Requiem.

di notmoose
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo. ***
Capitolo 2: *** Capitolo 1 ***
Capitolo 3: *** Capitolo 2 ***



Capitolo 1
*** Prologo. ***


Premetto dicendo che questa storia non l'ho fatta da sola, ma in compagnia di una ragazza, una bravissima ragazza BeMySuperman ) che non ringrazierò mai abbastanza.
Si tratta di una ff a quattro mani, penso che si era capito.
I personaggi sono stati inventati da noi e abbiamo fatto molte ricerche in modo che la storia potesse essere più "realistica" possibile.
Spero che vi piaccia.

REQUIEM 
I.Prologo.


"Tutti vogliono andare in paradisoMa nessuno vuole morire."

 

Era la notte di Halloween, le strade scure erano solamente illuminate dai lampioni. Zucche arancioni campeggiavano per i vialetti e sui giardini delle case, scheletri, posizionati sui battenti delle porte, con un ghigno maligno e divertito, “fissavano” i movimenti dei bambini che si trovavano sia sule strade, che davanti le case decorate. I sorrisi delle persone in strada si notavano da lontano, mentre il piccolo, grande Duncan Gregory stava con il viso appoggiato sulle braccia che a sua volta si trovavano sul bordo della testata del divano a fissare il mondo, che non fosse play station o fumetti o altro, da una finestra. Con i suoi occhi grandi, di un azzurro quasi glaciale, guardava il paesaggio davanti a lui, sorpreso e abbastanza annoiato visto che non poteva uscire da quelle quattro mura che definiva “casa”. Per essere un 14enne l'aveva combinata grossa l'ultimo giorno di scuola prima delle vacanze di Halloween. Era un ragazzino, diciamo che fare scherzi a scuola era una cosa quasi normale, ma l'ultima volta non si parlava di giochi. Duncan venne preso in giro, si trovava al primo anno di liceo era pur sempre il novellino, il mingherlino ragazzo vestito di nero, l'ultima volta fu la goccia che fece traboccare il vaso, la calma di Duncan si trasformò in ira e si scagliò contro uno di quei ragazzi. Non era stato fatto apposta, ma non solo il ragazzino aveva leggeri problemi di nervosismo, ma i ragazzi più grandi di lui ormai lo avevano preso come un passatempo. La madre ormai sfinita per il comportamento aggressivo del ragazzino lo mise in punizione, l'unica cosa che gli venne concessa fu Tyler. Tyler era il suo migliore amico, forse l'unica persona di cui non poteva fare a meno. Il ragazzo era poco più grande di Duncan, solo di qualche mese ed entrambi si definivano come una “coppia” strana. Andavano in giro sempre insieme, inseparabili. Duncan con lui si confidava su tutto, lo considerava il fratello maggiore, malgrado avessero praticamente la stessa età. Tyler lo aveva aiutato nei suoi problemi e lo stesso faceva Duncan. Era il perfetto migliore amico, quello che tutti cercano. Si credevano entrambi due duri ma non era così, Duncan con i suoi capelli corvini davanti gli occhi azzurri ispirava quasi tenerezza specialmente quando nel suo pallore si notavano le guance paonazze, il suo sorriso abbastanza dolce e il suo menefreghismo, nessuno aveva paura di lui. La sua voce leggermente roca per un ragazzino di soli 14 anni e la sua ossessione della mano tra i capelli lo rendevano solamente più carino, come un cucciolo di cane, invece Tyler faceva ridere, il suo viso leggermente rotondo, incorniciato dai capelli castano scuro, le sue smorfie, le guance rosse, gli occhi grandi e penetranti, era uno di quelli che aveva fatto cazzate fin da piccolo visto che il corvo e il moro si conoscevano già da una tenera età, infatti una delle più grandi cazzate la fece il giorno prima del primo anno di liceo. Due piccoli cerchietti di metallo si trovavano ai lati opposti del labbro inferiore. Era più che convinto che con quei piercing sarebbe stato più figo, invece suscitava calde risate da parte di ragazze più piccole, della stessa età e più grandi di lui. Aveva 14 anni sembrava “un ciccio bello punk” erano state queste le parole di Duncan appena lo vide. Quei pensieri vennero interrotti dalla voce di Tyler che sospirava abbastanza scocciato. «Ti rendi conto che sono qui? La notte di Holloween, la festa migliore di tutte, dentro casa, solo per colpa tua?»
Duncan fece spallucce più volte.  «Ty, se ti scoccia stare qui, puoi anche andare via.» Aveva ruotato il viso verso il moro, fissandolo scettico mentre posò il telecomando del televisore sul tavolino da caffè vicino il divano. 
« Dai Duncan scherzavo, non prendertela a male, sai che mi piace stare con te.»  Aveva sussurrato con una voce più roca del solito, mentre imitava la posizione del corvo, così cominciò pure lui a fissare il paesaggio da dietro la finestra. In quel momento Duncan sentì il campanello suonare più di una volta, così scocciato e senza voglia, aprì la porta, mentre Tyler rimase seduto sul bracciolo del divano. Quando la aprì, un brivido percorse la sua schiena, non sapeva se era o per la paura o per il freddo autunnale che era fuori. Li vide, erano i ragazzi di 18 anni con cui pochi giorni prima aveva fatto a botte, quelli che lo prendevano in giro per tutto. Uno di loro parlò prima che Duncan potesse domandare cosa volevano.
 « Ti abbiamo trovato finalmente.» Aveva un piccolo sorriso sghembo sulle labbra, il ragazzino dai capelli corvini aveva soltanto voglia di tirargli un pugno in quella faccia di idiota, non reggeva quei visi conosciuti. Nello stesso tempo Tyler si diresse verso la porta, Duncan sperava che non lo facesse ma non fu così, appena la figura del moro si posizionò accanto al corvo cominciarono le battutine. “Possibile che state sempre insieme?” “Siete davvero una bella coppia di froci”. La psicologa aveva ripetuto più e più volte a Duncan che se qualcosa lo faceva innervosire doveva contare fino a 10, ci provò ma senza risultati e nello stesso momento uno di quei ragazzi più grossi prese il corvo, dal cappuccio nero della felpa, che cominciò a dimenarsi ma niente, non lo mollava. «Tu verrai con noi, Gregory.» Sussurrava uno dei tanti, all'orecchio di Duncan per poi indicare Tyler, che si stava già scontrando con uno di loro. «Mentre tu Evans rimarrai qui.» Lo spinse velocemente dentro casa per poi sbattere la porta così da chiuderlo dentro. Pugni e calci si sentivano da fuori, Duncan voleva aprirlo ma non solo era bloccato ma in più avevano chiuso il ragazzo da fuori, non poteva fare nulla.  «Dove volete portarmi?» fissò male il ragazzo che si era ritrovato per primo davanti la porta, viso squadrato, capelli biondi, amato da tutti, stupido, idiota e coglione. Il biondo rispose con un piccolo sorriso, maligno secondo Duncan, per poi sussurrare contro il suo orecchio. «In un posto speciale.» il corvo durante quella frase cercò di avvicinarsi più al biondo, per tirargli un pugno o dargli un calcio sulla gamba ma invano, era ancora tenuto in modo saldo dal cappuccio. Cominciarono a trascinare il ragazzo, mentre lui opponeva resistenza, furono 5/10 minuti di strada a piedi, non di più. Più andavano avanti e più le strade si facevano deserte, le luci dei lampioni cominciavano a mancare, o perchè non funzionavano o perchè alcuni erano stati spaccati. Era abbastanza preoccupato, non aveva paura lui non ne aveva mai, voleva solo capire dove lo volevano portare. Solo dopo che il gruppo dei 5 ragazzi si fermò davanti a una casa vecchia lui capì, volevano probabilmente vendicarsi e un groppo si formò nella sua gola. L'erba non era verde ma un giallo paglierino smorto, o perlomeno lo immaginava così visto che era solamente la luce della luna piena ad illuminare il “paesaggio” e, poco più avanti una casa, vecchia, marcia e inquietante. Fu costretto a camminare per primo nel vialetto di erba alta. Nonostante la sua notevole altezza per un ragazzino di 14 anni pure l'erba lo superava e questa cosa lo preoccupava. Veniva spinto, lo costringevano a muoversi contro la sua volontà e poi in quel momento si trovò davanti la piccola veranda della casa e la porta spalancata. All'interno non si vedeva luce ma solo tenebre, lo eccitava e preoccupava a tempo stesso. «Muoviti Gregory, non vogliamo aspettare a causa di una femminuccia che ha paura.» Sbottò uno dei ragazzi. Duncan fece finta di non sentire quelle parole che pian piano lo ferivano dentro, così mise un piede sulla soglia della porta per poi entrare seguito a ruota da tutti gli altri. Il corvo sospirò abbastanza innervosito, mentre fece più e più volte spallucce. «Bene grandissimi idioti e ora che sono qui, cosa dovrei...» Non ebbe tempo per finire la frase che un rumore di unghia si senti contro una delle pareti, sussultò per lo spavento, mentre vedeva i ragazzi guardarsi intorno preoccupati. Poi fu tutto così veloce, sentì un urlo e poi altri affievolirsi, si guardò intorno notando che fosse rimasto solo e poi mentre camminava a tentoni cadde. Inciampò su qualcosa che capì solo quando ebbe il coraggio di prendere il cellulare in modo da illuminare il motivo della sua caduta, che cos'era. Le mani cominciarono a tremare a quella vista mostruosa, cadde nuovamente a terra e il cellulare fece lo stesso, non sapeva cosa fare, urlare, scoppiare in lacrime per il corpo di uno dei ragazzi a terra...per quel morto che aveva davanti a sé con la testa tagliata e la pozza di sangue sotto le proprie ginocchia. Un conato di vomito seguì quei pensieri ma riuscì a resistere. Diede in escandescenze alzandosi di scatto, quasi senza capire cosa fosse successo realmente, si diresse a passo veloce verso la soglia della porta per poi cominciare a correre senza meta cercando di ricordarsi la strada fatta in precedenza. Voleva morire in quel momento, voleva urlare, era impaurito, innervosito e troppo giovane come il ragazzo che era appena morto, per vedere uno spettacolo così macabro e sadico. Non aveva più le forze per continuare a correre ma la paura era più forte e quelle fottute lacrime gli pizzicavano gli occhi. Vide da lontano la propria casa, con le poche forze si trascinò contro il giardino di essa, dove svenì senza rendersi conto dove fosse caduto.


Si risvegliò sul letto, si strofinò più di una volta gli occhi con i palmi delle mani, così da riconoscere la propria stanza, le pareti scure per quel poco che si vedeva a causa dei posters delle band metal. Osservò l'orario per capire se era andato a letto e tutto quello che era successo era stato solo un incubo, ma ci fu un'affermazione o meglio un segno che tolse a Duncan quella che aveva prima in mente. Si alzò di scatto sentendo un bruciore sul petto, dirigendosi così a passo svelto in bagno. Si affacciò a tentoni in modo che la propria figura snella si riflettesse contro lo specchio, la sua pelle bianca era di un rosso scarlatto sul petto, uno squarcio immenso copriva entrambi i lievi pettorali. Si toccò con le dita tremanti la ferita aperta, deglutiva rumorosamente, voleva urlare. Era una cosa abbastanza assurda ma era fermamente convinto che non si trattasse di uno scherzo, sentiva che era tutto vero, una cosa che l'avrebbe traumatizzato a vita.

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Capitolo 2
*** Capitolo 1 ***


I Capitolo



  fanfic miki Dopo quattro anni di distanza da quella notte, così intensa e così orribile, che lo aveva segnato non solo mentalmente, ma anche fisicamente, Duncan si rese conto di quanto fosse cambiato e non solo fisicamente.
Non ricordava molto di quella sera, solo le cose che lo avevano sconvolto di più. La cicatrice enorme, un segno indelebile, che si ritrovava sulla pelle candida del suo petto era una di quelle. Insieme ai ricordi, quella era la cosa che si portava dietro da quella notte.
Ogni sera si posizionava davanti allo specchio e fissava la sua immagine riflessa su di esso. I capelli, leggermente lunghi da quattordic'enne erano stati rimpiazzati da un taglio molto corto ed erano stati lasciati del colore naturale: un castano talmente chiaro da sembrare biondo. Tyler lo aveva convinto a non tingerli più e che sarebbe stato meglio se li avesse lasciati del suo colore naturale, e così fece. I suoi occhi azzurri erano rimasti gli stessi, sempre di ghiaccio e talmente azzurri da far sembrare che ci stessi affogando dentro, ma lo sguardo era più spento; a lato del suo labbro inferiore c'era un piccolo piercing ad anello, così da mettere in risalto le sue labbra carnose. Le braccia erano contornate di tatuaggi, uno più dell'altro.
E poi arrivava lì, alla parte del corpo che più detestava di se stesso. Il suo petto, con al centro l'enorme cicatrice che gli portava alla mente gli avvenimenti di quella sera. La odiava proprio per questo motivo. Avrebbe voluto dimenticare tutto, di quella notte che lo aveva cambiato, rendendolo ancora più chiuso in se stesso di quanto non fosse già, più aggressivo e diffidente. In più, quasi ogni notte prima di Halloween faceva un sogno ricorrente, che lo turbava e lo lasciava sempre abbastanza confuso. Tutto ciò che vedeva nel sogno era una stanza buia con un trono al centro, poco illuminato, con un uomo, all'apparenza abbastanza giovane, seduto sopra e una ragazza in piedi al suo fianco che appariva poco dopo. Le due figure erano sfocate. Lui aveva i capelli corvini e abbastanza lunghi, i suoi occhi erano dello stesso colore, la pelle era bianca, aveva diversi piercing sul labbro inferiore ed era vestito completamente di nero. La ragazza, invece, aveva i capelli per metà neri e per metà rosso acceso. I suoi occhi erano dorati e, insieme a quella poca illuminazione che metteva inrisalto la figura dell'uomo e della ragazza, erano l'unica fonte di luce della stanza. Le sue labbra erano carnose e aveva un fisico snello e con le curve ai punti giusti, il che la rendeva una bellissima ragazza agli occhi di Duncan. Infine tutto ciò che sentiva in quel sogno erano due nomi: Aamon e Lilith. Ma ancora non capiva perchè continuasse a fare questo sogno, o incubo come lo definiva lui, da quattro anni. Di questo non ne aveva mai parlato con nessuno se non con il suo migliore amico Tyler, che cercava in tutti i modi di aiutarlo, per quel poco che poteva fare.
Si avvicinava il periodo di Halloween, dove i più piccoli si mascherano con costumi spaventosi e vanno a fare "dolcetto o scherzetto" insieme agli amici, così da riuscire a raccimolare più caramelle possibili.
In questo periodo, Duncan era più annoiato del solito, non solo perchè rimaneva a casa a non fare niente tutto il giorno, ma anche perchè lui non sopportava questo periodo dell'anno. Passava la maggior parte del tempo da solo a casa in quei pochi giorni di vacanza concessi dalla scuola per questa festività, oppure ogni tanto si incontrava con Tyler. Duncan adorava stare con lui, era l'unica persona che riuscisse a capirlo pienamente e che riusciva ad aiutarlo e vice versa.
Proprio in quel momento, il telefono squillò, così da interrompere il flusso di pensieri di Duncan, che, si alzò con lentezza dal letto della sua stanza per prendere il cellulare che stava sulla scrivania. - Duncan, stasera c'è una festa a casa di Jennifer, la bionda. Non possiamo non mancare - Disse Tyler dall'altro capo del telefono. Il moro alzò gli occhi al cielo, abbastanza scocciato e rispose: - Ty, lo sai che non sono un da feste, specialmente in questo periodo dell'anno - Accentuò le ultime parole, come per fargli capire quello che intendeva. - Capisco, ma non posso andare da solo, ho bisogno che venga anche tu! Magari incontri qualche bella ragazza e ti lasci andare per una volta! - Esclamò il castano, cercsndo in tutti i modi di convincerlo. Duncan sospirò esasperato e si prese pochi istanti per pensare che non sarebbe stata una cattiva idea andare ad una festa e lasciarsi andare per una volta, dopo tanto tempo. - Uhm, a che ora dovremo essere lì? - Chiese leggermente titubante. - Appena sei pronto possiamo andare, ma non prima delle dieci - Rispose calmo Tyler. - Okay, ci sarò - Mormorò Duncan con voce più roca del solito , che pensò subito che se ne sarebbe pentito amaramente appena fosse ritornato a casa. - Perfetto! Passo io a da te, a tra poco - Disse Tyler con un tono vittorioso, chiudendo subito dopo la chiamata, prima che Duncan potesse dargli una risposta.
Sarà una lunga notte, pensò.
Con tutta calma, il ragazzo si diresse verso l'armadio e prese le prime cose che gli capitarono in mano: una maglietta nera, un paio di pantaloni neri aderenti e indossò i suoi amati anfibi e giacca di pelle. Ci mise esattamente dieci minuti per prepararsi, e mancava ancora un po' prima delle dieci, quindi, per quel poco di tempo che rimaneva, si distese nuovamente sul suo letto e cominciò a pensare se andare alla festa in quel preciso giorno fosse stata la cosa migliore, ma ormai era troppo tardi per ritirarsi.
Dopo una mezz'oretta buona, Duncan sentì suonare il campanello della propria abitazione e si precipitò davanti alla porta d'entrata, aprendola al suo amico. - Hey, pronto per andare? - Chiese Tyler, facendo uno dei suoi soliti sorrisetti. Il moro gli rivolse un lieve sorriso ed annuì, mentre si infilava il cellulare nella tasca posteriore dei suoi pantaloni, per poi uscire di casa, chiudendosi la porta alle spalle e incamminandosi insieme all'amico.
Tyler non era cambiato molto in questi quattro anni. Era più alto, ma non quanto Duncan. Portava i capelli abbatanza corti ed erano rimasti sempre dello stesso castano scuro. Aveva tolto i piercing da labbro inferiore e anche lui aveva dei tatuaggi, ma molti di più rispetto a quelli di Duncan.
- Allora, come mai volevi tanto andare a questa festa? - Esordì Duncan senza esitazione, che manteneva l'ombra di un sorriso sulle labbra carnose, mentre fissava il castano accanto a sè. - Non posso aver voglia di far festa? - Rispose Tyler, rivolgendogli un sorriso sghembo e abbastanza divertito. Il moro scosse la testa accennando una leggera risata.- Mh, okay, chiedevo e basta - Alzò le mani come in segno di resa, continuando a ridere e pensando che, sicuramente, Tyler voleva andare alla festa per riuscire a conquistare ragazze che gli daranno sempre un due di picche o un cinque ben piazzato sulla faccia a seconda delle proposte che faceva loro.
Dopo alcuni minuti di camminata arrivarono alla casa di Jennifer, da cui proveniva musica da discoteca e le luci colorate all'interno dell'abitazione, illuminavano la strada più buia del solito. La porta si aprì, rivelando una Jennifer abbastanza ubriaca, rigorosamente vestita di rosa e con dei tacchi talmente alti da alzarla di circa venti sentimetri dalla sua altezza naturale, che li salutò entrambi, invitandoli ad entrare.
La musica assordante penetrò nelle orecchie dei due ragazzi e ci vollero alcuni secondi per riuscire ad abituarsi a quel volume alto, cominciarono poi ad addentrarsi in mezzo alla marea di persone che ballavano praticamente appiccicate a ritmo di musica nel soggiorno enorme della casa.Tyler si disperse tra la folla e, appena Duncan girò lo sguardo, lo trovò mentre ballava insieme ad una ragazza di cui non ricordava il nome, così decise di cercare qualcosa da bere. Si diresse verso la cucina, dove trovò un secchio enorme, pieno di ghiaccio con alcolici sfusi al suo interno. Lui prese una bottiglia di birra, la stappò e cominciò a sorseggiarne il liquido ghiacciato, che, per un istante, gli diede un senso di benessere, per poi cominciare ad incamminarsi all'interno dell'abitazione, così da sapersi orientare meglio. Notò che era abbastanza grande da contenere ancora più persone di quante non ce ne fossero già. Andò successivamente verso le scale, salendo ai piani superiori, dove si trovava un corridoio, pieno di coppiette che si sbaciucchiavano, che portava alle camere da letto. Pensò che sarebbe stato meglio tornare al piano di sotto invece di disturbare tutte quelle coppie e decise di scendere le scale.
Ma proprio in quel momento, mentre si trovava a metà della scalinata, accadde una cosa che nemmeno lui pensò che potesse accadere. La vide. Era certo che fosse lei, non poteva essere altri se non lei. La ragazza in quel momento stava salendo le scale e si fermò a fissarlo, proprio nell'istante in cui lui si fermò per fissare lei. Rimasero in silenzio per dei secondi che sembravano interminabili a scrutarsi da capo a piedi. Duncan in quel momento era incapace di proferire parola, era troppo occupato a pensare se la ragazza davanti a sè fosse reale o se si trovava in uno dei suoi sogni. Ma, appena lui aveva trovato il coraggio per cominciare a parlare, lei lo precedette. - Scusa, cercavo il bagno - Disse lei quasi in un sussurro, mentre i suoi occhi dorati si incastonavano con quelli azzurri del ragazzo. - Penso sia di sotto - Rispose lui con voce roca, senza mai distogliere lo sguardo da quella ragazza bellissima. - Uhm, grazie - Sussurrò lei, voltandogli le spalle e scendendo successivamente le scale, mentre lui rimaneva fermo, ancora incapace di credere a ciò che aveva visto.
Era lei, pensò ancora, la ragazza che sognava ogni notte, da quattro anni. La ragazza dagli occhi dorati.

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Capitolo 3
*** Capitolo 2 ***


II. CAPITOLO



Perplesso, era questa la parola che si leggeva dal viso contratto di Duncan. Era fermamente convinto che quella ragazza, poco prima davanti a lui, corrispondeva alla stessa che ormai, si poteva definire una routine, sognava ogni sera. Impossibile, era una cosa solamente impossibile, tutto gli rimbombava in testa come tamburo, le parole, la musica, le urla delle ragazzine in compagnia dei ragazzi, tutto gli stava procurando un mal di testa lancinante. Duncan non aveva ancora la forza di volontà di spostarsi dalle scale, era lì da circa 5 minuti a fissare la rampa di scale. -Io non sono pazzo.- Sussurrò, o almeno credeva, infatti una voce abbastanza profonda catturò l'attenzione del ragazzo, giratosi in pochi secondi verso quella voce. Scrutò due figure, una alta e l'altra poco più bassa. Il ragazzo era alto, capelli scuri e corti e gli occhi dello stesso colore, portava una canottiera, cosa estremamente assurda per il tipo di periodo dell'anno, la portava per far notare i tatuaggi sul suo braccio destro e sul collo. Duncan non sapeva il perchè stava fissando i lineamenti di quel ragazzo, sembrava di volerlo scopare con gli occhi e ovviamente non era sua intenzione, arrivò solamente ad una conclusione, era un ragazzo più grande, entrato alla festa per caso, per volontà divina. Spostò velocemente lo sguardo sulla ragazza, abbastanza bassa vicino al ragazzo, corpo da urlo e una chioma di capelli biondi le ricadeva sulle spalle. I pensieri di Duncan vennero bloccati dalla voce infastidita del ragazzo che disse.- Cos'è ragazzo pazzo non ci senti? Spostati sei in mezzo alla rampa di scale.- La sua mano dentro il top della ragazza e, da lì capì, le loro intenzioni. -Scusami, davvero.- Aveva sospirato e a quelle parole si spostò in modo veloce, vedendo le due figure salire e dissolversi con il buio del corridoio di sopra. Duncan si catapultò alla fine delle scale, era abbastanza agile per lui non era un problema, arrivando al salotto, diede una leggera attenzione a ciò che lo circondava. Gente che beveva, chi fumava, coppiette che limonavano e anche di più, in alcuni angoli della casa e ragazze, ragazze ovunque che ballavano in modo eccitante. Sarebbe stata una festa strepitosa, se il giorno fosse stato diverso, non doveva dare retta a Tyler, doveva rimanere segregato in casa, lo sapeva. Diede un ultimo sguardo alle persone e si diresse in bagno che trovò libero, questo voleva dire che Dio ascoltava le preghiere stupide che solitamente la gente fa. Si chiuse in bagno a chiave e contro la volontà delle sue gambe fece spuntare la propria figura alta ed esile davanti lo specchio. -Non ti succederà nulla Duncan, nulla, tu non sei pazzo, hai un'immaginazione abbastanza avanzata alla gente stupida che ti circonda.- Ripeté quella frase più di una volta con un sorrisetto sulle labbra. Dopo ciò fu tutto veloce, ciò che era successo si percepiva solo dopo. La luce era andata. Era tutto al buio, sentì la gola annodarsi creando un groppo e il battito del cuore accelerare in maniera assurda. Si diresse verso la porta del bagno e appoggiò le mani contro il legno caldo di essa e vide delle immagini nella sua mente, sfrecciare, solo per ricordare i momenti peggiori, probabilmente il suo nemico non voleva farlo dormire, appena arrivato a casa. Il buio, il 31 ottobre di 4 anni fa, i ragazzi più grandi di lui, urla, quello morto ai suoi piedi, la pozza di sangue, il fottutissimo sogno che lo perseguitava, lo squarcio, il dolore, la gente che lo snobbava, la sofferenza, il giudizio, tutto ciò che ormai aveva passato e percepiva ogni giorno della sua fottuta vita. Solo dopo queste miliardi e miliardi di immagini finirono ne vide una che non apparteneva ai “ricordi” di 4 anni fa, poteva solo sperare che tutto questo non potesse accadere.

Era davanti la casa abbandonata. Gente accerchiata su un punto, fissavano qualcosa, o meglio qualcuno. Erano due corpi a terra. Non sapeva di chi ma sentiva un gran vuoto all'interno del proprio petto. Si fece spazio tra la gente, alcuni li conosceva infatti cercavano di spingerlo indietro, quasi per non fargli vedere lo spettacolo orribile al ragazzo. Li vide. Entrambi stesi, Lei, era sua madre, circondata da una pozza di sangue e un grosso buco nel punto dove si trovava il cuore e un altro nel punto dove c'era lo stomaco. L'altro era un ragazzo-Cominciò a tremare non appena riconobbe i lineamenti del viso di Tyler ormai rovinato dai tagli che aveva. Dal viso fino al busto era pieno di tagli, in alcuni punti mancava pure la pelle. Giù, sulle gambe non si poteva dire nulla, non le aveva più era tagliato per metà. Scoppiò in lacrime.

Dopo questa immagine Duncan cadde sulle ginocchia creando un rumore quasi assordante, gli pizzicavano gli occhi, era sul punto di scoppiare in lacrime, mentre continuava a tenere una mano sulla porta trovando pochi secondi dopo la chiave all'interno della serratura, con un scatto l'aprì e la luce ritornò. Si alzò di scatto barcollando leggermente e dirigendosi verso la confusione cercando di notare dei capelli chiari tra la folla e i tatuaggi familiari. -Tyler.- Sospirò dirigendosi a passo svelto vicino la cucina immensa di quella casa. Lo vide era la con una ragazza, a limonare, era una cosa abbastanza raccapricciante e l'avrebbe fatto continuare ma non era quello il momento. Gli tremava la voce non appena arrivò dal ragazzo strattonandolo. Il moro si era girato di scatto, con uno sguardo abbastanza arrabbiato con una punta di eccitazione, teneva una mano sul petto della ragazza. -Tyler dobbiamo andare via.- Aveva guardato il ragazzo facendo quasi finta che la ragazza in quel momento fosse invisibile. -Sono leggermente impegnato ora.- L'aveva sentito sospirare seccato , per poi fare un gesto della mano, quasi a mandare il ragazzo a quel paese. L'immagine di Tyler e sua madre a terra gli apparì nuovamente in modo svelto, così strattonò nuovamente il ragazzo, Duncan era più alto probabilmente anche un pochino più forte se voleva poteva anche dargli un pugno per farlo ragionare, sulla fottuta data della giornata. Fece ricadere lo sguardo su una figura a pochi metri di distanza da dove si trovavano, era lei, la ragazza che sognava, aveva un sorriso quasi maligno sul viso. Duncan cominciò quasi a tremare e la mano dell'amico si posizionò sulla guancia del ragazzo. -Stai bene?- Domandò curioso, ricevendo pochi secondi dopo una risposta -No, Tyler non sto bene, dobbiamo andare via di qui.- Notò la mano dell'amico scendere sul suo collo era abbastanza preoccupato, si notava e dopo quel suo gesto sentì la voce squillante della ragazza, che fino ad allora per Duncan era stata invisibile, mormorare:- Tyler ma sei gay?.- Duncan s'innervosì a quella domanda della ragazza. -Tyler dobbiamo andare ti prego.- Sospirò con voce tremante al suo orecchio. Tyler in un modo o nell'altro doveva liberarsi della ragazza così annuì alla sua frase per poi aggiungere in tono divertito:- Sono gay, mi servivi solo per vedere cosa si provava a baciare una ragazza.-
Duncan rimase sconvolto e perplesso a quella frase e strattonò con tutta la forza che aveva Tyler fino a mandarlo fuori casa. Il moro lo fermo al centro del giardino della proprietaria, non c'era nessuno fuori per loro fortuna. -Duncan che succede?- domandò preoccupato Tyler al ragazzo dalle iridi cerulee.
-Io l'ho vista, era lì, l'ho vista due volte e-e poi ho visto un'immagine di mia mamma...- Si formò un groppo in gola, il suo sguardo ricadde sulle lancette dell'orologio che segnavano la mezza notte. Cadde sulle ginocchia, vide un uomo apparire e sparire nel giro di pochi secondi, non poté capire neppure chi era che un dolore lancinante colpì il proprio petto, scivolò sul giardino. La maglietta nera imbrattata di rosso la rendeva color bordeaux. Ogni anno che passava lo squarcio era sempre più grande, non capiva il perchè, questa cosa pian piano lo stava uccidendo. Seguito dallo squarcio un rivolo di sangue uscì dalla bocca di Duncan, poco dopo sentì l'unica voce a lui familiare, quella di Tyler, urlare e poi ripetere più di una volta di “tener duro” non appena il corvo chiuse gli occhi cominciando a respirare quasi a scatti.

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