Darkness Falls

di _diana87
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Marchiata ***
Capitolo 2: *** E verrà il giorno... ***
Capitolo 3: *** Bisbigli. ***
Capitolo 4: *** Toccata. ***
Capitolo 5: *** La terra trema. ***
Capitolo 6: *** Crollano le certezze. ***
Capitolo 7: *** Smarrire la strada. ***
Capitolo 8: *** Discesa nelle tenebre. ***
Capitolo 9: *** Ancora nell'oscurità. ***
Capitolo 10: *** Un posto sicuro. ***
Capitolo 11: *** Io ti salverò. ***
Capitolo 12: *** Ognuno ha quel che si merita. ***
Capitolo 13: *** Nessuna luce. ***
Capitolo 14: *** Liberaci dal male. ***
Capitolo 15: *** Il rito. ***
Capitolo 16: *** Niente di cui aver paura. ***



Capitolo 1
*** Marchiata ***




Era una notte buia e tempestosa...

strano come tutte le storie dell’orrore inizino in questo modo,
vero, detective Beckett?”
 
***
 
Marchiata
 
 
 
Pioveva.
La pioggia si mescolava con le lacrime della giovane che correva disparata, voltandosi di tanto in tanto verso i suoi inseguitori.
Il respiro affannoso le faceva aumentare i battiti cardiaci; si dimenava come una furia cercando una via di fuga, anche se era consapevole che non ne sarebbe uscita viva.
Inconsciamente, si chiedeva cosa avesse fatto di male. Lei cercava solo di farsi una vita, cominciare realmente ad esplorare il mondo dopo la laurea, ed era così che la storia era cominciata. Un racconto comune a qualunque persona.
Ragazza incontra ragazzo, si interessano l’un l’altra e pian piano si conoscono; abbattono mattoncino dopo mattoncino il muro che li separa e si aprano per abbracciarsi e lasciarsi andare; sembrava che tutto stesse andando secondo i suoi piani e come avrebbe desiderato. I suoi genitori sarebbero stati contenti di lei.
E poi era accaduto l’imprevedibile. L’inaspettato. L’oscurità aveva macchiato i suoi giorni felici e il ragazzo, come in una brutta favola, si era trasformato in una bestia. Non sapeva descrivere esattamente cosa stesse accadendo intorno a lei, né se era stata drogata, perché se l’avrebbe raccontato in giro – ammesso che fosse riuscita a sopravvivere quella notte – nessuno le avrebbe creduto.
Asciugare le lacrime le sembrava una mossa assurda, dato che con la corsa, esse si scioglievano e venivano trasportate via dal vento. Inciampò e cadde a terra. Si mise seduta, poggiando la schiena sul muro di un vicolo cieco, e si prese del tempo per toccare il ginocchio sbucciato. Si morse il labbro inferiore in un gesto automatico. Quelli erano i suoi jeans preferiti. Aveva scelto proprio quelli per il suo appuntamento con quel ragazzo.
Pioggia e sangue erano diventati una cosa sola. Il dolore causato dalla caduta era niente in confronto a ciò che le avrebbero fatto da lì a poco. Lei doveva morire. Aveva visto e capito troppe cose.
Il gruppo di persone la raggiunse. Lei li guardò pregandoli solo con gli occhi, pieni di lacrime. Congiunse le mani in preghiera, si mise in ginocchio, nonostante le facesse un gran dolore.
“Vi prego, lasciatemi stare! Dio, ti prego salvami...” sussurrò l’ultima frase abbassando il capo.
Uno degli inseguitori si protese verso di lei, sghignazzando, poi la guardò serio, scuotendo la testa. Esibì il coltello ricurvo con delle incisioni in una lingua antica. La lama rifletteva gli occhi impauriti della giovane.
“Non c’è nessun Dio.”
 
 
 
“Dai, Castle, lasciami stare!”
“Su, siamo quasi arrivati!”
La detective sbuffa. Odia le sorprese, ma quel giorno è il loro secondo anniversario. Stanno insieme da due anni.
Con la benda sugli occhi, si lascia comunque guidare dal suo fidanzato. Lui la tiene stretta, conducendola da dietro. È un bravo guidatore e sa come trattare la sua adorabile detective. Anche se non le piace affatto quel genere di gioco, sorride perché si fida del suo scrittore.
D’un tratto si blocca. Appena le mani di Rick mollano la presa sulla vita, Kate cerca di annusare l’aria intorno a sé, nella speranza di individuare qualche indizio. Sente un odore nauseabondo, come di cadavere, come di un posto che non riconosce, e subito il suo sorriso cambia trasformandosi in una smorfia. Percepisce Rick abbassato a pochi centimetri da lei che bisbiglia qualcosa in sottofondo, ma non capisce esattamente cosa stia succedendo.
“Okay, ora puoi togliere la benda!”
Lo spettacolo che le si delinea davanti è proprio come aveva sospettato: orrendo. Nel vero senso della parola. Il corpo nudo e mutilato di una giovane giace per terra in posizione supina. Le braccia sono vicine tra loro, all’altezza della testa, e le gambe pure congiunte. Sembra che la giovane donna fosse stata legata e poi messa a terra. Si osserva intorno, chiedendosi se siano a New York. Come intuendo i suoi occhi interrogativi, Rick le risponde sorridendole, “Sì, siamo ancora a New York.”
Kate ricambia lievemente, scuotendo la testa, mentre si infila i guanti bianchi.
“Come sei romantico, Castle... è il nostro anniversario e mi regali una scena del crimine!”
“Non è solo una scena del crimine... guarda attentamente... non vedi segni di rituali?”
Rick, al contrario, è felice come un bambino. Si accovaccia vicino al cadavere, facendo attenzione a non oltrepassare i segni del gesso bianco intorno ad esso, e inizia ad osservare i vari segni sul corpo. Nonostante la situazione spiacevole in cui si trovano, Kate lo osserva e sul suo volto compare un ampio sorriso. Si avvicina a lui, posando la mano sulla sua.
“Direi che questa sorpresa è molto più piacevole per te che per me!”
Lo scrittore sorride di sottecchi perché ha per l’ennesima volta la conferma che la sua fidanzata è adorabile: nonostante la situazione in cui si trovano, lei stessa deve ammettere di non aver mai visto una cosa del genere.
“E’ tuttavia eccitante.” Gli sussurra.
“In realtà questa è la prima parte della sorpresa, il resto te la do stasera...”
Kate sorride maliziosa. Forse ancora non si rendono conto che sono sulla scena di un orribile crimine. “Ora sì che ti riconosco.” Quando sente la sua amica anatomopatologa che si schiarisce la voce, la detective si alza da terra. “Allora, Lanie, cosa abbiamo qui?”
“Per quel che sono riuscita a capire, tesoro... Donna sui vent’anni, tagli multipli sui polsi, caviglie e torace. Non ci sono segni di violenza sessuale, ma tuttavia avrò bisogno di un’analisi approfondita.”
Kate gira intorno al cadavere osservandolo accuratamente. Mormora tra sé come stesse pensando ad alta voce, poi nota qualcosa di decisamente strano. Si accovaccia di nuovo sulla vittima.
“Questo segno sul petto... è fatto con il sangue?”
C’è una stella a cinque punte rosse, ma vista dall’alto, la detective nota che c’è qualcosa di diverso. Le due punte sono disegnate in alto e non in basso.
Lanie alza un attimo lo sguardo dalla sua cartellina medica dove sta appuntando le sue cose, giusto per gettare un’altra occhiata veloce e poi tornare a scrivere. “E’ la stella di David. È il simbolo sacro per gli ebrei.”
“Un rituale sionistico?”
“Temo che quella non sia la stella di David. È un pentacolo rovesciato.” Le interrompe Castle, assumendo un’aria abbastanza cupa. Improvvisamente, è come se la strada intorno a loro si fosse raggelata. Si alza una folata di vento che trascina carte strappate da una parte all’altra del vicolo cieco. Lanie vede le pagine della sua cartellina sfogliarsi in maniera talmente irruenta, che teme possano strapparsi per colpa del vento.
Quasi sentendo quel freddo, Kate si chiude nel suo cappotto beige. Lo scrittore torna a guardare il cadavere. Sembra che manchi un particolare importante, ed è strano che né Lanie e né Kate l’abbiano citato prima. Probabilmente erano troppo occupate cercando di capire quei tratti di sangue sul corpo della giovane. Oppure volevano evitare l’evidenza.
“Signore, una domanda: la testa della ragazza dov’è?”
Sia la detective che l’anatomopatologa si guardano tra loro come scendendo dalle nuvole.
 
 
“Questo è il caso della nostra vita, me lo sento!”
“Della nostra vita? Sei diventato detective e io non sapevo nulla?”
Kate stuzzica Rick mentre passeggiano per il corridoio del dodicesimo. Qualche ora dopo, la detective è in attesa di informazioni sulla vittima, dopo aver mandato i suoi due colleghi Javier e Kevin ad indagare. Kate è in uno stato ansioso, sebbene non cerca di darlo a vedere, e spera in cuor suo che neanche il suo fidanzato se ne accorga... non vuole essere di peso. Rick cerca di sorpassarla, saltando come uno studentello al primo anno di medicina.
“Andiamo, Kate... non dirmi che non ti eccita neanche un pochino! Possiamo creare le nostre teorie!”
“Tu le puoi creare... Io volevo solo una giornata rilassante da passare con te, ma questo macabro omicidio mi ha tirato un po’ giù di morale.” Confessa lei, a metà tra la delusione e lo sconforto. Un brivido le attraversa la pelle al pensiero di quella povera ragazza uccisa, che neanche avrà un degno funerale dato che la testa le è stata rimossa chissà per quale strambo motivo.
Rick si pone davanti a lei e le poggia le mani sulle spalle. Kate sorride; ha proprio bisogno di un gesto caldo e rassicurante del suo fidanzato e già si sente un po’ meglio.
“Ti prometto che quando questo caso sarà finito, avremo tutto il tempo del mondo. Del resto, sei la mia futura sposa.”
Quando lui le sorride, la sensazione di freddo scompare. È come se Rick fosse la sua fonte luminosa, pronta ad avvolgerla con il suo ottimismo. “Vero!”
“Yo, scusate se vi interrompo piccioncini,” Javier Esposito compare da dietro Castle con dei fogli in mano. Ha un faccia distrutta e gli occhi sbarrati.
Kate scuote la testa come se cercasse di capire cosa gli frulla in mente. Javier guarda prima l’uno e poi l’altra.
“Lanie ha analizzato il cadavere e a proposito della...” deglutisce “testa della ragazza. Ci vuole parlare.”
Presa da un istinto fraterno, Kate afferra le mani di Javier per tenerlo calmo.
“Sembra una cosa seria. Mi piace!” esclama Rick, mantenendo sempre quel suo inconfondibile entusiasmo.
 
 
Per vedere Javier preoccupato, c’è solo un motivo: Lanie. Quando Rick, Kate e l’ispanico giungono nel laboratorio dell’anatomopatologa, la donna tiene le mani ferme sul tavolo con il cadavere della giovane, e lo sguardo fisso su di lei. Dietro Lanie, c’è Kevin Ryan, che ha preferito mantenere le distanze. Dal pallore del suo viso, se ne deduce che abbia dato di stomaco, magari dopo la vista del corpo mutilato.
Agitata, Kate guarda prima Kevin, poi si rivolge all’amica.
“Lanie, cos’è successo? Cosa hai trovato? Dicci qualcosa.”
La donna alza lo sguardo lentamente. Gli occhi sono freddi e seri. L’allegria che la contraddistingueva sembra svanita per un attimo. Kate fa fatica a riconoscere i suoi compagni di squadra. Il caso che hanno di fronte ha davvero cambiato i suoi amici.
Scandendo le frasi, Lanie resta ferma in quella sua posizione e guarda gli altri uno ad uno.
“Castle aveva ragione. Quel simbolo di sangue è un marchio satanico. C’è un rituale macabro dietro quell’omicidio.”
Rick si copre la bocca con la mano, trattenendo lo stupore. Kate se ne accorge, ma vuole ignorare per un momento il suo lato egocentrico da cucciolo amorevole.
“Okay... dobbiamo iniziare a preoccuparci?”
Finalmente Lanie si muove dalla posizione di stallo, ma lo fa solo per afferrare il quadro clinico, una cartellina che si trova vicino ad un più che sotto shock Kevin.
“Ho identificato la vittima. Si chiamava Sally Robinson, 23 anni, abitava a Greenwood, Brooklyn, in un appartamento. Si era trasferita per abitare da sola da qualche mese, ma sono riuscita a scoprire i nomi dei suoi genitori,” fa una pausa prima di guardare Javier, “che sono stati contattati circa la morte di sua figlia.” Lanie porge un foglio a Kate, dove ha raccolto le informazioni fornite su Sally da Javier e Kevin, inclusa una foto della giovane.
“Greenwood? È una piccola cittadina...”
“C’è anche un cimitero famosissimo per le apparizioni di fantasmi, o sbaglio?”
“Castle.”
“E’ vero! Confermate, ragazzi?”
Javier fa un lieve cenno del capo, Kevin guarda e acconsente leggermente con la testa. Il silenzio s’impossessa del laboratorio. Kate sa che deve prendere la situazione in mano.
“Se stava a Greenwood come è finita a New York?”
“Penso stesse scappando dal suo inseguitore.”
Di nuovo silenzio, mentre la detective non ha il coraggio di guardare in faccia la sua squadra, gli occhi sono puntati su quel corpo mutilato. I pensieri che le passano per la mente sono i più tristi possibili, immaginando che questa ragazza aveva tutta la vita davanti e una speranza di realizzare i suoi sogni. Ora, invece, si ritrova ad essere un cadavere anonimo, mutilata, per colpa di qualche psicopatico che non aveva nulla da fare quella sera. Si schiarisce la voce.
“Domani mattina, io e Castle andremo dalla famiglia di Sally a Greenwood. Esposito, Ryan, voi restate con Lanie.”
“Ma io sto bene. Non è la prima volta che vedo una cosa del genere.”
La detective le sorride e le sfiora il braccio con la mano.
“Devi riposarti un po’.”

 
 
Angoletto dell’autrice (poco) sana di mente:
Salve e benvenuti nell’ennesima pazzia! Ogni tanto alterno il comico con l’angst, stavolta è il turno di quest’ultimo genere. Il rating potrebbe alzarsi più avanti, mentre, se ve lo state chiedendo, l’ispirazione per la fanfic parte da una leggenda metropolitana sul vero cimitero di Greenwood. Se siete interessati, andate a cercarlo su google... quello che dice Castle è vero :p
Qui siamo all’inizio, spero di avervi incuriosito e che seguirete le indagini di Castle, Beckett & company insieme a me ;)
Alla prossima! *-*
D. <3

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Capitolo 2
*** E verrà il giorno... ***



 
E verrà il giorno
 
 
Scuote la testa lasciando che i capelli siano liberi al vento. Avrebbe preferito un weekend romantico insieme al suo fidanzato, magari in una location esotica o anche agli Hamptons, invece Kate deve accontentarsi di un viaggio a bordo del suo Ferrari, verso una destinazione inquietante e misteriosa, indagando su un omicidio altrettanto disturbante.
Entrambi indossano occhiali da sole mentre sfrecciano a bordo della vettura decappottabile. Si sorridono appena incrociano gli sguardi. Con una mano sul volante, Rick passa l’altra sulla mano della fidanzata e la tiene stretta. Entrambi sono sicuri di pensare la stessa cosa: nonostante le circostanze, sono sempre lo scrittore e la sua musa a combattere il crimine insieme. Vedono l’insegna di Brooklyn sopra le loro teste, e sanno di essere arrivati a destinazione.
“Venti minuti di macchina. A saperlo potevamo andare anche a piedi.” Scherza Kate, appena imboccano la 18esima, passando poi per altre stradine che costeggiano un immenso parco.
Rick segue il suo sguardo. “Mia cara benvenuta nel maestoso cimitero di Greenwood, luogo di oscuri presagi!” fa infine con voce solenne e teatrale.
Kate rotea gli occhi senza nascondere un sorriso. Lo guarda in segno di sfida.
“Pensi davvero che io creda a queste cose?”
“Beckett, lascia che ti spieghi una cosa.” Inizia lui, e la detective già si prepara ad ascoltare una delle sue strabilianti storie. Incrocia le braccia al petto e stringe le labbra impedendo di ridere a crepapelle.
Svoltano l’angolo per introdursi in carreggiata, costeggiando il cimitero. Il navigatore indica che sono arrivati a destinazione, e davanti a loro hanno un complesso di edifici tipico dei quartieri di Brooklyn. Trovato un parcheggio vicino al palazzo dove abitano i genitori di Sally Robinson, Castle continua il suo sermone. “Tutte le leggende metropolitane hanno un fondo di verità, altrimenti la gente non ci crederebbe e non esisterebbero neanche i tarocchi e il voodoo.”
“Vorresti farmi credere che ci sono davvero i coccodrilli nelle fognature di New York?” eccolo, quel sorriso sbarazzino si mostra senza pudore sul suo volto. Alza un sopracciglio, facendo capolino da sopra gli occhiali scuri.
Rick si sente quasi intimidito da quello sguardo di quella donna che lui tanto ama. Uno dei motivi che l’hanno colpito in primis, il suo lanciare frecciatine di sfida sono un invito a nozze per flirtare.
“Non lo so, ma la prossima volta che fai la doccia è meglio se vengo anche io con te a proteggerti...”
 
 
La detective trattiene un respiro prima di bussare in casa dei Robinson. A mente sua si ripete che ha fatto questo rituale un migliaio di volte, eppure ogni dannata volta non è mai facile dire a un genitore che la propria figlia è morta. Sente il profumo di Rick dietro di lei, e poi con la coda dell’occhio intravede la sua grande e forte mano posarsi sulla spalla.
“Tutto bene, Kate?”
Lei muove la testa lievemente. Gli prende la mano e la stringe nella sua. Trovato quel coraggio, ora deve prendere la forza di sorridere e presentarsi ai due coniugi Robinson. Ad aprire alla porta c’è una deliziosa signora vestita in tailleur blu scuro, capelli raccolti in una cipolla, orecchini di pelle abbinati alla collana, e un sorriso mozzato.
“Signora Robinson... detective Kate Beckett della omicidi, e questo è il mio collega, Richard Castle.”
La donna resta come imbambolata nel guardare il distintivo che la detective le sta mostrando. Gli occhi della donna sono spenti, privi di luce. Dopo qualche secondo riesce solo a dire un “Oh”, accompagnato dal marito che appare dietro di lei, “Prego, accomodatevi.”
Quando mettono piedi in casa, hanno una sensazione di sentire ancora la presenza di quella ragazza morta. Il signor Robinson, un uomo brizzolato vicino ai cinquanta, tiene la mano della moglie e l’accompagna a sedersi in salotto insieme a Rick e Kate.
“Posso offrirvi qualcosa da bere, detective?”
“Oh io non sono un detec---“
“Dell’acqua va bene, signor Robinson.” Kate interviene per evitare che il suo fidanzato si metta a fare battute, e gli lancia un’occhiata di sottecchi invitandolo a rispettare il lutto della coppia. Il signor Robinson fa cenno con la testa e si allontana dirigendosi in cucina.
La detective prende il taccuino dalla sua borsa, ma la donna davanti a sé pare non dare segnali di vita. La signora Robinson se ne resta a guardare il pavimento. A Rick verrebbe da agitare la mano davanti a lei, per farla riprendere, ma sa che il suo sarcasmo in quel momento non è d’aiuto.
“Signora Robinson, le mie condoglianze.”
Silenzio.
Imbarazzata, Kate porta in dentro le labbra e guarda il suo fidanzato, per poi tornare a rivolgersi alla donna.
“Posso farle qualche domanda su sua figlia?”
“Ecco la vostra acqua, detective.”
Kate trattiene un sorriso perché l’uomo è ancora convinto che anche Castle sia della omicidi.
Quello che colpisce i due è l’amore incondizionato che lega i due genitori. Lui è il sostegno per lei; le tende la mano, la rassicura, la conforta, e anche se la signora a tratti pare restia dal suo contatto, lui continua imperterrito a starle accanto. Kate si morde le labbra e abbassa la testa, nascondendo un’ombra di malinconia sul suo volto. Quei due le ricordano troppo il suo scrittore e la sua musa.
“Parlate con me, e vi prego, chiamatemi Roger.”
“Ok, Roger.” Fa la detective, e inizia a parlare lentamente, avendo trovato un’ancora di aggancio per cominciare la conversazione. “Immagino i miei colleghi l’abbiano informato del ritrovamento di Sally... può dirci perché si trovasse a New York e non a Greenwood, dove si era appena trasferita?”
“Mia figlia è sempre stata una ragazza con la testa sulle spalle. Realista, determinata, e si era trasferita lì dopo la laurea perché voleva cominciare a vivere, sa, come tutte le ragazze della sua età.”
La detective sorrise appena e lo invitò a proseguire con un cenno del capo.
“L’ho sentita qualche giorno fa, sembrava felice, e non vedeva l’ora di dirci qualcosa... forse aveva trovato un ragazzo e volevano metter su casa, non ne ho idea...”
La moglie si agita un poco, e lui la sente muovere le gambe. Rick si concentra sulla povera donna e istintivamente le offre dell’acqua.
“Ci penso io, grazie signor Castle...” Roger si alza per prendere delle medicine sulla credenza del salottino dove sono seduti. A giudicare dall’etichetta sembrano essere calmanti. Porge alla moglie un bicchiere d’acqua ed estrae due pasticche dalla confezione.
“Mia moglie Susan ha iniziato a prenderle dopo la morte di Sally.” Si sente di sfogarsi, e a giudicare da come parla, Roger non ha avuto altri contatti con nessun altro essere umano. “Praticamente non parliamo da ieri mattina.”
Kate si strugge tenendo in mano una mano e per ingannare il suo senso di disagio, si porta una ciocca di capelli dietro l’orecchio, assumendo un’aria di sicurezza. Quante volte ha ripetuto a se stessa di non farsi coinvolgere dalla vita privata delle sue vittime?
“Sally le raccontava della sua vita da sola?”
“Oh sì, ci diceva che aveva conosciuto gente nuova, e che aveva iniziato a frequentare una chiesa e il suo prete nel cimitero di Greenwood... come si chiama? Ah sì... Don Francis... sono certo che potete trovarlo lì! Vi accoglierà il custode, sapete è meta di molti turisti quel luogo...”
Rick alza le spalle e si rivolge a Kate con l’aria da sapientone di “te l’avevo detto!”.
“La ringrazio, Roger. La aggiorneremo se sapremo qualcosa.”
Arrivati alla porta d’ingresso, l’uomo tiene la mano sullo stipite e sembra affondare con le dita sul legno.
“Detective, la prego trovi e arresti quella bestia che ci ha portato via nostra figlia.”
 
 
Di nuovo in macchina, con Rick al volante, Kate non riesce a togliersi dalla mente i due diversi sguardi dei coniugi Robinson. La moglie, persa e vuota, con due occhi ormai spenti e rassegnati all’evidenza di non avere più una figlia. Il marito, forte e risoluto, in grado di prendere la situazione sotto mano perché i suoi occhi sono pieni di ira e di rabbia, e perché no, di vendetta. Quell’ultima frase è ristagnata nella sua mente.
Trovi e arresti quella bestia che ci ha portato via nostra figlia.
“Toc, toc, c’è nessuno?” la battuta dello scrittore la riporta alla realtà. In risposta gli sorride e gli prende la mano destra che è salda sul cambio.
“Stavo pensando ai genitori di Sally...”
“Non è mai facile perdere un figlio, Kate. Ma noi troveremo chi ha ucciso la loro figlia. Siamo o no la miglior coppia detective di New York?” solleva la mano incastrata nella sua, e la bacia. Sorridono.
“Io sono la detective, tu no”
“Dettagli.”
 
 
L’enorme cimitero li accoglie con un maestoso portale, e dalle facce sbalordite che si rivolgono Rick e Kate, entrambi capiscono che non stanno perdendo tempo ad indagare sul caso. Da galantuomo, lo scrittore concede il primo passo alla sua futura moglie, la quale lusingata fa il suo ingresso nella prima parte del cimitero.
Un brivido le percorre la schiena. Rick se ne accorge e ci scherza su.
“Mancano solo due Gargoyles come custodi e ci troviamo in un romanzo di Lovecraft!”
Fortuna c’è lui a darle sicurezza. Quel luogo lugubre non le piace affatto. E sono in pieno giorno.
Una persona anziana e ricurva si avvicina a loro, fornendo piantine e depliant della struttura. Prontamente, Kate alza il distintivo e il signore dai capelli grigi spalanca un attimo gli occhi, ma subito dopo assume un’aria mite, da chi non si cura più di tanto di quel badge. Si riprende il suo materiale e dà loro le spalle.
“Poliziotti, eh?”
“Detective Beckett della Omicidi di New York. Cerchiamo Don Francis.”
“Venite, vi faccio strada.”
Scrittore e musa si lanciano occhiate e fanno spallucce, seguendo il bizzarro custode che nella mente di Rick lo sta plasmando come il Gobbo di Notre Dame. Mentre la fantasia dello scrittore prende il suo corso, Kate osserva il contrapporsi della vita e della morte del cimitero. Da un lato, bus turistici pieni di turisti di tutte le nazionalità; qualcuno getta con forza i bagagli cercando di farli entrare nel varco apposito, qualcun altro è addormentato sul sedile, tenendosi stretto il proprio zaino; c’è anche spazio per dei cagnolini che scodinzolano in attesa che i loro padroni si decidano a dargli quel pezzo di pane che stanno mangiando. Sorride a quelle scene di vita quotidiana, pensando alla sua luna di miele e chiedendosi se incontrerà gente proveniente da ogni parte del mondo con cui scambiarsi informazioni, per la prima volta, che non abbiano a che fare con un caso di omicidio.
Si volta dall’altra parte e vede un ambiente cupo, caratterizzato da lapidi. Si sofferma su diverse tombe, forse raggruppate per nazionalità di origine, altre per gruppi familiari. In ogni caso, più camminano per quel viale alberato, sorpassando cappelle, e più si rende conto che le tombe non seguono un filo logico.
Guarda avanti a sé e vede Rick intento a instaurare una conversazione con il custode; questo però non sembra intenzionato a dargli corda, ma piuttosto gli rivolge dei sorrisi mostrando quel poco che resta dei suoi denti. È in quel momento che lo scrittore nota qualcosa di insolito nel suo aspetto: è vestito come un uomo degli anni ’20, con un completo a scacchi rosso e marrone, e un cappello tipico dell’epoca. Curioso, si domanda, forse l’anziano signore voleva mantenere lo stesso guardaroba che indossava quando era giovane... ma quindi quanti anni dovrebbe avere adesso?
Kate continua a guardarsi intorno come un’attenta osservatrice dentro un museo. Ora si sono addentrati in un’altra parte del cimitero, quella dedicata a personaggi storici; si perde nel leggerne i nomi, ma riesce a captarne qualcuno. Rick le passa davanti, camminando all’indietro e le indica, con grande eccitazione, una tomba vicina ad un mausoleo.
“Bill il macellaio”, dice l’anziano custode, nascondendo una risatina, come se sapesse che tutti i turisti cercano solo la sua tomba quando vengono nel cimitero di Greenwood.
“Chi?” chiede Kate incuriosita, ignorando la risata di scherno del vecchio.
“Come chi? È il personaggio interpretato da Daniel Day-Lewis in Gangs of New York!” quando vede il viso aggrottato di Kate, Rick prosegue nella spiegazione, “Era il capo della malavita newyorkese dei Five Points, quartiere degradato a metà milleottocento! Un grande criminale. Potrei ispirarmi a lui per il mio prossimo romanzo, che dici?”
Eccolo che ricomincia. La detective scuote la testa sorridendogli. Ha ricominciato di nuovo a far volare la fantasia. Il custode si blocca di colpo, e Rick gli sbatte contro la schiena.
“Siamo arrivati.” Dice semplicemente il vecchietto, dopodiché si allontana lasciando una scia di inquietudine dietro di sé.
Kate e Rick si trovano davanti una chiesa in stile gotico. Quel senso di angoscia che la circonda, come se fosse abbandonata da secoli, si affievolisce con un delizioso laghetto alla sua destra e la visione della statua della Libertà in lontananza... in realtà è solo un inganno per indurre il viaggiatore a visitare la chiesa, convincendolo che essa sia un luogo per cui vale la pena metter piede.
Rick deglutisce di fronte a tale maestosità, e fa un inchino aprendo il portone con gli incastri in marmo, per far entrare la sua fidanzata. Lei risponde stando al gioco e si porta i capelli in alto, raccogliendoli in una cipolla. Poi si dà una sistemata alla giacca che indossa. Ha come l’impressione di doversi porre in maniera regale ed educata in quel luogo sacro.
Percorrono la navata che appare senza fine davanti ai loro occhi. Si voltano e vedono statue ovunque; la Vergine Maria, i santi, il Cristo... ma Kate trattiene un urlo di incredulità quando davanti a sé, sull’altare, non vede il classico crocefisso... o meglio, è rimasta la base dove in teoria dovrebbe essere posto, ma il crocefisso pare rimosso. Il calore della mano di Rick che raggiunge la sua, le fa diminuire i battiti cardiaci.
“Benvenuti fratelli...” una figura sbuca da dietro l’altare. Vestito di nero, tozzo, capelli scuri, sulla cinquantina e dal colletto rigido bianco, i due riconoscono che deve trattarsi di un prete.
Kate si morde le labbra e guarda lo scrittore per avere la conferma di fare la cosa giusta. Rick cerca di scrutare il suo sguardo per percepire il suo esitamento nel porgere al prete il distintivo. È da quando ha messo piede nella chiesa che si sente restia a fare qualunque cosa, e non è nel suo carattere.
“Posso aiutarvi?” il prete li osserva congiungendo le mani, poi fa qualche passo avanti allargando le braccia. “Sono Don Francis, avete deciso di sposarvi qui, miei giovani amanti?”
Kate boccheggia qualcosa che assomiglia al “cosa?!” prima di voltarsi e decidersi a mostrare all’uomo il distintivo.
“Detective Kate Beckett della omicidi di New York. E lui è Richard Castle. Stiamo indagando sull’omicidio di Sally Robinson, lei la conosceva?” dice risoluta, puntando una foto della vittima di fronte al prete apparentemente tranquillo.
Don Francis guarda la foto di quella ragazza ed esita per qualche minuto.
“Oh sì, la conoscevo. Una grande tragedia.” Parla scandendo le parole, come se stesse facendo un sermone. A quanto pare il comportamento da prete continua anche fuori dagli orari canori.
“Le spiace se facciamo quattro chiacchiere?”
Don Francis indica loro il suo studio. Qualche minuto dopo, la detective assume un’aria composta sedendosi davanti la scrivania del prete, mentre Rick cammina ed è intento a guardare Don Francis e il suo habitat. Bibbie, leggende sul cimitero di Greenwood, libri di ogni genere, ma soprattutto testi sull’Apocalisse e le sue varie versioni... sembra che il prete sia un patito di storie sulla fine del mondo.
“Sally Robinson era una cara ragazza, ma anche una pecorella smarrita. Da buon pastore, l’ho accolta nella mia chiesa e si è fatta strada nella nostra comunità in breve tempo. Aiutava le persone bisognose, spinta da quella bontà che solo Cristo ci ha insegnato.”
“Quando è stata l’ultima volta che l’ha vista?”
“Qualche giorno fa, sembrava davvero felice. C’era questo ragazzo con cui si frequentava che le stava sempre accanto.”
“Mi sa dire il suo nome?”
“Mi pare si chiami Jason...” il prete poggia i gomiti sulla scrivania e si porta le mani sulle tempie per massaggiarle. “Mi scusi, detective, non ricordo il suo cognome.”
Kate sorride per farlo sentire a suo agio, ma non troppo, appuntando accuratamente sul suo taccuino ogni cosa che Don Francis le dice.
“Non si preoccupi. Se le viene in mente qualcos’altro, ci faccia sapere.”
“Sono vere le storie di apparizioni nel cimitero di Greenwood?”
Beckett si volta bruciando con lo sguardo il suo fidanzato. Don Francis ridacchia tra sé.
“Signor Castle, quali storie le interessano?”
Adesso è Kate ad essere scottata dalla domanda del parroco. Rick afferra un libro di storia e nel sfogliarlo, lo poggia sulla scrivania. Apre ad una pagina ben precisa, dedicata alle leggende.
“Se avete tempo, figlioli, vi racconto qualcosa sul cimitero. Magari può aiutarvi nelle indagini.”
Castle non se lo fa dire di nuovo che si siede sulla scrivania, accavalla le gambe e rizza le orecchie come un cagnolino in attesa del cibo. La detective lo guarda semplicemente, con un’aria dolce, domandandosi se a volte abbia a che fare con un uomo o con un bambino di 12 anni. In entrambi in casi, come potrebbe non esserne innamorata?
“Il cimitero fu fondato nel lontano 1838. Come vedete dalla sua maestosità, le tombe erano abbondanti e frequenti erano anche gli episodi di profanazione. Ovviamente questo altro non faceva che alimentare racconti del terrore, e la gente iniziò anche a diffondere storie su presunte apparizioni di fantasmi. Le persone hanno iniziato a raccontare di aver visto fantasmi di soldati deceduti durante la guerra civile, oppure di vedere una donna vestita di bianco aggirarsi per il cimitero... la chiamano ‘la sposa di Greenwood.’ Ripeto, sono solo storie del terrore per alimentare il turismo. Come uomo di chiesa, non credo in spiriti che girano nel regno dei vivi in attesa di giudizio.”
“E in cosa crede dunque?” Kate gli rivolge la domanda, assorta completamente nel racconto.
“Per quelle persone, Dio ha riservato il Limbo. E verrà il giorno, detective, in cui le anime dei vivi e le anime dei morti si ricongiungeranno tra loro. Ma ciò non deve avvenire nel regno dei vivi, altrimenti si scatenerebbe l’Inferno sulla Terra, capisce. Abbiamo terminato?”
Con un colpo di mano, Don Francis chiude il libro di storia, come a volersi disfare di questo, sotto lo sguardo sorpreso di Castle. Kate accenna col capo e il prete li accompagna fuori dalla chiesa. Quando la detective passa davanti l’altare, il suo occhio si sofferma più volte su quel crocefisso mancante, ma le mani di Don Francis dietro la sua schiena, più di accompagnarla all’uscita, sembrano spingerla e cacciarla fuori.
“Cosa ne pensi, Castle?”
“Dico che il nostro prete potrebbe saperne molto più di quanto crediamo su queste storie del paranormale. Hai visto come mi ha chiuso il libro in faccia?”
Kate si morde il labbro e analizza l’ambiente circostante. Un luogo tranquillo, eppure così misterioso e macabro.
“Direi di restare qualche giorno qui e chiedere alla gente del posto riguardo queste leggende. Magari riusciamo a scoprire qualcosa che il nostro parroco non vuole dirci.”
Mano nella mano, i due si incamminano per il cimitero, silenziosamente. Un luogo sacro che dà i brividi, ma che inganna le persone con la sua bellezza, i suoi parchi, i suoi alberi secolari e graziosi laghetti. Il cuore di Kate batte all’impazzata e pulsa dalla paura. L’agitazione si impossessa dei due amanti, che senza indugiare raggiungono l’uscita chiudendo frettolosamente il maestoso portone alle loro spalle.
 
Angoletto dell’autrice (poco) sana di mente:
Castle e Beckett hanno iniziato ad indagare, tra morti, leggende e un prete con la puzza sotto il naso...
Ma ciò che spaventa più Kate sembra il crocefisso mancante nella chiesa, oltre alla sensazione di terrore che sente addosso...
Riusciranno i nostri eroi a scoprirci qualcosa? Ma soprattutto, riuscirò io a capirci qualcosa? *-*
Alla prossima *-*
D.

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Capitolo 3
*** Bisbigli. ***



 
Bisbigli
 
 
Il sole tramonta lasciando spazio alle ombre allungate che sembrano divorare la città con i loro artigli sempre più grandi.
Appostata vicino la finestra del grazioso hotel, Beckett osserva pensierosa fuori. La gente inizia a gran velocità a rientrare ciascuna nelle proprie case, chiudendo le attività in corso: in men che non si dica, i negozi vengono chiusi, le serrande abbassate, le auto messe in moto in direzione di un posto che le persone chiamano casa. Incrocia le braccia al petto e si strofina le mani addosso al giacchetto beige che indossa, sentendo costantemente quella sensazione di gelido.
“Hai fame? Ordiniamo qualcosa o cenetta fuori?” Rick compare dietro di lei con indosso l’accappatoio bianco e con un gesto veloce si passa le mani sui capelli umidi.
Kate sorride ammirando il suo uomo ed immaginando di coccolarsi insieme a lui in quella notte che le fa paura. Lo raggiunge quasi come attratta dal profumo del dopo doccia e si lascia cullare tra le sue braccia. Poggia la testa sul suo petto.
“Ordiniamo qualcosa.” Gli sussurra, ancora attaccata a lui. Il profumo la avvolge come un incantesimo, tanto da non riuscire più a staccarsi dallo scrittore. Lui le accarezza i capelli e le stampa un bacio sulla testa.
“Chiamo la reception e vediamo cosa hanno da offrirci.”
Dopo essersi saziati con una cena leggera, con tanto di lume di candela, i due amanti si coricano e tra le lenzuola consumano il loro amore. Tenendosi stretti, abbracciandosi senza mai staccarsi, mano nella mano, assaporano ogni minuto finché possono.
Tutto tace intorno a loro. Una leggera brezza notturna accarezza le foglie sugli alberi e costringe i rami a sbattere sulle finestre. La detective si gira e rigira nel letto, cercando di trovare una posizione per dormire comodamente. Ma c’è qualcos’altro che le impedisce di riposarsi completamente.
Apre improvvisamente gli occhi e davanti a sé vede una giovane donna con una toga bianca. All’inizio pensa sia un’apparizione, quindi cerca indizi che le dicano che stia dormendo. Si pizzica le braccia cercando di svegliarsi, ma invano. La giovane davanti a lei ha i capelli mori, lunghi e lisci. Con il viso coperto da lacrime che scorrono come torrenti, guarda la detective con compassione. Muove le labbra, ma non parla. Dal suo labiale, Kate intuisce un “Salvami”.
L’immagine svanisce, e la detective si alza bruscamente dal letto. Arruffa i capelli e volta la testa per controllare l’orario sulla sveglia posta sul comodino. Sono le tre e cinque. Deglutisce cercando di trovare un senso a ciò che ha sognato... o che almeno crede di aver sognato. Da brava detective, raggiunge la sua borsa e frugando tra le sue cose, trova un blocco notes e una penna. Si siede di nuovo sul letto, incrocia le gambe e inizia a scrivere sul foglio bianco.
Accanto a lei, Rick pare russare poco; dalla posizione supina, sposta il corpo dall’altra parte del letto, dandole le spalle. Kate sorride e scuote la testa, confidando nel buon sonno del suo fidanzato e pensando che almeno uno dei due riuscirà a dormire quella notte.
 
 
La mattina bacia Rick con dei raggi di sole caldo. Lo scrittore è costretto ad alzarsi, coprendosi il volto con le mani.
“Kate... abbiamo dimenticato di tirare le tende stanotte... Kate?” in piedi nella stanza, lo scrittore non trova la sua musa. Controlla nel bagno aprendo la porta, ma non c’è segno di vita. Decide di rivestirsi, prendere il giaccone e quando si avvicina sul comodino della sua fidanzata, nota un foglio piegato. La scrittura è inconfondibile, è un messaggio di Kate.
 
Mi sono svegliata presto per fare delle commissioni in città.
Aspettami al bar dell’hotel, sarò di ritorno prima di pranzo.
Ti amo.
K.
 
Richiude il foglio sorridendo come un solo innamorato potrebbe fare. È quel sorriso tenue, sincero, che porta la mano a posarsi sulle parole Ti amo più volte, passandoci sopra da sinistra a destra. Ogni volta che la sente dire quelle due paroline, per lui è sempre una gioia. Sa quanto sia difficile per Kate esprimere i propri sentimenti e lasciarsi andare, quindi ha aspettato i suoi tempi, confidando che sarebbe riuscita a superare le sue paure. E alla fine, chi aspetta, viene ripagato. Quando la sentì dire per la prima volta “Rick! Ti amo”, stava rischiando la vita immobile su quella bomba ad orologeria pronta a farla saltare in aria. Lui era già pronto da un pezzo; l’aveva amata fin dal primo momento in cui l’aveva vista.
 
 
Quando Rick decide di esplorare la vita di Greenwood, lo fa sedendosi al bar dell’hotel. Guarda l’orologio: manca un quarto d’ora a mezzogiorno. Mette gli occhiali da sole, che lo fanno sembrare un osservatore silenzioso, chiuso nella sua giacca di pelle nera, oppure solo un personaggio uscito da un film anni ’40. Afferra uno dei quotidiani lasciati a caso sul tavolino, mentre ordina il solito caffè del buongiorno. Arriccia le labbra con un po’ di malinconia quando guarda nella sua tazza; la sua musa non è con lui a gustare il loro rituale mattutino.
In ogni caso, l’aroma del caffè ha quella caratteristica del fargli perdere la cognizione del tempo. Mentre assapora quella bevanda che tanto ama, seduto comodamente, osserva il paesaggio intorno a lui. La gente si saluta bonariamente tra loro; a volte è un semplice “ciao”, altre volte si fermano per aggiungere “come va? Da quanto tempo!” o si chiedono informazioni sui componenti della famiglia. Mentre si passa la lingua sul labbro inferiore per rimuovere le ultime gocce di caffè, Rick si sofferma sulle espressioni facciali di queste persone.
Strano oppure sembrano fingere? I sorrisi sembrano stentati, e quando si sfiorano si percepisce la costrizione del gesto. Non dovrebbe essere una cosa naturale abbracciarsi ed essere felici di vedere un’altra persona a cui si vuole bene?
“Dov’è il mio caffè?”
Riconosce quella voce e il suo profumo. E non ha bisogno di voltarsi per capire.
“Sentivo la mancanza di una certa musa stamattina... mi sei davvero mancata. Dove sei stata?”
Kate sorride e prende una sedia per mettersi vicino a lui. Poi poggia la sua borsa sul tavolo.
“Ah, dovevo svolgere delle indagini e chiedere di Sally ad alcune persone. Senza successo, purtroppo.” Dice abbassando lo sguardo e poi si sfrega il naso, sentendo il suo sguardo su di lei.
“Potevi svegliarmi, ti avrei accompagnato.”
“Dormivi così bene che non volevo disturbarti.”
“E tu hai dormito?”
La detective continua a tenere la testa bassa, coprendosi il volto con i capelli. Poi sbuffa. “Non proprio... Questo caso è più complicato del previsto.”
Rick posa la mano sulla sua e sente tutta la tensione che ne scaturisce da quel contatto. C’è sicuramente qualcosa che la turba, ma non riesce a capire cosa.
“Lo risolveremo insieme, come sempre. Sicura di stare bene?”
L’enfasi sulla domanda e la preoccupazione del suo fidanzato fanno voltare Kate verso l’uomo. I suoi occhi grandi le stanno trasmettendo tutto il calore e l’amore di cui lei ha bisogno, ma è come se un muro invisibile si sia appena creato tra loro. Accenna un sorriso.
“Sì, sì... ho solo dormito poco, ma va tutto bene.” Mente.
Lo scrittore continua a tenere la sua mano per darle tutta la sicurezza necessaria, ma con Kate sa che deve sempre agire per gradi. Si schiarisce la voce prima di porre la domanda e quindi cambiare discorso.
“Prima hai detto che hai svolto delle indagini ma senza successo... in che senso?”
Capendo l’intenzione di Rick, ma sentendosi anche in colpa per averlo costretto a quel cambio di conversazione, Kate decide di rivolgergli lo sguardo finalmente. Prima però si osserva in giro, quasi assicurandosi di non avere occhi e orecchie indiscrete a sentirla. Dalla sua borsa prende il file relativo a Sally Robinson.
“Ho mostrato la foto di Sally in giro, chiesto a dei bar, alla sua ex università, ma nessuno sembrava disposto a parlarne. Sono sicura che sanno qualcosa, ma non vogliono dircelo.”
“Come mai?”
“E’ quello che dobbiamo scoprire.”
Il rumore improvviso di sedie di plastica che vengono sbattute a terra, li fa voltare all’unisono.
“Voi turisti, dovete andarvene di qui!”
“Cosa...?”
La detective e lo scrittore guardano quella donna che incalza contro di loro. Vestita come una mendicante, con una gonna lunga e stracciata, una camicia bianca non troppo limpida, e un fazzoletto legato in testa, la donna sembra avere una cinquantina d’anni. Si avvicina ai due, barcollando, puntando il suo bastone da passeggio.
“Andate via prima che sia troppo tardi e scendano le tenebre!”
“Vai via, tu, zingara! Fuori dal mio albergo!” furente, il proprietario dell’hotel dove alloggiano Rick e Kate, esce fuori dal bar dove loro erano seduti. Impugna una mazza da baseball e la minaccia.
Anche le persone intorno si stanno agitando, mormorando e bisbigliando... la cosa che colpisce lo scrittore è il fatto che nessuno di loro sembra fare nulla per impedire la gran confusione.
La donna guarda prima i due implorandoli ad andarsene, facendo segni col capo, poi rivolge lo sguardo all’uomo del bar e se ne va imperterrita, sempre barcollando mentre si aiuta a camminare con il bastone.
“Che intendeva dire?” chiede Rick, abbracciando improvvisamente Kate. La donna poi stringe le mani nelle sue.
“Forse l’ha detto solo per spaventarci.”
Lentamente, la vita riprende il suo normale corso, come se nulla fosse accaduto. Il proprietario getta la mazza a terra e si avvicina alla detective e allo scrittore.
“Se siete furbi, non tornerete di nuovo a Greenwood.” Dice loro intimandoli di andarsene. Più che un invito, il suo sembra una minaccia. L’uomo stringe i pugni lungo la vita, tenendo un’espressione accigliata, poi se ne ritorna nel suo bar.
 
 
Angoletto dell’autrice (poco) sana di mente:
Bisbigli nella notte, apparizioni, sogni... e in tutto ciò, Kate è sempre Kate: non rivela nulla a Rick sul suo misterioso ‘incubo’, e quel che è peggio sono le persone del posto che fanno di tutto per mandarli via... cosa accadrà? Io di certo non ne ho idea :p
Alla prossima e grazie a chi legge e mi segue in quest’avventura lol
D. <3

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Capitolo 4
*** Toccata. ***




 
Toccata
 

 
I due detective se ne stanno in piedi davanti a loro, con le braccia incrociate al petto, e hanno la testa leggermente inclinata da una parte.
“Qualcosa mi dice che il viaggetto a Greenwood non è andato come previsto... tu che dici, fratello?” fa l’ispanico, dando il gomito all’irlandese accanto a lui.
“Uhmm dai loro sguardi fissi sullo schermo, direi proprio di no!”
“Magari potrebbero dirci qualcosa invece di stare fermi, che ne pensi?”
Kate si sistema la cipolla di capelli e fa una smorfia, trattenendo una risata.
“Volete finirla?” dice, facendo capolino da dietro il computer.
Rick invece si sta divertendo con una pallina antistress, lanciandola in aria e riprendendola. Dopo qualche passaggio, la serra nella mano e guarda Kevin e Javier.
“Voi ragazzi vedo che vi siete ripresi dallo shock del cadavere mutilato.”
Improvvisamente flash di immagini del corpo di Sally Robinson risaltano nella mente dei detective. Figure amorfe, riflessi di luci nella notte, che però non sembrano avere espressione perché della testa non v’è traccia.
Kate si massaggia le tempie chiudendo gli occhi, come se volesse eliminare dalla mente quell’orribile scena del crimine.
“Avete ragione, io e Castle non abbiamo portato nessun risultato.” Si concentra su Javier e Kevin, sistemandosi sullo schienale della sedia. “Detto tra noi, temo che la gente del posto sappia più di quanto vogliano farci credere.”
“E allora perché ve ne siete andati?”
La domanda di Javier è lecita. La detective guarda lo scrittore seduto al suo fianco. I loro occhi sembrano parlarsi silenziosamente, e uno incita l’altra a prender parola. Come spiegar loro l’incontro con quello strano prete, la sensazione di disagio e di inquietudine del cimitero, i brividi nella notte, e la gente che finge di volersi bene per nascondersi dietro ad una maschera? E poi la loro successiva fuga, appena dopo aver lasciato quel bar, preparato i bagagli ed essersi messi in auto a guidare senza mai voltarsi indietro.
“Ragazzi... diteci qualcosa...” Kevin è sinceramente preoccupato. La sua voce da fratello maggiore dona loro conforto per qualche istante.
Kate prende la mano di Castle. “E’ lunga da spiegare.” Alzando lo sguardo, nota una giovane ragazza bionda passare per l’atrio, scortata da due agenti di polizia. Victoria Gates compare dietro di loro e indica Beckett. “Ve ne parleremo appena possibile, adesso scusatemi.”
Si alza per raggiungere la Gates. “Capitano...”
“Questa ragazza ha chiesto di te e di Castle. Dice di conoscervi. Ha qualcosa a che fare con le vostre indagini a Greenwood?”
Kate cerca di inquadrare la giovane seduta già nella stanza interrogatori. Capelli biondi che le arrivano di poco sotto le spalle, talmente sporchi da dividersi in ciocche ben precise; niente frangia, occhi grandi azzurri e affossati che possono indicare due cose: insonnia o stress. Probabilmente, nel suo caso, entrambe le cose. Kate dice qualcosa come parlando a sé stessa, poi la Gates si rivolge a lei.
“Dice di chiamarsi Casey.”
“Ci penso io.”
Da lontano, lo sguardo di Rick la segue mentre entra nella stanza degli interrogatori. Deciso a non volerla lasciare da sola, lo scrittore fa segno agli due detective di entrare nella stanza vetrata, dove potranno assistere al faccia a faccia tra Kate e la ragazza.
 
 
Seduta in quella stanza, Casey tiene le braccia allungate sotto al tavolo, le gambe unite e lo sguardo abbassato. Kate apre la cartellina sul tavolo e giocherella con la penna, tamburellando delicatamente sulla superficie. Il rumore appena percettibile sembra creare disagio nella ragazza, che strabuzza gli occhi e si copre le orecchie con le mani in un gesto convulso, agitato. La detective smette di far rumore per alzare gli occhi su di lei.
“Allora Casey... sono la detective Beckett. Iniziamo con il parlarmi un po’ di te?”
Silenzio. La giovane continua a mantenere la sua posizione. Lo sguardo sembra fisso nel vuoto.
Kate cerca gli occhi dello scrittore, pur sapendo che lui non è accanto a lei, quindi si limita a stringere forte le labbra e ripete mentalmente che può farcela. Non è la prima volta che le capita una potenziale testimone o persona di interesse che non parla. Decide di usare un po’ di psicologia, quindi si allunga verso di lei, tenendo i palmi rivolti in su, un segno che indica che l’interlocutore può fidarsi della persona che gli sta davanti.
“Casey, so che è difficile, mi sembri una persona chiusa in te, che ne ha passate molte... voglio dirti che puoi parlarne con me, se ne hai voglia.”
“Tu l’hai vista, vero?” i suoi occhi affossati ora sembrano aver ripreso quel colore azzurro oceano. Una piccola luce di speranza, forse, si è appena fatta avanti nell’oscurità del suo sguardo.
“Cosa...?”
“Lo percepisco nei tuoi occhi...”
Forse è una sensazione, ma Beckett ha come l’impressione di aver sentito una voce dentro di sé che ripete “Salvami”, come la ragazza-spettro che si era presentata nel suo sogno.
Dall’altra parte della stanza, Rick poggia le mani sulla vetrata, come se volesse far parte della discussione. La Gates cambia posizione delle braccia, che da incrociate sul petto vanno a stringersi sulla vita.
“Di cosa sta parlando, signor Castle?”
“Ne sai qualcosa?” chiede Kevin, guardando prima l’amico Javier e poi lo scrittore. Ma Rick ha gli occhi fissi sulla sua musa. La osserva di profilo e poi fa un segno con la mano ai presenti nella stanza: è come se un velo si fosse posato tra lui e gli altri, e tutto ciò che gli interessa è capire chi è questa Casey e di cosa sta parlando la sua fidanzata.
“Casey, conoscevi Sally Robinson?”
“Ti sta comunicando di lasciarla stare, di lasciare che gli eventi facciano il suo corso... tu non puoi fermarli...”
“Chi è che non posso fermare?”
“Loro.”
Nervosamente, Kate torna a giocare con la penna a scatto.
“Okay, Casey, perché non inizi ad essere più chiara? Per esempio, queste cicatrici che hai sui bracci, come te li sei procurate?” dice, afferrando per un polso la giovane e mettendo in bella mostra il polso coperto da una lunga striscia marrone scuro. Di risposta, la ragazza si dimena e riesce a sfuggire alla presa, tentando disperatamente di coprirsi ancora di più le mani nascondendole sotto la lunga maglia. Incerta, torna a scoprirle, e gratta le lunghe cicatrici sui polsi.
“Hai visto la sposa di Greenwood in sogno... lei è un cattivo presagio... ti sta dicendo che devi smettere di cercare la verità su Sally...”
Veritas omnia vincit.
“Mia madre diceva che la verità vince su tutto. E io la troverò. Quindi inizia a parlare.”
“Capo, forse dovremmo intervenire...”
La Gates alza la mano per far tacere Esposito, senza però staccare lo sguardo da Beckett e Casey.
La giovane si rintana di nuovo nel suo guscio di incertezza, cercando riparo nel suo esile corpo, nascondendo le mani dentro quella maglia scolorita, diventata troppo larga per i suoi gusti. Kate è brava nel mantenere il contatto fisico su di lei; i suoi occhi continuano a fissarla e alla fine Casey è costretta a ricambiare quello sguardo così intenso.
“Tu e il tuo fidanzato siete venuti a Greenwood... vi ho seguito...”
Castle stringe i pugni, mentre Kate si morde il labbro inferiore. Con un gesto impercettibile, alza un sopracciglio per esprimere sorpresa. Subito, Casey percepisce il disagio e sente di dover dare spiegazioni. Improvvisamente la ragazza perduta e disagiata si trasforma in un’altra: si sistema sullo schienale della sedia, lascia comoda la maglia, che ora aderisce perfettamente in armonia con il suo corpo, e dà visibilità ai polsi coperti di cicatrici. Si porta le ciocche di capelli dietro le orecchie, così da lasciar vedere dei piccoli piercing. È incredibile come una piccola tragedia personale finisce per trasformare una persona e a renderla più sensibile ai movimenti altrui.
“Non era mia intenzione seguirvi... eravate nuovi in città e dovevo capire cosa volevate... solo dopo ho capito che eravate della polizia e che stavate indagando sull’omicidio di Sally. La gente di Greenwood non può e non vuole aiutarvi, ma io sì.”
“Conoscevi Sally?”
“Solo di nome.”
“Sai cosa le è successo?”
“E’ tutta colpa di un’antica credenza nel cimitero della città.”
Kate sente il cuore battere sempre più forte. Istintivamente vorrebbe allungare il braccio per raggiungere con la mano quella di Rick, ma non sa che il suo scrittore è dall’altra parte del vetro.
“Dimmi di più.”
Casey si morde il labbro poi gioca con le lunghe maniche della sua maglietta. Si sistema di nuovo sullo schienale, mentre Kate, attenta, la osserva e sente il bisogno di protrarsi verso di lei per ascoltare ciò che ha da dirle. Anche dall’altra parte della stanza interrogatori, è calato il silenzio.
“Avrei dovuto fare la stessa fine di Casey, ma al contrario, sono riuscita a fuggire, ho osservato te e il tuo fidanzato, fino a raggiungervi qui a New York. Loro mi hanno accolta con l’inganno... poi, una volta che mi sono mescolata tra loro, mi hanno drogata e mi sono svegliata in un posto oscuro, dove ero legata alle braccia e alle gambe... appesa come se fossi stata crocefissa... e hanno iniziato a tagliarmi i polsi... perché vedevo il sangue colare su delle coppe dorate...”
“Riesci a riconoscere questo posto?”
“E’ tutto così confuso ora...” dice Casey, e si porta per un attimo le mani sugli occhi, come ad asciugarsi delle lacrime, che però non escono.
Kate deglutisce perché la giovane non mostra un minimo segno di shock nel raccontare ciò che le è successo. Oppure, è accaduto tutto così velocemente da non rendersene più conto.
“Come sei riuscita a liberarti?”
“Ho tirato le corde più volte, e fortunatamente chi mi aveva legata, non mi aveva stretta forte, quindi sono riuscita a scendere, curarmi le ferite e scappare nel cuore della notte.”
“Sir, forse è meglio se interveniamo...”
La Gates scioglie il pugno di ferro e risponde con freddezza a un Ryan e un Esposito più che preoccupati. “Avete ragione.”
Senza dire una parola, Castle è il primo a lasciare la stanza vetrata, per poi aprire quella degli interrogatori facendo spazio al capitano, che irrompe nella scena come una guerriera che conduce i suoi soldati, “Signorina Casey, capisco la situazione, ma non si preoccupi, lei starà sotto la nostra protezione. La detective Beckett ha fatto un ottimo lavoro finora.” Nel dire ciò, incrocia le braccia al petto e guarda Kate con comprensione, accennando un’alzata di spalle. “Può andare a riposarsi, continueranno Esposito e Ryan.”
“Grazie, capitano.” Risponde Kate, sorridendo lievemente. Rick è già pronto per accoglierla tra le sue braccia, ma Casey guarda la gran confusione nella stanza e viene presa dal panico appena Javier e Kevin l’afferrano per portarla fuori.
“No, no, no! Voi non capite!” si dimena e urla, tanto da attirare l’attenzione dell’intero distretto. Con un cenno del capo, la Gates fa segno ai due detective di lasciare andare la giovane. La luce negli occhi di Casey è di nuova viva, ma c’è ancora quell’ombra di oscurità da far domandare alle persone presenti se stia dicendo la verità o sia lucida.
“Greenwood è un luogo maledetto... la gente crede che lì sia il posto che conduce all’Inferno”, quando parla, Casey agita le braccia, poi indica un punto indecifrato sotto di lei “... dove il diavolo vi fa visita due volte l’anno, e una volta che il cancello principale si apre, c’è bisogno di sacrificare due giovani vergini per richiuderlo... due sacrifici di sangue...” fa una pausa, guardandosi attorno.
Ryan ed Esposito sono rimasti impalliditi in un angolo; Kate e Rick sono all’altro lato, e lei si tiene stretta al suo braccio, quasi avesse paura di cadere; la Gates è al centro tra le due coppie, tiene la bocca spalancata cercando di dire qualcosa mentre i secondi passano inesorabili, ma sembra aver perso il suo pugno di ferro. La giovane deglutisce portandosi di nuovo le ciocche di capelli dietro le orecchie, e Kate rivive l’orrore di quelle grosse cicatrici sui suoi polsi, chiedendosi cosa Dio le abbia lasciato fare.
“Sally è morta, e il suo sangue è servito per chiudere una prima volta la porta dell’Inferno. Ma il sigillo è troppo debole e serve altro sangue. Per questo ora verranno a cercare me per chiuderla una seconda volta.”
 


 
Angoletto dell’autrice (poco) sana di mente:
Iniziate a capirci qualcosa? Io direi che a questo punto i pezzi del puzzle iniziano a comporsi...
Forse troppo velocemente?
Stiamo appena all’inizio, fidatevi di me!! (e se lo dico io...)
Le indagini sono appena cominciate e porteranno il nostro team a chiedersi se esistono oppure no queste leggende...
Secondo me, Rick ci crede! :p voi?
Alla prossima e grazie come sempre <3
D.

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Capitolo 5
*** La terra trema. ***




 
La terra trema
 

  Dopo che Casey è stata accompagnata da Ryan ed Esposito in un posto sicuro e messa sotto protezione, la squadra al completo si riunisce al distretto. Castle ha preso cibo cinese per tutti, così che mentre mangiano possono rilassarsi un po’, lasciando il dispiacere del caso d’omicidio da parte per almeno mezz’oretta. Come dice lo scrittore “A pancia piena si ragiona meglio”, il gruppo decide di seguire il consiglio e infatti le ipotesi iniziano a venire come pioggia a catinelle.
Kevin ha ancora il boccone in bocca; gli spaghetti alla piastra sono stati divini, quindi ci pensa Javier a condurre la prima riunione. L’ispanico è davanti la lavagnetta cercando di capirci qualcosa sui primi collegamenti tra Sally, Casey, Greenwood e le leggende che aggirano sul cimitero. Si volta verso gli altri, sbottando.
“Tutto ciò non ha senso... come possiamo condurre delle indagini in questo modo?”
La mano di Castle raggiunge quella della sua musa.
“Beckett, stai bene? Te la senti di continuare questo caso?”
La detective ribadisce il concetto stringendo la mano del suo fidanzato con sicurezza. Poi gli rivolge un sorriso dolce ma amaro allo stesso tempo. Nei suoi occhi traspare quel senso di giustizia che tanto lo aveva fatto innamorare di lei.
“Voglio giustizia e voglio trovare la verità. È assurdo che ancora oggi sentiamo di gente malata che sacrifica giovani donne per divertimento!”
“Le sette sataniche purtroppo esistono, ma non ci siamo mai trovati di fronte una tale atrocità.” Risponde Javier, ma nella sua voce c’è ben altro di una semplice preoccupazione.
L’aria di gelo si impossessa di nuovo del Dodicesimo.
“Per questo devo saperne di più.” Dice Kate risoluta.
Adesso si alza per raggiungere Javier vicino alla lavagnetta. Con il dito tamburella sotto al mento. Rick la guarda studiando le sue mosse e come per anticiparla dice: “Casey ha accennato alla leggenda su Greenwood riguardante delle porte dell’Inferno... se ben ricordo, tra i vari libri del nostro amico prete che abbiamo interrogato c’erano dei volumi su queste storie.”
“E poi ha citato della sposa di Greenwood...” continua Kate, dandogli corda.
Javier si sposta per incrociare le braccia accanto a Kevin: entrambi i detective sanno che ora hanno iniziato il loro siparietto in cui si completano le frasi a vicenda. Ed è proprio così, i due futuri sposini sembrano essersi dimenticati dei presenti.
Nel sentire la sposa di Greenwood, Rick ha un’illuminazione. È un pensiero che sente crescere dentro e si rende conto che le preoccupazioni che aveva la sua fidanzata quella mattina, erano reali. Scuote la testa, portandosi le labbra in dentro. Perché le ha nascosto quel dettaglio importante? Kate se ne accorge appena incrocia il suo sguardo. Lui ha capito tutto.
“E’ vero che l’hai vista in sogno? Era questo che ti turbava quella mattina?”
“Sì... ma non volevo che ti preoccupassi...”
Forse il Castle di qualche anno fa si sarebbe irritato perché la Beckett testarda e cocciuta gli nascondeva le cose. Il ricordo di quelle settimane in cui lui aveva scoperto che li ricordava il suo “ti amo” dopo la sparatoria, ormai era svanito da un pezzo. Nonostante questo, lui non aveva mai smesso di amarla... ero solo stanco di aspettarla. La Beckett che ha di fronte è sincera. Lotta con sé stessa perché vuole proteggere l’uomo che le ha cambiato la vita, e che con tanta prepotenza e pazienza si è insinuato nella sua vita. Sa che è la cosa che ama di più al mondo. Eppure in quel momento, sente di non essere abbastanza per lui. Di non averlo tenuto al sicuro. Il Castle che ha di fronte è comprensivo e riesce a leggerla solo guardando i movimenti delle mani e i suoi occhi. Le prende dolcemente le mani, facendo dei cerchi sui palmi per rilassarla, poi sposta le braccia sulle sue spalle.
“Kate, stiamo per sposarci, vivremo insieme, faremo tante cose insieme... come puoi minimamente pensare che ciò che ti succede a me non interessi? Sono parte della tua vita. Fammi entrare nella tua vita.”
L’ultima frase la fa sorridere e istintivamente lo abbraccia, fregandosene che sono sul luogo di lavoro. Rick sa che gli basta quella come risposta. In sottofondo, Javi e Kevin inclinano la testa contemporaneamente verso destra, e poi fanno una smorfia molto simile a due damigelle d’onore che hanno appena assistito allo scambio degli anelli tra i due sposi.
“Perché voi piccioncini non vi riposate un po’? Penseremo io e Ryan alle indagini su questo cimitero e le sue leggende.” Dice Esposito, rompendo il loro momento.
“Siete sicuri?” dice Kate, sciogliendo lentamente l’abbraccio.
“Certo!”
“Non è mica una gara per decidere chi mi farà da testimone alle nozze?” chiede Rick, gonfiandosi come un pavone tutto d’improvviso. Kate se la ride sotto al naso.
Javier e Ryan si scambiano uno sguardo sentendosi presi in giro.
“Andiamo, Castle, non siamo mica dei bambini...” replica l’irlandese parlando sottovoce.
Ora Kate sta ridendo.
“Va bene, ragazzi, ci aggiorniamo a dopo. Non giocate troppo!” conclude, prendendo Castle sottobraccio, mentre lasciano il distretto.
 
 
Quando giungono nel loft, deserto anche questa sera, complice la tournée invernale di sua madre, Castle si dirige subito in cucina per aprire una bottiglia di vino d’annata. Non senza, però, aver toccato più volte il taschino della giacca, come per assicurarsi di aver preso tutto. Kate, da vera detective e da fidanzata innamorata, non ha smesso per un attimo di guardarlo. Un po’ perché lo ama, un po’ perché il suo istinto le dice che sta nascondendo qualcosa. Raggiunge Rick in cucina, si passa una mano tra i capelli e mette le mani sulla vita.
“Avanti, fammi vedere cosa hai preso.”
“Di che parli?” le domanda lui, senza però guardarla in faccia. È intento a stappare la bottiglia. Ha voluto fare tutto da solo, senza l’aiuto del cavatappi. Un’altra dimostrazione del suo talento maschile. Kate lo osserva e alza il sopracciglio.
“So che hai fatto delle ricerche per conto tuo già, e che ti sei portato il lavoro a casa, che nascondi nel tuo taschino, quindi fammi vedere cos’hai.”
Rick la guarda come un bambino colto sul fatto.
“Ah... ti riferisci a quei fogli... No, è roba mia!”
Beckett si avvicina, afferra la bottiglia e in attimo la stappa. Lui è ancora là, con gli occhi spalancati, e si schiarisce la voce mentre tenta di recuperare un po’ di quell’orgoglio maschile svanito in cinque secondi.
“Castle, ti amo, ma non fare il bambino, per favore.”
“Okay...”
A testa bassa, le fa segno di seguirla in soggiorno e la fa sedere, servendole il vino rosso in due calici. I due si accomodano sul divano, mentre Rick estrae una serie di fogli di carta ben piegati dal suo taschino e li porge a Kate. La detective, tra un sorso e l’altro, inizia a leggere con molta attenzione. Lo scrittore giocherella con le mani, no riuscendo a star fermo.
“Non ci posso credere... ti sei messo davvero a cercare le leggende metropolitane sul cimitero di Greenwood oppure hai rubato qualcosa da Don Francis?”
“Ehm se ti dicessi che mi ha aiutato Alexis?”
Kate alza il sopracciglio e posa la mano su quella di Rick, mostrando comprensione ma anche furbizia.
“Tesoro, tua figlia è in vacanza con le sue amiche, non è un buon alibi... E poi non ti credo neanche se mi fai quegli occhioni da cucciolo indifeso.”
Lui sorride appena vede la sua maschera svelata. Poi torna a rivolgersi a lei serio. “La sposa di Greenwood. E’ quella che hai visto in sogno, vero?”
“Sì.” Dice lei quasi sussurrando. Prende un foglio tra gli appunti di Castle e glieli fa vedere. Kate inizia a leggere ad alta voce, mentre lui la segue con gli occhi sul pezzo di carta.
“Qui dice che intorno agli anni trenta del secolo scorso, c’era una giovane coppia innamorata e desiderosa di sposarsi. Tuttavia, i due amanti furono sfortunati perché le loro famiglie erano contrarie.”
“Una sorta di Romeo e Giulietta.”
“Esatto. Tuttavia, i due decisero di sposarsi in gran segreto, se non fosse che, prima della fuga, il giovane venne ucciso in circostanze misteriose, e la promessa sposa, quando lo venne a sapere, si suicidò non poco distante dal luogo di sepoltura del suo amante. A quel punto, i genitori furono presi dai sensi di colpa e decisero di seppellire la giovane con il vestito da sposa che lei aveva scelto.”
“Un mistero che prende le sue radici da Shakespeare! E non è tutto...”
La sorpresa nel tono di voce di Castle, incita Beckett a saperne di più. Sorride anche lei, esultandosi come una bambina. In effetti, a guardarli, sembrano due ragazzini che si stanno raccontando una storia dell’orrore prima di andare a dormire.
“Dai, cos’altro hai scoperto... so che sei ansiosissimo di dirmelo!”
“Mi eccita così tanto! Dunque, dopo l’accaduto, numerosi testimoni dicono di aver visto la giovane sposa aleggiare sulle colline del cimitero di Greenwood, e un visitatore, inconsapevolmente, è riuscito anche a fotografarla! Mi chiedo tutto questo cos’abbia a che fare con noi...”
“Castle, e se fosse un segno del destino?” Kate lo guarda con occhi tristi, e improvvisamente sente dentro di sé un senso di inquietudine. Lei non ha mai creduto a queste cose, è sempre stata scettica. Da poliziotta e detective, deve credere nelle cose materiali e reali. Allora perché gli pone la domanda, “Magari non dobbiamo sposarci?”
Rick le sorride per qualche secondo e non esita a stringerle la mano, ancora una volta, per farle sentire che non è da sola. Non lo è mai. Solo che sente il bisogno di ricordarglielo. E lei ha bisogno che glielo ricordi.
“Kate, credo in leggende del genere... ma non credo che ce l’abbiano con noi!”
“Pensaci bene... magari abbiamo invaso quel posto sacro e queste, chiamiamole visioni, ci stanno dicendo di non indagare oltre.”
“Giuro che non sarà il fantasma di Shakespeare a impedirmi di sposarmi. Altrimenti chiamo mia madre e ci pensa a lei a scacciarlo con la sua performance di Ofelia!”
Entrambi ridono ricordando come una volta Martha Rodgers aveva improvvisato l’Amleto di Shakespeare nel loft. Tutto andava bene, finché improvvisamente si era messa a cantare e ballare nello stile di Beyoncé, il tutto per rendere la sua performance memorabile e originale. Risultato? Aveva finito per rompersi la caviglia e restare col gesso in casa per un mese, mentre lui e Alexis avevano avuto gli incubi e dormivano nel timore che Ofelia comparisse nei loro sogni perché avevano profanato il suo personaggio. Kate si morde il labbro, trattenendosi dalle risate, poi allunga le braccia verso di lui per avvolgerlo.
“Mi hai convinto.”
“E’ per questo che mi ami.”
“Questo e altre cose.”
 
Si gira e si rigira nel letto non trovando pace. Dopo essersi dedicata al suo uomo per qualche ora, lasciandosi andare a coccole, baci, ma niente di passionale. Rick aveva ancora in mente sua madre vestita da Ofelia, quindi Kate rideva al pensiero di lui spaventato, e alla fine non erano riusciti a concludere niente. Ma non era necessario fare l’amore. Si amano e lo dimostrano costantemente anche a gesti a parole, e quello è l’importante per la relazione.
Decide di alzarsi perché sa di non riuscire a prendere sonno e fa ciò che le riesce meglio. Infila la vestaglia di raso color rosa antico e scende nello studio di Castle, portandosi dietro i fogli dei suoi appunti. Seduta in quella stanza, si sente importante perché è appena entrata nel mondo dei giocattoli preferito del suo scrittore: è il posto dove lui accende il computer e inizia a scrivere, lasciandosi tutte le preoccupazioni alle spalle per avventurarsi in chissà quali luoghi sconosciuti. In quell’attimo fulmineo, quando invade il suo territorio, pensa a quando fu costretta a lasciare l’università. Se avesse continuato, chissà se sarebbe diventata anche lei una scrittrice? Magari di romanzi rosa o d’avventura? Sorride lasciando andare la malinconia, quindi si mette una matita tra i capelli per tirarseli in su, e inizia a digitare “leggende di Greenwood” sul motore di ricerca.
I risultati della ricerca, sia sul web che in immagini, la sconvolgono non poco.
 
Quando Rick allunga il braccio verso l’altra parte del letto, sente che è freddo. Si sforza di aprire gli occhi per notare l’assenza della sua musa. Non capendo, chiude e riapre gli occhi per una seconda volta, prima di decidere di alzarsi. È in soggiorno che trova Kate in tenuta da detective, pronta ad andare al lavoro, intenda a sorseggiare il caffè con una serie di pagine stampate sul tavolino della cucina. Non le serve voltarsi per allungare il braccio verso di lui e dargli la sua porzione quotidiana di caffeina.
“Sei rimasta sveglia tutta la notte?”
“Non riuscivo a dormire quindi ho fatto anche io delle ricerche.”
Rick si avvina e le dà un bacio sulla testa, quindi ne approfitta per sbirciare cosa sta leggendo. Guarda l’orologio: è ancora presto per andare al distretto, e questo gli fa pensare che Kate non ha dormito.
“Tesoro, devi riposare un po’.”
Lei ignora la domanda per porgergli le sue ricerche.
“Guarda cos’ho trovato. Hai mai sentito parlare delle sette porte dell’Inferno?”
“Pensavo fosse una credenza.”
“Sette porte distribuite in sette diversi posti del mondo. Si dice che siano sette cancelli che conducano all’Inferno, e bastano due sacrifici umani una volta l’anno per chiudere la porta di Greenwood e impedire che si apra la porta principale sita in Kansas. Io credo che la gente di Greenwood sia stata influenzata da questa credenza e dalle leggende del luogo, inclusa quella della sposa, e ne abbia approfittato per compiere omicidi da chissà quanti anni. Ecco perché il nostro amico Don Francis aveva tanta fretta di cacciarci dalla sua chiesa...”
Castle dà un’occhiata ai fogli ed è inorridito, ma al tempo stesso, dentro di sé, è anche esaltato nel vedere che una leggenda potrebbe essere vera. Zombi, vampiri, licantropi... quanti casi di omicidio aveva visto legati a queste creature mitologiche? In tutti i casi, si erano rivelati dei bluff. Stavolta è diverso.
Rick la fissa intensamente e lei ricambia lo sguardo.
“... lui sa più di quello che pensavamo...”
“... e l’assenza di croce nella chiesa può indicare una sola cosa...”
“... è stata usata per crocefiggere Casey...”
“... e in precedenza Sally!”
Sono tornati a concludersi le frasi a vicenda. Anche se, quando mai hanno smesso? Sorridono quando giungono alla medesima conclusione. Ma il sorriso dura poco, perché la realtà è crudele e si rendono conto che non è un gioco. Si guardano mantenendo gli occhi fissi, come per darsi l’ok e pronunciare l’ultima frase. Rick prende parola, afferrando le ricerche da portare al distretto.
“Due sacrifici umani sono necessari. Quindi se Sally è stata la prima ad essere uccisa, Casey è la prossima.”
 
Angoletto dell’autrice (poco) sana di mente:
Questi due continuano a completarsi le frasi a vicenda, ma io boh, senza parole! Ahahaha!
Kate e Rick giungono alla stessa conclusione: la gente di Greenwood si è lasciata influenzare dalla credenza delle sette porte e ha approfittato delle varie leggende del luogo per dare il via ad una scia di sangue iniziata chissà quanti anni prima.
Resta il mistero della sposa di Greenwood, ma non preoccupatevi: ci arriveremo più avanti! :)
Grazie per continuare a seguire questa storia ;)
Alla prossima *-*
D.

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Capitolo 6
*** Crollano le certezze. ***




 
Crollano le certezze
 

 
Quando escono dall’ascensore del dodicesimo, si muovono decisi, avendo lo stesso passo. Sincronizzati nel formulare le stesse cose, sincronizzati anche nella camminata, lo scrittore e la sua musa passano accanto agli agenti del Dodicesimo che li salutano come fanno ogni mattina, mentre si sbrigano a svolgere i loro compiti. Tenendo in mano i file dell’omicidio di Sally Robinson, Kate si siede al suo posto, seguito da Rick, quasi ipnotizzato dal suo profumo di ciliegie, trasportato da quell’odore neanche avesse una corda al collo.
Silenzioso, osserva i movimenti della donna, carpendone ogni minimo dettaglio: dal modo in cui apre la cartellina coi fogli, sfogliando delicatamente pagina dopo pagina, con l’anello all’anulare sinistro che emana luce propria, al modo in cui si porta una ciocca di capelli dietro l’orecchio per evitare che le ricadi davanti gli occhi. Kate si sente osservata, quindi senza muoversi dalla sua posizione, le pupille si spostano in direzione dello scrittore.
“Mi stai fissando?” sembra voler dire con quello sguardo infastidito, imbronciato, ma pur sempre adorabile, invece si pronuncia in altro modo, “Castle, non è la prima volta che mi vedi seduta alla scrivania mentre leggo”, senza nascondere quella punta di divertimento che le si legge dalle labbra inclinate verso l’alto.
Rick assume la posizione del solito bambino colto in flagrante dopo la solita marachella. Si sistema per bene sulla sedia, tenendo salde le spalle sullo schienale, poi allunga le braccia verso il basso stringendo le mani, che giocherellano tra di loro. Kate gira il busto verso di lui, incrocia le gambe, e alza il sopracciglio in attesa di una risposta, con un sorriso divertito.
Rumore di passi, tacchi per l’esattezza spostano la loro attenzione sul loro breve momento di dolcezza verso il loro capitano. La Gates cammina da una parte all’altra del distretto, gesticolando mentre è impegnata in una conversazione telefonica; è in uno stato di agitazione. Poi, si chiude nel suo ufficio, sbarrando le tendine che la separano dal mondo esterno.
Kate fa segno a Rick di seguirla verso la lavagnetta; è quello il momento adatto per parlare con la sua squadra di ciò che hanno trovato.
Javier e Kevin sono persi nei loro scritti, chi a leggere sulle carte, e chi a navigare sul computer. Non si sono neanche accorti della loro vicinanza. Come un’ossessa, Kate si tortura le mani, come se cercasse le parole esatte.
“Ci dispiace interrompere i vostri giochini, ma io e Beckett abbiamo qualcosa da dirvi.”
Kate sorride. Per fortuna ci pensa Rick a fare le sue veci e a correre in suo soccorso, come sempre. I due detective alzano lo sguardo in simultanea, ed entrambi smettono di fare il loro lavoro.
Senza dire nulla, l’ispanico si alza per offrire la sua sedia a Kate, ma lei con un gesto della mano rifiuta, e anzi la posa maternamente sulla spalla del suo amico, dandogli una pacca, in segno d’affetto, poi si rivolge alla sua mini squadra, stavolta assumendo una posizione composta. Smette di torturare le mani e afferra i file dell’omicidio dalla cartellina che Rick sta tenendo per lei.
Uno sguardo d’intesa tra i due le basta per darle quella sicurezza necessaria di cui ha bisogno in quel momento. Non si sta preparando per fare il discorso alla nazione, ma si rende conto che non sarà facile parlare. Ripete nella sua mente che è semplice caso d’omicidio, ma l’altra parte della corteccia celebrale le dice il contrario.
“Ragazzi, io e Castle abbiamo trovato qualcosa di interessante per l’omicidio di Sally Robinson.”
Sì, brava, è così che devi iniziare, come dice la procedura, si dice a se stessa.
“Ah quindi vi siete messi al lavoro? Noi che pensavamo vi coccolasse soltanto!” Javier non riesce a resistere a fare la battutina per rasserenare l’animo, scatenando una risatina da parte di Kevin. Rick si trattiene, sembra quasi non capire l’allusione sessuale dell’ispanico, poi però si mette a ridacchiare, indicando Javier con un’espressione compiaciuta.
Kate rotea gli occhi e afferra primo uno e poi l’altro per le orecchie e gliele tira all’insù. I due emettono dei gridolino imbarazzante da poter cancellare il loro ego mascolino in un batter d’occhio. La detective volge lo sguardo a Kevin che smette subito di ridere nascondendosi dietro a colpi di tosse. Il volti le appare per un attimo più rilassato, segno che aveva bisogno del suo siparietto quotidiano per dimenticare per un attimo i problemi del mondo. Non che toccasse a lei reggere il peso, ma come detective ha le sue responsabilità. Torna seria a rivolgersi ai suoi.
“Facciamo i seri... so che è difficile parlarne, ma siamo giunti ad una conclusione sconcertante. Ci troviamo di fronte ad un brutale omicidio commesso dalla gente di Greenwood. Tutti più o meno ne sono responsabili e a istigarli è stato senza ombra di dubbio Don Francis.” Parla lentamente, tempo che i due detective assimilano il concetto. Con un battito di ciglia, Kevin sembra dare l’ok a Kate per proseguire. “Hanno approfittato di una credenza popolare...”
“Leggenda...” la corregge Rick tossicchiando. Kate ignora il commento per proseguire.
“... per sacrificare Sally, e faranno lo stesso con Casey. Perché se ciò che vi ho detto è vero, ci troviamo di fronte a un branco di animali psicopatici. Lo so, non dovrei parlare così perché sono una detective, ma questo caso d’omicidio va oltre tutto ciò che avviamo visto finora.” Conclude, dando un’occhiata ai due bro, che appaiono abbastanza sconcertanti dalla modalità del tono brutale usato da Beckett.
La donna spalanca gli occhi quando vede la Gates avvicinarsi con fare deciso verso la loro piccola riunione. Il capitano si mette sull’attenti e scruta per qualche secondo la situazione. Sembra che abbia sentito tutto il discorso. Esposito e Ryan sussultano quando percepiscono la presenza della Gates dietro di loro.
“Ottimo, detective. Quindi cosa dobbiamo fare? Chiamare gli acchiappa fantasmi?”
“Ghoooostbusteeeers!!” canticchia Rick, non resistendo. Gli altri lo guardano per zittirlo, quindi lo scrittore si copre la bocca, mormorando verso Victoria Gates, “Scusi.”
“E’ un caso d’omicidio particolare, capitano, me ne rendo conto ma, sono sicura che il colpevole è Don Francis.”
Kate cerca lo sguardo compassionevole della donna. Le basta un cenno della testa, anche una parola è sufficiente.
“Lei si rende conto che questo caso è già complicato di suo e che ho appena ricevuto una lamentala dal sindaco perché sembra che lei e il signor Castle abbiate importunato un povero prete?”
La detective deglutisce a fatica. Rick le lancia un’occhiata e percepisce la tensione emotiva.
“Quindi vuole sapere cosa gli ho risposto? Che può andarsene al diavolo, perché io posseggo la detective più in gamba di New York e me ne sbatto delle sue lamentele. Non è mica il Presidente!”
Ai tre uomini presenti scappa una risatina. Non sanno se è più ironico il fatto che la Gates abbia citato il diavolo, dato il caso d’omicidio su cui stanno indagando, oppure perché la ‘la donna di ferro’ ha proprio imprecato col sindaco. In entrambi i casi, sanno di poter contare sull’appoggio del loro capitano. Kate sorride soddisfatta per un attimo. Apre la bocca nel tentativo di dire qualcosa, ma è la Gates a prender parola. Alzando la mano, ferma il teatrino intorno a sé, anticipando la domanda della detective.
“E va bene, Beckett. Preparo un mandato di arresto.”
 
 
L’inquietudine che hanno nel tornare a Greenwood è sempre la stessa. Stavolta tocca a Kevin e Javier percepire nella loro pelle quella sensazione di macabro appena mettono piede in quel luogo così ambiguo come è il cimitero. Impotente, immenso, maestoso, una meta turistica ideale, che nasconde, però, ombre nella notte pronte a nutrirsi della paura di chi si addentra senza ricevere l’invito. Kate stringe la mano di Rick, ricevendo calore e sicurezza, e come fossero due genitori che accompagnano i figli al luna park, fanno da guide ai due detective dietro di loro. Kevin continua a guardarsi le spalle, quasi avesse la sensazione di essere seguito, ma poi Javier lo riporta alla realtà dandogli uno scappellotto, come a ricordargli, “Amico, siamo detective della polizia di New York! Comportiamoci come tali!.
 
Più si avvicinano alla chiesa, più l’uomo al suo interno si sente braccato. Scruta dalle tende del suo ufficio l’arrivo della polizia, e riconosce la coppia che avanza davanti, quindi chiude la finestra con uno strattone e afferra il borsone che ha sotto la scrivania, quello nero che usa in casi di emergenza. Apre l’armadio dove prende dei libri che solo lui conosce, candele, qualche abito, e i documenti, poi mette tutto nel borsone. Il respiro si fa affannoso, tanto da avere la sensazione di non vederci più. Si toglie gli occhiali da vista che indossa solo quando legge, e se li pulisce frettolosamente con una spugnetta. Le mani sudate gli fanno cadere a terra le lenti, ma non ha tempo per piegarsi a raccoglierle, perché sa che deve fuggire.
 
“Don Francis! Kate Beckett, polizia di New York. Si ricorda di me? Abbiamo un mandato di arresto.”
Afferra il borsone e tenta di uscire dalla porta secondaria della sacrestia, ma resta quasi incastrato... quella porta è difficile da aprire perché non si usa mai. Sbuffa alzando lo sguardo e si maledice perché non ha mai avuto il tempo di farla oliare.
“Don Francis! Apra la porta o la butto giù con la forza!” Kate tira fuori la pistola dalla fondina e allargando le gambe, si mette in posizione di attacco.
Il rumore della porta secondaria che si apre lentamente fa scattare Javier, che fa segno a Kevin di seguire quello scricchiolio. I due detective sfoderano le pistole e camminando in punta di piedi, ma di corsa, fanno il giro della chiesa, attaccandosi al muro come due topolini alla ricerca del formaggio.
“E va bene, Don Francis... io ti avevo avvertita...” sembra sussurrare più a se stessa che al prete. Kate sbuffa togliendosi una ciocca di capelli dagli occhi, fa un passo indietro e poi dà un calcio aprendo l’antica porta della chiesa.
Rick entra con lei, quasi a volerla proteggere con la sua aura positiva, ma mentre avanzano per la navata, con l’occhio che torna a guardare quel crocefisso rimosso, la detective vede il mondo intorno a sé girare. L’ultima immagine che vede è quella dello scrittore che la soccorre, la sorregge, prima di venire soppressa dal buio.
“Kate! Kate!” la voce ovattata di Castle le fa eco nella mente, mentre sembra viaggiare e vedere di nuovo quello spettro di ragazza che le urla di salvarla.
 
Don Francis continua a spingere e la porta finalmente si apre. Si morde il labbro, assaporando il pensiero della libertà, ma subito dopo viene freddato da due pistole cariche puntate su di lui.
“Don Francis, lei è in arresto. Metta le mani dietro la schiena.” Parla Esposito, e il prete obbedisce seduta stante, mollando il borsone a terra, mentre Kevin ripone la pistola nella fondina e lo ammanetta.
 
La voce della ragazza è di disperazione, ma allo stesso tempo sembra dirle di fare attenzione...
Perché salvarla vorrebbe dire fare giustizia...
Ma metterebbe in pericolo la sua vita...
Addentrarsi troppo nella verità significa rischiare...
Salvare la vita di una persona innocente ma rischiare la propria?
Il quadro improvvisamente sembrava diventarle più chiaro.
Sua madre fece lo stesso.
 
“Kate! Kate! Ti prego, svegliati!” lo scrittore continua a pregare e lo fa proprio nel luogo adatto, ma peccato che quella chiesa non sembra presagire niente di buono. Si avvicina al suo petto, il cuore batte, il respiro c’è ancora, ma perché la sua dolce musa non si sveglia?
Rick se la stringe a sé, bagnando il suo viso con le lacrime che sgorgano dagli occhi. Quella chiesa priva di statue, senza un santo o un Dio a cui rivolgere le sue preghiere, quanto potrà essergli utile? Si fa forza e la se la porta in braccio, uscendo da quel luogo infernale.
Quando Kevin e Javier vedono Rick trasportare Kate, sono presi dal panico. L’ispanico guarda Don Francis e il suo ghigno maligno, e la tentazione di prenderlo a pugni si insinua nella sua mente. Il pugno è già pronto, ma l’irlandese, meno irruento dell’amico, scuote la testa e gli fa cenno di non farlo. Non è la cosa giusta da fare in quel momento.
“Ragazzi, tranquilli, Beckett è ancora viva, è solo svenuta, o almeno così sembra.”
“Tu stai bene, amico?” gli chiede Kevin, posandogli una mano sul braccio.
Lo scrittore risponde stringendo le labbra e muovendo leggermente la testa.
Il ghigno del prete si trasforma in qualcosa simile alla risata, ma molto più maligna. La sensazione è che dentro l’uomo ci sia qualche altro ospite a parlare per lui.
“Non riuscirete a salvarla.”


 
Angoletto dell’autrice (poco) sana di mente:
Il capitolo in realtà era molto più lungo, ma ho voluto dividere per questioni di logica... e anche per lasciarvi ancora di più con l’ansia :p
Kate è convintissima che ci sia Don Francis dietro tutto, ma la sensazione di inquietudine che emana la chiesa di Greenwood è sempre presente, tanto da farle perdere i sensi...
Inoltre, ciò che dice il prete non promette nulla di buono...
Le certezze dei nostri eroi iniziano davvero a crollare...
In tutto ciò, ho alzato il rating perché ci addentriamo veramente nella storia :p
A presto *-*
D.

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Capitolo 7
*** Smarrire la strada. ***




 
Smarrire la strada
 

 
 
“Kate, tesoro, sapessi quanto ero in pena per te! Javi mi ha raccontato cos’è successo!”
L’amica medico legale la stringe più forte che può tra le sue braccia, dondolandola a sé. La detective Beckett resta un attimo in trance, forse sorpresa da quell’abbraccio così sincero e intimo, forse non realizzando ancora il fatto di essersi risvegliata dallo stato di incoscienza in cui era caduta.
 
 
Dopo la caduta nel bel mezzo della navata, Kate aveva avuto l’incubo reale della giovane in bianco che le gridava di salvarla. Lei aveva subito riconosciuto la sposa di Greenwood, e il suo istinto le diceva di allungarsi per raggiungerla, ma più cercava di afferrarla, più la ragazza spettro si allontanava. Aveva compiuto quel gesto per altre infinite volte, mentre si sentiva galleggiare in un mondo perpetuo, bianco e immacolato, dello stesso colore dell’abito della sposa. Poi aveva aperto improvvisamente gli occhi, incontrando lo sguardo del suo amato che le accarezzava i capelli, tenendole la testa tra le gambe. Le era bastato poco per rendersi conto di trovarsi nell’auto del distretto, perché sentiva Rick dire a Kevin e Javier, “Si è svegliata! Si è svegliata!” L’emozione lo aveva tradito facilmente, tanto che si era trovato a piangere di gioia vedendola di nuovo svegliarsi, come nella favola della Bella Addormentata. Mentre lo scrittore continuava a carezzarle la testa e i capelli, lei aveva sorriso e aveva sussurrato ingenuamente, “Dove siamo diretti?”. Rick ricambiava il sorriso perché vedeva in lei una bambina che aveva solo dormito per il lungo viaggio e che si era svegliata chiedendo a che punto erano prima di arrivare a destinazione.
“Torniamo al Distretto. Sei svenuta appena entrata nella chiesa di Greenwood. Direi che possiamo smettere di fare passeggiate in luoghi lugubri, perché non ti fanno bene.” Scherzava, e lei lo amava quando faceva così. Il suo umorismo le rendeva le cose più leggere, e il suo essere positivo la rendeva più fiduciosa.
Lentamente si era alzata e con un tocco di mano, aveva stretto la spalla dei due detective davanti. Kevin e Javier avevano sorriso dallo specchietto, senza dire nulla. Kate si era svegliata, e per loro questo bastava. Un brivido l’aveva percossa, di nuovo, stringendosi nel suo giubbino, quando aveva notato che dietro di loro c’era un’altra volante della polizia e che al suo interno, sul sedile posteriore, c’era Don Francis ammanettato che la guardava.

 
 
“Lanie, tranquilla, sono solo svenuta!”
“Non farmi più questi scherzi, ragazza!”
“Te lo prometto.” Risponde Kate con un sorriso. Scioglie l’abbraccio posandole le mani sulle spalle. “Dov’è il nostro prete?”
“Javi e Ryan lo stanno tenendo nella stanza degli interrogatori. Attendono solo te, dolcezza.”
Kate volge lo sguardo al di là della sua amica. Quella stanzetta fa parte del suo distretto, della sua seconda casa, quindi prende un bel respiro chiudendo gli occhi e si concentra per l’interrogatorio più duro della sua carriera. Con la coda dell’occhio vede l’uomo accanto a sé, fermo, silenzioso, che non ha fatto altro se non annuire da quando sono tornati al Dodicesimo. Congeda Lanie per dedicare del tempo al suo scrittore.
“Perfetto. Ehi, Castle, tutto bene? Sei tutto pallido, eppure sono io quella che è svenuta.”
Lui non risponde e non ride alla sua battuta. Si avvicina per stringere le mani nelle sue e cerca di scrutare oltre l’azzurro dei suoi occhi, scoprendo nient’altro che un oceano di pensieri.
“Non scherzare, Kate. Pensavo davvero che tu...” lui mozza la frase, lasciandola in sospeso e si porta una mano sul volto. Lei probabilmente non ha neanche idea di quanto l’abbia fatto stare in pensiero in quell’istante in cui credeva di averla persa per sempre.
“Non dirlo neanche!” gli urla Kate, tornando a stringergli le mani, che poi porta vicino al viso e le trascina sulle labbra, lasciando un bacio delicato.
“Sarei morto con te, in quel preciso istante, anch’io.”
Rick imita Kate e bacia anche lui le sue mani, come a suggellare un patto d’amore. Finché morte non ci separi.
Tornano a respirare normalmente e prendono posizione, lei seduta alla sua postazione, lui sulla scrivania. Kate afferra una penna e inizia a torturarla, poi tira fuori un foglio tra le tante scartoffie poggiate lì e comincia a scarabocchiare qualcosa. Scrive, cancella, poi di nuovo segna il tutto con una grossa linea nera sulle parole. Rick si schiarisce la voce, quindi lei alza lo sguardo e lo vede sospirare come attendesse qualcosa.
“C’è qualcosa che non va?”
Sorride. Come riesce a leggerle nel pensiero e capire cosa sta per fare? Si fa timida stringendosi a sé. Si sporge verso di lui.
“Senti, ho promesso che ti avrei detto tutto e intendo farlo.” Lo scrittore si mette sull’attenti e dentro di lui gioisce; lei si sta aprendo, si sta confidando con lui, e gli ha detto apertamente che non gli mentirà più quando si sentirà male. Questo non fa altro che aumentare quel sentimento che prova per lei.
Kate si morde il labbro inferiore prima di iniziare a comporre qualche frase e ricordare per bene le sensazioni che ha percepito. Poi riesce ad aprire bocca e lo fa a bassa voce. “Mentre ero in quella fase di trance, ho di nuovo visto la sposa di Greenwood. Sono certa fosse lei perché mi implorava di salvarla... ma stavolta era diverso. Lo gridava, quasi come tentasse di mettermi in guardia dal rischio che avrei corso...”
“Beckett, devo dirti anche io una cosa.” Lui la interrompe e poi parla a gran voce. “Dopo che Esposito e Ryan l’hanno ammanettato, quando Don Francis ti ha visto priva di coscienza tra le mie braccia, ha detto che ‘Non riusciremo a salvarla’, ma non so se si riferisse a te o a Casey.”
“Era per Casey. Castle, adesso inizio a vedere le cose sotto una nuova luce. E lo so, sono io quella scettica, ma credo che tu abbia ragione a credere in parte a queste leggende.”
“Okay, ti seguo.”
Quel lato di lui fanciullesco si sta pavoneggiando perché la donna che ama gli sta dando ragione! Subito si ricompone per non tradire le sue manie di protagonismo e torna a stringere le mani di Kate, che con lo sguardo abbassato, al momento sta torturando le dita, pizzicandole una per volta.
“Io continuo a vedere la sposa di Greenwood, e sai perché? Devo salvare io Casey. Spetta a me, e penso che gli abitanti di Greenwood, Don Francis o chissà cos’altro di inquietante là, lo abbiano capito, e stiano facendo di tutto per impedirmi di raggiungere il mio scopo.”
Gli occhi della detective sono un fuoco che arde. Convintissima della sua teoria e sempre determinata a far giustizia, Rick vede in lei una guerriera pronta a scagliarsi contro tutti in ogni battaglia, e la ammira. Tuttavia, lei lo conosce bene: lo scrittore si sta trattenendo dal citare film, perché la teoria esposta da Kate gli ricorda alcune pellicole. Stringe il pugno e se lo porta davanti la bocca. Lei accenna un sorriso sghembo, poi con la mano gli colpisce la gamba. In risposta, lui finge di aver attutito il colpo.
“Ok, prima che tu mi faccia citazioni cinematografici, puoi confermare la mia teoria?”
“Sono felice che tu me lo chieda! Cioè, il caso di omicidio è terribile, me lo ricordo, ma ho degli esempi da farti.”
Eccolo, sta iniziando ad esaltarsi, e lei lo sa. Rick si sposta sulla scrivania, dondolando da una parte all’altra, cercando la posizione adeguata. Alza il braccio e gesticola con la mano. Kate incrocia le braccia e si lascia cadere sullo schienale della sedia: si sta divertendo un mondo.
“Ne L’Esorcista, Padre Merrin muore mentre cerca di esorcizzare Regan. Poi abbiamo Rosemary’s Baby, dove chiunque si avvicini alla protagonista, che porta in grembo il figlio del diavolo, viene ucciso. Infine, Omen, un altro classico dell’horror, dove il bambino che rappresenta l’Anticristo, fa fuori tutti quelli che tentano di ostacolarlo perché hanno saputo la sua vera natura. Che c’è?”
Avrebbe continuato ad oltranza, ma è lo sguardo sconvolto della sua musa a bloccarlo. Come l’ultima volta in cui avevano sentito quella canzone inquietante che ricordava a loro il 3XK.
“Castle, mi hai nominato tutti film dell’orrore che hanno tutti un solo fattore in comune...”
“Sì, me ne rendo conto, ma sono quelli più famosi.”
Iniziano le palpitazioni e Kate sente il cuore quasi scoppiare. Per un attimo rimpiange di aver iniziato a credere alle teorie sul soprannaturale, perché sembra le si stiano rivoltando contro. E lei non è pronta ad una simile battaglia. Non riesce a pronunciare il nome che entrambi stanno pensando.
“Tu credi ci sia proprio quella presenza a impedirmi di indagare e salvare Casey? Ho bisogno che tu mi dia ragione, Castle. Ho bisogno che tu mi stia accanto, o rischio di perdere il lume della ragione.”
Rick non ha bisogno di indugiare oltre nei suoi occhi. Scuote la testa e si chiede perché lei gli stia facendo quella domanda quando è sicura di sapere la risposta. Lui è lì per lei, come lo è sempre stato. Si alza per accovacciarsi alla sua altezza e nel farlo le lascia un bacio sui capelli.
“Ti credo, ma prima dovresti ascoltare il nostro Don Francis e sentire cosa ha da dirci. Credo sia lui la chiave in tutto questo.”
 
 
Dalla stanza vetrata, Javier, Kevin e Victoria Gates stanno guardando il sospettato domandandosi a vicenda se sia in grado di respirare in qualche modo. Don Francis è rimasto a fissare la parete davanti a lui, tenendo sempre le mani nella stessa posizione, una sull’altra, avendo le manette legate a bloccarlo. Poco dopo, i tre vengono raggiunti da Rick.
Kate entra nella stanza interrogatori con la cartellina tra le mani, e il prete non alza neanche lo sguardo. Senza salutare, la donna si siede davanti a lui, e solo in quel momento riesce ad incrociare i suoi occhi. Sono diversi da come se li ricordava la prima volta. In quell’occasione erano umani, ma questi che ha di fronte hanno un qualcosa di innaturale.
“Allora, Don Francis. Sa perché siamo qui?”
“Detective, di certo non vuole che dia l’estrema unzione a qualche detenuto.”
Finalmente pronuncia parola dopo ore chiuso là dentro. Kate lo fissa aprendo la cartellina. Le foto del cadavere di Sally Robinson risaltano in prima pagina, ma Don Francis non sembra farci caso.
“Pensa che sia divertente tutto questo? Perché non inizia a dirmi dove si trovava la notte in cui Sally Robinson è stata uccisa?” attende qualche secondo ma non riceve risposta. “Non risponde? Bene, io continuo lo stesso. Cosa ci fanno tutti quei libri sull’Apocalisse e leggende di Greenwood nel suo studio? Perché il crocefisso nella sua chiesa è stato rimosso? Le conviene parlare se non vuole attendere la fine del mondo rinchiuso in una cella.”
Lui sbilancia la testa verso sinistra per osservarla da capo a piedi. “Vedo che si è ripresa, detective. La chiesa ha una strana influenza su coloro che si intromettono nei suoi piani.”
“I piani di chi?”
L’uomo ridacchia, stiracchiandosi per quel che può. Butta la testa all’indietro e poi torna a guardare la detective. Almeno è riuscito a compiere qualche movimento dalla sua posizione stabile in cui era rimasto da quando Esposito e Ryan l’avevano fatto sedere. Quel sorriso maligno si dipinge sul suo volto e per un attimo, Beckett può giurare di percepire un’altra presenza nella stanza.
“Tutto ciò è così stupido, sa. L’essere umano è sciocco. Crede di poter avere le risposte a tutto, ma in realtà non si può fermare ciò che è destinato ad accadere. Lui sta arrivando e non può essere fermato.”
“Lasci stare i sermoni, e cominci a parlare chiaro.”
Quando si protrae verso Kate, la detective nota dei segni, forse tatuaggi sui polsi. Rabbrividisce ma cerca di non darlo a vedere. Dall’altra parte della vetrata, Castle digrigna i denti e stringe i pugni.
“Lei non è mai stata una donna religiosa, eppure quando ha messo piede nella mia chiesa si è sentita turbata da qualcosa. Ma cosa? Già, il crocefisso rimosso.”
Kate deglutisce. Come fa a sapere queste cose? Poi guarda i suoi occhi. Un nero intenso, percepito per qualche istante, per poi tornare al suo colore naturale. Mette le mani a pugno e le preme sul tavolo. Deve porre una barriera tra lei e Don Francis, senza lasciarsi coinvolgere nei suoi giochetti mentali. Deve ricordarsi chi è lei e che cosa fa.
“Questo è un interrogatorio, io sono la detective, lei è il sospettato. Le domande le faccio io. Risponda, dove si trovava la notte in cui Sally Robinson è stata uccisa?”
“Ero chiuso nel mio ufficio. Pioveva, non potevo certo andarmene in giro.”
“C’è qualcuno che può confermare il suo alibi?”
“Il Signore è il mio testimone.”
 
“Di questo passo non finiremo più...” sospira Kevin.
“Perché non gli diamo una Bibbia, magari cita altre cose.” Aggiunge Javier, magari nel tentativo di smorzare la tensione.
La Gates lancia uno sguardo a Rick. Vicino alla vetrata, con un mano a pugno su di essa, e l’altra lasciata chiusa lungo il suo corpo. Poi si rivolge ai due detective per farli stare zitti.
“Voi due comari, fate silenzio!”
 
“Le ripeto, questo non è un sermone di chiesa.”
È in quel preciso istante in cui sposta lo sguardo sulla cartellina e poi lo rialza che la detective percepisce altre sensazioni. Un bisbiglio, forse una folata di vento, ma come potrebbe essere? Alza gli occhi: sono in una stanza chiusa, senza finestre, c’è solo una porta. Forse uno spiffero è entrato da sotto l’uscio? Cerca di pensare razionalmente, ma non ci riesce. Mentre si osserva intorno, non si accorge dei lamenti di Don Francis davanti a lei. L’uomo ha entrambe le mani sul viso e scuote la testa.
“Lo so, non dovrei farne più dopo questo... io non me lo merito...”
 
Anche nella stanza vetrata non sanno come reagire.
“Ma che gli succede? Prima fa battutine, poi cambia d’umore?” chiede Javier confuso.
“Mi sembra posseduto.” Azzarda Kevin.
“Ragazzi.” I tre guardano Rick che parla per la prima volta da quando è entrato nella stanza. Il tono allarmato li obbliga a tornare ad incollarsi alla scena davanti a loro e a sentire bene, perché sanno che l’interrogatorio è appena iniziato.
 
“Ho sbagliato, mi sono smarrito... cosa vuole che le dica?” singhiozza il prete, ed è come se Kate avesse davanti a sé una persona del tutto diversa. Tiene le labbra all’interno della bocca per dar carica alle parole. Questo è il momento in cui può approfittarne per iniziare a fare domande.
“Perché non comincia dall’inizio?”
Quando Don Francis si toglie le mani dal viso, i suoi occhi sono rossi perché qualche lacrima si è posata sul suo viso. Rotea gli occhi cercando di scacciare i demoni che lo stanno tormentando, e probabilmente, dentro di sé, sa che non è un modo figurato.
“Era solo una leggenda ed è diventata una cosa orribile solo a raccontare... e adesso non si può fermare...”
“Cosa non si può fermare? La smetta di sparare frasi frivole e racconti tutto dall’inizio.”
“Va bene, vi dirò tutto. Sono cinquant’anni che mi tengo dentro questa storia.” dice sospirando. Nell’attimo dopo aver abbassato la testa, quando rialza lo sguardo, Kate rivede di nuovo l’oscurità nei suoi occhi e quell’immagine dipinta sul volto di una persona non del tutto umana. Il sorriso maligno come quello di un clown è fisso su di lei. Kate stizza l’occhio e stringe i pugni sul tavolo ancora di più; ora deve far fede a tutta la sua razionalità per evitare di uscirne pazza.
“Era una notte buia e tempestosa... strano come tutte le storie dell’orrore inizino in questo modo, vero, detective Beckett?”
 
 
Angoletto dell’autrice (poco) sana di mente:
Brrr... Don Francis ha messo paura anche a me!
Beckett aveva visto giusto fin da subito... ora si spiega perché era lei ad avere le visioni della sposa...
A proposito, la nostra detective si è ripresa, e inizia a credere anche lei a queste leggende, e ovviamente Rick non può che esaltarsi... qualcuno lo fermi!
Non ho altro da dire, se non annunciarvi che il racconto comincia nel prossimo capitolo!
A presto *-*
D.

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Capitolo 8
*** Discesa nelle tenebre. ***




 
Discesa nelle tenebre
 

 
Greenwood, 1964


Francis McDowell era solito passare i pomeriggi d’estate insieme ai suoi amici. Tra motociclette, ragazze e gare clandestine, lui e gli altri ragazzi della cittadina sognavano di essere James Dean indossando giubbotti in pelle, jeans strappati e canotte bianche. Sedici anni erano il periodo più ribelle per un adolescente, e Francis sapeva che crescere in una cittadina come Greenwood non era il massimo delle aspirazioni. Sognava New York, e da lì desiderava muoversi a Hollywood, camminare tra Palm Springs, spiagge, sole, bella vita, cose che sentiva parlare tutti i giorni sulla televisione. Ma era incatenato alla sua misera vita, ed era suo padre a privargli della libertà che aveva sempre desiderato.
Quando quella sera d’estate iniziò a piovere, il meteo annunciò che sarebbe arrivata la più grande pioggia torrenziale degli ultimi cento anni, costringendo Francis e i suoi amici a rinunciare alla loro gara clandestina di motocicletta. Il giovane fu costretto a chiudersi in casa e si ritrovò a curiosare nell’immensa libreria di suo padre. Libro dopo libro, genere dopo genere, l’occhio cadde sul reparto dell’occulto, nascosto in un angolo della stanza. Incuriosito, prese la scala e arrivato in cima, lesse ogni titolo esposto nella mensola. Fu quel libro ricamato con la copertina in pelle rossa e marrone a colpirlo. Un mattone di oltre mille pagine con le incisioni in una lingua antica di cui non aveva mai sentito parlare. Lo afferrò e soffiò per toglierci la polvere. Rimase per qualche istante incanto. Passò una mano sulla copertina per sentirne il tatto. Il Regno delle Ombre, questo il suo titolo, era un libro datato 1692, in pieno periodo del processo alle streghe di Salem, come potette poi informarsi. La voce di suo padre che lo chiamava da un’altra stanza, lo costrinse a nascondere il libro sotto la giacca in pelle, e uscire silenzioso, ma di corsa, dalla libreria.
“Francis, dove ti eri nascosto?”
“Ero in giro per casa, dove vuoi che vada con questo tempo?”
In quell’istante un lampo illuminò il finestrone dove padre e figlio si erano incontrati. Jonathan McDowell guardò Francis dall’alto in basso, arricciando il naso, come se annusasse per capire se suo figlio avesse detto il vero. La gocciolina di sudore che scese dalla tempia lungo il contorno del viso, tradì il giovane. Con forza, l’uomo strattonò il figlio riuscendo a raggiungere il libro che sapeva lui stesse nascondendo.
“Non devi mai più entrare lì dentro, ci siamo capiti?”
“Altrimenti che mi fai?”
Fare il ragazzo ribelle era davvero nella sua natura. Guardò suo padre sfidandolo.
“Signor McDowell... c’è bisogno di lei...”
Timidamente, il maggiordomo di famiglia richiamò l’attenzione dell’uomo. Con un cenno del capo, il servitore gli fece intendere che c’era una questione urgente da sbrigare, e che non poteva essere rimandata.
“Con te finisco dopo.” Disse indicando il figlio per l’ultima volta prima di uscire di casa.
La curiosità di Francis era tanta, che non accettò l’esser trattato in quel modo. Quel libro aveva fatto andar suo padre su tutte le furie e se ne chiese il perché. L’affronto che gli aveva fatto era inaccettabile, e ne aveva abbastanza. Aveva bisogno di risposte e quella sera tempestosa lui le avrebbe trovate.
 
“Questo libro però non si trova nella sua sacrestia, o sbaglio?”
“No, detective. È stato nascosto in un altro luogo.”
Kate resta a ponderare per qualche secondo, appuntandosi qualcosa, poi fa segno al prete di continuare il raccontare con un cenno di mano. Gli indizi a disposizione sono ancora pochi. Ha bisogno di sentire il resto della storia.
 
Chiuso nel suo giubbino di pelle, Francis affrontò la pioggia fitta e spossante, inseguendo l’auto di suo padre a bordo della sua motocicletta. Spense i fari, guidando nella notte. Le gare clandestine l’avevano preparato anche a questa evenienza, nel caso la polizia beccasse sul fatto lui e i suoi amici.
L’auto blu si era fermata davanti al grande cimitero della città, e suo padre era sceso mentre l’autista gli teneva l’ombrello. Poi aveva raggiunto un gruppo di persone a piedi fino alla chiesa al centro dell’immenso parco, situato all’interno del cimitero. Francis era andato spesso in quella struttura, e ogni volta ne restava affascinato dalla sua potenza e da ciò che emanava: una sensazione di pericolo che lo eccitava. Alle calcagna di suo padre e del gruppo di persone, restò dietro i portoni della chiesa, origliando e osservando incuriosito ciò che vedeva davanti a sé. Jonathan McDowell parlava gesticolando in maniera agitata, e qualcuno gli ripeteva, “E’ qui sotto, ma dobbiamo fare in fretta perché si sta svegliando!”, tutti lo circondavano aspettandosi una risposta. L’uomo alzò la mano per bloccare lo stato di preoccupazione che si era creato, e invitò i presenti a indossare delle tuniche nere. Uomini e donne tirarono fuori il vestiario dalle proprie borse e borsoni, e come marionette eseguivano gli ordini di Jonathan. Il gruppo scese seguendo una rampa di scale a chiocciola attraverso un lugubre passaggio. Francis seguì la loro scia, ma di lì a poco, avvertì qualcuno chiamare aiuto, e si rese conto che le grida diventavano sempre più insistenti.
Tenendo un passo felpato, il giovane si appoggiò alla parete e con l’occhio riuscì a scorgere una nicchia dove il gruppo di persone incappucciate guidate da suo padre erano posizionati in file composte verso l’abside di una chiesa sotterranea. Francis seguì con l’occhio la struttura e dovette coprirsi la bocca quando arrivò a guardare il crocefisso umano posto sull’altare.
“Vi prego, lasciatemi andare!” la giovane ragazza bionda, legata mani e piedi sulla croce, gocciolava sangue da braccia e gambe, a causa delle corde che la stringevano troppo. Il viso coperto di lacrime e sudore, gli occhi arrossati per il pianto, si guardava continuamente in giro pregando per un salvataggio che non sarebbe mai avvenuto.
“Che cosa volete da me? Io non ho fatto niente!”
Inutile. Gridava, invocava il loro perdono, faceva domande, ma quelle persone non la stavano ascoltando. Tre uomini si posizionarono sull’altare, e al centro Francis riconobbe suo padre dai segni simili a tatuaggi sulle braccia. Alzò in alto un coltello ricurvo con iscrizioni in aramaico, e al suo gesto, la folla rispose inginocchiandosi. Udì suo padre pronunciare una qualche formula nella stessa lingua antica, e rivolse lo sguardo in alto, cercando una benedizione per proseguire con il rito – perché era ciò che stava accadendo.
Gli occhi della giovane crocefissa, che nel frattempo tirava invano le corde con la forza, ormai esaurita, delle braccia, si riempirono di paura e di terrore, consapevole che non ne sarebbe uscita viva. Francis riconobbe quello sguardo; ero lo stesso che aveva anche lui quando rischiò la vita durante quella corsa in moto spericolata al limite di un precipizio. Si domandò se anche quella ragazza stesse vedendo tutta la sua vita passarle davanti, mentre lui, impotente assisteva alla scena, non capendo la ragione di quel che stava succedendo.
Fu come nei film dell’orrore.
Solo che il sangue era reale, e sgorgava dalle coppe posizionate sotto la giovane crocefissa. La lama ricurva infilzò la carne più volte, prima in un polso, poi in un altro, e per la ragazza non ci fu via di scampo se non rivolgere un ultimo sguardo al cielo, sussurrare, forse pregare, e dopo ispirare gettando la testa verso il basso.
Francis portò di nuovo la mano sulla bocca per coprirsela, e spalmò la schiena sul muro, evitando di guardare oltre la scena. Non aveva mai visto morire qualcuno, e quando pensava alla morte, raramente era come se la immaginava.
“Signore, accetta questo sacrificio come passaggio per il regno dei vivi!” parlò suo padre, alzando una delle coppe piene di sangue. La folla davanti rispose con altrettante parole.
Il giovane tentò di darsi alla fuga, approfittando del trambusto, quindi fece le scale per tornare indietro, ma quando tornò nella chiesa, si accorse che dal portone entravano folate di vento fin troppo forti. Dovette distendersi sotto una delle panche per ripararsi. Era sicuro di averlo chiuso dopo esservi entrato, ma in quel momento non ebbe tempo per ragionare. Percepì una presenza oltre la sua, e sentì un altro respiro sul collo che gli diede i brividi. Da principio fu tentato a restare immobile, poi quando il vento cessò, corse a più non posso fuori dalla chiesa e dal cimitero. Il temporale era cessato, ma tra gli ultimi lampi che echeggiavano in cielo, un’immagine maligna rifletteva prepotentemente tra i nuvoloni.
 
Il silenzio regna sovrano sia nella stanza interrogatori e sia in quella vetrata. Javier sente il cuore battere più forte, mentre Kevin, con le gambe tremolanti, senza dire nulla, esce chiudendo irruentemente la porta alle sue spalle.
La Gates e Rick si guardano contemporaneamente entrambi con gli occhi incerti, poi tornano ad osservare Kate e il suo interrogatorio.
“Ha paura, signor Castle?” stuzzica la donna divertita, forse per smorzare la tensione.
“Io? N-no! C-che dice!” con il suo balbettare, lo scrittore non fa che confermare la teoria del capitano.
Iron Gates scherza, ma ha quasi un mancamento in quella stanza, costringendosi ad uscire per far rifornimento di zuccheri.
Kate è scossa, ma deve agire da poliziotta. Si inumidisce le labbra e porta una mano sulla fronte cercando di formulare una domanda per lei strana.
“Mi sta dicendo che suo padre faceva parte di una setta che compiva sacrifici umani? Lo stesso che è stato fatto con Sally Robinson?”
Don Francis annuisce aggiungendo, “Cinquant’anni fa ho assistito alla morte di una giovane che ha aperto il cancello che conduce all’Inferno. E io sono stato responsabile della morte della seconda ragazza che ha permesso di richiuderlo.”
 


Angoletto dell’autrice (poco) sana di mente:
Mi sa vado anche io a far rifornimento di zuccheri con la Gates... :p
La storia sta entrando nel vivo, e mentre i nostri eroi restano impauriti dal racconto di Don Francis, scopriamo qualcosa di utile sul suo passato per risolvere l’omicidio di Sally Robinson...
Riuscirà Kate a non farsi prendere dal panico?
Lo scopriremo nella prossima puntata :p
Come al solito, grazie per chi segue, legge e commenta questa storia. Con voi che mi date retta, mi sento meno pazza del solito :p
D. *-*

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Capitolo 9
*** Ancora nell'oscurità. ***




 

 
Ancora nell'oscurità
 
Tremolante, la Gates poggia sul tavolino della sala vetrata i caffè per i suoi detective.
Rick sta per ringraziarla, ma la donna alza la mano per farlo zittire. Non vuole si sappia del gesto premuroso nei confronti della sua squadra... deve pur mantenere saldo il suo soprannome! Senza troppi complimenti, Javier si fionda sulla caffeina, mentre Kevin torna nella stanza tirandosi su la zip dei pantaloni, cercando di nascondere l’imbarazzo di essersela quasi fatta addosso nel sentire Don Francis raccontare.
“Una cosa non mi quadra.” Tutti si voltano verso Kate che entra irruenta nella stanza vetrata.
La Gates la guarda da capo a piedi come se avesse visto un fantasma. La detective si asciuga le mani sudate contro la sua camicia bianca, immacolata rispetto al racconto macchiato di sangue che ha udito.
“Sul corpo di Sally, la testa è stata rimossa. Quindi è probabile che non si tratti dello stesso tipo di rituale a cui Don Francis aveva assistito cinquant’anni fa.”
“E’ vero, questo particolare ci era sfuggito.” Concorda il capitano, mettendosi in posizione pensierosa.
Rick tiene lo sguardo fisso su Kate e le offre il caffè.
“Stai bene?” le chiede, sfiorando la mano con la sua.
Lei annuisce, ma lui sa che sta mentendo. Non sta affatto bene. Nei suoi occhi c’è il velo della paura, posatosi leggermente, ma pronto per essere rimosso in qualsiasi momento. La Gates si schiarisce la voce.
“Detective, se vuole riposarsi un attimo posso far intervenire Espo—“
“No, capitano. Ce la posso fare.” Dice interrompendola. Si ritrae immediatamente appena realizza di aver parlato sopra un suo superiore. “Io non intendevo, mi scusi...”
“Detective Beckett. Finisca il suo caffè allora, e rientri nella sala per continuare l’interrogatorio. Vediamo di tirare questo ragno fuori dal buco!”
La donna ha capito tutto. Le sta dando un’altra possibilità perché si fida di lei. Kate beve tutto d’un fiato l’ultimo sorso, nascondendo il sorriso dietro la tazza di cartone.
 
Getta le foto del cadavere mutilato di Sally Robinson davanti la faccia impassibile del prete. Don Francis spalanca le braccia e alza le spalle.
“Quale sarebbe la domanda?”
Kate poggia le mani sul tavolo e si protrae verso di lui.
“Nel suo racconto non ha accennato ad una mutilazione, o sbaglio?”
Lui resta un attimo a guardala, poi sposta di lato le foto. Incrocia le mani davanti a sé e gli occhi tornano a tingersi di nero. Le sorride e poi le dice un’ultima frase, spiazzandola: “Detective, si sieda che devo finire il mio racconto.”
 
Tornato a casa tutto inzuppato, Francis cercò di togliersi di dosso tutte quelle sensazioni della cripta. Per prima cosa si spogliò e si mise in doccia, strofinando la pelle fino ad arrossarsi. Percepiva ancora quel tremendo odore di morte e di sangue, quindi si colpì forte la testa insaponata ripetendo più volte “Basta, basta!”. La sua mente sembrò non dargli retta, poiché le immagini tornarono a tormentarlo, costringendolo, inerme, ad accasciarsi in un angoletto della doccia, tenendo ancora le braccia a coprirsi la testa. Restò lì per qualche minuto in posizione fetale, dondolandosi, con l’acqua che continuava a correre.
“Francis! Dove ti sei cacciato ieri sera? Non ti ho più visto.” Chiese suo padre l’indomani. Il giovane entrò timoroso in sala da pranzo, e vide suo padre seduto a leggere il giornale, mentre i domestici portavano via le tazze della colazione.
Quando si accorse della sua presenza, l’uomo chiuse le carte e stette a guardarlo in maniera comprensiva.
“Scusami figliolo per ieri sera, sono stato troppo avventato. Ma ci sono cose difficili da comprendere e non voglio che tu ne faccia parte, mi hai capito?”
Francis se ne stava immobile, le braccia lungo il corpo e il labbro tremolante. Annuiva con cenni della testa. Come poteva dire a suo padre che l’aveva seguito e l’aveva visto uccidere una persona? Jonathan McDowell versò il tè nella tazza, e sentì con il cucchiaino il sapore troppo amaro del liquido, quindi afferrò due zollette di zucchero. Il crocefisso appeso sul muro davanti a Francis sembrava guardarlo e sussurrargli che doveva essere sincero e fare la cosa giusta. Ma per un ragazzo di sedici anni qual’era la cosa giusta? Strinse le labbra ancora di più, sentendo il groppo in gola salire a dismisura. Alla fine, le parole uscirono da sole.
“Perché hai ucciso quella ragazza?”
Il signor McDowell si bloccò all’istante e fulminò suo figlio con lo sguardo.
“Cosa hai detto?”
“Ti ho seguito, papà, lo so che non avrei dovuto farlo, ma ero troppo arrabbiato con te!”
Iniziò a indietreggiare quando suo padre si alzò dalla sedia per raggiungerlo con fare minaccioso.
“Ti prego, non farmi del male! Mi dispiace averti seguito! Giuro, non lo dirò a nessuno!”
Jonathan lo raggiunse bloccandolo per il braccio, poi gli posò le mani sulle spalle. Il suo volto cambiò e da arrabbiato divenne desideroso di trovare pietà e comprensione dal suo unico figlio.
“Quanti anni hai?”
Francis lo guardò arricciando la bocca. Come quanti anni aveva? Non sapeva la sua età? Era confuso.
“Papà, ne ho sedici, lo sai.”
In risposta, suo padre fece di sì con la testa e aggiunse parole a quel gesto, come ad acconsentire, “Lo so, lo so. Devo dirti tutta la verità, direi che è arrivato il momento.”
 
“Perché si è fermato? Ha bisogno di un bicchiere d’acqua?”
La battutina di Kate fa ridere perfino il prete sospettato, che si lascia scappare una risatina. In contemporanea, anche nella stanza interrogatori stanno ridacchiando.
“E’ forte la tua fidanzata, Castle.” Dice Javier dando una gomitata allo scrittore da una parte, seguito da Kevin. Imbarazzato, Rick fa una risatina nervosa.
“Kate Beckett è la vostra detective, vorrei ricordarvi, signori.” La voce possente di Iron Gates li rimette sull’attenti.
La donna rotea gli occhi e scuote la testa. Oggi tocca a lei subirsi il teatrino della scuola.
 
“Volevo creare suspense, detective.” Dice Don Francis. Il tono di voce è calmo, e dopo aver parlato, l’atmosfera si fa cupa intorno a Kate. Stringe i pugni sul tavolo, poi riapre la mano, posando il palmo.
“Beh, qui non siamo al cinema, quindi lei parla quando lo dico io, e smette quando lo dico io. Ci siamo intesi? Siamo arrivati al momento in cui suo padre decide di raccontarle la verità. A cosa si riferiva?”
Il prete dapprima ridacchia, poi improvvisamente si tocca il volto con entrambe le mani, come se cercasse di togliersi qualcosa di dosso. Kate lo sente mormorare e piagnucolare nello stesso momento. Sa che non dovrebbe uscire dal suo ruolo imposto dal Dodicesimo, ma lascia per un attimo la detective Beckett a riposo, per far entrare in azione la donna Kate.
“Si sente bene? Che le succede?” si sporge sul tavolo per togliergli le mani di dosso, ma invano. Sembrano incollate.
Don Francis sembra si stia togliendo una maschera dal volto. Rinuncia all’atto di fare la buona samaritana, e torna al suo posto: il prete ha tolto le mani dal viso e le ha poggiate sul tavolo, con i palmi rivolti verso il basso. Respira affannosamente e le goccioline di sudore scendono come fiumi dalla fronte percorrendo tutta la faccia. Contemporaneamente, la temperatura si è alzata, sia all’interno della stanza sia in quella vetrata adiacente.
Rick si sente inerme, con un piede da una parte e uno dall’altra. Vorrebbe andare da Kate, vorrebbe stare con lei e stringerla, abbracciarla, tenerle la mano, come ha sempre fatto, solo per starle accanto e farle sentire la sua presenza, ma sa che non può. Kevin lo guarda nel suo stato di inquietudine. La Gates si sventola con una mano chiedendo da quanto in qua hanno alzato l’aria condizionata nel Dodicesimo. La risposta di Javier però la colpisce peggio di una pallonata sullo stomaco.
“Non abbiamo mai avuto l’aria condizionata in queste stanze.”
 
Don Francis si tocca la pancia, sentendo una voragine in corpo che lo sta divorando. Abbassa lo sguardo per poi rialzarlo.
Kate lo guardo fisso. Per poco le loro dita fanno contatto.
“La leggenda metropolitana sul cimitero di Greenwood è reale. È una maledizione che si aggira tra gli abitanti da secoli.” Inizia a parlare con fatica, e tra una frase e l’altra, tossisce. “Sa, dopo gli eventi di Salem e la caccia alle streghe, la gente ha iniziato a credere al soprannaturale e a tenerlo nascosto. Le sette sono state sempre più frequenti, così come i sacrifici animali, perché erano un modo per ringraziare il loro dio del bene che stava dando a loro. Nel corso dei secoli, dopo le guerre, qualcosa cambiò: invece degli animali, venivano sacrificati gli esseri umani. All’epoca, Greenwood era una cittadina piccola e stanca, e la gente per distrarsi si dedicava a questo culto religioso. Il cimitero divenne luogo dove queste persone si riunivano e crebbero a poco a poco le leggende intorno ad esso, tra cui quello della sposa di Greenwood. Quando sono stato iniziato al culto religioso, avevo diciassette anni.”
 
Il risveglio, dopo la notte di invocazioni e preghiere, era la parte più dolorosa della mattina. Le prime volte era un incubo ricorrente. Le grida, il sangue, le visioni e le immagini di quel libro lo perseguitavano ovunque, anche nei sogni, anche se non erano propriamente ‘sogni’ perché non riusciva a distinguere ciò che era reale da ciò che non lo era. Suo padre lo aveva convinto ad assumere dei farmaci, sotto consulenza medica, per aiutarlo a calmarsi e riposare la notte. Ma il corpo reagiva rendendolo incapace di muoversi al mattino e raramente ricordava quello che era avvenuto la sera precedente. A fatica si trascinava fuori dal letto, sentendo un macigno addosso. Allungò prima le braccia, poi le poggiò a terra, percependo il pavimento sotto di lui. Il signor McDowell lo stava chiamando dal salotto.
“Alzati o farai tardi a scuola!”
Il suo ultimo anno era appena iniziato, non avrebbe fatto ritardo per nulla al mondo.
Era strano e irreale il modo in cui la gente lo salutava per strada, qualcuno gli rivolgeva perfino l’inchino, come se fosse una specie di celebrità. Francis rispondeva con un sorriso timido, poi si stringeva nel suo immancabile giubbotto di pelle e si passava una mano tra i capelli alla James Dean. Fu in quell’attimo che vide il cuore bloccarsi alla stessa velocità dei suoi passi.
La vide.
Impacciata, camminava tra gli studenti tenendo il libro di scuola stretto al petto. I capelli biondi leggermente mossi erano lasciati liberi dietro le spalle, e un vestitino autunnale color giallo paglierino con motivi floreali la rendeva un angelo tra tutti gli altri.
“Ehi, sta’ un po’ attenta!” gridò un ragazzo quando la giovane gli andò contro per sbaglio, facendo cadere il suo libro a terra.
Si abbassò, portandosi i capelli dietro le orecchie, e iniziò a raccogliere i fogli sparsi. La mano delicata e opaca della ragazza incontrò quella di Francis, che le rivolse un sorriso mentre l’aiutava.
“Ciao, io sono Francis, piacere di conoscerti...” lasciò la frase in sospeso, attendendo che la ragazza disse il suo nome. “Ah, ok, lasciami indovinare. Mhm... Anne? Sandy?”
La ragazza scosse la testa, mentre si alzava da terra allo stesso ritmo di Francis. Timidamente accennò un sorriso.
“Ok, allora Mary? Hai la faccia da Mary.” Faceva il buffone, ma alla ragazza piacque e si sentì carina ai suoi occhi. Fece cenno di sì con la testa. Arrossendo, gli porse la mano.
“Mi chiamo Mary, piacere mio, Francis.”
 
“Questa Mary è la ragazza che è stata sacrificata?”
Il prete torna al presente. Gli occhi visibilmente arrossati e lucidi. Si porta le mani sui capelli e mormora un flebile “sì” per rispondere alla domanda di Kate. La detective si appunta il dato sul file, poi torna a fargli l’interrogatorio.
“Era questo il modo di fare del suo culto? Adescare giovani ragazze?”
“Ehi, vada piano con le parole, detective Beckett. Non ho parlato di adescamento.”
“Non ancora.”
Kate sa che è il momento per premere ancora di più il piede sull’acceleratore. Don Francis sta crollando, e in qualche modo questa ragazza che lui conobbe in gioventù è il suo punto debole. Ed è lì che la detective deve insistere.
“Ok, allora mi parli di cosa successo dopo il vostro incontro.”
“Quello che succede normalmente. Ragazzo incontra ragazza, si innamorano, poi lui compie l’errore di portarla a casa per farla conoscere a suo padre.”
 
“E’ quella giusta, Francis.”
Quelle parole potevano avere un significato roseo. Un padre felice che suo figlio si trovi bene con una ragazza. Ma Francis conosceva suo padre, e quando lo guardò, capì che intendeva altro. Le mani dell’uomo congiunte sembravano sussurrare tra loro, unite in preghiera, mentre un ghigno maligno si dipingeva sul volto. Francis capì tutto, e l’orrore s’impadronì di lui.
“Papà, no. Non posso farlo!” gli sussurrò, aggrappandosi al suo braccio.
Entrambi guardarono Mary che passeggiava estasiata per il salone grande di casa McDowell. La giovane con l’abito bianco, una cinta nera a stringerle la vita per mettere in risalto le sue forme e rendere la gonna più a volant, e i capelli raccolti in uno chignon, osservava uno ad uno i quadri in stile Espressionismo francese appesi alle pareti. Arte era la sua materia preferita e ne dava dimostrazione perché riusciva a cogliere ogni particolare nei quadri di Matisse.
“Ascolta, Francis. Sapevi che questo momento sarebbe arrivato. Il cancello è troppo debole, ha bisogno di un altro sacrificio per richiuderlo, e sai che questo è il periodo dell’anno più propizio. Siamo sotto Halloween.”
 
“Mio padre mi spiegò che ci sono due periodi dell’anno più adatti per i sacrifici: durante l’equinozio di primavera e la notte di Halloween. È in quei giorni che le forze del male hanno il loro apice e il Diavolo può uscire indisturbato.”
Kate stringe la penna tra le dita e si mangiucchia il cappuccio per qualche secondo guardando il suo file. Poi si rivolge al prete.
“Mi corregga se sbaglio, ma il primo sacrificio a cui lei ha assistito è stato commesso d’estate.”
“Ho detto che quei due giorni sono più adatti per i sacrifici. Non ho mai detto che sono obbligatori.”
Un brivido percorre la schiena della bella detective, e capisce che è irreale, dato la temperatura alta della stanza. Istintivamente si guarda intorno circospetta.
“Vuole che continui, detective?”
“Non ho mai detto che deve fermarsi.”
 
Francis voleva uscire da quel culto religioso. Ne aveva abbastanza. Erano mesi che si sentiva stanco fisicamente e psicologicamente, ma sapeva anche che suo padre non gliel’avrebbe permesso. La sua unica possibilità era la fuga. Doveva fuggire con Mary.
Quando si ritrovò solo con lei nel loro luogo d’incontro, una quercia posizionata a pochi passi dal cimitero di Greenwood, le spiegò che dovevano fuggire da questa città perché non era sicura per loro. Erano due ombre nella notte, uno di fronte l’altra, che parlavano, si prendevano per mano, e si abbracciavano.
 
“Perché si è fermato di nuovo? Sono curioso!”
“Anche io, Ryan!”
La Gates fulmina Javier e Kevin, entrambi a fissare il vetro davanti a loro con occhi assorti nel racconto. Dà uno scappellotto ai due detective.
“Ma non vi vergognate?”
“Ah, ragazzi, come siete ingenui!” la voce saggia di Rick che se la ride sotto i baffi fa innervosire il capitano. Tutte a lei! “Si è fermato perché sta ripensando al suo primo amore! Questa storia è fantastica! Sembra Uccelli di Rovo!”
Victoria Gates dà uno scappellotto anche allo scrittore e poi erutta come un vulcano.
“Siamo il Dodicesimo distretto di New York, non stiamo al cinema! Signor Castle, tenga per lei le sue teorie o la sbatto fuori!”
Javier e Kevin guardano Rick diventare improvvisamente piccolo.
La temperatura delle stanze intanto sembra essersi abbassata. Non c’è bisogno di sventolarsi o di tirarsi sopra le maniche della giacca per respirare. Nessuno spiffero di aria da sotto le porte, nessun bisbiglio. Anche Kate percepisce che l’atmosfera è cambiata.
“Sembra che il Male abbia lasciato questo posto, almeno per ora.” Dice Castle spezzando quell’irreale silenzio.
 
“Mi scusi, detective. Probabilmente non è interessata alle mie vicende adolescenziali...”
Kate nasconde gli occhi lucidi abbassando la testa e lasciando che le ciocche di capelli invadano il suo volto, poi alza lo sguardo verso di lui per rispondergli. Don Francis ha quell’aria di una persona che deve averne passate di tutti i colori. Le occhiaie sotto gli occhi sono simbolo di stanchezza, ma forse anche di turbamento, magari ore passate nella notte a rimuginare su cosa è diventato, chiedendosi chi sia realmente. Un servitore del Bene o del Male?
“No, continui. Lei e Mary siete riusciti a fuggire?”
“All’epoca non lo avrei immaginato, ma mio padre mi fece seguire e mi ingannò. Mandò dei suoi seguaci che ci catturarono. Io venni stordito e quando mi risvegliai in quella cripta sotterranea, lei era legata alla croce e il rituale non sarebbe iniziato senza di me.”
La detective allunga lo sguardo, si protrae verso di lui come per incitarlo a continuare. Don Francis si stringe il colletto, sentendo improvvisamente caldo. Deglutisce a fatica, percependo la tensione emotiva. Poi esplode in lacrime. “L’ho uccisa io! Io l’ho dissanguata, ero sotto la droga e non avevo altra scelta se non obbedire! Sono un mostro”
Si copre il volto con le mani, singhiozzando. Kate si volta verso la vetrata cercando lo sguardo del suo scrittore.
 


Angoletto dell’autrice (poco) sana di mente:
Il racconto del prete continua e lui tra esitazione e commozione, alla fine cede e rivela altri particolari raccapriccianti.
E la temperatura si alza e si abbassa all’interno del Dodicesimo...
Brrr...
Grazie come sempre per seguirmi, al prossimo capitolo con la parte conclusiva del racconto <3
D. *-*

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Capitolo 10
*** Un posto sicuro. ***




 

 
Un posto sicuro
 
Guarda la porta della stanza, ma il capitano scuote la testa per negargli l’uscita.
Rick torna quindi a rivolgere lo sguardo alla sua musa, da sola, in quella stanza interrogatori. Due amanti separati per una causa più grande della loro, ma del resto, cosa potrebbe fare lo scrittore in quel momento? Mentre vede Kate continuare l’interrogatorio, si mette a ragionare e a comporre i pezzi del puzzle che lui e la squadra hanno ottenuto finora.
La conclusione sembra ovvia, ma anche troppo irreale per essere vera. Ha sempre voluto vivere in un suo libro o in un film di fantascienza che tanto adora, ma quando scopre che la realtà è più dura e cruda della fantasia stessa, lui fa un passo indietro.
Nella stanza interrogatori, una riluttante Kate cerca di tenere in piedi il suo muro di protezione, senza mostrarsi debole e sensibile di fronte a quest’uomo, cui unica colpa è di aver smarrito la strada e non capire più qual è il suo ruolo. Gli porge un fazzoletto per asciugarsi il volto ricoperto dalle lacrime e dal sudore. Quel pezzo di carta diventa uno straccio intriso di sporcizia che il prete poggia sul lato del tavolo.
“Allora, Don Francis, se lei se la sente, possiamo continuare.”
Lui esita per un momento, poi risponde. “Sì, sì, sono pronto.”
La detective torna ad aprire il file nella cartellina, dando uno sguardo ai suoi appunti. Poi incrocia le braccia sul tavolo guardando Don Francis. Sa di porgergli una domanda difficile, ma non si fida ancora ciecamente del tutto della persona che ha di fronte. Le lacrime di dispiacere e di colpevolezza non sono abbastanza da giustificare quello che ha fatto.
“Lei è stato costretto ad uccidere Mary. Pensa che lei l’abbia riconosciuto?”
Kate affonda ancora di più il coltello nella piaga, centrando dritta al cuore del problema. Il prete torna con la memoria a quell’orribile ricordo, rivivendo la scena. Mary urlava e implorava pietà, esattamente come aveva fatto la vittima precedente, e come avevano fatto le altre ragazze dopo di lei.
“Avevo una di quelle lunghe tuniche nere con il cappuccio, quindi all’inizio non sapeva fossi io. Quando però i nostri sguardi si sono incontrati, smise di gridare, e credo che i suoi occhi abbiano parlato per lei.”
“Cosa è successo in seguito?”
Lui guarda fisso sul tavolo davanti a sé e come una macchinetta parla tutto d’un fiato, rivivendo quella scena.
“Ero sotto shock e mio padre, con mia gran sorpresa, cercò di consolarmi portandomi in libreria nel reparto dell’occulto che voleva non consultassi. Oltre a Il Regno delle Ombre, mi porse un altro libro, una sorta di Apocalisse di Giovanni, ma scritta in maniera più cupa. Si diceva che quel libro l’avesse scritto il Diavolo in persona.” Solo quando finisce l’ultima frase, stacca gli occhi dal tavolo per alzarli verso la detective.
Kate sente una nuova sensazione di freddo percorrerle la schiena, un brivido che scorre lungo la colonna vertebrale, e si instaura nella sua mente. Don Francis percepisce le sue emozioni e abbozza un sorriso.
“Reagii anche io in quel modo. Sembravo un gatto col pelo rizzato. Ad ogni modo, mio padre conosceva bene quel libro e mi spiegò la leggenda che aleggia su Greenwood. Disse che la nostra città, insieme ad altre sei sparse per il mondo, sono considerate i sette cancelli dell’Inferno, ovvero porte che condurrebbero il Diavolo nel suo regno. Non mi aspetto che lei e gli altri agenti che ci stanno guardando dall’altra parte della vetrata,” dice e senza staccare lo sguardo, indica con un dito proprio la Gates, Rick, Javier e Kevin “mi crediate. Ma dovete sapere che la leggenda che circola è vera, e per impedire che si scateni l’Inferno sulla Terra, devono essere sacrificate due giovani ogni anno per chiudere la porta e impedire che il demone scenda sulla Terra.”
Kate alza un sopracciglio.
“Don Francis, vuole farmi credere che—“
“Io ho portato avanti questo culto per cinquant’anni, e so che non può essere fermato, detective. La prossima a morire deve essere Casey, e se non sarò io a farlo, ci penserà qualcun altro. Funziona sempre così.”
Kate deglutisce. Gli occhi sono spalancati, le mani incollate sulla cartellina del file. Congelata in quella situazione per qualche secondo, respira affannosamente. D’un tratto, chiude la cartellina con un gesto repentino, si alza allontanando la sedia da sé, che viene scaraventata a terra, e come una furia si dirige fuori da quella stanza, senza preferir parola.
Nella stanza vetrata, dove tutti hanno assistito alla scena, Javier e Kevin fanno per ricorrere la loro collega, ma Rick li ferma con un gesto della mano, facendo intendere che adesso tocca a lui. Ora può andare a salvarla e parlarle.
 

“Kate, Kate! Aspetta!”
Il passo di Beckett è più veloce del suo, tanto che lo scrittore è costretto a correre per starle dietro. Kate ha alzato un muro per pararsi e le parole di Castle non riescono a raggiungerla. Quando finalmente si trova a qualche passo da lei, Rick l’afferra per il braccio, facendola voltare verso di lui. Kate non dice nulla, ma ha gli occhi che sono sul punto di esplodere.
“Kate, dimmi qualcosa.”
Rick cerca di scuoterla, poi poggia le mani sulle spalle, e tenta un altro approccio, abbracciandola di sorpresa.
“Ti prego, non ti chiudere di nuovo con me, non lasciarmi fuori.”
La racchiude tra le sue braccia, e la stringe forte, facendola sentire così piccola e indifesa. Gli agenti del distretto si sono fermati a guardarli. Una scena strappalacrime e drammatica è davanti ai loro occhi.
Quando Kate realizza che la sua fragilità è messa al bando davanti a tutti, si libera dalla presa e guarda torva lo scrittore.
“Io non credo a queste cose. Deve esserci un modo per salvare Casey, e io lo troverò.”
Sembra che parli più a sé stessa che a Rick. Gira i tacchi e lo lascia lì, a bocca aperta, mentre un muro invisibile si pone di nuovo tra lui e la donna che ama.
 

“Don Francis è stato portato nella sua cella. Per questa notte lo terremo sotto osservazione.”
“Ottimo lavoro detective Esposito.”
Petto in fuori, pancia dentro, spalle tirate in alto: il portoricano è fiero di sé, e lo dimostra sfoggiando uno splendido sorriso, disturbato subito da Victoria Gates. Presa a compilare uno schedario, lo scruta da sotto gli occhialini.
“Qualcuno sa dov’è finita Beckett?”
Javier dapprima la guarda con stupore, come se il capitano avesse dimenticato l’orribile e lungo interrogatorio condotto da Kate, poi si limita a scrollare le spalle e rispondere nel modo più plausibile.
“Capitano, è andata via...”
“Che vuol dire è andata via? Questo è un distretto di polizia, non è un albergo! Rintracciatemela!”
 

Eccolo lì il suo posto preferito.
Il loro posto preferito.
Le altalene al parco.
Perché è scappata dopo l’interrogatorio? Perché questo è il suo modo di essere. Quando le cose si complicano, lei fugge. È nel suo essere Kate Beckett. Pensava di essere cambiata, ma sotto sotto è rimasta la stessa.
È circondata da tanto amore rappresentato in diverse forme: una famiglia felice che si gode momenti di relax al parco; il padre afferra le sue due figlie, una dopo l’altra, quando queste si lanciano sullo scivolo, per impedire che cadono a terra; la madre tira fuori dalla sua borsetta qualche snack da dare loro. Poi c’è una coppia di vecchietti che seduti su una panchina sta dando da mangiare ad un gruppo di piccioni; mollica dopo mollica, i volatili curiosi sembrano attirare l’attenzione di un bambino che vuole avvicinarsi per rincorrerli.
Kate sorride, dondolandosi sull’altalena, e con la mente va in quei ricordi che la rendono felice, cercando un po’ di serenità. Un paio d’anni fa, lei e Rick erano seduti lì. Con il libro in mano, a tre mesi dalla sua sparatoria, era a dirgli che tra lei e Josh era finita. Mesi dopo, era di nuovo lì seduta, sotto la pioggia scrosciante, dopo aver abbandonato il lavoro e dopo essere stata cacciata dalla Gates per il suo comportamento. Sorrideva anche allora, realizzando che l’unica cosa che importava non era la carriera, ma l’amore che provava per il suo scrittore, quell’uomo che a poco a poco era entrato nella sua vita e l’aveva fatta sentire viva.
Quando ha incrociato lo sguardo di Don Francis mentre raccontava del suo primo amore adolescenziale, ha capito di ritrovarsi in lui. Francis non pensava di poter trovare l’amore, e invece proprio quando meno se l’aspettava, è apparsa Mary. Ma lui non poteva fuggire dal suo destino. Per questo è scappata. Solo che Francis non ha avuto la forza di alzarsi, combattere e salvare Mary. Lui si è arreso, perché non aveva altra scelta, non c’era qualcun altro a fargli capire che sbagliava.
Lei, invece, ha questa possibilità.
“Quattro anni sono stato qui! Quattro anni ad aspettare che aprissi gli occhi e ti accorgessi che sono qui! E che sono più di un collega! Ogni mattina ti porto una tazza di caffè solo per strapparti un sorriso, perché penso che tu sia la persona più eccezionale... esasperante... impegnativa... frustrante che io abbia mai conosciuto. E ti amo, Kate.”
E come allora, due anni fa circa, piena di coraggio da quelle parole, si alza dall’altalena, attraversa il parco e s’incammina senza voltarsi indietro.
 

Non c’è più la pioggia scrosciante, non è sera, ma la sensazione che avverte è comunque la stessa.
Il cuore le batte a mille mentre come un autonoma si dirige verso la porta del loft di Rick.
Timidamente bussa una volta, poi una seconda, e alla terza, lui le apre la porta.
“Mi dispiace.” Riesce solo a dire lei, con un filo di voce.
Scuote la testa, Rick accetta la sua sincerità e la prende le mani attirandolo a sé.
“Non devi dirmi niente. Ho lottato anni per farti aprire a me, ormai direi che ci sono abituato.” Dice ridacchiando, mentre la stringe accarezzandole i capelli.
Kate reagisce sorridendo, sentendosi immersa nel suo abbraccio, e si prende del tempo coccolandosi, sentendosi amata.
Quando si staccano l’uno dall’altra, lei gli dice: “Mi hai colto di sorpresa, come fai sempre. E questa tua gentilezza, questo tuo amore incondizionato verso di me, tutto questo mi ha spaventata.”
“Lo so. Vuoi fare la poliziotta forte, la detective Beckett contro il mondo, ma a volte devi ricordarti chi sei. Kate Beckett, fidanzata e promessa sposa di Richard Castle, il più famoso scrittore di gialli degli ultimi dieci anni!”
È riuscito a farle tornare il buon umore. Come fa a riuscirci sempre? Kate sorride e alza un sopracciglio.
“Okay, non esageriamo. Uno dei più famosi scrittori di gialli. Va bene così?”
Sa che il momento per dirgli tante cose. Invece lo avvolge buttandogli le braccia intorno al collo e avvicina il naso contro il suo.
“Ti amo.” Dice in un sussurro.
 


Angoletto dell’autrice (poco) sana di mente:
Il racconto è finito, anche se c’era poco da dire, i flashback sono finiti :p
Capitolo corto ma mi serviva per terminare questa parte del prete e far confrontare Rick e Kate. Alla fine, proprio come due anni fa, va da lui perché senza Rick non può farcela da sola *-* (come sono romantica, aiuto ahahaha)
Don Francis per ora lo lasciamo un po’ da parte.
Ancora un grazie immenso per chi legge, recensisce e mi lascia un commento su ciò che scrivo... come dico sempre, è grazie alle vostre recensioni che riesco ad andare avanti senza perdermi in un mare di caxxate :p
D. *-*

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Capitolo 11
*** Io ti salverò. ***




 

 
Io ti salverò
 
Kate è a testa bassa davanti Victoria Gates. Mani una sull’altra, davanti al suo corpo, si crea uno scudo invisibile per pararsi dalle accuse, che è pronta a ricevere. Sa di essere colpevole per esser fuggita dopo l’interrogatorio; l’ha voluto lei e le spettava di diritto, e invece è scappata. Sente lo sguardo del capitano su di lei. Occhi giudiziosi che la scrutano e guardano i suoi movimenti, mentre intreccia le mani per lo stato di agitazione e ansia. I capelli ricadono dolcemente dietro la schiena e qualche ciocca sul maglione rosso che indossa.
“Detective Beckett, vuole condurre questa indagine oppure no?”
Quando finalmente trova il coraggio di alzare lo sguardo verso il suo capitano fa un cenno con la testa, mostrando dapprima timore, poi risolutezza. Il capitano deve aver visto quella scintilla di coraggio e di determinazione nei suoi occhi, che come un faro nella notte le indica che c’è ancora una luce di speranza nel suo sguardo.
Non che la Gates non sappia quanto sia in gamba la sua detective, solo che qualche volta ha bisogno di tenerla coi piedi per terra e di lamentarsi con lei, ma lo fa in modo benevolo, quasi materno. Victoria sa che Kate è una donna in gamba che non si tira indietro per nulla al mondo, ma non ha il peso del mondo sulle sue spalle. E spetta all’esperta Gates ricordarglielo qualche volta.
“Bene, allora torni alle sue indagini e non scappi di nuovo.”
Il capitano termina la breve ramanzina facendole ricordare l’evento di due anni fa, quando aveva consegnato il distintivo e se n’era andata dal distretto, mettendo nei guai anche Esposito per il suo comportamento irresponsabile. Un’altra cosa che Victoria Gates ha imparato nel corso degli ultimi tre anni al Dodicesimo è il conoscere Beckett sul personale. Lei sa che se si lascia coinvolgere emotivamente in un caso, finisce sempre male. Quella ramanzina non ha più bisogno di altri sottotitoli, quindi Kate saluta la Gates ed esce dal suo ufficio.
 
“E’ andata bene, no?” chiede Rick, che scatta subito al fianco di Kate, fingendo quindi di non aver sbirciato almeno un po’ attraverso le tapparelle dell’ufficio.
Kate da detective se ne era accorta, quindi lo guarda e accenna un mezzo sorriso, poi mugola un “Mhm-mm” un po’ incerto.
“Yo ragazzi,” dice Javier apparendo davanti a loro. La sua voce è colma di eccitazione. “Lanie ha detto di avere delle novità.”
Beckett acciglia lo sguardo, ricordando l’ultimo shock subito dell’amica medico legale.
“Ma non doveva stare al riposo?”
“Beh sapete com’è fatta... non riesce a stare senza qualcosa in mano.”
Rick subito coglie il doppio senso e non riesce a trattenersi se non puntare il dito verso il portoricano e poi portarsi le mani unite davanti la bocca, in segno di stupore.
“Ah-ah!”
Javier lo blocca prima che possa dire altro.
“E non c’era niente di allusivo in quello che ho detto!”
“Cosa deve dirci?” chiede Kate, interrompendo il siparietto.
“Non so niente. Ha solo detto di andare da lei in obitorio perché ha delle grandi novità.”
Kevin arriva dietro Javier col fiatone in bocca, confermando le parole dell’amico.
“Ha sottolineato che potrebbe esserci un colpo di scena nelle indagini.”
Rick e Kate si guardano in contemporanea. Per la prima volta da quando si conoscono, non sanno cosa pensare.
 
Javier Esposito ha proprio ragione. La sua fidanzata non riesce a stare senza un bisturi tra le mani.
Lanie Parish ama il suo lavoro. Si sente come la regina dell’obitorio. Certo, avrebbe preferito passare più tempo con le persone vive che con quelle morte, ma a modo suo l’essere anatomopatologa è un lavoro affascinante. Permette di indagare e conoscere ancora di più il corpo umano, capire la causa della morte di quel tessuto e di quell’altro, analizzare i campioni di sangue, e fa tutto con le sue mani, senza bacchetta magica.
È una magia. Anzi, è meglio di Hogwarts.
“Lanie, Lanie.”
Il tono di Kate che avanza, seguita da Rick, Javier e Kevin, è di rimprovero, ma si diverte anche a punzecchiarla. L’amica lo sa e quando alza lo sguardo dalla sua cartellina sta al gioco facendo un inchino, soddisfatta del lavoro che fa. A ognuno le sue manie.
“Lo so, lo so che dovevo riposare, ma non sono riuscita a stare con le mani in mano. Così ho parlato con il medico di Casey, perché volevo un consiglio sulle cicatrici che portava e ho scoperto delle belle...”
La voce declina, per lasciare suspense, e si avvicina al gruppetto mostrando loro la pagina che sta inquadrando. Il silenzio cade in quel luogo freddo, rotto da Rick che lancia il solito gridolino trattenuto. Kate lo guarda subito: sta elaborando qualche strana storia nella sua testa. Javier e Kevin invece scuotono le teste increduli.
Lanie sorride trionfale e chiude la cartellina sotto i loro occhi. “Ebbene sì, è stato uno shock anche per me. La nostra ragazza era incinta, ma ha abortito, o meglio... l’hanno fatta abortire.”
“Come? Spiegati meglio, Lanie.” Chiede Kate attenta ad ascoltare ogni dettaglio.
L’amica risponde facendo l’occhiolino e mostrando altri fogli dalla cartellina. Su uno c’è un timbro proveniente da una clinica privata.
“Mi sono presa la briga di chiedere al dottor Wilson, che seguiva Casey, le sue ecografie e guardate qui... era incinta di sei settimane prima che venisse legata da quel branco di psicopatici di Greenwood, molestata e probabilmente costretta ad abortire.”
“Ma sbaglio o non c’erano segni di violenza sessuale sul corpo?” chiede Javier, provocando un sorrisetto da parte di Lanie. Felice che il suo fidanzato\detective ricordi i particolari del caso e che soprattutto non si sia addormentato mentre la sera precedente, a letto, lei gli spiegava tutta eccitata che cosa aveva scoperto.
“E’ qui che viene la cosa terrificante. Hanno usato un metodo molto in voga durante il puritanesimo, una cosa da brividi.”
Senza aggiungere altro, Lanie mostra loro altri risultati della sua ricerca. Certe cose, causate dall’ignoranza e della follia umana, non possono essere spiegate se non viste coi propri occhi.
Rick fa cadere un bisturi a terra e tutti si voltano a guardarlo. Lui fa l’ingenuo nascondendo le mani dietro la schiena. Lanie lo fulmina come per dirgli di non toccare nulla, mentre Kate scuote la testa trattenendo una risata.
Per dimostrare di essere stato attento alla lezione, lo scrittore chiede alla dottoressa Parish: “Ma perché l’hanno fatta abortire?”
“Perché è gente malata.” Kevin spara a zero la sua sentenza, facendo venire la pelle d’oca ai suoi colleghi. È rimasto in silenzio per tutto il tempo, come se stesse assimilando ciò che ha appena visto. Sentendosi orgoglioso dell’effetto che ancora provoca, dopo anni sotto copertura nei clan irlandesi, Javier intravede un rigonfiamento del petto del suo amico.
Rick tamburella col dito sulle labbra e poi esordisce con la sua teoria.
“Hanno bisogno di due giovani per i sacrifici umani. Pensavano di ingannare il diavolo facendola abortire così che mostrasse la sua purezza nel momento in cui l’avrebbero dissanguata.”
Si sente solo Javi dire “Wow Castle.”
“Qualcuno ha guardato troppi film dell’orrore.” Aggiunge Kevin dandogli corda.
Katie e Lanie si scambiano occhiate annoiate.
“In realtà pensavo più a Indiana Jones e il tempio maledetto... ma va bene così...”
“Ragazzi, ragazzi, stiamo perdendo di vista il caso.” Dice infine Kate in tono di rimprovero. Si avvicina alle lastre posate da Lanie su un tavolinetto e le prende per appenderle al muro. Con la mano su di esse, contempla quello scheletro passato ai raggi X. Il feto è piccolissimo, ma c’era comunque una vita lì dentro. Chi potrebbe essere così malato da uccidere un essere umano? Sospira per l’ennesima volta, scuotendo la testa.
“Perché Casey non ci ha detto che era incinta?”
“Beh tesoro, credo sia logico. Quando si subisce un trauma, la vittima tenta a rimuovere l’evento fino a dimenticarlo.”
La detective guarda il medico legale. Impassibile, risponde con un sorriso di comprensione. Si avvicina per abbracciarla.
“Ottimo lavoro, Lanie.”
“E’ la mia ragazza.” Fa Javier a Kevin e Rick, e si stringe a sé incrociando le braccia sul petto.
Come al solito, gli uomini devono fare a gara su chi abbia il “trofeo” migliore al loro fianco. Quando Kate e Lanie sciolgono l’abbraccio, guardano il trio vicino a loro alzando accigliate, ma nascondendo il tutto dietro un sorriso.
Poi, Lanie raggiunge Javier prendendolo per il colletto della camicia e gli stampa un bacio sulle labbra.
“Grazie, tesoro. Non per niente mi sono laureata e ho fatto il dottorato con il massimo dei voti. Non sto qui mica a pettinare le bambole.”
Kate guarda Rick e si scambiano sguardi di assenso. La detective sa che non c’è tempo da perdere. Con questa preziosa informazione, adesso devono agire. Il quadretto che si è creato in quel luogo così inospitale, che puzza di morte, è un barlume di speranza, e Kate non ha nessuna voglia di perderlo. Si ricompone, tirando su una lacrima, e interrompe con un tono autoritario.
“Esposito, Ryan, procuratevi un permesso per intensificare dei turni di guardia a casa di Casey, in modo che stia sotto sorveglianza. Con Don Francis fuori gioco, qualcun altro potrebbe ucciderla, dato che, a sua detta, questa rituale dovrà compiersi in un modo o nell’altro.”
I due detective rispondono con un gesto militare, e si dirigono a passo veloce fuori dall’obitorio. Kate rabbrividisce ricordando l’interrogatorio col prete e le parole per niente speranzose che lui le aveva detto.
 
Casey apre la porta con mano flebile. Il suo corpo minuto, con un peso medio sui 40 kili, è racchiuso in una maglietta di cotone bianca che le arriva sotto il ginocchio, che funge un po’ da vestaglia per come è larga. Le maniche le vanno a scoprire le spalle, posandosi delicatamente sulle braccia, creando un effetto diagonale sulla maglia. Shorts di jeans strappati e i capelli biondi a spaghetto, sempre umidi.
Javier e Kevin entrano facendo un cenno con la testa per salutarla, seguiti da altri tre agenti in borghese.
La giovane è a disagio e si chiude abbracciando il suo corpo finché può con le braccia scheletriche.
“Va tutto bene, ci siamo noi adesso.” Esordisce Javier mostrando il distintivo, seguito da Kevin.
Casey muove lentamente la testa abbozzando un sorriso, forse il primo che riesce a fare da quando questa storia è iniziata.
Intanto i due detective si guardano attorno. Il piccolo appartamento della ragazza è una catapecchia. L’ambiente interno si mescola tra libri, vestiti, pentole sparse a terra, senza un ordine preciso.
La giovane indica ai due di accomodarsi sul divano e lo stesso fanno gli altri tre agenti.
“Io sarò nella mia stanza. Se avete bisogno di qualcosa, ecco.”
Arriccia il naso, facendo segno verso la camera da letto con la testa. Poi mette le mani nelle tasche, strettissime, degli shorts e saluta.
Rimasti soli, i tre agenti in borghese fanno un sospiro e si accasciano sul divano mezzo rotto. Uno di loro si guarda dietro, col timore di cadere a terra.
“Rilassati, Jay!”, esclama Kevin, “Se stai per cadere, ti prenderemo noi!”
“Sì, come se fossi una principessina!” aggiunge Javier facendo uno sguardo d’intesa al collega.
Jay volge lo sguardo agli due agenti e scuote la testa, rassegnato a passare una nottata all’insegna delle battutine d’humour dei due detective.
 
L’orologio segna le 3. Il ticchettio delle lancette sveglia Javier, indicandogli che è il suo turno di guardia.
Riluttante, si butta giù dal divano, controllando che la sua pistola sia ancora salda nella fondina.
Si dà una lavata al volto sul lavandino della cucina, e silenziosamente attraversa il piccolo corridoio per recarsi in camera di Casey.
La puzza di bruciato proveniente dalla stanza della ragazza lo costringe ad armarsi del suo spirito battagliero, impugnare la pistola e coprirsi la bocca con una mano. Da sotto l’uscio della porta esce fumo e la stanza sembra andare a fuoco.
Spalanca gli occhi più che può e si mette a gridare il nome di Kevin e dei tre agenti, che di soprassalto si alzano per correre in suo aiuto. Javier non ha tempo di aspettarli, quindi con un calcio ben deciso, apre la porta, ma della ragazza neanche l’ombra.
“Casey! Casey!” urla tra un colpo di tosse e l’altro.
Il fumo è troppo alto, e il rosso che invade la stanza, ha un colore così potente da stordirlo.
Un tonfo, e il portoricano cade a terra.
Quando Kevin e i tre agenti giungono nella stanza, si prodigano a rianimare Javier. L’irlandese, preoccupato, si carica l’amico sulle spalle, mentre gli altri controllano la camera indossando delle mascherine sul volto. Mezz’ora dopo, diventa chiaro che Casey è scomparsa.
Jay raccoglie da terra un foglio, forse una lettera, domandandosi come sia possibile che in mezzo a tutte quelle fiamme, non sia andato a fuoco.
 
Kate scende dalla macchina e raggiunge i due detective, correndo più veloce di Rick. Javier e Kevin sono seduti sull’ambulanza, mentre gli agenti parlano coi vigili del fuoco, alcuni di loro impegnati ancora a spegnere le fiamme.
Kate posa una mano sulla fronte di Javier, per controllare che stia bene, e il portoricano, pur apprezzando il gesto, scosta la mano.
“Sopravvivrò, Beckett.”
“Dov’è Casey? Cos’è successo?” chiede successivamente Kate a Kevin.
L’irlandese guarda prima il collega, poi Kate e Rick. Infine, porge ai due la lettera raccolta da Jay.
“E’ rimasta illesa dall’incendio?” domanda lo scrittore.
Kate tocca con mano quel pezzo di foglio intatto. Nessun segno di bruciatura. Forse è di un altro materiale? Impossibile, quella è carta. Annusa la lettera e non ha altra spiegazione se non quella che ha appena dato a sé stessa.
“Non riuscirete a salvarla, mia cara detective e mio caro scrittore.” Rick legge il contenuto e rabbrividisce.
Stavolta la minaccia è rivolta anche a lui.


Angoletto dell'autrice (poco) sana di mente:
Nuove rivelazioni portano Kate a mettere la squadra a guardia di Casey, ma la ragazza viene ugualmente rapita.
E poi c'è la lettera misteriosa che non neanche andata a fuoco con l'incendio.
E la minaccia contenuta in essa.
Brrr...
Intanto vi avverto che da settimana prossima potrei aggiornare anche due volte a settimana, dato che ho un'altra storia in cantiere. Quindi mi spiace per voi, ma dovrete sopportarmi ancora per molto ahahahahaha
Alla prossima e grazie mille per le recensioni *-*
D.

 

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Capitolo 12
*** Ognuno ha quel che si merita. ***




 

 
Ognuno ha quel che si merita
 
Passeggia avanti e indietro nella stanzetta del caffè. Rick sta leggendo il giornale, che in prima pagina riporta l’incendio con un titolone da scandalo “L’appartamento va a fuoco, la ragazza viene rapita, e la polizia che fa? Dorme.”
Storce il naso in senso di disgusto. Non ha mai visto un titolo tanto scabroso. Puntiglioso com’è, va a cercare errori nell’articolo, tanto per il gusto, poi, di scrivere una bella lettera al giornale che l’ha pubblicato. E che giornale! Bella figura per il New York Times.
“Come ho potuto essere così stupida.”
Kate si blocca, battendosi la mano sulla fronte. Rick chiude il giornale e cinge alla vita la sua musa. Dolcemente, le carezza i capelli.
“Kate, smettila di incolparti, non è stata colpa tua.”
“Sì, invece, io sono la responsabile. Dovevo salvare Casey, e non sono arrivata in tempo!”
“Non è ancora finita, possiamo trovarla. Basterà tornare a Greenwood nella chiesa e fermare tutto quanto—“
Lei lo guarda stralunata.
“E come pensi di riuscirci, Castle? Questo non è un film, questa è la vita reale! Non ci sarà nessun intervento divino a fermarci, ma solo noi, esseri umani, con le nostre armi! Devo andare da sola.”
Scioglie l’abbraccio. Di nuovo, si chiude in quella corazza, bisognosa di fare qualcosa per il prossimo. Il suo senso di giustizia non l’abbandona mai.
La caffetteria suona, segno che il caffè è pronto. Prende la sua bevanda quotidiana, un risveglio mattutino immancabile, e offre una tazza al suo scrittore. Da vicino, Rick assapora l’aroma del caffè sentendo il mix con il profumo di ciliegia dai capelli della sua musa.
Decisamente un toccasana per i suoi gusti.
Kate passa una mano sui capelli e tira fuori un elastico, legandoseli a coda di cavallo. La stanchezza inizia già a farsi sentire di buon mattino.
“Verrò con te.” sentenzia Rick.
L’orrore si dipinge sugli occhi di Kate pensando che con lui al suo fianco, non agirebbe da agente di polizia, ma da fidanzata in apprensione. Nonostante l’amore che lo lega, la detective sa che Rick ha coraggio da vendere quando si tratta delle persone a cui tiene. Ma stavolta è diverso.
Il cervello le suggerisce le parole.
“Castle, questa volta voglio che tu stia fuori. È la mia battaglia.”
“Kate, devi smetterla di agire così! Non è colpa tua se non sei riuscita a salvare tua madre!”
Tua madre.
Le parole le giungono distorte. È la sua mente che crea questa illusione o c’è qualcos’altro?
Rimpicciolisce gli occhi, quasi cercasse di assimilare quello che lui ha appena detto.
Castle ha davvero nominato sua madre? E perché improvvisamente sente un ronzio nella sua testa?
Meccanicamente, si massaggia le tempie.
“Che cosa hai detto?”
“Ho detto che non è colpa tua se non sei riuscita a salvare Casey.”
Casey.
Kate conclude che forse aveva capito male. Scuote la testa, incredula, chiedendosi se stesse iniziando a sentire delle voci.
Fa per dire altro, si morde il labbro inferiore e si passa una mano sulla coda. Invece di trovare conforto in quel gesto così naturale, sente solo le mani andare a fuoco.
“Devo tornare a Greenwood.”
Lui l’afferra per il braccio, notando il suo sguardo sconvolto.
“No, Beckett...”
“Nella chiesa del cimitero. È l’unico modo.” Gli accarezza una guancia e poi posa anche la mano sull’altra portando il viso a pochi centimetri dal suo.
Ha bisogno di questo.
Ha bisogno di sentirsi al sicuro un’ultima volta.
“Rick, babe, chiunque sia contro di noi, vuole me. È sempre stato così fin dall’inizio di quest’indagine. Ho promesso ai genitori di Sally Robinson che avrei trovato l’assassinio della loro bambina, e intendo mantenere questa promessa.”
Lui non è dello stesso parere. Posa le mani sulle sue, trattenendo un respiro, stringendole, come avesse la sensazione di non rivederla mai più. Non vuole neanche pensare all’eventualità di non rivedere il suo viso.
“Ti uccideranno, Kate. Entrare lì dentro ti farà star male.”
“Sono pronta a correre questo rischio. Non sarei una delle migliori detective di New York se non avessi il coraggio di mettermi in gioco.”
Lei nota il suo sguardo appassito, rivolto verso il basso e lentamente toglie le mani dal suo volto.
“Non fare quella faccia, okay? Non stare in pensiero per me. Ci vediamo per cena.”
Gli stampa un bacio sulle labbra, assaporando il suo profumo, e mentre lui vorrebbe prolungare senza lasciare andare la presa, lei si stacca e corre verso l’uscita. Lo scrittore mette una mano in tasca e tira fuori la lettera estratta dall’appartamento in fiamme di Casey.
Quelle parole minacciose, che gridano guerra e nessuna speranza, lo fanno trasalire.
L’ultima cosa che percepisce è una brutta sensazione nell’aria.
 

In quella giornata ombrosa, le nuvole fungono da protezione alla chiesa del cimitero di Greenwood.
Deglutisce, ma la mano scivola sulla fondina, assicurandosi di avere un appiglio a cui rivolgersi nel caso le cose andassero male. Arrivata al maestoso portone, si rende conto che l’ingresso è bloccato, quindi non le resta che un’altra strategia: calarsi in alto per osservare meglio. Fruga nello zainetto l’occorrente per una scalata, poi guarda in alto, verso l’imponente chiesa. Non sarà il monte Everest, ma le sembra comunque una bella impresa.
Tira fuori una fune e se la stringe in vita, così che nell’arrampicata, con tanto di strumenti per una indoor. Ne aveva fatte di cose così durante i primi anni di addestramento in polizia. Nella palestra accanto al suo appartamento dove viveva, c’erano questi grossi pannelli che riproducevano le vere arrampicate sulla roccia vera. La struttura era in metallo e legno, il tipo più diffuso. Il legno era generalmente laminato, e Kate si arrampicava usando grazie al truciolato, perché meno resistente.
Adopera delle prese che a contatto con la struttura della chiesa fungono da collante. Si assicura che aderisca, così da iniziare l’arrampicata. Si fa forza tirandosi su, e cerca di pensare positivo. Un po’ di allenamento fuori dall’orario di palestra fa sempre bene al fisico.
Dopo circa mezz’ora, arrampicandosi con cura, riesce ad arrivare nella parte più alta, costituita dalla cupola. Le vetrate sono piccole e strette, una tipica costruzione gotica. Tra un vetro e l’altro ci sono delle protuberanze che vanno verso l’alto, che le permettono di scrutare meglio al suo interno, senza essere vista.
Poi li vede.
Le persone incappucciate.
Proprio come nel racconto di Don Francis.
Si muove piano, lentamente, per non farsi notare. Si sposta da una parte all’altra delle vetrata, ogni tanto controllando la fune che la tiene stretta, ed evitando, il più possibile di guardare giù – la prima regola delle arrampicate in generale.
Li conta uno ad uno. Ci sono sette persone con le tuniche nere addosso, tutti disposti intorno all’altare. Il crocefisso è stato rimesso al suo posto, questa è una cosa che la sorprende, ed è stato disposto in maniera tale da non dare l’impressione che sia stato rimosso in precedenza. Le persone abbassano la testa contemporaneamente, mentre uno di loro, probabilmente il leader della setta, alza entrambe le braccia verso l’alto.
Il tempo scorre inesorabile mentre Kate cerca di capire cosa stia succedendo. Non è esperta in queste cose.
I film dell’orrore, le sette sataniche, e altre cose dell’occulto non sono il suo forte.
Si morde il labbro maledicendo se stessa. Castle aveva ragione.
Ah, Rick! Quanto avrebbe bisogno di lui in quel momento e delle sue teorie strampalate per tirarla su di morale. Invece lei deve sempre essere la stessa Kate Beckett: fare di testa sua, accollarsi le responsabilità, per quel senso di giustizia che è innato e che proviene tutto da sua madre.
Di colpo, uno di loro alza lo sguardo verso di lei: Kate sussulta e si sbilancia all’indietro. Ci vuole una grande forza per mantenersi in equilibrio ed evitare di cadere. La fune è bella stretta in vita, quindi la scioglie di poco e si cala giù alla velocità della luce. Ottiene solo un mezzo strappo alla schiena, colpa del tonfo improvviso, ma non le interessa; la parola d’ordine è correre.
Ficca tutto nello zainetto, sentendo con un orecchio il rumore degli scarpini delle persone che dall’interno della chiesa stanno uscendo fuori. Kate inizia a corre attraverso il viale alberato per raggiungere l’ingresso del cimitero.
Si volta di tanto in tanto.
Due tizi incappucciati la stanno rincorrendo.
Si guarda avanti e indietro e poi di nuovo davanti a lei, ma trova il sentiero bloccato da un paio di altri signori incappucciati: è braccata. Non ha tempo per chiedersi come l’abbiano raggiunta; probabilmente essi conoscono il cimitero e le sue scorciatoie. Il cuore sembra esploderle, e ora che è ferma in quella posizione, un piede verso destra, uno verso sinistra, le manca il fiato.
Si guarda da una parte e poi dall’altra, cercando una via di fuga. Invano. Mette la mano sulla fondina, ma a cosa servirebbe sparare se non per attirare l’attenzione? E comunque, da che parte potrebbe sparare?
Le resta una sola cosa da fare.
Mostrare il distintivo.
“Fermi o sparo!”
Il cerchio si stringe intorno a lei.
Adesso viene circondata da più uomini incappucciati, che la stringono, e uno di loro tira fuori un coltello ricurvo.
Kate sussulta; è lo stesso coltello con cui Don Francis aveva ucciso quella ragazza cinquant’anni fa. Lo stesso che usano per i sacrifici.
“Tu vuoi salvare Casey così pensi di essere meno in debito per non essere riuscita a salvare tua madre la notte in cui morì.” Dice l’uomo col coltello.
Impossibile decifrare il suo volto. Il cappuccio lo copre quasi per intero. La sua voce è profonda e roca. Come fa costui a sapere quelle cose su sua madre? Perché il suo nome sta ritornando prepotentemente nella sua mente? Magari ha ragione?
Kate deve guadagnare tempo e pensare a una via di fuga, anche minima. Le gambe dondolano da una parte all’altra.
Dove potrebbe fuggire?
“Come ti permetti di dirmi queste cose? Tu non mi conosci!”
“E’ facile leggere dentro le pecorelle smarrite come te, Katherine.”
Il coltello viene alzato in alto, il cerchio umano intorno a lei l’avvolge, mentre Kate lancia solo un urlo.
“Era una notte buia e tempestosa... strano come tutte le storie dell’orrore inizino in questo modo, vero, detective Beckett?”
Le nuvole passano dal grigio al nero, e un tuono fa eco nel cielo, mentre le prime gocce di pioggia iniziano a scendere sulla cittadina.

 
Le porte dell’ascensore del Dodicesimo si aprono.
Kate entra barcollando, sentendo lo sguardo degli agenti su di lei. Sa di non avere un bell’aspetto, se ne rende conto.
Lei stessa vorrebbe sapere cosa le è accaduto prima a Greenwood, e come è riuscita a sopravvivere. Soprattutto, vuole sapere perché loro, gli incappucciati, l’hanno risparmiata.
Tutti con le bocche spalancate, qualcuno se le copre per evitare di urlare, qualcun altro lancia un grido di terrore.
Kate sussurra qualcosa cercando un appoggio in qualche scrivania. Gli occhi sono macchiati di rosso, sui palmi delle mani ha due buchi rossastri, dai quali il sangue sgorga.
Da un angolino, anche Rick, Kevin e Javier fanno capolino e vedono Kate accasciarsi a terra. Le mani, posate sulla scrivania, scivolano, lasciando una scia rossa, seguendo il movimento fulmineo delle gambe, che crollano sotto il peso del corpo, che all’apparenza non presenta alcuna ferita. Dietro di loro, la Gates, con lo sguardo più terrificante che abbia mai avuto.
Rick si fa spazio tra gli agenti incuriositi e preoccupati, e soccorre Kate rigirandola.
Lei è ancora viva, di questo ne è certo. Le stringe una mano, macchiandosi di sangue, vedendo il buco profondo inferto su entrambe. Sta piangendo. Ma sono lacrime di sangue. Il contorno degli occhi è di un rosso sangue.
Rick alza lo sguardo verso i due detective e colleghi, come se cercasse una conferma sulle ferite.
Javier e Kevin scuotono le teste, non comprendendo cosa sia successo alla donna accasciata e sofferente davanti a loro.
Poi, riesce a dire qualche parola, lentamente, scegliendo con cura ciò che vuole dire.
“Castle... che... mi... sta... succedendo?”
“Kate cos’hai? Come te le sei procurate queste ferite?” le dice, indicandole entrambe le mani.
Lei deglutisce, e alla vista del suo stesso sangue sussulta e ha un dejà vu con quanto accadde qualche anno fa, quando una pallottola le attraversò il petto, lasciandola inerme. Chiude gli occhi per tornare a quel ricordo, come volesse appigliarsi a qualcosa. Rick la scuote e chiama più volte il suo nome.
Ha paura di perderla.
La brutta sensazione che ha avuto quel giorno, si è avverata.
“Non riuscirete a salvarla, mia cara detective e mio caro scrittore.”
Il contenuto di quella lettera agghiacciante era un campanello d’allarme.
Non dovevano immischiarsi nell’omicidio di Sally Robinson.
Non dovevano proteggere Casey.
Non dovevano entrare più in quella chiesa.
Non dovevano mettere piede a Greenwood.
E ora hanno quel che si meritano. Tanta sofferenza. Da pagare col sangue.
Kate stringe le mani insanguinate alle sue, distogliendolo dai suoi pensieri. Sentendo il respiro venire meno, riesce però a raggiungere il suo orecchio, con il viso vicino al suo, e sussurrargli, “Aiuto... aiutami... Rick.”


Angoletto dell'autrice (poco) sana di mente:
Come detto nel precedente capitolo, da questa settimana doppio aggiornamento, siete avvisate! :p
Le cose hanno preso una piega inaspettata... Kate e la sua voglia di fare giustizia hanno solo peggiorato le cose...
Eppure Rick ha avuto quel presentimento per tutto il tempo! Che ne sarà di Kate? Cosa le sta succedendo?
Lo scopriremo nel prossimo capitolo di questa storia, se avete la forza di seguirla, perché mi rendo conto che le tematiche sono forti e sto facendo del mio meglio per renderle credibili.
Un grazie ai lettori silenziosi e a chi si "fa sentire" lasciando un commentino.
Io e la mia mente malata ringraziamo *-*
D.

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Capitolo 13
*** Nessuna luce. ***




 

 
Nessuna luce
 
La luce che entra dalla finestra gli fa capire che è mattina.
Apre lentamente gli occhi e alza la testa dal lettino per evitare di vedere la stanza girare e si rende conto di essere in un letto d’ospedale, dove riposa la donna che ama. Poi ricorda.
Ieri sera Kate era entrata barcollando al Dodicesimo con quelle ferite sui palmi delle mani e gli occhi rossi, dai quali usciva del sangue quando piangeva. Lui l’aveva sorretta, stretta tra le sue braccia, presa per mano e aveva udito quelle parole di aiuto, sussurrate, invocate, come un pellegrino in preghiera. La corsa in ospedale era stata tempestiva. La Gates, grazie alle sue conoscenze, aveva riservato alla sua miglior detective un posto d’onore in ospedale, oltre ad avere a disposizione un’équipe medica 24 ore su 24. Avere potere significava avere grandi responsabilità e mettersi a disposizioni degli altri.
Kate muove le palpebre e le sbatte per qualche istante prima di bisbigliare il nome di Rick.
Lo scrittore le sorride, avvicinando la sedia verso di lei. Dolcemente le prende una mano fasciata. Lei fa una smorfia di imbarazzo nel guardarsi in quello stato. Si tocca i capelli, arruffati in una coda scomposta, ha la veste ospedaliera, quella tunica bianca che la fa sembrare una malata terminale. Gli occhi sono due fosse arrossate, ma che non sanguinano più, e le mani sono entrambe coperte da una calza, permettendole però il movimento delle dita.
“Hai perso molto sangue. Quelle fasciature erano d’obbligo.” Le dice Rick, come rispondendo ad una sua domanda.
“Sei rimasto qui con me per tutta la notte?”
“Sì, ho dormito su questa sedia, appoggiando la testa sul tuo lettino. Non preoccuparti, mi sono arrangiato in ben altre condizioni, tipo dentro una cella frigorifera.” Stizza l’occhio cercando la complicità.
Come dimenticare quando rimasero chiusi in quel bunker a morire dal freddo? Nasconde il rossore sotto le guance abbassando la testa, ma si tradisce quando nel ringraziarlo alza gli occhi su di lui.
“Sempre.”, gli risponde, come da rito.
“Oh Katherine, eravamo così in pensiero! Non devi più farci prendere certi spaventi! Lo sai che ho una certa età!”
Martha Rodgers entra nella stanza spalancando le braccia, seguita da una sorridente Alexis che poggia sul tavolinetto accanto al letto un mazzo di fiori.
“Sono contenta che tu stia meglio.” Dice semplicemente la giovane, sorridendo alla detective.
“Madre, calma i tuoi spiriti. Non vedi che è ancora in convalescenza?” gli dice Rick, indicando a sua madre la posizione in cui si trovano. È pur sempre un ospedale e vige il rispetto e soprattutto il silenzio. Ma la diva fa semplicemente spallucce, facendo zittire suo figlio e strappando una risata a Kate.
“Il capitano Gates e mio padre ci hanno informato dell’accaduto e ci siamo subito precipitate”, dice Alexis con un tono davvero preoccupato. Sa quanto suo padre tiene a Kate, e la telefonata che lui le ha fatto, l’ha messa in allarme; lei vuole bene a questa donna che lo sta facendo felice.
Kate prende un grande respiro, sollevata che non abbiano avvertito suo padre. Non vuole metterlo in pensiero per uno svenimento.
“E tu, Richard, hai dormito qui tutta la notte? Hai almeno portato un cambio?”
“Mamma, mi metti in imbarazzo...” dice Rick, visibilmente rosso dal commento della madre.
Anche Kate è imbarazzata, ma per un altro motivo. Dalle parole della signora Rodgers, si capisce che non sono per niente di rimprovero quando lei strattona suo figlio e poi lo abbraccia commossa come se fosse un eroe. Ora la detective Beckett ricorda quanto accaduto la sera precedente. Si guarda le mani da entrambi i lati. Fasciate, vulnerabili, le mani con le quali lei ha sempre lavorato, una delle quali usa per impugnare la sua pistola... e viene colta da una sensazione di sorpresa, capendo che Rick le è sempre stata accanto e non l’ha mai persa di vista un attimo, occupandosi di toglierle anche il sangue da sotto gli occhi e dalle mani.
Abbozza un sorriso, che spunta lievemente sul viso, mentre si gode il sottofondo irreale delle risate della famiglia Castle, una famiglia che presto potrà chiamare anche sua.
“Stiamo interrompendo qualcosa?”
Si voltano per vedere un gruppetto di persone spuntare da dietro un grosso mazzo di fiori portato da Javier. Lanie corre ad abbracciare l’amica, che per poco non soffoca, poi arriva anche Kevin che non resiste all’emozione e scoppia a piangere, accovacciandosi sulla spalla di Kate. Con un gesto molto materno, lei gli accarezza i capelli.
È sul punto di piangere anche lei.
“Detective, siamo stati molto in pensiero. Ora devi riposarti.”
La Gates resta posata, sempre fredda, almeno in apparenza. Ma lo sguardo d’intesa che si scambiano lei e Kate dice ben altro.
“Certo, capitano.” Risponde semplicemente Beckett, facendo un cenno con la testa.
Fiera della sua miglior detective, la Gates trattiene la commozione, tirando su il naso e invita la sua squadra ad uscire dalla stanza prima che il medico curante si accorga che sono entrati senza permesso.
Martha guarda Alexis e le indica la porta con la testa, poi si avvicina al lettino di Kate e le prende le mani fasciate, facendo attenzione a non farle male.
“Vi lasciamo da soli. Mi raccomando, Katherine, tesoro, non stressarti troppo.” Detto ciò, le carezza i capelli e la coda arruffata.
Rick guarda sua madre aspettandosi un saluto.
“E io? A me non dici mai di che mi stresso troppo!”
“Oh, tesoro, tu non fai il poliziotto!”
Alla risposta di Martha, Rick fa il finto offeso portando i gomiti sul lettino e reggendosi la testa tra le mani. E sbuffa.
Kate ridacchia tra sé e rivolge uno sguardo alla signora Rodgers, ringraziandola con il labiale.
Questa è la famiglia in cui vuole stare.
Questa è la famiglia che vuole avere.
 
Al Distretto, Kevin e Javier si mettono davanti la lavagnetta con le braccia incrociate.
Hanno quasi paura a prendere il pennarello nero e mettersi a scrivere sopra, perché quel ruolo spetta a Kate.
Entrambi si guardano e vedono quel pennarello, indecisi su cosa fare. La lavagnetta è immacolata e intendono lasciarla così.
Optano per sedersi nelle loro postazioni e fare un riassunto dell’indagine su Sally Robinson.
Kevin giocherella con una matita mordicchiando la parte alta della gomma.
“Forse dovremmo dire a Don Francis cos’è successo a Kate...”
Lo sguardo accigliato di Javier lo ammonisce.
“Dico, forse potrebbe aiutarci...”
“Quel prete psicopatico che cambia umore da un momento all’altro?” si avvicina a Kevin parlando sottovoce. “Ma l’hai visto durante l’interrogatorio? Era terrificante!”
“Non puoi negare che c’era qualcosa o qualcuno in quella stanza...”
Kevin alza il sopracciglio, sperando di incutere timore nel suo collega, ma Javier risponde arricciando il naso e ritirandosi. Prima titubante, poi con una mossa afferra l’irlandese per un braccio e lo porta nell’ufficio della Gates.
“Volete interrogare Don Francis? Pensavo fosse finito il suo interrogatorio!”
Il capitano è alla sua scrivania. Seduta davanti al computer, si toglie gli occhialini, tenendoli su una mano, che muove con maestria, gesticolando. Kevin osserva i movimenti della mano e teme che possano cadere a terra rompendosi le lenti.
“Sì, è vero, ma magari sa qualcosa a proposito di ciò che è accaduto a Beckett.”
La Gates lo guarda accigliandosi di nuovo, e muove l’altra mano, non quella con cui tiene gli occhialini, per incitarlo a dire altro.
Javier cerca lo sguardo complice di Kevin dandogli una gomitata.
Qualcosa non spiegabile scientificamente.” Aggiunge l’irlandese.
Il capitano torna a portarsi gli occhialini sul naso, quindi volta lo sguardo verso il computer digitando qualcosa sulla tastiera. I due detective osservano imperturbabili. Poco dopo, dalla stampante dell’ufficio della Gates, escono fuori dei fogli, che lei si preoccupa immediatamente di spillare e dare a Kevin e Javier.
I due detective non capiscono il senso di quel mucchio di carte, e sembra che un grosso punto interrogativo si sia disegnato sui loro volti. Il timbro in alto al primo foglio esprime potenza. Il capitano ha parecchie conoscenze dall’alto a quanto pare, e ora ne hanno la conferma. La Gates semplicemente sorride a mo’ di sfida, e un po’ per prenderli in giro.
“Come vedete, sono sempre previdente.”
 
L’odore di quella stanza d’ospedale le sta dando la nausea. È infastidita da quell’odore di alcool per le punture e quella garza che le copre le mani inizia a darle fastidio. Afferra una forchetta, posata sul vassoio dove c’era il suo pranzo, e inserisce con cure il manico sotto la fasciatura. Delicatamente, la muove avanti e indietro, riuscendo così a grattarsi la parte della pelle che le stava dando prurito.
Rick rientra nella stanza portandole una confezione di gelatina. Kate alza un sopracciglio incrociando le braccia, e lui fa un inchino.
“Milady, ho lottato per voi e ho conquistato questo cibo.” Dice porgendoglielo.
Sorride, ma c’è un velo di malinconia sul suo viso.
“Voglio uscire di qui, Castle.”
Ha espresso quel suo sentimento con una frase. Lui la guarda compassionevole. Toglie l’involucro sulla vaschetta contenente una gelatina verde e affonda il cucchiaino assaporandone il gusto di mela e pera.
“Uscirai presto, te lo prometto. Devi rimetterti.”
Kate si morde il labbro e si unisce alla merendina prendendo un altro cucchiaino dal suo vassoio.
“Devo tornare in quella chiesa.”
Lo scrittore finisce di ingoiare il suo boccone, si pulisce la bocca con il fazzolettino incluso nella vaschetta, e poi posa il cucchiaino sul vassoio.
“Kate, spero tu stia scherzando. Non ricominciamo, non voglio litigare.”
“Neanche io!” acconsente lei, allontanando la confezione di gelatina. “Ma ho fatto una promessa e intendo mantenerla. Se sei d’accordo con me, bene, altrimenti... uscirò da sola da qui.”
“Potresti morire sul serio!” sbotta lui, e con il braccio fa cadere il tutto a terra.
Kate sussulta. Il suo scrittore è arrabbiato. Entrambi guardano il vassoio con la gelatina a terra, cosparsa sul pavimento.
La detective deglutisce, spaventata da come improvvisamente sia calato il silenzio nella stanza. Poi fa un gesto improvviso. Aspetta che Rick le dica qualcosa, che la fermi, la stringa e non la faccia andare via, ma niente.
Lui ora si è alzato, è lì in piedi davanti a lei, con le mani strette a pugno.
Kate si toglie la camicia dell’ospedale, si nasconde dietro una tendina, afferrando i suoi vecchi vestiti, si riveste e lascia la stanza, senza neanche salutarlo.
 
Fermandosi con l’auto davanti l’ingresso del cimitero, Kate pensa, ironicamente, che dovrebbe fare l’abbonamento per quante volte è venuta a Greenwood.
Fa qualche passo in avanti, entrando, ancora una volta, timidamente in quel luogo lugubre, e si volta avendo la strana sensazione che il cancello d’ingresso si stesse chiudendo da solo. Poggia le dita sulle tempie per massaggiarle. Le mani fasciate sono state ulteriormente coperte con dei guanti neri che lasciano le dita scoperte.
La vibrazione del cellulare la sorprende in quel silenzio soprannaturale e da brividi. Legge il nome sul display e chiude immediatamente la chiamata, senza neanche rispondere.
Rick Castle.
Prosegue a piedi. Ormai conosce a memoria quella stradina. Si guarda in giro, avendo mille occhi. Con la mano va a toccare la pistola ben custodita nella fondina, pronta ad essere estratta nel momento più propizio. Lega i capelli in una lunga coda, facendola molto alta, in modo che le ciocche non le ricadano sugli occhi a distoglierle la vista; ogni cosa pur di avere una buona visuale.
Stavolta non deve farsi sorprendere.
Il rumore delle foglie secche la fa girare alla sua sinistra e impugna la pistola puntandola contro quel punto nero tra due alberi. Avanza di poco, con i piedi ballerini.
Di corsa, gli scalpitii si fanno sempre più vicini, e con la coda dell’occhio si preoccupa di guardare anche dall’altra parte in direzione della chiesa. Due tizi incappucciati, che impugnano due grossi coltelli ricurvi, tipici del periodo delle Crociate, appaiono uscendo da quel buco che lei stava fissando. Le loro armi, in alto, verso il cielo.
Parte un colpo, che colpisce a un braccio uno dei due uomini, ma non proviene dalla pistola di Kate.
“Castle non è riuscito a starsene zitto!” commenta Kevin, seguito dallo scrittore e da Javier, già in corsa per raggiungere l’altro uomo incappucciato.
Kate arriccia il naso e inclina la testa verso Rick, e lui in risposta alza le spalle.
Poi, la sua espressione cambia visibilmente. Alza il dito indicando qualcosa dietro la sua musa.
“Kate!”
Appena dopo aver urlato il suo nome, che giunge ovattato e a rallentatore alle sue orecchie, la detective riesce solo a voltare il corpo a metà, prima di vedere il coltello ricurvo conficcarsi nel suo ventre. L’incappucciato scambia uno sguardo con lei. Può vedere il suo viso: corrugato, occhi neri e spenti, fronte spaziosa dove si intravede disegnata una croce rovesciata.
In quella frazione di secondo, Kate osserva la sua vita passarle davanti. Con entrambe le mani tocca quel coltello, nel tentativo disperato di estrarlo, e le mani iniziano di nuovo a sanguinare. Il sangue della ferita si mescola con quello dei palmi, che si aprono e il liquido rosso ricomincia a sgorgare.
Dalla chiesa, non molto lontano da loro, un gruppo di altri incappucciati, si riuniscono intorno all’altare. Il crocefisso è stato rimosso, e loro iniziano a pregare in una lingua antica. Uno di loro alza le mani verso le vetrate, e improvvisamente calano le tenebre, con il cielo che diventa di un nero oscuro.
Poi uno strappo seguito da un urlo di dolore.
La lacerazione nel suo ventre adesso è visibile.
E uno sparo.
L’altro incappucciato che ha trafitto Kate col coltello viene raggiunti dai proiettili su entrambe le gambe da Javier, impedendogli così di fuggire.
Rick non fa in tempo a raggiungere e sorreggere la sua fidanzata, perché lei si accascia a terra tenendosi lo stomaco e urlando per il dolore. Lui tenta di bloccare la ferita, sussurrandole che andrà tutto bene, che non deve temere nulla.
Il coltello, gettato lontano, giunge ai piedi di Don Francis e della Gates, arrivati sul posto con un’altra volante.
“Si allontani, signor Castle!”
Lo scrittore ascolta le parole severe del prete, ma non si volta. Kate sta perdendo molto sangue, e le sue mani si stanno sporcando con lo stesso colore.
“Sta morendo, dobbiamo riportarla in ospedale!” grida lui, non sapendo che Don Francis è praticamente alle sue spalle. Il suo è un grido di disperazione. Kate si sta spegnendo tra le sue braccia.
“Le ripeto di allontanarsi, santo cielo!”
L’imprecazione e il tono di voce più alto provocano un tuono nel cielo e costringono Rick a voltarsi verso di lui. Il prete sta puntando una croce verso di loro, ma quando lui lo strattona di lato, diventa chiaro che si sta rivolgendo a Kate.
Rick fa un salto all’indietro, vedendo Don Francis avanzare cautamente verso di lei.
Poi, pronuncia delle parole che lui conosce, perché le ha sentite in qualche film dell’orrore.
È un rito iniziatorio di esorcismo.
Rick fa per avventarsi su Don Francis, più che altro per allontanarlo dalla sua fidanzata, ma sorprendentemente, viene trattenuto da Javier e Kevin. Si volta verso la Gates, cercando un appiglio, qualcuno che gli dica cosa stia succedendo, ma riceve solo un dissenso dai suoi occhi.
Kate continua ad urlare, a dimenarsi. La ferita si sta ingigantendo e il respiro si fa sempre più affannoso, fino a quando riesce a mettersi in piedi con la testa abbassata, ed è lì che i presenti si rendono conto che il sangue sulla ferita non c’è più, e anche le mani hanno smesso di sanguinare.
Si guardano, non riuscendo a spiegare scientificamente cosa sia successo. La ferita si è rimarginata da sola.
La detective si tiene stretta a sé, abbracciandosi il ventre, mentre torna ad abbassarsi.
E poi succede tutto in una manciata di secondi.
Don Francis smette di parlare e abbassa la croce con movimenti lenti del braccio. Pian piano, Javier e Kevin lasciano la presa su Rick, che fa qualche passo in avanti. Quando Kate alza la testa verso il prete, si mette ad urlare ma quella che hanno di fronte non è la Kate Beckett che conoscono.
Non c’è luce nei suoi occhi.
C’è solo oscurità.
Come una leonessa, sta per aggredire Don Francis, ma viene trattenuta da Rick che l’afferra da dietro. L’abbraccia, la alza, portandola via, ma lei si dimena come una bestia.
“Stia fermo, quella non è più Kate Beckett! Non se ne rende conto?”
La forza di quest’uomo innamorato è però più forte di qualsiasi altra cosa.
Rick non vuole sentire ragioni e continua a trattenere Kate, o quel che ne rimane, ferma, tra le sue braccia. Spera che il calore del suo corpo e del suo amore la risveglino da quel che è diventata.
La Gates e gli altri osservano inermi la scena, non sapendo esattamente cosa fare.
Non possono sparare; ucciderebbero due persone innocenti. Castle è un civile, Beckett è una parte delle forze dell’ordine.
Ma la lotta è lunga e prolungata. Kate gli morde il braccio nel tentativo di dimenarsi, però Rick neanche si lamenta; affonda il viso tra i capelli di Kate, ormai sciolti dalla lunga coda, e la riempie di parole dolci.
Alla fine, stremata dalla lotta, la donna si arrende e lui può prenderla in braccio. Distesa tra le sue braccia, Kate getta la testa all’indietro, rivelando che gli occhi neri si sono spenti nello stesso momento in cui il cielo è tornato ad essere sereno.
 
Sbatte la porta dell’ufficio, mentre la donna con lui chiude le tendine. Si volta verso di lui incrociando le braccia.
Ma lo scrittore si avvicina alla finestrella e osserva dalle tapparelle la scrivania della sua musa, dove una tranquillissima e impassibile Kate Beckett sta giocherellando con una pallina antistress tenendo le gambe distese sul tavolo. Lo sguardo è fisso su un punto indecifrato davanti a lei. Senza battere le palpebre, continua il movimento del lanciare in aria la pallina e riprenderla, in automatico.
Kate Beckett è un corpo senz’anima, senza emozioni.
Rick continua a fissarla, ripercorrendo cos’è successo nelle ultime ore.
Lui l’aveva trattenuta tra le sue braccia e aveva percepito dapprima il suo corpo abbandonarsi alle ferite, poi risorgere improvvisamente grazie a una forza superiore alla comprensione umana. Può solo spiegare in questo modo ciò che ha sentito in quel momento.
“Non se la prenda con lui, signor Castle”, inizia a dire il capitano Gates, muovendo un passo verso di lui e indicando Don Francis.
Il prete, seduto davanti la scrivania, tiene le mani in avanti in segno di resa.
Alza lo sguardo sullo scrittore, consapevole di dovergli una spiegazione. Stringe le mani a pugno, e poi le ritira, lasciando aloni di sudore sul legno duro. Sta cercando le parole giuste da dire, quindi volge lo sguardo sul capitano, che replica con un cenno della testa.
Le prime parole sono un bisbiglio, seguite da uno schiarimento di voce, che copre con un colpo di tosse.
“Il capitano Gates ha dato ai detective Ryan ed Esposito una serie di casi di esorcismo, dopo che loro mi avevano spiegato cos’era successo alla detective Beckett. Ho commesso degli errori, ma sto rimediando, e credo che l’interrogatorio non solo abbia scioccato la sua fidanzata, mi permetta di chiamarla così, ma... ha come dire... liberato quella forza che mi possedeva... e ora la detective Beckett si sta comportando esattamente come me durante l’interrogatorio... Solo che voi non potevate decifrarlo, e io neanche, perché ne ero posseduto. Solo dopo essermene liberato, l’ho capito.”
Lo scrittore scuote la testa, guardando prima la Gates e poi Don Francis. Stringe i pugni e poi col dito incerto indica proprio il prete.
“Quindi cosa vuole dire? Mi spieghi cos’è successo a Kate!” la voce trema, il corpo è preso da uno stato di subbuglio, conseguenza della tempesta interiore che lo sta avvolgendo e stremando.
Probabilmente, dentro di lui, sa che cosa lui gli sta dicendo, ma non vuole crederci finché non se lo sente dire di persona.
Don Francis, di nuovo, si schiarisce la voce, abbassa la testa e volge uno sguardo di sottecchi al capitano. La Gates si avvicina a Rick e gli posa una mano sulla spalla. È arrivato il segnale di appiglio e di consolazione che cercava prima. Peccato sia arrivato troppo tardi.
Il prete si alza e cammina verso lo scrittore con le mani in tasca. Sente una stretta al collo e meccanicamente allenta il colletto bianco della divisa nera. Di nuovo, schiarisce la gola. Rick sta diventando impaziente e lo guarda come una furia.
Lo sguardo d’ira, però, si trasforma in un misto di stupore, incredulità e scetticismo, dopo le parole di Don Francis.
“Signor Castle, quello che voglio dirle è... come si può dire a una persona che è posseduta dal demonio?”



Angoletto dell'autrice (poco) sana di mente:
Non guardatemi così :p
Diamo la colpa a Kate che fa di testa sua, ma io dico...
La Gates dimostra che il potere è una garanzia e non solo tratta la sua detective come una regina, ma dà anche aiuto a Esposito e Ryan... cosa avrà dato loro? Lo scopriremo prossimamente su efp :p
Don Francis intanto ha capito tutto, e la realtà colpisce perfino una scettica Gates e uno che di fantasia ci vive, come Castle.
Come reagiranno a questa 'nuova' Kate?
Alla prossima *-*
D.

 

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Capitolo 14
*** Liberaci dal male. ***




 

 
Liberaci dal male
 
Tra mille film mentali, pellicole viste al cinema, fumetti letti e perché no, libri che aveva scritto, Richard Castle non si era mai trovato di fronte ad una tale situazione.
Seduto sul divano del loft, a notte fonda, tiene il computer portatile sulle gambe. L’unica luce ad illuminarlo è quella del display.
Posa il pc a fianco a lui, arrendendosi.
Si copre il volto con le mani, sfregandole su di esso, come a volersi tenere sveglio, poi resta a contemplare lo spazio del camino davanti a lui.
“Signor Castle, quello che voglio dirle è... come si può dire a una persona che è posseduta dal demonio?”
Non può crederci.
Non sta succedendo veramente.
Non a lei.
Non alla donna che ama e per la quale ha lottato anni nel tentativo di entrare nel suo mondo, capirla, abbattere quei muri.
Ogni giorno con lei è stata una sfida, ma lui l’aveva accolta volentieri, perché gli piaceva.
Amare Kate Beckett è sempre una lotta.
E anche adesso, deve far fede, di nuovo, ai suoi sentimenti sinceri per questa donna, e fare il possibile per salvarla.
Guarda l’orologio.
Sono le due del mattino. Va in cucina per prendere un bicchiere d’acqua e poi si reca da Kate, che sta dormendo nel loro letto.
Si avvicina al bordo, e la osserva dormire beatamente, respirando appena. Con il dorso della mano le sfiora la guancia. È calda.
Il suo corpo non reagisce a quel contatto, quindi sconsolato, se ne ritorna nel salottino davanti al suo computer.
Digita qualcosa sulla tastiera, serissimo, e legge i risultati del motore di ricerca. Decide di iniziare dal primo link, che apre ad una pagina dove c’è un menu a tendina sulla sinistra, e uno sfondo nero e rosso.
Le fasi della possessione demoniaca.
Infestazione.
Oppressione.
Possessione.
Clicca con il mouse sull’introduzione e con la freccette inizia a scorrere la pagina, leggendone qualche estratto.
 
Oppressione.
L'oppressione colpisce i sensi della persona, mediante allucinazioni orrende, fetori, gelo improvviso, e l'ambiente circostante: rumori, scricchiolii, levitazione di oggetti, ecc.
 
Ricorda come Kate ultimamente avesse iniziato a soffrire di sbalzi di temperatura, ma anche come l’aria del Dodicesimo, soprattutto durante l’interrogatorio di Don Francis, si raggelasse e scaldasse a intermittenza. Quando l’aveva toccata, anche prima nel letto, la pelle della donna era calda, ma in apparenza sembrava ancora la solita e tranquilla Kate.
In realtà, già l’ultima volta che la detective aveva messo piede nel cimitero, prima di venire aggredita dagli incappucciati, lei aveva avuto la sensazione di essere seguita, osservata, e addirittura credeva che il cancello esterno si sarebbe chiuso da solo non appena lei avrebbe fatto qualche altro passo in avanti.
Kate non aveva detto nulla a Rick, per evitare di preoccuparlo ulteriormente.
Ma lo scrittore è sempre stato in apprensione per lei.
Man mano che scorre la pagina, ha paura a leggere ciò che segue.
 
Possessione.
E' la forma più grave e comporta la presenza permanente del demonio in un corpo umano, anche se l’azione malefica non è continua. Si presentano manifestazioni temporanee di blocco mentale, intellettivo, affettivo. Possono sprigionarsi diverse reazioni: conoscenza di lingue ignote, forza sovrumana, conoscenza di cose occulte o dell'altrui pensiero. E' tipica l'avversione al sacro.
 
Cerca di ricordare momenti in cui Kate gli ha dato questa impressione.
Solo quando l’ha vista tranquilla al distretto, a giocherellare con quella pallina, gli ha messo una sensazione di brividi addosso.
Sapeva che era Kate Beckett, perché una parte di lei era ancora presente, ma al contempo, era consapevole che c’era qualcun altro dentro di lei, a disturbarla.
Clicca sul titolo, andando a leggere nello specifico.
 
Possessione di primo grado
Talvolta, misteriosamente, il demonio può invadere la psiche di un essere umano, prendendo il controllo del suo corpo e della sua intenzionalità. Il fenomeno dura finché non è annullato dall'esorcismo, o per periodi stabiliti a priori. In questo grado di possessione il demonio è latente, si limita ad alterare gli atteggiamenti del posseduto, le sue reazioni al sacro, gli istilla sentimenti di disperazione e depressione. 
Possessione di secondo grado
Questa possessione è più evidente: si manifestano cambi di voce, fenomeni preternaturali quali la glossolalia, la levitazione, la pirocinesi (potere di incendiare gli oggetti a distanza), l'acqua santa produce piaghe nel corpo del posseduto, che di per sé manifesta chiaramente di avere un'altra personalità. In genere per possessione diabolica si intende questa situazione intermedia. 
Possessione di terzo grado
A questo grado, lo spirito maligno (o più spiriti) hanno preso un dominio tale della persona, da alterare orribilmente persino i suoi tratti somatici, il suo odore, la temperatura. Questo è il caso più arduo, e occorrono di solito numerosi esorcismi per la liberazione definitiva.
Quando un demone diviene del tutto proprietario di un corpo (fase di possessione ultimata) inizia la vera e propria fase di necrosi, che consiste nella mutazione del corpo da mortale ad immortale. (La necrosi avviene sempre, anche nel caso di possessione tramite rituale magico/mistico).
 
Il coltello ricurvo.
Il rituale descritto da Don Francis.
Si passa una mano sul viso a mo’ di pensatore. I tasselli del puzzle iniziano a comporsi. Ora tutto sta cominciando ad avere un senso.
Quando guarda l’orologio, scopre che sono quasi le quattro del mattino, e che lui ancora non è riuscito ad addormentarsi.
Si lascia andare sulla poltrona del salottino, dopo aver chiuso il portatile, e decide di restare ancora un po’ lì, aspettando che Morfeo lo culli o gli procuri il sonno.
 

L’indomani viene svegliato dalla televisione, e non dal solito aroma di caffè. Rimasto a pancia sotto contro il morbido divano, le braccia lasciate a penzoloni, apre lentamente un occhio mettendo a fuoco l’ambiente circostante. Avvicina un braccio al mobiletto dove c’è il computer per raggiungere l’orologio: sono quasi le 9. Fa un salto buttandosi a terra, e in fretta e furia si veste per andare al Dodicesimo.
Uscito dall’ascensore, saluta gli agenti come se niente fosse.
“Ehi, Castle, ti hanno buttato giù dal letto?” gli dice Javier, dopo che Rick gli è andato involontariamente addosso.
Vorrebbe rispondere alla battutina dicendogli che ci ha indovinato in pieno, ma è ancora troppo scosso. Il portoricano intuisce dal suo abbigliamento confusionario e dallo sguardo tramortito che lo scrittore non deve aver dormito molto.
Inclina le labbra e gli dà una pacca sulla spalla per dargli conforto.
Si aggiunge Kevin, tutto incravattato e impeccabile nel suo completo, che fa segno ai due verso Kate.
La detective è fissa davanti la lavagnetta.
Capelli sciolti, camicetta bianca e pantaloni eleganti neri, uno dei suoi soliti abbigliamenti d’ufficio. Scrive, poi cancella, poi scrive di nuovo, fa il tutto in maniera confusa, presa da una strana frenesia, mescolando parole e numeri, in un senso che forse solo lei conosce.
“Non ha smesso di scriverci sopra da questa mattina.” Dice l’irlandese visibilmente preoccupato. Poi si rivolge a Rick, “Non siete venuti insieme stamattina... è per via di quello che è successo a Greenwood?”
Lo scrittore getta la giacca sulla sedia, vicino alla postazione abituale di Kate. Sconfortato, si accascia sulla sedia, passando una mano sulla fronte.
“Beckett non sta bene.” Lo dice sospirando, ma si morde subito il labbro, sapendo di aver appena detto una cosa talmente evidente da sentirsi stupido. Le mani passano a coprire gli occhi, che rivelano un lieve rossore, dovuto alle poche ore di sonno e alla preoccupazione nel vedere Kate in quello stato.
“... in questo grado di possessione il demonio è latente, si limita ad alterare gli atteggiamenti del posseduto, le sue reazioni al sacro, gli istilla sentimenti di disperazione e depressione.”
La detective fa cadere il pennarello a terra, e ottiene l’attenzione del distretto quando invece di raccoglierlo, lo scaccia via con il tacco del piede. Si mette le mani in testa, affondando le dita tra i capelli.
Lo scrittore la raggiunge, cingendola da dietro, per poi afferrare le braccia e tentare di guardarla in volto. Cos’è successo ai suoi occhi? Solo qualche giorno prima erano ricchi di speranza, di voglia di vivere e di amore, e adesso sono solo due buchi di disperazione senza illuminazione. Lei lo guarda come se non ricordasse cosa le è appena accaduto.
“Castle?”
Lui deglutisce e le tocca le mani, aprendole, per scoprire che contengono delle ciocche di capelli. I suoi lunghi capelli.
La donna spalanca gli occhi e si copre la bocca con il palmo della mano, lasciando cadere a terra quantità di ciocche.
Si guarda spaurita, poi porta le mani sulle orecchie, sentendo i rumori all’interno del distretto farsi sempre più intensi, è troppo per il suo udito. Dentro di lei, sente solo un’enorme campana che non smette di suonare. Lentamente, si mette a terra, dondolandosi avanti e indietro.
Rick segue i suoi movimenti e lo fa tenendo le mani sulla sua schiena, senza lasciarla un attimo. Poi, con una mano, va a toccarle il mento e lo alza verso di lui. Gli occhi gonfi di lacrime, che chiedono pietà, lo stanno guardando compassionevoli, prima che cambino colore. Le mani si muovono da sole e lo vanno a graffiare sulla guancia.
Lui si scansa, ma non riesce ad accudire il colpo.
Kate torna a fissarlo e gli occhi sono tornati del suo colore naturale. Si copre la bocca con entrambe le mani e guarda con orrore il male che gli ha procurato.
“Scusami, io—“ lo allontana spingendolo in avanti, e corre in bagno.
Rick si alza da terra come un cane bastonato, e poi se ne resta lì immobile senza sapere cosa dire né fare. Lo sguardo cade sulla lavagnetta bianca, coperta di segni di ogni tipo.
“Che lingua è?” chiede Kevin avvicinandosi.
Lui e Javier si sono fatti avanti con cautela, volendo lasciare prima lo scrittore e la sua musa da soli.
Sulla lavagnetta ci sono iscrizioni antiche, forse in aramaico.
Conoscenza di lingue antiche.
Rick scuote la testa, poi si volta verso i due detective.
“Dov’è il file dell’omicidio di Sally Robinson?”
Javier risponde afferrando la cartellina gialla posta sulla scrivania di Kate. Lo scrittore prende a sfogliarlo avidamente, fino a quando arriva alla descrizione del coltello ricurvo usato per uccidere la giovane. Mette a confronto lo scritto con quanto appare sulla lavagnetta e ha un’illuminazione.
Le scritte combaciano.
“Dov’è Don Francis? Ragazzi, portatemi da lui.”
“Forse dovremmo chiedere al capitano...” Javier ammonisce Kevin con un’alzata di mano.
“E’ tornato a Greenwood, dopo essersi costituito. Senza prove materiali, non era possibile incriminarlo di qualcosa. Sicuro di voler tornare in quel luogo infernale?”
Rick torna a guardare la lavagnetta e sospira.
Quelle scritte antiche, quei numeri a casaccio, quelle parole non-sense... e poi le cancellature nervose, le linee tracciate in maniera confusa. Quella di prima non era la donna che ha sempre amato. Spetta a lui salvarla, come è sempre stato fin dall’inizio di questo caso di omicidio.
Stringe i pugni, quasi facendo una promessa a se stesso che l’avrebbe salvata, ancora una volta.
Come quando erano nella cella frigorifera.
Come quando lei era stata colpita da quel proiettile.
Come sempre.
“Sì, Esposito. Voglio tornarci e trovare la bestia che ha trasformato Kate.”
“Alt, un momento!” la voce squillante di Lanie li blocca, facendoli voltare prima che possano compiere un altro passo. Il medico legale indossa il suo camicione bianco e ha ancora i bisturi in mano. Si vede che è appena uscita dall’obitorio. “Nessuno si muove da qui finché non mi spiegate qual è il vostro piano.”

 
È tornato a respirare aria di casa.
O almeno, se così può definirla.
Svuota i borsoni e rimette tutto in ordine nella sua sacrestia.
Volge lo sguardo fuori la finestra, stringendo la catenina con la croce di legno che ha legata al collo. Cos’era diventato negli ultimi anni? Un mostro agli occhi di tutti? Lui doveva essere il buon pastore che accoglie le pecorelle smarrite nel suo gregge, colui a cui far riferimento quando tutto va a rotoli, una speranza in quel tempo senza pace... invece è diventato tutt’altro.
E poi c’è quella detective, che è stata così determinata e caparbia nell’indagine. Scuote la testa pensando a cosa le è accaduto.
Ora si sente in debito con lei, e ne è colpevole.
Durante l’interrogatorio, aveva percepito il passaggio del demone interiore verso la detective, ma allora perché non l’ha avvisata?
Dovrebbe morire lui, e non lei.
È proprio vero che le cose brutte accadono sempre alle belle persone.
Una folata di vento invade il suo ufficio, e voltandosi verso la porta, vede i due detective, seguiti dallo scrittore e da un’altra persona che non è della polizia, ma il suo sguardo minaccioso la dice lunga.
“Lanie, puoi stare tranquilla, ci siamo noi qui a proteggerti, se qualcosa dovesse accadere!” Javier si pone davanti la sua fidanzata, spalancando le braccia e fa la faccia da duro.
“Ah beh, allora posso ritenermi super fortunata...” lei gli fa eco, roteando gli occhi, per stuzzicarlo.
Don Francis è preso dal panico, e come d’abitudine, punta gli occhi sui borsoni che ha appena svuotato.
“Non ci provi neanche. Non abbiamo capi d’accusa, ma credo che resistenza a pubblico ufficiale possa essere una buona scusa per sbatterlo di nuovo in cella.” Dice Kevin puntandogli la pistola addosso.
Il prete alza le mani in segno di resa.
Intimorito, mostra uno sguardo sinceramente dispiaciuto appena incrocia Rick. Lo scrittore fa segno di abbassare le armi.
“Signor Castle, mi dispiace quanto è accaduto alla signorina Beckett...”
“Ci sarà tempo per espiare le proprie colpe, piuttosto, ho bisogno del suo aiuto.”
Don Francis abbassa le braccia, sentendosi ormai al sicuro, quindi fa accomodare il gruppetto nel suo studio e invita Lanie a chiudere la porta.
“In cosa posso esserle utile?”
“Che cosa sa di esorcismo?”
Il prete sussulta, i due detective e il medico legale si reggono ai braccioli della sedia.
“Cosa? Castle, non ci avevi detto niente...”
“Cosa intendi fare?”
Rick ignora i versi e le parole di stupore di Lanie, Javier e Kevin, mostrando al prete le ricerche su internet effettuate durante la sua notte insonne. Pagine di repertori scritte da un famoso esorcista, casi di esorcismo realmente accaduti, e poi un manuale stampato in cui spiega passo dopo passo, le fasi della possessione e come effettuare il rito di liberazione. Poi poggia quella lettera misteriosa di minaccia, rimasta intatta dopo l’incendio a casa di Casey.
Don Francis corruga la fronte, intento a leggere il tutto, poi volge lo sguardo a Rick. Ha davanti a sé un uomo determinato, guidato solo dall’amore di salvare la donna che ama, e questa è una caratteristica che ha percepito fin dal primo momento in cui l’ha incontrato. Nota i tre graffi sulla guancia, adesso cicatrizzati, e inclina le labbra.
Poi getta il tutto sulla scrivania, in direzione dello scrittore.
“Senza delle prove tangibili, non posso chiedere il consenso al Vaticano per procedere con il rito.”
“Ascolti, quella lettera è una prova. Doveva bruciarsi nell’incendio, giusto? Invece è rimasta intatta. Come se lo spiega? Tocchi le parole, lo faccia! Vedrà che bruciano. E riguardo la mia fidanzata, la donna che amo più della mia stessa vita, lei è in pericolo. Sono assolutamente certo che si trovi al secondo grado della possessione.”
“Concordo, perché l’abbiamo vista entrambi mentre i suoi occhi cambiavano e le do ragione, ma se non raggiunge l’ultimo stadio della possessione, non posso fare nulla.”
Lanie si alza dalla sedia minacciosamente con il bisturi in mano puntato verso il prete.
“Stia a sentire, Kate Beckett è la mia migliore amica, e si sposerà tra qualche mese, quindi se non ci dà una mano, vede come le faccio raggiungere in men che non si dica questo ultimo stadio...”
“Lanie, whoa, chica!” dice Javier che le mette il braccio davanti per farla sedere.
Don Francis la guarda chiedendosi se sono tutti così aggressivi a New York. Visibilmente imbarazzata, il medico legale si schiarisce la voce e si ricompone accavallando le gambe sulla sedia, poi pronuncia un “Scusatemi” in modo signorile ed elegante.
Il prete e Rick si scambiano qualche sguardo.
“Capisco la vostra preoccupazione, ma capite che ci sono delle regole e non posso agire da solo.”
“Allora mi insegni come si fa.”
Don Francis è ancora una volta sorpreso dalla forza di quest’uomo comune davanti a lui. Fa un sorriso sotto i baffi ricordando che davanti ha Richard Castle, uno dei più famosi scrittori di gialli, che a quanto pare ha fegato da vendere come il protagonista della sua saga. Sì, ha appena ammesso con se stesso di aver letto qualche suo libro.
Si allunga verso di lui, tamburellando con le dita sul mattono delle ricerche che lo scrittore gli ha portato.
“Signor Castle, comprende che non è semplice. Non basta aver visto L’esorcista per compiere il rito.”
“Lei ci provi comunque.”
Ora Don Francis cerca lo sguardo dei due agenti e del medico legale. Tutti e tre però fanno un cenno del capo, forse contemporaneamente, per indicargli che deve parlare. Non c’è nessuna forza al mondo che possa impedire a Rick Castle di compiere un atto di coraggio.
Si passa la lingua sulle labbra, poi apre un cassettino della sua scrivania, posando davanti ai loro occhi un libricino nero con una croce argentata sopra. Quando lo apre, il gruppetto nota una serie di appunti e preghiere. Dà una rapida occhiata, cercando la pagina desiderata, quindi appiattisce il foglio con il pugno e torna a rivolgersi ai presenti.
“L’esorcismo è lungo e difficile, e si compone di sei fasi. Ma se non sappiamo chi è l’entità nel corpo della detective Beckett—“
“E’ posseduta dal diavolo! Non le basta questo?” urla lo scrittore, sbattendo le mani sul tavolo.
Il prete sobbalza e fa un passo indietro con la sedia. Rick si rende conto di aver forse esagerato, non era sua intenzione interromperlo in quel momento, ma non riesce a stare calmo in questa situazione. Con la mano appena alzata, si scusa con un gesto e poi si copre gli occhi lucidi.
La tensione e l’ansia sono palpabili e il movimento irrequieto delle gambe ballerine non lo aiuta. Javier e Kevin gli mettono entrambi una mano sulle spalle, comprensivi. Lanie sta per scoppiare a piangere.
Come ultimo gesto, Don Francis gli porge tra le mani uno dei suoi tanti rosari. “Si fidi di me, lasci passare qualche giorno e vediamo come va avanti la situazione. Tenetemi aggiornato.”

 
È rimasta a letto tutto il giorno da quando è tornata al distretto.
Al buio, perché la luce le dà fastidio, rilegata, sotto le coperte, si agita e si dimena di tanto in tanto. Allunga braccia e gambe urlando.
Rick non se la sente di dar retta alle sue preghiere di legarla per tenerla ferma, perché Kate ha capito che c’è qualcosa che non va in lei, e non vuole fargli del male.
“Rick”, l’aveva chiamato per nome di battesimo e questo per entrambi significava tanto, “lasciami qui a casa, non ho voglia di andare al distretto. Portami da mangiare qui accanto al comodino. Se ho fame, mangerò.”
Ma per Castle, lei è e rimane sempre Kate Beckett, la donna che ha intenzione di portare all’altare e farla diventare sua moglie.
Dopo un’altra notte insonne, la terza consecutiva, lui sul divano, lei sul letto, resta a fissarla sull’uscio della porta con le braccia incrociate. Contempla il suo corpo, rimasto lo stesso, ma sente il suo cuore sempre più distante.
Le poche e rare uscite mattiniere non sono più precedute dai baci o dal caffè. Sono solo delle scappatoie, che seguono a lunghe mattine passate in piedi di fronte alla lavagnetta, a scrivere ossessivamente, e a cancellare compulsivamente.
Stringe ancora tra le mani quella lettera di minacce trovata nell’appartamento di Casey, e in quel momento capisce che deve parlarne con qualcuno del suo contenuto.
“Tenetemi aggiornato”, gli aveva detto Don Francis. I giorni passano, e Kate non si reca neanche più al distretto. Niente sta cambiando e sembra che il demone che dimori in Kate la stia consumando lentamente, fino a farla diventare pazza, o per renderla solo un corpo che cammina senza più sentimenti.



Angoletto dell'autrice (poco) sana di mente:
Come avrete capito, i ruoli si sono ribaltati: se prima c'era Kate a sentire il dovere di fare qualcosa, adesso c'è Rick.
E' lui che fa ricerche e tenta di salvare la sua amata, consultandosi con Javi, Kevin e una grandissima Lanie.
E poi c'è Don Francis, che crede nello scrittore (ha ammesso di aver letto i suoi libri :p) ma non può muoversi senza in consenso.
Kate peggiora, e Rick la sente sempre distante e ha paura di perderla :(
Un grazie per chi segue questa storia. Siamo ai capitoli finali.
A presto :)
D.

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Capitolo 15
*** Il rito. ***




 

 
Il rito
 
Le urla nella notte non sembrano cessare, e Rick è costretto a chiudere porte e finestre per evitare che i vicini vengano disturbati nel sonno. Kate si agita, ormai abbandona il lenzuolo e scalcia contro qualcosa di invisibile a occhio umano. Lui si avvicina e afferrandola per entrambe le braccia, ancora non riesce a tenerla ferma. Si mette a cavalcioni su di lei, bloccandole anche le gambe e le si getta addosso, petto contro petto, sentendo il suo cuore battere all’impazzata e il solito respiro affannoso e pesante.
“Va tutto bene, ci sono io qui...” dice lui singhiozzando. Alza la testa per guardarla nei suoi occhi spaventati.
Si è fatta dei graffi in volto e si è strappata altre ciocche di capelli. Dovrebbe farle tagliare i capelli a caschetto per quanto sono corti.
Con una mano le accarezza la testa, con fare amorevole, poi scende sul suo viso e la culla portandola nelle braccia di Morfeo.
Per questa notte ha finito di lottare.
Rick si siede lentamente sul bordo del letto, arriccia le labbra, e si tiene il volto tra le mani, pronto per esplodere in un pianto disperato.
Non riesce a vederla così, non ce la fa più.
Lei è sempre stata una guerriera che non si è mai arresa di fronte a niente, e ora è rilegata in un letto, a combattere contro qualcosa di più grande, che neanche loro riescono a comprendere del tutto.
Possessione di terzo grado. A questo grado, lo spirito maligno (o più spiriti) hanno preso un dominio tale della persona, da alterare orribilmente persino i suoi tratti somatici, il suo odore, la temperatura.
Scuote la testa. No, non vuole neanche pensare di vedere la sua Kate con il volto sfigurato.
Sua madre gli passa accanto, silenziosa, chiudendosi la vestaglia di seta rosa, e gli posa una mano sulla spalla, appena si siede accanto a lui. Comprensiva, lo abbraccia, e lui si lascia andare aggrappandosi alle sue braccia, lasciando qualche lacrima sul tessuto della diva.
“Mi occuperò io di Katherine adesso. Tu vai a dormire.”
Fa per opporsi, ma Martha lo blocca con il gesto della mano. “Non preoccuparti, veglierò io su di lei.”
Sua madre è un angelo. Ha rinunciato alla tournèe invernale per stargli vicino e aiutarlo in questo momento difficile.
Alexis è dovuta rientrare subito al college perché impegnata con la sessione d’esame, ma neanche Rick ha voluto avvisarla per non metterla ulteriormente in ansia. Già sa che deve studiare tanto e abbastanza, e porla in un altro stato di agitazione non frutterebbe nulla.
Si chiede se sia il caso di prendere il rosario che gli ha lasciato Don Francis e iniziare a pregare.
Ed è quello che fa.
Si reca in camera sua e prende lo coroncina argentata, stringendo il piccolo crocefisso tra le mani. Si siede in posizione si preghiera, poggiando i gomiti sul letto, e comincia a recitare la prima preghiera che ricorda.
 

Javier e Kevin alzano lo sguardo verso Rick di tanto in tanto, nascondendo i visi dietro delle apparenti cartelline. Non hanno il coraggio di chiedergli come stia Kate, ma non per vigliaccheria, semplicemente per una questione di riservatezza.
Lui sta seduto davanti a loro, occupando la postazione di Kate. Forse per sentire ancora la sua presenza, qualcosa che gli ricordi lei, e poi chiude gli occhi.
Il profumo di ciliegie non l’ha mai abbandonato.
Quando li riapre, sorprende i due detective a fissarlo.
“Avanti, potete chiedermelo.” Dice sospirando.
“Chiederti cosa?” fa Kevin, ma la sua espressione di chi finge, non abbocca. Javier gli dà un calcio da sotto la scrivania.
“Castle, cosa pensi di fare con Beckett?”
Lui preme contro la sedia, allungando le gambe.
“Niente. Sento che sta peggiorando, ma non so se rivolgermi di nuovo a Don Francis.”
“Ti accompagneremo in ogni caso.” Dice Kevin convinto.
“Sì e stavolta senza Lanie, altrimenti finisce che infilza Don Francis col bisturi!” scherza Javier.
La battuta strappa una risata a Rick, la prima dopo circa una settimana.
Il rumore dei tacchi frena gli entusiasmi.
“Insomma, siamo al mercato?” la voce apparentemente fredda e distaccata proviene da Victoria Gates.
Il capitano, sempre impeccabile nel suo completo nero con camicia beige, è in piedi davanti a loro e alle spalle di Castle, che deve voltarsi per guardarla. La donna fa segno ai suoi detective guardando i fogli sparsi sulle loro scrivanie. Come soldati, obbediscono e vanno a mettere ordine. Rick fa per togliere il disturbo, ma la Gates lo ferma.
“Signor Castle, lei può restare. A patto che non faccia danni.”
Risponde con un cenno del capo, e il capitano torna ad assumere una posizione statica, sedendosi sopra la scrivania.
“Se vuole tornare a casa, può farlo, sia chiaro.” Gli dice quasi sussurrando.
Spontaneamente, Rick si tira indietro, chiedendosi che fine abbia fatto Victoria “Iron” Gates e come mai è così gentile con lui.
Si risponde da solo, pensando che probabilmente è solo preoccupata.
Senza dire una parola, lo scrittore risponde di nuovo con cenni del capo.
Quando la donna si è allontanata, Rick si guarda intorno ed estrae dall’altro taschino della giacca il rosario datogli da Don Francis.
Luccicante, argentato, passo la mano su ogni chicco, ed è come se gli rispondesse a una sua silenziosa domanda.
 

“Signor Castle, l’avevo invitata a chiamarmi solo se c’erano peggioramenti.”
Don Francis si alza pensante dalla sua poltrona della sacrestia per appendere il materiale usato nella messa della domenica mattina, poi torna a sedersi.
Rick lo guarda torturandosi le mani.
“Ma lei è peggiorata. Si agita nella notte, si dimena, urla...”
“Ha visto segni di pirocinesi? Levitazione?”
A entrambe le domande, lo scrittore scuote la testa. Il prete corruccia la fronte in apprensione.
“Mi dispiace, allora. Non mi è ancora permesso chiedere al Vaticano il consenso.”
“E allora cosa devo fare? Convivere con lei in questo stato?”
Con uno scatto di rabbia, forse irritazione, getta a terra tutto ciò che c’è sulla scrivania del prete, e poi si alza, allontanando la sedia da sé. Si volta verso di lui che lo guarda comprensivo e Rick sente il dovere di scusarsi un’altra volta, dopo il loro ultimo incontro.
“Mi scusi, è che non ce la faccio più.” Si sfoga e le parole gli escono così, senza esitazione.
Don Francis abbozza un sorriso e allunga la mano verso di lui.
“Ha con lei la lettera? Me la dia un secondo.”
Lo scrittore gliela porge. Piegata in quattro, lui la apre lentamente, passando un dito sul ricamo delicato delle parole.
Parole che bruciano.
Percepisce il calore che emanano. Una sensazione non normale per un pezzo di carta.
Deglutisce e gliela restituisce.
“E’ opera del demonio. Di solito lo fa in diverse forme, e questa è una delle tante. Dopo aver preso possesso della sua fidanzata, ora sta minacciando lei a sfidarlo. La domanda è: è pronto a questa sfida?”
Non ha tempo di replicare perché il taschino vibra. Rick afferra il cellulare e sul display vede il numero di casa.
Rabbrividisce appena accetta la chiamata.
“Madre?”
“Richard, non so cosa sia successo, mi sono distratta un attimo e Katherine... è scomparsa!”
“Come sarebbe a dire scomparsa?”
Il tono agitato di Martha non lo aiuta.
“Sono entrata nella sua stanza ed era tutto a posto. Quando sono tornata cinque minuti dopo, il letto era vuoto e la finestra aperta. Oh, Richard, avrei dovuto essere più attenta!”
“Stai tranquilla, madre, adesso ci penso io. Hai notato qualcosa di diverso, qualcosa che manca in camera da letto?”
“Le chieda se ci sono segni profani.” Gli fa eco Don Francis, mettendosi in posizione di pensatore, con una mano sotto il mento.
Rick lo guarda e fa la domanda, senza indugiare. “Dei segni profani sul pavimento, sulla parete, puoi controllare?”
“Okay, vado...” Dall’altra parte del telefono, la sente trafugare in camera da letto, spostare qualcosa, forse la sedia, e infine la sente fermarsi. “Oddio”, esita la diva, mettendo Castle in uno stato di agitazione, “ha frantumato il servizio di porcellana!”
Una gocciolina di sudore scende dalla tempia dello scrittore.
“Madre!”
“Scusami, tesoro, continuo a cercare...” Martha riprende la ricerca, mormorando qualcosa tra sé, mentre saltella tra un abito gettato a terra e l’altro, “Mhm, non sembra mancare nulla, tranne... Richard, tesoro, ti risulta che in camera tu abbia appeso un crocefisso capovolto?”
I due si guardano nello stesso modo. Sguardo spaurito e fisso l’uno sull’altro.
“Grazie, madre. Ti richiamo dopo.”
Segue un breve momento di silenzio, in cui Don Francis prende il libretto nero che Rick gli aveva visto tirar fuori dalla cassetto della scrivania. Con sguardo serissimo, il prete guarda lo scrittore e gli chiede, “Signor Castle, ha mai assistito ad un rito di esorcismo?”
 

Lo scrittore segue il prete un po’ titubante, attraverso il cimitero.
Don Francis ogni tanto butta l’occhio su di lui, sorridendo di sottecchi.
Hanno lasciato la chiesa ovest silenziosamente, portando con loro un sole borsone, nel quale Don Francis aveva messo delle bottigliette di acqua santa, qualche crocefisso, libri di preghiere, e anche un arma ciascuno. In casi come questo, meglio essere previdenti.
“Come sa che è diretta qui, a Greenwood?” gli chiede Rick, seguendolo passo a passo.
L’aria si è rinfrescata e le chiome degli alberi si muovono tutte allo stesso ritmo, quasi come se il vento stesse sussurrando loro una danza da eseguire.
“Perché è lì che è cominciato tutto, ed è lì che deve finire. Ricorda quando dissi a lei e alla detective che in un modo o nell’altro Casey doveva morire? E che se non fossi stato io a ucciderla, ci sarebbe stato qualcun altro? Beh direi, che Beckett è stata prescelta fin dall’inizio per questo rituale macabro.”
“Noi riusciremo a fermarla?”
Il prete sospira, e alza lo sguardo appena giungono a pochi metri dalla possente struttura sacra. Si ferma, mettendo il borsone a terra ed estrae una vecchia lampada.
“Me lo auguro. A questo punto, non ho neanche chiesto il consenso del Vaticano perché sarebbe lunga da spiegare.”
Rick sorride, sentendosi una specie di avventuriero alla Indiana Jones.
L’aveva giudicato male all’inizio questo prete, ma forse perché era posseduto da un’entità che lo faceva agire diversamente. Poi quando lo aveva sentito, dentro la stanza degli interrogatori, mentre raccontava la sua storia, si era quasi commosso, capendo che in fondo, se stavano accadendo queste cose, la colpa non era la sua.
Quindi ora lo sta ammirando perché ha preso atto delle sue azioni e sta tentando di rimediare, espiando le sue colpe. Ed è a modo suo contento di aver un alleato in questa battaglia. Gli mette una mano sulla spalla, mentre Don Francis gli passa un’altra lampadina.
“Sa, inizia a piacermi questa sua cosa di infrangere le regole.”
Il prete ricambia il sorriso brevemente, poi torna severo quando nota il portone della chiesa già aperto.
“Inizierà a piacerle meno quando inizieremo il rito.”

 
Lui la vede al centro della navata.
Come riesca a considerarla così bella anche con solo la vestaglia da notte bianca è un mistero.
Di spalle, i capelli dietro la schiena si muovono al ritmo dei suoi passi, camminando sinuosamente.
“Kate.” Sussurra Rick, ammonito subito da Don Francis, che lo afferra per un braccio e lo fa accovacciare insieme a lui dietro una grossa statua all’ingresso.
“Si fermi, Castle. Dobbiamo lasciare che lei ci conduca nella cripta, solo così potremmo capire come agire senza turbarla. È un processo delicato, capisce? L’entità che dimora in lei non si è ancora rivelata del tutto, perciò sarà più complicato identificarla.”
Sgattaiolano lentamente dietro una panca, avanzando a carponi, un modo insolito, ma che diverte Rick.
Kate si ferma davanti l’altare e si volta come una bambola. I suoi movimenti sono meccanici, come guidata da qualcuno, ma allo stesso tempo, sono delicati, tipici della finezza e dell’eleganza della donna. Rick nota che ha lo sguardo abbassato, che si alza prontamente quando viene circondata da un gruppo di uomini incappucciati.
Gli occhi della detective sono neri, senza luce; solo un tunnel di oscurità senza nessuna via di uscita.
Alza la braccia, mentre qualcuno da dietro le tiene i capelli all’indietro, quindi due persone l’aiutano a indossare la tunica nera.
Don Francis ha un sussulto.
“E’ come pensavo.” Rick si volta verso di lui. “Sarà lei a compiere il rituale e uccidere Casey.”
Entrambi deglutiscono tornando ad osservare Kate.
La donna ha lo sguardo serissimo e adesso i capelli sono tenuti insieme da una lunga treccia che le attraversa la schiena. Qualche ciuffo ribelle si discosta dagli altri, colpa degli strappi che aveva provocato dalla radice.
La tunica è di almeno tre taglie più grandi della sua. Rick ricorda come Kate fosse visibilmente dimagrita in una settimana, accusando male allo stomaco e un nodo alla gola che le impediva di ingoiare e a volte, spesso, di respirare. Tutti segni che gli indicavano che lei stava peggiorando e che l’entità dentro di lei stava cercando un modo per prevelare sul suo corpo, trasformandola.
Come gli incappucciati conducono Kate attraverso le scali che conducono alla cripta, anche Don Francis e Rick si muovono in quella direzione, mantenendo una distanza di sicurezza. Il prete tira sulle spalle il grosso borsone, decidendo poi di rimetterlo a terra per estrarne qualcosa così da limitare il peso eccessivo. Afferra due croci, una per lui e una per lo scrittore, e poi qualche boccetta di acqua santa a portata di mano.
La cripta è esattamente come Don Francis la ricordava. Tremenda, orribile, con odore di morte, di sangue e acqua putrida.
Rick la osserva per la prima volta, chiedendosi se Indiana Jones provava la stessa emozione quando vide il tempio dei sacrifici umani ne Il tempio maledetto.
Restano fermi nascondendosi dietro il muro che li separa dagli incappucciati.
Riconoscono la ragazza bionda stordita, che è crocefissa e legata ai polsi e alle caviglie.
“Casey.” dice Rick, seguito da un cenno di assenso di Don Francis.
L’atmosfera è delle più angoscianti che abbiano mai visto. Non solo l’odore sta dando fastidio, ma percepiscono una forte presenza in quella cripta che li fa rabbrividire. Kate è ormai comandata come un burattino, senza l’uso della parola, ubbidendo solo agli ordini degli incappucciati, che loro le stanno passando tra le mani il coltello ricurvo per il rituale.
Casey apre gli occhi, sentendo il peso della testa che alza lentamente, prima di rendersi conto del posto in cui si trova.
“Detective Beckett, mi aiuti, la prego!” urla improvvisamente, non sapendo che la donna non può sentirla.
Kate passa una mano sulla grossa lama che riflette il suo volto. Un viso segnato da graffi, scarno, con occhi appassiti. Un’immagine distorta e ben lontana dalla Kate Beckett di cui Castle si era innamorato.
Intorno a lei, il gruppo ha iniziato a riunirsi intorno all’altare, e il resto è davanti a loro, composto, in ginocchio, e ha iniziato a invocare il loro Signore oscuro.
Senza rendersene conto, Rick stringe il braccio di Don Francis. Il prete lo guarda sentendo tutta la sua agitazione.
“Dobbiamo intervenire.”
Il prete emette un gemito impercettibile e sussulta, voltandosi all’indietro, poi richiama l’attenzione dello scrittore dandogli una leggera gomitata.
“Signor Castle, ha per caso chiamato i rinforzi?”
Quando Rick gira la testa a sua volta, si vede lo sguardo della Gates addosso, mentre impugna la pistola nel suo completo da capitano, ovvero vestita di nero con i pantaloni. Dietro di lei, Javier, Kevin e una piccola squadriglia.
Rick si sente chiamato in causa e si gratta la testa.
“Ehm, non dovevo?”
“Che sta succedendo qui?” chiede la Gates, facendosi spazio tra i due.
Forse alza un po’ troppo la voce.
Gli incappucciati fermano le loro preghiere, voltandosi tutti verso un’unica direzione. Kate anche si blocca, e per un solo istante, lei e Rick incrociano gli sguardi. Lui sussulta, ma lei resta impassibile, senza riconoscerlo.
Alza il braccio nella sua direzione e serissima come un robot grida, “Intrusi!” incitando la folla.
Mentre gli incappucciati iniziano a camminare verso di loro, guidati, con passo incerto da soldato. Estraggono un pugnale, ognuno di loro ne ha uno da sotto la tunica. La Gates fa segno ai suoi di impugnare le pistole, ma senza sparare. Vuole mettere paura, per il momento.
Uno degli incappucciati avanza davanti al gruppo, rivelando il suo volto. Lui e Don Francis incrociano gli sguardi, riconoscendosi a vicenda, e assumono un’aria di malinconia. L’uomo poi inclina la testa e agita il suo pugnale.
“Cosa volete? Non vedete che siamo nel mezzo di qualcosa?”
“Mi spiace interrompere la vostra festa, ma c’è la nostra collega lì e poi state per commettere un omicidio. Quindi sì, dobbiamo fermarvi.” Dice ironicamente la Gates, continuando a tenere la pistola fissa su di lui.
A quanto pare nessuno dei due gruppi la pensa esattamente, quindi succede l’imprevedibile. Incappucciati e polizia si scontrano, avventandosi uno contro l’altro.
“Ricordate, sparate solo se necessario!” avverte la Gates.
Non vuole una carneficina, al momento questo è l’unica cosa sensata in mezzo a quel trambusto.
Senza armi, gli agenti del Dodicesimo devono cavarsela con pugni e cazzotti. Javier e Kevin sono quelli più esperti, mentre alcuni agenti, i più giovani, cadono a terra, infilzati dai pugnali degli incappucciati, i quali, si riprendono l’arma impregnata di sangue, e ricominciano a mietere vittime. I due detective esperti si ritrovano spalla contro spalla, prendendosi un attimo per tirare fiato.
“All’accademia non era previsto questo tipo di lotta!” dice il portoricano, strappando uno sguardo d’intesa con il collega, prima di riprendere a combattere contro due incappucciati.
È un combattimento dell’assurdo, e mentre Rick è tenuto in disparte, gli sembra di assistere ad una scena di qualche film fantasy.
Vede membri di entrambe le due fazioni cadere a terra, lanciare urli lancinanti, e il tutto avviene sotto il suo sguardo silenzioso da scrittore. Quando alza gli occhi, si ricorda che c’è Kate dall’altra parte della cripta.
Ferma, ferrea, sotto il grande crocefisso, impugna ancora il coltello ricurvo tra le mani, come se attendesse un ordine per usarlo.
Qualcuno lo afferra per il braccio. Don Francis gli fa segno di muoversi attraverso la parte murata della cripta, così da raggiungere l’altare in fondo. Rick è tentato a chiudere gli occhi, ma lancia un piccolo schiamazzo quando uno degli incappucciati gli cade ferito all’indietro, proprio sotto ai suoi piedi.
Solo quando sono a pochi metri di distanza, Kate avverte le due presenze.
Gli occhi ruotano verso Rick e Don Francis, e il braccio con il coltello si sposta nella loro direzione.
Apre bocca, ma è come se la sua voce fosse stata alterata, perché ora è gutturale ed emette strani suoni.
Sopra di loro, Casey riconosce entrambi e per un attimo sospira felice, agitando le braccia nel tentativo disperato di tagliare le corde e scendere giù.
Rick guarda i polsi della giovane e non vede sangue uscire dalle vene. Quindi, Don Francis segue lo sguardo dello scrittore e gli dice di salire su qualcosa per aiutare la ragazza a scendere da lì. Rick esegue, trovando una specie di vecchia scala dietro l’altare.
Il prete tira fuori la sua croce che utilizza durante gli esorcismi e la mostra a Kate, ma l’entità che dimora in lei risponde con un gesto brusco della mano, cercando di allontanarla. I lineamenti delicati della detective ora sono contratti, e i graffi cicatrizzati sulle guance si sono aperti in due grandi fosse che occupano metà viso.
“E’ arrivata al terzo grado.” Don Francis pensa ad alta voce e dopo essersi assicurato che Rick abbia raccolto Casey, lo chiama, senza staccare gli occhi dalla detective.
Rick adagia la giovane ragazza, che sviene tra le sue braccia, in un angolo della cripta, lontano dagli occhi degli incappucciati, con la promessa di riprenderla quando tutto sarà finito.
Di nuovo, Don Francis tenta di scacciare l’avanzare minaccioso di Kate con boccette di acqua santa, i cui schizzi finiscono sul viso, ustionandolo.
“Signor Castle, riesce a tenerla ferma?”
Rick rabbrividisce nel vedere la donna in quello stato.
Ora avrà bisogno di tutta la forza di volontà che ha per stringerla tra le sue braccia. Non è mai stato particolarmente credente, ma dopo tutta questa storia, ha capito che quando la ragione va a scemare, l’unica cosa che resta è la fede.
Tira fuori il rosario che il prete gli diede e se lo lega a mo’ di bracciale intorno a una mano, poi fa segno a Don Francis di essere pronto. Colpito dal gesto, Don Francis abbozza a stento un sorriso.
Di nuovo, Kate si dimena e risponde sputando un liquido verde sul viso di Rick. Lui non demorde, quindi cerca di afferrare il corpicino esile della donna, prendendola da dietro.
“Scusami, Kate”, riesce a sussurrare, sperando che lei, lì dentro, riesca a sentirlo.
Gli afferra entrambe le braccia, portandogliele dietro, così che non abbia modo di sfuggire alla sua presa. Solo la testa ruota e lancia urli e calci alle spalle dello scrittore. Lui risponde dandogliene un altro che la fa cadere con le ginocchia a terra.
Don Francis avanza, posa a terra il borsone e tira fuori il suo libricino nero, sfogliando qualche pagina. Timoroso, alza gli occhi verso la croce e prega con gli occhi chiusi che possa andare tutto bene. È un po’ controsenso pregare in quel modo considerando la natura della situazione. Poi si rivolge a Rick.
“Okay, adesso segua attentamente le mie istruzioni. L’esorcismo si compone di sei fasi. Presenza, finzione, punto di rottura, voce, conflitto ed espulsione dell’entità. Durante il rito, non faccia e non dica niente, soprattutto non dia retta all’entità che cercherà di agitarla, insomma stia fermo.”
“Nessun problema, sono anni in polizia che mi dicono di stare in macchina e di non toccare nulla.”
Dopo un segno della croce, Don Francis pronuncia le parole di iniziazione per confermare la sua presenza e quella dell’entità.
Le parole sono talmente forti che agitano l’atmosfera circostante. Le luci delle candele che illuminano la cripta, si spengono, appena una folata di vento giunge dal di fuori, attraverso le scalette che conducono in quel posto. L’unica luce che resta è quella opaca che viene dalla scalinata. Il vento sembra sussurrare, e sia agenti sia incappucciati, smettono di combattere per guardarsi intorno. Entrambe le fazioni sembrano risvegliarsi da un incantesimo.
Don Francis non può distarsi e man mano che va avanti con le fasi, tra calci e urla dell’entità che cerca prepotentemente di confermare la sua presenza, l’atmosfera inizia a farsi più cupa. Il prete sente il cuore andargli a mille, e prega di uscirne vivo dalla vicenda, ma anche se non riuscisse, vuole salvare questa donna dalla possessione che la sta uccidendo.
Tutti si fermano ad ascoltare uno scricchiolio. La grande croce sembra muoversi e spostarsi pian piano.
Rick osserva preoccupato, ma non può dire nulla durante il rito, altrimenti non andrebbe a buon fine.
“E ora siamo al punto di rottura. Mostrati, demonio!” urla il prete, alzando tremolante il suo crocefisso verso Kate.
In risposta, riceve un urlo da parte dell’entità, che spalanca la bocca di Kate, e poi un tonfo.
Lo scrittore chiude e riapre gli occhi solo per vedere un terribile spettacolo davanti.
La grande croce è caduta su Don Francis e la parte superiore gli ha trafitto il corpo, tagliandolo a metà.
Qualcuno tra gli agenti si sente male, e qualcun altro si accascia vomitando. La Gates solleva gli occhi e per la prima volta si mette a invocare l’aiuto divino.
Rick spalanca gli occhi e quando sente venirsi meno, il corpo di Kate ne approfitta per sfuggire alla sua presa.
Ora sono l’uno di fronte l’altro.
Senza perder tempo, Rick raccoglie il libricino dal corpo spezzato di Don Francis, cerca il rito di esorcismo, e tenta di riprendere da dove è stato interrotto.
“Non riuscirai a salvarla, stupido di uno scrittore”, gli parla l’entità con quella voce gutturale, “Lei non vuole tornare, sai? Vuole raggiungere quella puttana di sua madre. Perché questa è la fine che si merita.”
Lui alza lo sguardo per sfidarlo. Sa che non è Kate a parlare, ma il demonio in lei.
“Lo vedremo.”
Punta la croce verso di lui, manifestando di nuovo la sua presenza a gran voce.
Dall’altra parte della cripta, la Gates, Ryan ed Esposito si chiedono se Castle sappia cosa stia facendo.
Con un gesto della mano, muovendo appena l’aria, la Kate posseduta getta a terra il libricino, che sfugge dalle mani di Rick come se niente fosse. Poi, possente, si avvicina a lui.
“La tua troia aveva così paura di starti vicino perché è insicura anche lei, e tu, idiota, pensi di salvarla?” segue una risata inquietante che risuona per tutta la cripta, “Coglione. Non sei un poliziotto e non sei neanche un prete! Non capisci che non puoi metterti contro di me?”
L’avanzata della Kate posseduta lo fa inciampare e cadere a terra. Strisciando all’indietro, tenta di allontanarsi muovendosi con le mani. Guarda il libricino e il borsone nero farsi sempre più lontani, mentre con la mente cerca una soluzione, anche la più stupida.
Non dia retta all’entità che cercherà di agitarla.
Poi un’idea. Certo, lo scopo dei demoni è quello di agitare le persone, di dir loro cose non vere, solo per il gusto di provocare e farli sentire degli inetti inutili.
Ma lui è Richard Castle.
Non sarà un poliziotto né un prete, questo è vero, ma ha qualcosa che questa entità non conosce.
Si alza lentamente, pieno di sé, come svegliandosi da un lungo sonno, e guarda l’essere davanti a sé, corrugato e dagli occhi neri.
“Quello che dici è vero. Ma ho qualcosa che tu non possiedi. L’amore sconfinato per la donna cui stai possedendo il corpo. E io la rivoglio perché me la devo sposare.”
Segue un’altra risata gutturale con un altro schizzo verde che fuoriesce dalla bocca. L’entità getta la testa all’indietro ridendo di gusto, poi la rimette in avanti, e si scaglia contro Rick. Lo scrittore, invece di pararsi dai graffi e dai morsi, abbraccia quel corpicino esile, e si sofferma affondando la testa sui capelli.
Sente altre malformazioni sul suo corpo, tipo piccole crepature ed ostruzioni sul ventre. È come se aveva letto, l’ultima fase della possessione. Il demone sta tentando di prendere possesso completamente del suo corpo.
Non sente più il profumo di ciliegia su di lei, ma è sicuro che la sua Kate è là dentro da qualche parte.
“Kate, svegliati, sono io, Rick! So che ci sei ancora lì dentro, e ho bisogno che tu senta la mia presenza.” Sussurra, cercando di mantenersi stretto al suo corpo. “Kate, ti amo. Ti amo. Resta con me. Ti amo.”
“Smettila, sciocco! Non può sentirti!”
“Ti amo e non smetterò mai di dirtelo.”
“Zitto, idiota! Stai zitto!”
“Ti amo.”
Quelle parole vengono pronunciate all’infinito, e sente anche i colpi contro di lui venir meno.
Sembra che l’essere abbia smesso di dimenarsi.
Le crepature sul corpo si rimpiccioliscono, i graffi sul volto tornano ad essere normali.
Intorno a loro, è tornata la luce. Le candele si sono riaccese, e il vento ha smesso di dimenarsi e far rumore.
È solo quando la sente pronunciare il suo nome  che l’afferra per la testa e la vede.
“Rick?” chiede lei confusa.
Gli occhi neri, pieni di oscurità sono scomparsi.
Lui piange per la gioia, toccandole il viso, le braccia e poi il corpo, mettendole le mani sulla vita.
“Kate, sono io, è finita.”
“Dove sono?” scuote la testa, guardandosi intorno paurosa.
Gli incappucciati sono rimasti lì, impassibili, mentre la Gates, i detective e gli agenti non sanno cosa dire, se non trattenere dei sorrisi e ringraziare il cielo. Decidono di comune accordo di raggiungere Kate e Rick, che ora le sta accarezzando i capelli, incapace di smettere di toccarla.
“Nella cripta della chiesa di Greenwood. Ti racconterò tutto quando torneremo a casa.”
“Detective, sta bene? Bentornata tra noi!” esclama la Gates in uno stato di commozione.
Kate parla lentamente, sentendo il dovere di doversi riprendere. Si tocca la gola come se sentisse ancora un blocco nel parlare.
“Ciao ragazzi, capitano. Scusate, sono un po’ frastornata. Dov’è Don Francis? E Casey?”
“Casey è svenuta, ma sta bene.”
Vede Kevin tenere tra le braccia il corpo esile di Casey, fortunatamente senza nessun graffio fisico. Inclina la testa sapendo che quello non è nient’altro che apparenza rispetto ai danni morali che avrà subito.
Non ha bisogno di sapere dov’è il prete perché guarda oltre e vede il suo corpo trafitto dalla grande croce.
“Non capite cosa avete fatto! Interrompendo il rito adesso questo posto sarà maledetto e posseduto per sempre!”
Uno degli incappucciati, proprio l’uomo che l’aveva accoltellata dando inizio alla sua possessione demoniaca, si avventa su di loro, puntando il dito contro lo scrittore.
Victoria Gates si mette in sua difesa, stupendolo, e con uno strattone gli fa fare un passo indietro.
“No, voi non capite! Siete degli psicopatici! Dei malati! Avete indotto una povera ragazza ad abortire e a farle dimenticare la gravidanza per i vostri scopi! E avete messo la detective Beckett in serio pericolo! Non c’è nessuna presenza qui! E spero che con la morte e il sacrificio di Don Francis, voi la smettiate con questo scempio.”
“Era necessario, e adesso saremo maledetti finché il portone non si chiuderà!”
In uno scatto di rabbia, forse per sfogarsi, Rick fa cadere tutto ciò che c’era sull’altare: una coppa piena di sangue, dei libri col marchio del diavolo, e altri oggetti oscuri. Kate lo guarda comprensivo e lo abbraccia. Neanche lei riesce a staccarsi da lui.
La Gates non dice nulla al gesto compulso dello scrittore, quindi torna a minacciare l’uomo incappucciato e il resto della setta davanti a loro.
“Non posso arrestarvi tutti, anche se sarebbe un guinness dei primati, ma ognuno di voi pagherà a caro prezzo questa barbarie. Chiamate la scientifica che diano una pulita a questo posto e rimuovano il corpo di Don Francis, o quel che ne resta da lì. E poi avvisate il Sindaco, che chiuda questa chiesa.” Scuote la testa guardandosi attorno, e sente un brivido, toccandosi le braccia. “Oddio, che luogo orribile, torniamo a New York.”
Prima che possano muoversi, Kate avanza verso gli incappucciati e li guarda uno ad uno minacciosa.
“Mi avete ridotta voi così. Voi e i vostri rituali. E Casey ne pagherà le conseguenze psichiche e fisiche. Spero vi resti sulla coscienza.”
Si spoglia togliendosi con rabbia, tra le lacrime, quella tunica. E ricorda cosa le è successo e cosa l’ha portata fino lì.
Guarda i palmi delle mani, ancora fasciate, e il suo corpo segnato dalla scarsa alimentazione. Ci vorrà del tempo prima che guarisca e torni ad impugnare la sua pistola.
Rick l’abbraccia, baciandola sulla testa.
“Andiamo, Kate... ora torniamo a casa...”



Angoletto dell'autrice (poco) sana di mente:
Capitolo lungo ma non potevo fare altrimenti: non potevo dividerlo, né lasciare voi povere anime in ansia per la sorte di Kate :p
Ho cercato di rendere le cose il più possibile credibili per quanto riguarda il tema trattato, ma anche nei limiti, altrimenti la storia diventava abbastanza pesante, e già lo è, dato che siamo nell'angst :p ringrazio Linda Blair e la sua faccina in "L'esorcista" e la Dark Willow di "Buffy" per l'ispirazione :3
Le cose si sono concluse, nel bene o nel male per qualcuno, e ora è tutto finito.
O quasi?
Ci si legge, se volete, martedì per il gran finale, e grazie ancora a chi ha letto, recensito o anche solo seguito sporadicamente questa storia.
D. :)

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Capitolo 16
*** Niente di cui aver paura. ***




 

 
Niente di cui aver paura
 
Si guarda intorno, rinchiusa tra quattro mura bianche.
La sola luce viene da una finestrella con le sbarre, posizionata sopra il suo letto, piccolo abbastanza per contenere il suo esile corpo, con lenzuola altrettanto pallide.
Come il suo viso.
Un volto segnato da una grande sofferenza, scavato per il poco cibo con cui si nutre, e gli occhi azzurri spenti, privi della limpidezza del mare.
È una bambola vecchia, con i capelli lunghi biondi, che ogni tanto vengono spazzolati dalla persona che si occupa di lei da alcuni giorni. Alza le mani all’altezza della faccia, guardando prima i palmi e poi il dorso. Mani scheletriche, mani rugose, mani bianche, sulle quali è impossibile leggervi il futuro.
Sente degli urli intorno a sé, e si copre le orecchie con le mani. Con forza, vi preme contro, sperando di attutire il colpo. Poi si lascia cadere a terra con le ginocchia, dondolandosi avanti e indietro.
“Basta, basta, basta, andate via, andate via...” sussurra tra le lacrime, goccioloni che scendono su quella specie di camicione bianco da ospedale che indossa.
Quando prova ad alzare lo sguardo, non vede nessuno intorno a lei a darle fastidio, ma è consapevole che le voci provengono da dentro la sua testa. Quei rumori sibilanti non l’hanno mai abbandonata da quando quella brutta faccende era finita.
La detective Beckett, lo scrittore Castle e il resto della squadra l’avevano portata in quella clinica per riabilitarla. Il medico curante aveva subito identificato il disturbo di Casey Davis, questo il suo vero nome, come post traumatico, in seguito alle consultazioni con il ginecologo della ragazza. Casey aveva perso il bambino che lei portava in grembo da sei settimane, a causa delle violenze che la gente di Greenwood le aveva fatto subire, un modo malato per far sì che la giovane fosse pura e pronta per essere sacrificata al Signore oscuro che loro adoravano – ma questo Castle e Beckett non l’avevano detto al medico. Aveva rimosso la gravidanza, ma dentro di lei, portava ancora i segni di qualcosa che le è stato strappato.
L’infermiera apre la porta e Casey riesce a sentire benissimo il rumore della chiave che gira e le dà fastidio il suono stridulo che emette. Quando la donna sulla trentina entra, spingendo un carrello con le medicine, trova ancora la giovane rannicchiata a terra e l’aiuta a rialzarsi.
“Casey, cosa stavi facendo? Lo sai che se devi sederti c’è il letto. Per terra è sporco!”
Parla come se fosse lei a pulire tutti i giorni la sua cella.
La ragazza con gli occhi spenti la guarda rabbrividendo, mentre vede un’ombra circondarla. Si sposta dal suo letto per appoggiarsi di spalle ad un angolo.
“Lui verrà a prendermi... non smetterà di cercarmi...” dice singhiozzando, osservandosi intorno impaurita. Tocca il muro circostante e lentamente si accascia di nuovo a terra mettendosi seduta.
L’infermiera sta preparando la medicina, uno psicofarmaco comune, mettendo nella mano la pillola e nell’altra il bicchiere d’acqua. Si avvicina a Casey scuotendo la testa.
“Signorina Davis, non c’è nessuno che vuole farle del male, lei è al sicuro qui.”
Le porge il tutto, ma la giovane la scansa, facendo cadere acqua e pillola a terra. L’infermiera ne segue i movimenti e indignata, sta per raccoglierli, ma Casey l’afferra per il colletto del completo e la guarda terrorizzata. “No, le dico che verrà! E non potrò nascondermi! Chiami un prete!”
“Stia tranquilla o le faccio un’iniziazione!” la strattona, lasciandola cadere a terra, e dal carrelletto prepara una siringa mettendoci dentro un tranquillante potente, uno di quelli che si utilizza in questi casi.
Casey è ancora lì, sentendosi braccata, incapace di muoversi, mentre percepisce una presenza venirle addosso e costringerla a star ferma per le mani e per le caviglie. L’ombra che prima aveva visto inizia a prender forma, ma lei ne vede solo i contorni, diventando quella di un uomo venuto dal secolo scorso, con in testa un cappello a cilindro e di lato, il corpo che posa su un elegante bastone da passeggio.
Gli occhi azzurri spenti si affievoliscono appena il liquido della siringa viene iniettato nel suo corpo e lentamente anche l’ombra sembra dissolversi. Ciò che il suo sguardo vede adesso è il nulla. Uno spazio ancora più vuoto della sua cella.
L’infermiera la tranquillizza, aiutandola ad alzarsi da terra e la fa mettere seduta sul lettino, facendo con molta calma. Poi le porge la pillola e l’acqua in mano.
“Adesso va tutto bene. Prenda le sue medicine. Non c’è niente di cui aver paura.”
Come un robot, Casey obbedisce mettendo in bocca la pillola e ingerendo dell’acqua per aiutarsi a mandarla giù.
Dopo che l’infermiera ha lasciato la stanza, la giovane si volta guardando oltre la finestrella.
Gli occhi spenti diventano del colore dell’oscurità appena vede in lontananza una grande nube nera avvicinarsi minacciosamente.
 

“Ora basta, Castle, ho mangiato abbastanza. Sto bene!”
Lo scrittore corruga la fronte.
“E va bene, vorrei volentieri un altro tuo sandwich speciale!”
La risposta che desidera è arrivata, quindi lui si volta, portando via il vassoio con i piatti vuoti, e si reca in cucina.
Gli piace prendersi cura di Kate. La detective ha perso molto peso, e Lanie le ha raccomandato di mangiare tanto e soprattutto cibi sani, per recuperare le forze. Rick quindi la vizia con doppia porzione a pranzo e a cena, portandole anche cioccolata e caffè per dessert.
Kate sospira, rilegata nel letto, stringendosi nel pigiamino di seta, che le va ancora largo. Le manca il distretto, ma deve ammettere che essere servita come una principessa non è male. Anche se, ogni volta che ripensa alla vicenda e a ciò che le è accaduto, un brivido le percorre la mente, e ha paura di non riuscire a tornare a fare il suo lavoro.
I palmi delle mani sono ancora fasciati, e ricorda con orrore quando le usciva del sangue da essi. Le unghie sono state tagliate a dovere, pensando a come con esse si era ferita, strappandosi i capelli, ma si rende conto che non lo aveva fatto per volere suo, ma perché posseduta da quell’entità maligna. Con quelle stesse unghie aveva poi ferito Castle sul volto, quindi, finita la vicenda voleva tagliarsele a zero, per dimenticare quanto successo. Si tocca i capelli, ora un caschetto molto corto e sfilzato che le arriva sotto le orecchie. Ha voluto tagliarli per lo stesso motivo; ripartire da zero, dimenticando quella brutta vicenda. Le è dispiaciuto dire addio alla sua folta chioma, che tanto faceva impazzire il suo scrittore, ma non vedeva altra scelta.
Tuttavia, solo il tempo avrebbe potuto cancellare quella brutta storia, e solo l’amore incondizionato di Rick, che l’aveva salvata ancora una volta da sé stessa, poteva rimetterla in sesto.
“Ecco qui, futura signora Castle”, lei sorride nel sentire quel cognome che presto sarà anche il suo, e ride quando lo vede arrivare tutto indaffarato con altro cibo. Si sfrega le mani in segno di felicità.
Lui poggia il vassoio sulle gambe, e alza il coperchio.
“Panino speciale con pollo fritto, condito con verdurine, carote e pomodori.” Si porta una mano chiusa a bacio sulle labbra. “Una bontà per il palato!”
Kate si allunga verso di lui e lo abbraccia, baciandolo dolcemente sulle labbra, ma non può fare a meno di sorridere quando gli nota la bocca sporca.
“Hai assaggiato il pollo, vero?”
“Da cosa l’hai capito, detective?”
“Mhm, odore di salsa? Dov’è la mia salsa? Cameriere, esigo la salsa!”
Giocherella prendendo un fazzoletto e scuotendolo a mo’ di campanello.
“Subito, milady! Che sbadato!” fa lui, alzandosi per raggiungere la porta.
Si ferma sull’uscio, poggiandoci le mani sopra e poi la guarda abbozzando un sorriso.
“Sono contento che tu sia viva.”
Lei si sorprende da quelle parole e si commuove guardandolo dolcemente.
“Non ce l’avrei mai fatta senza di te”, trattiene le lacrime, e sospira guardandosi di nuovo i palmi delle mani. “Avevi ragione, Castle. Greenwood è un posto da brivido, abitato da psicopatici che meriterebbero di passare il resto della loro vita in prigione.” Dice e dal suo tono di voci, Rick si volta verso di lei, ascoltandola. Sente che ha bisogno di sfogarsi, visto che evitano l’argomento da giorni. “Hanno molestato Casey, l’hanno costretta ad abortire e dimenticare la gravidanza, e le leggende del posto altro non hanno fatto che renderla instabile mentalmente. E io, da stupida, mi sono messa in pericolo, e ti ho fatto del male.”
Lui si avvicina sedendosi sul bordo del letto. Kate gli tocca la guancia, vedendo i graffi cicatrizzati, ora rimpiccioliti. Lui poggia la mano sulla sua e poi se la porta sulle labbra.
Quanto gli era mancata toccarla! Anche solo parlarle e vedere il suo vero viso, per lui è tanto.
Non le ha ancora raccontato come il suo volto etereo si era deformato nella cripta, arrivando a toccare il terzo grado di possessione demoniaca. Si era solo soffermato a parlarle del rito di esorcismo, e di come Don Francis era morto nel tentativo di finirlo, facendo paragoni con L’Esorcista, e scherzando sul fatto che fosse diventato una specie di eroe per salvarla.
Quel prete aveva così espiato i suoi peccati, decidendo di salvare la vita delle persone, piuttosto che sacrificarla. Ma il Male che aleggiava nella cripta, l’aveva comunque ucciso, e Rick si chiedeva, da non credente, se ora si fosse guadagnato qualche posto lassù, per essersi pentito. Capiva che Kate ne aveva passate tante, e non voleva turbarla con quel ricordo del suo volto trasformato quasi in un demonio, per colpa di quell’entità che premeva per uscire dal suo corpo. Forse, un giorno, glielo avrebbe raccontato, e insieme avrebbero anche riso al ricordo di quell’avventura. Forse.
“Credo proprio che escluderemo Greenwood dalla lista delle chiese dove sposarci.” Dice Rick, distogliendo i suoi pensieri.
Kate scuote le spalle mimando un brivido. “Non nominiamola mai più, ok? Voglio solo stare insieme al mio fidanzato questa sera, senza film dell’orrore.”
“Io propongo un film strappalacrime alla Via Col Vento, oppure possiamo rivederci quella serie fantascientifica...”
Kate lo ammonisce dandogli una gomitata.
“Vada per Via Col Vento, così posso addormentarmi tra le tue braccia.”
Gli si getta al collo, spostando con un movimento il vassoio con il cibo, e lui la cinge alla vita. Restano così, abbracciati e scambiandosi baci e sorrisi.
È questo quello di cui hanno bisogno per il momento.
Ritrovarsi l’un l’altro.
 
Greenwood, sei mesi dopo
...

 
Il sole regna sovrano nel cielo, che non sente la mancanza di nessuna nuvola. Un uccello distratto afferra col becco dei piccoli vermicelli che serviranno da spuntino per i suoi piccoli. C’è spazio per qualche cane che rincorre altri suoi simili, lasciati liberi dai propri padroni, i quali trovano del tempo per scambiare qualche chiacchiera nel palco. Ci sono tutte le premesse per quella che appare una bella giornata.
Una giovane dai capelli biondi, talmente lisci da sembrare spaghetti, occhi grandi e azzurri, si asciuga la fronte bagnata di sudore, mentre raccoglie da terra la spesa che le era caduta. Si passa le mani sulla canotta rossa e poi su jeans, e riprende la busta in mano. Quando alza lo sguardo, usa una mano per coprirsi dalla luce accecante del sole e resta per qualche istante ad osservare il cielo limpido e ascoltare il canto degli uccelli.
Il fischiettio di un ragazzo che avanza allegramente verso di lei, distoglie la sua attenzione. Meccanicamente, abbassa la testa e il braccio, e guarda il giovane che le sorride. Un viso genuino, capelli castano scuri, alto, e con dei libri tenuti in mano. Come presa da un impeto di eccitazione, lo studia alla perfezione, ma non come una ragazza abbagliata da un colpo di fulmine.
“Ciao, sono Chris, potresti dirmi dove si trova questo ristorante? Mi sono appena trasferito dopo la laurea e ho sentito che qui stanno cercando personale...”
La ragazza rimane a fissarlo per qualche istante, mentre lui sembra parlare a raffica litigando con la cartina che le sta mostrando. I suoi occhi azzurri sono assenti, poi però si colorano per un secondo di nero, e infine tornano ad essere azzurri, lasciando spazio ad un’ombra oscura. Le labbra si incrinano verso un sorriso appena accennato, poi sforzato e infine, se solo il ragazzo stesse un attimo silenzio, sentirebbe che la giovane ha appena fatto un ghigno maligno. Gli uccelli smettono di cantare, i cani abbaiano e poi se la danno a gambe, costringendo i loro padroni a seguirli per non perderli.
In quel paesaggio diventato improvvisamente così spoglio e silenzioso, la ragazza gli porge la mano, e mostra un sorriso dolce ma sensuale, attirando l’attenzione del giovane.
“Io sono Casey, piacere di conoscerti.”


 
Angoletto dell’autrice (poco) sana di mente:
Ebbene sì, siamo arrivati alla fine di questa storia!
Kate si riprenderà, tranquille, grazie alle amorevoli cure di Rick! Penso che il fatto che lui non le abbia detto alcuni particolari sia giusto. Lei ha bisogno di riposo e dirle quelle brutte cose, altro non farebbe che agitarla.
L'entità non ha lasciato Casey, nient'affatto. C'è ancora un sacrificio da fare, e vediamo se qualcuna indovina chi sarà la prossima vittima :p
Detto ciò, un grazie va a chi ha letto e recensito con entusiasmo, sopratutto a Etta, la mia compagna di angst preferita *-* grazie anche ai lettori silenziosi, che mi hanno seguito senza dire nulla, passo dopo passo, grazie ai ritardatari nottambuli (Reb :p ahaha) o anche solo chi ha inserito nelle seguite la storia... ho scritto un papiro, aiut O__O
Riguardo me, non vi libererete facilmente ahahahaha ci si legge prossimamente perché ho un'altra storia da pubblicare, se vorrete seguirmi... un'altra versione della 7x01, diciamo così :p
A presto *-*
D.

 

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