grazie a lei che siamo vivi ora.- lo redarguii. -E anche a me costa ammetterlo, ma lo sai che è così.-
Joey ci raggiunse in quel momento, con il solito sorriso furbo.
-Ci fermiamo a mangiare e poi si riparte.- ci informò, appoggiandosi con un gomito alla spalla di Nick.
Lui lo spostò, scocciato, e si sedette qualche albero lontano da noi.
Anche Camille tornò indietro e guardò Nick con sufficienza, per poi superarci e farci segno che andava a recuperare della legna per il fuoco.
Ormai eravamo in pochi e non c'era più bisogno di nasconderci dagli altri Tributi.
-Non c'è un bel clima qui.- commentò Joey, incrociando le braccia al petto.
-Non c'è mai stato se è per questo.- sospirai, lasciandomi scivolare stancamente
a terra.

Nick era scomparso, ma io non avevo intenzione di aspettare della carne fresca, avevo troppa fame.
Scartai il pacchetto di carne essiccata iniziando a masticarne un pezzetto.
Joey me lo strappò di mano e ne dimezzò il contenuto, per poi ripassarmelo mezzo vuoto.
-Tante grazie.- bofonchiai, lottando per non vomitare.
Il mio stomaco era abituato al manzo, non al miscuglio schifoso che offriva la Capitale ai Tributi.
-Secondo te è normale fare dei sogni premonitori?- chiesi a bruciapelo, voltandomi a guardare Joey.
Sapevo che lui non era la persona più adatta a cui rivolgermi, non era proprio l'amico più intelligente che avevo, ma era l'unico di cui mi fidavo per confidarmi.
-Capita, penso. La vecchia del nostro Distretto li fa sempre.- ragionò Joey, sollevando un ottimo spunto da cui iniziare a ragionare.
-Certo. Lei però è vecchia, è da tanto che compie incantesimi e studia la magia. Io ho solo quindici anni!-
Joey mi guarda, tutto a un tratto incuriosito.
-Hai sognato qualcosa di importante?-
Camille mi aveva detto di stare zitta e di non raccontare niente a nessuno, come se sapesse già quello che avevo sognato.
Ma non ero mai stata tanto ubbidiente.
-Una specie di filastrocca o profezia, non ho capito bene. Parlava di Salazar Serpeverde, quello dei quattro Fondatori che aveva tradito, ma non capisco cosa possa significa...-
Una fitta improvvisa al palmo mi strappò un gemito e mi fece perdere gli appoggi sulle gambe, facendomi ruzzolare a terra.
L'espressione tranquilla di Joey passò dallo stupore alla paura e si tese verso di me, preoccupato.
-Lucinda che succede?-
Mi strinsi forte il polso, cercando di combattere il fuoco che divampava.
-Felicity.- sbuffai, con fatica. -É in pericolo.-
-Come fai a saperlo?-
Indicai la mano. -Brucia.-
Joey chiamò Nick con un cenno e urlò a gran voce il nome di Camille, che sbucò all'istante da dietro gli alberi.
-Non devi pronunciare i nomi dei Fondatori!- mi sgridò, aiutandomi subito dopo ad alzarmi.
Il fuoco continuava a divampare, ma era diventato più sopportabile.
-Non lo sapevo! Mi sono capitate più cose strane in queste settimane, che in tutta la vita. Sarò caduta una centinaia di volte e non perché qualcosa ha provato
ad uccidermi.- sbottai, levando il suo braccio dal mio torace.

-Non mi sembra il momento adatto alle spiegazioni.-
-Non è mai il momento adatto alle spiegazioni!-
Ci guardammo per qualche secondo ma mi ostinai a non abbassare lo sguardo: volevo sapere.
Ad un certo punto, Camille si arrese. -Quando uscirai da qui avrai tutte le informazioni che vuoi. Ora andiamo.-
Per la prima volta nei nostri consueti spostamenti, presi la guida del gruppo, con la mano pulsante a ricordarmi il perché di tutta quell'importanza che mi conferivano.
-Sono alla spiaggia.- comunicai, senza togliere gli occhi dalla mappa.
Ci pensava Joey a impedire che sbattessi di faccia contro qualche tronco.
-Naturale.- commentò Camille, allungando il passo.
Arrivammo solo ai cespugli, poi un grido agghiacciante scosse la foresta e ci ridusse al silenzio.
Mi bloccai sul posto, respirando lentamente.
-Continuiamo. Se si ripete...-
-Continuiamo comunque.- conclusi, guardando male Nick.
Sapevo che non era un vigliacco e che non scappava davanti ai pericoli, ma al tempo stesso sapevo anche che non nutriva un amore incondizionato per Felicity e Alexander.
Li avrebbe tranquillamente abbandonati al massacro se quello garantiva la sua sopravvivenza.
-Forza.- incitò Joey, avanzando a piccoli passi.
L'insieme di foglie disturbava la visuale, ma appena ti sporgevi riuscivi a vedere tutta la spiaggia e una parte dell'oceano.
E quello che si presentò davanti ai miei occhi non era di certo un bello
spettacolo.

Un mostro d'acqua identico a quello che avevo evocato io per recuperare i nostri zaini rubati stava attaccando Felicity con dei massi, mentre Alexander era riverso a terra in una pozza di sangue.
Il timer apparve in quell'istante nel cielo che andava via via a scurirsi: mancava un solo giorno alla fine dei giochi e noi eravamo ancora in troppi.
Senza perdere tempo, corsi fuori dal mio nascondiglio.
Nessuno meglio di me poteva sconfiggere il mio elemento.
-Okay, è il momento di andare a nanna bello.- esclamai ironica, alzando una mano verso il mostro.
Ciò che successe dopo fu totalmente inaspettato.
Il mostro ringhiò, ma non si disintegrò come mi aspettavo.
Fui costretta a buttarmi nella sabbia per evitare un suo masso e subito rialzarmi e schivarne un altro.
Felicity si teneva un braccio insanguinato e sembrava abbastanza collaborativa.
-Giù! Su! Scappa! Corri! Schiva!-
La sua ferita la comprometteva troppo e non riusciva a usare i poteri, mentre gli altri sembravano combattere contro qualcos'altro nella foresta.
Sapevo che l'ultimo giorno c'erano sempre dei combattimenti, ma non avrei resistito per ventiquattro ore di fila.
Un colpo di cannone sembrò distrarre il mostro per un momento e io rapida ne approfittai.
Imbracciai l'ascia e senza tentennare gli affettai una gamba.
Il mostro ruggì di nuovo, ma questa volta di dolore, e si sciolse letteralmente.
L'acqua tornò a far parte dell'acqua e il silenzio era spezzato solo dal mio fiatone e da quello di Felicity.
-Tributi, complimenti! Siete arrivati allo scontro finale!-
La voce metallica di uno stratega risuonò per tutta l'arena mentre nel cielo appariva, rapido, il volto della ragazza del Distretto 8.
Eravamo gli unici rimasti.
-Nella Cornucopia è stato appena allestito un festino. Infondo, ognuno di voi ha un disperato bisogno di qualcosa. L'annuncio non verrà ripetuto.-
Appena l'uomo terminò di parlare, Felicity si fiondò su Alexander e lo sollevò delicatamente da terra.
Anche io mi avvicinai titubante, seguita dagli altri.
Camille abbracciò velocemente Felicity, contenta di averla trovata sana e salva, e si occupò subito delle ferite di Alexander.
La sua faccia non prometteva nulla di buono.

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Capitolo 23
*** Per voi, questo ed altro ***


The power of the elements- Per voi, questo ed altro





 
"Il compromesso non è altro che il sacrificio di una cosa buona
o giusta fatto nella speranza di conservarne un'altra;
tuttavia troppo spesso
si finisce per perderle entrambe"


 

Il sangue usciva copiosamente da una ferita sulla spalla destra e Alexander faticava a respirare, probabilmente per colpa di qualche costola rotta.
-Il mostro lo ha afferrato e lo ha sbattuto nell'acqua.- singhiozzò Felicity, accarezzandogli una guancia. -É per non farlo annegare che mi sono fatta questo e sarebbe stato molto peggio se non fossi intervenuta tu.-
Il suo sguardo colmo di gratitudine mi lasciò per un attimo spiazzata, ma riuscii comunque a ricambiarlo con un cenno del capo.
Ero troppo impegnata a immaginare cosa ci potesse essere nel sacco del Distretto 4 per far caso alla sua improvvisa gentilezza nei miei confronti.
Joey ed io stavamo bene, a parte qualche ammaccatura, e non capivo proprio cosa gli sponsor avessero voluto donarci.
-Dobbiamo scendere là sotto.- dissi, guardando mesta Alexander. -O lui non
vivrà.-

-Bisogna aspettare solo un giorno, poi ci verranno a prendere.- protestò debolmente Felicity, lanciando un'occhiata impaurita all'oceano.
-Un giorno è troppo, non vivrà.- ripetei, appoggiata subito da Camille.
-Ha ragione, la ferita è troppo profonda. Morirà dissanguato e non abbiamo nemmeno le bende.-
Joey si toccò il braccio ancora fasciato, ma subito Camille scosse la testa.
-Ci serve del disinfettante e delle bende pulite. Con quelle non faremo altro che accelerare l'infezione.- sospirò, guardando prima me e poi il mare. -Qui gli unici che sanno nuotare sono Nick, Joey e Lucinda quindi...-
-Ci vado io, ho già deciso.- la interrompei, decisa.
Nick si fece subito avanti. -No, ci andremo io e Joey.-
-Voi non potete respirare sott'acqua.- obiettai.
-Con le tue bolle si.- protestò Joey.
Evidentemente doveva scegliere il momento peggiore per essere intelligente.
-E chi ti assicura che non vi farò annegare da un momento all'altro?- domandai retorica, mascherando il nervosismo.
-Il tuo affetto per noi?- provò Joey, sorridendomi.
Sospirai, ma non mollai la presa.
-Ci andiamo Joey ed io, allora. Prendere o lasciare.-
Nick stava per protestare di nuovo, ma Camille lo bloccò con una mano.
-A me va bene, a Felicity pure e se Alexander potesse parlare sarebbe d'accordo. Quindi faremo così, punto.-
Sorrisi trionfante, beccandomi l'occhiataccia di Nick e lo sguardo di scherno di Felicity.
-Se non fossi conciata così, ci sarei andata io.-
Doveva aver superato lo shock mentale.
-E come, di grazia, che non sai nuotare?-
Non riuscii a trattenermi e subito mi beccai l'ennesima sua occhiata di fuoco.
-Prepariamoci.- dissi a Joey, ignorandola.
Mi liberai dello zaino, dei guanti e dell'ascia, seppur a malincuore, e aiutai Joey a fare altrettanto.
Poi ci avvicinammo alla riva, seguiti dagli altri.
-Prendete solo il sacco del 9 e tornate immediatamente in superficie.- ci raccomandò Camille, abbracciando per un lungo istante Joey.
Stavo per protestare, di nuovo, ma Nick non me ne diede tempo. -Meglio non giocare troppo con quelli, potrebbero esserci altre trappole.-
Il suo abbraccio, seppur veloce e leggero, mi lasciò spiazzata e sorridente al tempo stesso.
Sapevo che l'ultimo giorno era quello dei combattimenti, ma non pensavo fosse anche quello dedicato alle “manifestazioni d'affetto”.
Ricambiai la sua stretta, arrossendo un poco.
-Volete muovervi? Non stanno mica partendo per la guerra!- esclamò scocciata Felicity, esortandoci a tuffarci.
Ripresi il contegno e allungai una mano a Joey.
Non era un gita scolastica e nemmeno una visita di cortesia; dovevamo compiere un'impresa di salvataggio e non sarebbe stata una passeggiata.
Avevo una specie di presentimento che mi suggeriva di non tuffarmi e di stare
chilometri lontano dall'acqua, che quella a cui stavamo andando incontro era una trappola bella e buona.
Ma io non potevo di certo rimanere lontana dal mio elemento.
Non ora che avevo finalmente stabilito una sorta di equilibrio tra il mio potere e il ribrezzo di avere nel sangue l'assassina di mio nonno.
Ovviamente, per accettarlo completamente ci sarebbe voluto ancora tempo.
Sempre se ci fossi riuscita davvero.
-Okay.-
Inspirai a fondo e mi voltai verso Joey, guardando Nick con la coda dell'occhio.
Era incredibile e impensabile da ammettere, ma il suo abbraccio mi era piaciuto.
-Andiamo.- acconsentì Joey, strappandomi da quei pensieri del tutto fuori luogo.
Scossi la testa più e più volte, poi presi la rincorsa e finalmente mi tuffai, seguita all'istante da Joey.
Appena l'acqua si chiuse sopra le nostre teste, attivai la bolla e la sbarazzai dell'acqua: anche se non ero Alexander, qualche trucchetto utile lo conoscevo anche io.
Il mio compagno di avventure mosse freneticamente le braccia, guardandosi a destra e a sinistra, e prendendo a muovere a vuoto la bocca.
Roteai gli occhi al cielo e mi indicai le labbra. -Puoi parlare, scemo.- sbuffai, studiando poi l'ambiente intorno a me.
Intravedevo il bagliore della Cornucopia, ma era parecchio distante.
Inoltre avvertivo parecchie altre forme di vita nell'oceano, se così si potevano definire.
Probabilmente erano Ibridi, ma qualunque cosa entrasse in contatto con il mio elemento potevo percepirlo ugualmente.
E in quel caso, si stava rivelando una vera e propria fortuna.
-Forte!- gorgogliò Joey, iniziando a piroettare su e giù.
Lo guardai scocciata per un po', finché non si accorse di quanto inappropriato fosse il suo divertimento in quel momento.
-Muoviamoci.- disse ancora, apprestandosi a nuotare fin verso la Cornucopia.
Lo fermai con una mano, roteai ancora gli occhi e schioccai le dita.
In mezzo secondo ci teletrasportammo, azzerando la distanza che si separava dal nostro bottino.
Joey ciondolò appena, in preda a una lieve nausea, e io invece mi godetti qualche istante di quella meravigliosa sensazione: ogni volta che lasciavo libero spazio ai miei poteri, ogni volta che li impiegavo completamente, mi sentivo davvero invincibile.
Ed era così facile che non poteva che riempirmi di orgoglio e... Paura.
Paura perché avevo un altro orribile presentimento: sentivo che presto o tardi i miei poteri avrebbero prevalso, strappandomi via anche quella misera parte di ragione che mi era rimasta.
Non potevo permetterlo.
Il tavolo su cui erano poggiate le sacche era di fronte a noi e sembrava quasi chiamarci.
Joey fece per buttarcisi sopra, letteralmente, e fui costretta a buttarmi contro di lui a mia volta per fermarlo.
-Sei proprio scemo allora! Vuoi suicidarti?- ringhiai, costringendolo a indietreggiare.
-Alexander sta morendo, non può non interessarti.- ribatté lui, avanzando.
Lo spinsi indietro di nuovo. -Vuoi suicidarti?- ripetei, indicando il perimetro del tavolo.
Ovviamente lui non poteva vederle, ma tutto il tavolo era traboccante di mine antiuomo che sarebbero esplose al solo tocco.
Non potevamo avvicinarci, ma avrei comunque inventato qualcosa.
-Ci sono delle trappole.- capì finalmente, guardando ora il tavolo con più
sospetto.

-Ovviamente.-
-E non potevi dirlo prima?-
Lo incenerii con un'occhiata e per poco rimpiansi di aver chiesto a lui e non a Nick di venir con me.
Poi però mi ricordai che non mi fidavo ancora pienamente di lui, mentre a Joey avrei affidato anche la mia stessa vita.
Alquanto strano, visto che fino a due settimane prima lo consideravo solo un energumeno senza cervello.
-Proverò a portarlo qui senza toccarlo.- sussurrai piano a Joey. -Non l'ho mai fatto ma...- sorrisi. -C'è sempre una prima volta.
Joey rimase per un attimo spiazzato, ma poi capì e mi fece intendere che mi dava campo libero.
Presi un bel respiro e poi chiusi gli occhi, allungando lentamente una mano verso il sacco contrassegnato dal numero 9.
Percepivo l'acqua che si muoveva intorno al tavolo, così forte, così distintamente.
Nell'esatto istante in cui riaprii gli occhi, avevo stabilito il contatto con l'oggetto.
Sorrisi consapevole e mossi lentamente la mano verso l'alto, senza disturbare il
contatto visivo.
-Appena lo solleverò dal tavolo.- dissi. -Non potrò distrarmi perché se cadrà...-
-Buona parte dell'oceano esploderà. Un classico.- rise Joey, provando a mascherare l'ansia che si percepiva dal suo tono.
-Non solo l'oceano, Joey. L'intera arena.- rettificai, sorridendo sprezzante al suo sguardo impaurito.
-Quindi?-
-Quindi vedi di coprirmi le spalle.-
Joey sorrise furbamente. -Ti sei dimenticata la parola magica.-
-Subito.- ringhiai.
Sobbalzò leggermente, ma poi tornò serio. -Capito.-
Riabbassai le palpebre e focalizzai tutto il mio potere nel braccio rivolto verso il
sacco.

Aspettai qualche secondo e spostai il braccio verso l'alto, più velocemente di prima.
Il sacco avanzò di qualche centimetro, ma non si sollevò.
Sbuffai di frustrazione e raddoppiai la forza.
Una goccia di sudore mi rotolò sul collo, nonostante fossimo in mezzo all'acqua, e scese fino alla schiena.
Il sacco finalmente si sollevò di qualche centimetro e io sorrisi trionfante, ma l'esultanza durò poco.
Un improvviso avvertimento di pericolo mi aggiunse e mi travolse, proveniente dalla mia destra e diretto verso Joey.
-Attento!- urlai e con il braccio libero indirizzai un getto d'acqua verso Joey, che
lo spedì lontano prima che le fauci di uno squalo lo raggiunsero.

Ma non era un semplice squalo, era un Ibrido.
Sentii che il mostro girò intorno a sé qualche volta, spaesato, poi sentii il suo sguardo famelico sulla mia schiena e la spada di Joey che deviò la sua traiettoria appena in tempo.
L'ibrido si dissolse nell'aria, ma i problemi non erano finiti.
Il sacco volteggiava a pochi centimetri dal tavolo e una massa uniforme si avvicinava rapidamente dall'orizzonte.
-Arriva un intero branco, Joey. E io non posso andare più veloce di così.- lo avvertii, cercando di mantenere il tono di voce fermo e muovendo nel contempo il braccio.
Il sacco si sollevò ancora di qualche centimetro, ma poi si fermò e non si mosse più.
Riuscivo già a intravedere gli occhi rossi degli enormi squali che si avvicinavano.
Un'unica soluzione si affacciò nella mia mente. -Devi andartene.- gridai.
Joey rimase scioccato, ma scosse comunque il capo. -No! Non ti lascio qui!-
-Devi! O morirai anche tu.-
Davanti alla sua espressione ferma, capii che sacrificarmi per tutti loro era l'unica scelta e la più giusta.
Joey non si sarebbe spostato, non mi avrebbe abbandonato lì da sola a morire, non si sarebbe salvato.
Perché mi voleva bene.
E fu quella certezza che mi spinse a mollare la presa sul sacco e a indirizzare tutta la mia magia verso Joey.
Il contraccolpo lo spedì lontano, oltre il banco di squali, oltre perfino l'orizzonte, e scomparve alla mia vista.
Il resto si svolse in uno strano rallentatore: il sacco che scivolava dolcemente verso il tavolo, gli squali che si buttavano su di me, il rumore di un esplosione che scosse il terreno e poi fuoco, fuoco dappertutto.
Come faceva ad esserci del fuoco sott'acqua non lo sapevo, ma mi rendevo conto che si stava avvicinando e che io ero spacciata.
Gli occhi mi si chiusero automaticamente e io mi lasciai andare, aspettando la morte.

 

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Capitolo 24
*** Niente è come sembra ***


The power of the elements- Niente è come sembra
 



 

"Ci sono casi in cui un uomo
deve rivelare metà del suo segreto
per tener nascosto il resto"



Non ci fu nessuna sofferenza, nessun dolore.
Non mi sembrava nemmeno di essere morta.
Galleggiavo nello stesso nulla bianco del precedente sogno che avevo fatto e il mio corpo non era carbonizzato.
Ma forse morire doveva essere davvero così.
-La morte ha un significato molto diverso da come tu lo immagini.-
Una voce improvvisa mi raggiunse, quasi provenisse dall'oltretomba tanto era grave e profonda.
-E non è ancora arrivato il tuo momento, Lucinda.-
Mi guardai intorno, più e più volte, ma c'era solo bianco davanti ai miei occhi.
-Chi è che parla?- domandai diffidente, con i nervi a fior di pelle.
-Tu non mi conosci, Lucinda. Ma io conosco te.- continuò la voce, ignorando la mia precedente domanda.
E io odiavo essere ignorata.
-Come fa a conoscermi? Chi è lei?- ripetei, forse più bruscamente di quanto avessi previsto.
-Hai mai sentito parlare della Seconda Guerra Magica, Lucinda?-
Un'altra domanda, che però non rispondeva alla mia.
Ci rinunciai e provai a scoprire da sola chi fosse il mio interlocutore.
-Certo. Ce la fanno studiare a scuola. Ma era un'epoca lontana e diversa dalla nostra, che importanza può avere ora?-
-Conoscere il passato può essere una facile scorciatoia per decifrare il futuro.-
Quella frase non mi era nuova, l'avevo già sentita, ma in quel momento non mi ricordavo né quando né chi me l'avesse detta.
-C'è qualcosa del mio passato che non so e che dovrei sapere?- chiesi, sperando vivamente di ricevere per una volta una risposta.
-Non sono la persona adatta a far chiarezza nella tua vita, Lucinda. L'unica sei tu, ma il tuo cuore non è ancora pronto.-
Rimasi delusa, per l'ennesima volta.
Non mi ero sacrificata per ritrovarmi insieme ad uno sconosciuto che parlava in modo troppo filosofico per i miei gusti.
-E quando saprò se il mio cuore è pronto?- domandai scettica. -Come fa a sapere tutte queste cose?-
-Hai mai sentito parlare del Prescelto, Lucinda?-
-Penso di si... Un certo Herny Rotter. O forse era Botter.-
La voce tossicchiò, piuttosto seccata. -Harry Potter.- mi corresse, fin troppo acidamente. -Anche lui si era ritrovato di fronte ad una scelta difficile: morire o continuare a vivere e sconfiggere Voldemort. Cos'ha scelto lui?-
-La seconda.- risposi sicura.
-Perché secondo te?-
Harry Potter si era sacrificato per tutte le persone che erano morte credendo in lui e nella sua causa, credendo che fosse il Prescelto e che avrebbe liberato il Mondo Magico dalla dittatura di Lord Voldemort.
Ma alla prima occasione era tornato e si era rimesso in gioco, trionfando.
Che cosa centravano le sue imprese eroiche con me?
-Lui era leale, coraggioso, sincero, forte e mille altri aggettivi che io non sono e non sarò mai. Ha scelto di proteggere le persone a cui voleva bene e ne è uscito vincitore.- commentai, amaramente. -Una bella fortuna.-
-Credimi se ti dico che non è stato solo merito della fortuna. Era un Grifondoro e la purezza di cuore non gli è mancata, ma questo non vuol dire che anche lui non abbia fatto degli sbagli.-
-Ne parla come se lo conoscesse.-
La voce scoppiò a ridere. -Lo conosco meglio di chiunque altro.-
E fu in quell'istante che capii con chi stavo parlando, che la situazione si fece finalmente chiara ai miei occhi: stavo parlando con Harry Potter, il bambino sopravvissuto.
-Cos'abbiamo in comune lei ed io?- chiesi, con la voce improvvisamente tremante.
C'era qualcosa sotto, qualcosa che era iniziato dalle strane parole di mio padre quando mi aveva salutato al Palazzo di Giustizia e che stava continuando tutt'ora.
Gli strani sogni, gli attacchi ai miei compagni che erano sempre stati sventati.
Da me.
La stessa persona che non aveva mai rischiato di morire veramente.
E che era uscita di scena nel momento più impensabile: quando ormai la vittoria era ad un passo dal raggiungimento.
-Tutti e due lottiamo per un impresa, l'unica differenza è che io lo sapevo. Tu devi solo scoprirlo.- spiegò Harry, con un'inspiegabile dolcezza della voce.
-E devi anche accertarti di lottare dalla parte giusta.-
La sua voce si stava affievolendo, lo sentivo, proprio ora che si era deciso a spiegarmi qualcosa.
-Non la capisco!- esclamai allarmata, guardandomi intorno, mentre anche il bianco si stava via via scurendo.
Persi l'appoggio dei piedi e iniziai a scivolare, mentre il buio mi inghiottì
completamente.

-Ricorda chi è il vero nemico, Lucinda.-
La voce di Harry mi raggiunse un'ultima volta, prima di sprofondare nel baratro.
 

Qualcosa mi aprì di forza un occhio, puntandomi addosso una lucina forte e fastidiosa e continuando a ruotarla su e giù.
Mi lamentai con un gemito e provai a porre fine con la forza a quella tortura luminosa, senza successo.
Nel compenso, la luce sparì lo stesso e una stretta alla mano mi fece sobbalzare.
-Non la stringa così forte signor Spencer, rischierà di farle male.- avvisò una voce fuori campo, che non riconobbi.
-Ascoltalo. O poi ti farò male io.- biascicai, faticando addirittura a parlare.
Sentii il rumore di una sedia che sbatteva sul pavimento e poi due braccia forti mi circondarono.
-Lucinda! Sei viva!- esclamò Nick, stringendomi forte.
-Non per molto se non mi lasci.- tossii, cercando di levarmelo di dosso.
Notai però con orrore che le braccia non mi rispondevano e che riuscivo a malapena a muovere le dita senza sentire dolore.
Nick si allontanò all'istante, piegandosi poi verso il mio viso.
-Sempre simpatica eh?-
-Che cosa è successo?- domandai, ignorando la sua ironia.
L'ultima cosa che avevo voglia di fare in quel momento era mettermi a ridere.
-Storia lunga. Non sarebbe meglio farti riposare?- propose Nick, affrettandosi a rimettersi seduto di fianco a me.
Gli feci cenno di passarmi il bicchiere d'acqua sul comodino e non appena la mia gola fu bagnata, la spossatezza sparì all'istante.
Con molta delicatezza e molta attenzione feci forza sulle braccia e mi alzai.
Nick mi sistemò meglio i cuscini dietro alla schiena e costrinse l'uomo,
probabilmente un medico, ad andarsene.

-Sono sana come un pesce.- assicurai, schiarendomi appena la voce. -Dimmi tutto.-
Non fece però in tempo a dire niente che la porta si spalancò e Joey fece irruzione nella stanza, fermandosi solo nei pressi del mio letto.
Mi si buttò letteralmente addosso, sovrastandomi con il suo corpo enorme.
-Joey! Non respiro.- rantolai mentre Nick si preoccupò prontamente di levarmelo di dosso, aiutato da Camille.
-Oh Lucinda, eravamo così preoccupati!- ammise lei, sorridendomi sinceramente.
Ricambiai il sorriso. -Ora sto bene. Se solo sapessi cosa...-
Fui interrotta di nuovo, questa volta dall'arrivo di Felicity con una benda sul fianco e di Alexander, con il braccio fasciato.
Ora che ci facevo caso, non erano gli unici messi così male a parte me: Camille zoppicava e faticava a stare in piedi, tanto che Nick la invitò a sedersi al suo posto, rivelando così una lunga ustione sul collo, che probabilmente continuava fino alla schiena; Joey invece era a torso nudo e con il torace completamente bendato.
Probabilmente ero stata io a ferirlo, con il mio incantesimo per allontanarlo... Allontanarlo.
-Non ricordo più cos'è successo.- esclamai, preoccupata.
Milioni di immagini si accavallavano nella mia mente, ma non miglioravano la situazione.
-Dopo che tu e Joey vi siete tuffati.- iniziò Camille, stringendosi convulsamente l'orlo della vestaglia. -Siamo stati attaccati da un esercito di strani esseri volanti...-
-Arpie.- precisò Alexander.
Camille annuì. -Arpie.- concesse, guardandolo male. -E abbiamo iniziato a combattere. Appena le colpivamo quelle cose si polverizzavano, ma continuavano a ricomparire sempre più numerose. Non finivano più.-
Deglutì, fermandosi un momento. Fu Nick a continuare.
-Abbiamo lottato per un po', ma erano più forti di noi. Camille soprattutto era in difficoltà e io, nel provare ad aiutarla, ho sfiorato un'ala di queste arpie con la schiena e mi sono bruciato. Da quel momento è tutto più confuso e...-
-Io mi sono slogata una caviglia e se non fosse stato per Felicity, non sarei qui.- concluse Camille, sorridendo all'amica.
Felicity mi guardò in silenzio, poi aggiunse anche la sua parte di racconto.
-Dopo aver distrutto l'arpia che voleva mangiarsi Camille.- sorrise beffardamente. -Abbiamo sentito un enorme esplosione e Joey è sbucato letteralmente fuori dall'acqua, come spinto dalla corrente. Aveva il sacco con il numero 9, ma non c'è stato bisogno di usarlo.-
Guardai prima Joey, scusandomi con un sorrisetto, e poi tornai a fissare Felicity, curiosa.
-Come mai?-
Lei sorrise, di nuovo. -Il tempo era finito, come per magia. Quando prima mancavano ancora parecchie ore, il gong della fine dei giochi è suonato e ci hanno nominato vincitori.- concluse, incrociando le braccia al petto.
-L'esplosione ero io. Ho fatto cadere un sacco sul tavolo di fronte alla Cornucopia, era pieno di bombe e sono letteralmente saltata in aria.- dissi, sottovoce. -Non capisco come posso essere qui.-
Felicity sbuffò e mi afferrò malamente una mano.
Poi creò una piccola fiamma e prima che qualcuno la potesse fermare, me la passò su tutto il braccio.
Fui presa così alla sprovvista che non riuscii a reagire e aspettai impotente che il fuoco mi bruciasse la pelle e mi procurasse dolore.
Ma non avvenne niente di quello che immaginavo.
La fiammata circondava il mio braccio, ma non riusciva a scalfirmi la pelle.
Incredula guardai Felicity negli occhi.
-La cara Lucinda è immune al fuoco. Un applauso.- commentò ironicamente, lanciandomi comunque un leggero sorriso.
Ricambiai lo sguardo, invitandola a spiegarsi.
-Allora, tu sei una Strega dell'Acqua giusto?- iniziò, con quel fastidioso tono che di solito si usa per spiegare una cosa troppo difficile a dei bambini troppo piccoli o troppo stupidi.
-Giusto.- concordò Joey al mio posto, beccandosi un'altra occhiataccia da Felicity.
-Bene. Se sviluppi abbastanza il tuo potere, puoi rendere la tua pelle immune al fuoco.- continuò Felicity. -E tu ci sei riuscita.-
-Che figata!- esclamò Nick, guardandomi interessato il braccio. -Se si esercita può insegnarlo anche a me?-
Felicity lo guardò male. -Certo che no! Tu guarda che razza di...-
Camille le mise una mano sulla bocca, prima che potesse terminare l'insulto, e sorrise benevola a Nick.
-Ognuno nasce con i propri poteri, sono ereditari. Non puoi impararli, puoi solo perfezionarli e allenarli. Ci sono scuole apposta.-
-Davvero?- domandai, improvvisamente curiosa. -E dove?-
-Penso ci sia una scuola di magia in Francia, un'altra in Bulgaria, forse anche in Giappone. Qui da noi c'è Hogwarts.- spiegò Camille, cauta.
-Ma certo!- esclamai, battendomi una mano sulla fronte. -Ho proprio la testa da un'altra parte.-
A Joey si illuminarono gli occhi. -E cosa si fa in queste scuole?-
-Studi materie magiche, impari a creare pozioni, a volare sulle scope. E a chi è particolarmente dotato, viene offerta la possibilità di diventare Auror, le guardie del corpo al servizio del Presidente.- chiarì Camille, con scarso entusiasmo. -Entri a 15 anni e dopo tre anni obbligatori, sei libero di continuare per altri due o smettere e iniziare subito a lavorare. Ovviamente più studi, più hai possibilità di lavoro.-
Felicity fece un gesto di stizza. -Hai dimenticato la parte della discriminazione.- disse, sprezzante.
Alla parola discriminazione ricordai all'istante le spiegazioni di mio padre. -Ci sono quattro case o fazioni, come le chiamano loro. Grifondoro, Corvonero, Tassorosso e Serpeverde.-
-Curioso che tu abbia messo proprio quella per ultima.- constatò Felicity, guardandomi per la prima volta negli occhi.
-Nomi strani. Ma che avete contro Serpeverde?- domandò Nick, appoggiandosi al muro.
Lo guardai e sospirai. -Dicono che sia la fazione peggiore. Che chi viene smistato lì, finisce sempre nelle grazie del Presidente. O per lo meno, questo è quello che dicono i ribelli.- precisai, sorridendo lievemente.
-La pensa così tutta Panem, in verità.- protestò Felicity.
-Sono solo dicerie.-
-Dicerie vere.-
-Dicerie alimentate dalla rabbia di una guerra persa, vorrai dire.-
Gli altri seguivano il nostro scambio di battute in silenzio, senza osare intervenire.
A sedare gli animi ci pensò Alexander, che fino a quel momento non aveva mai aperto bocca.
-Ognuno la vede a modo suo. Nessuno può giudicare giusto un pensiero rispetto ad un altro.- precisò, poggiando una mano sulla spalla di Felicity e tirandola leggermente indietro.
Felicity, dopo averlo spostato bruscamente, si girò per fronteggiarlo e imporre la sua visione dei fatti, ma il cigolio della porta li interruppe.
-Chase!- esclamò Joey, scambiando un cinque alto con il nostro Mentore.
-Ragazzi. Sono contento di rivedervi.-
Il suo tono e il suo sorriso erano così sinceri che non me la sentivo di commentare, limitandomi a salutarlo a mia volta.
-Grazie dei doni.- dissi, nonostante il solo ammettere che avessi avuto bisogno del suo aiuto mi costava un enorme fatica.
-Di nulla.- rispose lapidario, senza nemmeno guardarmi negli occhi.
E forse quello fu uno dei pochi gesti che apprezzavo di lui, così simile a come mi sarei comportata io al suo posto.
-Fuori vi aspettano, Diagon City vuole acclamare i vincitori dei cinquantanovesimi Hunger Games.- continuò, rivolgendosi ora a tutti. -Mi duole però informarvi che non avete battuto alcun record di sopravvivenza.-
Il sopracciglio di Camille scattò verso l'alto. -Dici sul serio?-
Chase annuì. -Nella terza edizione degli Hunger Games ne sono sopravvissuti sette. Non nego che quella fu la prima e ultima volta fino ad adesso, ma è comunque un anno da non dimenticare.-
Buttai i piedi giù dal letto e mi alzai, prima che qualcuno avesse potuto dirmi
qualcosa.

Il mondo ondeggiò per qualche secondo e fu benevolo: avevo una presa salda sulle gambe e nemmeno un filo di nausea.
A Nick per poco non venne un infarto e si buttò su di me. -Non ti devi alzare di scatto, rischi di cadere!-
-Spencer, vorrei ricordarti che ce l'ho già una madre.- commentai, cercando comunque di mantenere un tono leggero.
Odiavo quando le persone si preoccupavano inutilmente per me.
Per la precisione, odiavo chiunque si preoccupasse per me: non ne avevano motivo.
Ignorai la sua smorfia offesa e mi rivolsi a Chase, decisa. -Quando si comincia?- domandai, attenta alla sua reazione.
-Subito.- esclamò, invitando ad entrare con un cenno qualcuno fermo fuori dalla porta.
Il mio staff di preparatori si fiondò nella stanza, già piccola per tutte le persone che la occupavano, e mi tempestarono di domande.
Riuscii a malapena a sentire gli altri che se ne andavano per prepararsi a loro volta, prima che il turbine di voci mi inghiottì e non mi diede modo di pensare ad altro.
Fui costretta a soddisfare ogni singola loro curiosità, il che non mi era chiaro visto che avevano passato tutto il tempo a guardarmi in televisione, e solo alla domanda di un possibile “rapporto speciale” con Nick mi rifiutai di rispondere.
-Suvvia Lucinda, tutti hanno visto come ti guarda.- rise Phil, pettinandomi i capelli. -L'unica che lo ignora sei tu, ma nessuno ne è rimasto stupito
conoscendoti.-

Diagon City affermava di conoscermi, come si sbagliava.
-E comunque siamo convinti che gli darai una possibilità prima o poi.- continuò
Alexis, allegra. -Sono sicura che, se tu tornerai al Distretto 4 com'è giusto che sia, lui ti seguirà, senza ombra di dubbio.-
-E poi tra sei mesi c'è il Tour della Vittoria nei Distretti, un'altra buona occasione per vedervi e stare insieme.- aggiunse Trenna. -Dovete approfittarne!-
Li guardai in tralice per qualche secondo e poi sospirai.
-Avete preso un abbaglio, tra me e Nick non c'è e mai ci sarà niente. Mi considera solo un'amica, lo stesso identico sentimento che io provo per lui.-
Phil mi lanciò un'occhiata furbetta. -Si certo, solo amicizia.-
A furia di ascoltare i loro discorsi senza senso, avevo perso completamente la nozione del tempo e mi ritrovai pettinata e profumata prima di rendermene conto.
I capelli mi ricadevano lisci sulle spalle e notai con sollievo che il trucco sul viso era appena accennato.
-Avete fatto un ottimo lavoro.- li ringraziai, spingendoli velocemente fuori dalla camera. -Ma ora vi pregherei di andare a cercare Crystal e il mio vestito.
Alexis fece un cenno affermativo e seguì gli altri, scomparendo nel corridoio.
Finalmente sola in quella specie di stanza d'ospedale, fui libera di guardarmi intorno e riposare la mente.
Il silenzio era addirittura assordante, ma non era quello a infastidirmi: la sensazione di non essere completa, di aver dimenticato qualcosa, stava iniziando a crescere e se al mio risveglio ero riuscita a ignorarla grazie alla presenza degli altri, ora non potevo più nasconderla.
Mi alzai di scatto e iniziai a frugare nei cassetti della cassapanca di fronte al letto, senza far caso a cosa le mie mani urtavano.
Vestiti mai visti, numerose camicie da letto bianche, un flacone di crema per le mani e infine, nell'angolo più remoto dell'ultimo cassetto, il mio anello.
Lo infilai all'indice, sospirando di sollievo.
La pietra nera era ancora al suo posto, il disegno era vivido e lucido.
-Lucinda, finalmente!- esclamò Crystal, entrando in quel momento nella stanza.
Mi abbracciò e senza rendersene conto mi distolse da dei pensieri che mi innervosivano.
Avevo sognato qualcosa di importante e me l'ero dimenticata, ora ne ero più che certa.
-Lo sapevi che avrei vinto.- scherzai, ricambiando il suo abbraccio.
Lei rise sinceramente e sembrò ignorare il tremore della mia voce, che trasudava una finta determinazione.
-Ho il vestito pronto, non perdiamo tempo.-
Un sacco scuro aspettava sul letto, del quale non mi ero nemmeno accorta.
Ero troppo distratta.
Quello non era il momento di rammaricarmi della mia scarsa memoria, dovevo solo concentrarmi sulla conclusione del mio successo.
Crystal abbassò velocemente la cerniera e mi mostrò orgogliosa la sua creazione: un abito a mono spalla blu, con una corta gonna a sbuffo e un cerchietto abbinato.
All'apparenza sembrava troppo sfarzoso per i miei gusti, ma appena vestita mi resi subito conto che Crystal era stata perfetta, come sempre.
Da quell'esperienza, avevo anche imparato che vestirsi bene di tanto in tanto poteva essere bello.
Non vedevo l'ora di tornare alla mia tenuta d'allenamento, però.
-Impeccabile, come sempre.- si complimentò Crystal, aggiustando gli ultimi dettagli. -Possiamo andare.-
Uscimmo in corridoio e incontrammo Joey per strada, accompagnato dal suo Stilista.
Percorremmo quello che sembrava un cunicolo sotterraneo, buio e piuttosto soffocante, e arrivammo davanti ad un specie di pedana di metallo, molto grande.
Chase era fermo lì davanti con le braccia incrociate e ci dava le spalle.
-Due minuti e tocca a voi. Caesar sta intrattenendo il pubblico, con scarso successo. Vogliono i vincitori.- ironizzò, scorgendoci con la coda dell'occhio. -Salite qui sopra e cercate di non cadere. Non vorrete morire proprio ora, giusto?-
-Sbaglio o il tuo pessimo senso dell'umorismo si è acuito in queste settimane?- replicai, saltando sulla pedana.
Joey, attaccato al mio braccio, per poco non perse l'equilibrio.
-Non muoverti troppo, rischiamo la vita qua sopra!- urlò, stringendomi il braccio.
Lo allontanai, con tutta la delicatezza di cui disponevo, e spiegai brevemente a Chase: -Soffre di vertigini.-
Dopo averlo guardato stupito, scosse un paio di volte la testa e si apprestò a raccomandarci.
-Vi faranno delle domande sulla vostra esperienza nell'arena. Siate i più concisi possibili, mentre spaziate sul resto. Apparite simpatici, accattivanti e disponibili.- mi lanciò un'occhiata significativa e continuò. -E cercate di controllare le vostre emozioni. Qualunque cosa vi dicano.-
Annuii rapidamente, cercando di mascherare il battito forte del mio cuore.
Non ero brava ad apparire simpatica.
Anzi, proprio non lo ero simpatica.
-Ora andate e possa la fortu...-
Prima che potesse terminare quella frase della discordia e io stessa gli mollassi un ceffone, Joey intervenì.
-Un in bocca al lupo basta e avanza.-
Chase ci sorrise per l'ultima volta e poi sparì nel buio del cunicolo.
Joey mi tese la mano, non appena la pedana iniziò a muoversi, e io l'accettai di buon grado.
Il rettangolo di luce che ci sovrastava si avvicinava sempre di più, insieme al brusio della folla che a poco a poco si trasformava in un unico urlo di acclamazione.
Sbucammo sul palco, alla luce del giorno, ma per un momento non vidi niente.
Mi godetti quegli ultimi momenti di pace, prima di aprire gli occhi e sorridere alla folla.

Angolo d'autrice:
In arrivo...

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Capitolo 25
*** La verità ha un prezzo ***


The power of the elements- La verità ha un prezzo

 

Sentii il mio braccio sollevarsi, unito a quello di Joey, e il classico ululato euforico del mio amico mi trapanò le orecchie.
Il pubblico esplose alla nostra entrata in scena: si ricordavano che alla Mietitura ci eravamo comportati allo stesso modo e che eravamo tornati dall'Arena.
Forse attribuivano la nostra vittoria solo a quel fatto.
I capitolini non erano famosi per la loro intelligenza, quanto per la loro ridotta capacità di ragionare.
-Signori e signore, i vincitori della cinquantanovesima edizione degli Hunger Games!- esclamò Caesar, invitandoci a raggiungere il centro del palco con lui.
Mi affiancai a Camille e le sorrisi, porgendole una mano.
Lei l'afferrò e fece lo stesso con Felicity, Nick e Alexander.
Prima che i capitolini riuscissero a dire “wow” eravamo un'unica catena umana.
-Quale incredibile entrata in scena, ragazzi!- sorrise Caesar, invitandoci a sedere.
Sei poltrone erano poste a semicerchio davanti a un enorme schermo, che occupava quasi tutta la parete della piazza principale di Diagon City.
-Sarebbe inutile nascondere il fatto che voi eravate sin dall'inizio i miei preferiti, sul serio.- esordì Caesar, accomodandosi insieme a noi.
La folla si era quietata, in attesa delle nostre parole.
-Alla faccia dei favoritismi, Caesar.- commentò Nick, rivolgendogli un'occhiata risaputa.
Il presentatore e i capitolini scoppiarono a ridere, acclamandolo.
Io invece non riuscivo a pensare ad altro che al fatto di non volere essere lì, davanti a tutta quella gente.
Qualsiasi altro posto sarebbe andato bene, ma non lì.
-Ormai mi conoscete, io acclamo solo il meglio!- scherzò Caesar, facendoci l'occhiolino.
Passai il resto del tempo in silenzio e risposi solo alle domande che mi venivano rivolte direttamente.
Nick continuava a scherzare con Caesar, come se fossero amici di vecchia data, Joey si impegnava ad apparire intelligente a giudicare dalle risposte che si inventava e Felicity sembrava divertirsi a mettere in difficoltà il presentatore, con un tono saccente e delle esclamazioni che farebbero invidia persino al migliore dei ribelli.
-Abbiamo già potuto appurare che una coppia del nostro irresistibile sestetto si è già formata. Felicity, vuoi parlarcene?-
Se solo in questo momento avessi avuto una macchina fotografica, non ci avrei pensato due volte ad immortalare la faccia stupita e improvvisamente rossa di Felicity, che alternava occhiate omicide verso Caesar a occhiate indecise verso Alexander, il quale prese subito in mano la situazione, con la sua intramontabile leggerezza.
-Sarebbe inutile negare la verità a questo punto.- disse Alexander, prendendo la mano di Felicity e stringendogliela. -Sono contento di averla viva qui, accanto a me.-
Il pubblico si sciolse in un sospiro sognante, mentre Caesar applaudì e Felicity cercò di scivolare via dalla poltrona e dalle telecamere, non riuscendoci.
Le rivolsi un breve sorriso divertito e per la prima volta lei lo ricambiò, guardando subito dopo Nick.
Non riuscii comunque a fermarla, perché Camille si intromise nel discorso e lo pilotò strategicamente su un altro argomento.
Felicity mi mimò velocemente un “Presto toccherà anche a te” che cercai di nascondere con un enorme sorriso e un, apparentemente causale, gesto con la testa.
Se avessi saputo che mi avrebbe parlato e che avremmo scherzato insieme solo sul palco di Capitol City, mi sarei data da fare per vincere prima e con meno sforzi.
-Ma è dunque arrivato il momento che tutti noi stavamo aspettando!- esclamò subito dopo Caesar. -Il momento di rientrare nell'arena per l'ultima volta e ammirare le gesta formidabili dei nostri vincitori.-
Camille sobbalzò sulla sedia e cerò lo sguardo di Joey, preoccupata.
Sapevo il perché di quella reazione.
Urla, morti, sangue e mostri.
Ecco cosa ci avrebbe atteso per le prossime ore.
Ma noi eravamo pronti e non avremmo sfigurato.
Non avremmo potuto farlo.
Alzai gli occhi verso il grande schermo alle nostre spalle e serrai forte la mascella, non appena apparirono le prime immagini del bagno di sangue.
Man mano che il tempo scorreva, un inusuale particolare mi balzò agli occhi.
Prima Nick, poi Camille, poi Felicity e Alexander e addirittura Joey.
Tutti e cinque erano caduti in una trappola o erano stati attaccati da qualcosa, rischiando di morire.
E colei che li aveva salvati, anche solo arrivando sul luogo in cui si trovavano, ero stata proprio io.
L'unica che non aveva mai rischiato di morire.
Il flashback mi colpì all'improvviso, proprio durante gli ultimi fotogramma, quando io saltavo in aria e gli schermi si oscuravano, per poi sfumare sugli altri miei compagni.
Sentivo una voce, che sovrastava addirittura da sola il pubblico di capitolini, e un nome frequente, dalla storia incredibile e dall'importanza inimmaginabile.
Harry Potter.
Ho fatto un sogno su Harry Potter mi ritrovai a pensare, stringendo con forza i braccioli della poltrona.
Joey si voltò incuriosito verso di me e mi fece un cenno, di cui però nemmeno mi accorsi.
Avevo delle parole che mi vorticavano in testa e alle quali non riuscivo proprio a dare un senso.
Non mi ricordavo di aver mai parlato con Harry Potter, ma nel contempo il mio subconscio riconosceva quello stimolo e mi convinceva del contrario.
Avevo parlato con Harry Potter... Ma di che cosa?
-Un saluto a tutta Panem e non temete, li rivedremo molto presto.-
Quello che accadde dopo, sembrò cogliere di sorpresa tutti, me compresa.
La bandiera con il simbolo di Panem che sovrastava il Palazzo Presidenziale della capitale prese fuoco, spinta da una forza conosciuta, e subito i Pacificatori si accalcarono intorno a Felicity, che sorrideva in modo strano.
-Non è stata lei! Non è stata lei!- urlò Alexander, combattendo contro le guardie che lo allontanavano da Felicity, ma il suo sguardo disperato non sembrava nemmeno vero.
Nick mi afferrò per un braccio e prima che potessi dire qualcosa, un Pacificatore sparò sulla folla e un uomo in divisa nera cadde a terra, in una pozza di sangue.
Camille urlò di terrore, ma non riuscimmo a vedere altro.
I fucili dei Pacificatori ci spinsero con insistenza nel palazzo e l'enorme portone chiuso fu l'ultima cosa che vidi.

 

 

Il viaggio di ritorno durava ormai da due ore ed entro poco Joey ed io saremmo arrivati ai nostri Distretti.
Nick era sceso poco prima, con la promessa di farsi sentire molto presto.
Il modo con cui ci sarebbe riuscito non mi era chiaro, ma evitai di commentare.
Un pesante silenzio aleggiava nel vagone sin da quando eravamo saliti sul treno e
nessuno sembrava in vena di parlare.

Più di una volta riuscii a intercettare le occhiate che si scambiavano Felicity e Camille, ma il senso mi sfuggiva.
-Voi sapevate di quell'attacco in piazza.- sussurrai ad un certo punto.
Non era una domanda, perché improvvisamente mi ero resa conto di quella che era veramente successo.
-Un attacco di ribelli. - aggiunsi, ripensando alla bandiera che bruciava. -E voi ne fate parte, a quanto pare.-
Joey prese a mordersi le unghie, preoccupato, mentre non capiva cosa significassero le mie parole.
Camille al contrario lo sapeva.
-Non potevamo dirtelo prima.- bisbigliò, facendo cenno a tutti di seguirla verso il fondo del treno.
Si sedette sui divani vicino all'enorme finestrino, seguita dagli altri, e io fui l'unica a rimanere in piedi.
-Era un piano programmato.- inizia Camille, torturandosi le mani. -Il movimento di ribelli è nato da un po', ma solo da qualche anno qualcuno si è impegnato veramente per combinare qualcosa.-
-Mia zia.- chiarì Felicity, sbrigativa. -Si è fatta mettere in prigione e da lì è riuscita a scappare, visto che dai campi di lavoro dove avevano portato lei e gli altri era praticamente impossibile uscire.-
-Campi di lavoro?- domandai, disorientata.
-I Maghi e le Streghe del Fuoco non hanno diritto ad una vita come gli altri, sono troppo indomabili. Sono loro che hanno creato il movimento di ribelli.- spiegò brevemente Felicity. -Ma non è il momento adatto per i lunghi discorsi.-
Camille prese un lungo respiro e riprese a parlare.
-Eravamo d'accordo con la zia di Felicity di portarti dalla nostra parte.-
La guardai in modo strano, ma le spiegazioni non tardarono ad arrivare.
-Dovevamo portarti dalla nostra parte, perché sfortunatamente la rivolta vera e propria non si può compiere senza di te.- chiarì Felicity, abbastanza acidamente, e poi scosse la testa, quasi rassegnata. -Ma evidentemente non ce l'abbiamo fatta.-
-Cosa te lo fa pensare?- ribattei, visibilmente contrariata.
-Il fatto che non ci hai pensato due volte ad accusarci pochi secondi fa non ti sembra una risposta più che ragionevole?-
Incrociai le braccia al petto e presi a camminare avanti e indietro nel vagone, mentre Joey guardava prima Camille e poi seguiva i miei spostamenti.
La stessa Camille prese un altro respiro profondo e mi sorrise, forse provando a consolarmi.
-Per far sì che la rivolta si compia davvero, abbiamo bisogno di te, ma non chiederci perché.- sospirò. -Finché non farai il giuramento non potrai sapere niente delle nostre manovre e dei nostri spostamenti.-
-Meglio così. Non ne ho mai avuta l'intenzione.-
Felicity allargò le braccia, come a sottolineare il proprio pensiero, e Alexander si prese la testa tra le mani, sospirando.
-Non si fiderà mai di noi se noi non ci fidiamo prima di lei.- esclamò, esasperato, e subito dopo mi prese la mani, imponendomi di stare ferma e di sedermi di fronte a lui.
-Secondo i capi della ribellione, per attuare la rivolta che cambierà i corsi della storia, servono quattro persone.-
Guardai Alexander negli occhi, poi Camille, Felicity e poi mi indicai.
-Noi quattro?- domandai. -Perché?-
-Perché i fondatori della vecchia Inghilterra erano quattro e avevano poteri fuori dal comune.- riassunse Alexander, con un'espressione abbastanza orgogliosa negli occhi chiari. -E noi siamo i suoi discendenti.-
-Ma non mi dire.- scoppiai a ridere, impegnandomi per renderla più vera possibile. -In famiglia sono la prima ad avere ereditato i poteri magici, la prima mai esistita nei Lockwood e...-
-E non ti chiedi il perché?- esplode Alexander, facendomi quasi ribaltare dalla poltrona. -Non ti domandi come sia possibile che una cosa del genere sia accaduta? È contro ogni logica naturale.-
Guardai Joey, ma lui teneva gli occhi abbassati e così non riuscii a trovare
nemmeno un po' di conforto da parte sua.

Sembrava quasi avere un'aria colpevole.
E io sapevo perché.
-Questo è il destino, Lucinda. Tu sei la Strega dell'Acqua che il fato ha predisposto come erede di Salazar Serpeverde, così come io sono l'erede di Cosetta Corvonero, Camille lo è di Tosca Tassorosso e Felicity di Godric Grifondoro. Siamo stati scelti, abbiamo ricevuto questo dono, e ora dobbiamo sfruttarlo per fare del bene.-
Il treno deragliò in quell'istante e poco a poco si fermò.
Mi decisi a sollevare lo sguardo dopo un po', un istante prima che Joey mi chiamasse e mi avvisasse che avremmo dovuto scendere.
Che eravamo finalmente arrivati al Distretto 4, a casa nostra.
-Il male non esiste. Esiste solo il potere.- Fissai tutti negli occhi, determinata. -E chi è troppo debole per usarlo. Mi dispiace, ma non vi aiuterò a far piombare di nuovo Panem nel caos. Abbiamo lottato a lungo per ottenere la pace, dopo che i nostri antenati l'hanno portata via con la forza, e se a voi non sta bene così, è un problema vostro.-
Spinsi la porta del vagone con forza e con altrettanta forza la richiusi dietro di me, senza aspettare neanche che Joey mi seguisse e senza ascoltare i commenti velenosi di Felicity.
Come potevo davvero credere alle loro parole? Come potevo anche solo fidarmi di loro?
-Tu lo sapevi!- aggredì Joey, voltandomi all'improvviso e puntandogli un dito contro il petto.
Lui non disse niente, riuscì solo ad abbassare di nuovo lo sguardo, come se il pavimento si meritasse più di me la sua attenzione.
Come se avesse quasi paura di me.
-Mi fidavo di te.- confessai e in un attimo di debolezza, un tremito nervoso percorse la mia voce.
Sentivo gli occhi bagnati, pericolosamente vicini alle lacrime, e Joey se ne accorse, ma quando tese la mano, gliela spinsi via con forza.
-Ma sei uguale a tutti gli altri. Debole.-
La stazione del Distretto 4 era sovraffollata e c'era talmente caos che non mi accorsi del treno che ripartì, diretto agli altri Distretti.
Li avrei rivisti presto, tutti quanti, ma per il momento non m'importava.
Volevo solo riabbracciare la mia famiglia, tornare alla mia vita normale, dove Harry Potter non mi parlava del sogno, dove non ero l'ultima discendente di Salazar Serpeverde, dove tutti mi avrebbero acclamato per quel che ero veramente.
Lucinda Lockwood, la vincitrice dei cinquantanovesimi Hunger Games.

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Note d'autrice:
Si, due mesi senza aggiornare sono tanti, e le mie amiche me lo hanno fatto notare più volte, ma posso solo dire che mi era passata l'ispirazione, che altre cose mi hanno fatto dimenticare questa storia.
Le stesse cose che ora ho dimenticato, visto che sono qui ad aggiornare con l'ultimo capitolo, che però non sarà l'ultimo!
Ci sarà il prologo finale e so benissimo che tante cose ambigue di questa storia non sono state spiegate, perché ho in mente un seguito.
Non è nulla di certo, e soprattutto non sarà immediato, ma ho qualcosa in cantiere e credo che molto presto riuscirò a svilupparlo.
Ringrazio tutti per avermi seguito fino a qui e grazie anche se recensirete nonostante il tempo passato.
Al prologo,
Lucinda_Lockwood

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Capitolo 26
*** Epilogo ***


EPILOGO




La sala dove il presidente Snow aveva convocato il primo stratega, era ampia, ma buia e priva di finestre.
L'ambiente era arredato in modo spartano, con un tavolo di vetro al centro della stanza e due sedie ai lati estremi, rivolte verso un proiettore, puntato al muro.
Il presidente Snow fece cenno al primo stratega di accomodarsi e subito prese posto di fronte a lui.
- Quello che è accaduto durante questi giochi è stata la prova di cui non avevamo bisogno. - esordì, intrecciando le mani e appoggiandole al tavolo.
- Dei ragazzi ci hanno ridicolizzato, davanti a tutta Panem, e non doveva succedere. -
Il primo stratega non osava alzare lo sguardo, preoccupandosi invece di mantenerlo ben fisso a terra, per evitare di incontrare la furia che certamente animava gli occhi di Snow.
- Il movimento dei ribelli si è rafforzato. Il giorno della vittoria alcuni Maghi del Fuoco hanno fatto esplodere il campo di lavoro dl Distretto 7 e tutti i prigionieri sono scappati. - continuò, mantenendo una calma quasi glaciale. - E si sono riuniti a Capitol City, per organizzare l'attacco di cui siamo stati testimoni durante la cerimonia della premiazione. -
Solo allora, colpito da un pensiero improvviso, il primo stratega alzò lo sguardo e lo puntò su Snow.
- Non crederà davvero alle dicerie che i Ribelli hanno fatto circolare nei Distretti, vero? - domandò, quasi incredulo.
Snow scosse la testa.
- Quattro ragazzi predestinati per liberare Panem dalla morsa della tirannia. -
Scosse ancora la testa e si appoggiò allo schienale della sedia, accarezzandosi i baffi.
- La speranza è più forte della paura, ma troppa speranza rende gli uomini cechi e privi della capacità di ragionare. -
Sorrise e il primo stratega rabbrividì.
- Quei ragazzi sono potenti, signore. - si azzardò comunque a dire, dopo aver preso un respiro profondo.
- Lo sono. - ammise Snow. - Ed è per questo che abbiamo bisogno di loro. -
- Abbiamo bisogno di loro? - domandò il primo stratega, incredulo, sporgendosi istintivamente in avanti.
- Abbiamo bisogno di loro per riportare razionalità nei Distretti. Devono morire. - chiarì Snow.
- Anche la Favorita del 4? - chiese ancora il primo stratega, cercando di fare chiarezza nei propri pensieri. - Da quello che mi ricordo, non fa parte dell'organizzazione dei ribelli. È dalla nostra parte, se non sbaglio. -
- Il destino è l'arma più potente che esiste a questo mondo – commentò Snow. - Ma siamo noi a decidere il nostro destino. E saranno le azioni di quella ragazza a decidere cosa farne della sua vita. -
Il primo stratega annuì, finalmente con il piano del presidente chiaro nella mente.
- Sarà un'edizione della memoria speciale. - dichiarò Snow, scoppiando subito dopo in una risata secca e rauca.
L'uomo si sforzò di imitarlo e, nel contempo, ne ammirò l'astuzia e la malignità che dimostrava.
Il presidente Snow non si sarebbe fermato davanti a niente.
Avrebbe mantenuto il suo pugno di ferro su Panem ancora per molto tempo e i ribelli non sarebbero riusciti a impedirglielo.
Nemmeno con l'aiuto degli eredi dei fondatori.

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Ultimo angolo d'autrice:
La storia è finita!
Faccio fatica a crederci anche io, in effetti.
Non mi aspettavo di riuscire a portare a compimento una storia a capitoli così lunga e anche di prevedere un continuo.
Perché si, ora è deciso: farò un secondo capitolo di questa saga, perché io stessa voglio vedere come andranno a finire le nostre vite in questo mondo (:
Ringrazio tutti quelli che mi hanno seguito e che hanno recensito e spero che faranno altrettanto nella seconda parte di questa storia, che comunque non arriverà a breve.
Ho già delle idee, alcune le ho buttate giù, altre le lascio lì e vedo cosa mi porteranno.
Spero anche che l'epilogo vi abbia soddisfatto (Giulia e Camilla, parlo soprattutto con voi) (:
Alla prossima dunque,
Lucinda_Lockwood

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