Un palloncino sopra le nuvole

di Schifottola
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Telefonate ***
Capitolo 2: *** Test e speranze ***
Capitolo 3: *** Mamma, dov'è il mio papà? ***
Capitolo 4: *** Giammai! ***
Capitolo 5: *** Risvegli e gelosie ***
Capitolo 6: *** Arrivo a casa Hummel ***
Capitolo 7: *** Io sono... ***
Capitolo 8: *** Mamma, io sono... ***
Capitolo 9: *** Blaine torna a casa ***
Capitolo 10: *** La finestra sul giardino ***
Capitolo 11: *** Scoperte a colazione ***
Capitolo 12: *** Primo giorno di scuola. Prima parte ***
Capitolo 13: *** Primo giorno di scuola. Seconda parte ***
Capitolo 14: *** Bulli, Bob e Gelosie ***
Capitolo 15: *** Fantasie ***
Capitolo 16: *** Il vero nome della maledizione dei Calhoun ***
Capitolo 17: *** Riunione ***



Capitolo 1
*** Telefonate ***




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Un palloncino sopra le nuvole.

 
 
 
“Se non puoi essere mio … Allora non sarai di nessun altro!”
Kurt spalancò i suoi occhi color del mare. Fu un attimo non capì bene quello che successe. Sentì solo un rumore fortissimo e un dolore sordo, mentre nella sua mente apparve l’immagine di un ragazzo dai capelli neri con ricci indomabili, occhi color dell’ambra e un sorriso contagioso.
Un ragazzo che era che era tutto il suo mondo...       
 
 
 
 
 
 
 
 “Pronto chi parla?” domandò incurante Richard Anderson, un uomo alto e decisamente affascinante dai folti capelli ricci castani ma ampiamente striati di grigio, ma chiunque lo incontrava, dopo essere rimasto conquistato dal suo aspetto, notava specialmente i suoi tristi occhi azzurri.
 In quel momento l’uomo stava  finendo di sistemare la spesa che aveva fatto di corsa al supermercato appena aveva finito il suo turno in ospedale: era un medico chirurgo, ed  molto rispettato nella piccola cittadina di Lima in Ohio.
“Iqba Figgins. ” rispose una voce decisamente scocciata.
“Merda!”soffiò al ricevitore Richard mentre sbatteva con mala grazia sul tavolo della cucina un pacco di riso e si passava una mano sul viso stropicciandoselo.
“Come?!”
“Niente!-si affrettò a dire Richard sperando che l’uomo davvero non avesse capito l’esclamazione colorita che gli era sfuggita involontariamente.- Preside Figgins che piacere sentirla! Mi dica: qual buon vento la porta   a chiamarmi?” parlò in modo cordiale e allegro sperando che almeno quella volta il preside del McKinley High School  gli telefonasse per dirgli qualcosa di positivo su suo figlio più piccolo, Blaine.
“Senta signor Anderson lo sa benissimo perché la sto chiamando, non giriamoci attorno!” rispose spazientito Figgins.
“Che ha combinato stavolta Blaine?” chiese sconfitto, preparandosi all’ennesimo racconto da parte del preside con voce irata.
“Con un pennarello indelebile ha scritto delle volgarità nello spogliatoio maschile della scuola, indirizzate alla squadra di football! Davvero inammissibile un comportamento del genere!”
Richard prese una delle sedie del tavolo della penisola della cucina e si sedette, passandosi  una mano fra i capelli per il nervoso e sospirò stanco, ma non poi così basito dell’azione del figlio, lui odiava metà degli sportivi della sua scuola!
“Che avrebbe scritto? Che prove ci sono che è stato lui? Ha per caso confessato?!” domandò sarcastico.
“Confessato? Che battuta davvero spiritosa signor Anderson! ”
“Senta Figgins, mio figlio fa parte della squadra di football, che senso ha che scriva delle cose anche contro se stesso!?”
“ Senta lei signor Anderson! Quella sugli armadietti è la calligrafia di suo figlio, ed era così orgoglioso della propria bravata che ha anche firmato ciò che ha scritto!”
Richard nascose il volto nella propria mano e fece un respiro profondo, quella era una cosa decisamente da Blaine.
“Non mi ha ancora detto che ha scritto sugli armadietti!”
Richard sentì il preside che faceva un verso imbarazzato come se cercasse un po’ di coraggio per ripetere ciò che aveva letto.
“I Titans hanno i cazzi piccoli, Azimio e Karofsky poi li hanno microscopici! Invece, Blaine Anderson è super, super, super dotato! Firmato il super,  super, super dotato B.A.”
Figgins aveva detto la frase incriminata in modo veloce e con una voce decisamente più bassa rispetto a poco prima.
Richard Anderson alzò gli occhi al cielo, trattenendosi dal tirare fuori un'altra espressione colorita come poco prima, chiedendosi perche suo figlio dovesse sempre fare cazzate del genere.
“Mi dispiace davvero! Pagherò la pulizia degli armadietti e parlerò con mio figl-”
“Richard, posso chiamarla Richard?” domandò il preside bloccandolo.
“Certo.”
“Se tuo figlio continua su questa condotta, sarò costretto a prendere in considerazione di espellerlo! Non posso permettere che continui a comportarsi così! L’anno scorso è stato un continuo richiamarlo e metterlo in detenzione! Aggredisce in continuazione i suoi compagni di scuola!”
“Aggredisce solo chi abusa del proprio status e si beffa degli altri e in genere si tratta solo dei giocatori della squadra di football che poi, per essere più precisi, sono sempre i soliti quattro studenti!”
“Non è una scusa! Avanti di questo passo prima o poi qualcuno si farà male seriamente!”
“ Blaine non attacca senza motivo! Se prende dei provvedimenti così drastici su mio figlio sappia che a quel punto pretendo che li prenda anche per Azimio, Karofsky, Williams e Tisley e i loro continui atti di bullismo!”
“Nessuno li ha mai denunciati per atti di bullismo però!” controbatté Figgins con calma e Richard si innervosì ulteriormente.
“Chieda ai ragazzi del Glee club o ai poveri nerd della scuola se quei raga-”
“Richard non possiamo cadere nei soliti discorsi! So benissimo quello che mi ha ripetuto mille volte ed io le ripeto per l’ennesima che, se nessuno li denuncia, ho le mani legate! Ho chiesto a Schuester di parlare con i ragazzi del coro, ma nessuno di loro è venuto a denunciarli, nemmeno tuo figlio!” gli rispiegò pazientemente il preside.
“Non c’è nessun altra scuola nella città di Lima che offre quello che offre il McKinley! Se viene espulso l’unico altro posto che potrei mandarlo, sperando che venga accettato, è alla Dalton Accademy! A due ore di distanza da casa! Non voglio e non posso mandare mio figlio via di casa a 16 anni e nemmeno posso prendere in considerazione di trasferirmi! ” ribatté l’uomo con forza e rabbia.
“Richard lo so che non puoi e so che non è per una questione di soldi, dato tutte le generose donazioni  che fai alla scuola. So benissimo tutta la delicata situazione tua e di tuo figlio, proprio come chiunque qua in città! Ed è per questo che tutti chiudiamo un occhio sul comportamento di Blaine, anche il consiglio scolastico, ma non possiamo farlo per sempre!”
“Ho capito, stasera parlerò con Blaine.”
“Ti prego fallo! Non pretendiamo che diventi un angelo dall’oggi al domani, ma che almeno dimostri che può migliorare il proprio comportamento! Solo facendo così il consiglio scolastico, il corpo insegnati ed io continueremo a chiudere quell’occhio sui comportamenti sopra le righe di tuo figlio!”
Richard chiuse la telefonata con Figgins con un senso di amarezza che gli attagliava lo stomaco, non poteva farsi prendere dallo sconforto, non ne aveva il tempo! Lo doveva fare per lui, per Blaine e per Cooper.
Sentì la porta di casa chiudersi e poco dopo sulla soglia della cucina apparve suo figlio minore Blaine con i ricci esattamente come i suoi che lo fissava con sguardo incuriosito attraverso i suoi occhi di quella tonalità indefinita così identici a quelli della sua defunta e amata moglie, Melanie.
“Blaine vieni qui che io e te dobbiamo parlare!”



 
“Salve. Parlo con il signor Burt Hummel?” Chiese una voce di donna fredda e pratica.
“Sì, sono io. Che desidera?”
“Sono, Johanna Sullivan del reparto dei servizi sociali della città di New York.”
“Mi scusi?”Burt era incredulo, che diavolo volevano da lui i centri sociali di New York?
“Lei conosce Elisabeth Calhoun?”
Il cuore dell’uomo ebbe un sussulto, era da otto anni che non sentiva più nulla della sua ex moglie, da quando c’era stato il funerale di Malanie Andesorn che aveva avuto quella triste fine.
Lui ed Elizabeth all’epoca si erano quasi ignorati, anche se si erano rivisti dopo otto anni da quando l’aveva lasciata per mettersi e sposarsi con la vedova Carole Hudson.
“È la mia ex moglie. ” rispose con qualche tentennamento dato dallo stupore.
“Mi dispiace informarla che è morta la settimana scorsa.  Un auto l’ha investita.”
Burt sentì una fitta di dispiacere a venir sapere che Elisabeth era morta, ma dopo tutti quegli anni di silenzio e un cordiale rapporto rancoroso per una rottura non esattamente facile dopo una vita matrimoniale incompatibile non riusciva a provare altro.
“Ok è davvero una notizia inaspettata. Quello che non capisco e perché mi state contattando?”
“La signora Calhoun aveva un figlio e nel testamento che ha lasciato sostiene che lei è il padre.”
“No, no, no, no, no! Aspetti un secondo!” Burt avvertì la buffa sensazione che la vita che avesse vissuto fino a quel momento gli si stesse sgretolando sotto i piedi.
“Dalle informazioni che ho raccolto sono consapevole che lei non era a conoscenza dell’ esistenza di questo figlio. Se la consola nemmeno il ragazzo era a conoscenza di lei. Non sapeva nemmeno che la madre fosse mai stata sposata.”
Burt ascoltava la donna al telefono, ma al contempo sentiva il suo cuore che batteva all’impazzata e le ginocchia che a stento lo sorreggevano.
“Ci deve essere un errore quando Elisabeth ed io ci siamo lasciati lei non era incinta!” gli uscì in tono sgarbato.
Sentì un sospiro al telefono.
“Ascolti, non è il primo caso che mi capita con una situazione come questa. Potrebbe anche essere che lei non sia il padre del ragazzo, anche se la vostra defunta ex moglie vi ha indicato come tale. Non sarebbe la prima volta che succede. Per questo la procedura che si applica per legge in queste situazioni è di verificare un’ eventuale parentela tramite un test del DNA.”
“Le ripeto io non posso essere il padre di quel ragazzo! Soffro e ho sempre sofferto di Oligozoospermia Severa! Ho seguito tutte le cure possibili e inimmaginabili. Pensi che mi hanno anche operato, ma, lo stesso, mia moglie in quindici anni di matrimonio non è rimasta incinta! E prima Elisabeth nel nostro anno e mezzo di matrimonio non lo rimase neppure.” ribatté acido e anche arrabbiato.
 “Senta, guardi mi dispiace, ma Oligozoospermia non significa sterilità! C’è una possibilità che il ragazzo che la sua ex mog-”
“Le ripeto soffro di Oligozoospermia SEVERA! In quindici anni di matrimonio mia moglie, che ha un livello normale di fertilità, non è rimasta incinta! Cosa altro le devo dire per dimostrarle che io non posso avere figli!”ringhiò Burt al telefono.
“Venire a New York e fare il test del DNA!” ribatté con ardore la donna.
“QUANDO LASCIAI ELIZABETH LEI NON ERA INCINTA!”
“Ascolti, non voglio litigare con lei! La signora Calhoun non ha parenti in vita e nel suo testamento l’ha indicata come padre di suo figlio! Ora la legge impone che lei venga a fare il test del DNA. Se risultasse non essere legato al ragazzo, come lei sostiene, i servizi sociali si occuperanno di lui. Se invece risultasse esserne il padre biologico, deciderà lei se riconoscerlo o meno, decidendo, inoltre, se vuole occuparsene o lasciare il ragazzo al nostro sistema.” Gli spiegò accorata la donna.
Burt avvertiva la rabbia che fluiva nel suo corpo e la colpa era di Elisabeth, che diavolo le era venuto in mente a quella donna per tirargli un tiro del genere?
“Senta, ascolti! L’ultima volta che io ed Elizabeth abbiamo rapporti di quel tipo sono passati sedici anni. Quanti anni avrebbe questo fantomatico figlio?” domandò in maniera beffarda, lui era sicuro di non esserne il padre.
Ci fu un attimo di silenzio e Burt per un attimo pensò che fosse caduta la linea, quando però Johanna Sullivan ricominciò a parlare e il suo tono era davvero arrabbiato:
“Lei qui al telefono può raccontarmi ciò che vuole, anche che lei e la sua ex moglie non avete mai consumato il matrimonio o che addirittura lei non ha mai conosciuto la signora Calhoun! Non sta a me giudicare! La legge parla chiaro: lei deve venire a fare il test del DNA! La defunta lo indica come padre di suo figlio! Stia pur certo che io non la sto chiamando per farle un orrido scherzo, ma sto facendo il mio lavoro, cercando di  capire se quel povero ragazzo di soli quindici anni che è rimasto orfano ha ancora qualcuno! Ora se è possibile vorrebbe farmi la cortesia di collaborare? ”
Burt ascoltò in silenzio la donna e rimase in un qualche modo colpito nel sentire il figlio della sua defunta moglie avesse quindici anni, un anno in meno di Finn, il figlio di Carole che lui aveva adottato e cresciuto come suo da quando aveva che pochi mesi.
“Mi dispiace signora?”
“Sullivan. Johanna Sullivan.”
“Signora Sullivan, non volevo mancarle di rispetto in alcun modo, ma onestamente la prego di mettersi nei miei panni, dopo quello che le ho detto... come avrebbe reagito lei? ”
“Non ha importanza questo signor Hummel. Io devo solo occuparmi di quel ragazzo e di tanti altri con situazioni terribili alle spalle. Si metta lei nei miei panni. Io cerco di fare il mio lavoro con tutto il cuore possibile e, lei, non penso capisca quanto avvilimento provo a fare telefonate come questa dove vengo solo attaccata e dove non c’è il minimo interesse per un minore che ha appena perso tutto ciò che aveva più di caro al mondo: sua madre. Anche se lei potrebbe non esserne il padre, la pregherei di almeno mostrare un po’ di pietà! Il ragazzo non centra con le azioni della madre.  Deve solo venire a sostenere un esame per saperlo. Non ci vorranno più di tre giorni!”
“Parole accorate e sono sicuro che lei è bravissima nel suo mestiere, ma ora la invito come poco fa a mettersi nei miei di panni! Mi creda, mi dispiace per quel ragazzo, davvero moltissimo! Ma, per tutta la serie di motivi che le ho spiegato prima,io non sono il padre . Inoltre,  dato che la mia ex moglie, che ho mollato sedici anni fa,  m’indica come padre di suo figlio, mi tocca: prendermi dei giorni dal lavoro e con tutto i casini che questo comporta, spendere circa cinquecento dollari fra andata e ritorno di viaggio, pagarmi un posto dove dormire dove partiranno perlomeno altri due o trecento dollari! In più in quei giorni che starò lì dovrò pur mangiare... mettiamo che partirà almeno un altro centinaio di dollari?! In tre giorni spenderò, se mi va bene, mille dollari per dirmi poi che cosa?! Scusi ci siamo sbagliati, aveva ragione lei quel ragazzo non è il suo! Mille dollari che lo Stato con le sue politiche sociali non mi risarcirà! Ed io sono un modesto meccanico e mi spacco la schiena con sudore e fatica per quei soldi che servono a mantenere la mia famiglia!” ringhiò Burt al telefono.
Johanna chiuse gli occhi stanca e arrabbiata di quel comportamento, ma se voleva arrivare da qualche parte con quell’uomo doveva mordersi la lingua ed evitare di urlargli tutto quello che pensava.
“Mi spiace signor Hummel che le politiche sociali degli Stati Uniti non la soddisfino, ma si figuri che io mi trovo a combatterci ogni giorno!- gli ribatté ironica- Non volevo sembrare superficiale a sottovalutare la sua situazione economica e mi scuso per questo. Però le devo chiedere quando pensa di poter venire qui a New York a risolvere la faccenda.”
Burt strinse gli occhi in modo rabbioso e dentro di sé maledì Elisabeth con le peggiori parole che conosceva.
“Dunque oggi è Martedì... diciamo... non prima di Lunedì prossimo. Mi serve tempo per organizzarmi con tutto.” Disse alla donna con evidente malumore.
“Va benissimo! Signor Hummel posso chiederle se ci scambiamo dei contatti per tenerci aggiornati?” chiese esausta ma sollevata Johanna.
Burt di malavoglia lasciò i propri numeri di telefono e si tirò giù quello dell’ufficio e quello personale della donna e quando chiuse la telefonata sentì un enorme peso che gli si era posato sul cuore.
Voleva tornare a casa da Carole e farsi dire che tutto andava bene; voleva abbracciare Finn, suo figlio, e farsi raccontare la sua giornata di scuola, di come era andato l’allenamento con la squadra di football... sarebbe stato felice di sentire anche se Anderson, come al solito, aveva dato problemi o se Santana Lopez era stata scorbutica e antipatica come al solito.
Voleva solo sentire notizie normali della sua solita e a volte monotona vita.
In quel momento odiò Elisabeth come mai l’aveva odiata prima.
Non voleva credere che la donna, nonostante tutto quello che era successo tra loro e l’antipatia reciproca che si era venuta a creare, gli avesse negato consapevolmente, per tutto quel tempo, ciò che aveva desiderato di più in vita sua: un figlio.
Lei lo sapeva...
E lui sapeva che la sua condizione gli rendeva impossibile averne uno proprio.
Burt lo sapeva e per questo non poteva essere il padre di quel ragazzo.
 


 
Johanna Sullivan quando abbassò la cornetta del telefono sospirò distrutta.
Lei sperava con tutto il cuore che quell’uomo fosse il padre di quel ragazzo anche se finita la telefonata lei non poté fare a meno di essere indisposta verso quel Burt Hummel.
Era chiaro che l’uomo non voleva nemmeno prendere in considerazione che il figlio della sua ex moglie avrebbe potuto anche essere il suo. Non gli aveva nemmeno chiesto come il ragazzo si chiamava e lei nemmeno glielo aveva detto. Lo aveva fatto apposta sperando in un piccolo barlume di interesse, ma niente.
Johanna ripensò a Kurt, così si chiamava il figlio di Elisabeth Calhoun. Un ragazzo di una bellezza fiabesca,  ma con gli  occhi chiari, grandi ed espressivi, pieni di spavento e dolore.
 
Guardò ancora una volta il fascicolo che si era fatta arrivare dal dipartimento su Burt Hummel, cercò la foto dell’uomo e quando la trovo prese a osservarla come aveva fatto quella mattina.
Un semplice uomo di paese dal viso buono, grandi spalle e che, a differenza dell’adolescente mingherlino, sembrava di corporatura robusta, ma essendo una foto a mezzo busto era difficile dirlo.
Quell’uomo non sembrava poter essere il padre di Kurt.
Johanna, dentro di lei, pensò che forse Burt  aveva ragione...

 


L'angolino della tazza di caffè...

Rieccomi tornata con questa nuova storia con questi Klaine adolescenti, dai quali dovrete aspettarvene delle belle, ma che conosceremo meglio nel prossimo capitolo!

Intanto vi auguro la buona notte e vi lascio l'indirizzo della mia pagina Facebook!


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Un bacio


 

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Capitolo 2
*** Test e speranze ***


 
 
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Burt guardava fuori dal finestrino mentre l’aereo si preparava all’atterraggio.
Stava per arrivare a New York per dimostrare che il ragazzo che, la sua defunta ex moglie sosteneva fosse suo, non era suo figlio.
Si guardò le mani e istintivamente il suo sguardo cadde sulla fede che portava al dito. Pensò a Carole a che donna fantastica fosse e quanto fosse fortunato ad averla al suo fianco.
Quando aveva ricevuto quella telefonata dai servizi sociali, lui era tornato a casa sconvolto. Carole trovandolo agitato e rabbioso, dolcemente lo aveva calmato e poi si era fatta raccontare cosa lo turbasse. Sua moglie si era dimostrata comprensiva e, cosa che non aveva fatto lui, aveva dato una possibilità a tutta quella storia, anche se Elisabeth non le era mai piaciuta.
Burt aveva trovato giusto dire tutto anche a Finn, che era sembrato colpito dalla notizia, ma come l’avesse veramente presa non lo aveva capito, suo figlio non esternava i suoi pensieri o sentimenti molto facilmente data l’età critica in cui era.
Burt sospirò distrutto. Appena atterrato avrebbe incontrato all’aeroporto Johanna Sullivan che lo avrebbe condotto immediatamente a fare il test del Dna.
 
Kurt appena era rientrato a casa era corso a lavarsi i denti. Aveva fatto la sua parte per un ‘prelievo’ per il test del DNA o meglio, paternità, che la sua assistente sociale gli aveva fatto fare quella mattina prestissimo.
Johanna in quel momento stava correndo all’aeroporto a prendere ed accompagnare e fare il test all’uomo che la sua defunta madre sosteneva essere colui con cui l’aveva concepito.
Kurt aveva ancora in bocca la fastidiosa sensazione di quello che il medico aveva chiamato pomposamente tampone buccale, che altro non era che un cotton fioc sfregato sulle pareti interne della bocca.
Lui non aveva dubbi che l’uomo che la sua assistente sociale fosse andata a prendere fosse effettivamente il suo padre biologico, credeva ciecamente in quello che sua madre aveva scritto in quel dannato testamento.

Era arrabbiato con sua madre per avergli nascosto la verità, di avergli negato di avere un padre, di avergli fatto credere per anni di essere il frutto di una storia di una notte con uno sconosciuto, ma soprattutto di non avergli nemmeno detto che un tempo fosse stata sposata. Era venuta meno al loro tacito accordo di raccontarsi ogni cosa. Era arrabbiato e distrutto perché non poteva litigare con lei, urlargli quello che pensava, sentire i perché delle sue scelte, mettergli il muso e infine, forse, non scusarla, ma andare ad abbracciarla stretta, perché lei era il suo più grande amore. Era sua madre, la sua confidente, la sua famiglia e in un qualche modo fra loro non potevano esserci rabbia o screzi che li dividesse.
Non avrebbe potuto fare nessuna di quelle cose però, perché lei non c’era più. Era morta perché un ubriaco l’aveva investita sulle strisce pedonali non rispettando un semaforo e lui, la notte del 4 ottobre era rimasto solo, ma lo avrebbe saputo solo dopo... L’unico conforto che aveva, almeno, che l’uomo non era scappato, si era fermato e aveva chiamato i soccorsi, ma non era servito a nulla. Sua madre era morta sul colpo.
Kurt nella solitudine della sua camera aveva pianto, urlato e pianto ancora e aveva sperato che tutto quello che gli stesse capitando fosse un orribile incubo... solo che ogni mattina che apriva gli occhi l’incubo non spariva e lui si svegliava in una casa vuota...

Purtroppo però il dolore per la perdita di sua madre ogni giorno cadeva in secondo piano per via di tutto quello che gli stava accadendo. Da quando era successa la tragedia si era trovato la casa riempita da sconosciuti: assistenti sociali, polizia, l’avvocato di sua madre e chissà chi altro! A volte quando chiedeva spiegazioni alla sua assistente sociale su chi fosse e cosa facesse l’ennesima persona che si era presentata o per cosa servisse l’ennesimo questionario che aveva dovuto compilare si sentiva rispondere che era troppo piccolo per sapere o capire.
Quando Johanna gli rispondeva così finiva sempre per zittirsi e fissare con astio chi aveva di fronte e rispondeva male.

Lui odiava che la signora Sullivan non capiva che lui afferrava perfettamente la situazione in cui si trovava e che, non solo era abbastanza maturo, ma che aveva tutto il diritto di sapere ogni cosa. Però gli adulti di questo enorme sistema sintetizzato nel termine “tutela del minore” pensavano il contrario e lo fissavano spesso falsamente dispiaciuti, trattandolo solo come un lavoro da portare a termine.
Fino a quel momento Kurt era riuscito a scampare dall’essere portato in qualche centro o casa famiglia solo perché Isabelle Wright, migliore amica/capo di sua madre e dirimpettaia di pianerottolo, era riuscita ad avere il suo affido temporaneo.

Kurt amava profondamente Isabelle, la conosceva da quando aveva ricordo ed era un po’ come un membro della sua famiglia, una zia. Sapeva che Isabelle ricambiava i suoi sentimenti ed era per questo che si era battuta come una leonessa per lui.

Isabelle, in quella situazione, straordinariamente sapeva sempre cosa fare per farlo star meglio: come il non avergli mai imposto di lasciare casa sua per trasferirsi da lei e lasciargli la solitudine di cui aveva bisogno per districarsi nelle potenti emozioni che lo investivano. Un gesto che per lui valeva moltissimo, soprattutto nei momenti come quello che si trovava a sbollire un’immensa rabbia. Johanna Sullivan con tono allegro gli aveva detto che la compagnia con cui sua madre aveva l’assicurazione sulla vita gli avrebbe versato la somma di liquidazione entro breve avendo riconosciuto il suo diritto di avere il beneficio di quei soldi.

Kurt capiva benissimo che la donna non voleva essere scortese, ma quel tono allegro lo aveva infastidito: lui non voleva quei soldi, lui voleva indietro sua madre!
Fece dei respiri profondi cercando di calmarsi o avrebbe spaccato qualcosa. Tutti lo trattavano come se si aspettassero che sarebbe scoppiato a piangere da un momento all’altro facendo la parte del povero adolescente orfano.

Col cavolo che l’avrebbe fatto!
In quel momento non aveva tempo per la sua perdita e il dolore, voleva ma non poteva. Magari si sarebbe concesso il lusso di cedere quella notte nella solitudine della sua stanza, ma non in quel momento. Apprezzava il gesto di Isabelle di lasciargli la possibilità di appallottolarsi sul divano della casa sua e di sua mamma e di dargli il tempo di piangere per un po’, ma sapeva anche che entro un paio d’ore la donna avrebbe suonato e con lei ci sarebbero stati i suoi migliori amici, Sebastian e Thad. Un piccolo sorriso gli nacque sulle labbra nonostante la rabbia e il dolore che aveva dentro.
 
Con Isabelle, Sebastian e Thad e le loro famiglie erano una delle poche certezze che gli erano rimaste. Kurt ricordò che doveva ancora ringraziare le meravigliose e pazze nonne dei due amici, Carmen e Blanche, per le meravigliose parole che avevano detto al funerale di sua madre e doveva ancora ringraziare Etienne, il padre di Sebastian, che ne aveva organizzato gli estremi onori.
Etienne, per Kurt , era la persona che più si avvicinava a un padre. Qualche anno prima l’uomo aveva avuto anche una storia durata due anni con sua madre, ma nonostante si fossero mollati e le cose inizialmente fossero state difficili fra lui e la sua mamma, non era mai sparito dalla sua vita, ne gli aveva tolto la possibilità di stare con Sebastian.

Era stato quell’uomo che lo aveva accompagnato la prima volta a comprare un regalo per sua madre o gli aveva spiegato i cambiamenti del suo corpo e come certe sorprese mattutine rientrassero nella normalità (dopo che Sebastian e Thad lo avevano convinto di avere una strana malattia).
Era lui che gli aveva insegnato come si usava un rasoio da barba, anche se lui non è che ne fosse ancora così bisognoso. Lui era stato l’uomo che lo aveva fatto sentire amato e accettato quando aveva fatto coming out ben prima di suo figlio e Thad.

Kurt si guardò intorno per la casa e un senso di vuoto si fece largo nel suo petto. Le cose di sua madre erano in giro per tutta la casa come se lei fosse semplicemente uscita per andare al lavoro alla redazione di Vogue... il suo maglione da casa era ancora poggiato su una delle poltrone del soggiorno, la sua tazza della colazione era ancora sul lavello come se l’avesse appena lavata, sulla bacheca appesa all’entrata c’era ancora l’appunto di passare in lavanderia a ritirare il suo scialle preferito con sotto il coupon per ritirarlo e se andava in camera di sua madre sul letto c’erano dei vestiti poggiati perché, come al solito, era indecisa come vestirsi e quindi, anche se di fretta, faceva due o tre prove prima di decidere cosa indossare.
Kurt sentì gli occhi cominciare a bruciare ma lottò per non cedere.

“Mamma perché sta succedendo tutto questo?” domandò al nulla dato che nessuno avrebbe mai potuto rispondere ricacciando indietro ogni pianto che stava arrivando.
Andò sulla bacheca e prese il coupon per ritirare lo scialle della madre, prese le chiavi di casa e s’infilò il giaccone e recuperò il suo cellulare. Vide che c’era un messaggio. Era Adam, suo ex ragazzo e compagno di compagnia teatrale, che gli chiedeva come stava.
Decise di non rispondere, aveva bisogno di una passeggiata. Sapeva che Isabelle lo avesse scoperto si sarebbe arrabbiata, ma aveva bisogno di fare qualcosa di normale.
 

 

Blaine era decisamente annoiato quel giorno, tutta la scuola era in fermento per il pettegolezzo del momento non solo del McKinley, ma di Lima intera: Burt Hummel era a New York a scoprire se il figlio della sua ex moglie fosse suo.

Blaine era rimasto disgustato quando quella mattina era stato distribuito il giornale della scuola, anche se chiamarlo tale era un complimento troppo lusinghiero visto che non era altro che un accozzaglia di pettegolezzi sugli studenti e professori della scuola. A dirigere quella schifezza c’era Jacob Ben Israel, uno studente che pur di sbattere una notizia sul periodico non si faceva scrupoli a ferire qualcuno.

Sull’edizione di quella mattina capeggiava la foto di Finn Hummel e sotto un ritratto dei suoi genitori, Carole e Burt, derivante forse facebook e affianco c’era un’immagine di una giovane ragazza presa da un annuario scolastico che era di una incredibile bellezza e la didascalia la indicava come Elisabeth Calhoun, prima moglie di Burt Hummel.

Blaine aveva per curiosità aveva dato una lettura all’articolo per vedere quanto facesse schifo Jacob Israel, ma quando era arrivato che la famiglia Calhoun per colpa di una presunta maledizione causava la morte dei componenti per eventi tragici aveva buttato via il giornale. Il riccio non riusciva a credere che nel ventunesimo secolo si potesse ancora credere a quelle sciocchezze.

Blaine odiava la morbosità con cui la gente parlottava della notizia, non tanto perché lui e Finn erano amici, Finn era il suo capitano nella squadra di football e compagno di Glee club, ma odiava la curiosità e la leggerezza con cui tutti si permettevano di sparlare di fatti personali e lui sapeva bene sulla sua pelle quanto questo facesse male…
 


Carole voleva bene a sua suocera, Molly Hummel era una donna davvero fantastica ed era una nonna eccezionale con Finn, ma odiava la sua incapacità di tenersi di tenersi i fatti per se.
Burt che era suo figlio, sapeva della debolezza della madre dell’incapacità di tenersi un segreto per più di un paio di minuti, eppure suo marito aveva raccontato tutto alla genitrice del probabile figlio avuto dalla ormai defunta ex moglie e il risultato ora che tutta Lima era conoscenza della cosa.
Carole per tutta la mattina aveva eluso occhiatine curiose delle sue colleghe infermiere e di alcuni pazienti amici e amiche di sua suocera e anche delle domande indirette della cassiera del supermercato, la ficcanaso signora Mitchel che si era beccata, però, una risposta di farsi i fatti propri da suo suocero, Arthur.

Carole sapeva bene che cittadine piccole come Lima appena succedeva qualcosa diveniva un fatto di tutti, ne era ben consapevole. Ricordava ancora quello che aveva passato appena era morto Christopher... e ancora più vividamente quando si era diffusa la voce che la vedova Carole Hudson aveva una storia con Burt Hummel, un uomo sposato con la bellissima ma stravagante e sopra le righe Elisabeth Calhoun.
Ricordava ancora come la gente Lima si era prodigata a dare giudizi e fare la morale sulla situazione, anche se doveva ammettere che la non simpatia della quale godeva Elisabeth aveva reso il tutto molto più mite di quanto sarebbe stato in generale, ma lo stesso non era raro sentire sussurri del tipo:
 “Meglio che Burt sia rinsavito di cervello! Certo, Elisabeth è davvero una bellissima ragazza, ma pazza come un cavallo che riesce puntualmente a far uscire dai gangheri un uomo buono come lui! Poi non bisogna dimenticare che i Calhoun sono una famiglia maledetta, tutti morti in tragiche circostanze… Spero che con Carole le cose vadano meglio e abbia finalmente anche quella povera ragazza abbia la tranquillità che merita!”

All’epoca dei fatti, per via di tutto quello che aveva passato, la maggior parte della gente di Lima fu gentile nei suoi confronti, ma non lo furono tutti. I cinque amici stretti di Elisabeth la trattarono malissimo, ma se lo aspettava da loro visto che lei e Burt avevano cominciato la loro relazione quando lui era sposato. Peccato però che poi fu la stessa Elisabeth che quando lasciò Lima non disse niente a nessuno nemmeno a quelle persone che per anni erano stati i suoi più cari amici di fatto tradendoli e abbandonandoli. Non gli aveva nemmeno rivolta la parola quando si erano rivisti per il funerale di Melanie.

Carole quando si era messa con Burt si era sentita in colpa, ma mai si era pentita di quello che aveva fatto. Doveva ammettere forse era perché nemmeno lei aveva mai amato particolarmente Elisabeth. Erano state compagne di scuola dall’asilo sino alla fine delle superiori e a volte avevano condiviso delle classi ed erano uscite anche negli stessi giri per un periodo.

Elisabeth era come lo era stata tutta la sua famiglia prima di lei: strana, egocentrica e provocatrice.
Non era mistero per nessuno che la donna non si tirasse mai indietro a dire quello che pensava anche se a volte poteva ferire qualcuno o che a volte avesse la testa in posti lontani o anche che quando le veniva in mente di fare qualcosa non c’era modo di fermarla, anche se tutti gli dicevano che era sbagliato. Dai racconti di Burt, poi, Elisabeth le era piaciuta ancora meno.

Carole in tutta onestà sperava che quel ragazzo non fosse figlio di Burt per diverse ragioni ma soprattutto perché non anelava che ci fosse qualcosa che legasse suo marito alla defunta ex moglie. Gli dispiaceva che quel ragazzo fosse rimasto orfano, però non riusciva a dimenticare che nelle sue vene scorresse il sangue dei Calhoun  e dati i personaggi di quella famiglia e la maledizione che sembravano portarsi dietro …
Carole non era superstiziosa, ma era innegabile che da generazioni i Calhoun erano tutti morti in circostanze tragiche  e perfino Elisabeth, così anticonvenzionale, aveva mantenuto fede alla tradizione di famiglia.

Forse qualcuno l’avrebbe definita egotista, ma non voleva nemmeno che suo figlio si sentisse minacciato da una nuova presenza in casa, soprattutto se questo ragazzo portava nelle sue vene oltre il sangue dei Calhoun anche quello degli Hummel. Carole sapeva del disperato sogno di diventare padre di Burt e forse era per quello che era sempre stato un genitore magnifico con Finn che poi era quello che l’aveva fatta innamorare…

Dicisette anni prima Christopher l’aveva lasciata senza una spiegazione che ebbe pochi giorni dopo quando venne ritrovato morto per overdose in una bettola di Columbus, fu li che scoprì che l’esercito l’aveva congedato con disonore per tossicodipendenza.

Ricordava ancora la gente di Lima come anche in quel caso fosse stata benevola con lei, ma non con i suoi suoceri, dandole una mano in tutto, perfino quando aveva scoperto di aspettare un bambino da Christopher dopo un mese dalla sua morte. Burt era stato uno quelli che l’aveva aiutata più di tutti.
Era incinta di sette mesi e lo stesso le aveva dato un lavoro, niente di faticoso, doveva solo riordinare i conti e le fatture dell’officina, parlare con i fornitori e avvertire i clienti  quando le loro macchine erano pronte. Doveva ammettere però che la mole di impegni nel garage non era indifferente, ma non si lamentava visto che grazie a quello aveva ottenuto una buona assicurazione sanitaria per lei e il bambino.
La Hummel e Lube, era(ed era ancora) la più grande officina della zona e molte persone dei paesini limitrofi a Lima venivano lì a farsi sistemare la macchina, data la professionalità e l’onesta di Burt  che prestava anche servizio per il controllo delle ambulanze dell’ospedale e i camion dei vigili del fuoco.

Carole non era rimasta colpita subito da Burt, non era certo un uomo che si potesse definire bello, l’unica cosa che la incuriosiva di lui era come fosse riuscito a sposarsi la bellissima e particolare Elisabeth Calhoun. L’amore per lui nacque dopo pochi mesi che aveva partorito e aveva avuto il permesso di portarsi Finn al lavoro, in quanto non aveva da chi lasciarlo, perché i suoi suoceri avevano lasciato lo stato non reggendo più la situazione che si era creata dopo la morte del figlio. Rimase stregata da quell’omone che stravedeva per suo figlio e gli chiedeva costantemente il permesso di poterlo prendere in braccio, ma se aveva la tuta sporca dal lavoro stava lì semplicemente ad osservare con sguardo tenero il piccolo mentre dormiva. Si erano trovati sempre più spesso a parlare anche se  molto presto avevano preso entrambi a considerare quelle chiacchiere come una  valvola di sfogo: lui,  dei problemi del suo matrimonio e lei della difficoltà di tirare su un figlio da sola e del suo rimpianto per non poter permettersi di finire i suoi studi da infermiera.  Fu così che si scoprirono anime affini.

La loro storia era nata un giorno di pioggia di fine Ottobre. Lui l’aveva allungata a casa nella periferia di Lima nel quartiere di Lima Heights, un posto spoglio e perfino pericoloso, soprattutto per una donna sola con un bambino di pochi mesi. Non le piaceva stare li, ma era tutto ciò che si era potuta permettere con il suo stipendio dopo la morte di suo marito e l'aiuto che i suoi suoceri le mandavano. Burt l’aveva accompagnata fino al portone del palazzo sgangherato dove abitava, galantemente tenendole l’ombrello per coprirla mentre lei aveva in braccio Finn che placidamente dormiva. Dovevano salutarsi, ma entrambi trovano un pretesto dopo l’altro per allungare il loro stare insieme e alla fine Burt, senza chiederle il permesso, l’aveva baciata e lei aveva risposto.

Quello era stato uno dei baci più belli della sua vita: dolce, possessivo e dato da un uomo innamorato. Lo aveva invitato a salire e, dopo aver messo Finn nella sua culla, avevano fatto l’amore con una passione che era stata perfino incandescente da quanto si desideravano. Carole si era sentita in colpa dopo, ma non era pentita di quello che era successo. Burt comunque non era intenzionato a tenerla nell’ombra e, dopo che ebbe raccolto il coraggio necessario, confessò tutto a sua moglie lasciandola.

Il 7 Dicembre 1994, Burt e lei erano insieme ufficialmente.

Carole, da quando aveva avuto la notizia di quel ragazzo, mille pensieri le erano venuti in mente e dei sopiti sensi di colpa si erano svegliati, soprattutto  quando pensava che Elisabeth fosse diventata madre single e si fosse allevata da sola un bambino per quindici anni...
Si era chiesta cosa sarebbe successo se la bella Calhoun non avesse mai lasciato Lima e quel bambino fosse stato davvero figlio di suo marito... Però la verità era che con i se e con i ma non c’era una storia, ma la realtà era quella che vivevano ogni giorno e, in quel momento, c’era un ragazzo che poteva essere il figlio di suo marito.

Ecco cosa la tormentava: se davvero lo fosse stato, avrebbe avuto davanti agli occhi la sua sconfitta di non essere riuscita a dare a Burt e a se stessa un figlio e Elisabeth avrebbe vinto su di lei per sempre.
 



Johanna Sullivan era una donna che aveva un certo fiuto di rado sbagliava e vedendo Burt Hummel si era rafforzata la convinzione che si era già fatta dalla fotografia: non poteva essere il padre di Kurt, il ragazzino non aveva nulla della persona che aveva davanti.
Burt Hummel era un uomo di corporatura robusta e imponente, collo taurino, un simpatico naso a patata, occhi grigio verde abbastanza grandi e di una forma gentile, mani tozze di un lavoratore, capelli radi coperti da un capellino da football e un viso con l’espressione buona.

Kurt invece era tutt’altro. Era mingherlino e di corporatura flessuosa, collo aggraziato, un nasino all’insù, occhi dalle tonalità marine estremamente limpidi a mandorla come quelli di un gatto con folte ciglia, mani delicate e lunghe, una gremita testa di capelli color castagna, pelle d’alabastro e in viso aveva dipinta sempre un aria angelica di chi è particolarmente pestifero.

“Dopo che abbiamo fatto il test le andrebbe una bella colazione?”domandò Johanna all’uomo che in quel momento stava mandando un messaggio col telefono.
“Magari, sono partito alle tre di notte da casa mia per arrivare a Columbus all’aeroporto, il mio aereo era alle sei e venti e vista la mia ignoranza di come si svolge il test che devo fare non ho mangiato ne bevuto nulla da ieri a mezzanotte. ” confessò Burt con onestà.

“Beh ha fatto bene, anche se di norma basterebbe un ora di digiuno con il tampone buccale, ma onestamente io consiglio di non mangiare ne lavarsi i denti ne di passarsi un colluttorio per almeno tre ore prima del test, per evitare qualunque inconveniente. Comunque non ci vorrà molto.”

Burt osservò la donna che lo stava guidando sicura per i corridoi del ospedale, segno che non era la prima volta che era lì in quei reparti. Percepì perfettamente che era molto stressata e piena di cose da fare, lo capì dai capelli lunghi lasciati sciolti striati da vecchie meches tra la capigliatura castana e un un tic nervoso agli occhi che la portava a strizzarli più del necessario.

Il test si svolse in maniera rapida e indolore, Burt era quasi imbarazzato dalla propria ignoranza, non si era informato cosa consistesse il test buccale, aveva pensato che lo facessero tramite prelievo del sangue e invece era un banalissimo cotton fioc strofinatogli nella bocca e poi sigillato in una provetta con il suo nome sopra e mandato immediatamente in laboratorio.

A quel punto fece un sacco di domande al medico, il dottor Moore, su quanto il test fosse affidabile e che margine di errore ci fosse. Il medico fu molto paziente e gli spiegò che ognuno di noi eredita il DNA dai genitori in parte uguale e che quindi se lui fosse stato il padre biologico del ragazzo doveva per forza avere più di una parte del DNA in comune. Inoltre, gli spiegò che avevano dovuto, perché il test fosse affidabile, avere anche delle cellule provenienti da Elisabeth. Il fatto che fosse morta non rappresentava un problema, si erano fatti dare lo spazzolino da denti che usava e lo avevano analizzato ritenendolo idoneo viste le tracce che avevano trovato sopra. Tutto ciò era stato fatto per capire  e avere “i ceppi” di origine del DNA del ragazzo, in maniera che si potesse escludere o affermare al 100% se lui fosse il padre biologico.

Burt si sentì tranquillizzato dalle parole del medico sulla affidabilità del test.
Johanna portò Burt a fare un brunch in una tavola calda vicino all’albergo che aveva prenotato e l’uomo si rivelò essere parecchio vorace, triturava un quantitativo di uova e pancetta con salsa barbecue davvero considerevole. Le venne un sorriso al pensiero se Kurt fosse stato davvero figlio dell’uomo, il ragazzo era un salutista convinto, mangiava molta frutta e verdura ed evitava cibi come uova e pancetta cucinati nelle tavole calde, sarebbero stati davvero strani insieme.

“Cosa succederà al ragazzo una volta che verrà fuori che non è mio figlio?” domandò improvvisamente Burt alla donna prendendola un momento di sorpresa.
“Non mi ha ancora nemmeno chiesto come si chiama.” Gli rispose lei.
Burt sospirò stanco e quel appunto della donna non gli piacque molto.
“Che senso ha che io le chieda il nome di un ragazzo che non è nemmeno mio e che io non vedrò, ne conoscerò mai!?” ribatté Burt come se fosse ovvio.

L’assistente sociale preferì soprasedere ed ebbe ancora una insana voglia di ridere: l’uomo davanti a lei era fermamente convinto della propria estraneità con Kurt, mentre Kurt era fermamente convinto che l’uomo che sua madre aveva indicato nel testamento fosse davvero suo padre.
“Il ‘ragazzo’ al momento è affidato alle cure di una carissima amica della sua ex moglie, la signora Wright- Johanna disse ancora volutamente la parola ragazzo con un tono leggermente canzonatorio.- se venisse fuori che non è suo figlio verrà preso a carico dallo Stato e messo in primo momento in una casa famiglia, avendo quindici anni le sue probabilità di essere adottato da qualcuno sono nulle. Oppure, e onestamente lo preferirei, c’è una caro amica della signora Calhoun, il signor Smythe, che sta facendo tutte le carte necessarie per domandarne l’affido.”

“Tolga pure il sé.” Ribatté cocciuto l’uomo e Johanna perse la pazienza.
“Toglierò quel sé quando avremo i risultati del test!”
I due si fissarono in maniera astiosa per un momento poi la donna riprese a parlare dopo aver sorseggiato il caffè che aveva ordinato.

“Le dicevo che questo caro amico della sua ex moglie, che ha già un figlio, sta facendo tutte le carte per prendere in affidamento il ‘ragazzo’- pronunciò di nuovo la parola ragazzo in maniera volutamente canzonatoria, beccandosi un occhiataccia dall’uomo.- Sarebbe stato meglio affidarlo al parente in linea di sangue più vicina e se non è lei, la sua ex moglie non ha nessuno in vita.”
“I genitori li perse al liceo quando era appena diciottenne, un incidente d’auto.”
“Lo so.”

Burt un po’ provò dispiacere per quel ragazzo e un pizzico di curiosità in lui c’era verso l’adolescente, avrebbe voluto vederne una foto per sapere che faccia avesse il figlio della donna che un tempo aveva tanto amato da sposare, ma, la realtà, che voleva che tutta quella storia fosse finita il più presto senza rimanerne troppo invischiato.

 “Visto che siamo in argomento e visto che comunque prima o poi glielo avrei chiesto comunque, le volevo domandare che cosa ha pensato di fare in caso il ragazzo fosse suo figlio... vuole prenderlo con se o lasciarlo in affidamento ai servizi sociali?”
“Se fosse mio figlio lo porterei a Lima con me.”
Burt con Carole avevano parlato a lungo della possibilità se il ragazzo fosse stato suo figlio e in casa avevano una camera degli ospiti o una bella mansarda che avrebbero potuto dare al giovane.
“Mi fa piacere sentirlo.” Disse la donna con tranquillità e il suo pensiero volò a Kurt che si era già organizzato a impachettare alcune cose sue per l’imminente trasloco che in ogni caso lo aspettava.
“Comunque se mi permette potrei farle un’altra domanda signor Hummel?”
Burt mentre beveva un sorso del suo caffè osservò Johanna e un po’ provò pena per lei: alle undici della mattina sembrava già così stanca, il lavoro che faceva era sicuramente pieno di stress emotivi.
“Prego.”

“So quello che ci siamo detti al telefono e della sua condizione, ma mi sembra che lei non voglia nemmeno prendere veramente in considerazione la possibilità che quel ragazzo possa essere suo figlio … eppure l’età corrisponderebbe. Il 25 Agosto ha compiuto 15 anni e ora siamo al 19 di ottobre, circa due mesi dopo il compleanno del ragazzo... consideriamo anche i nove mesi delle gravidanza, sono circa sedici anni … Perché è così sicuro che non potrebbe essere? Quando vi siete lasciati lei e la sua ex moglie?”
“Mercoledì 7 Dicembre 1994.”

Sia Burt che Johanna fecero un rapido calcolo mentale, nessuno dei due sapeva esattamente di quanti mesi fosse nato il bambino che Elisabeth aveva dato alla luce, se era prematuro o meno, ma se così non fosse stato e se era nato a termine dei nove mesi il tutto avrebbe conciso.
“Non è mio figlio!” ribatté con forza Burt con il cuore che gli stava pulsando a una velocità impressionante e lo stomaco gli si chiuse.
“Perché no?!” domandò Johanna esasperata.

“Perché Elisabeth aveva tanti difetti, ma non era una persona cattiva, anzi, era estremamente generosa e mai mi avrebbe negato il mio desiderio più grande: avere un figlio. E se davvero lo avesse fatto la odierei con ogni fibra del mio corpo e della mia anima! Se davvero quel ragazzo fosse mio figlio avrei mille rimpianti! Non averlo visto nascere e  ne crescere. Non saprei quale è la prima parola che ha detto, non avrei visto i suoi primi passi e il suo primo giorno di scuola! Non potrei rivivere niente di tutto ciò!”
“Se quel ragazzo è suo però potrebbe vivere tutto il resto. Quello che è perduto ormai è irrecuperabile, ma tutto quello che c’è nel futuro di quel ragazzo lei lo potrà vivere! ”
Burt fissò la donna di fronte a lui e sospirò pesantemente.

“Le confesso anche che non vorrei che quel ragazzo fosse figlio mio, non solo per quello che ho perso, ma per quello che quel ragazzo rappresenterebbe: il mio più grande fallimento. Ricorderebbe ogni giorno a mia moglie quello che non ho potuto dargli: un figlio, anche se lo desideravamo tanto. Ho sempre voluto dare un fratello a Finn, il figlio di mia moglie che ho adottato quando aveva pochi mesi, e suggellare con un legame di sangue la nostra famiglia. Sarebbe decisamente una beffa del destino troppo grande se Dio mi avesse concesso un figlio con Elisabeth e non con Carole. Quel ragazzo rappresenterebbe l’ingiustizia di tutta la mia vita.”

Johanna fissò incredula l’uomo di fronte a lui che aveva ammesso che non voleva quel ragazzo principalmente per una questione che non voleva avere figli con la ex moglie.
“Signor Hummel mi permetta di dirle una cosa: ogni bambino o adolescente che passa per i servizi sociali ha perso o è stato salvato da qualcosa e quindi, nel posto dove andrà stare, non ha bisogno essere considerato come un peso o una maledizione. ”
 


Sebastian e Thad guardarono Kurt che si era addormentato, ma il suo volto non esprimeva tranquillità.
“Dorme?” chiese Etienne Smythe entrando nella stanza seguito silenziosamente da Isabelle.
“Si papà, le gocce di nonna Blanche lo hanno letteralmente steso!”commentò stupito Sebastian osservando ancora l’amico.
“Ora capisci perché dico che mia madre ne sa una più del diavolo?” domandò Etienne avvicinandosi al letto  osservando con un sorriso triste il ragazzo addormentato.
“Non mi fiderò più dal prendere nulla da lei! Maledetta Strega.”
“Sebastian finiscila lo sappiamo tutti che adori tua nonna e sappiamo tutti che adori essere il suo cocco!” disse Thad con un broncio che era speculare a quello dell’altro ragazzo con cui era fidanzato, anche lui era innervosito con l’anziana per aver addormento in quel modo il loro migliore amico che entrambi consideravano un fratellino minore.

 “Isabelle, credo che stanotte Kurt lo devi lasciare qui a dormire.”Commento Etienne e Isabelle sospirò pesantemente.
“Domani in teoria, se quello che ha detto il medico all’ospedale è vero, arriveranno i risultati del test del DNA. Se l’assistente sociale domani mattina non lo trova a casa rischio di un pesante rimprovero!”spiegò la donna leggermente infastidita dal fatto che ogni mossa che facesse con Kurt dovesse avvertire qualcuno dei servizi sociali,  esattamente come quella sera che per portare il ragazzo a casa Smythe aveva dovuto fare una serie di telefonate chiedendo il permesso a Johanna.
“Manda un messaggio alla signora Sullivan e digli che Kurt dorme qui con i suoi amici oppure domani sveglia di tutti alle sei e mezza e lo riportiamo a casa per le sette e venti, così poi andiamo via insieme io e te con una sola macchina.” Disse semplicemente Etienne alzando le spalle e Isabelle sorrise.
“Sarebbe perfetto, così andrebbe anche meglio in realtà.”

“Tu e Kurt siete venuti in taxi? Hai bisogno di un passaggio fino a casa?”             
“No Etienne grazie, ho preso l’auto, però prima di andare gradirei una tazza di tisana.” Fece Isabelle tranquillamente.
“Me la faccio anch’io una tazza.” disse Etienne.
“Sì, ma basta che non beviamo uno degli intrugli di tua madre, non vorrei finire come Kurt su quel letto.”
“Elisabeth adorava i miei intrugli Isabelle, e tranquilla che non ti darei mai nulla di strano. Ma Kurt ha bisogno di una notte di riposo come si deve visto quello che accadrà domani. Era troppo nervoso  e un po’ di belladonna e valeriana non hanno mai ammazzato nessuno! ”

Come un apparizione si era mostrata Blanche Smythe, appena uscita dal bagno con una veste svolazzante di un viola acceso e fra i capelli aveva una serie di bigodini di misure diverse.
“Nonna.”
“Sebastian ti ho sentito benissimo che mi hai chiamato strega! Non mi sembra consono che un gentiluomo di diciotto anni dia agio alla propria bocca con parole di quel tipo per riferirsi a una dama come me e soprattutto della mia età!” disse al nipote in maniera altezzosa la donna.
Thad intuendo la rabbia del suo ragazzo gli prese la mano non per calmarlo, ma per fargli intuire che era con lui.
“Beh scusami nonna se sono un po’ incazzato dato che una delle ultime sere che posso passare insieme a Kurt lo hai steso a suon di erbe strane!”
“Belladonna e Valeriana.”

“Non mi interessa cosa sono! Lo sai che è questione di giorni prima che quel maledetto stronzo venuto da quel buco di città dell’Ohio, che in questo momento mi sfugge il nome, si porti Kurt lontano da noi che siamo la sua famiglia!” ribatté acido Sebastian.
“Sebastian non parlare così!” Lo riprese Etienne beccandosi un’occhiataccia dal figlio.
 Blanche sospirò, sapeva del rapporto profondo che legava i tre ragazzi, infondo si erano conosciuti da piccoli alla stessa scuola di arti del palcoscenico. Sebastian aveva sette anni ed era il terzo anno che ne faceva parte, Thad aveva sei anni ed era due anni che era iscritto ed entrambi avevano preso sotto la loro ala un piccolo e pestifero Kurt, orgogliosissimo nel suo tutù rosa, di appena quattro anni e da allora loro tre non si erano più mollati.

“Viene da Lima e poi non è detto che quell’uomo sia il padre biologico di Kurt.” Disse pazientemente Etienne all’arrabbiato figlio.
 Blanche si scambiò un’occhiata con Isabelle, entrambe le donne sapevano da anni chi fosse il padre di Kurt e dove fosse. Elisabeth, una notte di qualche anno prima, in un momento di sfogo si era confidata con loro raccontando la sua storia e chiedendo consiglio se lo dovesse dirlo anche a Etienne, dato che all’epoca la bella Calhoun e lui avevano una relazione, poi finita perché erano meglio come amici che amanti nonostante un po’ di amore fra loro era sempre rimasto anche se entrambi avevano poi avuto altri compagni.
Blanche sapeva che Elisabeth alla fine non aveva mai detto a Etienne chi fosse il padre di Kurt, lasciandogli spesso e volentieri a lui quel ruolo di genitore con il piccolo bambino. Lei non era stata favorevole alla decisione di Elisabeth, ma aveva capito cosa aveva spinto la donna a comportarsi come si era comportata e perché non aveva mai cambiato idea sulla propria decisione di tenersi il bambino senza dirlo all’ex marito.

Per questo era rimasta stupita che la bella Calhoun avesse fatto un testamento dove aveva lasciato sapere chi fosse il padre di Kurt, visto che era così contro  a tutto quello che aveva fatto in vita...
Blanche sapeva che Etienne stava soffrendo sia per la perdita di Elisabeth che per l’imminente trasferimento di Kurt, infondo era lui che un po’ aveva cresciuto quel ragazzo ed era fra loro c’era un rapporto molto simile a quello di padre e figlio.

 “Tesoro mio, Kurt ha bisogno di dormire e anche voi due dovreste farlo! Da quando Elisabeth è morta e tutta questa storia è cominciata nessuno di voi tre ha dormito più di una manciata di ore! So delle telefonate fino a tarda notte che fate su Skype.- disse l’anziana- Sia io che Etienne che i tuoi genitori non ché tua nonna Thad, sappiamo che voi due in queste settimane avete spesso saltato la scuola per stare con Kurt. Mettevi a dormire tutti e domani, avendone già parlato con i vostri genitori, non andrete a scuola e starete con lui che ne avrà davvero bisogno data la giornata che si prospetta. ”
Sebastian e Thad si girarono verso Etienne.

“Possiamo davvero papà?”
“Sì Sebastian. Domani voi resterete a fargli compagnia.”
Sebastian fece una faccia soddisfatta ed Etienne sorrise, non aveva detto al figlio delle proprie intenzioni di prendere in affidamento Kurt, nonosstante tutte le problematiche del ragazzo, non voleva che dopo la speranza venisse fuori la delusione se il test confermava che quel Burt Hummel era effettivamente il padre. Etienne dentro di sé sperava che quell’uomo non fosse il padre di Kurt…
 


Finn fissava il soffitto della propria stanza, era arrabbiato per tutti pettegolezzi che stavano girando a scuola e in città sul presunto figlio che suo padre poteva avere avuto dalla ex moglie, quella Elisabeth Calhoun.
Il ragazzo vedeva che sua madre, nonostante cercasse di fare finta di nulla, si sentiva a disagio. Tutti avevano un interesse morboso sulla vicenda e i più sfacciati si erano fermati pure a chiedere se si sapesse  qualcosa.
Finn era esausto dai blateri di Quinn, la sua ragazza, che invece sembrava elettrizzata da quella enorme popolarità inaspettata, a differenza di lui che invece era solo spaventato da tutta quella situazione.
Spaventato dal fatto che se quel ragazzo si fosse rivelato davvero il figlio di suo padre sarebbe andato a vivere con loro e gli avrebbe rubato l’attenzione e affetto di Burt.

Finn aveva sempre saputo che non era veramente il figlio di Burt Hummel e il suo vero padre era Christopher Hudson, morto quando sua madre era incinta di lui. Mai i suoi genitori glielo avevano nascosto, anzi avevano sempre cercato che lui sapesse da chi derivasse. La verità però che lui fin dai suoi primi ricordi vedeva il volto sorridente e buono di Burt, era lui che lo consolava quando si faceva male o gli aveva insegnato ad andare in bicicletta o portato allo stadio a vedere le partite di football; era sempre lui che gli era stato accanto quando era stato male o era nelle foto di ogni suo ricordo, non Christopher Hudson.
Per lui il suo papà era Burt non Christopher.

Finn sapeva bene della orribile morte per droga del suo vero padre e sapeva bene però quanto sua madre ci tenesse che lui sapesse che era stato anche un brav’uomo prima che quella dipendenza lo rovinasse per sempre, per questo gli raccontava aneddoti o ricordi. Ma per lui, che aveva visto solo qualche fotografia, Christofer era una presenza fatta solo dalle parole e dal sangue che lo legava. Non conosceva neanche molto bene i suoi nonni, genitori di suo padre, in quanto dopo la terribile morte del figlio non reggendo la pressione dell’opinione in città si erano trasferiti in Texas a Wako. Lei e Burt lo avevano portato un paio di volte a trovarli e una sola volta i suoi nonni erano ritornati a Lima per vederlo, ma quella si era rivelata una visita disastrosa. Ogni tanto fra loro c’era qualche rara telefonata e periodicamente sapeva che sua madre inviava a loro delle sue fotografie e loro mandavano a lui dei regali sotto forma di busta con un po’ di soldi. Ma la realtà era che non c’era un vero rapporto tra loro. Con i suoi nonni da parte di madre, Lise e Charles Nelson, era come con suo padre di loro aveva solo qualche foto e molti racconti, erano morti entrambi molto prima che lui nascesse.

Chi davvero considerava i suoi nonni erano Molly e Arthur Hummel, i genitori di Burt. Loro c’erano stati durante tutta la sua vita.

Finn sapeva di non essere la persona più sveglia o intelligente, ma sapeva bene quanto suo padre avesse desiderato un altro figlio. Lui aveva sempre sperato che non arrivasse mai, aveva paura che se fosse nato un fratello o una sorellina che condivideva lo stesso sangue degli Hummel, lui, non sarebbe più stato amato allo stesso modo da Burt. Onestamente era stato sollevato che i suoi genitori fossero arrivati al punto di accantonare l’idea di provare ad avere un secondo figlio e ora il destino aveva giocato contro di lui...

A volte la vita faceva proprio schifo!
Finn chiuse gli occhi e provò a dormire sperando che quel ragazzo non fosse figlio di suo papà e che la sua vita tornasse alla normalità.
 
 


Burt quella notte non aveva dormito un granché, aveva parlato fino a tardi al telefono con Carole, aveva anche parlato con Finn che era stato un po’ evasivo quando gli aveva chiesto come andava. Burt non aveva bisogno di sentirlo dire da suo figlio per immaginarsi il vespaio girava attorno a tutta la loro vicenda.(che poi gli aveva confermato sua moglie)
 
Johanna Sullivan era passata a prenderlo presto quella mattina per portarlo in ospedale a parlare con il medico per il risultato dei test. La donna dopo il brunch, nel quale si erano chiariti, gli era parsa nei suoi confronti decisamente molto più dura di quanto non fosse prima, ma a lui non interessava, non vedeva l’ora che tutto fosse finito per prendere il primo aereo per Lima.

L’assistente sociale camminava con passo spedito e con una certa urgenza, per via del traffico avevano ritardato di parecchio all’ora dell’appuntamento che avevano con gli amici di Elisabeth, si rilassò solo quando misero piede in ascensore e schiacciarono il tasto del piano.

Quando le porte di aprirono rivelarono la sala d’aspetto del reparto dove aveva fatto il test di paternità.
Burt seguì Johanna che a passo sicuro si avvicinò a un uomo e una donna davvero elegantissimi e con vestititi di davvero alto pregio. Lui non era certo un esperto di moda, quello che sapeva lo aveva imparato grazie a Elisabeth, la quale era un appassionata. Si sentì a disagio nel suo completo buono per le occasioni importanti che ormai gli stava leggermente stretto dato che un po’ era ingrassato.

Si concesse un momento per studiare le due figure: entrambe erano certamente sulla quarantina d’anni forse addirittura di più, ma entrambi portavano la loro età in maniera incantevole. La donna aveva lunghi capelli biondi lasciati sciolti  che incorniciavano il viso cavallino (ma affascinante) e i grandi occhi azzurri chiarissimi. Vestita con un elegantissimo vestito bianco con dei fiori rossi di uno stile che era sicuramente richiamante il vintage che esaltava la sua corporatura sottile e ai piedi calzava delle scarpe rosse con un tacco davvero impressionate che l’aiutavano ad aumentare la scarsa altezza..

Burt però rimase colpito dall’uomo che era vestito in un elegantissimo completo casual verde scuro brillante e una camicia col collo coreano color bronzo, lo stesso tessuto del foulard infilato nel taschino sul petto della giacca. L’eleganza dell’abito veniva esaltata maggiormente dalla figura slanciata  e muscolosa   dello sconosciuto dai capelli castani rossicci leggermente striati di grigio e la pelle chiara cosparsa di tante lentiggini. Era decisamente un bellissimo. Ma Burt notò maggiormente che l’uomo lo fissò con i suoi occhi chiari, forse grigi, davvero freddamente  e con un lieve astio, tanto che lo indispose immediatamente anche perché anche non si somigliavano, gli ricordava il modo in cui lo guardava Luis Lopez...

Burt prima di avvicinarsi osservò un’ultima volta i due e pensò che sembravano usciti da una copertina patinata di una rivista di moda.

Johanna Sullivan stava parlando ai due con molta tranquillità, Burt notò il modo che aveva di rivolgersi all’uomo sconosciuto, un po’ civettuolo, si riscosse quando l’assistente sociale fece le presentazioni.
“Signor Hummel le presento Etienne Smythe e Isabelle Wright. Signor Smythe, signora Wright, vi presento Burt Hummel.”

Burt strinse alla mano ai due che lo salutarono educatamente e lanciò un’occhiata interessata all’uomo, pensando che era lui che voleva in affidamento il figlio di Elisabeth, mentre la donna bionda era quella che si occupava al momentaneo del ragazzo. Burt distrattamente pensò che quei due erano così diversi dagli amici che un tempo Elizabeth aveva avuto a Lima e che la gente li aveva soprannominati, non in maniera positiva o affettuosa, La Banda e per usare il termine che maggiormente la gente di Lima usava per descriverli era: “un ammasso di teste di cazzo!”.

Elisabeth, Melanie Anderson(da ragazza Penpeng), Luis Lopez, Jackson Zises, Olegh Clarington, Aron Puckerman da adolescenti e dopo il liceo erano stati inseparabili e in quegli anni non c’era un danno fatto a Lima che non portasse la loro firma:

Aron e Oleg erano finiti al riformatorio minorile per aver schiantato un auto contro una vetrina di un negozio di liquori (che anni dopo Aron ne sarebbe divenuto il propietario). Elisabeth che aveva buttato un secchio di colorante nella cisterna della scuola e quando gli sportivi o le cheerleader si erano fatti la doccia ne erano usciti colorati di verde.Jackson e Melanie, che erano i più tranquilli di quel gruppo, avevano messo del lassativo nel cibo nella mensa.

Infine, Luis sciupa femmine e rubacuori che ogni uomo che si interessava ad Elisabeth lo faceva finire male.
Burt se odiava davvero qualcuno in quel gruppo era proprio Luis. L’uomo latino aveva avuto una relazione sia con Carol che con Elisabeth, ma se con la prima era stata una storiellina adolescenziale con la seconda c’era stato qualcosa di più. Durante il terzo anno di liceo  e i tre anni successivi Luis e Elisabeth erano stati fidanzati ed erano stati davvero inseparabili, la gente di Lima  era sicura che si sarebbero sposati. Lo pensava anche lui. Luis e Ellie, come la chiamava il latino, erano molto simili: entrambi sprezzati e pungenti, entrambi di una bellezza fuori dal comune, entrambi anticonformisti ed entrambi  con un intelligenza acuta.

Sembravano davvero perfetti l’uno per l’altra, ma poi a Columbus, dove erano andati a convivere e a studiare all’università, era successo qualcosa che li aveva separati e aveva riportato Elisabeth a Lima. Nessuno sapeva, a parte gli altri componenti della Banda, cosa era successo e la ex-moglie non glie lo aveva mai confidato.

Quello a Burt lo aveva mandato spesso fuori di testa dal nervoso. Nonostante non fossero stati più insieme, Luis tornava spesso a Lima per vedere Elisabeth e lui avvertiva che c’era qualcosa di indistruttibile tra loro… ed era qualcosa aldilà che i loro genitori erano morti nello stesso incidente d’auto…
 
“Scusateci davvero per il ritardo, ma oggi c’erano dei lavori sulla strada dove alloggia il signor Hummel.” spiegò Johanna con semplicità, mentre lanciava un’occhiata non tanto velata al signor Smythe che per tutto il tempo non aveva fatto altro che fissare Burt, studiandolo.

Etienne non riusciva a capacitarsi come quell’uomo fosse l’ex marito della sua bellissima Elisabeth, non era bello e non aveva nessun senso dello stile, era imponente e solido, certamente un gran lavoratore dalle mani callose che aveva sentito quando gliele aveva strette, ma per quanto lo guardasse in lui non c’era niente che riuscisse a suggerirgli cosa la Calhoun ci avesse trovato. Etienne, come Isabelle, provò a cercare nelle fattezze di Burt qualcosa di Kurt( come un espressione o una movenza), ma entrambi non trovarono niente che suscitasse in loro un richiamo.

Etienne pregò disperatamente che quell’uomo non fosse il padre di Kurt, amava quel ragazzo come un figlio e non voleva che gli venisse strappato via come gli era stata strappata Elisabeth, non voleva che quel ragazzo soffrisse ancora e fosse sradicato da dove era tutta la sua vita. Sebastian sarebbe stato felice di accogliere il piccolo Calhoun come parte della loro famiglia e lo spazio nel loro appartamento non mancava.

Isabelle fissò l’uomo che era stato il marito della sua migliore amica e la cosa che le piacque di quel Burt Hummel furono gli occhi buoni e il modo deciso e forte in cui li guardava, denotando una personalità forse un po’ timida.

A richiamare l’attenzione di tutti fu il medico che aveva fatto i test, il dottor Moore, con in mano un plico di fogli e svariate buste, che li invitò a seguirlo in un piccola saletta che recava l’insegna di sala riunioni, il medico spiegò che in genere era lì che si parlava con le famiglie dei loro pazienti.
Burt si accomodò su una delle sedie con affianco Johanna che lo divideva da Etienne Smythe e Isabelle, i due si stringevano la mano e lui si domandò distrattamente se avessero qualche tipo di legame amoroso.
Burt cercò di regolarizzare il battito del suo cuore che batteva all’impazzata dall’agitazione, si sfregò le mani sulle ginocchia in un gesto nervoso e pensò che in quel frangente avrebbe tanto voluto Carole con se.
Il dottore si accomodò di fronte a tutti loro, sistemò i fogli, prese la prima busta che aveva di fronte a se e l’aprì.

“Allora signori, bando ai convenevoli, sappiamo tutti perché siamo qui è inutile girarci tanto intorno.-fece spiccio il medico, come se sapesse che in quelle situazioni era la cosa migliore da fare.- Signor Hummel, avendo analizzato alcune cellule sue e della signora Calhoun, abbiamo ricavato i vostri profili genetici e confrontati con quelli del ragazzo, inoltre, per essere sicuri del risultato ottenuto, abbiamo fatto una controprova, ma, in entrambi i casi, il test è risultato positivo. ”

Burt fissò il medico incredulo e si sentì strano. Il suo mondo era appena crollato e lo aveva fatto in silenzio. Sbatté le palpebre come se avesse preso una botta molto forte al viso, era stordito tanto che registro distrattamente il rumore di un verso affranto che doveva aver emesso Etienne Smythe.

“Signor Hummel, Kurt Charlie Calhoun è senza ombra di dubbio suo figlio.”
“Kurt…” Burt pronunciò per la prima volta il nome di suo figlio così piano che forse nessuno lo sentì, ma in quel momento si fece vivo in lui un ricordo che nemmeno pensava di possedere.


Corpi sudati, membra sazie e una stanza che cullava le parole di due amanti complici dette bisbigliando. Elisabeth e lui era da un po’ che tentavano ad avere figli ed erano elettrizzati all’idea di creare una loro famiglia, tutti i loro amici piano, piano stavano diventando genitori e a loro sarebbe piaciuto che i loro figli crescessero con quelli degli altri, il discorso era caduto sui nomi con i quali avrebbero potuto chiamare un ipotetica figlia.
“Ma se abbiamo invece un maschio come ti piacerebbe chiamarlo?” gli chiese Elisabeth ridacchiando perché in quel momento gli era salita a cavalcioni e Burt rimase incantato ancora una volta dalla bellezza da quella che da poche settimane era sua moglie: pelle d’alabastro, capelli lunghi e boccolosi color castagna, occhi azzurri e lunghi come quelli di un gatto. Elisabeth era bellissima e nuda era incredibile.
Burt non aveva bisogno di pensare a che nome maschile gli piacesse perché ce n’era uno che aveva sempre amato.
“Kurt.”
Elisabeth sorrise e fece una faccia stranita.
“Kurt.”ripeté sua moglie sentendo come il nome suonava fra le sue labbra.
“Kurt.”ripeté lui ed Elisabeth sorrise dolcemente.
“Mi piace, se avremo un maschio lo chiameremo Kurt!"
"E di secondo nome? " chiese divertito Burt.
Elisabeth divenne molto pensierosa, ma poi con voce timida disse:
"Mi piacerebbe Charlie, sia che fosse maschio o femmina."
"Va bene! Sia che avremo un maschio sia che avremo un
a femmina, di secondo nome si chiamerà Charlie"
Burt sorrise alla donna e che amava che in quel momento si era chinata per dargli un bacio che presto era divenuto qualcosa di più.

 


Blaine aprì leggermente la porta del e spiò fuori.
Tina Coen Chang era lì, appoggiata al muro di fronte ai bagni che lo attendeva vestita di tutto punto col suo inquietante gotic stile.
‘Dio ma cosa ho fatto di male per meritarmi questo? Ok c’è stato un bacetto da ubriachi a una festa... ma mesi fa!’
 Blaine cercava di ripensare, a parte il bacio, cosa Tina non avesse capito del suo volutamente ignorarla dopo il fattaccio …
‘Ma perché le donne non mi lasciano in pace? Questo è Stalking! Anzi so perché non mi lasciano in pace... – Blaine fissò lo specchio compiaciuto- Dio, come sono bello! Mi scoperei all’istante se mi incontrassi...’
“Blaine sei qui?” chiese Tina fuori dai bagni.
‘Maledetta stronza! Sai che sono qui, mi hai seguito!-Il ragazzo non rispose e si andò a chiudere a chiave in un cubicolo dei gabinetti e scosse la testa- D’accordo, forse posso averla illusa un pochetto... oltre il bacio per un po’ ho camminato con lei tra una lezione e l’altra… sì, ma non me ne è mai fottuto un cazzo di lei!”

Si lagnò con se stesso mentalmente mentre si sedeva imbronciato su un water dopo aver abbassato la tavoletta.
Blaine sentì qualcuno entrare nel bagno, sperò che non fosse Tina, anche se non lo avrebbe stupito data l’insistenza sfinente della ragazza.
“Anderson sei qui dentro?”
‘Oh sìììììììì... per te sono dove vuoi futuro signor Anderson di questo mese! Lo eri anche il mese scorso visto la fauna deprimente di questo orribile posto’

“Tina mi ha mandato a cercarti.”
Blaine sbuffò sentendo il nome dell’asiatica.
‘Perché Tina!?Quella non ha capito che l’accompagnavo solo per violentare con lo sguardo le belle natiche marmoree del suo migliore amico!’
“Dai amico, sono Sam Evans!”
So chi sei dato che mi sono proiettato ,nella mia mente, un sacco di filmini porno con te come protagonista. Dai vieni qui dentro, chiudiamoci e dimentichiamoci di Tina. ’
Blaine non rispose e dopo sentì un sospiro.
“Deve essersi sbagliata.”

Blaine si trovò di nuovo solo.
‘Per ora il pericolo asiatico è stato scampato.’
Il ragazzo sbadigliò e poi osservò meglio il bagno in cui sostava.
‘Oh è quello che usano quei coglioni... ah beh allora...’
Con allegria si alzò in piedi e si slacciò la cerniera e
‘Forza Blaine Junior non mi deludere!... Ahhhhh’

Il ragazzo riccio cominciò a fare pipì bagnando il pavimento, il sanitario e le mattonelle.
‘So per certo che uno di voi stronzetti piscia seduto e che un altro ha il suo svuoto degli scarichi alla ricreazione… così vi porterete per il resto del giorno una parte importante di me!’
Alla fine si diede una sistemata, si lavò le mani e poi con aria soddisfatta uscì dal bagno.
‘Questa volta Figgins non potrà darmi la colpa! A meno che non faccia un esame delle mie urine!’
Il ragazzo camminò tranquillo fino a che non vide le uniche due figure a scuola, oltre il culo di Sam, che considerava decenti: Brittany e Santana.

Le conosceva fin da quando erano piccole, erano alla stessa classe all’asilo e poi sapeva che le loro famiglie non centravano nulla con quello che era capitato a sua madre... Anzi, quella era l’unica sicurezza che aveva in tutta quella faccenda:
I Pierce e i Lopez erano innocenti.

Rapidamente superò la folla degli studenti e con prepotenza staccò i mignoli alle due ragazze e si mise in mezzo prendendole sotto braccio.
“Ciao Blaine.” Disse Brittany dando un bacio sulla guancia del ragazzo che al contempo si sentì tirare un orecchio.

“Ti ho detto mille volte che non devi farlo! Se mi spezzi un dito io poi ti picchio con il gesso! E tu Brittany non salutarlo con tutta quella enfasi! Lo spingi a rifarlo.”

Blaine guardò intensamente Santana, mentre lentamente le parò davanti il dito medio.
“Credi di essere l’unico in grado? Non è che se non parli mai sei l’unico che conosce le parolacce con i gesti.” rispose con calma Santana facendo a sua volta il gestaccio.
Blaine sorrise divertito e poi fulmineo prese in bocca il dito della ragazza e scosse la testa come un cane beccandosi un paio di sberle in testa e una tirata di capelli dalla latina e lui, per tutta risposta, prima di lasciare la ‘presa’, le mollò un morso.
“Ahia! Blaine! Dai cazzo! Non è divertente!”
“Santana dai andiamo subito in infermeria a farti un vaccino contro il tetano!”
“Semmai contro la rabbia Britt.”
Brittany annuì assorbendo quella informazione, ma ogni discorso fu interrotto dalla voce di Noah Puckerman che gridava:
“Ma che schifo! Chi è lo stronzo che ha pisciato dappertutto tranne che nel cesso!”
Santana si voltò a fissare Blaine, che aveva in faccia un sorrisetto divertito, e chiese:
“Sul serio? Spero che tu ti sia lavato le mani dopo...”
Blaine sorrise più ampiamente e fece una carezza sul viso a Santana che si ritrasse schifata.
“Blaine io ti taglio le mani!”
 
 

L’angolino della tazza di caffè…

 
Allora eccoci qui con il secondo capitolo…
La matassa di tutta questa storia è davvero complicata e lo devo ammettere sono piuttosto elettrizzata!
Nel prossimo capitolo avremo l’incontro fra Kurt e Burt e ci saranno davvero molti pensieri da ambo le parti!
Blaine è un combina guai di prima categoria ed abbastanza ingestibile e nel terzo capitolo farà la sua apparizione il bel Cooper Anderson che ha soli 4 anni più di Blaine anziché 8 come nel telefilm, ma tutto verrà spiegato a tempo debito.
Intanto vi saluto, lasciandovi il mio indirizzo fb e vi ringrazio dell’accoglienza che ha avuto questa mia nuova storia!
https://www.facebook.com/pages/Schifottola/598579906836059?ref=hl
 

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Capitolo 3
*** Mamma, dov'è il mio papà? ***



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Carole sistemò per l’ennesima volta la cucina dal disastro che doveva aver combinato qualche animale entrato durante la notte. Buttò nervosamente dentro la spazzatura i resti di un pacco di biscotti, aveva detto mille volte a Finn che, durante la notte, doveva chiudere la porticina basculante, inserita nella porta della cucina che dava sul giardino. L’avevano fatta installare all’inizio di quell’anno quando avevano comprato il loro cane, Bob, che in quel momento la guardava interrogativo come le volesse chiedere cosa avesse.

Bella domanda sarebbe stata, visto che il quel momento si stava chiedendo perché il destino fosse così cinico e crudele.
Era arrabbiata perché lei e Burt per anni e anni avevano provato ad avere dei figli e non c’erano riusciti e invece suo  marito aveva un figlio! Un figlio avuto dalla sua ex moglie!
Elisabeth era riuscita dove lei aveva fallito e questo la rendeva furiosa.
Elisabeth in un modo o nell’altro riusciva sempre dove tutti gli altri fallivano, rendendola sempre unica e speciale.

Era arrabbiata perché ancora una volta si era sentita inferiore a lei e ne provava invidia.
Era arrabbiata perché aveva appena sentito suo marito per telefono e lo aveva avvertito perso e spaventato e lui non poteva essere perso e spaventato, era la sua roccia, il suo punto fermo. Se lui crollava, crollava anche lei e viceversa.

Era arrabbiata perché sapeva che cosa avrebbe comportato che quel ragazzo venisse ad abitare con loro, sia a livello famigliare sia l’impatto avrebbe avuto sulla gente di Lima. Sarebbero stati sotto l’occhio del ciclone per molto tempo, perché il ragazzo aveva discendenza Calhoun e quella famiglia e i suoi discendenti avevano sempre portato solo guai nella piccola cittadina.
Era furiosa soprattutto con se stessa che in un momento del genere non riusciva a provare dispiacere per un ragazzo di quindici anni orfano che non centrava nulla con le scelte della madre o del desiderio di suo marito di avere figli, vedeva solamente che la sua piccola e perfetta vita stava venendo minata.

Lei e Burt in tutti i modi avevano cercato di togliere dalle loro vite i segni di Elisabeth e Christopher, avevano scelto, in un quartiere tranquillo un po’ di periferia,  una casa nuova immersa nella natura vicino a un bosco che fosse tutta loro. Avevano comprato tutti mobili nuovi e avevano venduto quelli vecchi e, tranne delle fotografie che aveva tenuto per Finn in un album che gli aveva donato, per il resto non c’era più niente delle loro vecchie vite.

Qualcuno avrebbe potuto dire che Finn era il segno che lei aveva avuto una vita con Christopher Hudson prima e che era raffrontabile con i fatto che stava per accogliere un ragazzo che rappresentava che suo marito prima aveva avuto una vita con Elisabeth… ma non era la stessa cosa!

Burt aveva cresciuto Finn da quando aveva pochi mesi, ed era sempre stato presente da quando lei era incinta! Finn poteva avere il sangue di Christopher Hudson, ma il padre di suo figlio era Burt Hummel. Il ragazzino che invece sarebbe arrivato, avrebbe avuto il sangue di suo marito ma fondamentalmente sarebbe stato uno sconosciuto per tutti nella loro casa.
Carole iniziò a pensare in quale modo poteva dare la notizia a Finn…
 


“Luis hai sentito il pettegolezzo che gira per Lima?”
Luis Lopez alzò il proprio sguardo su Richard Anderson, mentre questo si stava mescolando un caffè, erano entrambi in pausa dopo un lungo intervento che li aveva tenuti a lavorare fianco a fianco per quattro ore: una donna aveva avuto un gravissimo incidente e le avevano dovuto  amputare una mano, ma almeno erano riusciti a salvarla.
Luis voleva molto bene a Richard e Richard ne voleva a lui.

Richard era stato il marito di Melanie, sua carissima amica che considerava come una sorella, ma dalla sua tragica morte la Banda si era praticamente sciolta. Se Elisabeth da ragazzini  in un qualche modo li aveva riuniti e legati alla sua sparizione era stata Melanie che aveva tenuto insieme il gruppo. Lui, Jackson Zises, Olegh Clarington e Aron Puckerman dalla morte della piccola Mel non erano più stati in grado di essere amici, la Banda si era definitivamente sciolta. Avevano perso troppo. Luis lo aveva compreso alcuni giorni dopo il funerale dell’amica guardando negli occhi Aron, sapeva che l’amico era cresciuto insieme a Melanie e proprio per questo fra tutti loro era quello meno incline a mentire. Fu lui il primo a riconoscere che la Banda era morta e il tempo gli aveva dato ragione:  erano divenuti delle persone che una volta erano state molto amiche e che, se si incontravano, si fermavano a fare quattro chiacchiere e si salutavano con la promessa di vedersi per un caffè o una birra, ma che poi non avveniva mai.

Luis, invece, dalla morte dell’amica si era legato moltissimo a Richard e a Josh Pierce, forse complice il fatto che Richard si era legato ai due uomini dato che era grazie a loro se Blaine era sopravissuto quando la disgrazia era successa...

Il dottor Lopez sapeva che il rimpianto Richard era che il giorno che era morta Melanie, lui, era andato a pescare con Cooper. Sapeva che l’amico si chiedeva spesso cosa sarebbe successo se lui quel giorno non fosse andato.

Melanie quel giorno aveva lasciato Blaine andare a giocare dai loro vicini, i Pierce, con la loro figlia Brittany, ma ad un certo punto del pomeriggio il piccolo era tornato a casa a prendere un gioco e non era più tornato. Brittany era andata a piangere dai genitori perché l’amichetto ci stava mettendo troppo e Josh era andato a vedere perché il bambino tardava a tornare. Era inverno inoltrato e, anche se erano le sei del pomeriggio, fuori era buio. L’uomo aveva  capito subito che qualcosa non andava quando trovò la porta di casa Anderson malamente aperta.

Josh quando trovò Melanie purtroppo era già deceduta e per lei non c’era stato niente da fare, Blaine, però, anche se mal ridotto era ancora vivo. Si era salvato solo perché Josh lo aveva trovato in tempo e Luis in sala operatoria aveva fatto di tutto per salvare il figlio della sua amica e ce l’aveva fatta.

“Quale? Quello dell'ispettore MacManara?” domandò mentre sorseggiava il suo caffè nero.
“No, quello su Burt Hummel!”
Richard notò immediatamente l’espressione di Luis farsi più dura.
“Cos’è ha tradito sua moglie per mettersi con un'altra donna?” domandò tagliente l’uomo.
“No, ma in realtà non so nemmeno se è vero, anche se Blaine mi ha detto che a scuola sua il giornalino del McKinley l’ha pubblicata come notizia da prima pagina!”
“Addirittura una notizia del giornalino della scuola mi riporti.” Rise Luis tranquillo nonostante Richard avesse detto: me ne ha parlato Blaine.

Come tutti a Lima sapeva che il giovane Anderson era una sorta di muto selettivo e che in quel momento parlava solo con Richard, Cooper, i suoi nonni, lo zio Thomas e a volte aveva spiaccicato qualche parola anche con lui.

 “Non ridere! Chi ha diffuso il pettegolezzo, è una fonte affidabile a quanto pare…” Richard aveva pensato molto se provare a parlarne con Luis, sapeva dell’acredine che aveva nei confronti di Burt Hummel e anche della rabbia che ormai provava nei confronti di Elisabeth, ma se la notizia era vera, aveva il diritto di sapere. Non c’era persona a Lima che più di lui aveva voluto bene a Elisabeth, lui e i membri che rimanevano della Banda.
“Dai Richard non tenermi sulle spine!Chi ha diffuso il pettegolezzo sul caro Burt? ”
“Molly Hummel!” Richard gli venne in mente l’immagine della donna con i suoi capelli sempre in piega e tinti di rosso, che spesso in quei giorni era andata a casa del figlio, suo dirimpettaio nella via dove si era trasferito dopo la morte di Melanie. Richard doveva ammettere che in effetti in quei giorni non aveva visto nemmeno una volta Burt e questo confermava ancora di più le voci che suo figlio aveva riportato.
“Oh quella pettegola di sua madre! Interessante! Cosa tratterebbe? A Burty stanno ricrescendo i capelli? Si è messo a dieta perché finalmente si è reso che ha messo su un considerevole panzone?”
“Qualcosa di più serio! –Richard prese un respiro profondo prima di dirlo, immaginava l’impatto che la notizia avrebbe avuto sull’amico, che in quel momento aveva dipinto sul viso un’espressione scanzonata.-Elisabeth è morta e- ”
Luis alle parole di Richard sentì un improvviso dolore all’anima, mai avrebbe immaginato una cosa del genere.
“Stai scherzando? Dimmi che stai scherzando!” disse in tono quasi supplichevole.
“Mi dispiace Luis non sto scherzando, a quanto pare Elisabeth si era trasferita a New York  e aveva un figlio che sembrerebbe essere di Burt.”
Luis non riuscì a sentire altro perché si alzò e se ne andò.
Richard guardò l’amico andarsene e sospirò sentendosi più stanco per quelle parole piuttosto che per le quattro ore di intervento che aveva appena concluso.
 
 
Burt guadò fuori dal finestrino e si perse ad osservare le strade di New York cariche di gente che camminava con fretta, il traffico era intenso e non era raro sentire il rumore di qualche guidatore che abusava del clacson. In tutta quella giungla di auto l’attenzione dell’uomo veniva spesso catturati dai taxi che con il colore delle loro vetture gialle dava un tono di allegria a tutto quell’agglomerato di macchine.

Burt ringraziò dentro di sé che Johann non avesse provato a instaurare nessuna conversazione o rinfacciargli nessuna delle cose che aveva detto, non sarebbe stato in grado di gestire le sue emozioni in quel momento. Tremante aveva telefonato a Carole per dirgli gli esiti del Test di paternità, sua moglie era stata magnifica come sempre, lo aveva incoraggiato e in parte tranquillizzato, non si erano persi a parlare tanto, sapevano a quello che comportava il fatto che quel ragazzo fosse suo.
Kurt, questo era il nome di suo figlio. Burt dentro di se aveva troppo sentimenti e non capiva bene quello che stava provando, c’era dolore per quello che aveva perso con quel ragazzo e che mai avrebbe potuto riavere, c’era ansia perché lo stava per incontrare la prima volta e c’era paura di quello che rappresentava: il suo legame con Elisabeth.

Elisabeth... dentro di se l’uomo sentì anche un odio profondo appena nato e, proprio per quello, ancora più forte e vigoroso. Non riusciva a credere del torto che gli aveva fatto.
“Siamo quasi arrivati.” Lo informò l’assistente sociale che in quel momento si sentiva sollevata.

Era contenta che quella storia si stesse risolvendo nei migliore dei modi burocratici per lei, togliendole dalle spalle definitivamente l’incarico di quel ragazzo che, per quanto gli dispiacesse per lui, era anche molto fortunato dal punto di vista economico visto la lauta eredità, la liquidazione sulla polizza della vita della madre e, in più, già con un proprio e considerevole conto in banca dato dal lavoro di attore e giovane promessa di Broadway. Johanna sapeva che probabilmente il ragazzo in un primo momento sarebbe stato più felice con Etienne Smythe, che avrebbe mantenuto la sua vita più similare a quella che aveva prima, ma Burt Hummel era il padre naturale e anche se questo avesse comportato diversi cambiamenti nella sua vita, forse, a lungo andare si sarebbe dimostrato meglio per lui. Burt aveva il diritto di conoscere il proprio figlio! Ma se non fosse andata bene quella convivenza, Kurt finito il liceo a Lima, ovvero tre anni e mezzo, sarebbe tornato a New York e avrebbe ripreso la sua vita da dove l’aveva lasciata.

Burt sentì il cuore che gli pompava a una velocità impressionante.
Davanti a loro a guidarli c’era una macchina molto elegante, metallizzata e sopra c’erano Isabelle e Etienne.
Burt aveva avuto l’istinto, poco dopo che aveva assimilato la notizia, di dire una sequela di insulti verso Elisabeth ed esternare la propria rabbia, ma quello che lo aveva bloccato erano state le lacrime sia di Etienne che di Isabelle. Per loro, il fatto che fosse il padre di Kurt, rappresentava che il ragazzo sarebbe andato via da New York e venuto via con lui a Lima.

Il meccanico sussultò quando Johanna Sullivan parchèggiò. Scesero dalla macchina e l’uomo si guardò attorno. Si rese conto che il palazzo dove erano davanti i due amici della sua ex moglie era di fronte a Central Park, lui non era stupido e sapeva perfettamente che i prezzi degli appartamenti in affitto o in quella zona venivano una follia e comprarli ancora di più. Isabelle Wright doveva essere una donna davvero ricca e anche quel Smythe lo sembrava, Burt si sentì ancora più a disagio.

“Abbiamo già avvertito Kurt, sa che stiamo venendo qui con lei signor Hummel.”lo avvertì con voce incolore Etienne che in quel momento faticava ancora ad accettare che Kurt era davvero figlio di quell’uomo. Isabelle in auto aveva cercato di far di tutto per rassicurarsi e rassicurarlo, dicendo che Kurt sarebbe venuto spessissimo a New York, avrebbe pagato lei il biglietto se necessario e che anche loro avrebbero potuto scendere a Lima a trovarlo, cercava in tutti i modi di trovare le soluzioni a quel disastro che era appena successo. 

Burt annuì sentendo l’ansia assalirlo insieme alla curiosità di vedere che aspetto avesse il ragazzo. Cominciò a chiedersi se Kurt somigliasse a lui, se fosse alto e un po’ piazzato e se gli piacessero gli sport, magari il football, oppure se preferisse le macchine. Si domandò se fosse timido e se magari avesse già avuto la prima fidanzatina, che voti potesse avere a scuola e se avesse problemi con la matetica esattamente come l’aveva avuta lui a suo tempo.

Salirono in ascensore, c’era un silenzio strano denso di sentimenti che ognuna delle persone portava con se. Per Burt fu strano che Isabelle schiacciasse il ventiduesimo piano, raramente in vita sua era stato in palazzi che superassero i dieci piani, figurarsi uno con più di venti.
Quando l’ascensore fece il suo ding per dire che erano arrivati, Burt sentì le gambe tremare.
Johanna fu la prima a uscire dall’ascensore e si posizionò davanti a un appartamento che recava il numero 45.

“No, Kurt è a casa sua, non da me.” Disse Isabelle all’assistente sociale e poi si voltò verso di lui spiegandogli: “Elisabeth aveva comprato l’appartamento di fronte al mio.”
Burt rimase stupito di quella informazione. Elisabeth era benestante, i Calhoun come famiglia lo erano anche di più dei Fabray, ma non pensava che la sua ex moglie lo fosse tanto da potersi permettere un appartamento a Manhattan all’Upper West side, i prezzi li erano da capogiro. Quando si erano sposati avevano mantenuto la separazioni dei beni proprio per evitare problemi, quindi mai era venuto in mente di sapere dei conti di sua moglie.
Burt fece un respiro profondo e pensò che forse la ex moglie aveva un ottimo lavoro e stava facendo un mutuo, non era possibile che avesse avuto tutti quei soldi.

Etienne andò a suonare al campanello dell’appartamento numero 46, Burt si sistemò l’abito in maniera agitata e nervosa con l’intento di sembrare in ordine e forse anche elegante. Si sentirono dei passi ed aprirgli venne un giovane molto alto, bello dai lineamenti dritti e perfetti, con capelli castano ramato e occhi verdi, spalle larghe. I loro sguardi s’incontrarono, il meccanico rimase piacevolmente sorpreso da quello che era suo figlio e un po’ s compiacque di quel bel ragazzo.
“Ciao Sebastian.” Etienne salutò il figlio stancamente, ma il ragazzo studiava ancora avidamente la figura del meccanico.
“Ciao.” rispose Sebastian non facendoli entrare.
Burt dentro di se si vergognò per l’errore commesso, in effetti quel ragazzo era troppo adulto per avere quindici anni appena compiuti, ma si assolse, in fondo non aveva mai visto suo figlio.
“È lui?-domando il giovane al padre con un faccia stranita che semplicemente annuì col capo. – mi aspettavo tutt’altro onestamente!” commentò facendoli finalmente spazio per entrare e Burt si sentì punto sul vivo.
“Sebastian!”disse intono di ammonimento Etienne al figlio che lo fissò in maniera strafottente.
Sebastian colse perfettamente la faccia infastidita che gli fece il meccanico per esprimere il proprio disappunto, ma a lui, onestamente, non gli interessava. Era vero quello che aveva detto: si aspettava qualcosa di diverso, magari un uomo bello, affascinate in una maniera mascolina e un po’ rude, esattamente come i personaggi dei telefilm di serie z di alcuni canali satellitari improbabili. Invece, aprendo la porta, si era trovato certamente un uomo rustico, alto, ben piazzato con una bella panzetta e un faccione paragonabile a quello di Shrek. Sebastian si concesse ancora uno sguardo e si chiese che diavolo ci avesse trovato Elisabeth in quell’ uomo che, onestamente, al massimo era da farsi offrire un drink e non vederlo mai più. Mentalmente ringraziò la genetica che evidentemente aveva escluso ogni cosa di quell’uomo dal profilo di Kurt.

Il fastidio di Burt durò poco, dato che rimase attratto dagli eleganti arredamenti della casa che dava immediatamente sul soggiorno e nel quale c’era un altro ragazzo in piedi, chiaramente di origine latina, alto nella norma, pelle olivastra, occhi castano scuro come i capelli quasi neri, la canotta che portava faceva vedere i muscoli delle braccia allenate il giusto. Il meccanico si disse che quello non poteva essere suo figlio, ne lui e ne Elisabeth avevano quelle caratteristiche genetiche in famiglia.

“Ciao Thad, vedo che hai caldo come al tuo solito!” costatò Etienne entrando e salutandolo con un certa confidenza e Burt vide che anche l’altro ragazzo, dopo aver ricambiato il saluto, lo fissava con una certa curiosità, ma, a differenza di quel Sebastian, diede il buongiorno tutti e poi gli venne di fronte.
“Sono Thad Harwood, piacere di conoscerla.”
“Burt Hummel.”
Si strinsero la mano.

Poi improvvisamente da una porta finestra che dava probabilmente su un terrazzo vide spuntare una figura con in mano un annaffiatoio e Burt rimase totalmente folgorato, non aveva bisogno di chiedere se quello che aveva davanti fosse Kurt, sapeva che era lui.
Capelli di un caldo color castagna, pelle d’alabastro, occhi grandi e lunghi come un gatto delle tonalità chiare, un naso all’insù, corporatura magra ed elegante e particolarmente piccola per un ragazzo di quindici anni.

Burt studiò ancora la figura che aveva di fronte, era la copia precisa della madre e come lei aveva quella incredibile bellezza che toglieva il fiato, solo che nel ragazzino era ancora acerba data l’età.
Kurt fissava un uomo che a lui era sconosciuto, non è che avesse bisogno di sentirsi dire che quello era Burt Hummel, lo immaginava, solo che non centrava nulla con l’idea che aveva nella mente, anche se in realtà pure quella era abbastanza nebulosa, ma certamente quello che aveva davanti non era un uomo che avrebbe immaginato vicino a sua madre. Non era deluso, solo stranito.

Kurt poggiò l’innaffiatoio dove sempre era stato sul terrazzo, entrò e chiuse la finestra dietro di se, notò che le sue mani tremavano. Lui aveva paura, quell’uomo lo avrebbe portato via da tutta la sua vita e la verità era che lui non voleva lasciare le persone a lui care, la scuola di recitazione e il suo liceo.

Vide che l’uomo che aveva di fronte lo osservava con meraviglia, eppure era curioso di sapere chi fosse suo padre, la persona su cui tante volte aveva fantasticato segretamente e che tanto aveva desiderato...
 

“Mamma, mamma, mamma!”
Elisabeth si chinò e con un enorme sorriso si preparò ad accogliere fra le sue braccia Kurt di quasi quattro anni, che correva verso di lei con un espressione concentrata per non cadere. I vestiti erano tutti pieni di macchie di quella che sembrava pittura, segno che quel giorno avevano fatto qualche lavoro particolarmente complicato. il bambino le aveva buttato le braccia al collo e la donna lo sollevò in braccio.
“Amore come è andata la scuola[1] oggi?” suo figlio non le rispose e con un tono d’urgenza nella voce chiese:
“Mamma perché io non ho un papà?”
Kurt la fissava con gli occhi sgranati e un’espressione sgomentata, come se avesse capito che a lui mancava qualcosa di fondamentale.
Elisabeth rimase un attimo impreparata, non si aspettava onestamente una domanda del genere, suo figlio aveva tre anni in pochi mesi quattro, poi collegò, il 21, quella domenica sarebbe stata la terza di Giugno[2], il giorno del papà e forse a scuola avevano fatto qualche lavoretto da donare.
La donna non sapeva che rispondergli, onestamente non ci aveva mai pensato anche perché Kurt non sembrava mai aver dato peso che la loro famiglia fosse composta solo da loro due.
“Perché mammi? Perché?”richiese il bambino quando vide sua madre che non gli rispondeva.
“Perché amore mio esistono vari tipi di famiglie! Alcune hanno una mamma e un papà, altre una mamma e una mamma, come Helen la tua compagna. Altre ancora hanno due papà, infine ci sono quelle dove c’è o soli il papà o solo la mamma... esattamente come siamo tu ed io.”
Elisabeth guardò suo figlio che sembrò pensarci su, poi la guardò con i suoi occhioni così simili ai suoi.
“Ma io non capisco!” disse corrucciato il bambino e la donna sospirò.
“Ti ricordi che ti ho raccontato che i bambini sono portati dalla cicogna?”
“Sì-”
“Ecco amore mio, è stata la cicogna a portarti da me.” Il sorriso di Kurt era tornato sulle labbra ed Elisabeth si sentì un po’ meglio, ma sapeva che un giorno quella stessa domanda le sarebbe stata riposta e lei non se la sarebbe cavata con un: ti ha portato la cicogna.

Così era stato, Elisabeth era andata prendere Kurt a scuola e lei s’inteneriva sempre vedere suo figlio con quella enorme cartella di Winnie the Pooh che aveva tanto voluto quando aveva cominciato le scuole di primo livello.
Elisabeth si era accorta che suo figlio aveva qualcosa che non andava, ma aveva aspettato che fosse lui a venire da lei a dirle cosa lo tormentava.

“Mamma posso farti una domanda?”domandò timido Kurt e Elisabeth seppe che era qualcosa di abbastanza serio se suo figlio le chiedeva qualcosa in quel modo.
“Tutte quelle che vuoi pulcino.”gli rispose dolcemente.
“Oggi a scuola Tracy, la mia compagna di banco, mi ha chiesto se ho un papà. Io le ho risposto che non ce l’ho e lei mi ha detto che tutti abbiamo un papà! Allora mi ha chiesto che fine ha fatto e io non ho saputo che dirle! Mamma dov’è il mio papà?”Chiese Kurt che davvero voleva sapere dov’era e capire perché non era con lui e la sua mamma.
Elisabeth sospirò, non poteva dirgli tutta la verità. Non in quel momento che era troppo piccolo.
 “Amore mio, tu non hai un papà perché mamma voleva tanto un figlio, ma non aveva vicino un uomo che volesse essere suo marito e allora ha deciso che, anche se da sola, avrebbe avuto un bambino, cioè te! Ora spiegarti tutto, tutto non posso amore mio, ma sappi che quando sarai più grande la mamma ti racconterà ogni cosa.”
Kurt spalancò i suoi occhi, la mamma gli aveva detto delle cose importanti, ma lui ancora non capiva perché  non avesse un papà.
“Mamma, ma io voglio saperlo adesso!”
“Non si dice voglio, ma vorrei!”
“Mamma io vorrei saperlo adesso!”
“Te l’ho già detto, quando sarai più grande!”
“Ma mamma!”
“No! Quando sarai più grande.”
 Kurt sbuffò, sapeva che quando la sua mamma diceva, no in quel modo non c’era niente che potesse fare per convincerla del contrario, però si sentiva arrabbiato.
“Va bene! Tieniti quello stupido segreto per te! Io non voglio saperlo non te lo chiederò mai più!”Kurt se ne andò in camera sua a giocare con il suo meraviglioso servizio da tè, con il suo peluches, , Mister solo Jack, che gli avevano regalato Thad e Sebastian, a forma di pinguino, chiamato così in onore del personaggio preferito della sitcom che seguiva la sua mamma.
Elisabeth alzò gli occhi al cielo, Kurt aveva preso decisamente da lei, se da un lato questo le faceva piacere dall’altro la spaventava immensamente.
 Ricordava perfettamente perché lei aveva deciso di non crescere suo figlio insieme a Burt, ma da quando Kurt gli aveva chiesto per la prima volta perché lui non avesse papà, aveva ponderato se non fosse il caso di tornare sui suoi passi. Sapeva che fra lei e Burt era lei quella che aveva sbagliato maggiormente con il fatto che era scappata senza dirgli di aspettare un bambino, nonostante lui l’avesse tradita e avesse intrapreso una relazione extra coniugale con Carole Hudson. A mente fredda sapeva che il suo agire era stato sbagliato, ma lei all’epoca era così arrabbiata e ferita e poi c'era Carole che era stato il motore di tutta quella decisione…
Elisabeth come al solito, quando la assalivano i dubbi, si disse: ‘Ci penserai dopo, non preoccuparti una soluzione la troverai.’

Altri cinque anni erano passati ed Elisabeth la sua soluzione l’aveva trovata …
 Kurt, come promesso nella sua tenera età di sei anni, non aveva più chiesto nulla riguardante la questione del perché lui avesse un padre, eppure lei aveva visto un sacco di volte in quei anni lo sguardo malinconico e desideroso di suo figlio quando vedeva dei bambini in compagnia o giocare con i loro papà. Questo faceva male ad Elisabeth, perché vedeva quanto suo figlio fosse felice quando il suo fidanzato, Etienne, era con loro, Kurt era sempre stato felice fin da bambino quando il padre di Sebastian aveva giocato con lui o gli aveva riservato delle attenzioni.

Elisabeth voleva parlare con suo figlio riguardo all’argomento, ma Kurt in quel periodo era nervoso e arrabbiato, Sebastian e Thad i suoi migliori amici, come al solito, gli facevano pesare che lui era troppo piccolo per fare le cose che facevano loro e poi entrambi avevano avuto il risveglio pieno degli ormoni e avevano appena scoperto le ragazze. Succedeva spesso che i due ragazzini più grandi uscissero per conto loro con le loro fidanzatine lasciando Kurt con il broncio a urlare indispettito che trovava noiosi i ragazzini della sua classe e della sua età.

Elisabeth sapeva che non era vero, Kurt non era mai riuscito a legare tantissimo con i ragazzini della sua età perché non si faceva problemi a mostrare cosa gli piacesse: vestiti, accessori, musical, canto, ballo, recitazione... tutte cose che i suoi coetanei non gradivano o, meglio, non apprezzavano che determinate cose interessassero a un ragazzo.

Kurt aveva più amicizie alla scuola di teatro, ma tolti Sebastian e Thad, anche lì l’ambiente non favoriva particolarmente il legame fra i componenti, c’era tantissima rivalità fra i pochi ragazzini di età comprese fra gli 11 e i 18 anni, che avevano raggiunto determinati standard e che venivano scelti per degli spettacoli a Broadway e off Broadway. Kurt aveva già preso parte ad alcuni spettacoli, venendo indicato come una futura promessa, e per questo spesso l’età incompatibile e l’invidia che aveva riscosso dai suoi compagni non aveva certo aiutato.

Elisabeth ringraziava il destino che suo figlio avesse incontrato Sebastian e Thad, anche se non era ben chiaro però perché i due ragazzi quando erano bambini avessero preso così tanto in simpatia Kurt. Sebastian sosteneva che fosse per via dell’aria orgogliosa con cui suo figlio, vantandosi di essere un maschio, indossava un tutù, Thad, invece, diceva che era per proteggerlo dalle prese in giro che gli altri ragazzini gli facevano.

Il vero problema non era del perché era cominciata quella amicizia, ma la piccola differenza di età. Elisabeth sapeva che Sebastian e Thad si trovavano meglio fra di loro per via delle esperienze simili che vivevano: la prima cotta, la prima fidanzatina, la rivalità di determinati ruoli in teatro ecc... La donna sapeva che solo altri sei- sette anni avrebbero colmato il divario dato dall’età, ma era certa che per altri versi un altro divario li avrebbe sempre un po’ separati: Kurt, a differenza dei due amici, preferiva i ragazzi anziché le ragazze. Lei ne era certa.

Sebastian e Thad, chiaramente con i loro nuovi impegni verso il gentil sesso, non avevano più il tempo di prima per stare con suo figlio e quindi Elisabeth aveva cominciato a portarsi il figlio al lavoro appena questo usciva da scuola e non aveva lezione alla scuola di teatro. Lei e Kurt adoravano passare tempo insieme alla redazione di Vogue, anche perché Elisabeth scriveva articoli sulla storia della moda e seguiva una rubrica su i look migliori e peggiori delle Star e insieme si divertivano a imbastire articoli colmi di ironia.

Quella soluzione sembrava colmare un po’ quella solitudine che Kurt provava per l’assenza dei suoi amici e rendeva più forte il loro rapporto. Elisabeth era stata contenta fino a che, un giorno, successe un episodio molto spiacevole…

Era un pomeriggio freddo di Dicembre alla redazione, suo figlio le aveva detto che aveva bisogno di fotocopiare alcuni appunti che gli aveva prestato una sua compagna di classe, dato che la settimana prima per un malore aveva saltato un paio di giorni di scuola. Lei lo aveva mandato da Isabelle che in ufficio aveva anche una stampate che era anche fax e fotocopiatrice. Elisabeth nel frattempo aveva approfittato di sbrigarsi le telefonate più lunghe e noiose, ma, mentre stava inviando una mail con la bozza del suo articolo, sentì la voce di suo figlio adirata …
 
“Ritira immediatamente quello che hai detto, megera pettegola e invidiosa che non sei altro! Mia madre è eccezionale nel suo lavoro e non ha dovuto aprire le gambe per avere il posto che ha! E io non sono il frutto di un errore avuto col vecchio direttore!” Kurt era rosso in faccia dalla rabbia, era tornato dall’ufficio di Isabelle con le fotocopie che gli servivano quando aveva sentito la segretaria di sua madre che spettegolava con la stagista, su come,  secondo lei, la signora Calhoun fosse arrivata ad ottenere quel lavoro. Le due donne poi colte in fragrante erano letteralmente sbiancate quando lo avevano visto.

La porta dell’ufficio era stata aperta di botto e sua madre era apparsa con in volto una faccia allarmata.
“Che sta succedendo qui?”
“Mamma!”
“Elisabeth ascolta tuo-” cominciò Helen, la segretaria, mentre Carrie, la stagista, era diventata ancora, se possibile, più pallida di quanto già non fosse.
“Silenzio.- intimò con autorità sua madre.- Kurt, tesoro dimmi che sta succedendo?” gli chiese e lui le spiegò quello che aveva sentito, anche se Helen più volte cercò di minimizzare o smentire.
“Bene Helen è questo che pensi di me?”

Kurt poteva notare che sua madre era furiosa per quello che era stato detto e lui si sentiva il cuore che pulsava dalla rabbia e dall’ansia di quello che stava per accadere.
“Guarda Elisabeth, perché non ci calmiamo un attimo e ma-”

“Io sono calmissima, ma, prima che tu continui a spettegolare, ti vorrei ricordare che ho una laurea e un master conseguiti alla Columbus University, in più, prima di trasferirmi a New York, ho lavorato per anni per svariate testate facendo gavetta sempre nel campo della moda. Quando poi sono arrivata alla redazione di Vogue, sono partita come una normale giornalista e ho fatto altra gavetta!Mi sono guadagnata con sudore il posto dove sono! Non perché ho aperto le gambe con il direttore anche perché, ignorante che non sei altro, vorrei ricordarti che la direttrice è Anna Wintour dal 1988! Io sono arrivata qui nel 1995 e tu invece lavori qui dal 2004! Sei qui da soli due fottuti anni! E tu Carrie, sei stagista in una delle più famose riviste di moda al mondo, come fai ad ascoltare certe cazzate senza replicare? Si suppone che entrambe, dato che lavorate qui, ripeto in una delle riviste più importanti al mondo, sappiate almeno un po’ della sua storia!”

Helen e Carrie fissarono Elisabeth entrambe vergognandosi, mentre la donna dalla pelle d’alabastro aveva piegato le labbra in un’espressione furiosa.

“Sapete la cosa che però mi fa più arrabbiare in tutta questa storia? Che mi rende a dir poco furiosa?- domando con un tono leggero e Kurt per la prima volta in vita sua ebbe paura di sua madre.- Che avete tirato in mezzo mio figlio! Solo perché tu Helen dovevi riempire la tua bocca di cazzate. Quello che mi domando: queste cose vengono dalla tua testolina o te le ha dette qualcun altro? Anche se dubito fortemente che qualcun altro dica cose di questo genere, dato che sanno perfettamente dove e con chi lavorano e, come me, ne sono orgogliosi!”

“Io .. onestamente Elisabeth.. io, io.” Balbettò la donna mentre la stagista sembrava aver deciso che il silenzio era la soluzione migliore.
“Va bene, sapete cosa succede? Ora verrete spostate e andrete a lavorare sotto John Nolan, addetto al reparto stampa!”
“MA NON PUOI!”urlò Helen spaventata, tutti sapevano quanto difficile fosse lavorare per Nolan, le sue segretarie si licenziavano una dopo l’altra per la tirannia dell’uomo.
“Posso e lo sto facendo! Tu aprendo quella tua boccuccia hai fatto diffamazione immotivata nei miei riguardi! Mi hai dato della puttana e hai detto che mio figlio è un errore che ho usato per incastrare qualcuno! Un bambino di undici anni. - Helen era incredula e la stagista tremava quando sua madre si voltò verso di lei.- e tu!E tu Carrie, ascoltando e dando ragione fai lo stesso!”
“La prego non lo faccia! Mi serve per l’università questo stage nel reparto moda!”disse cominciando a piangere Carrie.
“Ci pensavi prima di sparlare alle mie spalle! Anche se devo ammettere che ho non idea di chi ti abbia preso, dato che non sai nemmeno da quanti anni Anna Wintour dirige questa rivista! E tu saresti un’aspirante giornalista di questo settore?”
“Ma io lo so!”
“Non si direbbe proprio visto che davi ragione a lei! Che vi serva di lezione a entrambe che le vostre azioni hanno un prezzo, che lo vogliate o meno.” Ringhiò Elisabeth.
“Elisabeth ti prego!”provò Helen.
“Io ora vado a casa con mio figlio e domattina delle vostre cose non ci deve essere traccia! Non ti preoccupare Helen, Samantha sarà felice di prendere il tuo posto e di lasciare le dipendenze di John! Kurt vai a recuperare la cartella, immediatamente!”

Kurt non se lo era fatto ripetere due volte, sua madre era impressionante in quel momento e poi lui aveva un malessere che lo tormentava dopo le parole delle due donne.
La stagista stava piangendo e continuava a chiedere scusa, il bambino dentro di sé stava avvertendo una fitta data da un senso di colpa che in realtà non aveva, mentre sua madre era al telefono con John Nolan e da quello che poteva capire, l’uomo aveva accettato lo scambio della sua segretaria e di tenersi anche la stagista.
“Infilati la giacca e andiamo.” gli disse in tono tranquillo Elisabeth, lui non aveva intenzione di disobbedire, voleva solo tornare a casa e chiudersi in camera magari a vedere un film.
Elisabeth lo guidò alla macchina e lui si mise immediatamente la cintura di sicurezza, mentre cercavano di non finire in strade particolarmente trafficate. Sua madre era nervosa e lui lo sapeva, rimasero un po’ così con la donna che cercava di raccontargli fatti allegri e lui che ostinatamente fissava fuori dal finestrino.

“Ehi tesoro mio che ne dici se andiamo mangiare fuori stasera? Giapponese che ne dici? E da un po’ che non andiamo.”
“Mamma chi è mio padre?”
Elisabeth era, come le altre volte, impreparata a quella domanda in quel momento, voleva parlargli in un contesto diverso, non dopo quello che era appena successo, anche perché a suo figlio non sarebbe piaciuto quello che aveva deciso di dirgli.
“Non so chi sia.” In realtà dentro di lei c’era ancora una parte che la supplicava di fermarsi di dirgli la verità.

“Che significa che non sai chi sia?” domandò Kurt girandosi verso sua madre con gli occhi spalancati, questa per lui giungeva una notizia inaspettata, ricordava ancora perfettamente cosa gli aveva detto sua madre quando lui era piccolo, ma si era immaginato che suo padre avesse abbandonato la madre quando lei era incinta di lui, perché magari sposato o spaventato...
Elisabeth deglutì nervosa, aveva pensato di raccontargli che aveva chiesto aiuto a una banca del seme, ma conoscendo la puntigliosità di Kurt, presa da Burt per sua sfortuna, sapeva che non gli avrebbe creduto finché non avesse avuto sotto mano la documentazione che dimostravano la veridicità delle sue parole e allora l’unica alternativa che gli era rimasta era di raccontargli:

“Ero appena arrivata a New York, non stavo con nessuno. Sono andata a ballare con delle colleghe della redazione. Mi portarono al Limelight, un locale famoso per essere molto trasgressivo e nel 1994 era, e rimane, una specie di grande magazzino all’incrocio tra la 6th avenue e la 20esima strada... volevo solo ballare e divertirmi. Quella sera ho bevuto parecchio e c’era un uomo che mi ha corteggiato tutto il tempo, non gli chiesi nemmeno come si chiamava lo portai a casa …”

Elisabeth si sentì malissimo, vide gli occhi di suo figlio riempirsi di lacrime e si sentì sporca come non mai,  mentre stava mentendo in quel modo, inventando fatti mai avvenuti. Quando era stata assunta a Vogue, cosa del quale non si aspettava, lei era già incinta di Kurt di tre mesi.
Riprese a parlare, ma le tremava la voce.

“La mattina dopo mi svegliai e lui non c’era più. Mi resi conto che avevamo fatto sesso senza protezioni, feci tutte le analisi di controllo del caso nelle settimane successive e quando mi resi conto che probabilmente ero rimasta incinta ne fui felice, era da tempo che desideravo diventare madre … Poi arrivasti tu. ”

Kurt non replicò e ne le fece più domande, semplicemente pianse in silenzio. Arrivarono a casa e Kurt si andò a rinchiudere nella propria camera sbattendo violentemente la porta.
 Elisabeth si sedette sul divano, distrutta, nascondendo il volto fra le mani. Sapeva che quella era una storia troppo forte per un bambino di soli undici anni, ma non aveva alternative. Un giorno, avrebbe raccontato la verità a Kurt, quando sarebbe stato un uomo forte e orgoglioso e non un fragile ragazzo, perché, per affrontare suo padre, avrebbe avuto bisogno di tutta la forza di cui disponeva e lei lo sapeva, lo aveva capito il giorno del funerale di Melanie...

Elisabeth stessa pianse quel giorno per il peso della bugia che aveva raccontato al suo bambino. Pianse perché un giorno avrebbe dovuto spiegare a suo figlio perché voleva che nascesse a New York. Pianse per la voragine che aveva dentro e che mai l’avrebbe abbandonata dato tutto quello che aveva perso e che solo Kurt riusciva a non farle sentire. Pianse per il ricordo della terribile morte di Melanie e di quanto sentisse la mancanza dei suoi amici della Banda e soprattutto di Luis. Pianse per il ricordo di quando si era resa conto che nascondere tante cose a Burt era stata solo una fortuna …

Elisabeth pianse anche per il giorno in cui avrebbe svelato la verità a suo figlio e per la paura che lui l’avrebbe odiata per sempre.
Solo che Elisabeth non avrebbe mai raccontato con la sua voce la verità a Kurt, un uomo ubriaco alla guida della sua auto non rispettando uno semaforo l’avrebbe investita e uccisa.
Il ragazzo lo venne a sapere chi fosse suo padre quando andò dal notaio accompagnato da Isabelle e da Johanna e gli venne letto il testamento che sua madre aveva lasciato, redatto per ogni evenienza.

Quel giorno Kurt venne a sapere la verità quando il cancelliere lesse che suo padre si chiamava Burt Hummel, un meccanico che veniva da Lima, ma allo stesso tempo nacquero in lui migliaia di domande alle quali forse non avrebbe mai avuto risposta, perché l’unica persona che le aveva era morta…



Kurt fissò un po’ intimorito Burt, ma dentro di sé si diede forza pensando che sua madre non lo aveva cresciuto perchè lui avesse paura, ma gli aveva sempre insegnato ad affrontare qualunque cosa e fu questo pensiero che lo fece andare verso l’imponente uomo, con passo sicuro e mento alto in una posa un po’ altezzosa forse.

“Piacere sono Kurt Calhoun.” Disse un po’ banalmente per una prima presentazione al proprio padre.
Burt strinse la mano che quel ragazzino gli stava porgendo, riprendendosi dalla sorpresa della voce morbida e dalle innegabili somiglianze che anche nella gestualità che Kurt aveva ereditato dalla madre. Vedendolo più vicino notò che la tonalità degli occhi di Kurt era azzurra con delle pagliuzze verdi, rendendo il suo sguardo più caldo rispetto a quello di Elisabeth che era un calmo cielo cristallino.
“Burt Hummel.”

“Penso che sia il caso lasciarvi un po’ soli così parlate un momento in pace, che ve ne pare? Noi altri andiamo a casa mia così, quando volete che torniamo, basta suonare. ” disse Isabelle prendendo tutti di sorpresa.
“Splendida idea! Io comunque dovrei andare a preparare tutta la documentazione di Kurt.- disse Johanna al meccanico, intendendo tutto ciò che riguardava il riconoscimento del ragazzo e le carte di patria podestà da presentare al giudice minorile per essere timbrate. - signor Hummel ci vediamo nel pomeriggio così le porto tutte le scartoffie. Intanto, pranza con suo figlio e iniziate a conoscervi. Siete contenti?” Disse in tono allegro e anche soddisfatto Johanna ad entrambi.

Kurt fissò l’assistente sociale con un sopracciglio alzato, lui era certamente emozionato di conoscere il padre ma, non era felice ne tantomeno entusiasta... a volte davvero non sopportava la signora Sullivan.

“In effetti ci sarebbe molto da parlare.” Disse Burt con voce esitante osservando il ragazzo che istintivamente si era portato vicino ad Etienne e a Isabelle.

Thad fissava Burt Hummel e si scoprì a non sopportarlo, quell’uomo si sarebbe portato via Kurt e lui, come Sebastian, sapevano che il loro amico non voleva. L’ispanico si girò a fissare il suo ragazzo che guardava anche lui il padre appena trovato del loro amico, il viso non esprimeva chissà quali emozioni, Sebastian era sempre stato bravo a nascondere cosa provasse, lui lo sapeva bene, ma non poté fare a meno di notarne la mano chiusa in un pugno così stretto che era divenuto bianco.
Thad non disse nulla quando Isabelle e Etienne li spinsero dolcemente nell’appartamento della donna, l’unica cosa che colse prima di andarsene fu un’occhiata di Kurt, sembrava quasi volergli dire di rimanere con lui, ma fu solo per un attimo perché il suo amico si voltò ad affrontare Burt Hummel con sguardo fiero.

Kurt quando sentì la porta di casa chiudersi e seppe di essere solo, sentì un enorme ansia corroderlo.
Burt solo in quel momento si concesse di osservarsi intorno, il soggiorno era molto grande, con raffinati arredi dai colori chiari, i quadri e soprammobili con le giuste tonalità allegre di colore che gli davano un aspetto vivace nell’insieme, con lo sguardo poteva scorgere la cucina anch’essa spaziosa e con un mobilio davvero di prima qualità.
Tutto in quella casa urlava un gusto impeccabile e un tenore di vita decisamente benestante, gli stessi vestiti che indossava Kurt lo suggerivano.
“Non rimanga in piedi, si sieda. Posso offrirle qualcosa da bere? Acqua, una soda, un caffè? Se vuole è ancora caldo.”

Burt rimase colpito dal fatto che il ragazzo che aveva parlato era suo figlio. Suo figlio che per rivolgersi a lui gli dava del lei… Burt sentì una nuova scarica di odio nei confronti di Elisabeth.
“Dammi del tu.”
“Come?”
“Ho detto che puoi darmi del tu, non darmi dei lei… solo è strano visto-visto quello che siamo!” Burt non sapeva bene come esprimersi con quel ragazzo.
Kurt pensò che l’uomo infondo avesse ragione a dirgli di parlargli in un modo meno formale, ma lui non aveva la minima idea di come chiamarlo: papà era fuori discussione, era uno sconosciuto e rivolgersi per nome aveva paura che la prendesse male.
“Ok, vada per il tu … Posso offrirti qualcosa?”
“Un bicchiere d’acqua andrà benissimo, ti ringrazio.”

Kurt andò immediatamente in cucina e Burt si guardò ancora una volta intorno, notò che su una mensola di un mobile c’era una cornice con una foto. Si avvicinò per osservarla meglio, era un ritratto di Kurt molto piccolo con Elisabeth, scattato in un momento che i due non erano consapevoli della macchina fotografica in quanto il bambino era intento a ridere felice per qualcosa e la sua ex moglie lo osservava con un sorriso innamorato.
Elisabeth era bellissima come lo era sempre stata, forse in quella foto con quello sguardo era perfino più bella, ma Burt provava solo fastidio, odiava tutto: dal sorriso della sua ex moglie, a come era vestita a come portava i capelli, all’antico medaglione di famiglia che indossava. Quella foto rappresentava chiaramente tutto quello che si era perso della vita di suo figlio.

“Avevo appena compiuto tre anni, eravamo a una lettura di favole per bambini in una libreria.”
Burt sobbalzò, non lo aveva sentito arrivare.
“Eccoti l’acqua.”
“Grazie.” Burt guardò ancora una volta quella foto e pensò gli sarebbe piaciuto vedere quel bambino che rideva felice, ricordava ancora quanto adorava vedere Finn da piccolo che rideva per qualcosa.
“A casa ho già avvertito mia moglie che organizzerà una camera per te e poi quando verrai le apporteremo tutte le modifiche che vorrai … Se vuoi puoi anche scegliere fra la camera che noi abbiamo adibito per gli ospiti oppure una mansarda … sono confortevoli entrambe!” Burt onestamente era agitato ed emozionato, non sapeva bene come comportarsi cosa dire e cosa fare, eppure, aveva tanto sperato che quel ragazzo non fosse suo...

Kurt sentì una spiacevole sensazione quando Burt disse la parola casa, lui parlava di Lima in Ohio e onestamente non gli piacque molto sentire camera per gli ospiti. Infondo sapeva che si sarebbe sentito un ospite nella casa del meccanico, per lui casa era New York. Poi pensò che l’uomo gli aveva detto che aveva una moglie e una strana sensazione si fece largo in lui: era un senso di vuoto.

“Penso che forse allora preferirò la mansarda.”
“Sceglierai quando saremo lì in modo che vedrai quella che ti piace di più. Abbiamo molto da organizzare … il tuo trasloco, la tua iscrizione al liceo dove va già Finn, così non sarai solo, anche se lui ha un anno più di te!”
Kurt più l’uomo parlava più si sentiva male e gli occhi cominciarono a pizzicare.
“Chi è Finn?” chiese con un filo di voce.
“Scusami è che sono davvero agitato!-si giustificò Burt.- Finn è il figlio di Carole, mia moglie, lui è anche il mio figlio adottivo.”

Kurt assorbì questa spiegazione e non sapeva cosa dire. In quel momento realizzò che Burt aveva una famiglia, una moglie e un “figlio” che magari lo chiamava papà. Sentì il panico crescere in lui, sapeva che l’uomo lo avrebbe portato via con sé, ma semplicemente non voleva.

“Io non voglio lasciare New York! Qui ho persone che sono state la mia famiglia, non voglio rinunciare al liceo che frequento, al mio lavoro e al mio sogno! Mi ci sono voluti anni di scuola e sacrifici per arrivare dove sono!” Esplose nervoso Kurt per il fatto che nessuno gli avesse chiesto cosa volesse. Da quando era morta sua madre tutti si erano sempre occupati di sistemarlo, ma lui non era un pacco che si poteva spostare a piacimento!

Burt rimase un attimo sorpreso dall’uscita del ragazzo.
“Lavori?”

“Lavoro come attore a Broadway e off-Broadway. Faccio parte di una scuola di arti teatrali che ha una buona reputazione e grazie alla quale vengo richiesto da alcuni registi o accedo a dei provini se vengo scelto partecipo a delle vere produzioni! Io ho già preso parte fin da quando ero piccolo a svariate rappresentazioni! Mi sono fatto un certa reputazione nell’ambiente! Se me ne vado ora perderò tutto quello per cui ho lavorato!”spiegò accorato Kurt.

“Ma io-” provò a parlare Burt, ma il ragazzo lo interruppe.

 “Poi io non voglio andare in una scuola superiore normale, io qui frequento la Fiorello H. LaGuardia High School of Music & Art and Performing Arts, curriculum Dramma! Non è facile essere accettato in quella scuola superiore! Ho dovuto sostenere un’audizione di ammissione!” Kurt ricordava ancora quando Sebastian riuscì essere ammesso e con che toni entusiasti parlava di quel liceo, tanto che lo stesso Thad aveva voluto seguirlo anche se col curriculum danza. Quando era toccato a scegliere a lui il liceo non aveva avuto dubbi. Per anni aveva sentito parlare di quella scuola e aveva finito di sognare di entrarci, così aveva lavorato duramente per farcela e quando era stato ammesso era stato uno dei giorni più belli della sua vita... e, in quel momento, tutto stava crollando.

Burt fissò Kurt e sospirò. Avevano un sacco di cose di cui discutere, ma che il ragazzo lo volesse o meno sarebbe venuto a Lima con lui, era suo figlio.
 


Luis era seduto sul dondolo del portico di casa sua, stentava ancora a credere a quello che gli aveva raccontato Richard.
Elisabeth era morta.
Luis ricordò quando otto anni prima era tornata per il funerale di Melanie, nessuno lo sapeva, ma in quell’occasione era riuscito a parlarle e la discussione che avevano avuto gli aveva scatenato una arrabbiatura profonda e allo stesso tempo lo aveva distrutto.
Non era mai riuscito a capire cosa fosse successo alla donna per portarla alla decisione drastica di lasciarsi lui e tutti gli altri alle spalle. Quando Burt l’aveva tradita ognuno dei membri della Banda si era adoperato ad aiutarla, ma lei un giorno aveva lasciato un biglietto ad ognuno di loro nella casella delle lettere con scritto di non cercarla ed era sparita.
Solo in quel momento il comportamento di Elisabeth aveva un senso.
Elisabeth era scappata perché aspettava un bambino e lo aspettava da Burt.
Luis si chiese come aveva fatto a non pensare a un’ipotesi del genere, lui era la persona che conosceva Ellie più affondo di chiunque altro, perfino di Burt che era stato suo marito.
Si appoggiò di peso contro lo schienale, sospirò a fondo e gli tornò alla mente un ricordo sopito.
Lui undicenne, quando era ancora piccolo e mingherlino, che veniva “bullato” dai ragazzini più grandi per colpa dei suoi capelli e occhi neri lucidi e la pelle caramello dovuta alle sue origini latine, così in contrasto con i caratteri somatici chiari del Midwest. Odiava che gli altri ragazzi lo sbeffeggiassero e succedeva spesso visto che non era disposto a farsi mettere i piedi in testa da nessuno e non aveva amici che volessero schierarsi con lui per difenderlo...

Era pronto a prendersi un pugno in faccia dai bulli quando una vocetta squillante di una bambina alta quanto lui con le ginocchia ossute, due occhietti azzurri furiosi e delle trecce davvero ridicole si intromise e cominciò a urlare e lanciare sberle a casaccio richiamando l’attenzione dei professori che letteralmente li salvarono.
Solo in presidenza seppe che quella bambina era Elisabeth Calhoun e che faceva parte della famiglia più eccentrica di Lima. Dopo quella volta Elisabeth cominciò a seguirlo per difenderlo dai bulli, diceva lei, ma lo sapevano entrambi che lo seguiva perché lui era stato il primo bambino che non l’aveva allontanata per il suo cognome o per le storie ingombranti che giravano sulla sua famiglia..
Dopo quell’episodio nel giro di due mesi i cittadini avevano cominciato a chiamarli gli “Inseparabili” come i pappagallini perché tutti sapevano che dove c’era uno c’era l’altra o dopo poco appariva. Dopo qualche altro mese avevano conosciuto Aron e Melanie e poi un giorno alla sagra cittadina conobbero Olegh che scappava ricorso dal suo antico nemico: Jackson.
Due anni dopo le sue spalle erano cresciute, si era alzato in altezza ed era stato lui che aveva cominciato a proteggere Elisabeth picchiando chi cercava di prenderla in giro. Al liceo non era passata settimana che fosse finito in qualche rissa...

Luis sospirò ei suoi ricordi si spostarono a lui e Elisabeth studenti universitari a Columbus e alla loro felicità quando avevano capito che la loro vita era in procinto di cambiare per sempre... e era cambiata davvero portandoli poi su due strade diverse.

Sentì dei rumori dentro casa e dei passi veloci che si muovevano per le camere e poi finalmente la porta che dava sul portico venne aperta e Santana, sua figlia, apparve sulla soglia.
“Oh papà sei qua... ti volevo dire che io sto uscendo e ci vediamo dopo. Guardi tu la nonna, ok?”
Luis osservò la figlia che sembrava la sua versione più giovane, delicata e femminile. 
“Papà? Papà stai bene?”
Fu in quel momento che collegò che Santana era l’unica cosa che gli era rimasta che lo collegava indirettamente a Elisabeth e a lui...
Si coprì gli occhi con i palmi delle mani e i gomiti appoggiati alle ginocchia e scoppiò piangere lasciando che vecchi rancori, nostalgia e dolori lo investissero sotto lo sguardo sconcertato della sua bambina.
 
 
 
“Mi scusi, ma io non ho ancora capito perché siamo qui!”
“Signor Anderson, siamo qui, perché suo fratello ha atterrato il signor Adams!”
Cooper alle parole di Figgins si voltò ad osservare la parte offesa della questione, ma quello che vide fu un enorme ragazzone di colore, alto un buon metro e ottantacinque, pesante circa 300 libbre (circa 136 kg) se non addirittura di più. Azimio era un compagno di squadra di football suo fratello, ma si chiese come facesse a giocare visto che aveva un fisico che sembrava molliccio e grasso.

Cooper valutò che suo fratello era circa un metro e settanta forse poco meno, e pesava più o meno 160 libbre (72 kg), ma ogni centimetro del fratello era fatto d’acciaio data la passione che aveva per sport vari e palestra, lui stesso non avrebbe voluto litigare con Blaine visto che era certo che lo avrebbe steso in tre secondi netti, questo però non poteva ammetterlo a Figgins.

“E tu stai qui a frignare di essere stato buttato a terra da uno che rispetto a te è un moscerino? Se fossi mio compagno di scuola, sai quanto ti prenderei in giro?” disse candidamente Cooper ad Azimio che fu colto di sorpresa.
“SIGNOR ANDERSON”Tuonò Figgins.

“Ma dai preside! Onestamente vuole davvero richiamare mio fratello? Quel ragazzo lì è tre volte Blaine!-disse esagerando le dimensioni di Azimio- Mi scusi, ma davvero non è credibile che abbia fatto del male a quella specie di montagna!”

‘Ma come non è credibile?! L’ho steso! L’ho fatto davvero!’ Pensò Blaine fissando malamente il fratello che lo ignorava cercando di salvarlo da una punizione certa.

Figgins sospirò stanco, si massaggiò le tempie e fissò trucemente i fratelli Anderson. Il preside avrebbe tanto voluto una tregua dalla famiglia Anderson, ma i due fratelli avevano quattro anni di differenza l’uno dall’altro e quindi quando Cooper si era diplomato era arrivato Blaine. Durante gli anni che il più grande dei fratelli Anderson aveva frequentato il McKinley era stato costantemente nel suo ufficio, non perché fosse autore di qualche rissa, ma perché le provocava costantemente. Figgins aveva perso il conto di quante ragazze si erano picchiate perché Cooper che era davvero bellissimo con un fisico tonico, muscoloso, alto e con un carattere solare e spiritoso, non riusciva a frequentare una sola ragazza per volta, ma due o tre. Tutte le volte che Cooper Anderson era entrato nel suo ufficio e lui era seriamente intenzionato a metterlo in punizione ne usciva sempre pulito e libero, il ragazzo era dannatamente bravo ad argomentare in sua difesa, non per nulla aveva intrapreso l'università per poi in una volta laureato iscriversi alla scuola di diritto. Figgins lo vedeva benissimo davanti una giuria a esporre la sua arringa. Era quasi una beffa del destino che il più grande degli Anderson fosse un mago con le parole quando il più piccolo, per l’enorme shock che aveva subito da bambino per la tragica morta della madre, era divenuto un muto selettivo …

“Signor Anderson, qui non è in discussione la veridicità dei fatti! Si sa che suo fratello è spesso autore di episodi di questo genere!”
“E mi vuole dire che le vittime sono tutti energumeni di quella stazza?” domandò Cooper canzonatorio indicando poco educatamente Azimio che, nonostante il colorito nero della pelle, si poteva intuire che era arrossito.

‘Ovvio che sì, ti pare che me la vada a prendere con uno che non si può nemmeno difendere! E poi se lo meritava: ha spinto quella povera pazza stolker della Chang… speriamo che quella non creda per questo che io ho una cotta per lei … se fosse mi toccherebbe emigrare in un altro Stato!’

“Anche se fosse, che centrerebbe?” domandò esasperato il preside.

“Senza offesa preside, so che gli altri ragazzi con cui mio fratello ha problemi sono tutti suoi compagni della squadra di football, esattamente come il signor Adams, ma quello che sto pensando e che, se sono tutti come lui,-disse indicando Azimio.- è composta da delle vere signorine e non da ragazzi! Insomma, dei veri smidollati, alla prossima partita appena gli faranno un placcaggio andranno a frignare sulle gonne delle loro madri!”
‘Lo penso anch’io.’
“ANDERSON”
‘Che urli! È tutto vero!’

“Brutto pezzo di merda ritira quello che hai detto!” disse Azimio alzandosi con fare minaccioso, facendo cadere la sedia sul quale era seduto fino a poco prima.
“SIGNOR ADAMS, IL LINGUAGGIO!”
“Che sei uno smidollato o una signorina?” domando fintamente confuso Cooper, mentre dentro di sé esultava per la reazione del ragazzo, esattamente quella che voleva.
A Blaine stava venendo da ridere vedendo la faccia di suo fratello .

“MA CHE LINGUAGGIO E LINGUAGGIO! IO A UNA MERDA DEL GENERE GLI SPACCO LA FACCIA E GLI RIFACCIO I CONNOTATI! A ME NESSUNO SI RIVOLGE IN QUESTO MODO!” Urlò Azimio furioso.

‘Vorrei vedere che reazione avresti se sapessi quello che penso di te, Cicciobello.’
“Bwahahahha”tutti si voltarono verso Blaine che ridacchiava in maniera inquietate fissando Azimio.

“Ma preside- intervenne Cooper distogliendo l’attenzione dal fratello- è proprio sicuro che è mio fratello colui che ha fatto del male a questo qui? Mi sembra abbastanza aggressivo di suo!”
“ADAMS SI SIEDA CHE IO E LEI PARLIAMO! ANDERSON…”
“Si?” chiese Cooper innocentemente.
“FUORI DI QUI IMMEDIATAMENTE! ” urlò Figgins arrabbiato che Cooper gliela avesse fatta di nuovo.
“Arrivederci Mr. Figgins alla prossima volta!” lo salutò Cooper, mentre entrambi i fratelli uscivano di fretta dall’ufficio dell’uomo e entravano nella segreteria dove c’era la storica segretaria del McKinley.
“Ciao Cooper! Blaine.”li salutò un donnone cinquantenne, con un sorriso enorme, mentre sistemava dei documenti.
“Ciao Doris, sei splendida come al solito, tuo marito è un uomo fortunato!” disse Cooper camminando attraverso la porta di uscita.

‘Ma dove!? Se io fossi sposato con quella scapperei di casa volentieri!’ pensò Blaine dopo averle dato un’occhiata di sfuggita alla donna che aveva abbondantemente osato con il trucco e sulle labbra faceva bella mostra un rossetto fucsia.
“Sempre il solito mascalzone. Guarda che una volta o l’altra ci potrei provare con te se non la smetti.” Disse ridacchiando la segretaria compiaciuta.
‘Dio che schifo! Ti prego no!’
“Non potrei resisterti!”
‘Mamma mia Cooper! Finiscila di flirtare dietro a tutto quello che sembra vagamente maggiorenne con il cromosoma xx!’

Quando arrivarono in corridoio, ancora popolato dagli studenti che frequentavano i club pomeridiani, Blaine si trovò travolto da una Tina vicino alle lacrime che lo abbracciò fortissimo.

“Oh Blaine! Mi dispiace che sei finito nei guai per colpa mia! Mi dispiace moltissimo!”
‘Noooo, mollami cretina!’
“Mi sdebiterò! Farò qualunque cosa!” disse la ragazza abbracciandolo più forte.
‘Inizia col lasciarmi in pace!.. Noooo sento le tette! Anzi, sento anche l’imbottitura del reggiseno... furbetta.’

“Blaine non mi avevi detto di avere una ragazza e anche molto carina per giunta!”
‘Maledetto stronzo! Vedrai appena siamo soli che ti faccio! Questa è una promessa!’ Blaine lanciò un occhiataccia al fratello che sembrava sul punto di scoppiare a ridere.
Tina sentendo la voce di Cooper arrossì. Tutti a Lima conoscevano i fratelli Anderson, non era raro vederli per la città insieme, anche se il maggiore dei due aveva cominciato il College a Columbus, ma che tornava a casa ogni fine settimana e anche quando aveva una pausa dalle lezioni.
“Non sono la sua ragazza! Non ancora per lo meno...” disse un Tina Imbarazzata.
‘E vai tranquilla che mai lo sarai!’
“No? Eppure avrei detto il contrario!” disse Cooper e Tina fece una faccia compiaciuta.
“Tina Coen Chang.”
‘Manca solo che Coop aggiunga futura signora Anderson e lei esplode!’ pensò acidamente Blaine portandosi dietro al fratello.
“Cooper Anderson. Tina veramente è stato un piacere conoscerti! Spero di rivederti presto! Blaine è fortunato ad avere un amica come te. Però ora dobbiamo andare!”
Tina alle parole di Cooper, se era possibile, si era gonfiata ancora di più e salutò i due fratelli con entusiasmo.

Blaine lasciò suo fratello sulle scale della scuola e andò alla propria macchina. Appena arrivato a casa si mise ad attendere il suo arrivo e quando sentì il rumore della macchina di Cooper, che stava parcheggiando nel vialetto, si posizionò seduto sul divano con le braccia conserte.
 Cooper quando entrò in casa aveva dipinto un ghigno strafottente in volto.
“Cooper razza di deficiente! Ma come ti è saltato in mente dire quelle cose a Tina?!” ringhiò furioso Blaine.
“Inquietante la stalker gotic che ti perseguita! Non eri riuscito a descriverla tanto bene da dare un’idea reale di cos’è quella ragazza!”
“Ma che cazzo centra! Che senso ha avuto dargli delle speranze? Lo sai che sono GAY!”
“Certo che lo so! Se no non avrei mai chiesto al mio compagno di università di farci dei documenti falsi per portarti allo Scandals e questo mi riporta in mente che mi devi parlare di quel ragazzo di due settimane fa! Allora vi messaggiate mi pareva!”
“Ci sono andato a letto Venerdì notte, un paio di messaggi ed finita lì, lo eccitava farlo con un muto! Per il resto, come tutti, non vuole avere una storia con un ragazzo che non parla! E poi non cambiare discorso... perché prendere in giro Tina così?”
“Schizzo, avanti! Tanto a scuola gira la voce che tu sia un don Giovanni, non come lo ero io, ma un discreto sciupa femmine! Fa solo che bene ai pettegolezzi di quella scuola pensare che ti fai la Chang. So benissimo cosa potrebbero farti se capiscono che sei gay e non voglio che ti capiti nulla, è chiaro?” Disse seriamente Cooper .

Blaine sapeva che suo fratello aveva ragione, entrambi si ricordavano di Chandler Kiel, un ragazzo di un anno più grande, gay dichiarato. Lui l’aveva ammirato tantissimo per essere il primo a parlare e mostrare così apertamente la sua omosessualità, ma lo aveva ammirato anche quando, per colpa del bullismo insostenibile, aveva cambiato liceo. Molti avevano definito Chandler fifone, ma lui non pensava che lo fosse, non tutti sarebbero stati in grado di sopportare quasi ogni giorno di essere buttato nei cassonetti, essere slushiato e insultato con epititi orrendi! Inoltre, il ragazzo non se ne era andato per quello, ma perché alcuni giocatori della squadra di Hokey, durante uno scherzo mal riuscito, gli avevano rotto il braccio.

“O lo zio Thomas, schizzo.”

Cooper di nuovo ebbe ragione: senza pensare a Chandler, a loro bastava ricordare anche come a Lima veniva apostrofato loro zio Thomas, fratello di loro madre, gay, che stanco dei commenti omofobi e delle discriminazioni che aveva subitosi si era trasferito a Cincinnati.
Blaine ricordava perfettamente il discorso che gli aveva fatto suo padre di non fare niente che avrebbe potuto metterlo nella stessa posizione di Chandler o dello zio Thomas e lui era d’accordo: non ci teneva di avere una massa di bigotti contro.

“Cooper, ogni tanto alle feste quando sono ubriaco mi bacio qualche ragazza, Kelly Cruz addirittura dice che abbiamo avuto una notte di sesso selvaggio! Invece era solo ubriaca persa e si è solo addormentata! Il punto è che io con nessuna di loro gli ho dato delle speranze, capivano l’aria e finiva lì!”

“Vogliamo ricordare Rachel Berry che te la sei baciata ad una festa e lei a San Valentino in mensa ti ha fatto una serenata?”
“Sono ancora traumatizzato da quella ragazza, ma a quanto pare, per mia fortuna, si è presa una cotta stratosferica per Finn Hudson che però sta con Quinn Fabray! Quindi non ti dico al Glee Club che musiche melense mi tocca suonare al piano per accompagnarla mentre lei canta... canzoni su canzoni d’amore non corrisposti!”

Cooper sorrise, sapeva quanto suo fratello adorasse il Glee club, amava la musica e anche se non cantava ne faceva parte lo stesso. Ai concorsi musicali ballava le coreografie se no normalmente accompagnava i membri del club durante le prove con il pianoforte.
 “Beh però è strano le donne non vedono l’ora di mettersi con te, mentre gli uomini vogliono solo una scopata e via!Non capisco il perché!”
Blaine rise alle parole del fratello, proprio lui che era il re del “non avere una relazione.”
“Cooper ormai dovresti saperlo che le donne metterebbero la firma per avere una storia d’amore con un ragazzo tormentato, muto selettivo, con la propria madre assassinata e rimasto quasi morto in quel tragico pomeriggio! Se poi aggiungi che l’assassino della madre è ancora libero perché io ho una stracazzosissima amnesia e lui è stato bravissimo a non lasciare tracce... vedi che è l’Incipit per una storia d’amore epica e tormentata. Le donne per lo più hanno un animo da crocerossine, mentre gli uomini sono più pratici: meno problemi hanno e meglio stanno. Eccoti spiegato l’arcano! E ora, se vuoi scusarmi, vado a fare una doccia! ” Disse Blaine lasciando suo fratello maggiore da solo.

Cooper si gettò esausto sul divano e si coprì gli occhi con un braccio, gli passarono davanti agli occhi le immagini di Blaine in ospedale, le scacciò e come faceva sempre e sperò che suo fratello ritrovasse la memoria per ricordare chi avesse ammazzato loro madre, per fare in modo che finalmente tutti loro potessero andarsene definitivamente da quel buco di città e non tornarci mai più.
 
 
L’angolino della tazza di caffe…

Ed eccoci qui! In questo capitolo abbiamo ancora poco la visione dei due protagonisti ma dal prossimo le cose cambieranno! Onestamente sono curiosa di sapere cosa ne pensate anche perché io sono molto elettrizzata e presa da questa storia!
Intanto vi lascio il mio indirizzo FB
https://www.facebook.com/pages/Schifottola/598579906836059
A presto!
 
 

[1] Kurt frequenta una tipologia di asilo che si chiama: “toddler’ or ‘tot’ programmes” che incentrano al bambino attività praticate di tipo artistico, lavori fatti a mano, pratica della musica, giochi educativi, attività di percezione motoria e di educazione all'ascolto danza e cucina.
[2]La terza domenica di giugno, invece, è il Father’s Day, che corrisponde alla nostra Festa del Papà. Un modo di festeggiare questo giorno negli Stati Uniti, include regalare cioccolata, fiori, cravatte, o viziare il proprio papà portandogli la colazione a letto.

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Capitolo 4
*** Giammai! ***




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Benjamin Backer sbadigliò stanco e si stirò sentendo la schiena dolere per le molte ore che aveva passato seduto in portineria nella quale ormai prestava servizio da oltre quarant’anni. Fare il portinaio non era il lavoro più pagato o elettrizzante del mondo, ma gli aveva dato modo di cimentarsi a tempo pieno con le parole crociate e a parlare con la gente, due delle sue maggiori passioni. Col passare degli anni, poi, se nel palazzo arrivava qualche giovane  aveva cominciato a sentirsi come un vecchio nonno che doveva dare un supporto a quelle “piccole” persone.

Il suo sguardo cadde su un vecchio acchiappasogni e sorrise. Glie lo avevano regalato  due giovani universitari che si erano trasferiti al quindicesimo e ultimo piano circa ventidue anni prima. Quei due ragazzi erano tra le persone che aveva amato di più dentro quel vecchio palazzo di Columbus, aveva sempre pensato che fossero fatti l’uno per l’altra. Ricordava quando la prima volta li aveva visti trovandoli strani e affascinanti. Con l’agente immobiliare li aveva portati a vedere l’appartamento e la ragazza, Elisabeth, gli aveva detto solo dall’ingresso che l’avrebbero presa, trovava estremamente affascinante la luce nelle stanze, mentre il ragazzo, Luis, si era innamorato della vista dal terrazzo ed entrambi avevano soprasseduto che la cucina era solo un fornello traballante con un forno non funzionante.

La sorpresa era stata quando la ragazza emozionata era corsa dal giovane latino e lo aveva abbracciato chiedendogli:
“Allora amore, la prendiamo?”
Lui aveva annuito sorridente.
“Direi che abbiamo trovato casa nostra. ”
“Aaaahhh!” lei felice gli aveva buttato le braccia al collo e lo aveva abbracciato stretto. I due erano stati sorridenti tutti il tempo, mentre davano la loro risposta affermativa e lo erano stati anche quando erano rimasti in portineria ad aspettare l’agente immobiliare che gli portasse il contratto da firmare; i due stavano in un motel e quindi avevano fretta di trovare una casa. Nel mentre che aspettavano era rientrata la signora Helson, una affittuaria che aveva idee che si potevano definire quasi coloniali, la quale appena vide Luis aveva fatto immediatamente una faccia orripilata.

Il latino l’aveva salutata educatamente , ma la donna andando verso l’ascensore aveva borbottato in maniera udibile:
“Ai miei tempi i negri e sudamericani non portavano la loro sporcizia dentro le case per bene... ai miei tempi stavano dove meritavano: oltre le ferrovie nelle baracche con i cani randagi! E se rompevano le scatole i Cavalieri del Klan gli davano ciò che meritavano.”(i cavalieri sono i membri del Ku Kux Klan)

Benjamin raramente aveva provato vergogna e umiliazione al posto di qualcun altro, ma quella volta le aveva provate entrambe. Vergogna per la signora Henson che aveva detto una cosa orrenda e umiliazione per il giovane latino che era sconvolto. Però, quelle sensazioni vennero spezzate via quando vide Luis trattenere la fidanzata che si era messa a urlare a pieni polmoni contro l’anziana razzista.

Nel presente l’anziano scosse la testa ricordando l’episodio, riusciva ancora vedere perfettamente la faccia sull’orlo delle lacrime di nervoso di Elisabeth che chiedeva a Luis di andarsene da quel palazzo perché lei non aveva nessuna intenzione di abitare in un posto con gente così meschina, aveva detto che ne aveva abbastanza di gente di quello stampo.
Non se ne erano andati solo perché lui gli aveva raccontato che nell’appartamento che stavano per affittare aveva accolto tempo addietro, negli anni sessanta, Eve Coock e Alan Woodley, una donna nera e un uomo bianco, che si erano sposati a Washington e avevano scelto quella città per coronare il loro sogno e che per l’epoca era qualcosa di straordinario. Quel racconto su una coppia mista come la loro aveva calmato i due ragazzi che alla fine erano rimasti, ma la signora Henson non era mai stata buona con loro, nemmeno dopo quello che era accaduto.

Benjamin sospirò stanco ricordando ciò che aveva portato i due ragazzi a spezzarsi e diventare l’ombra delle persone solari che erano state...
Raramente aveva visto due persone così spezzate.
Una mattina di dicembre, la più fredda di quell’anno, come sempre era arrivato presto alla cabina della  portineria e aveva visto , come molte altre volte, Elisabeth con una valigia attraversare l’atrio del palazzo, ma quella volta non era più tornata. Luis invece era rimasto per altri anni e, nonostante lo avesse visto rifiorire, aveva sempre percepito la tragedia di quel giorno accompagnarlo, la stessa che aveva portato lontano Elisabeth e che sarebbe rimasta per sempre a Columbus sotto l’unica tonalità di bianco che potesse essere triste.
 
 
 
 
In una tavola calda al centro di Lima,  il Flame, la luce era ancora accesa nonostante fosse notte fonda, una cosa decisamente fuori dal normale per gli orari cittadini; dentro però non vi erano clienti, ma un gruppo di uomini che un tempo erano stati uniti come una famiglia e che ormai erano divenuti quasi sconosciuti. Olegh, proprietario del locale, aveva una faccia annoiata, anche se gli faceva piacere vedere Luis, Jackson e Aron, avrebbe preferito che non succedesse all’una di notte,  soprattutto dopo che come ogni sera aveva chiuso il locale alle undici e che, come sempre, non vedeva l’ora di coricarsi accanto alla sua formosa moglie Sophy e godersi i piaceri della carne senza farsi sentire da loro figlio Hunter o come lo chiamava sua moglie: generale Custer.
Di certo non sarebbe stato lì se Luis non avesse inviato un messaggio a tutti loro con scritto che si dovevano incontrare il prima possibile perché “si tratta di Elisabeth!”.
Se non fosse stato per il nome della donna nessuno di loro si sarebbe presentato.

Olegh, tra tutti i componenti del loro gruppo, non era mai stato quello più perspicace, ma poteva immaginare che anche gli altri avessero sentito le voci che circolavano a Lima in quei giorni.

“Vi ringrazio di essere qui nonostante l’ora e grazie a te Olegh che hai messo a disposizione il Flame!” disse Luis con fare stanco.
 “Di nulla, l’unica cosa che mi scoccia che per trovarci tutti abbiamo dovuto vederci a queste ore assurde e in queste circostanze.” Disse Jackson e gli altri concordarono , ma avevano dovuto optare per un’ora così inusuale perché avevano fra loro orari di lavoro incompatibili.
Per i primi minuti gli uomini parlarono di come se la passassero  e come stessero i loro figli/e e mogli o, come nel caso di Puckerman, ex e queste chiacchiere inutili sarebbero continuate se Aron non avesse detto:
“Sentite, togliamo l’elefante rosa che sta vagando nella stanza! Smettiamo con questi convenevoli e saltiamoci il tè con i pasticcini! Siamo venuti fin qui per parlare di Elisabeth, quindi parliamo di lei.”

“Non c’è molto da dire- borbottò rude Olegh- se è vero la signorina ha sfornato una pagnotta con Burt Hummel.”

“E se è così, presto ci sarà un altro pelato somaro che gira per la città.”

“Aron non è detto! E poi ti ricordo che Burt da bambino aveva i capelli.”  Disse Olegh all’amico che aggiunse:
“Hai ragione... Ma a circa due mesi di vita Burt già aveva cominciato a perdere i primi capelli, a quattro mesi sua madre provò a contrastare il fenomeno con lo shampoo anticaduta, ma al suo primo compleanno ricevette il suo primo cappellino da baseball per coprire il capoccione lucido.”
“Il cappellino è arrivato al nono mese.”

“Olegh, Aron, finitela.-disse con la sua solita calma Jackson.-se siamo qui per parlare di Elisabeth, almeno facciamolo seriamente.”
“Infatti è per questo che vi ho chiamato. Non per discutere sulla calvizie di quell’imbecille.”
“Sì Luis, ma se l’imbecille torna con un figlio di Elisabeth come la mettiamo?”
“Avremo la risposta del perché Ellie è sparita all’improvviso ed è stata così stronza al funerale di Melanie.”ipotizzò Olegh e Aron si adombrò ricordando la sua migliore amica, ma poi disse:
“Anch’io mi sarei esiliato se avessi messo al mondo qualcosa di Burt, anche se per me è ancora un mistero come una donna possa andare a letto con lui...”
Luis alzò gli occhi al cielo e scosse la testa esasperato.

“Non è quello il problema! Vogliamo parlare di quel bambino! Anzi, ragazzino visto che ormai dovrebbe avere quindici o sedici anni!”
“Ha buone probabilità di somigliare ad un orco, oltre ad essere calvo.”
“Basta Olegh.- Disse spazientito Luis.- è tardi e come tutti qui sono stanco e  non ho tempo per continuare con le battute idiote.”

Nella stanza cadde il silenzio e i quattro uomini si guardarono. Fu Aron a prendere parola.
“Credo che questa notte dobbiamo prendere atto di una cosa: La Banda ha fallito e il patto fatto davanti al falò sul lago Erie è stato rotto molto tempo fa.”

“Dipende da come la vedi.-commentò Jackson- personalmente penso che quegli adolescenti hanno mantenuto il patto, sono stati gli adulti che siamo diventati a non esserne all’altezza.”
“Il succo non cambia. – disse Luis -Non siamo rimasti amici e non siamo stati i sostegni nel momenti di bisogno gli uni per gli altri!”
“Sì, ma sono successe troppe cose... ” disse flebilmente Aron.

 
 
Etienne con Isabelle era seduto nel soggiorno di casa Harwood, Adrian teneva un braccio intorno alla moglie Estella che aveva ancora gli occhi rossi dal pianto da quando aveva salutato Kurt che era definitivamente partito per Lima. Sebastian e Thad, erano chiusi in camera con le loro nonne, Blanche e Carmen, che cercavano di calmarli: appena Kurt  si era imbarcato sull’aereo per Columbus i due erano scoppiati in improperi contro Burt Hummel.
 
Etienne sentiva ancora su di sé l’abbraccio del ragazzo, lo aveva stretto fortissimo e gli aveva sussurrato: ‘Grazie di tutto! Ti voglio bene.’  E lui si era sentito una volta di più un fallito, aveva promesso sulla tomba di Elisabeth che avrebbe fatto di tutto per proteggere Kurt  e invece non c’era riuscito. Aveva provato a parlare con Burt Hummel per lasciarli in affido il ragazzo, per tutta una serie di ragioni, come ad esempio permettergli di continuare con gli studi che aveva intrapreso e si era anche proposto di pagare lui le spese, ma ovviamente l’uomo non aveva accettato dicendogli che voleva suo figlio con se e che non accettava la carità da nessuno e se n'era andato offeso, e lui non era riuscito ad affrontare altre tematiche ben più delicate riguardanti l'adolescente.
Sperò che Burt fosse in grado di gestire un ragazzo come Kurt e le sue problematiche, ma ne dubitava...

Etienne avrebbe mentito se avesse detto che non capiva l’uomo, lui lo capiva perfettamente, si era provato a mettere nei panni di Burt immaginando che la sua ex moglie, Susan, avesse fatto la stessa cosa di Elisabeth negandogli di sapere dell’esistenza di Sebastian, sarebbe impazzito all’idea.

Nel soggiorno fecero capolino Blanche e Carmen, anche per loro la partenza di Kurt  era stata un duro colpo. Le due anziane nonne spesso e volentieri avevano fatto da babysitter  a Sebastian, Thad e Kurt quando erano bambini e il piccolo Calhoun, ormai, era considerato da loro come un nipote.

Lo avevano conosciuto quando aveva quattro anni e lo avevano visto crescere; erano state presenti a tutti i suoi spettacoli, vicino quando era stato male aiutando Elisabeth e quando a undici anni aveva fatto coming out, uscendo prima di Sebastian e Thad, lo avevano accompagnato insieme ad Elisabeth e ai loro nipoti e famiglie al suo primo Gay Pride, sfilando accanto a lui mostrandogli tutto il loro sostegno.

Carmen e Blanche quel giorno in aeroporto, come tutti, avevano promesso al piccolo a Kurt che  sarebbero andate a trovarlo e le due nonne avevano intenzione di mantenere la loro promessa molto presto.
 
“Smettetela di avere quei musi lunghi, non servono a nulla!”ringhiò malamente Carmen al piccolo gruppo nel soggiorno.
Isabelle sobbalzò alle parole della vecchia donna ispanica della quale aveva sempre provato una sorta di timore. Non era raro vedere Carmen accompagnata da Blanche, le due donne non erano certo migliori amiche ma erano in sintonia, ed erano esattamente l’una l’opposto dell’altra. Carmen aveva lunghi capelli grigi legati in una crocchia, era formosa, di carattere ruspante, un po’ maleducata e scontrosa ed era fiera delle sue origini Colombiane. Blanche, invece,  era alta e ossuta, elegante e fine e l’educazione e il bon ton erano i suoi maggiori biglietti da visita da nobildonna di origine francese. Le due donne per permettere a Sebastian, Thad e Kurt di stare insieme avevano passato tanti pomeriggi in compagnia e infine dopo un attrito iniziale avevano imparato a piacersi e si erano affezionate l’una all’altra. Isabelle pensava la stessa cosa che aveva pensato Elisabeth: quelle due donne insieme erano una forza.
 
“Mamma, ti prego!”Cominciò a parlare Estella, ma la piccola donna la interruppe.
“Ti prego cosa? Kurt non è andato in guerra o è morto, si è trasferito! Fra tre anni sarà nuovamente qui a vivere! Questo Capodanno lo passerà con noi e noi nel frattempo lo andremo a trovare e lui farà altrettanto! Diavolo lo sapete tutti quanti che ha delle faccende qui che a Lima non può gestire!”
“Carmen ha ragione! Siamo tutti tristi per il destino del ragazzo e siamo tutti addolorati vedere che è stato strappato dalla sua vita qui e che quel Burt Hummel non ha preso in considerazione nemmeno per un secondo quello che Kurt aveva qui e le sue aspirazioni! Ma è suo padre e ha diritto a conoscere quello che gli è stato negato.” Disse austera Blanche.
 
“Carmen, mamma.-cominciò con tranquillità Etienne.- Tutti noi in questa stanza vogliamo bene a Kurt. Il fatto che i nostri ragazzi si conoscano fin da piccoli e che le loro inclinazioni sia artistiche che sessuali siano simili, hanno portato le nostre famiglie a legarci e a-”
 
“Figlio mio so benissimo con chi ho passato le nostre feste in famiglia negli ultimi otto anni! Come tutti in questa stanza mi pare! Non serve che mi dici l’ovvio. Elisabeth e Kurt erano parte di queste famiglie, ma io e Carmen invece di stare qui a disperarci su quello che ormai non possiamo cambiare pensiamo al futuro!”disse con elegante superiorità Blanche.
 
“Questo vorrebbe dire?”chiese timidamente Adrian.
 
“Vuol dire che mentre voi eravate qui a frignare, noi due vecchiacce, eravamo di là con i ragazzi a cui abbiamo dato le nostre carte di credito e li abbiamo lasciati a verificare diverse compagnie aree per vedere qual é l’offerta migliore per andare a trovare Kurt intorno a metà Novembre. Abbiamo pensato che partendo un giovedì pomeriggio, e quindi facendo saltare un giorno di scuola ai ragazzi, ci facciamo una bella gita fino a domenica, giorno in cui ripartiamo!”
Come  a confermare le parole di Carmen spuntò Thad in soggiorno, con addosso un espressione felice.
“Abuela[1], Sebastian ha trovato per giovedì 12 Novembre un’offerta di un volo con l’American Airlines, 50 dollari andata e ritorno e in più c’è un Hotel al centro Lima davvero interessante: un tre stelle,  quaranta dollari a notte la stanza doppia!”
 
“Mamma aspetta.- disse Estella.- Fino a prova contraria siamo ancora io e Adrian i genitori di Thad! Tu non puoi prendere la decisione di fargli saltare un giorno di scuola, prima ce ne devi parlare!”
 
Etienne fissò la piccola signora Carmen mettere le mani sui fianchi e l’espressione scocciata sul viso di sua madre, vide dietro Thad per nulla intimorito dalla situazione.
 
“Vero, ti avrei dovuto chiedere, ma io non lascerò Kurt, un membro della famiglia, senza il suo supporto e non permetterò che i ragazzi si rivedano solo a capodanno! Kurt in questo momento ha bisogno di noi e non solo di un po’ di lacrime versate in aeroporto! Contano i fatti Estella ” Disse in tono ringhioso la piccola donna Colombiana.
 
Isabelle fissò le persone nella stanza, lei non faceva parte di quel quadretto famigliare, per fortuna una famiglia sua ce l’aveva, peccato che rispetto a quelle persone nella stanza i suoi congiunti fossero noiosi.
Isabelle guardò Estella, non aveva minimente il carattere della madre, ma, anche lo avesse avuto, non aveva come alleato uno col caratteraccio di Blanche, infatti la donna aveva notato che Etienne non aveva nemmeno provato a discutere con la madre  della decisione presa senza il suo consenso.
Era un fatto Carmen e Blanche avevano già vinto.
 
 
 
Kurt fissava le case che passavano fuori dal finestrino illuminate dai lampioni, ma lo stesso riusciva a scorgere quanto l’architettura di quella piccola cittadina non avesse nulla a che vedere con la sua amata New York. Lui e Burt erano atterrati alle quattro e del mezza del pomeriggio  a Columbus dove l’uomo aveva lasciato la propria macchina nel parcheggio dell’aeroporto e, dopo che avevano recuperato la misera borsa di suo padre e le sue ben cinque  enormi valige, erano partiti alla volta di Lima affrontando altre due ore di viaggio.
 
Kurt  pensò che l’unica cosa che rendeva Lima un po’ più simpatica era immaginare sua madre che in quel luogo aveva camminato riso e a quanto pare amato...
 
“Fra pochi minuti siamo arrivati.”tentò di avviare una conversazione  Burt, ma come risposta ricevette solamente un deciso:
“Mmmmuhmm”
Decise di fare finta di nulla.
“Carole mi ha detto che ha preparato una meravigliosa cena di benvenuto! ” disse con un tono allegro il meccanico, ma il ragazzo dai capelli color castagna continuò a guardare fuori la strada ignorandolo.
Burt sospirò.
Il giorno che aveva conosciuto Kurt e gli aveva detto che sarebbe venuto a Lima, suo figlio aveva tentato in ogni modo di convincerlo a lasciarlo a New York, provando a spiegargli(e anche pregandolo) perché voleva rimanere, ma alla fine avevano litigato e l’adolescente gli aveva gentilmente chiesto di lasciarlo solo. Nei giorni che erano seguiti quando aveva provato a chiedergli qualcosa per conoscerlo lo aveva ignorato o gli aveva risposto in maniera sarcastica. Risultato: lui non aveva una minima idea di chi fosse quel ragazzino che aveva in macchina.
Quel Venerdì mattina in aeroporto, quando le persone più strette e care a suo figlio- la famiglia Harwood, la famiglia Smythe, Isabelle e un ragazzo di nome Adam – erano venute a salutarlo  e lo aveva visto così indifeso e triste, in quel momento,  aveva avuto una fitta non ben definita tra rabbia e gelosia verso Etienne Smythe che suo figlio abbracciava fortissimo.
 
“Vedrai Carole ti piacerà, è una persona meravigliosa!- disse Burt, aggiungendo dentro di sé: non come Elisabeth.- Finn poi è davvero un bravo ragazzo ed è davvero tanto buono!”
“Oh non vedo l’ora.” Rispose sarcastico Kurt e il meccanico lo ignorò cercando di fare  conversazione.
“Beh, sai, quando arriveremo, dopo le presentazioni, potrai scegliere la tua camera. Finn e Carole hanno pulito sia la mansarda che la camera degli ospiti … Qualunque stanza sceglierai comunque domani dobbiamo andare a comprare un letto... Finn ha un matrimoniale ed è giusto che lo abbia anche tu, quindi domani lo andremo a comprare! Compreremo anche una bella scrivania, una libreria, un armadio capiente, insomma tutto quello che ti può servire- Kurt sbuffò irritato.- Oh! Lunedì dobbiamo iscriverti a scuola e prendere la lista delle cose che ti serviranno, ma forse alcuni libri dell’anno scorso di Finn sono ancora validi per il nono livello di quest’anno e-”
“Meraviglioso non vedo l’ora!”
Burt, dopo l’ennesimo commento ironico, sospirò stanco:
“Kurt, per favore, mettiti nei miei panni!”
“Mettiti tu nei miei!”
“Perfetto allora comunica con me.”
“Non mi sembra che quando comunicavo tu mi abbia ascoltato poi molto!”
“Kurt per favore! Dimmi quello che pensi.”
“Lo vuoi davvero?”
“Certo!” disse Burt speranzoso che cominciasse a vedersi uno spiraglio di comunicazione con suo figlio.
“Allora, fino a poche ore fa ero residente in una delle città più belle e desiderate del mondo, poi tu, l’uomo con cui mia madre mi ha concepito e che ho conosciuto pochi giorni fa, decidi che devo andare a vivere in Ohio in un piccolo paesino sperduto! Sai, questo mi porta a sentirmi come il protagonista del telefilm  Everwood a cui succede la stessa cosa! Solo che il plot della telenovela della mia vita è anche più scadente di quella del telefilm! Andrò a vivere a Limerwood dove conoscerò il mio fratellastro che sicuramente sarà la star della scuola... non so tipo il quarterback!... e oh! Perché no! Fidanzato con la capo cheerleader che è una stronza patentata e che lo tiranneggia facendoli sembrare la coppia perfetta! E la loro popolarità sarà seconda  solo alla mucca da soma più grassa che verrà macellata alla sagra del bestiame!”

“A Lima è una città e non c’è la sagra del bestiame!” rispose un po’ stupidamente Burt, sorpreso delle parole del ragazzino fossero azzeccate nonostante lui non gli avesse detto nulla.
“Oh e dimenticavo! Carol come minimo sarà la devota moglie che lavora con te alla tua officina!”
“Qualche anno fa lavorava con me, ora è infermiera all’ospedale.”
“Magnifico ancora più un cliché! Scommetto anche che avete anche un cane, magari un pastore tedesco di nome Rex!”
“Abbiamo un bulldog inglese di nome Bob.”
“Mi trovo anche obbligato a cambiare cognome perché, ora che mi hai riconosciuto come tuo figlio, la legge mi impone di chiamarmi Kurt Hummel! Snaturandomi dicendomi che fino a ieri ero una persona e ora sono un'altra!”
“La legge impone che porti il cognome del padre!”
“Mamma mia che meraviglia! Davvero un sogno di vita!”
“Ascoltami bene ragazzino, sono io il tuo tutore che ti piaccia o meno! Io non mi posso permettere di mantenerti a New York! Non sono ricco! Quindi finiscila!” ringhiò Burt.
“Infatti, se tu mi ascoltavi, io non ti ho chiesto una volta di mantenermi! Ho i soldi del mio lavoro, in più ho tutti i soldi le azioni in borsa  e la liquidazione della polizza sulla vita di mamma! Stai pur certo che non ti avrei chiesto un becco di un quattrino per stare a New York e continuare la mia vita! Dovevi solo delegare Etienne come mio tutore. Solo questo! ” gli rispose cocciuto e Burt sentendo citare l’uomo provò ancora più fastidio.
“Tu sei mio figlio e io sono tuo padre! Tu devi stare con me! Non con Etienne, Isabelle o chissà chi altro!”
“TU NON SEI MIO PADRE! SEI UNO SCONOSCIUTO CHE MI STA ROVINANDO LA VITA, PORTANDOMI LONTANO DALLA MIA FAMIGLIA IN UN POSTO CHE È UN BUCO DIMENTICATO DA DIO! ” urlò il rabbioso e Burt era rimasto ferito dalle parole uscite dalla bocca del ragazzo
 
“NON SAPEVO DELLA TUA ESISTENZA PER COLPA DI QUELLA STR-”
 
“ATTENTO!” Urlò Kurt.
 
Burt sentì un boato e quello che registrò fu un corpo rotolare sul cofano e la tettoia e poi cadere sull’asfalto.
Burt frenò e sia lui che Kurt guardarono la strada davanti a loro sconvolti.
 
 
‘Che succede? Dov’è il gattino che stavo seguendo? Qualche gorilla mi ha atterrato? Chi è lo stronzo? Appena lo becco gli cavo i denti... aspetta questi non sono gli allenamenti di football… Allora è stata Tina! Mi vuole rapire e violentare… come darle torto…spero che Sam gli dia una mano...”
 
Burt stringeva il volante incredulo aveva appena investito qualcuno, registrò distrattamente dei movimenti frenetici di fianco a lui di Kurt che si era liberato della cintura ed era sceso dall’auto.
 
‘Merda! Sento la testa pulsare! Ma dove sono che diavolo è successo … aspetta, alt! Gira tutto!’
 
“Oddio, oddio è sveglio e respira!”
Improvvisamente nella visuale di Blaine apparve un ragazzo, era agitato, ma lui non ne capiva il motivo, in verità prima doveva capire perché era steso sull’asfalto.
‘Mi sta venendo da vomitare!’
“Quante dita sono queste?”
‘Ohhh che belle quelle quattro manine!’
“Oddio non risponde! BURT CHIAMA L’AMBULANZA!” urlò Kurt in preda al panico, vide l’uomo pallido scendere dalla macchina.
“Lo portiamo noi!”
“NO, NOI NON LO MOVIAMO DA QUI! LO MUOVERANNO I MEDICI! NON RISPONDE NEMMENO!”
‘Amico che voce stridula! Non urlare!’
“NO ! Che cazzo fai? BURT!”
‘Sto volandoooo!!’
“Non ti risponde perché è muto! Mettiti dietro con lui!” Burt aveva recuperato la calma che gli serviva giusto per prendere le redini della situazione, aveva raccolto in braccio il più piccolo della famiglia Anderson.
“Kurt mettiti dietro! Ubbidisci immediatamente, non abbiamo tempo da perdere!”  
Kurt non se lo fece ripetere si  mise dietro nel fuoristrada.
Burt caricò Blaine sui sedili posteriori e gli poggiò la testa su Kurt che lo fissava letteralmente terrorizzato, mentre l’auto partì di corsa alla volta dell’ospedale.
“OH MIO DIO STA PERDENDO SANGUE DALLA TESTA!” urlò il ragazzo dai sedili posteriori in preda al panico, Burt sentì lo stomaco che gli si stava stringendo dalla paura.

Kurt aveva il cuore che gli martellava furiosamente nel petto, quando la testa di quel ragazzo gli era stata appoggiata sulle cosce aveva sentito qualcosa di caldo sulle gambe e i pantaloni che gli si stavano inumidendo velocemente, così aveva toccato lievemente la testa e si era trovato la mano intrisa di sangue.
Aveva avuto il flash di quando era stato accompagnato a riconoscere il corpo della madre in obitorio Durante l’incidente era sparita la borsetta con i suoi documenti. Una semplice procedura di prassi, un lettino freddo e un corpo avvolto in un sacco con la zip. Aveva visto lo splendido volto di sua mamma pallido come il gesso, pieno di ematomi, il naso rotto e storto, i capelli castani impaccati dal sangue secco  e gli occhi chiusi, ma la bocca lievemente aperta …
“LO DOVEVI LASCIARE PER TERRA, DOVEVAMO CHIAMARE UN AMBULANZA! NON DOVEVAMO SPOSTARLO!”
Burt cercava di guidare il più veloce possibile era già agitato di suo, ma sentire Kurt dietro in preda al panico stranamente lo stava calmando.
“Kurt cerca di calmarti, devi parlare a Blaine e tenerlo sveglio!”
“BLAINE? CHI DIAVOLO È?”
‘Non urlare il mio nome invano … Dio perché il mondo gira?’
“Kurt tranquillizzati, Blaine è il ragazzo che è in macchina con noi! Il tuo compito è parlagli e tenerlo sveglio! È importate! Sei in grado di farlo?” Burt aveva parlato con un tono rassicurante, mentre fissava Kurt dallo specchietto retrovisore restituendogli lo sguardo.
 “Blaine, ehi lo sai che hai un bel nome?” disse Kurt tremante.
‘Lo sai che se non mi smette di girare io vomito?’
“Ti prego cerca di rimanere sveglio! Ti prego, ti prego!”
‘Ti prego cerca di fermare il mondo! Ti prego, ti prego!’
“Resisti siamo quasi in ospedale!  Manca poco!” disse Kurt sperando che fosse vero.
‘Anche alle crocchette che ho mangiato a pranzo!’
“No fermo non ti muovere!”  Kurt cercò di impedire a Blaine di muoversi, ma rimase letteralmente congelato quando gli vomitò in grembo.
‘Ahhh ora sto meglio! No aspetta!’
“Che sta succedendo lì dietro?” chiese Burt anche se lo immaginava dati i rumore che aveva sentito e il puzzo incredibile che aveva invaso la sua auto.
“Mi ha vomitato addosso tre volte!” disse Kurt con una voce isterica.
‘Maledette crocchette’
 
 
Luis odiava i fine settimana di turno all’ospedale,  soprattutto quando dava la sua disponibilità al pronto soccorso. La sua abilitazione era pediatria, ma all’ospedale di Lima, non essendo gigantesco, i medici anche se con altre abilitazioni davano due giorni a settimana disponibilità per il primo soccorso.
“Allora ragazzo com’è essere sbronzi a sedici anni? Aspetta che arrivino i tuoi genitori!”disse Luis al paziente di nome Michael Kean, che era stato portato urgentemente da una pattuglia della polizia che lo aveva rinvenuto mezzo svenuto in auto dal troppo bere.
Luis gli aveva fatto una bella lavanda gastrica, ma quelli era il minore dei problemi che Michel avrebbe avuto e lui lo sapeva, tutti i guai giudiziari che ne sarebbero seguiti alla sua bravata erano davvero pesanti: sequestro della macchina, una  multa da diecimila dollari e  una cauzione di cinquemila.
L’uomo non avrebbe voluto essere nei panni di quei genitori o di quelli di molti altri che durante il fine settimana venivano a recuperarsi i figli che da veri stupidi bevevano e correvano con l’auto facendo incidenti considerevoli a tutte le ore del giorno.
“Non voglio vedere i miei genitori! Mi metteranno in punizione fino alla fine del mondo” si lamentò ancora stordito il ragazzo.
“Mi spiace, ma credo che te lo meriti, sai?!” disse il medico.
“Dottor Lopez! Codice rosso: Blaine Anderson, adolescente, maschio, circa 160 libre, investito da un auto, Lesione alla testa! Trauma cranico di grado 2!” disse in tono urgente Loren, infermiera, amica sua e di Richard.
Luis appena aveva sentito il nome di Blaine, un sentimento di inquietudine e paura si era fatto largo in lui, lasciò immediatamente il capezzale del giovane Kean e seguì Loren.
“In che stanza è?”
“Primo soccorso, numero quattro.”
“Sintomi? Perché è nel grado 2?”
“ È sveglio! Ma quando gli si fa una domanda diretta non da segni di averla capita. Inoltre, ha una lesione alla testa nella zona parietale, avrebbe bisogno di punti, pupille dilatate e prima di arrivare qua ha vomitato.”
“Vai ad avvertire immediatamente Gregory che prepari il contrasto da somministrare al paziente per la Tc[2],  così, dopo che lo  ho visitato, la facciamo immediatamente. Non è stato avvertito Richard, vero? ”
“No, anche perché è in sala operatoria, e per ora non è il caso!”
“Perfetto,  fai chiamare Ci ooper. Richard nella polizza di Blaine dovrebbe aver inserito il numero del fratello. Se così non fosse prova a chiamare a casa!”
Loren, dopo le istruzioni ricevute, partì immediatamente a cercare il cordless più vicino per chiamare il reparto di radiologia e Luis corse alla stanza di primo soccorso indicatagli. Sapeva che Richard era preso da un’operazione urgente su un anziano che era entrato incosciente dopo aver causato un incidente e che quindi  ci sarebbe voluto del tempo prima che finisse, sperava di avere il tempo sufficiente per capire le dinamiche  dell’incidente in cui era coinvolto Blaine e risolvere ogni cosa.

Luis quando entrò nella sala numero quattro si trovò davanti uno scenario che mai nella sua fantasia più sfrenata avrebbe anche solo potuto ipotizzare:
Martin Fox, infermiere, parlava con un Burt Hummel che sembrava provato da quello accaduto. Accanto al lettino al centro della stanza c’era una barella con sopra Blaine con la mascherina dell’ossigeno che aveva dipinto in viso un espressione intontita e teneva la mano a un ragazzo  non tanto alto che gli dava le spalle.

 Luis sentì immediatamente una spiacevole fitta dentro di sé, avrebbe riconosciuto in mille vite quel caldo colore di capelli simile alle castagne, solo che in quel caso apparteneva a un giovane e non alla donna che un tempo aveva amato come se stesso e che ormai era morta.
Si sentiva quasi impreparato ad incontrare il figlio di Elisabeth.

“Che sta succedendo qua?” chiese immediatamente Luis andando verso  Blaine e nel mentre fissando per qualche secondo malamente Burt che, se era in quella stanza, esisteva un solo motivo...
“Dottor Lopez meno male che è qui!- disse Fox con evidente sollievo.- Io non riesco a comprendere se il paziente capisca ciò che gli sta accadendo!”
Luis era arrivato davanti al giovane Anderson e sentì immediatamente un pungente odore di vomito riempirgli le narici, lanciò uno sguardo al figlio di Elisabeth, solo un secondo, ma che gli bastò per rimanere abbagliato: quel ragazzo, nonostante l’aria sconvolta, era il ritratto della madre.

“Blaine sono Luis, fammi un cenno se capisci quello che dico.”
‘Oh ciao Luis!- pensò confuso il più piccolo degli Anderson.-Se sei qui e c’è quella luce stile cammino di Dio, significa che…Tina mi ha violentato davvero! ”
Luis si preoccupò quando vide che il ragazzo non rispondeva alle sue richieste, gli fece un controllo alle pupille e come aveva detto Loren erano dilatate.
“Fox vieni qui! Dobbiamo sollevare delicatamente Blaine, devo vedere la testa.”
L’infermiere venne immediatamente a cercare di dare una mano al dottore che si era portato dal lato dove Kurt teneva la mano a Blaine.
“Ragazzo lascialo così lo possiamo sollevare senza fargli male!”
Luis ebbe un altro tuffo al cuore quando vide gli occhi del ragazzo puntarsi su di lui, scoprendo che anche quelli erano così simili a quelli della madre.
Il dottor Lopez prese immediatamente in mano la situazione provando a separare i due.
“Avanti Blaine, mollalo!” solo in quel momento si rese conto che non  era il ragazzo dai capelli color castagna a tenere la mano di Blaine, ma era il piccolo degli Anderson che teneva la mano allo sconosciuto.
‘Giammaaiii!’
“Lascialo!”
‘No! Lasciami tu!’
“Blaine!”
‘Luis!’
Luis alla fine aprì con la forza la mano a Blaine che era letteralmente arpionato all’altro.
“Ora gira tutto troppo! Sei uno stronzo! Appena mi riprendo ti piscio in giardino,  ti tingo i capelli di biondo, ti rigo la macchina e mi scopo tua figlia! Non necessariamente in quest’ordine e non necessariamente mi trombo Santana!”
“Ecco!” esclamò trionfante Luis togliendo dalla testa di Blaine il tampone che era stato messo sulla ferita e, iniziando ad esaminare il taglio ancora sanguinante, si accorse che era quasi esattamente sulla vecchia cicatrice che gli era stata fatta dall’assassino della madre.
“Fox, la procedura! Dovevi rasare la zona della ferita immediatamente appena era arrivato!” Luis rimproverò il giovane infermiere che arrossì per la mancanza compiuta.
‘AHIA! Che fai? Tocchi?! Non si tocca!’
Burt Hummel osservò con la coda dell’occhio quello che il dottor Lopez stava facendo a Blaine, ma era più preso a controllare suo figlio che tremava come una foglia.
Nella piccola stanza entrò un nuovo medico, era alto e di colore.
“Dottor Lopez in radiologia siamo pronti per la Tc. Ora sono venuto a fare il liquido di contrasto al paziente!”
“Solo un attimo Gregory!” Disse Luis, mentre osservava Fox che rasava la porzione di capelli intorno alla ferita del piccolo degli Anderson e, finalmente pulito dai ricci, potè constatare che non sembrava  grave.
Si sentì sollevato.
“Vieni!” disse dopo aver pulito la zona della testa e messo un cerotto tampone in maniera che, se dall’esame non risultava necessario operare, avrebbe applicato quattro o cinque punti per richiudere la ferita.
Luis si concesse un momento per affrontare Burt  e così, mentre Gregory si affaccendava attorno a Blaine, chiese:
“Voi due state bene?”
“Io credo di sì.- Disse Burt incerto dopo un attimo di esitazione.-lui invece sembra abbastanza provato!”
“Sì, sembra anche a me!”Luis osservò il ragazzo pallido in modo spettrale con i vestiti pregiati sporchi di sangue e di vomito.
“Io porto su il paziente.” disse Gregory che aveva finito somministrare il liquido di contrasto a Blaine.
“Hummel ,onestamente, mi sembri messo abbastanza bene, quindi mi faresti il favore di seguire Fox che ti farà vedere dal dottor Newton, mentre io mi occupo del ragazzo?- poi si voltò verso l’infermiere.-Hai sentito cosa ho detto Fox?”
“Accompagnare il signore dal dottor Newton!”
“Perfetto.”
Burt strabuzzò gli occhi e fissò Luis, sentì il nervoso salirgli dalle viscere.
“Il ragazzo viene con me o io resto qui mentre lo visiti!” disse perentorio.
“Hummel, ti prego, siamo in ospedale! Ti sto mandando a fare dei controlli, non creare un caso!”
“Mentre io vado a farmi visitare tu che fai?”
“Te l’ho appena detto! Visito il ragazzo dato che è in chiaro stato di shock emotivo e cerco di capire se ha dei sintomi post incidente! Lo hai detto tu stesso poco fa che sembra provato dall’esperienza!”
Burt era stanco ed esausto e non aiutava in quel momento che il medico fosse proprio Luis Lopez. Anche se erano passati tanti anni i loro antichi rancori erano vivi e adesso che c’era Kurt lo sembravano ancora di più, però fino a quel momento l’altro uomo era stato molto professionale e irreprensibile...
“Ok, va bene! Scusa.” Disse il meccanico  andando verso il ragazzo.
“Kurt io vado un attimo a farmi vedere da un medico, tornerò immediatamente, ok? ”
Kurt alzò lo sguardo, sembrava perso ed esausto. Burt non sapeva bene come comportarsi con lui e non sapeva nemmeno cosa fare.
 
Luis sospirò e seguì con lo sguardo Burt Hummel uscire dalla porta dietro la barella sopra cui c’era Blaine. Gli era sembrato impacciato nei confronti di Kurt, come se non avesse la minima idea da che parte cominciare, ma non era suo compito giudicare il meccanico con suo figlio, lui non sapeva i retroscena, però, se fosse stato lui al posto di Burt avrebbe fatto qualcosa per rassicurare il ragazzo.
“Ciao io sono il dottor Luis Lopez.- disse in tono calmo e dolce, come se parlasse a un bambino piccolo.- mi puoi dire come ti chiami?”
Il Kurt non sembrava molto propenso a parlare, decise di provare con un altro approccio.
“Vieni che ti faccio sedere … ok, ora che sei siamo seduti che dici se parliamo un po’? ”
In quel momento entrò Loren nella stanza.
“Luis ho fatto avvertire Cooper e sta venendo d-”
“Loren arrivi al momento giusto mi potresti fare un favore?”
“Sì, dimmi?”
“Vai alla caffetteria e cortesemente prendimi due cioccolate calde con panna e granella di nocciole. Di’ a Harold di addebitarle sul mio conto.”
Loren non aveva trovato così strana la richiesta del medico, dato che spesso, quando il dottor Lopez aveva qualche piccolo paziente che piangeva perché si era fatto particolarmente male, offriva una golosa cioccolata calda.
“Mi pare di aver sentito che ti chiami Kurt… Kurt come? Hummel?” provò Luis per vedere se rispondeva a qualche provocazione.
“Kurt Calhoun.” Disse piano il giovane, ma con un tono come a mettere in chiaro qualcosa e Luis sorrise.
“Bene Kurt Calhoun, mi puoi dire quanti anni hai?”
“Quindici.”
“Mi puoi dire se hai qualche sintomo come nausea, giramenti o per caso ti fa male il collo?”
Kurt fece cenno con il capo di no.
“No?” chiese per sicurezza il medico.

Kurt avrebbe voluto rispondergli, ma si sentiva male, continuava a rivivere l’incidente che avevano fatto: l’impatto, il rumore del corpo che veniva colpito dalla carrozzeria  e il lampo di paura che aveva attraversato gli occhi di Blaine prima di essere investito.
L’unica cosa che gli era chiara in quel momento era l’immagine di sua madre in obitorio, dopo che aveva passato quasi due giorni a chiedersi dove fosse...
Chissà se anche sua madre aveva avuto il tempo di realizzare quello che le stava accadendo...
“Kurt?”
Il ragazzo sembrò riscuotersi e chiese:
“Blaine è grave?”
“Blaine è come la cosa dei fantastici quattro: indistruttibile.-Kurt accennò un sorriso e lo stesso fece Luis- Ascolta Kurt, Blaine era cosciente e io  ad un primo esame non ho rilevato nulla di grave, ora dobbiamo aspettare i risultati della Tc, ma sappi che la sua vita non è in pericolo o altro! Male che va a Blaine toccherà qualche giorno di ospedale, nulla più. Ok?”
“Ok.”
Luis sorrise vedendo l’adolescente distendersi visibilmente, ma dentro si sentiva un miscuglio di ansia e preoccupazione: i primi controlli su Blaine non gli avevano certo rivelato nulla di certo, solo dopo la Tc avrebbe avuto una parziale della situazione.
La stanza cadde nel silenzio, mentre il dottore cominciò i controlli di routine e continuarono fino a che non rientrò nella stanza Loren con le due cioccolate calde.
“Lasciale pure sulla scrivania e poi controlla a che punto sono con il paziente Anderson.”
La donna eseguì e sparì nuovamente per i lunghi corridoi dell’ospedale.
Kurt guardò interessato l’uomo che andò verso la scrivania e dalle tasche estrasse qualcosa, lo vide armeggiare per un po’ intorno ai due bicchieri.
“Mia nonna, quando mi succedeva qualcosa che mi turbava, mi faceva sempre questa botta calorica: cioccolata calda con panna granella di nocciole e Oreo sbriciolati sopra! Mi ha sempre fatto tornare il buon umore!”
Kurt dopo le parole dell’uomo scoppiò a piangere senza freni.
Luis non credeva che avrebbe avuto quella reazione, ma poi si rese conto dell’errore: Elisabeth adorava la cioccolata fatta in quella maniera.
“Kurt respira, respira !” Luis appoggiò le due cioccolate e andò dal giovane che era senza respiro .
Il medico guardò il ragazzo qualche secondo e decise di fare quello che avrebbe dovuto fare Burt dall’inizio di quella situazione: abbracciare l’adolescente.
Luis mandò all’aria l’etica del distacco del paziente e abbracciò quel ragazzo che aveva bisogno di qualcuno a cui appoggiarsi per sfogare lo shock dell’accaduto  e, probabilmente, molto altro.
“Mi dispiace, io non volevo piangere  è che...”
“Kurt- disse calmo Luis- non tenerti dentro le cose, è peggio. Ora piangi se ne senti il bisogno e-”
“Io non volevo venire qui, mi ci ha portato quello!”
Luis avrebbe riso se la situazione non fosse stata tanto seria e delicata.
“Qui a Lima?”
“Stavamo litigando in macchina e poi improvvisamente è spuntato e BOOM!”
Luis non si perse a chiedere spiegazioni alle parole frammentate, Kurt non sarebbe lo stesso stato in grado in quel momento di darne.
“I suoi occhi pochi secondi prima dell’impatto erano terrorizzati! Forse anche mia madre ha avuto lo stesso sguardo! VOGLIO ANDARMENE DA QUI, VOGLIO LA MIA MAMMA!”
Il tono di voce del ragazzo stava crescendo come la sua agitazione e il medico capì che qualcosa dentro il giovane si era rotto: Kurt aveva appena avuto un crollo nervoso.
Luis dentro di sé ringraziò  che un’infermiera, attratta dalla voce del ragazzo, entrò in quel momento.
“SARAH SVELTA DOBBIAMO SEDARLO! ”
“VOGLIO TORNARE A CASA! NON VOLEVO CHE VENISSE INVESTITO! MI CI HA PORTATO LUI QUI!”
“PREPARA UNA DOSE DA 3 mg DI PROPOFOL!”
La donna eseguì immediatamente l’ordine del medico e preparò la siringa contenente il farmaco, mentre Luis tratteneva fra le braccia il ragazzo che stava strepitando.
“PERCHÉ!? DIMMI PERCHÉ DOVEVA CAPITRE TUTTO QUESTO PROPRIO A ME!?” urlò Kurt piangendo.
 
“PERCHÉ LUIS!? DIMMI PERCHÉ DOVEVA CAPITARE TUTTO QUESTO PROPRIO A NOI!?”
 
Il medico cacciò indietro il ricordo di Elisabeth che in uno stato simile a Kurt gli aveva chiesto la stessa cosa.
L’infermiera sedò il giovane che in meno di un minuto cadde in uno stato di incoscienza fra le braccia del medico che per trattenerlo lo aveva lasciato con il fiatone, ma che prese Kurt in braccio e lo posò sul lettino della stanza.
 
“Mettigli un camice, lo ricoveriamo. La diagnosi è shock emotivo. La dose che  gli abbiamo somministrato di Propofol dovrebbe farlo dormire per circa un’ora.”
 
 
 
Burt era stato ritenuto dal dottor Newton, dopo che lo aveva visitato, sano e libero di andare, ma lo stesso gli aveva raccomandato che se nei giorni successivi avesse avuto giramenti, nausee o dolori inspiegabili di tornare in ospedale per un controllo.
 
Mentre tornava verso la sala numero quattro vide due infermiere, tra cui quella che lo aveva seguito dall’inizio,  che  uscivano con un letto con sopra Kurt che era addormentato.
 
“Che è successo?” domando immediatamente Burt correndo agitato verso il lettino.
“Lo stiamo ricoverando, il dottor Lopez ora sta andando dall’altro ragazzo a vedere i risultati della Tc e poi dopo sarebbe venuto da lei a parlarle.” Disse calma l’infermiera, ma prima che potesse approfondire fece la sua apparizione un trafelato Cooper Anderson che stava venendo accompagnato da un infermiere di fronte alla stanza di primo soccorso numero tre.
 
“Signor Anderson se nel mentre si vuole accomodare il dottor Lopez sarà qui in pochi minuti. Le ricordo appena ha tempo di compilare le carte di ricovero.”
 
“Dov’è mio fratello? Qualcuno mi vuole dire che gli è successo” chiese con tono spaventato Cooper e Burt sentì il suo stomaco stringersi in modo spiacevole.
 
“Il dottor Lopez verrà personalmente a spiegargli tutto.” disse professionalmente l’uomo.
 
Come chiamato apparve il dottor Lopez seguito da un Richard decisamente pallido.
 
“Papà come sta Blaine?” chiese il maggiore degli Anderson vedendo il padre.
“Non lo so, ho adesso incontrato Luis e mi stava dicendo tutto.”
 
“Burt, vieni qua che parliamo un attimo! Adesso Cooper vi spiegherò immediatamente quello che è successo o meglio, ce lo facciamo spiegare.” Disse con una nota dura nella voce Luis.
 
“Che sta succedendo? Perché state ricoverando Kurt e perché dorme?”Chiese Burt agitato.
 
“Burt lascia andare il personale a portare il ragazzo in una stanza, se vieni qui e parliamo ti dico tutto!” disse stancamente Luis.
 
Il meccanico, sentendo il cuore che batteva all’impazzata, lasciò andare le infermiere con suo figlio lanciandogli un’ultima occhiata, e poi si diresse verso Luis, Richard e Cooper. Dentro di sé si preparò ad accogliere la rabbia che probabilmente la famiglia Anderson avrebbe avuto verso di lui.
 
“Io voglio sapere come sta mio fratello!”
“Cooper, Blaine ha riscontrato un trauma cranico lieve e in questo momento gli stanno mettendo dei punti su una ferita, quindi tranquillizzati!” Luis non voleva certo dirgli che stavano mettendo a Blaine dei punti alla testa,  non voleva che fosse troppo agitato per la spiegazione.
 
“Trauma cranico lieve? Punti?” domandò incredulo il maggiore dei fratelli Anderson.
 
“Venite andiamo in questa sala. -Luis guidò il piccolo gruppo dentro la sala di primo soccorso numero tre.- facciamo in fretta che le emergenze non aspettano nessuno.”
 
“Ma Kurt che ha?”
 
“Burt ti prego vieni dentro che ora ti spiego!”
 
“Luis, che è successo a Blaine!? E lui che centra!?” chiese innervosito Cooper che già si era fatto una sua idea nonostante la ritrosia del collega del padre di spiegargli.
“Figliolo calmati!” lo riprese immediatamente Richard che era altrettanto ignaro di tutto quello che era accaduto.
“Ha ragione Richard:  Cooper, per favore, stai calmo! Vi prego di stare calmi tutti quanti! Non è una situazione semplice! Chiaro?”
Tutti nella stanza fecero un cenno di assenso anche se Cooper era tutto meno che calmo, tanto che Richard gli aveva poggiato la mano sul braccio.
 
“Allora per cominciare parliamo della salute dei due ragazzi! ”
 
“No, per cominciare come mai Blaine è al pronto soccorso? E perché lui è qui?” ringhiò Cooper.
 
“Ero alla curva poco prima di arrivare a casa, sulla W Elm street, e stavo girando sulla Nixson Avenue e tuo fratello è sbucato all’improvviso! Non andavo veloce, ma non ho potuto evitarlo! Mi dispiace! Mi dispiace davvero! ” disse contrito Burt.
 
“Come mio fratello è sbucato all’improvviso?! Non ha senso questa cosa!”
 
“Mi stai dando del bugiardo?” domando innervosito Burt.
 
“No, Cooper non intendeva questo! Vero Coop?-Il ragazzo non rispose, ma il padre non ci fece caso.- Prima di fare affermazioni di questa portata  io e mio figlio vogliamo leggere il report dell’ambulanza e quello della polizia. ” disse asciutto, ma freddamente Richard che, nonostante la calma apparente, era furioso con il dirimpettaio.
 
“Non ho chiamato l’ambulanza l’ho portato io, è stato istintivo.”disse Burt.
 
“Infatti dovrebbe arrivare a momenti un poliziotto a fare il verbale, alla reception è stato segnalato che Blaine è finito al pronto soccorso perché investito. Comunque Kurt  e lo stesso Blaine domani saranno in grado di darci la loro versione dei fatti.”
 
Richard  annuì anche se fissava malamente Burt Hummel e poi chiese:
 
“Quindi la prognosi di mio figlio quale è?”
 
“Ha un lieve trauma cranico minore con una ferita lacerocontusa, ma non ho riscontrato fratture o negli esami nessun, al momento , ematoma celebrale. Per ora sembra presentare uno stato confusionale dovuto alla botta, nulla di grave, ma domani dovrebbe stare a posto. Dopo la Tc gli abbiamo fatto un controllo del tratto spinale della colonna cervicale, non ha riportato danni. Dovrà portare il collare per due settimane e per ora lo terremo in osservazione per 48 ore.”
 
Burt alla diagnosi detta da Luis si sentì malissimo, desiderava disperatamente che sua moglie fosse lì con lui, aveva bisogno del suo sostegno in quella bruttissima esperienza. L’aveva avvertita poco prima che si trovava in ospedale e delle circostanze lo avevano portato.
 
“Gli è andata bene!”esordì Richard nonostante la preoccupazione fosse evidente dal suo volto.
 
“Gli è andata bene? Ma stai scherzando papà?! Lui ha investito Blaine! ” disse indignato Cooper.
 
“Cooper fidati di me, gli è andata bene! Prima di avere una rabbia di questo genere verso Burt vorrei la versione di Blaine. E poi, io, lavorando in ospedale ti posso dire che non è raro che arrivi una persona investita che dopo riporti gravi danni permanenti  o esca dall’ospedale chiuso dentro una bara! ”ribatté con forza Richard al figlio maggiore che sembrò colpito dalle parole del padre e dal suo essere pacato.
 
“Questo invece ci porta a te Burt!”
“A me?” domandò incredulo l’uomo.
 
“L’incidente che avete fatto, ha portato tuo figlio in uno stato di shock emotivo con un crollo nervoso dato il suo bagaglio emozionale del momento… questa notte la passerà in ospedale e domattina lo potrai portare a casa tua.”
 
Burt solo in quel momento si rese conto di una cosa: aveva sottovalutato tutta la situazione. Per quanto odio potesse avere contro Elisabeth, era morta per un incidente d’auto e non osava immaginare cosa avesse scatenato dentro il ragazzo vivere un incidente come spettatore …
 
Si passò sconvolto una mano sul viso esausto.
 
“Cosa è successo quando sono andato via?” chiese.
 
“Ho provato a parlare con il ragazzo, ma tendenzialmente non rispondeva alle domande poste. Era preoccupato per Blaine.Non potevo visitarlo se non rispondeva , allora ho provato a offrirgli un cioccolata calda, come ho fatto spesso con molti miei pazienti... ma è scoppiato prima a piangere e poi ha avuto una crisi isterica una vera e propria. Ho dovuto sedarlo. ”
 
“Non ho pensato … sua madre è morta per un incidente stradale meno di tre settimane fa!”disse Burt  con una voce fievole.
 
Cooper provò pena per il ragazzo, ovviamente, come chiunque a Lima aveva sentito parlare della situazione di Burt Hummel e di un probabile figlio dall’ex moglie che era stata la più cara amica di sua madre. Ricordava ancora Elisabeth in maniera nebulosa, ma in fondo l’ultima volta che l’aveva vista aveva quattro anni, anche se ricordava ancora lo spirito libero ed eccentrico che la donna possedeva. Gli dispiacque.
 
Luis sapeva perfettamente come era morta Elisabeth, aveva fatto un po’ di ricerche dopo che Richard glielo aveva detto ….
 
“Dottor Lopez, Dottor Anderson, è arrivata una donna con dei forti dolori addominali, è incinta!”
A interrompere era stata una giovane specializzanda.
 
“Di quanti mesi è? Perde sangue?” chiese Luis.
 
“Cinque mesi!No, nessuna perdita di sangue, ma ha dolorose fitte e dice che sente l’impulso di spingere!”
 
“Arrivo immediatamente! Scusatemi tutti, ma devo andare! Richard,  a Blaine ormai dovrebbero aver finito di applicare i punti!”
 
Burt Hummel con lo sguardo seguì Luis sparire, si sentiva svuotato. Richard Anderson gli lanciò solo un occhiata, non chiaramente amichevole, prima di sparire seguito dal figlio maggiore che fremeva per vedere il fratello più piccolo.
 
Burt  uscì dalla stanza, era intontito. Si rese conto che non sapeva nemmeno in quale stanza Kurt era stato ricoverato, con passo caracollante si diresse verso la Reception.
 
Nella testa gli continuavano a passare le immagini di Kurt con gli occhi sbarrati dal terrore per quello che era accaduto.
 
Arrivato alla saletta d’ingresso del pronto soccorso sentì una voce dolce che sapeva di casa.
 
“Burt, amore!”
L’uomo vide Carole che gli stava venendo incontro con dietro Finn, loro figlio. Lì c’era la sua famiglia, il suo porto sicuro e lui finalmente sentì tutto la tensione scendere. Si mise a piangere stringendo forte sua moglie e suo figlio.
 

L'angolino della tazza di caffè...


Eccoci qua con il primo incontro fra questi Klaine, molto 'incidentale'...
Kurt e Burt non hanno avuto un buon inizio e vedremo insieme come andranno avanti e come si evolverà il loro rapporto!
Blaine poverino in questo capitolo non è molto presente di sè e nemmeno Kurt ma nel prossimo capitolo ...eheheheh

Intanto vi ringrazio per seguire questa storia e spero di sapere cosa ne pensate, sia in positivo che in negativo!

Come al solito vi lascio la mia pagina Fb:

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Un bacione

 
 

[1] Nonna.
[2] TC è l'abbreviazione di 'tomografia assiale computerizzata'. E' una metodica diagnostica molto sensibile che sfrutta i raggi X (radiazioni). I raggi X sono fatti passare attraverso il corpo da angolazioni diverse e raccolti da uno strumento (rivelatore), che invia segnali ad un computer. Il computer traduce tali segnali in immagini. Il paziente, sdraiato su un lettino, è introdotto in un sistema che emette raggi X (tubo radiogeno), che gli ruota attorno, arrestandosi circa ogni mezzo secondo per l'acquisizione dei segnali. Nella variante della tecnica detta TC spirale il tubo ruota continuamente ed il lettino si muove orizzontalmente. In questo modo si ottengono acquisizioni contemporanee di immagini di molte sezioni del corpo ed è possibile esaminare grandi volumi in tempi molto brevi (TC spirale multistrato o volumetrica). Le immagini ottenute sono molto nitide.

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Capitolo 5
*** Risvegli e gelosie ***





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Ciao a tutti, rieccoci qui! Felice di tornare a scrivere e a pubblicare dopo tutti questi mesi, un periodo decisamente schifoso che fortunatamente è passato ma non indugiamo oltre e cominciamo con il capitolo.

Piccola precisazione dentro la storia ci sono delle citazioni su Thor e The Avenger, so che i film sono stati fatti dopo il 2010 e quindi non sarebbe possibile che dentro la storia i personaggi possano parlarne, ma le battute che ho scritto mi hanno fatto ridere così tanto che ho deciso di lasciarle ed essendo un evento che non cambia la storia dell'umanità faccio semplicemente finta che i film sono stati fatti prima! Quindi il termine: ‘midgardiani’ è per indicare terrestri, Loki nella sua forma originale nei film della Marvel ha la pelle blu.
 




Cooper fissò suo fratello che dormiva terribilmente pallido con un grande cerotto sulla testa e suo padre riposava su una poltrona esausto.
Per Cooper tutta quella situazione era troppo famigliare, nella memoria gli guizzarono i ricordi di Blaine bambino in coma con la testa fasciata, attaccato a macchine che lo monitoravano emettendo rumori costanti, steso in un letto simile a quello ma che allora pareva enorme; suo padre che non lasciava quasi mai il capezzale del letto di suo fratello e lui, appena dodicenne, che per quel periodo si era spostato ad abitare con lo zio Thomas a Columbus e stava in ospedale quanto poteva, pregando che quella situazione si risolvesse.
Cooper scacciò via quei pensieri, non aveva voglia di ricordare e di risentire su di se la paura che lo aveva attanagliato di perdere anche suo fratello oltre che sua madre.
Per Cooper, Blaine non era solo la sua famiglia ma anche il suo migliore amico. Dalla morte della loro madre si era sempre occupato di Blaine e inevitabilmente si sentiva legato in una maniera più profonda rispetto a un normale fratello.
La sua attenzione fu catturata da un rumore proveniente da dietro di lui, si voltò incuriosito. Nel letto di fianco a suo fratello era stato ricoverato il figlio (appena trovato) di Burt Hummel, Kurt. Cooper provava pena per il ragazzo, era solo. Burt non era riuscito ancora a tornare al capezzale del figlio, aveva dovuto rilasciare alla polizia una deposizione dell’incidente. Il maggiore dei fratelli Anderson guardò l’orologio che segnava le quattro del mattino.
 “Hummel non è ancora tornato?” chiese Luis stancamente vestito in abiti normali, segno che aveva appena finito il turno.
“No.” Disse Cooper in maniera rigida.
“Quando ho visto che avevano mandato l’ispettore MacManara ho immaginato che Burt non sarebbe riuscito a tornare. Quell’uomo è un incompetente! Non capisco perché il corpo di polizia di Lima non lo retroceda ad un lavoro di ufficio invece di continuare a lasciarlo a indagare e fare danni!- disse innervosito Luis.- Ma, la vera domanda è: perché Burt ha seguito l’ispettore fino alla centrale? Poteva anche rilasciare la sua deposizione qui!”
“MacManara ha voluto fare un sopraluogo dove è avvenuto l’incidente per compilare il verbale! Ha detto ad Hummel che per legge lo doveva seguire poiché ne era un rappresentate. Insomma come al solito fa abuso di ufficio.”
“Quell’uomo è un pezzo di merda! Burt ha qui un ragazzo ricoverato! Cosa diavolo è saltato in mente a MacManara?”domandò incredulo il medico.
“Beh affari di Hummel se non lotta per i suoi diritti.”
“Cooper finiscila! Burt avrà investito pure Blaine, ed io non sono certamente il suo più grande fan, ma tu che studi legge, in teoria per tuo desiderio di proteggere i più deboli, non ti è venuto in mente di intervenire vedendo che stava venendo commessa una cosa del genere?”
Cooper ignorò Luis che sospirò e prese una sedia e si sedette accanto al letto di Kurt.
 “Che stai facendo?”
“Mi siedo e faccio compagnia al ragazzo.” disse semplicemente Luis.
“Perché?”
“Se tu non potessi esserci ti piacerebbe che Blaine si svegliasse da solo?”
“No.”
“Ecco appunto!”
 Cooper tornò a fissare il fratello e forse iniziando a sentirsi vagamente in colpa per non aver fatto qualcosa per bloccare quell’idiota di poliziotto e Luis, come leggesse nei suoi pensieri, aggiunse:
“Il ragazzo quando ha avuto il crollo ha detto che Blaine è sbucato fuori all’improvviso, concorda con quello che ha detto Burt.”
Cooper emise un verso innervosito e preferì cambiare discorso.
“Senti, io non capisco, perché mio fratello e il figlio di Burt sono nella stessa stanza? Di chi è la colpa di questa stronzata?” domando nervoso il maggiore dei fratelli Anderson.
“Mia. Ho chiesto a tuo padre prima di fare una cosa del genere.” Gli rivelò con un sorriso Luis che accrebbe il nervoso del ragazzo.
“E perché di grazia?”
“Tanto per cominciare ti sorprenderebbe sapere che qui le camere il fine settimana tendono a riempirsi se non addirittura a fare il pieno dato che spesso e volentieri i casi gravi e urgenti sono spediti qui da Wapakoneta, Elida, Ada, Spencerville e da tutti i paesi qua attorno perché nel raggio di chilometri il nostro è l’ospedale più grande e attrezzato.”
“Sì e questo lo so! Quindi?”
“La vostra copertura sanitaria non prevede una stanza singola e con quello che è arrivato stasera fra ragazzi operati d’urgenza, incidenti e ubriachi e altro, Kurt è il compagno di stanza più tranquillo e meno problematico che tuo fratello potrebbe avere.”spiegò tranquillamente Luis.
Cooper fissò incredulo il medico.
“Senti Cooper: finiscila e cresci un po’! La colpa potrebbe essere anche di tuo fratello quindi vedi di finirla con questo tuo nervosismo che non aiuta nessuno!” disse il medico che ormai per via della stanchezza era a corto di pazienza.
Luis lasciò Cooper sbollire la rabbia per i fatti suoi e fissò il figlio di Elisabeth. La dose di Propofol che avevano usato per sedarlo avrebbe dovuto lasciarlo addormentato per un’ora,  ma forse causa la stanchezza che il ragazzo aveva accumulato nelle giornate precedenti aveva dormito per tutta la notte.
Il medico che era in lui lo portò ad alzarsi e controllare al fondo del letto la cartella medica del ragazzo.
La prima cosa che gli saltò agli occhi era il nome del giovane: Kurt Charlie Hummel.
Charlie…
Si stava per mettere a piangere dalla commozione, Elisabeth aveva donato a Kurt un legame che nemmeno immaginava …
L’uomo sospirò rendendosi conto di come nonostante la distanza e il non parlarsi lui ed Elisabeth avessero agito come se fossero la stessa persona.
Si chiese se Kurt, a differenza di Santana, sapesse qualcosa del passato a Columbus...
La parte più egoista di lui sperava di no. Per tutti i suoi viaggi a Columbus erano delle rimpatriate con alcuni amici di college invece di...
Dei passi frettolosi fecero ridestare Luis e sulla soglia della camera apparve un distrutto Burt Hummel con gli abiti stropicciati e il viso pallido.
“Oh il Signore sia ringraziato! Pensavo che MacManara ti avesse arrestato!” disse Luis al meccanico che era perfino troppo stanco per rifilargli un’ occhiataccia come si doveva.
“No, ma non mi sarei stupito se fosse successo! Quell’uomo è un idiota.”disse rabbioso Burt, parlando piano per non disturbare i ragazzi e Richard che dormivano.
“Penso che sia arrivata l’apocalisse del mondo, finalmente tu ed io che ci troviamo d’accordo su qualcosa!” gli ribatté scherzando.
Anche Burt si lasciò scappare un risata al commento del medico e poi si passò una mano in viso come a cercare di scacciare la stanchezza.
Cooper ostinatamente aveva deciso di ignorare Hummel e così stava facendo.
“Mentre ero via è successo qualcosa?” domandò quasi imbarazzato il meccanico.
“No, da quello che mi hanno riferito il ragazzo ha dormito come un sasso!”disse Luis iniziando a recuperare le sue cose per andarsene.
“Senti so che forse sarai stanco e che stai andando a casa, ma hai un minuto da parlare con me in privato e spiegarmi meglio quello che successo a mio figlio?” domandò speranzoso Burt.
Luis onestamente non aveva voglia di parlare con lui, in quel momento non aveva voglia di parlare con nessuno.
“Nessun problema.”
I due uomini non andarono molto distante, pochi metri dalla stanza. Il meccanico si sentiva impacciato avrebbe desiderato che con il ragazzo rimanesse sua moglie, ma Carole non era stata della stessa idea; gli aveva fatto notare che Kurt, avendo appena perso la madre, avrebbe potuto prendere male la sua presenza in ospedale poiché era sua moglie. Secondo Carole era una questione di tatto e rispetto, era così stanco e distrutto che non capiva nemmeno se lei avesse ragione o meno, ma onestamente, in quel momento, era contento che il ragazzo non si fosse svegliato finché lui era via.
“Allora Hummel, cosa vuoi sapere?”domando stancamente il medico.
Il meccanico non sapeva bene come chiedere quello che voleva sapere anche perché aveva paura delle risposte che avrebbe potuto ricevere.
“Volevo sapere qualcosa in più in merito a quello che è successo, quando hai visitato Kurt, ecco, solo questo.”
Luis sospirò, onestamente non era entusiasta di rispondere a questa domanda, non sapeva bene della situazione di Burt con il figlio appena trovato, ma da quello che aveva urlato Kurt non sembrava particolarmente positiva.
“Bada bene Hummel io non sono uno psicologo, ma non è la prima volta che mi capita una situazione simile a quella di tua e di tuo figlio e onestamente la reazione che ha avuto Kurt era da aspettarsela. Questo gli assistenti sociali ormai dovrebbero saperlo!” disse stancamente Luis a Burt che lo fissava in attesa di una spiegazione.
 “Kurt ha avuto un tracollo emozionale, nulla di anomalo, ma è una reazione frequente nei bambini e adolescenti che perdono improvvisamente i genitori e sono affidati ad un altro parente o sconosciuto che li sradica da quello che è il loro ambiente e affetti.”
“Capisco.”
“Le reazioni per esprimere questo dolore possono essere le più disparate, ma in genere non sono violente come quelle che ha avuto Kurt. Però... involontariamente gli hai fatto vivere il modo in cui sua madre è morta- la voce di Luis tremò pensando a come era morta Elisabeth, ma si ricompose in fretta.- questo gli ha creato un trauma che l’ha portato in uno stato di shock emotivo.”
“Che comporta in questo caso Shock emotivo?”
“Significa che i suoi nervi sono ceduti provocandogli, passami il termine, una furiosa crisi isterica.”
Burt assorbì le parole del medico, sentendo dentro di se il senso di colpa e si preparò a fare la domanda che temeva di più, anche se già le parole di Luis gli avevano spiegato molto di quello che voleva sapere.
“Che ha detto Kurt?”
Luis Lopez guardò il meccanico e vide che l’uomo era davvero a pezzi, per quanto lo odiasse per come si era comportato con Elisabeth, sapeva bene della vena di Hummel di colpevolizzarsi e non voleva dargli un ulteriore peso perché in quel momento non meritava quella punizione.
“Ascoltami Burt, Kurt da quello che ho capito non è molto entusiasta di essere qui. ”
“Per nulla.” Confermò.
“Io ora non vorrei mettermi in mezzo, ne dare giudizi perché  non so la situazione e posso solo immaginarla. Un ragazzo adolescente non è mai facile, uno poi che perde la madre e si trova improvvisamente un padre che non conosce e che viene sradicato dalla sua città e affetti... non oso immaginare quanto possa essere difficile da gestire.”
“No, in effetti non è facile trattare con lui. ”Disse il meccanico, pensando dentro di sé che Kurt aveva una ironia molto marcata molto più tagliente di quella della madre.
“Il ragazzo ha bisogno di serenità per accettare i cambiamenti della sua vita. Ti proporrei di aspettare una settimana prima di iscriverlo a scuola in maniera che abbia un po’ di tempo per ambientarsi a questa nuova realtà che diverrà la sua esistenza, anche perché Kurt ha bisogno, in questo momento, di evitare situazioni stressanti. ”
Burt annuì alle parole del medico, promettendosi che avrebbe fatto di tutto per cercare di dare al ragazzo una vita tranquilla e semplice senza fronzoli per la testa o lavori strani, con solide basi di una serena vita famigliare, insegnandogli quello che mai aveva conosciuto e che la madre con il proprio egoismo gli aveva negato.
 
Kurt ci aveva messo qualche minuto a riuscire ad aprire gli occhi, sapeva di essere in ospedale. Non sapeva bene quanto tempo fosse rimasto incosciente, ma sapeva che dove lo avevano punturato per sedarlo faceva male e che se avesse dato un’occhiata avrebbe trovato un livido.
Kurt provava vergogna per la reazione avuta della quale ricordava poco e nulla. Si guardò intorno e vide che nella stanza tutti dormivano, Burt era addormentato accanto a lui nella poltrona e russava in maniera discreta, così pure due uomini che non conosceva ma che probabilmente erano parenti del ragazzo nel letto di fianco al suo. Il giovane si chiese come stesse Blaine, notò che dormiva tranquillamente nonostante un vistoso cerotto alla testa e qualche taglio sul viso, si rese conto che aveva cominciato a piangere per sollievo vedendolo e che questo voleva dire che non era nulla di troppo grave.
‘Ho la vescica piena, non so perché ma vorrei svuotarla sul prato di Luis!” Pensò Blaine un istante prima che un dolore considerevole gli esplose in testa.
‘Dio che male!’
“Ehi stai bene?”
‘Oh merda santa! Chi è?’
Blaine fece un piccolo sussulto spaventato e provò a voltarsi verso la voce sconosciuta che gli aveva parlato, pentendosene per il dolore che gli esplose alla testa e al collo che gli fece chiudere gli occhi. Portò le mani alla testa ed emise un verso simile a un guaito di dolore.
‘Che diavolo mi è successo?!
“NO! Non fare movimenti bruschi!” disse immediatamente la voce di pochi secondi prima, il piccolo degli Anderson poteva chiaramente distinguere il rumore di qualcuno che si alzava dal letto e gli si avvicinava, aprì gli occhi e fissò un attimo la stanza dove si trovava.
‘Merda sono in ospedale … oddio!- Alla mente gli vennero improvvisamente le immagini della sera prima. - Sono stato investito mentre cercavo di afferrare il cucciolo di gatto! Porca merda appena becco quella palla di pelo ci faccio una sciarpa! ’ pensò irritato.
Il dolore scemò e si tastò lievemente la testa per capire cosa diavolo stesse succedendo.
“No! Non ti toccare!” fece immediatamente la voce sconosciuta.
Il piccolo degli Anderson si voltò per guardare in faccia a chi appartenesse la voce acuta che gli stava parlando.
Blaine vide davanti a se un ragazzo che era sicuramente più piccolo di lui sia come età che altezza, rimase colpito dalla tonalità d’alabastro della pelle del giovane, poi lo fissò negli occhi che in quel momento erano piegati in un espressione preoccupata, pensò che fossero belli e davvero particolari, solo che con il camice ospedaliero era un po’ ridicolo.
Kurt si sentì sotto esame sotto lo sguardo dell’atro ragazzo e un po’ arrossì perché quel giovane era davvero bello.
‘Mmm voce acuta, sei carino ma puzzi ancora troppo di latte per i miei gusti. Bocciato, non sei il mio signor Anderson di questo mese! Ne riparliamo fra un paio d’anni.’
Blaine con difficoltà si guardò attorno, voleva chiedere a Cooper o a sua padre cosa gli fosse successo, ma vide che entrambi dormivano.
“Ieri notte credo che sia stata faticosa per tutti.”
Blaine riportò la sua attenzione sul ragazzo sconosciuto fissandolo con uno sguardo interrogativo.
“Ecco… vedi… Io non ho mai dato una notizia del genere. Credo…”Kurt non riusciva a trovare le parole e onestamente in quel momento gli stava anche venendo da ridere per via della assurdità della situazione.
Blaine stava iniziando a scocciarsi del balbettio del ragazzo e gli stava venendo voglia di dare una pacca sulla testa a suo fratello per svegliarlo e farsi spiegare chi diavolo lo aveva mandato in ospedale.
“Beh diciamo che sei stato investito.”
‘Ma guarda, non me ne ero accorto!Poi perché me lo stai dicendo tu?’ pensò acido Blaine, ma poi gli venne un sospetto e cominciò a fissare malamente il giovane che aveva di fronte.
“Beh … ecco –Kurt allo sguardo truce del ragazzo aveva ripreso a inciampare nelle proprie parole.- sì, insomma, ero nella macchina che ti ha investito.”terminò con voce quasi sussurrata.
‘ma puzzi di latte e non puoi avere ancora la patente! Fantastico sono stato investito da un minorenne! Spero che ti diano una bella multa e ti facciano fare un bel po’ di lavori socialmente utili!’
Kurt notò che il ragazzo nel letto lo fissava malissimo e intuendo quello che il giovane doveva aver capito si affrettò ad aggiungere:
“Io non stavo guidando! Sei sbucato fuori all’improvviso non è stato possibile evitarti!”
Blaine provò a fare mente locale di quello che era successo ed effettivamente ricordava che era troppo preso a seguire il gatto e che non aveva prestato attenzione alla strada.
Poi l’attenzione del giovane Anderson fu catturata dalla persona dietro alle spalle del ragazzo sconosciuto, Burt Hummel, il loro vicino di casa che dormiva su una poltrona simile a quella di suo padre.
Blaine in quel momento si rese conto chi aveva di fronte: il pettegolezzo che aveva animato Lima nell’ultime settimana, il figlio appena trovato del meccanico.
‘Beh per essere figlio di Hummel, lo sai che sei davvero carino! No, dico sul serio, mi aspettavo una specie di Burt Hummel versione giovane e invece … Beh fidati di me ti è andata meglio così!’
Kurt non sapeva bene come comportarsi, sapeva bene che il ragazzo era muto ma si sentiva in imbarazzo ad aver davanti una persona che lo fissava solamente.
“Senti, mi hanno detto che tu non puoi parlare…”
‘BEEEP! Sbagliato! Io non voglio non è che non posso! E poi chi è stata la bocca larga che ti ha raccontato i fatti miei? Ma più di tutto... perché sei ricoverato se quello investito sono io? IO sono la vittima.’
“Ma non è che c’è un modo per comunicare con te? ”
Blaine fece un ghignetto e poi alzò le mani e iniziò a fare dei gesti a caso, vide immediatamente sul volto dell’altro ragazzo formarsi il panico.
“Che succede qui? Tu ragazzo non dovresti essere in piedi e soprattutto non con i piedi scalzi sul pavimento freddo.” Disse una voce gentile, entrambi i ragazzi si voltarono e si trovarono davanti un infermiere decisamente di bell’aspetto con la pelle scura, labbra carnose, naso importante e ricci piccoli e fitti.
‘Ma ciao futuro signor Anderson!’
Kurt era rimasto un momento imbambolato a guardare l’infermiere per poi arrossire quando si era reso conto di quello che stava facendo.
‘Hummel junior non sarai mica omosessuale?! È mio! Che cazzo guardi! Pussa via! Vattene a letto! Torna a succhiare il ciuccio!”
“Su signor...- l’infermiere diede una letta al nome sulla cartelletta in fondo alla branda.-Hummel, torni a letto!”
Kurt non se lo fece ripetere, tornò immediatamente sotto le coperte e l’infermiere venne a sistemarlo.
‘No, fermi tutti! Tu, nuovo arrivato, vuoi fregarmi il mio futuro marito? Tu non hai capito con chi hai a che fare!’
“Ahhhh” Blaine iniziò immediatamente a lamentarsi ad alta voce portando le mani al collo e alla testa.
L’infermiere subito attratto dal rumore andò a controllarlo.
Blaine era felice nel vedere che l’uomo era subito corso da lui dimenticando quello che presupponesse essere il figlio di Burt Hummel, solo che non aveva tenuto conto che il suo lamento di dolore avrebbe potuto svegliare qualcun altro.
“Blaine stai bene?” gli chiese in allarme il fratello ancora mezzo addormento, ma immediatamente in piedi accanto a lui.
“Figliolo!” Anche Richard Anderson richiamato dal lamento si era subito alzato a controllare la salute del figlio minore e l’infermiere vedendo il medico si era fatto da parte.
‘No, fermi tutti! Tornate a fare le nanne, chi vi ha ordinato di svegliarvi! Maledetti.’
Pensò Blaine mentre si imbronciava a guardare il padre che era su di lui a fargli un controllo completo.
“Figliolo sulla tua cartella vedo che il tuo dosaggio di antidolorifici ti dovrebbe essere somministrato circa fra una mezzora, ora dimmi: il dolore è così forte che non puoi aspettare? Vuoi che chiediamo a Jonathan-indicando l’infermiere- di somministrarti l’antidolorifico adesso? ” chiese preoccupato Richard.
‘Quello che voglio è che ve ne andiate fuori tutti cosi io e mister Jonathan qua giochiamo al dottore e al paziente … naturalmente io sarei il dottore!’
Blaine con la testa fece un cenno di diniego per tranquillizzare il padre e poi alzò un pollice per indicare che stava bene e che non c’era nulla di cui preoccuparsi.
“Sta bene?”
Richard Anderson si girò verso la voce e vide Kurt visibilmente preoccupato e teso, infine notò che accanto a lui, sveglio, c’era un silenzioso Burt Hummel che passava lo sguardo preoccupato sui due adolescenti.
“Sì non ti preoccupare, Schizzo sta bene.” Disse gentilmente Cooper all’adolescente sconosciuto, provando una profonda tenerezza per quegli occhi spaventi e preoccupati che fissavano il suo imbronciato fratellino.
Kurt fece un sospiro di sollievo.
 
 
Luis entrò a casa e trovò Santana in cucina che stava cercando di fare colazione e di togliere un mestolo di legno dalle mani di nonna Alma Ruiz, la madre di sua moglie. L’anziana era venuta ad abitare con loro da quando aveva cominciato a soffrire di demenza senile e una forma pazzia che l’aveva del tutto sconnessa dalla realtà. Luis, da dottore e da marito, sapeva che non era semplice tenere a casa una persona con dei deficit mentali così marcati, ma era certo che i suoi genitori se fossero stati vivi sarebbero stati orgogliosi lui e della sua famiglia per la scelta presa.
L’uomo  guardò la situazione e vide che Alma era in una buona giornata, non avrebbe avuto forza dopo la notte appena passata di affrontare un'altra situazione difficile.
 
“Abuela per favore.” Urlò Santana.
“No, devo essere armata! Devo uccidere i traditori di Asgard.”
“Non siamo asgardiani, siamo terrestri americani!”
“Non è vero, noi non siamo midgardiani, noi siamo asgardiani!”
“Non abbiamo i capelli biondi e gli occhi azzurri.”
“Siete i discendenti del principe Loki! E Santana, se non vuoi finire in esilio, smettila di volere lo scettro del potere! Lo avrai quando tuo padre e tua madre abdicheranno dal trono reale, ma quel giorno è lontano visto che sono ancora io la regina e moglie di Loki. ”
“E va beh!- Santana  si voltò irritata verso suo padre.- la dovete finire di farle vedere Thor ed Avengers!”
Luis alzò le mani in segno di resa.
“Lo sai che ad Abuela piacciono i film di guerra.”
“I supereroi sono fantascienza.”
“Capisci tua madre! Era stufa di vedere La sottile Linea Rossa, Lo sbarco di Normandia, Salvate il soldato Ryan e, per quanto bello, Schindler list.”
“Capisco- rispose sarcastica la giovane latina- è per questo che con tutti gli altri film di guerra esistenti mamma le ha comprato i film della saga Marvel!”
“Tranne Electra.” Precisò Luis.
“E per quale motivo?”
“Non volevamo che potesse pensare di essere un’eroina.”
Santana si pizzicò il ponte del naso in maniera irritata, mentre la nonna prese disinteressata a mangiare le sue uova strapazzate e le rubò il suo panino con il burro di arachidi. La ragazza sbuffò ma preferì rimanere concentrata nella discussione.
“Papà nei film di Ironman ed Avangers c’è la vedova nera, poteva pure immedesimarsi in lei.”
“Nah, nonna Alma non piacciono le assassine.” Luis si sedette a tavola e rubò la tazza della figlia e bevve un generoso sorso di caffèlatte. Santana scocciata si versò una nuova tazza di caffè e prese una merendina confezionata visto che la sua colazione era stata tutta rubata.
“Oh beh papi essere la moglie di Loki, un assassino seriale, è meglio.”
“Lo preferisco a piuttosto che pensi di essere la moglie di Tony Stark, Santanita.”
“E perché?”
“Immagina la nonna che ci smontava tutti gli elettrodomestici per farsi l’armatura.”
“Per la cronaca- si intromise nonna Alma che con il mestolo diede una steccata alla mano della nipote e le prese la merendina che si era appena aperta – Tony Stark ci ha provato con me, ma il mio fiore non glie l’ho dato.”
“Ma no regina madre non ci posso credere.” disse Luis divertito.
“Eh dai!- protestò la giovane adolescente- nonna lasciami almeno quella merendina! È l’ultima.”
“Per rispondere a Luis: credici! Anzi, sappi anche che Capitan America mi  ha chiesto di prendermi la sua verginità! Mentre tu, piccola stronzetta ingrata, digiunerai fino a che non ti scuserai di aver cercato di rubarmi lo scettro.”
Santana fissò arrabbiata sua nonna e incrociò le braccia al petto indispettita.
“Eh no... Da che mi risulta tu non puoi essere la regina di Asgard. Non era Thor che era stato scelto da Odino come  legittimo erede al trono perché Loki in realtà è adottato e il suo vero aspetto è  blu e cornuto?”
“Oh piccola mia. Lo sai che Thor ha abdicato per andare ad abitare su quell’insulso pianeta retrò, che tu ti ostini a chiamare terra, per stare con quella sciacquetta... quindi il secondogenito, anche se adottato, diventa re! Se fossi in te non mi lamenterei visto che ora, per linea reale, sei la seconda erede al trono, a meno che tua madre non abdichi subito in favore tuo.”
“Fatto! Maribel ha detto che lascia volentieri il trono a Santana. - esclamò Luis mettendo una mano sulla spalla della figlia e guardandola serio- Anzi tesoro, ti consiglierei di andare davanti allo specchio e prendere confidenza con la tua pelle e farla diventare blu. ”
“Papà falla finita, non sono dell’umore giusto. Nonna mi ha buttato giù dal letto alle quattro ed era convinta di essere il maestro di Karate Kid e mi ha messo a fare allenamento... Togli la cera e metti la cera! Questo prima di autoproclamarsi regina di Asgard, moglie di Loki. E in tutto questo la mamma continua a ronfare!”
Luis guardò l’orologio che segnava le sei e cinque del mattino.
“Povera bambina mia.” Disse  il dottore dando un bacio sulla fronte della figlia e l’abbracciò fino a che non ricevette una mestolata in testa da Alma che urlò:
“Non lo coccolare, se no non imparerà mai a portare rispetto.”
“Abuelita non sono un cane.”
L’anziana osservò la nipote e poi lanciò il mestolo di legno in mezzo alla stanza.
“Ora riportamelo Fuffy!”
“Starai scherzando!?” chiese Santana allibita, mentre Luis si massaggiava la testa.
“Su cagnetto riportami il bastone.”
L’adolescente prese il mestolo e lo appoggiò sul tavolo e Alma si allungò, lo prese e lo rilanciò.
“Di nuovo Fuffy!”
Santana ignorò l’ordine e provò a riprendersi la merendina ma ricevette una sberla sulle mani.
“Giù le zampe dal tavolo!”
 “La vedi che si è svegliata male!?” chiese Santana al padre mentre Alma scuoteva la testa indignata.
“Luis riporta questo bastardino in canile e digli di dartene uno capace di riportare le cose!”
“Ok Alma -rispose Luis affabile- vuoi un altro bastardino o vuoi un cane di razza?”
“Mi basta intelligente e non stupido e rognoso come questo.”
“Basta!- esclamò Santana completamente indispettita- ora vado a svegliare la mamma e ci pensa lei alla nonna!Se non posso nemmeno fare colazione, io me ne torno a letto.”
“Oppure proponi uno scambio agli Anderson.”
“Richard non ha un cane.”
“Massi quel barboncino nero e nano, quello che non abbaia mai.”
“Oh signore! Quello è Blaine e come me non è un cane.”  Disse Santana che fu completamente ignorata dalla nonna.
“Anzi Luis fattene dare uno impagliato. ”
“A proposito di Blaine, San...”
 
 
Ore dopo Burt sospirava stanco ma felice che tutta quella storia si fosse risolta nel migliore dei modi, l’ispettore MacManara aveva interrogato i due ragazzi su come si era svolto l’incidente e il giovane Anderson aveva annuito alla versione dei fatti data da suo figlio che poi altro non era che la sua.
 
Burt onestamente capiva la reazione e di Richard e Cooper Anderson, anche lui avrebbe reagito malamente se qualcuno avesse investito Finn nelle stesse circostante in cui lui aveva investito Blaine, quindi era bastato che lui e il suo vicino si scambiassero poche parole di circostanza per capire che le cose fra loro erano a posto.
Il meccanico sperò solamente che le spese mediche di Blaine non fossero particolarmente salate, per lo meno quella mattina sfogliando le carte mediche del ricovero di Kurt era venuto a scoprire che la polizza che Elisabeth aveva stipulato per lui copriva qualunque emergenza medica e ricovero e questo era decisamente una buona cosa. Una cosa in meno da pagare.
Burt sospirò pesantemente, a Kurt aveva detto che era andato a fare colazione, invece era tornato a casa a prendere dei vestiti per lui, visto che la dottoressa che lo aveva visitato gli aveva dato la sua approvazione per dimetterlo.
 
“Carol, tesoro, dove sono state messe le valige di Kurt?” la notte prima era tornato un momento a casa a svuotare la macchina dalle valige lasciandole nel salotto.
 
La donna si affacciò dalla cucina e l’uomo notò che aveva una faccia stanca, ma gli sorrise dolcemente quando gli venne incontro.
 
“Finn le ha messe nella stanza degli ospiti.”
 
Burt si chinò e diede un bacio alla moglie.
“Devo prendere dei vestiti per Kurt, lo porto a casa, vuoi venire a prenderlo con me?"
Carole alla proposta del marito si sentì titubante, onestamente aveva timore dell’incontro con il ragazzo.
 
“No, organizzo il pranzo ed esorto Finn a svegliarsi.”
 
“Lo dovevo immaginare che quel dormiglione non si fosse ancora alzato!” fece ridacchiando il meccanico.
Carole sorrise e si chiese quanto la loro vita sarebbe cambiata non appena il figlio di Elisabeth avrebbe preso a vivere con loro…
 
 
Kurt osservava Blaine, che in quel momento fissava con molto interesse il soffitto.
Richard Anderson era tornato a casa. Cooper aveva convinto il padre ad andare a dormire in un letto vero, mentre lui era andato a fare la colazione alla mensa dell’ospedale e così aveva fatto anche Burt Hummel.
 
Il ragazzo di New York voleva provare a comunicare con l’altro adolescente, solo per scusarsi quello che gli era successo, si sentiva in colpa perché era convinto che se in macchina lui e Burt non avessero litigato forse l’incidente si sarebbe potuto evitare.
 
“Ehi… Blaine.”
‘Che cazzo vuoi!?’ pensò infastidito Blaine.
Kurt  scese dal letto e si andò a sedere nella sedia accanto al letto di Blaine.
“Mi dispiace che Burt ti abbia investito …”
‘Ci mancherebbe altro!’
“Io… io… ”Kurt improvvisamente si sentiva la gola bloccata, le parole di scuse semplicemente non sembravano voler uscire e poi si sentiva in soggezione sotto quegli occhi che lo fissavano astiosi.
‘Senti elfo dei poveri perché non vai a rompere i coglioni a qualcun altro?’
“Schizzo finiscila con quel muso da stronzo!”
Kurt alla voce di Cooper saltò per lo spavento dalla sedia e fissò il maggiore dei fratelli Anderson con gli occhi sgranati e poi arrossì di botto quando effettivamente si rese conto di quanto fosse bello, fino a quel momento era stato più concentrato su Blaine e a cercare di comunicare con lui.
‘Cooper giuro sulla tua auto che, se non la finisci di chiamarmi così in pubblico, ti buco il serbatoio! E tu, moccioso, tieni i tuoi ormoni a posto! Se ti trovo a sbavare su mio fratello ti castro!’
 
Burt dopo aver tentato di aprire le valige di Kurt e averci rinunciato, poiché per prendere i vestiti avrebbe dovuto saperne la password, si era fatto dare una tuta di Finn, sapendo che il ragazzo avrebbe navigato in quei vestiti troppo grandi per lui.
 
Il meccanico, la prima cosa che fece quando entrò in ospedale, andò a firmare le carte di dimissioni di suo figlio e lesse che il referto finale suggeriva un periodo di riposo e adattamento alla nuova situazione, niente di diverso da quello che gli aveva detto Luis poche ore prima.
Burt entrò nella stanza dove Kurt era stato ricoverato e immediatamente fu accolto dalla voce di Cooper che stava raccontando ai ragazzi qualche aneddoto di quando era al liceo.
“Insomma c’era questa ragazza, Katie Shoreder, bella e formosa ch-”
 
“Buongiorno ragazzi!”
Kurt appena vide il meccanico subito il volto gli si contrasse in un cipiglio scontento.
“Ciao.” Riuscì a stento a dire.
Blaine fu grato del diversivo inaspettato di Burt Hummel che era riuscito, seppur brevemente, a bloccare quel quadretto inquietante: Kurt che ascoltava e fissava rapito suo fratello che raccontava l’ennesima storia idiota. Non capiva per quale ragione suo fratello si sprecasse tanto a far ridere quel ragazzino!?
Lui soffriva di un mal di testa atroce e quel Kurt aveva una risata acuta, non ne poteva decisamente più. Senza contare che era geloso che suo fratello prestasse tanta attenzione a un perfetto sconosciuto invece di dedicarsi a lui. Infantile? Decisamente. Blaine ne era consapevole, ma in fondo era pur sempre lui il fratello minore.
 
“Ti ho portato dei vestiti puliti, così ti porto a casa.”
Kurt immediatamente sentì la nausea, per lui casa era New York e poi il solo pensiero di conoscere la moglie e il figlio di quell’uomo gli stava facendo salire il panico.
“Come hai fatto ad aprire le mie valige? Hanno tutte la password e poi pensavo fossi andato a fare colazione.”
Burt sospirò sentendo il tono infastidito del ragazzo ma s’impose di tenere la calma.
“Mentre stavo andando a fare colazione ho incontrato la dottoressa che ti ha visitato stamattina e mi ha detto che ti avrebbero dimesso, così sono tornato a casa a prenderti dei vestiti. Le tue valige sono ancora perfettamente chiuse; ho preso in prestito una tuta da Finn, anche se credo che ti sarà un pochino grande.”
Blaine alle parole dell’uomo scoppiò a ridere, quel ragazzino era piccolino e magrolino alto meno di lui, invece Finn, per avere sedici anni, era un bestione alto un metro e novanta... altro che vestiti un po’ grandini! Quel poveretto ci sarebbe naufragato dentro.
Per Blaine quello era il Karma che lo puniva per aver sbavato su suo fratello.
 
Kurt fissò malamente il piccolo degli Anderson che rideva aggiungendo fastidio a quello che già provava.
“Ho il telefono con me, potevi farmi una telefonata così ti avrei dato la password delle valige.” disse piccato prendendo i vestiti che Burt gli porgeva e si andò a chiudere in bagno. (Almeno c’erano anche le sue scarpe, l’uomo evidentemente se le era fatte ridare).
Kurt agognava di farsi una doccia, non gli piaceva l’odore che aveva addosso e, per quanto fosse stupido come pensiero, voleva i suoi vestiti, perché erano suoi,  suoi in un mondo che non era il suo.
Il ragazzo aprì gli indumenti che il meccanico gli aveva dato e rimase un momento imbambolato a fissarli.
“Sono enormi … ma che cavolo!”
Quando indossò i vestiti gli toccò stringere i cordoncini della vita, riboccare di parecchio le maniche della felpa e le gambe dei pantaloni.
Kurt cercò in tutte le maniere di sistemarsi ma capì ben presto che era una lotta inutile, fissò sconcertato la felpa gli arrivava poco sopra le ginocchia e con rabbia nascose il volto nelle mani.
“Io non esco di qui sono ridicolo, indosso i vestiti di un gigante!”
Lanciò un occhiata alle sue scarpe, dei meravigliosi mocassini verdi, poi guardò sconsolato gli enormi vestiti che indossava: una tuta rosso acceso con scritto Titans.
“Kurt tutto bene?” sentì la voce di Burt chiedergli con preoccupazione, questo lo fece incazzare ancora di più.
Stava per mollargli una rispostaccia quando ebbe un flash: sua madre nella loro cucina di casa che si stava facendo una tisana, gli aveva detto qualcosa che lo aveva fatto innervosire e lei lo sapeva, ma gli aveva sorriso dolcemente come se sapesse un segreto che lui non afferrava.
La rabbia scemò e si sentì perso, una spiacevole sensazione di vuoto gli si fece largo nello stomaco e gli venne l’irrefrenabile voglia di piangere, ma non poteva permetterselo.
“Sto bene.” Rispose seccamente a Burt. Sentì un sospiro e poi dei passi che si allontanavano dalla porta.
Kurt s’infilò i mocassini e fissò sconsolato l’osceno effetto finale.
Provò a pensare qualcosa di allegro e gli venne in mente Isabelle e la sua faccia schifata se lo avesse visto conciato in quella maniera,  sorrise all’idea.
Kurt si mise a sedere sul water e fissò la porta senza poi realmente vederla, si era preso un momento per pensare.
Burt Hummel, in pochi giorni, gli aveva distrutto completamente la vita e per questo lui lo detestava, a tratti sentiva di odiarlo, ma quello era l’uomo che la sua adorata mamma aveva amato e sposato, il padre che per tanti anni aveva desiderato di conoscere.
Lui non sapeva bene che pensare non gli erano nemmeno ben chiari i motivi perché fra i suoi genitori fosse finita, anche se un idea ce l’aveva.
 
“Mamma che devo fare? Come mi devo comportare con lui?”
 
Kurt era confuso, sua madre aveva negato per chissà quale motivo, a lui e Burt di sapere dell’esistenza dell’altro, ma non poteva essere un uomo cattivo. Se lo fosse stato sua madre non gli avrebbe mai fatto sapere di lui...Questo ragionamento era l’unica cosa a cui poteva aggrapparsi in tutta quella situazione della quale non sapeva spiegarsi.
Pensò che forse avrebbe tentato di essere più morbido e collaborativo nei confronti di Burt, in fondo quello era suo padre e almeno per i prossimi anni, che gli piacesse o meno, avrebbero dovuto vivere insieme e forse un giorno sarebbe stato felice di averlo conosciuto e gli avrebbe voluto bene, anche se non gli avrebbe mai perdonato di averlo strappato via così dai suoi sogni e dalla sua casa senza dargli nemmeno una voce in capitolo.
Si fece coraggio e uscì dal bagno, sapendo benissimo di non essere nemmeno lontanamente pronto ad affrontare la giornata che gli si stava prospettando, ma forse mai lo sarebbe stato.
Sua madre gli diceva sempre che nessuno sarebbe mai stato preparato alla vita, ma che bisognava solo affrontarla con tanta buona volontà e un pizzico di incoscienza.
Quando rientrò in stanza notò subito una presenza che prima non c’era, una ragazza vestita con dei semplici jeans e felpa, lunghi e disciplinati capelli neri, occhi color del carbone e una deliziosa tonalità di pelle color caramello. Kurt pensò che dovesse essere mulatta ma che sicuramente era davvero bella e sensuale, un sogno per qualunque ragazzo.
La sconosciuta lo fisso studiandolo con un’aria insolente e sulle labbra le si formò un sorrisetto divertito, ma lui la ignorò per guardare Burt che sembrava dispiaciuto e in quel momento capì che l’uomo lo aveva fatto in buona fede di dargli quei vestiti e che dovesse essere stanchissimo.
“Dai è solo per il tempo che ti porto a casa e poi ti cambi.” Gli disse gentilmente l’uomo.
“Sembro la presa il giro di un rapper!”
“Se mi posso permettere, sembri più un bambino che ha rubato i vestiti al papà.”  Disse la mulatta sorridendo apertamente e mostrando bellissimi denti bianchi e dritti.
Kurt alzò gli occhi al cielo sentendo una risatina che apparteneva a Blaine e si domandò se fosse sempre così dispettoso quel ragazzo.
“Tu hai poco da ridere la tua faccia sembra un uovo uscito male e mia nonna ha espresso il desiderio di adottarti perché sei come un cane ben addestrato.”
Blaine si lagnò con dei versi e la ragazza sbuffò.
“Smettila di essere così melodrammatico! In questo momento il problema peggiore ce l’ha il tuo coinquilino che deve impegnarsi per tenere su i vestiti per non mostrare le sue grazie.”
Blaine ridacchiò.
“Diciamo che mi hanno dato in prestito dei vestiti di un gigante, comunque con chi ho il piacere di parlare?” chiese in maniera altezzosa dato che non gli era passato inosservato il tono canzonatorio con cui la ragazza aveva parlato.
“Mi chiamo Santana Lopez.” Si presentò fieramente.
“Lopez, come il medico che mi ha curato questa notte.”
“Infatti sono sua figlia e tu come ti chiami?”
Kurt ebbe l’impressione che sapesse benissimo con chi stava parlando poiché aveva occhieggiato Burt che era dietro di lui.
“Penso che tu sappia perfettamente chi sono.”
“Bella risposta bambino!”
“Il bambino si chiama Kurt e per tua informazione vado alle superiori!”
“Caspita allora sei un bambino grande!” lo canzonò nuovamente la giovane e Blaine rise di nuovo.
Kurt la fissò interdetto chiedendosi che diavolo volesse quella ragazza.
“Beh direi che è un piacere conoscerti Kurt Hummel!” disse la latina porgendogli la mano con un sorriso più aperto e allegro e palesando il fatto che davvero sapeva chi lui fosse.
Kurt per un attimo stava per correggerla dicendole che lui si chiamava Kurt Calhoun, ma poi non disse nulla ricordando che ormai quello era il suo cognome.
“Il piacere è mio Santana.”
Burt sospirò innervosito. Odiava Luis Lopez e sua figlia era la sua copia sputata. Per questo lui e Carol avevano fatto di tutto per tenere Finn lontano da lei. La conferma che la loro decisione era stata più che giusta l’avevano avuta  al primo giorno di liceo quando Finn era tornato a casa umiliato da Santana che lo aveva deriso davanti a tutti durante la classe di Storia Americana. Quel giorno lui e Carol si erano guardati interdetti, avevano sperato che Luis mandasse la figlia al liceo Lima Senior, la fama “agitata” della giovane era conosciuta bene da tutte le famiglie di Lima e non era molto apprezzata, soprattutto da lui che rivedeva nell’adolescente un mix perfetto tra Luis ed Elisabeth(benché con la seconda non avesse nessuna parentela), era la loro degna erede. Sapeva che quell’assurdo pensiero scaturiva dal fatto che la sua ex moglie e il dottor Lopez erano due persone molto simili...
Burt fissò Santana e Kurt stringersi la mano e la latina lo fissò con i suoi occhi neri. Sentì una forte ansia nel petto per un senso di dejavou che si fece strada in lui…
 
Burt chiuse il suo armadietto con un sospiro, la giornata scolastica si stava rivelando uno schifo totale dopo aver saputo che aveva preso solo una D al compito di geografia. Suo padre avrebbe di nuovo brontolato sul fatto che lui si preoccupava più del suo posto di Quarterback nella squadra di football rispetto allo studio. Lentamente si avviò verso la mensa per pranzare quando sentì un vociare molto concitato dal bagno delle femmine.
“Luis! Jackson! Olegh! Aron! Fuori di qui!” Burt riconobbe la voce di Melanie gridare contro i quattro ragazzi che considerava i più imbecilli di Lima.
“Ma non è giusto, era solo una battuta!” gridò Luis seguito dagli amici fuori dal bagno.
“Una battuta!?-gridò un’altra voce femminile che Burt conosceva benissimo- non puoi scherzare su questo! Andiamo, guardami!”
Vide una cascata di capelli castagna uscire svolazzanti e indignati dal bagno e subito riconobbe Elisabeth Calhoun. Si fermò interessato ad osservare la scena. Non gli capitava tutti i giorni di osservare così da vicino la più giovane del “maledetto clan” Calhoun. Fin da quando era piccolo aveva sempre sentito, come tutti i bambini della cittadina, molte storie sussurrate dagli adulti o dai compagni di scuola più grandi. Ricordava vagamente come nella sua scuola elementare era stato un pettegolezzo quando lo strano bambino di origini portoricane aveva fatto amicizia con la piccola Calhoun...
Luis ed Elisabeth gli Inseparabili, così venivano chiamati.
“Io trovo che lo stile rapper ti doni.” Disse sorridendo Luis.
“Non fare lo stronzo! Se non mi facevate il gavettone io potevo tenermi i miei vestiti e non prendere la tua tuta.” sbuffò Elisabeth cogliendo la palese presa in giro e indicando la tuta di Luis che le andava ridicolamente grande.
“Dai, vieni a mangiare e smettila di rognare.”
Burt vide Elisabeth pensarci un attimo ma poi strinse la mano che Luis le aveva porto e insieme agli amici si avviarono in mensa. Quello che non capì fu lo sguardo che gli lanciò il giovane latino prima di allontanarsi.
 
Burt sostenne lo sguardo di Santana che tornò a fissare divertita i vestiti di Kurt dopo avergli stretto la mano. Lo stomaco di Burt si contorse per l’inquietante ripetizione degli eventi tra passato e presente e della somiglianza dei protagonisti che sapeva che non avrebbe portato nulla di buono...
 
 
 
Carole sistemò per l’ennesima volta il vestito e controllò sguardo controllò Finn che stava guardano una partita di football stravaccato sul divano con ai suoi piedi Bob che sonnecchiava con un leggero russare.
“Tesoro sistemati, Burt e Kurt saranno qui a momenti.”
“Sì mamma.”disse svogliatamente Finn ricomponendosi senza staccare lo sguardo dallo schermo.
Carole sospirò mentre andava a spiare alla finestra per vedere se suo marito stava arrivando.
Fissò il vialetto vuoto cercando di domare la tempesta che era dentro di lei e la paura di incontrare Kurt.
 
“Mamma guarda che se stai alla finestra non arrivano mica prima!” disse in uno sbuffo Finn.
Carole si girò verso il figlio che guardava assorto la tv.
“No, certo che no.” Disse andandosi a sedere accanto al suo ragazzo facendo attenzione a non pestare una zampa al cane che dormiva beato.
“Finn, guardami.”
“Cosa?!” rispose scocciato il giovane.
“Non voglio che tu sia in un qualunque modo brusco verso quel ragazzo, ci siamo capiti?”
“Mamma!”
“No Mamma! Finn promettimelo!”
Il giovane fissò infastidito la donna.
“Sarò gentile se lui sarà gentile!” disse piccato.
“Non cominciare, questa situazione non è facile per nessuno! Per Kurt in primis, ieri sera ha avuto un crollo! È lui che in tutta questa situazione sta avendo i maggiori cambiamenti, quindi se dovesse reagire male non arrabbiarti e sii paziente.” Lo ammonì la donna che  come suo figlio non voleva certo quel ragazzo in casa, lei e Finn non se lo erano detti, ma lei lo sapeva che era così. Era pur sempre una donna che si vantava di saper ragionare freddamente e razionalmente anche nelle situazione peggiore e lei sapeva che Kurt non meritava di sentirsi rifiutato dopo tutto quello che aveva passato.
Finn voleva ribattere qualcosa a sua madre riguardo a cosa ne sarebbe stata della sua pazienza se quel maledetto intruso avesse fatto anche un solo commento brusco, quando sentirono il rombo della macchina di Burt sul vialetto.
 
 
L'angolino della tazza di caffè...
 
Rieccoci qui  allora che ne pensate?  Ci troviamo con Kurt e Blaine che sono ai loro inizi della loro conoscenza e non si trovano particolarmente simpatici...eheheheh
Soprattutto abbiamo un Blaine che è un gelosone!
In questo capitolo conosciamo un po’ meglio alcuni personaggi, Coop, Luis, Burt e Santana  e si stanno delineando un po’ meglio le loro personalità e vi assicuro che ne vedremo delle belle!

Intanto vi ringrazio per seguire questa storia e spero di sapere cosa ne pensate, sia in positivo che in negativo!

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Un bacione

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Capitolo 6
*** Arrivo a casa Hummel ***




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Sebastian e Thad erano preoccupati. L’ultimo messaggio che avevano ricevuto da Kurt li avvertiva che era atterrato a Columbus. Avevano aspettato inutilmente fino a tarda notte per ricevere la telefonata che aveva promesso di fargli quando sarebbe arrivato a Lima, ma quando il telefono era rimasto muto avevano provato loro a chiamarlo, senza però nessun risultato apprezzabile.
“Secondo te quella specie di Shrek gli ha sequestrato il telefono?” domandò Sebastian al fidanzato che gli stava servendo  il caffè, il terzo della mattina da quando si era svegliato a casa Harwood.
“Non lo so, potrebbe anche essere. Altrimenti non mi spiego perché non ha ancora chiamato o scritto un messaggio per dirci che sta bene! ” Disse Thad.
“Ragazzi calmatevi, non fatevi filmini mentali!- li ammonì Adrian Harwood, mentre controllava sul tavolo della cucina la sua attrezzatura fotografica che gli sarebbe servita l’indomani per un servizio di moda.- magari ieri era semplicemente stanco, non è semplice quello che sta passando. Trasferirsi, conoscere un nuovo nucleo famigliare... Non mi sorprenderei se ieri sera si è addormentato appena dopo cena.”
“Papà, ok, ieri sera il fatto di conoscere la sua nuova famiglia potrebbe averlo assorbito, ma Kurt non sarebbe mai andato a letto senza chiamarci o mandarci un messaggio per tranquillizzarci! Adesso sono le dieci e non ci ha ancora scritto! E lo sai che lui si alza sempre prestissimo la mattina … c’è qualcosa che non và.” Finì con voce lieve Thad, sentendosi impotente.
“Su questo nostro figlio ha ragione, Adrian. Ma nessuno di noi ha per caso il numero di Burt Hummel?” Domandò Estella mentre serviva i piatti del brunch.
“No, io non ce l’ho e nemmeno Blanche, forse Etienne o Isabelle!” disse pensierosa Carmen.
“Provo a sentire se mio padre ha avuto sue notizie, dovrebbe essere con Isabelle a casa di Kurt per mettere dei teli sui mobili e portare via tutte le piante dal terrazzo. ” Sebastian prese freneticamente il telefonino in mano.
“Ragazzi ha ragione Adrian, mantenete la calma. Sono d’accordo con voi che c’è qualcosa che non torna, ma agitarsi non aiuta nessuno!” disse Carmen mentre ingoiava un cucchiaio di fagioli piccanti al pomodoro.
“Papà, ciao…Si qui è tutto bene… -disse Sebastian con agitazione crescente al telefono con il padre, iniziando a immaginare scenari di fughe rocambolesche, case in fiamme e situazioni sempre più catastrofiche.- ti chiamavo per sapere se tu per caso da ieri hai avuto notizie di Kurt… come? Neanche tu! … No, nemmeno noi… Isabelle invece? …Come neanche lei! Senti non è che per caso tu o Isabelle avete il numero del signor Hummel?... Cazzo!”
“Sebastian calmati! Trovare il numero di casa di Burt Hummel non sarà un problema! Faccio una ricerca sull’elenco online  di Lima, vedrai che lo troviamo! ” disse dolcemente Adrian con tono calmo e rassicurante.
In quel momento il telefonino di Thad si illuminò con la spunta di un nuovo messaggio, il latino prese il telefono e immediatamente un’ondata di sollievo si lavò su di lui.
“Ragazzi, Kurt mi ha appena mandato un messaggio e dice: Scusami se ti ho fatto preoccupare, ma ho avuto un imprevisto. Ti chiamo dopo e ti racconto. Thad tranquillizzala tu la tua famiglia e di’ a Sebastian che non serve che avverta le autorità che non sono morto ne scappato. Ora scrivo a tutti per avvertirli. Un abbraccio e dai un bacio a Nonna Carmen da parte mia.”
“Giuro che appena mi capita a tiro gli tiro il collo!- disse Sebastian imbufalito.-Papà allarme rientrato. Kurt ha scritto a Thad e in breve dovrebbe scrivere anche a te… Sì, sì ci vediamo stasera, saluta Isabelle.”  Sebastian appena mise giù la chiamata vide che anche a lui era arrivato un testo da Kurt, lo lesse rapidamente.
“Quel moccioso bastardo mi ha mandato un messaggio che mi prende per il culo!” grugnì Sebastian.
“Davvero?! Ed io pensavo che fosse mio nipote che lo facesse, vedi come è strana la vita!”
“NONNA!”
“MAMMA!”
“CARMEN!”
“FATELA FINITA! BIGOTTI!” grugnì la donna.
“Carmen guarda che io e tuo nipote siamo versatili!”svelò con tono confidenziale Sebastian a Carmen.
“SEBASTIAN”urlò inorridito Thad dando una sberla al proprio fidanzato evitando di guardare in faccia la madre che in quel momento era stupita e rossa come un semaforo.
Nella stanza si era creato uno strano imbarazzo, tutti sapevano che certe esclamazioni di Sebastian non erano scherzi, ma parole orgogliose e di vanto. Era chiaro agli occhi dei tre adulti che i due ragazzi erano cresciuti forse più di quanto avessero pensato.
“E dai, davvero pensavate che ci saremo tenuti le nostre virtù intatte fino alla senilità!? - disse annoiato Sebastian.-Io ho diciotto anni e Thad  diciassette! I nostri ormoni sono sempre in festa!  E poi ne io ne lui, per vostra informazione, abbiamo perso la nostra verginità con l’altro, ma è successo quando ancora, si fa per dire, ci piacevano le ragazze! Quindi fate i conti voi quanto tempo è passato! Ormai è storia antica!”
“Zitto imbecille, stai zitto!”disse disperato il giovane latino guardando la faccia del padre che era educatamente perplessa alla notizia appena ricevuta.
“Perché scusa? Non mi pare che abbiamo mica ammazzato nessuno è semplicemente la verità!” disse in tono di sfida il ragazzo.
“Estella, tesoro, mi porteresti per cortesia tre birre gelate? Grazie” disse dolcemente Adrian alla moglie che era andata ad esaudire senza contestare la strana richiesta.
“Fai quattro tesoro, qui ci sarà da divertirsi!” commentò allegramente Carmen.
“Allora ragazzi- cominciò Adrian tranquillamente adagiandosi sulla sedia.- non so se Etienne vi ha già fatto il ’discorso’, ma rassicurate un po’ questi matusalemme raccontandoci che precauzioni prendete quando fate sesso e se avete fatto delle analisi per controllare che non vi siete presi qualche malattia sessualmente trasmissibile.”
Thad sentiva la faccia bruciare, guardò il pavimento desideroso che si aprisse una voragine pronto ad inghiottire lui e soprattutto quell’imbecille del suo fidanzato.
 
 
Kurt per tutto il tragitto dall’ospedale a casa scrisse dei messaggi a Etienne, Adam, Isabelle, Sebastian, Thad e famiglia, tralasciando di raccontare quello che era accaduto la notte prima, ma rassicurando tutti che stava bene e promettendo che quel giorno li avrebbe chiamati.
Kurt sorrise ai messaggi e alle chiamate perse che aveva ricevuto il giorno prima, soprattutto a quelle dei suoi migliori amici... anche a distanza lo facevano sentire amato.
(Quella mattina si era sentito in colpa a non rispondere alle loro chiamate, ma era ancora in camera con Anderson e onestamente non voleva parlare dei fatti propri davanti a chicchessia.)
 
“Ragazzo, pochi minuti  e siamo a casa.”
Burt era un po’ in ansia a mostrare la sua casa al figlio, era conscio che il suo stile di vita non era paragonabile a quello che aveva avuto sino a quel momento con la madre, ma sperava che col tempo avrebbe apprezzato.
Diavolo! La sua casa non valeva nemmeno un decimo rispetto a quella di Elisabeth, per non parlare dei mobili della sua ex moglie che erano perlopiù oggetti di design e sospettava che anche solo uno di loro valesse quanto tutto l’arredamento del suo soggiorno.
 
“Perché non ti stacchi da quell’aggeggio e fissi un po’ il panorama?” chiese Burt lievemente irritato dal fatto che suo figlio da quasi un quarto d’ora prestasse la sua piena attenzione al proprio telefonino anziché provare a parlare con lui o prendere confidenza con la sua nuova casa.
 
Kurt prima di rispondere male all’uomo fece un respiro profondo. Bastava che Burt aprisse bocca e lui era infastidito, si aggrappò ai suoi buoni propositi di cercare di essere più morbido nei confronti del meccanico.
 
“Sto solo rispondendo ai miei amici e Isabelle e ad Ethienne che sto bene e che oggi li chiamo. Sai, si erano leggermente allarmati non sono riusciti a contattarmi e ora li sto tranquillizzando. ”
 
Burt emise un grugnito d’assenso e tornò a fissare la propria attenzione sulla strada, sentendo nello stomaco quella rabbia ormai famigliare data dal fatto che suo figlio avesse avuto un’intera vita del quale lui non ne aveva fatto parte e che, in un qualche modo, il suo posto di padre era stato preso da quel Ethienne Smythe.
 
“Posso chiederti una cosa?” domandò improvvisamente Kurt timidamente.
“Certo tutto quello che vuoi!” Burt rimase sorpreso, il ragazzo da quando gli aveva detto che lo avrebbe portato a Lima non gli aveva più rivolto la parola, se non in maniera brusca e scostante, senza contare la litigata dove avevano investito il povero Blaine Anderson.
 
“Quel medico, Lopez… sì, insomma, voi siete amici?”
Burt strinse di più le mani al volante. La prima domanda spontanea che suo figlio gli faceva era su Luis, una delle persone che Elisabeth aveva amato di più e che invece lui aveva odiato-  e odiava- visceralmente.
“Come mai ti interessa?”
“É stato molto umano, ha avuto molta gentilezza nei miei riguardi. Anche se ammetto che ricordo brevi sprazzi di quello che è accaduto ieri con lui.”
“Che significa che ricordi brevi sprazzi di ieri?”domandò turbato Burt.
“Mi ricordo perfettamente l’incidente, ma dall’ospedale in poi no. Ricordo bene Blaine che mi teneva la mano e poi che è stato portato via, il dottor Lopez che provava a parlarmi, ma poi il nero assoluto. Non ricordo assolutamente la reazione che ho avuto.”
“Lo hai detto alla dottoressa che ti ha seguito stamattina?” chiese preoccupato l’uomo.
“La dottoressa Lewis. Sì, glielo l’ho raccontato e mi ha detto che è normale data tutta la situazione...”
Burt annuì tranquillizzato, pensando che avrebbe voluto essere presente durante la visita, ma Kurt non lo aveva voluto e lui, data la loro assoluta non confidenza e l’età del figlio, non si era opposto.
“Quindi?”
“Quindi cosa figliolo?” domandò Burt.
Kurt alla parola figliolo si sentì lo stomaco stringersi per il fastidio.
“Tu e il dottor Lopez siete amici?”
“No, io e il dottor Lopez non siamo amici.”Disse forse troppo duramente e chiedendosi cosa il Kurt realmente volesse sapere.
“Peccato, mi sarebbe piaciuto scusarmi per la reazione che ho avuto .” Disse sinceramente dispiaciuto il ragazzo.
“Hai avuto un crollo, non hai nulla da scusarti! Il dottor Lopez ha fatto solo il suo dovere.”
“Lo so, è solo che è imbarazzante avere avuto una reazione del genere di fronte ad uno sconosciuto!” disse con tono mortificato il giovane.
 “Lima non è New York, prima o poi rincontrerai il dottor Lopez se proprio vuoi vederlo.”rispose forse troppo acidamente il meccanico, ma si rese conto troppo tardi dell’errore.
“Magari Lima fosse New York!” lo rimbrottò immediatamente il ragazzo.
Burt realizzò in quel momento che Kurt non sapeva nulla di Luis Lopez e sua madre. Lui ne parlava in maniera distaccata e si vedeva che era genuina la sua curiosità. Il meccanico si domandò quanto l’ex moglie avesse nascosto della propria vita al figlio e al contempo si diede del coglione. Quella era stata la loro vera e prima conversazione e lui l’aveva rovinata comportandosi in maniera scontrosa e citandogli New York, dove ovviamente il ragazzo aveva il cuore.
I restati pochi minuti che passarono in macchina li passarono in un silenzio teso.
 
“Siamo arrivati.” Disse il meccanico parcheggiando nel vialetto di casa.
Kurt diede un’occhiata alla villetta bianca che appariva semplicemente e anonima e leggermente trascurata per il prato incolto e la staccionata esterna scrostata.
 Nel garage della casa vide parcheggiate altre due auto, dedusse che ogni membro della famiglia avesse la propria.
Burt venne ad aprirgli la portiera della macchina quasi ad esortarlo a muoversi.
Kurt scese e seguì l’uomo che lo stava conducendo verso il portone dell’abitazione. Dentro di sé si maledì una volta di più per il proprio abbigliamento ridicolo. Sua madre gli aveva sempre insegnato che la prima impressione che si da di se stessi era importante, e decisamente lui quel giorno non era pronto per dare una degna prima impressione.
Kurt osservò Burt suonare alla porta, gesto di ovvia cortesia per avvertire gli altri membri della famiglia del loro arrivo se non se ne fossero già accorti.
Il ragazzo sentiva l’ansia crescergli dentro e per tranquillizzarsi portò la sua attenzione all’abbigliamento di Burt che consisteva in una camicia di flanella rossa a quadri verdi, canottiera, jeans consunti come le scarpe da ginnastica e un berrettino da baseball nero per coprire il capo pelato.
Tutto nell’uomo urlava semplicità e praticità e forse un po’ di trascuratezza del proprio aspetto, esattamente come l’esterno della sua abitazione.
Burt aprì la porta e gliela tenne aperta per farlo entrare.
 
“Benvenuto a casa Kurt!” gli disse allegramente e lui più che mai desiderò che tutto quello fosse solo un orribile e stupido incubo.
Kurt si domandò se fosse sempre stato così difficile camminare, sentiva le sue gambe pesanti come macigni. Era certo che fosse quella la sensazione che provava un condannato al patibolo.
Cercò di con concentrarsi sull’ambiente e subito pensò che il tappetino all’uscio di quella casa andasse pulito, era pieno di fango secco.
Appena entrò si trovò in un soggiorno spazioso e luminoso e in piedi ad attenderlo c’erano due persone: Carole e Finn. Gli occhi immediatamente gli pizzicarono in maniera fastidiosa osservandoli.
Finn era un ragazzo estremamente alto e massiccio che lo fissava con uno sguardo cupo e avido, studiandolo in ogni minimo dettaglio; dedusse che non era certamente più felice di lui per quello che stava accadendo. Accanto al ragazzone c’era Carole, una signora grassottella che sembrava non aver abbandonato i gloriosi anni ottanta con la sua gonfia permanete e le curate meches biondo cenere tra i capelli castani. Ma quello che colpì maggiormente Kurt furono i vestiti: un lupetto nero aderente che metteva in evidenza i rotolini di grasso che si erano adagiati sui fianchi morbidi, jeans senape a zampa a vita alta e mocassini verniciati. Quei vestiti sembravano delle rimembranze affettuose a cui la proprietaria non era riuscita a separarsi; Kurt aveva paura di scoprire quali altri indumenti non adatti alla corporatura della donna potessero ancora esserci nel suo armadio.
Superato lo shock di quella visione, il ragazzo notò come madre e figlio, nonostante l’enorme differenza di altezza o forma fisica, si assomigliassero. Notato quello Kurt non poté poi di impedirsi di fare un confronto fra Carole e sua madre che avevano in comune la pelle cerulea, gli occhi chiari e capelli sul castano: decisamente quelle erano caratteristiche che a Burt piacevano. Kurt pensò che la moglie di suo padre non fosse minimamente bella come lo era stata sua madre, tantomeno era dotata della sua eleganza, ma concordò con se stesso che Carole con una rivisitazione radicale di acconciatura e guardaroba e qualche chilo in meno sarebbe potuta essere comunque una donna molto attraente.
La prima a rompere  il silenzio che regnava per via di uno strisciante imbarazzo fu proprio la signora Hummel.
 
“Ciao caro, è un piacere conoscerti, io sono Carole e questo ragazzo è Finn.”
“Ciao amico.” Disse Finn tranquillamente.
“Buon giorno signora e Finn, è anche per me un piacere conoscervi.”
 
Carole la prima cosa che aveva pensato appena quel giovane aveva attraversato la soglia di casa sua era stato: ‘Oh no, no, no, no! È la copia di Elisabeth!’  da quando aveva saputo la sua esistenza aveva sperato che somigliasse a Burt e che della madre non avesse nulla, cosi per lei sarebbe stato più facile provare ad accettarlo e invece con amarezza si trovò a constatare, per l’ennesima volta, quanto il destino potesse essere bastardo.
Dopo qualche secondo che quei pensieri che le avevano attraversato la mente provò un po’ di disgusto per  se stessa, soprattutto vedendo che di fronte a lei c’era un ragazzino basso e gracile che sembrava ancora più piccolo di quello che era nei vestiti di Finn.
 
“Finn, grazie per avermi prestato questi vestiti e mi dispiace di aver creato questo inconveniente. ” disse Kurt più per educazione che per altro.
“Di niente!”rispose in evidentemente imbarazzo Finn.
 
“Beh Kurt che ne dici di un giro della casa?” domando con tono allegro Burt.
 
Kurt  fece un leggero cenno d’assenso, ma improvvisamente sentì qualcosa appoggiarsi sulla gamba  e abbassando lo sguardo vide un cane grassottello che lo stava annusando con maniacale interesse, lasciandogli una striscia umida dove il muso schiacciato aveva toccato il tessuto della tuta.
 
“Ehi ciao e tu chi sei?” chiese con un lieve sorriso.
“Lui è Bob! Per caso ti fa paura?” domandò Burt, vedendo il ragazzo che  aveva fatto un passo indietro alla vista dell’animale.
 
“Paura no, solo che non ne ho mai avuto uno.  Sia io che mamma eravamo troppo occupati per una responsabilità del genere.” spiegò.
Burt si astenne dal commentare che, secondo lui, Elisabeth avesse fatto un grave errore a non prendergli mai un animale. Lui e Carole e per responsabilizzare Finn nel corso degli anni avevano preso dei pesciolini rossi e i primi erano morti dopo pochi giorni, ma altri, invece, erano sopravvissuti qualche anno e così, quando secondo loro il ragazzo era diventato abbastanza responsabile, avevano preso Bob.
 
“Prova ad accarezzarlo.” Burt esortò Kurt che lo fissò con i suoi grandi occhi da bambino come se avesse appena detto qualcosa di sconvolgente.
“No, penso che vada bene così. ”
“Guarda che non morde! Gli piace se lo accarezzi. ” provò ancora Burt a spronare il ragazzo che scosse la testa.
“No, va bene così, davvero, e poi non sono un fan degli animali. Mi ci vorrà un po’ ad abituarmi.” Disse insicuro Kurt.
“Ok, ma vedrai che una volta preso confidenza lo adorerai!”rise allegro Burt.
Kurt fissò scetticamente il cane che continuava insistentemente a guardarlo , seduto sul pavimento con la lingua a penzoloni fuori dalla bocca.
“Ma è normale che respiri in quel modo come se avesse un raffreddore?”
“Bob è un bulldog Inglese, fa parte della famiglia dei molossi. Certo che è normale che respiri così!” Rispose Finn con un tono decisamente poco amichevole.
Kurt non era un esperto di cani,  ma gli metteva ansia la respirazione di Bob.
Il cane forse sentendosi chiamato in causa cominciò ad abbaiare allegramente verso Kurt che spaventato  si allontanò di qualche passo.
“Non vuole farti niente!”lo riprese bruscamente Finn.
Kurt fissò malamente il ragazzone, ma decise di ignorarlo e si rivolse ai due adulti:
“Mi piacerebbe fare un giro per la casa e, se è possibile poi, una doccia e cambiarmi i vestiti.”
“Certo caro vieni!” disse dolcemente Carole mettendogli una mano sulla schiena cominciando a guidarlo.
 
La casa non gli piacque molto, l’arredamento era una mescolanza di mobili di tutti gli stili e tonalità, abbinati a carte da parati con fantasie troppo scure. Fondamentalmente c’erano gusti che si scontravano e l’effetto era perfino disturbante, anche se doveva ammettere che ogni stanza era molto luminosa e spaziosa e questo mieteva le scelte sbagliate. L’unica stanza che ritenne decente era la cucina che aveva uno stile prettamente rustico, ma la trovò lo stesso sgradevole per un denso e stagnate odore di frittura, come se fosse un’abitudine quotidiana friggere. (idea consolidata dalla friggitrice che faceva ampiamente mostra di sé in tutta la sua lucida oleosità sul piano cottura.)
La parte che gli piacque di più di quel tour fu scegliere la sua camera da letto. La stanza per gli ospiti era decisamente fatta per le visite brevi con un letto singolo, un armadio piccolissimo a una sola anta e una sedia; era impossibile pensare di inserirvi un guardaroba più ampio o una scrivania o una libreria, la stanza a quel punto sarebbe risultata angusta.
Per fortuna c’era anche l’opzione della mansarda  da riadattare a camera da letto ed era davvero un bello spazio ampio, con un bagno privato un po’ malandato, con una doccia che sembrava non essere mai stata usata. La particolarità che lo fece innamorare fu che la stanza era priva di finestre, ma che al centro aveva un enorme lucernario e la notte volendo avrebbe potuto vedere le stelle. Amava le stelle e per lui erano uno spettacolo raro. New York, tranne per Central Park e periferia, era troppo luminosa per riuscire  a vederle.
“Questa stanza era stata pensata all’inizio da me e Burt come area Relax non appena ci fossimo sistemati con le spese, sto parlando di sedici anni fa, ma alla fine abbiamo accantonato il progetto .”
“Perché? È un peccato è un così bello spazio!”
Carole poteva vedere un luccichio di interesse nel giovane che stava analizzando la mansarda in ogni suo angolo.
“Io e Burt ci siamo resi conto che per divertirci e rilassarci ci basta il soggiorno, mentre Finn in camera sua ha un televisore per i suoi amati videogame, quindi questa stanza è finita in disuso.”
“Più che in disuso è finita come stanza della polvere!” ridacchiò Burt.
“Qualche anno fa proponemmo a Finn di far diventare questa la sua camera, ma rifiutò quando scoprì che non c’era niente per coprire il lucernario e bloccare la luce del giorno al mattino. A lui piace molto dormire.” spiegò Carole sorridendo con parole che grondavano d’amore per il figlio che li stava seguendo di malavoglia.
 
Kurt sentì in maniera travolgente quello che lui aveva perso, quasi come se gli fosse sbattuto in faccia. Con tutta la forza che aveva cercò di ignorare il dolore che aveva dentro e si focalizzò sulla stanza.
“Allora,  se non è un problema, mi piacerebbe a me averla come camera da letto.”
“Se  tu non hai problemi con la luce del sole allora è tua!” gli disse in tono allegro Burt.
“No, per me non lo è.”
Burt gli promise che il giorno seguente sarebbero andati a comprare i mobili per la sua camera e Kurt cercò di immaginarsi con che stile avrebbe potuto arredarla per farla sentire un po’ come se fosse casa sua.
 
 
Santana si lasciò cadere sulla sedia affianco al letto di Blaine e, dopo un’occhiata in corridoio per assicurarsi che non arrivasse nessuno, mise i piedi alti incastrati tra la rete e il materasso. Cooper le aveva chiesto di far compagnia al fratello,  giusto il tempo che andava a prendere un paio di cose che gli servivano, e lei aveva accettato di buon grado, non aveva voglia di tornare subito a badare alla nonna.
“Allora Blaine, ora che Burt se ne è andato, lasciatelo dire: lo sai che solo tu sei tanto sfigato da farti tirare sotto da quell’asino?”
-Non è così! La macchina mi voleva violentare! Non è colpa mia se anche gli oggetti inanimati mi vogliono. -
“A scuola alcuni stronzi rideranno a crepapelle.”
Santana sbuffò vedendo il cipiglio pensoso e rabbioso di Blaine, mentre valutava le sue ultime parole.
“Se fossi in te sarei incazzato come una bestia se mi succedesse una cosa del genere.”
-Chi oserà ridere di me, lo legherò e gli tatuerò la faccia di Hummel sul culo.-
Il silenzio della stanza fu interrotto dal rumore di notifica di un messaggio, era il cellulare di Santana.
“È di Britt, le ho detto quello che è successo- spiegò la latina aprendo il messaggio e scoppiando a ridere – No Blaine, devi vedere! Ti ha fatto un disegno che ti vuole regalare.”
Santana, attenta a non fargli male, si distese affianco al ragazzo e gli mostrò lo schermo del suo cellulare in cui era aperto il messaggio di Brittany.
Blaine guardò un disegno infantile fatto dalla cheerleader bionda e sorrise divertito vedendo che lo aveva raffigurato per terra sotto un’auto stilizzata con un conducente del tutto pelato e dall’aria spaventata.
Prese il cellulare dell’amica e con un po’ di fatica scrisse:
 
Britt sono Blaine devi correggere il disegno!
Quando io e il mio pene siamo stati investiti
 e volavamo in aria come supereroi,  ho fatto il dito medio a  Hummel,
 vomitandogli come un idrante su tutta la carrozzeria e poi,
prima di svenire (insieme al il mio pene), con l’altra mano gli ho fatto il segno di vittoria.
Nessuno sfugge alla mia vendetta!
 
“Ma smettila che non è vero niente di quello che hai scritto!” lo riprese ridendo Santana e Blaine le rispose sul cellulare, nella applicazione appunti, che invece era vero.
Battibeccarono scherzosamente in quella maniera per qualche minuto fino a che non arrivò un altro segnale di notifica. Era di nuovo Brittany che aveva corretto il disegno con le indicazioni che le aveva dato Blaine che guardò compiaciuto  il risultato finale.
“Sei un imbecille.”
-E quindi!?-
Blaine emise un verso indefinito e Santana chiuse gli occhi e appoggiò la fronte contro la sua.
“L’importante che questa volta stai bene.”
Blaine con un braccio strinse Santana e a fatica, ignorando il dolore, le diede un bacio sulla fronte, uno dei suoi rari gesti di conforto e gentilezza. Poche persone a Lima avevano l’onore di beneficiare di questo suo lato del carattere e la latina era una di quelle.
Il giorno che era morta sua madre stava giocando a casa Pierce con Brittany, ma poi avevano voluto un gioco che era a casa sua e che lui era andato a prendere, ma non era più tornato. Era stato grazie alle lacrime di Brittany che Josh Pierce andato a cercarlo e lo aveva trovato. Sapeva che gli adulti, il padre e i paramedici, avevano fatto di tutto per non far vedere alla bambina cosa era successo, ma era stato impossibile nascondere tutto quel sangue...
Lui,  dopo che si era svegliato dal coma, aveva smesso di parlare alla gente e  Brittany era regredita  diventando molto più infantile e lagnosa. Luis Lopez essendo il pediatra di entrambi aveva fatto in modo che tutti e due fossero visti da degli specialisti per un  processo di rattoppo del cuore e della mente, ma la medicina non poteva certo fare miracoli e una riparazione non era mai un’aggiustatura completa. Quando erano stati in grado tornare a scuola gli altri bambini li avevano isolati perché vedevano lui solo come quello strano che non parlava e Brittany come una stupida che messa sotto pressione aveva delle reazioni esagerate.
Ma Blaine e Brittany pensavano che fossero loro gli stupidi che non sapevano che a Lima c’era qualcuno di cattivo...
Solo Santana gli era rimasta vicino trattandoli come quando erano come tutti gli altri, difendendoli dalle prese in giro arrivando anche alle mani e guadagnandosi nel corso degli anni, tra le famiglie di Lima, una fama sempre più brutta.
Non era stato raro, quando era più piccolo, che avesse sentito qualche adulto parlare in termini negativi di Santana proprio davanti a lui. (la gente spesso non capiva  che lui aveva solo smesso di parlare e non era certo diventato sordo!Non che lui si lamentasse, ne sapeva di cose per quel motivo...)
“Hai visto che il figlio di Hummel non gli somiglia per nulla...” gli disse Santana distraendolo dai suoi pensieri.
-Meglio, almeno a qualche possibilità in più di non diventare calvo.-
La latina si alzò in piedi e cominciò a studiare tutti i danni che aveva subito dall’incidente.
“Sai che ho sentito da quella egocentrica della Fabray che bietolone non è molto contento dell’arrivo di quel ragazzo? Ma ti rendi conto? Onestamente uno dovrebbe essere pagato profumatamente per venire qui a Lima da New York.”
-In realtà anche io sarei scosso se scoprissi che mio padre ha un altro figlio, ma solo se fosse più bello di me, cosa impossibile! Se ci fosse in giro un altro Anderson Junior sarebbe al massimo più bello di Coop. Papà ha toccato la perfezione con me…-
Blaine sbuffò e fece un gesto menefreghistico con la mano e la latina stava per rispondergli, ma una voce li interruppe:
“Allora come andiamo?”
-Oh! Signor Anderson di questo mese, ora che ti ho visto mi sento un leone da monta… Aspetta! Ehi! Non vale! Smettila lo dico a Luis!-
Il ragazzo osservò l’infermiere approcciarsi interessato a Santana che invece lo ignorò palesemente.
-Jonathan smettila! Quello che stai facendo va contro l’articolo cinque della Carta Costituzionale di Blaine: solo il sottoscritto può guardare cani e porci, mentre i mariti del mese devono essergli fedeli!
 
 
 
Finn stava seduto a tavola a sbocconcellare il pane e ascoltava suo padre e sua madre fare una lista di cosa avrebbe avuto bisogno la nuova camera da letto, mentre attendevano che Kurt finisse la doccia e scendesse per il pranzo.
Finn non aveva trovato per nulla simpatico Kurt e non gli era piaciuta l’attenzione che suo padre gli aveva dedicato cercando di compiacerlo in tutto quando era perfettamente chiaro che  non  era entusiasta della loro casa, anche se a parole era stato cordiale e gentile elargendo piccoli complimenti ai dettagli dell’arredamento. Non gli era piaciuta nemmeno la reazione di sua mamma. Spesso la gente diceva che lui non era bravo a cogliere i segnali delle persone, ma invece, stavolta, aveva notato come sua madre era sbiancata vedendo Kurt e dello sforzo che aveva compiuto per apparire dolce e pacata nei suoi confronti. Finn era sicuro, nonostante il discorso che sua madre gli aveva fatto prima dell’arrivo di quel moccioso,  di avere un’alleata nel suo pensiero. Gli bolliva ancora il sangue ripensando con che sguardo di sufficienza Kurt aveva fissato il cane e come se la fosse data a gambe per un piccolo abbaio. Un palchista, ecco cosa era!
 
“Beh domani possiamo andare al centro commerciale e prendere dei mobili componibili: una scrivania, una sedia, una libreria, un bell’armadio e un comodino... dovremo cavarcela con un trecento dollari, se va bene.” Disse sua madre mentre portava dalla cucina le alette di pollo riscaldate che aveva fritto la sera prima per la cena che mai si era svolta.
“Si beh, forse anche a meno se troviamo delle offerte- annuì Burt- mentre per la rete e il materasso  spenderemo di sicuro mille o mille cinquecento dollari. Lo sai come la penso: non si risparmia sul riposo!”
“Sì, su questo siamo d’accordo caro. Lo sappiamo entrambi che risparmiare sul materasso e rete porta solo dolori alla schiena.”
 
Finn vide Bob sfrecciare ai piedi della scala che saliva al piano superiore  e cominciare ad abbaiare allegro, tutti e tre portarono la loro attenzione a Kurt che qualche scalino più in su fissava incerto il bulldog.
 
“BOB! BASTA!-tuonò suo padre-Dai figliolo scendi dalla scala che non ti fa nulla!”
Finn si infastidì dal modo in cui suo padre aveva chiamato il ragazzo. Forse il suo era un pensiero meschino, ma suo padre aveva sempre chiamato solo lui in quel modo e anche se Kurt era il figlio biologico non pensava che se ne potesse fregiare. Era Lui che Burt aveva cresciuto e quindi era Lui suo figlio e non quel newyorkese che era spuntato all’improvviso!
 
Carole fissò Kurt che scendeva le scale con circospezione e rimase colpita da come era abbigliato, quasi da catalogo di alta moda. Non era un’esperta, ma era certa che ogni capo che il ragazzo indossasse era di qualche prestigiosa e costosa griffe(probabilmente ognuno di quei capi costava qualche centinaio di dollari) che aveva abbinato in maniera che i colori vivaci risaltassero al meglio sulla sua pelle pallida, valorizzando il corpo flessuoso e più definito di quanto avesse pensato. Inoltre, rimase perplessa dalla andatura della sua camminata aggraziata, agile ed elegante che non doveva aver notato per colpa dell’ingombro dei vestiti di Finn.
Bob, con evidente contentezza, fece ancora qualche festa a Kurt, ma quando non ottenne risultati apprezzabili andò ad accovacciarsi sui piedi di Finn.
 “Scusate se ci ho messo tanto. ”
“Non preoccuparti Kurt, non abbiamo nessuna fretta.- Disse Carole che indicò al ragazzo dove sedersi- anzi, spero il pranzo ti piaccia, in realtà questa è la cena di ieri sera riscaldata.”
“Si figuri signora Hummel, andrà benissimo.”
“Mi chiamo Carole, non signora.” disse gentilmente, ma un po’ fredda la donna e Kurt si trovò a pensare che nessuno di loro quattro era veramente entusiasta di quella situazione, se non il cane che fissava allegramente Finn in attesa di qualche stuzzichino, con un preoccupante aumento della bava.
“Ho preparato maccheroni al formaggio[1], pollo fritto, patate al burro ai formaggi con salsa Ranch[2] , Torta di mele alla crema e per finire gelato. ” espose orgogliosamente la donna.
Kurt sul proprio volto provò a mettere un sorriso, quando invece era rimasto interdetto per l’abbinamento di tutti quei piatti che si annoveravano tra i più grassi della cucina americana e del mondo.  Sperò che la cucina di Carole non fosse sempre di quello stampo, anche se i chili di troppo che avevano sia lei che Burt e l’odore di frittura stagnate in cucina la diceva lunga sulle abitudini alimentari di quella famiglia.
“Dio tesoro mio, come mi è mancata la tua cucina!” Disse Burt con un sospiro felice, mentre annusava la pasta fumante, appena uscita dal forno, con il formaggio sciolto colato e dorato al punto giusto.
Kurt fissò l’enorme porzione che Carole aveva servito a lei e al marito e notò con preoccupazione che si stava preparando a darne una delle stesse dimensioni anche a lui, il suo stomaco non sarebbe stato in grado di sopportare un quantitativo del genere.
“Mi passi il piatto che così ti servo?”
“Carole ti dispiacerebbe mettermene un quarto di quella fetta che hai tagliato?” domandò timoroso e sentì Finn sbuffare.
“Non ti piacciono i maccheroni al formaggio?” chiese lei gentile.
“No, non è questo, è solo che non sono un gran mangione e se mi dai una fetta del genere non riesco ad arrivare nemmeno alla fine del primo.”
“Mangia ragazzo, che forse qualche chilo in più non ti farebbe male!” esplose bonariamente Burt, mentre si stappava una bottiglia di birra e se la versava nel bicchiere.
Kurt si morse la lingua evitando di rispondergli che stava benissimo così come stava e che, semmai, era lui che doveva perdere qualcosa( come una quindicina di chili) per mettersi in forma.
“A me invece tanta pasta, mamma!” disse  Finn e Carole annuì sorridendo, ma Kurt rimase sconvolto quando fece una porzione gigantesca che face apparire quella di Burt di modiche dimensioni.
 “Per questa cena ho fatto tutti i piatti preferiti di Finn e di Burt, sai, non sapevo bene cosa ti potesse piacere,ma poi mi sono detta: Ehi, è un adolescente! Tutti gli adolescenti amano i maccheroni al formaggio e il pollo fritto!” disse ridendo imbarazzata la donna sedendosi a tavola e versandosi anche lei un bicchiere di birra.
Kurt capì che quello era il suo modo per evitare che si creasse uno sgradevole silenzio, ma sapeva anche che se lui le avesse risposto onestamente la giornata si sarebbe rovinata, quindi optò per una mezza verità.
 
“Beh, ti ringrazio per il pensiero, certamente mi piacciono ma non sono i miei piatti preferiti. – disse dopo aver ingoiato una forchettata- Buona la pasta, complimenti.”
 
“Non è  solo buona la pasta mamma, è super! Nessuno la fa buona come la tua!” disse Finn con entusiasmo mentre si portava una generosa forchettata alla bocca.
 
“Stupefacente come al solito!”
 
Carole sorrise e ringraziò tutti per gli elogi. Kurt certamente trovava la pasta estremamente saporita, ma la sentiva troppo condita; era certo che la padrona di casa per far sciogliere il Cheddar e la farina dovesse aver usato una tavoletta intera di burro, della panna al posto del latte normale e una quantità maggiore di latte concentrato rispetto a quella indicata.
 
Kurt si trovò a pensare che lui e sua madre non avevano mai amato i maccheroni al formaggio con la ricetta classica americana, ma una versione molto più light e salutare, esattamente l’opposto di quella che aveva preparato Carole.
 
“Hai detto che i maccheroni al formaggio non sono il tuo piatto preferito.- esordì a sorpresa Finn in tono solenne.- Quindi quale sarebbe la cosa che preferisci mangiare?”
Kurt quasi rise in faccia all’altro ragazzo per l’importanza che sembrava attribuire a quella domanda.
 
“In realtà ce ne sono vari: verdure grigliate e mozzarella, calamari alla brace e pomodorini, sushi, amo le creme di verdura e le insalatone…- più parlava e più vedeva la faccia di Finn che si contraeva in una smorfia.- Direi che a te queste cose non piacciono molto vero?”
“Ti piace la roba delle pecore!- disse Finn come se questo spiegasse tutto.-Ma un bel hamburger e patatine no eh?”
 
Kurt non si scompose al commento di Finn, che ritenne da buzzurro, si limitò a sollevare un sopracciglio in maniera scettica.
“Non è il cibo che preferisco, ma una volta ogni tanto non mi dispiace mangiarlo, se fatto bene.” Disse diplomaticamente.
Burt pensò dentro di sé che avrebbe dovuto immaginarlo che i cibi preferiti del ragazzo  erano quelli salutari, in fondo era cresciuto con quella fanatica dell’alimentazione sana e corretta della sua ex-moglie. Ricordava ancora con orrore quando Elisabeth aveva provato a fargli mangiare degli hamburger fatti di Tofu o di soia, elencandone i benefici come se fossero delle vere e proprie magie.
 
“Quello che vuole dire Finn è che in effetti qui in casa non siamo molto amati di frutta e verdura, ma se vuoi domani quando vado a fare la spesa ti prendo delle zuppe surgelate solo da scaldare.” Propose gentilmente Carole, immaginando che il ragazzo non avesse chissà quale confidenza con i fornelli.
 
Kurt, al contempo, ebbe l’orribile sospetto che invece la donna fosse una sostenitrice dei cibi pronti, ma preferì soprasedere per il momento e magari aspettare quando avrebbe avuto più confidenza per cucinare da solo quello che gli piaceva.
 
“Burt mi ha detto che lavori come infermiera, giusto?”
“Sì è corretto. Infatti capiterà che qualche settimana a cena non ci sarò perché avrò il turno di notte, quindi toccherà a Burt mettersi ai fornelli.” Disse scherzosamente la donna guardando il marito.
 
“Non ci proverò nemmeno! Quella settimana o ordiniamo una pizza o andiamo a cenare dai miei genitori.” Quell’argomento ricordò a Burt che doveva dire una cosa a Kurt che lo stava guardando con interesse.
 
“Chi vuole ancora pasta?” domandò Carole.
“No grazie.” Disse Kurt e Finn era indeciso se fare il bis, ma che alla fine rinunciò optando per avventarsi sul secondo.
Kurt notò che la signora Hummel era generosa anche nelle porzioni di secondo e contorno così, come aveva fatto per il primo, chiese porzioni piccole.
Kurt con un po’ di diffidenza addentò il pollo, ma rimase piacevolmente sorpreso dal gusto gradevolmente speziato della panatura e questo, a differenza della pasta e delle patate, gli piacque moltissimo; sapeva che  per piacere a lui, che non era un fan del fritto, quel pollo dovesse essere veramente speciale.
 
“Kurt fra un po’ arriveranno i miei genitori, i tuoi nonni, che desiderano conoscerti! ” disse Burt e Carole vedendo sul viso del ragazzo una strana espressione decise di accorrere in aiuto del marito.
“Guarda che è una bella cosa avere dei nonni, non c’è da aver paura.”
Kurt infastidito si domandò come potessero pensare che lui avesse paura, non è che si era messo a piangere o a urlare disperato.
“Non ho paura di conoscere i genitori di Burt, ma stavo semplicemente pensando alle mie due nonne di New York e ho avuto un momento di nostalgia, tutto qui.” Disse tranquillamente, scegliendo con cura le parole.
Sapeva che se la sua madre non avesse nascosto la sua gravidanza al meccanico probabilmente avrebbe avuto un senso diverso della sua famiglia, ma il passato non si poteva cambiare e per lui le sue nonne erano Carmen e Blanche che per anni lo avevano accudito aiutando la sua mamma nei momenti difficili trattandolo a tutti gli effetti come se fosse un loro nipote. Questo non voleva dire che sarebbe partito prevenuto nel conoscere i genitori di suo padre, anzi,  era molto curioso. Però quello che sembrava sfuggire a Burt, nonostante li avesse conosciuti e visti con i propri occhi, era che Isabelle, Etienne, Sebastian, Thad, Blanche, Carmen, Estella e Adrian erano la sua famiglia; anche se non lo erano nei termini burocrati.
 
Finn osservò incredulo Kurt che parlava come a voler ostentare superiorità a tutti i costi, pensò che fosse un ingrato.
 
“Nonne?”domandò Burt.
“Le due signore anziane che c’erano ieri all’aeroporto. Quella bassa cicciottella che assomiglia a un boss della  malavita è Nonna Carmen, mentre quella alta e ossuta che sembra una sorta di regina Maria Antonietta, se mai fosse diventata anziana, è Nonna Blanche.” Spiegò orgogliosamente Kurt con un sorriso felice a Burt, Carole e Finn che lo guardarono increduli.
 
 
 
Etienne con Isabelle si guardarono  intorno nella casa di Elisabeth e Kurt. Ogni mobile dell’appartamento era stato coperto con un telo per evitare che la polvere si posasse su di essi. L’uomo sentì una lacrima che ribelle scendeva dai suoi occhi quasi a testimoniare la tragedia che in quelle settimane si era consumata  fra quelle mura. Se si concentrava un po’ poteva ancora vedere Elisabeth camminare in quelle stanze, in pigiama e con i lunghi capelli sciolti e spettinati, ridendo felice con gli occhi socchiusi e una amabile fossetta sulla guancia che la rendeva ancora più bella.
Riusciva ancora a scorgere la figura della bella Calhoun rannicchiata sul divano insieme a  Kurt, mentre abbracciati conversavano dei loro segreti, raccontandosi piccolezze che per i più erano insignificanti, ma che per madre e figlio erano un intero mondo in cui a nessuno era mai concesso entrare, anche a chi come lui ci aveva provato in ogni maniera.
Etienne recuperò la sua giacca  volendosene andare in fretta perché ogni telo nella stanza, ogni porta chiusa, ogni persiana abbassata era un altro addio ad Elisabeth.
Etienne guardò in faccia Isabelle che come lui aveva il  viso devastato dal pianto ma  che, a differenza sua, ebbe la forza di dire ad alta voce quello che pensava:
“Non sono ancora pronta per salutarla...”
 
 
L’Angolino della tazza di caffè…
 
Allora che dire … eccoci qui!
Finalmente Kurt varca le porte di casa Hummel e noi vediamo ognuno dei suoi abitanti e i loro impatti emotivi, trovandoci soprattutto a fare i conti con un contrariato Finn ad accogliere in casa il nuovo membro di casa.
Passiamo alla visione che Kurt ha sugli abitanti della casa, in modo particolare sull’aspetto di Carole. Ovviamente Carole è il personaggio a cui avrebbe prestato più attenzione perché è colei che è venuta a prendere il posto di sua madre accanto a Burt, quindi è inevitabile che facesse un raffronto fra le due donne. La signora Hummel che ho descritto è anche una donna con un gusto nel vestire particolare e per raccontarla mi sono ispirata tanto alla prima versione di Carole che è apparsa nel telefilm.
Stessa linea di pensiero ho seguito per casa Hummel! Sono partita dal presupposto che Carole non avesse questo gran senso del gusto e, da quello che sappiamo dal telefilm, neppure Burt, così ho pensato che casa loro non poteva essere arredata con chissà quale eleganza.
Vorrei fare una precisazione: non sto assolutamente descrivendo Elisabeth come la dea della perfezione e Carole quella con tutti i difetti, perché non è così! Date il tempo agli avvenimenti e alla storia di svilupparsi! Tenete conto dell’emozioni, della difficoltà della signora Hummel  e delle idee con le quali è cresciuta, ovviamente stesso discorso vale per Elisabeth. Se nella storia troverete una disparità delle due donne e perché ovviamente chi racconterà maggiormente di loro sarà Kurt e chiaramente diciamolo: la mamma è sempre la mamma.
Altro particolare da tenere conto è il modo di cucinare di casa Hummel e il modo di mangiare dei suoi abitanti, è un elemento importante nella storia e quindi ha i suoi perché….
Arriviamo a Blaine. Ammetto che ha un linguaggio e un modo di pensare in commentabile, ma a me fa ridere e spero che lo faccia anche a voi, sperando che capiate che è il suo modo per farsi compagnia perché è una persona molta sola … (Se spiego troppo capite troppo presto il meccanismo su cui muovo questo personaggio!)
Infine vorrei spendere due parole  su Santana. Penso che sia chiaro che amo il suo personaggio per il carattere che ha e che in questa storia lei ha un ruolo di spicco ed è lei ad avere in mano la bilancia di molte situazioni! Quindi vi dico di prestare attenzione alla nostra ragazzaccia perché anche lei ne ha delle belle da combinare!
 
Come al solito vi ringrazio per seguire questa storia e spero di sapere cosa ne pensate, sia in positivo che in negativo!

Ecco la mia pagina Fb dove aggiorno notizie sull’aggiornamenti della storia:

https://www.facebook.com/pages/Schifottola/598579906836059

Un bacione e a presto
 
 
 
 

[1] Ingredienti della pasta ai maccheroni al formaggio americana: 500gr maccheroni , 350 gr di Cheddar grattugiato,  100 gr di burro, 40 cl di latte concentrato non zuccherato,  1 cucchiaio di senape, 2 cucchiai di farina, 30 cl di latte, 2 cucchiaini di sale, 200 gr di pan grattato.
[2]La salsa Ranch è un condimento tipico della cucina americana con base di latte fermentato ed erbette.

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Capitolo 7
*** Io sono... ***





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Questo capitolo lo dedico a: Kathy Lightning, Annunziata Martin Porpiglia e WonderGiusy
 
Messaggio per i lettori da leggere per favore fino alla fine:

Caro lettori, non temete, questo non è un messaggio in cui vi dico che ho un blocco dello scrittore (perché ho uno schema di quello che deve accadere dall’inizio alla fine), quindi tranquilli, la storia arriverà al suo termine! Questo è un messaggio e ammonimento!!! Ci sono stati mesi, circa sei, in cui non ho aggiornato e nei quali mi sono arrivati messaggi da alcuni di voi,  in cui mi veniva chiesto di portare avanti la storia. Onestamente mi avete fatto sentire in colpa, ma stavo passando un periodo non particolarmente bello e scrivere era l’ultimo dei miei pensieri! Sono tornata ad aggiornare circa un mese fa e nessuna delle persone che mi aveva fatto una sollecitazione mi ha lasciato una recensione o scritto poi in privato! Io sono la prima ad aver sempre detto che non chiedo(e non ve lo chiederò nemmeno ora) di lasciarmi una recensione, ma di lasciarmi un pensiero su quello che creavo, se ne avevate voglia! Io da autrice non vi ho mai chiesto, o ricattato come a volte ho letto,  di lasciarmi una recensione, ne  vi sono mai andata a scrivere privatamente chiedendovi di leggere la mia storia e di darmi un parere! Quindi, a rigor di logica, chi mi ha scritto e sollecitato perché andassi avanti, mi aspettavo, per correttezza,  quando ho pubblicato che si facesse sentire! Non accetto che trovate 5 minuti per sollecitarmi via mail, magari anche in termini entusiasti, e non trovate 30 secondi per lasciare anche solo un commento di dieci parole, il minimo di una recensione pubblica.
Ora,  io non posso garantire un aggiornamento regolare, ma vi prego, se non vi siete mai presi il disturbo di spendere anche solo un minuto a dialogare (come con alcune -in posta-sulla mia pagina fb), di non scrivermi in privato delle sollecitazioni con il presupposti indicati sopra! Onestamente mi urta!
Scrivo per mio divertimento e certamente gradirei delle recensioni, ma se non arrivano pazienza! Vi chiedo solo di essere onesti e scrivermi non solo quando vi fa comodo! Io perdo tempo e fatica dietro la storia quindi non mi va di essere presa in giro!
Buona lettura e grazie dell’attenzione.
 
ATTENZIONE QUESTO È LEGATO ALLA STORIA: Nella storia  batto sul punto che  Kurt è basso ma tenete conto che Kurt ha 15 anni appena compiuti ed è in fase di crescita! I nani della storia rimarranno la Berry e Anderson!







Dopo che Kurt aveva citato le sue nonne, il pranzo era passato con un certo imbarazzo. Burt soprattutto non aveva digerito l’espressione felice del figlio con cui aveva raccontato di quanto fossero sorprendenti e soprattutto toste le due donne, ognuna nel proprio modo. Si era sentito, per l’ennesima volta, defraudato dei suoi diritti di genitore e pensava che fosse successo lo stesso ai suoi genitori sul loro ruolo con il Kurt, che non aveva colpe di questo.
Finn, mentre Kurt parlava si era preso un momento per osservarlo meglio. Decretò che se non avesse saputo che aveva quindici anni glie ne avrebbe dati uno o due in meno, soprattutto per colpa della voce quasi femminea e a tratti fastidiosa . Lui l’anno prima era già molto alto e piazzato, tanto che molti pensavano che avesse già diciotto anni e sapeva che Burt, quando aveva circa quella fascia di età, anche lui era un ragazzo corpulento e decisamente imponente.
Rispetto a Kurt sembrava lui il figlio naturale di Burt e questo lo rendeva orgoglioso.
 Finn sapeva che, nonostante non fossero davvero padre e figlio, avevano molto in comune. Entrambi nati e cresciuti a Lima, Quarterback della squadra di football, Burt alla sua età era stato anche lui con la capo cheerleader, appassionati di motori, sport, pesca e amanti degli stessi piatti.
Kurt, invece, sembrava non avere nulla del padre e questo lo rasserenava, sentiva che questo non avrebbe intaccato il suo status sia nella famiglia che agli occhi della gente.
Lui sapeva che non appena Kurt si fosse presentato a scuola avrebbe destato immediatamente interesse e pettegolezzi. Era già l’argomento di tutta la città e per questo, nell’ambiente del liceo, sarebbe stato una vera celebrità. La storia che Kurt aveva alle spalle e la parentela con lui, il capitano e quarterback della squadra di football, era un biglietto sicuro per la parte più alta della scala sociale del McKinley.
A Finn quel pensiero gli faceva rabbia, lui si era dovuto guadagnare la sua popolarità, lottando per essere al vertice, riuscendoci nonostante avesse scelto di far parte del Glee club, il posto degli sfigati della scuola .
Ricordava bene l’anno prima che non era stato tacciato da sfigato solo grazie al suo talento per il football e perché era già il sostituto del Quarterback. Semplicemente non gli andava giù che questo ragazzino sembrava avere tutto servito su un piatto d’argento, quando lui ogni cosa se l’era guadagnata lavorando duramente.
Carole aveva cercato di rasserenare l’aria portando i dolci: torta di mele e gelato.
Finn e Burt avevano gradito molto la fine del pranzo, mentre Kurt si sentiva così pieno che l’idea di mangiare ancora gli faceva venire la nausea, per questo aveva cercato di rifiutare almeno il gelato ma, dopo svariate insistenze di assaggiare tutto da parte di Burt, si era ritrovato contro la sua volontà una ciotola al gusto vaniglia.
Kurt era un appassionato di gelato, lo amava, ma non dopo un pranzo così pesante e grasso. E soprattutto non dopo che tutto il suo abituale programma di allenamento sembrava andato a farsi benedire, specialmente durante quelle settimane che la sua vita era andata distrutta.
Kurt però era conscio che quel pasto era stato un inizio con quelle persone con cui avrebbe dovuto vivere per più di tre anni, quindi aveva cercato di far andare il tutto per il meglio.
“Non stai mangiando il gelato, non ti piace? ” domandò Burt .
“È molto buono, ma come ho detto prima sono pienissimo.”
“Ma se non hai mangiato quasi nulla!” gli rispose incredulo il meccanico.
“Per i miei standard ho mangiato moltissimo.” Gli ribatté con un tono un po’ più brusco del necessario il giovane.
Burt scosse la testa ed evitò di commentare. Aveva notato che Kurt , grazie al fatto che era stato più rilassato, in certi momenti era sembrato Elisabeth per via di alcune movenze, comportamenti, gesti ed espressioni. E ci avrebbe giocato il capellino che Kurt, come la madre, era stato a contare le calorie dei maccheroni al formaggio con un discreto orrore. Non gli sembrava che quello fosse il comportamento corretto per un ragazzo di quella età. Si ricordava che lui quando era un adolescente aveva sempre fame e lo stesso Finn e i suoi compagni di squadra che, quando li invitava a passare una serata videogiochi a casa loro, il fattorino della pizza ne portava almeno due per ognuno di loro.
Finn riportò l’attenzione del padre su di sé, raccontandogli della settimana scolastica, dei professori e delle verifiche svolte. Burt lo ascoltò con un sorriso e gli fece qualche domanda sul test di matematica che aveva sostenuto, anche se Kurt notò che l’uomo cercò di chiudere in fretta il discorso della scuola, forse memore di quanto lui non avesse ancora digerito l’imposizione di aver lasciato il suo liceo.
Finn però non capì le intenzioni di Burt e cominciò a parlare della squadra di football.
“ Siamo messi bene come squadra, però ora tutto si complica con Blaine fuori gioco per chissà quanto tempo!” sospirò Finn
Burt sentendo nominare Blaine fu colpito ancora una volta dal senso di colpa e abbassò lo sguardo pronto a biascicare qualcosa, ma Kurt lo distrasse completamente.
“Come?! Quel ragazzo fa parte della squadra di Football!? ”
“È il Kicker!”
“Sul serio!?”
“Certo è il migliore, ha una mira infallibile non sbaglia un calcio! Però è anche una testa calda! ” gli spiegò Finn.
“Una testa calda?”chiese Kurt con curiosità.
“Si è un po’ attacca brighe. Infatti mi stupisce che papà sia riuscito a investirlo e tramortirlo, quando in genere non ha problemi a stendere anche due giocatori grandi quanto me.”
“Cosa!? Ma dai non esagerare, non è possibile una cosa di questo genere, non è poi così grosso.”
“Non farti ingannare dalla sua stazza! Sa benissimo come attaccare e difendersi!”
Kurt avrebbe voluto approfondire l’argomento, ma vennero interrotti da Carole.
“Bene, direi che se ci alziamo da tavola posso sparecchiare, fra poco poi i nonni dovrebbero arrivare, quindi è il caso di muoversi.”
“Alla televisione non è che c’é qualche partita di baseball, football o basket?” chiese Burt stiracchiandosi, lievemente intontito dal tepore del pranzo e dalla stanchezza.
“Sì. Su Time Warner dovrebbe esserci la partita di baseball dei Reds[1] contro gli Indians[2]!-Disse Finn eccitato guardando l’orologio.- dovrebbe essere cominciata circa mezzora fa! E dopo c’è quella di football.”
“Magnifico! Kurt vieni anche tu a vedere la partita!” disse Burt allegramente andando verso il divano accarezzandosi la pancia piena dal pranzo.
Kurt non era un fan di quelle tipologie di sport, certo, di tanto in tanto aveva visto qualche partita di football con Etienne e Sebastian, a patto che ci fosse anche Thad in maniera che potesse chiacchierare e mangiare popcorn, anche se pochi, mentre gli Smythe si davano al tifo sfegatato della loro squadra del cuore, i New York Giants.
“Preferirei dare una mano a Carole a sparecchiare, dato che sembra che ci sia una certa fretta e in più non sono un amante del baseball, basket o football.” Disse in maniera gentile per cercare di declinare l’invito.
“Ma no, tranquillo, non c’è bisogno che mi aiuti!” Carole aveva bisogno di un momento per se stessa per cercare di digerire tutto quello che stava succedendo. Avere sotto gli occhi Kurt si stava rivelando più difficile del previsto.
“Davvero Carole, mi farebbe piacere aiutarti.”
“Amico, davvero non ti piace lo sport?” chiese Finn con faccia inorridita e il ragazzo di New York pensò:
‘E certo, ti pareva che mister Quarterback non ne rimanesse sconvolto! Ti prego Signore, dimmi che non è così tanto stereotipato questo ragazzo! ’
“Non ho detto che non mi piace lo sport, ho detto che non vado pazzo ne di Baseball, ne di Football e ne Basket.”
“Ah e quindi cosa ti piace?”
“Danza in tutte le sue declinazioni.”
Finn lo osservò con una faccia perplessa così come Burt, entrambi sembravano dubbiosi della sua risposta.
“La danza non è uno sport!”gli rispose convinto il ragazzone.
“No è cosa sarebbe allora?”gli controbatté acido Kurt.
“Boh, ma non è uno sport! Ho un paio di amici che fanno danza e al Glee club aiutano il professore a farci imparare le coreografie! Però a me non pare che quando ballo faccio sport!”
Kurt fissò malamente Finn, quel ragazzo gli piaceva sempre meno, anche se doveva ammettere che era rimasto sorpreso che facesse parte di un club di canto, ma di questo se ne sarebbe occupato dopo.
“Secondo te, come hai detto tu, i tuoi amici praticando la danza non fanno uno sport?”
“Assolutamente no! Tanto è vero che, se quello fosse uno sport, Mike non giocherebbe a football e Brittany non sarebbe nelle cheerleader!”
Kurt fissò malamente Il figlio adottivo di suo padre, era riuscito a considerare il cheerleading uno sport e non la danza...
Ma cosa aveva nel cervello?
Le cheerleader praticavano uno sport che era composto da un unione tra ginnastica, danza e stunt[3]!
“Quindi i ballerini, poniamo di danza classica, i loro fisici muscolosi e tonici sono venuti fuori così, per caso? Non pensi che per fare una Pirouette, un Jetè o un Entrechat non serva una preparazione fisica sportiva particolare?O pensi che possano farlo tutti?”
“Dai amico, è roba da femminucce la danza classica!” controbatté Finn confuso e ignaro di cosa fossero quelle cose strane che l’altro ragazzo avesse citato.
“Se fossi in te, prima di essere così sicuro, chiederei ai tuoi amici se la danza non è un sport! Oppure, per evitare l’imbarazzo di fare la figura dello sciocco, darei un’occhiata a Wikipedia!” sbottò con rabbia Kurt.
“Kurt calmati!-disse Burt con tono fermo e autoritario.- non ti azzardare a parlare così a Finn! Devi portargli rispetto!”
“Io gli porterò rispetto quando lui non lo mancherà a me!” rispose inviperito Kurt e Finn protestò:
“Ehi, mica ti ho mancato di rispetto!”
“Studio danza da ben 11 anni, quindi ti pregherei di non schernire chi la pratica!”rispose piccato.
“Aspetta, quindi, oltre alle cose che già facevi, tra la scuola e la compagnia di teatro eri iscritto anche a un corso di danza!? Dove lo trovavi il tempo per vivere?”Domandò incredulo Burt con un tono di velato rimprovero.
Kurt fissò malissimo il meccanico.
“La studiavo sia a scuola che alla compagnia, non era un corso aggiunto! ”
“Che razza di scuola frequentavi?” chiese Finn confuso.
Burt stava per rispondere quando a prendere le redini della situazione ci pensò Carole.
“Ok, ora basta, tutti qui abbiamo poco tempo, ha ragione Kurt la danza è uno sport! Finn caro e tesoro, andate a vedere la partita, Kurt dammi una mano a sparecchiare. Ne riparleremo dopo a mente fredda.”
Kurt si allontanò immediatamente dai due uomini e prese a sparecchiare, mentre Finn e Burt andarono davanti alla televisione un po’ innervositi dalla discussione avuta e Carole sospirò, pensando che la vita in casa non sarebbe più la stessa.
 
 
Luis si svegliò sentendo la voce di sua moglie Maribel, si era appisolato sul divano mentre guardava la televisione con nonna Alma.
“Ehi Bel...” sbiascicò guardando l’affascinante donna minuta dalla pelle rosata e gli occhi nocciola dolci.
Lui e Maribel si erano incontrati a Columbus all’università, durante un corso di Anatomia avanzato. Era stata l’unica che gli si era seduta accanto, nonostante la fama di taciturno e intrattabile solitario che circolava sul suo conto. Aveva guardato con fastidio la ragazza che gli aveva chiesto gentilmente una penna, anche se aveva l’astuccio,ma lui, senza degnarla di una parola, si era alzato e si era spostato. Maribel a sua volta si era alzata e gli si era seduta accanto e lui l’aveva guardata con fastidio e le aveva chiesto:
“Si può sapere che vuoi?”
 “Il tuo numero e un appuntamento con te.”
Lui si era irritato e aveva lasciato la lezione nemmeno iniziata e si era andato a chiudere nel suo appartamento dolorosamente vuoto, nella sua stanza preferita, che aveva le tinte carta da zucchero, scelte da Elisabeth.
Aveva passato quel pomeriggio a sfogliare le foto dei mesi più belli della sua vita, ma che in quel momento erano diventati i ricordi più dolorosi.
Elisabeth era così bella in quelle fotografie...
Non era più andato al corso di Anatomia e lo aveva passato da privatista, pensando di evitare quella fastidiosa ragazza, ma non era stato così.
 
Era un pomeriggio ed era appena andato via dall’unico posto dove il bianco era un colore triste, con indosso il suo abito migliore... Elisabeth non gli avrebbe mai perdonato se si fosse vestito male e lui si era messo al suo meglio per non deluderla. Si era concesso una passeggiata al parco Christofer Columbus per cercare di scrollare le emozioni negative che provava quando aveva visto una figura uscire dall’acqua, arrampicandosi attraverso le transenne.
All’inizio pensò che si trattasse di una bambina visto l’altezza, ma poi l’aveva riconosciuta quando si era fermata a guardarlo.
“Certo che io con gli uomini sono proprio sfigata. Tutti psicopatici mi piacciono!” Gli aveva detto rabbiosa e si era allontanata e lui era rimasto a guardare una seconda figura, un ragazzo di colore, emergere dall’acqua e gridare:
“Maribel sei solo una frigida del cazzo! PUTTANA!”
Lei si era girata e gli aveva urlato di contro:
“Deciditi Ron! O sono frigida o sono puttana!”
“Puttana.”aveva deciso l’altro.
“Hai visto che me li scelgo tutti psicopatici!?” gli aveva detto, mentre lui pensava solo:
-Non me ne frega niente.-
“E questo stronzo chi è!?” aveva chiesto Ron.
“Lui è lo stronzo che mi ha rifiutato prima di conoscere te!” aveva risposto Maribel ignorando la folla che si era formata.
“Ehi voi due- aveva parlato Luis per la prima volta- lo stronzo si sta incazzando!”
“No amico, hai tutto il mio rispetto per esserti schivato un proiettile del genere.” Ron gli aveva stretto la mano e lui si era scostato, non voleva dare confidenza al primo strambo che incontrava.
“Guarda- aveva detto Maribel mettendosi in mezzo ai due ragazzi- che è colpa sua se io ho accettato di uscire con te!”
 “Amico, no, questo non si fa ai fratelli!”
“Veramente-era esploso Luis- avete fatto tutto da soli e tu- si era rivolto solo a Ron- non sei ne mio fratello, ne mio amico.”
“Andate al diavolo!- disse Maribel- ho perso nel fiume le mie scarpe tacco dodici! Le avevo comprate ai grandi magazzini per quindici dollari, a prezzo pieno venivano settanta!”
“Beh scusa-era esploso Ron- se hai perso i tuoi trampoli buttandomi nel fiume. Tanto neanche con quelle sembravi una mezza adulta! Zoccola! E tu amico sei uno stronzo!”
Luis, esasperato e senza pensare, mollò a Ron un pugno con tutta la forza che lo fece cadere a terra.
“Ok, sei un mega stronzo!”aggiunse il ragazzo a terra tenendosi il naso sanguinante.
“Se vuoi che non diventi uno stronzo intergalattico, alzati e sparisci dalla mia vista!” disse Luis agitando la mano pulsante per il dolore e Ron accettò il consiglio e se la diede a gambe.
Luis si voltò per andarsene, ma si trovò davanti Maribel e si accorse che gli arrivava a malapena sotto i pettorali.
“Che c’è?”
“Vuoi uscire con me?” gli aveva chiesto Maribel per la seconda volta e lui aveva scosso la testa.
“Bambina, io non esco con le squinternate, spostate e nane. Torna a casa prima che la mamma si preoccu-” Luis non aveva potuto finire la frase che si trovò a fare un volo nel fiume, Maribel lo aveva spinto.
“Fatti un bagno, stronzo!” gli aveva urlato poi allontanandosi scalza.
“Spero che tu e quell’imbecille vi riconciliate e facciate tanti bambini scemi!” urlò ricevendo un dito medio come ultima risposta dalla ragazza.
 La terza volta che si erano rivisti era in una caffetteria dove lui lavorava per arrotondare qualche soldo. Maribel era entrata per caso e, quando lo aveva visto, era marciata al bancone e si era seduta cominciando a fissarlo.
“Lo sai che meriteresti un ordine restrittivo?”
Lei lo aveva ignorato e gli aveva chiesto:
“Vuoi uscire con me?”
“No, soprattutto dopo che ho conosciuto Ron e che penso sia perfetto per te.”
Lei lo aveva guardato socchiudendo gli occhi risentita e poi aveva sbuffato.
“Allora sappi che verrò qui ogni giorno fino a che non accetterai... e fanculo Ron!”
Lui aveva sbuffato a sua volta e l’aveva ignorata, ma non aveva potuto far finta di niente quando Maribel aveva effettivamente fatto come si era ripromessa. Alla fine aveva accettato di uscire con lei per sfinimento e poi tutto il resto era storia.
 
 
“Non sei venuto a letto.” Disse Maribel distraendo Luis dai suoi ricordi e facendolo tornare alla realtà.
 “Nonna era sveglia quando sono arrivato, pensa che aveva svegliato la nostra mija alle quattro.”
Maribel sospirò guardando la madre che era presa a guardare l’ennesimo film di guerra, si sedette sul divano accanto al marito e gli accarezzò una delle tempie, l’unico punto della chioma corvina che aveva cominciato ad ingrigirsi.
“Hai avuto un turno all’ospedale, potevi lo stesso lasciare Santana a badare a nonna e tu venire a letto.”
“San è solo un’adolescente, passa già un sacco di tempo con la nonna, almeno la domenica ha diritto di fare un po’ quello che vuole e poi è uscita. ”
Maribel annuì e diede un bacio a stampo al marito che ricambiò e poi gli prese le mani in un gesto famigliare e affettuoso.
“Come è andato il turno all’ospedale?”
Luis andò con la moglie in cucina e le raccontò tutto quello che era successo con Blaine e Kurt e quando ebbe finito la donna lo guardò grave.
“Hai visto il figlio di Elisabeth...”
“Già, le somiglia moltissimo.”
“Lui e Blaine sono nella stessa stanza?”
“Sì, ma Bel, non c’è da preoccuparsi.”
 “Credi che lui sappia?” chiese Maribel ignorando le sue parole.
“Onestamente non credo, il mio nome non gli ha detto nulla. E se sa qualcosa non è certo tutto.”
“Sì, ma se Santana venisse a sapere che tu e Elisabeth siete stati insie-”
“Non ho fatto nulla di male Bel!- rispose irritato Luis- non è niente di cui vergognarsi! E un giorno Santana lo saprà comunque!”
“Si hai ragione, scusami.” Rispose la donna sapendo di aver oltrepassato una linea invalicabile nella vita del marito a cui lei era tagliata fuori, a differenza della Banda, per quanto essa fosse sfasciata...
I due coniugi bevvero ognuno il loro caffè in silenzio per qualche minuto fino a che Luis sospirò stanco.
“Tesoro?”
“Abbiamo intenzione di stare bene?”
Al dottore si spezzò il cuore sentendo il tono insicuro di sua moglie. Era per colpa di quello che aveva pregato Santana di non dirle alla madre che aveva pianto quel pomeriggio quando aveva avuto la notizia della morte di Elisabeth .
“Certo Maribel, noi stiamo e staremo bene. Non devi preoccuparti di questo.”
La donna annuì, finì il suo caffè e poi si alzò e guardò il marito con aria di scusa.
“Devo andare, ho il turno...”
“Lo so, stasera quando torni ti faccio trovare la cena pronta, ma forse ci vediamo prima, sono di reperibilità emergenze.”
“Speriamo di no.-sorrise Maribel, ma poi aggiunse preoccupata- ricordati di dire a Santana di rimanere sempre raggiungibile, sai... ”
“Glie l’ho detto stamattina, lo sa, appena torna dall’ospedale rimane a casa oggi..”
 
 
Luis aveva aspettato che Santana tornasse per affidarle la nonna per poter andare nel suo studio e chiudersi dentro. L’uomo estrasse una cartellina dalla sua ventiquattrore e l’aprì rivendo tutta la storia clinica di Kurt Calhoun. Attraverso i dati dell’assicurazione del ragazzo era risalito a tutte le cartelle cliniche e se le era fotocopiati, attento a non lasciare nessuna traccia .
Dentro la sua scrivania, dall’unico cassetto con la serratura, estrasse un’altra cartella e lesse il nome riportato sopra con affetto e nostalgia.
Confrontò i dati e scoprì un altro pezzo della vita di Elisabeth, trovando una delle risposte che aveva messo indirettamente fine alla loro relazione.
 
 
 
Arthur Hummel era un uomo pacato e silenzioso, con una corporatura forte e pesante, vivaci occhietti verdi e capelli grigi ondulati. Amava il ticchettio degli orologi, l’odore del legno, delle mattine cariche di rugiada, i libri di avventura e telefilm di ogni genere, soprattutto quelli medici e polizieschi.
Arthur era colui che con fatica aveva aperto l’officina Hummel e dopo la pensione aveva passato la gestione a Burt, ma la verità era che almeno una o due volte a settimana si metteva ancora la tuta da meccanico e dava una mano in garage, perché gli piaceva passare del tempo fra le macchine, costruendo anche qualcosa di intimo nel rapporto padre e figlio.
Arthur era sposato da quarantotto anni con Molly, si erano conosciuti e fidanzati il primo anno del liceo e si erano uniti in matrimonio un mese dopo averlo finito. Molly era tutto quello che lui non era: chiacchierona, invadente, rapida di pensiero e religiosa. Il loro non era stato sempre un matrimonio semplice, ma avevano avuto sempre la volontà di salvarlo quando le cose andavano male, era sempre stata Molly a recuperare in realtà, riusciva sempre a fare i passi indietro necessari a riportare le cose su dei binari sicuri.
Ringraziava il Signore ogni giorno per questa qualità di sua moglie, che tante volte lo aveva aiutato anche sul lavoro a scampare a delle situazioni disastrose o a spronarlo a lanciarsi in qualcosa che lui mai avrebbe pensato di fare per troppa paura delle conseguenze, come ad esempio l’apertura dell’officina. Aveva imparato sotto le armi l’arte di essere un meccanico e mai avrebbe pensato di mettersi in proprio, lo spaventava l’idea di aprire un’attività e caricarsi di un mutuo, soprattutto avendo un buon lavoro lautamente retribuito in un officina a 30km da Lima, ma sua moglie lo aveva convinto ed era stata la sua prima dipendente.
Ricordava ancora con affetto il momento di quando aveva visto sua moglie in tuta da meccanico, che con orgoglio gli aveva annunciato che aveva letto una quantità enorme di libri sulla meccanica delle macchine. (Era stata un ottima allieva e nel giro di sei mesi era stata in grado di lavorare quasi da sola.)
 
Amava sua moglie e con certezza poteva dire che Molly faceva altrettanto, anche se il loro non era stato quel tipo di sentimento travolgente che infuriava pieno di passione. No, loro avevano deciso di restare insieme, anche quando una mattina si erano svegliati e si erano resi conto che il battito del cuore nel vedere l’altro non c’era più, ma che si era trasformato in una comoda routine fatta da un confortante capirsi attraverso uno sguardo.
Molly era la donna che mai si era arresa con lui, nemmeno quando il 3 Agosto 1994 un’impalcatura di un palazzo gli era caduta addosso incrinandogli cinque costole e spezzandogli entrambe le gambe in fratture scomposte. C’erano voluti tre anni di riabilitazione per tornare in forma, anche se da allora per camminare usava un bastone per compensare il suo zoppicare vistosamente.
Arthur fissò sua moglie che guidava con attenzione e continuava a sgorgare parole sul nipote che stavano per conoscere, doveva ammettere che, scoprire che Burt aveva avuto un figlio da Elisabeth, lo aveva stordito.
Lui aveva adorato quella ragazza, il suo comportamento e il modo di ragionare l’aveva sempre ammirato, perché Elisabeth, nonostante le conseguenze, aveva sempre tirato fuori ciò che pensava, nessuna battaglia era troppo difficile per lei, anche se alla fine si era spesso ritrovata da sola a farlo.
 Ma tanto quanto lui ammirava Elisabeth, Molly altrettanto la odiava. Detestava le abitudini eccentriche che aveva ereditato dalla famiglia e la biasimava per quanto, a suo dire, fosse incapace di cucinare e di avere cura della casa, quando semplicemente la ragazza amava cibi salutari e non usava avere un piano di pulizie, per via dello scarso tempo dovuto al suo lavoro di giornalista. Sua moglie, soprattutto, disapprovava gli amici di Elisabeth, sostenendo che una donna sposata non poteva permettersi frequentazioni maschili senza essere accompagnata dal marito.
Arthur era convinto che Molly la detestava per quello che lui l’ammirava: Elisabeth era un anima libera e niente e nessuno aveva mai potuta legarla. L’uomo era sempre stato convinto, fin dall’inizio, che fosse per questo che sua nuora e Burt non fossero compatibili.
Suo figlio era un bravissimo uomo, ma per certi versi così simile a Molly: ancorato ai dittami della società e preoccupato del pensiero di chi gli stava attorno.
(questo non toglieva al fatto che fosse un uomo semplice ed estremamente intelligente.)
Burt aveva amato davvero Elisabeth, ma le abissali li aveva fatti fallire facendogli scegliere una donna più affine a lui, Carole.
Arthur non pensava che Elisabeth avrebbe mai potuto negare a Burt così tanto come un figlio, ma evidentemente si sbagliava, non aveva mai dubitato del cuore della donna, però, dopo tutto quello che era accaduto, non sapeva che pensare.
Sua moglie, dopo gli ultimi avvenimenti, era rabbiosa con la ex nuora e non riusciva a dargli torto, anche lui lo era, ma al contempo pensava che qualcosa non tornasse, da qualche parte in quella storia, secondo lui, c’era qualche elemento mancante...
“Arthur, attento quando scendi, lì il marciapiede è un po’ irregolare.” Lo avvertì premurosa Molly.
Arthur non fece in tempo a scendere dalla macchina che si trovò di fronte suo nipote Finn, evidentemente doveva averli sentiti arrivare.
“Ciao nonna.”
“Ciao tesoro, come va?” chiese sua moglie, mentre recuperava la borsa dal sedile anteriore.
“ Bene. Nonno lascia che ti aiuti.”
“Non ce né bisogno ragazzo. Piuttosto vieni qui e raccontami come è andato il test di matematica e se quello che abbiamo studiato era corretto!”
Arthur guardò Finn con orgoglio, adorava il ragazzo, era il miglior nipote che avrebbe mai potuto desiderare e che gli dava tantissime soddisfazioni. Certo, non era un genio a scuola, ma aveva un gran talento per lo sport e la meccanica ed era sicuramente un bravissimo ragazzo.
“Ovviamente ci hai azzeccato anche stavolta. Anche se ammetto che ho avuto lo stesso problemi con delle equazioni.”gli disse, mentre li accompagnava nel vialetto.
“Pensi aver preso la sufficienza? ” chiese dolcemente sua moglie.
“Spero di aver preso come minimo una C, anche se mi servirebbe una B per compensare l’insufficienza che ho preso nel compito precedente.”
“Quando ti riconsegneranno la verifica, verrò qui e vedremo cosa hai sbagliato e ti rispiegherò quello che non hai capito.”
“Nonno sarebbe fantastico!” disse Finn, mentre apriva la porta di casa per lasciarli entrare.
L’uomo avvertì l’eccitazione di sua moglie salire, era da giorni che non vedeva l’ora di conoscere Kurt. Molly aveva fantasticato molte volte su come fosse questo ragazzo, anche se aveva notato che nelle fantasie di sua moglie, il nipote, era una versione di Burt giovane o un ragazzo che avesse scritto in faccia il corredo genetico della sua famiglia, i Sellifield, da cui loro figlio aveva ereditato la perdita precoce dei capelli. (nel suo intimo sperava che il ragazzo non avesse preso questo dalla eredità genetica.)
 Arthur, a differenza di sua moglie, non aveva aspettative, era più travolto dal senso di emozione di conoscere questo nuovo nipote.
“Arthur, Molly, siete arrivati in orario perfetto, il caffè è uscito ora.”disse dolcemente Carole sulla porta pronta a prendere i loro cappotti.
Arthur sentì il grazie di sua moglie, ma anche un verso strozzato che lo fece immediatamente voltare per capire cosa l’avesse turbata.
Arthur era senza parole, in piedi, un po’ in disparte, dietro Burt c’era questo ragazzo minuto con un espressione incerta, vestito eccentricamente alla moda e che era il tutto per tutto la versione maschile di Elisabeth …
Sentì il cuore mancargli di un battito.
 
Kurt fissò l’entrata con un certa ansia, erano arrivati i famosi nonni.
Finito di sparecchiare era salito nella sua camera provvisoria a sistemare le cose che avrebbe avuto bisogno più frequentemente, come i suoi prodotti da bagno, il pigiama per la notte e il computer per video chattare con Thad e Sebastian.( si era fatto dare la password del wi-fi da Carole poco prima di salire.)
Burt gli aveva urlato dal salotto di scendere, con un sospiro appoggiò sul letto il computer e scese al piano inferiore in salotto, trovando Carole sorridente di fronte alla porta d’ingresso da cui vi entrarono una coppia di signori in sovrappeso (cosa della quale non era affatto sorpreso), di un’età che poteva variare tra i sessanta-sessantacinque anni.
L’attenzione di Kurt venne catturata dall’anziana, non era altissima- nemmeno i tacchi numero 8 che calzava l’aiutavano a slanciarsi più di tanto- vestita con capi non particolarmente pregiati, ma abbinati con gusto, specialmente nella scelta dei colori caldi. Aveva i capelli tinti rosso fuoco, che non gli piacevano per nulla, ma che si sposavano bene con il viso rubicondo e i vispi occhi nocciola. Appena dietro la donna c’era un uomo che somigliava moltissimo a Burt, ma che a differenza del figlio possedeva una folta chioma candida e un fascino elegante molto marcato.
Vide la signora girarsi e fissarlo con un’espressione stupita e poi emettere un suono strano.
 “In tutto e per tutto un Calhoun!” disse donna e a Kurt non sfuggì il tono contrariato con cui pronunciò quelle parole.
“Guardi che quello per me è il miglior complimento che potesse farmi!” rispose gelidamente alla nonna, che lo fissava per nulla soddisfatta.
“Sei bello come tua madre.” Sentì una voce calda parlargli dolcemente.
Arthur notò che al complimento inaspettato la pelle del giovane divenne rosata.
“Sei il ritratto di Elisabeth, Kurt. Piacere di conoscerti. Mi chiamo Arthur e questa è mia moglie Molly.” Disse allungando la mano per farsela stringere ed ebbe un moto di tenerezza quando vide l’incertezza con cui il ragazzo si avvicinò per ricambiare il gesto.
“È un piacere conoscere lei e sua moglie, signore! ”
“Per te Kurt, siamo Arthur e Molly, oppure nonno e nonna.”
Kurt si trovò improvvisamente impreparato al calore con cui gli sorrideva Arthur. Era più pronto ad affrontare e controbattere la fredda gentilezza di Carole, la riluttanza e arroganza di Finn, l’autorità despota di Burt o la contrarietà di quella Molly.
“Va benissimo Arthur e Molly.” sussurrò imbarazzato.
“Perfetto. Ora che ne diresti di accompagnare questo signore a sedersi sul divano, a fargli compagnia e magari provare a conoscerlo un po’?” domandò con un sorriso scherzoso l’anziano porgendogli il braccio che il ragazzo accettò, seguendolo docilmente.
Burt fissò incredulo il Kurt. Le loro interazioni erano state un disastro; con Carole era stato gentile, ma ritirato; con Finn aveva sfiorato la litigata e con sua madre era bastato un commento(Certamente non dei più felici) per fargli tirare fuori gli artigli. Invece, con suo padre Arthur, Kurt, sembrava completamente un’altra persona e questo in meno di tre minuti che si erano incontrati.
“Allora Kurt, che vuoi sapere di questo povero vecchio?”
“Signore, lei parla sempre di sé in questo modo?”
Kurt piacque la risata di Arthur, aveva un bel suono.
“Ragazzo, abbiamo detto che mi puoi chiamare Arthur.”
“Va bene.”
“Non sei un ragazzo di molte parole vero!?”chiese con un sorriso Arthur.
“In realtà sono un gran chiacchierone, esattamente come la mia mamma...”
Arthur notò che il ragazzo aveva pronunciato quelle parole imponendosi un certo controllo, immaginò che Burt non fosse stato poi così bravo a nascondere il proprio disprezzo per Elisabeth.
“Ma ora ti senti in imbarazzo, dico bene?”
“Un po’!” Kurt avrebbe sfidato chiunque a sedersi nel salotto di casa Hummel e non essere imbarazzato con tutti che lo fissavano, tranne Carole che stava servendo i caffè.
“Tu bevi caffè Kurt?”gli chiese Arthur.
“Sì.”
“Ah, nei vuoi Kurt? Scusami se non te l’ho chiesto, ma ho pensato che non lo bevessi, dato che non hai detto nulla.”disse Carole che in quel momento lo stava servendo alla suocera.
“Mi piacerebbe.”
“Dentro il caffè vuoi latte o zucchero o entrambi?”
“Nero va benissimo, grazie Carole.”
“Nero!? Che schifo!”disse Finn con le labbra arricciate per il disgusto.
Kurt fissò malissimo il ragazzo, chiedendosi se gli avrebbe sempre contestato tutti i suoi gusti.
“A me piace così!”
“Finn”Carole ammonì dolcemente il figlio quando si accorse che stava per parlare di nuovamente.
“Anche Elisabeth lo beveva così o ricordo male? ” chiese Molly con un tono che a Kurt non piacque molto, ma fece finta di nulla.
“Mamma lo beveva così dopo pranzo.” Confermò.
Carole gli servì una tazzina di caffè nero e lui la ringraziò, poi nel salotto cadde un silenzio scomodo, che ruppe poco dopo Kurt.
“Signore, posso fare una domanda?”
“Arthur.”
“Ok... Arthur sei stato un soldato per mestiere?”
“Come mai pensi questo?”chiese l’anziano sorridendo, rimanendo stupito che la prima domanda fosse una cosa del genere.
“La postura e la sua gamba.”
Arthur rise all’innocenza del ragionamento del ragazzo.
“Ho fatto il servizio di leva obbligatorio e in effetti mi porto dietro certe impostazioni militari.- confermò.- ho combattuto la guerra del Vietnam, ma per mestiere ho fatto il meccanico. La gamba invece è stato diciassette anni fa, mi è caduta l’impalcatura di un palazzo addosso. Sono sopravissuto per miracolo, ma e la gamba non è tornata più come prima e da allora zoppico.”
“Oh… io… mi dispiace.” Kurt sentì gli occhi pizzicare e che la sua voce non era stata per nulla stabile, comprese quanto fosse diventato sensibile a determinati argomenti.
L’uomo si rese conto della pessima scelta delle sue parole quando la reazione del ragazzo. Sapeva del crollo nervoso che Kurt aveva avuto il giorno prima e delle raccomandazioni del dottore.
“Mi spiace, non volevo farti piangere.”
“No, non sto piangendo! Mi dispiace, sono stato indiscreto e maleducato non dovevo chiedere. ” disse Kurt umilmente.
Burt si scambiò un’occhiata con Carole, nessuno dei due aveva una idea di come trattare con il ragazzo, soprattutto dopo gli avvenimenti del giorno prima.
“Ma cosa stai dicendo? Certo che dovevi chiedere! Ti dirò di più, nel tempo che sono stato in convalescenza mi sono scoperto un gran amante delle serie televisive! In modo particolare quelle ospedaliere! Molte erano così improbabili che mi facevano ridere a crepapelle!” disse con tono allegro l’uomo sotto lo sguardo divertito della moglie.
“Oh sì, posso confermare! Il Natale scorso gli ho regalato tutti i cofanetti della serie di E.R e di Grey’s Anatomy!”Molly confidò a Kurt con una risata, e il ragazzo sorrise con timidezza alla nonna.
Finn fissava la scena con la gelosia che saliva, era bastato che quel ragazzino facesse gli occhi che lacrimavano e i suoi nonni erano letteralmente impazziti per lui, lo detestava.
“Oh anche io e mamma adoravamo Grey’s Anatomy! Eravamo fan di dottor Bollore!”disse ridacchiando Kurt, non accorgendosi dello sguardo appuntito di Molly alla menzione della ex nuora.
“Oh sì! Anche a piace il dottor Sloan, ma ammetto che preferisco Sheppard!” disse con tono cospiratorio il nonno.
“Il padre di uno dei miei migliori amici è un fotografo molto richiesto e ha fatto dei servizi fotografici a tutto il cast di Grey’s Anatomy e, sapendo che io e mamma eravamo addirittura fanatici del telefilm, ci ha inserito nella troupe. Alla fine abbiamo fatto foto con tutto il cast con i costumi di scena! ”
“Sul serio?” chiese incredulo Finn.
“Sul serio!”
“Cosa ti è sembrata Lima da quello che hai potuto vedere?- chiese Molly cambiando discorso perché trovava mortalmente noioso quello in corso- bella, non è vero?”
Kurt si grattò la testa in difficoltà, non voleva dire apertamente che vista o no Lima non gli piaceva, così glissò con:
“Non ho visto quasi nulla, ma sembra ariosa. ”
“Avrai modo di vedere i pregi di qui.” Disse Arthur sorridendo.
“Purtroppo Kurt, come sapete- spiegò Burt- per il momento ha visto solo l’ospedale, ma nei prossimi giorni rimedieremo.”
“Di sicuro.”aggiunse Carole e Finn roteò gli occhi infastidito.
“Avevo dimenticato-disse Molly portandosi una mano al petto in modo teatrale- povero Blaine, anzi, poveri Anderson, sono una famiglia decisamente sfortunata.”
“Tesoro, non facciamo pettegolezzi.”pregò Arthur, ma Kurt guardò incuriosito la donna che, ignorando palesemente le parole del marito, si mise a raccontare.
“Nessuno sa cosa sia successo, si ipotizza che Melanie Anderson, la moglie di Richard, sia stata aggredita da un pazzo di passaggio o forse un ladro nomade che sparò a lei e Blaine, che era solo un bambino. Solo Blaine si salvò, ma da allora non ha più parlato. Richard ha cambiato anche casa, venendo in questa di fronte, sperando che il figlio riprendesse a parlare, ma non è servito. ”
 
“Ma è orribile.”Kurt sentì il sangue ghiacciarsi nelle vene , il cuore accelerare i battiti e di nuovo gli occhi pizzicare.
“Mamma, cambiamo discorso, per favore.” Disse con tono duro Burt capendo che quel discorso non era mai adatto, specialmente con Kurt in quel momento.
“Giusto- concordò la donna – ma sappi che c’è un sacco di gente che vale qui a Lima.”
“Ho conosciuto il dottor Lopez, sembra davvero grande... anche sua figlia Savannah non sembra male.”
“Santana- lo corresse Finn - e ti assicuro che lei è tutto fuorché che una bella persona. ”
Burt, internamente, estese il discorso a Luis.
“Perché?” chiese Kurt disorientato.
“La famiglia Lopez è particolare.” Cercò di chiudere il discorso Carole, ma Molly aggiunse:
“Quella ragazzina è una dannazione! Qui a Lima non c’è nessuno più maleducato di lei! Una attaccabrighe. Anzi, ora sono molto vicina alla mamma di Noah che è preoccupata che suo figlio la frequenti. Lei avrebbe voluto che lui si avvicinasse ad una brava ragazza ebrea. Luis Lopez potrà essere un bravo medico, ma la dice lunga su come ha allevato quella ragazza. Una piaga davvero.”
Kurt cominciò a trovare Molly decisamente fastidiosa, in quei pochi minuti che l’aveva conosciuta non aveva fatto altro che sparare giudizi e fare pettegolezzi.
“A me la famiglia Lopez piace- aggiunse ridacchiando Arthur – e anzi ammiro la fantasia di quella ragazzina a creare soprannomi, com’è che ti ha rinominato Finn?”
“Frankenstein o bietolone o Finnonce.”
“E ti sembra simpatico che prenda così in giro nostro nipote?”chiese Molly con sdegno, che riempì il cuore di Finn di affetto.
“Avanti Molly, sono ragazzini! Un giorno rideranno su questo. Anche io a quell’età venivo preso in giro da Frank e oggi ci ridiamo sopra.”
“Sarà...” dissero in coro poco convinti sia Finn che Carole, mentre Burt si astenne dal commentare qualsiasi altra cosa. Non amava Santana Lopez e non gli era piaciuto l’incontro che aveva avuto con Kurt. Si appuntò mentalmente di dire a Finn di controllare che Kurt a scuola gli stesse lontano. L’ultima cosa che aveva bisogno era di nuovo la presenza costante di un Lopez nella sua vita.
“Ma dimmi un po’ Kurt – cambiò di nuovo argomento Arthur- l’attrice di Callie è davvero così bella e giunonica?”
“La tv allarga, ma lei è molto bella.”
“Quindi grazie al padre del tuo amico incontri spesso gente famosa?” chiese con una celata gelosia Finn.
“In realtà Adrian ha fatto un eccezione solo quella volta, perché io e mamma amavamo quel telefilm in maniera particolare! Anche perché, per il lavoro che faccio, ho spesso lavorato con attori famosi.” disse con molta tranquillità Kurt, anche se con una punto di orgoglio.
Nella stanza cadde un silenzio incredulo tra i presenti che cercavano di elaborare al meglio quella informazione.
“Tu lavori?” domandò Molly.
“Sì, sono un attore di Broadway , ormai da anni. La mia scuola superiore a New York puntava a quello: darci una formazione artistica completa per accedere al meglio a scuole di Arte drammatica o compagnie teatrali o set o altro...-Kurt a quel punto fissò gli occhi su Burt e con una punta di risentimento aggiunse- infatti se non cambiavo scuola avevo tutte le credenziali necessarie per entrare all’Actor Studio o alla NYADA o alla Juilliard senza nessuna fatica.”
Burt a quella affermazione si mosse un po’ a disagio, ricordando quanto gli amici di Kurt avessero fatto di tutto per farlo rimanere.
“Ma se hai talento- affermò sicuro Arthur- anche se farai un po’ di fatica, vedrai che riuscirai lo stesso ad accedere al tuo sogno. ”
Kurt annuì di controvoglia sapendo che l’anziano aveva ragione, ma dall’altra parte lui era stato allontanato dalla sua vita e questo a Burt non poteva perdonarlo.
“Quindi hai già recitato a teatro in ruoli importanti?” chiese Carole, sentendo riaprirsi la stessa sensazione di inferiorità che provava da adolescente quando sentiva le notizie sensazionali che contornavano la vita di Elisabeth.
“Sì, qualcuno. il più importante è stato in Hellen Keller. ”
“Non la conosco.” Ammise Carole e Kurt animato si mise a spiegare.
“È una storia vera di una bambina sorda e cieca, nata intorno al 1880, e di come la sua educatrice, Anne, riesce ad insegnarle a comunicare, facendole scoprire che intorno a lei c’è un mondo, una madre, un padre e un fratello. Una storia emozionante.”
“Quindi tu eri il fratello di Hellen.” Affermò Molly e Kurt scosse la testa.
“Io ero Hellen.”
Nella stanza cade di nuovo un silenzio sorpreso.
“Quindi ti sei vestito da femmina?”
“Sì Finn- fece irritato Kurt per il tono dell’altro ragazzo- ero anche una bella bambina, con una bellissima parrucca fino a metà schiena e una pregiata sottoveste di pizzo.”
“Allora Kurt –Molly decise di cambiare per l’ennesima volta argomento capendo del nervoso che correva tra lui e Finn – che mi dici? A New York hai una bella fidanzatina?”
Kurt guardò la nonna odiando già il termine fidanzatina.
“Solo ex e buoni amici.”
“Tranquillo, anche qui ci sono un sacco di ragazze, sono sicura che tra qualche mese ne avrai di certo una anche tu, esattamente come Finn.- rise Molly e con orgoglio aggiunse- Gli Hummel, in fatto di cuori, sono una brutta razza! E ora che lo sei anche tu vedrai!”
Burt pensò che quella fosse una buona domanda e si diede dello sciocco per non averla posta lui a New York. Kurt, invece, sbuffò irritato e con tono stizzito puntualizzò:
“Non aspiro ad essere un ruba cuori, non è il mio genere. E poi ho lasciato un ex-fidanzato e non un’ ex-fidanzata! E sono sicuro che difficilmente qui riuscirò a farmi una storia, da quello che mi aveva detto la mamma questa non è la cittadina più ospitale per un omosessuale.”
“Tu cosa?” urlò Burt incredulo.
Carole fissò Kurt, vedendo per la prima volta una crepa nell’immagine brillante del ragazzo, sentì come una sensazione di sollievo, come se Elisabeth, per una volta, non fosse riuscita a fare qualcosa meglio di lei. Pensò anche che Burt non avrebbe mai potuto amare il figlio naturale più di Finn, ma subito si vergognò di quel pensiero.
“Io sono gay!- gli occhi di Kurt si illuminarono di comprensione-non mi dire che se lo avessi saputo non mi avresti portato qui e mi avresti lasciato vivere la mia vita tranquillo...”
Burt ancora non riusciva a credere a quella notizia, non poteva essere vera, ed era certo che non lo fosse.
“No e no! Stai mentendo! Tu dici così solo perché vuoi tornare a New York.”
Kurt spalancò gli occhi allibito e sputò le parole successive con rabbia.
“Tu sei totalmente fuori di testa! Io non lo dico per divertimento! Se non mi credi, scrivi Kurt Calhoun su internet e troverai alcuni articoli su di me che affermo di essere gay e del mio impegno per i diritti degli LGBT: lesbiche, gay, bisessuali e trans. E sì, prima che tu lo chieda, mamma lo sapeva e mi accettava tranquillamente.”
“Tu sei troppo giovane per essere conscio su una cosa del genere.”disse Molly.
“Ma che discorsi!?-esplose del tutto Kurt- Allora anche Finn è troppo giovane per essere sicuro che gli piacciano le ragazze.”
“E no, io so che mi piacciono. Io sono etero.” Fece Finn con orrore a quella insinuazione.
“Notizia dell’ultima ora: io sono, senza nessun dubbio, omosessuale.”
“Non dire fesserie.” rimarcò Molly e Kurt si girò inviperito.
“Fesserie? Non dico fesserie!”
 “Quella donna!-urlò Burt furioso, col viso rosso e le vene del collo in evidenza e Kurt istintivamente si ritrasse spaventato.-Ogni cosa ha rovinato, con le sue idee malsane! Tu non sei un fottuto omosessuale, Kurt! Sei mio figlio, non puoi esserlo! Quella donna ti ha fatto il lavaggio del cervello!”
“Burt cosa dici!?” disse Arthur parlando per la prima volta da quando era esplosa quella bomba sulla famiglia Hummel.
“POSSO AVERE IL TUO SANGUE-urlò Kurt diventando a sua volta paonazzo- MA TU NON SEI MIO PADRE, NON LO SARAI MAI!”
“NON OSARE RAGAZZO! IO LO SONO, CHE TI PIACCIA O MENO!”
“MA IO NON TI CONSIDERO TALE! E MAMMA NON ERA QUELLA DONNA, MA ERA LA DONNA ECCEZIONALE CHE NON MI HA MAI FATTO MANCARE NIETE! E NON STO PARLANDO DI SOLDI O QUALCOSA DI MATERIALE, MA DI QUESTO.” Kurt si diede dei forti colpi al petto all’altezza del cuore.
“LA DONNA ECCEZIONALE CHE TANTO DECANTI HA UN MUCCHIO DI SCHELETRI NELL’ARMADIO CHE NEANCHE IMMAGINI! UNA PERSONA ECCEZIONALE NON SPARISCE COME HA FATTO LEI!”
 
“FINITELA!”Arthur si alzò mettendosi in mezzo per cercare di chetare quella discussione, che stava degenerando oltre una possibile riparazione.
 
“CONOSCENDOTI SONO CONTENTO CHE L’ABBIA FATTO! E ANCHE FOSSE VERO QUELLO CHE DICI TU, SAPPI CHE TU, AL SUO CONFRONTO, NON VARRAI MAI UN SUO MILLESIMO!”
 
“E QUESTO CHE PENSI!?”
 “SI’, E PENSO ANCHE CHE TU NON HAI IL DIRITTO DI PARLARE DI LEI! IO NON SO COSA È SUCCESSO TRA TE E MAMMA, MA SONO SICURO CHE È COLPA TUA SE LEI SE NE È ANDATA, VISTO LO STRONZO CHE SEI!”
“E QUESTO CHE PENSI!?-richiese Burt sempre più furioso.- BEH LASCIA CHE TI DICA COSA PENSO IO: TI HA CRESCIUTO COME UN MOCCIOSO VIZIATO, UNO SMIDOLLATO CHE NON HA SANI PRINCIPI, NE UNA VERA EDUCAZIONE! E DA COME PARLI DI LEI, SI VEDE CHE TI HA COMPLETAMENTE ANNULLATO IL CERVELLO!”
Kurt sentì la rabbia pompargli nelle vene, ma era sicuro che aveva ragione su qualcosa e infatti disse:
“IO NON SONO STUPIDO E NEANCHE TUTTO IL RESTO CHE PENSI DI ME! ORA HO LA CONFERMA CHE TU NON HAI NEMMENO IDEA DI CHI ERA MAMMA! DIMMI PERCHÉ AVETE DIVORZIATO? COSA HAI FATTO HUMMEL!”
“NON SONO AFFARI TUOI!”
“CERTO CHE LO SONO, SE SONO QUI! E ANZI, VUOI CHE ANALIZZIAMO UN PO’ LA SITUAZIONE? A TE PIACE LA VITA DA UMUNCOLO TRADIZIONALISTA, CHE AMA ESSERE MESSO ALL’INGRASSO DA TUA MOGLIE, TI PIACE GIOCARE ALLA FAMIGLIA DA COPERTINA CON IL FIGLIO PERFETTO: STAR DELLA SCUOLA E QUARTERBACK! SEI TALMENTE OTTUSO CHE QUALSIASI COSA CHE SI DISCOSTA LEGGERMENTE DA QUESTA IDEA ALLORA NON VA BENE!”
“EHI TU! NON TI PERMETTERE AD INSULTARE I MIEI GENITORI” Finn si alzò in tutta la sua imponente altezza e stazza.
“TU STA ZITTO! QUESTA È UNA DISCUSSIONE TRA ME E BURT! E POI SE AVESSI VOLUTO INSULTARE TE E CAROLE AVREI USATO ALTRI TERMINI. STO PARLANDO DI STILI DI VITA, FINN! ASCOLTA , PRIMA DI COMPORTANTI DA BUTTAFUORI!”
“ Stai insultando mio padre.” Ringhiò Finn.
“Giusto, questo è vero! Ma tuo padre sta insultando senza nessun riguardo mia madre e me! E non ho cominciato io. Se si dice qualcosa, poi è ovvio che c’è una reazione.”
“BASTA!”Urlò Arthur che si stupì di come Kurt in quel momento fosse identico ad Elisabeth.
“Elisabeth Calhoun -riprese Kurt - era una donna, anzi, un’anima troppo libera e indipendente per te! Sono certo che lei ha le sue colpe in questa storia, ma sono ancora più certo che le maggiori sono le tue, Hummel.”
“Sono rimasto ad ascoltarti fino ad adesso, ma ora so che tu non hai veramente idea di chi fosse tua madre!”
“Tu lo dici a me che ci ho vissuto insieme per quindici anni!? Allora vuoi dirmi che neanche Finn conosce sua madre?”
“Carole è una brava donna, a differenza di quella carogna di tua madre!”
“MI FAI SCHIFO!” Urlò Kurt, ma prima che se ne rendesse conto aveva una guancia in fiamme per una forte sberla di Burt.
Nella stanza cadde un silenzio sorpreso e sgomentato, Burt stesso lo era per il suo gesto.
Kurt si portò una mano alla guancia e fissò il padre con gli occhi lampeggianti di lacrime.
“Mamma non mi ha mai toccato neanche con un dito. Se litigavamo risolvevamo con le parole... lei me lo aveva insegnato e sai perché? Perché diceva che chi usa le mani è un Neanderthal e un essere umano della peggior specie! Ed è esattamente quello che penso di te! Io sono gay e ho amato e amo profondamente mia madre e non rinnego nessuna delle due cose! Ne ora, ne mai! È da quando ti ho conosciuto che ti sei messo di impegno a rovinarmi la vita, ma io non ti permetterò di farlo del tutto! Appena compirò diciotto anni, tu non mi vedrai mai più! ”
“Kurt.”provò ad avvicinarsi Burt ma il ragazzo si scostò.
“Stammi lontano!”Disse facendo alcuni passi indietro per poi scappare su per le scale.
Arthur fissava il punto dove era scomparso il ragazzo e fece un sospiro pesante, quella situazione era un enorme casino.
 

[1] Cincinnati Reds, ovviamente da Cincinnati
[2] Cleveland Indians, da Cleveland
[3] Uno stuntman o cascatore è un acrobata particolarmente esperto nel fingere cadute, tuffi, salti e scene pericolose in genere (in inglese stunts). Nei film, in particolare d'azione, i cascatori fanno da controfigura agli attori protagonisti nelle scene più pericolose.
 

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Capitolo 8
*** Mamma, io sono... ***







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Blaine guardò il soffitto della sua stanza annoiato, mentre Cooper, accomodato su una sedia,  sfogliava una rivista spazzatura che aveva comprato per sbaglio.
“Ehi schizzo lo sapevi che il viso di Toby McGuaier è leggermente assimetrico?”
“Per questo Toby non potrà mai essere il signor Anderson...” rispose Blaine grattandosi sopra il collare che gli dava prurito.
“Blaine già parli poco e quando lo fai dici stronzate non c’è gusto. Ti pare che questo ti sposerebbe?”
“Ehi, non insultare! Se a Hollywood mi conoscessero, si metterebbero in fila per sposarmi! Uomini, portatrici di vagina e anche quelli sessualmente confusi.”
Cooper osservò il fratello qualche secondo e poi scosse la testa.
“Perché non mi grazi come tutti e fai finta anche con me di essere muto.”
“Io non faccio finta, sono un muto selettivo.”
“Ma smettila.”
Blaine sbuffò e borbottò:
“Parlare con te di uomini e come parlare con me di assorbenti: non me frega perché non li userò mai!”
“Uhmmm schizzo alta letteratura questa.”
“Però sono interessato alle dimensioni dei tampax.”
“Ma che schifo- Cooper fece una smorfia inorridita- toh! Prenditi il poster in mezzo alla rivista.”
Blaine prese il foglio piegato a quattro che gli diede il fratello e lo aprì e fece una faccia soddisfatta.
“Oh Joe Manganiello, presto signor Anderson... Joe Anderson.”
“Scusa, ma la pantomima che hai fatto per l’infermiere di stamattina?”
“Ma te ne sei accorto!?”
“All’inizio no, ero troppo addormentato per capire la differenza. Però schizzo, io non sono papà!”
Blaine annuì e poi mise il broncio
“Jonathan mi ha tradito.”
“Per me è solo un uomo etero.”
“togli quella brutta parola vicino ad uomo.”
“Per me?”
“No, etero.”
“Ma è vero.”
“Sì me ne sono accorto anch’io oggi, che quando è venuta Santana a trovarmi e lui era tutto interessato ai suoi sacchi di sabbia. ”
“Tette.”
“ Le mie sono molto più belle.”
“I tuoi sono pettorali.”
“Comunque Santana è una stronza che ruba quelli che piacciono a me, anche se non se lo è filato di striscio.”
“Lei non sa che sei gay e poi è la tua migliore amica e per finire se non se lo è filato, tecnicamente non ha fatto nulla.”
“Certo che è la mia migliore amica!”
“Ho capito, ma allora perché la chiami stronza? Se le vuoi bene, non dovresti usare questi epiteti su di lei.”
“Non glie li ho mai detti, sono muto, ricordi?”
“Sì, ma selettivo.”
“Dettagli. –rispose Blaine  non curante- e comunque non insultare Santana, se lo fai te la devi vedere con me.”
“Ma l’hai insultata.”
“Di certo non picchio me stesso. Lei è la mia migliore amica e io posso insultarla, anche Brittany se mi va.”
“ E gli altri?”
“Li picchio a sangue, come sempre. Loro sono le mie ragazze, nessuno può mancargli di rispetto.”
“Puck?”
“Puck adesso è sulla mia lista nera, non mi piace.”
“Perché?”
“Passa da San a Zizos in continuazione.”
“Ma pensa te.- Fece incredulo Cooper non capendo come Puck potesse tradire la latina con la wrestler e viceversa.- e Santana lo accetta?”
“Litiga con Zizos, infatti.”
“Quella non ha proprio amor proprio.”sospirò il ragazzo più grande.
“Anche io ho litigato con Zizos.-Disse orgoglioso Blaine- mi ha fatto fare un volo... però dopo l’ho stesa.”
“Le donne non si toccano!” si arrabbiò Cooper.
“Ma è nel club di lotta libera.”
“Non c’entra!”
Blaine si mosse cercando una posizione comoda, ma il collare glie lo impediva.
“Cambiando discorso Cooper, non dovresti fare gli occhi dolci al figlio dell’uomo che mi ha investito.”
“Il figlio di Hummel, il nostro vicino da anni?”
“Posso rimarcare un concetto, se mi va!? Sì, lui.”
Cooper si alzò e si stirò la schiena e poi si sedette sul letto del fratello.
“Schizzo, io sono etero, non guardo i maschi. Dovresti saperlo dopo tutte le ragazze con cui mi hai visto uscire.”
“Non sto mica dicendo che tu sei gay- rispose con tono odioso Blaine - ma lo sto dicendo di quell’altro. Si fiuta lontano un miglio che è gay.”
Cooper rimase in silenzio un secondo digerendo quella notizia e poi scosse la testa.
“Ma nemmeno lo conosci.”
“Oh Coop! Ma sei scemo!? Capisci che io fingo di star male e non vedi uno che ti fa la radiografia.”
“Non è una bella battuta.”
“È bellissima, visto che stiamo in ospedale.”
Cooper sospirò e si stropicciò il viso stanco.
“Blaine se avessi ragione, lo sai che quel ragazzo è andato ad abitare con l’uomo che ha dato del frocio a nostro zio Thommy!? ”
“Sì lo so, spero per lui che sia abbastanza furbo da starsene zitto. Se no richiamiamo lo zio Aron e gli facciamo dare  di nuovo una ripassata a quel pelato.”
Era successo dopo il funerale di loro madre, durante il rinfresco.
Thomas Penpeng  abitava ormai da anni a Columbus e si era presentato al funerale della sorella con  il suo compagno. Tutti avevano sempre sospettato che l’uomo fosse gay, ma nessuno, a parte i ragazzi della Banda e qualche altro, lo sapeva con certezza, non fino a quel giorno.
Burt Hummel in realtà non voleva insultare nessuno, ma aveva commentato con alcuni:
“Lo immaginavo che Thomas fosse un frocio.”
Aron Puckerman, migliore amico di Melanie, lo aveva sentito e si era avventato sull’uomo e gli aveva mollato un pugno. Non era scattata una vera rissa solo perché le persone gli avevano bloccati e Luis si era messo in mezzo ai due uomini, aveva impedito il degenerare del tutto e al contempo peggiorato il suo astio contro Burt, umiliandolo davanti a tutti, ricordandogli che il “frocio” era il fratello della donna morta e zio di Blaine, che in quel momento era in coma.
 
Cooper scosse la testa incredulo e si passò una mano nella folta chioma di capelli.
“Sembra quasi una barzelletta. Povero ragazzo.”
 
 
Kurt, dopo un pomeriggio passato sul computer a utilizzare internet per sistemare alcune cose, aveva fatto delle chiamate Skype a Thad, Sebastian e loro famiglie.
Non aveva raccontato loro quello che era successo quel giorno a pranzo, anche se una parte di lui avrebbe voluto, ma l’immagine web dei loro volti preoccupati lo avevano frenato. Pensò che in ogni caso non avrebbero potuto fare nulla per aiutarlo in quella situazione, si sarebbero solo angosciati a saperlo infelice, Sebastian e il padre Etienne in modo particolare, che nei suoi confronti erano molto protettivi.
Quando aveva spiegato perché non aveva potuto chiamare prima, c’erano stati commenti apprensivi. Non aveva raccontato tutta la verità, ma si era limitato a dire che lui e Burt avevano investito, per fortuna non in maniera grave, un ragazzo. Si era tenuto per sé del crollo che aveva avuto, aveva fatto credere di essere stato in ospedale dietro a quel Blaine Anderson, alle scartoffie varie e anche di aver deposto per l’incidente.
Ai suoi amici poi aveva raccontato del giudizio non molto entusiasta che gli aveva fatto la famiglia Hummel, ma sia Carmen che Blanche lo avevano incoraggiato a non fermarsi ad una prima impressione.
Kurt sapeva come quelle parole d’incoraggiamento costassero a tutti i suoi cari, dentro di sé pensò che se avessero saputo la verità gli avrebbero detto esattamente il contrario e le sue nonne, con l’aiuto dei nipoti, avrebbero guidato fino in Ohio per rapirlo, ma non prima che nonna Carmen e Sebastian avessero fatto passare un brutto quarto d’ora a Burt. 
Salutarli era stato difficile, ma aveva avvertito un’enorme stanchezza a far finta che la situazione fosse migliore di quanto non fosse.
Carole alle otto aveva bussato alla sua porta e gli aveva chiesto se voleva scendere per cena, la ringraziò, ma disse che non aveva fame; la donna gentilmente provò a convincerlo, ma lui rifiutò.
Intorno alle nove della sera sentì dei passi di fronte alla sua porta, come se qualcuno stesse raccogliendo il coraggio per bussare, ma non lo fece e invece si allontanò. Immaginò che fosse Burt. Era felice che non avesse cercato un contatto, si sentiva rabbioso e stanco e sapeva che se avessero parlato non si sarebbe certo risparmiato per uno scontro, anzi lo avrebbe accentuato.
Quando fu sicuro che tutti gli abitanti della casa fossero addormentati, uscì dalla stanza degli ospiti  e andò in bagno. Non vedeva l’ora di avere agibile la mansarda che col bagno personale  gli garantiva di ridurre al minimo i contatti fra lui e la famiglia Hummel.
Studiò nello specchio la guancia dove aveva ricevuto lo schiaffo, era leggermente gonfia. Burt era un uomo con una notevole forza.
Si lavò il più velocemente possibile e quando ebbe finito aprì la porta del bagno e quasi lanciò un urlo dalla sorpresa e lo spavento: trovò Bob con la sua lingua a penzoloni e il suo respiro pesante, seduto ad attenderlo.
“Sciò, pussa via! Vattene!” provò, ma il cane non ne volle sapere di spostarsi e prese a muovere il fondoschiena emozionato.
“No, vattene!” Bob si buttò a terra a pancia all’aria e cominciò a dimenarsi.
“Bob e questo che starebbe a significare?” chiese esasperato al cane che gli stava bloccando la via d’uscita, che sentendo il suo nome si era rimesso in piedi ed aveva abbaiato.
“No!” Kurt, preso dal panico che qualcuno della famiglia Hummel avrebbe potuto venire a vedere cosa stava succedendo, aveva saltato l’animale ed era tornato in camera e aveva chiuso la porta.
Il cane lo aveva seguito, ma trovando la porta chiusa aveva preso a grattare sul legno ed a uggiolare lamentoso.
“Zitto!”
Bob sentendo la sua voce aveva preso ad uggiolare più forte. Kurt aveva paura che Burt o Finn si svegliassero e venissero a chiedergli che cosa aveva fatto a quella povera bestia; a malincuore aprì la porta e il cane emozionato entrò quasi inciampando su se stesso, girò la camera e annusò interessato la valigia.
“No! Bob! No!”
Il cane sembrò ignorarlo e alla fine del suo giro di perlustrazione si distese sul tappeto vicino al letto.
Kurt osservò Bob chiedendosi se non fosse il caso di aspettare un po’ per farlo uscire dalla stanza e riportarlo di sotto. Carole gli aveva detto che in cucina il cane aveva una sua personale entrata e uscita per il giardino posteriore, che era uno spazio adibito appositamente per lui.
“Che devo fare con te!?” si chiese esasperato, ma poi si rese conto che Bob si era addormentato.
“Ma come!? Ti è bastato metterti giù e ti sei addormentato? Assurdo!” sospirò sconfitto, appurando che per quella notte Bob non si sarebbe mosso.
Si infilò a letto sperando di addormentarsi in fretta come il suo improvvisato compagno di stanza, ma...
“Argn, argn”
“Non solo la mia vita fa schifo, ma ora ho anche in camera un cane prepotente che russa come un trattore!”
“Argn, argn”
“Shhh! Basta!”protestò irritato, ma non servì a nulla.
Kurt non voleva toccare l’animale, aveva paura che lo mordesse se lo avesse svegliato, ma poi la pesantezza di tutta la giornata gli crollò addosso lo stesso.
“Mamma come vorrei che tu fossi qui!” sibilò prima di addormentarsi.
 
 
Kurt era stanco di sentire Sebastian e Thad parlare di ragazze, sembrava che ormai non esistessero argomenti al di fuori di queste.
Il ragazzino era stufo di sentire di parlare di baci, di svezzamenti sessuali e di suggerimenti avuti da degli amici che i due ragazzi più grandi avevano in comune.
“Poi senti qui che mi ha detto Andrew-”cominciò Sebastian per venire interrotto da Thad.
“Andrew Lerman?”
“No Henson! Insomma, mi ha detto che al la sua ragazza le piace che le si parli sporco mentre lo fanno! La fa eccitare!”
“Ma guarda Margaret con quella faccia da santerellina! ”commentò ridacchiando Thad.
Kurt si sentiva la faccia in fiamme dall’imbarazzo, lui non voleva sentire parlare di queste cose! Thad e Sebastian sembravano dimenticare che lui avesse undici anni e che forse era ancora troppo piccolo per quelle cose, non che non le capisse, ma aveva altre priorità in quel momento.
I suoi amici però parevano non farci caso e spesso si perdevano in discorsi volgari.
Per loro le ragazze venivano considerate, a suo parere stupidamente, solamente quando erano in posizione orizzontale in certe situazioni, non parlavano mai se queste, ad esempio, erano carine o intelligenti o spiritose.
Kurt da un paio d’anni non riusciva a capire i due ragazzi che prima, nonostante l’evidente differenza di età fra loro, avevano sempre fatto di tutto per non farlo sentire escluso, ma in quel periodo invece succedeva solo il contrario.
Prese ad ignorare i discorsi volgari dei suoi amici e si perse ad osservare la gente intorno a loro.
Quella domenica Central Park era bellissimo e pieno di persone, gli scoiattoli giravano per il prati saltando e rubando i pezzi di pane che la gente lanciava per i piccioni e i passerotti.
Si beò di un raggio di sole che passava dalle fronde dell’albero sotto il quale erano seduti. La prima metà di Maggio era uno dei suoi periodi preferiti, grazie a quel caldo non troppo soffocante e il vento  fresco che rendeva le giornate secondo lui perfette.
I tre ragazzi si erano sistemati nella zona di Arthur Ross pinetum, una di quelle che preferiva, dato che era una delle meno battute dai turisti, ma più dalle famiglie e gli abitanti newyorkesi per le sue numerose panchine, la zona gioco per i bambini e gli attrezzi per tenersi in forma.
Il suo sguardo fu catturato da una mamma con il proprio bambino che si rincorrevano, si sentì immediatamente triste.
Era da mesi che Kurt e sua madre, dopo che lei gli aveva svelato che suo padre era stato uno sconosciuto di una notte, non riuscivano più ad essere sereni l’uno con l’altra, il loro rapporto era andato completamente in frantumi e dove prima c’erano risate e complicità era rimasto silenzio e distanza.
Kurt non poteva certo chiedere scusa, perché in realtà non era pentito di aver provato rabbia. Era rimasto ferito dalla verità e si era chiuso a riccio su se stesso e sua madre aveva fatto lo stesso. Non riusciva a trovare la forza per creare un nuovo punto di incontro tra loro anche perché era un periodo molto confuso per lui. Aveva sempre saputo di essere diverso dai suoi coetanei, ma da un po’ di tempo a quella parte aveva avuto un’ulteriore conferma... avrebbe voluto qualcuno con cui confidarsi, chiunque, ma non sua madre.
Kurt temeva che se avesse saputo la sua ulteriore diversità lo avrebbe odiato e lui preferiva non avere la conferma dei suoi timori.
Codardo!? Forse, ma sapeva che non avrebbe retto a vedere il disgusto negli occhi della persona che amava di più al mondo.  
Kurt aveva undici anni e si sentiva solo, era un sentimento che lo corrodeva da mesi. Non sapeva nemmeno se poteva definire Thad e Sebastian ancora suoi amici: non avevano  notato che dell’incrinatura del rapporto con sua madre, ne che in quel periodo era particolarmente turbato per qualcosa e lui non si era sentito comodo di confidargli ciò che gli era stato detto su suo padre.
 
“Che ne dite se domani pomeriggio noi tre andiamo a vedere un film al cinema?” chiese improvvisamente Sebastian e Kurt si aprì in un enorme sorriso alla proposta.
Non riusciva a ricordare quando fosse stata l’ultima volta che fossero andati al cinema solo loro tre, dato che oramai era abitudine che Thad e Sebastian si portassero al seguito le ragazze del momento, finendo  sempre a darsi un gran da fare a scambiarsi la bava e ad emettere rumori osceni, mentre lui era l’unico a guardare il film, accompagnato da un bicchiere gigante di popcorn che spesso nemmeno mangiava.
“Andiamo a vedere qualche vecchio film? Mi piacerebbe qualche commedia con Rock Hudson e Doris Day.” disse eccitato Kurt alla prospettiva del cinema.
“Non mi va di vedere una commedia romantica! Già mi tocca farlo quando sto con Harriet e devo pure far finta che mi piacciano quei filmetti spazzatura che guarda! Vorrei una pausa da frivolezze da vomito! No, qualcosa d’azione.” Disse categorico Sebastian.
Kurt fissò l’amico chiedendosi da quand’è che si vedesse con questa Harriet, dato che un paio di settimane prima stava con una certa Brenda.
“Mi dispiace ma passo! Domani Samantha ha la casa per sé e naturalmente vorremmo approfittarne!” disse Thad con un tono che sottintendeva molte cose.
Kurt ci rimase male, i suoi amici mettevano sempre al primo posto le ragazze del momento prima di lui.
“Ma dai non mi puoi lasciare da solo con lui, è un bambino!”protesto Sebastian.
Il ragazzino fissò incredulo i suoi amici, d’accordo che lo immaginava cosa pensassero, ma non credeva che glielo dicessero in faccia in quel modo.
“Beh ti tolgo il problema Sebastian, tu domani puoi andartene da solo al cinema! Anzi sapete che c’è!? Noi tre proprio non ci vediamo più, se non alle prove della compagnia! Io sarò pure bambino, ma sono comunque più maturo di voi! Perché io non vi ho mai messo da parte per niente e nessuno! Io mi sono sempre comportato da vero amico a differenza vostra!” finì freddamente Kurt,  lasciando spiazzati i due ragazzi più grandi.
“Senti, non farla tragica! - disse il più gentilmente possibile Sebastian.- Sei un bambino. È ovvio che io e Thad abbiamo altri interessi al momento, anziché i cartoni animati!”
“Piacciono anche a voi i cartoni della Disney! Non raccontiamoci storie!”
Thad annuì concorde.
“Sì, è vero, i cartoni animati della Disney piacciono anche a noi! Però Kurt, non è per offenderti, ma io e Sebastian abbiamo 14 e 15 anni è ovvio che abbiamo un interesse per le ragazze! Siamo adulti! E tu hai solo 11 anni!”
“Dodici in tre mesi!”puntualizzò seccato il ragazzino.
“Ma allora sei un bimbo grande!”lo canzonò Sebastian beccandosi da Thad un’occhiataccia e una gomitata sul braccio per farlo smettere.
“Falla finita di prendermi in giro! Voi due avete un concetto strano del crescere! Non fate altro che parlare di ragazze e di quello che vorreste o fate sessualmente con loro! E, se proprio lo volete sapere, penso che siete due cretini, stronzi e insensibili! Sputtanate quella che dovrebbe essere la vostra ragazza, che in teoria amate, con i vostri amici grandi, vantandovi di imprese che sanno di bugia da pescatori scarsi! Avete la profondità di due pozzanghere! Siete solo due immaturi peggio di me!”
I due ragazzi lo fissarono increduli e anche offesi per le parole a loro rivolte.
“Kurt io penso che tu sia solo geloso!” disse pacatamente Thad per quanto la rabbia glielo permettesse.
“Io non sono geloso di due maniaci ”gli rispose gelido il bambino.
“Kurt.”lo ammonì severamente l’ispanico.
“Io pure penso che tu sia geloso!”disse improvvisamente Sebastian con un sorrisino cattivo, che non prometteva nulla di buono.
“Ti piacerebbe!”
“Avanti Kurt non negarlo! Tu sei geloso devo solo capire però di chi!”
Kurt fissò stralunato Sebastian non capendo quello che stava dicendo.
“Ti ho detto che non sono geloso!”
“Seb!”lo ammonì improvvisamente nervoso Thad e il piccolo Calhoun si chiese perché.
“Avanti Kurt, lo sai che queste cose non si tengono dentro e si dovrebbero dirle!”
“Non ti seguo.”
“Sebastian!”disse con tono severo Thad provando a bloccare l’amico che però gli fece un cenno di non mettersi in mezzo.
“Di chi sei innamorato? Di me o di Thad?”
Kurt sgranò gli occhi e sentì un’enorme paura formarsi dentro di lui.
“SEBASTIAN” urlò Thad.
“Io-io co-cosa?”
“Dai Kurt, non è una domanda difficile! Ti piaccio io o Thad? Avanti rispondi!”
“Sebastian falla finita! Kurt lascialo stare!”
“No io non lascio perdere fino a che non mi dice per quale ragione è un tale stronzo!”ringhiò Sebastian.
“Io non sono gay!” disse debolmente il ragazzino alzandosi in piedi come se il terreno scottasse e subito i due più grandi ne seguirono l’esempio.
“Certo, come se io e Thad non avessimo notato come arrossivi qualche settimana fa quando Malcom ti parlava! Avanti, ammettilo.”
“Io-io…io.” Kurt iniziò a balbettare incontrollabilmente, mentre Thad fissava il terreno chiaramente colpevole per aver discusso di quello e tirato delle conclusioni.
“Cos’è? Il gatto ti ha mangiato la lingua?”
“Sebastian smettila! Senti Kurt, a essere onesti, non è che sei stato proprio discreto! E poi ti sono sempre piaciute le cose da femmina!” disse l’ispanico come se quello bastasse a spiegare tutto.
“Kurt prova a dirlo ancora che non sei gay- continuò Sebastian con fare cattivo- ma tanto lo immaginano già tutti alla scuola di teatro che ti piacciono i ragazzi. È per questo che Malcom ti ha parlato di meno, sapeva che avevi una cotta nei suoi confronti!”
“No!”Kurt sentì un terribile senso di terrore invaderlo, quello era un incubo.
“Scommettiamo?! Lo chiediamo a Malcom?”
“VI ODIO! VI ODIO ENTRAMBI!” urlò il bambino con gli occhi colmi di lacrime,  seguendo poi quello che l’istinto gli suggeriva: girarsi e scappare.
I due ragazzi più grandi non si aspettavano una reazione del genere e, quando si buttarono all’inseguimento di Kurt, erano partiti quell’attimo troppo tardi, che permise al bambino di sparire dai loro sguardi.
 
 
Ristorante Tavern On the Green, così recitava un cartello a freccia sotto cui c’era Lowen Watson, un uomo dalla pelle color ebano, detective della FBI di New York, che stava fronteggiando una donna che chiunque avrebbe definito furiosa per la potenza degli urli che emetteva contro di lui.
 
“LEI NON MI DICE COSA FARE! IO NON RIMANGO QUI AD ASPETTARE CHE VOI TROVIATE MIO FIGLIO! IO STESSA LO CERCHERÒ PER TUTTO IL PARCO! ”Urlò Elisabeth che aveva la pelle, solitamente porcellana,  tinta di una tonalità rosata molto accesa.
Dietro di lei c’era Etienne che cercava si essere una presenza rasserenante e di conforto, ma con poco successo.
“Signora, mi ascolti, e non urli! Si calmi!” disse con tono autoritario il L'agente.
“Mi ascolti lei detective! Io non sono un suo sottoposto! Io mi calmerò nel momento andrò a cercare mio figlio! E lo farò! Lo giuro, dovessi anche prenderla a calci in culo! Io vado a cercare Kurt e né lei né nessun altro mi potrà fermare! Ci siamo intesi?”
Lowen era abituato a trattare con persone agitate, arrabbiate, sconvolte o sotto shock, il suo mestiere lo aveva temprato a mantenere la calma in ogni situazione, soprattutto perché quelle stesse persone, inconsapevolmente nella disperazione delle loro situazioni, cercavano in lui una guida o un conforto,  almeno fino quel momento gli era sempre capitato così.
Quella donna, madre del bambino che lui e la sua squadra stavano cercando, invece di lasciarsi sopraffare dalla situazione cercava di agire attivamente.
“Se lei continua a tenere questo comportamento l’arresterò per oltraggio a Pubblico ufficiale!” La minacciò il detective, beccandosi un’occhiataccia dal suo collega e secondo, il detective Thimoty Stone,  che era poco distante a dare le direttive alla squadra dividendo gli agenti che avrebbero battuto le strade del quartiere in macchina, da quelli che avrebbero setacciato il parco con l’utilizzo di monopattini a motore a quelli con la squadra dei cani.
“Perfetto lo faccia pure, ma prima io vado alla ricerca del mio bambino!” ringhiò furiosa la donna e Watson sospiro frustrato, quasi deciso di ordinare di far riportare la signora Calhoun di forza a casa, quando sentì Thimoty emettere un verso con la gola attirando la sua attenzione e facendogli poi cenno di recuperare la calma.
“Elisabeth non saresti d’aiuto a Kurt se finisci in prigione.” Disse dolcemente Etienne, cercando di ignorare i pochi passanti curiosi che si fermavano a guardare la scena.
“Perché non capite?! Io devo cercare Kurt!”
“No! Lei deve stare qui ad attendere con i suoi cari e il l'agente Smith o, come le ho consigliato, vada a casa ad attendere se suo figlio nel caso tornasse! Qualsiasi scelta farà la terremo aggiornata nelle ricerche.”
“A casa ad attenderlo c’è una mia amica. Ma se Kurt avesse voluto tornare a casa ci sarebbe già tornato! Sono le otto di sera! Non può pretendere che stia qui con le mani in mano, dopo che mi ha detto che qui a Central Park gira un pedofilo non ancora identificato!” rispose Elisabeth.
“Ti prego Lizzy, calmati!” provò Etienne nuovamente, ma con poco successo.
“Come faccio a stare tranquilla con il mio bambino che potrebbe essere in pericolo!? Kurt sembra più piccolo della sua età! Io non mi muovo di qui finché non è stato trovato!”
Il detective sapeva che quella donna aveva ragione quando diceva che Central Park non era un posto sicuro, soprattutto la notte, il numero di crimini commessi cresceva di anno in anno fra stupri, omicidi e furti.
 “Smith dai il tuo monopattino alla signora Calhoun!- disse Lowen al suo sottoposto per poi tornare a guardare la donna.- lei mi seguirà e perlustrerà con me la mia zona di parco! Ma l’avverto: al primo sgarro la rimando qui e la farò riportare a casa sua!” Il detective notò lo sguardo incredulo di Etienne Smythe e un sorriso sul volto di Thimoty.
“Grazie! Grazie! Grazie!”riuscì a dire solamente Elisabeth.
“Aspetti a ringraziarmi! Suo figlio potrebbe aver lasciato il parco ore fa, per quanto ne sappiamo. E se ancora dentro il parco, lei, mi deve promettere che se ci dovessimo trovare di fronte a delle scene poco piacevoli di non reagire e di lasciare lavorare me e la mia squadra! Una reazione avventata potrebbe mettere in pericolo suo figlio, se fosse finito nelle mani di qualche male intenzionato! Ci siamo capiti, signora Calhoun?” disse severo l’uomo.
“Ci siamo capiti!”
Watson lasciò andare la signora Calhoun con Smith e subito a fianco a lui venne Stone.
“Hai fatto la scelta giusta Lowen.” lo confortò l’amico.
“Tim, spero che non sia successo niente al bambino o non so come quella donna potrebbe reagire.”
Thimoty lanciò uno sguardo ad Elisabeth e pensò che il suo amico avesse capito chiaramente con chi avesse a che fare, perché anche lui aveva pensato la stessa cosa.
“Non portare sfortuna uomo nero! Questa notte non ne abbiamo bisogno. Piuttosto prega Dio che non riconsegneremo un cadavere a quella madre.”
“Ho smesso di pregare amico, l’ho fatto molto tempo fa, quando ho capito quanto fosse cattiva questa città.”
 
Sebastian e Thad stavano morendo d’angoscia. Per  tutto il pomeriggio avevano cercato Kurt per il parco, ma, non trovandolo, si erano dovuti arrendere e Thad aveva chiamato con il suo cellulare a casa dell’amico, sperando che rispondesse, ma lo aveva fatto Elisabeth e i due ragazzi a quel punto le avevano raccontato cosa era successo.
La donna aveva subito chiamato la polizia che aveva indirizzato la chiamata all'FBI che l’aveva prelevata dal suo appartamento con un paio di foto di Kurt e alcuni suoi indumenti per farli annusare alla squadra con i cani.
Sebastian era scoppiato a piangere dalla paura e Thad si era sentito le gambe cedere, quando avevano saputo che si era mossa una considerevole squadra di ricerca dell'FBI perché da alcune settimane c’era un pedofilo seriale che prediligeva la zona in cui avevano litigato.
 
 “Perché avete aspettato così tanto per chiamarmi? Perché?” gli chiese arrabbiata Elisabeth.
“Non pensavamo che fosse davvero scappato! – spiegò Sebastian- Eravamo convinti che si fosse nascosto o che fosse tornato a casa! Avevamo paura che ti saresti arrabbiata, se avessi saputo che avevamo litigato per il modo in cui ci eravamo comportati con Kurt! Voi due vi raccontate tutto!”
“Sebastian ha ragione, credevamo che si fosse arrabbiato e ci avesse mollati lì, volevamo scusarci ed evitare un rimprovero e una punizione!” ammise vergognandosi Thad.
“SIETE DUE INCOSCIENTI!- urlò la donna - FATE TANTO GLI ADULTI E POI VE LA FATE ADDOSSO AL PENSIERO DI UNA PUNIZIONE!? SE KURT È SCAPPATO O È STATO RAPITO IL FATTORE TEMPO È FONDAMENTALE! SE GLI È SUCCESSO QUALCOSA IO, IO, IO… io non riesco nemmeno a guardarvi, potrei fare qualcosa di cui mi pentirei!”Aveva concluso andando il più possibile lontano da loro.
Thad rimase sorpreso quando Sebastian, dopo il rimprovero di Elisabeth, piangendo, lo abbracciò in cerca di conforto e solo allora si rese conto quanto ne avesse bisogno anche lui.
I parenti di entrambi erano accanto loro, ma avevano scritto sui loro visi la preoccupazione e rimprovero per il modo in cui si erano comportati.
 “Sono stato così idiota! Ma ero così arrabbiato!” disse Sebastian al suo orecchio fra le lacrime.
“Lo so! Ma anch’io avrei potuto bloccarti prima e invece non lo ho fatto, anzi, ti ho dato una mano.”
“Se gli succedesse qualcosa non potrei mai perdonarmelo!”
“Neanche io Seb, ma Kurt non è uno sciocco!”
Sebastian si staccò da lui e lo fissò con i suoi occhi verdi spaventati. Thad sentì il cuore mancargli un battito, e provò, come succedeva da un po’ di tempo a quella parte, uno strano miscuglio di sentimenti verso l’amico.
“Thad, ma allora perché non è stata ancora trovato?”
“Non lo so Sebastian! Non lo so!”
I due ragazzi osservarono Elisabeth che si stava facendo istruire come funzionava il monopattino a motore e la videro partire insieme all’Detective; da quando era arrivata non c’era stato un solo momento che si fosse lasciata prendere dal panico, ma aveva lottato con caparbietà e disperazione.
Thad e Sebastian, sconfitti si sedettero su una panchina, lontani dai loro genitori e le loro nonne, non avevano la forza di affrontarli, benché avessero cercato di confortarli.
Thad si avvicino più che poté a Sebastian e l’altro fece lo stesso, cercando conforto l’uno dall’altro in un silenzio colpevole e impaurito.
 
 
L’orologio che aveva al polso segnava le dieci e tre della sera e Kurt si rannicchiò più che poté nel suo nascondiglio, aveva freddo; durante il giorno la temperatura era calda, ma la notte scendeva anche a cinque gradi e lui era vestito leggero.
Sapeva che non poteva tornare a casa, quando era scappato da Sebastian e Thad lo aveva soprafatto la paura che i suoi amici avessero capito che gli piacevano i ragazzi, poi, quando ormai aveva cominciato a calmarsi, si era reso conto che erano trascorse svariate ore da quando era allontanato e, che ormai, i suoi amici dovevano aver allertato e raccontato tutto a sua madre.
Come poteva guardare in faccia la sua mamma ora?
Sapeva che lei lavorava con parecchie persone omosessuali, ma era diverso essere madre di uno di loro ...
Se lo avesse odiato?
Kurt al solo pensiero che i suoi amici sapessero del suo interesse verso Malcom si sentì pieno di vergogna… Se non era pronto lui ad accettarsi, come avrebbe potuto farlo la sua mamma?
Cercò di scacciare i pensieri che gli avevano invaso la testa e di valutare la situazione in cui si era cacciato. Quando aveva visto che cominciava il tramonto, e che probabilmente più persone erano sulle sue tracce, aveva pensato bene di rimanere a Central Park e di nascondersi nella zona  di North Woods, ma, alla fine, si era fermato prima, nella zona della Ravine. Lì aveva camminato lungo il ruscello Loch e si era trovato davanti al Glen Span[1], un ampio arco di pietra, che poggiava da un lato sulla strada e l’altro in mezzo al ruscello. Aveva pensato che quello fosse il nascondiglio perfetto.
Però quando era calata la notte,  si rese conto di aver avuto una pessima idea, perché sapeva che la maggior parte dei crimini peggiori che si erano verificati a Central Park erano successi  proprio dove era lui, nella zona settentrionale.
 
Però Kurt, nonostante la paura, il rumore continuo del ruscello, quello dei gufi che bubulavano o animali che camminavano e la posizione scomoda, si addormentò. E fu svegliato da un tocco gentile e una voce sconosciuta di un uomo. In un primo momento, per la stanchezza, non riuscì ad aprire gli occhi, ma quando gli tornò in mente tutto quello che era accaduto durante la giornata un urlo di paura gli nacque spontaneo.
Provò ad alzarsi per correre via e scappare, ma lo sconosciuto lo tenne saldamente, impedendogli ogni via di fuga.
Kurt era convinto che stava per morire. Si rese conto che non aveva fatto pace con la sua mamma e che se ne stava per andare senza averle detto un’ultima volta che le voleva bene.
“NO! VAI VIA! AIUTO, AIUTO!”
“KURT, CALMATI, SONO UN AGENTE DELL'FBI! NON VOGLIO FARTI DEL MALE!”
L’uomo lo aveva trascinato fuori dal Glen Span e lo aveva portato in una zona illuminata e poi gli aveva mostrato il tesserino con lo stemma dell'FBI.
Kurt smise immediatamente di dimenarsi scoppiò a piangere per colpa di tutta la paura che aveva addosso, con il cuore che gli batteva furiosamente nel petto. Improvvisamente il respiro cominciò a mancargli e divenne incapace di deglutire.
“… Va tutto bene piccolo!- l'agente lo prese in braccio, parlandogli con voce bassa e dolce-Forza,  respira con calma, tranquillizzati! Sei al sicuro! Va tutto bene! Non ti succederà nulla, te lo prometto! Ti porterò al sicuro!”
Kurt si lasciò cullare da quella voce e poco a poco ritrovò il controllo sul proprio corpo, che non si era reso conto di aver perso.
“Voglio la mamma!”fu la prima cosa che disse appena riuscì a formulare una frase.
“Oh credimi, che anche lei non vede l’ora di riaverti fra le braccia!” gli disse dolcemente l’uomo.
Kurt lo fissò e il pensiero di sua madre che fosse furiosa con lui gli fece venire un nodo non indifferente allo stomaco.
“Hai visto la mia mamma? È molto arrabbiata?”chiese con voce piccola, mentre si asciugava gli occhi e tirava su col naso.
L'agente lo mise a terra assicurandosi che si reggesse sulle gambe.
“Arrabbiata? No piccolo, è terrorizzata! Dalle ultime notizie che ho avuto mezz’ora fa tua madre è con il mio capo e ti sta cercando nella zona di Hallett Nature Sanctuary[2], pensano che per nasconderti tu abbia valicato le recinzioni e ti sia nascosto lì, dato che i tuoi amici ti descrivono come una piccola intelligente scimmietta dispettosa!” disse ridendo l'agente, passandogli un fazzolettino di carta.
“Come?” chiese il bambino soffiandosi il naso.
“Sono ore che ti cerchiamo, sono le due del mattino!”
Kurt alla notizia strabuzzò gli occhi e controllò l’orologio che aveva al polso, che segnava le due e ventuno minuti.
“Perché sei scappato?” gli chiese finalmente l'agente.
Il bambino fissò l’uomo e dalla luce aranciata dei lampioni poté studiarlo un attimo: capelli ricci scuri, occhi chiari, alto, con una corporatura agile e forte.
“I miei amici non l’hanno detto?” domandò provando un sentimento di dolore sapendo già la risposta.
“Beh, il ragazzo più alto con i capelli rossicci era agitato e blaterava che avevate discusso e, sì, ha citato anche i motivi per cui è nata la lite.”
Kurt fissò l’uomo con gli occhi pieni di lacrime e cominciò a tremare dalla paura. In quel momento le notizie che aveva sentito sulla discriminazione degli omosessuali da parte della polizia e di agenti delle forze dell'ordine gli vorticarono nella mente e l’uomo sembrò leggergli nel pensiero perché disse:
“Mio fratello è gay, non temere io non ti farò nulla! E poi non è che tutta le forze armate sono contro gli omosessuali, una volta forse, ma non oggi! Chi commette quegli abusi è una sostanziale minoranza.” gli spiegò dolcemente.
“Hai detto che tuo fratello è gay?”chiese con timore di aver capito male.
“Si piccolo, mio fratello è gay.”
“E tu gli vuoi bene?”
L’uomo lo guardò un attimo sorpreso poi sembrò che finalmente avesse capito qualcosa di molto importante.
“Da morire! È il mio fratellino e farei qualunque cosa per lui! Scommetto che tua madre per te farebbe lo stesso!”
“Come fai a dirlo?” chiese con voce incrinata.
“Dal modo in cui ha urlato al mio capo fino a che non l’ha convinto a portarla con se nelle ricerche.” gli svelò ridacchiando.
Kurt sentì gli occhi che si riempirono di lacrime, voleva stringere sua madre e dirle tutto quello che in quei giorni non si erano detti, mettere dietro le spalle tutta la storia su suo padre e spiegarle  quello che sentiva di essere, sperando  che lei gli volesse bene lo stesso.
“Che dici piccolino, torniamo dalla tua mamma?” gli chiese l'agente prendendo la ricetrasmittente che aveva legata alla cintura.
“Sì!”
L’uomo gli sorrise e affettuosamente gli scompigliò i capelli.
“Come ti chiami?” chiese Kurt.
“ Sono il Detective Thimoty Stone, ma per gli amici Tim, mio piccolo amico!” gli disse con un sorriso un po’ da mascalzone e Kurt pensò che se mai avesse avuto un fidanzato gli sarebbe piaciuto uno che sorridesse come l’uomo che aveva di fronte.  Quando si rese conto di cosa aveva pensato sentì la faccia andargli in fiamme per l’imbarazzo.
 
Elisabeth,  appena il Detective Watson gli aveva dato la notizia del ritrovamento di Kurt, era stata ansiosa di arrivare nei pressi del Tavern On the Green, dove avrebbe avuto potuto riabbracciare del suo bambino.
Quando arrivarono, l'agente che aveva ritrovato suo figlio non era ancora tornato.
In un angolo vide Sebastian che piangeva di sollievo con Thad che pure si stava soffiando il naso in un fazzoletto.
Sentì spezzoni di conversazioni,  in cui Etienne, Adrian ed Estella avevano messo in punizione i due ragazzi per un mese intero.
Carmen e Blanche vennero ad abbracciarla stretta e le dissero che avevano avvertito loro Isabelle che Kurt era stato trovato. Ringraziò le due donne e continuò a scrutare la direzione dove pensava che Kurt sarebbe arrivato. Sei volte vide arrivare degli agenti, ma nessuno di essi aveva con se suo figlio.
Thad e Sebastian avevano provato nel frattempo ad avvicinarsi, forse a porgerle le scuse, ma lei non aveva avuto la forza di ascoltarli.
 
Poi, dopo tanto attendere, Elisabeth sentì la voce che amava più al mondo chiamarla.
“MAMMA!”
Da un monopattino del detective Stone scese Kurt e le venne incontro di corsa. Gli occhi le si riempirono di lacrime, tutte quelle che fino a quel momento aveva trattenuto perché troppo presa a non crollare fino a che non avesse riavuto il suo bambino fra le sue braccia.
“Kurt.- disse prima in sussurro.-KURT! ”urlò correndogli incontro.
Elisabeth quando fu a pochi metri  da suo figlio si bloccò e spalancò le braccia e Kurt le si aggrappò al collo e lei lo chiuse nel suo abbraccio.
Piangevano l’uno stretto all’altra, inginocchiati sull’asfalto del sentiero.
“Mamma! Mamma! Mamma!”
“Sono qui, amore mio! Sono qui!”
“Mi dispiace, Perdonami!”
“Shh va tutto bene, sei qui con me ora. Sei qui con me!”
Elisabeth con la coda dell’occhio intravide il Detective Watson andare verso il collega che aveva ritrovato suo figlio, stringergli la mano e dargli delle pacche sulle spalle.
Kurt piangeva disperato aggrappato a lei ed Elisabeth lascio tanti piccoli baci sul capo della sua testolina piena di capelli, sussurrandogli parole confortanti.
“Stai tranquillo piccolo mio è tutto finito!Non hai idea di quanto ho temuto per te! Non scappare mai più! Se qualcosa non và dimmelo e lo supereremo insieme...”
Kurt si stacco dal suo abbraccio e la guardò negli occhi.
“Sebastian ti ha detto perché sono scappato?” chiese con voce disperata.
Elisabeth fissò suo figlio e sorrise.
“Mi ha raccontato la sua versione, ma io aspetto la tua, amore mio.” gli disse dolcemente.
“Mi piacciono i ragazzi.-confessò come se avesse fatto qualcosa di grave.- sono gay...”
“E quindi?- domandò Elisabeth- è da quando avevi tre anni che lo so! Preferivi i miei tacchi alle tue macchinine! Alla prima lezione di danza, alla scuola di teatro, ci sei voluto andare in tutù! Pensi forse che io non sapessi chi sei e cosa ti piacesse? Aspettavo che tu, quando fossi pronto, venissi a dirmelo.”
Kurt a quelle parole sentì gli occhi riempirsi di nuovo di lacrime.
“Avevo paura che mi odiassi.”
“Come hai potuto pensare una cosa del genere!? Ho davvero fallito così tanto come genitore da farti avere queste paure?” gli chiese e Kurt guardò i grandi occhi di sua madre e vi lesse disperazione e sensi di colpa.
“Sei stata la migliore mamma del mondo! Sei la persona che amo di più in assoluto, ma dopo che mi avevi detto che non sapevi chi era mio padre e dell’allontanamento che c’era stato fra noi, avevo paura che se ti avessi detto una cosa del genere non mi avresti voluto più bene!”
Elisabeth a quelle parole sentì gli occhi riempirsi di lacrime nuovamente.
“Ti stavo lasciando il tuo spazio per elaborare, non volevo farti credere che mi ero allontanata da te! Amore mio, non perderai mai il mio amore! Il mio cuore è il tuo e il tuo è il mio! Non dimenticarlo mai! Se ti fosse successo qualcosa sarei morta!”
“Mamma! Mamma! Mi dispiace! Ti voglio bene anch’io!”
“Ciò non toglie che sei un punizione signorino per essere scappato così e avermi fatto spaventare!”
Il bambino guardò sua madre che nonostante le parole sorrideva.
“Dormirai nel lettone con me per un mese intero! E ti riempirò di baci quando vorrò!”
“Allora voglio essere punito immediatamente!” disse Kurt ridendo fra le lacrime, venendo travolto dai baci.
 
Il detective Watson osservò la scena e accanto a lui c’era Thimoty che faceva altrettanto e sorrideva soddisfatto.
“Ogni tanto è bello vedere un lieto fine.” Disse Lowen con stanchezza.
“Già uomo nero, ogni tanto è bello vedere che questa città ha ancora speranza.”
“Parlerai con la madre del bambino?”chiese il detective non staccando gli occhi dalla donna che stava stringendo ancora a se il figlio.
“Sì, le consiglierò di parlare con mio fratello Christian, è uno psicologo per l’associazione PFLAG ed è specializzato a parlare a ragazzi come Kurt che hanno bisogno di imparare ad accettarsi. Cazzo, ha solo undici anni! Ha tutto il diritto di avere paura di quello che la gente potrebbe fargli con questa società di merda!”
“Già è parecchio giovane in effetti per sapere quello che gli piace. Però mi tranquillizza vedere quanto è fortunato quel bambino, sua madre lo ama e lo aiuterà nel suo percorso. ”
“Già!” Disse semplicemente Thimoty un sorriso mascalzone sulle labbra.
 
“Fa caldissimo oggi! Ho una seta incredibile!” commentò Sebastian.
“Già”concordò Thad.
“Smettetela di lamentarvi come due signorine! Sfigati!”commentò acida Carmen, mentre imperterrita continuava a camminare in mezzo alla folla e dare qualche spintone a chi si metteva sul suo cammino.
“Non rimproverarli cara, questi due non sono come i ragazzi che c’erano una volta!” disse elegantemente Blanche, lanciando una frecciatina ai due ragazzi.
“Mamma!”commentò Etienne in tono di ammonimento, mentre accanto a lui Elisabeth rideva di gusto.
“Ma anche io ho caldo e anche sete!”
“Kurt, tesoro, hai sete? Carmen, il piccolo ha sete! Io ho le bottiglie ghiacciate, le tue come sono?” domandò Blanche immediatamente attiva a risolvere il problema del piccolo.
“Io ho solo birra, anche quella ghiacciata!-disse con evidente piacere la donna ispanica- Ne vuoi un sorso Kurt? Guarda che è un tocca sana per questo caldo.” Propose beccandosi un’occhiataccia dall’amica.
“Ehi perché se ci lamentiamo io e Seb siamo due sfigati, mentre se lo dice Kurt diventate carine e gentili?! Non è mica giusto!”protestò Thad.
“Concordo!” disse semplicemente Sebastian.
“Non scatenate la Carmen che dorme!”disse intento Adrian, mentre con la macchina fotografica catturava delle immagine significative delle giornata che stavano passando.
“Sì, direi che sono d’accordo!” commentò Estella fissando accigliata la madre che stava bevendo una generosa sorsata di birra.
 “Per chi la vuole, ho io dell’acqua fresca, ma non ghiacciata!” disse ridendo Elisabeth.
“E per chi ha fame io ho una tonnellata di Sandwich alla maionese e pollo!”Avvertì Isabelle.
“Ehi, ma voi due avete intenzione di mollarmi!? Voglio andare dalla mamma!”protestò Kurt all’indirizzo dei suoi amici che ognuno lo teneva per mano.
“Niente da fare pulce! Mi è bastato perderti una volta e stai pur certo che non succederà più!”disse scontroso Sebastian.
“Seb cosa vuoi fare se devo andare in bagno? Entri con me!?”
“No, ci entro io! Stamattina, prima di venire alla marcia, abbiamo tirato la monetina e ho perso!” gli spiegò Thad, che pure non mollava la presa nonostante lo strattonare del bambino.
“Ma siete diventati scemi!? Lasciatemi immediatamente! MAMMA!”
Elisabeth sorrise dolcemente alla scena dei due ragazzi più grandi che tenevano la mano di suo figlio e ci bisticciavano, sembravano quasi tre fratelli.
Dopo l’episodio della fuga di Kurt, dal quale era passato poco più di un mese, Thad e Sebastian, avevano cercato di fare ammenda del loro comportamento ed erano divenuti estremamente protettivi nei confronti del loro piccolo amico. Guardò con orgoglio le persone che accompagnavano lei e Kurt alla marcia del Gay Pride: Isabelle, Etienne, Blanche, Sebastian, Thad, Carmen, Adrien ed Estella.
Quelle persone erano i loro amici e la loro famiglia ed Elisabeth non avrebbe potuto amarli di più, per tutto l’amore e l’accettazione che stavano dando in quella giornata, dove Kurt, per la prima volta, sfilava per i propri diritti, anche se era solo un bambino.
“Mamma!” Kurt la chiamò esasperato perché non riusciva a liberarsi dei suoi due amici ed Elisabeth sorrise giocosa.
“Lasciate immediatamente il mio bambino o ve la vedrete con me!”
Ed era la verità, lo aveva giurato a se stessa il giorno che aveva scoperto di essere incinta che avrebbe protetto e amato suo figlio con ogni briciolo di se stessa; lo aveva promesso con più vigore davanti ad ogni avversità che avevano superato; lo aveva promesso su Charlie e il loro terribile passato, lo aveva promesso quando Kurt, ancora neonato, era stato sedato e intubato con tante macchine che lo monitoravano; lo aveva promesso quando lo aveva visto venirle incontro con i suoi tacchi e il viso dipinto con i suoi trucchi e le aveva chiesto se era carino e lei gli aveva detto che era bellissimo.
Kurt, per lei, era perfetto e non le importava chi amasse e in quel giorno, in mezzo a tutta quella gente, si sentì un po’ meno in colpa per avergli detto una bugia su suo padre, ma un giorno la verità l’avrebbe saputa. Ma sarebbe successo solo quando suo figlio non avrebbe avuto più paura di quello che era, quando sarebbe stato in grado di combattere l’ignoranza della gente, specialmente quella di suo padre, e di non rimanerne ferito, quando sarebbe stato abbastanza grande per far fronte al terribile destino che perseguita a i Calhoun... fino a che non sarebbe stato in grado, lei, che lo avrebbe protetto.
Elisabeth guardò il cielo e sentì una antica nostalgia, avrebbe voluto che Luis fosse lì con lei, la parte più egoistica di lei avrebbe voluto che fosse lui a fungere da padre a Kurt, sapeva che sarebbe stato perfetto... ma lui era sposato. Pensò alla piccola Santana e ringraziò che lei stesse bene, Luis meritava una bambina in salute come quella.
Guardò Kurt venirle incontro e pensò come avrebbe voluto davvero che lui e la piccola Santana si conoscessero, infondo, ne avevano diritto e sapeva che Luis l’avrebbe pensata allo stesso modo, se solo avesse saputo che lei aveva avuto un figlio...
Un giorno, si disse Elisabeth.
 
 
 
Kurt quando aprì gli occhi si rese conto che stava piangendo, quella notte aveva sognato sua madre, ma non fece a tempo a registrare che c’era qualcosa di strano che si trovò nel suo campo visivo, sebbene offuscato dalle lacrime, il muso di Bob, gocciolante di bava, che accortosi che si era svegliato gli aveva preso a leccargli il viso.
“NO! NO ! CHE SCHIFO! SCEN-OUF!”il cane gli si era accucciato sullo stomaco.
“SEI PESANTE SCENDI! BOB!” protestò il ragazzo spingendo la bestia a scendere dal letto- riuscendoci con fatica- e osservò che Bob pareva scontento di essere stato cacciato.
“Peserai quasi quaranta chili! In questa casa anche il cane è in sovrappeso!” disse esasperato il ragazzo.
“UOFF”
“NO! Uof un corno!”
“UOFF, UOFF, UOFF, UOFF, UOFF, UOFF, UOFF, UOFF!”






Angolino della tazza di caffè:

Allora ragazzi che ne dite?
In questo capitolo ci sono più indizi su uno dei misteri che nascono dalla trama e sarei davvero curiosa di sapere che conclusioni avete tirato fino ad ora.
Prima che partiate ad insultare Burt vi invito ad un pensiero su questo personaggio: ognuno è figlio della propria storia e dell’ambiente in cui vive!
In questa ff abbiamo Burt che è sempre vissuto a Lima nel suo bigottismo e mentalità, non è l'uomo del telefilm, ovvero un padre che ha iniziato a sospettare dell'omosessualità del figlio a 3 anni, quindi, prima che Kurt facesse coming out, aveva avuto il tempo di capire e a venire a patti con se stesso e il suo modo di pensare chiuso!
Burt nel telefilm non nega che un tempo la pensava in maniera diversa sugli omosessuali, ma che è stato Kurt a farlo cambiare. Quindi ecco chi è il mio Burt: un padre cresciuto con un figlio eterosessuale, star della scuola.
Nella storia Il suo percorso sarà quello d' imparare ad amare e accettare Kurt e la sua omosessualità. Come, viceversa, Kurt ha il suo percorso da compiere con Burt.

Parliamo di Luis ed Elisabeth e del loro passato ...
Ribadisco: nei capitoli, in modo particolare in questo, ci sono indizi nascosti e frasi dette anche da alcuni personaggi che possono indirizzare che qualcosa che è successo e, messi insieme, forse, un’idea potrebbe già venire a galla!
Bene ragazzi, altro avvertimento: Questo capitolo porta la chiusa della prima parte della storia, dal prossimo si inizierà a tessere la conoscenza di Kurt con Blaine!
Al solito vi lascio il mio indirizzo alla mia pagina fb:
https://www.facebook.com/pages/Schifottola/598579906836059?ref=hl

 
 

[1] Glen Span, è uno dei due archi rustici che formano i confini del Burrone, una zona boschiva nella parte settentrionale di Central Park. Glen Span e Huddlestone Arch, l'altro arco nella Ravina, sono leggermente infossati nel parco paesaggio al fine di preservare l'integrità del paesaggio forestale.
[2] Il Central Park Conservancy teneva orari di apertura per la Hallett Nature Sanctuary . Chiaramente visibile ma recintata dal resto del parco, 4 acri di terra completamente controllata da flora e fauna, è stata riaperta al pubblico nel 2011 dopo 67 anni.

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Capitolo 9
*** Blaine torna a casa ***






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Da Luis:
La Banda ha bisogno di riunirsi il prima possibile, Elisabeth ha bisogno di noi!
 
Olegh, Aron e Jackson quando lessero il messaggio non pensarono che l’amico fosse pazzo, ma  immaginarono che tutto avesse a che fare con il figlio della donna... quello che non sapevano era che delle vecchie ferite si stavano riaprendo e avrebbero preso a sanguinare più forte che mai…
 
 
 
Kurt dopo il risveglio traumatico dato da Bob, che in quel momento lo stava fissando con sguardo colpevole seduto di fianco al letto, si stava preparando ad affrontare la giornata e gli abitanti di casa Hummel.
 Non voleva scendere a colazione, ma non poteva nemmeno rimanere rintanato in quella stanza per sempre, soprattutto se i suoi piani andavano come previsto …
E poi, volente o nolente, avrebbe dovuto parlare con Burt e anche Carole, il periodo dei suoi esami di controllo si stava avvicinando e per poterli svolgere  avrebbe dovuto parlare per forza con i suoi tutori legali.
 Sentì il suo iphone segnalare che gli era arrivato un messaggio WhatsApp[1] e quando entrò nell’applicazione vide che ne aveva tre da leggere, tutti particolarmente lunghi e articolati.
 
 
Da Sebastian:
Ehi piccola peste che stai combinando? Riusciamo a farci una skypata? Oggi, che non ho nessuno intorno, ti volevo raccontare come i genitori di Thad hanno scoperto che io e lui abbiamo una vita sessuale. Non sai che sermone c’è toccato da parte di Adrian! Estella era imbarazzatissima e Carmen invece se l’è goduta alla grande, deridendo Thad! Per non parlare di dopo che hanno chiamato anche mio padre e mia nonna per informali delle loro scoperte.
Fammi sapere se possiamo sentirci.
Ps: A Nonna manchi molto e papà ti saluta e ti ricorda che per qualunque cosa tu abbia bisogno di chiamarlo, anche fosse solo un mal di pancia, che arriviamo col primo aereo.
 
Da Thad:
Ciao Kurt, qui a New York oggi c’è finalmente un po’ di sole... a Lima? Come stai, ti sei un po’ ambientato? I miei non fanno altro che parlare di te, sono molto preoccupati per non parlare di Nonna Carmen che continua a guardare la nostra fotografia in soggiorno. Ma lasciamo stare i discorsi tristi! Hai già ripreso con il tuo programma di allenamento o anche oggi te la prendi comoda? Oggi pomeriggio vado a casa di Sebastian e mi chiedevo se riuscivamo a parlare con Skype. Ho avuto la sensazione che ieri non ci avessi raccontato tutto e quindi… cosa c’è di meglio di una bella chiacchierata con i tuoi migliori amici?
Scrivimi appena leggi il messaggio.
 
 
Da Isabelle:
Cucciolo (Lo so che sei grande ormai, ma io ti chiamo come voglio.) come stai? Bene spero, se no lo sai che arrivo immediatamente lì a Lima! Lo sai che questa domenica senza di te mi sembra strana? Non ho nessuno che mi cucina la colazione e mi tira giù da letto per andare a fare jogging a Central Park… Un bacio dalla tua pelandrona zia Isabelle, che inizierà a mettere su chili senza qualcuno che la controlla. ;-)
 
Kurt sentì immediatamente gli occhi pizzicare, voleva tornare a casa sua da coloro che considerava la sua famiglia.
 
Burt Hummel era in cucina e stava pulendo per l’ennesima volta il disastro che qualche animale aveva fatto durante la notte, mentre sua moglie stava preparando la colazione. L’uomo era deciso a dare a Finn un bel rimprovero quella mattina; il ragazzo sapeva che era compito suo chiudere la porticina di Bob. Avevano abitato in quella casa da quando lui era in fasce e ormai avrebbe dovuto sapere che, risiedendo vicino a un boschetto, molti animali selvatici  si aggiravano vicino alle case, specialmente la notte, e che per questo era fondamentale che l’entrata del cane fosse chiusa.
Burt sospirò pesantemente, era a pezzi. La notte prima non era riuscito a riposare bene per via della litigata avuta con Kurt.
Si sentiva in colpa per avergli dato una sberla, mai in vita sua aveva colpito qualcuno se non per difendersi.
Quel ragazzo in pochi giorni gli aveva rivoluzionato tutto il suo mondo. Kurt era tutto quello che aveva sempre sognato e al contempo era tutto quello che lui sperava non fosse suo figlio.
 
“Io sono gay.”
 
Non poteva essere.
Burt era molto religioso, certamente non era il praticante che andava in chiesa tutte le domeniche, ma era un credente.
Ricordava ancora che una delle più brutte litigate che aveva avuto con Elisabeth era stata a proposito dei diritti degli omosessuali; allora erano ancora fidanzati, non ricordava l’argomento in sé scatenante, ma rammentava la rabbia del momento.
 
“L’amore è amore. Non è importante la sessualità dei soggetti coinvolti, ma l’anima di quel sentimento. Non si può scegliere chi amare Burt, ma solo come amarlo.”
“Mi dispiace Elisabeth, ma non sono d’accordo. Per me l’amore è solo quello fra un uomo e una donna. Non trovo concepibile che un essere umano stia con un altro del suo stesso sesso. Quello non è amore, ma solo una malattia. ”
 
Burt quella sera, dopo quelle affermazioni, era stato mollato. Nei giorni seguenti alla litigata, quando tentò di fare pace con Elisabeth,  s’imbatté in Melanie, la migliore amica della sua ex moglie, che appena lo vide gli rifilò un sonoro ceffone. Non si stupì della reazione della ragazza, si vociferava che suo fratello Thomas fosse omosessuale e, proprio per quel sospetto, specialmente al liceo, era stato spesso protagonista di brutti scherzi e ad alcuni aveva preso parte anche lui.
 
Elisabeth alla fine lo aveva perdonato, ma solo perché era innamorata di lui e perché era convinta che fosse un uomo buono e che un giorno sarebbe stato in grado di vedere quello che lei sosteneva.
Burt all’epoca non aveva ribattuto, amava  troppo quella strana ragazza e pensava che, nonostante le loro differenze, potevano essere una coppia, ma …
 
Burt con rabbia buttò nella spazzatura quello che rimaneva di un pacco di patatine al formaggio.
Non sapeva come trattare quella situazione.
Sapeva di aver sbagliato e appena avrebbe visto Kurt gli avrebbe chiesto scusa. Stavolta lo avrebbe fatto, non come la sera prima che era rimasto di fronte alla porta della stanza dove dormiva  e non trovando il coraggio di bussare.
Il meccanico si era pentito davvero del modo in cui aveva reagito, ma aveva anche capito che il ragazzo era ‘innocente’:  la colpa era solo di Elisabeth e di come lo aveva cresciuto.
Burt si promise che avrebbe salvato Kurt, che con pazienza e amore gli avrebbe insegnato a vivere una vera vita fatta di valori genuini senza inutili frivolezze, così, era sicuro, che un giorno avrebbero potuto ridere insieme di tutta quella faccenda dell’omosessualità. Un giorno Kurt avrebbe rivalutato la sua vita e avrebbe capito chi era veramente sua madre... doveva solo essere paziente.
 
 
Finn stava addentando la sua pancetta con rabbia, lo avevano accusato di aver dimenticato aperta, per l’ennesima volta, la porticina di Bob. Era vero che spesso se la dimenticava, lui era il primo ad ammetterlo, ma era sicuro che la sera prima l’aveva chiusa, anzi, ricordava persino il momento in cui aveva compiuto il gesto di mettere il perno di blocco.
Guardò sua madre intenta a fare i pancake e notò che era pallida e stanca, così come suo padre. Era certo che la notte prima erano rimasti a parlare di Kurt e delle sue tendenze.
Finn al pensiero che al “fratello” piacessero i maschi gli venne un brivido di disagio e, se già non gli piaceva la prospettiva di vivere con quel ragazzo, in quel momento gli apparve inaffrontabile, ma a distoglierlo dai suoi pensieri ci pensò la voce nervosa di Kurt, proveniente dalle scale.
 
“Bob finiscila! Basta, stai giù! Mi fai cadere! Che schifo sbavi a getto continuo!”
“Uof Uoff Uof!”
“Shhh, zitto!”
 
Finn fece un respiro profondo, non gli piaceva sentire quel ragazzo parlare in quel modo al suo cane, anzi, non gli piaceva proprio sentirlo parlare.
Carole, quando apparve Kurt in cucina, mise su il suo miglior sorriso per cercare di dare a tutta quella situazione una parvenza di normalità.
 “Ciao caro, dormito bene?” chiese lei gentilmente, sapendo che Burt era troppo agitato per parlare e che Finn era irritato, anche se cercava di nasconderlo accarezzando Bob . Odiava l’aria carica di tensione che aveva riempito la stanza, avrebbe voluto che i suoi suoceri fossero lì a sdrammatizzare la situazione.
“Sì, grazie Carole.”
“Colazione?” chiese Carole pensando che Kurt  in quel momento appariva simile ad un animale guardingo, pronto a difendersi al primo accenno di pericolo.
 “In effetti ho un po’ di fame.”
“Be se vuoi di pronto c’è: uova strapazzate o fritte; pancetta croccante e salsicce; pancake, che puoi condire con sciroppo d’acero o cioccolata, e pane tostato con marmellata e burro di arachidi. Invece da bere abbiamo succo d’arancia, caffè, latte al cioccolato, alla fragola e anche al caramello.”
Carole notò lo sguardo stupito e dubbioso del ragazzo che chiese:
“Latte normale e non zuccherato ci sarebbe?”
Carole lanciò a Finn uno sguardo d’ammonimento quando lo sentì sbuffare.
“No, l’ho finito stamattina per fare i pancake.-disse gentile.- Quindi con cosa vuoi fare colazione?”
“Mi piacerebbero le uova strapazzate e caffè.”
“Il caffè è tiepido, ma se mi dai tempo te lo rifaccio... invece, oltre le uova, vuoi qualcos’altro?”
“Le uova bastano, grazie, e il caffè tiepido va benissimo, anzi, io magio e bevo tutto tiepido, mai caldo, lo preferisco.”
Carole non discusse, ma si scambiò un’occhiata con suo marito che palesemente non era d’accordo sulla colazione poco sostanziosa del ragazzo, ma non commentò.
Servì a Kurt il caffè e un gran piatto caldo di uova che il ragazzo fissò stupito, ma non disse niente al riguardo.
Carole notò che Kurt mangiava lentamente facendo piccoli bocconi, esattamente il contrario di Finn che ingurgitava tutto a una velocità impressionante.
Per un momento Carole osservò  affascinata il ragazzo assaggiare il caffè amaro e poi  prendere la caraffa dell’acqua e allungarlo, tutto sotto lo sguardo severo di Burt.
Carole pensò  al pranzo del giorno prima, Kurt ad ogni portata ci aveva messo parecchio tempo a finirla, soffiando su ogni cibo troppo caldo e bevendo molto spesso; Finn che aveva porzioni ben più grosse aveva sempre finito il suo piatto in meno tempo.
“Vuoi qualche salsa con le uova? In frigo se vuoi abbiamo quella al formaggio o del ketchup.”
Kurt tossicchiò e bevve un sorso di caffè per cercare di calmare la tosse.
“Va tutto bene?” domandò incerta la donna.
“Sì- rispose con voce graffiante e un altro piccolo colpo di tosse- nelle uova c’è qualcosa di duro...” disse e con la coda dell’occhio vide Finn alzare gli occhi infastidito, mentre lui dentro di sé ringraziava il cielo di essere riuscito a inghiottire il boccone senza soffocarsi o che gli rimanesse incastrato in gola.
“Ah, ti è andato di traverso un po’ di parmigiano. A noi piacciono molto le uova con i pezzettini di formaggio dentro.”
Kurt osservò la moglie di suo padre e si chiese con rabbia perché avesse messo dentro del formaggio in quel modo. Assaggiò nuovamente le uova e trovò ancora il formaggio in pezzetti, masticò con attenzione e pensò che il gusto non aveva nulla  a che fare con il parmigiano, non era nemmeno cattivo in verità, ma era una tipica versione americana economica. Uno dei ristoranti che piacevano di più a sua madre e alle famiglie di Thad e Sebastian era il Gradisca[2], un ristorante Italiano dove i proprietari erano originari proprio dall’Italia e fra i piatti serviti c’era anche il parmigiano. Decise di tenere per se questo particolare e non esternarlo a Carole che, per quanto si sforzasse, non riusciva a nascondere la tensione nei suoi confronti.
“Kurt alla fine non mi hai detto se vuoi una salsa sulle uova.”
“Scusami Carole, le uova vanno benissimo così, anzi sono tantissime, non credo che riuscirò a finirle tutte.”
 
Burt cercò dentro di sé  un briciolo di tranquillità e, quando fu sicuro di esserci riuscito, disse:
“Kurt,  adesso che siamo più riposati e a mente fredda, vorrei chiederti scusa per il mio comportamento di ieri. Ho esagerato e mi dispiace, non avrei dovuto darti uno schiaffo. Non è mia abitudine alzare le mani, ma ieri penso che abbiamo oltrepassato il limite entrambi.”
L’uomo osservò il ragazzino che con tranquillità ingoiò il boccone che stava masticando, pulirsi la bocca col tovagliolo, bere un sorso di caffè e poi finalmente rispondergli:
“Penso anch’io che ieri abbiamo degenerato, ma non credo alle tue scuse.”
“Come?” chiese Burt basito.
“Ho detto che non credo, ne accetto, le tue scuse e aggiungo anche non ti porgerò le mie. Perché non sarebbero credibili, visto che al momento penso ogni cosa che ho urlato ieri.”
“MA COME TI PERMETTI DI PARLARE COSÌ A MIO PADRE!?-esplose Finn rabbioso.- DOPO CHE TI HA ACCOLTO IN CASA E MESSO UN TETTO SOPRA LA TESTA, RAZZA DI INGRATO!”
“Ti comunico una notizia Finn: ho chiesto a ‘tuo padre’ di lasciarmi dove stavo e di non farmi l’elemosina di un tetto qui a Lima. Avevo qualcuno che mi avrebbe accudito con amore e affetto a New York anche se sono, come ha detto lui, un fottuto omosessuale!”
“Ragazzi, vi prego, calmatevi!” disse decisa Carole, cercando di troncare sul nascere quello che sembrava l’inizio di una furiosa litigata.
“Kurt, mi spiace di essermi espresso in quel modo, ero arrabbiato e non avrei dovuto. -Ammise Burt sotto lo sguardo esterrefatto dei suoi figli.- Ma io onestamente non credo che ci sia altro amore oltre a quello di un uomo con una donna. Penso che vivere in una famiglia normale, con dei sani principi, possa aprirti gli occhi su molte cose e farti rivedere il tuo modo di vedere la vita.” Spiegò il più diplomaticamente possibile Burt.
Vide i grandi occhi chiari di Kurt farsi lucidi e scuotere la testa.
“Non ho bisogno di imparare da te e la tua famiglia un bel niente! Mamma non era perfetta, però mi ha insegnato cosa significa amare qualcuno con tutto se stessi e quali principi sono importanti nella vita.” Gli ribatté con forza il ragazzo e prima che il meccanico potesse ribattere sentirono il campanello della porta suonare.
“Aspettiamo qualcuno?” chiese Burt a Carole che fece cenno di no con la testa.
“Devono essere gli operai della ditta a cui ho ordinato i mobili arredare camera mia,  anche se è domenica ho trovato questa azienda che lavora...” rispose serafico Kurt sorridendo pestifero a Burt incredulo,  mentre Finn apriva la porta trovandosi di fronte un uomo con la faccia annoiata, che gli chiese:
“Qui c’è una consegna di mobili per Kurt Calhoun a casa del Signor Burt Hummel, è corretto?”
 
“Sannie non credi che dovremo intervenire?”
“E perché mai Britt!? Mi sto divertendo come una pazza.”
Santana fissava la scena che si stava svolgendo di fronte a lei con profondo divertimento: Tina Cohen Chang, in preda a una furiosa crisi di pianto, al capezzale di Blaine che non pareva particolarmente felice di vederla.
 
“… ti giuro che a scuola ti darò una mano a fare qualunque cosa che tu abbia bisogno. Ti starò sempre vicina e per quanto sarà difficile io ci sarò, non dubitarne mai!” disse Tina tirando su col naso, mentre con un fazzoletto si asciugava le lacrime.
‘Razza di cretina mi hanno investito e ho un collare, qualche punto e delle contusioni... Non sono un invalido di Guerra in carrozzella.’
“Oh Blaine!”
‘Lasciami in pace, vattene! Sciò! Pussa via portatrice di vagina!’
“Sei felice che ti aiuterò?”
‘Nemmeno un po’!’
“E così che ci si comporta quando due persone si frequentano, non devi ringraziarmi.”
‘No ferma, blocca tutto. Io sono innamorato del culo di Sam Evans, delle sue labbrone e della sua tartaruga! Tu hai le tette e, cosa meno importante di tutte, io non ti ho chiesto niente!’
“Da quando siete fidanzati?” chiese sconvolta Brittany, non potendo credere che uno dei suoi migliori amici avesse fatto un passo così importante e lei non ne fosse a conoscenza.
‘Io sono il futuro fidanzato e marito di dell’infermiere Jonathan. ’
“Giusto, quando sarebbe successo il fattaccio?” chiese divertita Santana.
“Non ci siamo ancora messi insieme, siamo ancora nella fase della conoscenza, ma nessuno dei due al momento esce con nessun altro. Siamo esclusivi.”
 
Tina fissò malissimo la latina che ridacchiò come a prenderla in giro.
La ragazza orientale  era convinta che Santana provasse dei sentimenti per Blaine, ma che non si fosse mai dichiarata per paura di rovinare l’armonia di migliori amici che millantavano lei, il Kickers e Brittany.  Tina sapeva che doveva sfruttare al massimo ogni vantaggio dal tentennamento della latina, perché, se c’era una cosa che aveva imparato negli anni che si erano conosciute, era di non andare mai andare contro Santana Lopez se voleva qualcosa. Lei però, in questa circostanza, aveva deciso non si sarebbe mai fatta da parte, anche se la latina avesse deciso di corteggiare Blaine.
Era pronta a tutto e stava già giocando al massimo ogni sua opportunità. A scuola, infatti, quando sentiva qualche ragazza coraggiosa che dichiarava quanto le piacesse Blaine, lei, faceva di tutto per “distrarla”.  La sua tattica migliore era di dire a Sam, mentendo spudoratamente, che aveva sentito che quella ragazza  aveva una cotta per lui e il suo amico ci cascava ogni volta, così come la scemetta di turno.
Però non sempre era stato facile togliere di mezzo le rivali, come nel caso di Rachel.  Sam non aveva creduto a un eventuale interesse della ragazza nei suoi confronti  e, dettaglio non trascurabile, ne era  così spaventato da non voler nemmeno provare a corteggiarla. Ma la fortuna era stata dalla sua parte: la fastidiosa Berry aveva superato il suo interesse per Blaine innamorandosi di Finn, che in quel momento era fidanzato di Quinn.
Tina si sentiva in colpa a prendere in giro in quel modo Sam, ma si era ripromessa che non lo avrebbe più tratto in inganno non appena l’uomo della sua vita avesse deciso di capitolare definitivamente per lei.
Il problema era che Blaine era molto ritroso all’idea di avere un rapporto con qualunque ragazza, o meglio, sapeva che aveva fatto del sesso con alcune sciacquette della scuola, che poi erano le classiche oche che si erano passate tre quarti dei giocatori della squadra di football e di nuoto.
Quella che Tina odiava di più fra tutte era Kelly Cruz, (le aveva fatto un paio di sgambetti nei corridoi del McKinley fra un cambio lezione e un altro, niente di male) aveva perso il conto delle ore che si era sorbita da lei i racconti delle fantasmagoriche capacità del ragazzo sotto le lenzuola e delle dimensioni importanti del suo pene. Almeno le altre, che sostenevano di aver avuto qualcosa con Anderson, avevano avuto la sobrietà di non entrare nel particolare.
Lei, a parte alcuni baci voraci a una festa, stare insieme a scuola nelle pause e in alcune classi, non aveva fatto molto altro con Blaine. Tina però non demordeva, soprattutto dopo che Cooper l’aveva scambiata per la fidanzata del fratello e quando aveva scoperto che non lo era l’aveva incoraggiata a provarci.
Aveva capito che Cooper le aveva dato la sua benedizione perché aveva visto che lei aveva capito chi era davvero Blaine:  una creatura perfetta, dolce, fragile e sensibile.
Lei era certa di essere la donna giusta per Blaine per apprezzarlo, custodirlo e  amarlo ogni giorno della sua esistenza.
 
Maledetta zoccola in calore! Preferirei correre nudo dentro una chiesa che essere esclusivo con te! Cazzo, ho un prurito alle chiappe e vorrei grattarmele... sento anche una caccola gigante nel naso che mi impedisce di respirare, me la vorrei togliere.
 
“Blaine stai bene? Hai male da qualche parte?” chiese Brittany incuriosita dai strani mugugni dell’amico, che sembrava maledire il collare.
“Credo che Blaine sia sconvolto.”rispose sghignazzando Santana, guardando Tina che subito si era agitata vedendo il ragazzo che aveva preso a muoversi sul letto con evidente disagio.
 
‘Che male il collo, non devo muovermi...’
“Blaine posso fare qualcosa per aiutarti?”
Sì Tina, ti supplico, sparisci dalla mia vita o fatti suora. Ma prima di andartene affidami Sam, lo tratterò bene.
“Che sta succedendo qui?” chiese qualcuno sulla porta della stanza.
‘Tina puoi tenerti Sam. Oh Jonathan, signor Anderson di questo mese vieni a curarmi.’
“Sembra che Blaine stia male.”disse Brittany con tono preoccupato e l’infermiere le sorrise rassicurante.
“Tesoro mio che bel sorriso che hai. Farò una medaglia da dare ai tuoi genitori, ma solo dopo il monumento per ringraziarli di averti messo al mondo con un così bel sedere.”
“Beh è quasi tempo degli antidolorifici, potrebbe iniziare a sentire dolore al collo e alla testa.” Spiegò Jonathan.
“Oh Blaine!” Disse Tina con le lacrime agli occhi e Santana ridacchiò di nuovo divertita dalla reazione della compagna.
‘Tu che ci fai ancora qui!? Sciò, vai via! Via! Anzi, che ci fate tutte voi qui!? Ho da fare, Io e Jo vogliamo la nostra intimità.’
“Ehi, buongiorno signorina Lopez, non avevo notato che eri qui.” Disse l’infermiere sorridendo seducente verso la giovane latina.
‘Jonathan che cazzo fai? Di nuovo ti credi etero!? Ti ho già ordinato che non puoi esserlo!’
“Ah si!?” chiese la ragazza con tono annoiato.
“Sarà la stanchezza che non mi fa vedere una bella ragazza come te. Dovrò farmi perdonare in un qualche modo. Che ne dici di un caffè?”
‘NO BLOCCA TUTTO, DEVI FLIRTARE CON ME! Se non flirti con me, almeno renditi utile e corteggia Tina, anziché Santana.  Pelle non bianca ce l’ha; capelli neri pure; buchi di ordinanza come bocca, tette e vagina ci sono. In più ha la bellissima caratteristica che quando sorride le spariscono gli occhi... Che vuoi di più!?’
“Stallone calma gli ormoni, ho sedici anni e tu più di venticinque. In America è perfino illegale il pensare ad avere un rapporto con un minore. In più ho un fidanzato e mio padre qui dentro, oltre a lavorarci,  ne è in parte proprietario. Non credo che il dottor Lopez sarebbe contento a sapere che ci stai provando con sua figlia minorenne. ”disse secca e senza fronzoli Santana, lasciando l’infermiere sconvolto che batté in ritirata, adducendo qualche scusa legata al lavoro.
‘Sì, vattene via irretitore di minori! Volevi che cogliessi il tuo fiore, ma io sono un ragazzo per bene e non vado con gli uomini adulti … tralasciando il trentaduenne di un mese e mezzo fa o il ventottenne di tre mesi fa e il trentacinquenne di cinque … d’accordo, è meglio che Cooper non venga mai a scoprire l’età di alcuni di quelli con cui sono andato a letto, ne che con alcuni è successo quando avevo ancora quindici anni. Ho la sensazione che me le suonerebbe di santa ragione. Figurarsi, lui che vorrebbe diventare avvocato, farebbe partire denunce a raffica.[3] Però pensandoci è lui che mi ha procurato il documento falso… lasciamo stare...facciamo che giuro di credere nelle fate Drag queen e che la prossima volta che vado allo Scandal mi atterrò alla legge e alle delimitazioni di Coop:  massimo ragazzi con quattro anni più di me, fino a che non diverrò maggiorenne.  Tranne se il barista trentaseienne cede finalmente alla mia corte serrata di occhiolini, per il resto prometto che farò il bravo.’
 
“Blaine ti fa male il collo e la testa?” chiese Brittany con un broncio preoccupato.
Il ragazzo sorrise all’amica per rassicurarla e prese il quaderno e la penna che aveva poggiato sul comodino per scrivere che stava abbastanza bene e per dire a Tina che lui non era esclusivo con lei.
“No tesoro, Blaine è stato solo violentato psicologicamente da Tina che vuole imporsi come sua fidanzata, quando lui non ne vuole sapere nulla di lei.”
“MA COME TI PERMETTI!”Ringhiò la ragazza asiatica.
“Beh Blaine dopo che ha sopportato Rachel, direi che è in grado di affrontare qualunque donna che gli voglia entrare nelle mutande, tranne se questa è la Sylvester…” disse Brittany titubante.
“Perché la Sylvester ha una vagina?” domandò Santana.
Perché la  Sylvester ha un pene? Potrei anche esserne interessato, mi eccitano gli uomini autorevoli.
“Ma che discorsi state facendo!?”chiese Tina sconvolta.
Nessuno ebbe modo di ribattere altro perché nella camera entrarono Cooper e Richard Anderson con delle buste in mano.
“Fratellino belle notizie: ti riportiamo a casa! Ringrazia papà che ha deciso di non sottoporti all’ennesimo rancio dell’ospedale. Per pranzo, il tuo magnifico, bellissimo e talentuoso fratello ti ha preso cavoletti di Bruxelles con budello di pollo. Così pranzi leggero.”
-Ti prego papà fammi mangiare in ospedale!- scrisse velocissimo Blaine sul quaderno mostrandolo poi ai famigliari con una faccia schifata.
“Ehi schizzo non sei affatto gentile.”
“Senza offesa, ma neppure io mangerei i budelli di pollo. Non sapevo nemmeno che fossero commestibili!”disse Santana.
-E poi Coop il più bello di casa sono io!-
“È bello sapere che i miei figli non hanno problemi di autostima, ma di egocentrismo.- commentò con un sospiro Richard.- comunque Blaine, Coop scherzava, abbiamo comprato uno sformato di carne e patate al forno dal locale della famiglia Clarington.”
Blaine fece al padre il segno col pollice alzato.
“ Blainey vieni che qui che ti do una mano a vestirti così torniamo a casa.”fece spiccio Cooper e il fratellino con attenzione scese dal letto pronto a sciogliersi i legacci del camice ospedaliero.
“Ragazzi facciamo uscire prima le ospiti.” ammonì gentile Richard ai suoi figli.
“E perché mai!? – chiese Cooper -Tanto Santana e Brittany hanno visto migliaia di volte Blaine in costume da bagno e vederlo in mutande non dovrebbe sconvolgerle; per non parlare di Tina che è la ragazza di Blaine.”
‘Cooper, razza di bastardo, io ti sopprimo, anzi, ti castro. Lo giuro, ti castro! E tu cretina che sorridi? Mica ti ho chiesto di essere la mia ragazza.’
Richard fissò con un sopracciglio alzato  prima il figlio maggiore, che aveva sul volto un ghigno dispettoso,  e poi la ragazza asiatica, che presumeva essere Tina, che sembrava sul punto di iniziare a fare qualche balletto strano e urlare la propria felicità.
Sospirò già conscio che una volta in macchina i suoi figli avrebbero litigato fino a casa e lui non aveva nessuna voglia di sentirli discutere.
 
 
Carole era seduta sul divano del soggiorno a fare la lista della spesa per andare poi al supermercato con Kurt,  che anche quel giorno a pranzo aveva mangiato poco e lentamente e di certo non con gusto.
Il modo di fare del ragazzo col cibo la stava cominciando a irritare e il peggio era che anche lui sembrava indispettito. Aveva preparato bocconcini di maiale su anelli di cipolla fritti, con panna acida e granella di nocciole tostate e caramellate - che oltretutto le erano uscite in maniera magistrale- ma Kurt le aveva tolte da sopra la sua porzione, ignorando la cipolla.
Lei non aveva detto nulla,  c’era già suo marito che era nervoso da quando aveva scoperto che il figlio aveva a disposizione una carta di credito platino, che voleva dire un cospicuo conto, più dei loro messi insieme...
Carole, se non avesse saputo della carta, avrebbe capito che Kurt aveva molti soldi a disposizione solo vedendo i mobili che aveva comprato: di noce, dipinti di tonalità bianche in stile liberty. Era certa che con i muri blu della mansarda sarebbero stati molto bene.
 Il pezzo forte, che aveva preso più tempo agli operai per montarlo, era stato il letto matrimoniale a baldacchino adornato da tende di seta di color rosso carminio, che Burt  aveva sibilato sembrare per una ragazza.
Carole non sapeva quanto Kurt avesse speso per tutto il mobilio, ma sapeva che il gesto aveva offeso profondamente suo marito.
Era avvilita e nervosa.
Quella convivenza era partita nel peggiore dei modi e che il ragazzo fosse omosessuale aveva solo peggiorato il quadro.
Kurt era un adolescente e come tale era poco incline ad ascoltare ciò che era diverso da quello che pensava lui. Lei, la notte prima, aveva detto a Burt che non avrebbe ottenuto nulla ad attaccare Kurt frontalmente, dato che era chiaro non gli riconosceva nessuna autorità, tanto meno quella genitoriale. Ma suo marito, testardo come un mulo, aveva proseguito con i suoi modi e i risultati erano stati che Kurt, quando lui parlava, non lo ascoltava minimamente.
 
Carole alzò lo sguardo  dalla lista che stava compilando quando vide suo figlio comparire in soggiorno vestito con una camicia, dei jeans e la giacca letterman e guardarsi alla ricerca di qualcosa o qualcuno.
“Dove vai tesoro?”
“Quinn mi ha appena telefonato avvertendomi che tutto il Glee club si trova a casa Anderson, hanno dimesso Blaine e volevo dirlo a papà così si tranquillizza, ma non riesco a trovarlo. Per caso è uscito?”
Carole sorrise alla dolcezza di suo figlio.
“Tuo padre è andato dai nonni, stasera tra l’altro sono nuovamente a cena da noi. Portano Cinese, va bene?”
“Mmmmhhh Buono! Mister schizzinoso che ne pensa? A proposito, dov’è?”domandò Finn.
“Tesoro non cominciare con questi nomignoli stupidi. –disse dura la donna.- Comunque Kurt è in camera sua che si sta facendo le pulizie e si sta organizzando. E no, non gli ho ancora chiesto di stasera e del fatto di mangiare cinese.”
Carole vide che suo figlio avrebbe voluto dire qualcosa in merito, ma preferì la via del silenzio e lei glie ne fu grata; era stanca e non aveva voglia di essere quella che continuava a cercare di tenere tutti tranquilli, soprattutto un ragazzino che aveva un caratterino tutto pepe e con cui non aveva nulla da spartire.
“Vado a fare con gli altri gli auguri di pronta guarigione a Blaine. Speriamo che gli Anderson non mi sbattano fuori appena mi presento.”disse Finn con uno sbuffo.
“Dai Finn, non esagerare! Richard  è sempre stato un ottimo dirimpettaio, mai maleducato, nonostante lui e tuo padre abbiano avuto alcuni motivi di attrito.” disse Carole severa.
“Infatti io non mi preoccupo di lui, ma di Cooper.”
Carole non ribatté niente a suo figlio mentre usciva, sapeva che aveva ragione. Molti in città pensavano che degli Anderson fosse Blaine quello aggressivo, ma questo perché non avevano mai visto Cooper arrabbiato. Ricordava ancora perfettamente quando al Pronto Soccorso si era presentato un ragazzo picchiato da Cooper per aver spinto Blaine in acqua e cercato di tenercelo, mentre lo prendeva pesantemente in giro per la sua condizione di muto selettivo. Il ragazzo si era giustificato che il suo era uno scherzo, seppur molto pesante, per cercare di far parlare Blaine, il quale non aveva proferito parola. Nessuna scusa però aveva impedito al maggiore degli Anderson di procurare al ragazzo un occhio nero, il labbro e sopracciglio spaccati e un dente saltato.
Carole venne distolta dai suoi pensieri quando sentì dei rumori di qualcuno che scendeva le scale.
“Ma si può sapere perché mi sei sempre tra i piedi? … Bob no! Mi fai cadere, ho il secchio con l’acqua e il mocio. Giù!”
La donna alzò lo sguardo sulla scala in attesa della comparsa di Kurt e Bob. Sembrava che il cane di casa avesse preso in simpatia il nuovo membro della famiglia e lo seguisse dovunque andasse. L’interesse di Bob nei confronti di Kurt era un mistero, il ragazzo non aveva dimostrato una passione particolare per gli animali,  tanto meno per il cane, anzi, sarebbe stato più contento se lo avesse ignorato.
“Sciò, vai da Carol, Burt oppure Finn! Sì vai dai Finn è lui il tuo padrone. Vai, cerca Finn!”
“Finn è uscito-”
Carole vide Kurt saltare dallo spavento, evidentemente non si aspettava che fosse lì, lei fece finta di nulla, anche se la scena buffa le aveva strappato un sorriso.
“Ah...”
“UOOF.”
Carole osservò il ragazzino che rifilò al cane uno sguardo esasperato e l’altro che di rimando scodinzolava soddisfatto di se stesso.
“Finn è andato dagli Anderson, hanno dimesso Blaine oggi e lui è andato a vedere come sta. Vuoi andarci anche tu? Abitano qui di fronte.”
Kurt la fissò immediatamente interessato.
“Ma non avevi detto che io e te dovevamo andare a fare la spesa?” chiese leggermente titubante e la donna si rese conto che doveva aver notato il suo disappunto a pranzo per il modo in cui si era comportato. Sentì una gioia maligna pulsare dentro di lei.
“Posso andarci anche dopo o da sola, a te la scelta. Penso che se ritardo di mezz’ora al supermercato non sia la fine del mondo. Quindi, che vuoi fare Kurt?”
“Io vado a trovare Blaine.”
 
 
‘Mike Chang spiegami come mai non ti ho mai preso in considerazione come signor Anderson!? Hai una tartaruga da urlo. Tina cazzo, staccati!’
Blaine spostò malamente la ragazza e si alzò per andare dietro a Mike per controllargli, in maniera discreta, il fondoschiena.
‘Cioè, tu mi vuoi dire che ti ho avuto sotto gli occhi per due anni e non ti ho notato? Ma come posso averti fatto un torto del genere Mike? Non è da me, soprattutto a un ragazzo carino come te.’
“Blaine. Blaine! Mi stai ascoltando!?” chiese Rachel notevolmente irritata.
“Ehi Berry, lascia stare il nostro musicista, ha avuto un incidente. Non puoi continuare il tuo ciarlare su che canzoni si deve preparare per accompagnarti al pianoforte. Ha bisogno di riposo! Lo capisci?” domandò un’irritata Mercedes Jones, mettendo minacciosamente le sue mani sui fianchi.
“Ha un collare, non si è rotto le braccia o le mani!”puntualizzò la piccola Diva mettendosi in una posizione speculare a quella della ragazza di colore.
“Ragazze non vi metterete a litigare!? Suvvia, comportatevi da adulte!” le riprese un’eterea e perfetta Quinn Fabray, accanto a Finn al quale stava a braccetto.
A Blaine, come a tutti nella stanza, non scappò lo sguardo velenoso che Rachel lanciò alla fidanzata del quarterback, ma distrarre tutti ci pensarono Brittany e Artie.
Il campanello di casa Anderson suonò nuovamente e Blaine si domandò chi diavolo potesse essere, i ragazzi del Glee erano tutti lì e gli unici vicini di casa erano gli Hummel e Finn era già lì. Vide suo padre andare ad aprire la porta, mentre suo fratello entrava in soggiorno con un vassoio pieno di sandwich di svariati tipi e lui si trovò affiancato da Sam e Puck, ognuno per un lato.
“Ehi amico come stai?” domandò Puck gentile.
‘Beh Puck, starei meglio se tu la finissi di passare da Santana a Zizes e viceversa. Se la tua ex ragazza si azzarda a lanciare la mia migliore amica attraverso il mio soggiorno, collare o no, le mollo un cazzotto e la finisco con la caduta a volo d’angelo.’
“Che dicono i dottori? Fra quanto potrai toglierti il collare?” chiese Sam.
‘Mi potrò togliere il collare solo quando un principe con le labbrona da trota, occhioni verdi e fisico scultoreo darà un bacio di vero amore a Blaine Junior.’
-tre settimane- Blaine scrisse sul suo quaderno e sentì Puck imprecare, ma la sua attenzione fu catturata da suo padre che, spostandosi dalla porta d’ingresso, fece entrare Kurt.
‘Portatemi lo spray al peperoncino è venuto a violentare Cooper!’
“Tu che ci fai qui!?” chiese Finn incredulo al nuovo arrivo con una punta di irritazione, che non sfuggì all’orecchio di Blaine e a Santana che rivolse uno sguardo appuntito verso il quarterback.
“AHHHHHHHHHHHHHHHHHHHHH!” Un urlo di un’incredibile intensità riempì il soggiorno di casa Anderson, facendo saltare tutti di paura.
“RACHEL, MA SEI DIVENTATA MATTA!”Urlò Sugar Motta con una mano sul petto e gli occhi sbarrati.
‘Portatemi l’antiparassitario, devo ammazzare quella scimmia urlatrice! ’
“IO SO CHI SEI! SEI KURT CALHOUN!” Disse incredula la piccola ebrea con un indice che continuava a indicare selvaggiamente il nuovo arrivato.
“Capirai che genio che sei! Tutta Lima sa dell’arrivo del figlio appena trovato di Burt Hummel!” la riprese acidamente Quinn.
Kurt si trovò improvvisamente al centro dell’attenzione di circa una dozzina di adolescenti, che lo fissavano come se fosse un fenomeno da baraccone e probabilmente lo era in quella cittadina.
“NO! Lui è Kurt Calhoun! Giovane promessa di Broadway, una delle più talentuose secondo molti siti e riviste del settore. Ha recitato e cantato con un sacco di grandi attori e mostri sacri. La sua voce raggiunge le tonalità di quelle delle soprano.”
“Cosa?” chiese il Quarterback spaventato dalla reazione della compagna di club.
“ FINN, TUO FRATELLO È KURT CALHOUN E NON DICI NIENTE! A ME!? CHE SONO CO-CAPITANO DEL GLEE? LUI DEVE ENTRARE IMMEDIATAMENTE NEL CLUB IN MODO CHE POSSA INSEGNARCI TUTTI I TRUCCHI DEL MESTIERE E-”
 
“Senti hobbit, la fai finita di urlare come un’isterica? Se continui vengo lì e ti strappo le corde vocali una a una!” Urlò Santana alla compagnia di scuola e la minaccia parve sortire l’effetto sperato, perché quando Rachel riprese a parlare lo fece con un tono normale.
 
“Beh Kurt, come hai capito, per me è un piacere conoscerti! Mi chiamo Rachel Berry, sedici anni, futura stella di Broadway e nuova Barbra Streisand.”
‘Non so se sono più sconvolto che quella sottospecie di elfo sia famoso e un attore di carriera o che la scimmia abbia tanta arroganza da tirarla fuori così, come se chiedesse l’ora a uno sconosciuto.’
 
Kurt era rimasto incredulo dalle parole di quella Rachel e, guardando le facce rassegnate di tutti i ragazzi della stanza, capì che era serissima.
“Il piacere è mio.” Disse semplicemente Kurt, tenendosi per sé quello che avrebbe voluto dirle sul fatto che Barbra non avrebbe apprezzato tanta arroganza. Supponeva che se lo avesse detto, quella ragazza, che a pelle non gli stava particolarmente simpatica, gli avrebbe fatto un interrogatorio di terzo grado su come l’aveva conosciuta.
 
“Ti prego raccontami tutto di Broadway. Come avrai capito io sono un’ammiratrice di quel mondo e, lasciami dire, che apprezzo tantissimo il tuo impegno nell’associazione PFLAG di New York e nella compagnia Stay Close [4]. La comunità LGBT è fortunata ad avere un membro come te. Io sono cresciuta in una famiglia che ha due papà e quindi so delle difficoltà che esi-”
 
“Kurt! Che bello rivederti! Come stai?”chiese solare Cooper togliendolo dalle grinfie di Rachel e rompendo quella situazione in cui tutti lo fissavano.
 
“Io sto bene.” disse rivolto al ragazzo che era lì con un sorriso affascinante tutto denti, vero come una banconota da tre dollari.  Aveva capito che il gesto di Cooper era stato un diversivo per sorvolare qualcosa che forse tutti quei ragazzi ritenevano scomodo. Quella Rachel in pochi minuti aveva dimostrato una bocca larga quanto lo stato del Kansas e una grazia da elefante in una cristalleria. Probabilmente doveva aver subito parecchia ignoranza da parte della gente da esserne divenuta insensibile o semplicemente mancava di tatto con chiunque. Non si rendeva conto di averlo messo in una posizione scomoda e, dallo sguardo che le stavano lanciando di alcuni suoi amici , forse non era conscia della percezione dell’omosessualità delle persone che frequentava.
 
“Rachel ti ringrazio dei complimenti per il mio impegno sociale contro l’ignoranza nei confronti della comunità LGBT ma, se sono così operativo alla causa, lo devo soprattutto a mia madre. È stata lei per prima a divenire un volontario attivo, dopo che successe un episodio spiacevole di omofobia nei mie riguardi nella mia scuola media.” Kurt al ricordo gli venne un piccolo sorriso sulle labbra e ancora una volta dentro di sé sentì esplodere l’amore per sua madre e il dolore per averla persa.
“Davvero?” chiese colpita la ragazza.
“Sì perché lei diceva sempre è inutile lamentarsi del mondo che è cattivo con te se non fai nulla per cambiarlo.  Quindi divenne volontaria per battersi affinché io, anche se gay, avessi gli stessi diritti di un eterosessuale.” disse semplicemente Kurt a Rachel che sembrava pronta a sgorgare paroloni sulla questione se non fosse stato per Quinn che la precedette:
“Io invece penso che se Dio ha fatto l’uomo e la donna è proprio perché seguissimo la strada dell’amore nella benevolenza del cammino che ha scelto per noi come suoi servi. Chi prova impulsi verso un'altra persona del suo stesso sesso, o sente il bisogno di cambiare sesso, o aggiungersi qualcosa per stare bene con se stessi, cade nelle tentazioni che Santana ci mette davanti, togliendoci dalla strada del Signore. Onestamente trovo giusto che agli omosessuali venga negato il vincolo del matrimonio e tanti diritti che spettano semplicemente alle coppie eterosessuali.”
Kurt sorrise a quelle parole, le aveva lette e sentite tante volte con moltissime varianti, una di quelle appena dette proprio quella mattina dall’uomo che era suo padre.
Guardò negli occhi quella ragazza che lui non conosceva, pensò che fosse bella con i suoi occhi verde oliva e la pelle chiara, il sorriso bianco perfetto e i capelli biondi che dolcemente le incorniciavano il viso. Notò che Rachel era rimasta di sasso alle parole della compagna di scuola, forse non si era resa pienamente conto dell’ambiente che la circondava.
 
“La legislazione dei diritti degli omosessuali è una questione che appartiene agli Stati che in teoria dovrebbero essere laici e non religiosi.- disse fissando altezzosamente la sconosciuta bionda.- comunque non sono venuto qui a fare una discussione sui diritti LGBT, ma a informarmi come sta Blaine.” Disse in modo che fosse chiaro che per lui la discussione era finita lì, dato che aveva visto: una ragazza di colore molto formosa fissarlo con gli occhi sgranati; un ragazzo con i capelli in stile mohawk che, da quando era uscito che lui era omosessuale, si era allontanato come se fosse portatore di un virus contagioso; Finn che lo fissava imbarazzato e un ragazzo biondo con delle labbra enormi spalancate per la sorpresa.
A Kurt in quel momento importava poco della reazione di quei ragazzi, aveva un po’ di terrore di quella dei padroni di casa.
“A me gli unicorni piacciono- esordì l’altra ragazza bionda del gruppo che fino a quel momento era rimasta in silenzio affianco a Santana, l’unica persona che conosceva a Lima che non era collegata con la sua famiglia ne con quella di Blaine  - Lo sapete che i delfini sono i cugini gay degli squali? Come le balene sono le cugine orso-gay delle orche.”
A quella affermazione era calato un silenzio confuso, rotto solo dalle risate di Blaine e Santana che loro avevano capito perfettamente quella affermazione .
“Non capisco.” Ammise Kurt e Santana gli sorrise cordiale.
“Brittany ha detto che sei un unicorno e quindi sei una persona rara, e i delfini sono carini, quindi per lei sei carino- spiegò la latina ignorando il suo rossore, rivolgendosi poi con tono canzonatorio a Finn- ma lo stesso non posso dire della mucca con cui dividi la casa.”
“Santana non cominciare!” Scattò immediatamente il quarterback.
Macché una mucca, sembra un invertebrato.
“Non agitarti, guarda che ti traballano le mammelle. ”
Kurt guardò divertito la scena, rimanendo sorpreso di come il “fratellastro” sembrasse quasi timoroso a sbottare contro la latina, che di certo a personalità lo sovrastava abbondantemente.
“Santana lasciami dire che non è divertente.” Si intromise Rachel.
“No infatti- aggiunse Quinn – e Berry? difendo io  Finn, lui è il mio ragazzo. Santana finiscila, non sei divertente.”
Oppure potrebbe essere uno struzzo con la testa nella sabbia, cavalcato da una suora bigotta e cercato di montare da un nano da giardino… -Blaine si compiacque della sua analisi e prese a sorridere come un idiota-sono un fottuto genio, oltre che un super pisellone... Tina, cazzo, mollami!
La ragazza asiatica prese a ricorrere il piccolo degli Anderson che si nascose dietro Lauren, che lo fissò in malo modo.
“E allora difendilo. Prego.” Disse Rachel con aria scocciata.
“Guardate che mi difendo da solo!” sbottò Finn e Santana, con aria estremamente divertita, si mise in mezzo a tutti alzando le mani sopra la testa.
“Calmi, calmi. Sono una sostenitrice del WWF, non ho intenzione di fare del male a Finn, ma come tutte le mucche bisogna mungerlo, se no gli fanno male le tette.”
A quella affermazione alcuni si misero a ridere, compreso Cooper che cercò di non farsi notare.
“Io non ho le tette, Santana.”
-Sì che ce l’hai, è per questo che tu non sei e non sarai mai il  signor Anderson di nessun mese.-
La latina sbuffò e poi si rivolse a Kurt con tono molto più tranquillo, ignorando Finn che continuava a guardarla arrabbiato.
“Mi pare che oggi stai meglio, sono contenta.”
“Grazie Santana.”
“Voi due vi conoscete?” chiese Quinn curiosa e Finn sbuffò un appena udibile:
“Lascia stare.”
“Calma le tette Finnocenza, hai qualche problema?” chiese la latina che lo aveva sentito benissimo e che con quella domanda  intendeva un discorso ben più ampio.
-Sì, hai qualche problema? Eh, pisello microscopico? Scommetto che quell’elfo di tuo fratello è messo meglio di artiglieria rispetto a te. Tina e basta!
Blaine sfuggì alle attenzioni di Tina avvicinandosi a Brittany che ridacchiava divertita.
“Nessuno.” Rispose duro Finn.
Kurt si accorse che il tono del “fratellastro” era lo stesso che Burt aveva riservato al padre della ragazza, aveva capito che  c’era una qualche sorta di ostilità tra le due famiglie, ma aveva il sospetto che fossero gli Hummel i maggiori provocatori, se no non si spiegava tutto il disprezzo che aveva sentito sulla latina il giorno prima, soprattutto da Molly e Burt.
 “Comunque, visto che qui sono tutti maleducati- disse Santana ritrovando la sua aria divertita e strafottente, che a Kurt ricordò vagamente Sebastian – penserò io a presentare questa marmaglia di sfigati.”
Santana fece delle rapide presentazioni e il ragazzo in breve seppe i nomi di tutti, cercò di non ridere quando gli presentò anche Finn  con il nome di mago pancione, ma sorride quando le fu presentata Brittany che lo abbracciò, ignorando ogni convenzione sociale.
“Sono felicissima di conoscerti Kurt e stai attento a Rachel che vuole rubare il talento di tutti. E poi sei carino vestito così. Sei l’unicorno più bello che conosco!”
-Sono io il più bell’unicorno del mondo.- Blaine  smise di pensare perché attraverso la finestra vide un  gatto nel suo giardino, in un secondo aveva il viso premuto contro il vetro.
-Bastardo! Lo so che è stato uno della tua famiglia a farmi investire. Io vi troverò tutti e vi castrerò per vendetta. Addio micette! Addio progenie! Addio pistolo felino!-
“Grazie.”
“Gli omosessuali e -”cominciò Quinn per venire bloccata da Richard Anderson.
“Mio cognato è omosessuale e siamo profondamente convinti delle stesse cose che ha detto Kurt sulla egualità dei diritti. Se qualcuno di voi ha dei problemi con questa mia affermazione, quella è la porta ed è il benvenuto a non mettere mai più piede in questa casa.”
Richard ebbe l’insano impulso di prendere Quinn Fabray e gli altri ragazzi del Glee club, tranne Brittany e Santana, e sbatterli fuori. La sola idea che qualcuno potesse esprimere certi concetti nella sua casa lo irritava, soprattutto perché si era promesso che sarebbe sempre stato un luogo dove Blaine potesse essere sempre se stesso.
Nessuno sapeva dell’omosessualità di suo figlio,  ne a scuola e ne in città, neppure i suoi amici più cari aveva confidato tale segreto, ma il comportamento di quei ragazzi lo aveva convinto una volta di più di aver fatto bene ad aver imposto a Blaine di tenersi per sé le sue preferenze sessuali e, anche se non poteva dirlo apertamente ai suoi figli, approvava che Cooper mettesse voci false sul fratello e qualche ragazza. Forse era un codardo ad aver imposto a Blaine una condotta del genere, ma aveva troppa paura che gli succedesse di nuovo qualcosa. Lima non era un posto sicuro, la sua famiglia lo sapeva fin troppo bene.
“Kurt  sappi che sei sempre il benvenuto a casa mia, tua madre è stata la migliore amica della mia defunta moglie e anche una cara amica per me. Era davvero una persona speciale. Mi dispiace per la tua perdita.”
Richard alle sue parole vide per un momento Kurt che combattere contro l’emozione per mantenere un’espressione serena.
 Aveva detto la verità: Elisabeth era stata un’amica. Come nessuno neppure lui si era mai spiegato lo sparire della donna, ma da dopo che aveva saputo dell’esistenza di Kurt un’idea se l’era fatta, ma le sue erano solamente supposizioni …
“La ringrazio signor Anderson … magari un giorno, se ha voglia, mi potrebbe raccontare di questa amicizia, mia madre non mi ha mai detto molto del periodo che ha abitato qua a Lima.”
“Certamente, se vuoi posso mostrarti molte fotografie del tempo della Banda.” Disse con un sorriso gentile Richard e Kurt decise che l’uomo gli piaceva molto.
“La Banda?” chiese incuriosito e il signor Anderson annuì.
“ Se hai voglia un giorno davvero ti mostrerò le foto che ho e ti presenterò qualcuno che ti potrà raccontare di tua madre quando aveva la tua età.”
Kurt gli sorrise e lo ringraziò, ma Richard ebbe un nodo allo stomaco a pensare che il ragazzo  abitasse con Burt Hummel.
 
Blaine fissava con uno sguardo nuovo Kurt,  decise che fisicamente poteva sembrare un ragazzino, ma moralmente era molto più uomo di lui. Aveva ammesso fieramente e orgogliosamente di essere omosessuale e di lottare per se stesso e i diritti della comunità LGBT. Un piccolo senso di vergogna si fece strada in lui.
“Ehi come ti senti?”
Non si era accorto che Kurt gli si era avvicinato e stava fissando con dispiacere il collare, alcuni lividi e graffi che aveva sul braccio destro, esposti perché aveva indosso una semplice t-shirt bianca.
Blaine prese il suo quaderno e scrisse:
-Ciao, sono Blaine.-
Il riccio vide che sul volto dell’altro ragazzo si era dipinta un’espressione divertita, ma stette al gioco.
“Kurt.”
 -Volevo sapere, che ne pensi dei gatti che fanno investire i poveri ragazzi?-
Kurt lesse la strana domanda e fissò Blaine accigliato.
“Che mi dici dei poveri gatti che vengono inseguiti dai ragazzi e quest’ultimi non guardando la strada finiscono davanti a poveri automobilisti che li investono?”
-Direi che la colpa è sempre del gatto.-
Kurt lesse la risposta di Blaine e gli scappò un sorriso divertito.
“Sul serio?”
-indiscutibilmente!-
“Io ho fatto un disegno dell’ incidente.- esclamò Brittany- volete vederlo?”
“Un disegno?” chiese stralunato Mike.
-Sono un eroe!- Scrisse Blaine andando  poi in cucina e tornando con l’opera d’arte in questione e la diede in mano a Kurt che fissò il foglio con aria aggrottata.
“Era attaccato in cucina?”
Blaine annuì e gli altri si avvicinarono e Puck scoppiò a ridere.
“Ehi Britt perché hai fatto Blaine con una erezione, il dito medio, il segno di vittoria e che vomita come il  degno erede dell’esorcista?”
“Me l’ha detto Blaine che è andata così.”
“Ma non è vero.- disse Kurt- lui ha solo vomitato, ma quando lo stavamo portando all’ospedale.”
Spia, spione!
-A pranzo avevo mangiato crocchette, anche quelle di Brittany.- scrisse Blaine e Kurt scosse la testa.
“Non ci tenevo a saperlo.”
- credo anche che il formaggio dentro fosse andato.-
“Questo ancora meno.”
 
 
Carole, per evitare pettegolezzi, aveva portato Kurt a fare la spesa in un discount fuori da Lima.
La donna poteva dire con certezza che il ragazzo non fosse abituato a quei luoghi, glielo suggeriva il modo in cui si guardava intorno studiando i cartelloni delle offerte, non riconoscendo le marche dei prodotti, apparendo spaesato quando gli aveva mostrato alcuni coupon da usare per avere delle merci gratuitamente.
Fare la spesa con il figlio dell’ex moglie di suo marito si era rivelata un’esperienza che l’aveva innervosita. Nel poco tempo che Kurt era stato con la sua famiglia era chiaro che aveva uno stile di alimentazione diverso dal loro ma, anche le fosse rimasto qualche dubbio, era bastato che facessero la loro prima tappa al reparto surgelati dove le aveva scartato senza tante cerimonie le verdure e le zuppe precotte che voleva prendere per lui, svelandogli che sapeva cucinare e che preferiva prepararsi da solo da mangiare. Nel reparto ortofrutta Kurt aveva passato il tempo a scegliere la verdura e frutta con attenzione  e a un certo punto lo aveva dovuto  bloccare facendogli presente che stavano facendo la spesa per tutti e non solo per lui. Kurt l’aveva fissata e con tranquillità e le aveva ribattuto che, come con i mobili, non si aspettava fin dall’inizio di farsi pagare la spesa da lei e Burt e la sua se la sarebbe pagata lui.
Carole, dopo quelle affermazioni da parte del figlio di suo marito, non aveva detto più nulla e lo aveva lasciato fare come voleva. L’aveva notevolmente indisposta il modo in cui si era comportato e lei non era più riuscita a dirgli nient’altro.
Carole aveva sentito lo sguardo di disappunto del figliastro su di sé per ogni sua scelta alimentare: dai vari pezzi di carne, alla tanica da cinque litri di olio per frittura, fino ai diversi tipi di patatine in busta.
Lei di contro lo aveva studiato  quando lo aveva visto prendere legumi, formaggi morbidi, carne macinata e una bottiglia di olio extra vergine di oliva.( che lei per altro non usava in cucina, preferendo quello di semi o il burro.)
 
 
 
Quando erano tornati a casa ad aspettarli c’erano già i suoi suoceri e Carole si era sentita sollevata.
“Ehi mamma, dammi qui le tue buste della spesa, ci penso io a portarle in cucina.”
“Grazie Finn.”
 
Burt quando vide rientrare Kurt dalla spesa si scambiò un’occhiata con sua moglie e dal modo in cui lo guardò capì che il figlio doveva aver fatto qualcosa per farla innervosire. Fece un profondo respiro e sentì sua madre dargli due pacche sul braccio come a tranquillizzarlo. Aveva parlato con i suoi genitori e aveva chiesto consiglio su come comportarsi con Kurt. Suo padre gli aveva detto  di essere stato molto deluso dal suo comportamento e sua madre lo aveva ampiamente rimproverato dicendogli:
 
“Burt, lo sai, io sono la prima che se mi si nomina Elisabeth faccio fatica a contenere le mie opinioni su di lei, ma è pur sempre stata la madre di Kurt! Hai tutte le tue ragioni ad avercela con lei, ma ricorda: non parlare mai, e ti ripeto mai, male di lei davanti a Kurt. Hai sbagliato. Ti attiri solamente l’odio del ragazzo. Un giorno, quando avrai conquistato la sua fiducia e sarà più grande, ne potrete parlare, con toni miti, dell’operato della madre.”
 
Per poi continuare.
 
“Sì, ok, si crede omosessuale e tu al momento fai finta di nulla. Ha quindici anni! Tu alla sua età mi dicevi che volevi diventare un famoso politico e presidente degli Stati Uniti e non certo un meccanico! Dai tempo al tempo.  Se persiste vedremo allora che fare, ma non importi su di lui, Burt.”
 
“Ehi Kurt come va oggi?”
Domandò Arthur con un sorriso.
 
“Bene, grazie.” gli rispose educatamente per poi sparire in cucina a poggiare due buste belle piene di spesa, non accorgendosi di venire seguito dal cane scodinzolante.
 Finn tornò poco dopo con Kurt dietro che lo seguiva fissandolo accigliato, mentre Carole era in cucina a finire di sistemare la spesa. Arthur notò che nessuno in quella casa pareva particolarmente felice, tranne Bob che voleva le coccole dal nuovo membro della famiglia, che invece cercava solo di scansarlo.
 
“Su, avanti, cosa sono quei musi lunghi!?- disse improvvisamente sua moglie Molly, che aveva notato le stesse cose - Sedersi a tavola. Chi ha fame?”
 
Arthur ridacchiò quando vide farsi largo un enorme sorriso sul volto di Finn.
“Io tantissima!”
“Abbiamo portato Cinese. Involtini primavera, spaghetti di soia alla carne piccati, pollo alle mandorle e gelato fritto!” Annunciò con orgoglio Molly Hummel.
Kurt si avvicinò al tavolo della sala da pranzo ed esaminò con occhio critico il tavolo e poi scosse la testa innervosito.
“Cosa c’è adesso!? Cosa non ti va bene?” chiese irritato Finn a Kurt che lo ignorò per rivolgersi al padre.
“Burt, per favore, posso parlarti un secondo di là con Carole?”
Burt fece un cenno col capo e andò in cucina e Kurt l’ultima cosa che sentì, prima di chiudere la porta, fu Finn che spiegava ai nonni che da quando era arrivato faceva lo schizzinoso sul cibo. Il soprano pensò che quel ragazzo gli faceva provare l’insana voglia di guardarlo male e chiederli semplicemente perché si comportasse sempre come un bambino petulante.
 
Carole lanciò un’occhiata stranita a Burt e Kurt  e si bloccò a fare quello che stava facendo.
“L’assistente sociale, la signora Sullivan, cosa ti ha detto esattamente di me quando avete fatto i documenti del mio affido?”
Burt rimase un attimo sorpreso alla domanda del figlio e quando rispose balbettò:
“La signora Sullivan non mi ha detto nulla e molti dei tuoi documenti lo stato di New York me li invierà a giorni.”
“Me lo aspettavo, quella donna non  ha capito nemmeno cosa avessi e poi si qualifica come professionista. Le cose più importanti però se le tiene per sé e mi sorprende anche che Etienne non ti abbia detto nulla… Beh comunque la colpa di questa situazione è mia...”ammise Kurt tranquillamente.
“Non sto capendo nulla! La vuoi smettere di fare questi giochetti di sparare le frasi a metà?” lo rimbrottò con tono nervoso Burt.
“ Vedi che è impossibile parlare con te!? Ti scaldi subito appena si esce dalla tua zona comfort. Da quando ci siamo conosciuti sei stato in grado di farmi solo arrabbiare e ho avuto una reazione infantile del non volerti parlare, ma diciamocelo: nemmeno tu mi hai voluto ascoltare e ti sei comportato letteralmente da despota.”
“Cosa?” domandò Burt con tono arrabbiato e sua moglie gli fu immediatamente vicino per cercare di calmarlo.
“ Burt, Carole, io non posso seguire lo stile alimentare che avete in questa casa, ho una determinata dieta da seguire.”
“Non mi aspettavo nulla di diverso da te dato che sei cresciuto con Elisabeth! Ti ha inculcato ch-“
“Burt!-lo ammonì immediatamente Carole.- fallo finire di parlare!”
“Ecco, vedi, questo è uno dei motivi che non è possibile parlare con te! Tu non vedi l’ora di poter dire su alla mamma!” lo riprese duramente Kurt.
“Prova a darmi torto! Vengo a scoprire adesso dopo quindici anni che ho un figlio e che per giunta che si crede omosessuale!”
“Io sono Omosessuale! Non voglio ricominciare a litigare,  finiscila immediatamente di parlarmi in quel modo!” disse Kurt arrabbiato.
“Finiscila di parlarmi in quel modo? Ma chi ti credi di essere? Dal momento che hai messo piede nella casa mia e di mia moglie non hai fatto altro che arricciare il naso credendoti superiore!” ringhiò Burt, agitando le mani grassocce in chiaro segno di rabbia.
Carole per evitare che la situazione degenerasse, come al pranzo del giorno prima, decise di prendere lei le redini della discussione con il ragazzo.
“Kurt, quello che Burt cerca di dire e che il tuo non è stato un bel comportamento, come l’esserti comprato i mobili di camera tua qu-” cominciò Carole per venire interrotta immediatamente da Kurt.
“Non mi faccio comprare niente da uno che mi chiama fottuto omosessuale!”rispose piccato l’adolescente e la signora Hummel fece un sospiro per cercare di non sbottare anche lei, come avevano fatto padre e figlio.
“Kurt il problema per te sono le abitudini alimentari di questa casa, nulla di male in questo, ma arricciare il naso a come mangiamo noi non è bello! Dì le cose chiaramente.”
“Mi sembra che sia questo il motivo perché ho chiesto di parlavi.” le ribatté irritato il ragazzo fissandola malamente. Burt stava per scattare nuovamente, ma Carole lo bloccò.
“D’accordo calmati e parla.”
Kurt fissò con rabbia i due adulti che aveva di fronte, sentiva di detestarli , ma purtroppo non aveva scelta: doveva comunicare con loro e affrontare quest’argomento che per troppo tempo aveva rimandato.
Kurt fece un respiro profondo e richiamò in sé tutta la diplomazia che possedeva.
“Carole il problema non è il tuo modo di cucinare,  la complicazione è che a prescindere quale fosse il tuo modo di preparare da mangiare io devo seguire un determinato tipo di alimentazione e certi cibi ho difficoltà a mangiarli. Quando mamma era incinta, mi venne diagnosticata un’ Atresia esofagea. ”
Burt alla rivelazione del ragazzo rimase tranquillo, non sapeva bene come reagire alla notizia, intuiva che dovesse essere una patologia seria, ma non sapeva esattamente di cosa si trattasse e quanto grave fosse. Sentì una lieve fitta di agitazione quando sua moglie si portò le mani alla bocca e fissò Kurt con gli occhi spalancati.
“Carole non serve essere così drammatica. Sto bene, non sto mica morendo!” disse il ragazzo poggiando le mani sui fianchi.
Burt non ci stava decisamente capendo nulla.
 
 
 
L’Angolino della tazza di Caffè…
 
Ecco qui sganciata la bomba, è venuto fuori che patologia ha Kurt: Atresia Esofagea. Nei capitoli precedenti avevo lasciato parecchi indizi che ci fosse qualcosa che non andasse, chiaramente non era capibile che cosa avesse.
Spero di che sarò all’altezza di descrivere questa patologia e delle sue sfumature, ho mesi alle spalle di letture di libri e testimonianza ma se qualcuno volesse dirmi qualcosa per correggermi o avere un confronto è ben accetto.
Blaine in questa storia è un concentrato di stranezze e scrivere di lui mi fa ridere e divertire, però siete avvertiti che ci sono moltissime altre facciate di questo ragazzo che ancora devono venire a galla.
Qui c’è stato l’incontro tra Kurt e tutti i ragazzi del Glee club e sono iniziati a entrare in gioco parecchie dinamiche, quelle di Tina in particolare, che io trovo a dir poco esilaranti.
Parliamo di Burt e Carole, non odiateli non lo meritano e vi suggerisco di avere fiducia in loro.
 
Come al solito vi ringrazio per seguire questa storia e spero di sapere cosa ne pensate, sia in positivo che in negativo!
 
Ecco la mia pagina Fb  dove troverete notizie sull’aggiornamento della storia:
 
https://www.facebook.com/pages/Schifottola/598579906836059
 
Un bacione e a presto
 

[1] L'applicazione fu creata nel 2009 fu sviluppata per iOS, per poi essere diffusa su tutti i principali sistemi operativi per smartphone.
[2] Situato alla 126 W 13th St New York, NY 10011. Il Gradisca è un ristorante italiano gestito da una coppia di Bolognesi ed è stato aperto nel 2000, può vantare delle magnifiche tagliatelle fatta in casa in puro stile emiliano.
[3] L'età del consenso in Ohio è di sedici, come specificato dalla Sezione 2.907,04 del codice dell'Ohio Revised . La Sezione 2.907,03, specifica che il comportamento sessuale tra un minore di diciotto anni e una persona autorevole o lavorativamente integrata in un ruolo o comunque di un età superiore al minore, di sei anni, è punibile come reato di terzo grado con tre o sei anni di carcere.
Legge dell'Ohio contiene anche una norma contro importunino, ovvero un sollecito ad avere rapporti sessuali a un minore che è sotto l'età di sedici che comporta a una pena punibile sempre dai tre ai sei anni.
[4] "Stay Close" è una campagna iniziata nel 2006 dalla PFLAG NYC che ha incoraggiato le famiglia e gli amici di persone LGBT per dare il loro sostegno.

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Capitolo 10
*** La finestra sul giardino ***






 
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Capitolo che dedico a Martin-Porpiglia e Zurry Klainer
 
 
 Benjamin Becker controllò il suo orologio e vide che segnava le cinque e quaranta di uno dei pomeriggi più freddi che si poteva ricordare a Columbus degli ultimi anni. Venti minuti e il suo turno sarebbe finito e sarebbe potuto tornare a casa da sua moglie, che per la cena di quella sera aveva preparato il suo piatto preferito: arrosto di maiale con salsa di mirtilli e patate al forno.
Benjamin era intento a cercare di completare le sue parole crociate, ma la sesta parola orizzontale non riusciva proprio a farsela venire in mente... eppure ce l’aveva sulla punta della lingua.
Un rumore di passi frettolosi attirò la sua attenzione.
“Francis, dai muoviti!” sentì sussurrare una voce di ragazza e il portone d’ingresso chiudersi.
“Lena se ti acchiappo te la faccio pagare!” un ragazzo rise divertito.
“Ah sì!? E come?”la voce di Lena era maliziosa.
“Salve ragazzi, come andiamo oggi?” Benjamin decise di interrompere i due giovani prima che potessero dire qualcosa di imbarazzante.
“Benissimo signor Becker e Lei?!” chiese educatamente Francis con un sorriso che cercava essere disinvolto.
Il portiere sorrise ai due ragazzi e notò il rossore delle guance di Lena.
“Come al solito, la schiena mi da i suoi fastidi... ma non vi trattengo oltre, credo che abbiate le vostre cose da fare.”
“Stasera abbiamo da organizzare una cena con alcuni amici dell’università.” gli raccontò Francis.
“Amore, sono quasi le sei e noi non abbiamo ancora cominciato a cucinare!”disse inorridita Lena accortasi dell’ora.
“Allora buona cena ragazzi e divertitevi!”
“Arrivederci signor Backer. Francis, dai, muoviti!”
“Preferivo col tono con cui mi chiamavi prima. Su tesoro, stai tranquilla. Ti do una mano io, non farti prendere dal panico.”
I due ragazzi sparirono di corsa su per le scale e il portinaio poté giurare di averli sentiti ridacchiare della figuraccia appena fatta.
Benjamin sorrise e gli tornò in mente un ricordo di tanti anni prima: due giovani innamorati, Luis ed Elisabeth. I due universitari erano entrati ridendo, come tante altre volte, dal portone d’ingresso, ma quella volta Luis teneva in braccio Elisabeth che aveva un ginocchio sbucciato e un tacco rotto di una delle sue decolté.
Poteva ancora sentire la sensazione che aveva provato osservando il modo in cui i due si guardavano, pieno d’amore e cura, come se fosse sorprendente ogni attimo che passato insieme.
Ricordava ancora come Elisabeth rideva quando Luis faceva una battuta e di come invece arrossiva quando le faceva un complimento.
Il vecchio portiere portava ancora nel cuore quei ragazzi perdutamente innamorati l’uno dell’altra, che avevano sempre dovuto proteggersi dagli insulti per il colore della sua pelle di lui, dal pregiudizio della loro relazione “mista” e dalla fragilità di lei.
 Benjamin poteva richiamare facilmente alla memoria il modo in cui quei due giovani provenienti da Lima si tenevano per mano e di come il pollice di Luis accarezzava perennemente la mano di Elisabeth.
L’uomo aveva creduto che quei due ragazzi sarebbero stati insieme per sempre e che qualunque cosa la vita gli avrebbe posto davanti l'avrebbero superata e invece …
Benjamin sentì una vecchia tristezza farsi largo nel suo petto, la stessa che provava ogni volta che Luis passava a trovarlo e gli raccontava della sua vita  con sua moglie Maribel, del suo lavoro soddisfacente  all’ospedale di Lima e del reparto di pediatria, che  aveva comprato e ristrutturato rendendolo il migliore dello Stato per lo studio e il trattamento delle malattie rare.
Benjamin sapeva, anche se l’uomo non glie lo aveva mai detto, che veniva in quel palazzo per afferrare il ricordo di una vita che aveva amato, per questo, quando l’appartamento era sfitto, non gli negava mai le chiavi per poter girare ancora una volta in quelle stanze. L’aveva capito la prima volta che era tornato a trovarlo e lui gli aveva fatto vedere il suo vecchio appartamento, l’espressione di Luis si era riempita di gioia, lo stessa che vedeva solo quando gli raccontava di Santana.
Come tante volte in quegli anni il vecchio portiere si domandò che fine avesse fatto Elisabeth e se la vita era stata generosa e allo stesso tempo crudele con lei come lo era stata con Luis.
Benjamin sperava che fosse stata solo generosa, lo sperava davvero tanto, quella ragazza era una delle persone più belle che avesse mai conosciuto e non meritava altro dolore...
 
 
 
Elisabeth Calhoun
4/05/1965 -04/10/2010
Amore mio non perderai mai il mio amore. Il mio cuore è il tuo e il tuo è il mio. Non dimenticarlo mai.
 
 
Etienne fissò la lapide di fronte a lui con occhi tristi.
Quelle parole le aveva dette Elisabeth a Kurt dopo che era stato ritrovato a Central Park quando era scappato e il piccolo Calhoun le aveva scelte perché spiegavano tutto l’amore che l’aveva legato a sua madre e che ancora lo legava.
Etienne ricordava ancora quando aveva incontrato i Calhoun per la prima volta...
 
 
Etienne e sua moglie Susan si erano lasciati da un anno e pochi mesi.
Lei era partita per un tour mondiale con la compagnia di ballo per la quale lavorava, lasciando a lui il compito di crescere Sebastian.
Susan era bella, sensuale, con grandi occhi verdi, spiritosa e le piacevano la vita costosa e le serate importanti, mentre odiava con tutta se stessa essere madre e condurre una vita famigliare.
Quando era nato Sebastian erano iniziate le litigate, segnando l’inizio della fortissima depressione di lei e lo scappare di lui dai problemi rifugiandosi nel lavoro. La situazione presto era divenuta così ingestibile che ad abitare con loro era venuta sua madre Blanche, per cercare di dare al bambino una certa stabilità. Etienne avrebbe dovuto capirlo subito che Susan non avrebbe trovato la felicità nel compromesso della sua carriera di ballare stabilmente a New York e nel tempo libero godersi le gioie della famiglia...
Il passato non si poteva cambiare, ma lui amava terribilmente il suo bambino e non riusciva ad immaginare la vita senza di lui.
Etienne si era trovato a fare di tutto per Sebastian, che era spesso intrattabile e arrabbiato perché voleva la sua mamma, ma il più delle volte passavano settimane prima che Susan si ricordasse di chiamare loro figlio e sciorinandogli frasi dolci e vuote.
 
Quel giorno un cliente, che voleva delle modifiche su un progetto di un appartamento, l’aveva trattenuto più di quanto avesse pensato, facendolo tardare di un’ora per andare a prendere suo figlio alla scuola di arti sceniche, ormai si erano fatte le sette.
Sebastian, da quando Susan se n’era andata, aveva sviluppato la paura di non essere importante per le persone che amava e un ritardo come quello, il bambino, lo prendeva come la conferma dei suoi pensieri, nonostante Etienne e Blanche avessero fatto di tutto per rassicurarlo che non era così.
Si agitò all’idea di suo figlio seduto nell’atrio della scuola con l’insegnate che cercava di distrarlo finché qualcuno non si sarebbe presentato per portarlo a casa.
Si arrabbiò pensando che non si sarebbe trovato in quel problema se solo sua madre Blanche , proprio quella settimana per lui così piena di lavoro, non fosse andata in Francia a trovare una sua vecchia zia...
Entrò tutto trafelato nella scuola e non trovò nessuna traccia dell’insegnate, ma anzi vide suo figlio parlare con una donna bellissima e molto fine, che teneva in braccio una piccola bambina con la testa boccolosa, vestita in tutù. Si accorse anche che con loro c’era il piccolo Thad Harwood, scoprendo così di non essere l’unico genitore in ritardo, ma passarono solo una manciata di secondi che dietro di lui comparve Adrian, il papà del bambino.
Adrian, come lui, era sorpreso di trovare i loro figli, Thad e Sebastian, andare d’accordo anziché litigare come accadeva quasi ogni giorno. Non era raro che la direttrice della scuola li avesse convocati perché i due piccoli erano stati richiamati per un litigio o una baruffa, era grazie a tutti quegli incontri lui e Adrian ormai erano diventati amici.
“Papà!” disse Sebastian con tono di rimprovero, ma non arrabbiato. L’uomo pensò che il figlio si dovesse essere divertito mentre lo aspettava.
Thad corse verso il padre che lo prese in braccio.
“Scusami Bas, un cliente mi ha fatto fare tardi, però per farmi perdonare che ne dici se stasera andiamo a mangiare al McDonald?” domandò speranzoso Etienne.
“Siiiiiii!”Urlò felice il bambino.
“Papà anch’io voglio cenare al McDonald!”protestò immediatamente Thad e Adrian guardò il figlio con esasperazione.
“Penso che mamma abbia già preparato la cena.”
“Noooo, io voglio un Big Mac!”
“Beh vuol dire che me lo mangerò alla io alla faccia tua.” Disse immediatamente dispettoso Sebastian. Adrian ed Etienne erano già preparati a sedare la lite fra i due bambini che sembrava in procinto di scoppiare.
“Mamma cos’è un Big Mac?” chiese una vocina curiosa.
Etienne fissò la donna che era vestita in un abito bianco leggero che sorrideva letteralmente innamorata alla figlia.
“Un panino, amore mio, con dentro: due hamburger, formaggio, salsa tipo vinagret, cipolla disidratata e cetriolini sottaceto.”
“Bleah!” La bambina fece un visetto schifato alla descrizione.
 “Non hai mai assaggiato un Big mac?”domandarono scandalizzati gli altri due bambini in un coro un po’ asincrono.
“Noi non mangiamo al McDonald. ”spiegò Elisabeth ridendo alle facce incredule dei piccoli.
“Scusami per la maleducazione, mi chiamo Etienne Smythe, padre di Sebastian. Grazie per avergli fatto compagnia.”
“Infatti, grazie mille anche da parte mia. Io sono Adrian Harwood, padre di Thad, piacere.”
“Elisabeth Calhoun, piacere mio conoscere i padri di questi due bravi ometti.-  disse la donna facendo l’occhiolino ai bambini che ridacchiarono al complimento ricevuto.- sono stati due angeli.”
Etienne e Adrian guardarono scettici i due bambini che in quel momento, credendo di non essere visti, si stavano scambiando una serie di pizzicotti.
“Ma Marika dov’è?” chiese il signor Harwood guardandosi intorno.
“Intende la signora Peacock?” domandò incerta la donna.
“Sì, intende l’insegnante, perché non era con i bambini?”
“Un paio di genitori le volevano parlare in privato, sembravano nervosi, tanto che non potevano aspettare. Così la signora Peacock mi ha chiesto se potevo restare io con i vostri figli, mi aveva assicurato che non ci avrebbe messo tanto, però ormai è da parecchio che è chiusa nel suo ufficio a discutere... in effetti. ”
“Mamma andiamo a casa?” domandò una vocina interrompendoli.
“Che maleducato che sono stato di nuovo! E questa splendida bambina come si chiama?”chiese Etienne con un sorriso, curvandosi sulla piccola che era sul punto di addormentarsi con la testa nell’incavo del collo della madre, ma che gli rifilò un’occhiataccia.
“Sono un lui. Mi chiamo Kurt e mi piacciono i tutù!” gli rispose imbronciato il bimbo tirandosi su improvvisamente sveglissimo, fissando malamente lui e Adrian, che lo guardavano stupiti.
“Sì amore mio, direi che i signori ora lo sanno. Che dici... andiamo a casa che zia Isabelle ci aspetta?”  chiese la donna cercando di chiudere quella parentesi.
“Si! Voglio raccontare alla zia che oggi la maestra ha detto che ho un bel senso del ritmo! E anche se non ho capito cosa volesse dire, le ho detto che è stata molto carina.”spiegò il bambino corrucciato.
Elisabeth rise e diede un bacio al piccolo sulla testolina.
“Significa che ti muovi bene con la musica.”
Kurt sorrise e si porto le manine al volto per enfatizzare la propria felicità e sorpresa per aver ricevuto un complimento del genere.
“Arrivederci signori è stato un piacere conoscervi. Thad, Sebastian, ci vediamo la prossima volta, così mi finirete di raccontare le vostre gesta da supereroi.”
Kurt ridacchiò al tono della madre che si era fatto solenne per parlare ai suoi  compagni di scuola.
I due uomini fissarono la donna e scambiarono un gentile arrivederci, mentre i loro figli si sbracciarono per salutare i Calhoun che se ne erano ormai andati.
“Dio Santo, quel bambino è un gender[1].” Commentò Adrian passandosi una mano sul volto.
Già o la madre è tutta scoppiata.” Commentò Etienne.
“Qualunque sia a me tutta questa storia non piace.”
“Già, preferisco anch’io le cose separate: i maschi sono maschi e le femmine sono femmine. No che i maschi si vestono da femmina o viceversa.” Disse Etienne.
“Già anch’io la penso così.”rincarò Adrian.
“Kurt non è un gen- gen... sì insomma... quella cosa strana lì. -disse Thad confuso- È  un bambino! Anche se oggi molti bambini lo hanno preso in giro per come era vestito.”
“Sì e io e Thad lo abbiamo difeso.” disse orgoglioso Sebastian al padre.
“Ecco, appunto, avete visto che cosa è successo a quel bambino? È stato preso in giro. Se si vestiva normalmente non sarebbe successo nulla.” spiegò pazientemente Adrian.
“Già, è sbagliato che la madre lo abbia lasciato venire vestito così. Le prese in giro sono il minimo.”
 
Solo anni dopo Adrian ed Etienne si sarebbero resi conto dell’errore di quella conversazione fatta con i loro bambini che, dopo quelle parole, li avevano fissati straniti riuscendo solo a capire, forse in maniera inconscia, il rifiuto per il diverso. Forse proprio per colpa di quell’episodio che Thad e Sebastian avevano avuto così timore di accettare di essere omosessuali, nonostante avessero visto la piena accettazione che avevano avuto di Kurt in seguito.
Etienne e Adrian erano stati così sicuri dei loro giudizi lapidari non sapendo o immaginando che quella donna voleva solo proteggere il suo bambino che voleva indossare un tutù perché gli sembrava bello.
 
Le settimane successive a quel pomeriggio molti genitori si lamentarono dell’abbigliamento sopra le righe del piccolo Kurt fino a che Elisabeth non fu costretta a mettergli degli abiti prettamente maschili, riportando la quiete fra gli adulti.
Etienne, i giorni successivi ancora, notò che la signora Calhoun, dopo quello che era accaduto, non salutava nessuno degli altri genitori, nemmeno lui e Adrian, ma si limitava a sorridere e parlare dolcemente a Thad e Sebastian che a sorpresa si erano legati a Kurt, portando i due bambini a quasi smettere di litigare.
L’uomo si era accorto che a volte veniva a prendere il piccolo Calhoun una certa zia Isabelle, ma che suo figlio gli disse che in realtà non era una “vera zia”, ma la migliore amica di Elisabeth che l’aiutava perché Kurt non aveva un papà. Etienne parlando con Adrian giunsero alla conclusione che Elisabeth ed Isabelle fossero fidanzate, convincendosi che fosse per quello che Kurt non avesse ben chiaro una distinzione sessuale.
I due uomini decisero che sarebbe stato meglio far allentare l’amicizia che i loro bambini stavano creando con il piccolo Calhoun in modo che non li influenzasse negativamente.
Un pensiero da uomini gretti e ignoranti, ma allora ancora non sapevano di esserlo.
 
Tutto cambiò al settimo compleanno di Thad.
Era il 18 Febbraio 2000 e il bambino aveva voluto invitare tutti i suoi compagni di classe e quelli di teatro con cui aveva legato di più, tra cui Kurt e Sebastian.
L’attenzione di Etienne venne attratta dalla signora Calhoun che stava dando da mangiare al figlio una pappetta- portata sicuramente da casa e che di solito veniva data ai bambini ben più piccoli- sforzandolo a bere ad ogni boccone perché sembrava affetto da una fastidiosa tosse.
Pensò che la donna fosse esagerata, ma accantonò il tutto per bersi una birra in santa pace con gli altri papà e parlare di sport.
Etienne, dopo una mezzoretta dalla scena della pappetta, involontariamente origliò una chiamata che Elisabeth ricevette sul proprio cellulare, così scoprendo che era una giornalista e che per un incidente il suo articolo da mandare in stampa era stato perso e che lei doveva correre in redazione per portare di nuovo tutto il materiale.
Elisabeth voleva portarsi via il figlio e riportarlo dopo che aveva sistemato il casino alla redazione, ma  Thad e Sebastian si misero a  protestare perché stavano giocando ai pirati ed erano nel bel mezzo di una grandiosa avventura immaginaria. Elisabeth alla fine cedette ai bambini e ai coniugi Harwood che la esortarono a lasciare Kurt alla festa, ma prima di andarsene la donna prese Estella Harwood e la riempì di raccomandazioni:
 
“Signora Harwood, la prego, tenga d’occhio Kurt che non mangi nulla e che nessuno gli dia nulla.”
“Va bene.” Disse Estella un po’ stranita.
 “Questo è molto importante. Mio figlio non mangia cibi solidi se non sotto la mia supervisione. Se ha sete gli dia solo acqua naturale. No succo, no Coca Cola, no bevande gassate... Comunque penso di metterci meno di un’ora. Per farla semplice ha dei problemi e non può mangiare tutto, quindi se mi fa questo favore le sarei grata.”
“Certamente non si preoccupi.”
“Invece mi preoccupo, lei mi deve dare la parola che starà dietro a mio figlio, se no davvero lo porto via con me e lo riporto quando ho fatto.”
“Le ho detto di stare tranquilla, mi occuperò io del suo bambino.”
 
Estella e Adrian erano rimasti basiti dalle richieste strane di Elisabeth e, anche se un po’ infastiditi e considerandola esagerata, la rassicurarono.
Elisabeth non ce la fece a tornare entro l’ora come aveva promesso, così si perse: nonna Carmen portare la sua famosa- ed enorme- torta al cioccolato e noci, Thad spegnere le candeline e Sebastian andare dal padre  e chiedere una torta a tre piani per il suo compleanno, tutti più grossi di quella del piccolo Harwood.
Né Adrian né Estella pensarono di avvertire Carmen che Kurt non poteva mangiare nulla e, nel trambusto di una festa di compleanno, non videro quando la matriarca diede al piccolo un piattino di carta con sopra una fetta di dolce e una forchetta. Nessuno notò la confusione di Kurt che per la prima volta si trovava da solo a mangiare una fetta di torta, anziché il suo solito sminuzzato budino alla vaniglia.
Kurt aveva solo quattro anni e quella torta pareva così buona e soffice che decise di non dare peso alla solita routine che accompagnava ogni suo pasto...
Prese la forchetta, mise un grosso boccone in bocca e masticò più che poté, ma non era abituato a farlo . Quella torta era così secca e senza nulla da bere...
Etienne fu il primo a notare Kurt spaventato che tossiva con le manine intorno al collo, gli occhi pieni di lacrime e il piatto della torta ai suoi piedi.
Corse da lui cercando di aiutarlo.
“Dai piccolo tossisci, tossisci!” lo esortò e, non sapendo bene cosa fare se non farsi guidare dall’istinto, prese un bicchiere di succo e cercò di farglielo bere, ma servi a poco e il bambino diventò cianotico.
“AIUTO! AIUTO! CHIAMATE UN’AMBULANZA, SERVE UN MEDICO.”
Bastarono quelle parole per creare un caos tra i genitori e bambini, aumentando il panico che Etienne provava.
“LASCIATEGLI SPAZIO, NON STATEGLI ADDOSSO!”urlò l’uomo a una discreta folla che si stava accalcando.
 Elisabeth comparve in quel momento e subito sul suo viso le si dipinse un’espressione di puro orrore quando capì cosa stava succedendo e per questo, senza perdere nessun altro attimo, corse da Etienne,  gli prese Kurt dalle braccia e freddamente disse:
“Chiamate l’ambulanza.”
“GIÀ FATTO! SONO SULLA STRADA!” urlò Adrian, mentre sua moglie Estella era in linea con l’operatore del 911.
Elisabeth, rincuorata dalla notizia, appoggiò Kurt a terra in posizione eretta, gli passò una mano sotto l’ascella e lo afferrò alla mandibola, costringendolo a piegarsi in maniera tale che lo stomaco fosse a contatto con il suo ginocchio.
 Etienne intuì che la donna era esperta perché cominciò a colpire con delle pacche decise inter-scapolari, contandole.
“Uno, due, tre, quattro, cinque.”
Adrian, come molti altri nella stanza , cercò di tenere calmi i bambini che stavano assistendo alla scena, ma non era facile, soprattutto con Thad e Sebastian che scalciavano perché volevano raggiungere Kurt e capire che cosa gli stesse succedendo. Non aiutava neppure Estella che urlava isterica all’operatore chiedendogli perché l’ambulanza ci mettesse tanto.
Elisabeth rimise il piccolo in posizione eretta e gli ruppe i bottoni della camicia rossa che indossava e gliela tolse insieme alla canottiera, rivelando il piccolo busto percorso da alcune cicatrici.
Etienne vide la donna mettere un pollice dove c’era la base dello sterno di Kurt e l’indice dove c’era l’ombelico e  con l’altra mano chiusa a pugno cominciò a dare dei colpi per spingere fuori quello che si era incastrato nella gola del figlio.
“Uno, due, tre, quattro, cinque.- Finito di contare la donna riposizionò il bambino e ripeté le manovre di soccorso. - Dai amore forza, forza.”
Fu una benedizione quando sentirono il campanello suonare e qualcuno urlare che erano arrivati i soccorsi.
Etienne con orrore vide che il bambino aveva perso conoscenza, mentre la madre lo distendeva a terra aprendogli la bocca ed esaminarla.
“Cazzo...” Elisabeth inserì il mignolo nella bocca del figlio  ed estrasse dei grumi scuri, quello che rimaneva della torta.
“De qua, de qua!” Urlò Carmen cinerea ai soccorritori, guidandoli verso Kurt che sembrava respirare a stento.
 
“Mio figlio quando è nato è stato operato di atresia esofagea di terzo tipo e per questo mangia raramente cibo solido. – spiegò Elisabeth al medico che le si era affiancata - penso di aver tolto il maggior grumo che ostruiva la trachea, ma non sono certa che il passaggio sia completamente libero.”
“Ha delle stenosi?”
“No. Nell’ultima endoscopia fatta a Dicembre andava tutto bene!”disse Elisabeth con un tono di voce crescente, segno che il panico la stava cominciando a investire.
Il medico fece un semplice cenno a due soccorritori che misero a Kurt una mascherina di ossigeno, poi lo caricarono su una barella e infine lo portarono via con Elisabeth affianco .
La festa di compleanno era finita.
Quando tutti gli invitati se ne furono andati, Estella urlò contro la madre, che a differenza del solito si prese  il rimprovero, anche se era innocente dato che nessuno l’aveva avvisata che il bambino non avrebbe dovuto magiare nulla.
I coniugi Harwood si sentirono in colpa per aver sottovalutato la richiesta di Elisabeth di controllare il figlio e averla presa solo per una madre pedante.
Decisero di andare in ospedale per controllare le condizioni di Kurt e andarsi a scusare. (Sapevano che la visita, come era di prassi, fosse fatta all’ospedale più vicino a casa loro, il Morgan Stanley.)
Thad fu affidato alla nonna, ma scoppiò a piangere perché non voleva restare da solo e voleva che Sebastian restasse con lui e a quel punto Etienne confessò:
“Vorrei venire anch’io all’ospedale...Posso lasciare Sebastian qui?”
“Penso che sarebbe fantastico.”rispose Adrian, che temeva di incontrare Elisabeth e la sua eventuale reazione.
Ci vollero parecchi minuti per calmare i due bambini che furono messi in pigiama( a Sebastian fu prestato un pigiama di Thad) e furono messi a guardare un cartone animato, mentre Carmen, ancora scossa da quello che era successo , continuò a ripulire i resti della festa rifiutando qualsiasi aiuto.
 
Appena arrivano all’ospedale, i coniugi Harwood ed Etienne chiesero alla reception se fosse stato ricoverato da loro un bambino di nome Kurt Calhoun, gli dissero che c’era e vennero indirizzati con il monito che la fine dell’orario di visita pomeridiano sarebbe stato alle sei.
Quando arrivarono davanti alla stanza sentirono Elisabeth parlare al cellulare.
“… Isabelle, tranquilla, goditi l’uscita con il tuo fidanzato... Kurt sta bene… sì, nessuna stenosi… sì, gli hanno fatto un ’esofago-grafia e una gastroscopia e gli hanno tolto i resti di una torta. Ora dorme è sotto anestesia … no… stasera è ricoverato e anche domani… no, no, gli faranno solo alcuni esami di controllo, niente di strano… Isabelle vai fuori divertiti con il tuo ragazzo, io ho bisogno di stare qui tranquilla… sì, il dottore voleva darmi un tranquillante, ma ho rifiutato… stavolta ho preso paura, mi è svenuto in fra le braccia nonostante la manovra… pensavo che sarebbe accaduta la stessa cosa di Char- Ti devo salutare…  tutto bene, ho solo visite… Nooo! Esci e divertiti, ci vediamo domani. Guai a te se vieni qua!”
 
Etienne e Adrian si guardarono, capendo che Isabel ed Elisabeth non stavano insieme come avevano pensato.
“Cosa ci fate qui?”chiese stancamente Elisabeth al piccolo gruppo, era chiaro che fosse esausta.
“Siamo venuti a porgere le nostre scuse e a vedere se va tutto bene…”disse con tono incerto Estella, Elisabeth scosse la testa.
“La colpa è mia. Semplicemente dovevo portarmi via Kurt,anche se  ci sarebbe  rimasto male. Non dovevo caricarvi di un compito del genere quando c’erano così tanti bambini e chiaramente voi eravate troppo indaffarati. Facendolo rimanere Kurt, a giocare con Thad e Sebastian, ho fatto l’errore di dare la precedenza alla sua felicità piuttosto che alla sua sicurezza.”
“Non dica così!”disse Estella.
 “Cosa dovrei dire dopo quello che è accaduto?- domandò duramente Elisabeth alla donna, che sussultò iniziando a piangere immediatamente.- Mi dispiace, non ce l’ho con lei, sono solo molto stressata! Sono io che vi chiedo scusa per la situazione in cui vi ho messo e la paura che vi siete presi. Pensavo di metterci meno…”
“No signora Calhoun, lei era stata chiara con me e mia moglie, pagheremo tutte le spese mediche e...”
“Non ce né bisogno. La polizza sanitaria copre tutto questo. Ora vi pregherei di scusarmi,  ma sono esausta e non voglio lasciare mio figlio da solo in camera per troppo tempo, potrebbe svegliarsi e voglio essere lì quando succede. Vi ringrazio di essere venuti, anche se non ce ne era bisogno.”
“Posso chiedere cos’è Atresia Esofagea?”domandò titubante Etienne, ricordando quando aveva sentito la donna parlare con il medico.
“Semplicemente è un difetto congenito. L'esofago non si è formato correttamente e termina in un sacchetto invece di collegarsi con lo stomaco. La correzione viene fatta chirurgicamente e porta in genere i soggetti a vivere una vita normale.”spiegò svogliatamente la donna come se lo avesse fatto mille volte.
Nessuno disse più nulla. Ci furono i saluti di rito ed Elisabeth sparì nella camera del figlio.
 
 
 
“Papà gli piaceranno?”
“A tutti piacciono i palloncini idiota!”
“Sebastian chiedi scusa a Thad!”
“Scusa Thad.”
“No, non ti scuso.”
“STUPIDO!”
“Basta!”ammonì Estella
“BASTARDO!”
“Bambini finitela!”disse Carmen che era unita al gruppo per vedere Kurt, ma soprattutto scusarsi con Elisabeth, anche se Estella, sbollita la rabbia e lo shock, le aveva spiegato che in realtà lei non aveva colpa.
“No Bastardo Tu!”
“Se non la finite immediatamente non andiamo a trovare Kurt e non gli diamo ne i palloncini ne il regalo che gli avete preso! Ok?” disse in tono autoritario Adrian e i due piccoli si tranquillizzarono immediatamente.
I tre adulti quando la sera prima erano arrivati a casa Harwood avevano trovato i due bambini in attesa che tornassero per fargli un sacco di domande su Kurt a cui Estella rispose con parole semplici.
“Domani andremo a trovarlo in ospedale, vero?”aveva domandato Thad con voce supplichevole.
“E gli portiamo anche dei regali. Ai malati si portano sempre dei regali. Niente cioccolatini però. Nonna quando qualcuno sta male porta dei schifosi cioccolatini al liquore.”
“Sebastian!”
 
 
Quando arrivarono davanti alla porta della stanza di Kurt la trovarono chiusa, anche se l’orario di visita era cominciato da pochi minuti.
Bussarono e ad aprire venne Isabelle.
“Oh salve”riuscì solamente a dire, prima che i due bambini la dribblassero per correre dal loro amico.
“Sebastian!”
“Thad!”
Urlarono i genitori delle due pesti che palesemente li ignorarono.
“Kurt ti abbiamo portato un regalo!” disse orgoglioso Sebastian.
“E anche tantissimi palloncini che volano, sono dieci!” disse dietro di lui Thad.
“Davvero?! Hai sentito mamma? Mi hanno portato un regalo e guarda quanti palloncini!”
“Ho sentito e ho visto, Kurt. Come si dice? ”
“Grazie.”
“Io e Thad volevamo dirti che ci dispiace che se sei nato difettoso.”
“Sebastian!”
“Non ti arrabbiare con lui, ha detto la verità!- disse il piccolo Harwood, sgridando Etienne-  Ce lo ha spiegato la mia mamma ieri sera che Kurt  è nato senza un pezzo.”
“Thad non essere scortese.”lo riprese Estella con il volto arrossato dall’imbarazzo.
“É vero che sono nato difettoso, ma un medico mi ha riparato.-disse Kurt agli amichetti.-Vero mamma?”
“Certo tesoro mio. Un medico bravissimo ti ha riparato.”
“Che figo!”dissero in coro i due bambini.
I Calhoun ridacchiarono all’entusiasmo di Thad e Sebastian che li stavano travolgendo di domande.
 Etienne con lo sguardo studiò Elisabeth, trovando una donna dall’aria stanca e profonde occhiaie, con addosso i vestiti del giorno prima ormai spiegazzati, i capelli in disordine, ma non per questo meno bella, anzi, lo era di più mentre teneva  materna  suo figlio in grembo rispondendo dolcemente a Sebastian e Thad.
“Uffa Kurt sei troppo in alto quel letto, è gigantesco!”si lamentò Sebastian.
“Già, è difficile vederti. Puoi scendere dal letto?”chiese Thad.
“Oppure perché non salite voi?”rise Kurt.
“Non fare il dispettoso.”lo ammonì Isabelle.
“Io non sono dispettoso!”
“Infatti, non so chi a casa mi nasconde sempre il vestito azzurro di Chanel che mi tocca sempre cercare.”
“Zia quell’abito è orribile e ti fa brutta.”
“E tu lo nascondi, sei un genio.”lo canzonò Isabelle.
“La prossima volta lo metto nel cassonetto dei poveri così non lo troverai più. Non capisco come il tuo fidanzato ti ami ancora se indossi una cosa del genere.”disse col broncio Kurt.
“Ehi cucciolo, con me piano con le parole o ti butto il tutù.”
“Zia brutta e cattiva!”
“Dove te lo ha nascosto questa volta?”chiese Elisabeth ridendo.
“Liz non ridere che non è divertente! Comunque il mio vestito era nell’armadio dei prodotti di pulizia, l’ha trovato mia madre quando è venuta trovarmi, se non la bloccavo lo riduceva a brandelli facendone pezze per pulire!”
“Peccato che l’hai bloccata.”disse Kurt corrucciato, beccandosi un’occhiataccia divertita da Isabelle.
“Guarda che è figlio di una giornalista di moda, ha un occhio molto critico.- ridacchiò Elisabeth.- Dai bambini, toglietevi le scarpe e venite qui!”
 “Ma Lizzy non è proibito che stiamo sul letto con Kurt?”domandò timoroso Thad con Sebastian che scuoteva la testolina con assenso.
“Certo che il personale dell’ospedale non vorrebbe, ma a noi non interessa. Vero Kurt?”
“No, non ci interessa, è una regola sciocca. Neanche la mamma potrebbe stare sul letto, ma io la voglio qui che mi abbracci.”
I bambini non se lo fecero ripetere, si tolsero le scarpe ed Elisabeth li aiutò a salire sul letto.
Thad e Sebastian, appena si accomodarono, diedero il pacchetto gigante al loro amico, che lo scartò con entusiasmo.
“Mamma guarda un pinguino! È bellissimo. Grazie, grazie, grazie!” li ringraziò Kurt entusiasta.
“A momenti il pupazzo è più grosso di te.”lo canzonò Sebastian.
“Ora devi trovargli un nome.”gli disse Thad.
Etienne vide Kurt pensare concentrato ed Elisabeth togliergli  via i capelli che aveva sul viso con una carezza. Susan non aveva mai avuto un gesto così dolce con Sebastian. Anche suo figlio doveva aver pensato la stessa cosa perché guardò Elisabeth con uno sguardo che nessun padre sigle vorrebbe sul viso del proprio bambino: desiderio di essere coccolato da una mamma.
Forse anche Elisabeth se ne accorse perché si chinò e dolcemente lasciò un bacio sulla testolina ramata di Sebastian, che tornò a sorridere vivacemente e a suggerire nomi buffi per il pupazzo.
Forse fu  quel gesto così dolce che fece innamorare Etienne di lei e del suo bambino.
“Lo chiamerò Solo Jack! Come il tuo personaggio preferito di Will e Grace, mamma.” disse urlando festoso
Kurt.
La donna rise di gusto alla scelta del nome e si scambiò, con le guance lievemente rosate dall’imbarazzo,  un’occhiata complice con Isabelle.
Etienne pensò che Elisabeth fosse stupenda.
 
 
“Dio Liz, come vorrei che tu fossi qui!- mormorò stanco Etienne- Non riesco a proteggere Kurt, lui è lontano e sta male... che devo fare?”
L’uomo ovviamente non ricevette risposte e rimase a fissare la foto della donna. Erano passati anni da quando si erano amati, poi lasciati e rimasti amici, ma non per questo trovarsi in quel luogo era meno doloro...
 
 
“Ecco la sua camomilla Dottor Lopez.”
“Grazie Hunter.”
“Di nulla.- disse il ragazzo al medico per poi girarsi verso il padre- Papà, prima di chiudere il locale, ricordati di pulire la macchina del caffè e avviare la lavastoviglie.”
“Sì, sì, non ti preoccupare.”
Hunter ignorò l’uomo per rivolgersi alla madre.
“Mamma sei pronta che andiamo!? MAMMA! Finiscila immediatamente di sistemarti il seno e mettiti dei vestiti più accollati.”
“Come sei noioso.”disse la donna al figlio iniziando la procedura di chiusura della cassa.
“Non sono noioso, si chiama buongusto. E poi ci sono gli amici di papà!”
Luis vide Aron nascondere il viso nel bicchiere di coca-cola per non ridere della faccia accigliata di Olegh, mentre guardava il suo unico figlio rimproverare la moglie.
“Sofy, amore, non lo ascoltare sei bellissima ed elegantissima vestita così.”
 Jackson lanciò uno sguardo all’aderente vestito giallo canarino della donna, che evidenziava in modo particolare i due enormi seni. Concordò mentalmente con Hunter che quello di Sofy era certamente un abbigliamento poco adatto per lavorare in una tavola calda.
“Oh il mio dolce gorilla peloso.”tubò la donna deliziata dal complimento.
“Bleah! Ma perché questi nomignoli affettuosi non li tenete solo per voi!? - chiese esasperato Hunter.-Comunque non vorrei essere il solito guasta feste facendo io il genitore, ma è quasi mezzanotte ed io domani ho scuola e devo andare a letto, quindi mamma deciditi... o torni a casa con me o con papà.”
“Vengo con te. Inizia a mettere in moto la macchina.”
“Va bene, ma svelta. Dottor Lopez, Signor Pukerman e Ingegner Zizes è stato un piacere. ” disse il ragazzo uscendo.
 
“Ragazzi è stato bello rivedervi, ma che ne dite se una volta organizziamo una cena o un pranzo.” Disse Sofy abbracciando tutti i presenti che risposero affermativamente alla proposta.
 
“Tuo figlio è proprio un ragazzo con la testa sulle spalle Olegh, vorrei che anche Noah fosse come lui. Invece è sempre in mezzo ai casini.”sospirò Aron stancamente.
 “Come?! Vorresti che tuo figlio fosse come il mio? Io vorrei che mio figlio fosse un po’ più combina guai come il tuo.”
“Olegh, noi all’età dei nostri figli eravamo combina guai e, sì, una volta l’abbiamo fatta così grossa che io e te ci siamo fatti due mesi di riformatorio, ma eravamo sostanzialmente dei burloni che si opponevano alla gerarchia scolastica.”
“Sì e quindi?”
 “Noah è un bravissimo ragazzo, un meraviglioso fratello maggiore, ma da quando ho divorziato da sua madre a volte si comporta alla stregua di un mezzo delinquente. Per non parlare che da quando ha scoperto il sesso è diventato ingestibile. Io onestamente sono molto preoccupato, che sia arrestato o che venga a dirmi di aver messo incinta una ragazza.”
“Mi stai mettendo ansia Aron, tuo figlio Noah al momento sta uscendo con Santana.”
“Quando non esce con Santana esce con mia figlia Zizes.”
“Oh vorrei averceli io i vostri problemi! Mio figlio Hunter invece vorrebbe entrare nell’esercito, non vede altro. Non gli interessano le ragazze, ne farsi degli amici o uscirci... non ricordo mai nemmeno una volta che abbia dovuto rimproverarlo per aver fatto un danno, anzi è sempre stato lui a rimproverare me e sua madre. È nato già vecchio, non sa cosa siano le gioie della vita. Tale e quale a mio suocero.”
“Se vuoi chiedo a Noah, quando non è troppo occupato a uscire con Santana o Lauren, di provare a uscire con tuo figlio.”
“Dici che mio figlio gli piacciano gli uomini? Non l’avevo mai considerato … non sapevo però che tuo figlio Noah avesse certe tendenze.” disse pensiero Olegh e a Luis scappò una risata.
“Ma se non sai tu che tendenze ha tuo figlio come faccio a saperle io!? Comunque intendevo come amici.”spiegò Aron.
“Naaa lascia perdere allora. Se quello che dici è vero, Hunter piuttosto che riconsegnarti a casa tuo figlio lo arresta e lo consegna alla polizia.”
“Mi sembra di ricordare che tuo suocero fece con te una cosa del genere o mi sbaglio?”Chiese Jackson con una risata.
“È vero! Dio quanto ne abbiamo riso. Melanie adorava quella storia.” Disse Aron con nostalgia.
“Già, la piccola Mel ogni volta rideva fino alle lacrime e non riusciva a smettere.”
 
Olegh fece partire la lavastoviglie, abbassò la saracinesca e si sedette insieme agli altri uomini al tavolo.
Tutti improvvisamente si guardarono con un misto di disagio, tristezza e rimpianto, ognuno ricordando i momenti d’oro della loro amicizia.
Il primo a parlare fu Aron che con la sua voce bassa chiese:
“Allora Luis, quale motivo ti ha portato a riunire -l’uomo virgolettò le parole con le dita- di nuovo una cosa morta come la banda, avvisandoci con un messaggio del genere poi.”
Luis bevve un sorso della sua camomilla e con tutta la calma che poté disse:
“Kurt è come Charlie.”
I tre uomini osservarono il dottore con uno sguardo teso.
“Come fai a saperlo?” chiese Jackson.
“L’ho conosciuto, è stato all’ospedale.”
“Per l’atresia?”
“No Olegh, lui...” Lui spiegò dell’incidente e di quello che era successo all’ospedale e quando ebbe finito Aron sbuffò irritato.
“Quel coglione di Burt non ne fa una giusta, comunque Richard me lo aveva raccontato.”
Olegh si alzò, si spillò una birra e con aria pensierosa.
“Cosa pensi di fare Luis.”
Il dottore sospirò.
“Io non mi fido di Hummel.”
“Lui sa fare il padre- disse Jackson- ti ricordo che ha cresciuto Finn.”
“Non sto dicendo che non mi fido di lui in quel senso. Ma se quel ragazzo somiglia caratterialmente a sua madre, anche solo la metà, con Burt arriverà ai ferri corti a breve.”
“Elisabeth e Burt andavano d’accordo prima che i litigi e Carole li dividessero.” Rispose Jackson.
“Ragazzi, scusatemi la volgarità, so che non si parla così dei morti, ma Jackson sveglia!- sbuffò Olegh- Elisabeth dava la patata a Burt e lui ricambiava donandole il suo cetriolo, ecco perché andavano d’accordo. E sì, per un certo periodo si sono anche amati.”
“Sempre volgare Olegh- ribatté Jackson- non cambi mai. Quello che intendevo è che Elisabeth e Burt avevano delle cose in comune, se no non sarebbero stati insieme per quasi cinque anni. E poi trovo inutile fasciarsi la testa prima che succeda il casino, se Burt e Kurt andranno d’accordo sarà solo il tempo a dircelo.”
Luis annuì e aggiunse:
“Però, per quel poco che ho visto, Burt non sembrava in grado di capirlo, anzi. E il fatto che Kurt sia stato operato di Atresia esofagea mi mette più in ansia.”
Jackson prese un sorso dalla birra di Olegh.
“Sì, ma questo non fa di Burt uno che non è in grado di occuparsi del ragazzo. E poi dato che il ragazzo è stato operato il problema non dovrebbe essere risolto?”
Aron si mise a ridere, ma senza alcuna gioia e guardò gli altri uomini.
“Invece ha ragione Luis, c’è da preoccuparsi. Ho parlato con Richard e mi ha detto che Kurt è gay. Immaginate Hummel, abituato con Finn che è campione di football ed eterosessuale star della scuola, prendersi cura di un ragazzino con qualche problema marginale di salute e, come li definisce lui, frocio. Non lo accetterà e di certo se la prenderà con la memoria di Elisabeth…-Aron scosse la testa- La vecchia Calhoun questa volta ha sbagliato! Una volta che aveva negato la paternità a Burt lo avrebbe dovuto fare per sempre.”
Nel locale vuoto si sentì solo il rumore della lavastoviglie per qualche minuto, il tempo che i presenti digerissero le parole di Puckerman senior.
Luis si mise le mani sul volto in un gesto esasperato e vide nella sua testa il volto di Elisabeth devastata dal dolore quella notte in quel corridoio asettico.
L’uomo latino si alzò di scatto, tutta la rabbia che stava covando in quei giorni esplose. Mollò un poderoso calcio alla sedia su cui era seduto e poi lanciò, scottandosi, la teiera con il resto della sua camomilla.
Solo l’intervento di Aron e Olegh, che lo presero per le spalle e gli bloccarono i movimenti, gli impedirono di distruggere tutto il locale e lo sorressero quando si accasciò su se stesso a piangere per quello che aveva perso, anche se ormai erano passati molti anni.
 
 
 
Casa Hummel era silenziosa, tutti i suoi membri erano nelle proprie stanze a dormire, tranne il capo famiglia che era seduto in cucina con il proprio computer portatile.
Non riusciva a darsi pace dopo quello che Kurt gli aveva detto.
 
Quando mamma era incinta, mi fu diagnosticata un’ Atresia esofagea.
Burt alla rivelazione del ragazzo rimase tranquillo, non sapeva bene come reagire alla notizia, intuiva che doveva essere una patologia seria, ma non sapeva esattamente di cosa si trattava ne quanto grave poteva essere. Sentì una fitta di agitazione quando sua moglie si portò le mani alla bocca e fissò Kurt con gli occhi spalancati.
“Carole non serve essere così drammatici. Sto bene, non sto mica morendo.” disse il ragazzo poggiando le mani sui fianchi.
Burt non ci stava capendo nulla.
Carole alle parole del ragazzo arrossì.
“Qualcuno mi vuole spiegare che cosa è questa malattia e cosa comporta?”
“Burt non si tratta di una malattia. È una malformazione dell’esofago che s’interrompe terminando a fondo cieco e che quindi non comunica con lo stomaco  e che crea un disturbo del sistema digestivo. ”
L’uomo lanciò uno sguardo allarmato alla moglie e poi al figlio.
“Quindi se ho capito bene ti manca una parte dell’Esofago, cioè è mozzo? Ma come fai a vivere? Prendi medicine?” Burt in realtà non aveva capito quasi nulla di quello che la moglie gli aveva spiegato, semplicemente non riusciva a figurarselo.
In televisione aveva visto diversi sceneggiati che trattavano tematiche di persone con problemi di cuore, o cervello, o polmoni,o pancreas, ma mai gli era capitato di sentire o vedere qualcosa sull’esofago, se ci pensava in quel momento non gli veniva nemmeno in mente come fosse fatto e si sentì ignorante.
“Esistono diverse tipologie di questa malformazione. Io sono nato con Atresia Esofagea di tipo C, che è anche la più comune. Il mio Esofago invece di essere un unico tubo che si collega alla stomaco è diviso in due monconi: quello superiore a fondo cieco e quello inferiore collegato in modo anomalo alla trachea[2]. Però sono stato operato per correggere questa malformazione. Io sono molto fortunato, ora sto bene e per ora non ho bisogno di medicine.” Gli spiegò pazientemente Kurt.
“Che significa il tuo sto bene? E che non hai bisogno per ora di medicine? ” domandò Carole per cercare di capire.
“Anni fa prendevo alcune medicine per combattere il reflusso gastrico. Ma non ricordo bene, ero piccolo e mamma si occupava delle mie cure, ma potrete trovare tutto nei miei file sanitari. Comunque ora ho una vita pressoché normale, oltre l’atresia non sono nato con altre malformazioni, cosa molto comune a chi è venuto al mondo come me, io sono stato molto fortunato.”
“Quindi ora sei guarito?”Domandò il meccanico.
“Mamma ai primi di Dicembre di ogni anno mi faceva fare dei controlli perché ho bisogno sempre di monitorarmi. Il mio esofago, per quanto operato e riparato, è nato con un problema.”
“Quindi questo cosa comporta?”chiese Burt con timore.
“Comporta che ho dovuto imparare a mangiare masticando tutto tantissimo e bere piccoli sorsi per accompagnare quello che devo ingoiare e di evitare cibi troppo secchi o duri. Se non seguo questo metodo rischio di  incastrarmi il cibo nell’esofago e nel peggiore dei casi soffocarmi.”
“Ok, quello non dovrebbe essere un problema. Ora, per farci capire. facci un esempio di un cibo che per te è un problema o difficile da mangiare.” Chiese pratica Carole.
“Ad esempio i popcorn, mi piacciono moltissimo e me li concedo di tanto in tanto, ma quando li mangio devo fare un popcorn per volta e bere moltissimo, perché sono spugnosi e tendono a impaccarsi in bocca, oppure carni troppo secche, formaggi duri, carote crude, biscotti, la lista è lunga. Per la dieta che seguo dovrei evitare il più possibile anche cibi che potrebbero crearmi acidità di stomaco, come fritture, caffè, cioccolata, cibi zuccherati in generale, roba piccante, mele, pere e pomodori. ”
 
 
Burt non aveva fatto tutte le domande che avrebbe voluto, avevano i suoi genitori e Finn che li aspettavano per mangiare. Erano tornati in sala da pranzo e avevano fatto finta di nulla e Kurt, per non mangiare cinese, si era scusato con Molly e Arthur dicendo che lui era molto delicato di stomaco.
Burt alle parole del figlio gli era venuta fuori una risatina nervosa... delicato era un eufemismo.
Kurt aveva cenato con un formaggio cremoso e un avocado tagliato a cubetti, condito con un po’ di olio e pepe, e aveva bevuto tanta acqua. Era stato veloce a mangiare rispetto ai pasti precedenti.
La cena era stata piacevole, anche se il meccanico non aveva avuto molto appetito e il figlio minore aveva parlato poco o nulla, nonostante i tentativi di Arthur di trascinarlo in qualunque conversazione.
Kurt l’unica cosa sulla quale si era espresso era stata che voleva cominciare il prima possibile la scuola, non voleva farsi una settimana a casa.
Burt non aveva saputo cosa ribattere, Luis Lopez gli aveva detto, quando avevano parlato all’ospedale, di lasciarlo a casa per almeno una settimana per farlo ambientare. Ma, in effetti, sia lui che Carole avrebbero lavorato e Finn sarebbe stato a scuola. La soluzione che aveva pensato, per non lasciare troppe ore Kurt da solo, era di lasciarlo durante il giorno con i suoi genitori, ma non credeva avrebbe gradito.
Alla fine aveva detto al figlio minore che ci avrebbe pensato.
 
 
Burt quella sera quando si era coricato aveva parlato a lungo con Carole su Kurt e sua moglie aveva cercato di tranquillizzarlo dicendogli che il ragazzo ormai stava bene, di andare a dormire e che il giorno seguente avrebbero dato un’occhiata alle carte sanitarie e si sarebbero fatti un’idea più completa della situazione.
Burt però, a differenza della moglie, non era riuscito a prendere sonno aveva continuato a rigirarsi nel letto continuando a pensare alle parole di Kurt, così aveva deciso di alzarsi e fare delle ricerche per conto proprio.
 
Il meccanico aveva aperto svariati siti che parlavano di Atresia Esofagea e aveva trovato alcuni di stampo enciclopedico, altri di tipo medico e altri ancora raccoglievano testimonianze di persone adulte che erano nati o che avevano genitori o figli con questa patologia.
Lesse che l’Atresia esofagea era una malformazione di nascita e non una malattia ereditaria, questo lo sollevò un po’ perché significava che il difetto di Kurt non era imputabile a lui o comunque ad Elisabeth.
Si commosse quando lesse alcune testimonianze di genitori che raccontavano il loro calvario e dei problemi che avevano affrontato con i loro figli, che andavano seguiti moltissimo soprattutto nei primi anni della loro vita, e rimase sconvolto nell’apprendere che questi bambini venivano operati appena nati o comunque nei primi mesi di vita per correggere la malformazione di cui erano affetti e che comunque un cinque per cento di loro non sopravviveva nonostante le cure.
 
Burt studiò immagini che spiegavano, a seconda di quale Atresia Esofagea si trattasse, come veniva trattata e operata, ma capì che il problema comune di tutte  era che ogni esofago operato era inevitabilmente molto più stretto all’altezza dei monconi e proprio per questo non era raro che questi bambini soffrissero di stenosi[3] -dove i tessuti erano cicatrizzati- e che quindi dovessero sottoporsi a una dilatazione dell’esofago.
 
Leggendo quelle pagine internet molte cose su Kurt acquistarono un senso, come il fatto che sembrasse più piccolo della sua età. Non era raro che bambini e adolescenti che soffrissero di AE[4] avessero uno sviluppo fisico più lento rispetto ai ragazzi normali.
Il meccanico lesse anche che molti bambini nati con la malattia di suo figlio spesso avevano altre malformazioni associate: muscoloscheletriche, cardiovascolare, genito-urinario, gastrointestinale, e anomalie cromosomiche.  
Burt provò sollievo che Kurt non avesse avuto nessun’altra malformazione.
Finito di documentarsi cercò immagini di bambini operati di Atresia Esofagea e rimase scioccato vedendo quelle anteprime di neonati gonfi dalle operazioni con cicatrici fresche e sondini che uscivano dallo stomaco.
 
“Amore che fai?” chiese con voce assonnata Carole, ma Burt non riuscì a risponderle, boccheggiava incapace di distogliere lo guardo da quelle immagini che semplicemente erano in giuste.
Erano bambini piccoli e non avrebbero mai dovuto attraversare niente di quel genere.
 
Carole non ricevendo risposta andò a vedere di persona cosa il marito stesse guardando e non rimase sorpresa dalle immagini che erano presenti sullo schermo, senza dire niente chiuse la pagina del browser e diede ordine al computer di spegnersi.
 
“Burt, Kurt è un ragazzo che sta bene e ha un carattere tutto pepe. Non leggere queste cose.- Disse dolcemente la donna accarezzando la testa del marito. – Vieni a letto.”
 Burt sentì la gola chiudersi e gli occhi bruciare, delle lacrime stavano scendendo sulle guance.
“Finn quando la prima volta l’ho tenuto in braccio aveva pochi giorni e le sue uniche preoccupazioni erano bere il latte e dormire. Mi ricordo lo spavento che ci siamo presi quando Finn aveva tre anni e un pezzo di bistecca gli andò di traverso,  per fortuna che tu sapevi cosa fare e non ti sei fatta prendere dal panico. ”
Carole ascoltò silenziosa cosa suo marito volesse dirle e con la mano asciugò la guancia bagnata di lacrime.
“Abbiamo sempre riso della voracità di nostro figlio verso il cibo e siamo sempre stati fortunati che le uniche volte che ha visto un ospedale era per una vaccinazione...”
“Si è vero, lo siamo stati.”
“Kurt il giorno che è nato il latte era già un nemico. Mi ha colpito oggi quando ha detto che ha dovuto imparare a mangiare. Ho letto storie allucinanti di genitori che hanno dovuto affrontare interi calvari con bambini nati con L’atresia Esofagea … Io non so cosa mio figlio ha passato e non lo saprò mai, io non ero lì per lui. Non saprò mai se per lui a tre anni la cosa che gli facesse più paura fosse il mostro sotto il letto o un medico. Elisabeth mi ha negato tutto questo.”
Carole si commosse alle parole di Burt.
“Però ci sei adesso.”
Burt non ne era convinto, quel ragazzo era troppo lontano da lui e forse già l’odiava.
“Carole.”
“Dimmi.”
“Puoi abbracciarmi?”
Carole quella notte abbracciò Burt che pianse fra sue le braccia.
 
 
 
Kurt aveva lasciato le tende del letto a baldacchino aperte e fissava le stelle dall’enorme lucernario, gli sembrava quasi di essere in campeggio con Bob che interpretava la parte del classico compagno fastidioso che russava. Anche quella notte il cane aveva voluto dormire con lui, anche se aveva cercato di impedirlo in tutti i modi, ma Bob aveva assunto il suo comportamento prepotente e stalker e l’aveva avuta vinta. Il ragazzo guardò con irritazione il cane che e in quel momento era disteso trionfo sul tappeto a pancia all’aria, sbavando abbondantemente sul tappeto.
Provò a dargli una piccola spinta per girarlo e interrompere il colo di bava, ma Bob non si mosse di un millimetro e anzi iniziò a russare più forte. Kurt sospirò ancora più infastidito e per calmarsi cominciò ad osservarsi intorno nella sua nuova stanza.
La mansarda, grazie ai mobili montati quel giorno, profumava di nuovo e di legno, però era ancora estremamente impersonale. Non vedeva l’ora che arrivassero i suoi scatoloni da New York per riempirla dei suoi oggetti che lo avrebbero fatto sentire un po’ a casa, ma fino a quel momento avrebbe imparato a rendersi famigliari quelle mura sconosciute.
I suoi occhi indugiarono nell’angolo della mansarda in cui c’era una scala con una porta che portava su un piccolo terrazzino incastonato nel tetto. Burt e Carole nel giro panoramico della casa non glie l’avevano mostrato,  c’era salito da solo quando quella mattina aveva pulito e aveva scoperto quel quadrato  che sembrava fatto a posta per sedersi, anche in compagnia di cinque o sei persone, e ammirare i cieli stellati.
Dubitava che Burt, Carole o Finn ne fossero a conoscenza, visto il sudicio che aveva dovuto pulire che denotava l’abbandono di quella zona della casa.
Venne distratto dal vibrare del proprio telefono, segno che gli era arrivato un messaggio. Pensò che fosse strano, Thad e Sebastian gli avevano mandato la buona notte già ore fa. Rimase sorpreso quando lesse che il mittente era Adam, il suo ex ragazzo.
Si disse che forse non avrebbe dovuto esserne così sorpreso, in fondo era venuto anche in aeroporto a salutarlo e in quel periodo gli era sempre stato vicino e si era fatto sentire con regolarità, benché si fossero lasciati molto prima della tragedia che lo aveva travolto.
 
Da Adam:
Sto ascoltando la nostra canzone.
Ad Adam:
Adam…
Da Adam:
Mi manchi, vorrei che fossi qui. Vorrei esserti vicino e vorrei che le cose fra noi non fossero così complicate. Mi mancano i nostri momenti e i tuoi baci, mi manca essere insieme.
Qualunque cosa accadrà io per te ci sarò, ricordalo sempre.
 
Possibile che quel ragazzo proprio non capisse, pensò Kurt frustrato.
 
Ad Adam:
Lo so e io pure ci sarò per te. Però adesso la mia vita e un casino e ora, che si aggiunge anche la distanza, come possiamo far funzionare le cose fra noi quando non ci siamo riusciti prima!? Sei importante per me e lo sarai sempre, te l’ho già detto, ma non aspettarmi. Sei libero.
 
Da Adam:
Dimmi che non provi più nulla per me e allora ti lascerò stare. Rispetterò i tuoi tempi e se c’è la volontà si può superare ogni cosa!
 
Kurt si accigliò al messaggio del suo ex fidanzato.
Quando si erano messi insieme lui aveva quattordici anni e Adam diciassette, anche in quell’occasione il ragazzo aveva promesso che non avrebbe fatto pressioni di alcun genere per spingerlo ad andare a letto con lui, cosa che poi era costantemente successa ed era stata la fonte di tutte le loro litigate. Una volta Kurt, stupidamente solo per evitare un'altra discussione e per la pressione che riceveva un po’ da tutti gli amici che gli chiedevano se avesse iniziato a ‘divertirsi’, aveva fatto un lavoro di mano ad Adam che per ricambiare aveva cercato di fargli un pompino, se non fosse che lui era scoppiato a piangere ed era scappato perché si era sentito costretto.  
Sua madre quando lo aveva visto tornare a casa in lacrime lo aveva fatto sedere finché non le aveva raccontato tutto. Confessarle che aveva cominciato a sperimentare il lato fisico della sua relazione era stato imbarazzante, soprattutto perché lei non era proprio propensa alla sua storia con il ragazzo e lo considerava troppo giovane per entrare nel mondo del sesso.
Ma parlare con lei lo aveva fatto riflettere.

Amore, io non voglio dirti cosa fare, ma lo sai che penso che tu non sia pronto ne ad avere un rapporto fisico con un ragazzo e ne ad avere un rapporto. Avevo diciassette anni quando sono stata la prima volta in quel senso con un ragazzo. Ma quel ragazzo non è stato il mio primo fidanzato, gli altri prima di lui li avevo mollati tutti per lo stesso motivo: mi spingevano perché facessi sesso con loro e io non ero pronta. Non mi amavano abbastanza e io mi amavo troppo per buttare via qualcosa di così importante solo perché qualcuno mi diceva che dovevo farlo per dimostrargli i miei sentimenti.”
Kurt a quelle parole era scoppiato nuovamente a piangere perché Adam lo aveva messo sotto pressione per quello parecchie volte.
Sua madre lo aveva abbracciato forte .
“Tesoro mio non sto dicendo che fossero ragazzi cattivi, ne che Adam lo sia. Lo sai che per quanto non mi piaccia riconosco che è una brava persona, forse un po’ troppo grande per te, ma ciò che non toglie che se uno ragiona prima con gli ormoni e il proprio pene, anziché con il cuore, e non riesce a vedere che la persona che dovrebbe amare non è pronta, allora non vale la pena donargli qualcosa di così importante.”
“La tua prima volta con chi è stata?”
“Con il mio primo amore. Lui aveva già avuto esperienze e non mi mise mai sotto pressione perché andassi a letto con lui, mi amava troppo per fare qualcosa di così irrispettoso e stupido. Se vedeva che ero agitata si fermava e facevamo qualcos’altro, come uscire o vedere un film. La prima volta che ho avuto un rapporto sessuale io ho fatto l’amore con la persona che amavo, per quanto impacciato, imbarazzante e doloroso è stato bellissimo. Ho donato a lui qualcosa che non mi sono mai pentita di avergli dato. Se avessi un ‘altra vita vorrei poter rivivere quell’esperienza da capo con lui.”
“Wow...”
“Già wow! Io spero per te la stessa cosa, perché la prima persona con cui ti donerai in quel modo rimarrà sempre speciale in un modo o nell’altro.”
Kurt dopo quel discorso con sua madre aveva mollato Adam e non aveva mai avuto ripensamenti per la scelta presa.
 

Ad Adam:
I tre mesi che siamo stati insieme sono stati difficili per quanto ci volessimo bene. Io non mi sento pronto in tante cose! Forse neanche allora ero pronto ad avere un fidanzato. Funzioniamo meglio come amici. In questo momento non ho bisogno di complicazioni. Forse come diceva mia mamma devo ancora crescere e per ora non voglio questo.
Ps: Però avrei preferito che invece che scriverci dei messaggi almeno mi facessi una telefonata per dirmi queste cose.
 
Adam non rispose più e lui non si preoccupò, sapeva di essere stato duro, ma al momento non era pronto a complicarsi ulteriormente la vita, che in quel momento era più che a pezzi. Voleva solo concentrasi e fare piccoli passi per sistemarla, quindi per prima cosa il giorno seguente avrebbe ricominciato con le sue abitudini, gli pareva una buona idea.
Tutto presto divenne nero e il suo mondo si popolò di bei sogni dove tutto era a posto e semplice.
 
Aron  stava camminando verso casa. Aveva sempre amato camminare di notte, lui e Melanie lo facevano spesso  e a volte con loro si univa anche Thomas, ma preferivano quando erano solo loro due.
Lui e Mel parlavano di tutto e non c’erano segreti fra loro, erano veramente come due fratelli, con annesse gelosie e le litigate. Erano cresciuti come tali lui, Mel e Thomas. Era il segreto di pulcinella che la vedova Penpeng e il vedovo Puckerman avessero una storia. Se non fosse stato per i tratti orientali che i due fratelli Penpeng avevano ereditato da loro padre, le lingue malpensanti di Lima li avrebbero etichettati figli illegittimi di Yonathan Puckerman. La storia fra i loro genitori era andata avanti tutta la vita, non si erano mai sposati semplicemente per due fatti: quello religioso, lei cristiana praticante e lui Ebreo, e funzionavano meglio ognuno a casa propria. Bizzarri forse, ma erano stati una famiglia unita più di tante tradizionali che vivevano in quella ipocrita cittadina.
La gente di Lima era stata convinta che prima o poi Lui e Mel si sarebbero messi insieme, ma la scintilla fra loro non era mai scoccata, nemmeno una cottarella da parte di uno dei due, loro non erano certo Luis ed Elisabeth.
Lui era stato il testimone di nozze di Melanie e lei lo era stata al suo matrimonio.
Quando poi era rimasta incinta di Cooper era lui che l’aveva accompagnata a comprare vestiti pre-maman, ed era da lui  che aveva cercato rassicurazione:
“Come mi trovi Aron? Brutta? ”
“No Mel, sei bellissima come al solito. Sei solo diventata una balena, come tutte le donne incinta.”
“Sei un pezzo di merda.”
 “E gli ormoni della gravidanza ti hanno reso più aggressiva. ”
Poi dopo erano scoppiati a ridere di quello scambio di battute in cui nessuno dei due si era offeso perché semplicemente avevano quella confidenza tale che potevano permettersi tutto.
Aron non riusciva a darsi pace per l’omicidio di Melanie, non c’era giorno che non pensasse a sua sorella di sangue diverso, ma era tutto troppo doloroso, perfino il suo matrimonio era fallito per questa sua ossessione. La sua ex moglie, Rikva, era stata gelosa di Melanie sia da viva che da morta. Aveva sempre cercato di limitare le visite a casa di quella che lei considerava una nemica giurata, per fortuna che Richard, il marito di Mel, non era stato dello stesso avviso e aveva capito che legame lo legava a sua moglie.
Uno dei dispiaceri più grandi che aveva, per colpa della sua ex moglie, che i suoi figli, Noah e Malka, non considerassero famiglia e nemmeno amici Cooper e Blaine. L’unica magra consolazione era che almeno i due Anderson lo considerassero come loro zio, una persona della famiglia che per loro c’era e ci sarebbe sempre stata. Erano i figli della donna che aveva considerato sua sorella e non avrebbe mai potuto abbandonarli.
Aron si accese una sigaretta e, come aveva fatto per tanti anni,  cominciò a pensare a Melanie e a chi aveva potuto ucciderla. Passò nella mente tutte le confidenze che gli aveva fatto la sua amica, ma per quanto si sforzasse non gli veniva mai in mente nessuno che avrebbe potuto ucciderla.
Melanie non aveva nemici, nemmeno tra i colleghi di lavoro alla banca e i clienti; non aveva  amanti, ne simpatie particolari e gli amici erano pochi, solo i componenti della banda e consorti.
L’ispettore MacManara l’uccisione di Melanie l’aveva archiviata come un furto finito male da parte di un ladro nomade.
Per lui quel giorno la finestra del soggiorno di casa Anderson era spalancata, magari per arieggiare, e quindi  ‘il furfante’ era entrato da lì. Melanie trovandosi l’uomo in casa probabilmente aveva provato a reagire e il ladro, preso dal panico, le aveva sparato con la pistola in suo possesso e poi Blaine era arrivato e lo aveva visto...
 Il ladro non poteva lasciare testimoni e forse impanicato aveva preso il bambino e lo aveva portato in casa; Blaine vedendo la madre distesa per terra, probabilmente già morta, era corso da lei e l’uomo, a quel punto, aveva puntato alla schiena del bambino e gli aveva sparato alla testa. Dai risultati balistici avevano ipotizzato che chi avesse sparato usava la mano destra ed era quasi sicuramente un uomo, alto sul metro ottanta /ottantacinque .
Tre erano i dettagli che aveva convinto maggiormente l’ispettore della sua ricostruzione: il primo, Melanie non aveva nemici o amanti rifiutati o storie lasciate irrisolte;  il secondo, dai bossoli dei proiettili della pistola che aveva sparato i colpi erano riusciti a risalire a una magnum 38 che risultava rubata da un deposito giudiziario in Texas; terzo, Blaine.
Per MacManara se il ladro/assassino se fosse stato una persona vicina alla vittima o di Lima, presumibilmente, avrebbe cercato di uccidere Blaine quando era stata diffusa la notizia della sua sopravivenza, anche se aveva riportato una forte amnesia. Nessuno avrebbe mai lasciato in vita un testimone chiave che avrebbe potuto recuperare la memoria di quel giorno in qualsiasi momento.
MacManara alla fine aveva chiuso il caso come irrisolto spiegando che, secondo gli elementi che aveva raccolto, poteva affermare che l’uomo che aveva commesso il crimine era ormai probabilmente fuori dal paese.
L’unico modo per riaprire il caso sarebbe stato se Blaine avesse ricordato.
Ma Aron, Richard, Thomas, Luis e Olegh, non erano d’accordo con l’ispettore. Loro sapevano che Mel era freddolosa e mai ai primi di Dicembre avrebbe spalancato la finestra per arieggiare, soprattutto se non c’era nessun altro in casa. Per non parlare della porta che  chiudeva sempre a doppia mandata, anche quando Blaine o Cooper erano a giocare dai vicini. Da piccola un ladro era entrato in casa e lei e il fratello se l’erano vista brutta e da quell’episodio era divenuta paranoica che qualcuno potesse entrare. Per questo erano certi che non avrebbe mai dimenticato aperta la finestra, ma per l’ispettore quella storia era un dettaglio irrilevante.
Richard, nonostante il dolore per la perdita della moglie, aveva capito immediatamente l’incompetenza di MacManara e preso dalla rabbia e la disperazione aveva assunto un investigatore privato di nome Albert Hallen.
Hallen, a differenza dell’ostinato ispettore capo del distretto di Lima, li aveva ascoltati, aveva fatto le proprie indagini, esaminato anche le carte della polizia, riuscendo a creare un’altra ipotesi su come fossero andati i fatti.
Per lui chi aveva ucciso Melanie Anderson non era un ladro, ma qualcuno che aveva premeditato di farlo e questo già spiegava l’assenza di tracce importanti e la mancanza di refurtiva. La finestra, quella sulla quale MacManara aveva costruito la sua ipotesi, era stata aperta in un secondo momento per sviare, confutabile dal fatto che se qualcuno avesse scavalcato avrebbe lasciato dei segni sugli infissi con le scarpe e con la terra del giardino dove affacciava quel lato della casa. Hallen sosteneva che la sua ipotesi voleva dire solo una cosa: Melanie aveva aperto la porta al suo assassino e, a prescindere da quello che la legava a quella persona, era qualcuno che conosceva. Dall’autopsia era emerso che la donna era sopravissuta qualche minuto dopo che le avevano sparato e questo portava a pensare che chiunque fosse stato non era abituato a farlo.
Però per Hallen, a differenza dell’ispettore, Blaine era un’incognita nel quadro della storia. Si sapeva che era a casa dei vicini, i Pierce, a giocare con Brittany e che era tornato a casa solo per prendere un gioco. I coniugi Pierce però non si erano accorti quando Blaine era uscito da casa loro, erano diventati consapevoli della scomparsa del bambino solo quando Brittany, piangendo, aveva lamentato che Blaine ci stava mettendo troppo. Non era chiaro se il piccolo fosse arrivato quando la madre era ancora viva- prima o dopo di averle sparato- o come aveva ipotizzato MacManara a delitto già compiuto. Le tempistiche variavano di pochi minuti, ma Hallen credeva che se non era stata la madre ad aprire la porta a Blaine era comunque qualcuno che il piccolo conosceva e per questo era entrato, ma dopo aver visto il corpo della madre riverso a terra nel soggiorno era corso da lei e, quando era chino, l’uomo gli aveva sparato.
Hallen pensava che chi avesse commesso l’omicidio provasse anche ad uccidere anche Blaine, per questo aveva suggerito di diffondere la voce che il bambino soffrisse di amnesia e improvvisa perdita della parola. Per quanto triste, questo era stato l’unico modo per  proteggerlo concretamente dalle possibili cattive intenzioni dell’assassino che era a piede libero.
Hallen aveva sconsigliato a Richard di lasciare Lima, ma di far finta di abbracciare la teoria di MacManara, perché era convinto che l’assassino in quella maniera si sarebbe sentito sicuro e non avrebbe abbandonato la contea, permettendo a loro di investigare e un giorno arrestarlo.
Richard si fidava dell’investigatore, aveva un altissimo tasso di risoluzioni di casi. Lo aveva conosciuto quando suo padre, medico come lui che operava a Columbus, gli aveva salvato la vita perché era finito in mezzo a una sparatoria per difendere la propria cliente.
Aron, aveva suggerito a Richard di far prendere a entrambi i suoi figli dei corsi di autodifesa e l’amico aveva seguito il suo consiglio. Cooper aveva scelto di seguire arti marziali, ottenendo ottimi risultati, e Blaine aveva scelto il pugilato. Il più piccolo degli Anderson per ovvi motivi era particolarmente aggressivo e negli allenamenti  aveva raggiunto livelli molto alti e, anche se  era classificato come Welter, non si risparmiava di combattere e stendere pugili di peso molto più pesanti di lui.
Aron fumò con calma, mentre ripensava a qualunque cosa potesse essergli sfuggita, sapendo che la risposta era sotto il naso...
Era ormai verso casa, la sua passeggiata notturna era quasi finita, e come sempre a quel punto si sentì pervadere dal senso di sconfitta.
Quando estrasse le chiavi per aprire la porta di casa sua intonò la stessa preghiera di ogni notte:
Ti prego Dio,  fa che Blaine ricordi.
Solo lui aveva la soluzione per scoprire chi aveva ucciso sua madre.
 Aron si sedette in soggiorno con una bottiglietta d’acqua e prese una vecchia fotografia della Banda e guardò i volti adolescenziali di Melanie ed Elisabeth:
“Ragazze ci avete lasciato un compito troppo grande... lo sapete che quando rimane solo un branco di uomini succedono solo casini... Beth cosa ti è saltato in mente di lasciare il tuo bambino a quell’imbecille...”
 
Blaine  era seduto alla scrivania di camera sua, aveva appena finito di scrivere a computer una ricerca di storia.
“Kurt Calhoun...” digitò su google e diede invio. Si stupì trovando pagine intere dedicate al suo nuovo vicino di casa.
“Ma tu pensa... carino vestito da bambina inquietante...”
Il ragazzo dopo aver dato una scorsa veloce ai siti decise di passare direttamente alle immagini e vide parecchie foto di Kurt di tutte le età, spesso vicino ad attori molto famosi.
“Fortunato bastardo...”
Dopo dieci minuti di ricerche su Kurt, Blaine, si era stufato e aveva cambiato le chiave di ricerca in “uomini Hot ” e dopo altri cinque minuti in “uomini hot nudi...”
 “Blaine Junior giù! Non è modo di comportarsi... andiamo sui video e vediamo qualche futuro signor Anderson...”
 
 
 
L’angolino della tazza di caffè…
 
Allora un capitolo denso di dettagli e nuovi elementi che si fondono nella nostra trama.
Melanie Anderson e il suo omicidio, finalmente cominciamo a inserirci in uno dei misteri che sono la colonna portante della storia e dal quale derivano i problemi di Blaine…
In questo capitolo abbiamo avuto come al solito molti punti di vista da cui si dipana la trama e dei ricordi del passato che ci permettono di vivere quello che è stato il passato di Kurt e di conoscere Elisabeth.
Nel prossimo capitolo avremo ancora molto del passato dei Calhoun raccontato e stavolta il nostro narratore sarà Isabelle e avremo come guest star Anna Wintour  e in più ci sarà molto Klaine! ;)
 
Ecco la mia pagina Fb  dove troverete notizie sull’aggiornamento della storia:
 
https://www.facebook.com/pages/Schifottola/598579906836059
 
Un bacione e a presto
 
Ps: spero che le note che inserisco nella storia vi aiutino a capire un po’ di più
 

[1] La dilagante teoria del genere sostiene che la persona sia nient'altro che il prodotto dei modelli e dei ruoli in cui è costretta a vivere ed operare. Il termine genere (gender) è stato coniato , intorno al 1950, da endocrinologi e psicanalisti americani. Essi parlano di "gender role" e di "gender identity" in cui si propone la distinzione fra sesso e genere. Nell'individuo sarebbero presenti un sesso biologico, un sesso sociale (gender) e l'identità sessuale fondata su orientamenti sessuali dipendenti solamente da una libera scelta individuale. Eterosessualità, omosessualità e transessualismo hanno pari dignità. Sesso biologico, sesso psicologico e sesso sociale sono realtà separate.
[3] S'intende una condizione patologica consistente nel restringimento di un orifizio, di un dotto, di un vaso sanguigno o di un organo cavo, tale da ostacolare o impedire il normale passaggio delle sostanze che fisiologicamente passano attraverso di essi.
[4] Sigla che sta a indicare Atresia Esofagea.

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Capitolo 11
*** Scoperte a colazione ***






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Isabelle chiuse la porta di casa e, come ogni mattina degli ultimi quindici anni, si voltò verso l’uscio dell’appartamento di fronte. Solo che, come era solito succedere, non avrebbe bussato per chiamare Elisabeth e accompagnare Kurt a scuola; non ci sarebbe stato per lei e la sua migliore amica il caffè al loro bar preferito e nemmeno nessuna cena di ritrovo di casa Calhoun...
Non ci sarebbe stato più nulla di tutto quello.
Isabelle ricacciò indietro le lacrime e se ne andò all’ascensore, accompagnata solo da ricordi che in quel momento le procuravano tristezza e solitudine.
 
 
Isabelle era furiosa.
 Si era laureata con il massimo dei voti alla Columbia e poteva vantare un Master in Giornalismo e Storia della Moda, titoli conseguiti in una delle migliori università della Nazione. Da anni lavorava duramente alla redazione di Vogue, intervistando il personaggio di copertina e scrivendo articoli di punta e Anna Wintour, la direttrice, la ignorava e riversava tutte le sue attenzioni alla nuova giornalista, che aveva una preparazione inferiore alla sua e per giunta svolta in un’università statale (e non privata come la sua)in Ohio a Columbus.
Elisabeth Calhoun, questo era il nome della sua nuova collega e cocca della Wintour.
Isabelle non capiva come mai la direttrice apprezzasse tanto questa nuova giornalista. Aveva letto i suoi articoli e non erano nulla di speciale, anzi, erano pieni solo di ironia e arroganza. Come il trafiletto che aveva scritto sulla collezione di Versace primavera-estate, che aveva definito scialba e anonima e aveva aggiunto anche che era stata resa passabile solo per la scelta giusta delle modelle, donne che sarebbero state attraenti e glamour anche solo con un sacchetto della spazzatura.
Isabelle era rimasta letteralmente a bocca aperta alla lettura dell’articolo della collega e si era chiesta con quale coraggio avesse scritto tali parole su un mostro di bravura quale era lo stilista Gianni Versace.
Nella redazione molte persone non si spiegavano come Elisabeth Calhoun avesse avuto il posto vagante di giornalista alla redazione.
Per quel lavoro si erano presentati 407 giornalisti da tutta America. Lei stessa aveva delle amiche con una preparazione certamente più valida della nuova arrivata e che avevano sostenuto dei colloqui, ma che erano state scartate malamente dalla direttrice, che in quel periodo era molto nervosa per aver perso il suo braccio destro e direttore artistico, André Leon Talley, che era andato a lavorare per una rivista francese.
Per Isabel c’era qualcosa che non tornava in quella situazione.
Anna Wintour aveva assunto quella giornalista, che dopo qualche tempo si era scoperto essere incinta e che all’anulare non portava nessun anello. In redazione non era passato molto tempo che a tutti sorgesse spontanea la domanda di chi fosse il l’amante o il compagno Elisabeth Calhoun per essere giornalista di punta in un posto di pregio come quello.
Però,  per quanto lei e i colleghi avessero indagato,  non c’era stato modo di scoprire nulla sulla vita privata della nuova arrivata e chi aveva provato a chiederle direttamente qualcosa si era preso delle risposte taglienti del tipo:
Perché me lo chiedi!? Vi siete già tutti stufati a giocare a fare gli investigatori?
La tua voglia di ficcare il naso negli affari miei supera la finta cordialità che mi usate davanti prima di sparlarmi alle spalle?”
 
Isabelle non era stato affatto sorpresa che Elisabeth sapesse delle voci che circolavano su di lei e nemmeno che si fosse fatta terra bruciata attorno rimanendo completamente sola. Immaginava anche che fosse stato intenzionale che qualche suo collega si fosse fatto sentire sparlare, non era la prima volta che succedeva e nemmeno sarebbe stata l’ultima. Tutti in quella redazione erano lì dentro perché si erano fatti il culo e non certo per una raccomandazione e quindi non era stato strano che era cominciato un ‘genuino’ mobbing all’imbrogliona.
 
Isabelle però quella mattina non sapeva che avrebbe ricordato per sempre quel 28 Agosto 1995...
Era stata convocata nell’ufficio di Anna Wintour, sapeva che quella era l’occasione che aspettava per far colpo sulla donna, visto che  da qualche giorno la cocchina si era presa il congedo per maternità.
“Sei in ritardo.” Fu la prima cosa che le disse la direttrice, mentre esaminava  il menabò di uno speciale sulla storia della moda che sarebbe stato venduto con il Vogue di Ottobre.
Isabelle non si preoccupò a dire che non era affatto così, anzi che era perfino in anticipo di una decina di minuti.
“Mi scusi.” Invece disse conscia che non fosse il caso di far innervosire l’altra donna.
Anna non diede segno di aver sentito le scuse e continuò il suo meticoloso controllo della bozza segnando con un pennarello rosso quello che non le andava bene, in arancione ciò che andava migliorato, in viola quello che le piaceva, alternando il tutto con delle annotazioni.
Isabelle sentì la tensione salire in lei mentre veniva beatamente ignorata per oltre un quarto d’ora e si trovò   impreparata quando la donna, continuando il suo meticoloso controllo, le rivolse la parola.
“Mi serve che vai a  prendere l’articolo che ha preparato Elisabeth Calhoun. L’ho già avvertita che qualcuno sta arrivando a prendere i floppy disk con tutto il materiale.”
Isabelle rimase un momento imbambolata, come se avesse ricevuto uno schiaffo in piena faccia.
“Mi scusi?”
“Non farmi ripetere Wronte!” Disse impassibile la direttrice.
Isabelle avrebbe voluto mettersi a piangere sentendo la direttrice storpiare il suo cognome.
“Mi chiamo Isabelle Write, signora Wintour. E poi mi scusi perché dovrei andarci io a prendere l’articolo da Elisabeth? Sono una giornalista professionista e sto lavorando a un articolo sulla chirurgia estetica. Non può mandarci la sua assistente o qualche stagista?”
Anna, con la massima calma, chiuse i pennarelli e li poggiò sulla scrivania e poi puntò i suoi occhi verde oliva in uno sguardo gelido su di lei.
“Se sto mandando te, Wronte.-la donna calcò sul cognome sbagliato appositamente- ho le mie ragioni. So ancora quello che sto facendo. Se non credi che sia così, va bene, quella è la porta. Ricordati che non sei indispensabile e che lì fuori è pieno di giornalisti bravi e raffinati quanto te nella scrittura. Ci metto cinque minuti a trovare un sostituto per il tuo posto di lavoro.- Disse con un tono calmo. ma terribilmente austero la donna per poi riprendere i suoi pennarelli e continuare la correzione del menabò.- Puoi andare.”
Isabelle si alzò dalla sedia con le gambe tremanti e si diresse verso la porta.
“Ah! Wronte... l’articolo mi serve entro le sei!”
“Sì signora.”
“Devi andare al Morgan Stanley Children's Hospital.”
 
Isabelle di certo non amava Elisabeth Calhoun, ma quando entrò nella camera che le era stata indica e la trovò vuota senza nessun mazzo di fiori, nastri o peluche giganti che indicassero che li ci fosse ricoverata una neo mamma le fece tristezza e pensò che fosse strano.
Guardò il mazzo di margherite gialle che aveva portato per cortesia e lo mise su un tavolino.
Uscì in corridoio e bloccò un infermiere del reparto e gli chiese dove fosse la signora Calhoun e l’uomo le sorrise gentile e disse una frase che la lasciò stupita.
“Finalmente qualcuno che è venuto a trovare la signora Calhoun! È molto importante che in momenti difficili come questo le persone care le stiano vicino.”
Non capì cosa l’uomo avesse cercato di dirle, ma sorrise come se lo avesse fatto, avvertendo un improvviso enorme peso sullo stomaco.
“Mi potrebbe indicare dove posso trovare Elisabeth?”
“Certo, mi segua.”
L’infermiere la guidò attraverso corridoi sempre più bui e cupi, incontrarono parecchie persone che avevano espressioni, stanche e tirate, fino a quando non scorsero Elisabeth.
Isabel notò subito che qualcosa in lei non andava.
La collega aveva i lunghi capelli castani legati in una treccia morbida, la pelle alabastro aveva assunto una tonalità di un pallido spettrale e gli occhi erano gonfi e fissi su quello che c’era al di là di una parete vetrata. Gli elementi più allegri di quel luogo erano la camicia da notte estiva azzurro cielo che Elisabeth indossava e il suo antico medaglione con sopra un elefante, che portava sempre al collo e che difficilmente l’aveva vista senza.
L’infermiere che l’aveva accompagnata la lasciò per tornare al lavoro.
Isabelle fece qualche passo in direzione della collega e nel suo campo visivo entrò quello che c’era dietro il vetro: due stanze, una di sterilizzazione e una di terapia intensiva dove c’era un’incubatrice in cui vi era posto un neonato addormentato e disteso sulla schiena, tutto gonfio, completamente immobile, attaccato a molte macchine che monitoravano i suoi parametri vitali.
Isabelle provò l’irrefrenabile voglia di piangere quando si accorse che dal naso del neonato usciva un sondino e dalla bocca un tubo, che era un ventilatore di respirazione artificiale. Si capiva chiaramente che il piccolo era stato operato, era pieno di cerotti che coprivano la zona toracica destra, dal pancino usciva l’ennesimo tubo e sotto, per terminare, c’era anche un piccolo  catetere.
“Pensavo che oggi pomeriggio  sul tardi venisse l’assistente di Anna e non la grande Isabelle Write, la più grande giornalista di Vogue America.” Disse Elisabeth in tono canzonatorio e con una punta di cattiveria. Isabelle si rese conto per la prima volta che quel modo di rispondere della collega non era altro che una corazza... si ricordò che i primi tempi era molto gentile e solare, anche se sempre un po’ tagliente.
 “Quando è nato o nata?”
“Maschio, si chiama Kurt ed è nato il 25.”
Era appena il 28 Agosto ed Elisabeth era andata in congedo maternità il 24, aveva lavorato praticamente al termine della gravidanza e nessuno alla redazione aveva mostrato gentilezza per la sua condizione, nemmeno lei e questo la fece vergognare.
Non sapeva che dire, se complimentarsi per il bambino o dire che fosse bello, anche se era una palese bugia. Per lei tutte le frasi di circostanza che si usavano in occasione di maternità erano delle menzogne, non le piacevano i bambini.
“Sta bene?” domandò timidamente dopo qualche minuto.
Elisabeth per la prima volta si voltò verso di lei con un’espressione di pura furia che le distorceva i bei e delicati lineamenti.
“Mio figlio sta benissimo Write. Quelle macchine le abbiamo messe solo per scenografia. Anzi se ti fermi vedrai che tra un po’ arriverà Andy Warhol a fargli un intero servizio da pubblicare su Mamma magazine.”
“Scusa io non volevo. Io, io non intendevo.”
Elisabeth la fissò con i suoi  grandi occhi azzurro cielo da gatta con palese disgusto che la fece balbettare di più ma, prima che una delle due potesse dire altro, un fischio acuto attirò pervase l’aria, veniva da una delle macchine collegate al bambino.
“OH MIO DIO! KURT! AIUTO QUALCUNO MI AIUTI!” urlò presa dal panico Elisabeth, che però aveva agito d’istinto correndo verso il corridoio dove c’erano gli infermieri, mossa inutile dato che la stanza era collegata a una centralina di allarme e il personale era stato già avvertito.
Le altre persone presenti nel reparto, probabilmente genitori di bambini ricoverati nel reparto, si girarono ad osservare la scena spaventati.
Isabelle solo in quel momento capì quale macchina si trattasse ed era l'elettrocardiografo e il monitor segnava un l’istogramma piatto.
“DOTTOR FOKER! DOTTOR FOKER, AIUTO! ”urlò Elisabeth che fissava con terrore il proprio figlio.
Isabelle vide arrivare tempestivamente di corsa un dottore altissimo, seguito da altre tre persone, entrare nella stanza e immediatamente operare attorno al neonato. Le sembrò di vedere il medico fare un iniezione al piccolo o forse aveva tolto uno dei tubi al quale era attaccato o forse addirittura il respiratore artificiale. C’era troppo movimento di fronte al piccolo per capire cosa stava succedendo.
Elisabeth era incollata al vetro  gli occhi frenetici seguivano la scena davanti a lei e un respiro agitato continuava ad alzarle il petto aritmicamente, sembrava sul punto di un attacco di panico.
Un piccolo spiraglio si fece largo nell’equipe medica e riuscì a vedere il dottore cominciare ad applicare sul bambino un massaggio cardiaco, ma lo faceva in un modo che Isabelle non aveva mai visto fare: solo con due dita, l’indice e il medio.
“Dio ti prego no. No. Ti prego! Non togliermi Kurt. Non portarmelo via come hai fatto con Charlie, mamma e papà. Ti supplico, ti supplico...” pregò piangendo la donna.
Quella frase, la stanza d’ospedale triste e vuota, la riservatezza sulla vita privata, mai che qualcuno fosse venuto a prendere la collega al lavoro e le parole dell’infermiere poco prima fecero realizzare a Isabelle che Elisabeth era completamente sola.
“LO STIAMO PERDENDO, TROPPI MINUTI! TIRATE FUORI IL DEFIBRILLATORE![1]
“MA DOTTORE IL DEFIBRILL-”
“GILL FAI COME HO DETTO!”Urlò rabbioso il medico e la donna eseguì senza più discutere.
Il fischio del macchinario continuava e Isabelle non voleva vedere che cosa stava succedendo al di là del vetro, la faceva sentire male e spaventata, non sapeva nemmeno che sui neonati il defibrillatore potesse essere usato. Notò alcune persone che allungavano il collo per cercare di capire cosa stesse succedendo e la sua attenzione venne catturata da un’infermiera all’inizio del corridoio, molto giovane e probabilmente inesperta, che non sapeva come comportarsi e se provare ad avvicinarsi a Elisabeth o meno.
“Kurt non mi lasciare, ti prego...”
 Se prima le sembrava che la sua collega fosse pallida in maniera spettrale, in quel momento era perfino peggio.
Non seppe cosa scattò dentro di lei in quel momento, ma si vicino a Elisabeth e l’afferrò per le spalle.
“LIBERA.”
 Isabelle sentì il medico urlare e poi un rumore che non aveva mai sentito, Il fischio continuava imperterrito e le ginocchia di Elisabeth inaspettatamente  cedettero e si ritrovò sul pavimento freddo, la donna fra le sue braccia piangeva e tremava.
“LIBERA.”
E ancora quel rumore strano dato forse dall’apparecchio.
“TU, RAZZA DI CRETINA, INVECE DI RIMANERE A GUARDARE FAI QUALCOSA!” urlò Isabelle all’infermiera che le stava osservando ancora incerta se intervenire.
Poi il suono cessò e sentì il medico lasciarsi andare a una parolaccia e sollevato urlare che il cuore di Kurt aveva preso a ribattere. Elisabeth le svenne fra le braccia e finalmente l’infermiera venne in suo aiuto.
Quel giorno ad Anna Wintour non arrivò nessun floppy disk con l’articolo di Elisabeth Calhoun, da parte di Isabelle Write, ma solo una telefonata che l’avvisava che lei non si sarebbe mossa dall’ospedale e la direttrice fu sorprendentemente accomodante.
Isabelle rimase al fianco di Elisabeth quel giorno e per tutta la notte. Un medico che visitò la collega le chiese di rimanerle accanto, visto il carico emotivo che la donna stava attraversando.
Il dottor Foker, dopo i dovuti accertamenti, venne a spiegare a loro, con termini  semplici, quello che era successo: Kurt  quella mattina era stato operato di Atresia Esofagea e  dopo l’intervento era stato sedato profondamente e curarizzato (una forma di paralisi muscolare farmacologica che provoca immobilità) per evitare che con qualunque movimento, anche una deglutizione, rompesse le cuciture appena fatte all’esofago.
Il medico disse ad Elisabeth che l’arresto cardiaco a cui il bambino era stato soggetto era per colpa della curarizzazione; i curari sintetici che erano stati utilizzati come previsto avevano agito sulla muscolatura volontaria con effetti paralizzanti, ma Kurt si era rivelato esserne allergico ed era andato in shock.
Il dottor Foker spiegò ad Elisabeth che il curaro sintetico era stato sostituito, dopo i test di allergia, con uno di origine vegetale, proprio per l’importanza che aveva la sedazione con l’immobilità muscolare nei primi dieci giorni dopo l’operazione.
 
Isabelle quella notte scoprì che Elisabeth aveva saputo al sesto mese di gravidanza che Kurt era affetto da Atresia Esofagea e da quando aveva avuto la notizia aveva speso il suo tempo libero a sentire tutti i pareri medici che poteva, a volte viaggiando anche in diversi Stati del Continente americano.
Il dottor John Foker lavorava al Children's Hospital di Boston ed era stato colui che l’aveva convinta di più.
Le raccontò che il direttore del Presbyterian Morgan Stanley Children's Hospital di New York era stato molto disponibile a permettere a Elisabeth di far nascere il bambino nel loro ospedale, che era tra i migliori d’America, e di invitare il dottor Foker per operare con la propria metodologia, che era innovativa nel campo dell’Atresia Esofagea.
Chiaramente l’equipe del Morgan Stanley aveva colto l’occasione per studiare sul modo di operare del medico di Boston, anche se di contro Elisabeth aveva dovuto pagare di tasca propria la trasferta dello specialista e la parcella per operare Kurt.
Isabelle chiese all’altra donna come mai avesse scelto quel medico, anziché lasciare il tutto al personale del Morgan Stanley Children's, e le fu spiegato che i bambini operati con il metodo Foker avevano uno standard di vita qualitativo molto vicino alla normalità e che, costoso o meno, la prima cosa che le interessava era la salute del figlio.
 
Isabelle il 28 Agosto 1995 giorno scoprì Elisabeth, in tutta la sua  forza e  fragilità, e mai più l’abbandonò a sé stessa.
Kurt era ancora ricoverato in terapia intensiva quando qualche giorno dopo Elisabeth fu dimessa e Isabelle si offrì di riaccompagnarla a casa per farsi almeno una doccia e cambiarsi prima di fare la notte a vegliare il figlio, ma  quando scoprì che abitava nel South Bronx, uno dei quartieri più pericolosi di tutta New York, le venne un colpo. Nessuno con un po’ di soldi abitava da quelle parti, tanto meno qualcuno messo bene  economicamente come la collega.
Espose i suoi dubbi circa il quartiere e Elisabeth la rassicurò che non era poi così male il South Bronx, anzi, elogiò il fatto che era un posto molto vivo e multiculturale, ma Isabelle avrebbe voluto sbattere la testa sul volante quando arrivarono a destinazione.
Dire che il palazzo e poi l’appartamento fossero delle catapecchie era un complimento e questo confuse non poco Isabelle sulla situazione economica della collega, che non sembrava così florida come aveva pensato.
I conti non le tornavano.
Tutti i giornalisti di Vogue erano pagati molto bene, ma non così tanto per far fronte a quello che aveva subito il bambino della sua collega e per l’ennesima volta si chiese chi fosse il misterioso padre di Kurt e se fosse stato lui a pagare le cure mediche.
 
Isabelle mise le sue domande nel fondo della mente e nei mesi successivi visse il cambiamento della vita di Elisabeth: Kurt venne spostato dopo 25 giorni di terapia intensiva al reparto di lunga degenza e in redazione nessuno osò più dubitare delle sue capacità di giornalista quando a Ottobre venne pubblicata un’inchiesta che aveva condotto per mesi su un giro di droga che coinvolgeva grandi nomi della moda e dello spettacolo, facendo tremare parecchie teste.
Elisabeth si guadagnò l’ammirazione che meritava e al contempo il dispiacere dei colleghi, che vennero a sapere che era una madre single e che il bambino che aveva partorito aveva dei problemi. Infatti nessuno le fece dei commenti le rare volte che si presentava in redazione durante la settimana per dei briefing o assegnazione, mostrando una faccia distrutta dalla stanchezza e l’abbigliamento sgualcito di chi non dormiva da moltissime ore, ma nonostante tutto non mancò mai una consegna del proprio lavoro.
Isabelle, ogni sera appena finito di lavorare, andava in ospedale a prendere Elisabeth e la portava in un ristorante vicino per farle mangiare un boccone e staccare la spina da tutta la situazione e a volte, quando la vedeva che faticava a reggersi in piedi dalla stanchezza, la trascinava a casa sua- che era più vicino all’ospedale, al lavoro e collegata meglio con i mezzi pubblici- a riposare in un vero letto.  Ogni volta che Elisabeth si fermava a dormire, Isabelle la mattina si trovava la colazione pronta e la collega che era già sparita per tornare dal figlio o fare le ricerche che le servivano per gli articoli che doveva scrivere.
Rimase basita quando un giorno Elisabeth le disse che aveva visto l’appartamento di fronte al suo appena ristrutturato in vendita e che aveva intenzione di comprarlo, spingendo che tutta la trattativa andasse velocemente e concludere il tutto prima che Kurt uscisse dall’ospedale, non voleva che subisse lo stress di un trasloco.
Isabelle fece qualche ricerca e venne a scoprire che l’appartamento era una superficie di 220 mq- più grande del suo- con quattro camere da letto, studio, soggiorno, cucina, tre bagni e un terrazzo di 25mq e veniva venduto per tre milioni e settecento mila dollari.
Isabelle fu nuovamente tormentata dalle domande su chi fosse a dare alla collega i soldi che le servivano per pagare tutto quanto, ma non si azzardò a chiedere nulla preferendo aspettare che magari un giorno la sua amica le raccontasse tutto.
Kurt venne dimesso dall’ospedale il 15 dicembre dopo ben 113 giorni di degenza e Isabelle dovette ammettere che nonostante tutto era un bambino splendido, che somigliava moltissimo alla mamma e che sorridendo in continuazione l’aveva fatta innamorare di lui. Senza che se ne era resa conto tutte e due Calhoun l’avevano conquistata e per lei erano diventati una famiglia.
 
Negli anni che vennero Elisabeth fece molte corse in ospedale con Kurt per colpa di problemi all’esofago e Isabelle le fu accanto in ogni momento difficile, ma anche nelle grandi vittorie, come la prima volta che Kurt a tre anni e mezzo assaggiò del cibo solido.
 
Anna Wintour si accorse del loro affiatamento e le accoppiò e lei divenne responsabile dei menabò ed Elisabeth sua seconda e braccio destro.
Poi venne il tempo che Elisabeth si fidò completamente di lei e le raccontò ogni cosa e trovò le risposte a interrogativi che per anni avevano ballato nella sua mente. Seppe che il padre di Kurt era un semplice meccanico dell’ Ohio, che non sapeva nemmeno dell’esistenza del bambino; seppe da dove venivano tutti soldi di Elisabeth: l’incidente dove avevano perso la vita i suoi genitori, Charlie e il restante grazie alla vendita della casa di famiglia a Lima, senza contare l’eredità dei beni dei Calhoun.
 Elisabeth le disse che quei soldi, anche se l’avevano resa vergognosamente ricca, puzzavano di morte delle persone che aveva amato di più e per questo, per tanti anni, non era riuscita a toccarli facendo affidamento solo sulle sue forze. Ma poi era arrivato Kurt e gli era stata diagnosticata l’Atresia e lei si era promessa che quei fondi li avrebbe usati per far vivere suo figlio e farlo star bene e così aveva fatto.
Le raccontò di Lima, della Banda e di quanto le mancassero i suoi amici.
Le raccontò dei suoi due grandi amori, Luis Lopez e Burt Hummel.
Le confessò le sue colpe verso Burt e le colpe che l’uomo aveva verso di lei.
Le confessò di quanto ancora amasse Luis e di come nel suo cuore fosse sempre presente.
Le raccontò di Charlie e di quanto ogni giorno le mancasse terribilmente.
Le descrisse ciò che era successo a Lima, poi a Columbus e infine dei primi tempi nell’ostile New York.
 Isabelle quando seppe ogni cosa amò di più la sua amica e fu solo felice per lei quando altre persone entrarono nella sua vita, disposte a starle vicino nonostante le difficoltà che a volte insorgevano con Kurt. Provò ammirazione per Etienne Smythe, che in ogni modo amò Elisabeth e che divenne una figura paterna per Kurt.
Sperò che l’uomo divenisse il nuovo amore della vita dell’amica ma così non fu. Etienne non era Luis e nessuno lo sarebbe mai stato per Elisabeth.
 
Isabelle sospirò e si sforzò di avviarsi al lavoro, aveva delle scadenze, ma il dolore era troppo fresco.
Non era passato neanche un mese dalla morte di Liz.
Un mese da quando tutto era cambiato...
Il 5 Ottobre Kurt aveva bussato frenetico e agitato alla porta di casa sua, Elisabeth quella notte non era rientrata e il telefono risultava staccato. Ricordò con dolore i giorni d’angoscia delle ricerche della polizia e della speranza di tutti di ricevere notizie positive fino alla mattina del 7 Ottobre, quando era suonato il campanello e sulla soglia di casa sua era apparso l’ispettore Timothy  Stone- ormai da qualche anno, con il fratello Christian, grande amico di Elisabeth - che chiedeva a Kurt di seguirlo in obitorio per confermare l’identità di un cadavere di una donna senza documenti, investita sulle strisce pedonali da un ubriaco nella notte del 4 ottobre. Isabelle sapeva che Tim aveva riconosciuto Elisabeth, ma non c’era stato modo di poter sottrarre Kurt da quel dolore, era la procedura...
Il 9 ottobre fu ritrovata la borsa di Elisabeth, un barbone dopo l’incidente l’aveva rubata per i documenti e i soldi.
Isabelle nei giorni successivi aveva chiesto solo l’affidamento temporaneo, non aveva  fatto fatica di fare le carte per chiedere l’adozione Kurt, come le aveva fatte speranzoso Etienne, perché lei era a conoscenza del contenuto del testamento e sapeva che Burt Hummel, una volta scoperto di avere un figlio, lo avrebbe portato a Lima con lui.
 
Kurt scese le scale sbadigliando, Bob lo aveva svegliato alle quattro del mattino perché voleva uscire da camera sua; era saltato sul letto e lo aveva svegliato abbaiando e leccandolo, dopo che la sera prima aveva fatto di tutto per stargli il più attaccato possibile.
Si ripromise di chiedere a Finn di stare dietro al proprio cane.
Il ragazzo sentì la pendola del soggiorno rombare i rintocchi delle ore, erano le cinque della mattina.
Non riuscendo a riaddormentarsi aveva deciso di riprendere le sue vecchie abitudini e quindi si era messo in tenuta sportiva per andare a correre. Doveva in un qualche modo cercare di rimettere in sesto la sua vita, non sarebbe tornato a vivere a New York prima della fine del liceo, ma questo non gli impediva di tenersi in forma e di continuare con recitazione, danza e canto.
La sera prima aveva sentito Sebastian e Thad che lo avevano spronato a non mollare il proprio sogno e percorso. Belle parole le loro, ma aveva tre grossi problemi:
1)non aveva un manager che potesse trovargli degli ingaggi teatrali, sua madre con lui si occupavano di visionare le offerte per la sua carriera.
2)Burt. L’uomo doveva dargli la sua autorizzazione, ma gli aveva fatto capire chiaramente come la pensava sulla sua scelta nel settore dello spettacolo. Se non riusciva a risolvere questo, il primo problema non si poneva nemmeno.
3) Il terzo problema era che lui era confinato a Lima, una cittadina che non aveva sbocchi lavorativi nel suo campo.
In poche parole era fottuto.
 
Kurt rimase sorpreso quando dalla cucina sentì dei rumori e si domandò chi fosse sveglio a quell’ora, onestamente sperava che fosse Carole.
Spostò silenziosamente la porta aspettandosi di vedere qualcuno che armeggiava ai fornelli o che fosse seduto al tavolo della cucina a fare colazione, ma invece non c’era nessuno.
Un rumore attirò la sua attenzione e spostò lo sguardo verso il basso dove c’era una credenza e rimase stordito dalla scena che gli si parò davanti: un procione adulto che fra le zampine teneva un pacco di patatine al formaggio. Rimase ad ammirare l’animale mettere un braccino dentro il sacchetto e tirare fuori un po’ di patatine per sé con le quali si riempiva la bocca e poi ripeteva la stessa azione, ma solo che le offriva a Bob, che scodinzolante stava seduto di fianco al procione, accettando con entusiasmo quello che gli veniva generosamente offerto.
“Ok, forse non è solo colpa di Finn se sei un cane ciccione.”
I due animali sentendolo parlare si girarono verso di lui. Bob gli venne incontro festoso, mentre il procione imperturbabile mise la zampina nel sacchetto e gli offrì una manciata di patatine.
“No grazie! … Ok, la telenovela di Limarwood ha appena toccato il suo punto più basso… Io non sto davvero rifiutando delle patatine offerte da un procione. ”
 
 
 
Blaine si svegliò di soprassalto. Portò una mano al petto per riprendere il respiro e di calmare il battito del suo cuore, staccando la maglietta che gli si era appiccicata addosso dal sudore freddo,  cercando di ignorare il collo e la testa che gli pulsavano violentemente, ma era impossibile. Prese l’antidolorifico che aveva sul comodino, che gli avevano prescritto all’ospedale dopo l’incidente, e bevve una lunga sorsata d’acqua.
Gli capitava spesso di avere incubi spaventosi sul giorno della morte di sua madre. Sogni bui dove entrava in casa e vedeva il corpo di sua madre, ma non il suo volto, distesa a terra coperta di sangue e lui che urlava e correva da lei. Le sue mani si coprivano del liquido rosso, poi il rumore di uno sparo e l’ultima cosa che vedeva era il corpo di sua mamma avvicinarsi e a quel punto si svegliava.
Quella volta però il sogno era stato diverso... lui correva e  la porta veniva aperta, ma non da lui ed entrava in casa ridendo e chiamando“mamma”.
Il soggiorno era in penombra e scorgeva sua madre in un lago di sangue ancora viva, ma che stava morendo. Negli occhi le leggeva il terrore e la vedeva che cercava di dirgli qualcosa.
Una sensazione di paura si faceva largo in lui e corse per aiutarla. Voleva chiudere la ferita, ma non ci riusciva, poi sentiva un rumore. C’era qualcuno, ma non aveva paura per quello e non si voltò, voleva dire qualcosa però non fece in tempo che un rombo di uno sparo riempì le sue orecchie, poi il corpo di sua madre si avvicinava e tutto diveniva nero.
Mark, il suo psicoterapeuta che lo aveva in cura da anni, lo aveva avvertito che quando sarebbe stato pronto o qualcosa lo avesse stimolato a farlo avrebbe ricordato qualcosa di quel giorno attraverso sogni o flash back.
Istintivamente si toccò il cerotto sopra la testa. Lui sapeva che quelli erano veri ricordi e non un prodotto della sua immaginazione. Sapeva che non era ancora tutto, che c’era qualcos’altro e che forse lì, in quei ricordi, c’era l’assassino... una persona che forse conosceva...
Blaine dopo quel sogno e una crisi di pianto, non riusciva a stare fermo.
Il primo istinto che aveva avuto era stato di andare a svegliare Cooper o suo padre e raccontargli tutto. Ogni dettaglio era importante, ma erano solo le quattro e quaranta del mattino e non era giusto svegliarli. Anche se ricordava qualcosa in più, non era abbastanza per cambiare la situazione e non era neanche utile all’investigatore privato che suo padre da anni pagava per cercare l’assassino di sua madre.
Prese il quaderno dove scriveva sempre per comunicare con gli altri e annotò quello che aveva sognato per paura che l’incubo/ricordo gli sfuggisse via e dettagli importanti andassero perduti, ma non era quello il caso: tutto sembrava marchiato a fuoco nella sua mente.
L’adrenalina però scorreva in lui e non ce la faceva a restare chiuso in casa. Così si vestì, si mise la giacca e la sciarpa e uscì fuori, non dimenticando il suo quaderno per annotare qualunque cosa gli fosse venuta in mente.
Staccò l’allarme alla casa e subito le sbarre alle finestre vennero ritirate così come vennero sbloccate la porte d’ingresso e della cucina sul retro.
Uscì nel freddo della mattina. Era ancora buio fuori, ma non aveva più il colore denso della notte e il cielo cominciava a tendere al viola, segno che l’alba era vicina.
Camminò per una mezzoretta nella stradina che affacciava al limite del bosco, cercando di spingere la sua memoria a ricordare altri elementi, ma non gli venne in mente nient’altro.
Guardò l’orologio che segnava le cinque trentasette, il cielo ormai si era tinto dei colori dell’alba.
Decise di rientrare in casa e di fare colazione, anche se non sentiva appetito, e magari di mettersi a guardare la tv.
Era quasi arrivato al vialetto di casa sua, quando la sua attenzione venne attratta da un rumore proveniente dalla abitazione dei dirimpettai, gli Hummel.
“Io mi domando, ma quando avete fatto questa associazione per delinquere vi siete scelti per il peso? No, dico, signorina peserai sui dieci chili! No, non voglio patatine, grazie!”
Blaine rimase a bocca aperta quando vide Kurt in tenuta sportiva, vestito con una grande felpa viola  che gli arrivava a metà coscia e dei leggins neri sportivi che gli fasciavano le gambe sorprendentemente muscolose, che teneva in una mano il guinzaglio di un agitatissimo Bob e con l’altra aveva in braccio un grosso procione, che stringeva un pacco di patatine.
Blaine non aveva ricordi di aver mai visto nessuno portare a passeggio il cane, se non forse quando era cucciolo, ma era sicuro di averlo sempre visto girare nel giardino del retro della casa e Finn ripulirlo ogni due o tre settimane.
“Bob basta tirare fi-”Kurt non riuscì a finire la frase che il procione gli ficcò una patatina in bocca, che lui sputò immediatamente.
Blaine scoppiò a ridere e Kurt si girò sorpreso, ma poi venne tirato da Bob che festante gli venne incontro.
“Non tirare!”disse Kurt riprendendo il controllo del cane , mentre il procione gli si aggrappò addosso.
“Che schifo, staccati! potresti avere le pulci!- si lamentò Kurt per poi parlare con lui -Ciao Blaine.” e schivando ancora una volta il procione, che a tradimento cercava d’imboccarlo.
Blaine indicò il procione e fece un’espressione interrogativa.
“L’ho trovata stamattina in cucina, stava razziando la dispensa. Deve essere entrata dalla porticina del cane.”
Kurt notò lo sguardo stranito del vicino.
“Quando l’ho afferrata ho controllato di che sesso fosse ed è femmina. Almeno credo che lo sia. Sai non le ho visto quello.” Concluse arrossendo.
Blaine ridacchiò e Kurt pensò che l’altro avesse una bella espressione mentre era divertito,  ma poi riccio indicò Bob e il guinzaglio di nuovo con il viso di una domanda muta.
“Dopo che ho sistemato il casino che ha combinato questa signorina qui in cucina... No grazie!- Kurt evitò  l’ennesima patatina offerta dal procione e Blaine rise divertito- Ho provato a prenderla, anche se ammetto che avevo un po’ paura che mi mordesse o che fosse un po’ più selvatica, invece mi è  quasi venuta in braccio da sola. Lei e il pacco di patatine ora vorrei li restituire alla natura, anche se ormai di naturale non hanno più nulla.”
Blaine ridacchiò al sarcasmo dell’altro.
“Insomma ero pronto a uscire con lei in braccio e Bob ha iniziato ad abbaiare e a uggiolare che voleva venire via con me. Io ho provato a lasciarlo in casa, ma avevo paura che svegliasse qualcuno e venisse fuori una storiaccia perché sono uscito così presto. Allora ho preso il guinzaglio e ho deciso di provare a portarlo a correre.”
‘Questo cane sa correre?’
“Il problema è che non so se Bob riuscirà a correre con me per i chilometri che vorrei fare.”
‘Ah quindi tu pensi che questo cane possa correre... davvero ottimista! Io tutte le volte che l’ho visto era spalmato sul terreno a russare. ’
Blaine fece un movimento di assenso con la testa e poi gli fece cenno come a chiedergli di potersi avvicinare e toccare il procione e Kurt ci mise un attimo a capire cosa volesse.
“Si prova, però attento.” 
Blaine si avvicinò entusiasta con le braccia spalancate(tenendo in una mano il taccuino) e Kurt ebbe paura che la prima reazione del procione fosse mostrargli i denti e soffiare, ma invece questo assunse la medesima posizione e saltò per andargli in braccio e stringerlo.
“Alla faccia della bestia selvatica. E tu non fare quella faccia compiaciuta.”
‘Non c’è essere vivente che possa resistermi.’
Blaine sorrise divertito e strinse il mammifero tra le braccia sotto lo sguardo sgomentato di Kurt che con voce acuta disse:
“Guarda che potrebbe avere le pulci o, peggio, le zecche!”
‘Bene e io poi le passo a tutta la squadra di football... dov’è Finn?Lui sarà il primo, visto che è il capitano... oneri e onori.’
“Non te ne frega niente, vero?”
‘Non chiedere. Non ti svelerò mai il mio piano.’
Quello che i due ragazzi non si aspettavano era che l’animale si staccò da Blaine per tornare in braccio a Kurt, che spaventato iniziò a saltellare cercando di staccarselo di dosso.
“No, no, aiuto. Aiuto!”
Le preziose patatine che il procione aveva con se gli caddero dalle mani e Bob si avventò rapido sui resti.
‘Ma allora sai correre palletta! … diavolo amico, sembri Finn quando entra in mensa. Mangi pure nella stessa maniera.’
Il procione dalle braccia di Kurt saltò per terra e corse verso la foresta, ma l’unico rumore che si poté avvertire fu Bob sventrare il sacchetto di patatine ormai vuoto e leccarlo con impegno e dedizione.
Kurt tentò di regolarizzare il battito del suo cuore e fissò Blaine che invece era scoppiato a ridere.
“Finiscila non è divertente!”
 Blaine rise più forte e Kurt sentì le guance diventargli rosse. Odiava che la sua pelle si arrossasse così facilmente.
“Senti, io non so te ma avrei fame e, dato che non sono ancora riuscito a far colazione e non conosco la città, che ne dici di guidarmi se te la offro?”
Blaine colse l’ironia nella voce del ragazzo nel definire Lima una città, ma sorrise felice e prese il suo taccuino per rispondergli.
-Conosco un posto che fa delle colazioni da leccarsi i baffi e il proprietario sarà felice di conoscerti! A piedi saranno 20 minuti.-
 
 
Kurt dopo quella passeggiata sapeva che era impossibile solo pensare di  andare a correre con Bob.
La camminata verso il locale era stata una battaglia e non si sentiva più le braccia per colpa del cane che, o non era abituato a stare al guinzaglio o più probabilmente- secondo lui- perché non lo conosceva, se ne era approfittato per tirare come un dannato, mentre Blaine aveva riso a crepapelle tutto il tempo.
Kurt  davanti alla tavola calda lesse l’insegna, Flame, e pensò che fosse più da locale da ballo, ma non gli importava più di tanto.
Necessitava urgentemente di mangiare, sentiva lo stomaco cominciare a farsi acido ed era stanco.
Blaine fu molto gentile e gli aprì la porta come un vero cavaliere e Kurt la prima sensazione che ebbe del locale fu di calore e le pareti tutte di colori vivaci e diversi  gli fecero molta allegria, come i moltissimi oggetti appesi. Nella parete più vicina vide addirittura una locandina incorniciata di Indiana Jones e l’ultima crociata firmata da Harrison Ford e Sean Connery e anche una maglietta della squadra di basket dei Bulls con il numero 23 appartenente a Michel Jordan con il suo autografo.
I tavoli e le sedie del locale erano diversi l’uno dall’altro, non c’era nulla di uguale all’altro.
In cassa vide una donna con i capelli biondo cenere, molto formosa con un abito che le stava dipinto addosso e che in quel momento si stava truccando, fissando con aria critica in uno specchio.
Blaine prese posto proprio sotto il poster di Indiana Jones e Kurt si sedette di fronte, trascinando Bob che annusava tutto con molto interesse.
“Ciao sono Hunter, il vostro cameriere.- Kurt osservò il bel ragazzo biondo che con aria sbrigativa li stava versando nel bicchieri dell’acqua fresca, qualcosa in lui gli suggeriva che non era il caso farlo arrabbiare.- ecco i vostri menù. Torno fra poco.”
Blaine prima che il ragazzo andasse via lo afferrò per il braccio.
“Che vuoi Blaine?”
Kurt non fu troppo stupito a scoprire che i due si conoscevano e osservò il cameriere, che guardava con un sopracciglio alzato Anderson che velocemente stava scrivendo qualcosa sul proprio taccuino.
-Chiamami tuo padre, per favore.-
“Perché?”domandò Hunter con una punta di irritazione.
-Perché devo parlare con lui.-
“Va bene, ma guai a te se è una cosa lunga! Sta lavorando e io tra poco lascio perché devo andare a scuola. Tu oggi vieni?”
Blaine con l’indice fece segno di no.
“Però trovi il tempo per venire qui a fare colazione.”
-Se non lo hai notato ho un collare e ho avuto un incidente!
“Chi a Lima non  sa che sei stato investito da Burt Hummel? Si dice pure che non gli hanno ritirato la patente perché un cretino, di cui non faccio il nome ma lo sto guardando in questo preciso momento, stava rincorrendo un gatto e gli ha tagliato la strada.”
Kurt non sapeva se quel Hunter gli piacesse o meno, il solo guardarlo gli faceva venire voglia di chiedere scusa,  anche se non aveva fatto nulla.
-Non stavo rincorrendo un gatto, ma cercavo di prendere un gattino perché non finisse investito sotto qualche auto!-
“E invece ci sei finito sotto te...beh ragazzi, torno dopo a prendere le ordinazioni.”
Blaine afferrò Hunter per la manica e gli indicò la cucina.
“Si è chiamerò mio padre, ora lasciami andare Blaine.”
Kurt fissò Hunter sparire e poi Blaine mettergli davanti il suo taccuino.
-Hunter può essere un po’ burbero ma è un bravissimo ragazzo.-
Kurt sorrise  quando lesse quelle parole e poi fissò Blaine che sembrava rassegnato al comportamento del cameriere nei suoi confronti.
“Rincorri gattini per salvarli finendo poi investito; abbracci, come se fosse il tuo migliore amico, il procione che ha svaligiato la credenza di casa Hummel  e giustifichi i modi burberi di quel ragazzo nei tuoi confronti, perché io non pensi male di lui... Sei un ragazzo buono e ammetto che mi incuriosisci Blaine. Mi fai simpatia e mi piacerebbe conoscerti meglio e magari diventare amici.”
Blaine fissò il ragazzo di fronte a sé. Era la prima volta che qualcuno glielo diceva in modo totalmente disinteressato. A scuola le ragazze glielo dicevano perché avevano una cotta per lui, attratte dall’idea di essere le sue salvatrici e di vivere una storia d’amore tragica.
Lo Scandals era un’ altra storia. Il fine di andare in quel locale era solo per trovare qualcuno con cui scopare in un bagno o in un auto e quindi le parole che venivano dette prima erano vuote e solo per riempiere il tempo. Si era sentito con qualcuno sconosciuto allo Scandals per un altro paio di incontri, ma sempre a fine sessuale e nulla di più.
Sapeva bene che nessuno voleva conoscere davvero un ragazzo muto e entrare nella sfera dei suoi problemi.
 
Kurt vedendo lo sguardo stranito dell’altro ragazzo sentì le guance arrossarsi e una punta di amarezza farsi strada in lui.
“Guarda che non ci sto provando con te, intendevo davvero quello che ho detto senza secondi fini. Quind-”
Kurt venne bloccato da Blaine che aveva scritto sul proprio quaderno a lettere cubitali.
-STOP.-
Sul serio Stop scritto in quel modo? Stai forse urlando contro di me, signor Anderson?”
Blaine alzò gli occhi al cielo e ridacchiò.
-Non posso?-
“No.”disse Kurt con un sorrisetto divertito.
Blaine prese a scrivere furiosamente sul proprio quaderno, ma in quel momento arrivò Hunter.
“Mio padre arriva subito, finisce di cucinare l’ordinazione del tavolo 10. Voi almeno avete aperto il menù e scelto cosa volete per colazione?”
“Hunter comportati bene con i clienti!” l’ammonì la donna alla cassa, che in quel momento si stava mettendo a leggere una rivista scandalistica dopo che aveva appena finito di truccarsi.
Il cameriere fissò trucemente la donna prima di girarsi verso di loro con quello che credeva fosse un sorriso cordiale, ma che era solo una smorfia. A Kurt venne ancora più voglia di chiedergli scusa e promettergli che avrebbe addirittura imparato a memoria quel dannato menù pur di farlo felice.
“Se ci dai ancora un paio di minuti prometto che ordiniamo.”
Hunter se ne andò sbuffando e Blaine invece orgoglioso gli mostrò il taccuino con quello che doveva leggere.
 
-Lo avevo capito che non ci provavi con me, anche se nessuno te ne farebbe una colpa. Sono bellissimo, detto fra noi. Ero solo rimasto sorpreso. Tu sei la prima persona che vuole conoscermi. Qui a Lima in genere mi conoscono tutti e nessuno, tranne Santana e Brittany, però è davvero interessato ad avere una amicizia con me.-
Kurt lesse il messaggio, però era stato scritto di fretta ed ebbe un po’ di difficoltà a capire la calligrafia dell’altro ragazzo.
“Sei modesto a definirti bellissimo.- disse in maniera canzonatoria e Blaine lo ricambiò con un sorretto arrogante.- Però scusa se mi intrometto, ma quando sono venuto a casa tua a vedere se stavi bene c’erano parecchie persone che erano venuti a trovarti... non sono tuoi amici? ”
-Sono i miei compagni di Glee club. Non sono miei amici, quasi tutte le ragazze poi ci hanno provato o ci provano con me.-
Kurt fissò stranito Blaine, chiedendosi come diavolo faceva a stare in un glee club se nemmeno cantava. Il riccio intuendo la sua confusione si affrettò a scrivere:
-Al glee io accompagno con il  pianoforte o la chitarra chi canta e nelle competizioni canore sto sullo sfondo. Sai,  solo per far numero e ballare le coreografie.-
 
Olegh si pulì le mani sul grembiule e andò  verso  il tavolo dove era seduto Blaine. Suo figlio gli aveva detto che il ragazzo aveva espresso il desiderio di parlargli.
Pensò che fosse strano.
Certo, non che il piccolo degli Anderson dopo quello che gli era successo brillasse per normalità...
Olegh cercò di scacciare il pensiero della piccola Melanie, quel giorno non aveva voglia di intristirsi, gli era bastato la notte prima Luis che aveva avuto un crollo...
Non voleva pensare e non voleva sentire su di sé colpe, che forse avevano tutti quelli della Banda, per aver lasciato che la loro amicizia si sgretolasse, rendendoli adulti sciocchi ed egoisti.
 
Gli si strappò un sorriso quando vide la testa disordinata di ricci scuri del piccolo degli Andeson con un cerotto bianco che spiccava in mezzo ad essi e il collare, che rendeva la sua postura rigida. Fece un respiro profondo preparandosi per Blaine, nel quale, per il colore della sua pelle e quello dei suoi occhi, rivedeva la piccola Mel.
 Olegh era conscio che solo chi lo conosceva bene sapeva che dietro la sua corazza si nascondeva un uomo molto sensibile, che si commuoveva per la più piccola delle cose; era per quel lato che sua moglie si era innamorata di lui.
“Allora Blaine, che succede? Ti avverto, se vuoi una delle mie reliquie la risposta è no!”
Blaine rise e fece segno di no con l’indice e poi indicò al cuoco il ragazzo che aveva seduto a fianco.
 
“La mattina era fra le mie braccia e appena la sera improvvisamente è diventato parte del mio passato!”
“Eli...”
“Ha cambiato la mia vita e tutti i miei obiettivi. L'amore che provavo era così forte che mi ha resa cieca... Lo amavo così tanto Olegh.”
“Lo so Eli, però devi reagire.”
“Non puoi capire, non puoi! Dio vorrei solo dormire e non svegliarmi più.”
 
 
Kurt ridacchiò del tono che il padrone aveva usato per ‘difendere i suoi tesori’ da Blaine che rise divertito e poi lo indicò all’uomo che si voltò verso di lui e si bloccò, divenendo pallido e gli occhi gli si riempirono di lacrime.
Kurt non era preparato a trovarsi fra le braccia dell’uomo ed ad essere stretto in un modo così disperato.
“Sei il ritratto di Eli.Tua madre era una donna eccezionale. ”
Molte persone gli avevano detto frasi simili il giorno del funerale di sua madre, ma nessuno di loro le aveva dette con lo stesso sentimento e onestà di quello sconosciuto.
“Scusami- disse l’uomo staccandosi e asciugandosi gli occhi e mettendo su un sorriso imbarazzato- che sciocco, non mi sono nemmeno presentato. Mi chiamo Olegh Clarinton e un tempo sono stato uno dei migliori amici di tua madre. Prima che lei se ne andasse da Lima.”
 Kurt fissò sorpreso per un secondo l’uomo e poi Blaine, che gli fece un sorriso incoraggiante.
“Io, non so che dire... Mi chiamo Kurt Calhoun, ora Hummel, e credo di non aver mai sentito parlare di lei, signore.”
“Puoi chiamarmi Olegh…- rise l’uomo -  E sappi che non sono sorpreso che non hai sentito parlare di me o di noi. Elisabeth era scappata e non aveva motivo di darti informazioni di qui. E poi non voleva nemmeno che nessuno dei suoi amici avesse sulle spalle il segreto della tua nascita, ma credo che soprattutto non voleva caricarti il peso di una storia dove tutti in un modo o nell’altro hanno sbagliato qualcosa.”
Kurt fissò l’uomo di fronte a sé e scosse la testa.
“Le cose che dici per me non hanno senso. Intanto per cominciare io non so nemmeno come fra i miei genitori è finita e perché mia madre decise di non dire nulla a Burt di me, anche se ho dei sospetti.”
“Perché non hai chiesto a tuo padre perché fra loro è finita?” chiese sinceramente sorpreso Olegh.
Anche Blaine rimase sorpreso e pensò che se fosse stato al posto di Kurt quella sarebbe stata la prima domanda che avrebbe posto a suo padre.
“Perché mia madre è la mia eroina e non riesco a sopportare quando qualcuno vorrebbe parlarmi di lei per infangarla. So che lei in questa situazione ha delle colpe e forse sono immaturo per non voler sentire qualcosa che potrebbe sporcare la sua memoria... ma lei è la mia mamma e io voglio ricordarla per sempre come la vedevo io.”
Blaine sentì smuoversi qualcosa dentro di lui dopo l’affermazione piena di sentimento di Kurt. Vide il lato del ragazzo ancora bisognoso del proprio genitore e sentì una sorta di empatia nei suoi confronti.
 
“Papà voglio la mamma!”
“Mi dispiace Blaine.”
“Voglio solo la mia mamma. Papà riportami la mia mamma.”
 
Olegh sorrise dolcemente alle parole del ragazzo, ed era stupito per la considerazione che Kurt aveva della madre e diede uno sguardo verso suo figlio che invece trattava lui e sua moglie come se fosse superiore e si domandò che stima avesse davvero di loro.
“Io e tutti gli altri amici stretti di tua madre ci siamo arrabbiati con lei per essersene andata così senza avvertirci.- Disse improvvisamente Olegh con un sorriso.- ma se mai fosse tornata a spiegarci i suoi motivi e quello che aveva fatto, probabilmente sarei stato suo complice.”
Kurt si trovò a sorridere all’espressione furba dell’uomo, ma presto la sua attenzione fu catturata da Blaine che faceva dei gesti.
“Che c’è tipo?” chiese Olegh.
Blaine sbuffò e poi prese a scrivere nel suo squadernino e lo mostrò.
-Mostragli la parete.-
“Piccola carogna sei un genio!” esclamò Olegh, mentre Kurt osservava divertito Blaine scrivere:
-Se vuoi chiamarmi in modo diverso dal mio nome devi usare qualcosa come sommo o divino o eccellenza...-
“Smettila pulce! Io l’unica a cui mi rivolgo in quel modo è la mia bellissima metà, Sophie.”
Sophie, sentitasi chiamata in causa, alzò lo sguardo dalla rivista che stava leggendo e guardò sorridente il gruppo che aveva attirato un po’ l’attenzione dei clienti.
“Mi hai chiamato, tesoro?”
“Amore guarda chi c’è qui!”
Olegh aveva indicato entusiasta Kurt e Sophie si alzò di scatto e, per quanto le permisero i tacchi alti, corse e lo abbracciò stretto.
Kurt non aveva mai trovato attraente il seno femminile e in quel momento che stava venendo soffocato dal pesante davanzale della donna ancora meno.
Bob, che fino a quel momento era rimasto tranquillo, prese ad abbaiare non sapendo bene se doveva essere festante o difendere Kurt.
Che schifo! –pensò Blaine a fianco, contemplando la scena-Però è sempre meglio morire soffocato dalle angurie di Sophie che dai limoni di Tina.
Blaine si scrollò un brivido, ma prima che potesse intervenire ci pensò Hunter che si avvicinò svelto urlando:
“Mamma mollalo! Non abbiamo bisogno di una denuncia per molestie su minore o, peggio, tentato omicidio!”
“Non essere tragico.” Sbuffò Olegh.
“Tragico?- Hunter riuscì a liberare Kurt tra le risate dei clienti, che ormai seguivano la scena come se fossero ad uno spettacolo – è rosso e senza fiato. Lo stava soffocando.”
“Kurt fammi vedere il cavallo dei pantaloni.”
“Papà!”
“Oh tesoro, sei troppo buono.” Ridacchiò Sophie.
“Perché?-chiese Kurt confuso.- Buono Bob, basta abbaiare.”
Il cane dopo le parole di Kurt si sedette tranquillo, sempre con la lingua a penzoloni guardandosi in giro.
Principiante! Blaine Junior regge un’ora anche con le dovute attenzioni!
“Non è sporco lì sotto e non ha avuto nemmeno alzate- constatò Olegh- Sophie cara, erano davvero le tue tette che lo stavano soffocando.”
“È quello che ho detto io!” ringhiò Hunter allontanandosi per tornare a servire ai tavoli, lasciando Kurt rosso dall’imbarazzo per aver finalmente capito quello che Olegh intendeva.
“Scusa cucciolo, ma le mie signorine a volte sono prepotenti.” Si scusò Sophie guardandolo con un sorriso.
“Non è niente.”
Blaine ridacchiò divertito, attirando l’attenzione della donna che lo squadrò soffermandosi sui cerotti.
“Burt ti ha fatto un bel lavoro. Ah se dovesse venire qui gli sputo nel piatto, promesso.”
“Tesoro.”
“Ma Olegh, guardalo! Ci devi sputare anche tu.”
Anch’io voglio partecipare allo sputo-party per Burt! Anzi, io piscerò nella sua birra alla spina.
“Kurt è suo figlio.” Evidenziò il cuoco alla moglie che assunse un sorriso confidenziale e materno.
“A te non sputeremo mai nel piatto.”
Kurt doveva ammettere che cominciava a divertirsi in quel discorso assurdo, che di certo non avrebbe mai riferito a Burt.
“Mamma dei clienti devono pagare!-urlò Huter vicino alla cassa- e io tra poco devo andare a scuola!”
“Arrivo!-Sophie si sistemò i seni e poi abbracciò con delicatezza Kurt e Blaine - ricorda che qui puoi mangiare tranquillo, a te non sputiamo nel piatto.”
“Ok.”
Quando la donna se ne andò, Olegh mise una mano sulla spalla di entrambi i ragazzi e fece un cenno del capo.
“Kurt vieni che ti mostro una cosa.”
Blaine e Kurt - ovviamente trascinando Bob - seguirono il cuoco che li portò nell’angolo più tranquillo del locale, quello più distante dalle vetrate, e puntò la mano su una parete con delle fotografie.
“Ecco a te la Banda...”
 Kurt si ricordò che Richard Anderson glie l’aveva nominata la Banda, ma davanti a quelle immagini cominciava a capire che era qualcosa di davvero importante nella vita di sua madre che lui non conosceva.
Si avvicinò al muro e si sentì investito da una moltitudine di emozioni, vedendo una ventina di fotografie, quasi tutte di gruppo, in cui c’era sua madre giovane come non l’aveva mai vista.
“Quella è mia mamma da bambina?”
“Sì.” Rispose sorridente Olegh.
Kurt fissò un gruppo di ragazzini forse a malapena dodicenni, che guardavano l’obbiettivo con aria divertita e sua madre era in mezzo con delle ridicole trecce, che si appoggiava con il gomito sulla spalla di un ragazzino mulatto gracilino che invece la guardava sorridendo, l’unico che ignorava la macchina fotografica.
In un’altra foto sua madre, che era sicuramente una studentessa delle superiori, con gli stessi ragazzi stavano seduti su una coperta in riva ad un lago a fare un picnic. Lei era seduta accanto a quello che era stato il bambino mulatto, che era diventato un ragazzo piazzato e muscoloso, e lo guardava sorridente... Quel viso cominciava a dirgli qualcosa.
In un'altra foto sua madre era seduta in un tavolo di una cucina con gli altri ragazzi e in mezzo c’erano due signori anziani dai tratti etnici marcati e la donna teneva in mano un vassoio pieno di quello che Kurt era certo essere tazze di cioccolata calda con panna, granella di nocciole e biscotti Oreo. Il mulatto e sua madre baciavano entrambi le guance dell’anziana, mentre l’uomo guardava con affetto il gruppo di ragazzi.  
Nella successiva immagine c’erano sua madre in spalla al ragazzo mulatto e in quella dopo erano di nuovo solo loro due; di nuovo in riva al lago, ma dopo aver fatto il bagno. Entrambi avevano i capelli bagnati e si stavano asciugando nello stesso asciugamano ed erano abbracciati.
Kurt, soprattutto nelle ultime due foto, era rimasto colpito dallo sguardo di sua madre. Lo conosceva quello sguardo, anche se non glie lo aveva mai visto così intenso per nessuno.
“Ma quel ragazzo è il dottor Lopez?”
“Sì.”
“È stato fidanzato con mia mamma?” chiese Kurt voltandosi a guardare Olegh, che si era fatto serio.
“È successo molto prima che tua mamma e tuo padre si sposassero.”
E bravo Luis! Tu sì che sapevi dove mettere il tuo wustel affumicato!’
 “Per questo che Burt è ostile con il dottor Lopez?”
“Kurt, la situazione tra Luis e Burt non la so tutta nemmeno io. Questo è davvero qualcosa che devi chiedere ai diretti interessati,  se vuoi avere informazioni precise.”
Kurt si grattò la fronte sentendo una strana sensazione.
Quando era arrivato a Lima non pensava di scoprire qualcosa del genere su sua madre, se non il motivo per cui non gli aveva mai detto di Burt. 
“Però se mi chiedi come è nata la Banda o chi sono le persone nelle foto, io posso rispondere, sai?” disse Olegh tornando a sorridere.
 “Ok, allora chi sono le persone nelle foto?”
Io lo so! Io lo so!’
“Ovviamente io! Vedi qui ero senza barba -l’uomo indicò il proprio volto in una foto di gruppo, che era la stampa più grande di tutte.- l’armadio a quattro ante a fianco a me è Jackson Zizes, poi abbiamo Luis Lopez, tua madre e questo è Aron Puckerman... suo figlio Noah è amico di Finn.”
Kurt annuì.
“È il ragazzo con la cresta?”
“Lo hai già incontrato?”
“Sì, per pochi minuti.”
“E l’ultima ragazza chi è?”
Olegh sorrise in maniera più dolce e si spostò ad un'altra foto e la indicò.
“Questa è Melanie, era la mamma di Blaine Cooper. Lei, oltre Luis, era la migliore amica di tua mamma.”
Kurt fissò un’immagine di sua madre adolescente abbracciata stretta a Melanie, entrambe ridevano felici e spensierate. Pensò che fossero entrambe bellissime. Fu distolto dai suoi pensieri da Blaine che gli toccò una spalla.
“Che c’è?”
Blaine indicò la foto e poi loro due e sorrise; un sorriso dolce, diverso da quello che gli aveva visto fino a quel momento.
Le nostre mamme.’
“Loro e noi siamo qui...” disse Kurt sorridendo a sua volta, ma poi rimase disorientato quando Blaine aprì le braccia e di nuovo indicò la fotografia.
“Vuoi fare un remake?” chiese Olegh e il ragazzo annuì e poi strinse Kurt che cominciò a protestare quando cominciò ad essere stritolato e scosso come un barattolo.
“Ehi! Così mi fai male!”
Avanti ridi! Fai sto remake! Non rovinare il momento.’
“Smettila!”
“Blaine lascialo che gli fai male e ti fai male!”
 
Oh!... Blaine Junior ha appena sentito la presenza di Katrina... Bwuahaha Katrina come sono bastardo! Chiamare l’armamentario di qualcuno con nomi femminili è proprio da stronzi!
“Mollami!”
IL REMAKE! FORZA STRONZO, FAI STO CAZZO DI REMAKE! GOOGLE DICE CHE SEI UN ATTORE, DOVRESTI ESSERE CAPACE.
“Lascialo ti fai male.”
“Basta!”
Kurt finalmente fu mollato quando Blaine fece un movimento che gli fece male al collo e lo bloccò.
“Ti sta bene.” Disse Olegh ridacchiando e Blaine sbuffò.
“Sì, ti sta bene!”
Zitto Katrina!’
Blaine iniziò una gara di sguardi con un ignaro Kurt che si rivolse ad Olegh:
“Che vuol dire migliore amica, oltre Luis? Non eravate tutti amici?”
Nessuno riesce a battere la potenza del mio sguardo.
“Certo che lo eravamo, mi sono espresso male. Volevo dire che tua madre, oltre Melanie, non aveva amiche femmine. Solo noi della Banda.”
“Perché?” chiese Kurt sempre più disorientato e Olegh si grattò la fronte guardando il locale, non c’erano clienti nuovi da servire o qualcosa che Hunter non potesse gestire in breve.
“Sediamoci qui.”
Olegh si sedette nel tavolo sotto le foto e lo stesso fecero i due ragazzi e Bob che si distese sotto il tavolo e si mise a dormire come aveva fatto da quando si erano spostati in quel punto del locale.
“Conosci la storia della famiglia Calhoun?”
“No mamma non me ne ha quasi parlato, tranne raccontandomi qualche episodio di quando era piccola e che i miei nonni sono morti in un incidente d’auto.”
“Direi che ti ha raccontato lo stretto indispensabile. Sai Kurt la storia dei Calhoun è particolare. Si dice che un giorno, all’inizio del 1900, si trasferirono a Lima e non furono accolti benissimo.”
“Che stranezza.” Commentò ironico il ragazzo.
Antenati di Lima bastardi... piselli microscopici e tettine avvizzite!
“Sai, i Calhoun erano una famiglia circense e-“
“Famiglia circense?”domandò incredulo Kurt.
“Beh si, Circense e si diceva avesse girato in tutto il mondo e gli abitanti di Lima non si spiegavano come mai fossero venuti proprio a vivere qui in maniera definitiva. Nessuno era convinto che persone del genere si sarebbero mai trasferiti in una cittadina piccola come questa a meno che non avessero qualcosa da nascondere o qualcuno da cui scappare.”
“Praticamente sono partite le malelingue.”
“No- Olegh si pizzicò il naso pensando- all’inizio la gente ipotizzò mille motivi, ma poi, dopo una ventina d’anni, partì la malalingua che generò una diceria che dura ancora oggi.”
Kurt e Blaine inconsciamente si erano sporti in avanti entrambi, completamente presi da quella storia.
“Che diceria?”
Io so cosa si sono inventati quei pisellini primordiali.
“Che fossero maledetti.”
“Cosa!?” Kurt fissò incredulo Olegh che si stava accarezzando la barba in maniera pensierosa.
“Hai sentito bene.”
“E la gente ci credeva?”
“Molti ancora oggi.”
“Ma andiamo!” esclamò indignato Kurt e Blaine scrisse sul suo block note.
- Quel cretino di Israel, il giornalista della scuola, ha fatto un articolo in cui ne parla.-
“Fantastico e chi sarebbe questo Istrael?”
-Un deficiente che sta a scuola, che scrive solo perché sa farlo e non gli importa nulla di nessuno se non di far notizia.-
“L’imbecillità non ha limiti! Quindi tutti a scuola sanno questo di me?”
-Sanno quello e che sei fratello di Finn e figlio di Burt, la gloria locale del football. Qui non c’è stato nessuno meglio di lui. Io però sono intergalattico.-
“Che onore.”
Olegh finì di leggere il post di Blaine e poi scosse la testa.
“Pulce saresti il migliore se la smettessi di atterrare i tuoi compagni di squadra.”
-NO!-
“Almeno non farlo nelle partite di campionato.” Lo rimproverò Olegh e Blaine scrisse rapido:
-Non è che perdiamo per una mia azione.-
Il cuoco si voltò verso Kurt e gli raccontò:
“Nell’ultima partita che hanno giocato i Titans, Blaine durante un intervallo ha atterrato Finn e Puck.”
“E perché non ti hanno ancora sbattuto fuori dalla squadra?”
-Perché sono il più forte!-
“Perché non c’è nessun altro in grado di fare il Kicker.” Spiegò Olegh.
“In tutta la scuola?” chiese Kurt.
“In tutta la scuola-affermò l’uomo- comunque, tornando al discorso precedente, i Calhoun portarono una ventata di colore alla cittadina e se vedrai le foto storiche, anche se sono in bianco e nero, te ne renderai conto. Però portarono anche un diversivo in un posto dove tutto andava sempre nella stessa maniera e quindi era scontato che gli fosse affibbiato qualcosa.”
“E quale maledizione avrebbero i Calhoun?” chiese Kurt.
“Morire prima della vecchiaia. Non c’è stato un Calhoun che sia vissuto più dei 50 anni e tutti per morti improvvise.”
“Questo è ancora più assurdo! Io non credo a queste cose. Voglio dire... dal 1929 abbiamo avuto la Depressione  che ha portato povertà e malattie! Poi il resto saranno casi.”
“Con la morte di tua madre è tornata in auge, visto l’articolo...”
“Mia madre è morta per un incidente e non per una stupida maledizione!” disse Kurt irritato e Olegh annuì.
“Lo penso anche io, però è proprio la maledizione che in parte ha permesso la nascita della Banda.”
“Cioè?”  chiese Kurt distraendosi dalla sua rabbia.
“Vedi ragazzo, io e tutti quella della Banda siamo nati tutti tra il 1965-66 e siamo stati bambini e adolescenti tra gli anni ‘70 e ‘80. Quello è stato un periodo molto caldo in America, soprattutto nelle realtà piccole e in quelle profondamente bianche come Lima in pieno Midwest.”
Che schifo.
“Si, ma questo che c’entra con la Banda e la maledizione?”
“Ci sto arrivando.- sorrise Olegh leggendo l’impazienza e la curiosità sul volto di Kurt e Blaine- Dovete sapere che Lima, come quasi dappertutto, era divisa. In città ci viveva la popolazione bianca che aveva tutto quello che occorreva e poi c’era un piccolo ghetto in cui vivevano  le minoranze: neri, asiatici, meticci, mulatti e latini, che  si arrangiavano alla bene e meglio. Il ghetto di Lima era Lima Heights Adjacent, che ora è solo un altro quartiere della città che però continua ad essere abitato specialmente dalle minoranze.
Da quelle parti c’è un bel vedere… quello di rimpetto a Santana è un tale figo...’
“ Tenete conto che negli anni ’60 e 70 i bianchi erano 90%.”
Blaine sbuffò e scrisse:
-Ora sono 86% della popolazione di Lima.-
“Vero.”
“Davvero!?” chiese Kurt e Olegh annuì.
“Per te sarà strano abituato ad New York in una società decisamente multietnica-sorrise comprensivo Olegh- ma qui è così.”
Blaine di nuovo scrisse nel suo quaderno e poi lo mostrò a Kurt.
-A scuola sono tutti bianchi tranne una quindicina di ragazzi neri, cinque o sei asiatici, due latini e poi ci siamo io e Santana che siamo un meticcio e una mulatta latina... e poi ci sarai tu, lo sfigato con la maledizione.’
“Non è divertente.”
 
Blaine ghignò divertito e Kurt scosse la testa e tornò a parlare con Olegh.
“E poi?”
“I Calhoun erano la bizzarria della comunità bianca ed Elisabeth era evitata e presa in giro da tutti i bambini per la maledizione e la storia dalla sua famiglia.”
“In pratica era l’argomento più divertente.”
“Esatto Kurt, ma un giorno non lo è più stato... almeno per un po’.- il cuoco sorrise –Come saprete negli anni ‘60 le minoranze, soprattutto i neri,hanno cominciato a spingere per i pari diritti.”
“Questa è storia.”
Blaine annuì concorde alle parole di Kurt.
“Beh nel 1976 a Lima i bambini di minoranze erano pochissimi e Luis era tra quelli. I genitori di Luis, e tutti i suoi parenti, erano sempre stati alle dipendenze delle famiglie bianche. Onestamente i genitori di Luis crearono un po’ di scalpore quando chiesero di sposarsi, ma le autorità locali glie lo vietarono.
“Che cretinata e perché poi?”
“Erano un latino  e una nera, le razze diverse non potevano sposarsi.”
“Che schifo!”
“Lo so, ma una volta era diverso. Infatti i genitori di Luis dovettero aspettare a sposarsi fino agli anni ‘70 quando questo tabù fu tolto. Tornando a noi, l’altro scandalo dei Lopez fu di mandare il figlio alla scuola pubblica dei bianchi. Mayo Lopez era una persona bravissima che voleva solo che il figlio avesse quello che lui, un semplice autista e tutto fare per le famiglie bianche, non aveva potuto avere. Luis in realtà  aveva fatto le elementari nel ghetto e poi si era spostato.”
“Quindi dalle medie.”
“Esatto-annuì Olegh- io frequentavo un'altra scuola rispetto a quella di Luis, ma anche da me era arrivata la l’indignazione che questo chicos sudaca per di più mezzo negro frequentasse la scuola dei bianchi.”
“Ovviamente il dottor Lopez avrà subito bullismo e discriminazioni. ” disse con profondo disgusto Kurt.
“Sì ovvio.”
Luis prometto che troverò i piselli mosci che ti hanno bullato e ti vendicherò!’
“Ma è qui il punto- disse con un sorriso il cuoco- Luis stava per subire per l’ennesima volta bullismo quando Elisabeth si è messa in mezzo facendo finire tutti dal preside.”
“Davvero?” il sorriso di Kurt si allargò e Olegh annuì con forza.
“Oh sì! Quel giorno alla scuola sono stati chiamati i genitori di tutti ed è scoppiato un casino. Il preside per quietare gli animi e non creare scandali provò a dare la colpa tutta a Luis e i Lopez per non perdere il lavoro stavano per accettare quella bugia.”
“Perché avrebbero dovuto perdere il lavoro?”
“Perché, nonostante fosse la legge a legalizzarlo, i Lopez erano dei semplici inservienti che si erano permessi di mandare il figlio nelle scuole dei padroni.”
“Ma siamo nella metà degli anni ‘70!”
“Questa è Lima, una cittadina dello sperduto Midwest! Qui va tutto a rilento, soprattutto le cose che non piacciono come all’epoca i diritti razziali. Le rivoluzioni si fanno a piccoli passi e non a falcate, purtroppo.”
O i diritti degli omosessuali ora...
Kurt sentì acuirsi la mancanza che provava per la sua vecchia vita e ringraziava sua madre di averlo tenuto lontano da Lima e da Burt per tutti quegli anni. Inoltre, sentendo quella storia, stava apprezzando sempre di più il dottor Lopez a dispetto di suo padre...
“E cosa è successo poi? Ci sono state ripercussioni? I Lopez hanno lasciato che la colpa finisse tutta su Luis?”
“Calmo Kurt , ora ci arrivo. Dunque...-Olegh riprese nella sua testa il filo del discorso e poi proseguì- I Lopez stavano per piegare la testa, ma i Calhoun li difesero. I tuoi nonni fecero lo stesso che aveva fatto tua madre: si opposero a quella ingiustizia e ovviamente non finì bene. Luis ed Elisabeth presero la colpa, i bulli la fecero franca e i Lopez persero il loro lavoro presso la famiglia bianca a cui prestavano servizio e lo stesso successe ai nonni paterni di Luis, quelli materni erano già morti.”
“Ma è ingiusto!”
Vecchio dammi i nomi così vado a tagliare i loro piselli. Sfigati!
Olegh sorrise vedendo le espressioni furiose sui due ragazzi.
“Calmi, quello che non vi ho detto  è che quella fu la più grande fortuna per i Lopez. ”
Kurt e Blaine guardarono confusi l’uomo.
“Ma hai detto-”
“Lo so Kurt, ma dopo che la storia venne a galla i Lopez furono licenziati e i Calhoun, appena lo scoprirono, li assunsero loro, tutti quanti. Questo fece incazzare tutta la società bianca di Lima.”
“Davvero?”
“Sì.”
Tutti e tre sorrisero complici e poi Olegh lo fece con più dolcezza.
“Il giorno dopo quell’episodio, quindi in città non era ancora esplosa la bomba, Elisabeth cominciò a seguire Luis dappertutto. Lei diceva che lo faceva per difenderlo dai bulli, sosteneva anche di avere anche i bicipiti più grossi di quelli di Luis. Ed era vero.”
Kurt scoppiò a ridere e lo stesso fece Blaine e il cuoco proseguì.
“In realtà Luis sapeva che Elisabeth aveva un disperato bisogno di amici e lui era stato l’unico che non l’aveva scacciata per colpa del suo cognome e della sua storia.- Kurt sentì una profonda tristezza a quella nuova scoperta su sua madre- presto però cominciarono a girare e giocare sempre insieme e la gente prese a chiamarli gli Inseparabili. Sai, con il fatto che i Lopez al completo erano alle dipendenze dei Calhoun loro due passavano i giorni interi insieme.”
“Mamma non me lo ha mai detto. Non sapevo nulla di tutto ciò.”
“Certo, non era mica scema! Se somigli a tua madre tanto quanto penso sapeva perfettamente che solo una mezza informazione ti avrebbe fatto arrivare a Lima per sapere tutto.”
Kurt pensò che quella affermazione era vera, ma non ebbe tempo di ragionare che Olegh proseguì.
“Gli inseparabili poi conobbero Aron Puckerman e Melanie Penpeng e devo dire che anche questo è un incontro emozionante.”
Blaine si trovò improvvisamente molto più interessato sentendo il nome di sua madre e con un gesto della mano esortò Olegh a continuare.
“Luis dopo la scuola aiutava anche lui in casa Calhoun ma solo per piccole faccende... come aiutare sua nonna a cucinare o delle commissioni in città e ovviamente Elisabeth gli era sempre a fianco. Un giorno tornando da una commissione hanno visto una rissa. Gli ci volle qualche secondo a capire che un ragazzino le stava prendendo per difendere una sua amica che era stata insultata per il suo aspetto orientale.”
Blaine scrisse rapido.
-Quei bastardi stavano facendo razzismo a mia mamma?-
“Si, ma zio Aron la stava difendendo.” Rispose Olegh.
Voglio anche il loro indirizzo!
“E poi?” chiese Kurt.
“E poi Elisabeth e Luis sono intervenuti ed è scoppiata una rissa ancora più grande e alla fine l’hanno avuta vinta i nostri eroi. Ovviamente il tutto è stato coronato da una rifugiata a tutta gambe a casa Calhoun.-Olegh rise divertito- Abigail e Byron Calhoun, i tuoi nonni materni Kurt, quando si sono visti arrivare questi quattro ragazzini con gli abiti sgualciti e pieni di graffi ... beh... li hanno premiati. ”
“Premiati?” chiese Kurt.
“Sì con la meravigliosa cioccolata di nonna Lopez.- Olegh chiuse gli occhi sognante.- Cioccolata calda con panna, granella di nocciole e Oreo sbriciolati.”
“Ma questa è la cioccolata che mi faceva sempre mia mamma! Ed è...” Kurt improvvisamente si ricordò che il dottor Lopez quando lo aveva conosciuto all’ospedale glie l’aveva fatta anche lui... era stato quello che lo aveva fatto crollare.
“Quella era la ricetta di nonna Lopez e tua madre ne andava ghiotta.”
Kurt annuì cominciandosi a sentire un po’ provato da quelle rivelazioni.
“Infine io ero amico e nemico con Jackson e un giorno lui mi stava rincorrendo e incontrammo gli Inseparabili e Aron e Melanie . Onestamente noi sei non centravamo niente uno con l’altro, ma Elisabeth una  volta, nella cucina di casa Calhoun, prese  sette stuzzicadenti e li sparpagliò sul tavolo- Olegh nel presente prese sette stuzzicadenti e anche lui fece lo stesso...
 
 
“Allie lo sai che se mia nonna ti vede fare così si arrabbia. Odia gli sprechi!” disse Luis con rimprovero, ma a rispondere fu Aron:
“Basta che non glie lo dici, scemo!”
“Scemo sarai tu, cretino.”
“Cretino e scemo- ridacchiò Jackson- è la tua descrizione Aron.”
Melanie abbracciò Aron e poi con voce piccata disse:
“Per me siete tutti dei microcefali.”
“Per me siete tutti degli scorreggioni.”aggiunse Olegh divertito.
“Ragazzi sono seria!- li ammonì Elisabeth- tornate a guardare qui!”
Il gruppo tornò a fissare la bambina che mostrò uno stuzzicadenti con aria solenne e lo ruppe a metà.
“Ognuno di noi se è da solo è debole e si spezza facilmente. Ma...- Elisabeth radunò gli altri sei stuzzicadenti e li prese in mano- se siamo insieme, spezzarci è più difficile. Perché in insieme facciamo resistenza.”
Tutti i bambini osservano l’amica con aria seria.
“Stai proponendo di essere un gruppo?-chiese Jackson.-Ma non lo siamo già?”
“No, non lo siamo.-Elisabeth scosse la testa energicamente- ora siamo amici, ma non un gruppo.”
“Allora diventiamolo.” Disse Olegh con una scrollata di spalle.
“Veramente pensavo più ad una banda, visto che siamo amici.” spiegò Elisabeth.
“Io sono d’accordo.” Annuì Luis e Olegh elettrizzato disse:
“Allora dobbiamo decidere un nome.”
“Io ci chiamerei Banda – sbuffò Melanie- tanto i nomi più fighi sono già stati usati e poi così tutti si ricorderanno di noi.”
“Credo che Mel abbia ragione.- Aron sorrise e poi guardando gli altri con voce cospiratoria  aggiunse-  La Banda!”
 
 
“Quel pomeriggio Elisabeth mise insieme noi sei perdenti facendoci diventare dei vincenti. Con la Banda ognuno guardava le spalle degli altri e reagivamo se  Luis veniva chiamato sudaca mezzo negro, o Melanie schifosa meticcia, o Jackson grassone, o Aron il perdente, o Elisabeth la maledetta. Ovviamente non si bloccarono subito le prese in giro, ma col tempo sì. Anzi la gente di Lima presto cominciò a conoscere le nostre imprese. ”
Kurt e Blaine erano divertiti, sentendo quasi invidia di non aver vissuto quel passato.
“Ma come Banda avevate anche la base segreta?”
“Ovvio che sì Kurt! La base segreta era alla villa Vecchia Quercia, la casa dei Calhoun. In realtà era il top. Quella casa era al limitare di Lima Heights, nessuno delle persone in città veniva a cercarci lì e poi l’aria che si respirava in quella casa era bellissima.-Olegh sorrise.- Devi sapere che i tuoi nonni erano davvero anticonvenzionali, non gli importava un fico secco del bigottismo di Lima. E, secondo me, era anche per questo che tutti li tenevano a distanza e spesso hanno cercato di mettergli i bastoni fra le ruote.”
“Che vuol dire?” chiese Kurt.
“Vedi i tuoi nonni spesso si erano trovati a litigare con gli altri cittadini. Per non parlare il casino che fece l’aver assunto i Lopez. Diciamo che i più razzisti lo presero come un affronto. Infatti, dopo un mese dall’assunzione a villa Vecchia Quercia, i Lopez si trovarono la loro casa al ghetto bruciata. Ovviamente la denuncia dell’episodio non servì a nulla. Ma sai cosa hanno fatto i tuoi nonni?”
“No.” Kurt scosse la testa ipnotizzato, sentendo la testa sempre più piena di pensieri.
“Li hanno presi in casa con loro. Vecchia Quercia era come tutte le case vecchie che avevano le stanze per la servitù, anche se i  Calhoun mangiavano a tavola e parlavano da amici con i Lopez.”
“Quindi mia mamma ha vissuto con il dottor Lopez?”
“Oh sì. Hanno abitato insieme molti anni.”
Se Joe Manganiello rimanesse senza casa lo ospiterei nella mia stanza, nel mio letto,  e lo renderei subito il signor Anderson...
Kurt improvvisamente si sentì arrabbiato con sua mamma per avergli tenuto nascosto tutte quelle cose e lo stesso sentì per Burt e gli Hummel per non avergliele dette e per aver saputo solo criticare i Lopez.
“Kurt stai bene?”
Kurt avvertì la voce preoccupata di Olegh e poi sentì Blaine dargli qualche colpetto.
“Sto bene... ma la villa Vecchia Quercia non è dove abito con Burt, vero?”
“Non lo è.”
“Esiste ancora questa casa?”
“Sì, ora è la casa di Luis.”
Ecco perché il nome mi suonava famigliare...”
Kurt fece una faccia stranita e Olegh spiegò:
“Non so bene i fatti della casa, ma cosa ti ha detto tua madre sulla morte dei tuoi nonni?”
“Mi ha detto che sono morti in un incidente quando aveva diciotto anni. È vero?”
“Sì lo è. Quello che forse non ti ha detto che in macchina c’erano anche i genitori di Luis. Tua madre e Luis da quel giorno vennero cresciuti da nonno Lopez, che all’epoca era già vedovo.. .”
“Papà c’è da lavorare. Muoviti!”
Urlò Hunter improvvisamente interrompendoli.
“Arrivo subito”
Olegh sorrise ai due ragazzi.
“Mi dispiace ma il dovere mi chiama, ma se volete un giorno potrei continuare a raccontarvi qualche vecchia storia sulle vostre mamme.”
“Sarebbe fantastico.” Disse con un sorriso Kurt.
-Ci puoi contare pisellone!-
Kurt fissò quello che aveva scritto il ragazzo con gli occhi sbarrati.
Olegh rise e allungò il pugno verso Blaine.
“Tra piselloni ci si riconosce.”
 
 
 
Kurt salutò Blaine con un sorriso sulle labbra, anche se dentro era agitato. Tutte quelle notizie lo avevano destabilizzato. Non immaginava quella mattina di scoprire così tante verità.
Sentiva un po’ di rabbia verso Burt per non avergli detto nulla su tutto quello e per aver trovato solo le parole per lasciar intravedere il suo astio verso i Lopez.
L’unica cosa certa che c’era in quel momento nella sua testa era che voleva capire qualcosa di quella “matassa” di eventi e scoprire quello che non sapeva.  Per questo appena uscito dal Flame aveva preso la decisione di affrontare Burt e scoprire cosa fosse successo tra lui e la sua mamma, anche se questo voleva dire sentire qualcosa che non gli piaceva...
L’unica nota positiva era che era grato a Blaine, lo aveva tranquillizzato. Il ragazzo vedendolo silenzioso doveva aver capito il suo stato d’animo agitato e finché tornavano a casa lo aveva invitato a vedere nel pomeriggio  con lui e suo fratello un cartone Disney, per sdebitarsi dell’invito a colazione, che tra l’altro era stata offerta da Olegh, e lui aveva accettato di buongrado.
 
Kurt quando imboccò la via di casa si trovò ad essere quasi trascinato da Bob e ci dovette mettere parecchia forza per fargli tenere il suo passo. Lui non era un esperto di cani e nemmeno di collari, ma doveva ammettere che la collarina di Bob non gli piaceva per nulla, sembrava strozzarlo. Ma era il cane di Finn e quindi non spettava a lui dare un giudizio su quello.
Appena entrato in casa le sue narici furono invase da un odore invitante di pancetta, salsicce e uova e le sue orecchie captarono il chiacchiericcio rilassato di Burt e Carole.
Tolse il guinzaglio a Bob che continuò ancora a seguirlo festante, ma entrato in cucina gli si parò davanti la scena di una famiglia unita e felice e lui si sentì terribilmente fuori posto.
Il primo a notarlo fu Burt, che immediatamente lanciò uno sguardo stranito al suo abbigliamento, e gli chiese:
“Buon giorno Kurt, stai andando a correre?”
“In verità sarei appena tornato, anche se Bob ha reso impossibile perfino provare.”
“Sei uscito col mio cane?”domandò arrabbiato Finn.
“Erano le cinque e quaranta del mattino e appena provavo a uscire Bob cominciava a piangere, che dovevo fare? Questo cane continua a seguirmi e non gli ho dato nemmeno confidenza.”ribatté nervoso Kurt, stando ben attento a non citare il procione.
“Chiedere forse il permesso prima di uscire la mattina? Non mi piace che vai in giro così presto. E non dovevi nemmeno portare fuori Bob, è il cane di Finn.”lo ammonì severamente Burt.
“Ora tenermi in forma è un crimine? È una mia abitudine correre la mattina presto prima di andare a scuola! Non intendo cambiare! E chiedo scusa per il cane Finn, mi dispiace, non succederà più.”
“Che sia meglio!”ribatté il Quarterback.
“Ma uscire così presto? Preferirei che andassi a correre quando torni da scuola.”
“Assoluta no. Io ho le mie abitudini e non intenzione di cambiarle. La mattina faccio colazione, corro dieci chilometri, torno e faccio la doccia e prima di andare a scuola faccio una seconda colazione. Inoltre, sappi che il pomeriggio, ho intenzione di frequentare qualche club, scuola di danza, poi fare i compiti, mangiare e andare a dormire presto.” Disse in maniera risoluta il ragazzo al padre che lo fissò accigliato.
“Kurt, non so come gestivi le cose con Elisabeth, ma questa è casa mia e di Carole e ci sono delle regole da rispettare. Prima fra tutte è che se vuoi fare qualcosa ne dobbiamo essere informati!”
Kurt fissò Burt con rabbia.
Non gli era piaciuto il tono che aveva usato per parlare di sua madre, quasi volesse sottintendere che lei non gli avesse mai dato delle regole.
“Esattamente come facevo con mamma. Niente di straordinario, mi sembra.” rispose in maniera piccata il ragazzo.
“Allora, se non c’è niente di straordinario, perché non lo hai fatto!? Se ti fosse successo qualcosa noi non saremmo stati in grado di aiutarti.” lo incalzò severamente Carole e Finn provò una gioia maligna a vedere l’altro ragazzo rimproverato.
“Perché voi invece non mi avete detto come vi siete messi insieme? O come mai Burt lasciò Elisabeth?” chiese indispettito Kurt in direzione di Carole, che sbiancò di colpo a quelle domande.
“Chi te lo ha detto?”chiese immediatamente Burt con tono brusco.
“Ancora nessuno, ma ho i miei sospetti. Allora chi è che mi vuole raccontare come è nata la relazione fra voi due?”
Burt sospirò, non era preparato a raccontare questa storia a Kurt. Il ragazzo era ancora troppo dalla parte della madre.
Il meccanico si scambiò uno sguardo con sua moglie e capì che anche lei stava pensando la stessa cosa.
“Kurt vieni a sederti e promettimi di ascoltare fino alla fine.” 
 
Finn era rabbioso, non sopportava Kurt.
Quel ragazzino come si permetteva di arrabbiarsi perché loro padre si era messo con sua madre!? Come si permetteva di portare a passeggio il suo cane!
Finn chiuse l’acqua della doccia e se ne andò all’armadietto a vestirsi per andare in classe. Aveva sperato che gli allenamenti mattutini lo aiutassero a smaltire la rabbia, ma non era stato così.
Si infilò la maglia quando sentì un tocco sulla spalla.
“Ehi Hummel!”
“Ciao Dave.” Lui e Dave Karofsky non erano propriamente amici, ma si rispettavano e andavano abbastanza d’accordo.
“Oggi hai spaccato agli allenamenti.”
Finn vide il compagno di squadra alzare la mano e si scambiarono un cinque.
“Infatti Finn, oggi mi sei venuto addosso duro.- rise Puck, che aveva l’armadietto alle loro spalle- se eri un altro ti avrei preso a pugni e poi dopo scuola ti avrei buttato nel cassonetto.”
“Non lo faresti mai a me.”
“Certo che no, amico.”
Puck e Finn si scambiarono una stretta di mano e con Dave cominciarono a chiacchierare, finendo di vestirsi.
 “Allora Hummel com’è tuo fratello? È un po’ come tuo padre, Burt la leggenda?”
Finn sbuffò, quel giorno quella domanda era l’ultima che voleva sentirsi porre.
 
 
Santana aprì il suo armadietto, prese i libri per la prima ora di lezione e guardò un paio di vecchi post-it pieni di note scritte che le servivano per ricordarsi le cose importanti da fare. Lesse attentamente e vide che non si era scordata nulla. Guardò i post-it di un altro colore, che era quelli che dedicava a Brittany e Blaine, e vide che anche li le note erano state tutte svolte.
Sospirò sollevata.
Con la storia di Blaine quel fine settimana, aggiunta al solito onere di badare a sua nonna, era stata parecchio distratta. Era un miracolo che non si era dimenticata qualcosa.
Guardò l’orologio e vide che mancavano ancora dieci minuti alla campanella, poteva prendersela con calma per andare in classe cercando di evitare le stupidaggini di Puck, le battutacce provocatorie di Lauren e i vaneggiamenti religiosi di Quinn.
Semplice di solito, ma non quella mattina. Di solito c’era Blaine a creare scompiglio .
“Che palle.”
Stava per chiudere l’armadietto quando sentì la voce di Dave Karofsky, uno dei più grandi idioti e provocatori della scuola. Ogni volta che Blaine lo caricava ci godeva enormemente.
“Sai Azimio cosa ha detto Finn del suo fratellastro?”
“Cosa?”
“Ha detto, usando parole sue, che è un fottuto frocio.”
“Davvero?”
“Te lo giuro sulla mia auto.”
“Una checca, che schifo. Niente di buono poteva uscire dalla discendenza Calhoun. Povero Hummel.”
Santana si voltò a guardare i due ragazzi allontanarsi, che continuavano a ridere e confabulare sottovoce. Era certa che da quella scena non sarebbe venuto fuori nulla di buono, non ci voleva un genio a capire che presto sarebbe successo un mezzo casino.
“Finnocenza, sei un tale idiota! Hai una ciabatta peggio di quella della Berry.” mormorò sbattendo la porta dell’armadietto.
Sentiva il sangue pomparle a mille per la rabbia, in quel momento voleva solo trovare Finn e picchiarlo come meritava.
Tutti a scuola sapevano il bullismo che aveva subito Chandler per aver detto apertamente di essere gay. E tutti sapevano che gli aguzzini di Chandler erano ancora a scuola trionfi del loro operato, compresi Azimio e Karofsky.
Santana pensò che Finn aveva incasinato ancora di più la vita di Kurt e si trovò disgustata dall’egoismo del quarterback.
Gli occhi della latina si fermarono sulla figura di Brittany e sentì un senso di angoscia farsi largo nel suo petto, ma sorrise quando l’altra la salutò e venne verso di lei a passo svelto.
“Ehi Charlie!”
“Britt, per l’ennesima volta, non chiamarmi con il mio secondo nome.”
“Ma San, è carino.”
“Se lo dici tu.”
“Certo che lo dico io, Charlie.”
“Dai, andiamo...”
Santana prese per il mignolo Brittany e cominciò a condurla in classe, meditando su quello che aveva appena sentito e sull’idiozia di Finn.
 
 
 
L’angolino della tazza di caffè…
 
Che dire di questo capitolo? Beh sicuramente qui ci vengono svelate moltissime cose, come ad esempio come mai Elisabeth fosse così ricca e come è nata l’amicizia fra lei ed Isabelle…
Ci sono state due Guest Star in questo capitolo, Anna Wintour e il dottor Foker, spero di averli resi al meglio, io ci ho provato a voi l’ardua sentenza.
Sicuramente avrete notato che la storia ha iniziato a complicare la matassa con Blaine che sembra stia iniziando a ricordare, Kurt comincia a scoprire il passato di sua madre e Finn che ha spiattellato l’orientamento sessuale di Kurt a Karofsky, senza contare Santana…
Vi posso già dire che nel prossimo capitolo ne vedremo delle belle!
 
Ecco la mia pagina Fb  dove troverete notizie sull’aggiornamento della storia:
 
https://www.facebook.com/pages/Schifottola/598579906836059
 
Un bacione e a presto
 

[1] Il defibrillatore normalmente non viene usato sui neonati ne  nei bambini piccoli, solo in rarissimi casi ed è un apparecchio appositamente studiato con frequenze basse da impostare manualmente. Se a un bambino si blocca il cuore, la prassi vuole che venga applicato per prima cosa il massaggio cardiaco.

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Capitolo 12
*** Primo giorno di scuola. Prima parte ***




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Kurt prima di cominciare scuola, nella settimana che forzatamente aveva avuto da star a casa, si era creato una sua routine: la mattina si alzava alle quattro e cinquanta e scendeva a fare colazione, andava a correre per quaranta minuti, evitava la colazione di famiglia con la scusa della doccia e poi il per il resto della giornata faceva compagnia a Blaine o il ragazzo a lui, dato che entrambi erano soli durante il giorno;  alla sera, gli toccava inevitabilmente la cena con gli Hummel, Arthur e Molly compresi e, infine, andava in camera sua  e prima faceva una videochiamata con Sebastian, Thad e le loro famiglie al completo e poi una telefonata a Isabelle.
Sentire sua adorata zia parlare della sua giornata in redazione  a Vogue lo calmava e un po’ gli sembrava di sentire i racconti di sua madre.
Anna è sempre la solita, nessuno meglio di lei sa anticipare cosa succederà nel campo della moda l’anno prossimo.
Le modelle del servizio della linea Vogue? Uff! Semplicemente quelle scelte non andavano bene. Avevamo espressamente chiesto ragazze di etnia indiana e ci hanno portato ragazze di colore, bellissime, ma non è quello che avevamo chiesto!
Lo sai com’è con i nuovi stilisti emergenti, sempre la solita storia! Si credono i nuovi pionieri della moda. Sono tutti convinti di creare abiti mai fatti prima, mentre in realtà potrei citare capi identici ai loro in almeno dieci collezioni di diversi marchi e anni.
Si aggrappava alle parole di Isabelle, sapevano di casa e normalità e lo facevano sentire meno sperduto e fuori posto.
Kurt non era mai stato un bugiardo, ma da quando era arrivato a Lima non aveva fatto altro che raccontare bugie ai suoi cari di New York. Nelle lunghe telefonate raccontava che andava tutto bene e che si stava ambientando, nonostante avesse delle incomprensioni soprattutto con Burt, ma le minimizzava facendo l’entusiasta, quando il suo unico desiderio era tornare alla sua vecchia vita.
 Specchio di questo suo desiderio Kurt la notte sognava quello che la sua vita era stata e ogni volta che si svegliava sentiva profonda disperazione, soprattutto per la mancanza di sua madre.
La sua fortuna però era stata di aver trovato Blaine, che in quella prima settimana a Lima era stato inconsapevolmente la sua ancora di salvezza. Senza di lui sarebbe definitivamente crollato.
A Kurt piaceva molto Blaine, lo faceva ridere con i commenti che scriveva, rivelando una personalità a tratti egocentrica e vanesia, ma anche molto altruista e divertente. Avevano ‘parlato’ moltissimo in quella settimana e lui gli aveva raccontato della sua vita a New York e dei suoi due migliori amici Sebastian e Thad, Blaine invece gli aveva scritto della vita di Lima, contornata dai suoi abitanti impiccioni, suo fratello e della profonda amicizia che lo legava a Santana e Brittany.
Kurt era rimasto sorpreso nell’apprendere che  Blaine aveva due femmine come best friend, ma ben presto dai racconti del ragazzo capì anche che Cooper non era solo un fratello maggiore, ma anche un complice perfetto, un sostegno e un grande amico.  
Blaine gli aveva raccontato molto anche del tempo in cui le loro madri erano state amiche e gli aveva mostrato le foto della Banda e molti interrogativi si erano formati nella sua mente, soprattutto si chiese perché qualcuno avesse ucciso Melanie.
Ricordava bene le storie che gli avevano raccontato Molly Hummel e Olegh Clarington e questo lo confondeva ancora di più. A sentire loro, a Lima, Melanie Anderson era considerata una persona fantastica e che anzi il problema di quella piccola comunità erano solo i Lopez, visto che la Banda si era sciolta e i Calhoun erano spariti.
 In qualche pomeriggio di quella settimana, Finn era tornato da scuola accompagnato da Noah Puckerman, il suo migliore amico, che a Kurt non era piaciuto per nulla. Il ragazzo, dopo quell’incontro a casa Anderson, non era stato molto cordiale e così, per evitare altre discussioni o episodi spiacevoli, aveva preferito passare quasi tutto il suo tempo con Blaine e a volte Brittany e Santana quando passavano da casa Anderson.
Kurt, tutto sommato,  in quella nuova routine aveva imparando ad amare i nuovi piccoli momenti della sua giornata, soprattutto la colazione insieme al bulldog. Aveva scoperto per caso che Bob ogni giorno faceva entrare dalla porta della cucina un procione femmina.
In casa non aveva detto a nessuno della sua scoperta, perché, per quanto lui fosse schizzinoso e un po’ impaurito, il procione gli piaceva soprattutto per la sua curiosità e invadenza, che l’aveva portato a battezzare l’animale con il nome di Jessica Flecher, in onore all’alterego del suo idolo Angela Lesbury.
Kurt quando aveva visto Bob aprire la sua porticina per far entrare la sua amica, forzando con il muso il perno che la bloccava e che Finn chiudeva ogni sera, era stato molto sorpreso e ancora di più lo era stato quando Jessica gli era saltata in braccio e gli aveva rubato la forchetta e aveva cominciato a mangiare la macedonia con cui lui stava facendo colazione.
Questo  aveva fatto sospettare a Kurt che Jessica avesse vissuto con degli esseri umani, ma che ormai era un’abitante del boschetto vicino casa Hummel visto che era piena di pulci (e questo lo aveva portato a buttarla per terra e a lei a risaltargli in braccio).
Per questo si era ripromesso che quando Burt gli avesse dato la libertà necessaria per muoversi da solo o Blaine si fosse rimesso abbastanza per guidare, sarebbe andato in un negozio di animali a comprare tutto il necessario per toglierle le pulci, compreso un collare per tenergliele lontane, e magari, già che c’era, anche tutto il necessario per farle un bel bagno.
 
 
Arthur era sempre stato un nonno presente, amava esserlo e sapeva che a Finn piaceva averlo intorno.
Il vecchio Hummel amava profondamente suo nipote più grande sin dalla prima volta che lo aveva visto. Ricordava di non aver potuto non amare quel bambino di pochi mesi con gli occhi castani che fissava il mondo con curiosità.
Finn era il suo amato nipote, ma era incuriosito anche da Kurt, solo che non riusciva a conoscerlo.  Il ragazzo da quando era arrivato a Lima si era chiuso in se stesso pieno di rabbia, soprattutto verso Burt e Carole da quando aveva scoperto come era iniziata la loro relazione e conseguentemente finito il matrimonio dei suoi genitori.
Arthur doveva ammettere che in quella settimana aveva provato un po’ di pena per suo figlio e nuora. L’atmosfera in casa era stata tesa per colpa della rabbia di Kurt e  Bob che seguiva dovunque il nuovo membro della famiglia Hummel, con gran disappunto di Finn.
Il vecchio uomo provava anche un po’ di dispiacere vedendo suo nipote più grande a sua volta costantemente arrabbiato per via del cane, ma non sapeva come dirglielo, senza farlo infuriare ancora di più, che l’animale aveva scelto come figura di riferimento Kurt perché era stato l’unico che aveva interagito realmente con lui e non si era limitato, nonostante spesso lo spingesse via, a dargli due carezze e riempirgli le ciotole di cibo.
Arthur con Molly e Finn, poi, erano stati messi al corrente dei problemi di salute di Kurt e tutti loro all’inizio erano rimasti molto confusi riguardo cosa fosse l’Atresia esofagea, ma grazie alla spiegazione di Carole tutto era diventato molto più chiaro.
 
“Ehi Kurt, sei emozionato per il tuo primo giorno di scuola?” L’anziano staccò per un secondo gli occhi dalla strada e li puntò verso il nipote, che guardava con una punta disgusto o forse di noia il panorama semplice e lineare di Lima.
“Ero emozionato il primo giorno di settembre alla Fiorello, mi rifiuto di esserlo al McKinley.”
Arthur sentì tutta la frustrazione del nipote e cercò di essere gioviale per alzargli l’animo.
“Lo so che non è la stessa cosa dell’altra tua scuola, ma sono sicuro che ti piacerà. ”
“Almeno non sono a casa. A proposito, grazie per accompagnarmi.”
“Non devi ringraziarmi, mi piace e lo faccio volentieri e continuerò a farlo fintanto ti farà piacere. Oggi il giro lo facciamo lungo così ti faccio vedere un po’ di Lima, ma domani ti accorgerai che in macchina è giusto una decina di minuti di strada.”
Arthur si sentì soddisfatto quando con la coda dell’occhio si accorse del primo sorriso del ragazzo.
“Ovviamente Kurt se vuoi ti ci porto anche quando Finn non ha gli allenamenti.”
“Finn mi ha già detto che non può mai perché tutti i giorni prende Quinn... da quanto ho capito le squadre di cheerleading e football hanno allenamento gli stessi giorni e alle stesse ore e di conseguenza i giorni liberi... non che io ci tenessi ad andare con Finn, comunque...”
Arthur la sera prima era stato chiamato da Burt che gli aveva chiesto di accompagnare Kurt in quei primi giorni, visto i problemi di rapporto che stavano attraversando in famiglia.
“Sai, a nessuno piace fare il terzo incomodo.”
“Non è solo quello... è che non credo di piacere a Quinn.”
“È una cara ragazza.”
“Cattolica praticante è il sinonimo di Quinn Fabray.” Sbuffò Kurt, guardando  la nuova strada dove erano appena svoltati.
“Beh già.” Arthur sapeva come era religiosa la fidanzata del nipote e si immaginava che non avesse preso bene la questione dell’omosessualità di Kurt e questo onestamente non gli faceva molto piacere.
“Lo so che non sembra la più simpatica, ma ha la capacità di stimolare Finn ad impegnarsi a scuola e Burt e Molly la amano molto.”
“Certo, gli sembra di avere la nuora perfetta... anch’io la troverò un giorno...  solo con un cucù in mezzo alle gambe.”
Arthur scoppiò a ridere in maniera fragorosa, tanto che non riusciva più a guidare e dovette accostare la macchina al lato.
“Con un cucù. Kurt sei tremendo.”
Nonno e nipote per la prima volta si trovarono entrambi a ridere e l’anziano fu felice di vedere quella nuova espressione sulla faccia del ragazzo.
Arthur dopo poco si ricompose e si immise di nuovo in strada.
“Posso dirtelo un segreto Kurt? Una cosa che rimanga tra noi.”
 
“Certo.” Kurt aveva deciso quella mattina che di certo la persona che preferiva della famiglia Hummel era l’anziano zoppo che lo stava portando a scuola, suo nonno. Gli faceva ancora strano pensare a lui in quei termini.
“A me Quinn piace come ragazza, è innegabile che è carina... però mi sarebbe piaciuto che Finn si fosse messo con qualcuno più energico come Santana Lopez, anche se a Molly non è mai piaciuta. ”
“Davvero?”
“Sì. Vedi... Finn da piccolo aveva un carattere molto debole e Burt e Carole, consci di questo, hanno sempre deciso di tenerlo lontano da bambini troppo irruenti, ma secondo me hanno sbagliato. Dovevano fargli fare le ossa. Infatti non è un caso che ora che è al liceo Finn non vinca mai una battaglia contro persone capaci di argomentare e rispondere a tono.”
Kurt ragionò sulle parole dell’anziano e decise che quella doveva essere una buona spiegazione dell’origine del carattere fastidioso e petulante di Finn. Presto però gli tornarono in mente i racconti di Olegh Clarinton, così chiese:
“Non è che Burt ha tenuto lontano Finn da Santana per quello che era successo tra Luis Lopez e mia madre?”
Arthur sospirò e scosse la testa, ma prima di rispondere passò con attenzione l’incrocio che aveva davanti, attento a non tagliare la strada a nessuna macchina.
“Tuo padre in realtà non è mai andato molto d’accordo con Luis e non è certo una questione di essere l’ex di tua madre o di Carole.”
“Di Carole?”
“Sono usciti solo qualche mese insieme quando avevano quindici o sedici anni.”
Nella macchina per un po’ cadde un silenzio meditabondo e poi l’anziano riprese a parlare.
“Posso essere del tutto sincero con te, Kurt? Senza che ti arrabbi o ci rimani male?”
“Non posso prometterlo del tutto.” Ammise il ragazzo sinceramente, intuendo vagamente la direzione di tutto il discorso.
“Tuo padre mi ha detto che qualche giorno fa avete discusso su come lui e Carole si sono messi insieme. Sappi che quando successe io mi arrabbiai molto con lui. Non perché si era innamorato di Carole, ma per come aveva trattato tua madre. Gli dissi che, prima di intraprendere qualsiasi cosa, avrebbe dovuto essere onesto. ”
“Lui non lo ha fatto.” Rispose con un po’ di astio Kurt, ma riuscì a celare la sua reale rabbia.
“Non mi stupii quando tua madre se ne andò e fece dirigere il divorzio solo tramite avvocati, senza nemmeno voler più vedere mio figlio. All’epoca pensai che fosse giusto e non la incolpai mai e dentro di me le augurai il meglio, però cambia molte cose ora so che ci sei tu nel quadro degli eventi.”
“Non voglio sentire cose negative sulla mia mamma.” Disse subito sulla difensiva Kurt e Arthur si rese conto una volta di più di come fosse ancora un po’ bambino quel ragazzo.
“Non voglio dire cose cattive, calmati.- lo rassicurò con il suo tono dolce.- voglio solo essere onesto con te e farti conoscere un po’ dei miei pensieri per darti un altro punto di vista in questa faccenda.”
“Okay.”
Arthur aspettò qualche secondo che Kurt fosse davvero calmo e che il semaforo in cui si erano fermati diventasse verde.
“Non so se Burt te lo ha detto, ma soffre di Oligozoospermia Severa, cioè bassa concentrazione di spermatozoi. Lui è praticamente sterile. Nemmeno un’operazione ha potuto aiutarlo.”
“Non me lo ha detto- Il ragazzo guardò stordito l’anziano- ma lui la sapeva questa cosa quando stava con mia madre?”
“No l’ha scoperto dopo... quando ha provato a dare un fratellino a Finn.”
“Ah.”
“Guarda che provò anche con tua madre a fare un figlio e già allora dopo mesi si stranì di non esserci riuscito, ma poi arrivò Carole e tutto passò in secondo piano fino a quando Finn ebbe cinque anni.”
“Cioè quando voleva allargare la famiglia.”
“Esatto. Per lui scoprire di non essere in grado di poter avere figli fu un brutto colpo. Averne uno suo era uno dei suoi più grandi desideri... in realtà lo fu anche per Carole che voleva dare a Finn un collegamento reale e tangibile con Burt.”
Kurt dovette ammettere che conoscendo quelle cose un po’ si sentiva dispiaciuto per Burt, ma questo non cancellava tutta la situazione.
“Quindi, quando qualche settimana fa abbiamo scoperto la tua esistenza, mi sono arrabbiato con tua madre... ma ho anche capito che quando i tuoi genitori si sono mollati hanno gestito la faccenda con  troppa facilità  e troppa rabbia. Però conoscendoti credo di aver intuito molte cose nuove su tua madre...”
“Che cosa?” chiese Kurt un po’ timoroso.
“Che non ti ha tenuto lontano da Lima e da Burt solo per rabbia... forse all’inizio ma poi no... anche se non la giustifica del tutto. - l’anziano di voltò verso Kurt e con tono dolce aggiunse- Però ragazzo, questo non deve interessare a te. Le discussioni che noi adulti abbiamo con tua madre, soprattutto Burt, sono solo nostre e dobbiamo noi trovare la pace con lei e ti assicuro che succederà. ”
“E se non  dovesse succedere?”
“Succederà. Qui non ci sono i cattivi dei film che sono senz’anima, ma solo persone piene difetti, stupidi rancori e segreti che ormai devono essere affrontati per andare aventi in questo presente. E quando succederà conoscerai la tua mamma dagli occhi del mio goffo figlio e tuo irruento padre.”
Kurt era molto colpito dal modo dolce e tenue di spiegare di Arthur e dovette ammettere che era riuscito ad esprimere i suoi sentimenti negativi senza offenderlo o denigrare la sua mamma, cosa che invece suo padre fino a quel momento non era riuscito.
Si accorse di sentirsi confortevole a parlare con lui, anche se lo conosceva davvero poco.
“Non credo che mi piacerà sentire Burt raccontarmi della mamma...”
L’uomo sorrise .
“Hai ragione, potrebbe non piacerti, ma sono sicuro che quando succederà tu e quel testone troverete un po’ di pace entrambi.”
Arthur parcheggiò la macchina davanti al McKinley e mise una mano sul braccio del nipote per attirare la sua attenzione, che ebbe subito.
“Comunque Kurt  volevo dirti che aver saputo che sei gay non ha spento il mio entusiasmo e la voglia di conoscerti ed entrar a far parte della tua vita. Sappi che quando porterai a casa la futura nuora con un bel cucù in mezzo alle gambe io sarò molto felice.”
“Ma Arthur!”
 
 
 
Fate largo popolo, il Re è tornato!
Blaine camminò fieramente tra i corridoi del McKinley con il collare, il giubbotto letterman e gli occhiali da sole; sorridendo come un divo  alle persone che lo guardavano, soprattutto alle ragazze che sospettava che avessero una cotta per lui.
 
“Sei un tale esibizionista!” sbuffò Santana infastidita dietro di lui, accanto a Brittany.
‘Non sono un esibizionista! Non vi ho voluto vicino perché se no mi avreste rovinato il mio ritorno in questo luogo triste e desolato.’
“Sannie è la sua entrata trionfale, se la merita tutta.”
‘Britt dopo quello che hai detto, col potere che mi sono auto conferito, ti eleggo regina delle mie groupie.’
“Non lo difendere o il suo ego un giorno di questi esploderà.”
‘Ehi, il mio non è ego, ma enorme autostima.’
“Non è vero- commentò Brittany divertita- se lui ha un grande ego, quello di Rachel cos’è?”
“Su questo hai un punto.”
‘Infatti Santana, quello della Berry si chiama egocentrismo con deliri di onnipotenza.’
I tre ragazzi erano quasi arrivati agli armadietti quando sentirono...
“BLAINEEEE.” Tina urlare a squarciagola.
‘Eh no!’ Blaine istintivamente si mise a correre verso i gabinetti, per chiudersi a chiave in un cubicolo.
“Non correre che ti fai male!”gridò esasperata Santana.
‘Col cazzo che mi faccio prendere da quella pazza!... AHIA’
 
 
Kurt si prese un  momento per studiare l’edificio scolastico, gli sembrava la classica scuola da telefilm con i suoi mattoni rossi e gli infissi gialli.
Pensò che fosse inutile indugiare oltre e con malavoglia si avviò all’entrata.
Notò vagamente che c’era qualche studente che lo fissava, ma non ci diede troppo peso e salì le scalette in mezzo alla calca di studenti. Appena entrato diede uno sguardo al corridoio, trovandolo anonimo come se lo era aspettato.
Sospirò e cominciò a camminare cercando di capire dove fosse la segreteria per avere l’orario delle lezioni, tutte obbligatorie come era di prassi nel primo anno scolastico.
Un fastidio ormai famigliare si impossessò di lui, pensando che alla vecchia scuola si sarebbe diretto, come ogni lunedì mattina, alla lezione di Dizione del suo curriculum, Dramma.
 
“Ehi Kurt Hummel!”
Al suono del suo nome Kurt si  voltò e vide Puckerman con altri tre ragazzi con la giacca della scuola, tutti piazzati e con in mano con un bicchiere da bibita.
Un orribile sensazione si fece largo in lui, soprattutto notando gli sguardi di tutti gli altri studenti.
“Che c’è?”
“Calmo straniero- disse uno dei ragazzi, l’unico di colore – vogliamo solo darti il benvenuto al McKinley.”
“Molto gentili, ma io sono un tipo solitario e faccio da solo. Grazie.”
Kurt cercò di superare il gruppo ma, Noah lo afferrò per un braccio e con malagrazia lo mando a sbattere contro un armadietto, facendogli sbattere la faccia.
 
 
“Blaine esci, Tina è andata. L’ha portata via Sam.” Santana batté il pugno contro la porta del gabinetto.
Ecco! Nemmeno la visione mattutina del culo di mr Evans ho potuto giovare... tutto per colpa di quella banshee.
“Brittany che stai facendo!?”
“Sto scattando una foto a quel murales, è così bello!”
Non ci sono murales...
“Ma lo devi fare ora?” chiese Santana cercando di forzare la porta dove era chiuso Blaine, che non voleva uscire.
“Certo che sì! San quando ci ricapita di entrare nel bagno dei maschi.”
Aspetta... questo è il mio regno e di tutti i maschietti! Anche se siete mie amiche qui dentro siete solo invasori in gonnella! Questa è guerra.
“Oh io ci sono venuta un sacco di volte a fare sesso con Puck, proprio nel bagno in cui è chiuso il cretino.”
Blaine si guardò intorno tra lo schifato e lo sconsolato e infine sbuffò.
Ecco ora mi tocca pisciare su tutte le pareti per disinfettare questo schifo...
“Cretino guarda che stai per arrivare in ritardo a lezione.”
“San non riesco a prendere tutto il murales.” Si lagnò Brittany e Santana si voltò esasperata a fissare il “disegno” in questione.
Nel bagno cadde un lungo silenzio.
Blaine incuriosito aprì la porta e si mise a fianco a Santana  e ridacchiò.
“Tesoro- disse dolce la latina- quello non è un murales, ma un avvertimento tra i ragazzi.”
“Perché dovrebbe esserlo?”
“Perché Britt la  frase “nessuno faccia il filo a Suzy Pepper o verrà perseguitato” è come dire: Ehi guarda lì c’è una buca in mezzo alla strada se non la eviti ti puoi fare molto male. Hai capito ora?”
‘Suzy Pepper... quanti bei ricordi...per fortuna era ubriaca e anche io...però i suoi baci me li ricordo benissimo, indimenticabile il suo apparecchio ... aspetta... chi è lo sfigato che ha invitato Pepper a quella festa?’
Ma San, Suzy è una ragazza dolcissima, l’ho anche invitata ad una festa una volta.
‘Allora è colpa tua se ho baciato il suo apparecchio.’
“Allora sei stata tu!-esclamò Santana incredula verso la bionda- lo sai che Blaine gli ha fatto la visita approfondita della cavità orale?”
“Non sapevo volessi diventare dentista.”
Neanche io…
Blaine e Brittany si misero a ridacchiare in maniera complice e la latina alzò gli occhi al cielo infastidita.
“Sentite io vado a lezione. Vi aspetto ad economia domestica.”
Fanculo Figgins che mi ha punito con quella materia... imparerai la calma, diceva lui... ho solo imparato che Britt in cucina è un pericolo... rischio più io la vita dei poliziotti di Lima.
“Ora andiamo San, però prima fotografo il murales... Blaine mettiti vicino al nome di Suzy e fai un cuore.”
Santana osservò qualche secondo i due amici e poi se ne uscì.
 
 
“Non sei contento di tutti questi bei ragazzi che ti sono attorno?”
Kurt si teneva la faccia dove aveva preso la botta, mentre guardava rabbioso i ragazzi che lo avevano accerchiato e che ridevano.
“Cos’è? Non sai parlare?”
“Io so parlare.”
Il gruppo scoppiò a ridere e uno disse:
“Ehi ragazzi avete sentito che ha anche la voce da frocio?”
“Lo deve prendere nel culo parecchio per parlare così.” Esclamò un altro.
Di nuovo risate, sempre più sguaiate.
Kurt sentì il petto bruciare di rabbia sempre più forte. Non poteva credere di essere bersaglio di un atto così crudele.
Sua madre se l’avesse saputo si sarebbe arrabbiata e...
Il ragazzo si diede dello stupido a fare un pensiero del genere, sua madre, in quella battaglia e quelle future, non sarebbe più stata al suo fianco.
Era solo.
In tutti quei giorni gli era mancata da impazzire, ma il rendersi conto che non c’era più la sua presenza confortante alle sue spalle in una situazione come quella era spaventoso, anche se lei gli aveva insegnato a essere forte davanti ad ogni ostacolo.
 “Non ci trovo niente da ridere.”
“Ohhhh il piccoletto si sta arrabbiando.” Rise Puckerman e il ragazzo di colore aggiunse:
“Si vede che il pivello è nuovo e non sa come vanno le cose qui dentro.”
Kurt si disse che non doveva essere debole, sua madre per lui non lo era mai stata, così si erse in tutta la sua piccola altezza e incrociò le braccia al petto.
“Le cose qui dentro dovrebbero andare come dappertutto e non ci dovrebbero essere queste scene patetiche e puzzolenti.”
“Puzzolenti?-domandò uno dei ragazzi, uno dei più grossi di stazza.- tu senti puzza Jason?”
“Sì Dave, c’è puzza di finocchio.”
“Io veramente parlavo di sudore-disse Kurt- non è certo una bella giacca della scuola che serve a nascondere il non saper fare una doccia.”
Nel corridoio per qualche secondo scese un silenzio incredulo sia tra i ragazzi che accerchiavano Kurt e sia tra quelli che guardavano la scena.
Il primo a riprendersi fu Azimio che scoppiò a ridere e che alzò il bicchiere che teneva in mano.
“Così sgarbato e pensare che noi volevamo solo darti il benvenuto.”
“Il migliore mai ricevuto, grazie. Ora se vi fate da parte io... ”
Kurt non riuscì a finire la frase che sentì una sensazione gelata e umida.
“Ma siete impazziti!?” gridò a tutto volume dopo qualche secondo, quando capì che gli avevano rovesciato a dosso della granita.
“Benvenuto frocio Hummel!” gridò uno dei ragazzi e tutti scoppiarono a ridere.
“Io vado dal preside e mi pagate la pulizia dei miei vestiti!”
I ragazzi risero ancora di più.
“Hai sentito Azimio? La pulce vuole andare dal preside e farci pagare la lavanderia.”
Azimio rise con forza e diede una spinta a Kurt facendolo di nuovo a sbattere contro gli armadietti.
“Che paura che mi fai, signorinella.”
“Vedremo se sarete così sbruffoni, dopo che sarò stato dal preside, vi denuncerò alla polizia per atti di bullismo e omofobia! E se questo non vi placherà vi denuncerò alle associazioni L.G.B.T. e farò uscire un caso a livello Nazionale! E poi vedremo chi riderà quando vorrete iscrivervi all’università!”urlò Kurt, ormai più rosso della granita alla fragola che gli colava dai vestiti.
Il corridoio per qualche secondo divenne silenzioso e per la prima volta Kurt vide sul volto dei ragazzi che lo stavano maltrattando una scintilla di paura.
 
 
Santana uscì dal bagno e cominciò a camminare pigramente verso la classe, ma si bloccò quando sentì delle urla concitate e rabbiose. Pensò che fosse Zizes che se la fosse presa da capo con Puck per qualcosa, ormai era la regola.
“Che palle ora mi tocca fare il giro. Oggi non ho voglia di rischiare la vita e poi se finisco in un'altra rissa con lei, Figgins ha detto che chiama i miei...”
Fece un altro paio di passi, ma sentì urlare una voce che decisamente non era quella di Puck o di Lauren.
 
“...E se questo non vi placherà vi denuncerò alle associazioni L.G.B.T. e farò uscire un caso a livello nazionale e poi vedremo chi riderà quando vorrete iscrivervi all’università!”
 
La latina riconobbe la voce di Kurt, che con quel timbro così esile era impossibile non riconoscerlo.
“Mi faccio gli affari miei...”
 
Non andrai alla polizia, razza di checca!”Santana sentì la voce di Puck e poi quella di Dave e Azimio in contemporanea urlare:
Non osare minacciarci, frocio!
 
A quegli epiteti la latina sentì qualcosa contorcersi nelle sue viscere, ma soprattutto una forte rabbia verso la stupidità di Puck e Finn, che grazie alla sua bocca aveva scatenato quegli eventi.
“Giuro che appena ti trovo finnocenza ti stacco le palle e le corde vocali. ”
Santana si voltò e prese a correre in direzione delle voci ignorando la sua vocina interiore che le urlava di farsi gli affari propri.
 
 
 
“Ritira quello che hai detto o sarà peggio.” Dave sbatté di nuovo Kurt all’armadietto, che aveva il volto coperto dal sangue che gli era uscito copiosamente dal naso.
“No!”
“Sbattilo con più forza Karofsky.”urlò Jason.
Dave lo fece e Kurt sentì un dolore atroce al naso.
“Allora?”
“Ho detto no! Siete voi che dovete finirla!”Kurt ormai sentiva la testa dolergli per colpa di tutte le botte che stava ricevendo, ma non voleva mollare. Provò a divincolarsi per l’ennesima volta senza risultati.
 
 
“Blaine ora metti una mano tra i capelli, mentre con l’altra tocca il murales e mi raccomando... aria ispirata.”
Come faccio a sembrare ispirato con il collare!?
Il ragazzo si indicò il collo e Brittany scrollò le spalle.
“Fai il broncio, almeno.”
 
Non andrai alla polizia, razza di checca!
Non osare minacciarci, frocio!
“Siete voi i primi che avete minacciato!”
 
“Blaine credo che qualcuno stia per iniziare una rissa. ” constatò Brittany con tranquillità.
Senza di me!? Mi assento una settimana da scuola e guarda cosa succede.
Il kicker senza aspettare si mise a correre, ma dopo due passi sentì come una scossa alla schiena che lo bloccò, così riprese a passo svelto, seguito da Brittany che divertita cominciò a riprenderlo.
“Sembri un miniponi con un’ala rotta.”
Io sono più cazzuto dei miniponi.
 
 
“Dave dagli un pugno e poi lo gettiamolo nel cassonetto.” Ordinò Azimio.
Karofsky alzò il pugno e Kurt lo fissò negli occhi gelidi, voleva essere in qualche modo forte, ma in realtà aveva solo paura.
Appena vide il pugno partire chiuse gli occhi pronto all’impatto, ma non arrivò mai e invece sentì un verso di puro dolore, la presa ai suoi vestiti allentarsi e una voce rabbiosa urlare:
“Ma siete impazziti, razza di caproni!?”
Kurt appena aprì gli occhi vide  Karofsky chinato su se stesso, che si teneva le mani sulle parti intime, e Santana sferrare al ragazzo un calcio nelle costole che lo fece cadere del tutto.
“Santana, tesoro.” Provò Puck, che come tutti presenti era attonito, ma la ragazza si voltò come un diavolo e prese ad urlare.
“Stai zitto Noah! Cosa cazzo stai facendo con questi trogloditi? Davvero sei così cavernicolo da attaccare mister arcobaleni?”
Kurt, mentre cercava di arginare il sangue che usciva dal naso e dai tagli sulla faccia, pensò che era stato chiamato in molti modi, ma mai mister arcobaleni e lo avrebbe quasi trovato divertente se non fosse stato per la situazione..
“Ehi piccola, ma lo sai qual è la mia posizione...”
“Ah la posizione... mi pare sensato picchiare a sangue una persona appena arrivata. Sai che ti dico idiota? Io ti mollo e ti lascio tutto a quel facocero di Zizes.”
“Santana me la paghi questa.” Disse Dave, mentre Jason si era chinato ad aiutarlo.
“Per così poco mi molli?” chiese Noah incredulo.
“Così poco!?-chiesero in coro asincrono Santana e Kurt  e poi la ragazza aggiunse - Ti mollo perché ti comporti da pecorone e parli con questi idioti.”
“Loro sono i miei compagni di squadra.”
“Puck, loro sono gli idioti che hanno bullizzato Chandler e che gli hanno rotto il braccio solo perché era gay!”
Kurt a quelle parole guardò i giocatori  davanti a lui che quasi sorrisero orgogliosi, tranne Puck che ancora scuoteva la testa fissando la latina.
 “Ehi Lopez – disse Azimio con un sorriso divertito.- noi non siamo stati e poi non ci sono prove per quello che dici. Nessuno ha mai potuto dimostrarlo.”
“Chandler vi ha incolpato.”
“Quello era un dannato bugiardo.” Urlò Karofsky furioso, ancora a terra dolorante.
“Certo e io anche mi sto inventando quello che sta succedendo ora! Ahi- sbuffò Kurt mentre si toccava il naso- infatti mi sono picchiato e sporcato di granita da solo.”
“Zitto!” Azimio  avanzò minaccioso verso il ragazzo gay e Santana si mise di mezzo.
Nel corridoio le persone che assistevano alla scena trattennero il respiro, quella era la lotta dell’anno che Jacob Ben Israel si stava perdendo. Santana Lopez, Dave Karofsky, Noah Puckerman e Azimio Adams erano tra le persone più in alto nella scala sociale della scuola e tutti notoriamente degli attaccabrighe della peggiore specie.
“Chandler bugiardo?- La latina sorrise con sarcasmo ignorando il commento di Kurt  - guarda caso arriva un  nuovo ragazzo gay e nemmeno mette piede a scuola e voi subito gli rovesciate granita e lo maltrattate... ”
“Lopez lo sai che qui è questione di scelte.-Disse Azimio avvicinandosi con fare minaccioso verso di lei cercando di farla arretrare, ma lei non si mosse- Non credo che giovi alla tua posizione difendere questo frocio.”
“Io sono il vice capitano delle cheerleader. –rispose velenosa-  Sapete come la Sylvester si arrabbia se qualcuno tocca o provoca danni alla sua squadra. La mia posizione è a posto è la vostra che non lo sarà quando la coach saprà che mi avete toccato... sai Azimio?”
“Noi non lo abbiamo fatto.”
Santana sorrise e si voltò verso Kurt, gli prese un cumulo di granita dai capelli, attenta a  non sporcarsi col sangue del ragazzo, se la spalmò addosso e poi si voltò verso il gruppo con un sorrisetto trionfante.
“E questa come la spiegherete alla Sylvester? Allora Adams?”
“Lo diremo che sei stata tu.” Disse Jason e la latina rise fintamente divertita e ripeté le parole che Azimio aveva usato per la situazione di Chandler:
“Io? Io non sono stata e poi non ci sono prove per quello che dite.”
Kurt fissò incredulo Santana e improvvisamente ebbe quasi la sensazione di rivivere la storia che gli era stata raccontata su sua madre e il dottor Lopez, solo con i cognomi invertiti.
“Brutta stron-”Azimio non riuscì a finire la frase che gli arrivò in testa uno zaino e una voce disse:
“Lascia stare la mia amica.”
“Brittany stanne fuori.” urlò la latina e  Kurt aggiunse furioso:
“Io comunque vi denuncio tutti!”
“Non sono un’esperta di risse- disse Brittany con estrema calma- ma sai Kurt non credo che sia la cosa migliore da dire ora. E poi nei film il personaggio che dice frasi come questa finisce sempre male. ”
 “Oh Dio... oltre Pierce sta arrivando  anche Anderson...” mormorò qualcuno degli “spettatori” vedendo il ragazzo camminare svelto con i pugni alzati.
E quindi?...oh! Dave è mezzo a terra...
Blaine ignorando i battibecchi accelerò il passo, spostò con malagrazia alcune persone,  prese Dave Karofsky per la collottola che lo fissò sorpreso e...
Di’ ciao al tuo Re, sfigato.’ Gli diede con tutta la forza una testata e poi divenne tutto nero e l’ultima cosa che sentì furono le voci di Santana e Kurt gridare in coro:
“Blaineeee!”
Ho vinto! Adrianooooooooo!

Fine prima parte...

 

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Capitolo 13
*** Primo giorno di scuola. Seconda parte ***




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“Quello che è successo oggi è inaccettabile!”
Dai Figgins non urlare, ho mal di testa!
“Il peggiore episodio dell’anno, se non degli ultimi anni!”
Figgins e basta!
“Quei teppisti hanno rovinato la divisa della mia cheerleader!”
“Sue, non è questo il momento! E poi una divisa sporca è meno importante di un volto livido e di due studenti svenuti.”
Kurt guardò il preside rimproverare la famosa coach Sylvester cominciando a capire come mai Santana l’avesse usata come minaccia, sembrava Crudelia Demon che aveva rinunciato ai capelli bicolore e alla pelliccia, ma non certo alla sua cattiveria.
Nemmeno dopo un minuto che Blaine e Karofsky erano svenuti, era apparsa lei e tutti i presenti in corridoio si erano come congelati, tranne Brittany che l’aveva salutata con estrema affabilità come se non fosse in mezzo ad una rissa.
Il seguito era stato confuso. L’unica cosa chiara era che si era ritrovato nella sala riunioni con: il preside, coach Sylvester, coach Beiste, i bulli, Santana gongolante, Blaine ancora intontito, parecchi genitori, Cooper e Burt.
Kurt era furioso, la faccia gli pulsava e gli faceva male, soprattutto il naso. I suoi abiti, a partire dal cappotto ad arrivare alle scarpe e la biancheria, erano rovinati. Si sentiva appiccicoso e il profumo della granita alla fragola e sangue gli stava dando la nausea. Avrebbe voluto andare via e lavarsi, ma era seduto a un enorme tavolo ad ascoltare i battibecchi fra il preside e i genitori, che stavano facendo di tutto per evitare note dannose sulle schede personali dei figli.
 
“Mio figlio è stato aggredito, ha un bernoccolo in testa! Ed è anche svenuto.”disse irato il padre di Karofsky, Paul, al preside.
‘Suvvia per così poco! Ho anch’io un bernoccolo in testa e sono svenuto, ma mio padre non è qui a lamentarsi.’
“Sono Anderson e Lopez che lo hanno aggredito e devono essere espulsi!”
 ‘Sì e poi dopo l’espulsione vogliono mandarci alla scuola militare? Uhm... tanti bei ragazzi in divisa... ’
“Espulsi?-urlò Richard incredulo -Mio Figlio e Santana sono partiti in difesa di Kurt che tuo figlio, con i suoi amici, ha attaccato!”
‘Vai Papà cantagliele e se non basta picchiali! Io ti copro le spalle e le palle.’
“Ma non esageriamo! David non farebbe mai nulla del genere.”
Burt scosse la testa e in modo severo chiese:
“Scusa Paul, quindi come lo vorresti spiegare che mio figlio è pieno di granita e ha la faccia pesta? Secondo te se li è fatti da solo?”
“E io?- Santana si indicò- anche io mi sarei sporcata da sola?”
Kurt vide la latina, seduta di fianco a lui, lanciargli uno sguardo divertito prima di sostenere lo sguardo infuriato dei bulli, che non poterono smentirla perché la coach gridò:
“Infatti signor Karofsky è questo che sta intendendo?”
“Cerca di stare calma Sue.”
“Zitta Shannon e pensa ai tuoi giocatori che finalmente sono stati beccati a farla grossa.”
“Esatto.” Concordò Richard.
“Sta intendendo che se non è stato suo figlio allora sono stati i nostri!?”chiese rabbiosa una donna, sbattendo un pugno sul tavolo.
“Signora Puckerman, si calmi.”disse il preside con gentilezza, ma lei sbuffò irritata.
“Non sono più la signora Puckerman, ho divorziato, sono tornata ad essere la signora Eisenberg.”
Il preside annuì e riprese le redini della conversazioni in fretta.
“Signora Eisenberg, come al signor Karofsky, le chiedo di restare calma. In questo momento stiamo cercando di capire cosa è successo e chi è innocente e chi no.”
‘Non ci vuole molto a capire di chi è la colpa… è di Tina! Se mi lasciava guardare il culo di Sam in pace ora non sarei stato qui.’
“Qui non c’è nulla da capire!- disse Kurt con una voce nasale, cercando di sistemarsi la busta ghiaccio sintetico tra l’occhio e il naso pesto. - Sono entrato a scuola e, mentre ero in corridoio che cercavo la segreteria, sono stato accerchiato da questi quattro, che mi hanno aggredito fisicamente e verbalmente perché sono omosessuale!”
“La tua dichiarazione non regge.” Disse la signora Adams, la madre di Azimio.
“Per quale ragione?”
“Perché mio figlio non ti aveva mai incontrato prima di oggi, come avrebbe potuto saperlo?” la donna sorrise soddisfatta.
“Tramite Noah Puckerman, lui sapeva del mio orientamento sessuale.” Le rispose secco Kurt.
“Puckerman, quello che sostiene il signor Hummel è vero?”domando con voce grave coach Beiste a Noah che si agitò a disagio sulla sedia.
“No. Cioè sì. Sapevo che lui era frocio, ma io non ho detto niente agli altri.”
‘Come scavarsi la fossa da soli. Se solo potessi far trasferire Tina in un’altra scuola.’
“Poi ti sorprendi se ti chiamo idiota!?-domandò retorica Santana.- Kurt vi accusa che lo avete aggredito verbalmente e voi negate, ma tu cosa fai appena apri la bocca? Lo aggredisci verbalmente.”
“Il chiamarmi frocio è già da solo un atto dispregiativo nei miei confronti.”
“D’accordo, lo sapeva Puckerman e allora? Questo non prova che lo sapessero anche gli altri.”disse stizzito il padre di Jason Tisley.
“Invece lo sapevano.” Rispose Santana.
“Hai le prove?”chiese Sue Sylvester, improvvisamente molto interessata.
“A parte alla scena di poco fa in corridoio a cui parecchie persone hanno assistito e che rendere tutto questo una farsa inutile? Sì certo.” I parenti dei ragazzi coinvolti si scocciarono per il sarcasmo della latina, tranne Richard e Cooper che ridacchiarono divertiti.
“E cosa sarebbero queste prove, Santana?” domandò coach Bestie.
 “La settimana scorsa ho sentito Karofsky parlare con Azimio  e gli ha detto- Santana imitò la voce di Dave, ridicolizzandola- Sai Azimio cosa  ha detto Finn del suo fratellastro? Ha detto, usando parole sue, che è un fottuto frocio.”
“Finn non avrebbe mai detto una cosa del genere!”disse seccato Burt.
“E perché no? In fondo tu sei stato il primo a dare il buon esempio, mi sembra.”rispose Kurt stizzito al genitore che stava diventando rosso.
“Avanti Hummel, perdi il pelo ma non il vizio!?-Esordì rancoroso Cooper - Prima mio zio e poi tuo figlio?Non te ne scappa uno di questi gay birbantelli!”
‘Di me non se ne è accorto. Sono il più birbantello di tutti…’
“Cooper finiscila!- Richard riprese il figlio maggiore- Questa è una storia vecchia che abbiamo già chiarito. Non tirare in mezzo eventi che non c’entrano con oggi.”
Kurt passò lo sguardo tra il padre e Richard Anderson che si fissavano, poi Burt distolse lo sguardo che lo puntò su Santana e disse:
“Stai dicendo una cosa molto grave che mette a rischio un equilibrio famigliare, tirando in mezzo persone innocenti.”
“Quindi per te Santana mente e Finn è innocente a prescindere?” chiese incredulo Kurt.
“Non ho detto questo figliolo, ma prima di incolpare qualcuno ci vogliono prove e il suo racconto non lo è.”
“Il mio viso e i miei vestiti non sono una prova sufficiente!?”
“Mi stai dando davvero della bugiarda signor Hummel?-chiese arrabbiata e incredula Santana -Io non ho mentito! Perché non chiedi a Finn se quello che ho detto è vero? Anzi chiedilo a Karofsky o ad Azimio che sono già qui. Noah ha tanti difetti, ma non è una bambina pettegola come quei due.” concluse sprezzante.
Il preside sospirò e poi con voce grave chiese:
“Signori è vero quello che dice la signorina Lopez?”
I ragazzi della squadra di football si guardarono l’un l’altro timorosi del passo successivo, mai erano stati così messi alle strette per una delle loro bravate. A rompere il silenzio fu Dave.
“Posso confermare che Finn ha detto davvero quelle parole. È successo alla fine dell’allenamento di lunedì scorso. Però lo sapevano anche quelli del Glee club dell’omosessualità di questo qui. Anzi ormai lo sapeva tutta la scuola.” Finì in tono dispregiativo il giocatore e Kurt che voleva rispondergli per le rime, ma venne battuto sul tempo da Cooper.
“Il problema non è tanto chi è che ha messo la voce in giro, anche se è veramente triste sentire il modo in cui Finn si è espresso su Kurt, ma quanto il gesto che voi oggi avete compiuto. ”
Figgins per una volta guardò Cooper con accordo e stava per dargli ragione quando Paul Karofsky si intromise:
“Per carità, giustissime parole, ma il gesto di Blaine contro mio figlio?”
Blaine prese a scrivere furiosamente sul suo foglio e poi lo mostrò a tutti.
Difendevo Santana da Dave che è risaputo che ha un cattivo temperamento! E tutti quanti sanno anche che Azimio è il più pericoloso a scuola, ma a lui ci aveva già pensato Brittany tirandogli addosso il suo zaino.
“E perché la signorina Pierce non è qui?” chiese il preside e la coach Sylvester sbuffò:
“Ma andiamo, stiamo parlando della Pierce.”
“Sue!”
“D’accordo Figgins, Brittany si è messa a piangere e ha confessato di aver tirato uno zaino vuoto ad Azimio e sappiamo tutti che non è una bugia. Alcuni libri della Pierce non credo nemmeno siano mai usciti dall’armadietto... infatti non è un caso che leggano Le ali della libertà. ”
Nella stanza cadde un secondo di silenzio confuso, ma poi il signor Karofsky tornò all’attacco.
“Ma Santana Lopez ha picchiato mio figlio. Lei non è scusabile.”
“Dave stava per mollare un pugno a Kurt quando sono intervenuta.” Rispose la ragazza sostenendo lo sguardo gelido di Paul, che infuriato chiese:
“Sta dicendo la verità David?” Il ragazzo guardò il padre e poi il preside e i compagni di squadra con uno sguardo perso, non sapendo cosa rispondere. Fu Kurt a trarlo dall’impiccio.
“Santana dice la verità. Dave è quello che mi ha picchiato materialmente, ma anche gli altri erano pronti a fare la stessa cosa dopo che avevo minacciato di denunciare tutto alla polizia.”
“Tu cosa?” Chiese Burt incredulo.
“Ho minacciato di denunciarli alla polizia. Prima però li avevo minacciati di denunciati dal preside, ma lo loro si sono messi a ridere sostenendo che non gli sarebbe successo nulla.”
“Confermo.-disse Santana con calma.- tanto è una cosa risaputa che agli stupidi qui non succede nulla.”
“Signorina Lopez.- esordì severo il preside.-la prego di contenersi, che quando arriverà uno dei suoi genitori non dubiti che ce ne sarà anche per lei.”
“Vuol dire che mi metterà in punizione?”
“Mi sembra il minimo.”
“Mai picchiare qualcuno davanti a dei testimoni, sempre un imboscata e da dietro.”
“Sue non dire certe cose nemmeno per scherzo!”
“Ma io non stavo scherzando Shannon. Questo è il metodo che mi hanno insegnato i miei genitori quando vagavamo per il mondo a scovare i Nazisti che pensavano di averla fatta franca.”
Kurt era incredulo alle parole della donna e alle reazioni indifferenti delle persone nella stanza.
‘Naaa preferisco il mio metodo: davanti e secco …’
Blaine ghignò fra se stesso, beccandosi una gomitata da suo padre che lo riportò alla serietà.
 
Il preside batté le mani sul tavolo richiamando l’attenzione di tutti e poi riprese a parlare.
“Va bene, va bene! Basta chiacchiere inutili. Quindi, ricapitolando, il signor Hummel è entrato dentro il McKinley ed è stato aggredito da Azimio Adams, David Karofsky, Noah Puckerman e Jason Tisley… Fin qui è corretto o c’è qualcosa che volete aggiungere?”
“Fin qui ci siamo.”confermò Kurt e i ragazzi si limitarono riluttanti ad annuire.
“Signor Hummel vuoi raccontare la tua versione dei fatti per piacere?”domandò Figgins.
Kurt raccontò con calma ogni passaggio di quello che era accaduto e quando ebbe finito il preside si rivolse ai quattro bulli.
“Diritto di replica. Il signor Hummel ha detto qualcosa che non è vero?”
“A me i toni sembrano un po’ troppo gonfiati.”
“Signora Adams, per favore...” chiese il preside, sentendosi già stanco.
“I toni non sono gonfiati. – protestò Kurt- i lividi che mi hanno fatto e la granita e il sangue dimostrano il contrario.”
“Mio figlio ha ragione Amelia, guardalo in faccia sembra che lo abbiano usato come un sacco di boxe!”
“Burt mi stupisco che credi che Azimio possa aver fatto una cosa del genere. Dopo tutti gli anni che tu e mio marito avete lavorato insieme!”
Burt sudò freddo quando vide Amelia Adams guardarlo, sapeva cosa quella donna intendesse con quella frase: tu formula un’accusa contro mio figlio e io farò in modo che l’azienda della nostra famiglia non abbia più a che fare con te.
Lo stava minacciando, era chiaro.
Jade Adams, marito di Amelia, era proprietario di un’azienda che affittava mezzi agricoli e da lavoro e aveva un grosso giro d’affari in diverse contee dell’Ohio e Burt aveva stipulato con lui una vantaggiosa collaborazione in cui le riparazioni, revisioni e garanzie di questi mezzi venivano emesse dalla sua officina.
Burt sapeva che Jade era tra i suoi migliori clienti e che gli fruttava annualmente centinaia di migliaia di dollari,  grazie ai quali- insieme ai lavori che faceva sia per i mezzi dell’ospedale e dei vigili del fuoco- aveva la sicurezza di poter garantire a lui e ai suoi dipendenti un posto di lavoro sicuro, una buona polizza sanitaria e anche la certezza di riuscire a mettere da parte dei soldi per qualunque imprevisto e per il college dei figli.
Burt sapeva che se voleva mantenere il lavoro avrebbe dovuto giocare bene le sue carte e sicuramente denunciare Azimio non era una mossa che poteva fare, ma  non gliela avrebbe fatta passare liscia... ne a lui ne ai suoi amici.
Nessuno  si poteva azzardare a toccare la sua famiglia.
 “Non voglio polemiche. - disse il preside, richiamando l’attenzione di tutti su di sé-Voglio i fatti e voglio che i ragazzi siano onesti! Quindi, ragazzi, il signor Hummel ha detto qualche bugia fino ad adesso?”
“Ha detto la verità.” Disse Puck, contrito, parlando per tutti.
“Okay- annuì Figgins- ora, signorina Lopez, lei quando è intervenuta?”
“Io stavo andando a lezione quando ho sentito gridare frocio e ho capito che era arrivato Kurt a scuola e che gli amici di Finn lo avevano attaccato, sentendosi in dovere di sottolineare il punto del loro capitano.”
Burt scosse la testa innervosito, odiava i Lopez e il loro modo di fare provocatorio.
“In questo momento non c’entra l’altro mio figlio. Lascialo fuori.”
“Ma se è lui il cuore del problema.” replicò piccata la latina, irritando ancora di più il meccanico.
“Non è lui che ha alzato le mani su Kurt.”
“No, ma lui ha fatto intendere che il frocio gli fa schifo e che non era gradito e i suoi compagni, da veri scimmioni pieni di testosterone, hanno applicato la legge della giungla.”
“Signorina Lopez!”gridò indignato il preside, sovrastando il mormorio indignato dei genitori.
“Cosa?”
“La prego di usare termini meno offensivi per spiegarsi o le assicuro che la sua punizione non sarà per nulla leggera. Chiaro?”
“Cristallino.”
“Sappi Santana- sibilò furibonda la madre di Puck- che dopo oggi e le parole da te espresse, non ti permetterò più di uscire con Noah.”
“Mamma.” Urlò arrabbiato il figlio.
“Non si preoccupi non c’è pericolo. Tanto ci siamo lasciati.”
“Sì, come le altre cinque volte.-rise sarcastica Rikva- A Lima gira voce che sei una ragazza maligna e dopo oggi posso confermare che è vero. Mio figlio merita di meglio.”
Santana guardò la donna incredula.
“Rikva, stai esagerando.” ringhiò Richard.
“Non credo proprio.”
Ma che stronza! Ora capisco perché zio Aron l’ha mollata.
“Maligna lei? Per avermi protetto?- chiese Kurt arrabbiato- fino a prova contraria è suo figlio che è un bullo a scuola e maltratta gli altri e non Santana. Lei deve fare pace con il cervello e non solo con quello.”
“Kurt!”lo ammonì severo Burt.
“Eh no, è quella donna che sbaglia. Non io. Lo sai che in America sette ragazzi adolescenti su dieci che si suicidano è per bullismo? Se non ci credete potete controllare sul sito dell’OMS. Per chi non lo sapesse- disse il ragazzo guardando con aria acida i genitori dei bulli- è il sito Mondiale della Sanità. ”
Burt come tutti in quella sala rimasero spiazzati dal dato.
“Bene-il preside riprese a parlare, togliendo tutti da quell’attimo di imbarazzo - abbiamo capito cosa è successo al signor Hummel e vagamente compreso dell’arrivo della signorina Lopez. Ora siamo tutt’orecchie per capire cosa è successo a lei signor Anderson. A lei la parola.”
 
Blaine irritato guardò il preside e Cooper prese la parola per il fratello.
“Sta per caso facendo dell’umorismo sull’handicap di mio fratello direttor Figgins?-domandò scocciato Cooper.- Lei per primo sta dando, in questo momento, un perfetto esempio di bullismo e dopo si stupisce che in questa scuola il fenomeno non sia sotto controllo!?”
Figgins alzò gli occhi al cielo, cercando di controllarsi, non aveva mai odiato nessuno studente come Cooper Anderson e la sua pronta dialettica.
“Wow Iqba, con questa frase in un sol colpo hai riabilitato la credibilità di Bill Clinton e Monica Lewinsky. Ora ci credo anch’io che quella stagista stava recuperando una penna da sotto la scrivania del presidente.”commentò Sue, con un sorriso divertito.
‘Se non fosse il preside coronerei il tutto con un'altra bella testata o un calcio nel patrimonio di famiglia.’
“Chiedo scusa alla famiglia Anderson per la mia infelice scelta di parole, ma vorrei ricordare al signor Cooper che il bullismo è un fenomeno estraneo al McKinley. Questo di oggi è un caso isolato.”
Cooper sorrise affabile e disse:
“Signor preside, la inviterei a non mentire. Io non sono un genitore al quale può raccontare la storiella che qui non c’è bullismo. Le vorrei ricordare che io meno di due anni e mezzo fa ero uno studente di questa scuola e so come gli sportivi  trattavano i cosiddetti sfigati. Karofsky e Adams li conosco molto bene, erano al loro primo anno di liceo quando io ero al quarto. Chandler Khiel, un ragazzo omosessuale, le dice qualcosa?”
Kurt sussultò a quel nome, ricordava che anche la latina aveva citato quel ragazzo.
“Oppure- prese la parola Richard- le vorrei ricordare tutte le denunce, che personalmente ho fatto in questi due anni, riguardanti gli screzi che mio figlio ha avuto in particolare con Karofsky, Adams, Tisley  e, che oggi manca, Williams per atti di bullismo ai danni del Glee Club.”
“Ma nessuna delle presunte vittime è mai venuto una sola volta denunciare maltrattamenti ai loro danni!”ringhiò come risposta il preside.
“Certo che nessuno viene a denunciare atti di bullismo, qui tanto non viene mai fatto nulla per punirli!- rispose prontamente Cooper.- Per non parlare dell’omertà degli insegnati che preferiscono non mettersi in mezzo e voltare la testa dall’altra parte, per paura che qualche studente in cerca di vendetta gli faccia danni alla macchina! Sappiate tutti, tanto per completare il discorso di Kurt, che il bullismo è anche il più diffuso motivo di sparatorie nelle scuole. Vittime stanche degli abusi subiti che diventano carnefici.”
“Cos’è questa storia? –chiese irosa la signora Adams- Voi Anderson state insinuando che i nostri figli sono dei delinquenti?”
“Direi che i vostri figli sono dei bulli di professione. Questo è il termine esatto.” Le rispose secco Kurt zittendola immediatamente.
-Ullalà non avrei saputo risponderle meglio.-
Burt era incredulo della scena che si stava dipanando sotto i suoi occhi: Amelia Adams negava l’evidenza nonostante il viso livido di Kurt che stava divenendo sempre più scuro.
“Kurt forse sarebbe il caso se chiamo il nonno che ti porti al Pronto Soccorso, come ha detto il dottor Anderson quando ti ha visitato.”
“Ho male e un forte mal di testa, niente di insopportabile. Però io non me ne vado finché non so che misure il preside pensa di adottare per quello che è successo.”
“Kurt, ha ragione tuo padre.- disse Richard.- sarebbe meglio se andassi immediatamente al Pronto Soccorso. Potresti avere una frattura composta al setto nasale e se vuoi sporgere denuncia sarebbe il caso avere un referto come prova.”
I genitori degli altri ragazzi guardarono con astio il medico che li ignorò e invece fissò Noah, che distolse lo sguardo imbarazzato.
Entrambi sapevano che Aron non avrebbe preso bene quello che suo figlio aveva fatto e sarebbe stato deluso di lui. Diavolo, Richard stesso era deluso da Noah e Aron sarebbe stato semplicemente furioso... non avrebbe voluto essere nei panni del ragazzo.
Quella sera il medico si promise di chiamare l’amico e di ascoltarlo e di rincuoralo che se Noah aveva agito come aveva agito non era colpa sua e che lui era un ottimo padre.
Tutti vennero attratti da Blaine che sventolava il proprio quaderno per attirare la loro attenzione.
Coach Beiste prese il quaderno e lesse ad alta voce quello che il ragazzo aveva scritto.
“Ho dato una testata a Karofsky, ma non ricordo perché... nell’impatto di certo mi sono procurato un trauma cranico e un’amnesia temporanea.”
“Signor Anderson potrebbe essere serio una volta tanto?”chiese rabbioso Il preside.
“Blaine mi ha difesa!”intervenne Santana.
-Te ne rendi conto vero che tu non sei credibile come damigella in pericolo?-
“Ma se ero a terra!”ruggì furioso Dave.
“Quindi stai negando che appena ti saresti alzato mi avresti attaccata?”
“Ma se sei tu che mi hai attaccato per prima!”
“Ancora!? L’ho fatto per difendere Kurt. Lo avevi spinto contro gli armadietti e stavi per dargli un pugno.”
-Sì, insomma, cose di tutti i giorni: lui attacca lei; lei stende lui e poi entra in scena un terzo che ristende lui prima che si alzi. Trama classica e scontata.-
“Tu mi hai picchiato!”urlò furioso Dave e Cooper prese la parola, con un sorriso divertito.
“Onestamente Karofsky, se io fossi in te, non lo urlerei a tutti. Ti rendi conto che stai accusando di percosse una persona che è quasi una trentina di centimetri più bassa di te, che pesa nemmeno la metà e che per di più è una ragazza? Già è grave che Blaine riesca ad atterrare voi bestioni, ma che ci riesca Santana è anche peggio. Sarà per questo che siete delle mezze cartucce a football. ”
“Cooper Anderson- disse il preside esasperato- non è questo il punto. Il punto è capire chi ha colpa e quanta.”
Kurt sbuffò annoiato.
“La situazione è chiara che altro c’è da dire?”
“I nostri figli  non sono dei bulli!” urlò indignata la madre di Azimio.
-Datemi un cucchiaino che le asporto le corde vocali.-
“Signora Adams-disse Richard arrabbiato - i fatti oggi parlano chiaro: Kurt appena entrato a scuola, per colpa di parole sprovvedute di Finn Hummel e comportamenti radicati in questa scuola, è stato aggredito da suo figlio e i suoi amici e Santana e Blaine, sbagliando i metodi, lo hanno difeso. Non c’è niente da difendere, ma solo da condannare.”
“Un attimo- Burt alzò la mano attirando l’attenzione di tutti- Finn ha sbagliato, ma tirarlo in mezzo oggi non è corretto. Sono qui i ragazzi da punire e voglio che abbiano una punizione esemplare. A Finn ci penso io.”
Kurt sbuffò indignato e ferito, mentre i componenti della famiglia Anderson guardarono Burt con commiserazione e rabbia.
“Per tua informazione signor Hummel- disse Santana con il suo tono tagliente- le parole di Finn rientrano nel reato di omofobia.”
“Infatti Burt- annuì Richard - è sbagliato sottovalutare o scusare Finn. Ha commesso un grosso errore. Onestamente trovo davvero triste che sia stato proprio lui ad apostrofare Kurt così e non vorrei apparire offensivo, ma io in questo momento sarei più preoccupato per Kurt che per Finn. Guarda come te lo hanno ridotto! Io avrei già chiamato la polizia e sporto denuncia. ”
“Se mi ascoltate tutti- sbottò il meccanico esasperato- Finn verrà punito, severamente da me e non da voi o dal preside. E io, Richard, penso che questa sia una ragazzata di quelle cattive ma appunto: una ragazzata. Pretendo che questi ragazzi si prendano la colpa delle loro azioni e guai a loro se si avvicinano ancora una volta a Kurt, ma la polizia è un’esagerazione. Ora ci vogliamo concentrare sulle punizioni?”
Burt  odiava quello che aveva detto, non sapeva neanche da che parte cominciare per elencare quanto sbagliato fosse ed evitò di guardare ulteriormente Amelia, che lo fissava soddisfatta per aver raggiunto il suo scopo: salvare il figlio Azimio dalla denuncia e lasciare linda la sua fedina penale.
Burt avrebbe voluto spaccare tutto in quella stanza e urlare a pieni polmoni a Richard Anderson che anche lui se avesse potuto avrebbe sporto denuncia e mandato al diavolo Amelia e quel cretino di suo figlio Azimio, ma i soldi della ditta della famiglia Adams gli servivano, ma aveva tre persone alle sue dipendenze e ognuno di loro aveva una famiglia da mantenere. Ben Holen, il suo dipendente più anziano addirittura era stato assunto ancora quando suo padre gestiva l’officina e quell’anno avrebbe compiuto 63 anni e a casa aveva la moglie malata di cancro e le cure erano costose; Jared White si era appena sposato con la sua fidanzata storica,Wendy, e avevano un bambino piccolo e poi c’era Corinna Abrams, madre single di un ragazzo disabile.
Ognuno dei suoi dipendenti faceva affidamento su di lui e del lavoro che poteva garantire.
Gli venne male ricordando come aveva conosciuto Corinna.
 
Si era presentata per comprare una macchina usata, la più economica. Le aveva mostrato una vecchia Toyota Tercel del 1978 a 625 dollari e lei aveva accettato e gli aveva chiesto di poterla pagare a rate. Lui non conosceva quella donna, non era di Lima e non si fidava pensando di avere davanti una truffatrice, aveva rifiutato e si era innervosito quando lei aveva continuato ad insistere. Ricordava che ad un certo punto aveva risposto alzando i toni  e in quel momento era entrato nel garage un bambino di sette o otto anni dall’aria preoccupata, seduto su una vecchia carrozzina troppo grande. La donna lo aveva chiamato Artie e lo aveva rassicurato che non stava succedendo nulla, che quell’uomo non stava gridando a lei e che se ne stavano andando perché non c’erano auto che andassero bene per loro.
Burt si era sentito uno stronzo, soprattutto quando aveva sentito il bambino dire:
“Ma mamma se non hai la macchina come facciamo a trovarti un lavoro? E a tornare a casa? Hai sentito il signore dell’autobus che ti ha detto che la pedana dei disabili è rotta. Fuori fa caldo e io non voglio tornare sotto il sole e dobbiamo ancora fare la spesa. E poi io sono stanco e mi fanno male le braccia, questa cosa è pesante da spingere.”
Corinna non aveva saputo cosa rispondere al figlio che era sull’orlo delle lacrime, forse troppo imbarazzata che aveva detto quelle cose davanti a lui. Improvvisamente gli era chiaro che quella donna doveva essere sola e piena di problemi, molto di più come lo era stata Carole quando l’aveva rincontrata incinta di Finn. Burt aveva rotto il silenzio e con tono più pacato aveva chiesto:
“Signora sta cercando un lavoro?”
“Sì” gli aveva risposto, evitando il suo sguardo.
Burt si era tolto il cappello da baseball e si era grattato la nuca.
“Beh io sto cercando un meccanico- ed era vero- e qualcuno che abbia voglia di rispondere al telefono e bravo con il pc, soprattutto per i calcoli in excel e le mail per le forniture.”
 “Mi sta proponendo un lavoro?”
“Sì signora.”
“Ma io so appena distinguere un motore... anche se il resto potrei farlo.”
“La posso formare. Si formano i galeotti perché io non potrei formare lei? L’importate che lei abbia voglia di lavorare, imparare e impegnarsi.”
La donna l’aveva guardato confusa.
“Ma non vuole sapere niente di me? Nessun colloquio o curriculum?”
Lui aveva alzato le spalle.
“Non mi serve vederlo, so già che non sa aggiustare le macchine e che le devo insegnare tutto. Però potrei sapere il suo nome?”
“Corinne Abrams.”
“Burt Hummel -i due si erano stretti la mano e poi il meccanico si era inginocchiato vicino alla carrozzina - e tu giovanotto chi sei?”
“Arthur Adam Abrams, ma tutti mi chiamano Artie.”
“Piacere di conoscerti Artie.”
Burt aveva stretto la mano al bambino e poi, una volta in piedi, aveva di nuovo rivolto la sua attenzione alla donna.
“Io pago i miei dipendenti 750 dollari a settimana.  Se le va bene il posto è suo.” (lo stipendio annuo di un meccanico in Ohio varia dalle 34,000 alle 39,000 mila dollari, senza contare la tredicesima e la quattordicesima N.d.a.)
“Mamma accetta.” Aveva detto il bambino con tono eccitato.
“Accetto.” Aveva detto la donna con gli occhi lucidi e ancora incredula.
“Bene Corinne perché ha davvero tanto da fare in magazzino con fatture e scartoffie varie. Aspetti qui per favore.”
Burt si era avviato in ufficio ed era uscito qualche minuto dopo con un paio di chiavi in mano e alcuni documenti.
“Il contratto sarà pronto per domani, intanto mi serve qualche firma e dato per la macchina in maniera che può portarsela a casa.”
“La posso pagare a rate?”
“Facciamo che me la ha pagata con lo stipendio della settimana scorsa.”
“Non capisco, ma io non sapevo nemmeno di questo posto fino ad un’ora fa.”
“Io e lei lo sappiamo, il governo no.”
“Non posso accettare.” Disse Corinne a disagio.
“E io non posso lasciare un bambino tornare a casa sotto il sole e poi lei deve fare  ancora la spesa. Facciamo che è la macchina da dipendente.”
 
 “Signori, per favore.”la voce del preside distolse Burt dai suoi pensieri e tornò a concentrarsi sul presente e aggiunse:
“Ripeto, una denuncia è troppo, ma voglio una punizione severa.”
Blaine notò che Kurt alle parole del padre sembrava esserci rimasto male.
“Mi sembra giusto. Allora ai signori Puckerman, Adams e Tisley li condanno a una settimana dopo scuola nell’aula di detenzione, il signor Karofsky per aver alzato materialmente le mani due settimane e tutti voi avrete tre giorni di sospensione, mentre il signor Anderson e la signorina Lopez due giorni per i loro modi sbagliati.”
“Mi sembra un buon compromesso.” Annuì soddisfatto il padre di Dave, come i genitori degli altri ragazzi accusati di bullismo.
“Preside, aspettati un secondo- disse Kurt - questa è la punizione?”
“Sì signor Hummel.”
“Mi prendete in giro?”Chiese con rabbia il ragazzo gay e Burt si impedì di commentare che la pensava allo stesso modo.
“No.” Rispose la Sylvester, che per la prima volta della conversazione evitò di fare sarcasmo.
“Beh per me non va bene. Esigo una vera punizione per quello che mi è stato fatto o sporgo una denuncia alla polizia e alle associazioni LGBT sia verso loro quattro e sia verso la scuola. ”
“Kurt!”
“Burt fammi finire!-Kurt non si voltò versò suo padre, era stufo di quella farsa e di non essere protetto- E oltre alla punizione, voglio che i miei vestiti vengano lavati e se le macchie di granita e sangue non spariscono allora voglio essere risarcito.”
“La polizia? Non puoi essere serio!”urlò il signor Tinsley.
“Sono serissimo, invece.”
“Kurt ora stai esagerando.”
“Burt, tuo figlio non sta esagerando, ha ragione. –disse Richard incredulo- anzi, te lo ripeto avresti dovuto tu minacciare di chiamare la polizia.”
Paul Karofsky si alzò in piedi indignato.
“Se si chiama la polizia o si fa scoppiare un caso per questo si compromette il futuro universitario dei nostri figli. Già i giorni di sospensione peseranno sulle loro schede.”
“I vostri figli avrebbero dovuto pensarci prima di combinare quello che hanno combinato oggi. Sono d’accordo anch’io che la punizione che il preside ha suggerito è troppo leggera.” Disse furiosa la coach Beiste.
“Allora è nel bene di tutti trovare un vero accordo e non una farsa- rispose Kurt sprezzante- senza dimenticarsi dei miei vestiti.”
“I vestiti sono il minore dei problemi.” Sbuffò Rikva.
“Oh signora- Kurt la guardò come se fosse stupida- solo il mio cappotto Chanel viene cinquemiladuecentocinquanta dollari, la camicia Armani circa millesettecento, il maglione Armani e i pantaloni Westwood duemila a testa e le scarpe scamosciate Dolce e Gabbana ottocento dollari.”
Nella stanza cadde un silenzio incredulo e i quattro bulli per la prima volta impallidirono increduli.
“Che cosa!? –gridò Burt guardando il figlio sconvolto- Kurt dimmi che stai scherzando che non hai davvero addosso undicimila dollari di vestiti.”
“No, sono sui dodici mila, però i prezzi corretti non me li ricordo.”
“Elisabeth ti comprava sempre capi così costosi?” domandò nervoso il meccanico.
“Alcuni me li ha regalati mamma e molti mi sono stati dati per dei servizi fotografici da alcuni marchi importanti.”
“Quali servizi?”
“Servizi di moda. Qualche volta è successo che ho posato come fotomodello.”
-Ma davvero!? Eppure io quando ho cercato non mi sembrava di aver trovato nulla del genere, va bene che poi la mia attenzione è passata ad altro…-
“Fotomodello?”
“Ma cosa vuoi che ti dica!?- chiese spazientito Kurt.- Mia madre lavorava per Vogue e mi ha fatto conoscere molti stilisti e sono stato notato, il padre di uno dei miei migliori amici è un fotografo molto quotato. Unite le cose è capitato che ho lavorato in alcuni servizi e i vestiti che ci facevano indossare a volte ci venivano dati come parte del compenso.”
La discussione non poté proseguire che la porta si aprì di scatto ed entrò un ansimante Luis che sbiascicò:
“Qualunque cosa ha fatto mia figlia pagherà e verrà punita.”
“Papà non ho fatto nulla. Io sono dalla parte della ragione.” La ragazza roteo gli occhi  e scosse la testa.
“Grazie a Dio, un problema in meno con tua madre.” Disse Luis sedendosi in una sedia libera, sventagliandosi per asciugare il sudore sulla fronte, si vedeva che aveva fatto una corsa- Buon giorno a tutti.”
“Ma ho comunque preso una punizione.”
“Hija basta che non sei dalla parte del torto.”
-Eh no! Luis ha fatto un’entrata ad effetto migliore di quella che ho fatto io prima! Bastardo!-
“Signor Lopez, non è il caso di scherzare, qui la faccenda è seria.”
“Non si preoccupi che anche le faccende a casa mia lo sono.”
Santana mentalmente diede ragione a suo padre, il matrimonio fra i suoi genitori non era mai stato semplice, tante volte era arrivata a pensare che erano sull’orlo del divorzio...
“Kurt, mio Dio, che ti è successo in faccia?” chiese il dottor Lopez preoccupato.
“Siamo qui per questo papà. Kurt è stato battuto come un pomodoro dai quei quattro laggiù e io e Blaine, a modo nostro, lo abbiamo difeso.”
“Signorina Lopez la sua dote di sintesi dei fatti e impressionante.”
Luis Lopez guardò malamente il preside che, chiaramente esasperato, stava ironizzando sulla faccenda a spiegargli il tutto ci pensò Richard.
“Ti spiego io quanto è successo.”
Luis ascoltò il racconto dell’amico in silenzio, ma più il i fatti gli vennero esposti e più nervoso divenne.
“Ok credo di avere una panoramica piuttosto chiara di quello che è accaduto. Solo due punti non mi sono chiari: se Kurt è stato visto da un medico e come è arrivata alla squadra di football la voce dell’omosessualità.”
A rispondere ci pensò ancora una volta Richard.
“Il primo soccorso glielo ha dato l’infermiera della scuola, che gli ha tamponato il sangue e dato del ghiaccio. Secondo lei è solo una brutta botta. Però io gli ho dato un’occhiata e sospetto che sotto il trauma possa esserci una frattura composta al setto, ma senza lastre non si può dire nulla.”
“Se fosse rotto non crede che il ragazzo urlerebbe di dolore, invece di essere così tranquillo e rilassato?”Chiese beffardo il signor Tinsley.
Richard e Luis ignorarono volutamente la maleducazione dell’uomo.
“Per quando riguarda la sessualità di Kurt è stato Finn a dirlo ai suoi compagni di squadra e visti i precedenti, mai dimostrati su Khiel, non è stata una mossa saggia. Però Burt pensa che questi ragazzi non meritino una denuncia perché in fondo si tratta di una ragazzata finita male.”
Richard sapeva che dicendo così avrebbe scatenato l’ira di Luis e sarebbe scoppiata una litigata, ma la verità che lui non poteva lasciarla passare liscia a Burt, che sembrava che non comprendere la gravità delle azioni di Finn e ciò che avrebbe dovuto affrontare Kurt per la sua omosessualità da quel momento in poi a Lima.
Dopo quello che stava succedendo era ancora di più convinto della decisione sua e dei suoi figli di nascondere l’omosessualità di Blaine. Richard non avrebbe retto al pensiero di Blaine andare in quella scuola con il pericolo costante di un’aggressione perché gli piacevano le persone del suo stesso sesso.
“Beh cosa c’è da pretendere che Finn abbia uscite del genere, in fondo è stato cresciuto da te! Posso scommettere che se Elisabeth fosse stata qui avrebbe messo a ferro e fuoco questa scuola fino a che Kurt non sarebbe stato al sicuro.”
Kurt non poté impedirselo, ma si sentì sopraffatto dalle parole del medico. Sapeva che se fosse rimasto un minuto di più in quella stanza sarebbe scoppiato a piangere.
Si alzò di scatto e, prima che Burt potesse rispondere a Luis, scappò fuori dalla stanza.
Sentì che suo padre lo chiamava ma non gli interessava. Appena si trovò fuori nei corridoi di quell’edificio sconosciuto si guardò intorno, sentiva l’ansia che gli stava tagliando il respiro e il suo cuore aveva preso a battere a un ritmo allarmante.
Si spaventò quando sentì qualcuno toccargli la spalla, si voltò di scatto e vide Blaine che lo fissava preoccupato. Gli occhi cominciarono a pungergli ancora di più e lui certamente non voleva piangere.
 
Blaine tirò fuori il cellulare e scrisse un messaggio nella sua applicazione degli appunti in modo di poter comunicare con Kurt.
Stai bene?
Vide l’amico leggere il messaggio, forse con un po’ di fatica e poi scuotere la testa.
“Voglio tornare a casa.”
Chiamo tuo padre ma è meglio se vai prima al Pronto Soccorso.
“No, voglio tornare a New York a casa mia, dalla mia famiglia.”
Blaine si rese conto che Kurt stava avendo un piccolo crollo e scrisse l’unica cosa che gli venne in mente per consolarlo:
‘Ma ora è Lima la tua casa.’
Quelle parole invece di consolare il ragazzo lo fecero scoppiare in un pianto fragoroso.
-Porca puttana, non dovresti piangere ma darmi due pacche sulle spalle e dirmi che ho perfettamente ragione.-
“Lima non sarà mai casa mia!”
 ‘Allora vedila come un viaggio in un villaggio vacanze.
Kurt smise di piangere e guardò l’altro ragazzo sconvolto.
“Stai scherzando vero? La gente dovrebbe essere pagata per venire qui.”
-Oh carino! Se pagassero io sarei milionario e avrei già istituito il mio harem dei signori Anderson...-
Il moro sorrise, ma scrisse:
‘Io in tasca ho cinque dollari. Ti bastano?’
“Falla finita, sto piangendo!”
Stavi piangendo. Comunque che ne dici di cinque dollari e un fazzoletto? Certo  che tu sei proprio uno squalo negli affari!’
Blaine estrasse i soldi e il fazzoletto e li diede in mano a Kurt  che glie li lanciò addosso.
“Quando Burt ti ha investito ti ha rovinato qualche rotella?”
Io posso solo migliorare... e ritieniti fortunato che non picchio i bambini se no adesso ti avrei rifilato una testata.’ Scrisse Blaine ridendo.
“Tu parli di picchiarmi dopo che mi hanno picchiato!?” chiese Kurt non cogliendo nulla di divertente nelle parole dell’altro, che si fece serio e lo fissò e poi prese a far finta di essere riempito di pugni.
“Cosa stai facendo?”
Blaine si bloccò e scrisse sul suo cellulare:
Hai uno sguardo che uccide.
“Ancora?”
-Ok, l’ho distratto... ora, in una situazione del genere, cosa farebbero gli sceneggiatori dei telefilm merdosi che guarda Brittany... ma certo! Consolerebbero il povero sfigato. Consoliamo lo sfigato. Partiamo con una frase d’effetto.-
Kurt cosa ti è successo nell’ufficio del preside?
Blaine vide il ragazzo leggere le sue parole e poi sospirare con tristezza.
“Mi prenderai per stupido ma...”
-Oh mio Dio! I telefilm di Britt hanno ragione...-
“Ma ho pensato se mia madre fosse stata lì dentro si sarebbe battuta per me…  proprio come quando avevo dodici anni.”
 
 
 
Kurt ascoltava le urla di sua madre incredulo. Non era una donna che generalmente alzava la voce ma quando lo faceva…
 
“Lei non vuole che suo figlio si sieda vicino al mio!? Beh io non voglio che Kurt venga chiamato frocio o finocchio da lei e suo figlio!”
“Suo figlio sta seguendo le voci di Satana e finirà all’inferno per questo.”
“Ma la smetta di dire cavolate Signor Scott, mio figlio al massimo finirà con un bel ragazzo e vivrà una vita felice.”
 
Tutto era cominciato la mattina appena entrati in classe.
Era il primo giorno di scuola del settimo grado (equivale alle nostra seconda media) e la professoressa di letteratura inglese, dopo l’appello, si era messa a suddividere la classe a coppie le quali avrebbero lavorato per tutto l’anno insieme attraverso le consegne. Kurt non aveva mai apprezzato questo metodo di lavoro perché succedeva che uno della coppia lavorava più dell’altro. Aveva sperato di essere fortunato e di essere abbinato a un compagno diligente.
 
“Kurt Hummel con Mark Scott.”
 
Kurt aveva tirato un sospiro di sollievo, Mark era un bravo studente e aveva pensato che avrebbero lavorato bene insieme, entrambi avevano  sempre puntato ad avere un ottima media.
 
“Si Scott che c’è?” aveva chiesto improvvisamente la professoressa interrompendo il suo lavoro di suddivisione.
“Professoressa, non voglio lavorare insieme a Kurt Calhoun.”
Kurt si era girato accigliato verso il compagno di classe. La professoressa aveva sospirato nervosa.
“Come mai signor Scott non vuole lavorare con il signor Calhoun?”
Il ragazzino aveva tentennato per un momento.
“Mio padre e la madre di Kurt sono amici su facebook. Questa estate la signora Calhoun ha postato delle foto al gay pride … io non voglio lavorare con un servo di satana!-aveva spiegato Mark- Mio padre stesso mi ha detto di non avvicinarmi a lui e che devo proteggermi!”
“Signor Scott i termini!”
“Da cosa dovresti proteggerti di grazia?-aveva chiesto Kurt con una punta di ironia.- Da me?”
“ Io non parlo con chi adora Satana. Finocchio.”
“Signor Scott venga con me immediatamente dal preside.”aveva urlato arrabbiata la professoressa.
“Tranquillo tanto non è mia intenzione parlare con te, brutto bigotto di un microcefalo avariato.”
“Signor Calhoun mi segua anche lei.”
 
 
“Suo figlio è venuto su finocchio perché non ha una figura maschile e cristiana di riferimento in casa.”
“Io non sto insultando suo figlio, lei non si permetta di farlo col mio!”
“Signori vi prego mantenete toni moderati, siamo qui per parlare nell’interesse dei due ragazzi.” Disse il preside cercando di calmare i due genitori.
“Allora preside mi permetta di dire a lei e al signore qui presente che mio figlio, come qualunque persona omosessuale, è nato con queste preferenze sessuali. Non ha avuto scelta, è così e basta.”
“Questo lo dice lei signora Calhoun per co-”
 “Lo dice la scienza, signor Scott. Ci sono moltissimi studi che lo sostengono.”
“Questa è la patetica scusa che usano tutti i genitori incapaci del ruolo che dovrebbero investire. Lei è una pessima madre, oltre che una peccatrice signora Calhoun. Ha avuto un figlio fuori dal sacro vincolo del matrimonio e Dio la punirà per questo e suo figlio- disse l’uomo indicandolo con il dito- brucerà all’inferno con tutti i sodomiti, come merita.”
 
 
Kurt era sconvolto dalle parole di rabbia e di odio che quell’uomo aveva rivolto a lui e a sua madre, non si era reso conto di tremare, fino a che non sentì le mani della sua insegnante sulle sue spalle.
 
“Signor Scott!”Urlò indignato il preside.
“Ha finito?” domando furiosa Elisabeth.
“Sarebbe stato meglio che suo figlio morisse piuttosto che frocio.”
Prima che chiunque altro potesse dire qualunque altra cosa, Elisabeth piazzò in faccia dell’uomo un poderoso cazzotto sull’occhio.
 
“Mamma!” Urlò Kurt andando immediatamente vicino alla madre.
“Ahia! Nei film non sembra fare così male... Credo di essermi rotta qualcosa.” Disse la donna stringendo la mano al petto.
“Fornicatrice mi hai dato un pugno.”
“Per riuscire a parlare così compilato non ti devo aver fatto poi così male.”
“Io ti denuncio!”
“Fallo, non mi interessa se mi trascinerai in tribunale. Anzi ci vedremo lì e staremo a sentire chi ha torto o ragione. Non permetto a nessuno di parlare di mio figlio in questi termini.”
 
 
 
“Mia madre quel giorno si ruppe la mano, ma era fiera di sé ed era fiera di me per quello che ero e che ancora oggi sono. Lei è andata in tribunale per quell’episodio ed ha vinto. Lei quella volta mi ha insegnato a non vergognarmi...- Kurt sospirò con stanchezza- Per me è un mistero cosa ci possa aver trovato mia mamma in Burt. ”
Blaine si sentì un vigliacco. Kurt, nonostante quello che gli era appena successo, continuava a rivendicare il suo orgoglio, mentre lui non era nemmeno in grado di parlare di fronte alle sue migliore amiche, che gli erano sempre rimaste accanto.
Vigliacco.
Vigliacco e vigliacco.
Pensò che suo padre e Cooper sbagliassero quando gli dicevano che era una persona forte.
Blaine appoggiò una mano sulla spalla di Kurt, che sorrise con occhi umidi per quel piccolo gesto di conforto, ma nessuno dei due poté dire o fare nulla che la porta della presidenza si aprì ed uscì in corridoio un furioso Richard Anderson, che marciò a passo deciso nella loro direzione brontolando:
“Da non crederci! Siamo alle solite con Figgins, nemmeno le prove sbattute in faccia bastano a convincerlo che in questa scuola c’è un reale problema di bullismo.”
“Che sta succedendo? E Burt?”
“Tutto a posto Kurt- rispose Richard avvolgendo le spalle dei due ragazzi e spingendoli delicatamente a camminare - ma ora venite con me che vi porto all’ospedale a dare una controllata. Tuo padre, con mio figlio Cooper, ci raggiungerà lì per firmare le scartoffie varie.”
-Potrò rivedere il bell’infermiere...-
I tre avevano fatto appena qualche passo che sentirono la voce di Karofsky padre gridare:
“Ehi Anderson che fai!? Porta indietro i ragazzi non abbiamo finito!”
“Senti Paul, anzi, Karofsky, questi due li porto all’ospedale! Tu la dentro continua pure a difendere tuo figlio e i suoi amici teppisti e bulli!”
“Anderson non osare!”urlò furioso Paul tanto che non si accorse dell’arrivo alle sue spalle di Luis Lopez, che, altrettanto arrabbiato disse:
“Kurt ha la faccia viola. Sembra  che tuo figlio gli abbia dato un pugno degno di Mike Tyson. Richard esattamente cosa non dovrebbe osare!? Chiamare tuo figlio e i suoi amici teppisti e bulli? E quello che sono Karofsky!”
-Se Kurt avesse incontrato Tyson gli mancherebbe anche un orecchio o forse entrambi.-
Blaine ridacchiò da solo, trovando esilarante il suo stesso pensiero.
“Ma non dire sciocchezze!”
“Sciocchezze?! È la verità.” rispose Luis avvicinandosi a Karofsky, che gli puntò l’indice sotto il naso.
“Non accusare mio figlio altrimenti-”
“Altrimenti cosa fai? Mi molli un pugno?”
I ragazzi, tenendosi in disparte, fissarono i due uomini e poi Blaine scrisse sul suo cellulare:
‘Se continua gli mollo una testata.’
“Ma prima sei svenuto!”disse Kurt agitato.
‘E quindi?’
“Falla finita di dire stupidaggini.”
-Non ti consolerò mai più, mammoletta. Anzi la prossima volta ti mando il bidello del terzo piano, che quello fa paura.-
“Ecco, a te basta che di mezzo ci sia un Calhoun e non capisci più un cazzo. Gli schiavi negri rimangono sempre fedeli ai loro padroni... lo diceva sempre il mio vecchio.”
I due ragazzi spalancarono la bocca increduli e poi Blaine diede una botta alla spalla di Kurt.
-Hai visto!?-
“Ahia Blaine!”
-Ma che mammoletta che sei, era un colpetto.-
“Paul, ma che dici!?” disse Burt, che in quel momento era uscito fuori dall’ufficio del preside insieme a tutti gli altri.
“Cosa dico? Solo quello che penso.”
“Sei proprio squallido Karofsky.- sorrise Luis tranquillo- Sai cosa ti dico uomo bianco? Dopo questo non mi stupisco che tuo figlio oggi sia comportato così.”
“Lopez!”
“Paul, ti prego- si  intromise Burt -non abbiamo tutto il giorno e mio figlio ha bisogno di andare all’ospedale.”
“Signor Karofsky andiamo.” esortò la coach Sylvester e l’uomo, ancora alterato, puntò l’indice verso Kurt.
“Non finisce qui.” 
Kurt si sentì gelare il sangue nelle vene sotto quello sguardo rabbioso …
 
 
Etienne stava rivedendo il suo ultimo progetto di un appartamento. Era molto nervoso, il computer sembrava non funzionare bene e AutoCAD si era bloccato. Aveva deciso di spegnere il pc e di fare una lunga pausa pranzo, sperando che avrebbe ricominciato a funzionare, ma ormai sapeva che era arrivata l’ora di sostituirlo anche se era un enorme fastidio.
 Sospirò e si decise che dopo un panino al volo sarebbe andato in alcuni negozi a dare  un’occhiata ad alcuni computer.
Etienne fece in tempo a recuperare le chiavi e il suo portafoglio prima che il suo cellulare suonasse, diede un’occhiata per vedere chi lo chiamava, sperava vivamente che non fosse nessuno dei suoi clienti e rimase sorpreso quando vide che si trattava di Kurt, che a quell’ora doveva essere in classe dato che erano solamente le undici del suo primo giorno di scuola a Lima.
Una brutta sensazione si fece largo dentro di lui.
 
 
Finn girò la chiave nella toppa della serratura, per tutto il tempo in macchina aveva tentato di tranquillizzarsi.
Sapeva di quello che era accaduto a scuola a Kurt per mano di alcuni suoi compagni della squadra, che avevano avuto come punizione: lavare o risarcire i vestiti del suo fratellastro, una settimana di sospensione,  sei settimane di detenzione e in più il loro posto nella squadra sarebbe stato ridefinito, tranne  per Karofsky che era stato sbattuto fuori dalla squadra.
 
In quella situazione non sapendo bene come comportarsi e per evitare di tornare a casa, era andato al Glee club sperando di avere un po’ di pace ma era stata una speranza vana: Shuester aveva annullato la lezione e se ne era andato, Blaine e Santana erano andati a casa con i loro genitori e Rachel Berry aveva fatto una scenata condita di urla indignate, dichiarando che quel giorno era stato condotto un deliberato attacco di omofobia non solo a Kurt, ma a tutte le persone omosessuali di Lima.
Molti componenti deal Glee club avevano cercato di calmare Rachel ma con scarso risultato, dato che  Quinn che non condivideva il punto di vista della compagna e si erano messe a litigare.
Finn aveva provato insieme agli altri a calmare le due ragazze, ma Rachel si era voltata furiosa verso di lui e gli aveva chiesto:
 
“Ma che diavolo ci fai ancora qui Finn? Oggi hanno attaccato un membro della tua famiglia, non sei nemmeno un po’ preoccupato? Se fosse successo a uno dei miei padri io sarei con loro e non al Glee Club. Questo tuo comportamento mi ha molto delusa.”
Finn non aveva saputo come risponderle e ci aveva pensato Quinn, dicendole che non si doveva permettere di parlare così al suo fidanzato e le due avevano ripreso a litigare furiosamente.
 
Questo tuo comportamento mi ha molto delusa
 
Finn era rimasto stordito dalle parole di Rachel, che solitamente lo seguiva adorante e condivideva con una risatina tutto quello che diceva e con lui era sempre accomodante e dolce, nonostante il suo caratteraccio egocentrico. Quella piccola frase gli aveva dato un enorme fastidio, come se avesse ricevuto un pugno nello stomaco.
Aveva guardato in faccia altri suoi compagni di club e poteva dire che molti questa volta erano d’accordo con la piccola diva e si era sentito male, tanto che aveva preso le sue cose ed era tornato a casa.
 
Era sorpreso che ad attenderlo sul divano del soggiorno c’erano i suoi genitori. Suo padre aveva dipinta in viso un’espressione stanca mentre sua madre sembrava molto arrabbiata.
 
“Finn, vieni qui, dobbiamo parlare.” Disse Burt con tono severo.
“Che succede?”
“Siediti.” gli intimò sua madre e lui ubbidì.
“Mamma, papà che sta succedendo?”
“Sai quello che è successo oggi a scuola?” Gli chiese Carole.
“Intendi a Kurt?”
“Lo sapevi e non hai pensato di venire in presidenza a controllare o di chiamare me o tua madre o addirittura Kurt per sapere come stava? ”
Finn sentì il nervoso che iniziava a sobbollirgli nello stomaco.
“Non ho il numero di Kurt.”
“Ma hai ancora quello mio e di tua madre. Ora Kurt fa parte della famiglia.”
“Lui non è mio fratello!”ringhiò Finn.
“Tesoro, tuo padre non ha detto che Kurt è tuo fratello, ma che ora è parte della nostra famiglia.”
Finn si zittì un momento e poi, guardando i genitori  incredulo, chiese:
“Quindi voi mi state facendo un interrogatorio perché non ho pensato di chiamare Kurt o uno di voi due per quello che gli è successo?”
“Lo fai apparire come se si fosse sbucciato un ginocchio!”disse ironico suo padre.
“Non è vero che faccio così. A parte che ho saputo dopo quello che è successo quando tu eri già andato via papà. Cosa dovevo fare?” Chiese rabbioso Finn al padre, ma rispose Carole.
“Appena saputo avresti dovuto chiamare per sapere.”
“Non l’ho fatto e quindi? Mi condannate per questo?”
“No Finn, per ben altro. Questo è solo un’annotazione per il futuro.”
Finn scosse la testa incredulo.
“Avanti, Kurt non è il primo che litiga con altri ragazzi a scuola. ”
“Figliolo- disse Burt con tono duro- Kurt è uscito con il naso rotto,  un occhio nero, lividi su tutta la schiena e parecchi tagli in faccia. È  stato aggredito.”
Il ragazzo spalancò gli occhi sorpreso.
“Questo non lo sapevo. Sapevo di vestiti sporchi e alcuni componenti della squadra puniti, ma nulla più.”
“Kurt voleva presentare denuncia alla polizia.”
“COSA?!”urlò Finn , ma suo padre lo bloccò immediatamente.
“La punizione dei tuoi amici, l’espellere Karofsky dalla squadra, il risarcimento degli abiti, un’assemblea d’istituto con tema di combattere il bullismo è l’accordo che è stato preso per evitare la denuncia da parte di Kurt. Alla fine l’ho convinto a desistere.”
“Un assemblea per parlare contro il bullismo!? Sul serio?” Disse il giovane beccandosi un’occhiataccia dalla madre che in tono rabbioso gli disse.
“Si Finn, sul serio. Non sai quanto è stato imbarazzante spiegargli che se faceva una denuncia di quel genere avrebbe creato animosità fra le persone in città e che avremmo potuto avere delle ritorsioni, soprattutto con la famiglia Adams e del perché non potevamo permettercelo. Mi sono vergognata. Non voglio che finiamo come i Khiel, che gli è toccato trasferirsi. ”
“Mamma non esagerare.”
“Io e tua madre non stiamo esagerando, il padre del tuo amico Azimio, con la sua ditta, fa il 35% del mio fatturato annuo. Quell’uomo ci mette due secondi a trovarsi un altro meccanico che faccia il mio lavoro per lui. Se dovessi perderlo come cliente potrei non avere più i soldi per mandare te e Kurt all’università, pagare i miei dipendenti, pagare una determinata polizza sanitaria, mantenere il nostro tenore di vita. Lo capisci?”
“Ma io che c’entro scusatemi!? Io non ho fatto nulla! E poi papà, tu e il padre di Azimio siete amici non ti farebbe mai una cosa del genere.”
“Figliolo, quello che è successo oggi non è una scaramuccia fra bambini, Kurt si è fatto male.”
“Il fatto è che tutto ciò era evitabile, Finn.”sospirò stanca Carole.
“Che volete dire?”
Burt spiegò tutto quello che era accaduto quella mattina e quando ebbe finito Finn si alzò in piedi tra l’arrabbiato e lo spaventato.
“Pensate che sia colpa mia? Non sono io quello che ho picchiato Kurt.”
“Lo so, ma purtroppo questa volta mi tocca dare ragione a Santana quando dice che le tue parole sono stato l’inizio di tutta questa faccenda.”
“Santana gode a farmi passare i guai! Lei è... è meschina e se non fossi stato io non avrebbe detto nulla.”
“Non è questo il punto Finn!-urlò Burt- hai chiamato Kurt dannato frocio davanti a dei ragazzi che probabilmente hanno pestato a sangue un altro ragazzo omosessuale.”
“Io non c’entro con loro e poi la storia di Chandler non è detto che sia vera. Quel ragazzo era un bugiardo.”
“Stai sostenendo che non è vero che qualcuno picchiò quel ragazzo?- chiese Carole con gli occhi sgranati.- Perché se intendi questo, Finn Wallace Hummel, sappi che io c’ero il giorno che quel ragazzo venne portato in ospedale e posso dirti che non era una bugia, fu ricoverato con lesioni varie, un trauma cranico e un braccio rotto.”
“No, non dico questo- Finn scosse energicamente la testa, quasi nel panico.- ma che Chandler ha mentito su chi l’ha picchiato! A scuola tutti sapevano che raccontava delle bugie di tanto in tanto. ”
“Ok- intervenne Burt - facciamo pure finta che quel ragazzo ha detto una bugia, ma oggi alcuni tuoi compagni di squadra hanno messo le mani addosso a Kurt e lo hanno mandato all’ospedale. C’era anche  Puck, un ragazzo che da quando era piccolo è sempre venuto in casa nostra come una persona di famiglia e che ora, per un bel po’ o per sempre, qui non metterà più piede.”
“Ma lui è il mio migliore amico.”
“Lui –urlò Burt, bloccando ogni forma di protesta-ha mancato rispetto a Kurt e a tutti noi, te compreso, anche se sono state proprio le tue parole a dare inizio a questo.”
Finn si alzò arrabbiato.
“Non è colpa mia se gli altri sono contro i gay.”
“Figliolo, non far finta di non capire.” Disse in tono severo Carole, stanca della scenata del figlio.
“E se continui -aggiunse Burt- la punizione sarà più severa. Ora siediti.”
“No che non mi siedo.”
“Finn!”
“No mamma! Questa è una presa in giro e voi siete disonesti! Papà è stato il primo ad usare il termine frocio contro Kurt. Quindi se lo usa lui è okay e se lo uso io no? È questo che volete dire?”
Burt e Carole rimasero quasi storditi dalle parole del figlio, ma l’uomo fu il primo a riprendersi.
“Io sono il primo che ha sbagliato, però a me il termine è uscito in una discussione dentro casa, mentre tu lo hai detto a degli stupidi. È qui la differenza.”
“Non è meno grave.” Sottolineò Carole guardando marito e figlio, che strinsero la mascella allo stesso modo.
“Quindi?”
“Quindi Finn per il resto del mese dopo la scuola non uscirai e starai a casa e farai tutti i tuoi doveri, studio compreso.”
“E a Quinn cosa dico?”
“La verità- disse la madre- e aggiungerai che insulti omofobi qui non sono più ammessi, da nessuno.”
“Non è giusto! Pago io, ma la colpa è di come mi avete cresciuto. Prima che arrivasse quello là in questa casa l’omosessualità veniva vista in un certo modo e ora, tutto ad un tratto, tu e papà siete diventati gayfriendly?”Finn scosse la testa, emise un verso nervoso e poi senza aggiungere altro a passi pesanti scappò in camera sua dove sbatté violentemente la porta.
Burt sospirò con stanchezza e nascose il viso dietro le mani e si lasciò andare contro il divano.
“Tesoro?”chiese Carole preoccupata, prendendo le mani del marito nelle sue.
“Finn ha ragione.”
“No, invece a torto. Lui è grande abbastanza per sapere cosa dire e cosa no alle persone.”
“E io che sono addirittura un uomo maturo e non riesco a contenermi davanti i miei figli?”
La donna non rispose.
“La verità è che io non accetto Kurt per quello che è... penso che è sbagliato.”
“Lo so Burt e neppure io, ma lui è così e forse dovremo provare a cercare un equilibrio qui in casa fra tutti noi.”
 “Una parte di me è convinta che se fosse cresciuto con noi...”
“Questo non lo sappiamo. Potrebbe essere che lui sarebbe stato lo stesso gay oppure no.”
“Lo so. Mio padre me lo ha detto anche lui, anzi mi ha detto che secondo alcune teorie che ha letto, omosessuali si nasce... però non so se riuscirò mai ad accettare questa parte di lui. Vorrei aiutarlo a cambiare o io arrivare a capire.”
“Tesoro. Ora è tutto troppo fresco. Cerchiamo prima di conoscerlo e quanto meno riuscire a parlargli, quello verrà dopo.”
“Lo spero- sospirò Burt a occhi bassi- ma spero anche che sulla sua sessualità sia solo confuso.”
“Burt…”
“Sono un egoista lo so e in questo in momento mi sento un pessimo padre.”
 
 

 
L’angolino della tazza di caffè…
 
Miei cari lettori rieccomi qui, spero che questo capitolo vi sia piaciuto e lo troviate soddisfacente.
Sono curiosa di quello che ne pensate e che sentimenti vi ha suscitato.
Come al solito vi ringrazio della pazienza che avete ad aspettare gli aggiornamenti e delle recensioni che mi lasciate che sono meravigliose.
 
Ecco la mia pagina Fb  dove troverete notizie sull’aggiornamento della storia:
 
https://www.facebook.com/pages/Schifottola/598579906836059
 
Un bacione e a presto
 

 

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Capitolo 14
*** Bulli, Bob e Gelosie ***




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Kurt si guardò allo specchio. Aveva il viso tumefatto e colorato dai lividi che gli conferivano un incarnato dal giallo al viola. La testa, il naso e la schiena gli facevano molto male, tanto che ogni movimento o respiro gli procurava fitte dolenti. I medici gli avevano prescritto una cura di antidolorifici, una crema per i lividi e del ghiaccio da mettere sul naso più volte al giorno.
Sentiva l’irrefrenabile voglia di mettersi a piangere: era spaventato e ferito nel profondo da quell’orribile giornata.
Non era crollato solo  per la costante presenza di Blaine. Non si spiegava perché il ragazzo si preoccupasse tanto per lui, ma gli piaceva averlo intorno con le sue terribili battute senza tatto e l’umorismo cattivo. Tutto ciò lo distraeva da quel periodo nero che stava passando e, in un qualche modo, lo consolava.
Ripensò a quello che gli aveva scritto Blaine su suo zio Thomas. Ormai aveva capito che, nonostante il calendario datasse l’anno 2010, essere omosessuale e vivere a Lima era difficile e non riusciva a immaginare cosa doveva essere stato per lo zio di Blaine, tra la fine degli anni settanta e nei primi anni ottanta, quando la mentalità americana era molto più bigotta.
Kurt sospirò alla propria immagine nello specchio. I lividi ci avrebbero messo settimane a sparire del tutto. Sebastian e Thad, appena lo avrebbero visto da una videochiamata con Skype, si sarebbero incazzati e poi sarebbero venuti in macchina a Lima per sincerarsi di persona delle sue condizioni; nonna Blanche e nonna Carmen avrebbero assoldato un avvocato per fare causa al McKinley, Estella e  Adrian avrebbero cercato di organizzare nel finesettimana una trasferta per tutti a Lima e sua zia Isabelle sarebbe volata immediatamente a Lima e avrebbe fatto una litigata incredibile con Burt e Carole, ed era esattamente quello il motivo per cui aveva telefonato a Etienne anziché a lei. Etienne era più calmo e discreto e si sarebbe tenuto tutto per sé finché non avesse avuto un quadro chiaro dell’intera situazione.  
Kurt prese il suo Iphone e provò a chiamare l’uomo, aveva urgenza di sentirlo e di finirgli di raccontare quello che era successo a scuola e che cosa gli avevano detto in ospedale. Il telefono era spento. Pensò che fosse strano e sentì una sensazione d’angoscia crescere dentro di lui.
Gli tornò in mente l’immagine di sua madre in obitorio.
Cercò di calmarsi e di non pensare subito al peggio e di considerare che Etienne poteva avere il telefono scarico o  che, per lavoro, era andato a fare un sopraluogo da qualche parte in cui non c’era campo. Non sarebbe stata la prima volta.
Decise che avrebbe aspettato una mezz’ora e poi avrebbe ritentato a richiamarlo e, se di nuovo non avesse ottenuto risposta, avrebbe chiamato Sebastian o Thad.
Kurt cercò di concentrarsi sul finire di vestirsi, tornare in stanza da letto e buttare fuori Bob.
Non voleva far uscire il cane, ma era l’animale di Finn e non voleva dargli nessun appiglio per lamentarsi. Doveva ammettere che, anche se era da poco tempo che abitava in quella casa, la prepotente presenza di Bob con lui era diventata una routine confortante e a volte, anche se si vergognava ad ammetterlo, si era trovato a fargli interi discorsi, che lui sembrava felice di ascoltare…
Kurt venne distratto dai suoi pensieri quando un rumore strano attirò la sua attenzione. Rimase in mobile, in attesa di cogliere ancora il suono che lo aveva attirato. Non ci volle molto per udirlo ancora e stavolta lo identificò come dei gemiti e dei sospiri.
“Che sta combinando Blaine di là?”
 
Burt si sentiva sconfitto. Era seduto sulla sua poltrona preferita del soggiorno a ripensare a quella giornata infernale, finita con l’odio di entrambi i suoi figli. I suoi pensieri vagavano dalla rabbia di Finn allo sguardo deluso di Kurt si era chiuso in camera, non appena aveva i nonni per essere stati con lui al Pronto Soccorso. Poco dopo essere tornati e i suoi figli chiusi nelle rispettive stanze, aveva sentito un tonfo e aveva trovato Blaine con il viso spiaccicato alla finestra del soggiorno e un cartello in mano in cui gli chiedeva di poter vedere Kurt, anche se si erano salutati poco prima. Carole aveva borbottato qualcosa del tipo: “Le finestre... le avevo pulite domenica.”
Lui però era troppo stanco per ascoltare un’altra persona arrabbiata, così aveva ignorato sua moglie e aveva lasciato entrare Blaine, che era sparito su per le scale e da quel momento nessuno era riemerso dai piani superiori.
Burt non sapeva più cosa fare con Finn e Kurt. Ogni cosa che faceva sembrava che fosse quella sbagliata.
Era così stufo di quell’atmosfera cupa e rabbiosa che era calata sulla sua casa... avrebbe dato qualunque per rendere felice la sua famiglia. Qualunque.
 
 
Bob si era messo davanti alla porta del bagno ad attendere che Kurt finisse di farsi la doccia, dopo che a nulla erano serviti gli abbai e lamenti disperati per entrare con lui. Blaine aveva trovato tutta la scena molto divertente, ma quando si era stancato si era tolto il collare e si era disteso sul letto dell’amico, snobbando il divano che era adibito per gli ospiti e Bob non l’aveva presa bene. Anzi,  gli aveva lanciato sguardi e abbai indignati, comunicandogli la sua contrarietà nel vederlo ‘sulla cuccia del suo padrone’. Inutile dire che il suo lato dispettoso l’aveva trovato divertente, ma presto  si era addormentato senza rendersene conto.
 
Blaine era in un luogo buio.  Non aveva paura.
Qualcosa attirò la sua attenzione, era piccolo e luminoso. Pensò a una lucciola, ma più si avvicinava e più si definiva al suo sguardo un piccolo essere. Una fata.
Il ragazzo cercò di avvicinarsi il più silenziosamente possibile per non impaurire la piccola creatura, ma poi un rumore di foglie secche scaturì sotto i suoi piedi e la fata volò via. Blaine non voleva perderla di vista e cominciò a inseguirla, ma per quanto s’impegnasse non riusciva a prenderla.
Improvvisamente, mentre ricorreva la creatura, comparve il vecchio quartiere dove abitava quando era bambino. Era identico all’ultima volta che lo aveva visto.
I lampioni erano accesi, tranne quello vicino a casa che sua era guasto, ma nonostante ciò vedeva chiaramente la strada ampia, i giardini delle case pieni di foglie gialle, rosse e marroni.
Blaine iniziò ad aver paura sia per lui che per la piccola fata, che si stava dirigendo quella che un tempo era stata casa sua.
“No! Fermati! Non entrare lì, è pericoloso!” Urlò, ma la creatura parve non udirlo.
Vide la porta della sua casa aprirsi e rimanere accostata, ma non ne uscì nessuno.
Corse più veloce, sentiva i suoi muscoli da ragazzo adolescente tirare per lo sforzo, ma non gli importava:  voleva solo fermare la piccola fata, che in quel momento varcò l’ingresso della casa.
Blaine si bloccò davanti all’uscio, non voleva entrare perché sapeva quello che avrebbe trovato: sua madre morente  con il suo assassino.
Sapeva quello che c’era oltre la soglia e non poteva lasciare la fatina sola con un omicida.
Prese un respiro profondo ed entrò in casa e improvvisamente non aveva più sedici anni, ma otto.
Era esattamente come si ricordava: il soggiorno era in penombra e scorgeva sua madre in un lago di sangue che stava morendo. Negli occhi le leggeva il terrore, ma stavolta, a differenza degli altri sogni che aveva avuto, sentì cosa sua madre cercava di dirgli.
“Via, via di qui. Via!”
La voce era debole, poco più di un sussurro uscito con fatica, ma carica di urgenza.
Una sensazione di paura si fece largo in lui e corse per cercare di salvarla.

Sua madre divenne sempre più agitata e continuava a dirgli:
“Via, via, via di qui.”
Blaine la ignorò e sentì la sua voce di bambino urlare:
“Mamma! Mamma!”
 Vide le sue manine posarsi sul petto di sua madre dove c’era del sangue, voleva capire dove era la ferita per tamponargliela e poi avrebbe chiamato l'ambulanza. Lo aveva visto fare un sacco di volte nei film, sembrava una cosa facile...
Sentì un rumore, sapeva quello che sarebbe successo di lì a qualche istante … aveva paura...
 
 
Blaine si svegliò di soprassalto e prima di tutto sentì un dolore atroce alla testa e...
“Ahia! Blaine!”
Si portò le mani alla testa, cercando di quietare il pulsare del punto in cui la sua fronte aveva colliso con quella di Kurt, che era caduto a terra e aveva una posa simile alla sua.
Dannato,  volevi violentarmi?! Manco fossi a casa di Tina… Bimbo pervertito. Aspetta, fammi controllare...
Blaine passò più volte lo sguardo tra i suoi pantaloni e Kurt con fare sospettoso e poi tirò un sospiro di sollievo.
Meno male... ho ancora i pantaloni...’
“Stronzo! Non ho cercato di fare nulla di quello che hai pensato.”
Ah no?!
Blaine sollevò il sopraciglio scettico e Kurt si alzò in piedi stizzito.
“Se proprio vuoi saperlo, ho sentito dei rumori strani e sono venuto a controllare che non stessi facendo nulla di disdicevole.”
Blaine inclinò la testa con un’espressione incredula.
Disdicevole? Disdicevole?! Ma quanti anni hai? Ottanta? Te lo do io il disdicevole!”
 Si alzò in piedi e cominciò a slacciarsi i pantaloni e Kurt si mise a urlare:
“Falla finita non è divertente!”
Bob, che non aspettava altro di vendicarsi, saltò sul letto e con entusiasmo prese a ringhiare contro Blaine che, per nulla intimorito, si mise a sua volta a ringhiare.
“Bob finiscila!- urlò Kurt.- scendi giù! Giù!”
Il cane si mise a uggiolare pentito, rimescolando le zampe, e poi scese dal letto e si accucciò sul tappeto con occhi pietosi.
“Grrrrrrrrgrrrgrgrgrgrgrgrgrrrrrrrggrgrgrahhhhhhhhhhahhhhuuuu”
Kurt guardò Blaine emettere un suono tra un ringhio e un lamento. Era la prima volta che sentiva l’altro ragazzo fare un suono così lungo... cominciava a pensare che lo preferiva quando non ne emetteva alcuno.
“E ancora lunga?!”
“Grrerrerrerererrerererrererrerererereeeeeeeehhhhh”
“Woaf”provò timidamente Bob, intenzionato a unirsi ai versi emessi dal ragazzo ma Kurt urlò, esasperato:
 “BASTA!”
Nella mansarda cadde il silenzio e poi...
“Bau, arf, woaf.”
“Non sei divertente Anderson.”
Sei tu che sei noioso. Andiamo, solo perché non riesci a entrare in contatto con il tuo cane interiore, non devi tenere un comportamento disdicevole...
Blaine aggrottò le sopracciglia, notando per la prima volta l’abbigliamento di Kurt che era diverso da quello con cui era entrato in bagno: canotta nera e boxer, che lasciavano intravedere il corpo magro e tonico, leggermente muscoloso.
Sei sicuro che il test del DNA sia corretto? Cosa cazzo c’entri con Burt?
“Cosa guardi?”
Oh se te lo dicessi...
“Mi spieghi cosa guardi?”
Blaine prese in mano la sua lavagnetta, scrisse e la mostrò a Kurt, che lesse:
“Valutavo se era più prestante il mio Blaine Junior o la tua Katrina... Seriamente hai chiamato il mio organo Katrina?”
-Si chiama pene!-
“Blaine, perché devi essere sempre così volgare?”
-Sarei stato volgare se avessi scritto cazzo o uccello.-
“Non vorrai dirmi che sei stato un signore?!”
-Meglio, un gentiluomo.-
“Oh Andiamo.”
 - Per te, mi sono limitato alla disdicevole parola di pene.
“Ti dovrei anche ringraziare?”
Blaine annuì.
“Assolutamente no, scordatelo.”
Kurt si voltò e camminò verso il bagno e Blaine rimase ad ammirare il sedere tondo e sodo dell’altro fino a che la porta non si chiuse.
Anche il culo non l’ha preso da Burt. Siano lodati i Calhoun.
Rimasto di nuovo solo, Blaine si mise una mano nelle mutande e si grattò togliendosi un prurito improvviso da uno dei testicoli.
Ecco qualcosa di disdicevole.
Il cane abbaiò e il ragazzo lo fissò con un sorrisino.
Ah, fai di nuovo la voce grossa ora che non c’è più chi ti sgrida.
Bob, come se gli avesse letto nel pensiero, si voltò verso la porta del bagno per controllare che Kurt non rientrasse e ringhiò basso e minaccioso.
‘Guarda sta brutta salsiccia avariata… ora ti faccio vedere io chi comanda.’
Blaine prese a ringhiare a sua volta, ma…
“Voi due finitela immediatamente!” urlò Kurt dal bagno, tacendo ogni rumore nella mansarda.
‘Non guardarmi così salsicciotto, è colpa tua.’
Bob, dopo la sgridata, si era accucciato sul tappeto con aria colpevole e Blaine gli si avvicinò e si accovacciò.
‘Lo so che voi cani potete leggere nel pensiero, quindi amico … senti qua.’
Il ragazzo allungò la mano con cui si era grattato il testicolo e l’offrì al cane che, dopo averla annusata, si alzò e se ne andò uggiolando, nascondendosi dietro il divano.
‘Ehiii è inutile che fai quello schifato. Non siete voi cani che annusate le parti intime dei vostri simili per fare amicizia?’
Blaine sbuffò irritato e si annusò la mano.
‘Non mi sembra così brutto questo odore … okay, non è fiori di campo, ma da qui ad andarsene per aver sentito il profumo delle mie palline mi sembra esagerato a meno che… Ma certo! Il mio odore, preso dalla mia fonte di mascolinità, è quello di maschio alfa. Salsicciotto inchinati a me.’
 
 
Carole si sentiva esausta di tutta quella situazione. Suo marito era seduto nella sua poltrona con aria abbattuta, Finn da giorni era diventato intrattabile e a completare il quadro c’era il fatto che Kurt non si stava rivelando una persona semplice. Non sapeva cosa fare.
Era molto delusa da suo figlio e a dir poco furiosa per quello che era accaduto per colpa sua a Kurt, ma lo scusava anche…
Burt da quando era tornato con a casa da New York non aveva fatto altro che parlare e preoccuparsi Kurt, non dando la giusta attenzione a Finn che, già geloso del figlio naturale di suo marito, si era sentito messo in secondo piano e lasciato da parte.
Carole sapeva che Burt non lo aveva fatto a posta di lasciare il loro ragazzo da parte, né che poteva essere biasimato se per un periodo concentrava le sue energie per conoscere il figlio, che gli era stato negato per quindici anni.
Lei capiva anche che Kurt aveva subito una grave perdita e che la sua vita era cambiata e le sue emozioni era forti e altalenanti. Era normale e andava bene per il momento. Quello che invece non andava bene, che era provocatorio, sgarbato, maleducato e che trattava tutti loro come se fossero i suoi nemici.
Questo comportamento da parte di Kurt la faceva arrabbiare moltissimo. Non era il solo che si era trovato la vita completamente cambiata, ma anche lei, Finn e Burt.
Carole guardò l’orologio della cucina, segnava le sei di pomeriggio. Si mise a preparare da mangiare, quella sera sarebbero stati solo loro quattro. I suoceri sarebbero arrivati per il caffè alle otto e mezzo.
Aveva in programma di fare maccheroni al formaggio, forse sarebbe riuscita a strappare un sorriso a suo marito e suo figlio con uno dei loro piatti preferiti. Pensò per Kurt che sarebbe stato carino invitare Blaine così, forse, sarebbe stato più sereno durante il pasto. Si chiese se avrebbe dovuto preparare qualcosa per Kurt, non sembrava intenzionato a scendere a cucinare come aveva fatto gli altri giorni…
Suonarono alla porta e Carole sospirò.
“Burt lascia stare, vado io a rispondere.” Urlò mentre andava in soggiorno.
“Sei sicura?”
“Sì, tu rilassati e guardati un bel film.”
“Carole!”Disse Burt burbero e lei gli sorrise e gli diede un bacio sulla guancia.
“Fai felice tua moglie e cerca di rilassarti. Brontolone...”
Carole notò che Burt fece un sorriso timido, stava per dirle qualcosa ma alla porta suonarono di nuovo.
“Ci penso io.”
Carole  si diede una piccola sistemata davanti allo specchio dell’entrata e aprì la porta di casa.
Sulla soglia di casa c’era un uomo che avrebbe definito forte e affascinante, era alto, magro, lineamenti eleganti, con due occhi chiari e seri. Era certa che non fosse un venditore porta a porta, era vestito con un completo di pregio e tutto in lui urlava ricchezza e autorità.
Si chiese se per caso non fosse un avvocato mandato dagli Adams, loro sarebbero stati gli unici che avrebbero potuto fare una mossa di quel genere.
“Sì?” domandò cauta.
“Casa Hummel?”
“Sì. Chi è lei e che desidera?”
“Mi chiamo Etienne Smythe. Sono qui per Kurt.”
Carole alle sue spalle sentì suo marito alzarsi immediatamente e venire alla porta.
 
“Cosa ci fa qui signor Smythe?!”chiese Burt con tono duro.
“Kurt oggi mi ha telefonato sconvolto per quello che è successo a scuola.” rispose in egual modo Etienne, guardando i due.
Carole rimase sorpresa, Kurt certamente era sembrato arrabbiato, furioso e battagliero, ma non sconvolto.
 
Burt le fece cenno di spostarsi dall’ingresso e disse:
“Vuole entrare signor Smythe, che così che ne parliamo con calma?”
“Per questo sono qui.”
Mentre conducevano l’uomo in salotto, Carole notò che aveva delle buste con loghi di negozi che a Lima non c’erano. Intravide che c’era anche un pigiama.
“Prego, si sieda dove preferisce. Vuole qualcosa da bere? Una birra? Un bicchiere di vino? Latte al cioccolato, Pepsi, succo?”
 
Etienne guardò la signora cicciottella che, da esemplare donna di casa, cercava di metterlo a suo agio. Aveva un viso con dei bei lineamenti e un’espressione dolce, ma i capelli con la permanente la rendevano un po’ ridicola, come gli abiti troppo stretti che segnavano la forma rilassata del suo corpo.
“Mi dispiace, ma credo mi sia sfuggito il suo nome.” Etienne sapeva che la donna non si era presentata e in realtà il nome lo sapeva, Kurt glielo aveva detto, ma era una questione di etichetta.
“Oh che sciocca... mi chiamo Carole.”
“ Signora Hummel, visto che è così gentile, le sarei davvero grato se mi offrisse un bicchiere di acqua fresca.”
Carole rimase un momento interdetta per l’utilizzo del suo titolo formale dopo che le chiesto il nome, ma decise di far finta di nulla nonostante suo marito parve infastidito.
“Noi non siamo amanti dell’acqua, non ne teniamo in frigo, ma abbiamo quella dal rubinetto se le va bene.”[1]
Etienne non si scompose all’ammissione della padrona di casa, Kurt gli aveva detto dell’alto tasso di bevande e cibi zuccherati che giravano in quella casa.
“Certamente, è perfetto. La ringrazio molto.”
Etienne rimase solo con Burt, che lo studiava silenzioso e fece finta di nulla. Voleva solo vedere Kurt per capire come stava e abbracciarlo.
“Signor Hummel l-”
“Signor Smythe la blocco immediatamente, le chiederei di chiamarmi Burt e di lasciarci tutte le formalità alle spalle.” Disse seriamente il meccanico all’altro uomo.
“Va bene Burt, dato che è questo che desideri, così sia. Ora, vorresti raccontarmi cosa è successo oggi a Kurt?”
Burt fissò Etienne e lo trovò intimidatorio col suo modo di fare elegante, la postura colloquiale e le gambe accavallate.
“Cosa ti ha raccontato Kurt?”
“Non molto.-ammise- Era chiuso in un bagno al Pronto Soccorso e sussurrava, era agitato. Mi ha detto che stato aggredito da alcuni ragazzi appena entrato a scuola e che tu non lo consideri grave. Poi qualcuno ha bussato alla porta del suo bagno e mi ha detto che avrebbe richiamato e ha messo giù. ”
“Le ha telefonato di nascosto dal bagno?” chiese stupita Carole. I due uomini ne rimasero sorpresi dato che non si erano accorti della sua entrata.
“Sì e quindi?”
“No, niente, è solo che nessuno ha mai impedito a Kurt di avvertire lei o chiunque altro avesse voluto. Non mi piace questo comportamento.”disse severa Carole.
“Cosa pretende?! Era scosso e spaventato. E se ha agito così in un momento in cui era sottoshock, non è da arrabbiarsi.” Le rispose piccato Etienne.
“Nessuno si arrabbia col ragazzo per questo.- chiarì immediatamente la signora Hummel- Ma Kurt continua a mettere muri fra noi e lui, anche nelle situazioni che dovrebbe permetterci di aiutarlo.”
“Signora... gli era appena stato detto che quello che era accaduto era una ragazzata o qualcosa del genere. Nessuno avrebbe reagito lucidamente, tanto meno un adolescente emotivamente provato.”
“No, non è una ragazzata- ammise Burt. - ma in quel momento non potevo dire altro.”
Il meccanico spiegò tutto ad Etienne: l’arrivo di Kurt a casa, le litigate, le frasi poco felici, i fatti che si erano svolti quel giorno a scuola, degli affari tra la sua officina e l’azienda della famiglia Adams.
“Devo pagare le tasse sull’officina, ho tre dipendenti che contano su di me e sullo stipendio che posso dargli ogni mese. Una di loro ha un figlio paraplegico e un altro ha sessantatre anni e ha casa ha una moglie malata di cancro. Se io lo licenzio queste persone, non tutti loro saranno in grado di trovarsi un altro lavoro. E io sono nella loro stessa situazione. Lima non è New York, le possibilità sono limitate. Non c’è un altro cliente come gli Adams, non posso perderli.”
“Capisco.” Disse Etienne ma Carole scosse la testa.
“No invece. Signor Smythe lei è abituato a vivere in una grande città dove una persona è solo una fra tante e perso un cliente grosso ne può trovare un altro per coprire quello perso. Qui a Lima tutti conoscono tutti, da generazioni, qui il pensiero della comunità conta. È un attimo che una vita tranquilla possa divenire un inferno. Se vieni additato per qualcosa cominciano i dispetti.”
“Dispetti?” chiese incredulo l’uomo.
“Il mio primo marito, Christopher Hudson, è morto per droga.”
“Mi dispiace.”
“Grazie. Il fatto è che, quando a Lima si diffuse di cosa era morto mio marito, partì la gogna per me e i miei suoceri. Io ho avuto la fortuna di essere sempre stata una ragazza irreprensibile. Ho fatto parte del coro della parrocchia, volontariato e ho lavorato come badante notturna. Mi sono solo laureata tardivamente come infermiera all’università di Lima per via che avevo perso i miei genitori e...”
“Posso chiamarla Carole?” chiese improvvisamente Etienne.
“Certo.”disse la donna, anche se era leggermente infastidita per essere stata interrotta così.
“Cosa c’entra questo con quello che è successo oggi a Kurt?”
“Mia moglie sta cercando di spiegarle come funzionano le cose in città piccole come questa. Posti dove la comunità spesso ha un comportamento giustizialista.”
Etienne fece un cenno di comprensione e Carole riprese il suo racconto.
“I miei suoceri erano due persone un po’ timide e ritirate dalla vita della comunità. Il padre di mio marito, Bill, veniva da una famiglia che si raccontava facesse parte, solo alcuni membri, del Ku Klux Klan[2], se non addirittura lui stesso per un certo periodo. Christopher mi diceva che erano stati due genitori molto duri e inflessibili e non amava entrare nel dettaglio a parlare di loro. La mia esperienza con i miei suoceri fu buona. Per me erano due brave persone, ma a Lima non godevano di rispetto e, quando mio marito morì, vecchi rancori dimenticati esplosero in una feroce vendetta.”
“Qui esiste ancora il Ku Klux Klan?” domandò sconvolto Etienne.
“Ohio non è esattamente lo stato più tollerante.-ammise Burt.- Ora, saranno almeno trent’anni che a Lima non ci sono episodi legati al Ku Klux Klan. Io e la mia famiglia e molti altri cittadini abbiamo aderito a una lega contro il razzismo e lo abbiamo combattuto, se così si può dire. Nella contea di Allen è risaputo che è un problema. Possiamo anche tristemente vantare che qui tra gli anni 1925 e 40 fu sede una delle maggiori sedi delle Black Legion[3].”
Etienne sentiva lo stomaco che gli si stava chiudendo per l’ansia sapendo che Kurt era finito in un luogo che aveva una storia del genere.
“Che cosa è successo ai tuoi suoceri Carole?”
“Beh, appena la notizia e i motivi della morte di Christopher si diffusero, Evelin, mia suocera, si ritrovò la macchina scritta con la frase: La giustizia divina colpirà tutti voi del KKK[4]. Quello fu solo l’inizio di una serie episodi spiacevoli. Dopo un anno di insulti e di dispetti i miei suoceri non ressero più la pressione e decisero di trasferirsi in Texas, a Wako, dove tutt’ora abitano. Mi chiesero di andare con loro, ma avevo appena partorito Finn, loro nipote, e non volevo lasciare Lima. Questa è casa mia.”
Etienne era rimasto perplesso dalle notizie ricevute e così espose un dubbio che gli era rimasto in testa:
“Quello che non capisco e se i tuoi suoceri hanno fatto davvero parte dei KKK?”
Carole scosse la testa e alzò le mani.
“Christopher a domanda diretta non mi ha mai confermato o smentito che i suoi genitori abbiano fatto parte del Klan. Bill e Evelin con me non hanno mai espresso comportamenti o frasi razziste. Si sono sempre comportati correttamente, mandano ogni mese una quota per mantenere Finn e hanno permesso a Burt di adottarlo e dargli il suo cognome. Se avessero fatto parte del KKK, penso che non avrebbero permesso che loro nipote venisse adottato da un uomo dove la sua famiglia è contro il razzismo.”
Etienne rimase sorpreso dall’informazione che Burt avesse adottato Finn. A suo modo di vedere gli sembrava ancora più strano che i nonni del ragazzo non avessero pretese che portasse il cognome della loro famiglia in ricordo del padre morto …
“Cosa c’è Etienne? hai un espressione strana.” Domandò Burt.
“Ammetto che non mi piace che questa città ha una forte storia legata con Ku Klux Klan, soprattutto sapendo che ai giorni nostri hanno preso di mira anche gli omosessuali.”
“Ti blocco subito.- Burt appoggiò pesantemente le mani sul tavolo.- Il KKK esiste anche a New York. Ormai non parliamo più dell’organizzazione di una volta e ti ripeto qui a Lima sono trent’anni che non ci sono episodi riconducibili a loro. Puoi dire lo stesso di New York?!”
“D’accordo ma tutto questo cosa c’entra con Kurt oggi?”domandò esasperato Etienne e a rispondere fu Carole.
“Il KKK nulla, ma il comportamento dei cittadini di Lima sì. Qui l’omosessualità non è ben vista. Una denuncia a carico dei quattro ragazzi che l’hanno attaccato, in un posto dove la maggior parte la pensa come loro, sarebbe peggio.”
“Peggio in che modo? Chiudere l’officina perché nessuno verrebbe più da voi? Vale davvero così tanto quell’officina piuttosto che la sicurezza di Kurt?”chiese sprezzante Etienne. Burt fissò l’uomo e scosse la testa rabbioso.
“Si vede che lei è sempre vissuto senza una sola difficoltà economica signor Smythe. Quella officina mi permette di pagarmi l’assistenza medica e di vivere e mantenere la mia famiglia e i miei genitori, che l’hanno creata con le loro mani, e comprargli le medicine che iniziano a servire. Quella officina è il futuro, se non di Kurt, di Finn. L’officina mi permetterà di mandare all’università i miei figli e di metterla in garanzia con qualche banca quando Finn o Kurt vorranno aprire un mutuo per comprarsi una casa. La sicurezza di Kurt è al primo posto, ma non è agendo nel modo più logico che qui otterremo qualcosa. Agire di forza, denunciando i colpevoli, creerebbe solo odio e renderebbero il ragazzo un bersaglio da punire.”
“Allora ti chiedo di farmelo riportare con me a New York.” Provò disperato Etienne.
“So già che la sua vita è a New York e che appena si diplomerà tornerà lì, ma io già vissuto quindici anni senza conoscerlo. Non mi puoi chiedere di dare via i soli tre anni di vita che potrò avere con lui, mio figlio.”
Etienne provò una punta di vergogna perché intimamente su quello era d’accordo con Burt. Lo capiva e ne comprendeva il sentimento, però sapeva che c’era qualcosa che non tornava. Era certo che Elisabeth dovesse aver avuto un ottimo motivo per nascondere Kurt a Burt, ma allora si chiese: perché  svelare la verità nel testamento?
Era un controsenso.
 “Ma quello che è successo oggi a scuola? Come pensi di proteggerlo, se tu per primo non sei a favore del suo orientamento sessuale e non lo accetti per quello che è?”
“Posso non credere nella omosessualità, ma ciò non significa che permetterò a qualcuno di toccare mio figlio perché dice che gli piacciono gli uomini.”
“MA COME PENSI DI PROTEGGERLO SE NON LO FAI TRAMITE LE AUTORITÀ, DENUNCIANDO IL REATO DI ODIO CHE HA SUBITO OGGI?!”Urlò Etienne concitato, alzandosi in piedi, e Burt con calma rispose:
“Come ho detto, Lima è una cittadina piccola e prima certi avvenimenti possono essere un’arma che può essere usata in due modi, Etienne. Carole ed io abbiamo intenzione di proteggere Kurt e lo faremo a modo nostro e con le regole che girano qui.”
“QUELLO CHE NON CAPISCO È COME?” Domandò Smythe sempre più irritato.
“Etienne?”
Tutti gli adulti nella stanza si voltarono verso le scale dove c’erano Kurt, Blaine e Bob.
Etienne corse verso il ragazzo e controllò il volto tumefatto.
“Mio Dio, Kurt.”
“Sei qui.”
“Certo, te lo avevo promesso che sarei corso per ogni cosa.”
 Kurt butto le braccia al collo ad Etienne che lo strinse fra le braccia.
Blaine notò che Burt non aveva preso bene la scena, secondo lui, terribilmente melensa.
Etienne strinse più forte a sé il ragazzo.
“Ahia.”
“Kurt?”chiese l’uomo con fare preoccupato e confuso.
“Ho sbattuto la schiena, solo qualche livido... non è grave. ”
“Non è grave? Kurt c-”Etienne non ebbe modo di finire la frase perché Bob sentendosi ignorato cominciò ad abbaiare e fargli le feste.
“Mi dispiace.- Disse Burt prendendo il cane e togliendolo della gambe dell’ospite.- Bob è un cane molto affettuoso, saluta tutti come uno di famiglia.”
‘Ma che cavolo Salsicciotto! A me ringhi e a lui fai le feste?! Come ti capisco, è così bello che anch’io se fossi un cane farei lo svenevole con lui.”
 “Ha ragione lui.-confermò Kurt - In genere, quando mi segue mentre corro, fa le feste a qualunque cosa si muova.”
Carole si voltò verso il figliastro con le mani sui fianchi e con tono duro chiese:
“Nonostante ti fosse stato proibito, porti ancora fuori Bob?”
“Non lo porto fuori, mi segue! O meglio, ci prova.”
‘Ma che ci prova! Sta lì a guardarti sconsolato come a dire: Corri tu per me e di’ agli Hummel che li ho amati. Lo saprò bene, dato che ti spio dalla finestra.’
“In che senso ci prova?-chiese Burt stancamente.- E poi che giro fai? Lo sai che non sono favorevole che corri presto la mattina, anche se te lo lascio fare.”
Kurt lanciò uno sguardo duro al meccanico.
“Non ricominciamo con questa storia! Non mi allontano, corro letteralmente intorno alla casa per ben 45 minuti e Bob sta in giardino a guardarmi, dopo che per un giro cerca di starmi dietro.”
‘Salsicciotto, mi ricredo, addirittura un intero giro riesci a fare? Sei praticamente pronto per le olimpiadi.’
“Kurt a New York correva sul terrazzo condominiale di dove abitava.-disse Etienne.- se corre qua intorno non dovrebbe essere un problema: siete immersi nel verde e ci siete solo voi e la casa do fronte.”
Burt guardò Etienne, pronto a dirgli di non intromettersi con le regole di casa sua, quando suonarono alla porta e Carole andò ad aprire e poi urlò. Tutti nella stanza si voltarono  verso l’ingresso e Burt corse immediatamente dalla moglie, mentre Bob strisciò tra Blaine, Kurt e Etienne, che inconsciamente si era avvicinato protettivo verso i due ragazzi.
‘Ok, se vuoi proteggermi, fallo bene... prendimi tra le tue possenti braccia ed io mi abbandonerò ad esse... papino. ’
“Forza entrate!”Disse una voce profonda che Kurt non riconobbe.
“Ora non fate più tanto i bulli. Eh!?”Esordì Aron Puckerman, entrando nel salotto e strattonando con sé il figlio. La stessa sorte era toccata ad Azimio, che stava vendendo trascinato malamente da quello che era certamente il padre.
Kurt si avvicinò ad Etienne e notò che i due ragazzi appena arrivati avevano l’aspetto malconcio, come di qualcuno che aveva avuto una rissa.
‘Zio Aron non deve averla presa bene la tua condotta a scuola, vero Noah?’Pensò Blaine, colpito.
“Mio Dio.- Carole sentiva l’agitazione salire veloce nel suo petto.- Ma che gli è successo? Jade? Aron?”
“Nulla di male.-Rispose serafico Jade.- Vero ragazzi?”
Noah e Azimio guardarono verso i loro genitori e poi le altre persone nella stanza, fino a soffermarsi su Kurt. Blaine istintivamente fece un passo minaccioso in avanti e scrocchiò le sue dita. fissando malamente i due compagni di squadra.
‘Chi ha osato picchiarvi meglio di me!?’
“Come nulla di male?-Chiese Carole- Sono pieni di lividi e ferite.”
“E oserei dire che puzzano come un cassonetto della spazzatura.”esordì Kurt candidamente.
‘No, vai tranquillo, per quello noi ragazzi puzziamo sempre, sei tu l’eccezione alla regola.’
“Hanno solo ricevuto lo stesso trattamento che spesso hanno riservato ai loro compagni di scuola. Vi è piaciuto?” Chiese pericoloso Aron ai due ragazzi, che non osarono rispondere e saltarono quando Jade parlò:
“Guardate come lo avete ridotto! Ma siete impazziti?!”
“Noah, pensavo di averti cresciuto meglio di così!” Aron era vibrante di rabbia.
Kurt fissò con curiosità l’uomo che parlava con Noah. Era uno dei migliori amici di sua madre, lo sapeva grazie a Blaine e ad Olegh e alle foto che gli avevano mostrato. Aron Puckerman, pensò, che fosse una figura imponente. Era un uomo abbastanza alto, sul metro e ottanta, capelli lunghi un po’ sporchi, barba e  piccoli occhi dal taglio severo e di un penetrante azzurro. Tutto in quell’uomo suggeriva che non del fosse il caso di litigarci. Kurt incrociò lo sguardo di Aron e nei suoi occhi lesse una curiosità gemella alla sua.
“Che sta succedendo qui?”
Tutti si voltarono verso le scale dove c’era Finn, che osservava la piccola folla e, appena i suoi occhi suoi occhi si posarono sui suoi amici, corse in salotto.
“Puck, Azimio, che vi è successo? E tu chi sei?”
“Finn un po’ di educazione.”lo rimproverò Carole.
“Etienne Smythe, caro amico di Kurt e sua madre.” si presentò l’uomo a tutti che ricambiarono il saluto e Aron fece un sorrisino, come di chi avesse capito qualcosa che agli altri era sfuggito.
 “Scusatemi tutti quanti se mi intrometto.-esordi Etienne.- Ho capito che loro sono i ragazzi che hanno aggredito Kurt, ma non è ben chiaro chi ha aggredito loro... O meglio spero di aver capito male…”
A rispondere ci pensò Aron.
“Hai capito che io e Jade abbiamo dato una ripassata ai nostri figli?”
“Sostanzialmente.”
“Allora hai capito perfettamente.”
E Jade aggiunse:
“E visto che abbiamo scoperto che ai nostri ragazzi piace tanto buttare i compagni nel cassonetto della spazzatura, abbiamo pensato che si sarebbero divertiti a provare su loro stessi il loro passatempo.”
Etienne rimase a bocca aperta a guardare i due uomini, sconvolto dalla sincerità con la quale ammettevano le loro azioni.
“Hai visto che avevo ragione.”Sussurrò trionfate Kurt a Blaine che annuii colpito e divertito.
Finn rimase attonito dall’ammissione dei padri dei suoi amici e si sorprese quando Burt si rivolte a lui e, con un sospiro pesante, gli chiese:
“Finn, per caso tu hai a che fare o eri a conoscenza del comportamento così grave dei tuoi amici?”
“Non ho mai buttato nessuno nel cassonetto, io.”Finn inconsciamente incrociò le braccia sulla difensiva.
“Che significa...- sibilò Carole furiosa- che non hai buttato nessuno nel cassonetto, Finn? Che tu eri lì mentre i tuoi amici compivano atti di bullismo e non hai fatto nulla? Che anche tu hai compiuto atti di bullismo a scuola?”
Finn cominciò a balbettare frasi sconnesse.
‘Oddio sto per avere un orgasmo. Qui, sul posto, in questo momento. Peccato che papà e Cooper si stiano perdendo questo spettacolo. Santana poi non ne parliamo...’
“Finn.-lo chiamò Burt, con tono severo.- rispondi immediatamente.”
Il quarterback si zittì, incapace di parlare, e il meccanico, seccato, si rivolse a Noah ed Azimio.
“Mio figlio ha mai compiuto atti di bullismo a scuola?”
Ma come il loro amico, i due ragazzi non aprirono bocca.
“Noah... ti conviene rispondere immediatamente.” Disse con tono pericoloso Aron e Puck fece un passo indietro, spaventato.
“Lo stesso vale per te, Azimio.”
Carole vide che i tre ragazzi si erano barricati dietro il mutismo, nonostante l’insistenza dei loro padri, così si girò verso il piccolo degli Anderson.
“Blaine, tu sai qualcosa?”
‘Anche quello che non vorrei!’
Tutti si girarono immediatamente verso Blaine e lo osservarono, mentre batteva furiosamente sul suo telefono qualcosa, per poi passarlo a Kurt che lesse:
“Finn ha lanciato, l’anno scorso, delle granite in testa ai cosiddetti sfigati, ma ha smesso quando è entrato nel Glee club. Ora resta solo a guardare e a ridacchiare con gli sportivi popolari che compiono queste azioni.”
Kurt finì di leggere e poi si voltò verso Blaine e gli chiese:
“Quello che proprio non mi spiego, è perché in quella scuola c’è una macchina per le granite. Chi diavolo ha avuto quella brillante idea? Neanche a dire che qui faccia caldo.”
Blaine alzò le mani e fece una faccia come a dire che neppure lui se lo spiegava.
Burt fissò Finn, che aveva cominciato a guardare il pavimento con molto interesse.
“Anch’io quando ero a scuola ho fatto degli scherzi pesanti.- ammise Burt.- Alcuni ebbero come vittima tuo zio, Blaine.”
‘Bastardo pelato, che hai fatto a zio Thomas?’
“Me li ricordo.”grugnì Aron e così Jade.
“Già, ma anche voi potete confermare che mai siamo stati bulli!-disse con fervore il meccanico.- Abbiamo usato brutte parole, siamo stati stupidi, abbiamo indubbiamente esagerato. Ma non era bullismo.”
Aron sospirò e poi parlò.
“Non sei certamente la persona che preferisco e lo sai Hummel. Però hai ragione a dire che non sei stato un bullo, ma Thomas ha subito del bullismo quando era scuola, soprattutto da quei simpaticoni di Tinsley e William senior…”
“Infatti. E a quanto pare i loro figli ricalcano le orme dei padri.” Disse il signor Adams.
“E i nostri figli pure, vero Jade?-Commentò ironico Aron.- Come ci rendete orgogliosi ragazzi... prendervela con un ragazzino che è la metà di voi. Che comportamento da veri duri!”
“Ci dispiace.”provò Azimio verso i due genitori furiosi. Jade scosse la testa affranto e con un sospiro rivolse la sua attenzione ai coniugi Hummel.
“Burt, Carole, mi dispiace quello che è successo oggi a scuola per colpa di mio figlio e dei suoi amici.”
“Jade io-”
“No Burt, so del comportamento che Amelia ha tenuto… mi ha detto tutto. Ha fatto il possibile per evitare una denuncia ad Azimio.”
‘Il possibile?! Amico, ti sei sposato una vera stronza! Ti conviene venderla su ebay!’
Kurt osservò Jade Adams: aveva una corporatura enorme e poco in forma, però tutto in lui sembrava indicare che fosse un uomo buono. Il ragazzo venne strappato dalle sue considerazioni quando Burt parlò:
“Ammetto che Amelia mi ha spaventato, Jade. Siamo amici e so che uomo sei, ma so che a volte per i figli si possono fare cose stupide. E ho temuto una tua reazione se avessi deciso di procedere con una denuncia e mi sono trovato impotente con le conseguenze che tua moglie mi ha fatto sottintendere .”
Jade abbassò la testa, sentendosi colpevole.
“Capisco Burt. Amelia è accecata dall’amore per nostro figlio.”
‘Scommetto pure che pensa che sia l’uomo più bello della terra. Bleah, certa gente dovrebbe essere multata per pensieri osceni contro il genere umano.’
Aron scosse la testa infastidito.
“Anche Rikva ha fatto la stessa cosa, ma quello che le due care mammine hanno fatto è di non aver avuto pietà di un ragazzo che i nostri figli hanno picchiato! Guardalo, Cristo santo, e dimmi se è normale che un ragazzo vada a scuola e venga ridotto così!” Urlò furioso l’uomo e Noah e Azimio, nelle loro posizioni, cercarono di essere il più possibile invisibili, così come Finn che cercava di evitare lo sguardo della madre, che aveva le lacrime dalla rabbia.
“Papà, io...”
“Zitto Noah! Che diavolo vi è passato per il cervello a tutti quanti?! Che farete la prossima volta? Vi procurerete una pistola e ammazzerete qualcuno solo perché omosessuale o non in linea con il vostro pensiero?”
“Noi non volevamo spingerci a tanto!”
“Noah, vi siete spinti a tanto perché lui vi ha risposto, a differenza degli altri che terrorizzati si fanno buttare nel cassonetto o prendono la granita senza fiatare. Voi non dovevate, in primo luogo, fare cose così stupide!”
Kurt incontrò lo sguardo dell’uomo di colore, che solo osservandolo sembrava sul punto di mettersi a piangere ma prese parola con voce ferma e grave.
“Il problema era anche da aspettarsi che Figgins non avrebbe dato chissà quali punizioni. Io, Tinsley e Williams, siamo fra i maggiori finanziatori della squadra di football. Ha dovuto eliminare Karofsky per fare scena e far vedere che ha fatto qualcosa. Noah l’ha salvato  solo perché un bravissimo giocatore... se no a rigor di logica avrebbe dovuto sbattere fuori anche lui dalla squadra.”
“State scherzando spero.-disse Etienne furioso.-Per dei soldi il preside sarebbe pronto a passare sopra al bullismo?”
“Lo fa tutto il tempo a quanto pare. - disse Aron.- Pensi che il preside non sappia quello che accade nella sua scuola? Richard ottiene una telefonata ogni dieci giorni, circa, per il comportamento di Blaine.”
‘Eh già, inizio a sospettare che Figgins abbia una cotta per mio padre.’
“Posso confermalo anch’io.-disse Kurt.- Oggi il preside aveva dato inizialmente delle punizioni irrisorie, rispetto a quello che era successo. Pensa che non aveva nemmeno preso in considerazione di togliere Karofsky dalla squadra di football.”
Etienne al quadro della situazione rimase sempre più turbato.
“Kurt. Giusto?” chiese Jade.
“Sì.”
“Mi dispiace quello che mio figlio ti ha fatto.”
“Beh signore, non è comunque lei che mi deve delle scuse, ma appunto suo figlio. E devono essere fatte bene.”
Aron alla risposta secca e con tono altezzoso di Kurt, mise su un ghigno. Il ragazzo sembrava il degno erede della madre. Era un Calhoun sia nell’aspetto e sia nell’anima.
‘Infatti, tu devi chiedere scusa al mondo per aver generato un figlio tanto brutto e cattivo!’
“E comunque ho una domanda.- disse Kurt.- Voi sapete chi ha aggredito Chandler Khiel?”
“Kurt, tu sai di Chandler?”chiese stupita Carol al figliastro.
“Non esattamente, oggi l’ho sentito nominare un paio di volte. Quello che ho capito è che era un ragazzo bullizzato perché omosessuale e che se ne è andato dal McKinley dopo un brutto pestaggio o qualcosa del genere.”
Blaine al solo nominare Chandler sentì lo stomaco stringersi in una morsa spiacevole.
“Noah sai qualcosa di quello che accadde a Khiel?”domandò in tono rabbioso Aron.
“No, no, io non c’entro nulla. Lo giuro papà. Io ero al Glee Club quando Chandler è stato pestato.”
“Io invece ero in classe a recuperare la verifica di matematica.”disse immediatamente Azimio a Jade, che annuì perché se lo ricordava.
“Io anche ero al Glee.”rispose Finn.
“Fantastico che nessuno di voi c’entra nulla.-disse Aron con marcata ironia.-la domanda però è più ampia: sapete qualcosa? Noah?”
“No papà, non so niente. Nessuno della squadra di Football si è vantato di aver fatto nulla a Chandler.”
‘No, ma avete solo festeggiato che il frocio se ne era andato.’ricordò amaramente Blaine.
“Già neanche a me nessuno ha detto nulla.”rincarò Finn.
“Neppure a me.”aggiunse Azimio.
“Spero che sia vero.-disse Jade.-Se scopro che hai nascosto qualcosa…”
“Lo stesso vale per te Finn.- disse rabbiosa Carole.-Mi hai così delusa. Ti pensavo un bravo ragazzo.”
“Mamma io non ho fatto male a nessuno!” protestò Finn con disperazione.
‘Lanciare granite addosso alle persone è per fargli del bene? Trattamenti per il viso gratuiti a spese tue?’
“Per essere un bullo Finn non è necessario fare del male a qualcuno.- Kurt sbottò rabbioso.-basta essere lì a ridere e a umiliare la vittima con chi compie questi gesti. Anche quello è bullismo! Oggi a scuola a farmi del male fisicamente ci hanno pensato Karofsky e Puckerman, ma a fargli da spalle c’erano Tinsley e Adams e questo non li rende meno bulli degli altri.”
Azimio abbassò la testa in segno di vergogna e Puck cercò di evitare di guardare direttamente Kurt.
“DA QUANDO SEI ARRIVATO QUI NON FAI ALTRO CHE SPUTARE SENTENZE!” esplose Finn.
“FINN SMETTILA!”urlò Burt al figlio.
“DAI LEZIONI A TUTTI SU COSA E’ GIUSTO E COSA E’ SBAGLIATO. TI COMPORTI COME SE FOSSI MEGLIO DI TUTTI QUANTI E RENDI LA VITA A CHI HAI INTORNO UN INFERNO. GUARDA CHE COSA HAI FATTO OGGI A SCUOLA!”
“FINN FINISCILA”disse il meccanico afferrando il ragazzo per il busto quando questo fece un passo in avanti verso il fratellastro, che venne prontamente afferrato da Etienne e tirato verso di lui con fare protettivo.
“IO NON HO FATTO NULLA.-Affermò Kurt, con lo stesso tono di Finn- SEI TU E I TUOI AMICI CHE SIETE DELLE PERSONE PICCOLE CHE PER AFFERMARE UNO STATUS DOVETE BULLARVI DEGLI ALTRI, FERENDOLI E FACENDOLI DEL MALE. PER COSA POI? PER ESSERE I FIGHI DEL LICEO?”
“VEDI CHE SPUTI SENTENZE?”
“SENTENZE?! SU UN FOTTOTUTO REFERTO MEDICO C’È SCRITTO CHE HO UNA FRATTURA DEL NASO IN Asse! UN OCCHIO NERO, HO DEI TAGLI E LIVIDI DOVUNQUE! SONO FATTI, NON SENTENZE. I TUOI AMICI SONO BULLI. TU SEI UN BULLO!”
‘Nooo Finnocenza non farlo urlare che ha una voce stridula!’
 “MA CHE NE SAI TU DI NOI? DI ME? NULLA.- urlò Finn liberandosi dalla presa del padre e andando verso Kurt e Etienne con fare minaccioso.-IO NON SONO UN BULLO PICBOB, BOB CHE ?”
Bob si era frapposto fra i due ragazzi e aveva preso a ringhiare furiosamente a Finn, che arretrò spaventato.
“BOB FINISCILA.” Urlò Burt al cane, che continuò a ringhiare a quello che era il suo padrone.
‘A me non ringhiava così cattivo. Ho quasi un brivido di paura.’
“BOB BASTA!” ordinò Finn con rabbia con il risultato che il cane ringhiò di più.
Burt e Carole si guardarono un momento spaventati e confusi, Bob non aveva mai agito così.
“BOB, CANE CATTIVO.- disse Kurt con voce ferma e potente.-ORA A CUCCIA!”
Bob smise di abbaiare e ringhiare e si accucciò guardando Kurt con aria penosa.
‘Smettila di fare quell’aria affranta. Hai sbagliato tu. Come ti è saltato in mente di attaccare in quel modo Finn?! Dovevi solo pisciargli addosso.’
“Sei contento?” Finn chiese con rabbia a Kurt.
“Scusami?”
“Hai addestrato il mio cane contro di me.”
“Ma stai scherzando? Io non so nemmeno da che parte si comincia con un animale, figuriamoci ad addestrarlo.”
“Mi ringhia! Quando dovrebbe farlo contro di te.”
“Che discorso cretino. Il cane non dovrebbe ringhiare a prescindere. L’unica cosa che ho fatto, a differenza tua, è di dargli attenzione. E, sì, ogni tanto l’ho portato a spasso perché mi faceva pena vederlo lasciato a girare in quella porzione di giardino.”
“Io gli do attenzione!”
“Quale attenzione, Finn? La mattina sei uno zombi e non lo porti a passeggio. Torni da scuola e ti chiudi in camera a giocare con i videogiochi, mentre a dargli da mangiare e cambiargli l’acqua ci pensa Carole. Che attenzione dai a Bob? Da quando sono arrivato qua non ti ho mai visto portarlo a passeggio. La verità è che non ti è importato nulla di lui fino a che non ha cominciato a dare attenzione a me.”
Carole si era spaventata della reazione del figlio e per quanto gli desse fastidio si trovava d’accordo con Kurt.
“Finn, vai in camera tua -disse improvvisamente Burt- non tollero certi comportamenti! Io e tua madre dopo verremo a parlare con te della tua punizione.”
“Ma Papà!”
“Papà nulla Finn, vai in camera. Hai già dato abbastanza spettacolo con la tua immaturità.”
Finn sembrava essere sul punto di ribattere, ma uno sguardo severo e duro della madre lo fece desistere e decidere di eseguire l’ordine, ma prima voleva dimostrare qualcosa a Kurt.
“Bob, vieni qua. Andiamo.” Ma il cane non fece accenni a muoversi vicino dalle gambe di Kurt.
“Ho detto qui, Bob!”
‘Amico non ci provare non vedi che non è interessato?’
Finn sentì la rabbia esplodergli dentro, al che prese il cane per il collare e lo iniziò a trascinare malamente via. Bob cominciò a uggiolare.
“Lascialo, gli stai facendo male!”protestò Kurt e il cane, come a confermare ciò che era appena stato detto, abbaiò malamente a Finn, che per paura di essere morso lasciò la presa.
Bob, appena fu lasciato libero, si andò a nascondere dietro a Kurt e con la testa spinse contro le sue gambe, come a cercare conforto dopo una brutta esperienza. Finn era furibondo, si sentiva defraudato e odiava Kurt con una passione che non aveva mai provato per nessuno, nemmeno per Santana Lopez, che da anni era colei che lo tormentava in ogni occasione buona.
“Sai che ti dico Kurt? Tieniti quell’ammasso di pulci. Io non lo voglio più!” disse il quarterback correndo su per le scale, in camera sua.
‘Ora capisco perché Rachel Berry ha una cotta per lui... ha un senso del dramma non indifferente.’
“Sta scherzando. Vero?!” chiese Kurt a Blaine
‘Ti piacerebbe! Beh, diciamo che ha reso legale un fatto noto a tutti. Congratulazioni Kurt e Bob, vi auguro un futuro felice assieme.’ Blaine diede due pacche affettuose sulla schiena a Kurt, che fissò il cane in stato di Shock.
“Blaine finiscila non è divertente! Io non so prendermi cura di me figuriamoci di un cane.”
“Kurt.-lo chiamò Burt.- Finn ha parlato in un impeto di rabbia.”
‘Non ne sarei così sicuro. Bob poi sembra così felice.’
“Blaine ti ringrazio per quello che hai fatto oggi per Kurt.- fece gentile Carole.- Però posso chiederti se puoi tornare a casa tua?”
Blaine fece un cenno col capo ai coniugi Hummel e poi fece dei segni a Kurt, indicando prima il suo telefonino e poi Lui.
“Okay, ti scrivo stasera.”acconsentì Kurt.
Blaine salutò tutti nella stanza, diede un abbraccio ad Aron, che ricambiò gentile la stretta, e poi si andò a congedare da Etienne.
‘Ciao signor Anderson di oggi! Non ti vorrei lasciare, ma devo!’
Etienne sorrise gentile a quel ragazzo, Kurt gli aveva parlato di lui e del fatto che non parlava, ma in quei momenti che li aveva visti insieme aveva notato che tra loro c’era molta sintonia e sperava che fra i due nascesse una profonda amicizia.
Appena Blaine se ne fu andato, Aron prese parola.
“Allora Kurt, io e Jade, visto che il tuo vecchio qui ha introdotto il discorso punizioni e se anche lui è d’accordo, abbiamo un’idea per punire questi due imbecilli e insegnargli il valore del loro comportamento. “Che ne dici, ti và di ascoltarci?”

 
 

[1] Negli Usa il consumo di acqua è bassissimo. Un americano medio beve, indiscriminatamente a qualunque pasto, latte perché è considerato una bevanda (ed è per questo che è stato creato in tutte le varianti possibili, latte e cioccolato, fragola, caramello ecc ecc), è un’abitudine alimentare consolidata. Inoltre uno studio ha calcolato che un americano medio consuma più bevande gassate zuccherate che acqua normale, il motivo principale è che, oltre che essere cultura alimentare, una bottiglia d’acqua costa 3 o 4 volte di più di una bottiglia di una bevanda gassata.
[2] Ku Klux Klan (acronimo: KKK) è il nome utilizzato da diverse organizzazioni segrete esistenti negli Stati Uniti d'America a partire dall'Ottocento, con finalità politiche e spesso terroristiche a contenuti razzisti e che propugnano la superiorità della razza bianca.
 
[3] Le Black Legion, furono un movimento terroristico che assieme al Ku Klux Klan operava negli Stati Uniti attorno agli anni trenta. Quest'organizzazione venne fondata da William Shepard in Ohio. Negli anni 30 aveva tra i venti e i trentamila membri, un terzo dei quali a Detroit. Dopo la morte di Charles Poole, lavoratore della Works Progress Administration, rapito e ucciso dalle Black Legion, le autorità statunitensi condannarono all'ergastolo 11 membri delle Black Legion e ad alcuni anni di prigione altri 37 membri, ponendo fine all'esistenza dell'organizzazione.
[4] KKK acronimo di Ku Klux Klan

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Capitolo 15
*** Fantasie ***


Cari Lettori vi chiedo venia che sia passato tanto tempo dall'ultimo aggiornamento, ma non ho potuto fare diversamente.
Vi lascio al capitolo, buon divertimento.
 

 
“MARIBEL , IO NON TI CAPISCO! PERCHÉ VUOI CHE METTIAMO IN PUNIZIONE SANTANA? NON HA FATTO NULLA!”
“NON HA FATTO NULLA?! HA AGGREDITO UN COMPAGNO DI SCUOLA.”
“PER DIFENDERE KURT HUMMEL DA DAVID KAROFSKY, CHE LO STAVA PICCHIANDO, E NESSUN ALTRO È INTERVENUTO. MERITA CHE LA LODIAMO!”
“CERTO LA PROSSIMA VOLTA MAGARI AMMAZZA QUALCUNO E GLI DIAMO UNA PACCA SULLA SPALLE E 200 DOLLARI DI PREMIO!”
“MA COSA DICI?! E FINIAMOLA DI URLARCI CONTRO.”
“Va bene.-acconsentì la donna con un evidente sforzo nella voce.- Santana và punita perché la violenza non va mai, e ripeto mai, usata.”
“Parla quella che mi ha buttato nel fiume per rabbia.”
“Ma che c'entra Luis?” domandò infastidita la donna.
“Rimproveri nostra figlia e te ne esci con frasi stupide, parlando di omicidio? Chi è che sta dicendo cose che non hanno senso!?”chiese in tono di sfida Luis.
La donna sospirò frustrata.
“Non è la prima volta che nostra figlia finisce in mezzo a una rissa, o che viene richiamata dal preside, o tirata in mezzo nei guai da Blaine. Non ha bisogno che arrivi un'altra persona a portarla sulla cattiva strada.”
“Stai dicendo che Blaine è una presenza negativa?”
“No, ma è manesco!"
“Blaine attacca i bulli, cerca di difendere i più deboli! E sì, poi ogni tanto fa degli scherzi che potrebbe risparmiarsi, ma in quella scuola fino ad oggi nessuna vittima aveva mai reagito o denunciato il bullismo subito.”
“Se la situazione è così grave come dici perché non la mandiamo in un'altra scuola? Come la Crowford a Westville. Dormirebbe lì durante la settimana e potrebbe imparare il rispetto delle regole, che suo padre pensa che sia sopravalutato!” esclamò furiosa la donna.
“Quando hai fatto le ricerche per questa scuola?” domandò sconvolto Luis.
“La penultima volta che si è messa nei guai!”
“Io non mando nostra figlia via di casa a vivere a due ore di distanza da noi. Avrà tutta la sua vita per farlo.”
“È PER IL SUO BENE!”
“Cosa vuoi di più da nostra figlia di sedici anni?! Quando noi siamo al lavoro, lei bada alla nonna che ha demenza senile e schizofrenia! Guarda la nonna che se non prende le medicine può avere delle reazioni fuori controllo.”
“Non esagerare, ha solo schiamazzato un po’ più forte e rotto qualche piatto!”
“Lanciato, vorrai dire. Ti pare giusto che una ragazza così giovane abbia un impegno così gravoso? Anzi, sai che ti dico? Se mandiamo via Santana, tua madre la mettiamo in una casa di riposo.”
“Cosa? Mia madre non andrà in posto senza le persone che le vogliono bene. Ha lavorato tanto nella sua vita. Non merita questo.”
“Mia figlia non merita di essere allontanata da casa per aver cercato di difendere qualcuno!”
“Qualcuno o Kurt?”chiese Maribel, in tono di sfida.
Luis sospirò stanco.
“Bel, ma cosa stai dicendo?”
“Cosa sto dicendo? Che in qualunque modo c’entri Elisabeth, tu non capisci più nulla.”
L’uomo guardò la donna che aveva sposato come se la vedesse per la prima volta.
“Sei gelosa marcia di una morta!”
“E TU SEI INNAMORATO DI UNA DONNA MORTA!- Urlò Maribel.-Da quando è apparso quel maledetto ragazzino ne ho avuto la conferma. Sei ossessionato da lui! Pensi che non sappia che hai la sua cartella Clinica nello studio? Pensi che non sappia che hai avuto una foto di Elisabeth nel portafoglio fino a quando non hai avuto quella litigata con lei al funerale di Melanie? Pensi che non sappia che ogni cosa di questa stramaledetta casa racconta di lei? Che uomo sei a far vivere tua moglie nella casa del tuo primo amore?”
Luis era congelato dalle parole della moglie e poi la rabbia esplose dal profondo del suo petto.
“Questa è casa mia da quando avevo undici anni, io sono cresciuto qui! I Calhoun mi hanno dato tutto quando nessuno voleva dare niente a me e alla mia famiglia. Appena ho potuto ho comprato questa casa, è un delitto? Se hai queste convinzioni, cosa rimani sposata con me? Io non amo più Elisabeth, ma io e lei avremo sempre un legame e tu questo lo sai, Bel. Io ho sposato te perché ti amo.”
“Forse è vero che mi ami, ma non mi hai mai amato quanto lei… Stasera vado a dormire nella camera degli ospiti.”
Luis guardò la moglie andarsene e pensò che aveva bisogno di bere qualcosa di forte.
 
Santana e Brittany erano sedute alla fine della scalinata che portava al piano superiore. Avevano sentito tutto, non era la prima volta che ascoltavano i coniugi Lopez litigare, ma era la prima volta che Maribel sosteneva che c’era una falla nel matrimonio.
Santana aveva sempre saputo del legame dei Lopez con i Calhoun, ma non immaginava che fosse tanto profondo. Sperò che le parole di sua madre fossero quelle di una donna gelosa e che non corrispondessero al vero. Sapeva che il matrimonio dei suoi genitori non era fra i più idilliaci, ma come ogni figlio non voleva sentire che la propria madre era solo al secondo posto nel cuore del padre.
 
“Sembra che hai scampato il collegio.”
“A quanto pare… Mia madre comunque è una stronza a pensare di mandarmi in collegio e a parlare così di Blaine.”
“Credo che tua madre sia sull’orlo di una crisi.”disse Brittany.
“Come?”
“Andiamo San, lo sappiamo entrambe che in realtà tua madre ti ama e adora Blaine e vuole bene a Richard e Cooper. Penso che sia molto stanca. È da settimane che fa i doppi turni perché la dottoressa Groove è in maternità. Nessuno è un cardiochirurgo meglio di Maribel, lo sanno tutti. Se non fosse così, non avrebbe avuto delle proposte dagli ospedali di tutto il Paese. Senza contare che tua nonna sta peggiorando…”
Santana valutò le parole dell’amica, sapeva che in fondo erano giuste, ma ciò non le imoediva di essere arrabbiata con sua madre.
“Britt, ho sonno, andiamo in camera mia a farci un riposino.”
Brittany sospirò, pensando che Santana per certe cose non sarebbe mai cambiata.
Le due ragazze andarono in camera e si distesero sul letto della latina, che venne abbracciata dall’altra e assunsero una posizione a cucchiaio.
Santana non lo avrebbe mai ammesso ad alta voce, ma le piaceva quando si stendevano e si addormentavano abbracciate, però quel giorno nemmeno quella posizione sembrava tranquillizzarla, le parole di sua madre le continuavano a vagare in testa.
 
TU SEI INNAMORATO DI UNA DONNA MORTA!
 
Santana ricordava abbastanza bene l’unica volta che aveva incontrato Elisabeth Calhoun. Era sempre stata curiosa di incontrarla perché, da che ricordava, l’aveva sempre sentita nominare, sia da suo padre o dagli amici dei suoi genitori, che aveva sempre considerato degli zii. Aveva sempre sentito la sua presenza: era nei racconti di gioventù di sua padre, era in molte vecchie foto della casa, era un argomento di litigio dei suoi genitori, era motivo di tristezza per i suoi zii, era una leggenda tra le persone di Lima…
 
 
Santana era scappata dall’attenzione di sua madre, che era intenta a consolare Cooper, mentre lo zio Richard e Thomas Penpeng accoglievano le condoglianze da parte degli ospiti che avevano preso parte al funerale di zia Melanie.
Era seduta in un angolo, non si era unita a Noah, Lauren e Hunter: sapeva che se lo avesse fatto sarebbe scoppiata in lacrime per Blaine, ma soprattutto per zia Mel. Era terrificante l’idea che la loro adorata e spiritosa zia non ci fosse più e che lei, in casa Anderson, non avrebbe più preparato per loro il campeggio sotto le stelle, raccontando storie magiche e piene di avventure, arrostendo marshmallow davanti al fuoco o preparato la caccia al tesoro per farli divertire.
Dentro di sé, Santana cercava di convincersi che tutto quello fosse solo un orrendo incubo, ma il viso scarno di zio Richard e le lacrime di Cooper raccontavano un’altra storia.
Era rabbiosa per quello che era successo a Blaine, aveva paura che non si sarebbe più svegliato e che la persona cattiva che aveva ucciso zia Mel sarebbe tornata, cercando di finire quello che aveva cominciato. Suo padre l’aveva tranquillizzata, dicendole che davanti alla stanza d’ospedale del suo amico, di giorno e di notte, c’erano stazionati due poliziotti e nessun cattivo avrebbe potuto fargli del male.
 
Santana decise di andare alla ricerca di suo padre. Il rinfresco per il funerale di zia Mel si stava svolgendo a villa Puckerman e lei era contenta: non aveva un particolare desiderio che si svolgesse dagli Anderson, dopo quello che era successo…
Vide zio Aron ai piedi delle scale, con gli occhi gonfi di pianto, un livido che si stava formando sulla mascella e i vestiti sgualciti, ma non si soffermò su di lui perché le sembrò di sentire la voce di suo padre nel giardino della cucina. Velocizzò il passo facendosi guidare dalla voglia di essere consolata dal suo papà, ma arrivata non trovò nessuno.
Si sentì abbattuta e decise di andare a sedersi sull’altalena, ma solo pochi passi e inciampò su se stessa, finendo per terra.
Scoppiò in lacrime, non si era fatta niente, ma stava  male.
Santana dopo un paio di minuti sentì dei passi che le si avvicinavano.
“Ehi piccola, stai bene?”
Le chiese una donna sconosciuta, ma lei singhiozzava troppo per rispondere.
“Ti prenderai un malanno a stare distesa nell’erba ghiacciata, i metereologi dicono che quest’anno, se le temperature continuano a restare intorno allo zero gradi, Lima avrà un bianco Natale.”
Santana venne aiutata a rimettersi in piedi dalla sconosciuta, che continuava a parlarle in maniera allegra.
“Ti piace la neve?”
“Mi fa schifo!” strepitò rabbiosa la bambina e la donna ridacchiò.
“Perché ti fa schifo?”
“Perché tu lo trovi divertente bagnarsi con l’acqua fredda?”
“Ma la neve è acqua ghiacciata.”
“Appunto! È anche peggio!”
“Su, smettila di piangere, e vieni qua che ti soffio il naso e puliamo quei begli occhi neri che hai.”
Santana, per istinto, avrebbe voluto rifiutare, ma quella signora profumava di buono e aveva una bella voce, dolce, e lei non voleva star da sola.
“Soffia.”
La bimba fece come le era stato detto e dopo che la donna le aveva asciugato la faccia dal pianto, si concesse ad osservarla: era bella, aveva un folta capigliatura castana, raccolta in un ordinato chignon che  le lasciava libero il viso, dove spiccavano gli occhi, che le ricordavano due pozze di cielo, e un sorriso rassicurante. Ebbe la sensazione di conoscere quella donna, ma non sapeva dove poteva averla incontrata…
“Eri un’amica di zia Melanie?”
La donna inclinò la testa e Santana notò gli occhi della sconosciuta divenire lucidi.
“Sì.”
“Come l’hai conosciuta?”
“Quando eravamo piccole… Il tuo vestito si è sporcato. Aspetta che ora proviamo a pulirlo.”
Santana abbassò lo guardo e vide che era sporca di un po’ di fango all’altezza delle ginocchia. La donna con una salvietta cercò di togliere la macchie e ci riuscì, anche se era rimasto un leggero alone marrone.
“Ora sei abbastanza pulita, ho tolto solo il fango umido. Santana però sarebbe il caso che ti coprissi, non ti fa bene a dicembre stare fuori senza cappotto.”
Alla bambina ci volle un momento per registrare che la sconosciuta l’aveva chiamata per nome.
“Sei raccapricciante, tu sai il mio nome e io non so il tuo.”
Una risata scappò alla donna.
“Mi chiamo Elly, Piacere.”
“Piacere.-disse intimidita la bambina al bel sorriso della signora.- Aspetta un momento, ma come sai il mio nome?”
“Conosco bene anche il tuo papà, pequeña.[1] E appena nata ti ho anche tenuto in braccio.”
“Conosci anche la mia mamma?”
“Certo che conosco anche Maribel. Ma ora vieni che rientriamo.”
Elly allungò una mano verso di lei, che la prese e si fece guidare in casa.
“Incredibile in questa cucina ci sono ancora le stesse macchie di caffè sui muri. Strano che Aron non abbia riverniciato.”
“Gli zii non riescono a mettersi d’accordo su che colore ridipingere la cucina. Zio Aron la vorrebbe gialla e zia Rikva vorrebbe una carta da parati fiorata.”
Elly scoppiò a ridere divertita.
“Si decisamente è da Aron non mollare il punto e Rikva è cocciuta quanto lui. ”
La porta della cucina si aprì ed entrò Aron con aria trafelata, che appena vide Santana tirò un sospiro di sollievo e poi si voltò nella direzione da cui era venuto e gridò:
“La piccola peste è qui.”
“Non sono una peste, io sono il terrore di Lima Heights Adjacent!”
“Me la sono fatta nelle mutande.”
“Faresti bene, sorella.” Rispose la bambina, guardando Elly con un cipiglio strafottente e buffo allo stesso tempo.
Lo scambio di battute comunque non proseguì perché Aron disse:
“Elisabeth, ma...”
“Ho letto di Melanie sul giornale.”
Santana guardò i due adulti scambiarsi sguardi gravi e l’aria nella stanza divenne pesante e piena di imbarazzo, esattamente come quando lei tornava da scuola con una nota e sua mamma era molto arrabbiata. Si voltò verso Elly e le diede una sberla sul ginocchio.
“Cosa hai fatto? E poi ti chiami Elisabeth e non Elly... sei bugiarda!”
“Non sono bugiarda. Elly è l’abbreviativo del mio nome.”
“Allora cosa hai fatto? Zio Aron fa quella faccia spaventosa quando Noah lo fa arrabbiare. Non mi freghi, culo bianco.”
“San!” La rimproverò Aron.
“Ma la piccola ha un punto-si intromise Elisabeth - ho fatto qualcosa, sai sorellina? Anni fa sono scappata.”
Alla bambina ci vollero pochi secondi perché una lucina le si accendesse in testa, quella Elisabeth era la donna dei racconti del suo papà, quella sua amica d’infanzia che era andata via senza una spiegazione. Quella donna era colei che gli anziani di Lima parlavano ancora timore, perché apparteneva ai Calhoun. Ai più credenti, aveva visto più volte  farsi il segno della croce quando quella famiglia veniva nominata.
“Io so chi sei. Tu sei quella che abitava con il mio papà, in casa mia. Sappi che io ho la tua stanza e che non te la ridò, nemmeno se piangi. È mia!”
 
Santana stava per commentare trionfante quando sulla soglia comparve suo padre, che fece un’espressione che non gli aveva mai visto: triste, nostalgica, furibonda e qualcosa che non sapeva ben decifrare.
Di solito, se aveva paura di far arrabbiare uno dei suoi genitori quella era sua madre, mai suo padre che di solito era divertito, anche se la puniva per le sue marachelle. Era sua madre quella che faceva le espressioni spaventose o di delusione, mentre suo padre era colui che sorrideva o che andava in giro con aria pensosa, perso in un mondo tutto suo.
“Ciao Luis.”
“Elisabeth.”
Santana guardò i due adulti, spostando la testa ad ogni scambio di battuta e lo stesso fece zio Aron.
“Non sapevo che eri tornata.”
“Solo per il funerale.”
“Ti presenti solo per i sensi di colpa? Melanie era tua amica. Non puoi presentarti solo dopo la sua morte.”
“Sono un’adulta, Luis. E gli adulti fanno scelte e cambiano città a volte. Non avevo motivo di rimanere.”
“Non sto dicendo che non potevi cambiare città, ci mancherebbe, ma almeno includerci.”
“Ogni tanto per ricominciare bisogna togliere la zavorra.”
“Anche Charlie era una zavorra?”
Santana era confusa, non capiva perché suo padre parlava con Elly di bisnonno Charlie.
“Tu che pensi Luis? Charlie è il passato e noi siamo qua. Vivere nel passato non ha senso.”
“Non vai più sulla sua tomba?”
“Penso che pagare la mia quota al cimitero sia solo ciò che ti deve interessare. Non ti riguarda quello che faccio o quello che penso.”
Santana pensò che fosse strano che qualcuno fuori dalla famiglia pagasse metà delle tomba del suo bisnonno o che qualcuno facesse a loro della beneficenza…chissà se quella signora gentile le avrebbe regalato la bambola che voleva tanto se solo glielo avesse chiesto…
“Santana vai di là, non voglio che stai nella stessa stanza di una stronza.”
Santana avrebbe voluto rimproverare suo papà per la parolaccia che aveva detto, ma capì che non era il caso e poi, quando era da sola, le usava anche lei per giocare con le sue bambole quando le faceva litigare fra loro, alternando stronzetta e bastarda.
Decise di ubbidire, ma prima di andarsene diede un’ultima occhiata a quella signora così bella e gentile. I loro occhi si incontrarono e vide la tristezza che le parole di suo papà avevano creato, ma ricevette un sorriso che era solo per lei.
“Ciao piccola pantera di Lima Heights.”
“Hai sbagliato signora birichina! Ti ho detto che io sono il terrore di Lima Heights Adjacent! E quel Adjacent vuol dire tutto!”
“Santana vai di là!”disse severo Luis.
 
Solo alcuni anni dopo la latina avrebbe capito che suo padre aveva avuto ragione a definire Elisabeth una stronza. Quella donna aveva abbandonato tutti i suoi amici più cari lasciando solo un biglietto, chiedendo di non cercarla, ferendo soprattutto zia Melanie, che da un giorno all’altro aveva perso la sua migliore amica, e suo padre, che la considerava una persona molto importante.
Crescendo aveva capito che la rabbia di suo papà non era verso una sorella perduta, ma forse verso una donna che aveva amato più di sua madre. E quel pensiero le fece male e la riempì di rabbia.
Quando aveva incontrato Kurt, lei sapeva benissimo chi era lui e avrebbe voluto fargli le condoglianze, raccontargli che aveva incontrato suo madre, ma era stata zitta sia perché c’era Blaine e sia perché non era sicura se fosse un qualcosa da raccontargli.
 
 
“Che cosa stai pensando?” chiese Brittany, interrompendola dai suoi pensieri.
“A delle puttane che si intromettono nei matrimoni degli altri.”
“Tecnicamente Elisabeth e tuo padre, da quello che ho capito, erano qualcosa ben prima che arrivasse tua madre. Tuo padre ha scelto di stare con tua madre, che è gelosa. Ma è normale che lo sia, vede tuo padre preoccuparsi tanto per Kurt, ma Luis è stato cresciuto dai Calhoun... avrà sempre un debito nei loro confronti.”
“Britt, mio padre e la madre di Kurt sono stati insieme. Cosa hai da dire su questo?”
“La gente si molla tutti i giorni! Guarda te, Puck e Zizos.”
“Detta così sembra che eravamo un terzetto.”
“Senti Santana, se hai tanti dubbi, entriamo nello studio di tuo padre e guardiamo le carte.”
“Papà tiene sempre chiuso quel dannato studio.”
“Per ASGARTTTTTTTTTTTTT!” urlò Alma nella stanza accanto.
“NONNA FINISCILA!”
 
 
Blaine era nel suo letto a ripensare agli eventi della giornata. Suo padre e suo fratello, dopo quello che era accaduto a Kurt a scuola, erano stati molto agitati e preoccupati: gli avevano raccomandato, per l’ennesima volta, di fare attenzione a che nessuno scoprisse la sua omosessualità.
Guardò ancora una volta il cellulare, Kurt gli aveva scritto un messaggio nel quale gli diceva che l’indomani non sarebbe andato a scuola e che gli avrebbe spiegato tutto quando si sarebbero visti la mattina presto per far fare la passeggiata a Bob.
Sospirò, non aveva sonno.
Suo padre era andato all’ospedale per un’urgenza e suo fratello era tornato a Columbus, il giorno dopo avrebbe avuto le lezioni all’università e lui era solo in casa.
Appena suo padre era uscito aveva inserito l’allarme, in modo che fosse al sicuro che nessuno potesse entrare, ma lo stesso, quando era solo, aveva preso l’abitudine di chiudersi a chiave nella stanza. Lo faceva per sentirsi sicuro e protetto, suo padre aveva una copia della chiave della sua camera, la usava per controllarlo quando tornava a casa, per assicurarsi che stesse bene.
Dopo l’omicidio di sua madre, Blaine non sopportava molto le finestre aperte in stanze che non ci fosse nessuno a controllarle o che la porta di casa non fosse chiusa a doppia mandata, anche quando lui era dentro. Erano gli stessi comportamenti di sua madre e non erano serviti, ma lei non era vissuta nell’angoscia che qualcuno sarebbe potuto tornare a finire un lavoro andato storto…
Blaine si sentiva stressato in quel periodo, gli incubi sulla morte di sua madre erano tornati prepotentemente, e suo padre e Cooper avevano la speranza che la sua mente alla fine gli facesse ricordare qualcosa di più e desse un indizio, che Allen riuscisse a collocare per trovare l’assassino.
Mark, il suo psicoterapeuta, invece gli diceva di essere il più tranquillo possibile, cercava di convincerlo che i sogni che stava facendo erano degli enormi progressi e che avrebbe dovuto essere orgoglioso di sé stesso. In realtà Blaine si sentiva un fallimento per non riuscire a ricordare nulla e lasciare a piede libero l’uomo che aveva ammazzato sua madre. Ogni giorno di libertà di quel farabutto, era uno in più in cui lui e la sua famiglia si avvelenavano dell’odio, del sospetto e della paura verso gli abitanti di Lima…
Blaine era disteso in ascolto dei rumori della casa, cercando di rilassarsi e scacciare i pensieri negativi che gli giravano in mente, ma più cercava di farlo e più sembrava che i brutti pensieri lo assalissero.
“Che palle, cazzo!” sbottò irritato.
Sapeva che non si sarebbe addormentato presto e che doveva trovare qualcosa per distrarsi, vagliò le sue opzioni. Leggere non ne aveva voglia, vedere un porno sul computer era da scartarsi: il suo pc era un fisso e quindi avrebbe dovuto uscire dal letto e non ne aveva voglia, stava troppo bene dove stava.
L’unica opzione che aveva per distrarsi era masturbarsi, ma non aveva voglia di sporcarsi... però poi ebbe un’illuminazione...
Blaine si alzò dal letto e andò verso un comò e aprì il cassetto della biancheria e, dopo un’attenta selezione, scelse un paio di calzini di spugna pesante. Li srotolo e tornò nel letto.
“Blaine Junior stasera conoscerai il posto dove i miei piedi passano la maggior parte del loro tempo.”
Dichiarò solennemente il ragazzo, togliendosi i pantaloni e le mutande.
‘Dunque ora devo scegliere il protagonista delle mie fantasie…mmm... Sam fa sempre un figurone, ma se è sempre lui poi mi viene alla noia. Il barman dello Scandal? Mmm stasera no. Voglio qualcuno di più fine... ma mi attizza il fatto che è più grande…l’infermiere Jonathan? naaa, mi ha dato troppo fastidio che corresse dietro a Santana. Mmm... potrei immaginarmi con il bell’uomo che ho conosciuto stasera… Etienne Smythe, preparati a divenire protagonista dell’immaginazione sporca di un sedicenne!”
 
Blaine si lecco il palmo della mano e si cominciò a massaggiare con attenzione il membro, immaginando la situazione...
 
Casa era vuota, Blaine entrò nella sua camera e vi trovò un ospite inatteso, seduto sul suo letto. Etienne Smythe lo osservava con un sorriso divertito, vestito con una camicia bianca e pantaloni di sartoria che gli stavano a pennello.
“Signor Smythe sapevo che l’avrei trovata qui.”
“Ah... era così evidente il mio interesse per te, Blaine?” disse Etienne, alzandosi dal letto e avvicinandosi con fare predatorio.
“So di essere di essere molto desiderabile.” Disse Blaine, guardando negli occhi l’uomo e sibilando sulle sue labbra.
“Sì, lo sei. Quando sei entrato in salotto con Kurt non riuscivo a staccarti gli occhi di dosso!”
 
Blaine non riuscì a spingere la sua immaginazione oltre, gli era venuto in mente Kurt e il comportamento paterno che Etienne aveva avuto verso il suo amico. Lui per regola non immaginava mai i padri dei suoi amici in certe situazioni, gli faceva troppo senso.
‘E che cazzo! Tecnicamente non è neanche suo padre! Ma che problemi mi devo fare?!’
Blaine cercò di rilassarsi di nuovo, con ormai il suo membro duro nella mano, e provò a riprendere la sua immaginazione, ma il volto di Kurt fece di nuovo capolino.
‘Ohhh, andiamo di questo passo Blaine Junior mi torna moscio!’
 
Lui ed Etienne si fissarono.
 “Blaine, ho portato una bottiglia di vino… rosso. Un pregiato elisir dai vitigni della California.”
“Come facevi a sapere che i vini Californiani sono i miei preferiti?”
“Lo so e basta.”
 
‘Ma che cazzata abnorme è?! Chi se ne frega del vino! Perché dovrei farmi così tanti scrupoli?!’
Blaine sospirò frustrato, sapeva che se non cambiava soggetto non avrebbe fatto nulla. Nella sua testa vagliò i possibili candidati per cominciare una nuova fantasia prima che tutta la sua eccitazione scemasse.
Improvvisamente nella sua mente si formò l’immagine di Kurt di spalle in canottiera e boxer aderenti, che fasciavano il bel sedere alto e tondo.
‘Ok ha quindici anni ed è sicuramente ancora vergine…sa un po’ di latte. No non posso immaginarlo, che persona sarei? Però è vergine e i suoi tesori non sono ancora stati toccati da nessuno… non posso essere così tanto pervertito… aspetta, si che posso! E poi è più legale che mi immagino un rapporto sessuale con lui che con Etienne o il barman o l’infermiere Jonathan… Beh tanto so mantenere un segreto non ne parlerò con nessuno!’
 
Blaine richiuse gli occhi e si rilassò e ricominciò a massaggiarsi.
 
Blaine e Kurt erano in camera di quest’ultimo…
 
‘Aspetta via la faccia piena di lividi, che quella non elettrizza nulla.’
 
Blaine e Kurt erano in camera di quest’ultimo, seduti sul letto e stavano guardando un video sul cellulare.
Blaine si rese conto che Kurt non stava prestando attenzione al display dello smartphone perché lo fissava.
“Stai guardando qualcosa che ti piace?”
“Si, te, Blaine.”
Lui lo guardò compiaciuto e chiese:
“Sono più bello di tutti gli uomini che hai conosciuto?”
“Non c’è paragone, tu sei al di sopra di qualunque essere maschile che popola questo mondo, perfino del divino Brad Pitt.”
“Nella mia vasta esperienza con gli uomini, quando ti fanno complimenti di questo genere e perché vogliono qualcosa… cosa vuoi, Kurt?”
“Voglio che prendi la mia verginità!”
 
‘Buah ahahaha hahaha, sono proprio un porco.’
 
Blaine e Kurt si erano baciati con passione e spogliati con urgenza, lanciando tutti i vestiti in giro per la stanza.
“Blaine… io non so che fare.”
“Non ti preoccupare, ti guiderò io e ti insegnerò tutto quello che c’è da imparare.”
Il ragazzo più grande si godeva della gioia di esplorare il corpo inesperto del suo compagno, che a ogni tocco gemeva come un attore porno consumato e dei complimenti che diceva senza fiato.
“Che lingua divina. Siiiiiii. Blaine, se non la smetti, vengo adesso! Prendimi!”
“Ti devo preparare Kurt o ti farò male. Mettiti a quattro zampe.”
 
‘Dove sei calzino bello?’
Blaine ritrovò il calzino accanto a sé e, con attenzione, vi infilò il suo membro dentro. La sensazione era strana, massaggiò un paio di volte per provare, la spugna del tessuto rendeva tutto molto stimolante.
 
“Mio Dio! Blaine, sì, sì! Non aveva mai capito la frase: sei un vero stallone! Ma ora sì! Sì! Ora so Blaine… sei così grande.”
“Si anche tu non sei poi così male, verginello.”
“Aaaah!! Di più!”
“Se me lo chiedi così! Tieniti forte Kurt... sto per darti quello che vuoi!”
 
Blaine venne, immaginando di farlo dentro Kurt, che lo glorificava come un dio. Gli ci volle un paio di minuti per riprendersi.
‘Cavolo, è stato davvero un plot ben riuscito. Potrei scrivere delle ottime sceneggiature… ho riempito la calza per Natale! Buah Buah Buah.’
Il ragazzo si sfilò con attenzione il calzino e si ripulì il membro sporco di venire e poi lo buttò sotto il letto.
‘Ci penserò domattina’ pensò, mentre si rinfilava le mutande e i pantaloni del pigiama e si ricopriva con le coperte. Era piacevolmente assonnato, stava andando alla deriva quando un pensiero lo colpì:
‘Ho appena fatto la scoperta del secolo… non è la lavatrice che fa sparire i calzini in questa casa… siamo una grande famiglia. Cooper, papà, vi voglio bene… sogni d’oro.’
 
 
Etienne guardò l’orologio, erano solo le nove di sera. Aveva sete, decise di provare a scendere verso il soggiorno e chiedere ai padroni di casa dell’acqua.
Burt, mentre parlavano, in quella che si era rivelata una cena imbarazzante, era venuto a sapere che non aveva prenotato in nessun albergo e gli aveva offerto di fermarsi da loro nella stanza degli ospiti. In un primo momento avrebbe voluto declinare l’invito, perché non voleva di dormire a casa Hummel, ma Kurt lo aveva guardato con così tanta speranza che non aveva potuto.
A Etienne non era sfuggito la sorpresa del meccanico e della moglie alla gioia del ragazzo, con i suoi profusi ringraziamenti. Immaginava come Kurt potesse essere stato con loro. Ricordava ancora quando il ragazzo a undici anni era stato in rotta con Elisabeth, ci erano voluti mesi prima che il rapporto fra madre e figlio si risistemasse...
 
Lui e Kurt erano saliti appena la cena si era conclusa, il ragazzo gli aveva mostrato la sua stanza, che era ancora spoglia ma già traspariva un ambiente rilassante, e si erano messi a parlare e aveva voluto sapere ogni cosa successa. La versione del ragazzo collimava con quella fornitogli da Burt. Gli faceva male sentire come Kurt vivesse rabbiosamente le difficoltà con il padre, la sua non sopportazione per Finn, la tensione di Carole nell’averlo in casa, il rancore di tutta la famiglia Hummel per Elisabeth e soprattutto il rifiuto della sua sessualità da parte della sua nuova famiglia, l’attacco che aveva subito a scuola e le affermazioni e le spiegazioni di Burt.
Etienne aveva ascoltato il ragazzo esternare tutto quello che sentiva e il discorso che avevano avuto subito dopo era stato doloroso…
“Ti prego Etienne, riportami a New York con te.”
“Se ne avessi la possibilità, lo farei in questo stesso momento Kurt. Davvero! Ma non posso.”
“Io ho paura a stare qui.”
Etienne a quelle parole aveva sentito una stretta al cuore, soprattutto quando aveva guardato la faccia piena di lividi di Kurt. Anche lui era preoccupato, ma non poteva dirlo.
“Io con Burt e Carole faremo il possibile per tenerti al sicuro.”
“Come?!”
“Con ogni mezzo possibile.”
Quando gli occhi di Kurt si erano riempiti di lacrime, con dolcezza li aveva asciugati e aveva cercato di confortarlo.
“Kurt, purtroppo la situazione è quella che è. Dobbiamo cercare di tirarne fuori il meglio, ma tu non puoi permettere a un branco di idioti di averla vinta, non dopo quello che ti hanno fatto. Quello che ti è successo qui poteva succederti anche a New York. Gli ignoranti omofobi sono dappertutto.”
Etienne aveva ignorato la sensazione di impotenza quando il ragazzo gli aveva chiesto:
“Burt e Carole non credo che faranno molto, mentre tu come pensi di potermi aiutare da New York?”
“Kurt, sono incazzato nero per quello che ti è successo, ammetto che il mio operato può essere limitato, io non sono il tuo tutore legale. Burt lo è, tuo padre.”
“Allora sono al sicuro!”commentò sarcastico il ragazzo.
“Ascoltami: io, te, Sebastian, Thad, Adrian, Estella e le nonne, siamo una famiglia e non dimenticarti di tua zia Isabelle. Nessuno di noi è legato a te col sangue, ma ti amiamo come se lo fossimo. Il fatto che tu sei qui, e noi a New York non cambia assolutamente il nostro legame con te. Anzi, dopo tutto quello che ti è accaduto, lo ha solo rinforzato.”
“Vorrei svegliarmi e trovarmi a casa con la mamma. Vorrei che tutto questo fosse solo un incubo…”
“Lo so, lo vorrei anch’io.”
 
Etienne aveva esortato Kurt a mettersi a dormire, gli aveva rimboccato le coperte e, dopo avergli augurato la buona notte, aveva deciso di scendere per chiedere un bicchiere d’acqua. Era passato davanti la camera di Finn e lo aveva sentito giocare con qualche videogioco sparatutto e imprecare in maniera rabbiosa a qualcosa che evidentemente aveva sbagliato.
 
Etienne era apprensivo sulla situazione in casa Hummel, l’arrivo di Kurt aveva messo a soqquadro gli equilibri della famiglia, ma c’era da aspettarselo, come era prevedibile la piccola guerra scaturita fra l’adolescente e i suoi membri.
Quello che preoccupava veramente l’uomo era il William McKinley...
 
Una vibrazione nella sua tasca attirò la sua attenzione interrompendo i suoi pensieri, tirò fuori il telefono e vide che c'era un’enorme quantità di messaggi da leggere, li scorse velocemente.
Nel pomeriggio, dopo la sua chiarificazione con i coniugi Hummel, lui e Kurt avevano telefonato a tutti spiegando perché era dovuto partire di fretta e furia per Lima. Il tono generale dei messaggi era di trovare un modo per riportare Kurt a New York, sua madre aveva suggerito anche di rivolgersi a un noto avvocato, amico loro, e di intentare una causa di affido. Etienne sospirò frustrato, ci aveva pensato anche lui, ma era fermamente convinto che Burt meritasse di avere la possibilità di conoscere suo figlio, anche  se non  approvava come stava gestendo la situazione con la scuola... Cosa che non poteva affermare per la punizione di Finn, quella l’aveva trovata adeguata. Il ragazzo per tutto l’anno scolastico non avrebbe più avuto il permesso per le uscire con gli amici, sarebbe dovuto tornare a casa appena terminati gli impegni scolastici e ne Burt ne Carole gli avrebbero più elargito danaro, se non una minima quantità quando sarebbe andato a dare una mano in officina, mentre il resto del suo compenso sarebbe andato in beneficenza a un’associazione per le vittime del bullismo e, per terminare, il giorno dopo avrebbero chiamato la scuola e gli avrebbero organizzato una serie di incontri con la consulente scolastica, per spiegargli quanto fosse stato dannoso il suo comportamento.
 
 Etienne era quasi arrivato nel grande soggiorno di casa Hummel che sentì chiaramente delle voci che non conosceva.
“Non avrei mai immaginato che Finn facesse del bullismo a scuola.”disse una donna in modo contrariato.
“Nemmeno io, Molly.” Concordò Carole.
“Mi sento a pezzi.- esordì Burt.-Ho fallito come padre.”
“Abbiamo fallito insieme, Burt.- commentò con tono stanco Carole.- Non avrei mai creduto che Finn avesse bisogno di fare cose del genere per la popolarità.”
“Non avete fallito.-intervenne una potente voce maschile.-I ragazzi fanno spesso cose sbagliate, ma è compito dei genitori rimproverarli e fargli capire il loro errore per renderli persone migliori.”
“Ha ragione Arthur.- disse Molly- Burt, Carole, essere genitori non ci fa persone perfette. Sbagliamo anche noi e a volte non ci accorgiamo delle debolezze dei nostri figli. Finn sarà anche un bullo, ma non è cattivo e ne stupido. Con la punizione che gli avete dato capirà molte cose e se fossi in voi aggiungerei anche di fargli andare a chiedere scusa a tutti i ragazzi che ha bullizzato.”
“Bella idea mamma.-concordò il meccanico.-Mi è tornato alla mente di quella volta che feci lo scherzo con il miele a Mark Pepperpoth. Mi ricordo ancora quando lo venisti a sapere, mi hai portato per tutta la via, da casa nostra a casa Pepperpoth, tirandomi per le orecchie e mi hai fatto chiedere scusa a Mark, che per il mio scherzo si era fatto male, e ai suoi genitori. Mi sono vergognato da morire e mi sono sentito umiliato del mio stesso comportamento.”
“A Finn potrebbe far bene fare un cosa analoga.”concordò Carole.
“Fargli bene?-chiese Molly.- Gli insegna una lezione di vita meglio di tanti rimproveri e chiacchiere con una consulente scolastica!”
Etienne decise di venire allo scoperto, non era bello ascoltare le conversazioni nascosto.
“Buonasera.” disse attirando l’attenzione di tutti, soprattutto quella di Molly Hummel, che lo studiò con un avidità tale da essere imbarazzante.
“Buonasera a lei.” Rispose gioviale, quello che suppose essere Arthur.
“Kurt?”chiese Burt.
“Dorme. È crollato appena si messo giù. Oggi ha avuto una giornata intensa, per così dire.- poi per sdrammatizzare la situazione aggiunse.-Comunque Bob è su con lui e russa con molto impegno.”
“È incredibile come Kurt riesca a dormire con Bob in camera.-disse ridacchiando Burt.- Finn non è mai riuscito a dormirci e io nemmeno.”
Nel soggiorno calò un momento di silenzio poi Etienne riprese a parlare.
“Scusate la mia maleducazione, è la stanchezza. Mi chiamo Etienne Smythe.” Disse andando a stringere la mano ai genitori del meccanico, che si presentarono con sorrisi caldi e gentili.
“Ho involontariamente ascoltato la vostra conversazione.-esordì Etienne.-Vi volevo soltanto dire… Burt, Carole, che non siete dei falliti, purtroppo a volte i ragazzi, soprattutto quando entrano al liceo, fanno delle sciocchezze, che vanno al di là di quello che gli viene insegnato.”
“Grazie Etienne,-mormorò Carole.-ma queste parole non mi fanno sentire meglio.”
“Lo so.”
“Sono stata ragazza anch’io e so cosa vuol dire la pressione della casta del liceo, ma non mi sono mai chinata a fare tanto per cercare di essere popolare. Una volta, chi faceva quelle cose, era un cretino isolato.”
Arthur mise una mano sulla spalla della nuora.
“Carole, qui non si parla di un elemento singolo con comportamenti scorretti, qui parliamo di ragazzi che trascinano gli altri. Prendiamo questo fatto come un evento positivo per poter raddrizzare una situazione degenerata.”
“Scusami Arthur.- si intromise Etienne.- Non c’è nulla di positivo in questo. Kurt è stato aggredito perché omosessuale. Questo non è più bullismo, ma è un crimine di odio.”
“Crimine di odio, non esageriamo.” Disse Molly, agitando la mano come a togliere una mosca fastidiosa.
“Attaccare una persone perché omosessuale è un crimine di odio! Esattamente come per il colore della sua pelle o per la sua religione.- ribatté con fervore Etienne- E la cosa che mi preoccupa di più che non solo i dirigenti scolastici hanno dimostrato di essere parte del problema di quella scuola, ma anche i genitori, che piuttosto di riconoscere le colpe dei figli, hanno fatto di tutto per levargliele.”
“Si su questo sono d’accordo anch’io,- commentò Arthur con un sospirò.-danno un messaggio sbagliato a quei ragazzi.”
 “Esatto e non solo a loro, ma a tutto il corpo studentesco. Trovo desolante, da quello che ho capito, che solo tre adolescenti si siano opposti. Tre su tutta una scuola. Non è la prima volta che a Kurt succede di trovarsi vittima di un episodio omofobo, ma non era così solo. Molte persone si indignarono e la scuola dovette prendere atto che c’era un problema ed è stato affrontato.”
“Quando?”chiese curioso Burt.
Etienne notò un espressione di disagio sul volto di Carole, ma fece finta nulla.
“Dovete sapere che Kurt si è dichiarato omosessuale quando era molto giovane, aveva undici anni, quasi dodici.”
“Undici anni!? -chiese Molly incredula. -Troppo giovane per capire davvero cosa potrebbe piacergli.”sentenziò.
“Non è vero.- disse immediatamente Etienne.- Kurt è stato onesto con se stesso ed è sempre stato un bambino precoce per la sua età, forse dipende dal fatto che avere l’atresia esofagea lo ha portato a essere più responsabile a attento rispetto a un bambino normale.”
“Ma andiamo, undici anni?!”disse in tono polemico l’anziana donna.
“Finn a che età ha avuto la sua prima fidanzatina o le prime cotte?”domandò spazientito l’architetto.
“Dodici anni.-ammise Carole.-forse prima.”
Molly fissò Etienne con disappunto per essere stata smentita.
“Quindi cosa successe a Kurt?”domandò curioso Arthur, per distrarre la moglie.
“Elisabeth, quando Kurt venne fuori lo sostenne in pieno, fatalmente un mese dopo che era uscito a New York ci fu il Gay Pride. Li accompagnammo tutti.”
“Tutti chi?”chiese puntigliosa Molly.
Etienne cercò di mantenere la calma.
“Io, mio figlio Sebastian, mia madre, Isabelle, una carissima amica e collega di Elisabeth, I coniugi Harwood con loro figlio Thad e nonna Harwood. ”
“Però... un bel po’ di persone.”commentò con ammirazione Arthur.
“Già.- Etienne sorrise al ricordo.-Facemmo delle foto di quel giorno ed Elisabeth ne postò alcune su facebook. Un genitore di un compagno di classe di Kurt le vide e venne fuori un casino. Per farla breve il figlio di quest’uomo insultò Kurt che rispose all’insulto. I ragazzi vennero convocati dal preside con i genitori. Il padre del ragazzo, che era un cristiano convinto, disse in faccia a Elisabeth una sequela d’insulti fra cui che Kurt sarebbe stato meglio morto che Frocio.”
“Cosa?” Burt chiese incredulo.
“Sul serio?”aggiunse scettica Carole.
“Oh sì.-confermò ridendo Etienne.- Elisabeth finì per dare un cazzotto in faccia a quell’uomo. Arrivarono perfino davanti a un giudice, che diede ragione a lei.”
Carole fu colpita dalla storia.
“Vedi che succede a dire in giro di essere omosessuali?!”Disse Molly, come se volesse intendere molte cose.
“Perché c’è qualche problema?- Domandò chiaramente innervosito Etienne -Me lo dica chiaramente perché, oltre Kurt, anche mio figlio Sebastian e il loro amico Thad sono omosessuali. E io sono orgoglioso dei miei tre ragazzi! Non accetto che vengano sminuiti perché amano una persona del loro stesso sesso.”
Burt rimase scioccato dalla rivelazione, anche perché aveva incontrato i due ragazzi e non avrebbe mai detto che erano omosessuali.
“Si calmi.-disse gentile Arthur- Mia moglie non lo intendeva in maniera negativa. Era più sconvolta della cattiveria delle persone verso Kurt.”
Tutti nella stanza erano consci che Arthur aveva cercato di quietare una situazione già di per sé difficile.
Etienne fece un profondo respiro e poi riprese a parlare.
"Mia Madre e Carmen verranno qui con Sebastian e Thad  giovedì sera per restare tutto il fine settimana con Kurt. So cosa pensate dell'omosessualità in questa famiglia, ma spero di non sentire che mio figlio o Thad siano stati oggetti di commenti sgradevoli da parte di nessuno in questa casa, nella loro breve permanenza, anche perché contiamo di venire a Lima spesso e non vorremo farlo come ospiti sgraditi.”
Carole lanciò un’occhiata a Etienne, che fissava rabbioso Molly che per una strana decenza era arrossita un pochino, capendo di essere in parte protagonista dell'avvertimento dell'uomo.
“Sebastian e Thad verranno qui giovedì, eh?- chiese Burt.- Hanno già dove dormire?”
“Burt, ma sei impazzito?! Vuoi mettere a dormire tre adolescenti gay nella stessa casa?”
Tutti si voltarono verso Molly Hummel, maledicendo la sua boccaccia.
 
 
“Blaine dovevi esserci per vedere le facce sconvolte di Puck e Azimio quando i loro padri hanno proclamato che per punizione, indipendentemente dalla riuscita della lavanderia della pulizia dei miei vestiti, lavoreranno nella officina di Burt per tre dollari l’ora.”
-Quanto è che ti devono?-
“Se i vestiti sono rovinati sono tremila dollari a testa. In sostanza i loro padri mi ripagano i vestiti e loro per punizione lavoreranno 1000 ore gratis da Burt.”
Alle parole di Kurt, Blaine spalancò la bocca dalla sorpresa, ma si riprese abbastanza in fretta per scrivere sul suo taccuino.
-Lavoreranno solo per tre dollari l’ora!? Questo è schiavismo!-
“Se li avesse pagati a prezzo pieno dove sarebbe stata la punizione?! Serve per fare in modo che pensino a quello che hanno combinato con Burt, che ha assicurato che non sarà per nulla morbido.”
-Sbaglio o per tutto ciò Katrina è squirtata?
Kurt ci mise un momento per capire le analogie di Blaine.
“Tu fai proprio schifo e poi noi uomini non facciamo quella cosa lì, ma lo fa l’organo sessuale delle donne.”
‘Cazzo ma sto qui è proprio la reincarnazione di una vecchia pudica.’
-Te lo scrivo una sola volta: accademicamente si chiamano pene e vagina, mentre se vuoi essere volgare dici cazzo e figa, se devi parlare con un bambino sono patatina e pisellino. Ma se eri un bimbo dotato come me si dice pisellone bello.-
Kurt lesse il messaggio e poi guardò Blaine scuotendo la testa.
“Di solito quelli che si lodano così è perché ce l’hanno piccolo.”
Blaine lo guardò offeso e si cominciò a slacciare i pantaloni, per mostrare in tutta la sua grandezza addormentata Blaine junior, fregandosene che erano le sei di mattina di una fredda giornata di Novembre e che erano nelle vicinanze del bosco al limitare delle loro case.
Blaine poteva scherzare su molte cose: la sua scarsa statura, le sue sopracciglia a triangolo e perfino i suoi capelli cespugliosi e indisciplinati. ma non sul suo pene. Fra le gambe si ritrovava l’ottava meraviglia del mondo, perché sminuirla o prenderla in giro?
“Blaine non ti azzardare a fare cose sconce!” lo rimbrottò Kurt.
Blaine mise su il suo miglior sorriso innocente e poi, con ancora maggiore foga, armeggiò con la cintura dei pantaloni e Kurt, preso dal panico, disse la prima cosa che gli venne in mente per bloccarlo.
“Finiscila, Bob ha solo un anno, non puoi fare queste cose e traumatizzarlo!”
Bob, che quel momento stava annusando il prato felicemente, sentendosi chiamato in causa si voltò un attimo a guardare verso i due ragazzi, ma riprese a annusare gli odori freschi del prato: aveva di meglio da fare che occuparsi di quei due babbei.
Il riccio alle parole di Kurt rimase un momento interdetto e poi recuperò carta e penna e prese a scrivere furiosamente.
- Bob mostra il suo pene a tutti e se lo lecca davanti a chiunque.-
“Ma lui è un cane.”
-Va bene e lo stesso. Se lo fa lui lo faccio anch’io.-
“leccarti il pene?!”
-Mica mi chiamo Marylin Manson che mi sono fatto togliere le costole per farmi i pompini da solo. Se ne voglio uno, ho la fila di ragazze a scuola che sarebbero disposte a farmelo.-
Kurt lesse l’ultima nota di Blaine scritta nella sua calligrafia frettolosa e leggibile quel minimo indispensabile.
“Senti, ok, ho capito che sei uno stallone da monta, ma non me ne frega niente!”
Stallone da monta? Nelle mie fantasie non eri così schifato che ero uno stallone da monta... che bello il tuo culo… mi ci farei volentieri un giro.
“Blaine, ti sei incantato?”
Il ragazzo riccio sospirò e scrisse:
-Sai che c’è? Non sei ancora degno di vedere l’ottava meraviglia del mondo.-
“Intendi i tuoi attributi?”
-Ti assicuro che non hai mai visto nella vita reale e nemmeno nei porno un’attrezzatura bella come la mia.-
“Parli come se tu ne vedessi ogni giorno dei peni.” Rispose scocciato Kurt.
-Sono nella squadra di football. In spogliatoio ho visto nudi tutti i miei compagni di squadra. Puckerman, Evans e Chang hanno una bella attrezzatura nelle mutande, ma io li batto alla grande. Quanto ai porno ne ho visti un sacco. Siano lodati la linea internet e YouPorn e tutti gli altri siti di porno gratuiti.-
“Oh avanti, fai schifo!”
-Una volta guarderemo dei porno insieme, etero, gay e lesbico!-
“Ma noi non guarderemo una cosa del genere insieme! Come fai a guardarli? Fanno schifo!”
-Ma allora sei un porcellino anche tu! Quali porno hai visto?-
“Ne ho aperto uno una volta e l’ho trovato imbarazzante e ridicolo.”
-Tipica risposta da verginello.-
“Guarda che ho anch’io le mie esperienze sotto la cintura! Io e il mio ex ragazzo non ci siamo solo guardati negli occhi.”
Kurt si vergognò un po’ a dire in un impeto di rabbia a Blaine che con Adam era successo qualcosa, ma si sentiva come se l’altro lo trattasse come un bambino solo perché aveva 8 mesi più di lui ed era andato a letto con qualche ragazza.
Blaine lo guardò colpito e gli dette fastidio sapere che Kurt non era così puro come pensava.
-Allora raccontami la tua prima volta con il tuo ragazzo e io ti racconterò la mia.-
“Sono ancora vergine, non mi sono spinto così lontano.” ammise il ragazzo arrossendo.
-C’era da immaginarselo che non avresti dato ne il culo o il pene così facilmente-
“Blaine finiscila. Sei offensivo.”
Blaine rise della faccia arrabbiata di Kurt e poi scrisse:
-La mia prima volta è andata alla grande perché io sono come il mio pene: IMPRESSIONANTE!-
“Mi dispiace per la poveretta che ti ha tolto la verginità perché sei un cazzone.”
-Me lo ha detto anche lei quando ho liberato il mio sacro bastone.-
“Io sono cretino che ti lascio il tempo di scrivere tutte queste stronzate ”                                                    
Blaine rise e lasciò Kurt indietro per andare a rompere le scatole a Bob, che era intento a scavare con impegno una buca e di tanto intanto annusava la terra come se seguisse qualche traccia.
In un primo momento, il cane non prestò attenzione a Blaine, ma quando si sentì rivolgere un abbaio, smise di scavare e si voltò verso il ragazzo che abbaiò di nuovo e si protese verso la buca, che aveva scavato con tanto impegno…
Blaine ridacchiò quando vide Bob scoprire i denti e proteggere al meglio la buca con il proprio corpo.
“Finiscila! Lascialo stare dai, povero Bob.”
Anderson si girò verso Kurt e gli abbaiò.
“Sei un deficiente.”
 Il riccio prese a ringhiare mostrando i denti.
“Certo che sei piuttosto vocale per essere muto.”disse sarcastico Kurt.
Blaine smise immediatamente di fare il cane e prese a scrivere con furia sul proprio quadernetto e poi lo passò a Kurt, che ci mise un momento a decifrare la scrittura dell’altro.
“Il mio Mutismo Selettivo non significa che io non posso parlare, significa che parlo dove io mi sento a mio agio. A casa mia, con i membri della mia famiglia e pochi altri, parlo liberamente e sono anche molto vocale. Mentre sono completamente muto a scuola e dovunque altro posto… ”
Kurt rimase un momento confuso da quello che aveva letto e ripassò il quadernetto a Blaine, che lo fissava con un sorrisetto.
“Tu davanti a me emetti dei suoni.” Disse semplicemente come a evidenziare un dato di fatto.
Blaine sospirò e poi scrisse sul suo quadernetto e poi lo passò a Kurt.
“Tu non mi metti ansia e mi sai ascoltare e non è un peso per te il fatto che io non parli o ci metta secoli a scrivere su della carta quello che voglio dire.- lesse Kurt poi guardò Blaine che si era ripreso il quaderno e disse.- Non sto capendo.-ammise- Tu con me emetti dei suoni perché ti senti rilassato?”
-Tu sei come me, ovvero ti trovi in una situazione di merda e nessuno qui ti capisce.-
Kurt guardò Blaine con ancora più confusione non sapendo come rispondergli. Decise di optare per una risposta sincera.
“Molly mi ha vagamente accennato di tua madre e del tuo mutismo.”
Blaine si strinse nelle spalle e gli sorrise con un sorriso freddo e Kurt capì di aver toccato quell’argomento nel momento sbagliato e decise di porre rimedio facendo finta di niente, continuando il racconto come se nulla fosse.
“Ho incontrato di gente che parla alle spalle degli altri, ma parola mia, Molly Hummel lo fa davvero a macchinetta e ne ha per tutti.- disse Kurt enfatizzando con un tono infastidito il discorso.- pensa che dopo mi ha parlato male dei Lopez.”
Blaine spalancò gli occhi incredulo e Kurt ridacchiò e con tono cospiratorio si avvicinò di più al ragazzo.
“Molly, in modo particolare, ce l’ha con Santana perché chiama Finn con dei nomignoli.”
Blaine ridacchiò e Kurt si buttò in un’imitazione di Molly Hummel, enfatizzando tutti i suoi modi di fare.
“Frankenstein, bietolone e Finnonce. Dimmi Blaine, ti sembra simpatico che quella ragazzina chiami così il mio nipotino? Qui a Lima non c’è nessuno più maleducato di lei!”
Blaine rise di gusto all’imitazione che era impeccabile e trovava irresistibile il modo in cui Kurt camminava leggermente a papera, con dei tacchetti immaginari, sembrando esattamente nonna Hummel.
-Sei bravissimo a impersonare Molly.- scrisse
“Grazie.”
-Ti manca solo una parrucca rosso fuoco e sei lei.-
“Ma non dire fesserie, per mia fortuna sono la coppia sputata di mia madre! Anzi, dovevi vedere Molly appena mi ha visto! Sei un Calhoun. Lo ha detto come se dovessi vergognarmene, lei lo fa di sicuro. Sarebbe stata estatica se fossi stata la coppia di Burt ed etero.”
Blaine rise ancora più forte alla faccia indignata di Kurt e gli diede due pacche sulle spalle, in segno di solidale simpatia.
“Ora Blaine, ti svelo un segreto…” Disse Kurt con fare cospiratorio e avvicinandosi tanto che il riccio si trovò vicinissimo al viso dell’altro ragazzo, tanto che notò che i lividi sul viso facevano uno strano contrasto con gli occhi vispi.
“Che Molly Hummel e la sua lingua vadano a fanculo!” sussurrò.
Blaine assunse un’espressione fintamente scandalizzata, mise una mano sul fianco e gli punto l’altra muovendola su e giù come a rimproverarlo severamente.
Kurt scoppiò a ridere divertito e Blaine lo seguì e, quando sembrava che uno dei due stava per smettere,  bastava uno sguardo per riprendere a ridere.
“E dire che non era nemmeno così divertente.”
‘Questo lo dici tu. Io mi sono immaginato la faccia scandalizzata della vecchia e ti posso assicurare che sarebbe da dirglielo in faccia.’
Kurt si perse ad osservare il paesaggio intorno a sé: gli alberi del bosco si stagliavano su di lui e le uniche due case erano quella di suo padre e degli Anderson, nel suo stomaco sentì una spiacevole sensazione di vuoto.
Lui non era abituato alla natura e al suo tranquillo canto, lui era cresciuto in una giungla di asfalto e trovava confortante uscire di casa e vedere la vita caotica di New York.
Sospirò sconsolato e Blaine lo fissò, non capendo che cosa avesse intristito l’altro. Non lo chiese, non aveva voglia di scrivere ancora, così gli mollò uno spintone e lo buttò a terra.
“Ma sei scemo?- gli chiese Kurt incazzato.- Perché mi hai spinto?”
Blaine gli si sedette di fianco  e indicò il cielo, che era divenuto di un caldo rosato.
Kurt guardò il sole che stava sorgendo dietro il bosco, era uno spettacolo bellissimo, ma che non riusciva ad apprezzare pienamente.
“Non serviva spingermi a terra, rovinandomi la tuta, per farmelo vedere.”
Blaine alzò gli occhi al cielo e di malavoglia riprese il suo quadernetto per scrivere una risposta.
-Dai, non essere petulante. Se vuoi vado anch’io a lavorare per tre dollari l’ora all’officina di Burt e ti risarcisco la tuta rovinata.-
“Finiscila.-disse Kurt, ridendo.- E poi con quel collare cosa pensi di fare? Devi guarire, non lavorare.”
-Disse quello che aveva la faccia come un quadro di Pollack.-
Kurt rise e Blaine si perse un momento ad osservarlo. Certo, Kurt non era la solita bellezza che piaceva a lui: era piccolo e petulante, ma aveva qualcosa che lo attirava e se ne rese conto solo in quel momento.
‘No merda santa tu non puoi piacermi. Sei di un anno più piccolo di me sei praticamente un moccioso! E io sono impegnato in una relazione con il culo e l’addominale di Sam Evans!”
 
 
L’angolino della tazza di caffè…

 
Miei cari lettori rieccomi qui dopo tanto tempo, spero che qualcuno legga ancora questa storia e se qualcuno la legge vi ringrazio della pazienza che avete ad aspettare gli aggiornamenti e delle recensioni che mi lasciate che sono meravigliose.
 
Ecco la mia pagina Fb  dove troverete notizie sull’aggiornamento della storia:
 
https://www.facebook.com/pages/Schifottola/598579906836059
 
Un bacione e a presto
 
[1] Pequeña=Piccola

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Capitolo 16
*** Il vero nome della maledizione dei Calhoun ***






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Rieccomi qui dopo un sacco di tempo... ho avuto un sacco di casini... Ma se tutto va bene ho ripreso in mano questa storia ed è uno dei mie obbiettivi portarla a termine.


Spero che non mi abbiate dimenticata! Intanto vi auguro buona lettura ;)





Timothy Stone guardava con occhi vuoti il fascicolo che aveva aperto sulla scrivania con la foto di Elisabeth Calhoun in cima a tutta la pila di carte. La foto era uguale a quella che aveva appeso sulla lavagna e che con una freccia si collegava alla foto di Nathan Forrest Bedford, l’uomo ubriaco che l’aveva investita la notte di quel maledetto 4 Ottobre.
Timothy alzò lo sguardo su Lowen, che in quel momento fissava con rabbia lo schermo del computer.
“Ehi Uomo nero.”
“Dimmi Tim.”
“Come faremo a dire a Kurt questa orrenda verità?”
Lowen fissò il suo migliore amico e collega. Sapeva dell’amicizia che legava Tim ed Elisabeth, nata dopo la notte che Kurt undicenne era scappato nei meandri di Central park. Per non parlare di Christian, il fratello di Timothy, che essendo uno psicologo della PFLAG aveva seguito la piccola famiglia nell’elaborare le paure di Kurt, fino a portarli diventare membri attivi dell’associazione.
“Non lo so. L’unica certezza e che dobbiamo prendere tempo per evitare che quel bastardo di Bedford la faccia franca…lo sai anche tu che un’accusa per omicidio involontario per lui è troppo poco.”
“Di quello non mi preoccupo, piuttosto è tutto quello che c’è dietro che davvero mi toglie il sonno. So che abbiamo un’argomentazione e prove piuttosto solide a carico di quel figlio di puttana! A cominciare dal suo nome[1], solo quello è un indizio.” Timothy con rabbia appallottolò un foglio e lo lanciò nel cestino facendo centro.
“Già ho i brividi al solo pensiero che i genitori di Bedford per inneggiare i loro ideali di merda abbiano chiamato e cresciuto il figlio così.”
“Sai cosa è peggio? Credo davvero che Bedford non avesse le palle per uccidere Elisabeth e che si fosse ubriacato per darsi coraggio a farlo.”
“Sì, lo credo anche io. Aveva paura della punizione se non avesse portato a termine il suo compito.”
I due uomini fissarono la lavagna con i loro indizi e ragionamenti e poi Lowen sospirò ed espresse un pensiero che aveva anche Tim.
“Quando Elisabeth è venuta a chiederci di indagare su Carole Hummel mai mi sarei aspettato che la situazione sarebbe degenerata fino a questo punto.”
“Ma forse Elisabeth sì, - ragionò Stone. - e infatti, appena avuta la conferma che la signora Hummel era pulita, è andata a modificare il suo testamento. Se non fosse stata totalmente sicura, non avrebbe mai messo il nome di Burt al posto di quello di Isabel per prendersi cura del figlio, in caso della sua prematura morte. Se non avesse pensato che la situazione potesse peggiorare come è stato, non avrebbe organizzato per Kurt un conto corrente autonomo da due milioni e mezzo di dollari e bloccare il resto dell’eredità fino al raggiungimento dei 21 anni.”
Lowen Watson ragionò sulle parole del collega e in effetti tutto aveva un senso.
“Ma rimandare a Lima il figlio non è stata una mossa azzardata?”
“Beh, uomo nero, sai come si dice? A volte non c’è posto più sicuro che della tana del leone.”
“Certamente... Elisabeth era una donna estremamente intelligente, riusciva a vedere e a collegare quello che gli altri non vedevano.”
“Già. -convenne Timothy con profonda rabbia. - proprio per queste sue capacità che aveva capito chi era il suo nemico.”
“Già e lo ha imparato nel modo più duro… e pensare che tutte le persone che amava, la banda e soprattutto quel Lopez, le avevano dato della paranoica e non le hanno creduto. Eppure tutte quelle morti, anche se così distanziate nel tempo, dovevano suscitare anche in loro qualche dubbio...”
“In realtà non è così facile collegarlo, anche noi abbiamo fatto fatica.”
“Hai ragione. - disse stancamente Lowen. - Per non parlare che siamo sicuri che abbiamo una talpa nel nostro dipartimento, o peggio, nella nostra squadra. Dire che siamo nella merda è poco.”
Timothy sospirò esausto fissando ancora una volta la lavagna con tutti gli indizi che avevano raccolto o che Elisabeth gli aveva fornito.
Fissò la foto di Melanie Anderson che veniva collegata a una freccia che segnava un punto di domanda su una pistola che era registrata in un deposito della polizia in Fort Wort Texax, e un'altra che la collegava all’ispettore della polizia di Lima, Mac Manara.
Lowen lo tirò fuori ancora una volta dia suoi pensieri.
“La maledizione dei Calhoun è tornata e ho paura che non faremo in tempo a fermarla prima che arrivi a all’ultimo membro della loro famiglia.”
“Chiama le cose con il loro nome Uomo nero, la maledizione dei Calhoun è un ramo estremista del Ku Klux Klan, dovesse essere l’ultima cosa che faccio, li arresterò prima che tocchino Kurt.”
 
 
 
Martedì 9 Novembre 2010. 3:30 pm
 
Azimio e Noah si guardarono intorno, l’officina di Burt Hummel era ampia e luminosa, l’odore di prodotti chimici e di macchine era molto forte, tanto da essere fastidioso. Un’ambulanza era sollevata da un ponte e c’erano alcune vetture col cofano aperto.
I ragazzi vennero accolti da Burt Hummel, che dopo aver salutato i loro padri, in maniera burbera li mandò a cambiare con due tute da lavoro.
Quando i ragazzi tornarono dallo spogliatoio, i loro genitori se n’erano andati ma ad attenderli c’erano altre persone, una delle quali era madre di Artie Abrams.
“Bene ora che siamo tutti è il caso di fare un discorso. - esordì Burt. - Ben, Corinna, Jared, questi sono Noah e Azimio. “
I tre adulti fecero un cenno di saluto ai ragazzi per poi tornare la loro attenzione al loro datore di lavoro.
“Ieri mio figlio minore, Kurt, è stato vittima di bullismo. Questi sono due dei quattro ragazzi che lo hanno aggredito.”
Noah e Azimio sentivano la vergogna invaderli quando videro gli sguardi pieni di sgomento e rimprovero dei meccanici.
“Sta bene il tuo ragazzo, capo?” chiese con gentilezza Jared.
“Ha delle contusioni, un occhio nero, qualche taglio e il naso rotto, ma per fortuna è una frattura composta.”
 “Non me lo sarei mai aspettato da te, Noah.” commentò Corinna, scuotendo la testa.
Puck sentì gli occhi pungere ma si ostinò a fissare il pavimento.
“Burt. - Ben, richiamò l’attenzione dell’uomo. - Dopo tutto quello che hanno fatto perché quei due hanno la tuta da lavoro?”
“Per punizione lavoreranno qui e risarciranno Kurt fino all’ultimo centesimo per i danni che gli hanno fatto. I loro genitori sono d’accordo. Da voi- Burt si rivolse ai suoi dipendenti. - Mi aspetto che li teniate d’occhio. Devono lavorare e se hanno finito una mansione e li vedete con le mani in mano, dategli altro da fare e insegnategli quello che non sanno.”
“Sarà fatto.” Disse con un ghigno Ben.
“Voi due. - Burt si rivolse ai due ragazzi. - Mi aspetto che non facciate i lavativi. Se avete dei dubbi, chiedete. Non fate di testa vostra e qui chi rompe paga. Sono stato chiaro?”
“Si Signor Hummel.” disse Azimio.
“Si Burt.” Rispose Noah.
“Puckerman, -lo chiamò Burt. - Io per te non sono più Burt, ma signor Hummel o capo. Hai perso il diritto di essere trattato da me, come una persona gradita, dal momento che hai attaccato mio figlio Kurt.”
Punk sentì gli occhi che si riempivano di lacrime e il pavimento dell’officina divenne una macchia sfocata.
“Sono così furioso con te! Sei venuto a giocare nella mia casa da quando eri bambino e ti ho sempre trattato bene. Ero convinto che tu fossi un bravo ragazzo e sicuramente più intelligente. Mi sbagliavo. Azimio lo stesso discorso vale per te.”
Azimio si mosse a disagio nella tuta da meccanico. Puck si asciugò gli occhi.
“Ora voglio sapere se avete capito.”
“Sì signore.”
“Non vi ho sentito!”
“Sì signore.” Urlarono i due ragazzi.
“Bene, ora venite con me.”
Burt guidò i due in un angolo particolarmente sporco dell’officina.
“L’altro giorno qui un camion aveva il serbatoio dell’olio bucato e ha fatto un disastro. In quello stanzino ci sono tutti i prodotti per pulire. Datevi da fare. Verrò a controllarvi fra venti minuti.”
 
 
Giovedì 11 Novembre 2010, 5:30 am
 
Kurt scese in cucina seguito da Bob che scodinzolava felice a fianco. Blaine la sera prima lo aveva invitato a fare colazione al Flame.
Aprì il frigo e nel suo ripiano prese dell’uva, voleva darla a Jessica per colazione. Kurt voleva evitare che il procione cercasse di entrare in casa e facesse qualche guaio. Non voleva immaginare la reazione di uno dei membri della famiglia Hummel se avessero trovato l’animale che facesse danni nella loro cucina. Aveva paura che chiamassero un disinfestatore e che questo avrebbe fatto del male alla piccola buffona, quindi, per evitare questo scenario, aveva cominciato a dare da mangiare a Jessica per abituarla che non aveva bisogno di razziare la dispensa.
Kurt aveva notato che Jessica si presentava solo nelle ore dell’alba quando non c’era nessuno, ma non perché avesse paura degli esseri umani, al contrario. Da quello che aveva letto, i procioni nei mesi invernali andavano in letargo ma non completo, talvolta uscivano dalla tana per mangiare o bere. Si chiese se nei mesi più caldi Jessica sarebbe comparsa più spesso o, se con la bella stagione, riuscisse a cibarsi con quello che c’era nel bosco, ma golosa di schifezze come era ne dubitava.
Il soprano notò, mentre prendeva la frutta, che avrebbe dovuto fare la spesa, perché stava finendo le sue scorte. Si fece un appunto mentale che avrebbe dovuto stillare una lista della spesa e di crearsi un menù settimanale per la scuola: non aveva intenzione di mangiare i cibi della mensa.
Quando era bambino, per via dei cibi pesanti che servivano nella mensa scolastica, era stato così male che era stato ricoverato in ospedale per oltre due settimane per una forte gastrite e reflusso. Normalmente non avrebbero ricoverato un bambino per una gastrite, ma lui era arrivato a non riuscire a tenere più nulla nello stomaco con una considerevole perdita di peso e, vista la sua storia medica, non volevano rischiare che la sua situazione degenerasse.
Gli esami avevano riscontrato che i succhi gastrici fuoriusciti avevano infiammato anche l’esofago perché la cardias (la valvola che regola l’apertura tra esofago e stomaco) si era indebolita. Fu tenuto sotto una rigida cura farmacologica e una dieta fatta di tanti piccolissimi pasti al giorno, composta da cibi leggeri per il suo stomaco.
Ricordava ancora con ansia tutte le medicine che aveva dovuto prendere nell’arco degli anni successivi e le ripetute gastroscopie, esame che odiava profondamente.
Sua madre, dopo che era uscito dal ricovero, era divenuta molto ligia nel seguire per lui uno stile di alimentazione molto controllata e semplice, tanto da farlo divenire il loro stile di vita. Uno stile fatto di alimenti freschi ordinati da una azienda agricola che vantava che niente della sua merce era stata sottoposta a crescita artificiale o ormoni[2] e che consegnava a domicilio, mentre il resto sua madre lo comprava nelle piccole botteghe dove era sicura della qualità del prodotto. Erano dei privilegiati. Prima non si era mai dovuto preoccupare di quanto costasse il suo stile di vita, ma aveva iniziato a rendersene conto da quando aveva cominciato a fare la spesa con Carole e pagarsela. La moglie di suo padre, quando faceva la spesa, prendeva sempre i prodotti in offerta o che costava meno, seguiva il risparmio cercando di far quadrare i desideri alimentari di lei, Burt e Finn nel budget stabilito.
La donna tendeva a comprare un sacco di prodotti surgelati fritti, bottiglie di coca-cola da cinque litri, latti aromatizzati, salse al formaggio, carne di ogni genere inzuppate in salse strane. Kurt aveva provato a prendere dal carrello di Carole una busta surgelata di Hoppin’ John[3] per leggere le liste degli ingredienti usati, ma era rimasto sconvolto dalla lunghissima colonna di ingredienti pieni di sigle di conservanti, corettori di gusto e della mistura di olii di condimento. Si era reso conto che nella famiglia Hummel non c’era nessuna conoscenza di una scienza della alimentazione, mangiavano al peggio della cucina Americana. Kurt, di contro anche se faceva una spesa ben più piccola di quantità, per la quantità di alimenti freschi pagava molto di più[4], anche se le verdure erano acquose e insapore. Sentiva la differenza della verdura industriale rispetto a quella della azienda agricola dove lui e sua madre si rifornivano. Si chiese se nei dintorni di Lima ci fosse qualche piccolo contadino da cui lui potesse comprare verdura e altri prodotti.
Bob abbaiò e lo distolse dai suoi pensieri.
“Va bene cucciolo, fatti mettere il guinzaglio e lasciami mettere la giacca e andiamo a cercare Jessica.”
 
Blaine si guardò nello specchio per l'ennesima volta, lisciandosi delle pieghe immaginarie della felpa verde che indossava.
"Sono bellissimo e non potrà resistermi." esordì soddisfatto.
Blaine aveva invitato Kurt per una colazione al Flame. La scusa ufficiale era stata per consolarlo della partenza di Etienne avvenuta la sera prima, ma la verità era che aveva dato inizio al suo piano di corteggiamento.
Si, perché lui aveva deciso: anche i ragazzi che puzzavano da latte meritavano una possibilità con lui, soprattutto quelli Newyorkesi con la puzza sotto il naso.
 
"Grazie Blaine di avermi aperto la porta, spostato la sedia e fatto sedere... Guarda che ho dei lividie un naso rotto e non una gamba." Disse Kurt, controllando Bob che si era sistemato sotto il tavolo.
'Chi mai si è preoccupato del tuo stato fisico? Certo, sarà fastidioso ricordare che avevi un occhio nero e la faccia multicolore, un naso gonfio come un dirigibile e incerottato al nostro primo appuntamento, ma sarò così gentile da non ramentarlo tutte le volte.'
Kurt si guardò intorno e sospirò sconsolato.
"Spero che Jessica trovi l'uva che le ho messo sul pianerottolo della porta della cucina. Non voglio che entri in casa se non ci sono io. Ho paura della reazione degli Hummel se la trovano."
Blaine scrisse sul suo cellulare una risposta.
-Se entra spero che si mangi le cervella di Finn.-
"Ma che schifo!"
-Anzi, il suo pene!-
"Questo è ancora più schifoso."
'Quello che mi domando: cosa ci trovo in te? Mi dici sempre su. Potrei iniziare a soffrire di complessi per colpa tua.'
"Hanno un bel menù qui, l'atra volta non sapevo che scegliere poi alla fine ci ha pensato Olegh a farlo per noi. Tu che vieni qui spesso, che mi consigli?"
'Il mio wustel?'
Due menù vennero sbattuti sul tavolo, Kurt e Blaine per la sorpresa trasalirono spaventati e guardano verso il cameriere che li ricambiava trucemente.
"Sapete già cosa ordinare? - chiese Hunter annoiato. - Se volete posso tornare dopo, ma io vi consiglio i pancake con fragole fresche e da bere caffè e centrifuga d'ananas e mela."
'Cristo Hunter, sono nel bel mezzo di un appuntamento. Tu devi essere gentile e servizievole, non Jason di Venerdì 13.'
"Ce lo stai chiedendo o ce lo stai ordinando?" Kurt domandò intimorito.
Hunter li fissò e chiese:
"Avete allergie? No! Perfetto, vi porto i Pancake."
E come era venuto se ne era andato.
-STRONZO- Blaine alzò più in alto che poté il suo quaderno in direzione di Hunter, che urlò a sua madre, che quel giorno era in cucina, di muoversi perché i clienti di due tavoli erano in attesa.
"Non credo che ti convenga che legga quelle parole, secondo me, se lo fa ti sputa nel piatto... Aspetta, ma tu hai delle pagine già scritte con degli insulti?" Kurt si era reso conto che Blaine non aveva scritto sul quaderno, ma lo aveva semplicemente aperto e alzato in aria con faccia indignata.
' E che faccio? Uno mi insulta e io gli rispondo un quarto d'ora dopo?! '
-Ovviamente mi sono attrezzato. - scrisse Blaine e Kurt alzò gli occhi al cielo in maniera divertita.
'Okay, questo è il momento: devo fargli un complimento e insinuargli il dubbio che possa essere attratto dai ragazzi. Che potrei dirgli? Sei magnifico oggi… Non credo che mi crederebbe visto il quadro espressionista di lividi che ha in faccia... Complimenti al sedere? Non se ne parla, troppo volgare per la suoretta che ho qui... però sui suoi occhi può andare! Classico, signorile e soft.'
Blaine stava per scrivere quando sentì la porta del locale aprirsi e pochi secondi dopo Olegh Clarington era arrivato come una furia al loro tavolo, con due buste enormi della spesa da cui spuntava un pollo decisamente morto e spennato. Dietro di lui, Aron Puckerman.
'Brutta giornata vero amico?' mentalmente Blaine domandò al pollo.
"Mio Dio, Kurt guarda come ti hanno ridotto quei figli di puttana!" Disse l'uomo esaminando il ragazzo.
"Grazie Olegh." commentò Puckerman stancamente.
"Scusa Aron, mi spiace per la mia uscita. Ma sappi che penso che hai fatto bene a punire tuo figlio con la sua stessa moneta. "
"Sì, credo anch'io che a Noah abbia fatto bene. -sospirò profondamente affranto. -Comunque ragazzi come state? "
"Bene la ringrazio signore." Kurt disse timidamente.
'Una favola, l'appuntamento perfetto!' pensò acido Blaine, ma fece un gesto che indicava che stava bene e Aron gli sorrise e gli diede una pacca affettuosa sulla spalla.
"Kurt chiamami Aron. Come ben saprai, ormai, ero un caro amico di tua madre."
"Sì un po', Olegh e Blaine mi hanno raccontato della famosa banda, come è nata e qualche episodio divertente di alcune marachelle."
"Gentile a definirli marachelle." Aron ridacchiò.
Blaine improvvisamente si rese conto di una cosa strana: Olegh e Aron erano insieme. Da quando sua madre era morta i membri della banda non si vedevano più fra loro...
"Ragazzi avete già ordinato la colazione?" chiese il padrone del locale con fare allegro.
I due ragazzi si fissarono per un secondo con un’espressione divertita.
"Oh sì… abbiamo ordinato pancake con fragole fresche, caffè e una centrifuga d'ananas." snocciolò Kurt con un lieve tono ironico nella voce, che colse solo Blaine.
"Ottimo, allora vi metto anche un generosa quantità di panna." Olegh fece una strizzatina d'occhio a entrambi i ragazzi.
'Sì, sì, bravissimo. Ora via, che io ho un appuntamento e voi lo avete già rovinato abbastanza!'
"Che dite ragazzi se mi unisco anch'io a fare colazione con voi?" disse allegramente Aron.
'Sì è poi? Ci fidanziamo in tre? Non sono mai stato per il poliamore. Sho. VIA, vattene. Vai a fare la terza ruota da qualche altra parte.'
"Certo siediti se vuoi."
"Cazzo ma anche no! Sai cosa ti dico?! Che con questa ti sei bruciato qualunque possibilità di pomiciare con il sottoscritto oggi."
"Che ti porto per colazione Aron? "
" French toast con-"
" pancetta e sciroppo d'acero." con un sorriso finì Olegh per l'uomo,
"Esatto vecchio mio."
Blaine era sempre più stranito a vedere i due interagire come se li ricordava nella sua infanzia.
Onestamente, si era convinto che nessun membro della banda avrebbe mai ripreso l'amicizia con gli altri.
"Papà muoviti che la mamma in cucina sta combinando un danno dietro l'altro!" Hunter urlò infastidito, portando la colazione al tavolo 2. Kurt notò che era il suo stesso ordine.
"Dieci minuti e sarete serviti." disse Olegh prima di andare via con i sacchi della spesa.
"Sì se non si perde a sbaciucchiarsi con Sophie in cucina." commentò rassegnato Aron, mentre spostava la sedia dal tavolo.
"Ah! Fai attenzione che sotto al tavolo c'è Bob." Kurt avvertì l'uomo.
"Come mai hai il cane di Finn con te?" chiese sinceramente sorpreso Aron, lanciando un'occhiata sotto il tavolo dove il cane beatamente russava.
"Beh è una lunga storia." rispose evasivamente non volendo raccontare a una persona che non conosceva i suoi problemi, ma Blaine rispose per lui, alzando il suo quaderno con la spiegazione.
-Bob ama Kurt e Finn, geloso, glielo ha regalato in un impeto di rabbia. -
"Sai, al cuore non si comanda. - commentò perplesso l’uomo. - Sai che Bob sembra dimagrito? Tu che dici Blaine? Ho ragione o è solo un’impressione?"
-Sì, è più magro. Kurt lo porta a passeggio. -
"Lo avrà fatto anche Finn a volte, no? "
Blaine gli fece cenno di no col capo.
"Carole o Burt? Almeno una volta al giorno qualcuno lo avrà portato a passeggio."
"Non guardare me ragazzo. - disse Aron a Kurt- Io non frequento casa Hummel se non per riprendere Noah, cosa che da qualche mese non si verifica più perché ha la patente e una macchina."
-Della mia famiglia nessuno ha mai visto Bob portato a passeggio, se non quando era cucciolo. Di solito viene messo sul giardino sul retro dove ha il recinto. -
Kurt leggendo quelle parole sentì una fitta di dispiacere per il cane. Sapeva che questo spiegava perché Bob era così agitato quando lo portava a passeggio: non era abituato.
"Va bene da questo momento accetto il regalo di Finn. - disse solennemente. - e il tuo nome non sarà Bob, ma Bob Dylan!"
"Che cosa cambia aggiungergli anche Dylan? - chiese perplesso Aron- Tanto sempre Bob lo chiamerai."
-Io lo avrei chiamato Bob Marley. -
"Per il semplice motivo che non posso cambiare del tutto il nome volgare che ha scelto Finn, ma posso renderlo più elegante e di buon gusto con una piccola modifica."
Blaine e Aron alla spiegazione non riuscirono a trovare nulla con cui ribattere e decisero di cambiare discorso.
"Allora Kurt perché non mi racconti un po' di te?"
'Ma brutto bastardo! Quella era una delle mie battute studiate per rimorchiarlo!'
 
 
Brittany prese i suoi quaderni e libri dall'armadietto, lo chiuse e andò da Santana, che stava guardando qualcosa con aria arrabbiata. La ballerina osservò nella stessa direzione della sua amica per capire cosa la disturbasse, ma vide solo Hunter che stava vicino a Kurt, che leggeva una nota di Blaine. Doveva esserci qualcosa di sciocco perché alzò gli occhi al cielo e poi scoppiò a ridacchiare e il loro amico sembrava compiaciuto di questo.
La ballerina era stranita dallo strano terzetto, ma dopo quello che era successo lunedì a Kurt, il preside aveva preso delle contromisure per evitare che il ragazzo fosse nuovamente vittima di bullismo. Erano state divulgate da un’intervista che il preside aveva rilasciato a Jacob Ben Israel.
Figgins, dietro la ricompensa di una lettera di raccomandazione per il college, aveva assoldato Hunter Clarington e Lauren Zizes come guardie del corpo del nuovo membro della famiglia Hummel. Il loro compito era accompagnare Kurt senza incidenti dal parcheggio della scuola alla prima classe della giornata e ad ogni cambio aula fino alla fine dell'orario scolastico, assicurandosi che a fine lezioni fosse scortato alla macchina di chi lo veniva a prendere.
Quell'intervista rilasciata al giornale era ovviamente un avvertimento serio da parte del preside a chiunque avesse avuto strane idee di vendetta. Nell'articolo era riportato anche l'invito a tutti coloro che fossero stati vittima di bullismo di andare a confidarsi con un insegnante e di fare i nomi dei cosiddetti bulli in maniera che si potessero prendere provvedimenti.
 
Brittany pensò che l'uomo fosse troppo speranzoso: nessuno avrebbe fatto i nomi dei bulli e denunciato un bel niente. I bulli erano tanti e ci sarebbero state punizioni irrisorie con il risultato che dopo per chi avesse denunciato sarebbe stato peggio. La storia di Kurt era un esempio lampante.
Certo, era una bella idea di mettere al ragazzo due guardie del corpo. Martedì, quando erano state rese note le punizioni dei quattro ragazzi di Football, aveva sentito per i corridoi molti parlare di come avrebbero sistemato "il frocio" non appena fosse tornato, ma nessuno aveva osato far nulla quando quella mattina era arrivato scortato da Hunter e Blaine.
Brittany, come tutto il resto dei ragazzi della scuola, provava timore nei confronti di Clarington e Zizes. Erano indimenticabili i voli che Lauren aveva fatto fare a Santana quando le due litigavano per Noah. Si chiese come fosse possibile che la sua Sannie fosse sopravvissuta.
 
"Io sono pronta. Andiamo a letteratura Inglese?" chiese la ballerina.
"Aspettiamo il cretino." Santana rispose burbera, fissando malissimo Blaine, che guardava un foglietto che Kurt gli stava spiegando. La bionda ipotizzò che fosse l'orario scolastico.
"San, sembra che Blaine abbia preso in simpatia Kurt. Mi fa piacere vedere che riesca a farsi un amico al di fuori di noi e Cooper."
Brittany non era preparata all'occhiataccia che le rifilò la latina così come la risposta piccata:
"Vediamo se Kurt Hummel si terrà attorno Blaine una volta che avrà altri amici."
"Cosa intendi?"
" Che finirà come sempre: appena Kurt non avrà più bisogno di lui lo lascerà da parte perché Blaine è un ragazzo troppo esagitato, violento e buffone e non è cool passare il suo tempo con un ragazzo muto che non ricorda."
Brittany lanciò un'occhiata dubbiosa al più giovane degli Hummel, ma lei si fidava di Santana e del suo giudizio.
"A me Kurt non sembra un tipo così."
"Anche Noah, Hunter e Lauren erano grandi amici di Blaine quando eravamo bambini. Eppure non mi pare che siano rimasti suoi amici dopo che è diventato così. "
"Stiamo parlando di bambini, Santana."
"Che mi dici di tutti i ragazzi della squadra di Football? Quando Blaine è entrato in squadra sembravano aver incontrato il loro migliore amico perduto: fuori a prendere il caffè, serata videogiochi, serata film d'azione. Poi in squadra entra Finn e diventa la cosa più figa che ci sia in giro col risultato che Blaine serve alla squadra ma viene lasciato in disparte."
"Santana calmati.- disse Brittany.- Blaine non è andato a genio a quelli della squadra di football perché si rifiutava di far bullismo per essere figo, anzi, ha cominciato a picchiarli."
"Okay, Hunter, Noah, Lauren e quelli della squadra di football possono non essere il miglior esempio. Ma che mi dici di tutte le persone che si sono avvicinate a Blaine negli anni? Dove sono?"
Brittany sospirò triste, la sua amica aveva ragione: chiunque si fosse avvicinato al piccolo degli Anderson per fare amicizia poco dopo lo lasciava da parte...
Brittany osservò Blaine che con dei gesti chiedeva qualcosa a Kurt.
Il piccolo degli Hummel sorrise dolcemente al loro amico e, anche se da lontano, la ballerina lo vide indicarsi la fronte e lo stomaco. Che non stesse bene?
Brittany non sapeva che pensare, ma vide Blaine scrivere furiosamente qualcosa e poi mostrarla a Hunter, che gli fece un cenno affermativo col capo; il kicker riprese a gesticolare e a indicare il quaderno, tanto che Clarington, infastidito, gli rispose in maniera seccata. Blaine sembrava non aver gradito la risposta tanto che aveva tirato il quadernetto in testa ad Hunter. Kurt cercò di sedare la lite scoppiata fra i due frapponendosi fra loro, anche se sembrava temere Clarington.
"Santana, smettila di vedere Blaine come quello che è stato abbandonato senza motivo o per il suo handicap. Ogni tanto dobbiamo guardare in faccia la realtà e riconoscere che ha un carattere e delle reazioni spropositate. A volte penso che lo faccia a posta a lasciarsi tutti alle spalle tranne noi due."
La latina non diede segno di averla sentita o forse non voleva dirle che lo pensava anche lei.
Entrambe osservarono Blaine salutare Kurt e fare una linguaccia ad Hunter e poi venire verso di loro con un sorriso.
"Guarda, guarda chi si ricorda che esistiamo anche io e Brittany. Buongiorno Blaine."
Brittany provò pena per Blaine che fissava Santana in confusione.
'Il suo tono sarcastico mi suggerisce che devo aver fatto qualcosa per farla arrabbiare... ma cosa?'
"Forza muoviamoci o arriveremo in ritardo per letteratura Inglese. -Disse la latina cominciando a camminare verso la classe.
'Che abbia scoperto che le ho fregato un reggiseno per mostrarlo a quelli del club del punto croce? Ma quei poverini non ne avevano mai visto uno!'
 
 
Arthur era seduto sul divano preso a guardare alla televisione un programma sciocco a premi quando sua moglie entrò in casa. Era appena stata dal parrucchiere e la tinta dei suoi capelli era fresca ed era vestita con abiti nuovi.
"Ciao tesoro." lo salutò la donna, chinandosi a dargli un bacio sul capo.
"Bentornata."
"Allora che te ne pare?" chiese raggiante Molly facendo una piroetta su se stessa.
"Che stai benissimo mia cara. Sai che ti dico? Che se ti incontrassi oggi per la prima volta proverei a corteggiarti e ti inviterei per un caffè."
"Che Dongiovanni."
Arthur notò la soddisfazione di sua moglie alle sue parole.
"Quel rosso meno acceso del solito ti dona molto."
"Grazie. -disse Molly sedendo accanto a lui-Allora come è andata stamattina a portare Kurt a scuola? "
"Bene. Era comprensibilmente nervoso, ma in macchina con noi a tenerlo calmo c'era Blaine. Burt li continuava a guardare dallo specchietto retrovisore."
"Burt? Ma scusa non lo hai accompagnato tu il ragazzo a scuola?"
"Siamo andati con la macchina di Burt, che è venuto per parlare col preside. Sembra che hanno messo a punto un piano per evitare che Kurt subisca bullismo. Due ragazzi a turno lo scorteranno per la scuola in maniera che non gli capiti nulla."
"Solo per Kurt? E gli altri ragazzi a scuola che subiscono bullismo?"
"Kurt ha denunciato gli atti di cui è stato vittima e ora sono le altre vittime che si devono far avanti."
"E Figgins cosa farà quando cinque o sei ragazzi che avranno subito bullismo si faranno avanti? Anche a loro darà due persone che gli facciano da guardia del corpo? Questa non è una buona idea. Bisogna pensare a qualcosa di meglio."
Arthur rimase un momento interdetto: fino a quel momento gli era sembrata una brillante soluzione, ma sua moglie gli aveva fatto vedere che larga scala era impraticabile.
"A proposito Arthur, perché stavi accompagnando a scuola Blaine Anderson?"
"I ragazzi hanno voluto così. Penso che Kurt si sia sentito più tranquillo ad avere vicino qualcuno con cui sembra andare d’accordo e Blaine con il collare non può guidare."
"Già, giusto."
“Blaine tornerà a casa con Santana Lopez, hanno il Glee club nel pomeriggio e quindi finiscono tardi. Io riaccompagnerò a casa solo Kurt.”
“Ah è vero il Glee club. Finn mi pare che ci abbia detto che il concorso canoro cittadino è fra un paio di settimane o mi sbaglio?” chiese Molly.
“Si credo di sì. Comunque ho segnato la data sul calendario e ho detto a Burt di comprarci i biglietti anche per noi.”
“Perfetto dopo allora controllo la data in maniera di non prendere accidentalmente impegni che poi mi toccherebbe disdire.”
 
 Arthur osservò sua moglie che aveva cominciato a prestare attenzione al programma sciocco che c'era in tv. Era molto bella quel giorno, soprattutto per il trucco che era più curato del solito... Poi un buffo pensiero lo colpì.
"Mia cara toglimi una curiosità."
"Si?"
"Ma il vestito nuovo, il trucco raffinato, i capelli tinti e acconciati dal parrucchiere non è che avranno a che fare col fatto che oggi arrivano le nonne di Kurt da New York?"
"Certo che no, non essere sciocco!"
Arthur, nonostante la risposta di sua moglie, sapeva di aver ragione anche perché le guance le erano divenute di una bella tonalità rosata che non aveva nulla a che fare con il fard. Decise di fare finta di nulla.
"Non vedo l'ora di vedere la faccia di Kurt quando vedrà che i suoi amici sono venuti da New York a trovarlo. Scommetto che non se lo aspetta minimamente."
"Già." disse Molly con un sospiro.
Arthur poteva vedere nel volto della moglie un solco di preoccupazione e sapeva anche perché: in primo luogo era per i tre ragazzi gay sotto lo stesso tetto e poi per le due donne0 che avevano invaso, involontariamente, un ruolo che sarebbe dovuto spettare a lui e a sua moglie...
"Molly un giorno Kurt ci amerà come membri della sua famiglia. Non essere impaziente, dai al tempo il suo corso."
L'anziana donna sospirò e gli disse:
"So che hai ragione, ma io sono così triste per tutta questa situazione."
"Lo so."
 
Un fuoristrada rosso si fermò nel vialetto di casa Hummel.
"Carmen, - disse un'altezzosa Blanche, seduta davanti nel posto del passeggero. - spero che il tuo modo di guidare di oggi sia frutto di una birra di troppo al bar dell'aeroporto, presa quando ti ho persa di vista. "
Carmen fissò l'amica con sufficienza e con fare di sfida tirò il freno a mano e tolse le chiavi dal cruscotto, intascandosele.
"Brutte notizie per te vieja questo è il mio modo di guidare."
"A New York non hai mai guidato così."
"A New York c'è una giungla di macchine. Cosa credi che succeda se provo a fare un sorpasso azzardato? E poi se ti infastidiva così tanto il mio modo di guidare perché non hai detto qualcosa?"
"Mi pare che dire Carmen rallenta, Carmen non prendere le curve come se fossimo in un corsa di Rally e ancora Carmen rallenta, si possano tranquillamente considerare esternazioni del mio disagio. "
"Nelle zone di città ho guidato lentamente e bene."
"Da questo momento in poi guiderò io."
"E dai Blanche, finiscila! Ho solo goduto del emoción di una corsa in macchina nelle strade deserte. Credo che anche i ragazzi si siano divertiti. Non è vero?"
Le due donne si girarono per trovare un Sebastian molto pallido che accarezzava la schiena a Thad che sembrava in procinto di vomitare. I due giovani fissavano malissimo le due donne.
"Direi che i ragazzi hanno trovato rigenerante la corsa in macchina." nonna Smythe commentò sarcastica.
"Okay meravigliose signore, stop! - esordì Sebastian riprendendosi dallo spavento della guida avventurosa della latina.- Siamo in casa del nemico e litigare non ci porterà da nessuna parte. Dobbiamo rimanere uniti."
"Spero che siano nemici riforniti de birra. -disse Carmen. - ne berrei volentieri un paio."
"Io berrei volentieri un tè caldo." commentò debolmente Thad, stringendo di più la mano del suo ragazzo che lo fissava con apprensione.
I quattro fecero un salto quando qualcuno bussò al finestrino della macchina. Era una donna con i capelli castani legati, vivaci occhi chiari e un orribile cappotto verde pisello.
 
Carole vide dal fuori strada rosso scendere quattro persone. Fu immediatamente colpita dalle famose nonne che Kurt aveva descritto perfettamente: la donna bassa cicciottella assomigliava a un boss della malavita, doveva essere Nonna Carmen, mentre quella alta e ossuta che sembrava regina Maria Antonietta, se mai fosse diventata anziana, doveva essere Nonna Blanche. A venirle a stringere la mano fu proprio Nonna Blanche.
 
"Carole, suppongo. Buongiorno sono Blanche Smythe e questi sono Carmen e suo nipote Thad e qui, alla mia destra, mio nipote Sebastian. "
La signora Hummel notò immediatamente che nonna Smythe trasudava eleganza e nobiltà da tutti i pori, ogni suo gesto sembrava studiato a tavolino e questo la rendeva un personaggio eccentrico.
"Buongiorno a voi. Per fortuna che sono arrivata in tempo. Scusatemi se sono scortese a non aver niente di pronto da offrirvi in casa, ma sono adesso tornata dal lavoro."
Carmen fissò l'orologio era mezzogiorno in punto e chiese:
"Se non sono indiscreta che lavoro fa signora?"
"Carmen, ma che modi! - disse Blanche scandalizzata. -questa è una domanda che si fa solo davanti a una tazza di tè mentre ci si conosce dando uno scambio di informazioni."
"Una tazza di tè? Ma sei matta? Io bevo solo birra."
Carole fissò le due donne anziane non sapendo bene nemmeno come comportarsi con loro. Carmen era un personaggio tanto quanto l'altra, ma nella maniera opposta.
"Io, se non sono maleducato, accetterei davvero qualcosa come una tisana calda da bere." disse Thad con voce flebile.
Carole puntò lo sguardo sul giovane latino e notò che entrambi i ragazzi avevano un colorito pallido e stravolto.
"State bene?"
"Abbiamo solo della nausea da macchina, la strada che abbiamo fatto per arrivare qui era piena di curve e nonna Carmen guida in maniera scattosa.- disse Sebastian.- Io sto discretamente male, ma Thad sta peggio."
"Capisco. - fece Carol cercando le chiavi di casa in borsa.- quelle strade possono essere terribili se uno soffre molto la macchina. In casa ho delle medicine contro il vomito. E se può aiutare lavoro come infermiera all'ospedale."
"Vedi Blanche? Dios aiuta sempre i puri di cuore!"
"Qui i puri di cuore non c'entrano e cerca di parlare Inglese! Non tutti capiscono lo spagnolo."
 
Kurt aveva la testa che pulsava e i succhi gastrici del suo stomaco gli davano fastidio, doveva mangiare al più presto. Le lezioni erano state normali e noiose, ma odiava che i pochi professori che aveva conosciuto supponessero che fosse indietro rispetto al loro programma perché prima frequentava un liceo d‘arte[5]. Gli avevano prospettato una serie infinita di test che avrebbe fatto la settimana successiva e per il fine settimana lo avevano invitato a visualizzare il programma che fino a qual momento era stato svolto. Immaginava anche che i professori della settimana successiva gli avrebbero fatto richieste similari con tempi altrettanto stretti. Kurt era arrabbiato: come pensavano i professori che lui fosse in grado di ripassare i programmi che loro avevano svolto in due mesi in pochi giorni?
Poteva capire che i professori necessitavano dei Test con votazioni per fargli un profilo scolastico, ma non si rendevano conto che seguendo una linea di condotta del genere rischiavano di rovinargli la media scolastica con delle insufficienze? La sua fortuna era che per entrare alla Fiorello High School gli studenti selezionati dovevano uscire dall’istruzione media con voti alti e lui era sempre stato fra coloro che avevano migliori votazioni e corsi avanzati. Per fortuna, nelle materie che mancavano alla sua ex scuola superiore poteva, sopperire con la sua conoscenza acquisita nei gradi inferiori, ma questo non toglieva che aveva molto da ripassare. Invece, nelle materie che avevano in comune nelle due scuole, era molti argomenti avanti e quindi poteva tirare qualche sospiro di sollievo per abituarsi ai nuovi ritmi.
 
“Muoviti. - lo esortò Hunter guidandolo per i corridoi della scuola. - Dobbiamo arrivare velocemente in mensa. Lauren dovrebbe essere già lì che ci aspetta.”
“Lauren che tipo è? L’ho incontrata una volta, ma ci siamo solo presentati.” Kurt era curioso di sapere chi fosse questa ragazza che il preside lo aveva affidato contro i bulli.
“Lei è un tipo che non piace aspettare.”
“Non è colpa mia se il professore di matematica mi ha chiesto di fermarmi per parlare finita la lezione.” Si difese e Hunter continuò a parlare come se non lo avesse sentito.
“Lei è nel club di lotta libera e non prende bene le offese o sentirsi presa in giro.”
“Quello direi nessuno.”
“Lauren ti fa volare dall’altra parte della stanza se mai ci provassi.”
Kurt rimase un attimo perplesso dalla descrizione ricevuta, ma non ebbe modo di fare altre domande che si ritrovò in mensa e Hunter disse:
“Ecco Lauren. Andiamo. Aspetta, ti devi prendere il pranzo?”
“No c’è l’ho in borsa.”
“Perfetto, una rottura in meno.”
Kurt fece del suo meglio per ignorare gli sguardi e seguì in silenzio Hunter, che si fermò ad un tavolo brontolando:
 “Ciao Bleah Club.”
“Glee Club!” corresse una voce fastidiosa.
“Lo so Berry, ma il mio era solo un modo velato per indicare la mia passione per il vostro club.”
Al tavolo si levò uno sbuffo generale, ma nessuno osò altro contro Hunter; si sentì solamente Finn bisbigliare:
“Non anche qui.”
Kurt vide Quinn accarezzare Finn sul bicipite. Si sarebbe arrabbiato se non fosse stato distratto da Blaine che si sbracciava indicando il posto accanto a sé e al contempo spingeva Tina lontano da lui per fargli posto.
Qui! Qui! Cazzo dai! Vi prego, un minuto di più di fianco a questa cozza e la spello viva!
“Blaine, tesoro- disse la ragazza asiatica- buono.”
“Tina...”
“Sì, Hunter?”
“Siete una coppia bellissima tu e lo spostato.”
Idiota! Ammettilo che ti ha ingaggiato Cooper!
Tina rise compiaciuta, mentre Santana rotolò gli occhi infastidita.
“Blaine non è uno spostato.” disse Kurt seccato e Hunter, fissandolo trucemente, scandì:
“Hummel fai amicizia con Lauren Zizes. Noi tre, quest’anno, passeremo molto tempo insieme e sarebbe un peccato se tu non andassi d’accordo con i tuoi bodyguard.”
‘Stai minacciando il futuro toyboy Anderson? Nessuno mette il mio toyboy nell’angolo.’
Kurt era incredulo e voleva ribattere qualcosa ad Hunter, ma Zizes lo freddò ancora di più:
“Dammi mezzo problema Hummel junior e troverai che il soffitto non è poi così in alto.”
Kurt arricciò il naso al nomignolo Hummel Junior, sapeva che ora il suo cognome era quello ma lui non riusciva ad accettarlo.
‘Cristo, Figgins invece di dargli due guardie del corpo gli ha affiancato due psicopatici’
“Bene, siamo amici ora. - Sentenziò Hunter, sedendosi. - se vuoi puoi anche metterti vicino a spostato.”
 “Veramente Hunty- al tavolo si levò la voce gelida e roca di Santana- gli unici spostati che vedo siete tu e Lauren.”
Zizes si sistemò la pesante montatura degli occhiali.
“Satana stai rischiando di diventare salsa di pomodoro.”
“Davvero? Pensi davvero che lo stoccafisso Clerington lo permetterebbe?”
“Lo stendo se prova a bloccarmi.” Lauren infilzò minacciosa la forchetta nelle sue crocchette di pollo.
“A me importa solo della lettera di referenze - Hunter scrollò le spalle disinteressato. – Se uno di voi me la fa saltare, lo seppellisco in questa merda di scuola.”
Kurt fissò i tre ragazzi che si minacciavano a vicenda. Gli sembrava di essere finito in una parodia tragicomica di un liceo del Bronx. Notò Blaine che aveva preso a scrivere furiosamente e poi alzò il foglio con aria vittoriosa.
‘Io ho un cazzo gigantesco.’
“Blaine!” urlarono in asincrono Hunter e Kurt, il primo con tono di rimprovero e il secondo con imbarazzo per poi aggiungere:
“Ma non hai altri discorsi oltre al tuo pene?!”
“Posso confermalo! - disse Brittany con disinvoltura. - Ci conosciamo fin da bambini. L’ho visto crescere.”
‘Anche io ho visto crescere le sue tette o meglio non farlo. Sono ancora come quando aveva 12 anni. Sto ancora aspettando che crescano.’
Kurt rimase sbalordito con quanto candore la ragazza bionda aveva confermato che quello che dicesse il loro amico.
Le reazioni al tavolo furono variegate: qualcuno come Santana e Zizos ne rise; altri, come Rachel, Quinn e Hunter, scossero la testa disgustati; i maschi lo fissarono con mesto riconoscimento e un pizzico d’invidia e Tina, invece, guardava Blaine come se fosse un gustoso da cioccolatino da scartare.
Kurt una volta di più si chiese dove diavolo fosse finito.
“Kurt, ti invito ufficialmente a sederti per questo pranzo a fianco a me.” Lo invitò pomposamente Rachel Berry.
“Nana, lo vuoi far suicidare oggi stesso?” Chiese la latina con divertimento.
“Si dia il caso, Santana, che io sia l’unica persona a questo tavolo che abbia una cultura musicale e preparazione teatrale decente. Anzi, oserei dire che io e Kurt possiamo definirci anime affini e colleghi.”
“Tu e lui colleghi? - chiese con una nota di divertimento Mercedes. - Ma non dovresti essere in qualche compagnia per esserlo?”
“Mercedes, ti prego, non aizzare Rachel.” Sugar sbuffò infastidita mentre addentava un sandwich.
“Io quando avevo sei mesi sono stata scritturata per la pubblicità d-”
“Rachel lo sappiamo. - disse beffarda Quinn. -Ora potresti per favore smetterla di vantarti di cose che non contano?”
Kurt, quando le due ragazze cominciarono a battibeccare, sentì un enorme stanchezza invaderlo, ma non poté soffermarsi che si trovò un microfono sotto la bocca.
“Ma che d-”
“Ciao Kurt. Mi chiamo Jacob Ben Israel e questa è un’intervista del giornale della scuola. Come ti senti ad essere stato aggredito?”
Kurt notò che insieme al ragazzo che lo intervistava ce ne era un altro con una telecamera che lo stava riprendendo. Hunter e Lauren assistevano pigramente alla scena senza intervenire, mentre Finn sembrava infastidito.
“Per favore, vorrei pranzare in pace, quindi vi pregherei di lasciare.” disse Kurt educatamente mentre cercava di capire dove sedersi.
“Dai almeno dicci qualcosa!” insistette Jacob.
 “Te lo ripeto: Lasciami in pace.” Kurt disse perentorio, andandosi a sedere vicino a Brittany e scartando il suo pranzo: verdure e del merluzzo lessati.
‘Tina, maledetta piovra stronza, perché non ti sei spostata? Ora non lo posso rimorchiare il mio Toyboy.’
“Blaine attento al tuo collo. Certo che sei davvero un birichino a comportarti così! Mi sa che se non la smetti dovrò metterti il broncio.” disse la ragazza asiatica con una risatina.
‘MA SEI SERIA O IL CIBO DELLA MENSA HA DELLE DROGHE PESANTI?! TU SI CHE SAI CORTEGGIARE UN UOMO PER TENERLO IL PIÙ LONTANO POSSIBILE DA TE!’
Kurt vide la faccia scandalizzata di Blaine alle parole di Tina e al contempo notò il sospiro triste di un ragazzo asiatico di cui non ricordava il nome. Sapeva bene cosa significasse quella espressione, l’aveva vista su un sacco di ragazze che avevano delle cotte per i suoi migliori amici…
I suoi pensieri vennero interrotti dal microfono spinto in faccia.
“Allora, Hummel, cosa pensi delle punizioni che sono state inflitte ai tuoi aggressori? Le trovi eque?”
Kurt non diede mai la risposta: Hunter, che si era scocciato del cronista, si era alzato con aria grave e furiosa.
“Israel, te lo dico solo una volta: smamma che voglio mangiare in pace o ti giuro che ti farò rimpiangere di essere un microbo mediocre. Lo stesso vale per te, cameramen.”
Kurt vide il ragazzo con la telecamera darsela a gambe con non troppa dignità.
Jacob fece un passo indietro e poi con una voce che cercava di essere ferma:
“Questo è imbavagliare l’informazione! È un gravissimo reato!”
“Ho detto sparisci.”
Jacob, stavolta, imitò il suo collega e se ne andò.
‘Io lo avrei fatto smammare in meno tempo. Tina, donna inquietante, STACCATI!’
Hunter tutto soddisfatto si sedette al suo posto.
“L’inquinamento acustico e visivo è nettamente migliorato da quando è sparito Israel.”
‘Hunter che cazzo stai dicendo?’
“Sono d’accordo, ma una volta o l’altra a quel ficcanaso andrebbe insegnata una bella lezione.” commentò Lauren.
Blaine intercettò lo sguardo di Kurt ed era sicuro che gli mimò che i due mastini al suo seguito fossero folli.
Santana notò l’interazione silenziosa dei due ragazzi e di nuovo una forte rabbia avvampò nel suo petto.
“Ehi. - Mercedes esordì severa.- calmate gli animi. Voi due siete a fare da babysitter al bambino perché qualcuno non ha tenuto le mani a posto.”
“Se io sono un bambino, tu cosa sei? Una donna vissuta?”
“Pasticcino, hai il viso liscio come il culo di un neonato o di una fanciulla. Finché non dovrai raderti una barbetta non ti considererò nemmeno un adolescente.”
‘Mercedes, Kurt non è una fanciulla! Non sono etero! ’
“Veramente non sono completamente senza peli sulla faccia!”
‘Davvero?”
Ci furono varie prese in giro in direzione di Kurt e la sua famigerata ‘barba’ che lo fecero arrossire d’imbarazzo.
 Blaine, stufo dell’ennesimo approccio di Tina, si alzò e andò verso Kurt e Brittany e, per farsi posto fra loro, spintonò malamente quest’ultima e le rubò il latte al cioccolato.
Brittany ridacchiò, trovava molto buffo il comportamento dell’amico.
Blaine si sentì arrivare in testa una sberla e poi un Kurt arrabbiato gli urlò contro.
“Non puoi comportarti così. Non sei carino con la tua amica. Chiedile scusa.”
Il riccio fece la faccia imbronciata.
“Blaine non comportarti come un bambino.”
Il piccolo degli Anderson si indicò la barba con una faccia compiaciuta.
“Ma che c’entra? La barba non fa di te uno che non deve chiedere scusa se fa qualcosa di sbagliato.”
‘Egoista!’
“No, non mi guardare con quello sguardo.”
‘Io ti guardo come mi pare!’
“Blaine finiscila!”
Santana alzò un sopracciglio alla scena che si stava svolgendo sotto il suo sguardo con un misto di fastidio e gelosia: Kurt sembrava capire naturalmente Blaine senza alcuno sforzo. Lei e Brittany ci avevano messo anni per capire la maggior parte delle mimiche dell’amico, anche se a volte, senza nulla di scritto, era impossibile interpretare Blaine.
“Ehi Blaine, - lo chiamò Sam. -Hummel ha ragione... ti sei comportato male con Brittany!”
‘Smettila di parlare o dovrò sculacciarti! … Ah già, ma tu sopporti Tina...’
 “Tranquilli lo fa sempre.” Disse la ballerina come se quello spiegasse tutto e a lei non importasse.
Anderson finito il latte al cioccolato, che aveva bevuto avidamente, prese due intere carote lesse dal pranzo di Kurt, e le ingoiò con una faccia schifata e gli rubò l’acqua e cominciò a berla a sorsate.
“Blaine!- urlò il ragazzo con rabbia.- la devi finire di comportarti così! Ridammi l’acqua! Questo è un lato di te che devi cambiare! Non puoi fare sempre quello che ti passa per il cervello.”
Blaine alle parole del ragazzo sentì una lieve vergogna strisciante su di lui.
“Calmate le tette tutti quanti, Blaine è perfetto così com’è! - disse Santana con tono tagliente e poi, fissando Kurt con rabbia, aggiunse. - Non ha bisogno di cambiare per nessun motivo! Vuoi fare veramente delle storie per un po’ di acqua e due fottute carote lesse?”
Kurt fissò malamente la latina. Lui non era una persona tirchia, offriva volentieri quello che aveva, ma aveva imparato molto velocemente che, nelle mense americane, le bottigliette d’acqua erano spesso poche e costose. E poi il latte normale o con aromi o cibi industriali di bassissima qualità non andavano d’accordo con il suo stomaco e gli provocavano acidità.
Da quello che poteva vedere dai vassoi dei suoi compagni di tavolo c’erano svariati tipologie di cibo fritto tra cui crocchette di patate e corn dogs[6]. Era chiaro che la mensa del McKinley non seguisse nessun programma alimentare consigliato dall’USDA[7]. Se avesse mangiato ciò che mangiavano loro o quello che la mensa scolastica proponeva avrebbe avuto nel giro di pochi giorni sintomi di malessere.
“Allora Hummel junior?- lo incalzò Lopez.- Non rispondi?”
“Santana.” Brittany esordì con una voce densa di rimprovero.
Il ragazzo sostenne lo sguardo della latina e ribatté:
“Quindi, secondo te, Blaine fa bene a spingere Brittany o come stamattina che gli è venuto il nervoso lanciare il suo quaderno in testa ad Hunter?”
‘Ma guarda questo stronzetto!’ pensò innervosito Anderson.
“Se uno fa lo stronzo con lui, lui ribatte in maniera fisica. Questo è il suo modo di esprimersi!”
“Ma ciò non significa che sia giusto.”
Blaine batté le mani sul tavolo, attirando l’attenzione di tutti e fissò malissimo Kurt, gli fece il dito medio e se ne andò.
“Blaine!” lo chiamò Kurt, che per istinto voleva seguirlo, ma venne preceduto da Tina che gli disse velenosa, prima di andarsene:
“Certo che se un bell’ingrato a parlargli così dopo che ti ha difeso da Karofsky e tutti gli altri bulli.”
E Finn sibillino aggiunse:
“Almeno non sono l’unico a pensarlo.”
“Tesoro.- disse Quinn, appoggiando una mano una mano sul bicipite del suo ragazzo.- quando una persona cede a certe devianze, devi capire che non è portata per natura a essere grata.”
Al tavolo calò il silenzio e Rachel divenne di svariate tonalità di rosso provocate dalla rabbia, che sembrava bloccarle l’uso della parola.
Kurt alzò un sopracciglio infastidito, verso la bionda bigotta e con sarcasmo le disse:
“Quindi cosa proponi per curare la mia ingratitudine derivata dalla mia devianza? Una terapia di riorientamento sessuale? Che succede poi? Mi trasformo in un maestro del bon-ton e ringrazio anche le zanzare per togliermi il sangue in eccesso?”
Quinn lo fissò come se fosse un insetto.
“Potrebbe essere un’idea.”
“Oh ma andiamo!-sbotto Kurt infastidito.- Volete tutti quanti dirmi che approvate i modi di Blaine?”
“Vedi Brittany che avevo ragione io.- esclamò criptica Santana.- Blaine non gli va bene così com’è-“
“Scusa Sannie,- disse la ballerina.- ma sta dicendo la stessa cosa che stavo dicendo io stamattina e che tutti abbiamo almeno pensato una volta. Tu compresa. Ma lui è stato l’unico che ha avuto la malaugurata idea di dirlo a Blaine in faccia.”
 Santana sbuffò, ma non negò le parole dell’amica. Rachel decise che in quel momento di dire la sua a Quinn.
“I tuoi preconcetti sugli omosessuali dimostrano solo che sei una persona ignorante!”
“Io non sono ignorante.”
“Invece lo sei e sei solo una ricca annoiata.”
“Senti da chi mi viene la predica dalla ricca egocentrica viziata. Se non canto io non vinceremo mai.”
“Se vi fanno così schifo i vostri soldi, datene pure un po’ a me.” Disse Sugar seriamente.
“Ma tu sei miliardaria.” commentò Sam.
“Si ma io voglio solo aiutarle.”
Kurt decise di ignorare la litigata in atto fra le due ragazze ricche e si concentrò su Brittany.
“Perché ho sbagliato a dire a Blaine quello che pensavo?”
“Blaine è un caro ragazzo, ma io non vorrei mai averlo come nemico.”
Kurt rimase stupito dalle parole della ragazza e avrebbe voluto chiederle di più se non fosse stato per Santana che disse:
“Vieni Brittany andiamo a salvare Blaine dalla cinese gotica pazza.”
“Tina è Giapponese. - La corresse Mike con una faccia piena disappunto. -Io sono Cinese.”
“Che errore imperdonabile!” disse falsamente dispiaciuta la latina e andare alla ricerca di Blaine, tenendo Brittany con il mignolo intrecciato.
Kurt avrebbe voluto andare anche lui a trovare Blaine, ma doveva ancora pranzare (Con quel poco che gli rimaneva) e prendere un Tylenol per il mal di testa e il dolore al naso. Avrebbe parlato dopo con Blaine sperando di riuscirci prima di andare a casa. Voleva che fossero a posto.
 
Santana e Brittany non ebbero difficoltà a trovare Blaine: si era nascosto nella sala del coro e stava suonando con rabbia al pianoforte Platypus (i hate you) dei Green day.
Santana non ricordava bene il testo perché la canzone l’aveva trovata inutilmente volgare e brutta ed era solo una sequela d’insulti del tipo: perché non vali neanche come la merda sulle mie suole o il piscio per terra.
“Blaine per chi stai suonando questa dolce canzone? Per Tina o per Kurt?” chiese Santana con ironia.
Blaine alzò due dita e le ragazze capirono che la dedicava a Kurt.
Brittany sospirò.
“Mi pare che stai un po’ esagerando. E poi che fine ha fatto Tina?”
Blaine alzò gli occhi al cielo e fece un gesto vago con la mano.
Santana ridacchiò e con fare complice chiese:
“Cosa le hai fatto?”
Anderson andò alla lavagna e scrisse:
-Ho accidentalmente rovesciato un secchio d’acqua saponata del bidello in corridoio e Tina è scivolata nell’acqua, sarà ad asciugarsi. -
Brittany piegò la testa e accigliata commentò:
“Penso che il tuo rovesciare l’acqua del bidello non sia stato un incidente.”
‘Ovvio che non lo è stato, ma mai lo dirò.’
Santana rise di gusto alla faccia di Blaine.
“Brittany, tesoro, noi non siamo qui per parlare di Tina.”
“Si giusto. - concordò la bionda. - Blaine come va?”
-Kurt è uno stronzo. - scrisse alla lavagna il ragazzo.
“Hai ragione, -convenne Santana-è uno stronzo. Tu sei stato davvero buono con lui e gli hai offerto la tua amicizia e lui da ingrato davanti tutta la scuola ti ha fatto fare una figuraccia. Ha ragione Finnocenza a dire che è un ingrato, ma nessuno vada a dirglielo che per una volta sono d’accordo con lui... non pensavo nemmeno che mai sarebbe arrivato questo giorno.” Commentò scherzosa Santana.
Blaine scosse la testa in segno di assenso e ridacchiò.
 Brittany sospirò.
“Blaine, tu sai quanto io ti voglio bene, ma penso che Kurt ha ragione: devi fare qualcosa per i tuoi comportamenti, non puoi continuare in questo modo.”
“Tu sei dalla sua parte?” domandò Santana incredula alla ballerina.
Blaine era sconvolto dalle parole di una delle sue più care amiche e la fissava con gli occhi spalancati.
“Problemi? -chiese la ballerina con aria di sfida. - quello che rimproveriate a Kurt, voi lo fate sempre.”
-Io picchio solo chi se lo merita. - scrisse rabbioso Blaine sulla lavagna.
“Come io dico le cose che pensano tutti e che gli altri sono troppo codardi per dirle ad alta voce.”
Brittany sbuffò.
“Diciamo le cose come stanno Santana... quando ti sta antipatico qualcuno lo umili lo riempiendolo di battute infelici sui suoi difetti. Finn in primis. Blaine, tu invece, aggredisci se qualcuno ti si rivolge in modo che a te non piace e non dico che tu non abbia ragione, ma la violenza non va bene. Ne fisica- disse guardando Blaine, per poi spostare lo sguardo su Santana.- ne verbale.”
“Brittany fai attenzione a quello che stai dicendo.”
“O cosa San?”
Santana non lo sapeva.
Blaine con rabbia scrisse sulla lavagna.
-Perché mi stai facendo questo Brittany? -
“Mi sto comportando da amica Blaine!”
“Mettendoti dalla parte del nemico?” urlò Santana.
“Essere amici non significa essere d’accordo su tutto. Essere amici è dire a un amico anche quando sbaglia. Kurt non è il nemico e ha ragione: Blaine è ora di finirla.”
I tre ragazzi si fissarono poi la ballerina riprese a parlare.
“Io vado a lezione. Se volete che parliamo il mio numero di telefono lo avete.”
Brittany uscì dalla classe sbattendo la porta e Blaine e Santana si fissarono increduli non capacitandosi di quello che era appena successo.
 
 
Arthur aveva capito che Kurt aveva qualcosa che non andava dal momento che era andato a prenderlo.
Il ragazzo era triste e temeva che fosse successo qualcosa di grave a scuola, magari qualche offesa o uno spintone o delle prese in giro.
“Kurt per caso è successo qualcosa?”
L’uomo si trovò lo sguardo del nipote su di lui.
“Cosa?”
“Ti ho chiesto se oggi a scuola è successo qualcosa.”
“No, non è successo nulla.”
“Allora perché sei imbronciato?”
Kurt dentro di sé si maledisse per aver lasciato trasparire il suo malumore per aver litigato con Blaine. Gli aveva scritto dei messaggi ma non aveva ricevuto nessuna risposta.
“Niente è solo che mi manca la mia vecchia scuola.”
Arthur sospirò felice che fosse una sciocchezza di quel genere.
“Mi dispiace. Ma dimmi un po’ che ne pensi per ora della scuola?”
“Seriamente?”
“Beh si.”
“Al momento mi fa schifo.”
 
Molly Hummel sedeva composta sul divano mentre sorseggiava il suo caffè, cercando di apparire elegante e raffinata come la donna che aveva di fronte, Blanche Smythe.
“Un caffè davvero delizioso, Carole.” si complimentò la donna con il suo pesante accento francese. Molly aveva sempre pensato che il suono della lingua americana con i suoi slang fosse allegra e banale, ma ora doveva ricredersi: semplicemente ogni cosa diceva quella donna con il suo accento la rendeva elegante e affascinate.
“Sì ha ragione. Carole, il caffè oggi è particolarmente buono.” La nuora fissò confusa la suocera.
“Grazie, ma la miscela e la macchina sono le solite … non ho cambiato nulla.”
Nel soggiorno calò il silenzio per un secondo fino a che Carmen non esclamò:
“Io non so chi devo ringraziare per aver fatto questa birra ma è proprio buona. Grazie Carole per averla comprata.”
“Prego.” Disse Carole ridacchiando alla buffa donna ispanica, che beveva la sua birra stravaccata sulla poltrona. Dopo il richiamo di Blanche, Carmen aveva preso a parlare completamente inglese.
“Fra quanto arriva Kurt?” chiese Sebastian con impazienza in direzione delle due signore Hummel.
“Mio marito dovrebbe averlo già preso da scuola, solo il tempo della strada… dovrebbero essere qui a minuti.”
“Grazie. - disse educatamente Thad con un sorriso.- Sentito bambinone? Pochi minuti e Kurt è qui.”
Sebastian sbuffò alla presa in giro.
“Vuoi dirmi che tu non sei impaziente?”
“Ovvio che lo sono, ma lamentarmi non lo fa arrivare più velocemente, anzi irriti solo chi hai intorno.”
“Io non irrito chi mi sta intorno.”
“Ah no?”
“A me voi due mi state irritando.” Commentò Carmen.
I due non ebbero tempo di ribattere, che sentirono la porta d’ingresso aprirsi. Si girarono pronti a balzare addosso al loro amico, ma sulla soglia apparve Burt, che fu accolto dalla faccia dei ragazzi delusi.
“Buon pomeriggio signor Hummel.”
“Oh Benvenuti a tutti... scusatemi, puzzo di olio e motori, vengo dal lavoro.”
“Oh, non si preoccupi. - disse Blanche, alzandosi per andare a salutare l’uomo. - è un piacere rivederla. La trovo in forma.”
Carmen e i due ragazzi si scambiarono un’occhiata non condividendo l’opinione.
“Grazie signora Smythe. Spero che abbiate avuto un buon viaggio.”
“Sereno. – concesse Blanche- anche se nell’ultimo tratto in macchina, date le molte curve e la guida prestante di Carmen, i ragazzi sono stati male.”
“Ohh e finiamola con questi convenevoli. - sbottò Carmen spazientita- Diamogli i regali che gli abbiamo portato.”
“Ma non dovevate.” li rassicurò Carol con gentilezza.
I ragazzi corsero immediatamente alle loro valige e presero una busta che conteneva dei pacchetti e li diedero alla padrona di casa.
“Ha ragione mia moglie, non dovevate disturbarvi.”
“Sciocchezze.” Commentò burbera Carmen.
“Saremo stati dei screanzati a non ricambiare il vostro grande garbo di invitare i nostri nipoti a dormire nella vostra dimora.”
“Senti Blanche, io dovrò parlare inglese per farmi capire da tutti, ma tu puoi parlare un po’ meno forbito? Non siamo mica a cospetto della Betta e della sua inglese famiglia snob.”
“Carmen, l’eleganza nei modi non è mai di troppo nella vita a differenza della maleducazione.”
Burt perplesso si avvicinò alla moglie, che cercava di non scoppiare a ridere del siparietto.
“Non sapevamo bene cosa prendervi. -intervenne Thad.- Quindi abbiamo pensato che magari vi avrebbe fatto piacere qualcosa di classico. ”
Sebastian porse a Carole e Molly dei cestini contenenti delle bottiglie di vino, champagne, Whisky, dei cioccolatini artigianali e per finire il tutto un cavatappi di argento decorato.
Burt non era sciocco e poteva capire che quel cesto valeva centinai di dollari: ogni prodotto era pregiato e di alta classe, e non aveva dubbi che il cavatappi fosse di effettivo argento e non di metallo lavorato.
“Grazie è davvero un pensiero gentile. -disse Molly. - Ma davvero io non ho fatto nulla, non merito un regalo.”
“Molly non dire così. - Blanche gentilmente la riprese. - In fondo da adesso in poi le nostre famiglie si vedranno molto spesso e per molti anni a venire. Trovo sia bello che costruiamo un rapporto di amicizia fra di noi. Credetemi, è solo un piccolo pensiero una sciocchezzuola.”
Carmen vide gli occhi degli Hummel allargarsi alle parole di Blanche e si prese il suo tempo per studiare i personaggi della famiglia. Quella sera, quando sarebbero andate in albergo lei e Blanche avrebbero confrontato le loro impressioni. La donna latina però aveva un obbiettivo da compiere quel fine settimana: riuscire ad avere dei capelli o degli oggetti della famiglia Hummel, tutti i loro membri, che se avessero fatto qualcosa al suo nipotino gli avrebbe lanciato il malocchio.
 
 
[1] Nathan Bedford Forrest (Chapel Hill, 13 luglio 1821Memphis, 29 ottobre 1877) tenente generale della cavalleria confederata, noto per aver aderito alla nascente organizzazione razzista Ku Klux Klan, di cui fu il primo Grand Wizard ("Grande Mago").
[2] In America per l’enorme consumo di carne e latte gli animali per farli crescere più velocemente vengono imbottiti di sostanze che possono essere: ormoni della crescita artificiale, arsenico, ractopamina e molte altre. Stesso discorso vale per i pesci di allevamento che vengono alimentati con l’astantaxina sintetica, sostanza tossica a base di prodotti petrolchimici e non idonea al consumo umano. Discorso analogo c’è per gli ortaggi. Inoltre molti cibi pronti contengo dei conservanti potenzialmente cancerogeni molti dei quali proibiti In Italia e in Europa, come molti dei loro coloranti. In questi anni però in America per una maggiore consapevolezza dell’acquirente in materia di alimentazione stanno nascendo dei movimenti per invertire la tendenza a imbottire i cibi e la carne di farmaci e cercare di tornare ad una alimentazione più naturale.
[3] È una ricetta che contiene carne di maiale, fagioli secchi e riso. È un piatto tipico degli schiavi dell’Africa Occidentale che portarono la loro conoscenza del riso negli Stati Uniti. Molti credono che il nome Hoppin’ John appartenga ad uno storpio vecchietto che vendeva fagioli, piselli e riso in tutta Charleston. L’Hoppin’ John rimane uno dei più caratteristici piatti del Sud e tipici del capodanno.
[4] Alcuni studi hanno dimostrato un’associazione inversa tra reddito e tasso di obesità o indice di massa corporea, evidenziando una presenza maggiore di obesi tra le persone con salario più basso. Moltissimi individui hanno inoltre difficoltà a seguire dei regimi alimentari sani e questo comporta tassi di malattie legate all’alimentazione più alti rispetto alle persone con reddito elevato.
[6] corn dogs americani, sono degli stecchi su cui ci sono infilzati dei wurstel passati in una pastella e poi fritti
[7] US Department of Agriculture: Dipartimento di Agricoltura, esecutivo federale responsabile per lo sviluppo e l'esecuzione di leggi federali legate alla agricoltura e l’allevamento. Responsabile del programma Supplemental Nutrition Assistance Program per la salute Americana, dal quale dipendono delle linee guida da seguire nella alimentazione le mense scolastiche. Michelle Obama, negli anni che è stata alla casa bianca ha fatto come propria la lotta di insegnare agli americani a Mangiare sano, tra le sue lotte si annovera quella che nelle mense scolastiche venissero eliminati completamente cibi fritti e pasti che superassero le 3000 calorie per un massimo di 1500, ma ad ancora oggi sembra che il settanta per cento delle mense non segua il regolamento. L’America è il primo paese al mondo di malattie e morti legati alla alimentazione.

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Capitolo 17
*** Riunione ***






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Gli Hummel erano un po’ straniti dal gruppo dei Newyorkesi che erano così rumorosi ed eccentrici.
Burt si era preso tempo per studiare soprattutto Thad e Sebastian.
“Che sciocca! – Blanche esclamò teatralmente. – Mi stavo per dimenticare che domani sera arriverà qui Isabelle e vorrebbe portarvi tutti fuori a cena.”
“Ma non ce n’è bisogno. - fece Carole prontamente. – posso cucinare io per tutti.”
“Non ti preoccupare signora Hummel. Io e Thad abbiamo cercato quali ristoranti ci fossero qui a Lima e abbiamo fatto la prenotazione al Breadstix.”
“Già su Trip Advisor ha delle belle recensioni. - convenne Thad.- Speriamo che sia buono.”
“Ma non dovevate.” disse Carol con timidezza.
“Isabelle ci teneva.” Spiegò Blanche.
“Chi sarebbe questa Isabelle?” Molly chiese molto interessata e a risponderle ci pensò Burt.
“La vicina di casa di Elisabeth e Kurt a New York, una cara amica di famiglia. Quella signora di cui ha parlato anche Etienne.”
“Sì, ora che me lo ricordi mi è tornato in mente.”
“Oh Isabelle è più di un’amica di famiglia per Kurt. – esordì Carmen. – Kurt la chiama zia.”
Blanche colse l’espressione di Burt incupirsi e per sedare gli animi aggiunse:
“Certo capiamo che è difficile sentire tutto questo, soprattutto perché abbiamo vissuto con Kurt momenti che sarebbero stati destinati a te a Carole e ai tuoi genitori.”
Carole sobbalzò quando si sentì chiamare in causa ma nessuno se ne accorse perché suo marito rispose alla donna.
“Mi sento derubato e sono molto geloso e arrabbiato. Sentire tutto questo mi rende triste perché io non avrò mai la possibilità di riavere quei momenti per me.”
A sorpresa di tutti a rispondere a Burt ci pensò Sebastian.
“Ma il passato non si può cambiare. Quindi perché arrovellarsi tanto? Fai il tuo meglio nel presente e Kurt ti amerà… forse. Anche perché il tuo meglio al momento è discutibile. - Sebastian si sentì pizzicare il fianco da Thad e subito, con le mani alzate, aggiunse. - Senza offesa signor Hummel.”
Burt non sembrò dare peso alle parole del ragazzo e invece chiese:
“Kurt? Amarmi? Non credo che succederà mai.”
Thad provò pena per l’uomo e capì che anche il suo ragazzo dovesse aver pensato la stessa cosa e per un momento mise da parte la sua antipatia e cercò di consolarlo.
“Diciamo che non siete partiti nei migliori dei modi. Ma se provi a cambiare modo di approcciarti a lui, Kurt modificherà il suo approcciarsi a te. Ma sei tu che deve fare questo passo.”
“Già. - Convenne Sebastian. – Kurt ha un modo di fare più adulto della sua età, ma questo è perché ha sempre dovuto essere più responsabile dei suoi anni. Per quanto Elisabeth tentasse di farlo vivere come un qualunque bambino, la verità che lui è sempre stato diverso.”
Molly ascoltava con molto interesse quello che i Newyorkesi avevano da dire, forse farsi raccontare qualcosa del nipote poteva aiutarli a capirlo meglio.
Carole s’intromise nel discorso e chiese:
“Come possiamo avvicinarci a Kurt se non accetta che sua madre potrebbe essere in torto e che noi non siamo il nemico che lui ci dipinge?”
“Io non penso di potervi dire come avrei gestito la situazione al vostro posto. - convenne Blanche. - Ma ci sono state delle incomprensioni molto forti.” La signora Smythe aveva ignorato volutamente la parte riguardante Elisabeth.
“Oh! E basta usare i guanti velluto, che cazzo!- Intervenne Carmen.- Kurt è gay! Fine della storia. Non è una scelta. Quindi come pensate che Kurt possa aprirsi a voi quando lo rifiutate nel centro del suo essere? Come pensate che possa solo parlarvi se insultate sua madre?”
Non ci fu tempo di continuare il discorso perché i presenti sentirono Bob scendere di corsa le scale, abbaiando festante.
“Direi che è arrivato Kurt. -Molly commentò e poi aggiunse in direzione del figlio e della nuora. – Non credo di aver mai visto correre Bob da Finn in questa maniera…anzi non credo di aver mai visto quel cane correre.”
“Mamma, ti prego, manca solo che fai notare questo a Finn per farlo arrabbiare con Kurt ancora di più.”
“Sta arrivando Kurt?” chiese emozionato Thad.
“A quanto pare da quel hot dog ambulante direi di sì.”
“Sebastian!” Esclamò Blanche in tono di rimprovero.
“Non rimproverare il ragazzo quando dice la verità!”
“Carmen c’è modo e modo!”
“Sì va beh, se avessi avuto modo, sai quante donne avrebbero tentato di mettere le grinfie sul mio defunto marito? Sai a quante di loro ho dovuto fare il malocchio?!”
Gli Hummel fissarono molto perplessi la donna ispanica e Thad tentò di salvare la situazione.
“Era una battuta!”
“Se volevo fare una battuta, avrei fatto una battuta.”
 
Kurt fissò la macchina rossa parcheggiata nel vialetto e poi ad Arthur chiese:
“Ma oggi abbiamo ospiti? Io non ho voglia di trattare con gente estranea, soprattutto con il viso conciato così. Mi vado a chiudere in camera.”
Arthur ridacchiò della schiettezza del nipote.
“Sì, ci sono ospiti, ma è gente simpatica, non ti preoccupare.”
Alle orecchie di entrambi arrivò l’abbaiare eccitato di Bob.
“No! - Kurt sospirò, indispettito. – Ho addosso i pantaloni chiari di Armani, me li sbaverà tutti!”
“Povero Bob.”
“A proposito, ora che il cane è mio… mi accompagni in un negozio per animali che gli voglio comprare un po’ di cose?” Kurt pensò che sarebbe stata anche l’occasione perfetta per comprare tutto il necessario per Jessica, anche perché aveva cominciato a frullargli un’idea in testa… Un’idea che forse avrebbe fatto infuriare sia Carole che Burt, ma fintanto che pagava lui non sarebbe stato questo grande problema.
“Certamente, tipo cosa?”
“Un collare nuovo, quello che ha è a strozzo e mi fa paura e impressione. Poi voglio una pettorina, del cibo e dei prodotti per lavarlo. Puzza!”
“È un cane.”
“Non vuol dire. E poi voglio anche comprargli un cappottino, non sia mai che gli venga la tosse.”
Arthur scoppiò a ridere.
“Sono serio, Arthur. In più dopo che ho comprato tutto vorrei anche portarlo dal veterinario per un controllo.”
“Non credo che Bob abbia bisogno di vedere un veterinario, mi pare che stia bene.”
“Non sta bene! Ho letto su Google che un bulldog adulto dovrebbe pesare intorno ai 23 chili; Bob ne pesa sicuramente molti di più.”
Arthur si trattenne dal ridere data la faccia serie e preoccupata del nipote.
“Lo hai letto quando?”
“Oggi a lezione di matematica.”
“Ma dovresti stare attento.”
“Pff. Sono un livello decisamente superiore del corso base. Ho letto il programma del corso avanzato e chiederò di fare l’esame per entrarci... e poi il professore mi è anche antipatico.”
“Ah sì? Altri professori che non gradisci?”
“Quella di storia. Come si chiama? Burgunde Walpurga Wagner. Tralasciando che ha avuto dei genitori veramente cattivi per chiamarla così, ma il suo problema maggiore è che è pazza e credo che sia filo nazista.”
“Sì anche Finn mi ha detto che è un tipo particolare.”
“Per Bob allora mi darai una mano? Mi accompagni al negozio e dal veterinario?”
“Ok, affare fatto, ci organizzeremo. Ora apri la porta che non voglio essere travolto dal cane.”
Kurt riluttante aprì la porta e si trovò investito da Bob che, come aveva previsto, sbavò sui suoi preziosi pantaloni.
“E dai però Bob!” Urlò Kurt pieno rimprovero, ma il cane lo prese come un complimento e si buttò ai suoi piedi, mostrando con orgoglio il pancino tondo.
Arthur vide Kurt rompersi in un sorriso e chinarsi dargli una carezza.
“Che cane prepotente che sei!”
Bob uggiolò felice delle attenzioni ricevute e cercò di spingere la testa verso la mano che lo stava coccolando.
Arthur sorrise alla scena e pensò che Kurt stesse cominciando a sciogliersi. In più il contatto forzato con il cane sembrava averlo reso un po’meno schizzinoso.
“Dai Bob facci entrare.” Il ragazzo spostò gentilmente l’animale e fece spazio all’anziano uomo per andare dentro casa. Arthur, zoppicando entrò svelto, non voleva perdersi la faccia del nipote alla vista della sorpresa che lo attendeva. Vide due ragazzi che si erano nascosti e che a stento trattenevano i sorrisi di gioia sui loro volti.
Riuscì ad andare vicino alla poltrona dove era seduta sua moglie prima che Kurt entrasse in soggiorno accompagnato da Bob e congelarsi sulla soglia quando vide Carmen e Blanche.
 
“Nonne!” Kurt urlò pieno di gioia, ma prima che potesse fare un passo venne investito da Thad e Sebastian che lo strinsero in un abbraccio festoso rotto quasi subito perché Bob, vista dall’irruenza dei ragazzi, cominciò ad abbaiare e ringhiare, convinto di difendere il suo padrone da un attacco.
“Bob finiscila! Loro sono amici. Vedi?” disse abbracciando Sebastian e poi fece la stessa cosa con Thad. Bob, che aveva fissato tutta la scena con sguardo perplesso, incerto si avvicinò ai due sconosciuti e li annusò a distanza e poi con versi penosi si mise ai piedi di Kurt.
“Ma che hai?”
Tutti nella stanza erano rimasero colpiti dalla scena e la prima a commentare fu Molly.
“Ti ripeto Burt- la donna indicò il cane parlando col figlio. - con Finn non ha mai fatto così e mi dispiace se ci rimane male a dirglielo, ma il cane ha scelto il suo padrone. Chi dà attenzione e cura riceve amore.”
Kurt avrebbe voluto dire qualcosa, ma la sua attenzione fu presa da Sebastian che con un’aria preoccupata lo osservava.
“Dire che ti hanno conciato male quegli stronzi è poco!”
Kurt osservò le facce preoccupate della sua famiglia di New York e qualcosa di spiacevole si fece largo dentro di lui.
“Sto bene. - disse cercando di sembrare allegro. – Questi lividi sono solo più brutti da vedere di quello che effettivamente sono.”
Blanche, sospirando, si alzò dalla poltrona e con un sorriso gentile andò verso il ‘nipote’ per abbracciarlo.
“Benedetto ragazzo! Sei come tua madre. Non c’è bisogno di fingere che va tutto bene per non preoccuparci. Siamo qui per te.”
Kurt a quelle parole venne in magone e strinse forte la nonna che gli fece delle amorevoli carezze sulla testa e gli bacio la tempia.
“Quello che Blanche vuole dire che non ci devi tranquillizzare, non siamo da ricovero. E non c’è nulla di male se le cose vanno da schifo.” Carmen fece seriamente allargando le braccia per incitare il ragazzo ad abbracciarla. Kurt fece una risatina commossa, abbracciando l’altra nonna.
“abuela. (Nonna)”
“Querido, te extrañé mucho. (Tesoro mio mi sei mancato molto.)”
“Yo también te extrañé, abuela (Anche tu mi sei mancata nonna.)”
Carmen coccolò il ragazzo fra le sue braccia con una dolcezza che uno sconosciuto non avrebbe sospettato in lei per via dei suoi modi di fare spesso maleducati e rissosi.
 “Kurt.- Blanche attirò l’attenzione del nipote e poi con tono scherzoso lo canzonò.- Je sais qu'il y a d'autres femmes dans ta vie, mais je ne suis pas jalouse. (Kurt, mi rendo conto che ci sono altre donne nella tua vita, ma non sono gelosa.)”
“Gran-mére Ya pas de honte à être jaloux. (Nonna, non bisogna vergognarsi di essere gelosi.)” le rispose Kurt con lo stesso tono, staccandosi da Carmen e tornando ad abbracciarla di nuovo.
Blanche accettò volentieri il ragazzo fra le sue braccia e lo strinse gentilmente, suo figlio le aveva detto che era dolorante. La donna ruppe l’abbraccio per guardare meglio il viso di Kurt e per un momento ebbe la visione del viso di Elisabeth in obitorio e le tornarono alla mente le urla disperate di Kurt…
Blanche sentì le lacrime formarsi e scendere dai suoi occhi e subito si portò le mani in viso per coprirsi.
“Voilà pour la règle de non pleurer.(Tanti saluti alla regola del non piangere.)” Disse Sebastian scherzoso, beccandosi un pizzicotto dal suo ragazzo.
“Est ce que ça va? (Stai bene?)” chiese Kurt preoccupato e gentilmente rimosse le mani dal viso della donna per vederla con le lacrime e il trucco leggermente sbavato.
“Bien, n'ait aucune inquiétude mon enfant. (Bene, non preoccuparti, piccolo mio.)” Lo rassicurò immediatamente Blanche cercando di asciugarsi gli occhi.
“Ne pleurez pas Gran-mére, je vais bien. (Non piangere Nonna, io sto bene.)” Disse Kurt asciugando in un gesto affettuoso le guance della nonna.
“Oui, je sais, je sais. (Sì, lo so, lo so.)”
“Sentite. - Carmen esordì con il suo tono impaziente.- Torniamo alla regola di parlare solo inglese?! Perché io non capisco niente di quel ruttare di animali in amore che voi vi ostinate a chiamare Francese.”
“Agli ordini nonna.” disse Thad mettendosi sull’attenti.
“Prendi poco per il culo, ragazzo. Se voi tre nipoti parlate correntemente due lingue straniere lo dovete a me e alla lacrima facile laggiù.”
“Infatti. - convenne canzonatorio Sebastian. - Andare in una scuola internazionale che già dalle elementari ti prepara per le Ivy League con lezioni obbligatorie in lingua, anche nelle ore come matematica o storia, non ci è servito a nulla.”
Burt e Carole saltarono a quella notizia, non avevano idea che Kurt avesse frequentato una scuola così prestigiosa e costosa.
“Si anche quella ha aiutato. – concesse la donna latina. - ma voi tre avendo noi due che anche fuori da scuola che vi costringevamo a parlare in francese o spagnolo vi ha molto aiutato.”
“Abuela, io e Sebastian siamo cresciuti in famiglie bilingui quindi eravamo già a metà dell’opera.”
“Seb. Thad. - li chiamò Kurt. - Ha ragione nonna Carmen. Io, se non ci fossero state lei e nonna Blanche e anche voi due, non saprei parlare così fluentemente queste lingue.”
“Mi pequeño! – fece felicemente Carmen a Kurt per poi girarsi con le braccia sui fianchi verso gli altri due. – Avete sentito? Almeno qualcuno di voi tre sa cosa sia l’onestà!”
Sebastian si voltò verso Kurt e con voce nemmeno troppo bassa gli soffiò.
“Lecchino!”
Kurt di risposta gli fece una linguaccia e poi con fare arrogante gli disse:
“Sfigato.”
“Sfigato a chi? Vieni qui piccola peste.”
Kurt lanciò un urlo giocoso e iniziò a scappare via salendo le scale con Sebastian alle calcagna.
Thad osservò gli adulti nella stanza e poi con fare educato esordì:
“Io vado a fermarli.” E corse dietro agli altri due.
Bob, che aveva scrutato perplesso la scena, osservò sconsolato le scale e poi con passo lento iniziò a darsi da fare per raggiungere il suo padrone, grugnendo infastidito. Tutto in lui sembrava dire: ‘Guarda che fatica mi tocca fare!’
Burt era molto colpito dal fatto che in pochi minuti che Kurt era stato con i newyorkesi erano venute fuori sfaccettature di lui che sembravano impensabili, difficili da collegare al ragazzino perennemente arrabbiato e chiuso in sé stesso che gli girava per casa.
Blanche e Carmen stavano sorridendo della scena appena avvenuta.
“Scusateli. - disse la signora Smythe. – Quando sono insieme tendono ad essere molto rumorosi e pieni di vita.” La donna riuscì a malapena di finire la frase prima di commuoversi nuovamente.
“Quello che Blanche vorrebbe dire è che i ragazzi non sono più stati così da quando è morta Elisabeth.” Terminò Carmen fissando direttamente Burt e Carole.
Arthur e Molly si scambiarono uno sguardo, avevano capito perfettamente che Carmen non si sarebbe tirata dietro a un confronto diretto.
“Allora sono molto felice che siate venuti se potete donare un po’ di serenità a Kurt.” rispose Burt fissando la donna latina senza nessun timore.
 
Il rumore dell’orologio suonava leggero, il tempo veniva scandito dal tic-tac incessante, ma all’uomo seduto nella poltrona in pelle non ne era infastidito, anzi ne era rassicurato.
Jackson Zizes sedeva nel suo studio e guardava una vecchia fotografia di Elisabeth e Luis appena diciassettenni, scattata in una serata estiva, durante una grigliata a villa Quercia.
Luis era in piedi dietro a Elisabeth, che rideva con gusto con le mani sulla pancia come se cercasse di contenersi, guardandola con quello sguardo che le rivolgeva sempre, quello di un uomo perdutamente innamorato… ma come dargli torto?  Elisabeth in quella fotografia era semplicemente bellissima: i capelli lunghi e boccolosi le scendevano sciolti fino a metà schiena, vestita di un leggero abitino estivo color pesca, il viso era pieno di delicate efelidi che le spuntavano ogni estate appena cominciava a prendere il sole.
Jackson guardava con nostalgia il sorriso spensierato che i suoi amici avevano in quello scatto, congelato nella loro perfezione, un sorriso che solo già l’anno seguente, quando sarebbe cominciata una serie di terribili lutti, non ci sarebbe più stato su nessuno dei due.
Se per Elisabeth e Luis fu un duro colpo perdere i loro genitori e poi i nonni Lopez, niente fu più devastante di quando, appena ventenni, persero Charlie…
Luis si chiuse in un silenzio fatto di disperazione e Elisabeth perse del tutto la ragione, diventando sospettosa e paranoica, mettendosi in testa una strana teoria per spiegarsi tutte le morti che li avevano colpiti in quei pochissimi anni.
Nelle mente di Jackson tornò prepotentemente un ricordo, che da quando aveva saputo l’esistenza di Kurt, lo aveva preso a tormentare…
 
“Non sono pazza, non sono PAZZA! – urlò disperata Elisabeth piangendo. -Ti prego Jackson, almeno tu, credimi. Ti prego!”
Jackson, era spaventato. La donna che aveva davanti conservava ben poco di quello che un tempo era stata sia fisicamente che caratterialmente. Elisabeth che aveva di fronte aveva delle profonde occhiaie sotto gli occhi, i capelli spettinati e crespi ed era scheletrico.  Cercò qualche barlume della ragazza sorridente con le eleganti pettinature e dal corpo sinuoso e armonioso, ma non lo trovò.
 Non sapendo cosa fare abbracciò forte l’amica che riprese a parlare.
“Luis non capisce! Charlie non è stato ucciso da una svista di un medico, è stata una vera esecuzione da parte del KKK.”
 “Elisabeth quello che stai dicendo è molto grave. Hai delle prove per le accuse che stai muovendo?”
“No. Ma pensaci, ha tutto senso. Tutti i Calhoun, tranne me, sono morti per incidenti o sviste mediche. Come è possibile? Senza contare i genitori di Luis…”
 “Elisabeth, Charlie però è morto in un ospedale a Columbus, non a Lima.”
“Non vuol dire nulla, Jack. NULLA! Stiamo parlando del KKK, non di un gruppetto di razzisti qualunque!”
Jackson tenne ancora più stretta la donna.
“La polizia ha fatto un’inchiesta e hanno messo sotto torchio la dottoressa che ha seguito Charlie, l’hanno rivoltata come un calzino. Non hanno trovato nulla su di lei…è descritta come una stimata professionista… che pagherà per il suo errore.”
Elisabeth si staccò da lui come se fosse stata bruciata e lo fissò sconvolta.
“Neanche tu mi credi…”
“Elisabeth. Charlie aveva una patologia che hanno solo 3000 persone al mondo. I medici non sono Dio.”
“Io sono sola.”
“Non lo sei. La Banda è qui per te e Luis.” Jackson provò a rassicurarla ma la donna scoppiò in una risata dal suono cattivo.
“Siete tutti un branco di idioti. Luis compreso. Non capite che sta succedendo qualcosa anche se vi sta capitando sotto il naso.”
Jackson per un attimo non seppe come comportarsi, Elisabeth non aveva mai risposto così a nessuno di loro. “Elly, lo sai che stai accusando sia la polizia di Lima e Columbus, oltre noi della Banda e il tuo fidanzato, di essere degli idioti?”
“No alle polizie di Lima e Columbus sto dando che nel suo corpo ha dei corrotti appartenenti a idee sovversive e razziste. Alle persone a me vicine sto scoprendo che sono un branco di cretini! Il più idiota poi è proprio il mio ragazzo.” commentò irosa la donna.
Jackson per la seconda volta si trovava spiazzato e il suo cuore si spezzò. Quella donna che aveva davanti non aveva davvero nulla della sua amica.
“Hai preso le tue medicine?”
Elisabeth scoppiò nuovamente in quella risata inquietante e poi con voce insolente gli rispose:
“Certo che le ho prese. O forse pensi che sia il caso di farmi internare in un ospedale psichiatrico? Pensi che io sia pazza? È quello che state pensando tutti vero? Luis compreso.”
“No.- Jackson rispose immediatamente per rassicurarla e calmarla. - penso solo che tutti i lutti che hai avuto erano ingiusti e anche la persona più forte non sarebbe in grado di essere forte in un momento come questo. Anche Luis sta seguendo un percorso con uno psichiatra, esattamente come te, perché sa che non ce la fa in questo momento.” Aveva scelto con cura le sue parole, evitandone alcune, per non aizzare la sua amica, che in quel momento appariva davvero una pazzoide pronta a commettere una sciocchezza. Si rese conto che non aveva ottenuto l’effetto sperato perché la donna scoppiò in un pianto di rabbia e gli urlò isterica addosso.
“VI DOMOSTRERÒ CHE HO RAGIONE! ALLORA TUTTI VOI DOVRETE STRISCIARE PER IL MIO PERDONO! MA NON LO AVRETE MAI! PERCHÉ LA PUNIZIONE CHE AVRETE SARÀ QUELLA DI PENTIRVI FINO AL GIORNO CHE CREPERETE! VI PENTIRETE DI AVERMI LASCIATA SOLA AD AFFRONTARE IL KKK, CHE UN GIORNO MI UCCIDERÀ E ALLORA TUTTA LA BANDA AVRÀ LA MIA MORTE SULLA COSCIENZA. E IO GODRÒ DEL VOSTRO STUPIDO RIMPIANTO!”
 
Jackson ricordava perfettamente gli occhi di Elisabeth spiritati e accesi della luce della pazzia. Ricordava il terrore che aveva provato al discorso sconnesso e incoerente della donna fatto in quella camera dalle pareti carta da zucchero nella casa di lei e Luis. Lo ricordava perché gli altri membri della Banda erano accorsi richiamati dalle urla di Elisabeth, che poi vedendoli, gli aveva urlato in faccia quello che aveva urlato a lui poco prima.
Lo ricordava perché in quel momento si era scambiato uno sguardo atterrito con gli altri e aveva la sensazione che la Banda non sarebbe stata in grado di salvare Elly, soprattutto perché Luis non le era corso al fianco nella sua crisi, stava semplicemente sulla soglia di quella cameretta ad osservare quello che restava della donna che amava scomparire… Jackson in quel esatto momento si era reso conto che anche Luis si era arreso.
 
Jackson si asciugò le lacrime che gli bagnavano le guance. Quei ricordi erano dolorosi, soprattutto per l’impotenza che aveva provato non essendo in grado di trovare una soluzione per salvare la sua amica da sé stessa… Per i quattro anni successivi a quel giorno Elisabeth ebbe varie crisi di quel genere e mise a dura prova la banda, che a ripensarci era resistita per miracolo a non sfasciarsi prima della morte di Melanie…
Jackson sapeva che in parte questo era da ringraziare a Burt Hummel.
Burt era riuscito dove tutta la Banda aveva fallito, soprattutto Luis: salvare Elisabeth da sé stessa.
Burt però c’era riuscito perché aveva con sé la benedizione dell’ignoranza. Elisabeth non gli aveva detto di Charlie ed era riuscita a reggere per altri cinque anni prima che scappasse dall’Ohio e da tutti loro, ma soprattutto dal ricordo di Charlie che le era morto fra le braccia…
 
 
 
Blaine e Santana entrarono nella loro pasticceria preferita, Sandy Candy Cake. Il Glee club era stato un inferno: Brittany li aveva ignorati, Rachel aveva ignorato Finn e aveva parlato più del solito, Tina aveva cercato di essere sempre vicina a Blaine e gli aveva dedicato una canzone d’amore, Quinn era furiosa per qualche motivo con Rachel e per estensione con Finn, che aveva cercato di fare il golden boy della situazione.
Santana a fine lezione era sul punto di scoppiare, afferrare Rachel, Tina e anche Artie, solo perché per sfortuna sua era in mezzo alle due, e di sotterrarli tutti e poi incolpare Quinn e mandarla in galera qualche migliaio di chilometri lontano da lei. Così finalmente lei e Blaine avrebbero potuto fumarsi quel sigaro che tenevano per le occasioni speciali.
I ragazzi si sedettero al loro tavolo preferito, che era quello un po’ più in disparte rispetto a tutti gli altri.
Blaine notò che Sandy aveva attaccato un nuovo quadro di dubbio gusto. Il ragazzo prese il suo quaderno e cominciò a fare un disegno.
‘Guarda che capolavoro che sto facendo! Quella frustrata della prof di arte non ha capito che un giorno i miei disegni varranno milioni di dollari.
“Blaine che cavolo stai disegnando? Sembra il finto tacchino del ringraziamento che ha portato Rachel l’anno scorso.”
Blaine la fissò schifato.
Questo non è un tacchino, è un mio autoritratto! E se avessi voluto fare un fottuto tacchino, ci avrei disegnato dietro Martha Stuart che lo massaggiava.
I due ragazzi non poterono dirsi altro che dal laboratorio uscì il proprietario, Sandy Reynolds, che appena li vide afferrò un canovaccio e lo scagliò verso di loro, colpendoli ripetutamente.
“Sciò! Via! Fuori di qui! Andatevene! Questo è un locale di alta classe!”
Intorno al dodicesimo colpo, Blaine, stufo di quella messa in scena, afferrò con i denti il canovaccio e lo tolse dalle mani di Sandy e cominciò a scuoterlo.
Sandy era congelato dalla scena che si stava svolgendo sotto i suoi occhi a differenza di Santana che sorrideva divertita e con una punta di orgoglio.
“Bravo cucciolo, ora restituisci il canovaccio a Nicki Minaj.”
“PUH” il canovaccio, ormai umido finì ai piedi dell’uomo, che non fece in tempo a protestare che Blaine afferrò il suo grembiule e si pulì il mento dalla bava.
“Ma che schifo!”
“Sandy non essere così scontroso con Blaine, ti ha restituito il canovaccio.”
“Questo non è restituire, lo ha sporcato!” strepitò l’uomo con voce ancora più alta.
“Capo è tutto a posto?” chiesero delle voci dietro la porta del laboratorio.
“Per niente! Ci sono Satana e il suo servo infernale!”
“E la biondina?” urlò un coro speranzoso.
“Non pervenuta. Forse l’hanno uccisa!”
“NOOOOO!”
“Non abbiamo ucciso Brittany!” puntualizzò Santana indispettita.
Ci fu un vociare dietro la porta e poi una sola voce parlò.
“Noi non usciamo se non c’è la biondina!”
‘ahahahha Cagasotto!’
“Ma io vi pago per servire i tavoli!” protestò Sandy.
“Ma non abbastanza per servire quei due… e poi il nano è aggressivo.”
‘Sono solo diversamente adorabile!’
Si sentì uno sberlone seguito da un ahia del portavoce ufficiale.
“Sentite…- Santana sospirò. – Per una volta, potete saltare questa parte e servirci?”
Blaine lasciava che Santana gestisse la discussione con Sandy mentre lui cercava di cogliere cosa si dicevano i ‘cagasotto’ chiusi in laboratorio e gli parve di sentire la parola Facebook e ricerca.
Ci fu un forte trambusto in cucina, parole concitate e poi una voce femminile si levò, allarmata.
“Amore allontanati da loro!”
I due ragazzi rotearono gli occhi, infastiditi.
 “Mogliettina mia non temere!”
 ‘Mogliettina mia? Ma da quando una vagina ha fascino per te?’
“Tua moglie? - chiese Santana con un ghigno. – ma che novità è questa?”
“Ci siamo conosciuti e sposati questa estate.”
‘Aaaaa ecco ha un pene!’
“Ha un pene!” esordì Santana.
Sandy rimase congelato, con la mano che gli copriva la bocca.
“Qualcuno ci tradito.” urlò la ‘moglie.
“Noi non abbiamo parlato. - Urlarono le voci in cucina- ve lo abbiamo detto che quei due hanno dei super poteri!”
‘Che Sandy avesse un pene lo sapevano tutti, ma che lo usasse su una vagina è fantascienza! E quasi più irreale della possibilità di me che ceda alle avance di Tina!’
“Chi ve lo ha detto?”
Santana sbuffò.
“Sandy, tu sei etero come Finn Hummel è intelligente. Ora possiamo avere dei menù? Siamo gli unici clienti, dovresti solo ringraziarci che ti facciamo fare cassa.”
Blaine si mise a mostrare i denti in un sorriso feroce.
‘E muoviti!’
Sandy arretrò di alcuni passi e andò in un muro vicino alla porta e indicò un manifesto che i due ragazzi non avevano notato in precedenza.
“Secondo voi perché ho fatto fare questo poster con le vostre due foto?”
Santana fissò le immagini e Blaine scrisse velocemente nel suo quaderno.
Perché siamo belli e facciamo tendenza!
“Perché in realtà sei affezionato a noi.”
“Assolutamente no!- L’uomo sbatté pesantemente la mano sulla loro immagine e poi con l’indice gli fece notare cosa c’era scritto – Queste due persone, Santana Lopez e Blaine Demon Anderson, sono bandite in modo permanete da questa attività!”
I due ragazzi fissarono l’uomo con sguardo vacuo e poi Blaine mostrò una nuova scritta.
Perché Brittany non è bandita?
“Perché Brittany non mi ha mai fatto nulla!”
“Neanche noi.”
 “Lei è un angelo! - si intromise il portavoce, sempre nascosto, tra un coro di assensi. - e voi siete esseri demoniaci che cercate di corromperla.”
“E se ricordo bene- Sandy riportò l’attenzione su di lui- avete avuto una segnalazione anonima alla polizia perché ci stavate spaventando e vi hanno portato via. E tu, ragazzaccia, non era neanche la prima che ricevevi!”
Blaine prese a ringhiare, sbavando copiosamente, arrabbiato. Il fatto che Santana avesse ricevuto delle segnalazioni era una delle cose che lo faceva incazzare di più.
C’era stato un tempo in cui era stato semplicemente il muto di Lima a cui interessava ben poco degli altri al di fuori della sua piccola bolla e che non gli importava che fosse preso di mira o che prendessero in giro lui e Brittany chiamandoli strani o stupidi o freaks...non era importante e poi c’era Santana che li difendeva sempre a discapito di tutto, anche della sua reputazione. Ma poi, un giorno, aveva accompagnato da solo Brittany al parco a dare da mangiare alle papere, o meglio, la ragazza gli dava da mangiare mentre lui si limitava a colpirle, lanciando i pezzettini di pane.
Brittany, quando se ne era accorta, si era arrabbiata e aveva cominciato a sgridarlo, ma erano stati interrotti da tre ragazzi che avevano strappato il sacco del pane dalle mani della sua amica e preso in giro lui perché sapevano che era il famoso muto di Lima. Nel petto gli era esplosa una forte rabbia e prima di rendersi conto al primo aveva dato un pugno, al secondo, quello che stringeva il sacco del pane, gli aveva morso la mano e poi dato una testata e infine all’ultimo gli aveva prima dato un calcio deciso nei genitali e poi, con una pedata nel sedere ben assestata, lo aveva buttato nel laghetto. Quel momento per lui era stato catartico perché qualcosa si era risvegliato: aveva capito di avere forza, di essere potente.
“Tesoro-la moglie parlò allarmata- se vuoi in cucina abbiamo un osso!”
“Magari smette di ringhiare.” Urlò una voce che ancora non avevano sentito.
“Non serve. Quello come minino ingoia fiamme infernali!”
‘Esatto idiota! Io sono peggio di Anakin quando passa al lato oscuro! Io sono l’oscurità! Le ossa è ciò in cui vi riduco!’
“Quindi, visto che siete banditi, fuori!”
Santana scoppiò a ridere.
“So perfettamente che li hai chiamati tu gli sbirri, che quel manifesto non è validato e non siamo davvero banditi dal tuo locale e che porti il perizoma.”
Blaine scrisse furiosamente.
Con il pizzo
Chissà che faccia farebbe Kurt se gli regalassi un perizoma… magari sarebbe lusingato. Un signor Anderson con il perizoma… questa è una fantasia nuova... la esplorerò stasera…
 “Questo non è vero!”
“Lo vediamo.”
Sandy si portò drammaticamente per una seconda volta la mano alla bocca e poi si tirò sulla vita i pantaloni, stringendo meglio la cintura.
“E poi- Santana si scambiò un’occhiata di intesa con Blaine- sappiamo perfettamente che da quel laboratorio non escono solo dolci.”
Il più giovane degli Anderson annuì con aria soddisfatta e alzò il suo quaderno gongolante.
Mi ci gioco il pisellone.
“Maleducato, schifoso! E poi non so che state alludendo.”
“Blaine, spiegalo tu.”
Santana guardò divertita l’amico che arrotolava un tovagliolo come uno spinello e lo mostrava a Sandy che sbiancò rapidamente.
“E voi come lo sapete?”
“Sapere cosa?” chiesero più voci dal laboratorio.
“Che coltivate erba!” spiegò Santana.
Al di là della porta sentirono voci agitate e rimescolamento di pentole.
“Cosa volete? Dolci? Soldi? O Entrambi?”
Per la prima volta da quando erano entrati, Santana e Blaine seppero che Sandy finalmente li avrebbe ascoltati e lanciarono le loro richieste e pochi minuti dopo finalmente poterono cominciare la loro merenda in pace.
Blaine tra un morso di torta alle mele e l’altro finì il suo disegno, lo firmò e poi lo attaccò nella parete vuota alle sue spalle.
“Non è migliore che ti è uscito, ma di certo è la cosa più bella qui dentro.”
Picasso si inginocchierebbe davanti al mio genio.
Blaine stava fissando compiaciuto il suo tocco artistico quando la porta del locale si aprì e sulla soglia comparve una figura famigliare.
“Siete incorreggibili. Mi è arrivato un messaggio nella posta di Facebook che era una richiesta di aiuto da parte di queste persone che erano in panico per il povero Sandy.”
Blaine e Santana guardarono increduli Brittany che a sua volta li fissava con rimprovero, mentre dal laboratorio si levò, sopra dei suoni che sembravano orribilmente piagnucolii di Sandy, un coro:
“È arrivata la biondina! Siamo salvi da Satana e la sua bestia.”
Santana indicò la porta.
“Li senti?”
“Mi hanno scritto che li avete minacciati.”
Blaine corse al suo quaderno e scrisse solamente.
Sono dei cagasotto!
“Allora è vero?”
“No!”
“E quei pacchi di dolciumi imbustati sul vostro tavolo?”
Sono le offerte per non ucciderli.
La ballerina lesse attentamente e poi scosse la testa sedendosi al tavolo.
“Britt, non abbiamo fatto nulla. Hanno fatto tutto loro, come al solito. Lo sai, li hai già visti.” Spiegò con calma la latina.
“Non gli credere-Sandy arrivò al tavolo indicando i due ragazzi- mi hanno minacciato e calunniato.”
Blaine mostrò l’ennesima scritta e Santana protestò.
Porti il perizoma di pizzo.
“Coltivi erba! E ci hai pagato per il nostro silenzio e noi ti avevamo chiesto solo due cappuccini!”
Brittany scosse la testa decisa a lasciare andare gli asti della giornata. Sapeva che i due ragazzi seduti a quel tavolo erano i suoi migliori amici e infondo alla giornata, nonostante i loro difetti e i loro caratteri così schietti e strani, erano le due persone che non avrebbero esitato ad aiutarla e a salvarla in qualsiasi situazione... lo avevano già fatto molte volte. I suoi occhi incontrarono quelli neri e lucidi di Santana e sorrise quando studiò i lineamenti imbronciati del suo viso, adorava quell’espressione che rendeva ancora più belli i suoi tratti così particolari. Si sentì sollevata che l’amica avesse lasciato Puck, non pensava che fosse abbastanza per lei. In realtà pensava che nessuno fosse mai abbastanza per lei...
“Sandy, San e Blaine non sono cattivi e non ti volevano minacciare. Almeno non intenzionalmente.”
“Invece sì.” Si levò il coro dalla cucina.
“Picchiati con il canovaccio.” Santana indicò il panno ancora per terra e Blaine con foga mostrò anche le sue rimostranze.
E porta davvero il perizoma di pizzo.
“Quello non è importante.”
Questo lo dici tu, Satana. Ha accesso le mie fantasie su Kurt con il pizzo e qui non mi posso masturbare!
“Blaine perché hai la faccia da pervertito?”
 
 
 
Finn sedeva in soggiorno osservando gli strani ospiti che popolavano casa sua, onestamente provava anche una sorta di timore per lo sguardo pieno di rimprovero che la donna di nome Carmen gli riservava, mentre parlava con Arthur e Molly. Decise che lui era più sicuro se rimaneva sulla poltrona.
Finn puntò la sua attenzione su Kurt, Sebastian e Thad e dire che erano rumorosi era poco. Non facevano altro che ridere e parlare in spagnolo o Francese, cosa della quale era sia geloso che infastidito. Geloso perché lui per lingue era negato, mentre Kurt e i suoi amici passavano da l’una all’altra oppure le mescolavano senza problemi. Infastidito perché parlando altre lingue non gli permettevano di capire cosa si dicessero. Sospettava che stessero parlando di ragazzi. Insomma, tre ragazzi gay di cosa potevano parlare fra loro?
Finn ebbe un brivido lungo la schiena quando un paio di occhi verdi e un sorriso arrogante si puntarono nella sua direzione. Vide Sebastian parlare con fare cospiratorio agli altri e Thad che gli dava il cinque e Kurt che rideva tenendosi la pancia.
“Parlate in Inglese voi tre. Piccoli maleducati!” Li riprese Carmen con un tono burbero.
“Ok Nonna.” Urlarono ‘i tre’ in coro con tono canzonatorio.
“Ho i capelli di ognuno di voi. Ci metto tre secondi a farvi una fattura.”
“Carmen! Smetti di minacciare i ragazzi con le tue abilità da fattucchiera. -Fece Blanche. –Allora Arthur dicevamo?”
Arthur e Molly si scambiarono un’occhiata piuttosto divertita di tutta quella strana situazione.
Finn, sentii Kurt, Thad e Sebastian che iniziarono a parlare in inglese come se nulla fosse.
“Insomma che stavamo dicendo?” chiese Kurt non ricordandosi più il filo del discorso.
“Parlavamo di chi ti sta scrivendo per sapere come stai.” Sebastian gli ricordò.
“Ah sì! Fra le tante persone mi ha scritto anche Jaineba, per lo più mi manda preghiere e scrive di farmi forza.”
“Jaineba è proprio una bella persona. - commentò Thad- Voleva un mondo di bene a tua madre e anche a te.”
“Già. – concordò Kurt. – La ringrazierò sempre per aver chiamato il coro della sua chiesa per il funerale di mamma e per aver aiutato a cantare Hallelujah.”
“Sì, è stato un bel funerale. – concordò Sebastian con un groppo in gola, sapeva che era ancora troppo difficile affrontare quel giorno e così decise di spostare il discorso. – Kurt sai che papà ha assunto Jaineba allo studio per le pulizie e lui e Isabelle le hanno fatto una lettera di referenze per aiutarla a trovare un altro lavoro?”
“Davvero? Non me lo ha scritto! Mi continua a dire che appena torno a New York a vivere vuole tornare a lavorare per me.”
Thad sorrise a vedere Kurt eccitato per la notizia.
“E tu che ne pensi?”
“La rivorrei immediatamente. Janeiba è casa. Ha prestato servizio a casa mia da quando posso ricordare.”
Finn rimase sorpreso a sentire parlare di questa Janeiba, non capiva bene se fosse una donna delle pulizie o una governante. Quello però dava senso su molte cose di Kurt. Aveva capito che il ragazzo era benestante ma non tanto da avere alle proprie dipendenze una persona che si occupava della casa. A distoglierlo dai suoi pensieri fu il suono del campanello.
 
 
Carole stava finendo di scaldare la salsa ai mirtilli che avrebbe messo sull’arrosto, scrutò suo marito che, mentre le dava una mano a organizzare la cena, ogni tanto spiava il salotto. Non aveva bisogno di chiedersi cosa attirasse lo sguardo di suo marito perché anche lei aveva più volte aveva sbirciato il salotto: Kurt rideva.
Carole ascoltò la risata cristallina e gioiosa del figlio di suo marito, pensò che fosse bella e portasse allegria.
“Carole, secondo te riusciremo mai a far felice Kurt qui?”
La donna controllò la pasta che aveva in forno e sospirò pensando alla domanda che suo marito le aveva fatto.
“Non lo so… Quello che è certo Burt è che hai solo pochi anni prima che tuo figlio torni stabilmente a New York e il consiglio che ci hanno dato i suoi amici non è affatto stupido: dobbiamo cambiare modo di approcciarci con Kurt.”
“Non so come fare.” ammise onestamente suo marito.
“Non lo so nemmeno io, ma ti prometto che lo scopriremo insieme. Anche perché non possiamo andare avanti in questa maniera ancora per molto. Sono stanca dell’ostilità di Kurt.”
Prima che Burt potesse rispondere al commento della moglie sentirono suonare il campanello della porta di ingresso. I due coniugi si scambiarono un’occhiata.
“Non aspettiamo nessuno, vero caro?”
“Nessuno.” confermò Burt.
“Vado io alla porta.” Urlò Finn.
 
Finn accolse con entusiasmo la possibilità di poter alzarsi e andare alla porta e scappare dalle occhiatacce di Carmen e quelle strane di Sebastian.
Aveva i brividi.
Quando aprì la porta, Finn fu sorpreso di trovarsi davanti Blaine e un po’ meno di trovarsi sotto il naso il quaderno con scritto:
‘Fammi vedere Kurt. Immediatamente!’
“Guarda amico, vorrei davvero lasciarti entrare, ma abbiamo ospiti e i miei potrebbero ammazzarmi se ti faccio entrare e cominciare una rissa in casa!”
Finn vide Blaine sbuffare e poi gli mostrò un vassoio gigante e incartato con il marchio della pasticceria Sandy Candy Cake.
“Per cosa sono queste? - chiese incerto Finn e poi un pensiero lo colpì. – Aspetta... non vorrai scusarti con Kurt dopo la figuraccia che ti ha fatto fare? Questo non è assolutamente cool amico!”
Finn ebbe un moto di paura quando Blaine gli fece cenno di no col capo per poi scrivere furiosamente sul suo quaderno:
‘Ma sei impazzito? Io non sono venuto per chiedergli scusa!’
“Finn chi è alla porta?” Sentì sua madre chiedere.
Prima che potesse rispondere, Finn si ritrovò malamente spinto contro la parete e non poté impedire a Blaine di entrare a passo di marcia in casa sua.
Finn era semplicemente terrorizzato dalla situazione, avere a che fare con un Blaine Anderson incazzato era un’esperienza terribile.
 
Arthur alzò lo sguardo per vedere suo figlio e sua nuora annunciare che il pasto che era pronto e di avviarsi verso la tavola. Carole poi urlò verso Finn per chiedergli chi fosse alla porta.
Non fu una sorpresa quando Blaine Anderson entrò in vista dal corridoietto, fu più sorprendente vederlo entrare con un cipiglio, ignorare tutti e posizionarsi di fronte a Kurt che aveva gli occhi spalancati dalla sorpresa.
“Mamma, io gli ho detto che non era il caso che entrasse.”
‘Ma oggi è la giornata che incontro solo cagasotto?’ Si chiese Blaine con una punta di divertimento.
“Cosa ci fai qui?” Gli chiese Kurt, ma non ci prestò caso mentre armeggiava le pagine del suo quaderno per trovare quelle che si era preparato e quando le trovò, soddisfatto, le alzo per permettere al ragazzo di leggerle.
‘Chiedimi scusa!!!’
Kurt incredulo lesse tre volte le parole scritte prima di voltarsi e chiedere conferma a Blaine di quello che stava leggendo, lui non doveva delle scuse a Blaine.
“Scusami?”
Ti perdono!’
“BLAINE!” urlò Kurt indispettito.
‘KURT! Non urlare hai la voce stridula!’
Kurt non fece in tempo a dire altro che si trovò sotto il naso un enorme pacco che evidente proveniva da una pasticceria che Blaine con tutta la malagrazia di cui era capace gli stava mollando in mano.
“Li hai presi per me?” chiese incredulo.
‘In verità no. Se mio padre scopre che ho messo piede nella pasticceria di Sandy mi fa un sermone che non la finisce più. Mi stai aiutando a sbarazzarmi delle prove!’
Blaine però finì di fare un semplice cenno col capo al sorriso felice che Kurt gli stava rivolgendo con un leggero rosa sulle guance.
‘Cazzo è arrossito! Non ti sono indifferente sbarbatello. Come volevasi dimostrare sono irresistibile. Sento già l’odore della prima base!’
“Blaine non dovevi. Avrai speso una fortuna per tutti questi dolci. Il vassoio è gigantesco!”
Blaine prese il suo quadernetto e scrisse:
‘Se poi ti piaceranno ti porterò a quella pasticceria a fare merenda.’
Kurt si sentì sollevato che Blaine non fosse arrabbiato con lui, anche se doveva ammettere che non aveva mai ricevuto delle scuse così bizzarre e fatte male. Sentì una sensazione di calore nello stomaco fatto di sollievo e la felicità. Si rese conto che non aveva ancora risposto a Blaine che in quel momento lo stava fissando con i suoi occhi color caramello, nascosti parzialmente dai riccioli selvaggi, e un sorriso giocoso sul viso. Pensò che fosse bello. Appena si rese conto del pensiero che aveva fatto si sentì arrossire.
“Kurty. – Sebastian si intromise. - Non ci presenti il tuo amico?”
‘Ma chi è sto bel ragazzo? Se non avessi un interesse per dente da latte ti avrei eletto Mister Anderson del mese!’
Kurt fece un saltò e si girò verso Sebastian che aveva posto tutta la sua attenzione a Blaine.
“Anch’io sono molti curioso.” esordì Thad.
‘E signore... oggi è la mia giornata fortunata. Due ragazzi che potevano essere dei signori Anderson.’
“Sebastian, Thad, nonne, vi presento Blaine. Blaine questi sono Sebastian e Thad.”
Blaine strinse la mano ai due ragazzi e gli sorrise.
‘Sono i suoi amici di New York, la coppia di innamorati! Se vi avessi incontrato allo Scaldals vi avrei proposto di fare una cosa a tre.’
“Quella vestita di Blu è nonna Blanche e quella che sorseggia birra come se fosse un boss della malavita è nonna Carmen.”
‘Prego?’
Blaine, dopo che aveva dato un’occhiata alla donna ispanica che lo puntava con uno sguardo feroce, si voltò verso Kurt in cerca di una spiegazione che arrivò sussurrata.
“Nonna Carmen si offenderebbe se non la facessi apparire pericolosa.”
‘Ma direi che non ha bisogno del tuo aiuto.’
Blaine mantenne la faccia seria anche se gli venne un irrefrenabile voglia di ridere e Kurt dovette capirlo perché gli tirò un pizzicotto e gli sussurrò:
“Non ti conviene ridergli in faccia. Potrebbe farti una fattura alla fonte della tua felicità.”
‘Fonte della mia felicità? Cazzo, dobbiamo proprio lavorare sul tuo linguaggio da dama dell’800! Poi calmiamo gli animi: nessuno minaccia il mio Blaine Junior e ne esce incolume! Comunque, per evitare risse, non riderò della vecchia.’
Blaine, per far capire a Kurt che aveva ricevuto il messaggio, gli fece un velocissimo occhiolino e con la bocca gli mimò un grazie.
Kurt gli sorrise.
Thad e Sebastian che non avevano perso nulla dello scambio dei due ragazzi si lanciarono un’occhiata, sapendo che quella sera avrebbero fatto una chiacchierata con Kurt su questo Blaine.
“Blaine è un piacere conoscerti, Kurt ci ha raccontato un sacco di te.” Fece Thad, che rimase sorpreso quando Blaine gli fece segno di aspettare un attimo e lo vide mettersi a scrivere furiosamente sul suo quaderno e mostragli il messaggio:
‘Kurt non ha fatto altro che parlami di tutti voi. Sono felice di conoscervi tutti quanti. Soprattutto nonna Carmen!”
Thad rimase perplesso e Kurt scoppiò a ridere leggendo il messaggio ad alta voce.
“Vedremo se sarò lo stesso per me. Ti tengo d’occhio ragazzo!” Rispose Carmen minacciosa.
Blaine fece un pollice in su e poi si voltò verso Kurt, che aveva ancora il vassoio in mano e gli fece cenno verso la cucina.
“Sì, metto subito questi dolcetti in frigo…- Kurt fissò Burt per un momento e poi incerto si voltò verso Blaine. – dopo che abbiamo cenato, verresti a mangiare qualcuna di queste pastine?”
“Blaine.” lo chiamò Burt e il ragazzo si rivolse a lui.
“Hai qualcuno con te a casa stasera?”
“In teoria se non ricordo male stasera è di turno il dottor Anderson.” Disse Carole per poi voltarsi verso Blaine, che fece un cenno del capo in segno di conferma.
“Se vuoi puoi rimanere. Non è un problema aggiungere un posto a tavola.” Propose Burt.
Blaine valutò la proposta e poi incerto fece un cenno col capo.
Kurt si voltò vero Burt e fece un sorriso. Burt per un attimo si sentì felice di aver azzeccato qualcosa con Kurt e se questo lo rendeva felice, avrebbe reso Blaine un ospite fisso a casa loro. Cosa non difficile visto che il ragazzo rimaneva spesso solo  per via dei turni o delle emergenze di Richard in ospedale e di Cooper a Columbus per l’università.
“Grande amico! – Esordì felicemente Finn. – Così non sono l’unico ragazzo etero stasera e potremo parlare di roba da uomini.”
Nel salotto improvvisamente l’aria allegra divenne fredda e piena di tensione.
“FINN!” urlò Molly in tono di rimprovero e Arthur le prese la mano per tenerla calma.
Blanche e Carmen si fissarono e poi puntarono i loro sguardo ai coniugi Hummel; Carol era pallida con un’espressione delusa, mentre Burt scuoteva la testa esasperato.
Kurt, dopo l’uscita infelice di Finn, puntò istintivamente la sua attenzione su Blaine e lo vide che stava per caricare il quarterback come se fosse un toro, istintivamente lo afferrò per il braccio.
“Blaine! – urlo Kurt. – Non fare scemenze. Poi porti il collare potresti farti seriamente del male.”
Kurt si trovò spinto indietro da Sebastian che si era messo fisicamente fra lui e Finn e sembrava pronto a vomitare una sequela di insulti. Thad fu il più veloce a esprimere il suo pensiero al quarterback.
“Cosa vorresti dire? Che io, Sebastian e Kurt non siamo veri uomini?”
Finn guardò le persone nella stanza e fu dolorosamente chiaro a tutti che non aveva capito la maleducazione che c’era stata nelle sue parole e la conferma fu la sua risposta.
“Tecnicamente siete maschi, ma non vi piacciono le donne e quindi non vi piacciono alle cose che piacciono ai veri uomini.”
Burt guardava con la mascella contratta la scena che si stava svolgendo sotto i suoi occhi. Adorava Finn, ma aveva bisogno di imparare a contenere le sue uscite e a pensare quello che diceva.
A sorpresa di tutti Arthur rispose in maniera sprezzante all’uscita del nipote.
“Perché secondo te, Finn, il tuo il bullismo a scuola per essere popolare è stato un comportamento da vero uomo?”
“Nonno!”
Finn arrossì vistosamente, ma Arthur in quel momento sembrava non aver a cuore l’imbarazzo del nipote.
“Un vero uomo non lo fa il sesso della persona che ama, ma bensì il suo comportamento!”
“Beh ma a me stato insegnato così!”
“Aspetta un secondo Finn. - lo bloccò Carole. – Noi non saremo stati i genitori più aperti di mente sull’omosessualità - L’infermiera guardò le nonne di New York.- ed è vero che pensiamo che l’amore sia solo quello fra uomo e donna. Ma nonostante come la pensiamo, né io né tuo padre ti abbiamo insegnato a disprezzare il prossimo per quello che è, ma per quello che fa.”
Finn alle parole della madre ci vide rosso.
“Non mi pare proprio! Quando papà ha scoperto che Kurt è gay non ha reagito benissimo o sono solo io che lo ha sentito definirlo Fottuto omosessuale?!”
“Già e tu ai tuoi amici a scuola hai migliorato il tiro. – lo riprese Kurt. – Mi hai chiamato un fottuto Frocio!”
Thad a sentire quelle parole iniziò a provare furia, ma vide con la coda dell’occhio Blaine abbassare lo sguardo come se si sentisse colpevole di qualcosa. Notò che anche Sebastian guardava Anderson.
Sia Sebastian che Thad avevano promesso alle loro nonne di mantenere la calma qualunque cosa fosse successa con la nuova famiglia di Kurt …
Secondo i due ragazzi questa però era pura follia. Sebastian notò Kurt che stava tremando dalla rabbia.
“A differenza di te, Finn. – lo riprese Burt. – Io so che ho sbagliato i mei modi e non insisto, cosa che invece tu fai. Ho chiesto scusa a Kurt, che poi non ha accettato le scuse. Ora, che ti piaccia o no, lui fa parte di questa famiglia e gli porterai rispetto. E lo faremo tutti!”
Finn si voltò verso suo padre e lo guardò male. Sebastian e Thad fissarono le loro nonne come a chiedere il permesso di scatenarsi. Le due donne, anche se a malincuore fecero cenno di non fare nulla, avevano bisogno di vedere con i loro occhi come funzionavano le cose a casa Hummel.
“Ha ragione Burt, Finn. - Disse pacatamente Molly. -  Ed è ora che pensi al contesto in cui esprimi le tue opinioni. Non necessariamente devi dire ad alta voce ciò che pensi.”
La pelle di Finn aveva assunto una tonalità rossa davvero preoccupante e Blaine pensò che gli stesse bene essere ripreso e umiliato davanti a degli sconosciuti.
“Sean, il mio capo squadra in Vietnam, era gay. -raccontò Arthur. -  Per questo, secondo le leggi del tempo, non avrebbe potuto essere nell’esercito. Ovviamente lo sapevamo in pochissimi, i cosiddetti fidati, anche perché il suo compagno, Marlon, era il mio migliore amico in Vietnam. Erano due uomini coraggiosi. Grandissimi uomini, Finn. Mai ho pensato meno di loro per via di chi amavano! Una volta finimmo in un’imboscata e Sean sapeva che avrebbe dovuto sacrificarsi per farci uscire vivi. Non ebbe nemmeno un attimo di esitazione a farlo e così come Marlon, che decise di rimanere fino all’ultimo con il suo compagno, sapendo a cosa andava in contro… Se non fosse per loro io oggi non sarei qui.”
“Questo non me lo avevi mai raccontato.” Disse Molly dolcemente.
“Non amo raccontare della guerra... In più so come la pensavi riguardo all’omosessualità o come la nostra comunità la pensava.”
Molly strinse la mano del marito e si scambiarono uno sguardo e Arthur riprese a parlare.
“Dio non commette errori. Non posso pensare che Sean e Marlon siano finiti all’inferno semplicemente perché si sono amati. Che Dio sarebbe quello che punisce due anime che si amano?”
Burt rimase colpito dalle parole di suo padre, non avrebbe mai detto che un uomo come lui la pensasse in questa maniera. Forse questo era uno dei motivi che aveva portato suo padre ed Elisabeth ad andare tanto d’accordo.
“Oh Kurt. -esordì Thad con dolcezza verso l’amico che si asciugava le guance da alcune lacrime. – Ti ha commosso questa storia?”
“Sì. – confermò Kurt. – Anche perché questa storia mi ha fatto tornare in mente la lettera di Brian Keith, soldato gay della seconda guerra mondiale.”
Blaine si appuntò mentalmente di cercare via internet su questa lettera nominata dal ragazzo.
Sebastian ridacchiò e abbracciò Kurt che sbuffò.
“Eccolo qui il mio bambino romanticone che piange.”
‘Brutto bastardo giù le zampe! Dovevo essere io a consolarlo.’
“Già è questo mi rende ancora di più il perfetto stereotipo del ragazzo gay agli occhi dell’essere umano etero ed omofobo.”
‘Certo che non le mandi a dire a nessuno. Non risparmi nemmeno te stesso.’
Sebastian e Thad si scambiarono un’occhiata, il tono usato dal loro amico era amaro e triste.
“Possiamo andare a mangiare?” chiese Kurt portandosi una mano allo stomaco.
Gesto che non passò inosservato a nessuno dei Newyorkesi.
“Stai bene tesoro?” chiese Blanche.
“Sto bene… solo che i succhi gastrici stanno cominciando a darmi fastidio.”
Carmen sospirò, quello era un pessimo segnale e capì che la stessa cosa l’aveva pensata anche Blanche: la postura rigida delle spalle dell’amica era una chiara indicazione.
“Quando vogliamo la cena è pronta. - fece presente Carole. - Solo il tempo di aggiungere il posto a tavola per Blaine e chiedere a Kurt cosa mangia.”
“Ho della verdura e del pollo cotto in un contenitore. Tosto una fetta di pane e sono a posto.”
Blaine pensò che fosse strano che Kurt mangiasse differentemente da tutta la famiglia, ma non ci diede peso, pensò semplicemente che seguisse un regime di alimentazione per tenersi in forma dato che lo aveva sempre visto mangiare in maniera sana e fare sport.
‘Se mai staremo insieme guai a te se provi a mettermi a dieta.’
 
 
Timothy alzò lo sguardo dai documenti e gli oggetti che stava esaminando per controllare Lowen che stava riorganizzando la lavagna degli indizi.
“Dovremo andare a Lima. – Esordì Lowen. - Dobbiamo parlare con un po’ di persone... per ora i frammenti che abbiamo danno luce a un quadro inquietante.”
“Sono curioso di quello che verrà fuori interrogando la banda, ma soprattutto Luis Lopez e Burt Hummel.”
“Già, dettegli che a loro paiono insignificanti a noi potrebbero dare una svolta nelle indagini.”
“Perché sotto la foto di Aron Puckerman hai scritto che è il primo?”
“Perché è il primo che dobbiamo interrogare di quel gruppo. Secondo il file dell’omicidio di Melanie Anderson era il suo amico più stretto e l’ispettore di Lima nella relazione delle indagini ha segnalato Puckerman come rissoso e piantagrane.”
“Non vedo l’ora di poter sbattere in galera quel figlio di puttana di MacManara. Purtroppo al momento non abbiamo prove schiaccianti che lo colleghino come affiliato al KKK.”
“Tim, dobbiamo mantenere un basso profilo su quello che pensiamo dell’ispettore di Lima, almeno finché non scopriamo chi è la talpa nella squadra. Non vorrei mai che facesse una soffiata al diretto interessato e lo facesse scappare.”
Tim sospirò stanco.
“Hai ragione.”
“Piuttosto... hai finito di passare i documenti di Elisabeth?”
“No. E per il momento non ho trovato niente di interessante. Lowen, lo sai vero, che potremo finire nei guai per esserci introdotti illegalmente a casa di una vittima?”
“I motivi del perché lo abbiamo fatto li sai anche tu.” Rispose Lowen mentre attaccava una foto di Blaine Anderson sotto quella della madre.
“Sì, quindi quando Penelope avrà finito di controllare i membri della nostra squadra e trovata la talpa faremo tutto a norma di legge. – Timothy scimmiottò la voce del collega. - Comunque certo che per essere un agente dell’FBI forzi serrature di portinerie e rubi chiavi di appartamenti come un delinquente professionista.”
“Essere cresciuto nel Queens mi ha aperto la mente a tante prospettive.”
“Cristo fossi cresciuto nel Bronx che cosa avresti fatto?”
“Per chi mi hai preso? Nel Bronx ci andavo a fare degli stage.”
“Uomo nero un giorno dovrai spiegarmi davvero in dettaglio come hai fatto a diventare un agente dell’FBI.”
“Se vuoi che qualcosa rimanga un segreto non dirlo ad anima viva, nemmeno al tuo migliore amico.”
Timothy scoppiò a ridere e continuò a controllare i documenti fino a che la sua attenzione non fu attratta da una busta gialla. L’aveva trovata in un cassetto pieno di rendiconti bancari e dentro c’era un dvd, uno di quelli che si vendevano sfusi. Lo prese per esaminarlo, aprì la confezione e vide che era stato scritto. Lo mise da parte fra le cose interessanti e decise che lo avrebbe esaminato dopo.
“Ehi Lowen, domani abbiamo un interrogatorio al carcere con Bedford, portiamo la Haffner con noi?”
“Sì, lei lo esaminerà dallo specchio con Micheal e ci daranno un feedback su quale direzione mandare l’interrogatorio se a noi scappa qualcosa. Ricordati di portare gli auricolari.”
“Pensi sia saggio mettere Brisgau con Tanja?” chiese ridendo l’agente Stone.
Era risaputo in tutto il dipartimento che Micheal Brisgau aveva una cotta ricambiata con Tanja Haffner, ma per qualche ragione i due non riuscivano mai a concretizzare la loro attrazione in una storia e questo portava una strana tensione fra i due.
Prima che Timothy potesse rispondere al collega ci fu un bussare alla porta.
“Ehi ragazzi un pacco per voi da Quantico.”
“Dai pure a me, Kevin.” L’agente Stone aveva lo stomaco stretto in anticipazione, sperava davvero che i tecnici della sede del FBI della Virginia avessero fatto il miracolo che speravano.
Appena Kevin aveva lasciato il pacco sulla scrivania, Lowen abbandonò la riorganizzazione della lavagna degli indizi.
“Tim, andiamo nel bunker di Penelope.”
Stone afferrò il pacco e all’ultimo secondo decise di prendere con sé anche la busta gialla attirando l’attenzione di Lowen.
“Cos’hai preso?”
“Questo.” Tim mostrò al collega il dvd.
“Perché vuoi che Penelope lo controlli? Non puoi farlo tu?”
“Perché è un oggetto fuori luogo. Elisabeth è … era una donna estremamente ordinata.”
“Vero, anche quando abbiamo controllato nei cassetti tutto era in un ordine immacolato e suddiviso in maniera pensata.” Lowen aveva fatto finta di nulla sullo slittamento dell’amico. Chiuse con doppia mandata il suo ufficio in maniera che nessuno potesse ficcanasare in loro assenza.
I due si avviarono a passo spedito nell’ufficio della loro tecnica informatica.
“Appunto. Era in un cassetto contente documenti della banca. Non ha etichetta ne ha scritto nulla.”
“Lo aveva nascosto perché non voleva che Kurt lo trovasse e quindi sopra potrebbe esserci qualcosa di importante.”
“Hai capito perfettamente il punto.”
I due uomini entrarono nell’ufficio di Penelope e subito vennero accolti dall’ambiente grondante di tecnologia.
C’erano così tanti computer e schermi e Tim aveva provato diverse volte a contarli, ma non era mai riuscito ad arrivare allo stesso numero e né a sapere esattamente cosa servissero. L’unica cosa che era certo è che ogni pc veniva usato per una procedura diversa e solo ed esclusivamente dalla loro Tecnica.
“Ehi Penelope come va?” chiese Tim.
“Bene. Sono diventata madre per la terza volta.”
“Cosa?” chiese disorientato Lowen e Timothy scoppiò a ridere di gusto.
“Parla della sua vita digitale: ha una passione sfrenata per The Sims, un video gioco di simulazione.”
“Ah…”
“Che dire a mia discolpa? Sono stramaledettamente brava nel mio lavoro e che non ho tempo di farmi una vita privata.”
“Tu lavori troppo Penelope. Stasera io e l’uomo nero ti portiamo a bere una birra.”
“E dopo la birra tu, Tim, mi porterai a casa?” domandò la donna sbattendo le ciglia in maniera volutamente ridicola.
“Certo se nel frattempo non avrai fatto colpo su qualcuno al pub. ”
“Con due uomini che mi accompagnano?! … Comunque se voi due siete venuti qui è perché avete bisogno di qualcosa, quindi fatemi vedere di che si tratta.”
“Caso Elisabeth Calhoun.”
“Scherzi?”
Tim lanciò il pacco arrivato dalla sede di Quantico alla collega, che lo aprì con entusiasmo ed esaminò quello che era il contenuto.
Lowen, se avesse dovuto descrivere il contenuto di quel pacco era che conteneva un I-phone, ma Penelope la pensava diversamente e l’urlo di gioia che aveva lanciato lo rendeva molto chiaro.
“Ragazzi lo hanno rimontato, è pazzesco! Se non lo sapessi, non direi mai che questo telefono era stato sbalzato dall’impatto e disintegrato da alcune macchine. Sono formidabili quelli del laboratorio di Quantico.”
Penelope iniziò ad armeggiare al computer che aveva più vicino e con un cavo collegò il telefono. Immediatamente apparirono diverse schermate di un simulatore di una schermata come di un I-phone.
“Vediamo se riusciamo a vedere tutto o se le memorie sono state in un qualche modo danneggiate. Cominciamo da qualcosa di semplice come la lista delle chiamate.”
Timothy osservò mentre Penelope armeggiava nei suoi file del caso e tirava fuori la lista delle chiamate che aveva recuperato.
Da quella lista erano riusciti a capire che Elisabeth la sera della sua morte non si era vista con un gruppo di amiche come aveva detto a Kurt, o meglio, non ne avevano trovato riscontro nella loro indagine segreta. Speravano che nel telefono ci fossero delle informazioni che svelassero qualcosa che al tabulato telefonico non risultava.
“Ragazzi c’è qualcosa di strano. Siamo sicuri che vi abbiano spedito il telefono giusto?”
“Perché?” Lowen si sporse per vedere cosa non tornava alla collega.
“La lista delle chiamate non corrisponde.”
“Prova a vedere nella galleria delle foto. Se è il telefono di Elisabeth vedrai che ci saranno delle foto di suo figlio.” Tim esortò Penelope, che lo fece immediatamente. Tutti in quella stanza sapevano che l’errore non era da escludersi: un paio di volte avevano ricevuto materiale di altri casi.
Timothy si scambiò un’occhiata con Lowen, entrambi avevano riposto molte speranze in quel telefono.
Quando Penelope aprì la prima foto molti tasselli iniziarono a mettersi a posto, scorsero velocemente alcune foto e la prima a commentare fu la donna.
“Lowen... credo che la signora Calhoun avesse due telefoni.”
“Credo anche io a questo punto. Questo telefono al momento della morte doveva avere su una Sim anonima che deve essere andata persa dall’impatto dell’incidente. Ma la vera domanda è una: se questo è il secondo telefono, che fine ha fatto il primo?”
Timothy sentiva una scarica di adrenalina scorrergli dentro, mentre le foto sullo schermo scorrevano lentamente.
“Queste foto sono di documenti su la dottoressa Regina Cox e Christopher Hudson… Posso capire la Cox, legata alla morte di Charlie, ma perché Elisabeth era interessata a scoprire di più di quello che avevamo su Hudson?”
“Dovremo leggere quello che la signora ha trovato e magari cercare di capire qual era il filo del suo pensiero.” Commentò Penelope.
“Queste foto sono dei documenti. - ragionò Timothy. – Quindi da qualche parte ci dovrebbero pur essere. Dobbiamo chiedere un mandato e mettere sottosopra casa Calhoun.”
Lowen fece un cenno col capo e poi fece una domanda alla tecnica informatica.
“Riesci a vedere in che data sono le ultime foto?”
“Sono state scattante neanche 20 minuti prima che morisse in quello che sembra essere un bagno molto squallido.”
“Venti minuti?! – Esclamò Lowen. – Allora quei documenti li doveva avere con sé quando è stata investita ma noi non me abbiamo trovato traccia.”
“Merda! – imprecò Timothy. – dobbiamo rintracciare il barbone che aveva la borsetta di Elisabeth e fargli un interrogatorio. Magari ha visto qualcosa o magari sa, oltre i documenti, che fine ha fatto il primo telefono… sempre se lo troviamo.”
“Ah Penelope, controlla anche i numeri che compaio nella cronologia delle chiamate, scopri a chi appartengono e poi vediamo anche che sms ha ricevuto e che informazioni possiamo ricavarne.”
“Okay – la donna cominciò a digitare alla velocità della luce - Credetemi signori, ma stasera noi non usciremo per nessuna birra per fare gli straordinari.”
 
 
Blaine semplicemente adorava i maccheroni al formaggio di Carole e non ebbe remore a farlo sapere alla padrona di casa alzando il suo quadernino con i complimenti, facendo ridere le persone al tavolo.
‘Devo scoprire la ricetta di questa bontà! Tutt’altra cosa dalla busta surgelata che compra papà!’
La cena fino a quel momento era stata tranquilla, era rimasto solo un fondo di imbarazzo dopo l’uscita di Finn e l’amissione del pensiero comune di quella casa sull’amore omosessuale.
Finn cercava di concentrarsi sul suo cibo, fortunatamente nessuno aveva prestato attenzione a lui, nemmeno Blaine che era troppo preso a divorare quello che aveva nel piatto, con una voracità che combatteva con la sua.
Finn aveva provato a sintonizzare la sua attenzione a quello che stavano raccontando Thad e Sebastian a Kurt, ma parlavano di persone che conoscevano della compagnia di spettacolo. Finn pensò che se ci fosse stata Rachel avrebbe fatto domande fino allo sfinimento ai tre ragazzi.
Il quarterback si sorprese di pensare a Rachel e un po’ si sentì in colpa nei confronti Quinn. Finn trovava Rachel una presenza divertente nel Glee e invidiava la perseveranza di ferro della ragazza, ma non quando era indirizzata verso di lui, come a quella settimana che l’obiettivo della piccola ebrea era quello di ribadire che l’amore omosessuale era valido come quello eterosessuale. Rachel però l’unico risultato che otteneva era far incazzare di più Quinn, che ribadiva anche lei le sue posizioni, facendo scoppiare delle feroci litigate che lui non riusciva a sedare…
“Senti Kurt. - cominciò Thad. - Cosa è successo fra te e Adam? Sembra particolarmente arrabbiato ultimamente.”
L’attenzione di Finn venne attratta dall’argomento e così anche quella di Carmen che commentò:
“Thad non mi pare il caso tirare fuori l’argomento Adam.”
Burt al nome ebbe il flash di quel ragazzo biondo che aveva abbracciato forte suo figlio in aeroporto.
“Nonna, io non ho problemi a parlare del mio ex ragazzo con i miei amici a tavola di fronte a chiunque. - fece tranquillamente Kurt. – Non che comunque ci sia molto da dire.” finì mettendosi in bocca una fetta di patata lessa.
Burt rimase spiazzato all’idea che aveva conosciuto l’ex ragazzo di suo figlio.
‘Adam? Ex ragazzo? Questo mi interessa! Meglio conoscere il nemico per vincere l’amico!’
Il silenzio che cadde sulla tavola fu strano. Blanche pensò che fosse chiaro che l’argomento aveva preso alla sprovvista le persone di Lima e forse, tranne Arthur, non erano esattamente pronte di parlare degli interessi amorosi di Kurt.
Quello che prese di contropiede tutti fu che a fare una domanda a Kurt fu Molly.
“Se è diventato ex un motivo ci sarà. È stato scortese?”
“Io volevo essere trattato come una principessa! Compresa la mia verginità fino a quando lo dico io. Al momento, per come mi sento adesso, penso che sarò pronto fra cinque o sei anni prima di perderla.”
‘Ma sei Scemo!?’
Al tavolo ci furono varie reazioni: a Sebastian gli andò di traverso l’acqua che stava bevendo e cominciò a tossire, Thad e Arthur risero, Finn e Molly erano congelati, Burt fissava il figlio con occhi spalancati, Carole arrossì, Carmen e Blanche non diedero peso all’uscita del nipote e infine Blaine scrisse un messaggio sul suo quaderno.
Al massimo più che una principessa sei una bisbetica! Se ragioni così rimarrai zitello a vita!’
“Non ho chiesto il tuo parere!”
‘Ma qualcuno te lo deve dire!”
Blaine! Io ho degli standard!
Anch’io! E ho anche esigenze enon voglio finire dal dottore per un brutto caso di palle blu.
“Ora sono curioso: quali sarebbero i tuoi standard?” Arthur era davvero interessato alla risposta di Kurt.
“Io voglio una persona che non si faccia prendere dagli ormoni.”
‘Non sono io.’
“Che sappia intrattenere un discorso mentalmente impegnato.”
“Non sono io.”
“Che sappia ricevere un No e che quello sia.”
“Non sono io.”
“Una persona che abbia molti interessi.”
“Se consideri interessi Youporn e Gayporn potrei anche essere io.”
“Che sia gentile e amorevole e quando c’è una litigata che la sappia affrontare a parole e non a urli.”
“Non sono io.”
“Che condivida l’amore per una cucina salutare.”
‘Tu sei pazzo!’
Blaine alzò il suo quaderno con scritto:
A Lima non esiste nessuno così!
“Ma a me non interessano i ragazzi qui a Lima.”
Non esiste nessuno così nel mondo!
“Ora non esagerare!”
Se esiste è defunto!
“Finiscila!”
‘Ai ragazzi piace il porno, cibo spazzatura, il rutto libero e ci misuriamo il pisello col righello!’
Ma che schifo!
‘Che schifo no! Io sono il re del rutto libero! E Blaine Junior è il pisello più lungo e grosso della squadra di football del McKinley! Memorabile il giorno che lo abbiamo misurato con il righello di Azimio!’
‘Noi uomini siamo bestie!’
Non so da che parte cominciare per dirti quanto quello che hai scritto è sbagliato!
“Tu sei una donna che non ce l’ha fatta!”
‘E dato che tu sei una donna che non ce l’ha fatta mi rende automaticamente un etero che non ce l’ha fatta… che mondo di merda.’
“Blaine mi stai offendendo!”
‘Mai più di quanto mi sia offeso io.’
“Non so cosa stai pensando ma ti dico di smetterla perché è una cavolata colossale!”
Voi due siete sempre così?Carole era incredula dallo scambio fra i due ragazzi. Blaine era velocissimo a scrivere e sarebbe stata curiosa di leggere il quaderno per capire meglio lo scambio fra i due, dato che l’unico che poteva leggerlo era Kurt.
“Credo di sì.”
‘Certo che siamo sempre così! È la cosa che preferisco!’
“Possiamo cambiare discorso da Kurt e il suo uomo ideale?” chiese Finn con un evidente disagio e beccandosi l’ennesima occhiata di sufficienza da Sebastian, che gli fece venire i brividi lungo la schiena.
Kurt sbuffò e acconsentì non volendo entrare in una discussione e si rivolse alle sue nonne.
“Che pensate di fare domani quando io sarò a scuola?”
“Io e Blanche e i ragazzi faremo i turisti per Lima.”
“Io e Molly saremo molto lieti di farvi da guide. Domani mattina prendo il furgone dell’officina, che ha nove posti, e veniamo a prendere voi ragazzi e accompagniamo Kurt e Blaine a scuola. Dopo questo, recupero voi due signore e io e mia moglie vi portiamo in giro per Lima. Infine, finita scuola, recuperiamo Kurt e Blaine. Che ne dite?”
‘Io domani non dovevo essere accompagnato da voi. Va bene, scriverò a Santana che non c’è bisogno che mi venga a prendere.’
“Non vorremo abusare della vostra gentilezza.”
“Blanche lo facciamo con piacere.” Molly batté una mano sul tavolo.
“Va bene, noi vi offriamo il pranzo fuori.” concordò Carmen.
“A fine lezioni abbiamo il Glee quindi nonno prendi solo Kurt con te. In caso Blaine lo riaccompagno io.”
‘Io non voglio salire in macchina con te!’
“Ah Ok. Grazie di avermelo detto Finn.”
“Blaine qui mi ha scritto di dirvi che suo fratello lo viene a prendere domani pomeriggio.”
Sebastian e Thad alla menzione del Club di canto la loro attenzione venne automaticamente attratta verso il quarterback e lo squadrarono straniti.
“Che c’è?” chiese Finn vedendo lo sguardo fisso dei due ragazzi e a rispondergli ci pensò Sebastian.
“Kurt ci ha detto che fai parte del Glee club della tua scuola.”
“Sì e allora?”
“Nulla, solo che è strano. Non lo avrei mai detto che un ragazzo come te potesse interessarsi ai concorsi corali.”
“Per vostra informazione, sono anche il capitano del mio Glee.”
‘Sì perché io non parlo, se no sarei io il capitano e non Co-capitano come lo sei tu con la Berry!’
“Anche Blaine fa parte del Glee.” Kurt s’intromise per bloccare Sebastian prima che dicesse qualcosa che innescasse una litigata. Thad si voltò verso Blaine.
“Scusa la mia maleducazione, ma tu se non parli cosa fai in un Glee Club?”
Blaine diede un colpo a Kurt.
“Ahia BLAINE!”
‘Invece di piagnucolare rispondi! E che cazzo.’
“Sì, sì, ho capito, finiscila di fare quella faccia e darmi strane indicazione con le dita.”
‘Dai rispondi e vediamo se hai capito cosa ti sto dicendo.’
“Blaine al Glee fa l’accompagnamento musicale: suona il piano e la chitarra. Mentre nei concorsi canori fa numero.”
‘Vedi che non la sai spiegare. Io non solo faccio numero. Sono io quello che li fa vincere. Basta solo la mia presenza per illuminare un auditorium.’
“Pianoforte e chitarra? – Thad era sinceramente ammirato. – Che bravo. I miei sinceri complimenti.”
“Perché hai un fidanzato? Sei così carino che con te scapperei immediatamente verso il tramonto e in una caverna faremo le cosacce!”
“Io suono la batteria!” esordì Finn e Kurt rimase colpito dall’affermazione.
“Ma qui a casa non ne possiedi una.”
“Nel seminterrato c’è ne è una e mi alleno lì. Solo che si è rotto il riscaldamento giù e con questo freddo non vado.”
“In questa casa c’è un seminterrato?” chiese Kurt stupito.
“Sì, si entra dal garage. - spiegò Burt. - Lo abbiamo creato perché Finn suona la batteria e quando lo faceva in casa il fracasso era insopportabile.”
“Ma nessuno di voi mette la macchina in garage.” Commentò Kurt ricordando le macchina nel vialetto.
“Dentro ho un carro attrezzi. Ne ho uno in officina e uno qui. Presto servizio anche la notte e se qualche macchina si ferma mi chiamano e li vado a soccorrere.”
“Ah ok.”
La cena da quel momento proseguì in maniera tranquilla, anche se il gruppo di New York rimase spiazzato dai comportamenti strani del Kicker. Certo, Kurt nelle sue telefonate aveva spesso raccontato come il ragazzo potesse essere, ma avevano pensato che i racconti fossero gonfiati per farli ridere e rassicurarli che lui stesse bene, ma quella sera invece il pensiero comune era che Kurt avesse sgonfiato i racconti perché Blaine era davvero un personaggio scoppiettante.
Carmen analizzò nipote per l’ennesima volta quella sera e pensò, nonostante i lividi che aveva in faccia, che stesse meglio di quanto avrebbe mai immaginato. Prima di lasciare New York Kurt era a pezzi per la morte di Elisabeth, aveva messo su una faccia coraggiosa per cercare di non caricarli col suo dolore. Era indubbio che suo nipote emotivamente non era ancora al suo meglio, ma la presenza di quel Blaine lo rendeva in un qualche modo felice. Decise che in quei giorni avrebbe analizzato meglio la dinamica che si era creata fra i due ragazzi e in più avrebbe controllato Finn e se il caso lo richiedeva avrebbe fatto una fattura al ragazzo.
“Ed ecco qua il dolce e le paste portate da Blaine.” Carole posò sul tavolo uno dei suoi cavalli di battaglia in cucina: torta di cioccolato, caramello e crema mascarpone.
Thad ripensò che a inizio cena Kurt si era lamentato del suo stomaco, negli anni avevano imparato che quello non era un buon segno.
“Kurt come va lo stomaco?”
“Ora che ho mangiato molto meglio. E comunque non è nulla. Seguo la dieta alla lettera ed evito quasi sempre i cibi che potrebbero darmi fastidio. Mi concedo ogni tanto uno sgarro. Insomma, niente di diverso dal solito su quel fronte.”
‘Ha delle allergie?’
Blaine era perplesso del discorso appena ascoltato e non gli scappò l’espressione sardonica di Finn, era certo che gli mancasse qualcosa di fondamentale per capire la conversazione.
Sebastian sopirò preoccupato, la risposta del suo amico non lo aveva convinto ma la verità che nessuno di loro era Elisabeth che sapeva quando un sintomo era un campanello di allarme o un semplice fuoco di paglia.
 “Vuoi torta Blanche?”
“Certo. Però Carole potresti farmi una fetta piccola? Sono davvero sazia dall’ottima cena.”
“Ti ringrazio dei complimenti.”
Carole, dopo aver servito la signora Smythe, si voltò verso Kurt.
“Vuoi della torta Kurt?”
“Una fetta sottilissima, giusto un assaggio. Io e il cioccolato non andiamo d’accordissimo. E per favore mi metteresti pasticcino alla mandorla?”
‘Uno solo? Ti prego dimmi che non sei un fissato che calcola tutte le calorie. Quando abbiamo fatto colazione non mi sembravi un bacchettone del genere!’
“Certo.”
“Ti ringrazio.”
Quando tutti furono serviti cominciarono a mangiare il dolce.
Blaine era sicuro di essere in paradiso, la torta era buonissima, cremosa e dolce al punto giusto. Doveva fare i suoi complimenti alla padrona di casa e prese il quadernino per comunicarlo.
 Scritto quello che voleva alzò il quaderno in bella vista in maniera che Carole potesse leggere.
Dopo i maccheroni favolosi, il buon arrosto, questa torta è più che divina. Fantastica! Signora Hummel, se non fosse già sposata, per come cucina le organizzerei il matrimonio con mio padre!”
Kurt, appena messo in bocca il pasticcino, come tutti lesse il messaggio e gli venne da ridere e il boccone gli andò di traverso e gli si bloccò in gola, immediatamente cominciò a battere la mano sulla tavola.
Alle persone ci volle qualche secondo per capire cosa fosse successo, mentre guardavano Kurt che batteva la tavola, divenendo sempre più rosso.
“Sta soffocando!” Urlò agitato Finn. Carole si alzò immediatamente dal suo posto pronta a fare la manovra di Heimlich[1] al ragazzo.
“Kurt. -  Sebastian chiese il più serenamente possibile.- riesci a parlare?”  anche se l’amico avesse risposto col trambusto che stava accadendo non sarebbe riuscito a sentirlo. Molly Hummel urlava di fare qualcosa e Arthur si era alzato andando verso Kurt, Burt anche si era alzato e urlava, preso dal panico, alla moglie di fare qualcosa; Finn, come una cantilena, ripeteva in continuazione Oh mio Dio. Blanche e Carmen cercavano invano di calmare i presenti, urlando che le loro reazioni peggioravano la situazione.
Blaine voleva andare a battere dietro la schiena di Kurt per aiutarlo, ma venne prontamente bloccato fisicamente da Thad.
“Se cerchi di aiutarlo senza sapere come rischi di peggiorare la situazione.”
 Blaine ascoltò il consiglio e impotente guardò Sebastian che rassicurante parlava a Kurt.
Il soffocamento dato da cibo era una sensazione che a Kurt non era sconosciuta, la odiava. Cercò di rilassarsi per evitare che il panico lo sopraffacesse. Nonostante la mancanza di respiro tentò di deglutire, ma sentiva che il pasticcino era bloccato perché non aveva masticato ed e quindi il corpo nella sua gola era solido. Dopo qualche altro secondo riuscì a rilassarsi quel tanto che bastava per permettere alle sue vie respiratorie di riprendere un minimo di circolo d’aria e una sensazione di dover tossire si fece largo in lui e l’accolse, provocandola. Il sollievo si fece largo in lui quando senti il pasticcino che lasciava la sua trachea per tornagli in bocca, prese un tovagliolo e lo sputò dentro.
“Sto bene!” disse con voce gracchiante, continuando a tossire.
Burt sentì il suo cuore che batteva furiosamente, si mise una mano al petto e cercò di regolarizzare il respiro, mentre guardava suo figlio con le labbra di un preoccupante colore viola e la pelle, solitamente pallida, di un colorito rosso che stava scemando velocemente.
“Mi è venuto da ridere e mi è andato di traverso.”
“Scusato. -disse sbrigativa Carmen. - Ora passatemi una birra. Ogni volta che ti succede perdo vent’anni. Lo giuro!”
“Sì, penso che anche io berrò qualcosa per calmarmi. – Molly prese la bottiglia di vino e se lo versò -. Arthur ne vuoi?” Nonno Hummel fece di sì con la testa e si rivolse al nipote.
“Ci hai fatto prendere un bello spavento Kurt.”
“Scusate.”
“Kurt – Blanche sospirò. – non ti devi scusare, l’imprevedibile accade. Come va la gola?”
“Irritata ma nemmeno troppo. Una tisana tiepida dovrebbe rilassarla.”
“Sei stato fortunato. – osservò Thad. – Un pasticcino intero forse è meglio di quando ti si blocca un boccone masticato almeno ti è andato via tutto di un colpo.”
“Sì è stato sicuramente meglio!” convenne Carole.
“Già non mi piace quando mi sedano per controllare che non ho residui bloccati nella trachea e tutti i controlli che ne seguono dopo.”
“Ed io che pensavo che non vedessi l’ora di farti un giro all’ospedale di Lima e testare la loro ospitalità!” Scherzò Sebastian.
“E dopo che faccio? Lascio una recensione su TripHospital?”
“Bella questa!” Si complimentò Thad scoppiando a ridere con quelli di New York e anche Carole.
Gli Hummel guardarono allibiti la scena. Come facevano a Scherzare di quello che era capitato? 
Blaine dai discorsi fatti si rese conto che questo scenario per le persone di New York dovesse essere qualcosa che era successo più volte … Decise di chiedere spiegazioni… scrisse sul suo quadernino e quando fu pronto diede un pizzicotto a Kurt.
“Ahia BLAINE! Seriamente la devi finire con queste maniere.”
‘E che palle non ti si può nemmeno toccare!’
‘Qui le cose sono due Kurt: O sei un cretino che ripete sempre lo stesso errore o c’è qualcosa che non mi hai detto.’ Poi si voltò verso Sebastian e girò pagina del suo quaderno per fargliela leggere e il ragazzo lo fece ad alta voce.
“Kurt ha già testato le meraviglie dell’ospedale di Lima, ha passato una notte ricoverato… Kurt cosa hai da dire a tua discolpa?”
Kurt fissò con fastidio Blaine.
“Certo che tu per essere muto sei un bello spione!”
‘Certo che tu per essere uno che parla sei piuttosto muto! Vergogna.’
“BLAINE!”
 
 
[1] La manovra di Heimlich è una tecnica di primo soccorso per rimuovere un'ostruzione delle vie aeree. Costituisce un'efficace misura per risolvere in modo rapido molti casi di soffocamento.

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