I need the darkness

di sorridimilouis
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** 1. New teacher. ***
Capitolo 2: *** 2. I'll never let you down. ***
Capitolo 3: *** 3. I knew he was hiding me something. ***
Capitolo 4: *** 4. Robin. ***



Capitolo 1
*** 1. New teacher. ***


Picchietto a tempo con la canzone che sta rimbombando nelle mie orecchie, le dita sulla coscia, piove, il mio sguardo si ferma sulle goccioline che scorrono su uno dei finestrini del tram sul quale sono in piedi, attaccata ad una maniglia davanti alle porte. 
La cartella pesa sulle mie spalle e mi rendo conto solo ora che una fermata e devo scendere, signore santo, tornare a scuola dopo le vacanze invernali è sempre stato un dramma per la sottoscritta. 

'Rivedere tutti i propri compagni dopo tanto tempo, che sarà mai?' penserete. 
Il vero problema qui, è che io ho un livello di sopportazione molto basso, e quel branco di caproni che infestano la classe in cui sono finita quattro anni fa non è degno della mia simpatia e gentilezza, visto che nei miei confronti loro non si risparmiano insulti di tutti i tipi.

Metto a posto il capellino nero che porto in testa e mi stringo nel cappotto mentre scendo dal mezzo di trasporto, inizio a camminare sul marciapiede leggermente ghiacciato, della via sempre gremita di macchine e persone al centro di Holmes Chapel.
Estraggo dalla tasca posteriore dei jeans un pacchetto di sigarette e l'accendino. Porto l'involucro di tabacco tra le labbra e ripongo la scatola di carta al suo solito posto, non prima di aver contato quante me ne rimangono, ne restano cinque, fino a stasera posso farcela.
Con una mano copro l'estremità della sigaretta mentre con l'altra faccio scattare la valvola di metallo, provocando prima qualche scintilla, e poi, finalmente, la fiamma che da il via al fumo per spargersi nell'aria. Rimetto anche l'accendino in tasca e continuo a camminare, non mi ero accorta di essermi fermata sotto l'acqua fino a quando qualche gocciolina non si posa sul naso, o sulla guancia destra scivolando sulla bocca e bagnando la cartina.
Mi tiro su il cappuccio -non che stia diluviando, ma i capelli bagnati mi irritano solo di più- della felpa che porto sotto il cappotto nero e accelero il passo, scorgendo in lontananza, vicino alla cabina telefonica nello spiazzo della scuola, la mia amica Rose. 
L'ho sempre distinta dalla massa, per quanto lei ne sia fottutamente uguale. 
I capelli rigorosamente sciolti, con le punte di non so quante tonalità più chiare rispetto al colore naturale, skinny jeans e giacca bianca. Non è riparata sotto nessun ombrello, il che mi fa strano, non le si rovina la piega? 

Aspiro avidamente il fumo, mandandolo giù lungo la trachea e riempiendone i polmoni. 
Mi avvicino di malavoglia, non voglio incrociare lo sguardo di nessuno di loro, tranne Rose, ovviamente. Almeno credo.

"Abby!" sorride la mia amica e io ricambio con un sorriso in certo.
"Come stai? Da quanto tempo!" continua e cerca di abbracciarmi, ma la scanso. Troppa dolcezza no.
"Bene, immagino anche tu, e l'ultima volta ci siamo viste ieri pomeriggio" ridacchio.
"Co-cosa? No, no, guarda che ti sbagli." scuote le mani in avanti, non capisco.

Non sono stupida, non mi sono immaginata un intero pomeriggio con la mia migliore amica. Insomma, non posso inventarmi tutto quello che abbiamo fatto ieri, dall'acquisto del cappellino che indosso anche ora, alle risate in camera sua. 

"Cosa cazzo.." sussurro, sta scherzando mi auguro.

Noto che continua a lanciare occhiate fugaci al gruppo dei 'compagni di classe' che la venerano come se fosse la loro dea, e ora capisco. 
Cosa credevo? Che la gente cambiasse con l'arrivo delle feste natalizie? 
Sono solo una povera stupida.
Annuisco piano e abbasso lo sguardo. Mormoro un "Capisco" e mi affretto ad entrare dentro l'infern-..amh, edificio. Spengo la cicca e la lascio cadere sull'asfalto bagnato, mentre "Perché si comporta così se dovrebbe essere la mia migliore amica?" penso e varco la soglia.
Sento le lacrime salirmi agli occhi, eppure perché? Dovrei esserci abituata ormai, dannazione.

Credo che siano troppe domande a cui trovare una risposta per essere solo le otto del mattino, magari se non ci penso è meglio. 
Dopo una serie di spallate e "Guarda dove metti i piedi, cogliona" o "Che cazzo fai?" finalmente raggiungo il mio armadietto, l'ultimo della fila, quello attaccato alla colonna portante che fa anche da stipite alla porta del bagno dei ragazzi. 
E no, non è un vantaggio, dal moemento che.. no, non ci voglio pensare, non ci devo pensare.
Giro la rotella della combinazione avanti e indietro e, anche qui, dopo un po' di pugni contro la superficie fredda e dopo una serie di imprecazioni, apro l'anta arancione di metallo estraendone i libri per la prima lezione della giornata: diritto ed economia.

Credo di aver sempre odiato questa materia, come le altre, tutto sommato. Come la scuola e i professori.
Non sono una cima, infatti, sono stata rimandata per due anni consecutivi. Non che mi interessi molto, chiariamoci. 
Sospiro e mi dirigo nell'aula 723 per assistere alla noiosissima lezione. Arrivo alla porta e scruto l'intera classe dalla soglia. Che banda di coglioni. Sono tentata di tornare indietro appena i miei occhi scorgono la figura di Rose seduta in un banco, stranamente sola, che aspetta qualcuno con una guancia appoggiata sul pugno chiuso.

Che stia aspettando me? No, impossibile. 
Ricordiamoci che lei non mi vuole vicina mentre siamo a scuola. Fa male ma è la verità.

"Signorina, ti vuoi togliere da in mezzo ai piedi?" tuona una voce roca alle mie spalle.

Con uno scatto mi giro nella direzione di provenienza della voce, scoprendone un ragazzo decisamente più alto di me, dai capelli ricci e due occhi verdi come lo smeraldo. La bocca rosea è piegata in ghigno mentre sento le risate dei miei 'compagni' rimbombare tra le mura e giungere al corridoio, travolgendomi come un uragano, ancora.

"Ma la gentilezza te l'hanno ficcata nel culo?" ribatto incazzata, sorprendendo me stessa e gli altri.

Il ghigno sulla bocca del riccio ancora di fronte a me si allarga, trasformandosi in una fragorosa risata pochi istanti dopo. 
Farò ridere, lo so.

"Fossi in te mi sposterei, sgnorina..?" continua ridacchiando.
"Benson, Abby Jai Benson." 
"Benson.. lo terrò a mente" mi sposta con un braccio facendomi sbattere poco gentilmente contro lo stipite in legno. 

Abbasso la testa e mi vado a sedere nell'ultima fila, sperando nell'arrivo immediato della signora Roberts, che plachi tutte queste risatine che, di nuovo, mi fanno sentire fuori posto. 
Il rumore che produce la sedia quando viene strisciata contro il pavimento è assordante, giro la testa verso la cattedra e vedo il ragazzo di prima che sistemma la sua borsa nera sulla sedia e si avvicina alla lavagna, prende un pennarello, e la scritta del suo, presuppongo, cognome imbratta di neero il bianco lucido.

"Styles, questo è il mio cognome. Il nome, quello, non è importante. Sono il vostro nuovo professore di diritto ed economia, portatemi rispetto, perché, neanche io vorrei essere qui." spiega veloce e si siede sulla cattedra.
"E perché è venuto, professore?" chiede seducente la voce di Tiffany, la sgualdrina di turno, anche se è la principessa delle troie in carica da quando l'ho conosciuta. Dio quanto vorrei dirglielo.

"Dopo quello che hai detto al nuovo professore pochi minuti fa, puoi fare di tutto" penso, e mi do pure ragione. Devo darmi un contegno.

"Per conoscere ragazze come te" un sorriso malizioso si fa largo sul suo volto.

Mi viene da vomitare e alzo gli occhi al cielo, cioè, al soffitto. 
Come può essere così spudorato un professore? Non crede che qualcuno lo possa denunciare? Tipo me, ad esempio. 
Devo fumare, assolutamente. Ora.
Impreco mentalmente mentre guardo l'ora su display del telefono, non ho alcuna intenzione di aspettare la fine dell'ora, soprattutto quando scopro che mancano ancora cinquanta minuti, Cristo. 
Sono maggiorenne, potrei anche uscire, ma non voglio avere altri 'scambi di opinioni' con il ragazzo. Dopotutto, ora che lo guardo bene, non sembra un professore. E' vestito con una normale camicetta nera, tre bottoni portati sbottonati lasciano intravedere dei disegni, impressi sulla pelle dall'inchiostro,  che spiccano sul suo petto, all'apparenza tonico. Le gambe sono fasciate da un paio di jeans stretto e blu, mentre ai piedi calza un paio di stivaletti marroni, non ha molto gusto. 
I ricci sono tirati indietro in modo disordinato, quando muove la testa per rivolgere il viso alle persone chiuse qua dentro, qualche volta, un ricciolo gli ricade sulla fronte e vorrei provare a risistemarglielo con le dita.  Gli occhi sono contornati da ciglia lunghe e sottile, le sopracciglia, invece, si sollevano a seconda delle espressioni facciali che assume. Le fossette contornano i suoi sorrisi, tipo quello che sta rivolgendo in questa direzione ora, forse a quella dietro, perché guarda proprio da questa parte. 
Mi giro per vedere chi è la malcapitata, ma mi accorgo che alle mie spalle vi è solo il muro giallognolo. Mi volto verso la figura del professor.. Styles, si chiamava? E noto che il suo sorriso si è trasformato nuovamente in un ghigno derisorio, il che non mi rassicura per niente. Abbassa lo sguardo e sembra stia pensando, ancora quell'espressione strafottente sul viso. Dio.. lo prenderei a sberle. 

"Benson, perché non vieni qui alla lavagna e mi spieghi tutto il programma svolto fino ad adesso?" ma questo che vuole? Non ci credo che lo sta facendo a me. Cazzo. La signorina Roberts non mi ha mai chiamata alla lavagna, sa della mia timidezza, anche se quest'oggi sembra praticamente sparita, ma gli attacchi di panico potrebbero venire lo stesso. Non li controllo, come non ho il controllo su nessuna parte di me, infatti le gambe già tremano. 

Sto andando nel panico, non dirò nulla e prenderò una F. 

"Stai aspettando la carrozza? Forza." il suo tono è più duro e la sua espressione è seria.

Scuoto leggermente la testa per negare alla sua precedente domanda. Mi faccio forza e striscio la sedia all'indietro, facendo leva sulle gambe e alzandomi in piedi, pronta a raggiungere l'altra estremità della stanza. 
Sento tutti gli occhi puntati su di me, e come biasimarli? Non sono mai stata in questa situazione, tutti i professori mi hanno sempre interrogata da sola, mentre eravamo solo io e loro, faccia a faccia. Anche quando arrivava un suplente, qualcuno lo avvertiva di questo mio 'disagio', possibile che questo energumeno non l'abbia avvisato nessuno? O magari l'hanno fatto e lui fa semplicemente come gli pare. Ho intuito più o meno che tipo è, e per questo opterei per la seconda opzione.
Deglutisco l'accumulo di saliva raggruppatosi in gola e raggiungo il muro vicino al professore.

"Cancella il mio nome, avanti" mi incoraggia severo e ubbidisco.
"Ora spiegami tutto il programma." 
"I-io.." balbetto.

Si alza dalla cattedra e le gira attorno, fermandosi alla sedia, aprendo la sua borsa ed estraendone un accumulo di fogli spiegazzati che riconosco come il registro di classe. Cerca anche una penna nella tasca posteriore della tracolla nera, trovandola e iniziando a scarabocchiare la data, in uno dei quadratini in alto al primo foglio che apre. Secondo me lo sta facendo a caso e apposta.

"Non sai le cose, non è vero?" dal tono di voce usato mi fa capire che non ammette repliche.
"Oh, caro mio, ti sbagli. Le cose le so, e te le direi anche, una ad una, te le sputerei in faccia tutte ste informazioni che non mi serviranno mai a un cazzo, se solo tu non ti ostinassi ad interrogarmi di fronte a tutti." penso e mi maledico mentalmente per non avere il coraggio di spiccicare parola. Nessuna.
"Perfetto. Alla fine delle lezioni la aspetto qui, così potremmo scambiare due chiacchere"

Il suo sguardo è fisso sulle caselle, direi che è persino concentrato mentre tiene il proprio labbro inferiore tra i denti. 
Rimango a guardarlo, anche quando si gira nuovamente verso di me e, cazzo, ecco di nuovo quel sorrisetto, che mi fa quasi paura, diciamo.

"Smettila di guardarmi, così mi sciupi" ridacchia, sollevando altre risatine, compresa quella di.. Rose. 

Cos'ho fatto di male? Perché ora ci si mettono anche i professori? 

"Ci vediamo dopo le lezioni in sala professori, non arrivare in ritardo" mi avverte, prima che la campanella suoni e lui raccolga tutte le sue cose, per poi uscire velocemente dalla stanza, lasciandomi in piedi, con i miei dubbi.

























Spazio autrice: Ehi :) allora che ne pensate? Questo capitolo non è entusiasmante ma come inizio mi sembrava buono. 

Che ne dite di Harry versione 'professore bastardo'? E della ragazzina piena di insicurezze dal nome Abby Jai Benson? 
Ovviamente, non posso svelarvi tutto subito, ma ci saranno delle sorprese lungo la storia. Ad esempio, perché harry si comporta così? E' un professore un po' insolito, non trovate? 
E perché non vorrebbe essere in quella classe? O dovrei dire, perché non vuole trovarsi in quella scuola?

Spero di avervi fatto venire un po' di dubbi, perché, fidatevi, le ultime domande che vi ho fatto hanno un senso be preciso che verrà scoperto più avanti. 

Questa fanfiction è presente anche su wattpad, l'ho scritta io e non è copiata da nessuno :)

Continuo a due recensioni. 

Fra .xx

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Capitolo 2
*** 2. I'll never let you down. ***


Mi sento come se il mondo volesse vedere fino a che punto resisto, non sapendo che ho già superato il mio limite e la corda continua a spezzarsi ripetutamente.

Aspiro il fumo dalla sigaretta che tengo tra le dita. Allontano l'involucro dalle labbra per espellere una nuvoletta di un colore grigiastro dalla bocca e per poi riavvicinarla e ripetere un ennesima volta il procedimento. 
Sono stanca, e vorrei davvero tanto che fosse solo per il sonno che ho a causa delle notti passate in bianco, dove le ansie salgono e non mi permettono di chiudere gli occhi, ma non è così.
La mia vita è abbastanza una merda da dire che fa schifo, insomma. 
Non capisco, però. Io vedo tutte le ragazze della scuola che sono così felici, così libere di vestirsi come pare a loro senza avere la paura di essere giudicate, così.. belle, magre. Mi chiedo se serve solo questo per essere liberi di vivere, in una società come questa. Mi chiedo il perché del comportamento scortese dei miei coetanei nei miei confronti e non nei confronti di altre persone. Non sto augurando a nessuno tutta questa sopportazione, solo.. perché a me?
Non mi reputo una ragazza che possiede una bellezza rara da far invidia alle modelle di Vanity Fair, ma neanche così oscena da essere presa in giro da tutti, professori inclusi. Credo di essere una via di mezzo, credo, una via di mezzo che però continua a non andare bene.

Mi mancano ancora due ore di scuola, prima di tornare a casa. E ne sarei felice, contando che l'ultima volta che ho guadato l'ora ne mancavano sei, se non fosse per un piccolo inconveniente chiamato 'professor Styles' che intralcia il mio cammino per la serenità della mia dimora, o quasi.

Sono convinta che la parola 'serenità' non descriva molto la tensione palpabile che da diverso tempo alloggia nella mia abitazione. Ormai ho fin smesso di contare i giorni quando ho raggiunto il numero ottocentosessantasette. Ottocentosessantasette giorni che mio padre se n'era andato di casa, ottocentosessantasette giorni che mia madre si portava a casa uno diverso ogni mese, ottocentosessantasette giorni che non facevo una vacanza visto che continuavo a studiare e a studiare, per attirare un briciolo di attenzione da parte di quella donna. Solo che poi ho smesso di tenere a mente il numero dei giorni di tutto quello schifo, più o meno l'anno scorso, è finita questa mia fissazione per i numeri.
Adesso, la situazione si è un po' calmata e mia madre ha una relazione fissa con Derek, un venticinquenne che potrebbe essere tranquillamente mio fratello. Mia madre non è troppo ' vecchia', vanta i suoi trentotto anni con tacchi alti e outfit che mettono in mostra il suo corpo e le sue belle curve, ma ritengo quel ragazzino comunque troppo giovane per lei. Poi, la vita è la sua. 
Stavo dicendo, oltre alla situazione sentimentale di mia madre, sembra essersi stabilizzato anche il suo lavoro, da venditrice porta a porta, a cameriera in fast-food da due soldi, finalmente a avvocato difensore -delle cause perse-. E' un passaggio molto grande, insomma, passare da donna squattrinata ad avvocato benestante con una figlia desiderata da università come Yale e Princeton, non è da tutti. E così, è riuscita anche a tenerei in piedi la nostra casa, pagando le bollette senza data di scadenza, facendo ristrutturare le parti marcite e rovinate, rendendo le nostre quattro mura più decenti e abitabili.

Faccio scivolare il mozzicone per terra e metto le mani sulle ginocchia per aiutarmi a sollevare il fondo schiena dagli scalini. E' tempo di tornare in classe, la campanella suona, annunciando l'inizio della quinta ora. Dovrei avere.. informatica. Oh, che gioia.
Mi avvio all'interno della struttura per raggiungere il mio armadietto e prendere i libri per la lezione, cammino con molta calma lungo i corridoi che man mano si svuotano dagli studenti, dopotutto, se arrivo con qualche minuto di ritardo non sarà la fine del mondo. 
Scorgo il mio armadietto in lontananza e sono abbastanza sollevata. Più mi avvicino, però, scorgo una figura, ai miei occhi sbiadita a causa della lontananza, appoggiata agli armadietti, precisamente al mio. Indossa una maglia a maniche corte, nera, e dei pantaloni dello stesso colore. Ai piedi porta delle Jordan bianche e rosse, mentre rimane appoggiato con la schiena alla superficie in metallo, le braccia conserte sul busto.

Oh, no.

Mi avvicino titubante pensando di aver già capito contro chi mi sarei imbattuta di li a poco. 
Non mi piace per niente questa situazione, cazzo.

"Benson" sorride il ragazzo.
"Aserea" rispondo, cercando di mantenere il suo sguardo.

Si sposta dalla posizione iniziale, appoggiandosi ora con l'avambraccio sinistro, in modo da non darmi la schiena. Si sistema i capelli tirati in un ciuffo proprio sopra la sua fronte. I piercing brillano a seconda dei movimenti che fa con la sua testa e, direi, che sono snervanti tutti questi sberluccichii che ha in faccia e sulle orecchie. Non sono gli stessi che aveva l'ultima volte che l'ho visto, prima delle vacanze. Ha cambiato quello al labbro inferiore e quello al sopracciglio, gli altri non sono variati. Soprattutto quello che gli buca il naso, il septum, credo si chiami. L'ho sempre odiato, e mi ha sempre fatto senso. Poi, quelli sulle orecchie non ci avevo fatto caso in precedenza, quindi non saprei dire.
La collana appesa al suo collo è stata cambiata, al posto della chiave dorata, ora porta un croce color argento, e credo che sia proprio di quel materiale, sapendo che i suoi genitori sono ricchi da fare schifo.

"Vedo che le vacanze non ti hanno cambiata" soffia avvicinandosi.
"Nemmeno a te, noto." rispondo dura.
"Io non cambio, nessuno lo fa" sorride strafottente.
"E perché io dovrei?" 
"Perché tu sei.. diversa" spiega.
"In che senso?"  non è che mi sta per fare un complimento?
"Le sfigate rimangono sfigate" dice lasciandosi trasportare da una risata.
"E gli stronzi rimangono stronzi" ridacchio anche io, senza un apparente motivo.

Vengo sbattuta contro gli armadietti e sussulto per il dolore acuto alla schiena. 

"Quante volte ti avrò ripetuto che non devi rispondermi?" una sua mano è sul mio fianco e mi tiene ben ferma, mentre l'altra è posizionata all'altezza del mio viso. 

Ora inizio ad avere paura.
Se all'inizio credevo che dei minuti di ritardo alla lezione non avrebbero fatto del male a nessuno, ora credo che sarebbe stato il contrario. Avrebbero fatto del male a me.

Mi arriva uno schiaffo sulla guancia, talmente forte da farmi girare la testa dal lato opposto. La mia bocca assume la forma di una 'o' mentre mi massaggio il punto colpito. Sono stupefatta. Non mi aveva mai colpito la faccia prima d'ora, ha sempre detto che avevo un visetto troppo carino per essere rovinato. Ma ora le cose sono evidentemente cambiate. L'ha fatto una volta, niente gli impedirà di farlo una seconda.

"Ehi, voi due" una voce proveniente dalla nostra destra ci richiama e non so se essere sollevata o meno dalla visione che mi concedo.

Il riccio è in piedi, a pochi metri da noi, che guarda in cagnesco Michael e gli intima di allontanarsi. 
Credo di star delirando. Vedo le loro bocche muoversi, ma non sento alcun suono. 
Non volevo e non voglio che il nuovo professore mi veda in questo stato, nessuno deve vedermi in questi momenti, dove mi sento così piccola e indifesa, debole, non che non lo sia in realtà. 
E forse è per questo che odio quando succede, quando mi rendo conto di ciò che sono davvero.
Sto qui, ferma a guardare la scena. Styles si è avvicinato, ora che sono vicini, posso intuire che l'altezza del professore non torreggia solo me, ma anche gli altri ragazzi. Quanti anni avrà? Non sembra molto più grande di me. Secondo me è sulla ventina, può darsi di più, ma non di meno, se no non potrebbe insegnare. Non in questa scuola, perlomeno. 
I ricci sono tirati disordinatamente all'indietro, le labbra carnose e rosee si muovono velocememnte, in contrasto con le pause irregolari che fa ogni tanto mentre parla. 
Ancora nessun suono.
Sento che sto per avere uno dei miei attacchi di panico, ne sono praticamente certa, a dir la verità. 
Le gambe iniziano a tremare, e le ginocchia fanno fatica a rimanere tese. Mi abbandono completemente contro  la schiera di armadietti, quando vedo il ragazzo biondo di fronte a me accennare un sorriso carico di malizia, e poi se ne va. Mi volto velocemente verso il riccio che ha lo sguardo fissato su di me, potrei dire che è preoccupato, ma quando mi ricordo delle sue precedenti parole, mi smentisco. 

"Stai bene?" la sua voce roca è ovattata, lontana. 

Annuisco piano prima di chiudere gli occhi.

--

"Signorina Benson, sto parlando anche con te!" squittisce la professoressa Thrue, con una voce troppo alta per i miei gusti.
"Uh?" distolgo lo sguardo dal mondo oltre la finestra della classe, e rivolgo la mia attenzione sulla vecchia.

Scuote la testa, si sistema gli occhiali appoggiati sul naso, e torna a spiegare la lezione su Manzoni. 
Lo ritengo assurdo, una perdita di tempo, questo poeta. Sapere che Renzo e Lucia alla fine si sposano, non mi permetterà di pagarmi le bollette. Non chiamerò loro quando dovrò cercarmi un lavoro. Non farò appello a Manzoni, quando dovrò discutere con il mio datore di lavoro. 
Ma più di tanto non mi lamento, è la sesta ora. 
La sesta ora. 
Controllo l'orario sul display del telefono, e mi sento mancare quando realizzo che mancano cinque minuti alla fine di questo giorno scolastico. 
Perché, il tempo, quando non deve, passa troppo infretta? 
Sbuffo contrariata, ricevendo un'ennesima occhiataccia dalla professoressa. Sto mettendo 'a dura prova' i suoi nervi, credo. Non mi ha mai richiamato così tante volte in una sola lezione. 
Oggi puntualmente non mi riconosco. Non sembro io. 
Dov'è finita la buona Abby Benson? Che fine gli ho fatto fare? 
Io.. io sto impazzendo.

"Preparate gli zaini, ragazzi. Sta suonando" credo che l'avrei fatto anche senza il tuo permesso sa'? Se solo fosse stato un altro giorno, l'avrei fatto. Magari domani.

Con riluttanza ripongo i libri e l'astuccio nello zaino, pronta per dirigermi al mio armadietto a prendere il libro di storia e diritto, poiché qualcosa mi dice che sarà un anno duro per quanto riguarda questa materia, e poi andare nella classe in cui mi aspetta il professor Styles. 
Esulto mentalmente e, con l'ironia che mi esce da tutte le parti, raggiungo la schiera di contenitori per i libri, prendendone quelli elencati prima e riposandone quelli superflui per il mio studio, tipo quello di matematica.
Non che l'idea mi alletti tanto, ma sono costretta ad andare nella classe di diritto ed economia. Non vorrei trasgredire ancora le regole, soprattutto se si parla delle sue

Raggiungo l'aula spoglia di qualsiasi cartellone o schema, dai muri bianchi e verdi, ormai più grigi che di altri colori.
La porta in legno chiaro, con una finestrella trasparente in alto, è aperta, rivelando il ragazzo riccio seduto sulla sedia, con il braccio sinistro incastrato tra la superficie della cattedra e il suo petto, mentre l'altra mano scarabocchia su dei fogli che presumo siano verifiche. 
I ricci sono tirati indietro alla buona, di tanto in tanto si passa una mano tra i capelli risistemandoseli, rimettendoli al suo posto e scompigliandoli. 
Alle mani porta diversi anelli, e lo noto solo ora, che sberluccicano grazie alla luce emessa dalla lampada a neon attaccato al soffitto. 
Mi schiarisco la voce ed esito a bussare, dapprima, ma poi mi costringo a farlo, ricordandomi che il professore ha una battuta pronta per tutto.

Alza gli occhi e mi rivolge uno sguardo, all'inizio severo, ma poi, si rasserena e mi rivolge un ennesimo sorrisetto furbo. 

"Benson" ridacchia. 
"Pensavo non saresti più venuta" 

Oh, si fidi che non l'avrei fatto.

"Accomodati" indica con un gesto della testa il banco di fronte alla cattedra e, in religioso silenzio, mi vado ad accomodare. 

La sedia striscia e io mi maledico mentalmente per aver causato tutto quel frastuono, ma a lui non sembra cambiare nulla e, da un lato, questo mi rassicura.
Lo sguardo è nuovamente rivolto ai test che sta correggendo con la penna.. verde? Ma chi corregge dei compiti con la penna verde? Cioè, ho capito che è un'anticonformista di prima categoria, ma stravolgere anche il colore della correzione.. no, dai.
Alza lo sguardo su di me mentre riordina i fogli, sbattacchiandoli sulla superficie piatta per metterli tutti dritti e ordinati. Che strano, avrei detto che lui e l'ordine fossero due cose completamente differenti.

"Allora" soffia, una volta che ha riposto gli oggetti che teneva tra le mani, nella tracolla. Congiunge le mani sul ripiano lucido della scrivania e, finalmente, o forse no, mi guarda. 
"Quanto avevi in questa materia lo scorso quadrimestre?" 
"Se-sette" balbetto e lui sogghigna.

Cosa ci trovi da ridere? Stronzo.

Abby Jai Benson che cos'è sto linguaggio?

Sto impazzendo.

"Sette. E mi spieghi come mai avevi sette se non sai un emerito cazzo?" impreca, sempre con quel fottutissimo sorrisetto che.. Dio.
"Come, prego?" la mia espressione credo parli da sola. Sono a dir poco scioccata. Ma come può parlare in questo modo? 
"Non ho detto nulla di male" sogghigna, e a me sembra tanto che le parti si siano invertite.
"Spiegami come facevi ad avere quel voto" il suo tono ora è.. derisorio.
"I-io.. io ho.." ma mi interrompe.
"Sono a conoscenza del tuo 'disagio'" scatta, graffiando l'aria mentre mima con le dita le virgolette.
"Ma dal modo in cui mi hai accolto, ero sicuro che ti fosse passato" cosa cazzo..
"No, non.. non so.. come mai le ho risposto in quel modo" mi schiarisco la voce, la saliva si sta ancora raggruppando nella gola. 
"Le volevo chiedere.." scusa.
"Noto che tutta la tua sicurezza di oggi si è, come dire, volatilizzata nel nulla" incatena i miei occhi con i suoi, per quanto lo voglia, non riesco a dsitogliere lo sguardo.

Non mi fa parlare, che emerito..

"Vieni alla lavagna" ordina.
"Professore io.."
"Vieni alla lavagna, ho detto." obbietto mentalmente ma decido di assecondare le sue richieste.

Mi alzo nuovamente e mi avvicino alla lavagna bianca.

"Chi era quel ragazo nel corridoio?" cosa centra ora?
"Un.. un amico." spiego, il mio tono improvvisamente duro.
"Ah si? A me non sembrava" 
"Lui.. io.. a lei non dove importare, con tutto il rispetto ma.. ma non la riguarda" balbetto ancora.
"Ti stava trattando male, a scuola, ed è il mio lavoro salvaguardare la sicurezza dei miei allievi. La cosa mi riguarda eccome" ringhia.
"Perfavore" sussurro, abbassando lo sguardo.
Sospira e "Parlami del parlamento inglese" mi chiede, cambiando di nuovo argomento.

Si passa la lingua sulle labbra, inumidendole. Intrufola nuovamente una mano nei capelli castani e li risistema, il suo sguardo guizza su e giù per le mie gambe strette nei jeans scuri e ogni tanto si sofferma sul mio viso. Le labbra rosee sono lucide, passa la lingua e poi si mordicchia il labbro inferiore come se stesse pensando. Poi, il solito ghigno perenne si fa largo sul suo viso, incorniciando la sua bocca.
Forse si è accorto che lo sto fissando.

"Vedo che non la smetti di guardarmi, per caso vuoi una foto? Guarda che quella dura di più" ridacchia, owh.

Si avvicina pericolosamente a me, la distanza non si può ancora definire annullata, ma è sicuramente minima.
Il suo sguardo è persistente e "No, grazie" mi affretto a dire.
"Preferirei passare tutta la mia vita all'inferno." sputo acida, abbassando il tono di voce. 

Sogghingna ancora una volta e si avvicina al mio orecchio.

"Spero di non deluderti, allora" e sussurra. 

 

 

 

 






 

 

Spazio autrice : eeehi :) prima di tutto volevo ringraziare chi ha recensito, quindi, grazie :) 
Poi, che ne pensate di questo capitolo? Abb
y sta diventando leggermente più 'sfrontata', potrei dire, almeno, questo è già il massimo per i suoi standard. E il professor Styles? Come vi sembra? Gli sarà venuto qualche dubbio in più ora che ha 'scoperto' un briciolo di verità sulla storia della sua allieva più odiata, forse, la signorina Benson? E a proposito, chi è questo Michael Aserea? E che cosa vuole da Abby?
Spero di avervi fatto venire altri dubbi.. scusate se ci sono errori :c

Continuo a due recensioni c:
Buona lettura e al prossimo capitolo. 

Fra .xx

 

 

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Capitolo 3
*** 3. I knew he was hiding me something. ***


"Mamma.." sospiro contro la cornetta del telefono.
"Mamma davvero, non ho fame, ho mangiato tanto a pranzo." affermo corrucciando le labbra in una strana smorfia.
"Non c'è bisogno che mi fai preparare qualcosa da Derek." la ammonisco, caricando il nome con un tono leggermente schifato.
"Non mi interessa se è bravo! Non passerò dal suo ristorante, e non iniziare con la storia che mangerei gratis, per favore." rispondo sbuffando, svoltando nel vialetto di casa mia.
"Ormai sono a casa. Divertiti, mamma."  e chiudo la conversazione, premendo l'icona rossa sullo schermo del mio cellulare che ripongo in tasca, ed estraggo le chiavi per aprire la porta principale dalla borsa. 

Una volta trovate, le inserisco nella toppa e giro verso sinistra un paio di volteprima di sentire lo scatto della serratura. Giro il pomello della maniglia e mi fiondo nell'ingresso, salendo poi in cameraper svuotare la borsa. Decisamente troppo scomoda con questi vestiti, decido di cambiarmi, infilando un paio di leggins neri su per e gambe e un maglione rosso e largo a ricoprire la parte superiore del mio corpo, poi lego i capelli in uno chignon disordinato. Prendo in mano il telefono e il libro di geografia e mi dirigo in cucina per rinfrescarmi un po' la gola. Poso il volume sul ripiano in marmo della penisola ed estraggo un bicchiere dalla credenza sopra il lavandino. Mi avvicino al frigo e prendo la bottiglia di plastica contente succo d'arancia, ne svito il tappo e verso il liquido con un po' di grumi nel bicchiere.
Ne bevo un sorso, afferro libro di testo e mi vado a sdere sulla sedia a dondolo nella veranda che da come vista il vialetto di pietre. 
Sistemo il maglione largo tirandolo leggermente all'altezza della pancia e appoggio il bicchiere e il cellulare sul tavolino accanto alla sedia, mentre il libro giace sulle mie gambe incrociate. Inizio a sfogliarlo, leggendo in modo sconnesso le righe che spigano l'agricoltura della Croazia.

Nemmeno dieci minuti dopo, lo smartphone inizia a vibrare, e dalla suoneria riconosco che si tratta di un messagio. Lo afferro e sul display appare il nome di Rose con affianco l'icon di whatsapp. Con una velocità sorprendente sblocco il telefono e vado a leggerne il contenuto espresso in dodici righe..
Finito di far fare ping-pong ai miei occhi sullo schermo, riblocco il telefonoe torno a concentrarmi sull'agricoltura e l'economia  dello stato che sarà argomento dell'imminente verifica. 
Giocherello con una ciocca di capelli dall'acconciatura trasandata e improvvisata, artoccigliandola fra le dita, mentre la mia mente cerca di immagazzinare tutte le informazioni scritte nel testo. 
Il telefono vibra di nuovo, lo riprendo fra le mani e lascio perdere, rimettendolo a posto, quando rileggo il nome 'Rose'. 

Dopotutto non è la prima volta che leimi tratta in questo modo . Io sono Abby Jai Benson e non posso cambiare, nessuno può farlo. Sono la più sfigata della scuola, forse, anche se nessuno mi ha mai definita così. 
Diciamo che, all'inizio, il primo anno, ero trattata come una normale matricola. Venivo definita carina, dolce, intelligente, a volte anche secchiona, ma a quei tempi sono sicura non fossero insulti o prese in giro.
A metà settembre ero la ragazza nuova -e non matricola- più popolare della scuola, insieme a Rose.
Ero diventata così grazie a lei, ero la sua spalla, la sua ombra. Ma ero anche la seconda scelta. Infatti, essendo lei la più carina tra le due, tutti i ragazzi le chiedevano di uscire. Poi, quelli che venivano rifiutati, si accorgevano di me. 
La ruota di scorta, ecco. Ero più o meno anche la sua segretaria. 
Non ho neanche mai fatto la metà delle cose che Rose faceva -e fa- ai suoi appuntamenti. Non ho mai regalato nulla di me, a nessuno.
E nel frattempo che lei continuava ad essere elogiata, io sprofondavo sempre di più nell'oblio della mia adolescenza. Almeno, questo finché non arrivò Michael Aserea.
Lui non era uno degli 'scarti' della mia migliore amica -che consideravo così solo perché, oltre a lei, non avevo nessuno-. Quando mi aveva chiesto di uscire, avevo provato così tantafelicità che sarei ptuta scoppiare da un momento all'altro.
Perché, cazzo, era anche il primo ragazzo che si accorgeva della mia disponibilità sentimentale senza essere prima passato da quella di Rose.
Era bello, poi. Uno di quei bad-boy dei romanzi per ragazzi, che la protagonista della storia doveva salvare dal disastro, dalla piega sbagliata, che avrebbe preso la sua vita. E io mi sentivo così: la protagonista del libro della mia vita. Per la prima volta mi sentivo partecipe di una storia d'amore coi fiocchi, senza accontentarmi del ruolo di spettatrice occasionale.
Lui con me era così.. dolce, premuroso e anche molto protetivo. Era stato comprendivo quando gli avevo negato una notte felice, facendogli capire che era un passo troppo importante per me e io non mi sentivo ancora pronta per affrontarlo. 
La cosa aveva destato sospetti da parte della mia unica amica, che mi aveva ripetutamente consigliato e avvisato di lasciar perdere e di allontanarmi da lui, quando facevamo le serate a casa sua e il giorno dopo si poteva -ancora- raccontare agli altri. Ma d'altronde ero troppo stupida e accecata dall'amore misto alla rabbia per poterle dare ascolto. 
Ancora mi ricordo i suoi "Ma non mi piace!" in risposta alle mie accuse sul fatto che voleva separarci solo per poi tenerselo tutto per se'. Nel secondo anno delle superiori, in una sera fredda di febbraio, anche la pazienza di Michael andò a farsi fottere, facendomi passare le due ore più lunghe della mia vit in quell'inferno che si rivelò la sua macchina. 

E io che mi ero innamorata davvero.

Ero stata un gioco nelle sue mani. Un gioco che è durato fino all'inizio dell'estate appena conclusa, quando fu arrestato per spaccio. 

Nessuno mi aveva dato una mano. 
Nessuno aveva cercato di capire il perché delle mie maglie a maniche lunghe anche con il calore estivo, della mia voce che man mano diventava sempre più roca.
Nessuno.
Ma tutti si erano impegnati per farmi sentire in qualche modo 'strana' e per farmi notare la decadenza della mia reputazione. Peggiorata, ovviamente. Dalla spalla popolare della ragazza più popolare dell'istituto, a sfigata, anche se, ripeto, nessuno mi ha mai chiamata così. Ma le continue prese in giro e gli insulti gratuiti me l'avevano fatto comprendere in poco tempo. 
Nei miei confronti è cambiato anche l'atteggiamento di Rose che, per difendere la sua popolarità, aveva pensato bene di rivelarsi indifferente a tutti i segni e le richieste d'aiuto che gli lanciavo con lo sguardo. 
Lo stesso di sempre. 

Abbiamo litigato molto spesso per questo genere di cose, alla fine farò come sempre. 
La perdonerò dicendo che è l'ultima volta, anche se so che non lo è.

"Benson!" una voce fin troppo famigliare mi saluta quasi sollevata nel vedermi.

Alzo gli occhi dal libro, che poi avevo abbandonato, immersa nei miei pensieri, e la figura che trovo camminare lungo il vialetto di ciottoli, mi stupisce e non poco.

"Professore?" ma cosa.. "Cosa ci fa qui?" chiedo, cercando di ricompormi un po', in fin dei conti sembrerò una scappata di casa conciata in questo modo. 
"Stavo facendo una passeggiata e.. nulla, sono passato qui vicino e ti ho vista. Cosa studi?" chiede disinvolto. 

Glielo ricordo io che giusto un'ora fa mi ha praticamente urlato contro, o pensa di ricordarselo da solo? 

"Cosa vuole?" rigiro la domanda.
"Te l'ho detto" ghigna, non lo reggo. 
"Geografia." affermo, per poi ritornare con gli occhi su libro di testo. 
"Disturbo?" non si offenda ma si, mi sta disturbando. 
"No, solo che.. ho la verifica dopodomani, e non so nulla" sospiro e rivolgo la mia attenzione su di lui.
"Vuoi una mano?" chiede e si piega sulle ginocchia per raggiungere la mia altezza.

In questa posizione, con lui appoggiato con i gomiti al bracciolo della mia sedia, sono decisamnte più alta io. 

"Ma mi sta prendendo in giro?" chiedo e mi mordo la lingua subito dopo.
"Perché?" sorride strafottente.
"Nulla, lasci perdere." mi alzo e raccolgo tutte le mie cose, apro la porta e, mentre to per entrare, il ragazzo mi afferra per il gomito.
"Dove stai andando?" dallo sguardo sembra preoccupato, ma sul suo viso non si fa largo nessuna emozione che lo confermi.
"In casa, è un problema?" domando tenendo ben stretti libro e telefono tra le braccia.
"Si. Cioè, no. E' casa tua, insomma, puoi fare come vuoi" si guarda intorno più volte, e, quando si sofferma sulla figura di un uomo alle sue spalle in piedi dalla parte opposta del marciapiede, capisco che non sta ammirando la tappezzeria della mia abitazione. 

Con un gesto veloce si fa largo nell'ingresso e chiude la porta. 

"Ma ti sembra il caso? Entra pure eh! Che ti è preso?!" sbotto, lo sapevo che c'era qualcosa sotto.

 

Spazio autrice: eehi :) scusate il ritardo ma non mi caricava il capitolo. 
Allora, che ve ne pare? E' un capitolo di passaggio, svela un altro pezzo della storia di Abby, ma per quanto riguarda il rapporto tra lei e il professore non dice molto. Mi dispiace, il prossimo capitolo sarà sicuramente migliore e più ricco di avvenimenti. 

Continuo a due recensioni, buone lettura e al prossimo capitolo. :)

Fra .xx

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Capitolo 4
*** 4. Robin. ***


Lo sapevo che mi stava nascondendo qualcosa. Perché non me ne sono accorta prima? Dannazione. 
Sono una povera stupida. Se no, perché si è presentato qui? Nessuno verrebbe a trovarmi e lui, beh, lui non è affatto diverso. 

Se ne sta lì, con la fronte appoggiata sull'avambraccio che si poggia a sua volta sul legno di mogano della porta, l'altra mano in tasca, il viso corrucciato in una smorfia dovuta all'occhio destro chiuso che facilita la vista al sinistro, fermo sullo spioncino. 
E' così da almeno un quarto d'ora, non si è mosso, nemmeno per sistemarsi i ricci ribelli. Il suo respiro è regolare, il petto si alza e abbassa in un ritmo costante. Non ci sono rumori. Solo l'aria che fuoriesce a piccoli sbuffi dai nostri nasi. 

Prima di mettersi in questa posizione, mi ha poco gentilmente consigliato di farmi gli affari miei e di non scostare le tende, di non espormi in nessun modo. 
Ovviamente lo ascolto, giusto? 

Sbagliato.

Nell'istante in cui noto che la sua attenzione non è più rivolta su di me, non perdo tempo a separare leggermente le tende con due dita e a sbirciare oltre il vetro. 
L'uomo è ancora lì, non accenna a spostarsi, nessuna espressione sul suo volto. I capelli neri e corti crescono sulla sua testa e gli occhiali scuri e grandi coprono i suoi occhi. Avvicina una mano coperta da un guanto rigorosamente nero, e abbassa di poco gli occhiali. 
I suoi occhi guizzano sul mio viso, dal naso, alla bocca, e infine agli occhi, e in quel momento mi sento mancare. I nostri sguardi rimangono a contatto per circa cinque secondi. Non so per quale strano motivo il mio cervello ci impiega osì tanto per realizzare -e per farmi compiere- l'azione di spostarmi dal vetro e richiudere tutto. 
Mi riprendo dal trans in cui sono caduta e con uno scatto veloce ritraggo le dita e mi tiro indietro. 
Sfortunatamente, il riccio se ne accorge e "Che diavolo stai facendo?" mi chiede poco garbatamente. Mi riduca arispondergli con un' alzata di spalle e "Nulla, cosa vuoi che faccia?" per liquidarlo. 

Appena noto che tira un sispiro di sollievo e si ricompone, non perdo tempo a spegnere il sorrisetto divertito che si spalma sulle labbra rosee, con una domanda.

"Chi era quello?" incrocio le braccia al petto e batto convulsivamente il piede sul pavimento in parquet.
"Ti ho già detto che non sono affari tuoi." risponde duro.
"Non sono affari miei?" ribadisco ironica.
"Beh, capisci in fretta" borbotta.
"Era una domanda retorica!" sbotto, non può negare l'evidenza. 
"Senti, se io non ti racconto nulla, è perché non voglio incasinarti l'esistenza. Okei? Non mi mettere in difficoltà."
"Non vuoi incasinarmi l'esistenza? Ma cosa.." 
"Non di quanto lo sia già" conclude infine, lasciandomi un secondo perplessa.
"Come mai non lo sto vedendo come un complimento?" icrocio le braccia al petto e cerco di assumere uno sguardo di sufficienza. 
"Se ti dovessi raccontare tutto.. cambieresti, la tua vita cambierebbe. E non voglio" sospira.
"Cambierebbe in meglio?" 

So che molto probabilmente la risposta è negativa. Ma nonostante questo, non riesco a sopprimere la speranza che sta crescendo. 
Dare finalmente quella svolta che aspettavo da tanto, una svolta a quella monotonia che è diventata la mia vita. 

"Non direi" da un'occhiata veloce fuori, scostando la tenda con una mano e "se ne è andato" sospira.
"Mi risponda." con uno scatto sono tra lui e la porta, bloccando sul nascere ogni desiderio di fuga.
"Abby spostati." sbuffa.
"Mi risponda!" 

Il tono usato lascia di stucco entrambi. Mi ricompongo in fretta, abbasando lo sguardo e arrossendo violentemente. 
Forse non si sbagliava quando diceva che il mio 'disagio' gli sembrava guarito. Eppure so che non lo è. 
Ma con lui.. mi sembra tutto più facile, insomma. Rispondergli a tono, cercare di tenergli testa, pare una passeggiata. Anche se è un professore. 
Mi passo distrattamente una mano tra i capelli scuri e cerco un qualsiasi argomento sul quale aggrapparmi, per distogliere l'attenzione da me, ma non mi viene in mente nula, così faccio prima e rimango zitta. 
Lo sguardo persistente del riccio sembra bruciarmi sulla pelle, e non riesco più a sopportarlo. 
Le calze nere che coprono i miei piedi sembrano molto più interessanti, ma quando la voce roca del professore rompe il silenzio, le parole che pronuncia, mi fanno trasalire.

"Gestisce un traffico di droga, non posso dirti altro" dice scrutandomi d testa a piedi, forse per anticipare una mia qualsiasi azione. 

Il problema è che sono a dir poco perplessa. Sioccata, forse è il termine più giusto. 
Non sento parlare di droga dalla morte di Ily, quando lui fu arrestato per traffico illegale di sostanze stupefacienti. Non ci posso credere, magari Styles lo conosce, o conosceva; magari lo conosce di vista o gli è capitato di parlarci un paio di volte. 
O forse, più semplicemente, mi sto facendo troppi complessi mentali. Non ho nessuna certezza che il professore sia coinvolto in questa schifezza. Sarebbe impossibile, non avrebbe un' abilitazione per l' insegnamento. 
Devo smetterla di continuare a pensare e ripensare di trovare una qualsiasi prova per provare l'innocenza di mio fratello. Eppure, aveva solo diciotto anni, non si meritava tutto quello che ha passato. 
Soprattutto, si meritava una morte dignitosa, in un letto d'ospedale, magari, o più sempicemente nel letto di casa sua, vicino a sua moglie. Sicuramente, non doveva passare all'altro mondo in una fredda, spenta, cella, con una corda attorno al collo. 

 

Mille pensieri si susseguono nella mia mente nel tragitto tra casa mia e la scuola. 
Il professore, la droga, Ily. 
Le superga producono un rumore ovattato mentre cammino lungo il marciapiede. Estraggo un sigaretta dal pacchetto nella tasca, mi fermo e copro l'estremità scoperta di tabacco e avvicino la fiamma dell'accendino blu metallico, tiro e sbuffo fuori la nuvoletta di fumo. Ripongo tutto nella tasca del giubotto e riprendo a camminare, di tanto in tanto appoggio l'involucro di tabacco alle labbra ed aspiro, cercando di liberare la mente da tutti i pensieri. 
Devo essere preparata e con la mente sgombra per la verifica di geografia per la quale mi sono preparata in parte, dato la visita a sorpresa del prefessore. 
Si era conclusa con lui che se ne era andato senza dire una parola, le mani nelle tasche dei jeans neri e aderenti, testa alta. Non mi aveva dato spiegazioni, mi aveva lasciata ancora una volta sola con i miei dubbi. Odio quando fa così. Quando mi tratta da piccola stupida, quando forse c'entro più io di lui in tutta questa merda.
Se solo mi lasciasse spiegare.. ma perché dovrei spiegargli quello che succede nella mia maledettissima vita? Mi odia, lo odio. Non sono tenuta a raccontargli un emerito cazzo, ma lui si. Centra Ily e Ily è mio fratello. 

Una macchina nera con i finestrini oscurati si accosta accanto a me quando cesso anche io i miei movimenti. Tasto la tasca dei pantaloni in cerca dei fazzoletti, ma non trovo nulla. 
Fa niente, chiederò a.. a nessuno, non importa, starò senza fazzoletti. 
Riprendo la mia camminata e, ovviamente, la macchina si muove con me. Non mi sembra possibile, mi sento catapultata in un film thriller, e ho sempre odiato quel genere. 
Comincio a camminare velocemente, buttando a terra la cicca e facendo un favore ai miei polmoni. Risitemo lo zaino sulle mie spalle e accelero ancora, consapevole della macchina al mio fianco. 
Percepisco il rumore metallico del finestrino che si abbassa e una voce calda e bassa che "E' lei?" chiede al suo compagno, sperando che non stia parlando da solo come un pazzo, ma, naturalmente, vengo smentita. Infatti, una seconda voce, questa poco più alta, ma poco rassicurante, "Si, era con il ragazzo" afferma. 
Mi giro un secondo per riconoscere che l'ultmo che ha parlato è un uomo, lo stesso del giorno prima.
Sono stata una stupida a guardare fuori dalla finestra, sono stata un'emerita stupida a non ascoltare il professore neanche questa volta. 
Sono una stupida, e adesso? 

"Ehi, ragazzina" mi chiama la prima voce, accelero.
"Ehi, dice a te!" mi richiama la seconda.

Ormai non sto più camminando, la mia psedudo corsa e a dir poco oscena ma non mi interessa. Con la coda dell'occhio intravedo la macchina aumentare di velocità e così corro più veloce, la borsa che sbatte sulla mia schiena a ritmo irregolare, il cuore in gola. Ora ho paura. 
Ormai le gambe stanno andando da sole, perché correndo non mi sembra proprio il termine più giusto. Il fiato scarseggia ed è proprio in moementi come questi che ti capita di maledire il moemnto e il motivo per il quale hai iniziato a fumare e intossicarti in quel modo stupido. 
Non mi sento più nulla, l'aria mi sferza il viso e sta diventando insopportabile, è troppo fredda. L'unica cosa che sento è il dolore alle ginocchia e all'anca sinistra.
Devo fermarmi.
Accosto vicino alla staccionata bianca di una casa e respiro affanosamente. Appoggio le mani alle ginocchia e mi piego, non riesco più a correre, il respiro è veloce e i miei polmoni non riescono più a contenere e a buttare fuori l'aria necessaria per una respirazione adeguata. 
Boccheggio in cerca di ossigeno mentre le mie dita si intrufolano tra le ciocche leggermente umide di capelli che mi ricadono sulla fronte. 
Penso di essere vicina all'infarto, quando una mano calda si poggia sulla mia spalla. Con uno scatto mi giro a guardarne il proprietario e perdo dei battiti quando noto l'uomo di ieri esattamente di fronte a me. 

Che cosa vuole ora?

"Tu sei un'amica di Harry" suona più come affermazione che come una domanda.
"Harry? Non conosco nessun Harry." chi è questo, adesso? 
"Oh, andiamo bambolina, non fare la stupida. Non ti hanno insegnato che le bugie non si dicono?" bambolina? 
"Non conosco nessun Harry." ribadisco aancora una volta, sperando che sia tutto chiaro al signore. 
"Ma ieri eri con lui." il suo sguardo è duro appena si abbassa gli occhiali scuri sul naso, la voce è ferma e calda. 

Devo sembrare parecchio un' idiota per l'espressione assunta in questo momento. 
L'uomo sospira, si porta l'indice e il pollice della mano che non stringe la mia spalla sul ponte del naso e chiude gli occhi. 
Mi dispiace fargli perdere la pazienza, ma non so chi sia.

"Styles. Questo cognome ti dice nulla?" 
"Oh.. be, si. E' il mio professore di diritto ed economia" rispondo. 
"Si chiama Harry?" 
"Si, non dice mai il suo nome" annuisce.
"Come mai?" ora sono troppo curiosa. 
"Da quanto vi conoscete?" ma cosa..
"Ma non ha risposto alla mia domanda" preciso, alzando la voce.
"Chiedilo a lui, e ora rispondimi" sorride.
"Da esattamente ieri. Come mai tutte queste domande?" sono stanca, e in ritardo. 
"Segreto" sorride e si passa due dita sulle labbra come se stesse chiudendo una zip immaginaria.
"Non crede che io debba saperlo?" la mia voce si incrina. Sto perdendo tempo. E chi ha tempo da tempo, ma chi non ha tempo.. sto perdendo tempo.
"No" gli angoli delle labbra ancora rivolti all'insù.
"E invece si." sbatto un piede per terra come una bambina capricciosa, scaturendo la risata del signore di fronte a me e di quello ancora seduto in macchina.
"Ci sono tante cose che non sai, bambolina" ridacchia e sposta la mano dalla mia spalla alla mia nuca, risalendo e accarezzandomi la testa in modo paterno. 
"Comunque sono Robin, piacere" mi porge la mano e, titubante, gliela stringo.
"Abby" biascico immersa nei miei pensieri. 
"Lo sapevo" mi fa l'occhiolino, Robin, per poi risalire nell'audi nera del suo amico. 

Mi fa un cenno con il capo e dopo una sgommata mette in pratica una perfetta inversione a 'u' e parte verso il lato opposto della via. 
Altre domande si affollano nella mia mente e la concentrazione per il test sta andando velocemente a farsi fottere. 
Solo una persona è in grado di spiegarmi tutto, e sarà meglio per lui che lo farà. 

Professor Styles, o forse.. Harry?






























Spazio autrice: ehi c: scusate se è da un po' che non aggiorno ma ho dovuto studiare tanto per gli esami che per fortuna finiscono domani. 
Cooomunque, che ne pensate di questo capitolo? Spero vi piaccia, come sempre continuo a due recensioni :)

Buona lettura e al prossimo capitolo.
Fra .xx

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