《 Down ● Storia di Metamorfosi 》

di Madelyne Scott
(/viewuser.php?uid=466061)

Disclaimer: Questo testo proprietà del suo autore e degli aventi diritto. La stampa o il salvataggio del testo dà diritto ad un usufrutto personale a scopo di lettura ed esclude ogni forma di sfruttamento commerciale o altri usi improri.


Lista capitoli:
Capitolo 1: *** ● Prologue_ ***
Capitolo 2: *** Chapter one_ ***



Capitolo 1
*** ● Prologue_ ***


Titolo: Down
Sottotitolo:
Storia di Metamorfosi
Autore:
_E n s e i_
Fandom:
Kuroko’s Basket
Stato
: Long-fic

Rating: Giallo
Genere:
Generale, Introspettivo, Sentimentale, Slice of Life
Personaggi:
Riko Aida, Momoi Satsuki, Un po’ tutti –non avete idea dell’emozione che ho provato scorrendo l’elenco-
Coppia: Shoujo-ai, Shounen-ai, Accenni vari
Avvertimenti:
What if…?, OOC

Note dell’autrice: sono molto felice di aver finalmente pubblicato questa Long. E spero sia di vostro gradimento.
Sono consapevole del fatto che il prologo in questione sia relativamente breve e scarso di informazioni, ma il tutto è volontario: spiegherò il tutto a tempo debito, nel frattempo spero di incuriosirvi almeno un po’.
Ho inserito l’avvertimento OOC per due motivi: il primo è che non mi destreggio ancora bene con la caratterizzazione di questi personaggi; il secondo riguarda Momoi. Sappiate che anche questa modifica, ancora piuttosto leggera –in quanto io stessa ho preferito non esagerare- è calcolata e voluta da me. E poi, il fatto che non sia più molto chiassosa ha permesso l’accondiscendenza di Riko per-
Insomma, leggerete.
Per la lettura del titolo, ve lo dirò all’ultimo capitolo. Intanto, sentitevi liberi di interpretarlo come più vi sembra adeguato.
Vorrei ringraziare con tutto il cuore s p a n k e Anis Paranoid che hanno betato il prologo, davvero mille grazie
Y
Vi lascio alla lettura, che spero sia per voi piacevole e invitante.
Au revoir~

 

 

˜ Down

Storia di Metamorfosi

Prologue_



Riko Aida non aveva mai dato troppa importanza al proprio aspetto fisico; preferiva, piuttosto, dedicarsi ad hobby da lei considerati produttivi, quali la lettura e lo studio.

Eppure, giunta al liceo, ai doveri da studentessa che mai le erano mancati si affiancò un nuovo interesse, quello per il proprio corpo: in questo modo, aveva iniziato a preoccuparsi di come appariva esteriormente agli occhi degli altri. Dal nulla, nacque in lei un’attenzione al limite del morboso (come per ogni ragazza adolescente) per le mani, di cui non si era mai curata minimamente: notò la pelle secca e screpolata, le unghie rovinate da attacchi di nervosismo.

Certo, aveva comunque il suo bel daffare: non solo la scuola e lo studio le sottraevano gran parte del tempo giornaliero a sua disposizione, ma ad esso si sommava quello da lei dedicato al club di basket, del quale era diventata una sorta di allenatrice (vista la sua innata capacità di quantificare con un’occhiata il potenziale degli atleti). Si limitava, quindi, all’utilizzo di qualche crema idratante la sera, e a quello di smalti rinforzanti quando aveva un attimo di pausa.

Con il tempo, però, anche il viso aveva attirato l’attenzione della giovane Aida, che si era ritrovata a disprezzare il principio di acne che vi si manifestava tramite qualche punto nero e brufolo di troppo sul naso e la fronte. E allora giù di creme giornaliere e maschere occasionali, per togliersi lo sfizio di apparire meno trascurata, nonché per piacere personale: come ogni donna, anche lei aveva la sua (seppur minima) dose di civetteria.

Tuttavia, non si era mai preoccupata di truccarsi; troppo indaffarata, non concepiva come il trucco avesse potuto aiutarla nell’apparire più piacevole. Queste sue riflessioni erano supportate molte volte da leggeri e delicati complimenti rivoltile dal capitano della squadra, nonché Shooting Guard, Hyuuga Junpei.

E, come ad ogni ragazza, anche a lei capitò di arrossire per quei gentili commenti che, inevitabilmente, la paralizzavano e imbarazzavano allo stesso momento.

Non che non le facessero piacere, ovviamente.

Nel giro del primo anno di scuola, quindi, si era convinta di provare un affetto particolare nei riguardi di quel ragazzo, che si mostrava sempre attento riguardo la propria allenatrice. E quando, durante il secondo anno, aveva deciso di lasciarsi crescere i capelli, che aveva sempre tenuto corti, aveva apprezzato immensamente l’approvazione del suddetto.

Nonostante tutto ciò non si era mai sentita attratta nel vero senso del termine: gli voleva bene, forse in modo più profondo rispetto ad altri componenti della squadra, ma l’affetto che provava era solo di carattere fraterno.

Se ne era resa conto, in modo particolare, durante l’ultimo anno di liceo: nonostante dovesse prepararsi per gli esami e decidere la facoltà universitaria che avrebbe intrapreso, aveva cercato di stare appresso al club con la stessa costanza, ma le cose non erano state semplici. Aveva comunque continuato a frequentare Junpei, Izuki, Kiyoshi e tutti gli altri come prima, forse con un po’ meno frequenza, ma non aveva più percepito il rossore sulle guance ai complimenti del capitano. E, durante una delle lunghe notti insonni passate ad osservare il soffitto, si era resa improvvisamente conto di non provare assolutamente più nulla per lui, se non semplice affetto.

Finì il liceo. Il giorno del diploma, Riko e gli altri furono quasi sicuri di aver visto brillare gli occhi di quelle che erano state le matricole, ma loro rimasero dritti e fieri. Lei non pianse lì, davanti a tutti, ma si limitò a farlo più tardi, imbrattando di lacrime e mascara (alla fin fine, persino lei aveva iniziato a truccarsi, di tanto in tanto) le giacche di tutti i componenti del club.

Era più che consapevole che, con l’Università che andava a frequentare, sarebbe stato davvero difficile riuscire a incontrarsi nuovamente con gli altri: aveva scelto la facoltà di medicina dell’Università Imperiale di Tokyo, la Tōdai, e perciò si era trasferita nella grande capitaleë.

Alloggiava, da sola, in un appartamento non molto distante dalla scuola, o almeno fu così per il primo anno. Le capitò poi, per caso, nel periodo di febbraio, di leggere l’annuncio di una ragazza, di un anno più piccola rispetto a lei, che cercava un appartamento da condividere. Fra una cosa e l’altra, poco dopo il termine della scuola, si era ritrovata ad aspettare colei che sarebbe potuta diventare la sua coinquilina.

Si erano date appuntamento in un bar, proprio sotto il condominio, e Aida era in anticipo di una decina di minuti. Si era accomodata tranquillamente ad un tavolino, affiancato ad una delle grandi vetrate della caffetteria semi-deserta: eccettuata lei, vi era solo un altro posto occupato, dove sedeva un uomo sulla trentina che armeggiava con il proprio pc.

Aveva ordinato un frappé alla fragola, assorta nei propri pensieri: inutile dire che era davvero curiosa di chi le si sarebbe parata davanti. Condividere l’appartamento per quelli che sarebbero potuti essere tre o quattro anni, anche cinque, non era qualcosa da prendere sottogamba. Era talmente intenta a riflettere che quasi non si accorse, o non volle mettere da parte i propri pensieri, che la porta si era aperta, lasciando entrare una figura femminile.

Riko quasi si strozzò con il frullato quando, osservata la ragazza che le stava davanti, dritta in piedi, vi riconobbe Momoi Satsuki. Scattò in piedi, facendo forza con le mani sulla superficie del tavolino.

«Tu?!» esclamò esterrefatta, fissando lo sguardo inespressivo (Aspetta, cosa-) della nuova arrivata.

«Aida-san.» rispose, atona, l’interpellata. Non sembrava offesa dal tono con cui le era stata rivolta la parola, né mostrava qualsiasi altra emozione. Si sedette, sotto gli occhi sbarrati della maggiore, e ordinò un bicchiere d’acqua. Vedendo poi che l’altra non la imitava, sollevò un poco il viso e le rivolse il placido invito di accomodarsi.

L’ex allenatrice della Seirin si sedette meccanicamente, senza smettere di studiare l’espressione monotona sul viso dell’interlocutrice.

«Momoi-san, va tutto bene?» domandò con perplessità, ma il quesito posto ebbe come risposta un ‘No’ secco di Satsuki.

«Sono qui per l’appartamento.»

Le due giovani erano sedute sul divano nel modesto salottino dell’abitazione di Aida. Quest’ultima, come prevedibile, era evidentemente a disagio, ma non per la presenza dell’altra. Era la tranquillità fredda e algida che Momoi emanava ad essere disturbante, o meglio, inaspettata, per la bruna.

«Ah, eh, quindi ti iscriverai alla facoltà di… farmacia?»

«Esatto, Aida-san

«Ch-chiamami pure Riko.» sì, decisamente disturbante. Nonostante non avesse mai parlato tanto con lei, era sicurissima che il suo carattere fosse più solare e loquace. Satsuki, nonostante non la vedesse da più di un anno, era cambiata un sacco: non sorrideva, non faceva allusioni alla sua coppa B, non parlava di Kuroko o di altri ex componenti della Generazione dei Miracoli.

Anzi, non parlava proprio.

Di conseguenza, quella sorta di colloquio si concluse così, senza molte altre parole. Le due si salutarono, cordialmente, e la minore disse che sarebbe tornata con la sua roba la settimana successiva; nel frattempo, entrambe si sarebbero preparate per il trasloco di lei.

Riko, tornata in casa, mise a scaldare del ramen confezionato, riflettendo accuratamente su ciò che era successo. Si sedette a tavola, davanti alla tv accesa, ma non badò al programma che in teoria stava seguendo.

Non aveva mai badato al carattere di Satsuki, né si era mai minimamente preoccupata per lei. Eppure l’avrebbe descritta come una ragazza indubbiamente sveglia ed intuitiva, ed altrettanto in grado di tenere un discorso anche meglio di una persona normale. Terminata quella che, per lei, era diventata una cena abituale, si chiuse in camera e aprì la rubrica del cellulare.

Affiancò il dispositivo all’orecchio e, dopo alcuni secondi, sentì rispondere.

«Pronto?»

«Scusa il disturbo, ma ho bisogno di farti una domanda. Sai cos’è successo a Momoi-san

 

 

 

ëLa Seirin si trova all’interno dell’enorme agglomerato urbano di Tokyo, ma la capitale vera e propria consiste in un gruppo di quartieri speciali che si affacciano sulla baia di Tokyo. La Taidō si trova in questa zona (a Bunkyō), mentre la Seirin non può essere identificata; nel mio personale headcanon, il Liceo Seirin è situato in uno dei quartieri periferici, e Riko si è trasferita al centro. Se avete qualcosa in contrario, vi prego di riferirmelo, grazie.

 

 

 

 

 

Ritorna all'indice


Capitolo 2
*** Chapter one_ ***


Chapter one_



Il silenzio che regnava nella camera da letto di Tetsuya, completamente assorto nella lettura di un romanzo – un giallo –, venne interrotto dalla vibrazione e dalla suoneria del cellulare, che lo colsero inaspettatamente. Terminata di leggere una frase e memorizzato il punto in cui aveva interrotto la propria lettura, allungò la mano destra verso il comodino sul quale era posato il telefono. Non appena lo schermo fu entro il suo campo visivo posò le iridi cerulee sul nome del contatto che lo cercava, notando con un filo di stupore che si trattava della propria ex allenatrice. Si affrettò a mettersi seduto, mentre apriva la chiamata e sistemava il dispositivo in prossimità dell’orecchio.

«Pronto?»

«Scusa il disturbo, ma ho bisogno di farti una domanda. Sai cos’è successo a Momoi-san

Kuroko tacque per qualche istante, interdetto: fu assalito dal dubbio di aver letto male il nome del contatto, aveva tutti i motivi per credere che quella non fosse Riko Aida. Uno di questi era che, sino a prova contraria, lei non avrebbe avuto motivo per cui porgli un quesito simile, e di sicuro non in modo così brusco. Ma dovette ricredersi, dato che la voce che era risonata nel suo timpano era proprio quella che lui associava alla ragazza.

«Riko-san?» dovette ammettere a se stesso che come risposta non suonava tanto sveglia e acuta, specie udito il tono confuso e perplesso da lui usato, eppure fu l’unica cosa che gli venne naturale fare. Dall’altra parte sentì provenire un sospiro stanco.

«Sì, Kuroko-kun, sono io. Scusa se ho risposto in modo così avventato.»

«Nessun problema.» il ragazzo sorrise alla cornetta, rilassandosi un poco contro la testiera del letto. «Piuttosto, mi hai chiesto di Momoi

Aida rifletté un attimo, arrivando alla conclusione che dovesse essere alquanto strano per Tetsuya sentirsi porre una domanda simile da lei. Per questo motivo, senza dilungarsi nei dettagli, gli spiegò ciò che era successo.

«E per tutto il tempo non ha cambiato minimamente espressione facciale.» concluse, sospirando nuovamente.

Mentre la maggiore parlava, un offuscato ricordo si affacciò alla mente di Kuroko. Frammenti di una conversazione avvenuta mesi prima fra lui e Daiki iniziarono a confondergli vagamente le idee, ancorandolo ad un silenzio meditabondo.

«Pronto?»

«Sì, ci sono ancora – rispose lentamente, i pensieri che si facevano più definiti – Riko-san… Hai presente Aomine-kun

 

 

Non ricordava con precisione per quale motivo li avesse incrociati, se doveva esser sincero. O meglio, non c’era un motivo valido che giustificasse quell’incontro. Era un semplice pomeriggio piovoso, probabilmente di metà marzo, e lui aveva lasciato la propria scrivania – invasa da libri ed appunti – solo perché sua nonna gli aveva gentilmente domandato di andare a fare la spesa.

Ovviamente non avrebbe mai lasciato che uscisse lei, non con quel tempo per di più, ma si ripromise di impiegare il minor tempo possibile: aveva da prepararsi al meglio per gli esami di fine anno, anche se dopotutto non aveva problemi a scuola.

In ogni caso, Tetsuya si ritrovò a ringraziare la propria previdenza quando una goccia di pioggia lo colpì sul naso. Sfilò l’ombrello pieghevole che aveva in precedenza inserito nella borsa della spesa, lo aprì con cautela e lo posizionò al di sopra del proprio corpo, riprendendo il tragitto verso casa.

Osservava in silenzio la pioggia, o meglio, le gocce che cadevano dall’ombrello; perso in chissà quali pensieri, quasi non notò le due figure ad una cinquantina di metri da lui. Assottigliò leggermente gli occhi, in modo da oltrepassare almeno con lo sguardo la vaga cortina d’acqua che lo separava dai giovani poco distanti.

«Ohi, Satsuki. Ti vuoi levare da sotto l’acqua?!»

Un Aomine alquanto adirato sbraitava contro una Momoi immobile, lo sguardo fisso sulla cappa plumbea che sovrastava la città. Manteneva le palpebre socchiuse quanto bastava per proteggere gli occhi, mentre il resto del corpo rimaneva indifeso ed esposto all’acqua.

Avvicinandosi, Kuroko poté notare l’inespressività su quel viso chiaro; contemporaneamente, Daiki lo aveva individuato e riconosciuto, e si apprestava a raggiungerlo ed affiancarlo sotto il riparo.

«Aomine-kun.» pronunciò, in segno di saluto, Tetsuya. E ricevette, come risposta, un sonoro e spazientito sbuffo. Entrambi mantenevano le pupille incollate all’immagine di Momoi, che lentamente mosse il capo nella loro direzione.

«Tetsu-kun

Probabilmente per la prima volta, la voce di Satsuki risonò priva di alcuna inflessione, benevola o non. E nemmeno Kuroko nascose lo stupore nel vederla raggiungerli a passo lento, senza che sul viso le si dipingessero emozioni.

«Momoi-san, va tutto bene?»

«Sì.»

Percorsero il tragitto verso casa di lei quasi in completo silenzio, senza che nessuno dei due ragazzi si risparmiasse occhiate perplesse – e talvolta preoccupate – in direzione dell’amica. Giunti a destinazione quest’ultima li salutò con enfasi inesistente, lasciando che il piccolo ombrello fosse da riparo a sole due figure. Quando si fu richiusa la porta di casa alle spalle, si mossero verso casa di Daiki.

«Aomine-kun.» l’interpellato rivolse la propria attenzione verso Tetsuya, rispondendo con un verso inarticolato. Ancorò le iridi scure e dense a quelle terse e limpide dell’ex compagno, intimandolo silenziosamente di porgli il quesito che gli leggeva in faccia.

«Cos’ha Momoi

Uno sbuffo, seguito da silenzio, furono la premessa alla risposta di Daiki.

«A quanto pare, Satsuki ha subito un forte trauma.» esordì quello, abbassando gli occhi in un gesto pieno di apprensione «E ha sviluppato una particolare forma di apatia.»

 

ëvë

 

Riko era davvero stanca: si era sdraiata da qualche minuto, dopo aver vagato su siti e siti, e le sue palpebre si stavano abbassando molto lentamente. Stava ancora rimuginando, sempre meno presente, su quello che aveva letto a proposito dell’apatia, rigirando fra due dita una ciocca di capelli castani.

Non esistevano delle motivazioni precise alla base di tale condizione psicologica, ma di sicuro il trauma subito dalla ragazza doveva essere stato davvero pesante.

E ancora Aida si chiedeva cosa potesse essere successo… Il resoconto di Kuroko aveva di sicuro estinto un suo dubbio, ma aveva dato vita ad altri, relativi al primo.

“Cosa sarà mai successo, effettivamente?”

“Ci sarà un modo per aiutarla…?”

Nonostante stanchezza, la ragazza si rigirò sul fianco destro, fissando la luce della lampada che stava sul comodino. La sveglia digitale che la affiancava segnava un quarto all’una di notte. Sospirò, arrendendosi all’idea di non riuscire a dormire; le era capitato, a volte, di soffrire di improvvisi – e per fortuna brevi – attacchi di insonnia, che tuttavia la tormentavano anche per diversi giorni.

Sperò, mentre si dirigeva in cucina per prepararsi una tisana, che quello non fosse il caso. Mentre l’infuso scaldava si sedette davanti alla televisione, la accese e fece zapping per qualche minuto, sino a trovare un documentario storico sul Medioevo occidentale. Lo seguì, per così dire – più per ammazzare l’attesa che per reale interesse – con espressione spenta sino a che la tisana non fu pronta. La mescolò con qualche cucchiaino di miele e un goccio di liquore, che si era premurata di portarsi dietro dalla casa in cui abitava per occasioni analoghe.

L’abitudine di prendere un poco di alcol per dormire l’aveva presa dal padre, che come lei a volte soffriva d’insonnia, e l’aveva sempre preferito all’utilizzo di farmaci e sonniferi. Bevve la miscela a lunghi sorsi, altra abitudine ereditata da Kagetora, beandosi del calore benefico lungo la gola, per poi ritornare nella propria camera. Si stese nuovamente sul letto, sbadigliando, e rivolgendo il proprio ultimo pensiero al lavoro che l’aspettava la mattina seguente.

 

ëvë

 

Era passata già una settimana dall’incontro con Momoi, e Riko si stava già preparando psicologicamente al suo arrivo.

Chissà quanto sarebbe durato, quel trasloco. Insomma, nella sua vita le era capitato tantissime volte di sentire – e anche di pronunciare – la famosa frase fatta “Le cose cambiano”. La stessa Satsuki, nel giro di un anno, era cambiata radicalmente.

Nonostante tutto, forse a causa dell’indole ottimista e speranzosa di Aida, era disposta a credere che la convivenza sarebbe durata per tutto il tempo necessario. Sperava solo che non ci fossero risvolti negativi.

Se entrambe si fossero trovate un impiego sarebbe stato facile andare avanti, lei già guadagnava abbastanza come cameriera in un locale durante la maggior parte dell’anno, e quando questo chiudeva per ferie si impegnava con lavoretti part-time come quello che stava svolgendo da circa cinque giorni. Ogni mattina si recava allo studio di un’agenzia viaggi, con il compito di sistemare l’archivio: si trattava di un piccolo sgabuzzino stracolmo di scatole e documenti, e tutto ciò che le toccava fare era riordinare.

Un gioco, insomma, per una come lei. Nonostante la sua camera apparisse un campo di battaglia, con gli abiti spiegazzati e gli oggetti letteralmente buttati ovunque, il letto perennemente sfatto e l’armadio incasinato, la sua scrivania era sempre in perfetto ordine. I libri in un cassetto, i quaderni in un altro, la cancelleria in un altro ancora; gli appunti perfettamente suddivisi per materia ed argomento, situazione analoga per i testi universitari. Il pc, quasi perennemente collegato alla presa, era stracolmo di ricerche e documenti organizzati in cartelle in modo sistematico, così che lei potesse trovare ciò di cui aveva bisogno il più velocemente possibile. Lo stesso valeva per gli schemi delle diete e degli allenamenti di cui si serviva quando ancora era l’allenatrice del club di basket della Seirin.

Già, la squadra; al pensiero le veniva sempre da sorridere, e a volte da piangere. Ogni tanto si domandava cosa facessero tutti gli altri, mentre lei era intenta a studiare per l’Università o a servire i clienti al bar, e si dispiaceva del fatto di non sentirsi più con tutti. Sfortunatamente, gli unici con cui aveva rapporti continui erano Hyuuga, Kiyoshi e Hizuki, mentre gli altri li sentiva meno spesso, alcuni quasi mai.

Stava tirando fuori da un ripiano alto una pila disordinata di documenti, quando sentì vibrare il cellulare nella tasca dei jeans. Lo afferrò, non appena ebbe le mani libere, che ormai aveva smesso di squillare; indagando lo schermò, notò l’icona di chiamata persa.

“Da Junpei”.

Sorpresa, ma non troppo, si affrettò a richiamarlo. Non era raro che si sentissero per telefono, ma solitamente non capitava di mattina.

«Ohi, Riko.» non negò a se stessa che era sempre piacevole sentire quella voce calda chiamare il suo nome, la faceva sentire sempre un po’ più giovane.

«Ciao, eh!» ribatté ironicamente, sedendosi. «Come mai mi cerchi a quest’ora?» domandò, dopo aver dato una rapida occhiata all’orologio appeso al muro, il quale segnava le dieci e dieci.

«Per caso ti disturbo?»

«No, no, figurati.» sorrise, abbandonandosi allo schienale della sedia «Dimmi pure.»

Percepì una sorta di esitazione provenire dall’altro capo della cornetta, poi un sospiro.

«Il fatto è che Kiyoshi ed io volevamo passare un pomeriggio in compagnia di un’amica.»

Ah, ecco! Quasi Aida non scoppiò a ridere, sentendo il palpabile imbarazzo presente nelle parole dell’altro: quel “Kiyoshi ed io” lo aveva messo davvero con le spalle al muro. Nonostante i due avessero una relazione, o almeno un rapporto stabile, da poco più di un anno, lei sapeva che per Hyuuga era davvero arduo parlare al plurale. Non che non fosse contento della propria situazione, ma sia Riko che Teppei si rendevano conto del suo estremo orgoglio, e non perdevano tempo a schernirlo affettuosamente.

«Uh, e io dovrei essere il terzo incomodo fra voi due piccioncini?» la ragazza finse un cipiglio contrariato, giusto per stuzzicarlo un po’. Dall’apparecchio, tuttavia, non udì la voce di Junpei, bensì un’altra altrettanto familiare.

«Neh, Riko, è da molto che non ci si sen-teh-» il saluto di Kiyoshi venne interrotto bruscamente, e a parlare fu nuovamente l’ex capitano della squadra di basket della Seirin.

«Idiota.» ringhiò, riferito al compagno, per poi tornare a rivolgere la propria attenzione ad Aida «Allora, che ne diresti se domani pranzassimo insieme?»

«Con molto piacere!» fu la risposta, pronunciata con tono ilare, non appena la ragazza si fu ripresa da un improvviso attacco di risa.

Accordatisi riguardo il luogo dell’incontro e salutatisi, Riko tornò al proprio lavoro, forse un po’ troppo spensieratamente. Senza accorgersene, scendendo dalla scala di cui si era servita per raggiungere un ripiano troppo in alto, perse disgraziatamente l’equilibrio e fu quasi un miracolo se non cadde di schiena, o di testa. Tuttavia non fu assolutamente una sensazione piacevole sbattere l’osso sacro al pavimento, tanto che dovette mordersi ferocemente il labbro inferiore per non imprecare. Strizzò le palpebre con forza, ricacciando indietro le lacrime di dolore che inevitabilmente sfuggirono al suo controllo. Dopo diversi minuti si decise a sollevarsi, aiutandosi con i ripiani dello scaffale al quale era poggiata. E ovviamente, mentre si alzava sfregò accidentalmente il retro delle caviglie alla base dello scaffale. Oltre il danno la beffa, insomma. Emise un verso soffocato, stando bene attenta a non compiere movimenti bruschi o affrettati, e riuscì – finalmente – a mettersi in piedi. Raggiunse poi, senza fretta, la scrivania coperta di pile ordinate di documenti, e di conseguenza la sedia. Vi si accomodò cautamente, in modo da non peggiorare ulteriormente la situazione del proprio fondoschiena e, quando ci fu riuscita, tirò un vero sospiro di sollievo. Si sfregò le gote arrossate ed umide, allontanandosi i capelli dalla faccia e facendo schioccare le dita proprio come una signorina fa abitualmente.

«Beh, meglio tornare al lavoro adesso.» si disse, affacciandosi sui fogli e riprendendo ad ordinarli.

ëQuesto primo capitolo ha un paio di miei headcanon, e ne avrei aggiunto altri, ma sembravano inopportuni. Almeno ora. Piuttosto, abituatevi, perché questa storia sarà colma di headcanon particolari; non dimenticate che si parla di una Slice Of Life in cui le protagoniste sono studentesse universitarie eh.

 

*Akuma no Tsuno*

Ecco che, a due settimane ed un giorno dalla pubblicazione del prologo, torno con il primo capitolo di questa long.

Eh, finalmente ce l’ho fatta a concluderlo. È stata più dura del previsto, ma ce l’ho fatta~

Come l’altra volta, il testo è stato betato da s p a n k e Anis Paranoid (sappi che, a forza di cambiare nickname, nell’elenco dei messaggi privati mi esce sia “Aimi_chan” che il tuo attuale nick. Sei diabolica.). In ogni caso, trovate il link dei loro profili nel prologo, e vi chiedo cortesemente di darci un’occhiata~

In ogni caso, ecco qui che viene svelato un particolare della trama; una delle beta si è già fatta un’idea sul trauma di Satsuki, e le devo dire che non è quello che lei pensa. Ma pian piano vi darò qualche assaggio uwu

Chi ha recensito il prologo mi perdoni, appena avrò concluso le note mi appresterò a rispondere. L’ho fatto per un motivo, comunque: sarà quasi un “avvertimento”, per far notare che la storia è stata aggiornata. In pratica, risponderò alle recensioni del capitolo precedente quando sono in procinto di pubblicare l’aggiornamento.

Detto questo, spero che il primo capitolo sia stato di vostro gradimento. Vi svelo un dettaglio: nel corso della narrazione avverranno delle modifiche nel mio stile /!\. Finora non mi sono dedicata troppo alle descrizioni, e questo perché è un’Introspettiva; ricordatevi anche che siamo in una storia di Metamorfosi, ok?

Io vi lascio, vado a rispondere alle recensioni; un abbraccio a chi ha letto il prologo e il primo capitolo, vi ringrazio molto~

 

 

Ritorna all'indice


Questa storia è archiviata su: EFP

/viewstory.php?sid=2745422