Frammenti - Uno sguardo al Passato

di Ink Voice
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Escape ***
Capitolo 2: *** Collage ***
Capitolo 3: *** Ruins ***
Capitolo 4: *** Again ***



Capitolo 1
*** Escape ***


Frammenti - uno Sguardo al Passato
one shot di _beatlemania is back per il Soulwriters Team

 
 
1. ESCAPE
Frammenti di ricordi la svegliarono nel cuore della notte anche quella volta. La donna si alzò a sedere di scatto sul letto, il respiro affannoso, le lacrime che le rigavano le guance. Quella tortura non sarebbe mai finita.

Nel corso della sua vita, Miriam aveva imparato ad amare tante cose, tante persone, e ad odiarne altrettante. Tra tutto ciò alla quale disgustava soltanto il pensiero, vi era una data: 26 giugno. Oltre a detestarla, ogni volta che viveva quella giornata o che s’imbatteva in quella data, non poteva impedirsi di sentirsi a pezzi, di avvertire un pesante macigno nella fastidiosa zona tra i polmoni e lo stomaco, di voler gridare all’intera cittadina di Azalina la sua frustrazione, la sua vergogna.
Il 26 giugno di cinque anni addietro, sua figlia Helen era fuggita di casa. Aveva appena undici anni, nessuna esperienza del mondo fuori le mura domestiche né aiuti economici, soltanto i suoi Houndour e Larvitar a proteggerla, ma anch’essi assolutamente inesperti quando si trattava di proteggere la propria giovane allenatrice.
Quell’episodio rappresentava il suo fallimento come madre e non poche volte l’aveva spinta sull’orlo del baratro. La sua Helen, scomparsa a causa sua, della sua inesperienza quanto all’essere genitore… La sua bambina, il suo tesoro, se n’era andata chissà dove, in cerca della vera felicità. Perché lei si sentiva oppressa dalle attenzioni morbose della madre, che da quando, alcuni mesi addietro, si era separata dal padre di Helen, non poteva fare a meno di starle sempre addosso chiedendole se poteva aiutarla in qualche modo, se aveva bisogno di lei.
E puntualmente i desideri della ragazzina venivano smontati pezzo per pezzo, fino alla più piccola scaglia, al più piccolo residuo rimanente dei suoi sogni e delle sue idee, dietro alla solita scusa della madre, che recitava “Voglio solo il meglio da te, non voglio che poi delle illusioni ti feriscano, bambina mia!”.
Se voleva farsi una passeggiata sola con Houndour e Larvitar non poteva, né tantomeno stare fuori con un’amica oltre una cert’ora, Miriam credeva fosse troppo pericoloso; non poteva stare sveglia fino a tardi poiché doveva dormire abbastanza per essere in forma il giorno dopo; non poteva stancarsi troppo gli occhi sul computer, sui videogiochi o sul PokéGear.
Ma la cosa che spinse Helen a fuggire fu la paranoia di quella donna. Ovunque andasse, quando c’era la madre, le persone da questa giudicate “poco raccomandabili” che incrociavano per strada dovevano essere evitate dalla ragazzina come fossero lebbrosi. Il problema era che questi “poco raccomandabili” occupavano la stragrande maggioranza della popolazione di Amarantopoli, la città natale di Helen e della famiglia, quindi Miriam la sballottava da un lato del marciapiede all’altro come se la figlia potesse diventare una delinquente solo avvicinando la sua aura a quella di altri.

- Mamma, sono stanca.
- Tesoro, perché? Stai bene, ti senti male? Forse è meglio se vai a dormire presto, piccola mia, posso…
- No mamma, no, non sono malata e non ho sonno… sono solo stanca, stanca di questa situazione.


Nonostante i continui sforzi di Helen di spiegare alla madre che non aveva bisogno di tutte le attenzioni che le venivano riservate e che continuasse a ripetere di sentirsi troppo soffocata dalla sua premura spesso inutile o stupida, questa non l’aveva mai ascoltata fino in fondo, si giustificava con scuse poco credibili persino per un adulto o dirottava l’argomento della “conversazione” su chissà quali altre cose.
Quindi Helen si era preparata per andarsene. Era diventata una ragazzina matura per la sua età, effettivamente un po’ inquietante con il suo essere così enigmatica e imprevedibile, e questo lato del suo carattere si era accentuato con la separazione dei genitori. Si sentiva anche tradita a causa di questo: non aveva mai notato una pecca nella recitazione dei genitori nei ruoli di perfetti innamorati, con una bambina bellissima e una vita meravigliosa, e alla fine quel fragile castello di carte le era caduto addosso con indicibile violenza.
Era cresciuta a forza, era diventata più realista e angoli nascosti del suo carattere erano emersi, fino a trasformarla in una donna nascosta nel corpo immaturo di un’undicenne. Vedeva cose che persino sua madre, resa cieca dallo shock della separazione e dall’amore morboso per la figlia, si rifiutava categoricamente di riconoscere, come ad esempio il suo eccessivo attaccamento a lei.
Helen passò molto tempo a pianificare la fuga fin nel minimo dettaglio. Aveva bisogno di soldi, di cambi per i vestiti, doveva iniziare portandosi dietro un po’ di cibo e, soprattutto, i suoi Pokémon. Passò mesi ad accumulare risparmi e, quasi due mesi prima del suo compleanno, che cadeva nel 14 agosto, uscì di casa per non tornare mai più. Si era premurata di lasciare un biglietto alla madre con le spiegazioni del suo atto, sperando che per una volta capisse.
Perciò, mentre la madre era via per delle commissioni verso la metà della mattinata, Helen uscì di casa senza portarsi nemmeno le chiavi, in caso dovesse tornare. Voleva tagliare i ponti in tutti i modi con quella città, quella famiglia. Si sarebbe diretta ad Olivinopoli, abbastanza vicina da poter essere raggiunta a piedi in poche ore.

Me ne vado.
So che probabilmente non capirai, che attribuirai la colpa a chiunque… tranne che a te.
Me ne vado. Verso la libertà che tu mi hai sempre impedito di raggiungere…
Addio.
Helen


Corse via dalla città e prese il percorso 38, con Houndour al seguito pronto a difenderla, per quanto possibile, da eventuali attacchi di Pokémon selvatici. Anche Larvitar era abbastanza forte, e probabilmente quei due insieme sarebbero riusciti a fronteggiare i numerosi Meowth e Magnemite della zona.
Le cose si misero male quando Houndour andò K.O. a causa dell’assenza di molti rimedi. Helen era partita sicura di sé e certa che le zone d’erba non fossero tantissime, ma per evitare gli allenatori che sicuramente l’avrebbero sfidata dovette passare in mezzo ad esse. Si rivelarono molto più ostiche di quello che pensava, così come i Pokémon che vi si nascondevano: erano più forti rispetto a quello che si aspettava.
Arrivò ad Olivinopoli verso sera, stremata. Cercò disperatamente un Centro Pokémon dove poter riposare e dove far curare Houndour e le ferite di Larvitar, ma la città era un labirinto di casette marittime dai colori chiari e luminosi, strade più o meno ampie che si diramavano in vie minori e infine in angusti vicoli bui, tutti intrecciati a formare un intricato labirinto che certo non l’aiutava in una situazione del genere. Negozi di articoli per il nuoto o la pesca si alternavano ad altri di vestiti o bancarelle di venditori ambulanti che cercavano di offrire al minor prezzo possibile libri, CD, DVD o magliette ed abiti.
Helen si decise, dopo aver vagato a lungo in giro ed essere giunta al lungomare, di chiedere aiuto a qualche passante. S’incamminò lungo la via che costeggiava la riva, piena di sabbia che le andava a finire nelle scarpe e la infastidiva. La luce della luna era frammentata nella distesa blu del mare come tanti piccoli cristalli vividi e brillanti, ma Helen non si interessò di questo. Iniziava a preoccuparsi.
- Scusate… - si rivolse ad una famiglia che passeggiava con tranquillità e indubbia spensieratezza, ridendo allegra. Quelli subito la ascoltarono: erano due genitori con il figlio, un ragazzetto con i capelli scuri spettinati e la pelle abbronzatissima che la guardò attentamente fin nei minimi dettagli, facendola sentire un po’ a disagio. - Sapete dirmi come raggiungere il Centro Pokémon?
La donna, la madre del ragazzino, le rispose dandole qualche indicazione che Helen memorizzò, sperando di non sbagliarsi. Stava per salutare e ringraziare, quando un bambino in bicicletta corse incontro ai quattro, sbarrandole la strada.
- Hey, Sean! - esclamò, rivolgendosi al ragazzino. - Mi devi la rivincita, ti ricordi?
- Mark! Oh, giusto - lo sguardo di Sean, così doveva essere il nome del figlio della coppia, si illuminò. Helen notò che aveva gli occhi di un azzurro incredibile, che verso l’esterno sfumava in un blu più scuro. Immaginò che avesse più o meno la sua età, forse era poco più grande. - Ma non è tardi?
- Non è mai troppo tardi per lottare! Vai, Staryu!
- Coraggio, Sean, lotta! - lo incoraggiò il padre. Helen rimase stupita: i suoi genitori non avevano mai nemmeno immaginato che lei volesse imparare tutto sulle lotte. A volte le avevano pure sconsigliato di allenare i suoi Pokémon, dicendole di concentrarsi sulla scuola e sullo studio, nonostante avesse appena finito la prima media e di studio impegnativo ce ne fosse poco e nulla.
Sean assunse un’espressione decisa, molto diversa da quella pacata e curiosa di conoscere Helen di prima. - Bene! Manderò Kirlia!
Il Pokémon di tipo Psico uscì dalla sfera in un baluginio di luce bianca e rossa. Helen non poté restare indifferente alla vista di quell’essere sconosciuto, non aveva mai visto una specie del genere, così aggraziata e bella.
- Che Pokémon è?- chiese sinceramente incuriosita ai genitori di Sean.
Il padre le rispose: - Kirlia, proviene da Hoenn. L’ha catturato l’estate scorsa, quando era ancora un Ralts. Comunque il mio nome è Michael, ma puoi chiamarmi Mike, e questa è mia moglie Linda - si presentò l’uomo. Aveva gli stessi capelli spettinati di Sean e la sua pelle scura, mentre dalla madre aveva preso gli occhi e il colore dei capelli. Il padre infatti li aveva castani, così come gli occhi.
La ragazzina assentì e mormorò un secco “Helen” di presentazione mentre in pochi colpi di Fogliamagica (una mossa anch’essa a lei sconosciuta) lo Staryu finiva inesorabilmente al tappeto.
Mark se ne andò, fumante di rabbia, in fretta così com’era arrivato. Helen era tutt’occhi per Kirlia, che comunque aveva risentito degli attacchi di Staryu.
- Direi di andare tutti insieme al Centro Pokémon - propose Linda con allegria - dato che sia i Pokémon di Sean che i tuoi, Helen, hanno bisogno di cure. Ti va di venire con noi?
Lei annuì silenziosamente mentre Larvitar, nascosto tra le sue gambe, osservava diffidente i tre personaggi. Kirlia rientrò nella sua sfera mentre tutti insieme si dirigevano verso la via maggiore della città: esattamente a metà di essa vi era il Centro, grande ed attrezzato.
Mentre i Pokémon si riposavano, Helen approfittò del servizio gratuito di esso (le tasse contribuivano a dar loro i fondi) e chiese all’infermiera: - Stanotte è tutto occupato o avete una stanza libera?
Tutti rimasero abbastanza sorpresi della richiesta della ragazzina. - Certo che no, puoi pernottare tranquillamente - si riprese quasi subito l’infermiera.
- Ma come, tesoro, non abiti qua ad Olivinopoli? - chiese stupita Linda mentre si sedevano tutti sulle comode poltrone di cui era provvisto il Centro.
Helen scosse la testa e rispose: - Io vengo da Amarantopoli. E non penso proprio di tornarci.
 - Cos…
Non diede il tempo a Mike di finire. Con un sospiro rassegnato, dicendosi “Tanto qualcuno lo dovrà sapere, magari mi aiuterà”, Helen spiegò: - Me ne sono andata. Scappata, se preferite, di casa.

Mentre la famiglia di Sean accoglieva la notizia quasi con spavento, Miriam era inginocchiata a terra sul pavimento della camera di Helen. Le buste della spesa erano state abbandonate a sé stesse nell’ingresso e lei aveva appena chiuso la porta di casa quando si accorse del silenzio che regnava lì dentro.
- Hel… Helen… - la voce della donna era un sussurro disperato, quel pomeriggio, mentre gli occhi marroni, vitrei, fissavano senza vederlo realmente il biglietto d’addio della figlia che stringeva in mano, stropicciandolo. Prese a singhiozzare, nascondendo le lacrime con le mani alla vista delle pareti intorno a sé, che le sembravano farsi tanto più strette: le mancava il respiro, non riusciva a controllare il tremore del suo intero corpo scosso dai singhiozzi. Le lacrime silenziose che prima rigavano le sue gote erano ora sul pavimento, sulle sue cosce, sparse sui palmi delle mani.
Gridò. Pianse fino a sera, per tutti i giorni successivi, non curandosi del suo lavoro e rimanendo sola con la sua disperazione: non avrebbe mai smesso probabilmente, sarebbe rimasta così a singhiozzare per il resto della sua vita, della sua vita coronata con un fallimento totale. Quello di essere genitore.
Miriam fuggì ad Azalina, città quasi agli antipodi di Amarantopoli nella regione di Johto, e non senza incontrare grandissime difficoltà si trovò un’occupazione ed un’abitazione vicino alla bottega di Franz, l’Artigiano delle Pokéball, che per un po’ l’aiutò a sopravvivere in quella città sconosciuta.
Miriam sentiva di non meritarsi la gentilezza e la premura di quell’uomo. Se era riuscita poi a trovare un altro lavoro e si era sistemata senza il suo aiuto, una domanda le saliva spontanea in mente e poi riscendeva a pugnalarle il cuore.
“Perché? Perché sono riuscita a cavarmela in questa città sconosciuta e ho reso infelice mia figlia senza rendermene conto, la mia meravigliosa bambina?” fu la domanda che di nuovo, ogni sera, la costringeva a soffocare la sua disperazione nel cuscino. Era sola, non aveva più nessuno. La sua famiglia l’aveva abbandonata e lei l’aveva fatto con chi ancora non sapeva della situazione.
La famiglia Reed si era definitivamente smembrata.
Il padre di Helen, Robert, se n’era andato a Kanto. Probabilmente adesso abitava a Zafferanopoli: Miriam ricordava con una fitta di dolore al petto i momenti davvero felici, e non falsamente allora, quando lui le confessava i suoi sogni e le sue aspettative per il futuro. Era un grande sognatore e lei apprezzava enormemente la sua fantasia, la sua brama di scoprire nuovi luoghi e cose, di conoscere.
E dal loro amore era nata quella bellissima bambina, incredibilmente somigliante ad entrambi quanto ad aspetto, ma diversissima se si andava a vedere il carattere.
Adesso però l’aveva lasciata sola, facendola sentire terribilmente in colpa.
Aveva paura di fallire di nuovo. Anche nelle più piccole cose.

- Per… perché papà è andato via? Mamma…
- Bambina mia… ci sono io qua a proteggerti, stellina, non sei sola…
- Ma papà?
- Torna presto, papà, non preoccuparti… è andato a trovare… una sua cara amica


La famiglia di Sean accusò la gravità delle parole di Helen, quella piccola fuggitiva, come fossero stati colpiti in pieno da una bomba ad idrogeno.
- Piccolo tesoro! - Dopo quelli che parvero lunghi minuti di silenzio, Helen si ritrovò all’improvviso col fiato mozzato dall’abbraccio fin troppo energico di Linda. - Non devi più scappare, ci siamo noi adesso!
- Eh? Cosa?! - esclamò stupita la ragazzina.
- Non possiamo lasciarti sola! - s’aggiunse il padre, con una dolcezza che non si aspettava, aggiungendosi alla stretta della moglie e rischiando di far morire la ragazza. Non aveva più fiato nei polmoni.
Sean si schiarì timidamente la voce e quelli si staccarono, come per magia, dalla povera malcapitata, che dandosi un contegno - o almeno provandoci - disse, con il suo fare misterioso e l’espressione seria e matura sul volto: - Vi ringrazio, ma è presto e so che è difficile organizzarsi così in fretta e furia. Stanotte resterò qui, casomai domani potete venire a prendermi. Se vi va, ovvio - concluse, dubitando dell’affidabilità di quei due.
Li aveva osservati attentamente. Nonostante il fisico di entrambi fosse assolutamente naturale, erano vestiti con abiti fin troppo stravaganti: lui con una camicia caleidoscopica piena di tinte diverse e sfumature da far venire il mal di testa solo allo sguardo, abbinata ad un paio di pantaloncini neri al ginocchio che lasciavano scoperti i polpacci fin troppo pelosi. Dello stesso colore era un foulard piuttosto ambiguo, morbido sul collo, e dei grossi sandali ai piedi.
La moglie era bassa, ma tacchi vertiginosi la facevano alzare quasi di una spanna. Aveva il trucco curato, forse un po’ esagerato, era magrolina e piatta. Un tubino nero dalle spalline appena presenti la fasciava fino alle ginocchia.
Invece Sean era… una via di mezzo tra i due. Aveva il fisico del padre, quindi non era molto magro, ma già si vedeva un accenno di una muscolatura che in futuro si sarebbe fatta molto più pronunciata. Sì, era proprio a metà tra loro. I capelli spettinati erano tali e quali al padre, così come il colore della pelle, mentre il colore della sua chioma ribelle era nero come i capelli della madre. Da lei aveva ripreso anche gli stessi identici occhi, ma che risaltavano molto di più su di lui grazie all’abbronzatura dorata.
- Certo, piccola, non ti preoccupare! - la rassicurò Mike scompigliandole i capelli. - Domani mattina, verso le dieci, veniamo a prenderti, d’accordo?
- Oh… va bene.

Fu così che, dopo un ritardo di circa mezz’ora rispetto all’orario concordato, Helen Reed divenne a tutti gli effetti parte della famiglia Morgan. L’affetto che i due adulti di quel piccolo nucleo familiare le dimostravano era incredibile e quasi inverosimile: il 14 agosto, il dodicesimo compleanno di Helen, fu festeggiato a sorpresa, e lei non ricordava nemmeno di aver mai rivelato la sua data di nascita. La ragazza era più piccola di un anno di Sean, nato il 30 giugno.
Sean, i primi tempi, fu un tipo silenzioso. Non in senso negativo, anzi: era sempre sorridente, allegro e positivo, ma parlava poco e mai a sproposito. Forse era un po’ timido, o forse aspettava di conoscere meglio Helen prima di stringerci amicizia ufficialmente. Anche lei, i primi tempi, fu piuttosto schiva nei loro confronti, ma quella bizzarra famiglia non gliene fece mai un peso.
- I miei genitori sono artisti - le disse una volta Sean, pochi giorni prima che iniziasse la scuola.
Lei s’incuriosì molto. Gli chiese che genere di lavoro facessero, e lui le rispose con un bell’elenco, ridacchiando: - Oh, sono registi, pittori, scrittori, musicisti, attori…
- Eh?! E dove lo trovano il tempo per stare a casa? - sobbalzò lei interrompendolo.
Sean sorrise e l’altra colse una nota di amarezza nel suo sguardo, nella curvatura delle labbra arricciate in un mezzo sorriso. - Non lo trovano. Solo d’estate si prendono due o tre mesi di pausa, sai. Poi tornano a Natale e verso i primi giorni dell’anno nuovo se ne vanno…
- E tu con chi stai mentre non ci sono?
- Con mio nonno, il papà di papà - rispose lui. - Ma non mi dispiace, e poi i miei genitori… l’avrai notato anche tu… sono davvero molto premurosi quando ci sono. Forse un po’ mi hanno viziato - ridacchiò. Helen annuì semplicemente.
Quella passeggiata era la prima che facevano da soli. A lei non dispiacque, e quando si rese conto di essere stata davvero bene con quel ragazzo, il sangue fluì all’istante verso le sue gote. Almeno era il tramonto, Sean non l’avrebbe notato. Forse.
Alla fine decise che non le importava più di tanto. Iniziò a parlare di sé stessa, della sua - seppur breve - storia, di quello che pensava di ciò che le accadeva intorno, anche delle cose più futili.
- Sono silenziosa, sì - disse alla fine di una lunga chiacchierata, mentre si avviavano sulla strada di ritorno - ma sono attenta a ciò che mi circonda. E so ascoltare. Ma penso di essere una delle poche in grado di farlo veramente bene.
- Già - assentì Sean, - è così difficile riuscire a prestare attenzione a qualcosa. Attenzione vera, quella che poi ti fa fare tesoro di ogni significato nascosto dentro qualcosa, che può essere un’azione, una frase o una lotta Pokémon… anche quello più apparentemente invisibile, inesistente forse.
Maturo. Ecco com’era Sean: un ragazzo incredibilmente maturo per la sua età, proprio come lei. Non lo annoiava stare con lui, come invece accadeva con la maggior parte delle persone.
- Forse tu penserai che io sia una ragazzina enigmatica o chissà che altro… - aveva detto poco prima Helen, mentre parlava di sé. - La verità è che la separazione dei miei genitori mi ha costretta a crescere più in fretta. E ciò non mi piace, se devo dirla tutta, sai. Da piccola ero come loro due: solare, chiacchierona e tutto il resto. Ma quando lui se n’è andato e lei si è mostrata incapace in molti aspetti dell’essere genitore… ho capito che dovevo cambiare, se volevo migliorare.
- Le tue parole sono strane, dette da una dodicenne - commentò a bassa voce Sean, osservando il sole che si nascondeva dietro l’orizzonte. O forse stava solo facendo un bagno in mare. - Ma credo a quello che dici. Se davvero la separazione dei tuoi ti ha resa come sei adesso, non mi stupisco più.
- È che da quando hanno rotto, io ho iniziato a non fidarmi più di nessuno. Ho tagliato i ponti con un sacco di gente. Lui se n’è andato verso la fine dell’anno scorso, dopo Natale. È stato tristissimo… - mormorò infine, abbassando lo sguardo, smettendo di osservare il sole morente.
Sean le prese la mano. - Mi dispiace. Ma ora ci sono io, e tutta la mia famiglia e i miei amici. Anche con la scuola ti troverai bene, ne sono sicuro.
- Sì - sussurrò Helen, che poi sorrise con sincerità. - Grazie, Sean.

- Il professor Elm ha portato a papà un Cyndaquil. Sai, sono davvero amici.
- Wow, Cyndaquil è un Pokémon adorabile!
- L’ha dato a me, sai?
- Davvero? Che fortuna…!
- Sì, ma… vorrei che lo tenessi tu.




- Ehi…
Una voce dolce la riportò con i piedi per terra. Helen si riprese e scosse la testa, scacciando via i ricordi di quei giorni della fuga e della conoscenza con Sean. Guardò negli occhi proprio lui, il ragazzo che passeggiava accanto a lei, che sorrideva gentile, chiedendole semplicemente con lo sguardo se ci fosse qualcosa che non andava.
Probabilmente era l’unico ragazzo, l’unico essere sulla faccia della Terra che riusciva a sopportare i suoi continui sbalzi d’umore, la sua attitudine ad essere vendicativa ed irascibile, e il solo in grado anche di calmarla. Helen conosceva poche persone come lui e queste erano coloro a cui era più affezionata, con i quali si toglieva la maschera di ragazza misteriosa e riusciva a liberare il lato solare di sé.
E Sean era la persona a cui teneva di più al mondo.
- Ohi - rispose semplicemente, ricambiando il sorriso. Il vento di metà febbraio le scompigliava i capelli castani già mossi di loro, mentre i suoi occhi color brace, così pieni di sfumature calde come il rosso, il giallo e il color nocciola, s’incontravano con quelli azzurri e blu del suo fidanzato. Faceva piuttosto freddo, quell’anno l’inverno non si era dato limiti e non aveva risparmiato un angolo della regione di Johto. Timide, dolci nuvolette si formavano davanti alle bocche dei due, appena schiuse.
- E anche San Valentino è finito - sospirò Sean, osservando le rade coppiette che gironzolavano per la spiaggia della città: tutti erano per il corso maggiore a fare incetta di regali per il partner. Erano effettivamente soli. Dietro di loro, un Quilava ed una Kirlia li seguivano, guardandoli incuriositi. Era tutto il pomeriggio che i due, anzi i quattro, stavano fuori, senza curarsi del fatto che per il giorno successivo avessero un qualche quintale di compiti da sbrigare. Al pensiero, Helen fece istintivamente spallucce, ma Sean lo interpretò come un “e chissene se è finito San Valentino”.
- Ah, quindi non t’importa! - ridacchiò.
- Eh? Cosa?
- È finito il 14 febbraio. Non te ne frega per niente, ammettilo…
- Ah, quello. In realtà stavo pensando che per domani sono piena di compiti e sono già le sei, ma no, la risposta non cambia - e fece nuovamente spallucce, con un mezzo sorriso sul volto.
L’altro sbuffò e tolse la mano dalla tasca, andando a cercare la sua. Lei non oppose resistenza.
Nemmeno all’intenso bacio che Sean riuscì a strapparle subito dopo.



Angolo ottuso di un'autrice ottusa
Ohi a tutti! (bello il colore viola per l'angolo nevvero?)
La vostra beatlemania is back è tornata davvero, vedete che il soprannome non l’ho scelto proprio alla cacchio? E con che roba è tornata! Con un grande, innovativo progetto che porta il nome di *rullo di tamburi (o di rutti, così anche Son è contento)*
SOULWRITERS TEAM!
Ebbene sì, anche io faccio parte del primo gruppo di scrittura della sezione, e uno dei pochi sul sito. Quindi dopo Andy Black e Barks ci sono io, ma voi non risparmiatevi di passare da Son of Mumford, Levyan e AuraNera nei prossimi giorni, eh! Ne avete fino alla fine del mese!
Quindi, oggi vi ho presentato la coppia del gruppo, che spero di riuscire a gestire bene (lol), ovvero Helen Reed e Sean Morgan, i miei primi due piccioncini. Spero che il passato dei due sia abbastanza chiaro, se non si fosse capito bene…
Vabbè, spremetevi le meningi e capitelo da soli, che sennò m’impappino con le spiegazioni lol.
Ah, tra due giorni è il compleanno di Helen. Non ve lo dimenticate, è permalosa a livelli esasperanti. Ma questo suo lato lo conoscerete presto!
Ringrazio il gruppo che è stato così gentile e paziente di leggere e rivedere questa uansciott partorita dalla mia mente malata, messa incinta dal progetto dei Soulwriters stesso, e che spero abbiano apprezzato il mio lavoro.
Spero che anche a voi sia piaciuto!
Quindi, dopo Andy Black il 1° agosto, quello che ha coniato il mio nuovo soprannome (L)Ele, e Barks il 7, il proprietario dell’oca fosforescente Ocabelle De La Rouge Von Weber Adler, ci sono stata io, oggi, il 12 agosto, con questa meravigliosa - ma anche no - oneshot, la prima di molte!
Ci vediamo il 17 con Son of Mumford, quello che mangia la Nutella sotto il mio naso facendomi soffrire!
Il 22 con Levyan, quello a cui ho ceduto il famoso Di(ld)o d’Oro! Fanne buon uso caro!
E infine il 27 con AuraNera_, l’altra donnah del gruppo! Tienimi compagnia Aura…
Alla prossima! Ci vediamo sia sulle storie del gruppo che sulle mie!
beatlemania is back, Lele, Ele, Cactus (e le sue varianti) o ilcazzoquellochevipare

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Capitolo 2
*** Collage ***


2. COLLAGE
Frammenti di sentimenti. Sentimenti forti, che mai vogliamo condividere con il prossimo. Forse per paura di essere giudicati, di essere messi a nudo, di venir presi in giro, di essere messi in imbarazzo.

Helen detestava mostrarsi timida o non all’altezza della situazione, ma ancora di più cercava di farsi vedere sempre indifferente e s’impediva in ogni modo di arrossire. Sean invece era più spigliato e a suo agio con quello che provava, non se ne faceva una colpa come la ragazza, sempre timorosa di mostrare troppo di sé stessa.
Ed aveva timore di Sean, che le faceva provare sentimenti talmente intensi da mozzarle il respiro, farle girare la testa o chiuderle lo stomaco in una morsa fastidiosa.
Quei suoi occhi blu che spegnevano il fuoco dentro di lei la mettevano in soggezione, e quindi a disagio. Il suo sguardo in cui si rifletteva tutto l’oceano bastava a farla pensare a lungo, a farla distrarre, lo rincontrava nei suoi sogni e la faceva svegliare di soprassalto con l’amaro in bocca.
Perché lei, sicura di non essere alla sua altezza, si allontanava da quel ragazzo prima ancora di provare. Provare a stargli vicino, a vedere se i suoi sentimenti erano ricambiati.
Cercava il suo sguardo e quando lo otteneva distoglieva il suo, nuovamente timorosa.
Dal canto suo, Sean non sapeva bene come comportarsi con quella ragazza. All’inizio non l’attraeva oltre la semplice amicizia proprio per il suo essere così schiva, riluttante ad avere un confronto con gli altri, riservata, chiusa.
Ma non poteva fare a meno di desiderare di poterle scrutare nel profondo senza alcuna barriera da lei stessa posta, per capire cosa la bloccasse.
Helen non sapeva cosa fare. Aveva paura di aprirsi, di essere giudicata, e conoscendosi non avrebbe sopportato alcuna critica su di sé. Si sarebbe subito giustificata, o avrebbe liquidato il tutto con un secco, glaciale “Lasciami perdere”.
I due parlavano solo di argomenti superficiali, non si conoscevano nel profondo e per questo Sean non se la sentiva di definirla una cara amica, per quanto non riuscisse a considerarla solo una semplice conoscenza. Ancora non sapeva che quel sentimento di sincera amicizia sarebbe cresciuto a dismisura fino a ricambiare l’amore che provava Helen.
Amore? La ragazza quasi si rifiutava anche solo di pensare a quella parola. Esagero di sicuro, si diceva. L’amore a cui lei si riferiva era un altro. Quello tra due veri innamorati, che sarebbe stato reso sincero e veramente reale solo con un matrimonio o con dei figli. E l’altro amore a cui pensava era quello di cui si era sentita privata alla separazione dei genitori.

Passò più di un anno prima che la situazione tra i due giungesse ad un punto decisivo. Helen lentamente abbassava le sopracitate barriere che costruiva intorno a sé per farsi conoscere da Sean, il quale a poco a poco ricomponeva quel grande, complicato puzzle che era la sua mente, i suoi pensieri, il suo animo, il carattere, i ricordi e ancor più tardi… le emozioni, i sentimenti, le paure.
-Helen…- Sean si fermò di colpo a chiamare l’altra durate una delle solite passeggiate sul molo di Olivinopoli, che però in quel momento smise di promettere normalità. La ragazza lo imitò e si girò verso di lui, interrogativa.
-Cosa c’è?- chiese infatti.
-Per favore, dimmi sinceramente perché sei così… schiva. Rancorosa. Chiusa in te stessa…- mormorò lui, fissandola negli occhi. Sospirò non appena lei distolse lo sguardo all’orizzonte e, prontamente, le afferrò il polso per impedirle di andarsene.
-Sean, non voglio parlarne.
-Dovresti invece! Sarebbe d’aiuto per te e per chi ti conosce, chi ti vuole bene!
-No!- esclamò lei infiammandosi. -Non sai cosa ho provato quando papà se n’è andato da quell’altra donna! Ha lasciato mia madre sola e l’ha condotta alla follia che poi ha spinto me a scappare…
-Helen, non fare la stupida!- ribatté il ragazzo. L’altra lo guardò nuovamente negli occhi. Non sapeva cosa pensare e di nuovo temeva di aprirsi, di essere giudicata impulsiva per ciò che aveva fatto. Aveva paura che quegli occhi suoi, cremisi, ardenti, vendicativi, la tradissero e riversassero in quelli profondi, espressivi e dolci di Sean tutti i suoi ricordi troppo violentemente. Se avesse voluto aprirsi a qualcuno, l’avrebbe fatto da sola e scegliendo cosa rivelare e cosa no. Non avere il controllo su di sé la disorientava e la spaventava.
-Non faccio la…
-È ovvio, non so cosa provi perché a me non è successo, ma proprio per questo non voglio giudicarti! Voglio solo conoscerti perché ci tengo molto a te, lo capisci o no?
Helen si bloccò. Sgranò gli occhi leggermente a mandorla mentre il cuore impazziva. Temeva di essere soffocata dalla valanga di emozioni che una semplice espressione le aveva liberato nel petto.
“Ci tengo a te.”
-Io, anche io… tengo a… a te- balbettò mentre si girava, liberandosi senza sforzo dalla presa dell’altro, cercando di nascondere l’evidente, imbarazzante rossore che le aveva invaso il volto.
Sean sorrise. Intenerito. -Dai, Helen, a me puoi dire tutto. Voglio davvero conoscerti bene…
La ragazza non sapeva che fare. Voleva confessargli ciò che provava ma qualcosa la bloccava. Voleva spiegargli perché era fuggita senza dare una spiegazione sommaria, ma non sapeva da dove cominciare. Voleva parlargli di sé ma, nonostante le rassicurazioni, aveva ancora paura di essere criticata…
-Sean, davvero, non me la sento- mormorò, la testa bassa.
L’altro era stranito. Certo, capiva il suo timore ad aprirsi, finalmente, a qualcuno interessato alla sua situazione, ma allo stesso tempo non riusciva a comprendere perché non lo facesse con una persona con cui addirittura conviveva. -Non devi avere paura.
Helen sospirò. -Le cose da dire sono tante, ma non riesco nemmeno a cominciare, capisci?- Sean restò in silenzio, così da spingerla a parlare. -Ho scoperto troppo presto cos’erano l’odio e il rancore, che adesso… provo… per mio padre. Non vorrei dirlo, è comunque un mio genitore, ma per colpa sua mia madre è praticamente impazzita, mi ha soffocata e mi ha tolto un sacco di libertà… Sean, io dentro di me sento il fuoco. E il fuoco non può essere limitato, perché tanto poi si libera e invade e distrugge tutto ciò che lo circonda.
-Hai distrutto qualcosa?- riuscì a chiedere semplicemente Sean.
Helen fece un mezzo sorriso. -Mia madre, penso.
-Come si chiamavano?
-Robert e Miriam. Lui era un bell’uomo, con gli occhi un po’ a mandorla come i miei… entrambi avevano la pelle chiara come me, da mia madre ho ripreso il castano dei capelli e degli occhi… però i miei sono anche rossi, non ho mai capito perché- fece Helen.
-Forse per il fuoco- replicò Sean sorridendo.
La ragazza ridacchiò. -Sì, penso proprio di sì… Comunque, non so se riesci a capire il perché di quello che ho fatto- tornò seria. -Ammetto che è stata una cosa impulsiva, ma mi sono sentita tradita nel profondo da mio padre e soffocata da mia madre. Non la sopportavo più. Non potevo fare niente che pensava fosse rischioso o che altro, invece papà…- quella parola così affettuosa, come “mamma”, le suonava strana. -L’ho detto, ci ha lasciate sole. E mamma è andata fuori di testa, sia per la sofferenza che per una situazione economica difficile…
-Come? Era disoccupata?- Sean non se lo aspettava. Era in una situazione di insopportabile disagio, come se si sentisse in colpa per il benestare della famiglia.
-No, ma non stavamo messe tanto bene senza papà. Comunque…- Helen riordinò i pensieri -Per farti un esempio della situazione con mamma, mi diceva di pensare a studiare e non ai Pokémon. A undici anni! Ti rendi conto? Capisco adesso che ne ho dodici e più, ma anche ora è ancora presto, non credi?- Sean annuì, mentre lei proseguiva: -Io volevo solo allenarmi almeno un po’ ogni giorno con Houndour e Larvitar, ma potevo farlo solo di nascosto.
-Hel, sai che dimostri più di dodici anni?- fece Sean quasi ammirato dopo qualche istante di silenzio.
L’altra si stupì e lo guardò interrogativa. Il ragazzo continuò: -Sì, sia per come parli, che per come ti comporti… anche il tuo viso sembra più di una quattordici o quindicenne, ma soprattutto il tuo modo di parlare e i tuoi atteggiamenti sono davvero maturi.
-L’ho detto ogni tanto… la situazione di mamma e l’abbandono di papà mi hanno fatta crescere velocemente. Forse anche troppo- bisbigliò Helen.
I due, ora, erano seduti sul molo di Olivinopoli. Altra gente passeggiava beandosi degli ultimi raggi di sole morente, bassi ma caldi. Helen era seduta a gambe incrociate mentre Sean sperava di riuscire a toccare con le dita dei piedi l’acqua del porto, senza ottenere molto successo data l’altezza del molo.
-Sean, sei un tipo marino…- constatò la ragazza, gli occhi cremisi vitrei mentre seguivano l’oscillare delle gambe dell’altro.
-Sì. Mi piace l’acqua. Mi piace nuotare, i Pokémon d’Acqua, mi sento a mio agio con il mare- replicò lui spensierato. Un sorriso si era dipinto sulle sue labbra. Amava l’argomento.
-L’acqua spegne il fuoco…
-Come?- Sean era disorientato. Helen aveva pronunciato quelle parole con una strana espressione sul volto e con uno strano tono di voce. Incantato, poco presente…
-Niente. Però è quello che fai anche tu con le mie emozioni più… come dire, oscure, cattive.
Il silenzio calò tra i due. Per Sean, la conversazione stava prendendo una piega indesiderata. Non era sicuro di amare Helen, o comunque di farsela piacere.
-Hel…
-Lascia stare, scusami- sussurrò lei. -Io vado a casa, ti aspetto.
-No, no!- lui si alzò in piedi di scatto, afferrandole di nuovo il polso. -Senti, dammi un po’ di tempo per pensare, per favore. Sono confuso.
-Cos’hai capito?
-Io…- un groppo in gola impedì a Sean di proseguire.
Quello che Helen aveva stretto da tempo si sciolse improvvisamente. -Ti amo, Sean.

Sean, sulle prime, non seppe come reagire. La ragazza sfiorò velocemente le labbra dell’altro con le sue, di quel magnifico color rosso intenso, sottili. Poi però si scostò subito e girò i tacchi, correndo via mentre lui, ripresosi dalla momentanea paralisi, gridava il suo nome con angoscia e preoccupazione.
Cosa doveva risponderle? Se l’avesse rifiutata, probabilmente si sarebbe chiusa ancor di più in sé stessa, e gli sforzi fatti fino a quel momento sarebbero stati una passeggiata in confronto a quelli per riallacciare i rapporti. Se invece avesse deciso di accettare di stare con lei, forse avrebbe fatto un torto a lui stesso: non era certo di ricambiare ciò che Helen provava per lui.
Doveva decidersi, e in fretta. Non voleva che scappasse di nuovo, e stavolta per colpa sua.
Ma lui già stentava a credere che una dodicenne - così come i ragazzi della sua età - potesse afferrare il vero concetto di amore e riconoscerlo da una semplice cottarella, nemmeno lui era sicuro di sapere cosa fosse il vero amore.
Sean teneva a Helen, ma forse più come ad una sorella o ad una migliore amica piuttosto che a una… fidanzata, o qualcosa di simile. Le aveva chiesto tempo per pensare, ma non gli sembrava chiaro se lei gliene avesse dato o no. Come al solito aveva agito d’impulso, si era confessata a lui e poi era scappata intimorita.
“Perché?! Perché ora?” erano le due domande che Sean continuava a gridare nella sua mente. Intanto si era di nuovo seduto sul bordo della passerella di legno del molo e aveva liberato dalle loro sfere Horsea e Kirlia, mentre una terza Pokéball restava al suo posto nello zainetto abbandonato a terra. Il primo si tuffò subito in acqua in cerca di qualche compagno di gioco o di lotte mentre l’altra guardava apparentemente distratta l’orizzonte. Ma Sean era sicuro che riuscisse a leggere le sue emozioni grazie ai suoi incredibili poteri.
-Dai, facciamoci un giro- decise infine. Kirlia si voltò di scatto verso di lui e Horsea riemerse a guardare la Pokéball che il ragazzo aveva preso.
-Mi sembra una vita che non ci vediamo- sorrise, rivolto alla sfera. Pigiò il bottoncino e in acqua liberò un magnifico esemplare di Lapras. Il grosso, bellissimo Pokémon gorgogliò felice al sentire l’acqua che fendeva con le sue pinne e il venticello della sera soffiargli appena addosso, poi rivolse i suoi grandi occhi scuri e profondi a Sean. Questo lo salutò come fosse un caro amico, e sicuramente lo era.
Lapras si avvicinò al bordo della passerella e Sean gli salì sulla schiena. C’era molto spazio e lui non ne occupava nemmeno la metà. Prese in braccio Kirlia per farla scendere e la fece sedere dietro di lui, poi chiamò Horsea. Il Pokémon voleva nuotare ma non sarebbe mai riuscito a stare al passo con quel grande Lapras, quindi anche lui fu preso in braccio, stavolta per rimanerci, da Sean.
-Andiamo, Lapras, sgranchisciti un po’ le pinne- sussurrò il ragazzo con voce gentile e calma al Pokémon. -Portaci dove vuoi, facciamoci un bel giro, ok?
Lapras esclamò felice e si allontanò dal molo, nuotando placidamente.

A sera, Sean sapeva di essere in tremendo ritardo, ma tanto in casa c’era solo suo nonno. E ovviamente Helen.
Si era chiusa nella stanza che era diventata sua dopo un po’ di lavori di ristrutturazione per ospitarla, a detta del nonno a giocare con Houndour, Larvitar e Quilava.
Aspettò un po’ per bussare alla sua porta, mentre il nonno, dopo avergli fatto qualche domanda disinteressata su dove fosse stato, si era ritirato in qualche altra parte della casa. Prima prese un respiro profondo, ripensando a tutto ciò a cui era arrivato ragionando sulla situazione e su come si doveva comportare, ma soprattutto esplorando e cercando di capire i suoi sentimenti.
O almeno, ci aveva provato. Era ancora insicuro su ciò che provava e voleva ancora tempo per pensarci, nonostante fosse consapevole del fatto che Helen sicuramente non avrebbe aspettato a lungo, piuttosto l’avrebbe scacciato come era solita fare… con un po’ tutti.
Bussò senza rendersene conto, stupendosi della sua stessa azione. Da dentro, Helen chiese chi fosse.
-Io- rispose semplicemente Sean.
-Che vuoi?- domandò ancora lei, schiva, ma la sua voce si era fatta più vicina. Si era spostata dietro la porta.
-Parlarti…
Helen tremava. Aveva paura di quello che Sean le avrebbe potuto dire, paura di confrontarsi con lui dopo tutto quello che era successo.Ma aprì ugualmente la porta, dopo aver inspirato profondamente cercando di darsi un contegno accettabile, che non tradisse alcuna emozione fastidiosa o sconveniente.
-Cosa mi devi dire?
Anche Sean fece un respiro profondo prima di parlare. -Helen, io ci ho pensato a lungo. Come dire… forse se non avessi pensato che tu mi amassi non me ne sarei accorto nemmeno io- il cuore della ragazza mancò di un battito -ma è così. Sentirti dire quelle parole mi ha sì scombussolato, ma mi ha anche dato una svegl…
Il resto della frase fu soffocato dall’improvviso abbraccio di Helen. Sean si stupì, ma poi liberò una risata sollevata, leggera, non divertita che contagiò anche l’altra. 

I primi tempi fu tutto un gioco, forse Sean non era tanto sicuro di ricambiare totalmente i sentimenti di Helen; la cosa fu dovuta sicuramente alla giovane età che permetteva loro di fare un po’ come pareva ad ognuno, senza preoccuparsi di mantenere un rapporto di totale rispetto e fiducia perché pensavano, intimamente, che la cosa non fosse poi tanto seria.
Ma lo divenne dopo un anno o due. Esploravano nuovi orizzonti insieme, facevano esperienze che li legavano più che mai, finché il tutto non sfociò nel vero amore. Capirlo fu un impatto forte, che per qualche tempo li allontanò per farli ragionare. Si chiesero se erano pronti per intraprendere strade a loro precedentemente chiuse ma soprattutto se volevano farlo insieme.
Prima uno e poi l’altra decisero che sì, lo volevano. Non limitarsi a prendersi per mano e a scambiarsi qualche bacio più o meno lungo e intenso, ma dopo altro tempo, quando si sentirono entrambi pronti, unirsi nel fare l’amore.
E crescere nella stessa casa, per i due, fu una cosa che ebbe alti e bassi.
Non era difficile trovare il tempo per stare insieme, ma forse proprio lo stare troppo tempo attaccati li costringeva a desiderare un po’ di tempo da passare da soli, liberi. A volte la comprensione, però, era sostituita da gelosia - in particolare da parte di lei - o dalla preoccupazione - per quanto riguardava Sean - e questo li mandava in crisi per un po’. Niente di serio, sicuramente, ma lui doveva impegnarsi per far tornare il sorriso sulle labbra di quella difficile, complessa ragazza.
Helen si buttava giù spesso perché temeva di non essere all’altezza dell’altro. La gelosia prima la faceva arrabbiare e poi la intristiva, vedere qualche amica di Sean la obbligava a ricercare suoi pregi e difetti e quindi paragonarli ai suoi. L’altro si impegnava a farle capire che stava bene così, con lei, e nonostante a volte si chiedesse come facesse a sopportare i suoi complessi non poteva fare a meno di cercare di aiutarla. La cosa, stranamente, non lo infastidiva come avrebbe creduto normalmente.
Sean invece si divertiva a farsi perdonare con un bacio quando la faceva ingelosire o la stuzzicava apposta, ed Helen non poteva fare a meno di scusarlo. Anche se lo nascondeva, pure lui era molto protettivo e segretamente possessivo nei suoi confronti, e vederla scambiare qualche parola con altri ragazzi lo faceva inevitabilmente incupire.
Forse questa sorta di possessività che entrambi provavano li faceva stare più uniti che mai. Non rischiavano di perdersi o di lasciarsi per qualcun altro, stavano bene così.
Lui a consolarla nei suoi momenti peggiori con parole dolci e affetto più o meno innocente, lei a ricambiarlo con radi, quasi unici, ma meravigliosi sorrisi sinceri che quasi solo a lui riservava. E Sean sapeva che questo era davvero tanto.

Helen univa i ricordi della loro relazione alla rinfusa, un meraviglioso disordine in cui le piaceva perdersi.
Creava nella sua mente un bellissimo collage di emozioni e ricordi che condivideva solo con Sean.
Perché loro due, insieme, non avevano bisogno di niente, se non della presenza dell’altro.



Angolo ottuso di un'autrice ottusa
Ok, poco ci mancava che mi dimenticavo di aggiornare Frammenti. Eh, dura vivere senza telefono... :c
Cooomunque. Prima storia d'amore. Cioè, è la prima volta che scrivo qualcosa di romantico e boh... che imbarazzo ahahahah
Spero vi sia piaciuta c: Non ho molto da dire stavolta, ma continuate a seguire i Frammenti d'amore (?) anche dagli altri Soulwriters.
Andy Black ha pubblicato il 1° e Barks il 6. Poi ci sono stata io oggi, e il prossimo è 
Son of Mumford il 16. Dopodiché abbiamo Levyan il 21 e AuraNera_ il 26.
Alla prossima!

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Capitolo 3
*** Ruins ***


3. RUINS
Frammenti. Stavolta di paure, intimi segreti e timori nascosti, che ci domandiamo se riusciremo mai a superare… forse con l’aiuto di qualcun altro sarebbe più semplice.

-Helen… svegliati, su.
La voce di Sean giunse alle orecchie della ragazza, che in quella fresca giornata di fine ottobre se ne stava ben avvolta e stretta nelle coperte. Dormiva sempre profondamente e ci voleva un sacco di tempo prima che borbottasse per avvertire che ormai, purtroppo, era sveglia.
-Ehiii… andiamo, dormigliona…
-Mmh- brontolò lei, strizzando gli occhi. Li riaprì dopo qualche istante, lasciandoli però ridotti a due fessure che non volevano far entrare quella poca luce che il pallido sole autunnale riusciva ad emanare. -Che ore sono?- chiese lei, immancabilmente.
-Le nove. Dobbiamo uscire, ricordi?
-Non mi va…
Sean sbuffò inarcando le sopracciglia: lui era già pronto per uscire di casa e farsi una passeggiata per Olivinopoli con la fidanzata ed altri due amici. -Non fare i capricci, ragazzina. Sbrigati piuttosto.
-Ma che giorn…
-Domenica- rispose subito lui, interrompendola. Con un gesto secco, afferrò il bordo della coperta che Helen aveva tirata fin sopra il naso e la tolse totalmente dal letto, buttandola per terra. Helen, che stava ben raggomitolata con le braccia che stringevano le gambe per infondere ulteriore calore, spalancò gli occhi rossicci e lo guardò malissimo.
-Ti odio.
-Non è vero- ribatté lui con un sorriso, poi la lasciò sola salutandola con un bacio sui capelli spettinati.
Helen, con lentezza immane, si mise a sedere e a riordinare i pensieri. Il primo che le attraversò la mente fu che era stata svegliata troppo presto l’unico giorno in cui poteva concedersi di dormire a lungo, poiché andava a scuola sei giorni su sette; poi si ricordò che tanto il giorno successivo era il primo di novembre e quindi avrebbe potuto dormire a lungo anche lunedì stavolta, poiché la scuola era chiusa. Rinfrancata da quel pensiero, si alzò strascicando i piedi e si diresse prima al bagno e poi a fare colazione.
Le ci volle qualche minuto in più, invece, per ricordare il perché dovesse uscire così presto. Il motivo era semplice: la sera sarebbe andata a fare il classico dolcetto o scherzetto insieme a Sean e altri due amici, che quella stessa mattina sarebbero venuti con loro a ritirare i costumi per Halloween. Avevano sorteggiato quattro costumi tra vampiro, mago, strega e animale e Helen doveva travestirsi da gatto. Non era granché entusiasta della cosa, ma se ne era fatta una ragione. Meglio di Amy che deve fare la strega, si era detta, e quindi aveva ordinato il suo costume ad un negozio. Sean invece era riuscito a convincere Mark, il suo amico d’infanzia, a fare il vampiro.
Dopo una mezz’oretta, Helen era pronta per uscire.
Si erano dati appuntamento tutti davanti al negozio che avevano scelto per procurarsi i costumi, e per farsi poi una breve passeggiata tutti insieme. Ciò che avevano richiesto era arrivato in tempo, per fortuna, e quindi si concessero un’ora per girare per la città.
-Ma allora dove andiamo? In che quartiere?
-Oh, no, io avevo in mente qualcosa di diverso- sorrise Sean, grattandosi il mento sul quale un accenno di barba stava iniziando a crescere più del solito.
-Cioè?- domandarono gli altri praticamente in coro.
-Volevo andare alle Rovine d’Alfa.
Helen sgranò gli occhi, ma gli altri parvero non accorgersi della sua reazione.

-Che te ne pare dell’idea di andare alle Rovine?- Sean aveva un sorriso enorme dipinto sul volto. Su di esso erano state dipinte anche due stelle proprio sugli zigomi e un paio di occhiali a forma di mezzaluna erano appoggiati sulla punta del suo naso, in equilibrio precario. Il resto del suo costume era composto da un cappello a punta e una veste lunga fino ai piedi - l’unica nota stonata nel tutto, poiché indossava comunissime scarpe da ginnastica. Non era però tanto importante poiché erano totalmente nascoste dalla veste.
A completare il look da mago c’era una bacchetta con una stella fosforescente che si illuminava al buio, abbastanza ridicola, e un mantello con uno strascico parecchio lungo. Il tutto era rigorosamente blu notte.
Helen espresse la sua felicità con un sorriso tirato. -È… originale. Come mai proprio le Rovine d’Alfa?
-L’altro giorno stavo leggendo alcune leggende metropolitane su internet che le riguardavano e ho detto, wow! Sarebbe fantastico andarci la sera di Halloween e provare a sfatare o confermare alcuni di questi miti… vero?
-Eh sì- borbottò Helen inquieta, mentre si ritoccava il trucco da gatto sul viso: la punta del naso era tinta di nero e su ciascuna guancia aveva disegnato tre baffi. Il resto del costume era nero e bianco. Si sentiva un po’ a disagio, ma la preoccupava di più il pensiero di andare alle Rovine d’Alfa.
Helen aveva il terrore degli Unown. Aveva visitato le Rovine da piccola e, nonostante fosse giorno e in compagnia dei genitori, gli Unown si erano accaniti su di lei apparentemente senza motivo. La madre Miriam, preoccupata, aveva trovato una spiegazione che stava più o meno in piedi, ma ora che era cresciuta si rendeva conto di quanto fosse banale.
Secondo lei, gli Unown erano stati attratti dal bagliore prodotto dalla gemma della collanina che Helen portava al collo da quando era piccola, un regalo del padre a cui non era mai stata in grado di rinunciare, nonostante le portasse alla mente ricordi sgradevoli ai quali avrebbe tanto voluto rinunciare. Era una semplice pietra rossa, la ragazza non sapeva dire nemmeno se fosse vera o no e soprattutto che tipo di pietra fosse, e al suo interno vi era un simbolo, l’ideogramma del fuoco. La pietra era piena di sfaccettature, non era quindi sferica, e l’ideogramma si specchiava più volte in ognuna delle facce.
Delle finestrelle facevano passare la luce e l’aria nelle stanze e nei corridoi delle Rovine, ed Helen si era messa a giocherellare con la collana, girandola più volte tra le mani mentre un timido raggio di sole la colpiva. Da lì gli Unown non l’avevano lasciata in pace ed aveva dovuto addirittura fuggire dalle Rovine, terrorizzata.
Da allora gli Unown le facevano sempre paura e anche ribrezzo, poiché il loro essere composti da un occhio e “arti” che andavano a formare i grafemi dell’alfabeto, oltre ad inquietarla, le facevano piuttosto schifo. L’idea di andare a fronteggiare quella che almeno un tempo era stata la sua paura più grande non la entusiasmava, quindi. Forse insieme a Sean e anche agli altri due amici sarebbe riuscita a farsi forza e a superare la sua paura? Lo avrebbe scoperto solo avventurandosi nei meandri delle Rovine la sera stessa, si disse sospirando.

Un pullman li portò alle Rovine e passarono anche per le vie di Amarantopoli. Helen cercò di ignorare le fastidiose emozioni che la attanagliarono per tutto il tempo che impiegò il pullman per attraversare le vie principali e poi uscire sul percorso 37, ma non poté non accettare con le labbra lievemente arricciate la nostalgia che quella bellissima città le trasmetteva.
La stretta di Sean sulla sua mano si fece più intensa mentre lei si sporgeva appena ad ammirare il teatro di danza, la Torre Campana, la Torre Bruciata, i caratteristici viali dalle pavimentazioni di mattonelle e le case dalla forma e dai colori che richiamavano l’Oriente*. Il suo quartiere era molto lontano dal tragitto compiuto dal pullman quindi nessun fantasma del passato la infastidì mentre si godeva la vista di gruppi di bambini travestiti o di ragazzi grandi come loro, che ancora apprezzavano quella festa bizzarra. Molte erano le zucche intagliate davanti le porte delle case, dentro le quali era stata posta una candela che illuminava i loro volti ghignanti di una luce di un arancio spettrale.
-Tutto ok?- le chiese con delicatezza Sean, mentre sui sedili dal lato opposto del pullman Amy e Mark ridevano sguaiatamente per motivi a loro sconosciuti.
Helen annuì, aveva ancora quel sorrisino appena accennato sul viso. Anche il ragazzo inarcò le labbra e strinse a sé la fidanzata, passandole un braccio attorno alle spalle.
Quando si ritrovarono sul percorso 37, l’emozione per l’aver rivisto la sua città natale accompagnò Helen per un altro po’ del viaggio fino alle rovine. Nel frattempo erano quasi le nove e lei non poteva negare di avere una gran fame come suo solito: non vedeva l’ora di scendere e magari scroccare a Sean un po’ del suo panino, oltre a quello per lei.
Poi però realizzò che scendendo si sarebbe ritrovata nell’ambiente più ostile che la sua memoria ricordasse, quindi il suo sorriso si spense lasciandola sola con i fantasmi che erano venuti a farle visita.
Arrivarono alle nove e un quarto circa, ormai sul pullman erano rimasti solo loro. Il conducente, un uomo in carne con radi, fini capelli scuri sulla testa, li salutò stancamente ricordando loro che dovevano riprendere il pullman lì a mezzanotte, altrimenti avrebbero dovuto aspettare fino alle otto del giorno successivo.
-Allora, capo, qual è il programma?- domandò ironicamente Amy, una biondina dal carattere esplosivo, a Sean mentre prendevano il passaggio tra il percorso 36 e le Rovine d’Alfa.
Sean rispose solo quando si ritrovarono sulla strada sterrata che si diramava tra le antiche costruzioni in pietra: -Esplorare. Esplorare finché non dobbiamo tornare sul pullman.
Helen subito colse la nota d’eccitazione nella sua voce: Sean amava esplorare e desiderava con tutto sé stesso poter viaggiare per le regioni e crearsi una vera squadra, non solo Lapras, Kirlia e Horsea. Quella era una sorta di piccola avventura e sicuramente sperava si concludesse con qualcosa di eccezionale.
-Dovete sapere che ci sono delle camere nascoste…- mormorò lui. -Purtroppo non potremo entrare in tutte perché dovremmo andare fino alla Grotta di Mezzo, ma almeno qualcuna riusciremo ad aprirla.
-E come dovremmo fare?- chiese Helen scettica. In fondo, se gli esploratori più esperti non avevano mai aperto queste fantomatiche sale, come avrebbero potuto loro trovare le entrate?
-Semplice. Si ha bisogno di determinati strumenti: le sale si richiudono dopo che uno ha finito di esplorare, ma almeno avremo la possibilità di provare che esistono davvero!
-Ma se si sa della loro esistenza che le esploriamo a fare?- Helen era ancora confusa.
Sean non le scoccò alcuna occhiataccia, cosa che avrebbe invece fatto in situazioni normali, preso com’era dalle emozioni: -Le entrate spesso sono bloccate dalla sicurezza… ma noi dobbiamo farlo. Dobbiamo eludere le guardie e scoprire cosa nascondono le Rovine d’Alfa!
Mark imprecò sorpreso ma subito dopo batté il cinque all’amico, gasato dall’idea che stavano andando contro le regole - cosa molto, molto strana per Sean. Amy era perplessa e Helen sconvolta, tanto che sbottò: -Non ci credo. Io me ne vado, ci vediamo sul pullman eh…
Stava davvero girando i tacchi per svignarsela, ma Sean afferrò una delle orecchie da gatto che aveva sul cappuccio del costume intero e poi la prese per un polso. -No no, cara Hel: chiama fuori i tuoi Pokémon, anche voi fatelo ragazzi, e cerchiamo un modo per entrare nelle varie sale. Va bene?
-Sì!- esclamò deciso Mark. Amy mormorò un timido “Va bene”, ancora poco convinta, mentre Helen cercava di non strepitare dalla frustrazione. Si limitò ad un secco: -Sei un cretino. Ti odio.
-Ti ho già detto che non è vero, sarò un cretino ma mi ami- sorrise Sean arruffandole la frangetta già spettinata di suo che spuntava da sotto il cappuccio, lunga fino a poco sopra le sopracciglia.
“Non mi piace… non mi piace per niente…” pensò Helen mentre dalla borsa che aveva a tracolla tirava fuori le sfere di Quilava, Houndour e Larvitar. Lo stesso fece Mark con Starmie e Weepinbell, Amy con una maestosa Ninetales e Sean solo con Kirlia.
-Kirlia, controlla se c’è qualcuno in giro- Sean decise di fare affidamento sui poteri psichici del Pokémon. Lei eseguì, chiudendo gli occhi cremisi e rimanendo a meditare per qualche tempo. Dopo un po’ li riaprì e fece segno al gruppo di seguirla.
-Cosa ha trovato?- mormorò Helen al ragazzo, mentre seguivano senza troppa fretta, cercando di fare meno rumore possibile, l’esemplare femmina di Pokémon Emozione.
-Probabilmente una sala scoperta dalla sorveglianza…
Era così, ma la sala era raggiungibile solo attraversando un laghetto. Mark si fece aiutare da Starmie mentre Sean si offrì di portare Amy e Helen con lui grazie al suo grande, meraviglioso Lapras.
La stanza che raggiunsero era immersa nel buio, ma i ragazzi erano muniti di torce. Sean guidò il gruppetto fino alla parete opposta all’entrata e la luce illuminò una scritta in caratteri Unown incisa su una lastra in rilievo. I ragazzi non avevano mai studiato quella lingua antica poiché era caduta in disuso, ma si erano portati anche un foglietto con su scritti tutti i grafemi Unown con i corrispondenti nella loro lingua.
-La scritta è luce- lesse Sean. -Cosa dovremmo fare?
-Beh,- Amy ragionò velocemente: era una ragazza sveglia e con i riflessi pronti. -illuminare l’incisione con le torce non ha prodotto alcun effetto, e sappiamo che dobbiamo compiere una determinata azione per aprire il passaggio. È o no così?
Sean annuì, quindi la biondina riprese: -C’è bisogno di un tipo di luce particolare, forse più forte o legata in qualche modo alle rovine… qualcosa che c’entri con i Pokémon?
-Kirlia, usa Flash- tentò Sean, sperando che fosse la cosa giusta da fare. Gli occhi del Pokémon si illuminarono e anche le creste rosse che aveva sul capo: dopo poco il tutto si spense.
Il ragazzo era visibilmente deluso. Non era successo nulla. Helen, nonostante tutto, non poté fare a meno di essere rattristata da ciò. Odiava vedere Sean affranto, avvilito da qualcosa, e pensò che avrebbe preferito dover affrontare la sua paura più grande, quegli esserini antichi e inquietanti, pur di vederlo nuovamente allegro ed eccitato all’idea dell’avventura.
Si rimangiò tutti quei pensieri quando la parete prese a tremare e il ragazzo esclamò sorpreso e felice. La lastra con l’incisione in Unown si ritirò nel muro e lo stesso fece parte della parete: si aprì un varco che dava su un breve corridoio affatto illuminato, persino la luce delle torce si perdeva nell’oscurità.
-Andiamo, ragazzi!- ordinò Sean. Lo seguirono in ordine Mark, anche lui fin troppo gasato per i gusti di Helen che lo seguiva. A chiudere la fila c’era un’insicura Amy che stringeva la coda del costume di Helen per paura di rimanere indietro.
Dopo solo qualche passo il corridoio si allargò e i ragazzi si accorsero di trovarsi in una stanza piuttosto larga. Kirlia usò nuovamente Flash e i ragazzi si accorsero che a terra, come a segnare i vertici di un quadrato, erano posati quattro strumenti. Se li spartirono: Sean prese la Pietralunare, Amy Radicenergia, Helen la Baccacedro e infine Mark un sacchetto contenente la Polvocura. L’odore emesso da essa e dalla Radice fece rabbrividire tutti i Pokémon dentro la sala. -Poverini…- sussurrò Amy. -Le erbe curative devono fare proprio schifo.
Uno sbuffo di Ninetales bastò a farle capire che era così.
Tutt’intorno alla parete erano incise altre frasi in Unown: stavolta nemmeno la lettura era comprensibile poiché la lingua in cui erano scritte era a loro sconosciuta. Helen controllò nervosamente l’orologio: erano ancora le nove e mezza.
-Sean, allora? Torniamo indietro?
-No, Amy, ci dovrebbe essere un qualche passaggio qui nei dintorni… controllate…
Helen sbuffò. Sean lo notò e le chiese: -Tutto ok?
-Più o meno…- replicò lei.
Il ragazzo la guardò interrogativo. Qualcosa non andava sicuramente. -Che ne dici di accendere un po’ di radio? Però teniamo il volume basso, non si sa mai. Secondo Kirlia non c’è nessuno nei paraggi.
-Buona idea- borbottò Helen. Prese il PokéGear e accese la radio, ma dopo averla sintonizzata la spense subito con un brivido di terrore quando udì i rumori che trasmetteva. Frequenze sconnesse, inquietanti e acute, seppur a basso volume, le fecero cadere il Gear di mano. Gli altri si voltarono e Sean subitò si preoccupò per lei. Nel frattempo la “musica” si era fermata. Helen tremava.
-Cos’hai? Cos’è successo, Helen?- chiese ansioso il fidanzato.
-Erano… suoni orribili- ansimò lei, gli occhi spalancati. Gli altri tre erano piuttosto perplessi: quasi non avevano fatto caso ai suoni emessi dalla radio e comunque non erano parsi così spaventosi.
Il motivo per cui avevano spaventato tanto Helen c’era: quando era piccola, durante la sua visita alle Rovine, aveva acceso la radio e quei suoni, oltre ad inquietarla - era bambina e facilmente impressionabile -, avevano attirato frotte di Unown.
E la cosa si stava ripetendo. Le scritte sulle pareti iniziarono a sparire, lasciando profondi solchi dove si trovavano poco prima. I ragazzi non se ne accorsero finché degli Introforza non colpirono alle spalle loro e i loro Pokémon.
Si voltarono: dozzine e dozzine di Unown li avevano accerchiati e stavano già caricando nuovi attacchi. I loro unici occhi erano quasi chiusi, stretti in smorfie rabbiose, ma la Ninetales di Amy riuscì a distrarli e a farli indietreggiare con un Turbofuoco che si espanse per tutta la stanza. Houndour, Larvitar e Quilava difendevano la loro allenatrice, con le spalle al muro, che farfugliava loro qualche comando.
Gli Unown, percepita la loro inferiorità, iniziarono a battere in ritirata per rinfilarsi nelle cavità che prima stavano occupando, ma parvero cambiare idea. Sean sapeva qualcosa su di loro: da soli non erano Pokémon particolari, ma quando si trovavano insieme emettevano strani poteri.
Alcuni Unown unirono i loro Introforza e una grossa sfera fiammeggiante si formò sopra le loro teste: erano gli Unown delle lettere F, U, O e C. Sean capì che la parola che stavano componendo era Fuoco, e che il loro attacco era una mossa di quel tipo. Lo disse a Mark, che ordinò a Starmie di attaccarli con Idropompa. L’impatto tra il fuoco e l’acqua causò una nube di fumo che si espanse per tutta la sala.
Sean nel frattempo si era avvicinato con Kirlia a Helen, la quale fissava con occhi sbarrati ciò che stava succedendo. -Helen, che ti prende?!
-Io… io…- balbettò lei, non sapendo come continuare.
Quello che pareva essere un Iper Raggio mancò di poco la testa della ragazza, distruggendo parte della parete alla sua destra. Gridò terrorizzata mentre Larvitar raccoglieva le rocce da terra e le scagliava sui nemici con un attacco Frana.
Nel frattempo il fumo si era diradato e Mark aveva individuato la via d’uscita. In un angolo della stanza una scala a pioli scendeva giù, e i ragazzi quasi si tuffarono su di essa per sfuggire agli attacchi degli Unown.
Larvitar continuava a mandare K.O. gli Unown che sbarravano loro la strada a suon di Frana e Morso. Il Pokémon pareva infervorato da ciò che la vista di quegli esseri stava facendo alla propria allenatrice e ignorava gli attacchi che gli stavano lanciando. All’improvviso si illuminò di luce bianca ed Helen, che in quel momento stava scendendo le scale, si fermò alla vista del proprio Pokémon che si evolveva, dopo anni passati insieme a vederlo in quella forma.
La sua sagoma mutò e si fece molto diversa dal mostriciattolo bipede a cui era abituata: ora era più grande, più pesante e cosa certa era ancora più forte. La luce si dissolse e ne uscì un Pupitar che non si fermò a contemplare il suo nuovo aspetto, anzi riprese ad attaccare con Frana gli avversari ancora numerosi, scontrandosi contro le pietre e lanciandole ai nemici. Quando questi presero davvero a indietreggiare, Helen lo ritirò nella sua Pokéball e raggiunse gli altri al piano inferiore.
Ripresero fiato, sconvolti. Sean invece chiese quasi subito alla sua ragazza: -Helen, tu sai qualcosa.
Lei non reagì, quindi lui insistette fino ad estorcerle qualche parola di bocca. -Io… sono già stata alle Rovine d’Alfa tempo fa. E non ne ho bei ricordi.
-Cosa ti era successo?- chiese Amy, i grandi occhi verdi spalancati dalla preoccupazione nel vedere l’amica in quello stato.
-Non so perché, ma… quando ho visitato le Rovine, gli Unown mi hanno praticamente aggredita. Anche allora avevo acceso la radio per tenermi compagnia, il posto non mi piaceva tanto, e i Pokémon sono stati probabilmente attirati dalle frequenze strane e mi hanno attaccata…- spiegò lei. -Da allora ho il terrore degli Unown. E rivederli oggi… non è stato molto piacevole.
Sean stringeva i pugni. -Andiamocene.
-Cosa?- chiese ingenuamente Helen.
-Ce ne andiamo. Non voglio stare qui un momento di più, né voglio che tu stia qui un ancora.
Helen non sapeva cosa ribattere. Era assolutamente d’accordo, ma allo stesso tempo quasi le dispiaceva: pensava di aver rovinato l’avventura di Sean, e se c’era una cosa che detestava era rovinare i suoi piani. Non poté comunque dire nulla del genere, perché non era il momento di fare gli altruisti: quindi annuì e iniziarono a trovare un modo per uscire dalla nuova stanza in cui si trovavano.
Mentre scendevano un’altra scala non si accorsero di una scritta in Unown sul pavimento che iniziava a scomporsi e a seguirli.

Si ritrovarono in un corridoio spazioso pieno di statue di Pokémon che si susseguivano una dietro l’altra. Si fecero aiutare da Kirlia per trovare l’uscita e presto furono fuori, proprio sul vialetto principale. Se la diedero a gambe quando si accorsero che per le Rovine giravano svariate guardie e fu per miracolo che riuscirono a evitarli. Armati di pazienza, aspettarono a lungo il pullman girando per il percorso 36 e si fecero anche una passeggiata per la città di Violapoli, un centro piccolo, tranquillo e pittoresco.
Ma intanto gli Unown non si fermavano e nelle Rovine d’Alfa si disponevano a formare la frase:

 
Presto troverai il tuo nemico in te stessa


 
*ho deciso solo per questa storia - forse - di inserire le regioni dei Pokémon nel nostro mondo. Scusate (?). Scusate anche per gli strafalcioni che ho scritto, può darsi che mi sia inventata un sacco di cose solo per il bene della storia D: che casino... *va a piangere*
 
Angolo ottuso di un'autrice ottusa
Gnee~
Ciao a tutti, eccomi qua con il mio Frammento sul tema della paura e dei segreti - più o meno. Spero vi sia piaciuto, a me personalmente non convince tanto... ma spero di riuscire a fare qualcosa più al livello del gruppo con il prossimo, che sarà l'ultimo, e in particolare con la long che partirà a dicembre.
Scusate, è venuto più corto del solito - sempre se quello che scrivo io si possa definire corto :P - e ripeto che non mi convince, ma come dice la mia prof di latino e greco pazienzina, magari la prossima volta riuscirò a combinare qualcosa di decente, chissà~
Tra l'altro ora ho anche Ask quindi se qualcosa non vi è piaciuto di quello che scrivo potete insultarmi senza problemi con l'anonimo. Yep, perché Ask ce l'hanno i fighi e le Balene Depresse che devono postare le foto delle loro pinne piene di tagli sanguinanti e cicatrici. Chiedete e Sarah se ne farà una.
Chi pubblica prossimamente? Mh, vediamo.
~ Intanto abbiamo avuto Andy Black il 1°, Barks in ritardo che doveva postare il 6 *ringhia* e io, Eleanor_, oggi, l'11.
~ Vespus il 16 ottobre;
~ Levyan il 21 ottobre;
~ AuraNera_ il 26 ottobre.
Grazie per l'attenzione e alla prossima!
*corre a cominciare il nuovo capitolo di Not the same story*

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Capitolo 4
*** Again ***


4. AGAIN
Frammenti del passato. Del passato che fa male, che ci tormenta con i suoi fantasmi.
E i ricordi ci trasmettono brividi freddi, sgradevoli e sgraditi alla nostra sensibile spina dorsale.
C’è un modo per dimenticare? Cosa faremmo se il doloroso passato ci si ripresentasse davanti all’improvviso?
E ancora… se decidessimo noi di affrontarlo?

Proprio quello a cui iniziava a pensare Helen.
Si era stancata di convivere con le sue paure e non riuscire a darci un taglio, voleva fronteggiare il suo passato e non averne paura. Ok, forse avrebbe evitato di farlo da sola, ma con l’aiuto di qualcuno sperava di farcela una volta per tutte.
Si guardò allo specchio. Era la mattina del primo novembre, il giorno successivo agli eventi accaduti nelle Rovine d’Alfa - la gita era risultata un disastro a tutti gli effetti - , si sistemò i capelli mossi spazzolandoli velocemente e poi continuò a studiarsi.
Il suo sguardo si spostò dalle labbra poco grandi, per niente pronunciate, fino al nasino all’insù che Sean trovava tanto divertente punzecchiare. Sbuffò mentre finalmente i suoi occhi incontravano quelli della sé stessa riflessa sul vetro.
Rosso. Ultimamente le tracce di marrone nelle iridi erano definitivamente scomparse per cedere il posto a quel colore innaturale. Lo trovava molto bello, enigmatico, ma innaturale. La faceva sentire diversa e la cosa non le andava molto a genio, perché troppo spesso la gente per la strada la guardava davvero a lungo.
Molte persone non riescono a capire quanto mettono a disagio gli altri.
Secondo Helen il tatto era stato praticamente dimenticato, così come la sensibilità e l’empatia. Cose fondamentali per il rapporto con le altre persone. Helen sapeva quando essere gentile, premurosa e protettiva con coloro a cui voleva bene o chi ne aveva bisogno… ma era altrettanto brava a non preoccuparsi minimamente del prossimo, tanto da apparire menefreghista ai più.
Ma dell’opinione altrui non le interessava più da molto tempo.
-Toh, che menefreghista sono- brontolò, le sopracciglia sottili inarcate. Sorrise.

-Che cazzo ho fatto…?!
Sean avrebbe tanto voluto squarciare con le sue stesse mani il cuscino su cui si era accanito.
Non poteva credere di aver fatto tanto del male alla sua Helen e di non essersene accorto finché la situazione non era degenerata, fino a diventare insostenibile non solo per lei, ma per tutti e quattro loro.
Era colpa sua. Lui aveva avuto l’idea di visitare le Rovine per scoprirne i segreti e la sua amata ci aveva rimesso. Quello che era successo non poteva essere cambiato, ma avrebbe dato qualsiasi cosa per poter tornare indietro di qualche ora e impedire al sé stesso della sera prima, anzi di giorni prima, di organizzare quella dannata gita.
Helen era chiusa in bagno da tantissimo tempo e lui non sapeva cosa stesse facendo, se stesse addirittura meditando di finire lì la loro relazione - la cosa fece saltare un battito al suo cuore. -Ti scongiuro, no- pregò in un mormorio rotto dalla paura e dall’insicurezza.
Non sapeva cosa pensare: se la situazione gli fosse sfuggita di mano non se lo sarebbe mai perdonato, avrebbe perso definitivamente la ragazza che amava da anni.
Se invece Helen avesse avuto la forza di lasciar correre, non se lo sarebbe mai perdonato comunque perché si sarebbe sentito ancor più in colpa nel ricordare che aveva fatto una colossale… stronzata. Solo così riusciva a definire ciò a cui aveva costretto la sua ragazza.
Sentì all’improvviso un timido, leggero bussare alla porta e il cuore perse nuovamente un battito. Andando avanti così gli sarebbe preso un infarto se quella situazione non si fosse risolta il prima possibile. Aprì la porta.
Non riuscì a spiccicare parola a Helen che lei lo abbracciò con forza. Dopo un primo momento di tentennamento ricambiò la stretta e rimasero così per lunghi istanti, assaporando l’uno l’essenza dell’altra. Sean affondò la mano tra i capelli sciolti di lei mentre l’altra le cingeva le spalle.
-Hel…
-Sean- lo interruppe lei -voglio tornare ad Amarantopoli.
Il ragazzo le chiese di ripetere, incredulo nell’aver sentito quelle parole. Helen disse esattamente le stesse cose e Sean subito ribatté con un secco, deciso e soprattutto amareggiato “No”.
-Come no?!- esclamò lei sorpresa. Si aspettava una reazione di positivo stupore alle sue parole, finalmente aveva deciso di pareggiare i conti con il suo passato… e ora la persona che avrebbe dovuto aiutarla e sostenerla le remava contro. “Qualcosa non va” pensò Helen dubbiosa e perplessa.
-Assolutamente no- disse freddamente Sean, con un tono intenzionato a liquidare il prima possibile la questione.
-E perché? Ho finalmente il coraggio di affrontare il mio passato e proprio tu mi vuoi ostacolare?!- Helen aveva quasi preso a gridare ora, frustrata dalle parole glaciali del ragazzo.
-Non ho intenzione di permetterti di farti nuovamente del male, ok? E poi dopo così poco tempo dalla gita di ieri!- il ragazzo mise teatralmente le mani tra i capelli spettinati, arruffandoli ancor di più. Se possibile era ancor più frustrato di lei, meravigliato dal fatto che lei sembrava aver rimosso gli eventi della sera precedente.
-Senti, non m’interessa cos’è successo ieri, voglio solo tornare ad Amarantopoli e vedere come reagisco. Forse ce ne andremo subito dopo aver messo piede in città, forse rimarremo un po’, non lo so…
-Non puoi fare come ti pare, Helen- borbottò Sean con disapprovazione. -C’è bisogno di organizzarsi. O andiamo, o non andiamo, e se vuoi fare ‘sta cosa si resta in città finché non finisce la “vacanza”- mimò le virgolette con le dita. -Ma comunque sia non andremo, non tornerai ad Amarantopoli per i prossimi dieci anni!
-Sì, vabbè, allora chiudimi in un convento di clausura!
-Non ho detto questo, cretina, ho detto che…
-Zitto- fece lei secca e seccata. -Che ti piaccia o no, noi torneremo alla mia città. E se non vuoi venire andrò da sola con i miei Pokémon. Ora che Larvitar è diventato un Pupitar mi può difendere ancora di più, e…
-E niente! Possibile che non capisci che sto cercando di rimediare al casino di ieri? Mi sento in colpa come mai prima d’ora, mi sento uno schifo, ho avuto paura che tu mi mollassi per la cazzata che ho fatto e ora mi chiedi di fare qualcos’altro che potrebbe farti nuovamente star male?!
Sean si fermò a riprendere fiato e avrebbe pure proseguito, ma si bloccò quando vide l’espressione mortificata di Helen.
“Allora vuole proteggermi…” pensò, abbassando la testa. Sean la abbracciò mentre il battito del cuore riprendeva i suoi ritmi consueti e lei, bassina com’era, appoggiò la fronte sul suo petto ampio.
Stava cercando di rimediare ai suoi errori, al fatto che non si fosse accorto di star facendo soffrire la sua ragazza. Stava male, davvero male per ciò che era successo… e aveva addirittura avuto paura che per il suo errore la loro relazione sarebbe finita.
Helen ricambiò l’abbraccio e stettero nuovamente un po’ in silenzio a coccolarsi durante quella fredda mattinata di inizio novembre. -Ok, va bene, ho capito. Ma…
Sean cercò di non sbuffare nel sentire quel “ma”. Si trattenne e Helen proseguì: -Io voglio davvero andare incontro al mio passato e sconfiggere tutti i miei fantasmi. Non sarà certo colpa tua se mi accompagnerai, perché sono stata io a volerlo… per favore…
Il ragazzo difficilmente riusciva a resistere alle sue richieste, dette con voce così dolce e supplichevole. Tentò di dissuaderla: -Ma Hel, se te lo facessi fare e tu ti sentissi male io starei ancora peggio.
-E perché mai?- Helen alzò la testa e lo guardò negli occhi, sinceramente sorpresa.
-Perché… ti avrei permesso di star male, in un certo senso.
Lei inarcò le sopracciglia in un’espressione comica. -Non dire sciocchezze.
-Non sono sciocchezze!- si lamentò l’altro. -È molto importante invece!
-Quando partiamo?- fece lei.
Sean si rassegnò. -Peggio per te, cretinetta- ripeté, per poi schioccarle un lieve bacio sulla fronte.

Helen dovette aspettare ancora un bel po’ di tempo, però, per tornare ad Amarantopoli. Impegnati com’erano sia lei che Sean con la scuola, decisero di ritagliare qualche giorno delle vacanze natalizie per andarci. Non erano ancora maggiorenni perciò sarebbero stati ospitati da alcuni amici della famiglia Morgan.
I giorni di novembre trascorsero velocemente, secondo Helen per fortuna: non le piaceva quel mese. La foschia, ogni mattina e a volte anche al crepuscolo, si posava sul mare e nascondeva l’orizzonte dai colori, prima accesi dal sole estivo, ora spenti dal clima autunnale e invernale.
Il carico di compiti era piuttosto pesante e poche volte prima delle vacanze stesse Helen e Sean ebbero l’occasione di uscire insieme agli amici. La ragazza studiava in un liceo linguistico e lui al classico.
Ma Natale e le vacanze arrivarono salvando i nervi dei due, fin troppo provati durante quell’anno scolastico. I genitori di Sean fermarono i loro viaggi intorno al mondo per tornare a Olivinopoli fino al 27 dicembre, giorno in cui sarebbero partiti per i paesi orientali. Il 28, invece, Helen e Sean avrebbero lasciato casa fino al 3 gennaio e poi sarebbero tornati.
Helen non era tranquillissima, ma se lo aspettava. Sapeva di non essere fredda e imperturbabile come a volte riusciva ad essere, in un modo a lei del tutto sconosciuto, il suo ragazzo. Con gli estranei sapeva essere aperto, disponibile e solare, al contrario di lei; ma quando doveva confrontarsi con chi non gli stava a genio, Helen quasi lo ammirava per il suo carattere. Le piaceva questo suo “lato oscuro”.
Inoltre, per la prima volta, i due avrebbero passato il capodanno lontani da casa e avrebbero partecipato ai festeggiamenti di Amarantopoli, famosi in tutto il mondo per la loro bellezza, creatività ed originalità.
Novembre fu un mese duro sia per la scuola, sia perché era brutto agli occhi di Helen, sia per l’imminente viaggio. Anche per Sean non era un gran mese: i suoi preferiti erano quelli estivi, quando poteva passare intere giornate al mare a nuotare o ad allenare i suoi Pokémon. Mancava poco perché le sue Horsea e Kirlia evolvessero rispettivamente in Seadra e Gardevoir; ogni momento libero era buono per andare ad allenarsi insieme a Helen.
I Pokémon di lei non crebbero molto ma presto si sarebbero evoluti anche Quilava e Houndour, finalmente. Erano anni che li conosceva in quella forma e mai era riuscita ad allenarli per bene, mai aveva avuto abbastanza tempo per dedicarsi totalmente a loro.
Almeno erano in grado di difenderli, e questo era ciò che contava.
Quello del Natale fu un bel periodo: i genitori di Sean tornarono a casa e come al solito furono molto solari, gentili, premurosi e disponibili con i due ragazzi. Il nonno di lui poté star via per fatti suoi qualche giorno anziché fare da guardia ai due fidanzati.
Helen li trovava un po’ soffocanti, ma voleva loro un gran bene ed era loro riconoscente per tutto ciò che avevano fatto. Se avessero saputo che stava per tornare nella città da cui era scappata avrebbero sprangato porte e finestre di casa, ma non ci fu motivo di spiegare cosa avrebbero fatto dopo la loro partenza. Mike e Linda portarono come regali una vagonata di ricordini provenienti dalle più disparate zone del mondo e anche inutili quanto carini.
Festeggiarono il Natale da soli, loro quattro, perché era una delle poche occasioni in cui potevano riunirsi insieme e volevano condividere quei momenti solo tra loro e nessun altro.

Amarantopoli e Olivinopoli erano abbastanza vicine, tanto che Sean e Helen intrapresero il viaggio in autobus. Non c’erano molte persone a bordo e poterono sistemare le valigie - non troppo piene e grandi, comunque - come più gli faceva comodo.
Quel giorno il sole faceva capolino dalle nuvole ogni tanto e scaldava appena appena la strada, gli alberi, i prati… e un po’ più tardi anche le mattonelle, la pavimentazione delle vie della città da cui proveniva Helen.
L’autobus li lasciò poco fuori dalla città. Appena varcarono gli antichi, maestosi cancelli che segnavano l’ingresso in Amarantopoli, Helen ebbe un tuffo al cuore. Prese a battere forte, molto più di quanto aveva fatto durante il viaggio verso le Rovine d’Alfa.
Doveva realizzarlo per bene. Era… a casa. Dopo anni passati a scappare da quella città, eccola tornare di sua volontà. Non le sembrava vero.
L’aria di Amarantopoli era tutta particolare. Si vedeva che era lontana dal mare, al contrario di Olivinopoli che era una città marittima, con il porto, il molo, la spiaggia e il famoso faro.
La Torre Campana svettava sopra gli edifici dal gusto orientale, nessuna costruzione presentava colori freddi. Le case avevano i tetti rosso-arancio e le pareti color porpora. Tutti i colori erano accesi dai tenui raggi di sole. La Torre era più lontana rispetto alla città, separata da essa da un fitto boschetto di alberi dalle foglie rosse e gialle, autunnali.
Helen ricordò le primavere ad Amarantopoli: i Pidgey che volavano per il cielo della città, gli Hoothoot con il loro verso lugubre che riempiva la serata, Vulpix e Sentret che scorrazzavano per le città liberamente o in compagnia dei loro allenatori. Le aiuole fiorite, il laghetto con la fonte, i marciapiedi larghi… poche macchine giravano per la città, in favore di una grossa percentuale di mezzi come le biciclette o, più semplicemente, i propri piedi.
Helen sentì qualcosa sopra la spalla e si voltò di scatto per incontrare lo sguardo tranquillo e rassicurante di Sean. Il ragazzo le sorrise e lei ricambiò, socchiudendo gli occhi cremisi e poi distogliendo lo sguardo.
Si incamminarono verso il centro della città, mentre Sean cercava di intavolare qualche conversazione per distrarre la ragazza, timoroso che potesse mostrare segni di disagio… eccessivi.
-Potrei sfidare il capopalestra Angelo, sai? Dovrei prima ottenere la medaglia di Chiara, in realtà, ma molti mi hanno detto che è più difficile battere lei e la sua Miltank. Sono un duo molto forte, perciò ho deciso che presto andrò a sfidare Angelo. Se non riuscirò a batterlo avrò un po’ di tempo per recuperare, resteremo qua quasi una settimana…
Helen ogni tanto annuiva o mormorava un “Mh” mentre con lo sguardo esplorava i dintorni, le vie, in cerca di negozi o punti di riferimento che le erano stati tanto familiari da piccola.
Ma era tutto cambiato. Non riconosceva più nulla, eppure Amarantopoli l’aveva esplorata in lungo e in largo in cerca di angoli nascosti dove giocare con Larvitar, Houndour e altri Pokémon e ragazzini. Conosceva quella città come le sue tasche, ma ora le erano familiari solo i nomi delle vie.
Solo quelli erano rimasti immutati. E casa sua? La madre viveva ancora là oppure se n’era andata anche lei?
Si chiese se volesse saperlo, se volesse scoprire come era cambiata la vita di Miriam dalla sua fuga. Avrebbe mai avuto la forza di tornare nella via dove abitava? Ricordava bene, d’altronde, il numero civico e la zona di casa sua.
E se per puro caso si fosse imbattuta nella madre mentre girava per le strade con Sean? Quale sarebbe stata la sua reazione? Non sapeva nemmeno lei che risposte dare a queste domande.
Ma se avesse trovato il coraggio di visitare il suo vecchio quartiere, l’avrebbe fatto l’ultimo giorno di “vacanza”, per evitare di rovinare il tutto.
L’albergo che avevano prenotato si trovava nella zona centrale della città. Era piccolo ma confortevole, c’era tutto ciò di cui Helen e Sean avevano bisogno per quella breve settimana ad Amarantopoli.
Sean osservò attentamente la ragazza in cerca di qualcosa che gli potesse comunicare il suo stato d’animo: se fosse sempre in tensione o agitata era la sua prima preoccupazione. Ma quando passò il primo giorno fu molto insicuro riguardo le sue osservazioni.
Helen sembrava a proprio agio. Le cartine di cui si erano muniti per visitare la città non le servivano, anzi faceva lei da guida a Sean. Lo portava con sicurezza nei caratteristici vicoli che si facevano strada tra gli edifici e conosceva le zone verdi e i musei più interessanti.
Eppure, come confessò al suo fidanzato, erano cambiate molte cose. Non aveva più i punti di riferimento a cui si affidava da bambina. La cosa velò la sua espressione di malinconia, ma dopo poco si riprese.
Un po’ perché era davvero sincera, un po’ perché voleva impedirsi di star male. Soprattutto ora che non si sentiva più fragile, anzi si credeva addirittura forte, coraggiosa. Si era spinta nel luogo che prima per lei era un tabù.
Ma ora ripeteva la parola “Amarantopoli” ad alta voce, oltre che nella sua mente.
Sean, quando lei non lo guardava ed era occupata a mostrargli qualcosa, sorrideva fiero della sua ragazza. Helen non seppe subito spiegarsi il motivo di un suo improvviso abbraccio, ma dopo poco capì.
Le sue labbra si distesero in un ampio sorriso.

-Cosa vediamo ora?- chiese Sean dopo aver scattato qualche fotografia alla Torre Bruciata e alla Torre Campana.
-Ho visto che al teatro della città c’è uno spettacolo delle Kimono Girls programmato per la sera del 31 dicembre. Che ne dici? Ti va di vederlo?
-E me lo chiedi pure? Ovvio!
Sean di rado aveva potuto ammirare le famose danze delle Kimono Girls, venerate ed elogiate unanimemente dalla critica e dal pubblico. In pochissime occasioni qualche loro spettacolo non era piaciuto granché.
Si esibivano di rado anche per preparare bene le coreografie, la musica e i copioni, ma l’ultimo dell’anno, i solstizi e gli equinozi erano date obbligatorie in cui esibirsi.
I due prenotarono un paio di biglietti online appena in tempo, poiché come al solito andavano a ruba. Era la mattina del 30 dicembre e quel dì passò tranquillamente tra visite e passeggiate.
Il giorno successivo, invece, Helen e Sean si alzarono presto. Lui aveva intenzione di sfidare Angelo. Era molto in tensione, preoccupato per l’esito della battaglia, e certamente non intenzionato a perdere.
L’esterno della Palestra di Amarantopoli era identico a quello di tutte le altre della regione di Johto, ma quando varcarono l’entrata Helen strinse più forte la mano del fidanzato.
La palestra era immersa nell’oscurità. Una nebbia nera, densa, nascondeva l’intera Palestra agli occhi dei due.
-Serve aiuto?- domandò gentilmente una voce, che però fece sobbalzare un’agitatissima Helen.
-Salve- salutò invece Sean con tranquillità, rivolto verso un uomo che era spuntato dalla foschia scura. -Vorrei lottare contro il Capopalestra Angelo.
-Capitate nei giorni giusti: non c’è nessun allenatore che ha prenotato e Angelo è libero. Prego!- li invitò l’uomo, che Helen identificò come la “guida alla Palestra”. Egli indicò una porta sul fondo: la parete più lontana andava mano a mano dissolvendosi nella nebbia. -Entrate là, io avverto Angelo di prepararsi. Chi è lo sfidante?
Sean alzò la mano. -Io. Ho due medaglie, comunque. Non ho preso quella della Palestra di Fiordoropoli.
-Nessun problema. Andate pure.
I due fidanzati aprirono da sé le grosse porte di legno ed entrarono nella vera Palestra. Un grandissimo campo di lotta li divideva da Angelo. Il Capopalestra era appoggiato con la schiena al muro e li osservava sorridendo, con l’aria di chi sta aspettando da un po’ qualcuno.
-Benvenuti- mormorò, una nota lugubre nella voce. -Io sono Angelo, il Capopalestra di Amarantopoli, specializzato nei Pokémon Spettro. Tu sei…?- domandò rivolto a Sean.
Il ragazzo si presentò. Era piuttosto in tensione. Le medaglie di Valerio e Raffaello le aveva ottenute mesi prima, in estate, e non era sicuro di essere ancora “abituato” alle lotte in Palestra.
Dopo aver ricordato le regole e stabilito il numero totale di Pokémon da usare, la lotta cominciò. Sean mandò in campo Horsea e Angelo un Gastly.
Il piano di Sean era fare sì che Horsea evolvesse durante lo scontro con Gastly. Il professor Elm, ormai amico di famiglia, aveva controllato i suoi dati al pc e aveva notato che mancava pochissimo al momento della sua evoluzione.
-Gastly, usa Malosguardo- ordinò placidamente Angelo.
Il Pokémon sparì, lasciando Sean e Horsea di stucco. Riapparì poco dopo, il volto a pochi centimetri da quello della Horsea. I suoi grandi occhi erano illuminati di luce rossa e il Pokémon Acqua si impietrì.
-Horsea, scaraventalo via con Surf!
Horsea, che si teneva in equilibrio precario sul terreno, fece un piccolo saltò e piroettò su sé stessa, dando vita ad un’onda d’acqua di inaudita potenza che si abbatté su Gastly, arrecandogli non pochi danni.
-Usa Leccata!
Sean temporeggiò. Gastly si avvicinò a Horsea e la attaccò, ma poi l’altra replicò con Acquadisale. Il Pokémon avversario era messo parecchio male, ma attaccò con Dispetto e la mossa divenne inutilizzabile a causa di quella sua maledizione. Ma ormai era fatta: Horsea usò di nuovo Surf e Gastly fu messo al tappeto.
Helen era dietro di Sean e osservava rapita la lotta. Trattenne il fiato all’unisono con Sean alla vista della luce bianca di cui Horsea si era appena illuminata. La riconobbe, era la stessa che aveva avvolto Larvitar poco tempo addietro e l’aveva trasformato in un Pupitar. Horsea quindi stava evolvendosi.
La sua sagoma mutò di forma e dimensioni finché la luce non divenne troppo accecante per guardarla, tanto che i presenti furono costretti a chiudere gli occhi. Quando li riaprirono, una Seadra esclamava fiera e orgogliosa di essersi finalmente evoluta.
-Non ci credo…- mormorò Sean ammirato.
Angelo non si fece dominare dalle emozioni e, continuando a sorridere sornione, lanciò la sua seconda Ball in campo. Gengar. Iniziava subito a fare sul serio.
Seadra però non pareva spaventata e, dopo aver bloccato con Surf una Palla Ombra, gli scagliò l’onda addosso. Il Pokémon indietreggiò ma insistette con Palla Ombra e riuscì a colpire Seadra, la quale stava cercando di non apparire affaticata dalle due lotte.
-Ora usa Ipnosi!- ordinò Angelo.
Il sonno di Seadra fu decisivo per l’esito della lotta: bastarono altre due Palle Ombra per metterla K.O.. Sean scelse Lapras come secondo Pokémon, sperando che le sue ottime difese si rivelassero d’aiuto nella battaglia.
-Usa Stordiraggio, Lapras!
Un raggio di luce che partiva dal corno del Pokémon Acqua e Ghiaccio attirò l’attenzione di Gengar e in breve lo confuse. Il Pokémon si colpì da solo con Palla Ombra e svenne dopo un paio di Geloraggio.
Mancava l’ultimo Pokémon di Angelo, che rivelò un Haunter. La battaglia fu breve e volse a favore di Sean: Lapras era eccezionale in battaglia, resisteva bene e assestava colpi durissimi che mandarono al tappeto Haunter presto.
Angelo, alla fine della battaglia, aveva ancora quel sorriso beffardo e placido dipinto sul volto pallido. Dalla tasca dei pantaloni tirò fuori una Medaglia dipinta di viola, a forma di nuvoletta stilizzata.
-Questa è la Medaglia Nebbia. Ti conviene andare a prendere quella della Palestra di Fiordoropoli, ora. Batterai Chiara senza problemi, sei un ottimo Allenatore. Complimenti- si congratulò Angelo.
Sia Sean che Helen sorridevano. Strinsero la mano al Capopalestra e se ne andarono, soddisfatti.

-Pensavo peggio- fu il primo commento di Sean appena uscirono dalla Palestra.
-Anche io! Sei stato bravissimo, amore!- Helen stampò un bacio prima sulla guancia del ragazzo e poi sulle sue labbra.
I due sorrisero e, prendendosi per mano, proseguirono la loro ennesima passeggiata per le vie di Amarantopoli. Ormai era quasi l’ora di pranzo e le strade erano deserte, in attesa di essere affollate dai giovani festanti la sera stessa.
Passarono dal Centro Pokémon per rimettere in sesto sia Lapras che Seadra e poi andarono a pranzo al ristorante. Ora entrambi erano molto curiosi di assistere allo spettacolo al Teatro di Amarantopoli e confermare le voci secondo cui le danze delle Kimono Girls avessero un non so che di magico.
E lo fecero, promossero a pieni voti lo spettacolo a cui assistettero.
Il Teatro di Danza era una costruzione sobria ma elegante. Rispettava lo stile esotico di Amarantopoli ma comunque si distingueva: i colori sgargianti del blu e dell’arancio spiccavano soprattutto la sera, illuminati dalle torce e dalle lanterne sulle quali erano dipinti ideogrammi e disegni anch’essi dal sapore orientale.
Già alla vista esterna del Teatro, Sean e Helen erano impressionati dalla sua bellezza. Si sentirono insignificanti e piccoli piccoli. Si erano vestiti il più elegantemente possibile per non “sfigurare”, temendo le occhiatacce degli eventuali spettatori molto ricchi. Entrambi si sentivano un po’ a disagio in quei vestiti, non erano abituati.
Lo spettacolo iniziava alle nove, mancavano dieci minuti quando la coppia si sedette. I loro posti, essendo gli ultimi rimasti, non erano vicini al palco ma esso tutto sommato si vedeva bene.
L’atmosfera era rilassata ma al contempo pervasa da una grande trepidazione, il pubblico fremeva per assistere ad uno degli eventi più attesi di tutto l’anno ad Amarantopoli, se non nell’intera Johto. I posti accanto a Helen erano occupati da un’anziana coppia che, a giudicare dall’accento e dal modo di parlare, pareva provenire da Azalina.

-Inizia!- Helen sussurrò quella che avrebbe dovuto essere un’esclamazione quando la presentatrice richiese il silenzio totale. La donna fece il suo breve discorso rituale, non c’erano dubbi che fosse molto simile a quelli che pronunciava prima degli altri spettacoli; poi si ritirò dietro il sipario color bordeaux, mentre partivano gli applausi meccanici del pubblico.
Dopo lunghissimi istanti d’attesa, una singola nota riverberò nel silenzio, prodotta da uno strumento a corde. La musica, come da tradizione del Teatro quando si esibivano le Kimono Girls, proveniva dai paesi dell’ lontano Oriente. La melodia accompagnò il lento movimento del sipario che si alzava e rivelava dietro di sé… il buio.
Passò un altro lungo momento che bastò a Helen per chiedersi quando sarebbe, finalmente, partito lo spettacolo. Ma non fece in tempo a finire quel pensiero che cinque luci si accesero, una seguendo l’altra, illuminando le pose composte che avevano assunto precedentemente le ballerine.
I loro abiti, gli eleganti e coloratissimi kimono, erano quasi tutti uguali ma differivano per i colori. Uno era bianco decorato con motivi astratti, neri; un altro per la maggior parte nero e sulla stoffa erano stati ricamati dei fiocchi di neve candidi. Gli altri tre erano sfumature diverse di celeste, blu e azzurrino, la cui freddezza era però compensata da una percentuale di colori caldi.
Solo alla vista dei bellissimi kimono, l’attenzione di Helen e Sean - e probabilmente del resto del pubblico - era stata catturata.
Poi, lentamente, le figure di quelle donne presero vita e iniziarono a danzare.
Passò qualche minuto prima che i presenti potessero scambiarsi qualche commento, presi com’erano dallo spettacolo. Era qualcosa di magico e stupefacente, la rappresentazione ricreava l’ambiente di una foresta spogliata dall’inverno e le ballerine si muovevano leggiadre e perfette.
Ogni tanto una di loro si fermava e cantava con voce sublime, oppure continuava a muoversi, ma recitando anziché danzando. Dopo poco fecero la loro entrata in scena anche i Pokémon delle Kimono Girls.
Erano cinque delle evoluzioni di Eevee e, secondo il copione dello spettacolo, stavano aiutando le fanciulle perse nella selva buia, grigia, priva del manto verde primaverile o dei caldi colori autunnali.
-Oh… non ti fa venire la pelle d’oca la loro danza? È così bella che mi fa rabbrividire, sono così aggraziate e armoniose con i loro passi… e anche i Pokémon…- mormorò Helen.
-Già- sospirò Sean, ammaliato da quelle giovani donne bellissime. Helen gli aveva scoccato tantissime occhiatacce di nascosto, ma un po’ riusciva a comprendere la sua ammirazione verso quelle ragazze. Solo un po’, perché la gelosia offuscava tutto il resto.
-Tempo fa ci fu uno scandalo che le riguardò. Io ero piccolo, ma ogni tanto ne riparlano, anche in televisione- proseguì Sean dopo poco.
-Di quale stai parlando?
-Di quello in cui fu coinvolto il Team Rocket. Avevano rapito le Kimono Girls dato il loro stile di lotta… sono molto brave anche nei combattimenti, oltre che nella danza, nella recitazione e chissà quante altre cose… una di loro passò anche dalla parte del Team malvagio.
-Oh, sì!- Helen corrugò la fronte, ricordandoselo. -Noi eravamo piccoli, forse non eravamo nemmeno nati. Ma se ne parla spesso anche tutt’ora.
-Sì. E la popolazione di Amarantopoli fu sconvolta anche dal tentato assassinio di un bambino, sempre ad opera dei Rocket, che però è riuscito a salvarsi proprio grazie ad una delle Kimono Girls.
-Che schifo…- bisbigliò la ragazza, disgustata. -Come hanno potuto anche solo pensare di poter uccidere un bambino così… indifeso?
Sean scosse la testa, gli occhi vitrei a fissare i movimenti sinuosi e leggiadri delle ragazze, senza vederli realmente. Si riprese e continuò a parlare: -Grazie al cielo si sono sciolti una volta per tutte. Merito di quei ragazzi, com’è che li chiamano?
-Dexholders- rispose Helen mentre la prima parte dello spettacolo si concludeva e gli applausi sinceri del pubblico scrosciavano rumorosi, stavolta sinceri.
Sean annuì. L’intervallo fu breve e non parlarono per niente né durante la pausa né quando la rappresentazione teatrale riprese, e con essa il racconto della tenebrosa, indesiderata avventura che le sfortunate fanciulle stavano vivendo. La musica era intervallata dagli ululati dei lupi, il fruscio del vento che non incontrava foglie da scuotere e gli attacchi dei Pokémon rivolti a nemici e ostacoli immaginari.
Chissà come sarebbe stato vivere un’avventura, si chiedeva Helen. Proprio lei che aveva scoperto cosa si provava a lasciare casa e perdere tutto nella speranza di trovare un futuro migliore.
In alcuni momenti né lei né Sean capivano se si trovavano nella foresta spoglia, spettatori della frustrazione delle Kimono Girls disperate per essersi perse, oppure a teatro.
Quasi non fecero caso al momento in cui la musica iniziò a rallentare, a dissolversi pian piano, calando di tono. Una nota poco udibile ma decisa, la stessa che aveva dato inizio allo spettacolo, lo chiuse definitivamente.
Di nuovo gli applausi, stavolta anche esclamazioni ammirate - qualcuno si azzardò a gridare “Vi amo!”, suscitando l’ilarità dei presenti ma non quella delle imperturbabili ballerine.
Helen e Sean uscirono abbastanza presto, si era fatto piuttosto tardi: erano le undici passate. Meno di un’ora mancava ai fuochi d’artificio che sarebbero stati lanciati da una piazza della città occasionalmente chiusa al pubblico.
Il posto migliore in realtà sarebbe stata la Torre Campana o in alternativa la Torre Bruciata, ma per ovvi motivi non potevano essere violati quei luoghi sacri.
Le vie di Amarantopoli erano affollatissime da giovani, non tutti sobri e tranquilli. Helen stringeva forte la mano di Sean, il quale cercava di farsi strada tra la calca che li sballottava da una parte all’altra. I due erano in cerca di un posticino riparato, tranquillo, dove poter ammirare in pace lo spettacolo pirotecnico che avrebbe avuto luogo di lì a, ormai, mezz’ora.
Trovarono finalmente il posto perfetto in un parco dentro il quale si innalzava una collinetta. Una piccola terrazza, anch’essa purtroppo affollata, si trovava sulla cima di essa. I due si accontentarono di una panchina.
Si sedettero vicini, ancora in silenzio. Non sapevano perché non si stessero parlando da parecchio tempo, ma effettivamente non avevano nulla da dirsi.
Helen poggiò la testa sopra la spalla di Sean, poi dopo aver controllato l’ora sul cellulare - 23.41 - decise di rompere il silenzio, anche per passare i lunghi minuti che li separavano dallo scoppio del primo fuoco d’artificio. -Sono felice di aver assistito allo spettacolo delle Kimono Girls…
-Anche io- replicò Sean. -Non me l’aspettavo così… era perfetto. Non c’è stato un momento in cui la melodia abbia stonato, una ballerina si sia dimenticata un passo o un attacco dei Pokémon sia stato poco controllato.
-Chissà quanti anni servono per diventare così.
-Come?
-Nel senso… quanto tempo devono studiare la danza, la recitazione, il canto e probabilmente anche la musica. E le lotte Pokémon, ovviamente.
Sean annuì e la discussione cadde. Helen si sistemò meglio, mise la testa sul petto di lui che le cinse le spalle con un braccio. Dopo qualche minuto lui mormorò: -Helen, ti amo.
Lei non rispose, ma sollevò la testa e incontrò presto le labbra di lui.
Si baciarono a lungo, raccontandosi l’un l’altro i teneri sentimenti che provavano senza dover usare le parole. Gli occhi di entrambi erano chiusi, non c’era modo di tener conto del tempo, non ce n’era bisogno.
E presto i fuochi d’artificio si alzarono nel cielo, illuminando i volti innamorati dei due per brevi istanti.
I due interruppero insieme il bacio per augurarsi buon anno.



Angolo ottuso di un'autrice ottusa
Ehilà, gente! So che mi aspettavate l'11, ma a causa di vari impegni, scolastici e non, non ho avuto il tempo di finire il Frammento. Che poi quando ho avuto più tempo - grazie ad Andy Black che mi ha sostituita - ho scritto qualcosa come 4 pagine in più, ma dettagli :°D
E così si conclude la mia raccolta di Frammenti: questo è il mio preferito e penso si noti, mi piace molto. Spero che anche a voi sia piaciuto leggerlo, fatemelo sapere con una recensione!
Avviso i lettori di Not the same story che il capitolo è quasi pronto; Minaccia dallo Spazio invece no - manco ho iniziato ç.ç
Per il resto, ci vediamo a dicembre sul profilo in comune per la mitica long scritta tutti insieme!
Il 26 ricordatevi di passare dalla raccolta di AuraNera_.
A presto!

 
Eleanor

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