Call It Magic - La Figlia di Ecate

di Callitmagic
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** La Capraleone ***
Capitolo 2: *** Chirone, l'uomo-cavallo ***
Capitolo 3: *** Solo l'inizio ***
Capitolo 4: *** Riconoscimento ***
Capitolo 5: *** La sposa sfortunata ***
Capitolo 6: *** Dove tutto è cominciato ***
Capitolo 7: *** Sacra semplicità ***
Capitolo 8: *** Viola ***
Capitolo 9: *** Rubacuori assassini ***
Capitolo 10: *** Pioggia di Vetro ***
Capitolo 11: *** Il sole non è scomparso ***
Capitolo 12: *** L'amicizia è solo una copertura ***
Capitolo 13: *** Short - Vecchi Nevrotici ***
Capitolo 14: *** Perchè Provare ***
Capitolo 15: *** Short - Scosse elettriche ***



Capitolo 1
*** La Capraleone ***


Call It Magic - La Figlia di Ecate
primo capitolo

 
La capra-leone

 

Questa è la mia prima storia, quindi spero vi piaccia. Cercherò di renderla intrigante con colpi di scena, canzoni e frasi in ogni capitolo. Alcuni capitoli sono stati modificati. Spero che la mia pazzia non v preoccupi eeee Buona Lettura!
 

Come ho fatto in breve tempo a ritrovarmi in questo casino? Me lo chiedo ancora. Facciamo un salto indietro e rivediamo tutto ciò che accadde prima.
«Avanti Meg, muoviti!» urlava mia madre da dentro la machina. Un poliziotto mi inseguiva a perdifiato mentre stringevo la borsetta appena rubata.

«Corri più veloce!» continuava a sbraitare. Spalancò il finestrino, così appena arrivai mi ci buttai dentro. Sembravo uno stupido grosso panda.

«Se ci hanno visto è colpa tua. Sei troppo lenta» disse secca mamma.
«Ho corso come sempre» sbuffai. «Mi è capitato un poliziotto agile»
«Non sei capace di fare niente! Ogni rapina, anche la più stupida, va sempre male per colpa tua!» cominciò a urlare papà.
«Non mi sembra che sia finita così male questo furto» ribbattei. «E poi non ho scelto io di fare la ladruncola di periferia. Siete voi che mi costringete»
«Altrimenti non saresti brava comunque» riprese come se non avessi parlato «Cerchiamo di tirare qualcosa di buono in te».

Con questa frase mi mise KO. Come se nei miei 16 anni di vita non abbia fatto niente. Parlavano della dislessia come una malattia mortale e contagiosa. Scossi la testa e buttai la borsa nel grembo di mia madre, infuriata.

Ecco, come vedete la mia vita non fu mai facile. I miei genitori non mi davano conto, non ascoltavano e soprattutto mentivano. 

A casa – un piccolo appartamento nel Bronx – andai nella camera. Inspirai l’aria e mi buttai sul letto, accogliendo il silenzio intorno a me. Un senso di vuoto mi coglie e per reprimerlo cominciai a guardare fuori dalla finestra della camera.
Un rete intricata di brutti palazzi, luci, strade sporche e panni stesi al vento apparivano nella mia visuale.
E poi, riflessa nel vetro, c’ero io.
Capelli castani arruffati, un cerotto sul naso, e grandi occhi…indefiniti. Beh, il colore era difficile da spiegare: una sfumatura di celeste, viola e verde. Insomma, non avevano un colore definito. Il naso allungato seguiva la forma del mio viso e labbra piccole erano contratte.
Abbassai ancora lo sguardo e intravidi il mio corpo. Diciamo normale per una ragazza che corre tutto il giorno e non si ferma un attimo.

Decisi di scendere e prendere un bicchiere di succo alla pesca. Magari, perché no, un  bel pacco di patatine. Ma mentre cammino trascinando i piedi sento le voci dei miei genitori.
Niente di strano penso Se non fosse per il fatto che non parlano mai tra di loro la sera. Guardano solo la tv e mangiano cibo spazzatura fino alle due.
Comincio a origliare, incuriosita, e sento la mamma: «Come dobbiamo fare? Non possiamo pagare più le tasse. E’ diventata troppo cara. »
«Un’altra rapina dovrebbe bastare» ammise papà «Dobbiamo solo…»
«Ma, Alfred! Verranno domani mattina…Come faremo?»
Una bestemmia esce dalla bocca di mio padre. «Maledetta borsa. Pensavo contenesse più soldi»
«Non possiamo più reggere questa adozione».

Sento uno scoppio interiore, come se mi avessero lanciato una bomba atomica addosso. E poi più niente, solo il flusso continuo dei miei pensieri.
Chiudo piano gli occhi e appoggio la testa allo stipite della porta. Ecco come la mmia vita cambiò in una sola parola sconosciuta. Adozione.
Nemmeno me ne accorgo e sono già in camera mia. Prendo lo zaino, infilando alcuni cambi –rubati- e i soldi dei miei –rubati anche quelli-. E scappo.

Dalla mia famiglia. Dalla mia vecchia vita. Da tutto ciò che apparteneva al passato. Ma ora non so dove andare. Cosa ne sarà di me? E del mio futuro? E’ troppo tardi per cambiare le scelte?
Perché tutta la tua vita è una menzogna, quando scopri di essere adottata. Si. Ho passato la vita a domandarmi cosa respingesse i miei genitori da me. Ora ho capito: ero la figlia che non avrebbero mai potuto avere, la figlia che sostituiva ogni loro sogno irraggiungibile. Riempivo il loro vuoto interiore, ma non ero mai abbastanza. Troppo invadente, troppo curiosa, troppo isolata. Troppo.
Allora feci l’unica cosa che so fare bene. Improvviso: presi un taxi, e lo portai in un luogo lontano da casa.
Pagai il taxi ed entrai nella boscaglia vicino la strada dove mi aveva fermato l’auto. Come un forte richiamo; c’era qualcosa dentro il bosco simile a una calamita. Il bosco era silenzioso e camminai lentamente, attenta a non schiacciare troppe foglie. La nebbia non permetteva un’ottima visione, e vedevo solo le sagome degli alberi.
Mi volto dietro. In lontananza, vicino un pino, giaceva una sagoma stranamente lineare. Iniziai a indietreggiare e sentii uno strano odore di bruciato e di…capra?
 
Poi la sagoma fece un salto e…
Aveva la testa di leone, il petto di capra e la coda era un orrendo serpente. Tutto ciò componeva un spaventoso mostro di media altezza (un metro e mezzo) CHE AVEVA TANTA VOGLIA DI MANGIARMI.

Filai più veloce che potei e in lontananza, oltre la verde collina, c’era una specie di fattoria. Vedendo la mia salvezza, le mie gambe furono incoraggiate a correre più veloce. Ma, distruggendo le mie speranze di salvezza, ad un certo punto sentii un calore alle spalle. Poi, vicina ormai alla porta della fattoria, SBAM!, mi ritrovai il mostro davanti.
Ecco è finita. Diversamente da come fanno i film, non potevo ammettere di aver avuto una bella vita. La mia vita ha fatto schifo, in tutti i sensi.
E ora mi ritrovo qui, cercando una via di fuga.
Presa dal panico afferro un ramoscello e glielo punto contro.
«Non muoverti, brutta bestia» gli ordino.

Ma il capra-leone sputa una palla di fuoco (si, una palla di fuoco) e mi causa una leggera ustione al braccio sinistro, dal polso al gomito.
Urlo, sperando che qualcuno nella fattoria (che poi scopro essere enorme) mi senta. Mi alzo in piedi e cerco una via per oltrepassare il mostro e muovermi verso la porta.
Illuminazione: noto un albero abbastanza alto. Se riesco a salire, faccio finta di buttarmi nell’opposta direzione della porta e velocemente mi precipito verso la fattoria. Sembra un piano stupido, ma è un’ottima soluzione rispetto alla morte.

Prendo il legnetto e filo verso l’albero. Un’altra stupida palla di fuoco viene nella mia direzione, e mi butto rotolando per la collina. Oltre ad essere giugno, il caldo del fuoco peggiora la mia sudorazione, e sembravo un pinguino nella gola di un vulcano che scappa, sudato e bruciato. Mi arrampico sull’albero e sarebbe andata anche bene se non fosse stato per il mostro che butta l’ennesima palla di fuoco e mi fa precipitare dolorante. Ecco, credo sarei morta. Chi mi aveva detto di venire qui?
Sarei morta, se non fosse per la spada che taglia la gola del capra-leone. Oltre il corpo mozzato c’è un ragazzo alto e bruno, con gli occhi color nocciola, che mi tende la mano.
«Stai bene?» chiede. «Sei…tutta bruciata» si avvicina e mi tocca i capelli con aria preoccupata. Poi quando vede l’ustione sul braccio mi fa alzare e dice «Ti porto in infermeria urgentemente, un cambio di vestiti e…»
Intanto io non smettevo di guardare il corpo del mostro, incredula «Cosa diamine era?» domando sconvolta.
«Una Chimera» dice deciso. Mi prende per il braccio buono «Andiamo dai. C’è qualcuno che ti aspetta».


 




Angolo dell'autrice
Carissimi Lettori! E' la mia ff, e il personaggio che ho creato spero non vi deluda ew.
Adoro personaggi con situazione familiari difficile (idk why HAHAHHA) e nei prossimi capitoli vedrete che al campo mezzosangue si troverà 'abbastanza' bene.
Per i primi cinque (o sei) capitoli andrò piano e presenterò i miei eroi: sette persone del tutto differenti tra loro, che combatteranno insieme contro la stessa persona.

RECENSITE IN TANTI, por favor :))
   

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Capitolo 2
*** Chirone, l'uomo-cavallo ***


 Chirone, l'uomo-cavallo
secondo capitolo
|Louder-Neon Jungle|

 


Mal di testa. Fu la prima cosa che penso appena mi sveglio. Ricordo solo di aver superato la porta della fattoria (anche se non sono ben sicura) e di svenire, sbattendo la testa a terra.
«Hei» mi fa una ragazza pallida sentendo gemiti di dolore.
«Ho un mal di testa tremendo» le dico. Se fosse stata una persona normale, credo che non mi sarei mai lamentata. Ma, essendo in infermeria, suppongo sia una delle aiutanti. Fuori dalla finestra c’è un paesaggio magnifico e moltissimi ragazzi, anche della mia età, che combattono o si allenano.
«Lo so, hai preso un brutto colpo, ma il nettare sistema tutto. Non ti preoccupare» mi rivolge un sorriso da sotto i riccioli bruni che le cadono sulla fronte. Vedendo il mio sguardo interrogatorio, si presenta «Sono Abbie, piacere. Tu sei…»
«Meg» dico «Meg Cartwright»
«Mi piace il tuo nome» sorride. Poi aggrotta la fronte e gesticolando dice «Non ci siamo già viste da qualche parte? Forse…»
Alzo un sopracciglio con sguardo interrogativo, ma subito cambia argomento.
«Le tue condizioni salutari sono alquanto gravi. Voglio dire, hai delle ustioni di primo grado che vanno dalla nuca alla spalla, sul polpaccio e dal polso al gomito, il che inferisce sui tuoi movimenti. Ma ancora un po’ di giorni e potresti tornare a posto».

Ho sospeso l’ascolto dalla parola ‘polpaccio’ poiché in stanza entra un il ragazzo coi capelli cioccolato e… un cavallo. No aspetta, un uomo. Un uomo cavallo.
«Abbie, credo che il mio mal di testa sia peggiorato» le dichiaro preoccupata. Abbie si volta e li saluta con la mano.
«Signor Chirone, che piacere» dice sorridendo.
«La nostra ospite come sta?» chiede l’uomo cavallo fissandomi.
«Il nettare ha sistemato quasi tutto, signore». Ora tutti mi fissano e io resto lì, a bocca aperta osservando sconvolta il ‘posteriore’ dell’uomocavallo.
«Okay» mi riprendo «potreste spiegare QUESTO» dico nel modo più calmo che trovo.
«Certo, se puoi seguirmi dobbiamo parlare» sorride l’uomo cavallo e si avvia verso l’uscita. Intanto, il ragazzo con i capelli cioccolato (da adesso soprannominato Cioccolato) mi guarda insieme ad Abbie. Ma entrambi hanno delle facce stordite, come se non capissero un problema di geometria scritto sulla mia faccia.
«Che c’è?» domando.
«I tuoi occhi» rispondono all’unisono.
«Si, sono strani» dico.
«Cambiano colore continuamente » ribadisce Abbie.
«No io li vedo viola» affermò Cioccolato.
«O siete daltonici o qualcuno mi ha messo le lentine colorate» . Cerco di mettermi in piedi soffocando le urla di dolore, ma le ustioni non sono affatto piacevoli. Soprattutto se hai due tizi appena conosciuti che ti osservano in maniera inquietante.
Poi Cioccolato mi accompagna all’uscita dell’infermeria, dopo aver salutato Abbie e aver promesso che ci saremo riviste a cena (per quanto ero sbadata non avevo chiesto l’ora).

Usciti mi rendo conto che alle 5 di pomeriggio fa maledettamente caldo e il sudore non ha pietà di me. Inoltre Abbie mi spiegava che, poiché non si può dare troppo nettare (che non so ancora bene cosa sia, so solo che è strabuono), non sono guarita del tutto, ma ho migliorato le mie condizioni, o adesso sarei uno zombie.
«Sei la guardia del corpo o il cameriere di Chirone?» chiedo seria a Cioccolato. Allora, non ottenendo nessuna risposta, ripropongo la domanda. «E’ il tuo miny-pony?». 
A questo punto scoppia a ridere, e forse non capisce che io ero del tutto seria.
«Il mio mini-pony? » mi guarda ridacchiando e scuotendo la testa.
«Sai, fanno anche il cartone. Tranne che il tuo non ha nessun fiocchetto o smalto agli zoccoli. Dovresti modernizzarti» ribatto ironica. «Così non è chic, voglio dire».
«Beh allora mi spieghi che posto è questo? »
«Un posto che ti potrebbe piacere» sorride, e noto che delle fossette i formavano sulla guancia. Eppure, in tutta quella bellezza e innocenza, c’era qualcosa che non andava. Ecco, forse avevo capito.
Sembrava incredibilmente falso.
«Perché sono qui? »
«Questo dovresti dircelo tu» Chirone compare fuori la porta dell’infermeria con il suo strano trotto. Beh, devo ammettere di essere ancora scossa da tutto. Sembrava uno stupido sogno. 
Insieme c’è un’altra ragazza con gli occhi marrone chiaro e i capelli biondi. La osservo meglio e noto che è magrissima, e intendo anoressica. Le cosce non erano nemmeno un terzo della mia.
Cioccolato le va incontro e poi se ne vanno allegramente mano nella mano (ora si spiega tutto) verso il lago, lasciando me e Chirone soli.
«Ti andrebbe di fare un giro?» chiede Chirone, e io di tutta risposta annuisco.
Non passiamo davanti al centro del campo, ma davanti alla ‘Casa Grande’ (che è veramente grande) e intanto lui inizia il suo importante discorso
«Sai perché sei qui? ». Scuoto la testa. «Perché sei come tutti noi» e a quella affermazione vorrei accompagnare molte risposte sarcastiche, ma decido di tacere. «I mortali non possono oltrepassare la porta del Campo Mezzo-Sangue. Ma tu si, perché tu sei un semidio».
«Un semidio?»
«Metà umana, metà divina. Nella mitologia ce ne sono molti, non ne conosci nessuno, Meg?» ‘Come faceva a sapere il mio nome’ penso.
«Beh, conosco Achille, Ercole. Ma quelle sono tutte storie inventate, signor Chirone. Perché cercate di imitarle?»
Lui di tutta risposta ride, poi mi da una pacca sulla spalla. «Allora immagina che fosse tutto vero. Se non mi credi, te ne accorgerai da sola, cara»
«Supponiamo che fosse tutto vero, io di chi sarei figlia?» chiedo curiosa. Sarebbe tutto assurdo, lo so. Ma cosa mi rimane? A cosa posso credere ormai?
«Lo scopriremo presto, non credi? » e mi chiede «Potremmo partire da semplici accorgimenti. Per esempio, hai notato qualche strano potere? Quali sono i tuoi passatempi preferiti? E hai un padre o una madre? »
Di fronte a tutte quelle domande non avevo risposte pronte. «Sono una semplice ragazza adottata» rispondo scrollando le spalle. Un po’ mi meraviglio del modo in cui mi sono rassegnata alle cose, e del fatto che credo a Chirone. D’altronde è l’unica cosa che posso fare, l’unico posto in cui restare. Tanto vale provare.
«Si aggiusterà tutto, vedrai. Ti accompagnerà Ryan e ti farà visitare per intero il campo prima della cena. A stasera, cara»
«Signor Chirone?»
«Si?»
«Lei è un mini-pony?»







  Angolo Callitmagic (autrice)

capisco che può sembrare molto noioso per adesso MA abbiate pazienza.
Non pensate che Meg sia una disagiata mentale
"Ma in effetti è così"
OKAY FORSE HO ESAGERATO CON LA STORIA DEI MINY-PONY ma è troppo carina!

anyway CREDO che dobbiate almeno arrivare al 6 capitolo per avere idee chiare :)
buona lettura :) aw

*se volete potete seguirmi tu twittah : @shielvd

   

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Capitolo 3
*** Solo l'inizio ***


Solo l'inizio
.




Mi trovavo in una fabbrica abbandonata, piena di vecchi barili rovesciati a terra e cassette di legna. La puzza di benzine proveniva da destra, in un’altra camera. Entrai e vidi  quattro mostri enormi e rossi. Non rosso acceso, ma rosso sangue. Non era la pelle rossa, ma la melma che li ricopriva, rovinando le loro facce orripilanti. Gli occhi gialli, come fari. E affianco a loro, un uomo incatenato a terra, quasi morto, coperto di benzina.
«Uccidiamolo subito» disse uno.
«Abbi pazienza, Gofl» rispose un altro, colpendo Gofl sulla schiena. «Ci deve dire ancora una cosa» e rivolgendosi all’uomo disse «dicci dov’è la bambina»
«Non ve lo dirò mai» rispose l’uomo
«La nostra signora non sarà contenta di questa risposta. Vuole di più»
Ma l’uomo rimaneva immobile, disteso sul fianco destro con gli occhi chiusi e i capelli appiccicati alla fronte.
«Allora morirai. E presto, te lo giuro sul mio sedere, arriverà anche la bimba a farti compagnia» disse ridendo di gusto il mostro. «Bruciatelo. Voglio sentire le sue urla di dolore».
E così fecero gli altri due mostri. Cercai di urlare, disperata, cercando di salvare quell’uomo. Ma dalla mia bocca non uscì che fiato sordo. L’uomo e le sue urla vennero ingoiati dal buoi, scomparendo.

 

Mi sveglio nella casa di Ermes, tutta sudata e con il cuore che batteva a mille. La luce del giorno già entra dalle finestre, illuminando la stanza. Mi siedo con calma nel letto, i cuscini appoggiati alla schiena, e penso agli eventi del giorno precedente. Quel primo pomeriggio è stato emozionante, e del tutto strano.
Le ragazze della casa di Ermes sono state subito molto socievoli e gentili (forse per il fatto che io non abbia niente) e amano fare scherzi, il che le rende molto simpatiche. Non avevo mai visto fino ad ora un falò così grande, tanti ragazzi belli, ARMI DA SBALLO, e soprattutto creature strane. Voglio dire, c’erano degli uomini capra! Inoltre ho scoperto molte cose e ho ottenuto risposte a tutte le domande: Abbie è una figlia di Apollo, mentre Ryan (ossia CIOCCOLATO) figlio di Ermes. Ogni casa è dedicato a un dio e all’interno dimorano i suoi figli. Per gli ‘orfani’, ossia quelli non ancora riconosciuti, viene data ospitalità nella casa di Ermes, dio anche dei viaggiatori. Non ci sono molti ragazzi poiché entro due giorni si viene riconosciuti. Eppure, mentre molti orfani girovagano in cerca di un segnale o un cartellone ‘HEI TU SEI FIGLIO DI QUESTO DIO FIGHISSIMO’, io rimango tranquilla.
Oh, poi. Il campo è bellissimo sotto ogni aspetto. Quando vidi il lago, rimasi ammaliata. Era enorme, e l’acqua era così limpida che anche in inverno ti verrebbe voglia di buttarti. Così decisi che domani mattina, molto presto, mi sarei alzata e avrei fatto un bagno lì. Beh , forse dovevo rivedere il mio guardaroba, ma prometto di fare le cose con calma.

«Bello, eh?» chiese Ryan qual pomeriggio, mentre giravamo il campo.
«Totalmente» risi «ci si può fare il bagno?»
«Se stai attenta alle creature che ti mangiano i piedi, alle sirene e ai piranha, si» gli diedi una gomitata nel fianco e continuammo a camminare.
«Allora, tu sei figlio di…» dissi con fare interrogativo.
«Ermes» rispose. Ryan è una bellezza che certo non passa inosservata. Le orecchie a punta lo rendono più giovane di quello che sembra, ma il suo metro e ottantaquattro glie ne attribuiscono. I capelli sono di un marrone chiaro come la cioccolata al latte, folti e lisci a spazzola e il viso ha dei lineamenti da far invidia ai figli di Afrodite.
«I figli dello stesso dio si possono accoppiare tra di loro?»
«Certo che no» rise «perché ti preoccupi?» chiese malizioso.
«Perché mi dispiace per le figlie di apollo. Oh, poverine, quei ragazzi sono la fine del mondo>»
Lui rise «Se la cavando bene» sogghignò «Abbie è una figlia di apollo. La più esperta in medicina»
Mentre diceva tutte quelle cose annuivo e guardavo un gruppo di ragazzi chini su fogli e piantine del campo.
«Cosa fanno?» chiesi a Ryan.
«Studiano il piano di battaglia. Stasera si gioca, ma non potrai partecipare»
«Perché sono appena arrivata? »
«No, perché hai ancora le ustioni, e devi riposare. Quindi starai al falò e basta»
«Non mi dici cosa fare» lo minacciai.
«Oh sì, perché ho la tua tutela finché non sarai riconosciuta e non ti sarai integrata nel campo» mi assicurò, il che di certo non migliorò le cose.

Dopo la cena (diamine, che fame!) e il falò, Ryan-Cioccolata mi accompagnò alla casa di Ermes. L’interno era grande e si divideva in ragazzi e ragazze. Così tutte le ammonizioni che doveva farmi, le fece in corridoio.
«Bene.  1. Non provare a uscire prima delle sei del mattino perché saresti in brutte, bruttissime mani. Fidati. 2. Noi figli di Ermes amiamo prendere… le cose in prestito. Quindi fai attenzione».
«Ryan…Io non ho niente» gli ricordai
«Bene. Puoi chiedergli qualcosa se ti serve. 3. Domani mattina mi segui e vai dove ti porto io, chiaro?»
«No» risposi sorridendo «posso farlo da sola»
«Hai la testa dura» disse avvicinandosi ancora di qualche passo, per poi essere vicinissimo. «Io sono il capitano di questa casa»
«E io sono Meg. Quindi tu cordini la casa, io la mia vita»
«Va bene» affermò Ryan  «Ma se ti trovi in difficoltà sono affari tuoi».
Scrollai le spalle e dissi piano «Sono abituata a fare tutto da sola».
Ryan mi guardò un attimo, scosse la testa e rispose con un semplice buonanotte.

Un leggero movimento mi riporta alla realtà e noto che la maggior parte delle ragazze dorme ancora, solo una è sveglia.
«Brutti sogni, eh?» dice sorridendo, evidentemente notando il pigiama sudato e il fiatone.
«Non sono l’unica» dico rivolta a lei. Chiedo un fazzoletto alla ragazza, che apre uno zaino a caso e mi porge il pacchetto. «Grazie».
La ragazza era come tutte le sue sorelle – capelli scuri e orecchie a punta – se non fosse per gli occhi verde scuro che esaltavano la bellezza dei lineamenti e la facevano sembrare la regina dei folletti. Dall’altezza le si attribuiva dodici anni.
«Ti consiglio di uscire. Alle sei di mattina l’aria è fresca e rilassante» mi dice sorridendo «Attenta agli incontri che potresti fare»
«Non preoccuparti, so difendermi bene»
Vado in bagno e chiudo la porta, cercando di sistemarmi. Mi guardo allo specchio e vedo la solita Meg di sempre: pelle scura, capelli castano, occhi blu…aspetta cosa? Da quando avevo gli occhi blu? Poi ciò che accade in infermeria è come un flashback. Resto ferma, fissando gli occhi nuovi. Con tutte le cose strane che sono capitate, potrei credere a tutto ormai. Poi cambiano colore di nuovo e diventano verdi, con sfumature gialle e grigie. ‘Boh, sembra magia’ mi dico. Rassegnata, mi cambio (l’unico cambio che mi hanno dato) e indosso jeans e la maglia arancione del Campo Mezzo-Sangue. Esco silenziosa dalla camera, evitando di svegliare qualcuno.

Una volta fuori la casa di Ermes, mi rendo conto che l’aria è veramente rilassante come aveva detto la ragazza. Mi avvio verso il centro, dove ci sono tutte le armi per l’allenamento. Un impulso forte mi dice ‘prendi uno di quelle armi e prova. Deve essere fighissimo’. A quel pensiero scuoto la testa. Sembro una bambina che ha tanta voglia di provare un nuovo giocattolo non adatto alla sua età. Prendo un arco; è sempre stato uno degli strumenti più belli che abbia visto nei film d’azione, soprattutto quelli con i supereroi. A The Avengers, Occhio di Falco era uno dei miei  vendicatori preferiti.
Cerco di tendere l’arco goffamente, imitando il supereroe, chiudo un occhio e lancio.

«Così ucciderai qualcuno» dice una voce alle mie spalle. Mi giro e trovo un ragazzo alto e biondo. ‘Figlio di Apollo’ penso subito. La bellezza non gli mancava. Alto, muscoloso, con la pelle abbronzata, gli occhi azzurri e i capelli biondo scuro, sembrava un eroe olimpico sedicenne. O anche un dio. Un dio attraente.
«Non tutti hanno una mira come la tua» ribatto infastidita.
«Non era solo la mira scarsa, ma anche la posizione e la tensione dell’arco» risponde ironico. ‘Adesso vuole fare il saputello’ penso.
«Non ti preoccupare, mi tolgo dai piedi» dico calma «E ti lascio al tuo adorato archetto»
«Volevo solo insegnarti» dice alzando le mani in segno di scusa. «Sarà per la prossima volta, quando sarai più calma»
Non pensate che io sia acida, ma i ragazzi sono-io-il-più-figo-lascia-stare-gli-altri mi danno i nervi. Inoltre aveva anche il comportamento so-tutto-io, che dava ancora più sui nervi. Per finire, la sua bellezza mi turbava, perché era maledettamente sexy. Mentre mi allontano, rifletto su quante possibilità ho di fare amicizia se non comincio ad essere più gentile. Per questo giro i tacchi e ritorno dal modello biondo –avete capito che mi piacciono i soprannomi, credo-.
Lo guardo un attimo mentre tende l’arco e la spontaneità con cui manda quattro frecce tranquillamente nel centro mi sorprende. «Oh» riesco a esclamare. Sorride compiaciuto e si siede aspettando la mia supplica.
«Ehm…potresti insegnarmi a tirare con l’arco? Sai devo cominciare ad allenarmi, visto che sono nuova…»
Sorride e risponde «Speravo in questa richiesta».



Note dell'autrice

Spero vi stia abbastanza interessando questa storia, che ho riscritto. :)
-Buona lettura, ew.

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Capitolo 4
*** Riconoscimento ***


Riconoscimento




Finalmente il rionoscimento.



Tre giorni. Erano passati tre giorni da quando ero arrivata al campo, e io nessun dio greco mi aveva ancora riconosciuto. Quando ti muoverai? Penso ogni giorno Inizio a preoccuparmi…
In questi due giorni passati ho fatto qualche allenamento, con l’aiuto di quel rompiballe di Ryan. Spesso capitavo in situazioni imbarazzanti di massima vicinanza tra un corpo e l’altro e l’allarme nella mia testa squillava all’impazzata. Che diavolo devo fare? pensavo Dargli una gomitata nello stomaco e buttarlo a terra mettendogli un braccio sulla gola? Nonostante questo erano sorpresi delle mie capacità, e devo solo ringraziare i giorni passati a correre con una borsetta stretta in grembo. Eppure notavo durante l’allenamento che la mia corporatura era anche robusta rispetto a quelle belle e slanciate delle semidee.
Ora, invece, non mi trovo nel campo d’allenamento ma dietro un cespuglio aspettando di attaccare la 'preda'.
Ho sentito alcune voci stamattina che parlavano di una ‘gara’ dove chi prende la bandiera dell’avversario vince. Naturalmente Ryan non ne ha fatto parola, poiché non mi crede capace. Così ho intenzione di partecipare al posto di un altro concorrente. Basterà una botta in testa per prendergli l’armatura e indossarla. L’elmo nasconderà la faccia e non permetteranno di riconoscermi. Il ragazzo della casa di Efesto esce dalla porta principale; è rosso e ha gli occhi verde smeraldo, che risalta la spruzzata di lentiggini sulle buffe guance bianche. Nei movimenti è un po’ goffo e per poco non cade dalle scale trasportandosi l’armatura pesante. Mi faceva un po’ pena e dovetti trattenermi dal ridere. Abbie gli passa davanti senza nemmeno guardarlo, mentre lui diventa rosso anche in viso come un completo peperone e borbotta un ciao. Poi gira un po’ lo sguardo e… mi nota. Inciampo tra i rametti del cespuglio e cado in avanti, attorcigliando i capelli e le foglie.
Sobbalza per la sorpresa e in faccia si dipinge uno sguardo spaventato e sorpreso . Mi alzo subito e lo guardo.
«Ehm…E’ proprio difficile trovare bacche qui, eh?» dico cercando una scusa. Il suo sguardo perplesso cade sul bastone enorme che stringevo nella mano destra. Riproviamo.
«Oh, nel caso trovassi animali pericolosi» dico parlando del bastone.
«Sei la ragazza nuova? » chiede ancora sorpreso.
«A quanto pare mi sono già fatta conoscere» borbotto «Si, Meg Cartwright»
Devo trovare un modo per farlo girare alla svelta.
Peperone rime a fissarmi per qualche istante di assoluto imbarazzo e poi si presenta.
«Duff Custer» cerco di non ridacchiare a quel nome stravagante e tiro il sorriso migliore che potevo. Cerca di avere un’aria simpatica e fiduciosa.
«Allora Duff, dove vai di bello? » chiedo con una vocina stridula.
«Caccia alla Bandiera. Tu giochi? »
«No, ma mi piacerebbe» ribatto secca. Ora penso. «Hey, Duff. Chi è quello che ti sta chiamando? » domando lanciando un’occhiata dietro le sue spalle. E appena si gira sollevo il bastone e colpisco non troppo forte alla testa. Grazie mamma e papà penso O chiunque voi siate per avermi insegnato come mentire alle persone anche più buone.
Prendo l’armatura veloce e scappo verso il bosco. Sentendo delle voci dietro di me mi butto nel cespuglio più vicino cercando di infilare l’armatura. Diamine, se era pesante! Mi mordo il labro ed esco a fatica dal cespuglio. Mi avvio verso l’altro gruppo di ragazzi, senza avere la minima idea di cosa stessi facendo.


«Allora, si comincia!» Ognuno corse a nascondere la bandiera. Avevano parlato poco prima di ruoli e roba varia, e io non avevo capito proprio niente, poiché erano pochi a parlare con questo cosiddetto Duff. I miei occhi – notai prima nel riflesso dell’armatura di Ryan – avevano assunto lo stesso colore di quelli di Duff. Ryan coordinava le posizioni, e sotto l’armatura risi di gusto vedendolo così concentrato. Quando si impegnava aggrottava la fronte e delle simpatiche fossette prendevano forma vicino la bocca. Ad un certo punto si era avvicinata anche Abbie, e mi venne in mente la buffa scena di prima davanti la casa di Efesto. «Duff quando puoi, possiamo parlare?» domandò sottovoce. Fottuta, sei fottuta.
Tossii e cercai di assumere una voce bassa. «Certo» dissi. Lei annuì e se ne andò nella squadra avversaria. Io rimasi sconvolta lì, perché quello che era appena successo era impossibile. La voce che era uscita appena dalla mia bocca non era simile a quella di Duff, ma uguale. Scossi la testa e mi avviai di nuovo verso la mia squadra oramai pronta.
 

Se ho capito bene, io devo controllare la bandiera e assicurarmi che nessuno della squadra avversaria la noti. Il compito è stato assegnato a me –diciamo Duff – e tre ragazzi, tra i quali una ragazza. L’elmo nascondeva il viso, ma si potevano vedere solo gli occhi: una sfumatura di grigio e celeste scuro, come il mare burrascoso. Mi da una simpatica pacca sulla spalla e inizia a correre insieme ad altri due ragazzi che devono nascondere la bandiera. La seguo, cercando di capire la tattica.
«Corri più veloce oggi, carota» sogghignò sotto il copricapo. «Buono a sapersi» dice e con un’alzata di spalle velocizza il passo. Sbuffo e li raggiungo, presso un enorme albero.
«Là sopra» indica la ragazza dagli occhi grigi. «Ci vuole una buona arrampicata, chi va?» domanda.
Si guardano tutti cercando il loro salvatore, e spontaneamente alzo la mano. La ragazza alza le sopracciglia sorpresa.
«Tu?» sputa le parole come fossero veleno. In quel momento sento un senso di offesa per Duff.
«Problemi?» chiedo, sempre con la voce perfetta di Duff.
«Se ci riesci, altrimenti vado io, come sempre».
Raggiungo l’albero e comincio a salire, ma improvvisamente è come se non fossi nel mio corpo. Non sentivo i muscoli delle gambe o delle braccia tesi, ma solo un tremendo calore alle guance. Mi arrampico ugualmente, con uno sforzo triplo rispetto al solito. Ma cosa succede? Mi domando scettica.
Poi accade tutto velocemente: cado a terra, l’elmo si toglie dalla testa e rotola lontano, lasciando scoperto il mio volto. Mi preparo già ai loro sguardi meravigliati e sconvolti, ma sento solo le risate. La ragazza mi aiuta ad alzarmi e mi pulisce la faccia dalla terra.
«Carota, io l’avevo detto» si gira e comincia a salire con la bandiera in mano. Senza capire cosa succedesse, prendo l’elmo e guardo il riflesso sconvolta. Il viso di Duff mi guardava. No, io mi guardavo con il viso di Duff . Faccio per aprire la bocca e cacciare un urlo ma nel bosco fanno irruzione altre tre ragazzi della squadra avversaria branditi di spade lunghe e affilate.
«Ehi carotina, metti l'elmo» sogghigna uno, provocando le risate degli altri due «o ti facciamo la bua sulle belle lentiggini» e corrono all’azione. Presa alla sprovvista caccio il pugnale di Duff – che era nella sua tasca – e prendo la mira, lanciandolo verso uno dei due. Io e la mira non siamo affatto amiche, ma vale la pena provare. Lo colpisco –anche se avevo mirato alla pancia e non alla gamba- e lui si butta a terra imprecando. Gli altri tre ragazzi della mia squadra corrono all’assalto e creano una barriera tra me e i nemici. Sentendo odore di battaglia, presto arrivano anche gli altri ragazzi, di varie squadre e mi sento un pesce fuor d’acqua, disarmata e IN UN ALTRO CORPO. Noto che la ragazza dagli occhi grigi è completamente scomparsa dalla vista. Guardo in alto, ma nessuna traccia. E adesso? Ryan arriva correndo verso di me - o Duff-, senza elmo e con l’armatura un po’ ammaccata.
«Stai bene Duff? Ti vedo sconvolto» chiede gentile. Non lo avevo mai sentito così. Stai prendendo così tanti shock che tra un po’ svieni. Annuisco e mi volto verso la battaglia, sentendo qualche imprecazione.
Un piccolo scintillio, e come a rallentatore vedo un coltello lanciato verso di me. In preda al panico alzo le mani –la cosa più stupida da fare- e lo fermo. Tutto sembra rallentare intorno, e continuo a guardare il coltello sollevato in aria e immobile. In due secondi scende il silenzio, e le spade cadono a terra. Abbasso le mani – che sono le mani di Duff – e sento formicolare tutto il corpo. Adrenalina nelle vene, formicolii sulla faccia e visi sconvolti. In tre secondi ritorno me, Meg Cartwright. Gli sguardi sono una sfumatura di sorpresa, nervosismo e shock. Questo vuol dire essere speciale? Dovrei essere come loro, allora perché sono così sconvolti? I loro occhi si posarono sopra la mia testa e tutti – e dico tutti – si inginocchiano. Ryan è l’ultimo a inginocchiarsi.
Con voce tremante disse «Ave, Meg Cartwright, figlia della magia, figlia di Ecate».





 Cari lettori!

E' la mia prima ff, e se vi sembra noiosa lo capisco
Il punto è che *spoiler* voglio cominciare le avventure nel prossimo capitolo.
Sono ancora un po' confusa su alcune parti, a cercherò di fare chiarezza prima possibile!
Per l'avvetura ho cose più emozionante, ma non potevo cominciare subito senza presentarvi prima il mio personaggio e gli altri!

p.s cambierò i punti di vista dopo che inizierà l''impresa' dei miei eroi. *fangirla* Ew

  

 

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Capitolo 5
*** La sposa sfortunata ***


La sposa sfortunata



 
|Magic - Coldplay|
|Into a Fantasy - Alexander Rybak|

 




Nella chiesa del castello tutti gli invitati attendevano la sposa con ansia. Donne dai cappelli sgargianti e gonne lunghe sedevano sulle panche di legno stringendo la mano del loro gentiluomo. Lo sposo –moro e di bella corporatura- sorrideva nervoso poiché la sua amata stava ritardando. Fuori le finestre era una bella giornata e in lontananza si scorgeva il mare splendente. Sembrava tutto perfetto, si. Se non fosse per lo spaventoso urlo proveniente da una delle finestre laterali. La donna si era alzata ed era svenuta tra le braccia del grassoccio signore, mentre la sposa faceva ingresso. O dovrei dire, il corpo della sposa. Accasciata a terra in una pozzanghera di sangue era ancora viva, ma strisciava a terra il corpo pesantemente. Le ciocche nere e ricce cadevano sulla faccia, appiccicate dal sudore, mentre gli occhi erano diventati gialli, pieni di luce e tenebre.
«Tu.» Sussurrava «Traditore». Nessuno correva ad aiutarla, neppure il  consorte, che se ne stava adesso rilassato sull’altare, tutto sorridente. Le persone si scambiavano sguardi perplessi, ma nessuno piangeva o soccorreva la sposa.
«Ti maledico. Diventerai immortale…» cominciò ad urlare la donna tra un singhiozzo e un altro.
Adesso lo sposo non era tanto sorridente, quanto terrorizzato. Prese una brocca e fece per lanciarla verso la sposa, quando lei urlò: «E soffrirai in eterno negli Inferi!». E poi, nella stanza, il caos.

Come al solito il risveglio non è dei migliori, e questa volta sono completamente sola nella casa. Si, sono nella casa di Ecate. Sembra ci sia passato un uragano... Rimango nel letto ancora un po’, come mi piace fare quando posso, e chiudo gli occhi pensando alla sposa. Chissà chi era…

 Solo quando mi alzo per vestirmi mi rendo conto che sono le quattro del mattino. Era ancora tutto buio.  Non avendo sonno, indosso la maglia del campo mezzo-sangue e i pantaloni. Preferisco sempre qualche taglia in più per le magliette, così le mie ‘curve’ posso anche andare a quel paese; lego i capelli in una coda e noto allo specchio che gli occhi sono verde chiaro, risaltati dalla mia pelle olivastra.

La casa di Ecate è vero e proprio un ‘incrocio’. L’ingresso da spazio ad altre tre camere : la camera da letto – comoda per sei sette persone-, una biblioteca piena di pagine, libri e specchi – la stanza più disordinata, come se ci avesse vissuto qualcuno per molto tempo-  e un salottino dove posso osservare il paesaggio, incluso il bagno –che è il più forte di tutti i tempi!-. Mi alzo e vado in biblioteca, l’unica stanza ancora non esaminata. Non che non mi piaccia leggere, ma la dislessia non mi ha permesso neanche una volta di godermi un libro in pace. Eppure… riuscivo a comprendere ogni parola. Questo non è la mia lingua penso scuotendo la testa. Erano strani rituali, esami del corpo, esperimenti ricorretti a penna e riscritti mille volte, carte ripiegate.
Dopo un po’ di tempo riesco a trovare informazioni su mia madre:

Ecate era una divinità psicopompa, in grado di viaggiare liberamente tra il mondo degli uomini, quello degli dei ed il regno dei Morti. Spesso è raffigurata con delle torce in mano, proprio per questa sua capacità di accompagnare anche i vivi nel regno dei morti.”

«Magnifico, parlo con i morti. Molto eccitante» borbotto.

Ecate la giovane e l’anziana, Ecate l’esploratrice della psiche, Ecate levatrice e accompagnatrice dei morti, Ecate la potente  e la saggia, Ecate la multiforme. Il nome deriverebbe dal termine greco per "desiderio, volere", in riferimento al suo potere di realizzare i desideri dei mortali. Per altri ancora il suo nome avrebbe la stessa radice della parola greca “cento”, allude alle molte forme che lei può assumere: Ecate, discendente dei Titani, la “multiforme.”

Questo spiega perché posso trasformarmi in varie persone penso soddisfatta.
Continuo a leggere, sedendomi sulla poltrona e passandomi una mano tra i capelli.

Fu a Lei riconosciuto un potere posseduto da Zeus : quello di concedere o vietare all’umanità la realizzazione dei desideri. Nei papiri di magia della Tarda Antichità è descritta come una creatura a tre teste: una di cane, una di serpente e una di cavallo. E’ considerata la madre delle streghe.”

Avrei continuato a leggere, se non fosse per un rumore proveniente dal salotto. Sobbalzo dalla poltrona, dirigendomi verso la stanza e mi ritrovo davanti a un ragazzo alto che cerca di entrare dalla finestra del bagno. Lo guardo con fare interrogativo.
Lui, colto di sorpresa, mi guarda con la bocca aperta e  rimane immobile tra la finestra e la camera. Aveva il cappuccio, ma mentre salta e poggia i piedi a terra lo solleva in modo da scoprire il volto. Gli occhi erano di un marrone talmente scuro da sembrare nero, e i capelli erano scuri e setosi. Oh dei penso Sembra un angelo delle tenebre. La gola mi si blocca all’improvviso vedendolo e perdo la sfacciataggine che mi è nota. Aveva una cicatrice enorme che andava dalla bocca fin sotto il mento. Stranamente, la cicatrice gli donava un fascino misterioso e quando sorrise, si mosse seguendo la linea della bocca.

«Scusami se non ho mandato il biglietto di avviso» dice e si toglie la felpa, rimanendo solo con una maglietta nera molto aderente.
Ancora meravigliata chiedo: «Perché sei nel mio bagno?»
Ride e per poco non gli saltavo addosso. Non cominciare mi diceva la testa E’ entrato a casa tua e tu lo guardi con la bava alla bocca?
Gonfio il petto e lo scruto con aria più seria e arrabbiata che posso.
«Ripeto la domanda, Robin Hood. Perché sei qui? Chi diamine sei?» ripeto.
«Un curiosone che voleva tanto conoscerti» dice sogghignando.
«Quindi… certo, andiamo alle quattro di mattina mentre sta dormendo e usiamo il suo bagno lasciando qualche bisognino» ribatto irritata, stavolta.
«Era l’unica finestra che hai lasciato aperto. La cena deve essere stata abbondante se…»
Lo guardo con gli occhi spalancati.
«Okay.» scoppio a ridere «Cosa vuoi? Che ti faccio apparire magnifico? Vuoi volare? Non so, che magia devo usare su di te? Perché io non so fare un bel niente…» mi sbrigo a dire.
«Ma come, non lo sai? Sei famosa, tutti ti temono…» dice serio. «Io sono Scar». Ironia della sorte.
«Mi temono?» domando sconvolta «Io non ho fatto letteralmente niente. Ho solo alzato un coltello in aria e mi sono trasformata in un ragazzo rosso. Ci sono semidei che hanno poteri peggiori dei miei.»
«Allora non ti hanno detto proprio niente» dichiara sconvolto – e certamente divertito-. «Sbagli. L’oracolo ha detto un po’ di giorni fa che la figlia di Ecate avrebbe messo in subbuglio la vita di alcuni semidei. Tra cui, me.» Sorride e si siede sul divano «Sono curioso di sapere come potrai interferire nella mia vita. Sei così…»
«Così?» chiedo curiosa. Perché Ryan non mi ha detto niente? Contavo almeno su di lui.
«Enigmatica» pronuncia dopo averci pensato un po’.
«Chi erano gli altri ragazzi?» chiedo, e la mia voce sembra più distante di quanto abbia immaginato.
Fa per aprire la bocca ma sentiamo un rumore proveniente dalla biblioteca.

Corro per vedere cosa sia e appena entro in biblioteca mi cade un libro tra le mani, facendomi sobbalzare e scivolare tra i fogli. Alzandomi a fatica, prendo il libro tra le mani. Adesso Scar è appoggiato allo stipite della porta e guarda curioso il libro. Non ha un titolo ma la copertina è grigia e blu, con stelle disegnate a mano. All’interno erano scritte pagine e pagine da una calligrafia elegante e curata, come se avesse passato tutta la vita in quelle parole. A pagina 739  era ripiegata una carta gialla di giornale.
Scar si avvicina dietro di me, talmente vicino da sentirne il fiato sul collo.

 

Uccisa la giovane Principessa Dalia, prossima erede al trono

Trovata morta nella chiesa, gli abitanti del Regno del Nord sono sconvolti e nel panico: la loro principessa, Lady Dalia Green, prossima erede al trono, avrebbe preso la mano del principe Philip Owen (22 anni), a pochi secondi dall’omicidio. E’ stata accusata da più invitati la sorella minore della principessa Dalia, Lady Poole Green (14 anni). Molti abitanti sceglieranno come prossimo erede lo stesso sir. Philip Owen.

 


«Oh, dei» sussurro sconvolta. Muovendomi velocemente- faccio trasalire anche Scar- mi arrampico sulla libreria per vedere chi è stato a lanciarmi il libro. Non vedendo nessuno mi guardo furtiva intorno ma non avvisto nessuno.
«Magia» bisbiglio a Scar. «C’è traccia di magia sul libro»
«Beh, considerato che siamo nella casa di Ecate…» ribadisce.
«No, intendo che la traccia è stata usata da poco. Non è antica come le altre».
Lui annuisce lentamente. Mi guarda un attimo, e sono sicurissima che anche lui sa di cosa parla il giornale.
«Lo hai…sognato anche tu?» chiedo sempre sottovoce, come se ci stessero sentendo.
«Si, proprio stanotte» risponde. «Cosa facciamo?»
Sorrido, eccitata dall’idea che avevo avuto: «Si parte per un’impresa».



 


Gwen era sulla comoda sedia della scrivania. Nella camera le sue compagne dormivano ancora. Erano solo le tre di notte, e non riusciva a prendere sonno. Col suo computer cercò informazioni su una possibile principessa uccisa. L’aveva sognata quella notte; era in una chiesa, il vestito era strappato e macchiato di sangue, le sue urla contro lo sposo mentre lo malediceva la fece rabbrividire. Le faceva ricordare tanto quell’episodio di undici anni fa, nella sua vecchia casa in New York.

Suo padre era giornalista e quel giorno non era in casa. La sua tata era andata in bagno poiché non si sentiva molto bene. Nel breve tempo che rimase da sola, bussarono alla porta. A soli quattro anni era capace di finire il puzzle di Winnie the Pooh senza aiuto, ma quella volta era davvero concentrata. Bussarono ancora di più alla porta e improvvisamente si trovò due donne in casa, coperte da neri mantelli. Urlò in preda al panico- era solo una piccola bambina- e corse sotto il letto. Da lì vide, orribilmente, che le donne fluttuavano e non avevano i piedi. Le signore la presero e, stringendole forte il braccio con le unghie, le sussurrarono una maledizione con voce roca e profonda. L’amore per un ragazzo ti farà piangere e dimenare. Perché più sarà grande il vostro affetto, più le tue paure saranno spaventose.
La lasciarono a terra sola e tremante, mentre il sangue si mescolava col veleno, e penetrava nel suo corpo, rendendola un mosto.

Si alzò dalla sedia, in preda ad attacchi d’ansia e si diresse verso la finestra. Per undici anni si era chiesta cosa avesse fatto per meritarsi una maledizione. Non lo aveva detto mai a nessuno. Suo padre era troppo impegnato con il giornale e lei non aveva nessuno su cui contare se non i suoi fratelli della casa di Atena. Provando un improvviso dolore, si guardò le gambe: le facevano ancora male dopo quella sera, mentre saliva l’albero per posizionare la bandiera. Non lo avrebbe mai ammesso a un suo compagno o chiunque altro. Improvvisamente pensò alla Figlia di Ecate, e immaginò come dovesse sentirsi confusa: Gwen riusciva a capire le persone e spesso metteva da parte i metodi acidi per fare spazio alla gentilezza. Si chiese cosa avesse pensato Meg vedendola cattiva nei confronti di Duff. Che te ne importa? si chiese Non potrà mai capire. Lei non ha una maledizione, per lei è tutto più semplice.
Eppure era stanca di aspettare, stanca di sopportare la maledizione. Voleva scoprire perché quel pomeriggio le donne sono entrate a casa sua, perché lei non può amare semplicemente come le altre ragazzine, o essere semplicemente sé stessa. Stanca, prese lo zaino e lo mise sulle spalle. Sarebbe partita, le aveva detto l’oracolo. Un’impresa gli avrebbe cambiato la vita.






 Angolo di Callitmagic (autrice)


*fangirla* Lo so, lo so... non sono normale a fangirlare per la mia stessa ff. Sto leggendo anche altre ff su Percy Jakcosn e devo dire che la mia autostima si abbassa del tutto HAHA. Apparte questo, non mi arrendo e continuo a scrivere. Ho messo il primo pezzo su Gwen perchè era l'ora di conoscerla, e con lei ho finito la presentazione dei miei eroi.
Fatemi sapere una cosa: Scar vi piace??  Che idea vi siete fatti? Dovrebbe partecipare alla missione? (Ammetto che LO SHIPPO CON MEG, ma non dovrebbero avere più di un'amicizia)
Riguardo la canzone, la conoscete sicuramente :)

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Capitolo 6
*** Dove tutto è cominciato ***


**Ryan**

«Ryan vieni qua!»
«Ryan vedi lì!»
«Ryan hai visto bene?»

Ryan si era rotto. Cercavano Gwen da quella mattina e ancora niente: scomparsa nel nulla. Avevano cercato nel bosco, in tutte le case, al lago. Ma non c’era traccia di Gwen Black al Campo-Mezzosangue. La casa di Atena si era trasformata in una casa per detective angosciati.
Dopo pranzo, mentre seguiva la via per il lago, incontrò il figlio di Apollo più desiderato del campo. Jack era disteso supino sotto un albero, con gli occhi chiusi e i capelli bagnati.

«Ehi Jack!» chiamò. Jack in tutta risposta aprì gli occhi e borbottò qualcosa. «Ti senti bene amico?» chiese Ryan preoccupato.
«Mi ha scaricato» rispose.
«Cosa?»
«Nina. Mi ha scaricato.» disse calmo. Ryan annuì, e capì che era solo una scusa: a Jack non fregava proprio niente di Nina.
Lo scrutò ancora finché Jack non si alzò e lo guardò in faccia.
«Dov’è secondo te Gwen?» chiese Jack all’improvviso. Aveva la schiena curva e le occhiaie, come se non dormisse da giorni.
«Perché ti interessa?» domandò a sua volta Ryan. Che lui si ricordi, Jack non nutriva particolare affetto per i sapientoni.
«Gli dovevo un favore, tutto qua’» rispose Jack. Sorrise e poi chiese «Come va con Ella?»
Ryan scrollò le spalle. Stavano insieme da un mese, ma non era niente di così elettrizzante.
«Completamente normale» rispose. «Sembrano tutte uguali le ragazze»
«Vero» annuì Jack.
In seguito ad un silenzio imbarazzante, Jack se ne andò verso il lago, salutando l’amico. Per evitare altre situazioni imbarazzanti, Ryan si accucciò sotto l’albero, nell’ombra. E pian piano, le palpebre si abbassarono, facendolo sprofondare nel sonno.

Si trovava nella vecchia casa, a Edmonton, in Canada. Sua madre giaceva nella camera che una volta era la cucina. Ora era solo cenere e macerie, come il resto della casa. Dai suoi occhi marroni scendevano lentamente le lacrime. Il suo viso era rovinato dalle ustioni, e le mani tremavano reggendo una foto.
‘Povera, piccola Ariel’ disse una voce sconosciuta nella sua testa. La voce era di una donna giovane e gentile. ‘Abbandonata dal mondo’. Ryan voleva urlare che lui non l’aveva mai abbandonata, ma non uscì niente dalla sua bocca.
‘Giovane eroe, ti voglio solo aiutare’ rassicurò la voce. Poi sua madre scomparve e tutto divenne nero. In fondo al buoi due occhi enormi e verdi spuntarono. ‘Il mondo non è mai giusto, vero?’
Perché gli faceva domande se non poteva rispondere? Si chiese Ryan. La donna rise, come leggendogli nel pensiero.
‘Una vita verrà tolta se non vi muoverete, eroi. La Regina ha già i suoi piani. E tu, figlio di Ermes, potrai avere le risposte che cerchi. Alle otto e mezza, dove tutto è cominciato. Le porte sono sempre aperte’ disse la donna. Si fermò, e i suoi occhi per un attimo divennero una fiamma gialla. Nella fiamma si vedeva Ariel che urlava, e il fuoco scioglieva la pelle e le ossa.


Ryan si svegliò di soprassalto e notò che il sole era giunto anche sotto l’albero. Erano le sette e mezza. Si guardò intorno ancora scosso. Doveva fidarsi della donna? Chi era? Cosa gli avrebbe detto?
Camminò verso il centro del campo, passando accanto alla casa di Ecate. Vicino alla finestra della biblioteca, Meg era addormentata sulla poltrona. Si guardò furtivo intorno ed entrò, cercando di non svegliarla. Riposava beata, con la bocca aperta e il respiro pesante. Mormorava ‘chi sei?’, ‘perché io’ e poi si svegliò con un salto. Ryan, che le sedeva accanto, si accorse solo allora del disordine della camera. Le pagine erano buttate ovunque, i libri uno sopra l’altro e i vasi in frantumi a terra e sul tavolo.
«Ryan…cosa…?»
«Scommetto che mi stavi sognando» disse sarcastico Ryan.
«Si, per questo sono tanto spaventata» affermò. «Qual buon vento ti porta nella mia biblioteca? »
«Tu vali come buon vento? » rispose Ryan. Era vero: voleva vedere Meg prima delle otto e mezza. Qualcosa gli diceva che non sarebbe più tornato al Campo Mezzosangue. Meg era la ragazza più strana che avesse mai conosciuto. Aveva sempre voglia di avventura, rispondeva sempre con sarcasmo o battutine. Adorava il mistero, l’anormalità, le cose che non avevano senso. Tutto questo lo aveva scoperto durante l’allenamento, nelle prime settimane.
Quando si alzò dalla poltrona aveva tutti i capelli scompigliati e, notò Ryan affascinato, aveva gli occhi viola. I suoi occhi erano come la sua personalità: non avevano una personalità. Cioè, non avevano un colore definito, ma migliaia di sfumature.
«Avanti Ryan, cosa vuoi?» richiese più aspramente Meg. «Se è perché ieri è entrato un ragazzo dalla mia finestra, puoi anche dire a ch…»
«Cosa?» urlò Ryan.
Meg rimase di sasso. «Pensavo lo sapessi. Le voci si espandono velocemente» ribatté.
«Chi era? »
«Un tizio del campo. Tranquillo» rispose.
«Sono venuto a chiamarti perché tra poco c’è la cena. Passavo da queste parti e ho pensato di accompagnarti» dichiarò Ryan.
Lei alzò il sopracciglio come faceva di solito e scosse la testa divertita.
«Certe volte mi sorprendi, figlio di Hermes».


*Meg*
 

Sedevo sola –come al solito- a cena. Alle otto e mezza dove tutto è cominciato. Le porte sono sempre aperte, ha detto la donna nel sogno. Aveva enormi occhi verdi e mi guardava nel buio. Poco prima mi aveva fatto vedere i miei genitori adottivi –diciamocela tutta- che venivano arrestati. Ero così triste che potevo fare dieci balli di seguito con i figli di Apollo. Ben gli sta a quei coglioni.
Quella sera mi abbuffai di patatine fritte e pizza, riempendomi bene la pancia. Avevo la stana impressione che quella notte, arrivata nel posto dell’appuntamento alle otto e mezza precise, non sarebbe più tornata dietro.

Nella casa di Ecate ho riempito lo zaino di tutte le cose che mi servivano, incluso un libro di magia. Grazie ad un incantesimo potevo mettere nello zaino tutto ciò che volevo senza farlo aumentare di volume o peso. Per poco non misi anche il water, ma poi pensai alla puzza e lasciai perdere. Aspettai che tutti andassero al falò per prendere lo zaino e darmela a gambe. Era l’orario perfetto, perché raramente qualcuno se ne sarebbe accorto. Arrivai in anticipo alla porta principale del Campo Mezzosangue.
Dove tutto è cominciato’. Beh, la mia vita è cambiata appena ho varcato la soglia. ‘Le porte sono sempre aperte’ a tutti i semidei.
Ora sono qui, che aspetto come una stupida a braccia conserte, raggomitolata nel cespuglio. Sento un improvviso rumore alle spalle e mi volto. Arriva di corsa un ragazzo col cappuccio e si butta nel mio stesso cespuglio.
«Ma cos…?» dico sconvolta. Me lo ritrovo sopra in due secondi.
Il ragazzo si toglie il cappuccio e gli occhi cioccolato tanto familiari mi compaiono davanti.
«Che diamine ci fai qui!?» diciamo all’unisono. Poi ridiamo tutti e due come cretini e ci separiamo. Ecco cosa capita nei momenti imbarazzanti tra me e Ryan: ci facciamo quattro risate. Apro la bocca ma non dico niente, perché sentiamo un altro suono alle nostre spalle, verso la porta del campo. Ci giriamo e – di nuovo- mi ritrovo un ragazzo sopra. Impreco sottovoce e lo scuoto violentemente.
«Jack? » esclama Ryan sconvolto. Ci guardiamo tutti e tre e per poco non urlo. Sto diventando pazza penso. Come se qualcuno avesse messo ‘replay’, sentiamo altri rumori da parti opposte del bosco. Questa volta mi sposto di lato. Non farò da cuscino ad altre chiappe. Come se fosse una maledizione, un altro ragazzo si lancia e mi viene sopra. Emetto un gemito, esasperata di tanti colpi. Stavo per vomitare tutte le patatine fritte. Quando si toglie il cappuccio, gli occhi grigi-verdi e i capelli marrone chiaro ritraggono Gwen, la ragazza scomparsa. Due metri più in là, Ryan sbatte la testa con un altro corpo lanciato verso il cespuglio. Abbie diventa rossa e inciampa tra i piedi di Ryan. Ma cosa stava succedendo? Cinque ragazzi si trovavano stretti nello stesso cespuglio, alle otto e mezza.

«Okay, dateci un taglio!» urlo all’improvviso. Mi alzo, con lo stomaco sottosopra, e li guardo attentamente.
«Stesso sogno?» chiede Gwen. Tutti annuiscono, e dopo un po’ vedo un'altra persona che corre verso di noi.
«Allarme!» urlo, e mi abbasso di colpo su Jack. Il corpo che correva questa volta non si lancia, ma mette un piede e poi un altro nel cespuglio. Naturalmente, inciampa già al primo passo tra le nostre gambe. Il rosso della casa di Efesto cade su Gwen, che emette un gemito e se lo leva di dosso.
«Sto per vomitare» dichiaro stanca.
«Non addosso a me, per favore» mi prega Jack.
«Ma che bello vedervi tutti insieme» dice una voce familiare alle mie spalle. Scar ride di gusto e ci scruta uno alla volta con lo sguardo.
«Non sai come sono felice di vederti, Scar» rispondo sarcastica.
«E questo?» chiede Gwen indicando  Scar.
«Questo è qui per il vostro stesso motivo» risponde Scar. «Anche io ho avuto lo stesso sogno, a quanto pare.»
Dopo che tutti iniziarono a discutere su quanto tutto questo fosse assurdo e bla bla bla, rimango lì a osservarli. Sono decisamente imbarazzati. Allora decido di dire loro come stanno le cose.
«Basta» dico esasperata. Mi guardano pian piano tutti e incrociano le braccia aspettando che cominci il mio ‘discorso di incoraggiamento’.

«Non vi dirò ‘noi siamo una squadra, dobbiamo combattere insieme bla bla bla la lealtà bla bla bla’. Sta di fatto che abbiamo avuto un sogno uguale. Incontrarci nello stesso posto alla stessa ora non è una coincidenza. Il caso non esiste, me lo ha insegnato Oogway in Kong Fu Panda» dico, e faccio scappare una risata a Gwen e Ryan.
«Credo nel destino. Quindi, non so cosa volete fare, o che intenzioni avete. Ma io» dico indicando il bosco «Vado a scoprire chi sono e perché mi vogliono morta. Preferisco un’avventura che imparare a far uscire un coniglio dal cappello.» Detto questo prendo lo zaino e giro i tacchi. Quando mi rigiro, chiedo «Chi mi segue?».
Si scambiano sguardi curiosi e fanno una pausa di riflessione. Gwen viene subito al mio fianco, sorridendomi. Jack, vedendola, corre verso di noi. Scar già era impostato dietro di me, come se non facesse parte del gruppo ‘sogniamo occhi verdi che ci parlano di promesse non mantenute’. Abbie si morde il labbro e si aggiunge con Duff a noi. Indugia solo Ryan, dalla parte opposta. Era deluso, si vedeva. In quel momento mi domandai cosa gli avesse promesso la donna dagli occhi verdi. Mi avvicino e gli prendo la mano.
«Ryan, tutti noi siamo delusi» dico calma. «Ti prometto sulla mia vita che troverai quello che cerchi». Alza gli occhi e per un attimo si accendono di speranza. Capisco che i miei hanno cambiato colore e stavo per chiedergli quale fosse, ma sorride e dice «Allora si parte».
 

"I am a freedom fighter, the name that history wrote
 And even through disaster, eye of the tiger for hope
 Im trying to find my way back, theres no day off for heroes
 And even when I’m tired, gold is the only word I know"
It's on Again - Alicia Keys

 

 



Angolo dell'autrice
Cari cari cari lettori, sto sclerando da sola per l’idea che ho avuto. Avevo pensato ad un incontro più imbarazzante di questo, ma vabbè. Chi vi piace di più per adesso? Quali coppie vi piacciono? Potrebbero sembrare molto ovvie, per questo non mancheranno colpi di scena anche in ambito amoroso.
*spoiler*
chi di loro sembra un traditore? Ne ho inserito solo uno per adesso e, perché no, potrei metterne un altro.  La canzone la inserirò alla fine, perché credo sia più emozionante (idk).

Pace amore e recensite lol 

Qui trovate il mio link su twitter. Se volete seguitemi e chiedetemi il follow back :): https://twitter.com/shielvd

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Capitolo 7
*** Sacra semplicità ***


   Sacra Semplicità

 
|Battle Cry – Imagine Dragons|
|Bloodstream – Ed Sheeran|
|Dream On – Aerosmith|


 

**Abbie**


Il bosco era troppo rumoroso per Abbie, che camminava ascoltando ogni singolo rumore. Era oramai notte fonda. Da brava figlia di Apollo, aveva messo nello zaino molte erbe, pomate e nettare in caso di emergenza. Sapeva quali pericoli la aspettavano fuori dal campo: mostri, mostri e ancora mostri. Ma d’altronde cosa poteva fare? La donna dagli occhi verdi non gli aveva promesso niente – a differenza degli altri-. Le aveva solo detto che Meg, la sua amica, era in pericolo. E forse – pensò mentre camminavano- era l’unica a saperlo. Qualcuno voleva ucciderla, ma perché? Se lo domandava anche lei.
L’arco e la faretra rimbalzavano sulla sua schiena ad ogni passo. Marciavano da tre ore nel bosco e Meg non aveva ancora deciso la meta. Anzi, non voleva dirglielo.

«Avanti Meg. O parli, o giuro che ti minaccio con la spada» ammoniva Ryan al suo fianco.
«Tremo» rispose sarcastica Meg imitando una faccia spaventata.
Gwen rideva di gusto e poi continuava la sua analisi del territorio.
«Quando ci fermeremo, ve lo dirò» disse infine la figlia di Ecate.

Abbie fece due calcoli  su chi fosse la più carina delle tre: Gwen non mancava di bellezza; era bassina, certo, ma gli occhi verdi e grigi erano un bel contrasto con i capelli marrone chiaro che arrivavano alla lunghezza delle spalle. Inoltre il fisico era del tutto invidiabile: tipico di una nuotatrice, pensò
Meg era alta – come lei in effetti – ed era più robusta di loro. Aveva muscoli soprattutto sulle braccia, i polpacci e – ci scommetteva – anche sull’addome, ma non esagerati. Si chiese se avesse fatto qualche sport per avere una muscolatura simile. Gli occhi erano…beh, non avevano un colore. Li aveva visti sempre diversi.
Involontariamente Abbie guardò se stessa dall’alto: era la più magra, ma anche esile. Aveva la pelle chiarissima, non mulatta come quella di Meg, o vaniglia come quella di Gwen. I capelli erano scuri, e ricadevano mossi sulla fronte. Gli occhi giallo scuro erano l’unica somiglianza con i suoi fratelli.

Riguardo i ragazzi, Jack era suo fratello e Ryan un vecchio amico. Ma avere Duff in quell’avventura…Oh, Dei!
Non gli stava antipatico, anzi la faceva sempre ridere con la sua goffaggine. Il problema era un altro: Duff era molto, mooolto, espansivo. Gli aveva dato un bacio una sera, vicino al fiume. Era stato imbarazzante, ma anche romantico. Avevano passeggiato a lungo parlando del più e del meno, della musica, delle invenzioni mortali… e poi lui le aveva regalato un collana di rame e ingranaggi che, incastrati per bene, formavano un sole splendente. Dopo che lui l’ha baciata – inciampando per sbaglio tra le pietre del viale- e si erano guardati negli occhi, lei aveva cominciato a farfugliare qualcosa e lui divenne rosso ancora più dei suoi capelli. Finì che se ne andarono e non si rivolsero la parola per tre giorni. Dopo Abbie aveva anche pensato ad una storia…ma Duff cominciava ad apparire ovunque, in camera, nel parco e non gli dava tregua. Esasperata cercò di evitarlo e
Abbie, persa nei suoi pensieri, sentì qualcosa sulla gamba. Deglutendo lentamente abbassò lo sguardo e notò un animale proprio attorcigliato alla stoffa del pantalone. Nel buio non capì cosa fosse. Fece per urlare, ma una voce dietro di lei la fermò.
«Calmati» disse pianissimo Scar. Le mise le mani calde sulle spalle «Rimani immobile». Abbie respirò profondamente e sentì il cuore battere ancora più forte. Non poteva abbassare di più lo sguardo per vedere cos’era, ma suppose fosse un serpente. La sua più grande paura. Pregò silenziosamente che Scar si muovesse. Gli altri era più avanti e presto si sarebbero accorti della loro assenza. Scar si fiondò sul serpente – e anche la sua gamba- rotolando insieme ad Abbie. Non sa nemmeno come, Abbie si trovò libera. Adesso il serpente aprì le fauci pronto per mordere Scar, che agilmente si scansò e lo evitò. Cacciò un pugnale nero, con marchi stranissimi e… stava per piantarlo nel lungo corpo del serpente se non fosse che questo si gira e lo morde, all’altezza ventre.
«Oh, Santo Apollo!» urla Abbie in preda al panico. Si sentì talmente inutile in quel momento che si sarebbe ritirata in un angolino per nascondersi. Automaticamente prese una freccia dalla faretra e la tese. Sarebbe andata dritta nella bocca della serpe, se non fosse per un’altra freccia scoccata dal lato opposto. Jack e gli altri ragazzi si erano accorti della prolungata assenza ed erano corsi a cercarli. Scar si alzò reggendosi il ventre. Abbie ricordò che il dolore nel morso di un serpente non è tanto il morso stesso, ma il veleno.
Aprì subito lo zaino e si rese conto di non avere un piano su cui lavorare. Si morse il labbro e rivolgendosi ai ragazzi disse: «Dobbiamo trovare un posto tranquillo».
Meg annuì e suggerì di accamparsi lì. Cacciò dallo zaino tre tende. Abbie sgranò gli occhi: era praticamente impossibile. Meg, rendendosi conto dello stupore di tutti, cacciò un sorriso a trentadue denti e, scrollando le spalle, disse  «Magia».
Le tende erano per due persone, e una a turno avrebbero fatto da guardia altre due.
«Pff, come si montano queste cose?» chiese Jack guardando la tenda e provando a congiungere i tubi di plastica. Gwen sbuffò e si avvicinò, facendogli vedere come unirle senza rivolgergli una sola parola.
Abbie intanto cercava di attenuare il dolore del morso. Una volta nella tenda, e sistemato tutto l’occorrente, chiese a Scar di togliersi la maglia. Con una smorfia di dolore, lui se la sfilò e la gettò a terra. In preda al panico, Abbie gesticolò per finta con varie erbe, maledicendosi. Un ragazzo che le ha salvato la vita era stato avvelenato e lei aveva paura di vederlo a torso nudo? Quando si girò si pentì di quello che aveva pensato. Altro che semplice torace… Scar aveva il torace più scolpito che avesse mai visto.
«Ti prego, muoviti. Altri cinque minuti e me ne vado» si lamentò il ragazzo. «Nel senso che muoio».
Abbie abbassò gli occhi sul morso e…per poco non vomitò. Una orrenda macchia viola e rossa stava sul suo fianco sinistro, rendendo anche la respirazione dolorosa. Sussultò sotto voce e subito prese un disinfettante.
«Grazi mille» disse timidamente a Scar. Abbie notò che aveva la pelle pallida e chiara come la sua, ma i capelli erano neri e soffici.
«E di che’» rispose.
Abbie alzò lo sguardo e incontrò il suo, per poi abbassarlo velocemente.
Scar rise debolmente e disse «Non ti mangio mica». Abbie rise e si sentì sciocca. Perché era tanto timida? Si chiese.
«Non voglio cominciare a parlare. Diventerei logorroica» affermò dopo un silenzio imbarazzante.
«Come se me ne importasse» rispose Scar scrollando le spalle. Abbie alzò lentamente lo sguardo dalle erbe nella ciotola ai suoi occhi neri. Erano più gentili di pochi secondi fa. Lui le sorrise dolcemente, e la ragazza ebbe un tuffo al cuore.
«Bene, ora resisti. Devo applicare i punti» disse piano Abbie, senza staccare gli occhi dai suoi.
«Ai suoi ordini».


 

*Meg*
 


La sfortuna cominciava già a seguirmi. Nemmeno quattro passi e già un compagno era ferito. E poi avevo così tante domande in testa… Durante il cammino mi ero resa conto che in effetti non sapevo nulla sui miei compagni. Alcuni di loro, invece, si conoscevano da tempo –come Abbie e Ryan-. Così pensai di riunirli e fare alcune domande.
«Non voglio immaginare cosa hai messo in quello zaino» Dice una voce alle mie spalle. Ryan sposta un rametto con le mani e mi raggiunge, sotto l’albero a cui mi ero appoggiata.
«Non si vedono le stelle, peccato» dice vedendo il mio silenzio. Dalla folta copertura della foresta arriva qualche frammento di luce della luna piena, illuminandogli leggermente il viso. I lineamenti delicati erano ancora più belli sotto la luce chiara.
«Già peccato»
Si siede accanto a me, chiudendo gli occhi e inspirando.
«Ho tante domande, sai?» dichiaro dopo un attimo di silenzio. «Posso cominciare con te? »
«Sembri una bambina quando parli così» dice.
«Dove abitavi? Tua madre la vedi spesso? Da quando sei al campo mezzo sangue? » impongo le domande a raffica e lui mi ferma con una mano.
«Abitavo a Edmonton, con mia madre…» e sembra che lascia la frase in sospeso, come se volesse aggiungere qualcosa, ma poi ci ripensa. «Era una bella casa»
«Che lavoro fa tua madre? »
«Era un’atleta» dice guardando nel vuoto, come se fosse solo un ricordo lontanissimo.
«Un’atleta…» ripeto. «Mi affascina, non so perché»
«Ti affascina tutto» dice sorridendo. Faccio spallucce, perché effettivamente è vero: mi affascina tutto ciò che è fuori dalla norma.
«E’ affascinante come tutto ti affascini» dice ancora ridendo. Scoppiamo a ridere e lo guardo negli occhi. I capelli si erano abbassati sulla fronte, e allungo involontariamente la mano per scostarli. I visi erano vicinissimi e Ryan apre la bocca per pronunciare qualcosa, ma non saprò mai cosa. In quel momento arriva Jack di corsa.
«Oh, scusate piccioncini» urla ridacchiando il biondo. Mi alzo e gli vado incontro.
«Gwen voleva parlare un po’ dei piani. Non ci hai ancora detto dove andiamo» dice Jack in tono accusatorio.
«Ora ve lo dirò, seguitemi».


Quando finalmente anche Scar e Abbie riuscirono e muoversi dalla tenda, tutti e sette eravamo seduti a terra in cerchio, intorno alla torcia e alla cartina.
«Allora Meg, ci dici dove andiamo? » chiede Jack impaziente.
«Oh, ti prego, dillo prima che lo picchio.» mi supplica Gwen – persino lei sotto sotto impaziente- .
«C A N A D A» rispondo scadendo ogni parola.
«Cosa?» urla Ryan. E’ impallidito all’improvviso. «E perché?»
«Perché andremo nel Regno del Nord, il regno della regina Dalia» dico buttando il giornale trovato nel libro. Scar mi rivolge un’occhiata complice.
«Anche io l’ho sognata» dice Gwen, annuendo con il capo. «La sera che sono scappata. E’ la stessa del sogno, dici? »
«Non è una coincidenza. Ho trovato il giornale la sera stessa. Qualcuno voleva che lo vedessimo.» rispondo eccitata. Mi hanno sempre interessato i gialli, e questo sembrava proprio un caso da risolvere. C’era anche la vittima, le prove.
Mancava solo il detective sexy.
«Sappiamo che l’ha uccisa la sorella» afferma Scar.
«MA può essere anche falso. Hai visto bene nel sogno lo sposo… era così felice di vederla morta. Anche Dalia lo ha accusato» ribatto. Scar contrae le labbra in segno di approvazione.
«Molto romantico» commenta sarcastico Jack «Sposi così sono rari da trovare»
Gwen soffoca una risata e continua a guardare la cartina dell’America settentrionale.
«Non possiamo arrivare a piedi in Canada. E poi questo Regno del Nord dove si trova?»
«In Alberta, qualche kilometro sopra Edmonton.» rispondo.
«Come lo fai a sapere?» chiede Scar «Nel sogno non ne faceva parola»
«Ma i libri si» ribatto sorridente «I libri hanno sempre la risposta che cerchi»
«Scusate, ma io che c’entro in tutto questo?» chiede Duff scettico. Lo guardo un attimo: sbaglio o era stato lui a seguirmi?
«Duff, tu ci hai seguiti» dichiaro confusa.
«Si, ma la donna dagli occhi verdi mi aveva detto che tu eri in pericolo»
Sospiro. Un altro caso da sistemare.
«Si questo è un'altra cosa» dico con la gola secca «Eppure sento che c’è un collegamento»
«Ma di che state parlando? » domanda Ryan
«Qualcuno mi vuole morta» dichiaro stanca. Ci ho pensato molto durante il viaggio, ma finora nessuno mi viene in mente. Che ricordo, non mi odiava nessuno fino a questo punto.
«Beh, sarà qualche mortale che ce l’ha con te. » cerca di consolarmi Abbie.
Magari. Penso
«E’ qualcosa di grande.» ribatto scuotendo la testa «L’altra notte, ho sognato un uomo che veniva ucciso da mostri…orrendi. E chiedevano la bambina. La volevano, per ucciderla.».
Mi tremano le mani e mi viene la pelle d’oca anche se non ho freddo. Mi stringo, cercando di non far notare niente agli altri. Le urla dell’uomo rimbombano ancora nella mia testa, e mi do un pizzico per scacciarle dalla mente.
«Sarebbe tutto più semplice se avessimo consultato l’oracolo» afferma Duff
«Allora dobbiamo metterci all’opera. Ci sono molte cose da trovare.» dice Jack avvolgendo la cartina. All’improvviso tutti sembravano più seri. Come se si rendessero conto della difficoltà della missione. Poteva essere qualcosa di più grande di noi. Non bastavano quattro frecce, un po’ di magia e astuzia.
Ci voleva molto di più: coraggio, lealtà, e anche la magia, ovvio.
«Credo proprio che un bel viaggio in aereo non ci farebbe male» dichiara Gwen dopo alcuni calcoli.
«Quindi? » chiede Jack
«Si va all’aeroporto di New York».

"We staked out on a mission
 to find our inner peace.
 Make it everlasting
 so nothing’s incomplete."

Rather Be - Jess Glynne feat. Clean Bandit



Eccomi di nuovo!
Mi annoio ogni volta di scrivere ‘angolo dell’autrice’, tanto si capisce che sto parlando io (?)
Spero non facciate troppa confusione con i nomi (si sono molti). Ho cercato di non essere complicata e spero di esserci riuscita.

La canzone che ho messo (Rather be) non è una delle mie preferite, perciò ne ho aggiunta qualcuna sopra (il testo però non può essere collegato al testo).
Seguitemi anche su twitter, sono @shielvd
*vi minaccia*

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Capitolo 8
*** Viola ***


Viola
 


Nota: I capitoli li allungherò un po’ idk


| We can make the world Stop – The Glitch Mob |
 

 

****Jack****

 


Durante il viaggio verso New York, Jack non fece che porre domande ai suoi amici. Soprattutto a Gwen. In qualche modo gli piaceva stuzzicarla e farla innervosire. Finalmente Scar aveva confessato di essere figlio di Ares, eppure Jack era sicuro di non averlo mai visto al campo. Abbie e Scar erano pericolosamente vicini la maggior parte del tempo, come se avessero paura di perdersi di vista. Eppure, pensò Jack, Scar non era proprio il tipo per la figlia di Apollo.

Il caldo di quel ventuno luglio lo straziava: aveva voglia di togliersi la maglietta e buttarsi acqua ghiacciata in faccia, ma resistette.
«Hei ragazzi, appena troviamo un po’ d’acqua fermiamoci» ammonì il biondo.
«Jack, dobbiamo arrivare a New York e prendere l’aereo». Gwen si era girata e lo osservava con aria non troppo seria. Poi vedendo la faccia da cucciolo di Jack e notando che – effettivamente - non c’era alcuna fretta, scrollò le spalle: «In effetti fa un po’ caldo. Meg tu che dici?».
Meg si era buttata  sull’erba fresca, con la faccia nella terra. Sospirò e annuì impercettibilmente: anche lei moriva di caldo.
«Okay, troviamo un fiume o qualcosa» annuì Abbie.
«E se andassimo al mare? L’aeroporto è vicino» propose Ryan con un risata furba.
«Certo, senza costume»
Jack e Ryan cominciarono a ridere come due depravati. Meg, indignata, si alzò dall’erba per dargli uno schiaffo dietro la nuca a entrambi.
«Solo un’altra parola, Norris e Wilson, e vi do il resto» ammonì Gwen.
Meg, non conoscendo i cognomi, fece una faccia curiosa. «Chi fa di cognome Norris? »
«Io» rispose Jack sorridendole «Fico, eh? »
Meg scosse la testa e continuò a camminare, cercando una fonte d’acqua dignitosa per calmare gli animi focosi dei suoi amici.
«Stavo pensando, Meg…» cominciò Jack avvicinandosi alla ragazza mentre marciavano.
«Oh, oh, Jack che pensa. RAGAZZI FRA POCO PIOVE! » rispose sarcastica.
«Dico sul serio. Pensavo che potremmo fermarci a Edmonton, a casa mia»
«Tu vivi a Edmonton?» chiese perplessa
«Mia madre ha una casa lì, ma la occupa solo nel il periodo di Natale»
«Oh, beh magnifico! Ma, entriamo tutti e sette?»
«Direi proprio di si» concluse Jack.

I ricordi della mamma non sono molti: era sempre occupata con il lavoro, lavoro e ancora lavoro.  Era cresciuto grazie ad una badante e ai camerieri che soddisfacevano ogni suo capriccio, nella villa a Hollywood. Questo finché non andò al campo mezzo-sangue. Lì la realtà era un’altra: vivere o morire. A dieci anni era già attaccato dai mostri, e grazie alla badante (che scoprì essere un satiro) riuscì ad uscirne salvo. E’ così. Per Jack la vita era cambiata all’improvviso, come lui. Ogni tanto la traccia del ragazzino arrogante e donnaiolo affiorava, di suo malgrado, creando la reputazione di playboy tanto nota.
Lui odiava quella reputazione.

 




*Meg*





Arriviamo finalmente all’aeroporto, dopo cinque ore di cammino, alle sei di pomeriggio. Il tabellone segna il prossimo volo per le 8:15 di sera. Giusto il tempo di trovare una strategia per un viaggetto gratis.
Ci guardiamo in giro e riceviamo occhiate insolite da molti adulti. ‘Sette ragazzini, sporchi di terra, con uno zaino in spalla che si guardavano confusi intorno’.
Propongo a Gwen e Abbie di andare in bagno per cambiarci e vestirci come ragazzine normali. Appena entriamo, loro occupano due cabine e in due minuti sono pronte: Gwen indossa una salopette di jeans e scarpe da ginnastica bianche basse. Abbie un vestitino verde oliva con le scarpe dello stesso colore. Mi guardano perplesse e chiedono perché io non mi sia cambiata. Mi ero solo lavata la faccia e le mani.
«Io devo indossare un’altra cosa» esordisco. Esco dal bagno e mi avvio verso le guardie che controllavano i bagagli. Non saremo mai passati né senza soldi, né con le armi. Ryan vedendomi uscire dal bagno con gli stessi abiti, mi si avvicina.
«Meg, che fai? »
«Rimedio al nostro volo. Non partiremo mai se ci lasceremo controllare. Dobbiamo distrarlo»
«Chi piano hai? » mi chiede piatto. Gli spiego brevemente il diversivo e lui lo riferisce agli altri. Jack, Duff e Scar si scambiano un’occhiata d’intensa, e poi Scar mi si avvicina.
«Se ti scoprono…»
«Sono fottuta» termino «Lo so, Scar. Mi sono cacciata nei guai talmente tante volte che non puoi immaginare» sorrido e mi avvicino alla guardia. Preparo la mia faccia preoccupata e spaventata.

«Oh santo cielo, mi aiuti. C’è una rissa in corso! » urlo piangendo. Ho imparato a piangere a comando da piccola, quando le guardie mi trovavano con le mani nel sacco. Pensando, mi vengono in mente i miei genitori adottivi e respingo un conato di vomito.
«Hei giovanotti smettetela! » grida la guardia con la faccia rossa e paonazza.
Duff e Scar si erano posizionati in un angolo, fuori dalle occhiate curiose dei viaggiatori. Appena la guardia svolta l’angolo e vede Duff sanguinante dal naso, spalanca gli occhi e punta un dito verso Scar. Ma come lo avevo avvisato, Duff si alza e tira un pugno proprio nel ventre di Scar, dove era stato morso. La cicatrice era QUASI emarginata, ma comunque provoca dolore. Scar si piega in due e – ci scommetto – soffoca un gemito.
Intanto spostano la rissa lungo il corridoio, facendo avvicinare la guardia alla porta del ripostiglio. Appena è abbastanza vicino, Scar e io gli tiriamo contemporaneamente un pugno: il poliziotto riesce a schivare il mio colpo, ma non quello di Scar. Cade a terra svenuto, come un grosso salsicciotto.
«Pff…» sbuffa Scar. Regge ancora con una mano il ventre e mi osserva «Come facevi a sapere che avrebbe parato il tuo colpo? » chiede curioso.
Infatti, mentre gli spiegavo il piano, lo avevo avvisato più volte che il suo colpo sarebbe stato quello decisivo.
«Esperienza. E adesso aiutami a portarlo nello stanzino» dico. Lui prima si volta verso Duff, ancora a terra e con una mano sulla faccia. Scar gli porge la mano e lo alza. Poi – come se avessimo tutto il tempo del mondo - ride di gusto e si complimenta per la rissa. Doveva essere abituato a certe cose, penso, essendo figlio del dio della guerra.
Una volta nascosta la guardia, raccolgo veloce i suoi vestiti e li infilo da sopra il jeans e la maglietta grigia che indossavo. Le scarpe, però, devo per forza toglierle e indossare le sue- che mi calzano enormi-.

Mi concentro sul profumo della guardia, sui suoi vestiti, la sua faccia grassoccia e sento il familiare formicolio. Lo stesso di quando mi trasformavo in Duff: devo cercare di immedesimarmi nella persona. Penso al suo tono di voce e come urla. Aveva chiamato il suo collega George, prima.
 Immagino la sua vita: una casetta con un piccolo giardino, dove i bambini giocano con la palla e aspettano il papà che torna a casa per raccontargli la loro giornata. La moglie prepara una meravigliosa cena con pollo e patate al forno e decora la tavola con fiori e candele, dandogli un bacio sulla fronte. Una normale famigliola felice.
Sento la pelle espandersi e la faccia pesante. Le spalle si allargano, i piedi aumentano di cinque numeri. La pelle si schiarisce e mi alzo di qualche centimetro. Un dolore, nuovo e fastidioso, si espande sulla schiena e le gambe. Urlo e sento Gwen e Abbie arrivare.
«Meg? Meg sei tu?»  Abbie apre la porta dello stanzino e spalanca gli occhi.
A urlare era la voce della guardia.
«Si, sto bene. Ryan e Jack? »chiedo con voce bassa e ruvida.
«Eccoli, presto esci! » sussurra Abbie, prendendomi per il braccio. Inutile, perché ero molto più grossa e muscolosa di lei, adesso.
George, il collega della guardia,  arriva seguito da Ryan e Jack, che lo avevano informato della rissa.
Prendo Scar per la maglietta e Duff per la gamba.
«Hei, George. Non ti preoccupare, li sistemo io questi stronzi. Altro che volo a Edmonton, vi faccio fare un volo per vaffanculo!» urlo più che posso.
George mi chiede se li ho già controllati e tutto, e io annuisco.
«Li dobbiamo portare solo sull’aereo» intervengo, sempre col tono minaccioso della guardia.
«Va bene, occupatene tu Fitz»
E con questo ritorna di nuovo al metaldetector, dopo l’angolo. Sospiro e spingo tutti verso l’uscita.
«Avanti stronzetti, andiamo»

 

**Ryan**


Una volta sull’aereo, Meg dovette nascondersi nel bagno dell’aereo tutto il tempo, sperando che non entrasse nessuno. Gli altri si posizionarono sui sedili. Ryan non era mai stato su un aereo, ma volle comunque sedersi vicino al finestrino. Abbie gli si sedette accanto, al centro tra lui e Scar. Dietro sedevano, partendo da sinistra, Duff, Gwen e Jack.
Ryan deglutì piano: non aveva idea di cosa lo aspettasse. Il viaggio durava circa cinque ore. Sarebbe andato da Meg tra due ore, per vedere se si sentisse bene.
Aveva la strana impressione che qualcosa non andasse.

 

 

*Meg*


Non mi ero mai sentita peggio. Ho un conato di vomito tremendo, e non riesco a diventare me stessa. Vado subito nel panico: e se fossi rimasta per sempre una guardia grassoccia? Per di più maschio… Sarebbe stata costretta a una vita da nascosta, lontano da New York. E non avrei mai trovato il mio uomo, almeno che non mi dichiarassi gay… Avrei avuto il coraggio di farmi una doccia? Respiro a fondo e mi rilasso.
Mi siedo a terra e chiudo gli occhi. Cerco di dormire, ma comincio a sudare, bagnando la camicia della guardia.
Mi dimeno, stracciando la camicia e la giacca. Poi lo stesso dolore di prima…più forte.
Soffoco un urlo e mi piego. Non me ne rendo conto, ma formo delle mezzelune sul braccio con le unghie e mi mordo il labbro, tanto da far uscire il sangue. La fitta si espande dalle gambe, al ventre e poi al petto, causando un gemito strozzato. La testa mi gira e avvio una serie di respiri affannati, accompagnati dalla tosse. Più tossisco, e più dalla bocca esce sangue. A terra, sotto i miei piedi, si forma una pozzanghera di sangue.
Lo zaino penso. Cerco tastoni sopra il lavandino la borsa, ma prima che possa prenderla cado a terra. Il sapore del sangue è dolciastro in bocca, e anche l’odore raggiunge le narici, facendomi girare la testa. I puntini neri invadono la mia visuale, e sento solo un campanello prima di svenire.



 

**Ryan**


Le dita tamburellavano nervose sul suo ginocchio. Abbie gli poggia una mano sopra per fermarlo.
«Ryan, perché sei così nervoso?» chiese Abbie. Scar si voltò, lanciando un’occhiata alle loro mani unite.
«Quanto tempo è passato?» domandò Ryan con foga.
«Un'ora» rispose Gwen da dietro.
Tutto il viaggio Jack aveva parlato con Gwen sulla trasformazione di Meg.
«Ma se gli viene da grattarsi il gioiello, che fa? »
«Lo gratta» rispose Gwen «Oh Dei, suona così male…»
Intanto Jack moriva dalle risate e faceva altre domande stupide: ‘e se poi rimane maschio?’ ‘avrà controllato quant’è grande?’ ‘chissà che fa tutta sola…’
Anche Ryan si chiedeva cosa stesse facendo da sola, ma non in quel senso.
«Secondo me si trasforma in qualche attore famoso e si tocca i muscoli tutto il tempo» continuò Jack «Anche io se fossi in lei, mi trasformerei in Angelina Jolie e mi toccherei le…»
«PORCA TROTA, JACK! SE NON CHIUDI QUELLA BOCCA GIURO SU ATENA CHE TE LA CUCIO!» urlò Gwen.
«IO TI CRUCIOOO» disse Jack improvvisando un pacchetto di fazzoletti come bacchetta. Gwen si lasciò scappare una risata e si coprì la bocca con la mano.
Ryan allora si alzò e si avviò verso il bagno, senza dire una parola. Una ragazza bionda, vedendolo, sorrise e alzò una mano in segno di saluto. Aveva i capelli biondi ossigenati, quasi bianco pensò Ryan, e gli occhi celestini con sfumature verdi. La bionda spostò lo sguardo più in là e vide anche Jack. Il figlio di Ermes scrollò le spalle e avanzò verso la porta grigia.

Bussò piano, ma non rispose nessuno. Aprì un po’ la porta e l’odore disgustoso di sangue e vomito penetrò nel naso. Allarmato entrò nel piccolo bagno e si chiuse la porta alle spalle. Meg era a terra, in una pozzanghera di sangue e con gli abiti stracciati. Totalmente priva di sensi.
Ryan la scosse leggermente e, vedendola aprire gli occhi, cacciò un sospiro di sollievo.
«Meg, cosa è…?»
«Non lo so» rispose debolmente. Aveva ancora il sangue in bocca, ormai secco. Ryan si chiese da quanto tempo fosse a terra dissanguata. La mise a sedere e prese del nettare nella borsa.
«Devi pensare a cosa vuoi, e te lo da» informò Meg riferita alla borsa magica.
Ryan pensò al nettare e all'istante se lo ritrovò in mano. Sorrise e chiese anche un panno morbido, sperando che Meg lo avesse portato. Erano talmente stretti che si trovavano l’uno sopra l’altro.
Un volta avuto il panno – lo divertiva quella borsa, doveva ammetterlo – lo bagnò con acqua calda. Le porse un bicchiere d’acqua per sciacquare la bocca e del nettare.
«Potevo farlo da sola, grazie» rispose secca, prendendo il bicchiere.
«Ho visto come te la stavi cavando» rispose Ryan irritato. «Perché non mi hai chiamato?»
«Non potevo». Aveva gli occhi chiusi, ed era senza forze. Quando prese il bicchiere le si rovesciò addosso. Imprecò sottovoce e fece per alzarsi, ma Ryan la fermò.
«Ferma, faccio io»
Dopo che pulì a terra il sangue e l’acqua con un altro panno, prese quello morbido e lo passò sul viso. Meg aveva ancora gli occhi chiusi e la testa appoggiata al muro.
In quel momento Ryan osservò per bene i tratti caratteristici di Meg: la pelle dorata e scura, tipica del Mediterraneo; il naso piccolo e un po’ schiacciato; i graffi sulla fronte e sulla guancia; la bocca piccola e morbida. La linea delle labbra si curvò in un sorriso debole. Aveva aperto gli occhi: viola, come la sfumatura assunta dal tramonto prima della sera, o i petali di un fiore profumato.
Uno dei più grandi segreti di Ryan era il suo colore preferito. Il viola. Aveva paura che, confessando, lo avrebbero preso in giro per un colore così femminile.
«Lo so» sussurrò Meg, come leggendogli nel pensiero. Ryan – meravigliato e divertito allo stesso tempo – sorrise a sua volta.
«Affascinante» rispose ridendo.
«Ah, ah. Mi hai copiato la battuta»
«No, è la nostra battuta» disse Ryan, calcando quel ‘nostro’ con tale importanza da far avvampare Meg.
Bussarono alla porta del bagno: era la voce di Scar.
«Jack comincia già a pensar male se vi appartate nel bagno a lungo»
«Di’ a Jack che è perverso» rispose Ryan uscendo dal bagno «Tu rimani qui» disse riferito a Meg.
«Questo già lo sa» ribatté Scar fuori dal bagno.
«Tutto okay?» chiese una voce sconosciuta alle loro spalle. La ragazza bionda che prima salutò Ryan era in piedi con le braccia conserte. «Mi sembrava di sentire una voce femminile lì dentro»
«Si, tutto okay» rispose Ryan.
Si sentirono altri colpi di tosse e respiri affannati.
Si guardarono tutti sconvolti, e Ryan cercò una scusa plausibile, visto la presenza della bionda.
«E’ solo la mia amica che….»
«Che ha problemi nella digestione» disse Meg sbucando dalla porta grigia di plastica.
Aveva i pantaloncini e la maglietta degli Guns N’ Roses nera, con le sue scarpe bianche da ginnastica e una coda perfetta. Ryan si chiese come avesse fatto a vestirsi così velocemente e a farsi una pettinatura tanto ordinata in due secondi contati. La bionda la squadrò da capo a piedi con un’espressione indecifrabile e tirò un sorriso.
«E’ la tua ragazza?» chiese a Ryan con aria civettuola. 
«No, non sono la sua ragazza» disse Meg con un sorriso tirato e ‘amabile’. La bionda li osservò con un sopracciglio alzato.
«Potrei parlarti un attimo, Ryan?» chiese – sempre mooolto civettuola –.
«Certo»
E seguì la bionda, dopo averle lanciato uno sguardo preoccupato, chiedendosi chi diamine fosse.






Angolo della fangirl

Ecco, chiamiamolo così. Ho messo il capitolo dopo poiché ho appena finito ‘Shadowhunters – Le origini. La principessa’ e il mio cuore è una poltiglia. Ho esaurito tutte le mie lacrime, insomma.
Questo capitolo è un po’ più lungo, e cercherò di farli tutti così HAHAHAHHA. Sapete già chi è il TRADITORE? (le mie amiche che leggono la ff NON devono assolutamente dire niente)

Recensite, ciovani :)
 

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Capitolo 9
*** Rubacuori assassini ***



Rubacuori Assassini
 

| In Your Eyes - (Glee Cast Version)|
| Alone Together – Fall Out Boy |




 

*Meg*


 

Un dolore lacerante al petto mi fa riprendere i sensi. Quando la vista diventa più chiara, sbatto le palpebre e mi metto a sedere. Le mani erano legate dietro la schiena con dello spago. Immediatamente mi guardo intorno, mentre il mio torso si alza e si abbassa, e la mente cerca di elaborare tutto quello che è successo da quando siamo arrivati a Edmonton.

Siamo giunti per l’una e un quarto di notte ad Edmonton e, stanchissimi, cercammo  un posto dove dormire almeno quella notte. Il viaggio per la casa di Jack avrebbe impiegato un’altra oretta. La parte meridionale di Edmonton era un intreccio di strade e negozi, e praterie immense. L’aria, a quell’ora, era gelida – i pantaloncini non aiutavano-. Nella locanda che trovammo – molto rustica – ordinammo le stanze e appena entrata mi buttai sul letto.
Nella bagno dell’aereo mi ero vestita velocemente appena Ryan si chiuse le porte alle spalle e, quando la tosse ricominciò, mi pulii e feci la coda velocemente. Pensavo di avere un aspetto orribile, invece ero più sistemata del previsto.
Mi addormentai subito, senza nemmeno infilare il pigiama, e caddi in un sonno senza sogni così profondo che solo delle grida mi scossero.

Gwen e Abbie erano già pronte, con le armi impugnate, e corsero fuori la stanza in un millisecondo. Lo stesso per i ragazzi, vestiti e assonnati – eccetto Jack in boxer che brandiva l’arco come un drogato –, mentre si buttavano a capofitto nella sala da pranzo.
Fui l’ultima ad arrivare.
Il corpo di una cameriera era a terra, sanguinante e deformato. Mi accasciai sulla figura e la girai, in modo da vederla: il petto era completamente aperto all’altezza del cuore, dove non c’era che ossa e carne. L’organo vitale era stato tolto.

Anche Ryan e Gwen erano affianco a me, e guardavano impressionati lo squarcio sul petto, chiedendosi chi potesse fare una cosa simile.
«Oh cielo» mormorò Gwen sconcertata. Duff corse insieme a Jack verso di loro, riponendo lo strano bastone nella fodera di cuoio e guardando schifato il corpo.
«Che schifo» urlò  e si girò per evitare di vomitare.
«Ma perché nessuno viene? Non hanno sentito le urla? Possibile che non ci sia nessun’altro qui dentro? » urlai a mia volta, cercando di farmi sentire da qualcuno. Ma parve che veramente ci fossimo solo noi. Mi girai verso gli altri, cercando appoggio. Ma ognuno sembrava immerso nelle sue riflessioni. Impotente davanti a quel povero corpo, notai che aveva ancora gli occhi spalancati, come dal terrore, e allungai una mano per chiuderli.
«Siete sicuri che non ci sia nessuno?» chiese Gwen, con voce un po’ tesa.
«Non mi sembra. Almeno che non si sia nascosto sotto il tavolo» rispose Jack con – come al solito – sarcasmo. Gwen sbuffò e si alzò brandendo la spada.
«Vorrei capire cosa…» poi si guardò intorno, rendendosi improvvisamente conto che mancavano Abbie e Scar. «Dove sono Abbie e Scar?»

Provai una fitta alla pancia e corsi fuori dalla sala da pranzo. La locandina era completamente disabitata: la finestra aperta lasciava entrare un venticello pungente, ma non troppo fastidioso, che muoveva le tende blu. Dietro la piccola scrivania di legno della reception si sentì uno cigolio e poi un altro corpo si accasciò a terra. L’uomo alto e snello che ci aveva ospitati in quel momento era a terra esanime. Dal petto si allargava uno squarcio come quello della cameriera, nel punto in cui dovrebbe esserci il cuore. Il mio cuore invece - ancora funzionante - fece un balzo e indietreggiai.
La mia testa colpì un petto dietro di me, che mi afferrò e mi coprì la bocca. Cercai di scalciare, ma l’individuo era talmente forte che appariva composto di pietra.
Alla luce della luna vidi una lama di argento infilarsi nel il mio petto lentamente. Aveva liberato la bocca e in preda al dolore urlai con tutto il fiato in bocca. Strinsi i pugni e cercai di allontanare il pugnale o di bloccarlo con l’incantesimo di spostamento, ma prima che potessi muovere qualcosa, l’individuo mi lasciò e se ne andò correndo. Ryan aveva gli occhi sgranati e guardava il petto allarmato.
«Sto…bene» sospirai, sentendo tutto più doloroso: il respiro, i battiti del cuore, i movimenti, le parole. «A…Abbie e Scar?» sussurrai «Dove sono? »
Nemmeno termino la domanda che un altro grido proveniente dal piano superiore ruppe il silenzio. Gwen. Jack spalancò gli occhi e corse di sopra, ma appena io feci un passo il mondo sembrò rallentare intorno e una forte botta in testa mi fece cadere a terra, facendomi scivolare nell’ oscurità.





 

***Gwen***


Le pareti bianche della camera la accecavano maledettamente. Era a terra, con le mani legate ad una sbarra. Ricordava ancora la figura accasciata – sul suo letto questa volta -nella locandina ad Edmonton, e pensando fosse Abbie aveva urlato. Jack era corso sopra, con l’arco impugnato e lo sguardo determinato pronto ad uccidere chiunque – poteva sembrare un eroe se non fosse stato in boxer –. Poi qualcuno le aveva fatto perdere i sensi.
Si guardò intorno, e un corpo rannicchiato mugolò. Quando alzò il capo, Gwen vide gli occhi azzurri di Jack. I capelli biondo scuro erano spettinati e indossava solo dei pantaloncini marroni. Si chiese quando ebbe il tempo di infilarseli.
«Questi pantaloni sono orrendi» dichiarò esausto. Non era ferito gravemente, ma aveva molti graffi superficiali sulla schiena.
«Gli altri dove sono? » chiese Gwen con voce tirata.
«Non ne ho idea, non li ho visti» rispose in un sussurro. Anche lui era legato ad una sbarra d’acciaio.
«Tu stai bene?» chiese poi Gwen, meravigliando se stessa. Jack posò gli occhi su di lei e sorrise.
«Sei una bella dormigliona»
«Ritieniti fortunato che non abbia russato» dichiarò Gwen ridendo. Che situazione strana, pensò. Sembrava che stessero andando a prendere un caffè insieme, non che fossero rinchiusi in una stanza bianca e luminosa, legati a delle sbarre.
La maledizione disse una vocina dentro la sua testa Non dimenticarla.
Eppure posando gli occhi su Jack, non poteva fare a meno di indugiare sul torso nudo. Tolse subito lo sguardo e deglutì imbarazzata. Anziché notare certe cose, dovrebbe tentare di trovare un modo per liberarsi, pensò innervosita.
Ma proprio in quel momento entrarono due uomini in camice bianco, salvando - ancora per poco - Gwen dall’imbarazzo.
Le guardie, senza dire una parola, presero Jack per le spalle e gli slegarono i polsi. Non capendo niente, la figlia di Atena studiò gli stani uomini: il camice copriva buona parte del corpo, lasciando scoperte solo le braccia e il volto. La pelle era una sfumatura inspiegabilmente verdastra e gli occhi erano grigi: non grigi come i suo occhi, caldi e chiari, ma grigio acciaio. Gwen si chiese se fossero umani o alieni come nei film.

Gli uomini verdi portarono Jack in un’altra stanza, che Gwen poteva vedere dalla parete interamente di vetro di fronte a lei. Lo posizionarono in un lettino, mentre il ragazzo scalciava e si dimenava, urlando il nome di Gwen.
Mi devo liberare immediatamente pensò la ragazza. Cominciò ad armeggiare con il filo, ma notò che era strettissimo e solo un’altra persona avrebbe potuta liberarla. Quasi nel panico totale vide Jack steso su un lettino, stretto con morse di acciaio. Uno degli uomini verdi tirò fuori una siringa contenente un liquido giallo e spaventosamente consistente. Gwen cominciò a pensare che tutto fosse troppo assurdo e strano, che si trattasse tutto di uno stupido incubo. Urlò il nome di Jack con tutto il fiato che aveva in corpo e si dimenò, capendo che non era un sogno: la corda che lacerava la sua pelle sui polsi causava un dolore troppo concreto, e le sue urla echeggiavano per la stanza bianca, senza raggiungere la parete a vetro.

Poi accadde tutto velocemente: una freccia tagliò la corda che la stringeva alla sbarra e aiutò ad alzarla delicatamente. Abbie le stringeva forte il braccio e la teneva alzata. Improvvisamente il mondo cominciò a girare per Gwen e girò subito lo sguardo cercando gli occhi celesti di Jack. Era ancora steso sul lettino e urlava in preda al dolore provocato dal liquido giallo. Senza rendersene conto prese la spada e corse nella stanza di fronte, ma prima che potesse fare qualcosa, un lama tagliò in due il corpo dell’alieno – così decise di chiamarli – e una freccia infilzò l’altro. Adesso, insieme a Gwen  e Jack, c’erano anche Scar e Abbie.
Senza domandare nulla, né correre via dalla stanza, si precipitò da Jack e lo slegò dalle morse d’acciaio. Mentre allungò il braccio, la ragazza si rese conto che aveva i polsi insanguinati, ma non se ne tormentò più di tanto.
«Jack? Jack, stai bene? » chiese con voce tesa. Jack, ancora steso, aveva gli occhi spalancati e alzava il petto velocemente, come se non riuscisse a respirare. Poi si girò verso Gwen e le prese la mano, con forza, e le sussurrò:
«Dicevano…dicevano che eri maledetta…»
Gwen prese ad accarezzargli i capelli delicatamente e gli sorrise, cercando di essere credibile.
«Non ti preoccupare per me» sussurrò chinandosi sul suo viso. Poteva sentire il respiro affannato di Jack e uno strano odore di sangue. «Sei ferito?»
Jack scosse la testa e deglutì, sempre con gli occhi aperti dal terrore.
«Gwen, dobbiamo cercare gli altri, prima che qualcuno ci veda» disse Abbie con voce tesa, mentre manteneva l’arco. La faretra aveva ancora qualche freccia, e Gwen si chiese tutte le altre dove fossero infilzate.
«Okay, poi dovete spiegarmi un po’ di cose» così dicendo, Gwen aiutò Jack ad alzarsi, sempre stringendo la sua mano. «Ti troverò una maglia, Jack»
Seguendo Abbie e Scar fuori dalla camera, la ragazza trascinò Jack stringendogli la mano. Si chiese cosa lo avesse traumatizzato tanto per chiamare il suo nome.




 

 

*Meg*

 

La stanza è bianca e completamente vuota. Non somiglia niente ai film: la stanza dovrebbe contenere un letto, un bagno, o almeno una porta. Si, non c’è nemmeno una porta. Presto comincio a pensare che sia tutto un sogno, o che sia morta. Appena sveglia avevo cercato qualche mio compagno con lo sguardo, ma non c’era traccia di anima viva. Il pavimento è soffice, come un cuscino, e se non fossi legata potrei anche fare qualche bel salto a mo’ di gonfiabile.

Una parte del muro bianco alla mia destra si apre lentamente, facendo comparire sulla soglia una giovane donna, di bell’aspetto, che sorride gentilmente.
Già non mi piaceva.
Appena il muro – o la specie di porta – si apre completamente, la donna fa qualche passo in avanti verso di me.

«E’ uno dei miei modi preferiti per presentarmi» dice la donna. «Come stai, Meg?»
«Ci conosciamo?» chiedo alquanto sconvolta. Quella donna aveva anche fatto un’entrata favolosa, certo, ma era molto inquietante.
«Beh… Diciamo di sì» dice ammiccando un sorriso «Siamo molto legate, sai? »
«Senta signora, non so cosa voglia da me» comincio a chiarire «Ma qualsiasi cosa voglia da me, non era meglio farlo senza legarmi ad una sbarra e rinchiudermi in una stanza senza porte? »
Ride leggermente, e in quel momento capisco che sarebbe stata l’inizio di un’ostilità forte. Forse quell’ostilità cambierà tutto.





Angolo autrice (pazza fangirl)

Lettori ew, ho pubblicato il capitolo dopo poichè ho rivisto molti cartoni disney tutti i giorni. Si ho versato lacrime e risa, ma ne è valsa la pena!
Sono molto nostalgica :')

Chi sarà la donna? HEHEHEHE *RISATA CRUDELE*
Per animare il racconto, nel prossimo capitolo sarò particolarmente cattiva con i personaggi Bella la Gwack vero? Oh, anche la Scabbie non è male *risata cattiva*

 

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Capitolo 10
*** Pioggia di Vetro ***


Pioggia di vetri
 
| The Man – Ed Sheeran |
| Burn it Down – Linkin Park |
|Never close your eyes – Adam Lambert |
 

*Meg*
 

«Prendetela e lavatela, la voglio in ottime condizioni»

Nemmeno fossi una bambola da spazzolare e vestire, dei cosi rossi mi liberano i polsi dallo spago e mi prendono per le spalle. Comincio a urlare e sbraitare verso la donna: sorride come se contemplasse una sua opera d’arte appena terminata. Non ci metto molto che inizio anche a imprecare e dare gomitate alla cieca.
Una di quelle guardie gira il capo verso di me, e mi fermo all’istante, come ghiacciata dai suoi occhi gialli, come fari.
 

Quattro mostri enormi e rossi. Non rosso acceso, ma rosso sangue. Non era la pelle rossa, ma la melma che li ricopriva, rovinando le loro facce orripilanti. Gli occhi gialli, come fari. E affianco a loro, un uomo incatenato a terra, quasi morto, coperto di benzina.
 

Gli stessi mostri del sogno che feci nella casa di Ermes adesso mi stringono e mi trascinano in una stanza ancora più piccola. C’è qualcosa nei loro occhi che da vicino contrasta il loro aspetto. Qualcosa di tristemente umano. Qualcosa che tenta di uscire dal corpo estraneo e melmoso.
Zittita e confusa, mi passano bruscamente nelle mani di altri mostri verdognoli e – pure questi – disumani. Il camice bianco mostra le scarpe nere lucide e la testa. Una donna verdognola mi guarda inespressiva da sopra il colletto alto del camice e mi toglie i vestiti macchiati dal sangue della sera precedente.
Non pronuncia una parola tutto il tempo.
Non che io voglia fare una chiacchierata allegra tipo: ‘Ehi, che situazione strana, è? Vengo rapita e poi mi devi anche lavare come se fossi la principessa!’ e scoppiare in una assordante risata.
Provo più volte a domandarle chi sia la donna e perché sta facendo tutto questo, ma si limita a riempire la vasca con cosmetici, creme e tutti roba aromatizzata.
Dopo il bagno mi ritrovo profumata e pulita e nemmeno il tempo di uscire dalla stanza che delle mostri rossi mi prendono e mi portano in un’altra stanza.

Al centro – questa ha anche la porta – si erige un cubo di vetro alto quattro metri. Nella sua normalità sembra una macchina micidiale. Comincio a calciare e dare capate ai mostri. Esasperati, aprono il cubo e mi ci lanciano – letteralmente – dentro. Subito mi alzo da terra e corro a una delle pareti, appiccicandomi. I mostri – che mitologici non erano affatto – escono dalla stanza, lasciando la porta aperta. Dopo nemmeno tre minuti, entra la donna di prima. I capelli bruni gli ricadono sulle spalle e la frangetta copre le sopracciglia.
 «Adesso mi spieghi che diavolo sta succedendo» ringhio arrabbiata e colpendo i vetri con i pugni.
«Quello che sto progettando da tanto tempo» risponde con voce calma e maliziosa.

 

 

 

**Abbie**


 

«Dove cazzo sarà?» chiese Scar con ansia. Avevano trovato Ryan insieme a Duff in una delle stanze della prigione. Adesso mancava Meg.

 Abbie non era ancora riuscita a capire dove si trovassero. Era come se non ci fosse proprio nessun posto: aveva cercato informazioni nella sala informatica, in quella di controllo e aveva anche minacciato – seguendo l’idea di Scar – qualche uomo verde. Ma erano muti e inespressivi come macchine: obbedivano solo agli ordini.
Adesso vagavano, i sei semidei, per i corridoi del secondo piano. Ogni corridoio, stanza o bagno era bianco accecante.

«Tutto questo posto non ha niente a che vedere con la mitologia!» esclamò Abbie allarmata. «Sembra un incubo»
Era vero. Sembrava tutto così surreale per Abbie che era continuamente percorsa da brividi.
Duff continuava a farfugliare e guardarsi intorno nervoso, mordendosi l’indice; Scar imprecava, confuso da tutti quei corridoi; Gwen guardava Jack piena di tristezza e terrore; Ryan correva in ogni stanza.

Intercettarono alcuni mostri rossi mai visti prima d’ora, paralizzando il gruppo come statue.
«Oh, bene» esclamò Scar «Correte tutti da un’altra parte, presto!»
Gwen trascinò Jack in un altro corridoio con una velocità pazzesca, mentre Ryan e Duff corsero nella parte opposta.
Quel posto era un labirinto tecnologico.
«Abbie, vattene!» le urlò Scar cominciando a mandare fendenti con un’ abilità incredibile. Di certo Abbie non lo avrebbe lasciato lì con due mostri enormi a combattere da solo. Incoccò la freccia e la scagliò nell’occhio giallo di una creatura, attirando la sua attenzione.
Come se niente fosse, cominciò a camminare verso la figlia di Apollo con la freccia conficcata nell’occhio, senza alcun fastidio.
Abbie fece per prendere un’altra freccia ma la faretra era totalmente vuota. Strabuzzò gli occhi e indietreggiò, colpendo il muro con la schiena. Non gettò un’occhiata a Scar, dando per scontato che fosse impegnato.
Poi un’idea le balenò per la testa: poteva usare il bracciale di sua madre, ma si era ripromessa di non farlo per tutta la sua vita. Tanto, la sua vita non stava forse finendo in quel momento?
Mise la mano nel pantalone, ma prima che potesse sfilarselo, il mostro venne conficcato proprio all’altezza del cuore da una lama. La lama di Scar.

«Avanti, lo sapevi che ti avrei salvato, eh? » Ammiccò Scar con un ghigno furbo.
Abbie, da quando aveva cominciato a conoscere Scar, era diventata meno timida con lui. E spesso – anche con piacere – gli rispondeva male.
«Dovresti ringraziarmi, Scar. Potevo correre e lasciarti solo»
«Sarebbe stato meglio» dichiarò il ragazzo posando la lama «Almeno avrei combattuto due mostri senza preoccupazioni»
«Quindi sarei un peso? Beh bastava dirlo, non avrei sprecato tempo con te e avrei cercato Meg! » urlò Abbie irata.
Poi con passi pesanti si diresse verso un corridoio, ma fu fermata dalla voce di Scar. Aveva pensato che volesse scusarsi, invece il figlio di Ares gli fece segno di seguirlo. Delusa corse verso di lui e silenziosamente si diressero in una stanza.

Già a prima vista, Abbie notò che era diversa dalle altre stanze: non era bianca, ed era molto più fredda. Oltre la porta, la camera si allungava per moltissimi metri e poi dava spazio ad un cubo enorme di vetro. Nel cubo, Meg era in piedi, e guardava immagini proiettate sulla parete opposta. La faccia sconvolta descriveva quello che stava vedendo:
Distruzione. Tradimento. Sangue. Morte.

 

*Meg*

 

«Non è vero» continuo a ripetere «No, tu non puoi averlo fatto. Erano innocenti! »

Avevo visto tutto nero, e poi una proiezione sulla parete frontale del cubo mostrava la mia casa nel Bronx. E i miei genitori adottivi.
Morti.
La polizia esaminava il sangue sparso ovunque: sul tappeto consumato, sulla vecchia tv, sul divano. E sui loro corpi.
Sconvolta rimasi lì, a guardare la scena col voltastomaco: non quello che mi veniva quando pensavo a loro e a tutte le bugie, ma alla crudeltà di chi l’aveva fatto.
Il loro corpo senza cuore disgustava anche la polizia.

«No…» mormoro
La donna sorride e questo scatena la mia furia.
«Tu, stronza. Chi sei, eh? Che cosa vuoi da me? » urlo a squarciagola. Picchio la proiezione con pugni e calci, desiderando che potesse sparire.
I miei genitori adottivi, per quanto fossero stupidi, crudeli o bugiardi non meritavano tutto questo.
Mi rannicchio nell’angolo della gabbia cubica e stringo forte i pugni doloranti.

Sento la testa dolente e un formicolio si concentra dentro di me.
Sento la pressione su di me.
Sento il silenzio fuori dal cubo.
Sento le urla dei miei genitori.
Sento la confusione nella mia testa.

E Sento migliaia di pezzi di vetro esplodere intorno a me, colpendo la schiena e le braccia.
Ciò che rimane del cubo sono piccoli frammenti trasparenti sparsi a terra. La donna afferra la testa tra le mani sanguinanti e urla ordini ai mostri rossi. Entrano a gruppi nella stanza e si dirigono tutti verso di me.
Fuori controllo e senza rendermene conto, con un movimento delle mani alzo i frammenti rimasti e li indirizzo verso le guardie. Un piccolo gesto e li scaglio verso le guardie trafiggendole. Dietro, sconvolti e confusi, ci sono i miei compagni.

Ryan mi corre incontro e mi abbraccia, temendo che potessi di nuovo andarmene. Sentire di nuovo il suo profumo era come ritornare a casa, anche se non conoscevo bene la sensazione. Perché infondo, io non ho mai avuto una casa.
Quando si stacca, viene allontanato da Gwen.
«Meg, cosa diavolo…»
Ma già mi ero girata nel luogo dove c’era la donna qualche secondo fa. Rimaneva solo qualche chiazza si sangue.
«Credo sia l’ora di capire dove siamo» dichiara Jack con voce stranamente calma. Sembrava che avesse visto un fantasma. Gwen si girò verso lui sorpresa e incredula, prendendogli la mano e sorridendogli. Non l’avevo mai vista così felice per un’altra persona.
«Si, credo sia l’ora di capirci qualcosa» concorda Abbie irritata. Altro fatto strano: Abbie era il membro del gruppo sempre allegra e di buon umore, anche se fosse arrivata la fine del mondo. Troppo confusa lascio perdere ed esco dalla stanza. Un’uscita di emergenza completamene normale compare alla mia sinistra nel corridoio, e mi giro per aprirla.
«Ragazzi, la porta era proprio qui» annuncio felice.
«Ma quella porta non c’era prima! » dice Duff scioccato.
«In effetti non l’avevo notata…» concorda Scar.
Eravamo di nuovo ad Edmonton.
«Ma questa è proprio la via per andare a casa mia! »urla a sua volta Jack.
«Come è possibile un…» Gwen non finisce la frase che sentiamo un urlo fortissimo provenire alla nostra destra. Ci giriamo e scorgiamo una ragazza alta. Correva a perdifiato per il corridoio bianco brandendo un pugnale. A pochi metri di distanza riesco a capire cosa urlava:
«Uscite, uscite!» e si butta su di noi scaraventandoci a terra sulla fredda prateria.
Una chioma blu elettrico mi compare davanti. La ragazza si alza subito guardandosi intorno con attenzione.
«Volevano controllare anche voi, eh?» dice rivolgendosi a nessuno in particolare. Gli occhi erano neri come la pece e la pelle chiarissima, come non l’avevo mai vista prima.
Mi alzo, pulendo i vestiti dall’erba e la terra. Indossavo – lo notavo solo per la prima volta – un pantalone marrone e una camicia bianca.
«Controllare non è il termine adatto» preciso ancora confusa. Tutte le cose che erano successe erano sconnesse tra loro e sapevo che c’era qualcos’altro sotto.
«Credo sia il caso di presentarsi. Sono Ziva e siete le prime persone che vedo dopo una settimana di prigionia».
«Aspetta…perché ti hanno catturata?» chiede Ryan scettico.
«Perché vogliono trasformarmi» poi ci guarda e capisce che non abbiamo idea di cosa sta parlando. «Credo che vi serve una bella parlata»
«Casa Norris è sempre aperta» annuncia Jack con un sorriso tirato.

 

 
 


 





Angolo autrice
Eccomi di
uovo!
Saluto le mie ftupide amiche e spero che questo capitolo piaccia a loro (e pure a voi va')

baci ew

 

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Capitolo 11
*** Il sole non è scomparso ***


Il sole non è scomparso

 

 

|My heart is open – Maroon 5|
|Angel – Theory Of A DeadMan|
|I Will Always Love You (Glee Cast Version)|

 


 

*Meg*


 

«E così ti volevano trasformare?»
Per la terza volta Ziva annuisce. I suoi capelli blu elettrico dal taglio irregolare le ricadono perfetti sulle spalle. Ha i lineamenti orientali. Gli occhi a mandorla di un marrone così scuro da sembrare nero che risaltano sulla sua pelle olivastra. Tutti e otto eravamo seduti in cerchio nel salotto enorme della casa Norris. O meglio, villa. Era chiaro che la mamma di Jack fosse ricca sfondata visto che la casa ‘per le vacanze’ era quattro volte più grande della mia casa nel Bronx e ogni tanto usciva qualche cameriere a servirti drink.
Tutti ci siamo dati una bella pulita con una doccia calda, in modo che l’acqua calda portasse via tutta la confusione e lo sconvolgimento di quel pomeriggio. 
Ziva ha spiegato per filo e per segno perché si trovasse in quel labirinto bianco: l’avevano prelevata, come molti altri semidei per iniettarle una sostanza capace di trasformarli. All’inizio sembrava assurdo, niente a che vedere con la mitologia o con i semidei.

«E così, una volta che la sostanza è stata iniettata, comincia un cambiamento radicale nel semidio, fino a trasformarsi in un assassino privo di emozioni che ruba cuori.» spiega ancora Ziva, cercando di essere più chiara possibile.
«Interessante» mormora Gwen «Com’è la sostanza?»
Gli occhi neri di Ziva si socchiudono nel tentativo di ricordare.
«Gialla, sì. E’ gialla»
Gwen impallidisce di colpo e Abbie le posa una mano sul braccio per reggerla. La figlia di Atena  si gira verso Jack, guardandosi per diversi secondi. Poi si alza e corre fuori in giardino, dietro la siepe senza essere vista.

«Si, è uno brutto shock conoscere queste cose» annuisce Ziva
«Il nome della donna…lo conosci?» chiedo curiosa. Almeno potevo cominciare a preparare la sua lapide…
«No, il suo nome vero non lo so» dichiara Ziva con una nota di amarezza «Ma la chiamano Assana.»
«Assana?» ripete Scar «Sembra…un’anatra? »

Stanchi e assonnati, ci dividiamo e ognuno va’ in camera sua. O almeno, così sembra. Vedo Jack andare verso la sala da pranzo vicino al pianoforte, mentre Abbie sale le scale con le mani nelle tasche e la faccia imbronciata.

Io rimango sul divano, davanti all’acquario, apparentemente sola.  I mobili sono molto moderni e lussuosi, perfettamente lucidi e curati, abbelliti da statuine e portafoto vuoti.
Eppure non mi sentivo a casa.
 

«Non hai sonno?»
Ryan compare sulla soglia della porta e ci si appoggia distrattamente. I capelli cioccolato che tanto adoravo erano una massa confusa e mossa sulla testa, catturando la mia attenzione. Sorrido debolmente e mi alzo dal divano, andando verso di lui.

«Come si fa a dormire dopo…dopo aver visto i propri genitori morire?» dichiaro stanca. Abbassa lo sguardo e quando lo rialza gli occhi non tradiscono il dispiacere.
«Ti va di uscire un po’ fuori?» chiede. Annuisco e lo seguo oltre la porta.
In giardino camminiamo in silenzio, l’uno a fianco all’altra, passando per la piscina – assolutamente da invidiare – e il paesaggio del centro di Edmonton compare davanti a noi. 
«Anche io ho una persona importante» dice Ryan, sedendosi sull’amaca, dove si può vedere meglio il panorama. Le luci forti della città accostano il cielo scuro, nascondendo il fievole chiarore delle stelle.
«Tua madre?» chiedo. Scuote la testa e sospira.
«Ariel, mia sorella» poi fa un momento di pausa e riprende «Come…Come è morta? » chiedo timidamente, avendo paura che si alzasse e se ne andasse.
«Un incendio. Non abbiamo mai saputo chi fosse il colpevole. Quando è successo…io e mia madre non eravamo a casa. Lei era a lavoro e io… io ero uscito con i miei amici di nascosto» sospira bruscamente, chiudendo gli occhi. E la voce si spezza «Se solo fossi stato più attento. Io…»
«Sarebbe successo comunque, e saresti morto anche tu» dico, cercando di consolarlo. Mi si spezza il cuore vedendolo distrutto e privo di coraggio. Gli occhi sono lucidi, e capisco che queste dichiarazioni escono dalla sua bocca per la prima volta.
«Meg, io non sono la brava persona che credi»
«Certo che lo sei, tu…»
«No.» dice secco «Se tu sapessi tutte le cose che ho fatto, avresti paura di me»
«Dici così solo perché non hai salvato tua sorella. Ryan, tutti sbagliano. Tutti gli umani»
«Noi non siamo umani» ribatte con voce ancora più spezzata. Stava crollando, e io ero troppo debole per reggerlo.
Mi alzo, in modo da lasciargli più spazio sull’amaca e mi inginocchio davanti a lui, prendendogli la mano.
«Tutti commettiamo degli errori» sussurro dolcemente «Anche gli dei lo fanno» e porto la mano al suo cuore «Una volta, a scuola, la professoressa mi lesse una frase molto bella. “Anche quando il cielo è coperto, il sole non è scomparso. È ancora lì dall’altra parte delle nuvole.” Vedi Ryan, le persone che amiamo e che ci amano non ci lasceranno mai, saranno sempre qui» dico indicando il cuore.
Sorrido e lo guardo, sperando che i miei occhi siano viola. Siamo alla stessa altezza - nonostante io sia inginocchiata – e i visi ravvicinati.
«Sembra stupido detto così, ma… Voglio che ti ricordi cosa ti ha fatto andare avanti fino ad adesso. » Sentivo il suo calore e la pelle ruvida della mano al contatto con la mia.

«Cosa è giusto tra vendetta e amore? » chiede all’improvviso, sempre con gli occhi lucidi. Con la mano libera prendo il suo viso e gli bacio la fronte.
«Questo devi saperlo tu» rispondo, sorridendo dopo quel gesto improvviso. Maledetta dolcezza. «Ma non ti abituare troppo a queste coccole, eh» dico ridendo.
«Raccontami un po’ di te» dice curioso e all'improvviso felice. Mi alzo – consapevole di avere le ginocchia rosse – e lo tiro su.
«Se vuoi la storia di una ragazza che va a scuola, conosce un ragazzo, frequenta feste superfighe e veste alla moda, hai sbagliato persona» dichiaro ridendo «Ho una storia… insolita»
«Mh, va bene comunque dai. Non mi piacciono sempre le stesse storie»
«Bene, allora. C’è questa ragazza che viveva nel Bronx. » dico mordendomi il labbro «La ragazza si chiama Margaret Cartwright e… beh tutto quello che c’è prima non è importante. »
«Ma come, non racconti? » chiede Ryan deluso e divertito allo stesso tempo.
«La mia storia la sto scrivendo adesso.»

 




 

***Abbie***
 


La camera dove Abbie alloggiava era decisamente moderna: un’enorme vetrata si affacciava sulla città di Edmonton che – certo non era niente in confronto a New York – la faceva sentire un po’ a casa, con i suoi alti grattacieli e le luci. Era ancora sera e il cielo era sfumato di viola e arancione.
Si mise a canticchiare una canzone degli U2 finché non ci prese gusto e cantò ancora più forte.
Si assicurò che la porte fosse chiusa a chiave e mise anche un po’ di musica. Essendo al terzo piano, nessuno doveva sentirla.
Da quando aveva perso la mamma, la musica era l’unica che riuscisse a calmarla o a metterle il buon umore. Ogni singola nota entrava nel suo cuore, parlando di amore e tradimenti, e faceva vibrare la sua anima come uno strumento. Suonata dalla musica.
Cominciò a saltellare per la camera intonando ogni melodia della canzone ‘Back in Black’ degli AC\DC  e suonando una chitarra finta. Si immaginava trionfante ad un concerto, mentre scuoteva la testa, facendo volteggiare  i capelli e infiammando il corpo di un’energia pura.
Qualcuno bussò alla porta e Abbie si fermò di colpo, sistemandosi i capelli freneticamente e abbassando il volume. Con un’espressione rilassata e calma, aprì la porta.

Duff sorrideva timido sotto le lentiggini. Solo dopo un attimo di sconvolgimento Abbie notò che portava un mazzo di fiori.
«Ehi…Ehm, questi sono per te, eheh» disse porgendole i fiori. Abbie rimase lì, impalata e guardandolo negli occhi, con il labbro tremante.
«Oh, grazie» riuscì a dire. La voce tirata non tradiva l’imbarazzo. «Ehm…Beh credo sia tardi per farti entrare, insomma non che non ti voglia fare entrare ma…sai quel…non riusciamo a parlare perché…»
La figlia di Apollo stava andando nel panico e cominciò a balbettare a vanvera scuse assurde. Non voleva rimanere sola con Duff per l’imbarazzo creatosi col tempo: lei lo evitava sempre e lui la seguiva silenziosamente. Poi Duff buttò i fiori a terra, le prese il volto tra le mani e la baciò.

All’inizio Abbie rimase sconcertata dalla sua impetuosità e si irrigidì, neanche sfiorando il braccio del ragazzo. Vedendo che Duff continuava a baciarla molto più dolcemente della prima volta, si lasciò prendere per i fianchi e gli butto le braccia al collo. Sentì nella testolina una voce che urlava NON ORA ABBIE LASCIA STARE, A TE INTERESSA UN ALTRO.
Ma come se non parlasse continuò ad assaporare quelle labbra. Finché non venne tutto spezzato da una voce.
«Ti dai da fare, figlia di Apollo»
Scar aveva le braccia incrociate davanti al petto e le gambe tese, pronte a correre da un’altra parte. Ancora avvinghiati, Duff e Abbie imbarazzati si sciolsero e fecero per aprire la bocca, ma ne vennero fuori solo suoni muti.
«Potrei vomitare fra poco» disse Scar con disgusto. Abbie, sentendo quelle parole, avvampò e si posizionò davanti a Scar con aria feroce.
«QUALCUNO TI HA PER CASO CHIAMATO? » urlò irata al figlio di Ares.
Scar si indurì in volto e la osservò attentamente.
«ENTRI SEMPRE NEL MOMENTO SBAGLIATO, MI GIUDICHI, COME SE FOSSI UN ENORME PESO! » continuò urlando. A questo punto anche Scar perse la pazienza e divenne rosso di rabbia.
«ERO VENUTO A CHIEDERTI SCUSA!» esclamò ad alta voce il ragazzo, ignorando la presenza di Duff.
Abbie rimase senza parole lì, con i pugni chiusi e la bocca spalancata – per l’ennesima volta –.
Scar se ne andò, prima mandando uno sguardo truce a Duff e digrignando i denti  come un cane rabbioso. Per il figlio di Ares era appena cominciata una guerra. Una guerra d’amore.




 

 

***Gwen***
 


Gialla, sì. E’ gialla.
Quando Ziva aveva pronunciato quelle parole, il mondo le era caduto addosso. Involontariamente aveva girato il suo sguardo allarmato a Jack, e trovò i suoi occhi celesti. Gwen si perdeva in quegli occhi come se fosse il suo libro preferito.
Aveva paura che in quel momento gli occhi si sarebbero trasformati in pupille nere e spente, che avrebbe perso tutta la simpatia unica che le strappava sempre un sorriso, che la sua luce sarebbe sparita. Se ne sarebbe andato Jack.
Si rifugiò tra la siepe, noncurante dei rami che le scompigliavano i capelli e che le graffiavano la faccia. Chiuse gli occhi e immaginò come sarebbe stata la sua vita mortale, senza essere una semidea. Sognava di andare al college senza essere inseguita dai mostri, di poter leggere i libri e sentire la musica nella sua camera come tutte le adolescenti, pensare al futuro privo di complicazioni.
Ma lei era una semidea.
Non poteva cambiare la sua vita, ma poteva cambiare il modo di affrontarla.
Si rialzò, asciugando le poche lacrime che erano uscite ed entrò dentro casa, togliendosi le scarpe. Si diresse verso la scala, ma fu bloccata da un suono dolce, proveniente da una stanza laterale. Il suono di un pianoforte.
Nella stanza, Jack era al pianoforte e suonava una canzone lenta e rilassante. Non volendo interrompere il momento, Gwen si appoggiò alla porta e lo guardò attentamente. Le mani erano lunghe e sottili, proprio adatte a suonare il pianoforte. Alcune vene sporgevano sulla pelle abbronzata del collo tese. Le gambe erano distese e rilassate e gli occhi socchiusi, come liberando la mente tra le delicate note. Poi si bloccò all’improvviso, frantumando la calma e l’equilibro creatosi e rendendosi conto della presenza di Gwen.
La guardò negli occhi, sorpreso di trovarla lì.

«Gwen» disse piano «Stai bene?» Jack si alzò dallo sgabello e si avvicinò lentamente.
Gwen intanto cercava le parole giuste da dire per non sembrare inquietante.
«Oh, si, si, sto bene» rispose «Non riesco a prendere sonno, tutto qui»
«Nemmeno tu?» disse sorridendo. Oramai si trovava a qualche passo dalla ragazza «Nessuno di noi riesce a dormire, veramente »
«Non si dorme con semplicità dopo avvenimenti del genere» ribattè Gwen con una punta di disprezzo.
«Tu hai paura?» chiese Jack a bruciapelo.
Gwen rimase di sasso, con la bocca aperta, riflettendo su quanto sapesse il figlio di Apollo sulla maledizione. Se sapeva qualcosa, era in pericolo. Più lui che lei.

«Si» rispose a denti stretti «Ho paura»




 

Angolo dell'autrice yo!

Here I am gente. In questo capitolo sono stata più 'dolce' (se posso essere dolce). Ho messo molti Mayan, ma pochi Gwack e Scabbie (che poverini, ho fatto litigare, singh).
Anyway spero che restiate con me e continuiate a leggere

 

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Capitolo 12
*** L'amicizia è solo una copertura ***


L'amicizia è solo una copertura
Capitolo 12


 

|Hello – Lionel Richie|
|Miracles – Two Steps From Hell|
 |Always – Bon Jovi|

 

 

*Meg*
 


Cerco da due ore qualche informazione sui miei poteri, ma soprattutto sui miei veri genitori. Ora che ho perso la famiglia adottiva sono in cerca di una nuova casa. Un posto dove, quando tutto sarà finito – se finirà – potrò restare al sicuro, fuori dai guai.
Sono passati due giorni da quando ho incontrato Assana, e ancora mi ronzano in testa mille domande. Oramai affranta, decido di rivolgermi a l’unica persona che poteva aiutarmi veramente: Gwen.
 

Scendo in salotto e chiedo velocemente a qualche maggiordomo se ha visto di passaggio la mia amica Gwen. Di tutta risposta mi dice che la stanza è la terza a destra, primo piano. Cazzo, quella casa sembrava un albergo!
Corro a perdifiato sopra ma mentre salgo le scale ogni due gradini, sono fermata da una figura magrolina. 
Una domestica, con il suo grembiulino nero, abbassa il capo e si ferma.
«Non l’ho proprio vista, mi scusi…mi scusi tanto» comincio a dire.
Mi blocco subito, vedendo due occhi verdi e delle orecchie  a punta sbucare dalla cuffia. Un viso familiare mi si para davanti e sgrano gli occhi. E’ una ragazzina. Ovvero, la ragazzina che incontrai nella casa di Ermes la seconda mattina al Campo Mezzo-sangue. Come è possibile che appaia lì?
«Che cosa ci fai tu qui?» sbotto sconcertata.
«Qualcuno…qualcuno vi tradisce» bisbiglia all’improvviso, fissandomi con gli occhi verde smeraldo. Ricordo che la prima volta che la vidi la paragonai alla regina dei folletti, per la sua delicata bellezza e le orecchie a punta. 
«E tu che ne sai?»
«L’apparenza inganna. L’amicizia è solo una copertura. » Poi si precipita giù per le scale, lasciandomi sola e immobile.
L’amicizia è solo una copertura.
L’ha mandata Chirone? O l’ha mandata qualcun altro per confonderci? Dovrei crederle sulla parola?

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«Aspetta, vuoi che ti aiuti in cosa?»
Gwen è scioccata dalla mia proposta e altrettanto Abbie, che mi guarda con la bocca spalancata. Non ho pensato che anche Abbie potesse trovarsi lì, ma ciò non impedisce di mettere in atto i miei pazzi piani.
«E’ importante, ragazze. Insomma, io devo scoprire qualcosa sui miei genitori» dico con voce supplichevole.
«NON INVOCANDO I MORTI, MEG
«Loro sono gli unici che hanno visto con i propri occhi. E poi, potrei farlo. Che danno può mai portare?»
«Meg, noi non siamo figlie di Ade.» borbotta Abbie, cercando invano di farmi ragionare.
«Potrebbero ribellarsi, o mandare maledizioni…» dice l’altra, bloccandosi come se si stesse strozzando con la saliva.
«Ma io sono figlia di Ecate, ciccia» ribatto con sicurezza. «Porto le anime negli Inferi»
Gwen, a malincuore, sbuffa e prende un libro dal mio zaino. La copertina grigia mostrava la scritta sbiadita ‘Chtonia’.
«E’ uno dei tanti appellativi di Ecate» conferma Gwen osservando il libro. «Per tutti i bicipiti di Apollo…»
«Ehi! » esclama Abbie.
«Questo libro è vecchissimo. Racchiude tutti i segreti della magia. Oh cosa farei per averne uno, studiarlo da cima a fondo» afferma la figlia di Atena.
«Si trovava già nella casa al Campo» ammetto cauta. Un lampo squarcia il cielo, seguito da un acuto fragore.
«Per tutti i…» Gwen non finisce la frase che viene bloccata dalla mano di Abbie.
«Ti prego, è imbarazzante. Non dirlo»
«Non è colpa mia se Apollo è un gran pezzo di figo» dichiara Gwen ridendo a crepapelle. Le risate vengono bloccate da un altro lampo.
Nella camera della mia amica – come tutte le altre – le vetrate mostrano la città di Edmonton, vasta e possente. La casa di Jack si trovava lontano dal centro, perciò si scorgono i grattacieli che nella nebbia si colorano di grigio e una leggera sfumatura di blu cobalto. Le macchine tracciano una strada luminosa tra la nebbia e alcuni bagliori illuminano il cielo.
«Beh, qualcuno ha fatto arrabbiare Zeus» dico guardando verso la vetrata «E anche tanto»
Gwen mi sembra scossa da brividi al frastuono dei tuoni, ma non gli do importanza e mi siedo a terra, incrociando le gambe.
«Allora…Cominciamo» sospira Abbie.
«Ehi, se non ve la sentite non siete costrette» dichiaro, rendendomi conto per la prima volta che forse temono non solo per me, ma anche per loro. Un senso di colpa improvvisamente mi pervade e mi accorgo di essere stata troppo egoista.
«E lasciarti fare da sola queste cose? Sei pazza?» sorride debolmente Abbie «Ce la faremo, vedrai». Come sempre Abbie è positiva e sa tirarti su di morale.
In questo momento ne avevo proprio bisogno.

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Ho già pensato alla persona a cui avrei chiesto alcune cose. Cose riguardanti la mia vita. La mia vita e tutto ciò che accadde prima della mia nascita in modo da fare chiarezza.
«Tocca a te» mi fa cenno Gwen di applicare la magia. Abbiamo seguito il modo del libro magico per chiamare gli spiriti, così nel caso vada qualcosa storto, io possa rimediare con un’altra magia.
Pronuncio ad alta voce le parole greche del sortilegio e una fiamma rosa prende forma davanti a me. Ora devo pensare allo spirito in questione e chiamarlo ad alta voce.
«Dalia Green, in nome della magia vieni a me.» dico sicura e scrutando la fiamma in attesa che qualcosa succedesse. Le tre candele posizionate vicine sotto la fiamma rosa tremolano e poi si fermano. Insicura aggiungo:
«Ti prego»
La fiamma rosa trema ancora una volta e poi si trasforma in una forma umana, alta all’incirca un metro e sessanta. La principessa del mio sogno, Dalia Green, appare come una nube bianca. Guardando bene si notano i suoi riccioli neri, che li vidi per la prima volta sporchi e appiccicati dal sangue.
«Meg» sussurra piano Dalia. Incuriosita mi avvicino un po’ di più, come se riesca a toccarla.
«Come fai a conoscere il mio nome? »
«Tu conosci il mio» afferma con un sorriso. Con lo sguardo noto Abbie trattenere il respiro e Gwen con la bocca spalancata. Mi ricordo al momento che anche lei la aveva sognata, e rivolta alla figlia di Atena dico:
«Gwen, lei è la principessa che ci è parsa in sogno»
Gwen chiude la bocca e annuisce, e noto un luccichio nei suoi occhi. Se per ammirazione o curiosità, non lo so.
«Mi fa piacere che ricordiate del sogno» annuisce Dalia con un sorriso malizioso.
«Ovvio, è cominciato tutto da lì» dico con una punta di nostalgia. Il campo… si, mi manca. «Ma… Ecco, vorrei farti un po’ di domande»
La principessa annuisce di nuovo.
«Chi è il mio vero padre?»
Inaspettatamente, Dalia scoppia in una fragorosa risata. Confusa, alzo un sopracciglio con aria interrogativa. Era tanto divertente?
«Sul serio non l’hai ancora capito?»
«No.» sbotto infastidita
Quando si finisce di ridere e torna in sé, mi osserva bene. Quando finalmente capisce che dicevo la verità, si fa seria.
«Credo che tu debba conoscere un’altra storia» dichiara con un sorriso malizioso.
«Ma io vol…»
«SHHHH» mi zittiscono Gwen e Abbie.
«Mettevi comode e ascoltate. »
Guardo sottecchi le mie amiche, che hanno sguardi imbambolati. Sono sotto incantesimo, penso.
«Molto tempo fa, Il Regno del Nord era regnato da sovrani maturi e onorevoli. C’era prosperità di ogni tipo di frutta e verdura, il commercio con gli altri governi era esemplare e persisteva un equilibrio tra umani e semidei.»
«Umani e semidei? Come è possibile? » strepito confusa.
«Il Regno del Nord era la patria dei discendenti di Ecate. Sin da tempi antichissimi custodiamo la magia. Noi ne siamo i padroni. »
Sono sconcertata. Discendenti di Ecate?
«Non siamo tutti Figli di Ecate» aggiunge subito Dalia «Alcuni sono più lontani di altri, e su questo si basa la nostra piramide sociale. I più vicini alla dea sono i sovrani, nonché figli di semidei o semidei stessi. »
La mia testa cominciava già a elaborare e collegare tutto.
«Un tempo, come detto, i sovrani erano buoni e gentili. C’era un re – il nome è secondario – che si invaghì di una maga. La maga usava la magia per gesti anche scorretti e malvagi. Molti, tra cui lo stesso re, dichiaravano che la maga fosse stata avvelenata sin da piccola. »
«Avvelenata?»
«Un veleno capace di cambiare il tuo carattere, di farti perdere il totale controllo. Ma al re non importava, la voleva al suo fianco come regina, nonostante molti lo contraddicevano. Cosa causò l’amore a quel re…» dice Dalia all’improvviso persa nei suoi pensieri. «Presto nacque anche una bambina. Era bellissima, nessuno lo negava ma…chiunque – e dico chiunque – la vedesse non poteva fare a meno di cominciare a tremare come una foglia. Terrificante. »
«La bambina…cosa aveva? » chiede Gwen trattenendo il fiato e sbarrando gli occhi.
«Anche la bambina, si scoprì, aveva il veleno della madre. A quanto pare, era capace di trasmettersi in più persone. Qualcosa di inspiegabile! Ma d’altronde parliamo di magia…» Dalia fa una pausa e poi riprende a narrare.
«All’età di 3 anni, la bambina sparì e poco dopo anche la regina. Caos, panico e curiosità si scatenò nel Regno del Nord e molti temettero che fosse un orrendo presagio. Sai, il futuro a volte il futuro può errare. Passarono 100 anni. Dopo tutto quel tempo la principessa aveva creato un terribile esercito, che si moltiplicava ogni giorno di più, formando una vera  e propria nuova discendenza. Una discendenza con sangue avvelenato. La guerra da quel momento fu inevitabile. »
Quando alza gli occhi verso di me e termina il racconto la mia testa comincia a fare milioni di domande.
«Ma questo…cosa c’entra? »
Dalia sospira e dice: «Ricordi il sogno? »
Annuisco con convinzione. Un lampo squarcia il cielo e fa sobbalzare Gwen.
«Il principe Philip è un discendente…»
«Avvelenato» sospira Gwen. Potevo vedere gli ingranaggi della sua mente attivarsi.
«Mio padre voleva che io trovassi un accordo con l’altra stirpe e pensò male a far incrociare i nostri destini.» dice con una nota maliziosa «Finì che mi uccise»
«Oddei» sospira stavolta Abbie.
L’unica domanda che io avevo in mente era: «Si ma cosa c’entro?»
«Meg» chiama la principessa «Prima o poi scoprirai il tuo ruolo in questa storia» dice dolcemente. Sento delle note materne e chiudo gli occhi cullandomi sul pensiero di mia madre.
«Aspetta. Un’altra cosa» questa volta è Gwen ad affrettarsi nelle domande «Che n’è stato degli altri figli di Ecate al campo? E dei semidei scomparsi? C’entra la sostanza gialla?»
«Purtroppo si, figlia di Atena» dichiara Dalia «Sono tutti sotto uno stretto controllo. Forse non sanno nemmeno chi sono». La principessa fa per sparire, ma si blocca all’istante.
«Un’altra cosa, ragazze» aggiunge «Attente alle persone che vi circondano. Qualcuno potrebbe tradirvi»
 

 

 

*************

 

Abbie, dopo aver fatto una doccia calda e essersi messa il pigiama, si sistemò sul letto con gambe incrociate e pensò.
Pensò alla tristezza nella voce di Dalia, mentre raccontava la storia. Pensò agli occhi intelligenti di Gwen – che sicuramente aveva collegato i fatti – e si ritrovò a pensare a sua madre.
Erano le undici e un quarto di notte. Continuava a piovere nonostante il temporale fosse passato. La sua mano istintivamente cadde sul suo bracciale.
Ricorda che a sette anni incontrò suo padre al parco, come un normale signore che dava il mangime ai piccioni. La madre sedeva su un telo più in la e non li notò. Abbie voleva scappare perché la mamma le diceva sempre ‘non parlare con gli sconosciuti’, ma quell’uomo aveva qualcosa che l’attirava. Le regalò un bracciale d’oro, e le disse che per due volte, solo per questione di vita o di morte, poteva curare una persona da qualsiasi malattia.
Ma non poteva riportarle in vita.

Così a dodici anni la mamma la portò al Campo Mezzo-sangue e lì passò l’estate. Capì che, cinque anni fa, l’uomo che le parlò era Apollo, suo padre divino. E che il bracciale poteva veramente curare le persone.
Passò la prima estate più bella della sua vita finché non tornò a casa. Quell’inverno scoprì che la mamma era malata di tumore.
Al ricordo le venne un tuffo al cuore e trattenne le lacrime.
Come in un flash back si ritrovò in varie scene prima della sua morte.
Ricordò l’istante interminabile in cui sua madre parlava con voce fievole, ma forte. Lei lavorava in ospedale come infermiera, e faceva volontariato ogni pomeriggio ai bambini malati.
Solo dopo qualche settimana Abbie scoprì che la malattia era viva già da tempo, ma la mamma le aveva nascosto tutto per non farla preoccupare. Le disse che faceva volontariato perché il sorriso era l’unica cosa che la manteneva viva. Le disse che le voleva bene. Che non era poi così male. Aveva conosciuto un uomo bellissimo, lei era nata e poi accadde. La vita era stata buona con lei perché c’erano persone più sfortunate.
Le disse che doveva essere riconoscente alla vita e che bisognava sempre sorridere.
«Posso curarti, mamma» piangeva Abbie oramai tredicenne «Io posso farlo. Ho il bracciale»
Così usò il bracciale pensando di salvarla, ma non fece altro che prolungare di un altro duro e tenebroso anno la sua vita. La ragazza le faceva visita ogni giorno e per un anno dovette stare attenta non solo alla madre ma anche ai mostri. Il Campo era l’unico luogo sicuro per quelli come lei.
Quando la madre morì, il senso di vuoto la pervase per giorni, scomparendo man mano e sostituito dalla nostalgia.
Avrebbe sempre onorato il ricordo di sua madre, si promise.
E mai, si disse, avrebbe tradito un suo amico. Non più.

 





 
Angolo di Callitmagic (autrice)

Sono di nuovo qui con un nuovo CAPITOLO!
Volevo pubblicarlo almeno prima della scuola *si deprime* visto che poi sarò più impegnata e li pubblicherò più lentamente. 

Pronte per la scuola? AHAHHAHAHHAHAHAHHAHAHHAHAHAHHAHAHA IO NO.

La mia mente ha bisogno ancora di riposo, facciamo per sempre va'...
Anyway saluto le mie amiche e vi do' uno spoiler.
IL TRADITORE\LA TRADITRICE E' UNO DEGLI  EROI (quindi Ziva e company non c'entrano) E potrebbe essere Abbie, Gwen, Scar, Ryan, Duff e Jack.
E di Meg che dite? *faccia furba*

OKAY? OKAY ho scritto troppo e mi preparo. FRA POCO MI ASPETTA COLPA DELLE STELLE E IO GIA' PIANGO *SIGH*


ADIOS BELLA GENTE!


 

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Capitolo 13
*** Short - Vecchi Nevrotici ***


Vecchi Nevrotici




 
Ecco cari lettori, vi scrivo perchè domani comincia la scuola e volevo proprio pubblicare un storia per calmarmi. E' più corta, visto che non ho avuto il tempo di scriverla più lunga, ma spero vi piaccia lo stesso :)

 
|Coming Back For You - Maroon 5|
|How to be a Heartbreaker - Marina and the Diamonds|
|Cough Syrup – Young The Giant| 
 
<

Visto che alcune mie amiche sono curiose di conoscere il passato di Scar, adesso vi darò uno spunto.
Promettetemi di non ammazzami, plz :))

 



**Scar**

 

Avrebbe rotto volentieri quello specchio. Ma non voleva danneggiare la casa dell’amico che gentilmente li aveva ospitati. E poi c’era quel maggiordomo che lo guardava sempre male, neanche gli avesse ucciso il figlio. Che aveva da guardare quel vecchietto nevrotico? Ci scommetteva milioni di soldi che era il solito.
La cicatrice.
Quella stupida cicatrice che andava verticalmente dall’angolo della bocca fino alla punta del mento, rovinandogli le sottili labbra.
Passo lentamente l’indice su die essa, seguendone la linea. Era più doloroso il ricordo della cicatrice che la cicatrice stessa. Il ricordo di quella mattina, il 14 ottobre, il suo compleanno.
Louise era l’unica ragazza che riuscisse a sopportarlo al campo e riuscisse a cogliere il suo lato buono. La sua arroganza, l’odio, la freddezza verso tutti era dovuto alla mancanza d’affetto, Scar lo apprendeva più di tutti. Ma non l’avrebbe ammesso ad alta voce nemmeno per tutto il nettare del mondo.

Sua madre non era stata per undici anni che un’ubriacona. Un’irresponsabile donna trovatasi troppo presto madre e caduta in depressione. Prima della sua nascita, la madre frequentava il collegio, e non aveva che ventiquattro anni. Appassionata di storia antica, soprattutto riguardo guerre e indipendenze, lavorava anche in un bar la sera per guadagnarsi da vivere.
Ma la vita colpisce all’improvviso, e la fece invaghire di un dio che certo non poteva essere la sua anima gemella finché ‘morte non li separi’, visto che era immortale.
E la gravidanza fu il completo disastro: un giovane donna, con un bimbo e nessuno al fianco. Dopo due anni di duro lavoro, tra il piccolo Scar e il bar, il college e la casa, cadde in depressione, non uscendone più.

Scar aveva dei piccoli flash quando, da piccolo, la mamma lo picchiava senza motivo, ubriaca e puzzolente, incolpandolo di essere ‘l’errore fatale’.
Ma aveva solo sei anni…cosa poteva fare se non stare lì zitto e starle vicino?
Perché si, nonostante tutto Scar le era rimasto vicino, rimboccandole le coperte e portandole anche il bicchiere d’acqua per il mal di testa post sbronza; puliva spesso la casa e comprava il pane. Poi quando aveva dieci anni la madre cominciò a non tornare più a casa per intere settimane, restando nelle discoteche o Zeus solo sa’ cosa… per tornare a casa, picchiarlo e insultarlo.
Il ciclo si ripeteva sempre.

E poi una sera, ricordò vagamente, i poliziotti gli dicevano che l’avevano trovata morta.
Si era suicidata.
E non rammentò più niente.
 

---------------------------------------------------------------------------------------

Stanco si allontanò dallo specchio e si vestì frettolosamente, prendendo la prima maglia che trovava. Doveva uscire e distrarsi, o avrebbe rischiato un attacco d’ansia nel ricordo di troppe cose. Proprio mentre stava per aprire la porta comparve una chioma folta davanti ai suoi occhi.
«Abbie?»
«Dimmi che non ci sono maggiordomi impazziti anche qui.»



 

**Abbie**
 

E poi quel vecchietto entrò in camera sua dicendole che doveva sistemarle il letto.
«Certo, faccia pure» accordò Abbie con un gentile cenno del capo.
Nemmeno il tempo di girarsi e si trovò una pistola puntata sul petto, molto pericolosa.
«Oddei» sospirò senza guardarlo negli occhi Abbie «Jack non ne sa niente, vero?»
«Non penso avrete l’occasione di chiederlo personalmente, signorina Brown»
Ormai nel panico, fece la cosa più ovvia e stupida che potesse: diede un calcio nei poveri gioielli del vecchio e un pugno sulla schiena mentre era piegato. Prima che potesse disarmarlo, egli sparò un colpo alla gamba di Abbie, facendola urlare. La porta era chiusa e la ragazza si trovava all’ultimo piano, quindi allontanò l’idea che qualcuno potesse sentirla.

Uscì dalla stanza correndo più che poteva anche se la gamba le faceva un male cane. Cadde più volte a terra e il dolore si moltiplicò: eppure la pallottola le aveva solo sfiorato la superficie della coscia.
Si impose di essere forte e coraggiosa e si rialzò, pensando di nascondersi e aspettare che qualcuno arrivasse ad aiutarla.
E mentre stava per buttarsi in una stanza a caso e chiudersi a chiave, pensò ai suoi amici là fuori in pericolo. Un brivido le percorse la schiena. Come poteva essere così egoista? Riaprì la porta e cercò con il fiato corto qualcuno che potesse aiutarla, ma sembravano tutti spariti. E se fossero già tutti...
Scosse la testa e camminò per il corridoio del secondo piano. La porta di una camera si aprì.
Il terrore l’assalì, pensando che fosse il vecchio pazzo. E invece, come un magnifico angelo salvatore, apparve Scar.
Con una maglia ‘TROPPO SEXY PER TE’. Abbie pensò proprio che non era adatta al momento.
Si precipitò con foga nella stanza, suscitando sguardi perplessi da parte del ragazzo. Chiuse la porta a chiave e ci si parò davanti, facendo da scudo. Scar, di fronte a lei, era scioccato.
«Se volevi fare cose sporche…»
«Scar vogliono ucciderci e tu pensi a questo! Santo Apollo…»
«Se mi spieghi cosa succede»
«Il maggiordomo…quello…quello vecchio…ha tentato…mi ha puntato la pistola e io…» boccheggiava e aveva la faccia paonazza dallo spavento, tanto da non comporre una frase di senso compiuto. Scar, ancora più allarmato, le si avvicina, appoggiandole le mani sulle spalle.
«Abbie, calmati» disse piano «E siediti sul letto, raccontando tutto»
«Ma lui arriverà se non chiudiamo. E ci sparerà!»
«POTRESTI DIRMI DI CHI STIAMO PARLANDO
«DEL MAGGIORDOMO!» urlò portandosi una mano alla bocca. Adesso era inevitabile sapere dove si trovasse anche per un vecchietto sordo.
E infatti, come previsto, nel silenzio agghiacciante si sentì un cigolio. Il cuore di Abbie sembrava il motore scaldato di una moto. Ancora vicino alla porta, i ragazzi si guardarono: Abbie era rossa e paonazza, mentre Scar calmo, come se stesse giocando a nascondino.
Sentiva il fiato di Scar sul suo collo.
Un altro cigolio.
La sua mano destra si scosta dalla spalla di Abbie verso la spada.
Un silenzio terrificante. 
Con l’altra mano Scar accarezza la guancia di Abbie per indicarle di stare calma, mentre guardava un punto vuoto sopra la testa della ragazza. Abbie si rese conto che il gesto di Scar era spontaneo, e forse lui non se ne rendeva nemmeno conto.
Un altro cigolio e Scar spalancò gli occhi, finalmente capendo le intenzioni del nemico. Con un urlo si buttò a terra insieme ad  Abbie, giusto in tempo per evitare il colpo che fece agitare il pavimento e volteggiare la porta.
La porta iniziò a fluttuare nell’aria e andò dritta verso di loro.
Poteva essere solo magia, pensò Abbie. E infatti era il maggiordomo, che gli si parò davanti poco dopo, a controllare la porta. Differentemente dalle aspettative, disintegrò la porta sotto il loro naso e avanzò.
Scar fece per alzarsi ma si bloccò improvvisamente.
«Ora venite con me» ghignò il maggiordomo «La padrona vi preferisce vivi»

 

 







Angolo di Callitmagic (autrice)
Mio fratello dice che faccio troppe storie in questa ff.
MA SE NON METTO QUESTE TRAGEDIE A COSA SERVIREBBE?
OKAY? OKAY magariii Scar l'ho distrutto però mi sentivo cattiva e depressa oggi.
DOMANI. SI TORNA. A SCUOLA.


mi chiedo cosa ho fatto di male per tutto questo...bah! e voi che mi dite?

MAGARI PER METETRMI IL BUON UMORE MI FARESTE UN PIACERE A RECENSIRE AW <3 (cavolo con la maiuscola sembro che urlo lol)

se volete passate sul mio profilo twittah ossia: @shielvd
grazie mille in anticipo gente awaw

     


 

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Capitolo 14
*** Perchè Provare ***


Perchè Provare

Capitolo 14 – La figlia di Ecate







|When the Beat Drops Out - Marlon Roudette|
| Why Try – Ariana Grande |

 

 



∑∑∑∑
 

 

Nello schermo di vetro si stava scatenando una terribile tempesta che portava con se alberi e foglie.
La comunicazione era interrotta costantemente e la donna seduta davanti lo schermo cominciava a innervosirsi.
«Maledetta linea…» imprecò a bassa voce. Ecco cosa capitava a fidarsi si ingegni mortali, pensò.
Un ibrido – così chiamava chiunque venisse infetto dalla sostanza gialla – entrò in quel momento nella stanza, portando con sé un corpo svenuto.
«Signora, lo abbiamo preso» riferì gelidamente l’ibrido.
«Chi? Il feziale*
Quando l’ibrido lasciò l’uomo, la donna capì che si trattava nonché di un giovane. Aveva all’incirca ventidue anni, e si sconvolse nel vedere una muscolatura possente rispetto agli altri feziali.
Di solito erano molto grassi, tanto da sembrare palle di lardo, a causa di tutti i banchetti post cerimonia a cui erano costretti a partecipare.
«Portatelo in una cella. Ma prima pulitelo.» si trovò ad aggiungere stranamente. «Voglio parlarci appena si sarà svegliato»
L’ibridò annuì e portò con se il corpo per le spalle, questa volta più delicatamente.
«Sarà difficile convincerlo»

 

*feziale: avevano il potere di dichiarare la guerra e di concludere trattati di pace, secondo un rituale di tipo magico.

 

 

∑∑∑∑

 


Gwen correva senza meta. Intorno a lei c’era solo un deserto bianco, infinito e senza sosta. E lei correva a perdifiato, senza sapere dove guardare o cosa fare.
«Mio padre dice che devo correre più veloce» disse una voce improvvisamente. «Mi ha detto i correre al contrario»
«Ma non ha senso» rispose Gwen fermandosi.
«Perché correre in quella direzione ha senso?» ribatté la voce. Era la voce di una ragazza, e poco dopo le apparve davanti. Gli occhi verdi smeraldo risaltavano nel deserto bianco, rendendoli accecanti. Gwen socchiuse gli occhi infastidita.
«Ma cosa cambia se corro indietro?» richiese Gwen ancora più confusa, ma consapevole di essere in un sogno.
«Tu scegli di stare ferma o correre senza meta?»
La figlia di Atena rimase zitta, meditando sulla domanda.
«E’ la mia prima paura, vero?»
«Non direi proprio la prima, Gwen» rispose la ragazzina. Le orecchie a punta si stavano ingrandendo, trasformandosi in corna.
I piedi si ingrandirono ancora di più e il busto si allungò all’indietro, trasformando la ragazzina in un toro.
Il deserto divenne rosso, come il sangue, e il toro cominciò a guardarsi intorno spazientito.
«Oh merda…» imprecò a bassa voce Gwen. E appena questo prese la carica, chiuse gli occhi e respirò profondamente, candendo nel vuoto.


 

 

*Meg*


«Io l’avevo detto che era una pessima idea andare al centro commerciale» dico spazientita a Jack. Aveva insistito quel giorno perché andassimo a fare spesa di cibo-spazzatura, poiché si era scocciato delle mie zuppe in scatola. Ci avevano accompagnati, con pca gioia, Gwen e Ryan.
«Se lo avessi previsto non ci saremmo andati» risponde nervoso il biondino mentre perlustrava la camera di Scar.
«Okay, manteniamo la calma» si affretta a dire Ryan.
Appena entrati nella stanza trovammo la porta totalmente ridotta in pezzi e riconobbi la traccia di magia presente su di essa.
«Cazzo» impreco «Come facciamo a trovarli?»
«Chiediamo aiuto» annuisce Gwen mentre guarda i residui della porta. «E so già a chi»
«Potresti illuminarci?» chiedo ansiosa
Inaspettatamente, Gwen alza la testa e mi guarda con sorriso complice.
«Hai mai aperto un portale?»

 

 

∑∑∑∑

 

 

Ancora un’altra, orrenda, spaventosa volta Abbie si risveglia nella cella bianca del ‘labirinto tecnologico’ che avevano visitato qualche giorno fa. Però le catene non c’erano.
Un candido vestitino bianco le ricopriva le curve dalle spalle fino alla coscia: era decisamente corto rispetto al suo standard.
Cominciò a tastarsi confusa e a guardarsi intorno: aveva la faccia graffiata e sussultò leggermente quando ne toccò una vicino la fronte.
Nella cella bianca accecante in cui si trovava erano collocati due letti.
«Scar?» interpellò piano, vendendo una figura immobile distesa sul letto. Si alzò tremante e si avvicinò a letto, attenta ad ogni passo e calcolando la respirazione. Quando tolse il lenzuolo emise un sospiro di sollievo vedendo la chioma scura di Scar e la sua pelle chiara.
Affondava la testa nel cuscino e le braccia erano alzate.
Abbie lo chiamò un’altra volta, scrollandolo.
«Scar…» cominciò a scuoterlo ma non si svegliava. «Scar…Scar…» esasperata e quasi vicino alle lacrime lo buttò giù dal letto. Il figlio di Ares inizialmente non si mosse, e Abbie stava per urlare dallo spavento. E se fosse…?
Magari era solamente svenuto, no?
Lo guardò ancora, pregando Apollo che si muovesse e poi si chinò, prendendogli il polso.
Prima che potesse fare qualsiasi esame di vita o di morte, la risata roca che ogni volta le provocava un brivido alla schiena la fece sobbalzare.
Abbie si alzò irritata e Scar si girò con un sorriso che –se non fosse stato per la situazione – sarebbe stato la fine del mondo, insieme alla cicatrice. La solita cicatrice.
«Tu…Sei…UNO STRONZO MORTO!» urlò con tutto il fiato che aveva in gola, noncurante di chi potesse sentirli. Tanto per cambiare, li volevano morti ed erano intrappolati.
«Sei così suscettibile» disse alzandosi Scar. «Lo faccio per sdrammatizzare»
Abbie rimase lì a fissarlo prendendo grandi boccate d’aria.
«Cosa ci facciamo qui? Che cosa ci vogliono fare?» chiese improvvisamente la figlia di Apollo.
«La mia domanda, invece, è… perché hai un vestitino così corto
«E tu perché sei senza maglia?» chiese infastidita Abbie.
«Evidentemente hanno visto il mio magnifico fisico» ammise con un ghigno. Per poco Abbie non gli tirava uno schiaffo.
«Oh nono, Scar» disse una voce alle sue spalle. «E’ da un po’ di tempo che non mi piacciono più i maschi»
Ziva era comparsa nella cella bianca. Certamente per la porta nel muro, pensò Abbie.
«Ziva, santo cielo» sospirò «Sei venuta a salvarci!» esclamò la figlia di Apollo.
«Io vi ho già salvato» ammise. I capelli blu avevano un contrasto straordinario sul bianco. «Ho evitato che vi uccidessero»
«In che senso?» chiese Scar, ancora offeso.
«Il 79% delle persone qui presenti vi vuole morti, ma grazie a me…» rispose avvicinandosi lentamente con passo felpato. «Avete ancora una possibilità»
«Ziva perché non scappiamo?» chiese Abbie con voce tremante. Cominciava ad essere inquieta.
«E’ quello che fate sempre…» sospirò l’altra «Affrontate la realtà»
«E quale sarebbe? » urlò Scar «Che ci hai presi in giro? »
Ziva scoppiò in una risata fragorosa e si avvicinò ancora di due…tre…quattro passi. La cella si fece improvvisamente piccola, pensò Abbie.
«Non sono l’unica che vi tradisce» disse fingendosi dispiaciuta «Vero, Scar?»



 

∑∑∑∑





Meg era nella sua camera da letto e si torturava le mani. Dopo la doccia calda aveva indossato solo una canotta e un pantaloncino con gli elefanti, promettendo di non uscire dalla stanza.
Come era potuto succedere? Eppure Scar ed Abbie erano rimasti a casa, consapevoli che fossero soli. Soli e…

In quel momento Meg si fermò, pensando a l’unica persona scomparsa, ma di cui nessuno si era accorto: Duff.
Si alzò dal letto frettolosamente, spegnendo la tv che trasmetteva Agents Of S.H.I.E.L.D, la terzultima puntata. Diamine, nemmeno un telefilm in pace!
Meg si alzò e andò verso la porta. Appoggiò la mano alla maniglia, ma si bloccò all’improvviso. Se anche avesse chiesto aiuto a qualcuno, come l’avrebbero potuta aiutare?
Si sedette di nuovo sul letto a gambe incrociate e guardò oltre la vetrata. Voleva fare qualcosa da sola, ma non sapeva proprio come…
Il senso di impotenza che tanto le dava fastidio la invase.

Odiava sentirsi inutile e confusa, senza sapere quale fosse la cosa giusta da fare.
Per un breve istante pensò ai genitori adottivi: per la prima volta non le venne da vomitare. Si distese sulla schiena e socchiuse gli occhi per poi riaprirli subito. L’immagine dei loro corpi le apparve, ed allora represse le lacrime.
Sapeva bene che era stupido piangere per una cosa simile, ma Meg pensava che anche la persona più cattiva dovesse avere una fine migliore.
Anche la persona che li tradiva.

 

 

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Pensare al materiale per il portale: FATTO.
Mangiare: FATTO.
Leggere almeno sei capitoli del libro sulla storia della magia: FATTO.
Nella lista mentale di Gwen delle cose da fare prima di aprire un portale che forse li avrebbe spediti in una dimensione parallela, mancava solo una cosa molto semplice.
DORMIRE.

Non lo dava a vedere, ma dormiva per poco tempo solo per fare incubi. Finì di mangiare il gelato –cioccolato extra fondente- che aveva fra le gambe e guardò il telegiornale.  Ma appena la giornalista cominciò a parlare della guerra e altre cose molto brutte, spense il televisore.
Chissà se suo padre si stava preoccupando; se aveva chiesto sue informazioni al campo e Chirone non sapeva cosa dire.
Si sentiva in colpa per aver lasciato il campo così furtivamente, ma era l’unico modo per partire  immediatamente.
Doveva ancora trovare una soluzione per la maledizione e…
Si morse il labbro inferiore, imboccò un cucchiaio enorme di gelato per zittire i suoi pensieri e chiuse gli occhi assaporando il sapore intenso del cioccolato. Puro cioccolato.
Stava per imboccare un altro super-cucchiaio-cioccolattoso se non fosse stato per il rumore di qualcuno che bussava. Chi mai poteva bussare di notte?
Si alzò goffamente, abbassandosi i pantaloncini e portandosi appresso il contenitore del gelato.
Era pronta agli occhi chiari di Jack, o al sorriso di Meg. Persino al rosso fuoco di Duff. Ma non si sarebbe mai immaginata lì, davanti alla sua porta, il ciuffo castano di Ryan.
Lui le rivolse un sorriso tirato, mostrando timidamente le fossette. La maglietta marrone aderente che indossava mettevano in risalto i muscoli, evidente risultato di ore di esercitazione e appassionate lotte al campo. Senza accorgersene, Gwen fissava i bicipiti e si ritrasse con una scrollata del capo appena lui la richiamò.
«Oh. Si. Entra» si ritrovò a dire.
Ryan fece un passo avanti lentamente, e poi superò Gwen oltre la porta.
Quando la figlia di Atena chiuse la porta, lui si guardava intorno con aria tranquilla. Per rompere il silenzio Gwen parlò, ma all’unisono con Ryan.
«Ti serve qualcosa?»
«Mangi il gelato?»
Si guardarono imbarazzati, ma subito Ryan si sedette sul letto e parlò. Gwen era ancora alzata.
«Volevo solo vedere come stavi» ammise Ryan, ma si vedeva che era distante. La figlia di Atena capì subito che non era quella la ragione: voleva solo parlare.
«Di cosa vuoi parlare?» gli chiese. Li inizialmente sembrò sconvolto, ma poi si rilassò, sorridendole leggermente.
«Non lo so» rispose scuotendo la testa.
Gwen gli andò accanto, sedendosi sul letto e gli appoggiò una mano sulla spalla per rassicurarlo.
«E’ una strana sensazione di vuoto» continuò Ryan «Come se…se non sapessi cosa voglio» cacciò un sospiro «Che cosa stiamo cercando, te lo sei mai chiesto?»
Gwen pensò che lei lo sapeva eccome, era la ragione per cui non poteva dormire.
«Una soluzione» rispose la ragazza «Per migliorare le cose»
«Migliorare è una parola grossa» Ryan girò i suo viso verso il suo e anche se la guardò negli occhi era distante.
«Tu cosa vuoi migliorare?» chiese il bruno prendendo il gelato dalla mano di Gwen. «La tua intelligenza? Perché lo sei già» disse prendendo un cucchiaio di extra dark.
«Migliorare la mia vita»
«Non va già bene?»
«Non è come sembra» rispose sincera Gwen «E’ più intricata» disse cacciando un sospiro. «Capita anche a te di non dormire?»
«Intendi per tutta la storia di Assana e dei semidei-ibridi?»
Gwen annuì, rubando il cucchiaio a Ryan e prendendo il fondo.
«Si, anche io non dormo. Troppe immagini, troppi incubi che non si possono togliere»
La ragazza annuì ancora, sollevata di non essere l’unica sonnambula.
E senza accorgersene, come se fosse un’altra voce a parlare con lei, fece la proposta più assurda, stupida ed eccitante – lo ammise – di tutti i secoli.
«Puoi restare a dormire qui»
E subito dopo Ryan andò dall’altro lato del letto e scoprì le coperte. Con un inchino la invitò ad accomodarsi, e cauta Gwen si sdraiò sperando di non essere ridicola. Dopo che si tolse le scarpe e si sdraiò anche lui tra le sottili lenzuola bianche – visto il caldo- allungò un braccio come da cuscino per la testa di Gwen.
Leggermente, la ragazza appoggiò la testa al petto e ispirò il profumo di pulito delle lenzuola e della sua maglia.
«Spero non sbavi» rise piano Ryan.
«Giusto un po’» lo rassicurò.
«Buonanotte» sospirò piano il bruno.
E Gwen, sul punto di addormentarsi per la prima volta dopo giorni, scivolò tra le sue braccia. Sentì solo la sua fievole voce sussurrare.
«Buonanotte Jack»




 

Angolo autriceeeeee


Okkaaaaay ECCOMI DI NUOVO SONO RINATA. Spero continuerete a seguire la mia storia eweee Vi ringrazio tanto per aver aspettato e non so proprio quando pubblicherò un altro capitolo!

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Capitolo 15
*** Short - Scosse elettriche ***


 Scosse Elettriche
Capitolo 15 – La Figlia di Ecate

 



⊱⊱⊱
 

Una scossa elettrica. Due. Tre.
Tirò la testa all’indietro e strinse i denti con forza. Il dolore di quelle scosse lo stava consumando ogni secondo, e per quanto resistesse faceva più male.
Si chiese cosa avesse fatto di male per trovarsi lì.
«Basta»
Assana comparve nella camera, questa volta non bianca, e guardava il riccio con aria indifferente. O almeno, lui lo sapeva, fingendo di essere indifferente.
La donna si inginocchiò ai suoi piedi e gli prese il viso fra le mani:
«Perché non la finiamo di giocare» gli chiese silenziosamente. «E passiamo a cose serie?»
«Come la morte di altri poveri semidei? » ribatté. «Che cosa vuoi? »
Una piccola goccia di sangue scivolò dalla sua bocca.
«Un piccolo aiuto per la mia opera di ‘bene’»
«Potrei vomitare»
Assana rise leggermente e posando le labbra sul suo orecchio sussurrò quello che temeva.
«Non mettermi alla prova, fratellino»

 

⊰⊰⊰


Non avrei mai immaginato che noi figli di Ecate potessimo vedere nel futuro.
Quello che vidi quella notte era terrificante.
Mi ero appena distesa sul letto, chiudendo gli occhi, quando il fiato cominciò a mancare. Come se stessi affogando. Caddi a terra, e la vista si offuscò diventando nera.
Poi non ero più nella camera ad Edmonton ma in un condotto dell’aria molto stretto.
Una figura mi seguiva, lo sapevo, ma non lo vedevo e correvo a perdifiato in avanti per non farmi prendere. Il condotto si chiuse davanti gli occhi e terrorizzata arretrai. Quando la figura comparve il fiato si mozzò completamente.
«No» sussurrai  più volte finché divenne un urlo. «No. No. No! Non tu
E la parte peggiore venne quando sentii un dolore al petto.
«Mi dispiace» è l’ultima cosa che ho sentito prima di risvegliarmi.

 

⊰⊰⊰


Il cielo splendeva, gli uccelli cinguettavano e Severus Piton raccoglieva i fiori nel giardino. La descrizione di una perfetta giornata.
Peccato che non era quel giorno.
Il portale da la sensazione di essere risucchiati nel nulla, come se comprimesse e allargasse il corpo. Non appena avverto l’aria calda in faccia, caccio un sospiro di sollievo. Anche se troppo presto.
Aperti gli occhi, mi guardo intorno. E’ sera e vedendo solo le luci dei lampioni, deduco di trovarmi in un vicolo cieco del centro di Edmonton.
Cammino lentamente e la maglietta a maniche corte che indosso è troppo leggera per il vento fresco.
Esco dal vicolo e rimango pietrificata. Le strade malfamate formano un intrigo e vagabondi gironzolano senza meta.
Confusa non mi rendo conto di un uomo calvo sulla quarantina – basso e ciotto – che si avvicina.
Prima che potessi fare qualcosa mi piazza un pugno in faccia facendomi cadere.
«Ma che diavolo…» dico toccandomi la fronte.
«Signorina!» esclama «La stavamo aspettando»
«Perché mi aspettano e io non so mai niente?» borbotto «Bel benvenuto…»
Mi rialzo barcollando, questa volta pronta a qualche colpo.
«Abbiamo atteggiamenti un po’ maleducati» afferma «Ma se non l’avessi fatto mi avrebbe mai seguita? »
«Seguit…» due secondi dopo sono raggomitolata in un sacco. Bell’inizio, che dire.



 

⊰⊰⊰


Finalmente torno a respirare quando mi tolgono dal sacco. Mi ero stancata di vedere attraverso i buchi. La gamba è addormentata la scuoto un po’.
Naturalmente mani e polsi legati.
«Non è carina?» annuisce un vecchio nevrotico dai denti marci. Che schifo.
«Prima che venga l’Imperatore potremmo divertirci» annuisce un altro.
«Che cazzo di nome è l’Imperatore?» dico esasperata da una situazione tanto stupida. Potevo uscirne da un momento all’altro grazie alla magia ma volevo godermi il momento. «Un altro tizio che vuole minacciarmi e bla bla bla?»
Tre vecchietti mi guardavano come se non capissero una parola di quello che dicevo.
«Facciamola»
Stavo per ribattere con un urlo di disgusto, ma un'altra voce interruppe come al solito,tipico dei film.
«Adesso ci parlo io, e nessuno si azzardi a toccarla» Mi gelai sentendo la voce, e tutti i miei dubbi si chiarirono.
Una sola voce bassa e che mi aveva incantato la prima volta adesso mi terrorizzarono.
«Scar, quale piacere»






 

---->Angolo autrice *yoo*<----

Cara gente che legge la mia poor storia questa è una short perchè
NON HO IL TEMPO MATERIALE PER SCRIVERE.

LA MELEDETTA SCUOLA BABBANA risucchia le mie forze ew.
Anyway credo di aver messo un po' di cose sconvolgenti ma vvb comunque. Tutto verrà spiegato nel prossimo capitolo, don't worry.
seguitemi su twittah ----> @shielvd

 

 

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