Hurricanes and Suns.

di _Frency_
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Home. ***
Capitolo 2: *** Nice To Meet You. ***
Capitolo 3: *** Universes. ***
Capitolo 4: *** It Hurts, Don't You Know? ***
Capitolo 5: *** Nothing Has Happened. ***
Capitolo 6: *** Delicate Balances. ***
Capitolo 7: *** Where Did I Go Wrong? ***



Capitolo 1
*** Home. ***


Hurricanes and Suns.
 



Capitolo 1: Home.


 
I momenti sereni di oggi sono i pensieri tristi di domani.
(Bob Marley)


 
Profumava di primavera l’aria, di gelide promesse e calde aspettative. I primi teneri boccioli cominciavano a fare capolino sui rami scheletrici e nodosi di numerosi alberi spogli, mentre un vento saturo degli odori della città gli carezzava dolcemente. Era una giornata splendida, una di quelle giornate che riescono a entusiasmare anche l’umore più cupo e l’animo più triste. Era una di quelle giornate in cui il sole baciava le cupole dei palazzi californiani facendole risplendere di mille riflessi cangianti e dorati; una di quelle mattinate che ti portano a sorridere inconsciamente, perché nulla potrebbe andare storto.

La ragazza, in piedi davanti alla vetrata aperta della finestra, osservava con cipiglio assorto il paesaggio urbano che si stagliava davanti a sé. Solo una persona che poteva fregiarsi del vanto di conoscerla assai bene avrebbe potuto affermare con certezza che in quello sguardo c’era una nota di malcelata malinconia, abilmente nascosta dietro veli di apparente serenità. Giocherellava nervosamente con una ciocca dei lunghi capelli biondi, assorta in chissà quali pensieri, e il tocco lieve di una mano fredda sulla spalla, lasciata scoperta dal vestito dalla foggia quanto mai stravagante, la fece sobbalzare.

-Ti ho spaventata?- una voce flautata, piacevolmente familiare, le sussurrò quelle parole all’orecchio.

La ragazza sorrise, inclinando appena la schiena all’indietro e incontrando così l’appoggio del petto di un’altra persona, avvicinatasi a lei in maniera tanto silenziosa da non essere udita, complice anche la mente distratta della ragazza, concentrata su ben altri pensieri.

-Affatto, stavo solo… pensando. Scusami, non ti ho sentito- ammise la ragazza, voltandosi in modo da incrociare lo sguardo ambrato che dominava il volto del ragazzo lì accanto a lei.

-Non devi preoccuparti di nulla, lo sai questo, vero?- domandò lui, con voce melliflua e dolcemente persuasiva, intuendo quale genere di pensieri potessero turbare la mente della ragazza che stringeva a sé.

Lei sospirò debolmente, chiudendo gli occhi e respirando piano il profumo delicato del ragazzo che le cingeva la vita in un abbraccio.

-Sì, lo so- disse poi, come intuendo il bisogno del ragazzo di saperla pienamente consapevole. Il ragazzo le baciò teneramente la tempia, sprofondando il viso tra i suoi capelli dorati, apparentemente soddisfatto della sua risposta.

-Brava bambolina- ribatté lui, sorridendo.

Lei si divincolò appena, stizzita da quell’epiteto.

-Bill- ringhiò -Quante volte pensi di chiamarmi ancora con questo soprannome?- domandò indispettita, arricciando le labbra in quel broncio da bambina che il ragazzo tanto adorava.

-Una volta ancora almeno- ammise Bill con un candido e innocente sorriso, incrociando lo sguardo ceruleo della ragazza che ricambiò quel sorrisetto con aria esasperata.

Rimasero in silenzio un istante ancora, e mentre Bill si beava del respiro regolare della ragazza che si infrangeva contro la propria pelle, Kerli si stringeva a lui cercando di dimenticare tutto ciò che non fosse loro.

-Ti aspetto fuori, va bene? I ragazzi sono già arrivati, Tom è con loro- le disse il ragazzo, sciogliendosi dolcemente da quell’abbraccio.

La ragazza annuì con il capo, abbassando lo sguardo per evitare che il ragazzo incrociasse i suoi occhi.

E se non sarò all’altezza?

Con un sospiro pensò che forse non avrebbe dovuto essere così apprensiva, così estremamente sensibile al più piccolo cambiamento.
Hai una meravigliosa settimana davanti a te, che si prospetta piacevole ed estremamente rilassante: lascia i tuoi problemi qui a Los Angeles.
Ma era decisamente più facile a dirsi che a farsi. Sbuffò, passandosi una mano tra i capelli e lanciando un ultimo sguardo fuori dalla finestra, prima di uscire chiudendosi la porta alle spalle con un colpo secco.
 


Lo avevano deciso pochi giorni prima, e tutti si erano subito mostrati d’accordo. Una settimana di puro svago avrebbe giovato a tutti, e allora era sorta spontanea la proposta: perché non tornare a casa? Ne sentivano tutti una certa nostalgia, soprattutto i gemelli, che da quando si erano trasferiti non avevano fatto più ritorno in patria. E nonostante fosse passato meno di un anno, entrambi avevano una certa voglia di riassaporare l’aria familiare di quella città che era sembrata sempre troppo piccola per due ragazzi come loro. La prospettiva di un abbraccio di Simone e una bella passeggiata per le conosciute vie di Amburgo si prospettava quanto mai interessante, perciò avevano impiegato davvero poco per avvisare David e iniziare i preparativi.

Bill, non senza un certo imbarazzo, aveva chiesto a Kerli se desiderasse seguirli. Lei si era rivelata entusiasta, ma aveva sgranato gli occhi per lo stupore quando Bill si era mostrato deciso a presentarla a mamma Simone.

-Tu sei pazzo, Bill Kaulitz!- aveva sbottato lei, sempre con quell’espressione sbalordita dipinta in viso.

-E perché mai? Cosa c’è di male nel presentare le propria fidanzata ai genitori?- aveva replicato lui.

-Niente, è chiaro, però… Oh, avanti! È imbarazzante!- aveva cercato di eludere la domanda lei, senza però alcun successo.

-Perché?-

-Perché sono io la ragazza in questione, e tu… Tu sei tu- aveva balbettato lei.

-Su questo non ci sono dubbi- aveva replicato il ragazzo, con una nota risentita nella voce.

-Bill…- aveva tentato Kerli.

-Non essere sciocca- l’aveva liquidata lui con un gesto della mano.

-Io non vedo l’ora che vi conosciate- aveva ammesso, arrossendo vistosamente sotto lo sguardo sempre più allibito della ragazza.

-Bill…- aveva incominciato, senza essere certa di riuscire a continuare.

-La ragazza si presenta alla propria famiglia quando la relazione diventa seria e stabile…-

Bill aveva soppesato le sue parole, fissando il proprio sguardo ambrato nei suoi occhi chiari con tanta intensità da metterla a disagio.

-La nostra è una relazione seria. E molto stabile- aveva detto infine, con tutta la calma possibile e un tono che, però, risultava quasi infantile.

Kerli, superato il primo istante di sorpresa, gli aveva rivolto un sorriso dolce. Poi lo aveva abbracciato, tenendolo stretto a sé come se non volesse più lasciarlo andare via. E lui non aveva nessuna intenzione di scappare.



Eppure, la preoccupazione di non essere all’altezza delle aspettative della madre del suo ragazzo – perché ormai poteva anche definirlo così, no? – l’aveva nuovamente sconfortata quella mattina, diventando una morsa di fastidiosa ansia quando Bill l’aveva avvicinata a sé per confortarla.
E adesso stringeva la borsa al petto, inforcando gli occhiali da sole e raggiungendo i quattro ragazzi fermi a chiacchierare vicino al cancello della villa dei due gemelli.

-Kerli!- esclamò il batterista, vedendola arrivare.

-Ehi, che bello vedervi ragazzi- ribatté lei con aria solare, andando incontro ai ragazzi e abbracciandoli con calore.

-Sei riuscita a superare la fase sclerotica pre-partenza di Bill: sei più tenace di quando pensassimo- disse Georg, mentre la ragazza si scioglieva dolcemente dall’abbraccio affettuoso dell’amico.

La ragazza scoppiò a ridere, ricordando le giornate che il cantante aveva passato a fare le valigie, per poi disfarle dicendosi poco soddisfatto e rifarle per una seconda volta. Inutile soffermarsi a descrivere lo stato in cui la loro stanza si era ridotta: vestiti sparsi ovunque, biancheria che penzolava dallo schienale della sedia della scrivania, trousse ricolme di smalti, creme e trucchi vari abbandonate sulla moquette. Kerli si era mostrata tollerante, perché lei stessa aveva sempre avuto qualche problema ad organizzarsi prima di partire per un viaggio. Nonostante sia lei che il ragazzo si spostassero in continuazione in giro per il mondo, sembravano non aver ancora preso dimestichezza con valige e trolley, ma soprattutto sembravano entrambi convinti che i bagagli potessero contenere qualsiasi cosa, come se potessero aumentare di capienza a loro piacimento.

Aveva messo fine a quel delirio Tom quando, entrando innocentemente nella camera che il fratello condivideva con la ragazza, per poco non
era scivolato su un tubetto di mascara. E allora Kerli e Bill avevano ben pensato di fare un po’ d’ordine.

-Allora, siete tutti pronti?- domandò il chitarrista, afferrando le proprie valige e cominciando a caricarle in macchina.

I compagni annuirono, imitando il ragazzo e stipando in macchina borse e trolley colorati. Quando dopo una manciata di minuti partirono per dirigersi all’aeroporto, lasciandosi gradualmente alle spalle il familiare quartiere in cui i gemelli risiedevano e poi anche il centro della città, uno strano fermento si insinuò tra loro. Stavano tornando a casa.
 


Amburgo. L’aria fredda nonostante la primavera imminente, così stranamente rigida rispetto a quella dolce di Los Angeles; le strade affollate e le viuzze che si affacciavano sul fiume Elba; la chiesa di San Michele e quella di San Nicola.
Amburgo. Casa. Ricordi legati alla loro infanzia, passata in quella città vegliata da antichi monumenti le cui ombre racchiudevano misteri e segreti. Luci calde e profumi famigliari, tra l’aria greve del fiume e quella profumata dei giardini.
Kerli non aveva mai visitato la Germania. E, tantomeno, una città simile a quella in cui avevano messo piede dopo quasi tredici ore di volo, stanchi, storditi e consci del fatto che la parte più difficile del viaggio doveva ancora arrivare. Il passaggio tra l’aeroporto e l’albergo dove avrebbero alloggiato era sempre uno spostamento difficile, e anche quella volta sembrava non fare eccezione.
Bill si passò una mano sul volto tirato, inforcando nuovamente gli occhiali da sole per evitare di essere riconosciuto, nonostante la folla. La ragazza, intenerita, gli diede un leggero bacio sulla guancia, e il cantante sorrise, cercando di non apparire troppo stanco.

-Dai piccioncini, muovetevi che altimenti in hotel ci arriviamo domani!- li richiamò all’ordine Tom, sghignazzando.

Il gemello gli lanciò un’occhiataccia da dietro le lenti scure, prima di incamminarsi dietro al chitarrista, seguito dalla ragazza e dai due amici.
 



Tom non si era mai sentito tanto a disagio, tanto fuori luogo, come in quel momento. Era affacciato sul balcone della sua camera d'albergo, con i gomiti appoggiati sulla ringhiera e una sigaretta stretta precariamente tra le dita. La vista era tanto bella da mozzare il fiato. La città brillava d’oro e argento, immersa in mille luci calde e scintillanti, e da quell’altezza vertiginosa si poteva dominare con un’occhiata tutto il paesaggio che si stendeva a perdita d’occhio.
Il chitarrista non aveva mai avuto problemi di vertigini, perciò sapeva con certezza che il malessere che sentiva all’altezza dello stomaco era dato da qualcosa di ben più profondo. Si portò la sigaretta alle labbra, aspirando una nuova boccata di fumo e continuando a tenere lo sguardo fisso sull’orizzonte, dove il cielo scuriva fino a sembrare quasi nero.

La verità era che c’era qualcosa di lei in ogni angolo di Amburgo che riusciva a vedere: il verde smeraldino dei suoi occhi era lo stesso che si rifletteva sulla placida superficie del fiume che attraversava la città; il suo profumo – intenso, famigliare, impresso nella sua mente nonostante fossero mesi che non lo respirava più – sembrava aleggiare nell’aria, portato dal vento. Anche la folla, colorata e vivace, sembrava la stessa in cui loro amavano perdersi. E lui rischiava di impazzire. Non era neanche passato un anno, ma a lui sembrava trascorsa un’eternità. O forse era perché lui, nel giro di pochi mesi, era cresciuto radicalmente. E non era cambiato solo fisicamente, no: era dentro di lui che qualcosa era mutato.

Perché ho accettato tutto questo? Perché non sono rimasto a casa? Perché sono tornato qui?

Lo sapeva il perché, nonostante non volesse ammetterlo neanche a sé stesso: quella era l’unica città che lui avrebbe potuto mai chiamare casa, per il semplice motivo che anche lei era lì. Ed erano vicini, incredibilmente vicini, eppure a lui la distanza tra loro non era mai sembrata tanto immensa. Il solo pensiero di esserle ad un soffio di distanza e non poterla raggiungere lo mandava giù di testa. Gli mancava, gli mancava in un modo così doloroso che da tempo non provava. E, intanto, un’idea – assurda, avventata, decisamente troppo azzardata – si faceva largo nella sua mente.

Stringerla di nuovo tra le braccia.

Respirare il suo profumo.

Sentire di nuovo la sua voce graffiante.

Baciarla, fino a perdersi in lei.


Oh, la tentazione era forte. Si sentiva sull’orlo di un precipizio, pericolosamente sospeso ad un passo dal nulla più totale. Ma si trattava di lei. E, per la prima volta dopo tanto tempo, si era stancato di fingere che andasse tutto bene. Non era così, e non lo sarebbe mai stato fino a che tra lui e lei non fosse scomparsa quella distanza che li separava. Dovevano chiarire molte cose, e lui per primo sapeva di doverle delle spiegazioni. E tante, anche. Ma c’era una parte di lui che continuava ad essere restio all’idea di rincontrarla dopo così tanto tempo. Cosa le avrebbe mai potuto dire? Cosa gli avrebbe detto lei? Lo avrebbe cacciato? Gli avrebbe voltato le spalle?
Un nodo gli strinse fastidiosamente la gola, facendolo tossire.

-Dovresti smetterla di fumare-

Un voce lo riscosse improvvisamente dai suoi pensieri, facendolo voltare di scatto. Bill, scalzo e con il viso finalmente struccato, stava in piedi sulla porta che dava sul balcone.

Tom abbozzò un sorriso, facendogli cenno di avvicinarsi e tornando a lasciare vagare lo sguardo nel cielo blu davanti a sé.

-Senti da che pulpito arriva la predica- ribatté, lanciandogli un’occhiata in tralice e notando che il gemello continuava ad apparire tranquillo, nonostante il suo commento sarcastico.

-Guarda che a me puoi dirlo- disse ad un certo punto il cantante.

Il chitarrista gli rivolse un’occhiata stupita.

-C-cosa? Dirti cosa?- farfugliò, abbassando lo sguardo per evitare di incrociare le iridi scure del fratello.

-Lo sai-

La voce dolce di Bill lo sorprese. Era da tanto, tanto tempo che non  usava quel tono con lui. Era quella particolare cadenza che di solito lo faceva capitolare e, per sua sfortuna o forse per sua fortuna, il moro lo sapeva.

Vorrei… Oh, Bill, come faccio a spiegartelo? Come posso dirtelo?

-Io…-                                     

Stringerla di nuovo tra le braccia.

Respirare il suo profumo.

Sentire di nuovo la sua voce graffiante.

Baciarla, fino a perdersi in lei.


-Io sono ancora innamorato di lei- ammise in un sussurro, cercando di non cedere a quel bruciore gli faceva pizzicare gli occhi e sapeva bene di cos’era il preludio.

-Non permetterò ad un errore commesso in passato di portarmela via…-

È una grandiosa cazzata! Sei solo un ragazzino che non è in grado di accettare le conseguenze delle sue azioni e prendersi le sue responsabilità!

Ecco quello che gli gridava la parte più giudiziosa di sé. Ma lui, come sempre, non le prestò minimamente ascolto.

-La ritroverò- disse con fermezza, voltandosi e incontrando così lo sguardo stupito e compiaciuto del gemello.

Bill sorrise, ricambiando lo sguardo sereno e pieno di determinazione del fratello.

-Adesso ti riconosco- disse soltanto.


















My Space:

Salve a tutti!

Sì, sono finalmente tornata! Ed ecco che iniziamo una nuova avventura, dopo aver concluso "No Woman No Cry" e "Womderland".

Cosa ne pensate come inizio? Vi ritrovate con i personaggi?

Io, come ogni volta, mi sono emozionata a postare il primo capitolo, perché significa impegnarsi nuovamente nei vostri confronti e riprendere in mano le fila della storia, per concluderla. Sono emozionatissima, sì,  lo ammetto. Vorrei riuscire a fare un bel lavoro, e non lasciare temi in sospeso.

Ah, indicativamente dovrei postare ogni due settimanemi rendo conto che in passato aggiornavo prima, ma in questo momento tra la scuola e gli altri impegni non riesco a fare altrimenti. 


Detto questo... Spero vogliate farmi sapere la vostra opinione, sapete che per me è sempre un piacere!

Grazie alle lettrici che mi hanno seguito nel lungo percorso di questa trilogia, supportandomi e consigliandomi ogni volta al meglio.

Al prossimo capitolo,

Francesca.

 

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Capitolo 2
*** Nice To Meet You. ***


Capitolo 2: Nice To Meet You.


 
Per arrivare a Loitsche occorreva prendere la macchina e sobbarcarsi almeno un paio d’ore di viaggio, ma i ragazzi non avevano dubbi a riguardo. Tornavano così raramente a casa, che sarebbe stato quanto mai vergognoso non andare ad abbracciare i propri genitori. Bill, inoltre, aveva un motivo in più per ripresentarsi alla porta di Simone e Gordon. Si voltò, scrutando il viso della ragazza abbandonato sulla sua spalla da almeno mezz’oretta, quando il sonno e il ritmico dondolio della vettura avevano vinto il benefico effetto del caffè. Sorrise, stringendo lievemente il braccio sulla vita della ragazza. Non avrebbe saputo dire chi, tra loro due, fosse il più emozionato. Lui non era riuscito a chiudere occhio, ma a quanto vedeva nemmeno Kerli era stata da meno.

Che assurdità!

Se, solo un anno prima, gli avessero detto che avrebbe tremato come un ragazzino all’idea di presentare la propria fidanzata ai suoi genitori, non ci avrebbe creduto. Avrebbe scosso la testa, un po’ perché non pensava che sarebbe mai riuscito a trovare la donna giusta e un po’ perché, effettivamente, sperava di poter contare di più sul suo sangue freddo. Invece, questo sembrava averlo abbandonato al suo destino.
Si rese conto che il suo unico appoggio per evitare una spiacevole crisi e distrarsi un po’, era suo fratello. Gli rivolse un’occhiata in tralice: gli sedeva accanto, alla sua destra, e ritmicamente batteva le mani sulle ginocchia, al tempo della musica che doveva inondargli la mente attraverso le immense cuffie. Aveva un’espressione concentrata e la cosa gli strappò un sorriso, poiché era evidente che nessuno di loro due fosse tranquillo.

Avrebbe dato qualsiasi cosa in quel momento per una parola di incoraggiamento da parte del suo bassista, che più di una volta si era rivelato un ottimo ascoltatore e una inaspettata fonte di consigli. Non ricordava nemmeno com’era iniziata quella strana storia, ma in quel momento, riflettendoci, si rendeva conto di quanto Georg gli fosse stato accanto nell’ultimo periodo. Forse lui, essendo il più piccolo del gruppo, aveva inconsciamente cercato l’appoggio della persona più matura, fidata e amica che conoscesse: era normale, allora, che la sua scelta fosse ricaduta sul bassista. Insomma, lui adorava suo fratello, ma dubitava fortemente che quei dieci minuti di differenza fossero stati d’aiuto al chitarrista per sviluppare una maggior consapevolezza, rispetto a lui, nei confronti della vita. Anzi, molto probabilmente era il contrario.
Georg, invece, si era rivelata una figura più che fondamentale negli ultimi mesi. Non che prima non lo fosse, ma Bill era convinto che il loro legame si fosse consolidato maggiormente. Insomma, parliamoci chiaro, il cantante si rendeva perfettamente conto che lui e il bassista avevano avuto alcuni disguidi in passato. Perché uno era il più grande e uno il più piccolo, e una sorta di giocosa rivalità li aveva sempre accompagnati; perché, se uno era maturo e responsabile, l’altro era uno scalmanato, esibizionista adolescente in preda alla gloria del momento.

Poi un giorno, un po’ per caso e un po’ per gioco, Bill gli si era avvicinato, chiedendogli con notevole nonchalance quale fosse, secondo lui, il miglior posto dove poter portare la fidanzata ad un appuntamento galante. Da lì era iniziata quella sorta di complicità, tessuta di consigli, avvertimenti, pacche sulle spalle nei momenti no.
Rivolse uno sguardo alla ragazza accoccolata contro il suo fianco. Per un attimo, assorto nelle sue riflessioni, si era quasi dimenticato di dove fossero diretti. E che il bassista non lo avrebbe allegramente preso per il culo per la sua agitazione, visto che si stava dirigendo con Gustav a Magdeburgo, dove le famiglie di entrambi risiedevano.
Bill si lasciò sfuggire un sospiro rassegnato, mentre la ragazza con un mugolio riapriva pigramente gli occhi. Il cantante incrociò le iridi plumbee della compagna, sorridendole dolcemente.

Sembri una bambina, altro che la mia fidanzata!

Il pensiero di Kerli alta poco più di un metro e mezzo, con graziosi codini e gli occhioni luminosi e grandi tipici dei bimbi, lo fece sorridere.

-Che hai?- domandò lei, passandosi una mano sul volto, cercando di riemergere dal piacevole torpore in cui era caduta.

-Perché?- replicò il ragazzo.

-Hai un sorrisetto ebete stampato in faccia, e di solito non è rassicurante come cosa- asserì lei, tentando di rialzarsi e venendo prontamente
bloccata dalla stretta del ragazzo sul suo fianco.

-Ah, davvero?- le chiese, avvicinando pericolosamente il volto al suo e spostandole delicatamente dal volto alcune ciocche bionde che erano sfuggite all’elegante treccia in cui aveva raccolto la sua chioma dorata.

-S-sì- balbettò lei, a corto di parole.

Il respiro di Bill le solleticava piacevolmente il viso e, incapace di resistere, si avvicinò ulteriormente alle labbra del ragazzo, posandovi sopra un lieve bacio. Il cantante avrebbe volentieri approfondito il contatto, ma l’invidiabile tempismo di suo fratello glielo impedì.

-Bill, guarda! Il cartello giallo! Siamo in città!- disse il chitarrista entusiasta, scostandosi le cuffie dalle orecchie e lasciandosele ciondolare al collo.

Il cantante, sbigottito, guardò fuori dal finestrino. Gli si mozzò il fiato in gola: erano veramente quasi arrivati! Doveva aver davvero perso la cognizione del tempo e dello spazio, perché gli sembrava passata solo una manciata di minuti da quando erano saliti in macchina. Fatto sta che il vecchio, scalcagnato cartello giallo recante il nome della cittadella, “Loitsche”, a cubitali caratteri neri, gli stava proprio difronte.

-Non ci posso credere- sussurrò Kerli, e i due gemelli capirono presto a cosa si riferiva.

-Sì, dobbiamo ammettere che le nostre fans sono un tantino… espansive- ridacchiò Tom, mentre la ragazza continuava a fissare il cartello giallo davanti a sé.

Innumerevoli scritte scarabocchiate velocemente con pennarelli colorati recavano messaggi comprensibili anche a una ragazza totalmente digiuna di tedesco come lei: cuori, i nomi dei due gemelli e ancora cuori, date e frasi di alcune canzoni.

Espansive? Queste ragazze sono innamorate di voi! Sono totalmente, perdutamente innamorate di voi.

Kerli sorrise, notando l’espressione orgogliosa e soddisfatta che sfoggiavano i due ragazzi. Era chiaro, ormai, che quello che era iniziato un po’ per scherzo e un po’ per gioco si era tramutato in un qualcosa di indispensabile per sopravvivere. Non era solo lavoro, no: era passione, che ardeva nel cuore e bruciava nelle vene, era un soffio vitale fondamentale per andare avanti, per trovare il coraggio di sognare ancora. E, se quel meraviglioso sentimento animava gli occhi dei due ragazzi in quel momento, era anche merito loro, di quei folli fans che gli avevano supportato sin dall’inizio. Era merito di quegli innamorati – lei non trovava parole migliori per descrivere quelle persone che con così tanto accanimento li seguivano – che avevano addirittura imbrattato con dediche e disegni il cartello che dava il benvenuto nella città natale dei loro beniamini.

-Non sono espansive: sono innamorate. E voi siete fortunati- disse semplicemente, lasciando che un sorriso le arricciasse le labbra.
 


Nonostante la sorpresa di quel particolare benvenuto che l’aveva lasciata non poco stupita, Kerli non era riuscita a scordare il motivo della loro rimpatriata. E anche Bill, che dalla sua espressione sembrava appena riemerso dallo stato catatonico in cui era caduto, probabilmente perso nei suoi sogni ad occhi aperti che lo rendevano tanto adorabile, sembrava esserne consapevole.
Avevano da poco superato il centro della cittadella, e da qualche minuto percorrevano una stretta stradina in piena campagna. Dai finestrini si poteva scorgere l’azzurro del cielo terso, e il mare verde che costeggiava la strada. Alcuni alberi disseminati qua e là interrompevano la distesa, apparentemente senza fine, di quei campi. All’orizzonte si profilavano le alture di alcune colline, avvolte da una fine nebbiolina, e nell’insieme appariva come un mondo a sé stante, lontano dal chiasso cittadino e dalla folla variopinta del paesino.

-Siamo arrivati- sentenziò il cantante, che non aveva smesso nemmeno per un istante di rimirare il paesaggio, mentre l’autista imboccava
un sentiero ghiaioso che scricchiolava sotto la pesante vettura. Finalmente, il motore dell’auto si spense e i tre ragazzi poterono finalmente scendere, dopo aver debitamente ringraziato l’autista.

-Ah, casa!- esclamò il chitarrista, stiracchiando le braccia indolenzite e volgendo un’occhiata soddisfatta alla bassa casa bianca che spiccava in mezzo ad un bel giardinetto curato, delimitato da un cancello di legno scuro.

-Che carina- commentò la ragazza, ma non fece in tempo ad aggiungere altro che la porta principale si aprì di scatto, e una figura femminile ne sbucò fuori.

-Bambini!- esclamò la donna, e l’occhiata che si scambiarono i gemelli fu sufficiente per capire chi fosse: la loro mamma.

La donna in questione aprì senza troppe cerimonie anche il cancello, correndo ad abbracciare i due ragazzi che le erano andati in contro.

-I miei bambini!- ripeté nuovamente con tenerezza, mentre abbracciava prima l’uno e poi l’altro.

-Mamma, quante volte ti abbiamo detto di non chiamarci più così? Siamo cresciuti ormai- le disse con dolcezza il cantante, posandole
affettuosamente una mano su una spalla. Sembrava così piccola e minuta, a confronto con i figli! Doveva ammettere che, però, era veramente una bella donna, e quasi sicuramente quel sorriso ammaliante i due gemelli lo avevano ereditato da lei. E anche lo sguardo caldo che si illuminava ad ogni parola dei suoi figli le era familiare, proprio perché straordinariamente simile a quello di Bill, in cui non poteva fare a meno di perdersi ogni volta.

-Oh, per me sarete sempre i miei piccini- borbottò, scostandosi una ciocca di capelli biondi dal viso, senza smettere di osservare i gemelli, come alla ricerca di qualche visibile cambiamento.

Nel mentre, la porta si aprì di nuovo, e ne uscì un uomo. I due gemelli si voltarono e un sorriso illuminò loro il viso, riconoscendo Gordon, il loro patrigno. Lo abbracciarono non appena li raggiunse. Scambiarono qualche parola, di cui la ragazza non riuscì a capire assolutamente nulla, se non un paio di esclamazioni che erano soliti usare tra loro anche i gemelli.

Nonostante questo Kerli non riusciva a smettere di fissare ammaliata – e anche un poco imbarazzata – quel quadretto familiare così perfetto. Ad un certo punto, come ricordandosi solo in quel momento di lei, Bill si sciolse delicatamente dalla presa della madre e si riavvicinò alla ragazza, prendendola dolcemente per mano.

-Mamma, Gordon, lei è la mia fidanzata, Kerli- disse, questa volta in inglese, il cantante. La voce era resa tremula dall’emozione e da una nota di orgoglio.

La ragazza aveva pensato più volte come sarebbe stata la sua prima, vera, presentazione ufficiale alla famiglia del ragazzo che amava, e tutto si era immaginata tranne quello. E, tutto sommato, era decisamente meglio delle sue mille fantasticherie, perché il sorriso di mamma Simone era affettuoso, solare, e lo sguardo di Gordon abbastanza rilassato da non dover temere nulla. Era bello perché c’era un meraviglioso profumo di fiori che si spandeva nell’aria lì intorno e perché Tom non stava sghignazzando come aveva temuto, ma era piuttosto tranquillo, anzi, avrebbe detto quasi emozionato come il fratello.

-Molto piacere- replicò lei, stringendo la mano ad entrambi e sorridendo con serenità, venendo subito ricambiata.

Tu non hai chiuso occhio per una settimana per… questo?

-Oh, cara, è davvero un piacere poterti conoscere- ammise Simone, con un forte accento tedesco che trapelava dalle parole inglesi, rivolgendole un’occhiata piena di aspettativa.

-Viene, seguimi- le disse, facendole cenno di seguirla -Immagino sarete stanchi, non è esattamente una passeggiata da qui ad Amburgo!- esclamò poi, mentre attraversavano il vialetto curato ed entravano in casa.

-Se quei due- aggiunse poi, indicando i gemelli che chiacchieravano con Gordon in salotto -Avessero accettato la mia proposta di fermarvi qui per almeno un paio di giorni, certamente avreste avuto meno problemi- spiegò, accompagnandola verso la grande sala da pranzo già apparecchiata di tutto punto.

Un buon profumo di arrosto e verdure proveniva dalla porta socchiusa di quella che doveva essere la cucina, e la ragazza sentì un’improvvisa acquolina in bocca. Cercò di ignorare il brontolio del suo stomaco, ma Simone parve accorgersene, poiché le strizzò l’occhio con complicità prima di rassicurarla: un paio di minuti e si sarebbero messi a tavola.

-Il bagno, se hai bisogno, è la prima porta a destra lungo il corridoio- le disse gentilmente la donna prima di sparire in cucina.

Kerli sospirò, leggermente sollevata di poter avere un attimo di tregua: la mamma dei gemelli era decisamente frenetica!

Oppure, molto probabilmente, è emozionata quanto me.
 

Quella sottile morsa dell’ansia tornò a punzecchiarla una volta che tutti si furono riuniti attorno al tavolo imbandito. Kerli sedeva alla sinistra di Bill e proprio di fronte a lei vi era la madre dei due ragazzi. Tom aveva preso posto davanti al gemello, mentre Gordon, a capotavola, l’osservava con una certa curiosità.

Dovrei dire qualcosa di sensato. Di carino.

Pensò, mentre un certo imbarazzo si impossessava di lei.

È una famiglia di musicisti e artisti: gli argomenti per intavolare una conversazione certo non ti mancano!

Non si era mai effettivamente posta il problema di dare una buon impressione di sé: i suoi fans l’amavano per la folle stravagante qual era, e
Bill faceva altrettanto. Ma a quelle persone la ragazza avrebbe davvero voluto lasciare un bel ricordo di sé. Così, mentre finiva di mangiare la propria porzione, l’unica cosa sensata che le venne in mente da dire fu fare le congratulazioni a Simone per la sua bravura.

Di solito, queste cose alle mamme fanno piacere.

Non che lei fosse un’esperta: sua madre aveva smesso di cucinarle stufati e arrosti decisamente presto, sempre che avesse mai davvero iniziato, però la reazione che quei semplici complimenti ebbero sulla madre dei gemelli fu immediata. La donna le rivolse un sorriso smagliante, uno di quei sorrisi materni, che non si esprimono solo con una dolce piega delle labbra, ma con anche il luccichio degli occhi.

-Che cara ragazza che sei!- la ringraziò la donna, prima di indicare con un cenno del capo i due gemelli.

-Questi due- spiegò -Non mi danno alcuna soddisfazione, con tutta questa storia dell’essere vegetariani- borbottò, mentre occhieggiava malamente le verdure con cui i figli si erano riempiti il piatto.

-Mamma, insomma, ne abbiamo già parlato- sbottò il chitarrista, ma la donna parve ignorarlo bellamente.

-A proposito, hai visto le foto della campagna della PETA, per cui hanno posato?- chiese poi ingenuamente Simone.

Oh, eccome se le ho viste!

La cantante scambiò un sorrisetto d’intesa con Bill, certa che il ragazzo avesse riportato alla mente gli stessi ricordi che avevano piacevolmente aggredito lei.

-Sì, ho avuto modo di vederle- ribatté Kerli, rimanendo piuttosto vaga e continuando a sorridere sorniona in direzione del cantante.

-Da quel che ho capito, anche tu operi in campo musicale- le disse Gordon, e per la prima volta la ragazza si ritrovò a parlare direttamente con il patrigno dei gemelli.

-Probabilmente hai capito male- mormorò Tom, ridacchiando, prima di essere messo a tacere da un’occhiataccia da parte di Simone e da un calcio piuttosto preciso da parte del fratello.

-Sono una cantante- disse lei, con orgoglio.

-Ho collaborato con i ragazzi alla fine dell’anno- spiegò con pacatezza. -Penso che sia stata un’esperienza… importante- ammise.

Bill le rivolse uno sguardo pieno di comprensione. Non era stata solo un’opportunità notevole: gli aveva cambiati, in maniera praticamente irreversibile. Lui, perlomeno, non sarebbe potuto tornare ad essere lo stesso ragazzo di un tempo, non dopo che Kerli si era fatta così abilmente spazio nella sua vita, inducendolo a donarle una parte del suo cuore che le sarebbe appartenuto per sempre.

-Su questo non c’è dubbio- ribatté Bill sottovoce, stringendole dolcemente la mano sotto la tovaglia candida.

Il sorriso sincero di Simone e Gordon, in quel momento, valeva più di mille parole.














My Space:

Buonasera a tutti!

Rieccomi qui con questo capitolo abbastanza soft sul primo incontro tra Kerli e i genitori dei gemelli. Spero di aver reso bene l'agitazione, l'emozione e la gioia di entrambi. Come primo approccio ammetto che sia stato decisamente tranquillo, ma ormai cominciate a conoscermi: le sorprese sono appena iniziate! Nel prossimo capitolo comincerete a conoscere un po' meglio quella santa donna di Simone (lo sapete che l'adoro) e vedrete che cela qualcosa in 
più oltre alla semplice felicità  dietro al suo sorriso luminoso. E per quanto riguarda i nostri innamorati... La storia è appena inziata, avrete modo di vederne delle belle!

Spero vivamente che questo capitolo vi sia piaciuto, e sarò felicissima di sapere la vostra opinione!

Detto questo, ringrazio
Heilig__ , auroramyth  e  Billina_Pazza  per aver recensito il precedente capitolo: siete state davvero gentilissime ragazze!

Alla prossima,

Frency.

 

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Capitolo 3
*** Universes. ***


Capitolo 3: Universes.
 
L'uomo ha un universo dentro.
(Bob Marley)
 

 
-Simone, ha bisogno di una mano in cucina?- domandò Kerli, accennando con un gesto alla tavola da sparecchiare.

I gemelli e Gordon si erano spostati in veranda a fumare una sigaretta, e loro due erano rimaste in sala da pranzo a scambiare quattro chiacchiere.

-Oh, dammi del tu cara- la pregò la donna, mentre cominciava a prendere i primi piatti e a sistemarli in una pila ordinata.

-Comunque non preoccuparti, sono solo due sciocchezze, ci metterò un paio di minuti- disse, accennando alle stoviglie.

-Sei davvero molto gentile a chiedermelo- aggiunse poi, scambiando un sorriso con la ragazza.

Trascorse un breve attimo di quiete, in cui la ragazza si domandò se non fosse il caso di aiutare la donna, nonostante avesse gentilmente negato la sua collaborazione. Prima che potesse dire o fare qualsiasi cosa, però, fu proprio Simone a rompere il silenzio.

-Sai, sono molto contenta che tu e Bill… Sì, insomma, sono felice che stiate insieme- ammise la donna, alzando lo sguardo e incrociando quello leggermente stupito della cantante.

-Davvero?- chiese Kerli, insultandosi mentalmente per la stupidità di quella domanda.

Che idiota che sei! La madre del tuo ragazzo dice che è contenta per voi, e tu le domani se lo è realmente?

Simone però sorrise, in un modo un po’ sghembo che a Kerli ricordava molto Tom.

-Sì, davvero. Insomma, diciamocelo, mio figlio è un ragazzo piuttosto complicato e dai gusti decisamente difficili: non penso di averlo mai visto tanto preso da una donna- le confessò Simone.

Kerli, se possibile, era sempre più sorpresa.

-Io… Io sono lusingata, ma non so se…- cominciò a dire, venendo però interrotta dalla voce della donna che le stava difronte.

-Niente “ma”: sono sua madre, no? Lo conosco bene. Fidati di quello che ti dico- ribatté con serenità Simone.

Kerli accennò un sorriso imbarazzato.

Dopotutto, ha ragione lei.


 
Bill gettò un’occhiata nella direzione della sala da pranzo, e nonostante i vetri della veranda, non riuscì a distinguere le figure della madre o della compagna.

-Tranquillo, la mamma non te la mangia la fidanzata- sbottò divertito Gordon, notando lo sguardo lievemente preoccupato del figlioccio.

-Ah, ma non sono affatto preoccupato per quello: ho più paura che le racconti qualche episodio imbarazzante della nostra infanzia- ribatté sconsolato il cantante, mentre Tom sghignazzava senza ritegno.

-Sta zitto! Potrebbe tirare in ballo anche te, lo sai- ringhiò Bill in direzione del fratello.

-Potrebbe, ma non lo farà- affermò sicuro il chitarrista, ciccando nel posacenere.

-Non sono certo io quello che a cinque anni pretendeva di fare il bagno negli spaghetti- aggiunse poi serafico.

Il volto del cantante prima sbiancò, per tingersi di un violento rosso un attimo dopo.

-Davvero volevi fare il bagno negli spaghetti?- domandò ridacchiando Gordon, scambiando un’occhiata divertita con Tom.

-No!- gracchiò in maniera stridula Bill, fulminando il gemello con uno sguardo. Inevitabilmente, però, richiamò quel singolare ricordo alla mente, e non poté fare a meno di arrossire nuovamente.

-Io voglio fare il bagno negli spaghetti!- continuava a ripetere il bambino, incrociando le braccine al petto.

Simone, inginocchiata davanti alla vasca, alzava gli occhi al cielo disperata, mentre quello scricciolo alto un metro e un tappo la scrutava intensamente con i suoi occhietti vispi.

-Billi, amore, il bagno negli spaghetti non puoi farlo- ripeteva per la decima volta la mamma paziente, mentre faceva scorrere l’acqua nella vasca in modo che fosse tiepida.

-Ma certo che posso! È facile, mamma! Devi solo mettere più pasta- spiegava concitato il bimbo, sperando che la reticenza della donna fosse solo dovuta ad un’incomprensione.

-Non poca poca come quando fai la pappa a me a Tom- aggiungeva, perché fosse ben chiaro il concetto -E poi ci mettiamo tanto pomodoro-.

-Tesoro, come faccio a spiegartelo? Non puoi lavarti con gli spaghetti- ribatteva Simone, mentre attirava dolcemente il bambino a sé per cominciare a svestirlo.

-Non mi piace fare il bagno- dichiarava allora il piccolo Bill, mentre rabbrividiva una volta ritrovatosi senza maglietta.

-Lo so, credimi, lo so- rideva la mamma, scompigliandogli i capelli.

Il ragazzo abbozzò un sorriso: da piccolo, aveva sempre avuto qualche reticenza nei confronti della vasca ricolma d’acqua.

-Ti ricordi perché mi ero fissato sugli spaghetti?- domandò al gemello, con sincera curiosità.

Tom aggrottò le sopracciglia, perplesso.

-E che ne so? Eri strano tu- rispose, scrollando le spalle.

-Io direi che lo è anche adesso- aggiunse una voce ben familiare, che fece voltare i ragazzi.

-Sei riuscita a sfuggire dalle grinfie di mamma?- domandò Tom, quasi stupito.

-Grinfie? Ma quali grinfie? Vostra madre è davvero una persona squisita- ribatté la ragazza, e i tre uomini si scambiarono un’occhiata di reciproca intesa, come se loro fossero ben consapevoli che la realtà fosse tutt’altra…

Kerli preferì ignorarli, andando a rifugiarsi nel caldo abbraccio del proprio compagno.

-Tra poco sarà meglio cominciare ad avviarsi: non vorrei rientrare troppo tardi- disse ad un certo punto il cantante.

Il gemello gettò un’occhiata all’orologio che aveva al polso: era ormai pomeriggio inoltrato, e Bill aveva ragione. Se non volevano tornare ad Amburgo troppo tardi, avrebbero fatto meglio a rimettersi in macchina.

-Com’è volata la giornata!- ammise Simone quasi dispiaciuta, quando i tre cominciarono a prepararsi.

-Stai tranquilla mamma, ci rifaremo vivi prima di tornare a Los Angeles- la rassicurò il chitarrista.

La donna, seppur si fosse ripromessa di non essere troppo appiccicosa, non si trattenne e strinse in un dolce abbraccio entrambi i figli, schioccando un sonoro bacio sulle gote di entrambi. Ciò che lasciò veramente senza parole Kerli, però, fu il caloroso abbraccio che riservò anche a lei. La ragazza rimase interdetta: certo non si aspettava una simile dimostrazione di affetto, ma ne rimase comunque piacevolmente stupita, e ricambiò immediatamente il gesto. Era come essere nuovamente bambina, con un familiare senso di calore e protezione che si irradiava all’altezza del cuore.

-Impedisci loro di combinare troppi casini- le disse, sorridendo, occhieggiando brevemente i gemelli alle sue spalle.

Non sarà facile, ma…

-Promesso-


Durante il tragitto in macchina, Kerli non aveva potuto fare a meno di ripensare a quella sorta di promessa fatta a Simone.

Posso davvero mantenerla?

Quella domanda non faceva che tormentarla da quando si erano lasciati Loitsche alle spalle e Bill era scivolato nel sonno, appoggiato con il capo contro la sua spalla e con il respiro calmo che le solleticava piacevolmente la pelle scoperta del collo.
L’aveva guardato, accarezzandogli dolcemente i capelli con la punta delle dita, e domandandosi quanta fiducia quella donna riponesse in lei. Perché, sinceramente, non si riteneva la persona più adatta a prevenire disastri. Anzi, solitamente era lei a combinarli. Non che i gemelli fossero da meno, però…

E se qualcosa dovesse andare storto?

Quelle parole si erano insinuate sibilline nella sua mente, provocandole un brivido freddo. Non voleva pensarci.

Non devi pensarci.

Se lo ripeté più volte, come se potesse realmente aiutare a esorcizzare i suoi dubbi. Spostò lo sguardo sul ragazzo che dormiva placidamente accanto a lei, e non poté fare a meno di lasciare che un sorriso le si dipingesse sulle labbra.

Qualunque cosa accada, l’affronteremo insieme.

E, persa nei suoi pensieri, non si era accorta dell’amara occhiata che il chitarrista aveva rivolto loro. Era la prima volta, a dire il vero, che si permetteva di osservarli quando erano insieme: aveva sempre lasciato al gemello e alla sua ragazza i loro spazi, perché riteneva che fosse più giusto così. Eppure, in quel momento, non era riuscito a impedire al proprio sguardo di soffermarsi un istante di troppo sulle figure abbracciate di suo fratello e Kerli. E, per una terribile frazione di secondo, gli aveva invidiati. Aveva trovato insopportabilmente ingiusto il fatto che lui non potesse più avere la sua compagna accanto, mentre suo fratello sì. Lo ripugnava l’idea di aver pensato una cosa così orribile nei confronti di Bill, che amava più di se stesso. Eppure, la fitta della gelosia faceva male. Molto male, a dire il vero. Soprattutto perché sapeva che era solo colpa sua se adesso la sua donna non era al suo fianco.

Non è ironico?

Tu hai perso il tuo amore e Bill l’ha trovato.


 
Amburgo, di sera, aveva un fascino tutto suo. Tom aveva già avuto modo di constatarlo la notte precedente, e molte altre durante gli anni addietro. E nonostante potesse dire di conoscere ogni singolo angolo della cittadina, era sempre un piacevole svago passeggiare per le strade illuminate. Adesso, però, c’era qualcosa in più che lo spingeva a gironzolare senza meta precisa per le viuzze ancora affollate nonostante l’ora. Forse quel qualcosa derivava dai fugaci pensieri di quel pomeriggio in macchina. Ad ogni modo aveva deciso, preda di un’irrazionale impulso (che solo successivamente avrebbe riconosciuto come nostalgia), di ripercorrere quella sorta di immaginario percorso che collegava ogni luogo dove con lei aveva trascorso i momenti più significativi. Non solo quelli belli. Tutti quelli più importanti. Il parco. Il tetto del vecchio palazzo. Il locale dove, appoggiato al cofano della macchina, aspettava che lei staccasse dal turno di notte e potesse raggiungerlo. E, magari, se avesse trovato il coraggio, avrebbe addirittura potuto spingersi fin davanti al portone dove abitava. Ma voleva procedere con ordine e calma, per evitare di commettere qualche sciocchezza. Ed era sera, e lui era anche un po’ stanco dopo quella giornata passata in famiglia. Ecco perché la scelta di ritornare dove, forse involontariamente, era cominciato tutto, non gli sembrava una pessima idea.

Gli alberi dalle chiome verdeggianti, il prato incolto del parco, i sassolini che cospargevano i sentierini accuratamente tracciati e che scricchiolavano sotto la suola delle scarpe.

Sì, il parco vicino a casa, quella bella villetta in cui lui e suo fratello alloggiavano prima di trasferirsi nella Città degli Angeli. Era un bel luogo dove fermarsi per rifugiarsi nei propri pensieri, senza temere di venire disturbati.

Il profumo dell’estate alle porte e quell’odore, acre e pungente, che lo aveva attirato, inconsapevole di ciò che avrebbe trovato.

Scosse la testa. Nonostante fosse passato quasi un anno, ogni singolo dettaglio di quell’incontro era impresso nella sua mente. Ecco perché sentiva lo spasmodico bisogno di ritornare là, in quel brandello di verde sospeso tra passato e presente, dove i ricordi erano rimasti impigliati ai rami cosparsi di teneri boccioli pronti a schiudersi, dove c’era qualcosa di loro che aleggiava tra le foglie sospinte dal vento. Aveva bisogno di credere che, se fosse tornato lì, avrebbe sentito un po’ meno la dolorosa e opprimente stretta che gli attanagliava il cuore. Aveva bisogno di credere che, se fosse tornato a sedersi sotto il quel vecchio albero dove erano soliti trovarsi e avesse chiuso gli occhi, avrebbe sentito ancora il suo profumo buono, e il suo corpo caldo stretto al proprio. Aveva bisogno di credere che, in fondo, lei non se ne fosse mai andata dalla sua vita. Che fosse ancora lì, ad aspettare il suo ritorno.

Si sedette ai piedi della vecchia pianta, appoggiando la schiena alla corteccia ruvida e socchiudendo gli occhi.

La ragazza correva e lui rimaneva silenzioso, con un sorriso a fior di labbra, a osservarla. Lei si esibiva in scoordinate piroette, con i capelli che le si aggrovigliavano malamente sulle spalle. Rideva. Una risata piena, di quelle che ti scaldano il cuore e ti fanno sentire bene. Una risata viva, di quelle di cui ti innamori all’istante.

Era tardo pomeriggio, lo ricordava bene. Erano stati in giro tutto il giorno, e il sole cominciava a scendere, mentre il cielo tingeva di un pallido rosa e caldo arancione. Lei lo aveva accompagnato vicino a casa, ma Tom non aveva affatto voglia di rinchiudersi tra quelle quattro mura con una serata così bella ancora da assaporare. L’aveva presa per mano e si erano incamminati in uno dei tanti sentierini che si snodavano ai margini del prato.

-Guardami, ragazzo- aveva detto lei, mentre cominciava quell’assurda danza. Tom era rimasto per qualche istante interdetto, poi si era seduto tra l’erba per godersi lo spettacolo.

E per avere una buona scusa per osservarla attentamente, senza temere che lei, in uno scatto d’improvvisa timidezza, si rifugiasse lontano dal suo sguardo. A volte succedeva: non era mai stata una ragazza costante, e spesso i suoi sbalzi d’umore repentini mettevano a dura prova anche lui.

-Però, sai che sei proprio brava?- l’aveva canzonata lui ad un certo punto, ridacchiando.

Allora si era fermata, aveva fissato il suo sguardo smeraldino nei suoi occhi scuri e un attimo dopo Tom se l’era ritrovata tra le braccia, mentre rotolavano nel prato come due bambini.

-Certo che sono brava- aveva ribattuto lei in un mormorio, con il fiatone, stesa su un fianco e con il viso ad un soffio da quello del chitarrista.

L’aveva baciata. Quante volte? Non lo sapeva. Ricordava solo che dopo lei gli aveva schioccato un bacio sulla fronte e si era rialzata. Aveva detto qualcosa che assomigliava vagamente ad un “Ci si vede”, e l’aveva lasciato lì, accovacciato tra l’erba, a seguire la sua figura sempre più lontana. Non c’era rimasto male: spesso succedeva così. Passavano giornate intere insieme, spensierati, ma al momento di salutarsi lei diventava… distante. Un sogno che poco prima del risveglio comincia a sbiadire; un sogno i cui contorni diventano sempre più labili e vacui, fino a che non si disperde del tutto. Ed era incredibile come tornasse meravigliosamente reale ogni volta che era tra le sue braccia, ogni volta che poteva rubarle un bacio sotto il portone di casa, ogni volta che la teneva dolcemente per mano quando erano al riparo da occhi indiscreti.

Eppure, adesso, io di te conservo solo un ricordo.











My Space:

Buonasera ragazze!

Come state? Avete iniziato bene la settimana?

Io dedico giusto due parole a questo capitolo. Forse non è molto chiara la scelta del titolo, "Universi", e la frase di Bob Marley che vi è collegata. Ho deciso così perché in questo capitolo si parla molto di aneddoti relativi a ciascun personaggio, e mi sembrava carino definirli l'universo che ciascuno si porta dentro. Ecco spiegato anche il perché della frase.
Il nome della "lei" a cui si riferisce Tom è volutamente omesso in questo capitolo: al momento del suo ritorno in scena, ritroverete anche il suo nome.

Spero che vogliate farmi sapere la vostra opinione, sapete quanto ci tengo!

Grazie a
Heilig__ , auroramyth e Billina_Pazza per aver recensito il precesente capitolo, siete favolose ragazze!

Alla prossima,

Frency.

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Capitolo 4
*** It Hurts, Don't You Know? ***


Capitolo 4: It Hurts, Don’t You Know?
 
Tutti ti faranno del male nella vita,
sta a te decidere per chi vale la pena di soffrire.
(Bob Marley)

 

-Zucchero?-

Quella mattinata era decisamente splendida: un risveglio così piacevole, il ragazzo nemmeno se lo ricordava. Era una mattinata dolce, come lo zucchero che la ragazza sorridente gli porgeva ad un suo cenno d’assenso; dolce come il sapore della marmellata e del pane imburrato.
Bill, Kerli e Gustav sedevano insieme ad un tavolo dove piattini, tazzine e fette di pane tostato cominciavano ad accumularsi. Era una mattinata di sole, e i caldi raggi filtravano dalle grandi finestre della Sala della Colazione dell’hotel, inondando la stanza e facendo nascere un sorriso spontaneo sui volti di tutti i commensali.

-Cosa vi andrebbe di fare oggi?- domandò ad un certo punto il cantante.

L’amico alzò solo brevemente lo sguardo dalla tazza di cereali.

-Io non ho programmi particolari. Magari porterò Hagen e quel brontolone di tuo fratello a fare due passi lungo l’Elba- rispose dopo qualche istante, per poi riportare tutta la sua attenzione ai fiocchi di granturco che galleggiavano nel latte.

-Sarebbe perfetto!- esultò Bill, forse a voce un po’ troppo alta, poiché molti presenti si voltarono verso il loro tavolo, con un’espressione a metà tra l’infastidito e l’incuriosito.

-Che ne dici di andare a fare un giretto in centro?- domandò, rivolgendosi questa volta alla sua ragazza -È grande, ci sono tantissime cose da vedere e almeno una dozzina di negozi dove dobbiamo assolutamente comprare qualcosa- disse il moro entusiasta, e sembrava proprio non essere intenzionato ad ammettere repliche. E Kerli, dopotutto, non aveva la minima intenzione di provarci.

-D’accordo- gli concesse, sorridendo.

-Ehi, Bill, e a me non mi porti a fare shopping con voi?- domandò una voce alle loro spalle. I tre si voltarono, incontrando lo sguardo limpido e il sorriso di Georg.

-Mi spiace, ma temo che Gustav abbia già deciso sia per te che per mio fratello il vostro programma per la giornata- ribatté il cantante, mentre il bassista gli si sedeva accanto.

-Che peccato…- si finse deluso Georg, rubando un sorso di caffè dalla tazza del batterista, che se ne accorse solo quando era ormai troppo tardi. Non fece neanche in tempo a protestare che il bassista liquidò la faccenda con un gesto noncurante della mano.

-A proposito, dov’è Tom?- domandò Kerli, occhieggiandosi intorno.

Bill, a quella domanda, si rabbuiò.

Già, dov’è Tom?

Erano due giorni – da quando erano tornati da Loitsche, per essere precisi – che suo fratello si comportava in maniera strana. Era assente, distante anche quando gli sedeva accanto durante la cena. E la cosa non gli piaceva per niente, proprio per niente, perché aveva paura di sapere fin troppo bene quale fosse la causa di tanto disinteresse nei confronti di tutto ciò che lo circondava.

-Avrà fatto tardi ieri sera, e adesso starà dormendo della grossa in camera sua- buttò lì il batterista.

Bill si fermò un attimo a riflettere sulle parole dell’amico, e mentre i discorsi dei compagni vertevano su altri argomenti, la sua mente rimaneva fissa lì, sul pensiero che il fratello potesse combinarne un’altra delle sue.
Sentì le dita fredde della compagna stringergli gentilmente la mano, in una stretta rassicurante. Le rivolse un’occhiata mesta, e nonostante tutto lei sorrise.

Oh, quel sorriso!

Avrebbe potuto innamorarsi di lei anche solo per quello, per quella dolce piega delle labbra che le animava tutto il viso, rendendola ancora più bella di quanto già non fosse.

-Stai tranquillo, vedrai che è come dicono i ragazzi- lo confortò Kerli sottovoce, e Bill accennò un segno d’assenso con il capo.

Certo, come no…

Il problema era la consapevolezza di chi occupasse ogni singolo pensiero del fratello da quando erano tornati in Germania. Forse, paradossalmente, avrebbe preferito essere all’oscuro di tutto, in modo da potersi godere in totale tranquillità quei giorni di vacanza. Ma, purtroppo, essendo a conoscenza di tutto e rimanendo nondimeno dell’idea di trascorrere in totale relax quella settimana, rimaneva una sola soluzione accettabile.

Hai finito di giocare, caro mio.
 


Il ragazzo storse il viso in una smorfia infastidita quando, svegliandosi di colpo per l’improvviso e insistente rumore, alcuni raggi di sole gli ferirono gli occhi ancora gonfi di sonno. Frastornato per quel brusco risveglio, cercò di scendere dal letto, ma riuscì solo ad attorcigliarsi ancora di più tra le setose lenzuola, cadendo così miseramente sulla moquette che ricopriva tutto il pavimento.
Brontolando e imprecando a denti stretti, si rimise in piedi e barcollò fino alla porta, sulla quale qualcuno, dall’altra parte, si stava divertendo a bussare violentemente.

-TOM!-

Chissà perché, aveva avuto ben pochi dubbi su chi potesse essere quel fastidioso e impertinente qualcuno.

-Tom Kaulitz, apri subito questa porta!- continuò imperterrita la voce del gemello.

-Arrivo, arrivo, stai calmo- ringhiò, aprendo la porta e lasciando che il fratello scivolasse come un’ombra all’interno della camera.
Rimasero per un attimo a squadrarsi vicendevolmente da capo a piedi, l’uno difronte all’altro. Bill, seppur osservasse il gemello con occhio critico e un’espressione di puro disappunto stampata in volto, non era eccessivamente stupito di trovarlo in quello stato trasandato. I dreadlocks corvini scendevano come sottili serpentelli arruffati sulle spalle del ragazzo, avvolto in una maglietta stropicciata di due o tre taglie di troppo. Gli occhi erano cerchiati da ombre scure, che appesantivano lo sguardo già assonnato. Bill sospirò, tra l’affranto e l’esasperato.

Ma come devo fare con te? Come? Puoi spiegarmelo?

-Sono quasi le dieci- constatò il cantante, senza tanti preamboli.

-Già, e avrei dormito volentieri ancora un po’ se non fossi venuto a svegliarmi- ribatté Tom, andando a sedersi sul divanetto posto nell’anticamera della sua stanza e prendendo un lungo sorso d’acqua dalla bottiglia dimenticata qualche giorno prima sul tavolinetto ai piedi del divano.

-Dove sei stato ieri sera?- domandò bruscamente Bill, incrociando le braccia al petto e fissando il fratello dall’alto in basso.

-Sono uscito-

-Questo lo so-

E allora cosa cazzo me lo chiedi a fare?

Ecco, Tom avrebbe tanto voluto rispondere così alla domanda del gemello (che, a sua detta, era alquanto idiota), ma sapeva che non avrebbe fatto altro che aggravare la sua posizione.

-Ho fatto un giretto qui intorno e ho bevuto un bicchiere in un locale poco distante- ribatté allora.

-Davvero?-

-Ompf, sì, davvero Bill- sbuffò, allargando le braccia, impotente davanti alla testardaggine del gemello.

-Ma si può sapere che hai questa mattina?- sbottò poi, alzandosi e dirigendosi in bagno.

Come prevedibile, il cantante lo seguì come un’ombra, e gli sbarrò la strada proprio davanti alla porta della toilette.

-Sai, non ci credo che sei semplicemente uscito per andare ad ubriacarti, l’altra sera- fece Bill.

-Non ho affatto detto questo, ho solo…- provò il chitarrista, ma l’altro continuò imperterrito.

-Perché non puzzi di alcol e non hai lo sguardo allucinato di uno che sta smaltendo una pesante sbornia. Ah, e soprattutto non ti sei portato Georg appresso- asserì con aria serafica il cantante.

-E lo sappiamo tutti e due che senza quello scapestrato d’un bassista tu non fai genialate di questo tipo. Lo hai affermato tu stesso qualche tempo fa, “da soli non è divertente”- concluse poi, scimmiottandolo e tracciando virgolette immaginarie nel riportare le parole di Tom.

-Va bene, caro il mio Sherlock Holmes, e se anche avessi ragione tu?- rispose il chitarrista, che cominciava ad averne le palle piene di tutta quella faccenda. Soprattutto perché era mattina, e lui aveva ancora sonno. Soprattutto perché era mattina, lui aveva ancora sonno e il fratello non sembrava dell’idea di voler demordere.

-Dove sei stato?- domandò di nuovo il cantante, questa volta con un tono più accondiscendente.

Tom deglutì a vuoto un paio di volte, improvvisamente a corto di parole davanti all’espressione turbata del gemello. Perché lui lo sapeva che quello sguardo corrucciato e lievemente apprensivo nascondevano una genuina inquietudine.

Per te. Tuo fratello si preoccupa per te, e tu non puoi semplicemente sviare il discorso. Non puoi.

-Lo sai, dove sono stato. Secondo te, dove potrei mai essere stato all’una di notte se non ero a far baldoria? Secondo te, dove potrei essere stato visto la cazzo di città dove ci troviamo?-

Aveva urlato, e quasi non se ne era reso conto. Aveva urlato, e il lampo di sorpresa e timore che aveva attraversato le iridi scure di Bill ne era una prova sufficiente. Il chitarrista si passò una mano sul volto stanco, con la netta sensazione di essere rientrato in un circolo vizioso che si preannunciava senza fine.

-Senti, vai via per favore. Vi raggiungo nella hall tra una decina di minuti- mormorò alla fine, senza la forza di guardare negli occhi il fratello che, in silenzio, lo superò a passo svelto e uscì dalla quella camera.
 


Kerli si era accoccolata in una delle poltroncine di velluto chiaro che facevano bella mostra di sé nella hall dell’albergo.

-Sei pensierosa?- le domandò gentile Gustav che, seduto proprio difronte a lei, non aveva potuto fare a meno di notare il turbamento dipinto sul viso della ragazza.

-Umm- mugolò lei, senza sapere bene cosa rispondere.

-Lo sai che, se vuoi, con me puoi parlare tranquillamente- le ricordò.

La ragazza lo sapeva bene. Il batterista era probabilmente il più incline, tra quei quattro scalmanati musicisti, ad ascoltare i problemi altrui e a fare il possibile per aiutare a risolverli. Era un buon ascoltatore, senza dubbio, e l’idea di confessare con qualcuno quel pensiero che la tormentava era piuttosto allettante.

-Ti posso fare una domanda?-

-Certo che sì- rispose pacato lui, sistemandosi meglio gli occhiali sul naso.
Kerli si torse le mani per qualche istante, prima di trovare la voce e la forza di parlare.

-Cosa è successo qui? Perché i gemelli, da quando siamo arrivati, non fanno altro che lanciarsi occhiate in tralice? Perché parlottano con fare cospiratorio e appena mi avvicino si interrompono?- domandò lei, parlando velocemente per la paura che le parole potessero morirle in bocca e di non riuscire più a trovare la forza di continuare.

Gustav rimase silenzioso, maledicendo mentalmente i due compagni per la poca prudenza che avevano dimostrato.

-Bill non mi parla. Ho provato a intavolare il discorso con lui, e ha subito liquidato la domanda. Con Tom non ci ho nemmeno provato: se Bill non si confida con me, figuriamoci suo fratello- aggiunse mortificata la cantante, abbassando quasi subito lo sguardo, imbarazzata.

Il ragazzo sospirò, non esattamente sicuro di come affrontare l’argomento.

-Kerli, io non voglio assolutamente sembrare contraddittorio, dato che ti ho detto che con me puoi parlare senza remore. Però… Diciamo che questo è un tasto un po’ dolente per i ragazzi, e non spetta a me parlartene- ammise Gustav, un po’ mortificato, soprattutto notando l’espressione ancor più mogia della ragazza.

-Facciamo così: parlerò con Bill, va bene? Vedrò di convincerlo a discutere con te dell’argomento. Che ne pensi?- domandò, con un sorriso impacciato.

Il volto della ragazza s’illuminò.

-Penso che tu sia un ragazzo meraviglioso, Gustav Schäfer!-

 
Poco dopo gli raggiunse il cantante, decisamente contrariato per la discussione avuta con il fratello.

-Ehi, Bill- lo salutò la ragazza, andandogli incontro allegra. Notando la sua espressione, però, il sorriso le morì sulle labbra.

-Cos’è successo?- chiese, con un filo di voce.

-Nulla- ribatté secco il moro, ravvivandosi i capelli con una mano.

-Diciamo che per mio fratello non è giornata- aggiunse.

-Gus, Tom vi raggiunge tra qualche minuto. Non ti dispiace se…- buttò lì il ragazzo, e l’amico capì al volo.

-Tranquillo, voi andate. Rimaniamo io e Hagen ad aspettarlo- lo rassicurò il biondo.

Bill sussurrò un grazie, prima di stringere la mano della compagna e incamminandosi con lei verso le affollate strade di Amburgo. Kerli, mentre passeggiavano, apprezzò il tentativo del ragazzo di essere spigliato ed entusiasta come suo solito, ma non appena si sedettero in un grazio bar per prendere un caffè, la ragazza non resistette più.

-Bill, non devi per forza fare l’indifferente- esordì, fissandolo intensamente negli occhi e notando le iridi scure di lui sgranarsi per la sorpresa.

-Cosa?- mormorò, tossicchiando nervosamente -Io non sono affatto…-

-Sì, Bill, tu in questo momento fai esattamente l’indifferente- lo interruppe prontamente lei.

-E io non voglio vederti così. Ti conosco bene ormai, e lo so che il sorriso che hai sfoggiato con maestria tutt’oggi è solo una maschera, un modo come un altro per proteggerti. Lo so che fa male. Lo so che fa male litigare con le persone a cui si vuole così bene- affermò.

-Ma… Ma, Bill, accidenti!- si infervorò, intrecciando le dita a quelle diafane del ragazzo, appoggiate sul tavolo.

-Se non mi parli, come posso aiutarti? Se non parli nemmeno con me, se ti tieni sempre tutto dentro, come puoi andare avanti? E lo so che c’è Tom, che ti capisce come nessun altro, come nemmeno io riuscirò mai a fare, ma adesso è proprio Tom il problema. E non negarlo- proseguì, ma la sua voce, da sicura qual era, si affievolì sempre di più.

-Vi vedo, sai? Vedo come vi guardate, come parliate sempre tra voi a bassa voce per poi interrompervi quando io mi avvicino- concluse, in un sussurro soffocato.

Non sapeva nemmeno lei perché aveva iniziato quel discorso. Avrebbe dovuto aspettare che Gustav le spianasse la strada, come le aveva promesso che avrebbe fatto. Ma il problema era che lei non poteva aspettare; non poteva e soprattutto non voleva. E adesso che aveva trovato il coraggio per dar voce ai suoi pensieri, per confessargli i suoi timori, Bill la guardava con un’espressione indecifrabile. Kerli distolse lo sguardo, incapace di sostenere quelle iridi scure, improvvisamente così scure, così profonde, così misteriose.

Così belle, nonostante tutto.

Il ragazzo restava silenzioso – un silenzio pesante, carico di parole difficili da esprimere.

Dimmi qualcosa. Qualsiasi. Però parlami, ti prego.

Bill, forse intuendo i pensieri della compagna, forse decisosi a rompere quel muro di quiete, si umettò le labbra e disse:

-Il problema non è Tom-

Lo difendeva. Ancora. Seppur avessero litigato nemmeno tre ore prima e non si fossero affatto riappacificati, lui lo difendeva. Probabilmente era un istinto naturale e del tutto indipendente dalla propria volontà quello che lo portava a proteggerlo anche il quel frangente.

-Va bene, il problema non è Tom- ripeté Kerli, con un certo scetticismo, ma ben decisa a non perdere quella possibilità di far mostrare tutte le carte in tavola al ragazzo.

Sono io il problema?

-Il problema è un altro. È una storia lunga- ammise il cantante.

-Bill, tu non hai mai avuto problemi di parlantina. Perché non vuoi…-

-Ascolta- la bloccò perentorio lui, e Kerli rimase spiazzata: era raro che fosse così brusco con lei.

-È più complicato di quanto tu possa pensare. È… è difficile. Ti prego, cerca di capirlo. Ti prego- la supplicò il ragazzo, e Kerli si lasciò sfuggire un sospiro, affranta e scoraggiata.

Per quanto ancora sarebbe andato avanti quel rincorrersi infruttuoso?

Fa male, lo sai?

Fa male sapere che tu non hai la forza di essere sincero con me.

Fa male sapere di avere segreti tra noi.

Incapace di fare altro, rafforzò la presa sulle sue mani, come se quello fosse ormai l’unico appiglio che avessero per rimanere uniti.
 


Le ombre cominciavano ad allungarsi e il cielo tingeva di una pallida tonalità tra il rosa e l’arancione quando, nella zona più periferica della città, lontano dal chiasso cittadino e dalle luci sfavillanti del centro, Tom cercava di ritrovare l’orientamento in quel dedalo di stradine e viottoli. Ringraziò il cielo che Gustav e Georg avessero avuto il buon gusto di non porre troppe domande quando aveva affermato di volersi trattenere in città un altro po’, mentre loro rientravano in albergo. E adesso, finalmente solo, si ritrovava a fare il possibile per non perdersi in quelle viuzze che sembravano tutte uguali. Maledisse mentalmente la prolungata assenza da casa che in quel momento gli impediva di ritrovare con sicurezza la via giusta.

E dire che ho praticamente vissuto qui, per alcuni mesi!

Effettivamente, gli ultimi mesi trascorsi ad Amburgo gli aveva passati lì con lei, e forse qualcosa, dopotutto, se lo ricordava ancora, perché proprio quando stava per darsi per vinto, il suo sguardo si posò su una figura familiare. Era il profilo di un vecchio palazzo, dall’intonaco sbriciolato in più punti. Tom ebbe un tuffo al cuore. Era lì, a qualche metro da lui. Solo pochi passi, che fece di corsa, come se l’edificio potesse scomparire da un momento all’altro, come se fosse tutto un miraggio dai labili contorni. Tom si avvicinò al portone, accanto al quale era ben visibile un’ordinata fila di campanelli un po’ usurati.
Alla luce degli ultimi raggi del sole calante, con il cuore che batteva ad un ritmo forsennato, il ragazzo scorse quelle semplici lettere che, nero su bianco, affiancavano il pulsante di un campanello.

Green.










My Space:

Buonasera ragazze!

Pensavate che mi fossi dimenticata, eh? E invece no, eccomi qua come promesso!

Credo che non ci sia molto da dire, se non che nel prossimo capitolo (finalmente, direte voi) entrerà in scena la ragazza di cui tanto si parla e che alcune di voi probabilmente ricordano.

Spero che il capitolo vi sia piaciuto e che le fans di Gustav abbiano apprezzato il lato più conciliante del nostro bellissimo batterista. E non preoccupatevi per Hagen: darò il giusto spazio anche a lui! Per quanto riguarda i gemelli... Eh, temo che ci sarà qualche tensione ancora per un po'... Ma non vi rivelo oltre, vi sarà tutto più chiaro con il procedere della storia, promesso.
 
E adesso i ringraziamenti!

Ringrazio
Billina_Pazza e auroramyth per aver recensito lo scorso capitolo, siete meravigliose ragazze mie! Grazie anche a tutte le lettrici che hanno inserito la storia tra le preferite, le seguite, le ricordate o che hanno semplicemente letto. Non siate timide, fatemi sentire le vostre voci!

Alla prossima,

Frency.

 

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Capitolo 5
*** Nothing Has Happened. ***


Capitolo 5: Nothing Has Happened.
 
Si sbaglia sempre.
Si sbaglia per rabbia, per amore, per gelosia.
Si sbaglia per imparare. Imparare a non ripetere mai certi sbagli.
Si sbaglia per poter chiedere scusa, per poter ammettere di aver sbagliato.
Si sbaglia per crescere e per maturare.
Si sbaglia perché non si è perfetti.

(Bob Marley)
 

Aveva fantasticato migliaia di volte di trovarsi in quella situazione, e la sua mente aveva architettato sempre qualcosa di differente. Mai aveva azzardato a proporsi uno scenario realistico: era più facile se immaginava di ricevere una telefonata da lei nel cuore della notte, durante la quale si confidavano quanto la lontananza gli facesse soffrire. Era stato più facile sognare di vedersela comparire davanti all’aeroporto di Amburgo, con gli occhi persi a scrutare l’orizzonte in attesa del suo arrivo. Sarebbe stato molto bello, e altrettanto poco verosimile. Però ci aveva sperato davvero: aveva veramente desiderato scorgere i suoi occhi verdi speranza tra la folla.
E adesso, adesso che le sue dita, come dotate di volontà propria, avevano sfiorato il campanello provocando un insistente trillo, adesso che era veramente ad un soffio dal rivederla, una strana sensazione si stava impossessando di lui. Provava uno strano senso di vuoto all’altezza del petto, come se fosse in piedi su un cornicione sospeso nel nulla e dovesse saltare da un momento all’altro. Di colpo era scosso da un fremito interiore così violento da fargli dubitare di riuscire a reggersi sulle proprie gambe. E, proprio mentre soppesava l’ipotesi di allontanarsi, dimenticare tutto e fingere che non fosse mai successo nulla, sentì il chiaro clangore del portone che veniva aperto. Come un automa, spinse piano la porta, chiudendosela successivamente alle spalle rimanendo immobile al centro dell’atrio senza riuscire a muovere un passo di più verso le scale. Il suo cuore batteva così forte che temeva avrebbe potuto squarciargli il petto.

Sei tu. Questo battito sei tu.

Sono qui per te.

Poi, fu come se tutta la tensione e il panico provato fino ad ora si tramutassero in euforia. Una gioia incondizionata, perché forse solo in quel momento realizzava che l’avrebbe davvero rivista. L’avrebbe nuovamente stretta tra le braccia, avrebbe finalmente ascoltato la sua voce e respirato il suo profumo. Sospinto dall’impeto di quel sentimento così nuovo, intenso e coinvolgente, trovò il coraggio di imboccare la scalinata e salire fino a quello che ipotizzava essere l’appartamento della ragazza. Non era mai salito fin lassù, e l’unica certezza di essere davanti all’abitazione giusta fu notare che una delle porte era lievemente socchiusa.
Rimase immobile, incerto su cosa fare.

E adesso?

Prima che potesse dire o fare qualsiasi cosa, una testolina bionda fece capolino dalla porta. Tom, nell’incrociare lo sguardo scuro della bambina che gli stava difronte, sorrise dolcemente. Ricordava bene quella piccola stellina che adesso lo osservava con i suoi occhioni grandi, colmi di stupore, meraviglia e…

Felicità?

-Denise, dove sei? Chi è che…- una voce roca, graffiante e meravigliosamente famigliare colpì il ragazzo, che trovò la forza di alzare lo sguardo dalla bambina e incrociare le iridi smeraldine della donna che adesso aveva davanti.

Senza fiato.

Nell’impossibilità assoluta di dire o fare qualcosa, semplicemente immobile e silenzioso. Per la prima volta capiva realmente il senso di quell’espressione.

Senza fiato…

-Nesta- sussurrò.

…ma non abbastanza, infondo.
 

Era lì. Davanti a lei. Era proprio lui.

Tom.

Avrebbe voluto piangere, gettarsi tra le sue braccia e stringerlo al petto. Avrebbe voluto urlargli contro tutta la sua rabbia, cieca e divampante come il più ardente degli incendi, tutta la sua angoscia e la sua disperazione. Avrebbe anche voluto baciarlo, lì, sul pianerottolo di casa, con la sua sorellina ad un passo di distanza. Perché le era mancato, le era mancato tanto da far male, e Tom era davanti a lei, con quell’espressione indecifrabile, bello come probabilmente non sarebbe stato mai più.

-Ragazzo- mormorò, come se di colpo le parole le mancassero, e con esse anche la forza e la capacità di fare qualcosa di più che bisbigliare il
suo nome a mezze labbra. Come se il ragazzo che aveva di fronte fosse potuto sparire se lei avesse osato qualcosa di più.

-Sei tornato-

Era una semplice constatazione, ma il tono accusatorio e sprezzante che aveva usato lei colpì Tom con inaspettata violenza. Perché quelle due semplici parole sembravano un’accusa, perché il suo sguardo chiaro tradiva angoscia e sgomento e gioia allo stesso tempo, e lui non sapeva come fare per non perdersi in quel mare di emozioni contrastanti. La vide sospingere delicatamente la sorellina dentro all'appartamento, per poi tornare a osservarlo.

-Sì, sono qui. Sono qui per te- trovò la forza di ammettere.

Tom non era mai stato un poeta, ma aveva l’incredibile pregio di essere un ragazzo trasparente: quando pensava una cosa non poteva fare a meno di dirla in totale onestà. E quelle spontanee dichiarazioni avevano sempre, inevitabilmente fatto battere il cuore della ragazza. Eppure, in quel momento era diverso. Perché Nesta sentì chiaramente il suo cuore mancare un battito nell’ascoltare le parole sincere del ragazzo e nel vedere i suoi occhi velati d’emozione, ma qualcosa le impedì di correre a rifugiarsi tra le sue braccia.

-Non dovresti essere qui- riuscì solo a dire, più freddamente di quanto avrebbe voluto, senza guardarlo negli occhi.

Tom le rivolse un’occhiata smarrita. C’era qualcosa di sbagliato in tutto quello, perché lei era distaccata in una maniera che gli era estranea e, nonostante gli separassero solo pochi passi, a lui sembrava di non esserle mai stato tanto distante.

-Non dovresti- rimarcò lei, abbassando lo sguardo.

Non dovresti.

Quanto potevano ferire due semplici parole? Quanto? Perché lei non lo voleva lì, perché lei sembrava un’altra donna e non la ragazza di cui si era innamorato.

-Sì, invece! Non c’è altro posto in cui dovrei essere adesso!- disse, con voce spezzata.

Era raro che l’emozione lo tradisse, proprio lui che cercava sempre di mostrarsi distaccato e disinteressato per non apparire vulnerabile. Per non dare a nessuno la possibilità di capire come si sentisse veramente. Ma lei… Lei era Nesta, ed era semplicemente impossibile per lui esserle indifferente. Invece, in quel momento, era proprio lei a sembrare un’apatica imitazione della ragazza vitale che aveva conosciuto. E lui si sentiva sempre più ferito dal suo prolungato silenzio.

-Guardami- mormorò, con un tono più deciso di quello supplichevole usato poco prima.

-Guardami, perché io sono mesi che aspetto di guardati negli occhi. Guardami, perché amo il tuo sguardo, e non c’è giorno da quando sono partito in cui non mi sia mancato. Guardami, dannazione, perché mi mi mancavi tanto da star male, perché ho perso il conto delle notti che ho passato sognando di averti al mio fianco!-

Davanti a quel discorso accorato, Nesta non poté fare altro che rialzare gli occhi e fissare le proprie iridi chiare in quelle ambrate del ragazzo che aveva difronte.

-Vuoi che ti guardi? È questo che vuoi?- sibilò -Ecco! E tu, ragazzo, tu mi vedi?- domandò, con voce carica di sofferenza.

Tu mi vedi?

Sì, la vedeva. Vedeva una ragazza cresciuta troppo in fretta e segnata da tante ingiustizie, vedeva tutto il dolore che nascondeva dietro parole taglienti e sguardi rancorosi, vedeva tutta la determinazione che era la sua forza più grande. Vedeva la ragazza che aveva lasciato e la donna che aveva ritrovato.

-Lascia che ti dica una cosa, Tom- aggiunse lei, passandosi una mano sul viso -Va via-

Il ragazzo era sempre più incredulo. No, non poteva averlo detto davvero. Lui era lì per lei. Solo per lei. Non poteva respingerlo così.

-Perché dovrei? Non capisco, io…- farfugliò, cercando di incrociare nuovamente il suo sguardo sfuggente.

-Non capisci? Vedrò di essere chiara allora- ringhiò, avvicinandosi pericolosamente a lui.

-Devi andartene, perché non puoi riapparire come se niente fosse nella mia vita e pretendere di essere accolto a braccia aperte! Vattene, vattene perché non voglio nemmeno vederti! Non puoi tornare così, dopo essertene andato e avermi lasciata sola. Non puoi, cazzo! Non puoi illudermi di essere tornato per me, perché non è vero!- urlò, afferrandogli con forza la stoffa della felpa all’altezza del petto e strattonandolo violentemente. Tom le cinse immediatamente i polsi sottili con le mani, in una stretta abbastanza forte da impedirle di spingerlo nuovamente.

-Credi che non lo sappia?- riprese lei, la voce resa roca da un miscuglio di frustrazione, odio e affanno.

-Sei un bugiardo. Tra una settimana, due al massimo, te ne sarai andato di nuovo. O mi sbaglio?- chiese, con una punta di sarcasmo. Il chitarrista non rispose e lei rise, una risata vuota e senza fredda.

-Vedi? Lo sai anche tu. Ecco perché ti chiedo di andartene: è la scelta migliore, per entrambi- concluse, allentando la presa sulla sua felpa e scuotendo debolmente la testa, facendo ondeggiare i dreads sulle spalle esili.

Tom, rimasto silenzioso mentre lei si sfogava, rilassò un poco la presa sui suoi polsi. Respirò a fondo, prima di parlare.

-Come puoi sapere ciò che è meglio per entrambi?- sussurrò, chinando il viso e cercando un contatto con quello della ragazza, che però si ritrasse uno strattone, sgusciando via dalla presa di Tom.

-Non so quello che è meglio per entrambi: so quello che è meglio per me-

Il chitarrista, per la prima volta da quando l’aveva rivista, provò la stessa furia cieca che sembrava essersi impossessata della ragazza poco prima.

-Siamo in due! Non sei solo tu! Non c’è solo il tuo cuore, c’è anche il mio! Siamo in due, Nesta, che ti piaccia o no. Io e te. E tu non puoi essere così egoista- gridò.

-E perché no? Perché? Dopotutto tu hai pensato solo a te stesso quando mi hai lasciata qui, da sola!- ribatté, con altrettanta ferocia.

-Smettila di tirare fuori questa storia! Cos’altro avrei mai potuto fare? Non ho avuto scelta, era la decisione più giusta da prendere- ringhiò risentito il ragazzo.

-Potevi scegliere me!- singhiozzò lei, con voce rotta e gli occhi lucidi.

Tom tacque, senza fiato per replicare e con il cuore che gli batteva furiosamente nel petto.

Potevi scegliere me.

Le parole della ragazza gli risuonavano nella mente come una cantilenante litania.

Potevi scegliere me.

Era la verità.

Tom prese un respiro profondo, prima di rialzare lo sguardo su di lei e cercare di non farsi sopraffare dall’emozione.

-Ho sbagliato. Lo so, ho sbagliato. Non avrei dovuto andarmene, forse hai ragione. Ma… Accidenti, sono solo un ragazzo! Non sono perfetto e non lo sei nemmeno tu. Pensavo che sarebbe stata la scelta più giusta e… Sì, sì è stata la scelta migliore per me in quel momento, è inutile girare intorno a questa cosa. Ha aperto a me e ai ragazzi milioni di possibilità. Ma adesso sono qui, sono qui per noi. Sono qui anche se non basterebbe l’intera serata per spiegarti come mi sono sentito, perché non sono bravo con le parole e vorrei solo riabbracciarti e fare finta che non sia mai successo nulla- mormorò.

-Tom, è questo il problema!- sbottò lei, esasperata -Non puoi tornare e avere anche la presunzione di voler fingere che non sia successo niente, perché non è così!-

Il ragazzo provò a ribattere, ma lei non glielo permise, riprendendo velocemente a parlare.

-Non è così. Non lo è, accidenti! Io sono andata avanti! Io ho deciso di chiudere quel capitolo della mia vita, e tu non hai il diritto di ripiombare qui così, incasinando nuovamente il mio equilibrio. È già abbastanza precario di per sé- concluse, passandosi una mano sul viso e respirando profondamente nel tentativo di calmarsi.

-Nesta- mormorò affranto Tom, allungando una mano e cercando di intrecciare le proprie dita a quella della ragazza. Lei, però, si ritrasse con un tremito, quasi temesse di essere toccata.

-No Tom, te lo chiedo per favore- bisbigliò Nesta -Vai via-

-Guardami e dimmelo. Guardami negli occhi, ripetimelo e… Sì, allora me ne andrò- tentò lui.

La ragazza strinse nervosamente le mani sulla stoffa dei jeans sgualciti, alzando lo sguardo e incrociando le iridi scure, prima di pronunciare con durezza quelle ultime due parole.

-Vattene ragazzo-
 


Bill era comodamente steso sul letto quando sentì il rumore secco della porta che si apriva all’improvviso e subito dopo si richiudeva in un tonfo. Un attimo dopo suo fratello gli era davanti, con il volto arrossato e il fiatone come dopo una lunga corsa. Bill stava per chiedergli il motivo di quell’improvvisa irruzione nella sua stanza e il come mai di quell’espressione sconvolta, quando vide il gemello accasciarsi al suolo. Spaventato, balzò in piedi e gli si inginocchiò accanto, passandogli un braccio attorno alle spalle.

-Tom, cos’è successo?- sussurrò, con la voce velata dalla preoccupazione.

Il fratello non rispose, si limitò ad alzare gli occhi e a incrociare le iridi scure del gemello. E Bill capì. Nonostante il silenzio ostinato, a lui quello sguardo bastò più di mille parole. Allora lo abbracciò con dolcezza, e subito sentì il fratello nascondere il viso nell’incavo del suo collo.
Tom si sentiva soffocare. Sentiva fuoco scorrergli nelle vene ed era come se davanti a se vedesse solo un indistinto insieme di macchie scure e punti luminosi. Solo quando sentì qualcosa di caldo e umido bagnargli le guance si accorse di aver iniziato silenziosamente a piangere. Spense in un gemito sommesso sulla spalla del fratello quei singhiozzi che sembravano volergli sconquassare il petto. Dentro, era come se il suo cuore si fosse spezzato in mille, pungenti schegge. Si aggrappò con più forza alle sue spalle esili, come se quello fosse l’unico modo per non sprofondare del tutto in quell’incubo. Sentì le dita fresche del fratello accarezzargli lievemente il capo e la schiena, cercando di calmare quei sussulti, mentre a mezza voce mormorava qualcosa che lui non riusciva a comprendere. Ma la voce di Bill era confortante e carezzevole, era una boccata d’aria fresca che sembrava placare ad ogni parola quella tempesta d’emozioni che non smetteva di abbattersi su di lui.

Nesta.

E quel nome, quel nome che non faceva altro che ripetersi nella sua mente.

Potevi scegliere me.

Non lo sapeva nemmeno lui se sarebbe stato giusto farlo. Quante cose sarebbero andate diversamente, se lui quel giorno non avesse mai seguito suo fratello e i propri amici?

Vattene ragazzo.

Decisa, fredda, dolorosamente consapevole. Non aveva tentennato nemmeno un istante. Avrebbe voluto vedere quel tremore nei suoi occhi, aveva desiderato un qualsiasi appiglio pur di dimostrarle che non era realmente intenzionata ad allontanarlo. E invece l’aveva stupito per l’ennesima volta.

Tom.

-Tom-

La voce di Bill – ovattata, distante, solo un flebile richiamo proveniente da chissà dove – lo riscosse dallo stato di incoscienza in cui sembrava essere sprofondato.

-Tom, ti prego…-

Il ragazzo si scostò bruscamente dal corpo del fratello. Non voleva che lo vedesse così. Sapeva che era un pensiero totalmente irrazionale, dato che si era precipitato da lui in quello stato, ma all’improvviso desiderava solo che il gemello non vedesse i suoi occhi arrossati di pianto.
Si rialzò velocemente in piedi, barcollando leggermente a causa di un improvviso capogiro.

-Tom, cosa…-

Aveva sentito nitidamente la voce del fratello questa volta, eppure non gli diede ascolto. Doveva andarsene di lì prima che la disperazione lasciasse spazio alla frustrazione, alla rabbia e alle grida che sapeva non sarebbe riuscito a trattenere. Doveva andarsene prima di ferire anche lui, il suo Bill, che non aveva nessuna colpa.
Percorse a passi svelti la distanza che lo separava dalla porta della camera, ma mentre le sue dita si chiudevano sulla maniglia, contemporaneamente quelle del fratello si aggrappavano al suo polso.

-Dove vai?- domandò accigliato il moro, mentre il chitarrista si voltava quel tanto che bastava per guardarlo negli occhi.

-Bill, lasciami-

-No, no che non ti lascio- ribatté fermamente.

-Bill…-

-No- si impuntò il cantante. Ciò nonostante Tom strattonò con violenza il braccio per sciogliere quella presa che, seppur salda, cedette.

-Perché fai così? Perché corri tra le mie braccia, ti sfoghi, ti lasci consolare e poi scappi? Perché fuggi anche da me?- domandò scoraggiato Bill.

Tom respirò profondamente, cercando di calmarsi.

-Lo faccio sia per te che per me- ammise -Perché adesso ho solo bisogno di stare solo-

-Lo fai anche per me, dici? Beh, sappi allora che così a me non sta bene! Non puoi farmi preoccupare in questo modo e poi andartene, come se niente fosse!-

Come se niente fosse.

Vorrei solo riabbracciarti e fare finta che non sia mai successo nulla.

Non puoi tornare e avere anche la presunzione di voler fingere che non sia successo niente, perché non è così!

-Sembra che sia la cosa che so fare meglio- mormorò, prima di voltarsi e chiudersi la porta alle spalle.












My Space:

Buonasera ragazze!

Come state?

Allora, cosa ne pensate di questo nuovo capitolo? Finalmente Nesta Green è tornata!

Spero vogliate dirmi la vostra, anche perché non è stato affatto semplice scrivere questo capitolo: volevo che la reazione della nostra ragazza fosse, come dire, in linea con il suo carattere e il suo temperamento spesso "scostante". Mi rendo conto che la maggior parte del capitolo sia incentrato sul loro incontro/scontro, sul loro acceso dibattito e su ciò che provano, ma lo ammetto, io stessa non vedevo l'ora di riprendere in mano il suo personaggio. E da adesso... Beh, ci sarà da divertirsi, ve lo posso assicurare! ;)

Intanto ne approfitto per ringraziare
auroramyth e Billina_Pazza che hanno recensito il precedente capitolo: siete state gentilissime ragazze. E ovviamente grazie a tutte le lettrici e le "seguaci" della storia, siete la mia forza!

Alla prossima,

Frency.

 

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Capitolo 6
*** Delicate Balances. ***


Capitolo 6: Delicate Balances.

 
-Marley, dov’è Tom?-

La vocina di Denise accolse Nesta non appena rimise piede nell’appartamento, riscuotendola dai suoi pensieri.

-Non c’è, è andato via- sbottò senza degnarla del minimo sguardo, passandosi una mano sul volto stanco e sperando vivamente che non si notassero troppo i suoi occhi ancora lucidi.

-Perché?- insisté la bambina, inginocchiandosi difronte alla sorella, accasciatasi contro il legno della porta.

-Perché sì-

-Non puoi rispondere così! Lo dici sempre a me e a Daphne!- la rimproverò la piccolina con aria saccente.

Nesta alzò gli occhi al cielo, esasperata: non era decisamente in vena per giochi come quello.

-Io sono grande, e so quando si può rispondere o meno in questo modo- ribatté.

-Ma…-

-No, niente ma- l’interruppe bruscamente Nesta, rialzandosi in piedi e porgendole la mano, invitandola a fare altrettanto.

-Adesso torni da Daphne e ti dimentichi di tutta questa storia, ok? Su, da brava- le diede una leggera spintarella in direzione della sua cameretta.

-Sì, però…-

-Denise!- scoppiò Nesta, alzando la voce e incrociando le braccia al petto.

La sorellina sgranò gli occhi scuri davanti a quell’eccesso di rabbia, prima di voltarsi rapidamente e lasciarla sola. La ragazza prese un profondo respiro, cercando di calmarsi.
Era infuriata, e avrebbe solo voluto sfogare tutta la propria delusione e tutta l’amarezza. Avrebbe voluto urlare fino a perdere la voce, e invece doveva ricacciare indietro le lacrime che prepotenti le bruciavano gli occhi. Tirò un pugno violento contro la porta, reprimendo un gemito di dolore e di rabbia.

Perché mi hai fatto questo?

Lo aveva sempre temuto. Sapeva che, se mai Tom fosse tornato, lei avrebbe avuto poche possibilità di superare indenne quell’incontro. E l’acceso litigio di pochi minuti prima ne era la prova concreta. Si morse le labbra, stringendo forte le dita sulla stoffa della maglietta.

Ti odio.

Sì, lo in quel momento lo detestava. E si odiava con tutta sé stessa per non aver potuto fare a meno che il suo cuore battesse all’impazzata non appena l’aveva rivisto. Perché quando aveva scorto quel sorriso luminoso incorniciargli il viso, quando aveva capito che quel sorriso era per lei, che quel sorriso era lei, tutto il resto aveva perso importanza. C’era solo Tom, con la felicità dipinta sul volto, e il suo cuore che batteva troppo veloce per permetterle di pensare chiaramente a qualunque altra cosa che non fosse lui. E proprio mentre la tentazione di gettarsi tra le sue braccia stava per sopraffarla, in un lampo aveva rammentato tutto ciò che l’aveva portata a cercare di dimenticarlo, tutto ciò che l’aveva spinta a farlo rimanere solo un prezioso ricordo custodito gelosamente nel cuore. Non poteva permettersi un nuovo passo falso, e urlargli contro di andarsene era stato il modo migliore per dimostrarlo sia a lui che a sé stessa. Perché, dopotutto, se lui l’avesse odiata sarebbe stato ancor più facile cercare di andare avanti. Anche se faceva male.
 


Kerli si diresse a passo svelto in direzione della camera che condivideva con Bill, armeggiando con la borsa alla ricerca della chiave. Lei e il cantante avevano deciso di andare a ballare in una delle tante discoteche di Amburgo, della quale Kerli non ricordava nemmeno il nome a dir la verità. Il ragazzo le aveva assicurato essere un posto fantastico, e a lei bastava quello come garanzia. Dopo la discussione di quella mattina sembrava che lui volesse farsi perdonare, perciò, quando nel pomeriggio le aveva fatto quella proposta, lei si era mostrata entusiasta. Ripensò con un dolce sorriso sulle labbra a quanto fosse stato carino da parte sua, e persa com’era nei suoi pensieri per poco non si scontrò con Tom, altrettanto soprappensiero.

-Tom!- esclamò, mentre cercava di riprendere l’equilibrio.

-Oh, Kerli, perdonami- bofonchiò il chitarrista, senza guardarla negli occhi e superandola velocemente senza una parola. La cantante gli rivolse un’occhiata allibita, prima di proseguire lungo il corridoio scuotendo la testa.

Quando finalmente riuscì a mettere piede nella sua stanza si stupì di vedere Bill steso sul divano del salottino, con espressione corrucciata sul volto. Indossava ancora i pantaloni fin troppo larghi della tuta e una felpa tutta stropicciata. Kerli era sempre più sbalordita.

-Scusami, ma che ci fai ancora così?- domandò, indicando con un cenno della mano il suo abbigliamento.

-Umm? Così come?- ribatté Bill con tono distratto, come se stesse pensando a tutt’altro.

-Mi prendi in giro? Sei ancora in tuta! Io speravo che fossi già pronto, anche perché adesso serve a me il bagno per prepararmi- spiegò,
alzando gli occhi al cielo esasperata.

Bill a quel punto si alzò, passandosi una mano tra i capelli e affiancandosi alla ragazza. La prese dolcemente per un polso, impedendole di cadere mentre in equilibrio su un piede solo si sfilava i tacchi alti.

-Bill, ma che cosa…?- balbettò, rimettendosi in piedi completamente scalza.

-Io…- incominciò lui, prima di scuotere la testa e limitandosi ad abbracciarla. Kerli sorrise teneramente contro il suo collo, ricambiando quella stretta così rassicurante.

-Bill, stai bene?- domandò la ragazza, ancora sorridente, sciogliendosi leggermente dal suo abbraccio.

-Sì, sì non preoccuparti- la rassicurò lui -Avevo solo voglia di un abbraccio- aggiunse poi con dolcezza, nascondendo una volta ancora il viso nell’incavo del collo della ragazza.

Kerli ridacchiò, mentre il respiro caldo di Bill le solleticava la pelle.

-Dai, Reginetta, vai a vestirti, che io così trasandato non ti lascio uscire!-

Bill mugugnò qualcosa di incomprensibile, prima di stiracchiarsi e ancheggiare fino al bagno.

-Ehi, sai che ho incrociato tuo fratello prima?-

La voce della ragazza giunse affievolita al cantante, intento a sistemarsi i capelli con gesti sicuri, che però si interruppero non appena udì quelle parole. Deglutì, improvvisamente a disagio, e ringraziò che lei non potesse vederlo guardarsi disperatamente intorno alla ricerca di qualcosa di sensato da dire.

Qualsiasi cosa che non fosse la verità.

-Ah, davvero?- balbettò, mentre la sua fidanzata si affacciava alla porta del bagno, con l’elegante vestito che aveva indossato ancora semislacciato su un fianco.

-Già- annuì lei -Sembrava piuttosto strano…- aggiunse poi, squadrandolo con aria improvvisamente indagatoria.

-C’è qualcosa che dovrei sapere?- chiese, incrociando le braccia al petto.

Tom non sta bene, e io mi devo prendere cura di lui.

-Sei troppo apprensiva- sbottò Bill, scuotendo la testa.

Kerli sgranò gli occhi sorpresa, incrociando le braccia al petto.

-Oh, scusa tanto se mi preoccupo per voi!- ribatté lei, indispettita.

-Non ti diamo nessun motivo per cui preoccuparti…-

Kerli scoppiò a ridere nervosamente, rifiutandosi di credere che il ragazzo che aveva difronte potesse essere serio.

-Scherzi, vero? Perché è da quando siamo ad Amburgo che non faccio che essere in pensiero per te e per tuo fratello!-

-Non ne capisco il motivo, sinceramente- insisté lui.

Kerli sospirò pesantemente, lasciando cadere le mani lungo i fianchi, sconsolata.

-Allora va bene, Bill: hai ragione tu- disse amareggiata, senza guardarlo negli occhi. Terminò di allacciarsi con gesti bruschi i bottoncini che chiudevano il vestito sul fianco, soffocando le parole che avrebbe voluto gridare contro il ragazzo ancora fermo accanto a lei.

-Bambolina…-

-Non chiamarmi così- lo interruppe freddamente lei -Io sono pronta, ti aspetto nella hall. Vedi di non impiegarci troppo- mormorò, uscendo a passi svelti dalla stanza e lasciando il ragazzo in piedi al centro della stanza, un’espressione smarrita sul volto e la netta sensazione di continuare a sbagliare qualcosa.



Gustav sapeva bene che quel mattino qualcosa non andava, non andava per nulla. Nonostante fosse una splendida giornata di sole e l’aria fosse tiepida e profumata, nonostante non ci fosse una gran folla di persone per strada e si riuscisse a passeggiare tranquillamente senza smarrirsi nella calca; nonostante tutto, qualcosa non andava. Era la prima uscita che facevano tutti e cinque al gran completo da quando erano ad Amburgo, e lo avevano fatto solo per assecondare il desiderio del bassista di mostrare a Kerli alcuni dei posti dove avevano trascorso l’infanzia. La ragazza aveva accettato entusiasta, anche perché così aveva avuto la possibilità di perdersi in chiacchiere con Georg, senza dover pensare troppo alle discussioni avute il giorno prima con Bill. Quest’ultimo non aveva praticamente aperto bocca da quando erano usciti dall’albergo, e la cosa aveva insospettito non poco il batterista.

-Avresti dovuto vederli, erano completamente sconvolti. E Bill che per poco non vomitava per strada mentre tentavamo di riportarli a casa!- raccontò il bassista e Kerli rise, immaginandosi i due gemelli adolescenti che venivano riportati a casa dagli amici dopo la prima sbronza.

-Hagen, è inutile che parli male solo di loro due, anche tu eri fuori come un balcone quella sera!- sbottò Gustav.

La ragazza lo soppesò con lo sguardo. Aveva indossato gli occhiali scuri, perciò le era impossibile guardarlo negli occhi, ma avrebbe giurato che per una frazione di secondi i loro sguardi si fossero incrociati e lui le avesse accennato un sorrisetto d’intesa. Solo poco dopo però, quando lui e Kerli rimasero un poco più indietro rispetto al gruppo, si decise a parlare.

-Bill è taciturno oggi- constatò il ragazzo, sistemandosi gli occhiali sul naso.

Kerli gli lanciò un’occhiata interrogativa, come se gli stesse silenziosamente domandando dove volesse andare a parare.

-Sai, quando litigavamo, da piccoli, capitava che non mi rivolgesse la parola per delle ore. E se consideri quanto sia logorroico Bill, era il massimo…-

-Non so dove tu voglia arrivare- lo interruppe lei -Avete litigato?-

Gustav scosse la testa, sorridendo appena.

-Avanti, ha passato con te quasi tutta la giornata. Dove avrebbe potuto trovare il tempo per discutere con me?-

-Non lo so, magari avevate…-

-Dai, Kerli, smettila di fingere. Hai capito cosa intendevo poco fa-

La ragazza sospirò, affranta.

-È così palese che abbiamo discusso?- domandò allora, rassegnata.

-Abbastanza- rispose francamente lui.

-Non è un gran periodo questo, per me e Bill intendo- chiarì la ragazza.

-Spesso discutiamo, sai? È una situazione che andava avanti già da un mese, credo. Poco prima della partenza le cose sembravano essersi sistemate, ed entrambi abbiamo pensato che fosse solo un po’ di stress. Poi, dopo aver conosciuto i genitori dei ragazzi, la situazione si è incrinata nuovamente- ammise lei, torcendosi nervosamente le mani, e a Gustav fece tanta tenerezza in quel momento.

-Non preoccuparti, vedrai che è davvero solo un momento no per entrambi. Si sistemerà tutto- la rassicurò.

Kerli sorrise, anche se non molto convinta.

-Sei un grande amico, Gus- fece lei con franchezza, stringendogli una mano tra le sue per qualche istante, come per farsi forza. Poi sciolse dolcemente quella stretta e lo invitò a raggiunse gli altri ragazzi.

Georg stava chiacchierando con Bill, che pareva aver ritrovato il dono della parola, per lo meno con i suoi amici. Tom, intanto, si guardava intorno con aria assente, come se non vedesse realmente nulla degno della sua attenzione. Non riusciva a concentrarsi su nulla, perché la sua mente non faceva che divagare e tornare su un unico, doloroso punto fisso: Nesta.
Quella mattina non si sarebbe neanche voluto alzare, avrebbe preferito rimanere solo, chiuso nella sua stanza ad assimilare quel brutto colpo inferto al suo cuore e al suo orgoglio. E invece si era ritrovato nuovamente sballottato per le vie di quella città che stava cominciando ad odiare. In più, come se non bastasse, si era accorto benissimo della tensione tra suo fratello e la sua compagna, e di come tentassero entrambi di ignorarsi per evitare di infrangere il precario equilibrio della loro relazione. Avrebbe voluto volentieri urlare loro che si stavano complicando inutilmente la vita, che avevano la fortuna di amarsi e di essere insieme e che non avrebbero dovuto desiderare altro. Invece non poteva. Non poteva perché era una situazione attraverso cui era passato anche lui, e sapeva bene che era difficile da gestire. Perché è facile fino a che tutto procede per il verso giusto. È facile fin quando ci si asseconda l’un l’altro, fino a quando si resta uniti e sembra tutto rose e fiori. È quando cominciano i problemi che bisogna impegnarsi per superarli insieme. E Tom sapeva che il silenzio tra suo fratello e Kerli non era affatto il modo giusto per provare ad andare avanti. Ripensò con un sorriso alle diverse volte in cui lui e Nesta si erano urlati contro durante alcuni accesi litigi, tra cui anche la sera precedente. Non erano mai riusciti a ignorarsi, perché entrambi erano sempre stati troppo impetuosi e impulsivi per prendere anche solo in considerazione l’idea di rimanere in silenzio. E adesso, invece, si ritrovava per la prima volta a doverle starle lontano.

-Come fai?-

La voce di suo fratello lo distolse dai suoi pensieri. Lo aveva affiancato silenziosamente, e lui nemmeno se ne era accorto. Notò poco distante Kerli, Georg e Gustav che si erano seduti a chiacchierare su una panchina.

-Come faccio a fare cosa?- ribatté, lanciandogli un’occhiata in tralice.

-Come fai ad andare avanti?- si spiegò meglio il cantante.

-Stringo i denti e cerco di non pensarci- mormorò Tom.

Bella cazzata, complimenti Tom.

-E funziona?-

Tom ci rifletté un momento.

Funziona?

Si umettò le labbra prima di rispondere, cercando le parole adatte.

-Ci sono momenti in cui no, non funziona, e ce ne sono altri in cui invece sì, sembra poter andare. A volte ti senti soffocare, e ti sembra di non poter andare avanti nemmeno un singolo giorno così: poi però il peggio passa, e allora sì, sai che potresti affrontare qualsiasi cosa-

-Mi sembra di essere caduto in un tremendo circolo vizioso da cui non riesco a liberarmi- gli confidò Bill, osservando demoralizzato la figura poco distante della compagna.

Tom inarcò un sopracciglio, invitandolo silenziosamente a continuare.

-Ho quasi paura di aprir bocca a volte, perché ho paura di dire qualcosa di sbagliato che potrebbe farla arrabbiare con me nuovamente- il cantante ridacchiò nervosamente, passandosi una mano dietro alla nuca, come se si sentisse in imbarazzo per quella confessione.

-Non dovresti essere così ansioso-

-Sì, ma tu mi conosci: è più forte di me a volte-

-Allora dovresti parlarle-

-Lo so, ma cosa dovrei dirle? Le voglio bene e non voglio ferirla -

-Bill, non potete continuare così, nella vostra relazione un giorno c’è il sole e quello dopo una tempesta! È…-

-…Snervante-

I due si scambiarono un’occhiata, cercando di farsi forza vicendevolmente. Insieme, avrebbero potuto superare qualsiasi ostacolo.

E, in fondo, lo sapevano.










My Space:


Care ragazze, eccomi qua!

Come state? Avete passato bene la settimana?

Spero che questo capitolo sia stato di vostro gradimento; come avrete notate la relazione tra Bill e Kerli procede tra alti e bassi, mentre Tom e Nesta cercano di fare i conti il vuoto creatosi tra loro. Non vogliatemi male ragazze, ma era impensabile fare procedere tutto liscio, soprattutto considerando le personalità forti di Bill e Kerli. In questo capitolo ho dovuto dare più spazio a loro, ma nel prossimo mi dedicherò più alla nostra Marley e a Tom.

E adesso, passiamo ai ringraziamenti!

Grazie a
Billina_Pazza, auroramyth e Heilig__ per aver recensito il precedente capitolo: siete state gentilissime, mi ha fatto davvero tantissimo piacere leggere le vostre parole.


Come sempre vi ringrazio tutte ragazze mie, perché rendete possibile questa meravigliosa, nuova avventura, ancora tutta da scrivere e scoprire.

Alla prossima,
Frency.

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Capitolo 7
*** Where Did I Go Wrong? ***


Capitolo 7: Where Did I Go Wrong?
 

Era qualcosa di estremamente masochista continuare a correre dietro – letteralmente – ad una ragazza che chiaramente non voleva più saperne di lui. Eppure, non riusciva a prendere seriamente in considerazione la possibilità di starle lontano. Era semplicemente più forte di lui.
Era tardo pomeriggio, e il cielo cominciava a imbrunire rapidamente, mentre all’orizzonte i raggi morenti dell’ultimo sole illuminavano la città. Tom si era diretto risoluto nell’unico luogo in cui sapeva di poter sperare di incrociarla: il piccolo locale in cui aveva incominciato a lavorare molti mesi addietro, quando lui era ancora ad Amburgo e la loro relazione non era ancora così solida.

Era entrato un po’ titubante, sperando vivamente di non dare troppo nell’occhio. Si era seduto su uno sgabello affianco al bancone, sperando di vederla comparire da un momento all’altro, con l’espressione annoiata e il grembiule stretto in vita.

Cosa farai se l’incontrerai davvero?

Quando Bill glielo aveva domandato era rimasto silenzioso, poi aveva scrollato con noncuranza le spalle. Oggettivamente, però, non ne aveva la minima idea. Sperava di riuscire a convincerla a sedersi accanto a lui e cercare di parlare civilmente di ciò che era successo tra di loro.

E magari strapparle un sorriso.

Il suo sorriso!

Quanto gli mancava quella dolce curva che prendevano le sue labbra quando era divertita o gioiosa.

Si passò una mano sul viso, stanco e decisamente sconsolato. Erano passati quasi dieci minuti, e di lei nemmeno l’ombra.

-Mi scusi- disse, attirando l’attenzione dell’uomo intento a sistemare alcune bottiglie dietro al bancone.

-Potrei chiederle un’informazione?- domandò, e l’uomo fece un cenno d’assenso con il capo.

-Una mia cara… amica lavorava qui, almeno fino a qualche mese fa direi. Si chiama Nesta, Nesta Green. Mi saprebbe dire se è ancora una dipendente del locale? È magra, non molto alta, e ha i capelli raccolti in lunghi dreads- spiegò brevemente il chitarrista, descrivendo la ragazza per sommi capi.

E ha dei bellissimi occhi verdi. Se l’avesse vista se la ricorderebbe di sicuro.

Avrebbe voluto aggiungerlo, ma l’espressione corrucciata dell’uomo, come intento a pensarci su, lo fece desistere.

-Sì, credo di aver capito di chi parli- disse, e a quelle parole il viso di Tom s’illuminò di speranza.

-Ma non saprei dirti che fine abbia fatto: si è licenziata da mesi ormai- rivelò l’uomo, intrecciando le mani sul bancone, difronte a Tom.

-Sai, sembra che non le piacesse affatto qui: ha avuto un paio di accesi litigi con il proprietario- aggiunse sottovoce, con fare cospiratorio, prima di tornare alle sue mansioni.

Tom ringraziò il barista ed uscì, sempre più a pezzi.

Quante cose sono cambiate?

Non aveva fatto in tempo a tirare fuori dalla tasca dei jeans le chiavi della macchina che una voce risoluta l’aveva fermato.

-Ehi, aspetta!- lo chiamava la voce.

Tom si voltò, perplesso. Sperò vivamente che non fosse una fan che l’aveva riconosciuto nonostante i suoi tentativi di passare inosservato. Quella che gli veniva incontro, effettivamente, era una donna. Poteva avere sì e no qualche anno più di Nesta, ma gli occhi cerchiati da profonde occhiaie e il trucco pesante, che nascondeva gli occhi scuri, la facevano apparire più grande di quanto potesse realmente essere. Aveva annodato in vita un grembiule, e nonostante fosse piuttosto sporco Tom riuscì a scorgere ricamato in un lembo il nome del locale da cui era appena uscito.

-Ho sentito che chiedevi di Nesta- spiegò la donna, incrociando le braccia sotto al seno.

Tom annuì, mentre gli occhi gli si illuminavano di una nuova speranza.

-Io la conosco. Abbiamo scambiato qualche parola fintanto che ha lavorato qui. Non è che fossimo amiche, ma… Non era male, sai?-

-S-sì, lo so- balbettò Tom, senza riuscire veramente a realizzare una frase di senso compiuto.

-Siete molto amici, eh?-

Sì, lo eravamo…

Tom fece cenno di sì con il capo, cercando di ignorare la fastidiosa stretta all’altezza del cuore che gli aveva tolto il fiato per un istante.

-Voleva andarsene il prima possibile da qui, e quando le ho domandato come avrebbe fatto ad andare avanti mi ha detto che un amico le aveva fatto una proposta interessante. Ecco perché se ne è andata così su due piedi- rivelò la donna, giocherellando con una ciocca dei capelli biondi.

-Sai dove lavora adesso?- domandò il chitarrista, cercando di rimanere calmo.

La ragazza si mordicchiò le labbra con espressione colpevole.

-Lei non me lo ha detto: era sempre piuttosto riservata. Però…-

Detto questo si interruppe e rovistò nelle tasche del grembiule fino a che, con un sorrisetto soddisfatto, ne estrasse un pezzo di carta tutto spiegazzato su cui erano scritti, con una calligrafia frettolosa, un indirizzo e alcuni numeri. Porse il foglietto a Tom, sempre sorridendo affabile.

-Aveva segnato questo indirizzo mentre era al telefono con il suo amico, nel retro del locale, ma poi lo ha dimenticato qui. L’ho trovato e ho pensato di tenerlo perché mi sarebbe piaciuto andare a trovarla, ma penso che faccia più comodo a te adesso-

Il ragazzo la guardò con tanto d’occhi, intascando il bigliettino e cercando le parole adatte per ringraziarla.

-Io… Davvero, non hai idea di quanto tu mi abbia aiutato!- esclamò, trattenendosi dal stringerla in un abbraccio, tanta era l’euforia che di colpo l’aveva pervaso.

La donna sorrise, scrollando le spalle con noncuranza.

-Salutamela, se riesci ad incontrarla- aggiunse, mentre a passi lenti tornava verso il locale.

-Certamente- promise il ragazzo.

Sempre che riesca anche solo ad avvicinarmi a lei…
 
Tom da qualche minuto osservava con espressione assorta la vetrina del negozio che aveva difronte. L’indirizzo segnato su quel foglietto l’aveva condotto lì, sotto a quella vecchia insegna nera su cui spiccavano le bianche lettere che componevano il nome del negozio. I numerosi dischi esposti non lasciavano spazio a dubbi: era un piccolo negozio di musica. Senza sapere bene se stava facendo o no la cosa giusta, il chitarrista entrò, accompagnato dal cigolio della vecchia porta, e venne subito accolto dalle note di una canzone che suonava in sottofondo. Il negozio dentro non era molto grande, ma vi era stipata una quantità di cose allucinante. Gli scaffali scuri accoglievano numerose copie di album, sia vinili che cd, e a giudicare dello stato delle copertine alcuni dovevano essere decisamente datatati, forse di seconda mano. Sulle pareti, invece, erano appesi poster e fotografie, molte delle quali autografate. Tom non poté fare a meno di sorridere lievemente: nonostante l’odore di chiuso, quello era veramente un posto carino, quasi… accogliente. C’erano una decina di altre persone tra ragazzi e ragazze della sua età, tutti assai stravaganti.
Gironzolò tra gli scaffali e gli espositori, passando le dita sulle copertine di alcuni vecchi vinili coperti di una leggera polvere. Lesse di sfuggita alcuni titoli, e poté così constatare che lì dentro era conservato praticamente di tutto. Così assorto nei suoi pensieri quasi si dimenticò il motivo della sua visita. E fu proprio la causa della sua visita a riscuoterlo duramente dal suo fantasticare ad occhi aperti.

-Tom?- la voce incerta di Nesta lo chiamava.

Il ragazzo si voltò di scatto, trovandosela davanti con un’espressione allo stesso tempo stupita e furibonda sul volto. Ma era sempre lei. Il chitarrista l’avrebbe volentieri stretta tra le braccia, troppo felice di poterla anche solo rivedere.

-Tom, cosa accidenti ci fai qui?- sibilò con astio la ragazza, assottigliando gli occhi.

Il ragazzo non rispose, non subito per lo meno, troppo impegnato a cercare le parole adatte.

Perché sono qui?

Sono qui per te.

Perché non posso nemmeno pensare di andarmene un’altra volta senza di te.

Perché, nonostante tutto, sono tornato. Sono tornato da te!
 
Step one you say we need to talk
He walks you say sit down it's just a talk
He smiles politely back at you
You stare politely right on through
Some sort of window to your right
As he goes left and you stay right
Between the lines of fear and blame
And you begin to wonder why you came
 

-Sono qui per parlare. Per chiarire- replicò, cercando di apparire più quieto e sicuro di quanto non fosse.

Nesta chiuse gli occhi, come se cercasse disperatamente di rimanere calma e non perdere la pazienza.

-Fuori-

Tom inarcò un sopracciglio.

-Esci, non possiamo parlare qui- spiegò la ragazza, afferrandolo poi per una manica e trascinandolo bruscamente verso l’ingresso del negozio, spingendolo in strada.

-Ti avevo detto di non farti più vedere- sbottò lei non appena la porta del negozio si richiuse alle loro spalle, incrociando le braccia al petto e socchiudendo gli occhi sotto i caldi raggi del sole che le baciavano il viso.

-Lo so- ammise il ragazzo.

-Perché sei qui?- domandò nuovamente Nesta.

-Per te. Per noi…-

-Tom, smettila!- gridò lei, stanca e con i nervi a pezzi, senza permettergli di proseguire.

-Smettila di ripetere che sei qui per me, smettila di farmi del male!-

Tom rimase silenzioso, si limitò ad allungare una mano con l’intenzione di scostarle una ciocca dei capelli ribelli dal viso, in un moto di tenerezza improvvisa e poco consona al momento. Lei, prevedibilmente, si scostò bruscamente.

-Non toccarmi- ringhiò con fermezza, distogliendo lo sguardo dal suo.

-Volevo solo parlare- mormorò Tom, rammaricato per tanta freddezza.

-Vuoi davvero solo questo?- chiese, e il ragazzo annuì. Allora lei rimase silenziosa, e con un gesto eloquente della mano lo invitò a continuare.

Il ragazzo allora prese un respiro profondo, mentre un familiare senso di vuoto lo attanagliava. Era simile alla sensazione che provava prima di salire sul palco: adrenalina incontrollabile, euforia e emozione che alleggerivano la paura di sbagliare, di combinare qualcosa di storto. Davanti a Nesta, in quel pomeriggio assolato sotto il cielo di Amburgo, vicino ad un piccolo negozietto di dischi di cui già aveva scordato il nome, Tom si sentiva come su un palcoscenico, davanti a milioni di persone che chiamavano il suo nome. Ma non aveva la sua fedele chitarra per poter farsi forza, non sentiva sotto le dita le familiari sei, ruvide corde. E aveva difronte un unico, intenso sguardo che lo metteva più in soggezione che mai.
 
Where did I go wrong, I lost a friend
Somewhere along in the bitterness
And I would have stayed up with you all night
Had I known how to save a life
 

-Ho sbagliato e l’ho già ammesso. Ma hai sbagliato anche tu chiedendomi di andarmene, perché io semplicemente non posso-

Nesta tacque, soppesando le parole del ragazzo scuotendo appena la testa. Tom, con decisione, proseguì.

-Non posso pensare di lasciarti un’altra volta. Non posso e non voglio!-

 
Let him know that you know best
Cause after all you do know best
Try to slip pass his defense
Without granting innocence
Lay down a list of what is wrong
The things you’ve told him all along […]


-Proprio non vuoi capire?- replicò allora la ragazza quasi con dolcezza, lo stesso tono che avrebbe usato una mamma con un bambino testardo e particolarmente poco propenso a capire ciò che gli si diceva.

-Io non ti voglio. Non voglio te, non voglio le tue sciocche scuse. Voglio solo che adesso ti volti, cominci a camminare e inizi ad allontanarti per sempre da me- mormorò.

-Sei tu che non capisci! Sei talmente orgogliosa e testarda da non capire quanto io tenga a te! Sei così impegnata a ripetermi di andarmene, di non farmi più vedere, che nemmeno ti accorgi che io sono disposto a tutto pur di farti cambiare idea, pur di dimostrarti che infondo non è cambiato nulla, che siamo sempre Tom e Nesta- ribatté

Tom con voce soffocata.

Nesta lo guardò sbalordita, colpita dalle parole del ragazzo, che mai si sarebbe aspettata.

Vaffanculo, ragazzo!

Lo insultò silenziosamente, perché le riusciva sempre più difficile continuare a respingerlo, faticava a mantenere quella distaccata freddezza. Tom, notando il suo tentennamento, si avvicinò lentamente a lei, scostandole quella ciocca ribelle come già avrebbe voluto fare prima. Questa volta lei non si ritrasse, ma non appena il ragazzo abbassò il viso verso il suo lo fermò, posando con fermezza le mani sulle sue spalle e scostandolo appena da sé.

Tom sospirò, frustrato dall’impossibilità di creare un vero e proprio contatto con lei.

-Perché scappi?- sussurrò.

Per salvarmi.

-Perché è l’unica cosa che so fare- ammise amareggiata, abbassando lo sguardo.

-Hai ragione: scappi da tutto- la provocò lui, avvicinandosele nuovamente, ma mantenendo quella distanza sufficiente a non innervosirla.

-Scappi dal mondo che ti circonda, come quando ci siamo conosciuti- continuò lui -E scappi da me, perché sai che ho ragione, ma sei troppo arrogante per ammetterlo- concluse, facendo un passo indietro e esibendo quel sorrisetto sfacciato che sapeva farla indisporre come non mai, soprattutto in situazioni come quella.

-Ragazzo, smettila- gli intimò lei.

-Nesta…- provò Tom, ma la ragazza lo interruppe prontamente.

-No, Tom. Adesso basta. Va via-

E Tom non seppe più come ribattere davanti a tanta determinazione.

Credi che non me ne sia accorto?

Fa male a te tanto quanto a me.

Evitando lo sguardo della ragazza si voltò, senza più cercare il benché minimo appiglio per rimanere, per convincerla a colmare il vuoto creatosi tra loro. E Nesta rimase lì fuori, fissando prima la figura del ragazzo che si allontanava e poi il nulla rimasto dove poco prima vi era lui, mentre il sole scendeva e le ombre si allungavano.

Non dovevi tornare.

Non dovevi.

Mentre il sole calava dolcemente su Amburgo e le ombre lentamente cominciavano ad allungarsi, una ragazza, in piedi in mezzo alla strada, piangeva.
 


-Sei in ritardo Tom! Ti ho telefonato una decina di volte questo pomeriggio, dove accidenti eri? E David ha chiamato un quarto d’ora fa, ha detto che questa sera ci hanno invitati fuori a cena. Hai due minuti per prepararti- Bill accolse il fratello come un fiume in piena non appena questi varcò la soglia dell’albergo.

Il chitarrista squadrò il quartetto composto dagli amici, il fratello e Kerli (tutti decisamente molto eleganti), in piedi al centro della hall.

-Puoi tranquillamente dirgli che non sto molto bene. Questa sera proprio non me la sento di uscire- ribatté con apatia Tom.

Bill lo fissò allucinato.

-Sicuro, Tom? Magari potremmo…- provò Kerli con comprensività, ma la voce del compagno la fermò.

-Scherzi, spero- bofonchiò il cantante, rivolgendosi al gemello.

-No, non scherzo Bill! E togliti quell’aria scandalizzata dalla faccia- sbottò il chitarrista, e Bill si ritrasse appena, offeso dal comportamento scontroso del fratello.

-Tom, calmati- tentò Georg, nel tentativo di stroncare sul nascere la discussione che sarebbe inevitabilmente scoppiata tra i due gemelli.

-Non c’è bisogno di scaldarsi tanto- continuò, ma venne interrotto dalla voce stridula di Bill.

-Lascia perdere. Va benissimo così, Tom. Spiegherai tutto tu a David- concluse gelidamente il cantante, prima di prendere per mano la fidanzata e fare cenno agli amici di seguirlo fuori.

Il chitarrista si passò una mano sul viso, incrociando per un istante lo sguardo indulgente di Georg prima che quest’ultimo scomparisse dietro le porte dell’albergo.

Dove ho sbagliato?









My Space:


Sono tornata!

Dopo quasi 5 mesi di assenza, sono tornata. Avete tutto il diritto di odiarmi e non voler più sapere più nulla di me, anche perchè vi confesso che questo capitolo era pronto da un paio di mesi almeno, ma non ho avuto mai il coraggio di pubblicarlo. Non so perché. Mi convince abbastanza, ma so che adesso dovrò ingegnarmi parecchio per proseguire. Fatemi sapere cosa ne pensate voi.
Ad ogni modo non temete, adesso mi sono rimessa all'opera! Continuerò ad aggiornare con il ritmo stabilito prima di questa prolungatissima
 pausa.

La canzone che dà il titolo al capitolo e di cui sono riportati alcuni brani durante il litigio tra Tom e Nesta è "How to Save a Life" dei "The Fray".

Ringrazio infinitamente auroramyth, Billina_Pazza e  Heilig__ per aver recensito il precedente capitolo, vi risponderò individualmente al più presto!

Alla prossima,

Frency.

 

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