A secret Hope

di Gmergots
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Capitolo primo ***
Capitolo 2: *** Capitolo secondo ***
Capitolo 3: *** Capitolo terzo ***
Capitolo 4: *** Capitolo quarto ***



Capitolo 1
*** Capitolo primo ***


Quando mi sveglio Ginevra è già uscita. Mentre aspetto di trovare le forze per alzarmi e iniziare una nuova giornata, osservo il suo letto vuoto e la trapunta bianca coi fiorellini azzurri perfettamente stesa sul materasso. Mi infonde un famigliare senso di sicurezza. L'ordine è sempre stata una caratteristica di mia cugina; c'è un qualcosa di straordinariamente affascinante nel modo in cui mette apposto le cose e non parlo solo della camera.Assaporo ancora per qualche istante il calore delle coperte e la morbidezza del cuscino, poi costringo me stessa a mettermi seduta e i miei piedi a cercare le pantofole.La stanza profuma di sonno e dalle persiane ancora chiuse filtra parecchia luce, segno che il sole è già alto nel cielo; non riesco a credere di aver dormito tanto. Poi mi ricordo: stanotte c'è stato un temporale e ovviamente ho fatto fatica ad addormentarmi. Credo di essere una delle poche ad avere ancora paura dei tuoni a quasi diciassette anni, ma è una cosa che non riesco a controllare. Forse è perché quella notte c'era il temporale, perché ero rimasta sola e perché avevo solo nove anni. È incredibile quanto tempo sia già passato; credo ormai di averci fatto l'abitudine, sì, cioè all'idea di non avere più dei genitori, a non pensarci più tanto spesso e a svegliarmi in questa stanza. Ma no, purtroppo non è così semplice. Non ci si può abituare a queste cose e non è possibile da un giorno all'altro decidere di dimenticarle. Sarà un dolore che mi accompagnerà ogni volta che vedrò una donna pettinare i capelli della sua bambina, o un padre insegnare ad un giovane uomo i trucchi del suo mestiere, ogni volta che ci sarà il sole e si potrebbe fare una passeggiata, ogni volta che pioverà e farà freddo e dovremmo stare tutti insieme in casa davanti al camino, ogni volta che tutti gli altri avranno un posto in cui rifugiarsi, in cui essere capiti, perdonati e amati. Sarà un dolore che mi accompagnerà per il resto della mia vita. Apro appena la finestra per cambiare l'aria viziata e subito s'intrufolano spifferi gelati. L'inverno si fa sempre più vicino e mi chiedo se anche quest'anno nevicherà come quello passato. Da una parte non potrebbe che essere una fortuna, dato che lo zio Gerard fa il taglialegna e, quando qui ad Anthos la gente è obbligata ad accendere la stufa o il camino per non morire congelata, la sua piccola impresa fa affari d'oro; ma dall'altra temo che molti miei compaesani, soprattutto bambini e anziani, si ammalino di febbre o di altre malattie causate dal freddo e non riescano ad arrivare alla fine dell'anno, come già è successo molte volte. E ultimamente è sempre più difficile comprare farmaci adeguati o medicine efficaci o qualsiasi altra merce prodotta in Città; da quando il re ha iniziato a mandare tutti questi controlli, i venditori ambulanti clandestini che passavano almeno una volta a settimana, non si sono più visti da queste parti. Suppongo sia giusto far rispettare le leggi stabilite, ma in questo caso non si tratta di fare a meno di vestiti all'ultima moda o “cibi di lusso” come il caffè o la cioccolata: c'è in gioco la vita di milioni di sudditi di tutto il regno di Kora e Albert, il nostro re, ne è consapevole; tuttavia non mi stupisco, per quanto ne so, non è che l'ennesima dimostrazione da parte sua di quanto poco gli importi di chi vive fuori dalle mura.
- Bessie, ben svegliata! Ero giusto venuta a vedere se stavi ancora dormendo. Hai idea di che ore siano? - la zia Sandra appare da dietro la porta sorridendo.È entrata da un pezzo nella quarantina, ma quando sorride come in questo momento, sembra avere almeno vent'anni di meno. In mano ha il mestolo con cui di solito mescola il preparato dei dolci o le bevande calde.
- Ho... ho avuto difficoltà a dormire stanotte -
- Lo immaginavo... Ginevra mi ha detto che devi aver fatto anche qualche brutto sogno –
- Già... -
- Ne vuoi parlare? - fa per entrare nella stanza.
No zia, non preoccuparti, sto bene. Mi metto dei vestiti e vi raggiungo in cucina – rispondo raggiungendo l'armadio e sforzando un sorriso.
D'accordo, vado a prepararti qualcosa di caldo allora – annuisco e lei sparisce dietro la porta.
In realtà non sto affatto bene, ma non voglio che si preoccupi, tanto non potrebbe comunque farci niente. È da quando i miei genitori sono morti che mi capita di svegliarmi durante la notte a causa di qualche incubo, anche se in quest'ultimo periodo è qualcosa che accade sempre più assiduamente e i sogni sono sempre più terribili; mi divincolo e mugolo e a volte mi sveglio persino gridando. Ho paura che con il passare del tempo la situazione possa solo che peggiorare e so che non potrò evitarlo in nessun modo. Mi cambio il pigiama come promesso alla zia e scendo al piano di sotto. In confronto alle altre case di Anthos, questa è piuttosto grande, forse addirittura la più grande di tutte e ad ogni modo una delle poche ad avere due piani e i servizi igenici all'interno. Un falegname di umili origini come mio zio non se la sarebbe mai potuta permettere, se non avesse sposato Sandra. Infatti questa casa fa parte dell'eredità della zia: i suoi antenati di qualche generazione fa, vivevano in Città, poi si trasferirono fuori dalle mura - a quanto dice lei, per condurre una vita più tranquilla e a contatto con la natura. A mio parere ebbero qualche problema con la monarchia dell'epoca che, se non vado errata, dovrebbe essere stata governata dal trisnonno dell'attuale re -, acquistarono questo terreno sopra il paese e costruirono la casa. Quando gli zii si sposarono, decisero di costruire qui il loro nido d'amore, anche se c'erano un bel po' di cose da sistemare dato che per decenni era rimasta inabitata, e anche se è un po' più su rispetto al centro abitato.
Quando entro in cucina, non mi sorprendo di trovare il resto della mia famiglia con le tazze già vuote e il tavolo cosparso di briciole, ma sono ancora tutti seduti a tavola ad aspettare educatamente che anch'io faccia colazione. Tutta la stanza è invasa da un intenso profumo di erbe aromatiche, probabilmente si tratta di quelle che ho raccolto settimane fa nei prati vicino al bosco.
Lo zio Gerard è immerso nella lettura del quotidiano nazionale; è una cosa che fa tutte le mattine, come se ogni giorno sperasse davvero di trovare scritta lì sopra una notizia vera, obiettiva, magari sfuggita per caso agli editori reali e resa pubblica agli occhi di tutti – o almeno di chi è in grado di leggere -. Intanto accarezza la nuca di Ginevra; lei è talmente presa dalla conversazione con Fabrizio, suo fratello, che quasi non si accorge del mio arrivo. La zia, mescolando con il suo mestolo qualcosa che bolle sul fuoco, osserva silenziosa e fiera i suoi bellissimi figli sorridere e gesticolare tra loro. Resto qualche secondo sulla soglia della stanza davanti al perfetto quadro famigliare in cui la vita mi ha forzatamente incluso. Loro fanno e hanno fatto davvero di tutto per farmi sentire una figlia e una sorella, ma in momenti come questo non posso che sentirmi in colpa. Non dovrebbe andare in questo modo, dovrebbero essere liberi di condurre la loro vita senza avere me fra i piedi. Per quanto mi riguarda, me ne andrei anche adesso da questa casa, ma so che nessuno di loro me lo lascerebbe fare; credo che mio padre abbia fatto promettere a suo fratello di occuparsi di me almeno finché salute ed età glielo avessero permesso e sono sicura che Gerard lo farà. Cercando di non disturbare occupo il mio solito posto, di fronte a Ginevra e accanto a Fabrizio, mio cugino. Lui è il fratello maggiore che tutti vorrebbero: dolce, divertente, premuroso, e soprattutto sempre pronto a prendere le mie difese in qualunque tipo di controversia o discussione. Assomiglia molto a sua sorella eccetto che per il colore dei capelli: i suoi sono neri corvini, mentre quelli di Ginevra dell'acceso rosso carota che deve aver avuto anche mio padre da ragazzo; in compenso hanno lo stesso naso sottile e leggermente appuntito di Gerard, gli occhi grandi e verdi di Sandra e una spruzzata di lentiggini sul naso che hanno ereditato da entrambi i genitori. Sono davvero bellissimi, quasi brillano esposti alla luce di mattine come questa e con me non sembrano avere neanche un lontano legame di parentela; Gerard dice che è perché io ho preso tutto dalla parte di mia madre, ma per quanto ricordo, anche lei era molto più bella di me, con gli occhi da cerbiatta, i capelli biondi e tutto il resto. E questo mi fa sentire ancora di più un pesce fuor d'acqua. Fabrizio mi porge l'ultima fetta della torta di mele preparata ieri dalla zia; probabilmente l'ha risparmiata per me alle fauci di Gerard. Mio zio è un pozzo senza fondo e mia zia un'ottima cuoca; impossibile non riconoscerli una coppia perfetta.
L'ho appena tolta dal fuoco, stai attenta a non scottarti la lingua - mi sollecita Sandra servendomi una tazza fumante di tisana casereccia.
Che piani hai per la giornata? - la voce di mia cugina è allegra e cristallina. Presumo che lei abbia già degli impegni, ma, come sempre, vuole assicurarsi che io non resti sola; apprezzo molto che se ne preoccupi, tuttavia sa benissimo che non mi lascio coinvolgere in programmi che comprendano le sue stupide amiche. E qualcosa mi fa pensare che anche oggi si tratta di qualcosa del genere. Alzo le spalle.
Jasmine... - azzarda - ...Ci ha invitati tutti a casa sua, puoi venire anche tu, se ti va – mando giù un sorso di tisana.
No, grazie Ginnie, sai che Jasmine... diciamo che non mi sta molto simpatica – addento il dolce.
- Non ti sta molto simpatica? - Fabrizio scoppia a ridere – È un'oca travestita da zoccola! - lo zio alza gli occhi dal giornale. Mio cugino è tanto dolce quanto spontaneo e questo non è sempre un qualcosa di positivo.
Quindi immagino non voglia venire nemmeno tu, giusto? - Ginevra sembra più irritata che offesa.
No, grazie, credo che passerò per questa volta – ironizza mio cugino continuando a ridacchiare. Mi rendo conto di quanto i suoi denti bianchi risaltino fra la barbetta nera. Non è molto che se la lascia crescere, direi dal mese scorso, quando ha compiuto diciotto anni e, anche se ci ho messo un po' ad abituarmici, adesso devo riconoscere che gli dà decisamente un'aria più interessante. Cerco di camuffare una risata sorseggiando dell'altra tisana. Ginevra sospira.
Come volete – si alza da tavola e sale in camera. Segue qualche secondo di silenzio di cui approfitto per finire la mia colazione.
Fabrizio, vai subito a scusarti con tua sorella! - interviene poi la zia interrompendo le sue mansioni di casalinga.
Ma...-
Niente ma, giovanotto! Non mi piace che i miei figli usino questo linguaggio! Gerard, tesoro, dì qualcosa anche tu! –
Tua madre ha ragione. Dovresti imparare a essere più educato o...-
-
...O ad usare qualche eufemismo quando si parla delle sue amiche – concludo io sorridendo.
Sandra si sforza di mantenere un'espressione seria e inflessibile, ma credo che sappia anche lei di non essere per niente credibile; né lei né lo zio sono mai stati due genitori severi, soprattutto Gerard che adesso, da dietro la pagina di giornale, se la ride sotto i baffi ancora bagnati di latte. 

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Capitolo 2
*** Capitolo secondo ***


Esco di casa che i miei cugini sono ancora sotto trattative di pace o meglio, sono ancora nella fase in cui Fabrizio implora Ginevra in ginocchio di scusarlo; a mia cugina piace fare la preziosa e, anche se in cuor suo lo ha già perdonato, so per certo che non ufficializzerà la cosa finché lui non prometterà di accompagnarla da Jasmine. Io ho ben pensato di svignarmela prima di essere incastrata come Fabrizio, ma non è che abbia una meta precisa in cui andare o qualcosa da fare in particolare. Non ho amici né qualcuno con cui valga la pena passare un'intera giornata, se escludo la mia famiglia. Credo sia colpa del mio carattere, forse ho davvero, come dice Ginevra, la tendenza a tenere le persone lontane. La verità è che penso di non aver mai conosciuto nessuno in grado di stuzzicare in qualche modo il mio interesse, o almeno, nessuno a parte il signor Terence; era il mio professore in quella specie di scuola che frequentavo fino a poche settimane fa, prima che il re ne facesse chiudere i battenti – ovviamente senza spiegazioni né preavvisi -, ma è da allora che non ho più sue notizie, sembra essere scomparso nel nulla. In paese si dice che abbia provato a sfuggire alle sentinelle reali, a valicare i confini di Kora e ad andarsene per sempre dal regno, fiducioso di trovarne uno migliore dove ricominciare una vita; la maggior parte della gente è convinta che non sia riuscito a fare niente di tutto questo, mentre alcuni che, se anche esistesse la remota possibilità che ce l'avesse fatta, che non abbia trovato nulla al di fuori di Kora, perché si sa: tutti gli altri regni del mondo sono spariti dalle cartine geografiche a seguito della Quarta Grande Guerra. In sostanza, tutti concordano sull'opinione che, a quest'ora, sia bello che morto. A mio avviso, si sbagliano. Non credo sia perché non riesca ad accettare la loro versione né perché sia mossa da un sentimento di speranza – quella mi ha abbandonato da un pezzo –, semplicemente è una sensazione, niente di più. Ignoriamo più cose di quanto crediamo era questo il motto di Terence, non faceva altro che ripeterlo a lezione, ma nessuno lo ha mai preso veramente sul serio; era per tutti un mezzo matto solo perché non temeva di dichiarare apertamente tutto ciò che pensava, anche riguardo ad Albert e alla sua politica sia interna, sia addirittura esterna, ammesso che esista ancora un esterno in cui operare. Ritengo fosse stato per questo che si era guadagnato la mia attenzione; qui nessuno parla del re o di ciò che accade in Città, figurarsi fuori da Kora. Hanno tutti paura. Imbocco la strada che porta al monte Bezuak. È la catena montuosa più alta della zona, arriva quasi a tremila metri di altitudine. Quand'ero bambina, mio padre mi aveva promesso che un giorno l'avremo scalata insieme. Osservo i miei piedi avanzare sicuri sulla terra grigiastra e cerco di immaginare come dovesse esser stata un tempo, quando ancora era coperta di asfalto e percorsa da autoveicoli. Ricordo che una volta Fabrizio ha detto di aver sentito da qualcuno, che in Città tutte le strade sono ancora così e che per la gente è molto più semplice spostarsi da un posto all'altro; Gerard lo aveva subito smentito. Non esistono più le risorse che permetterebbero tutto ciò, sono solo favole che alla gente piace raccontare e a cui agli sciocchi piace credere aveva detto e aveva ragione. Se solo gli uomini dei secoli passati non fossero stati così stupidi da consumare tutto quanto con sprechi e inquinamento o per ammazzarsi gli uni con gli altri, oggi sarebbe diverso. Qui la strada si fa più sterrata e inizia la boscaglia. Vista dalla mia camera sembra molto più fitta e spaventosa di quanto non sia in realtà e posso dirlo con certezza dal momento che conosco questo posto come le mie tasche. Non ci sono grosse bestie selvatiche, mostri o folletti come mi raccontava Fabrizio da bambina, solo pini e abeti e faggi e molta altra natura incontaminata. Credo anzi che nessuno, parlando anche di un remoto passato, abbia mai vissuto qui, uomini compresi. Avanzo ancora per pochi metri sul tappeto scricchiolante di foglie secche, poi volto a sinistra abbandonando completamente il sentiero segnato; mi addentro fra gli alberi e proseguo seguendo a ritroso il corso del torrente. Quando vedo il guado di sassi che ho costruito per attraversare l'acqua senza inzupparmi quando avevo dieci anni, capisco che non manca molto alla mia radura. Ed è lì che i miei piedi mi stanno portando.

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Capitolo 3
*** Capitolo terzo ***


C’è una grossa quercia al centro del prato, intorno tutto il bosco. L’aria è pulita, fresca, leggera. È una sensazione piacevole, tolto il terriccio bagnato che si appiccica alle suole. I raggi del sole svelano pozzanghere nascoste qua e là fra l’erba rendendole specchi di luce. Se non fosse per queste, stenterei a credere alla pioggia di stanotte. È incredibile come sia sufficiente un po' di sole per dimenticare un temporale. In ogni modo i segni, quelli restano. Mi avvicino al grande albero in via di spoliazione che sempre mi accoglie sotto le sue fronde come se fossi un piccolo uccellino da proteggere. Da qui sotto divento padrona di tutto questo meraviglioso piccolo mondo. In primavera si riempie di fiori bianchi; ne raccoglievo dozzine di mazzolini e li portavo a mia madre. Adorava i fiori ed erano forse l'unica cosa in grado di farla sorridere, per questo glieli portavo. È difficile da spiegare ma, anche quando era ancora in vita, erano rari i momenti in cui potevo sentire pienamente la sua presenza, d'altronde sembrava che nessuno potesse. Era come se vivesse in un'altra dimensione in cui consumava un'inspiegabile infinita tristezza. Quando le portavo quei fiori, solo allora sembrava realmente viva, potevo sentirla davvero. Purtroppo erano momenti molto brevi, poi chiudeva gli occhi e inspirava quanto più riusciva il loro profumo, quasi volesse trasferire quella poca vita dentro di sé; mi ha portato a chiedermi se l'essenza vitale possa essere considerata un'energia trasferibile, sì, insomma se sia veramente possibile cederne parte della propria ad un altro essere vivente. Io credo di sì ma, un po' come per le trasfusioni di sangue in cui è indispensabile avere lo stesso gruppo sanguigno, deve esserci una certa compatibilità. La vita di mia madre e quella di quei fiori erano di certo compatibili: entrambe pure, fragili, delicate; e infatti quando infine espirava, emetteva un sospiro quasi sollevato. Forse la facevano davvero stare un po' meglio; tuttavia quella poca vita non era sufficiente, lo capivo dai suoi occhi così spenti, così lontani, persi in chissà quali mondi. Io non potevo fare niente di più che portarle quei mazzolini ed era diventato una specie di dovere, visto l'effetto che avevano su di lei. Ricordo che li invasava per perpetuare la loro vita ancora di qualche giorno. Poi i fiori da bianchi diventavano giallognoli, si piegavano su loro stessi e appassivano. E lei con loro. Era mio padre a svuotare il vaso e ad assicurarsi che ne andassi a raccoglierne degli altri. Farfallina, va' a prendere i fiori per la mamma. Mi sembra ancora di sentirla, quella sua vociona rauca e profonda, ma dolce. Credo sapesse che ci sarei comunque andata di mia iniziativa. Pensare a loro mi fa male. Mi fa ancora male. Mi fa sempre male. Sento delle lacrime scivolare lente sulle mie guance. Comunque sia, è così che ho iniziato a frequentare questo posto, per fare scorta di fiori, poi sempre più spesso; è come se soltanto qui riuscissi a essere me stessa e a non sentirmi fuori posto. Non c'è mai nessuno; posso cantare, urlare, piangere e nessuno mi sentirà. Questo posto è diventato il custode delle mie emozioni e nessun altro può conoscerle, perché nessun altro sa come raggiungerlo e nessun altro sa che vengo qui. Mi frugo nelle tasche sperando di trovare un fazzoletto, ma c'è soltanto la scatolina dei fiammiferi colorati che mi ha regalato Fabrizio. Dopo che la scuola è stata chiusa, ha iniziato a lavorare con suo padre e, per festeggiare il suo primo guadagno, ha deciso di spenderlo in regali per tutta la famiglia. Questi li ha comprati da Wale, uno dei venditori clandestini, quando ancora passava da Anthos ogni primo sabato del mese; spacciava cianfrusaglie di ogni tipo, inedite e introvabili nei villaggi perché prodotte esclusivamente per chi abita all'interno delle mura. La maggior parte della merce di Wale, contrariamente a quella degli altri commercianti clandestini, non aveva una vera e propria utilità; si trattava piuttosto di oggetti unici nel loro genere, per lo più di carattere decorativo o puramente ludico. Per esempio, a rendere speciali questi fiammiferi, è la sostanza che fa produrre dalla loro fiamma un fumo colorato; anche se per me, a renderli speciali è stato più che altro il gesto di mio cugino. Un giorno dovrò ripagarlo di tutto quello che fa per me, e anche Gerard, la zia e Ginevra. Se non fosse stato per loro, chissà che ne sarebbe adesso della mia vita.

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Capitolo 4
*** Capitolo quarto ***


Passata l'ora di pranzo, si alza un vento gelido. Raccolgo qualche stecchino nei dintorni e accendo un fuoco. Il mio stomaco inizia a brontolare e subito mi pento di non aver pensato a portare qualcosa da mangiare; ad ogni modo non ho intenzione di rientrare a casa prima di cena. Ho solo bisogno di restare qui per un po', lontana da tutto e da tutti. Mi appoggio al tronco della quercia e osservo i fili d'erba ingialliti inchinarsi a tratti al passaggio del vento, schiacciati dalla sua forza; poi chiudo gli occhi e lascio che la folata passi anche sul mio viso. Non fare come loro, Bessie – dice una voce apparsa dal nulla. Apro gli occhi di soprassalto e... e davvero non riesco a credere a quello che vedo. Un uomo alto e pelato, vestito piuttosto distintamente è in piedi appoggiato al fianco dell'albero. Riconoscerei ovunque quel gilè bordeaux e quegli occhi inquieti nascosti dietro a spesse lenti rettangolari. S-signor Terence! - istintivamente sento di dovermi alzare in piedi come ero tenuta a fare in segno di riverenza al suo ingresso in classe. Lui sorride, ma sembra triste. È un po' che non ci si vede, eh? Come procedono le cose giù in paese? - Sono ancora stupefatta dalla sua comparsa e mi ci vuole un po' per dare un senso alle sue parole. Noto che in mano tiene il capo di una corda. Be'... al solito credo, ma lei non era...- sparito, scappato,morto. È come dialogare con un fantasma. Ho paura che possa svanire da un momento all'altro allo stesso modo in cui è arrivato. In paese la davano per disperso, credevano fosse... morto – lo dico e un brivido mi attraversa la spina dorsale. Il sorriso che aveva accennato poco fa si dissolve completamente. Come fa a conoscere questo posto? Vorrei domandarglielo insieme ad un sacco di altre domande, ma ce ne sono alcune che hanno una certa priorità rispetto alle altre. Dov'è stato tutto questo tempo? Ha cercato davvero di... fuggire? Sa, molti le hanno dato del...- …Pazzo? - sogghigna iniziando ad annodare la corda che tiene in mano - Non diventare come loro, Bessie - Io... io lo so che si sbagliano, che lei non è affatto un pazzo, signor Terence io...- Non parlo di me – distoglie lo sguardo dal suo lavoro solo per un istante per guardarmi negli occhi, ma non dice niente, come se dovessi capire quello che intende soltanto dai suoi; ma questo non avviene. Bessie, anche Albert ci calpesta come erba secca e la gente di Anthos e tutti gli abitanti di Kora, si inginocchiano al suo cospetto proprio come questi fili d'erba. Non diventare come loro, ti prego, almeno tu, non arrenderti – mette la corda attorno al suo collo. Sono confusa. Cerco di riordinare le sue parole, i miei pensieri, ma poi capisco. Capisco che il nodo che ha magistralmente intrecciato è un cappio da impiccagione e che l'altra estremità della corda è legata ad un ramo della quercia. Ed è il panico. Vorrei fare qualcosa, qualunque cosa, ma è come se il vento mi trascinasse lontano dalla mia quercia e dal mio professore. No, non lo faccia, si fermi, la prego! - grido. Ma è troppo tardi. Gli spessi occhiali cadono a terra e il suo corpo smette di respirare. Resto pietrificata, non riesco nemmeno a piangere. Poi qualcuno mi scuote le spalle. Bessie! - Lancio un urlo disperato e provo a divincolarmi. Ahi! Dannazione, vuoi svegliarti? - Riconosco immediatamente il suono di questa nuova voce e apro gli occhi, stavolta per davvero. Mio cugino si massaggia dolorante il naso. Mi hai colpito - M-mi dispiace...- borbotto distrattamente voltandomi verso il ramo a cui dovrebbe essere appeso il signor Terence. Non c'è alcuna corda e nessun professore impiccato. Sospiro. Si può sapere che diavolo stavi sognando? - Io... - distolgo lo sguardo dall'albero - ...Lascia stare - Fabrizio continua a parlare, forse inveendomi per avergli tirato un pugno o forse chiedendo ulteriori spiegazioni sul perché mi dimenassi come se fossi posseduta da un demonio, ma io non sono in grado di capire cosa dice. Sento solo un ronzio frastornante e continuo a vedere l'immagine di Terence appeso alla quercia e a sentire le sue parole. Non diventare come loro, ti prego, almeno tu, non arrenderti. In effetti è qualcosa che sarebbe potuto uscire dalla sua bocca, ma non era reale. Cosa mi sta succedendo? Credo di essere sul punto di perdere la ragione. Forse dovrei iniziare a stare di più con le persone. Allora? Hai intenzione di tornare sulla terra? - Fabrizio mi sventola una mano davanti agli occhi, richiamandomi inevitabilmente ad ascoltarlo. Ehm sì, scusa che hai...aspetta ma tu cosa ci fai qui? - mio cugino sbuffa, ma cerca comunque di essere gentile. Lo zio mi ha mandato a cercarti - Intendo come hai fatto ad arrivare qui. Cioè, come fai a conoscere questo posto? Mi hai seguita? - solo l'idea mi fa saltare i nervi. Questa radura è solo mia e tale deve rimanere. Non voglio condividerla con nessuno, neanche con Fabrizio o con...il signor Terence. No – si solleva da terra e indica il fuoco da cui si alza un fumo violaceo. Sono un' idiota. Gli è bastato seguire la scia colorata del fumo per sapere che sarebbe arrivato fino a me. Devi venire a casa, subito – sono ancora irritata per il fatto che ora qualcun altro conosca questo posto, ma quando mi porge una mano per aiutarmi ad alzarmi, mi accorgo di un tremolio subito represso e inizio a preoccuparmi. Cosa è successo? - la sua espressione lascia trasparire tutta la tensione che ha cercato di nascondere finora. I Mandler sono qui... - I Mandler a novembre? Come è possibile?

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