Seguendo l'arcobaleno

di sensibility
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo ***
Capitolo 2: *** Un nuovo lavoro ***
Capitolo 3: *** Colazione in famiglia ***
Capitolo 4: *** Un nuovo amico per Lily ***
Capitolo 5: *** Piacevoli incontri ***
Capitolo 6: *** Il ritorno di Edward ***
Capitolo 7: *** Scontro notturno ***
Capitolo 8: *** Una mattinata movimentata ***
Capitolo 9: *** Gelosia ***
Capitolo 10: *** Ballo d'Inverno ***
Capitolo 11: *** Confessioni ***



Capitolo 1
*** Prologo ***


Ciao a tutti! Questa è la mia nuova storia. È nata per caso e non ho scritto molto ma la trama è ben chiara nella mia mente, si tratta solo di trovare il tempo di tradurre i miei confusi pensieri in un testo chiaro e leggibile.
È la mia prima fanfic, di solito preferisco scrivere storie originali, e questa non sarà da meno, ma ho voluto provare questa nuova sfida. Sarete voi a dirmi se ne vale la pena o se è meglio se lascio perdere. Sono sicura che sarete sincere con me, non vorrei diversamente.
Vi lascio alla lettura del prologo. Si capisce poco della storia ma se vi sorgono almeno un paio di domande allora saprò di aver centrato nel segno. Dal prossimo capitolo, il primo, che spero di pubblicare entro la fine dell’anno ma non ve lo posso assicurare vista la frenesia di questi giorni, le domande cominceranno a trovare le prime risposte. Non crediate però che i segreti saranno rivelati in fretta!
Mettetevi comode e godetevi il viaggio…
Sensibility
 
 
PROLOGO
 
 
Mi volto indietro una sola volta, ammirando la bella villa bianca in cui ho trascorso quasi tutta la mia vita. È stata mia madre a sceglierla, quando io avevo poco più di un anno, ed è stata lei ad arredarla, scegliendo persino quale dovesse essere la mia stanza.
Alzo lo sguardo e lo lascio correre sulla facciata principale della casa, cercando di imprimermi nella mente ogni dettaglio prima di andarmene. La prima cosa che si nota, appena arrivati, sono gli immensi giardini che circondano tutta la casa, con l’erba tagliata con cura e le alti siepi che ne nascondono la vista dalla strada; percorso il vialetto, si arriva a un elegante porticato in legno chiaro che nasconde il pesante portone di legno scuro; alzando lo sguardo, si notano le ampie finestre del primo piano che riflettono i raggi del sole che sorge tingendosi di un tenue color rosa; proprio al centro della facciata svetta un balcone di un bianco candido, decorato da lussureggianti vasi di fiori dai colori sgargianti che segnano la stanza dei miei genitori; sulla sinistra appariscenti tende rosa spiccano sul bianco della casa, tende scelte appositamente da mia sorella.
Quando è nata la mia sorellina, ero felice perché finalmente avrei avuto un’amica con cui giocare, qualcuno che mi avrebbe fatto compagnia nelle ampie stanze fredde e silenziose della villa. Per anni avevo aspettato che la piccola Victoria fosse abbastanza grande da poter giocare con me, limitandomi a guardarla da lontano sotto l’occhio vigile di mia madre che si affrettava a sgridarmi ogni volta che mostravo di volermi avvicinare alla piccola.
Con il passare del tempo capii che non avrei mai avuto il permesso di avvicinarmi alla principessa di casa, come la chiamava mio padre, ma non per questo ero stata gelosa; nonostante tutto, le volevo bene, anche se con il suo arrivo le già poche dimostrazioni di affetto di mio padre si spostarono su di lei e la poca considerazione che mia madre aveva mostrato fino a quel momento nei miei confronti svanì in un secondo.
Victoria, con i suoi lunghi capelli rossi e gli occhi color ghiaccio, era la copia esatta di sua madre e crescendo, questa somiglianza non fece che aumentare rendendola, agli occhi di tutti, perfetta.
Solo io sembravo pensare che mia sorella fosse un po’ troppo viziata e che dargliele tutte vinte non fosse la scelta migliore per lei ma nessuno ascoltava mai il mio parere; mio padre, completamente influenzato dalla moglie, passava la maggior parte del tempo al lavoro, stringendo legami con le persone più influenti della città, e non si rendeva conto di come stava crescendo.
Mia madre, invece, non mancava mai di farmi notare le mie mancanze ogni volta che io mi permettevo di criticare la sua bambina, sottolineando il banale colore castano scuro dei miei capelli e l’ancora più banale color cioccolato dei miei occhi, che uniti al pallore della mia pelle, non facevano che rendere palese al mondo il fatto che non fossi veramente sua figlia. Infatti, nonostante l’avessi sempre considerata mia madre, non lo era; mio padre l’aveva spostata meno di un anno dopo la mia nascita, solo un paio di mesi dopo la morte di mia madre.
La prima cosa che la nuova moglie di mio padre aveva fatto dopo il matrimonio era stata eliminare qualsiasi traccia di mia madre, e cambiare casa era stata la via più rapida ed efficace.
Una sola foto si era salvata, l’avevo trovata per caso qualche anno prima in un vecchio libro che ora conservavo gelosamente, e vedendo quella foto che ritraeva mia madre il giorno del suo matrimonio non potevo che essere felice di assomigliarle, anche se poco: lunghi capelli castano scuro, arricciati in morbidi boccoli, occhi color cioccolato, pelle chiara e fisico esile.
Con un ultimo sguardo alla casa, mi volto e me ne vado, questa volta senza più voltarmi indietro. Ho portato con me ben poche cose, una piccola valigia con qualche vestito, il libro in cui custodisco la foto di mia madre e qualche altra foto a cui tengo particolarmente, e poco altro.
Non c’è niente in quella casa di cui sentirò la mancanza, l’amore che provavo e provo ancora per mia sorella non se ne andrà mai ma ciò che mi ha fatto non lo posso perdonare, non dopo tutto ciò che ho fatto per lei negli anni.
E nonostante tutto, la colpa è stata data a me, perché sono io quella adulta, quella che dovrebbe far rispettare le regole, quella che avrebbe dovuto sorvegliarla e impedirle di fare ciò che ha fatto. Inutile far notare a mio padre e a sua moglie che avevo provato ad avvertirli più di una volta ma senza mai essere ascoltata; era colpa mia e ne dovevo pagare le conseguenze, mia sorella era troppo giovane per rendersi conto che le regole esistevano per un motivo e toccava a me l’ingrato compito di metterla in riga, quando i suoi genitori erano i primi a lascarle fare qualsiasi cosa volesse, quando io che avevo quasi otto anni più di lei dovevo chiedere il permesso per la minima sciocchezza.
E così ora mi ritrovavo a lasciare la mia casa, sola e senza un soldo, senza sapere dove andare e senza nessuno a cui poter chiedere aiuto; questo però non mi importava. Quando varcai il cancello, lo richiusi alle mie spalle e mi avviai lungo la strada che portava alla stazione dei treni, sul mio volto c’era un sorriso. Ero spaventata, certo, ma sapevo che me la sarei cavata in qualche modo; avrei trovato un posto dove vivere e un lavoro, presto tutto sarebbe andato bene. Ne ero sicura.
Sono sempre stata una persona ottimista e nemmeno questa volta sono da meno. Con la mia valigia e il mio prezioso carico, motivo per cui mio padre mi ha gentilmente cacciato di casa solo la sera prima, mi allontano dalla mia casa e dal mio quartiere affrontando il mondo.
Il mio unico rammarico è di lasciare la mia piccola e immatura sorellina nelle mani dei miei genitori che per sedici anni non sono riusciti a imporle nulla; ho paura di quello che potrebbe succederle ma con un sospiro mi rendo conto che non può essere peggio di ciò che è già accaduto e che proprio questo episodio potrebbe averle messo in testa un minimo di buon senso che le impedirà di comportarsi come una bambina viziata che fa i capricci se non ottiene ciò che vuole, anche senza di me.
Arrivo alla stazione che il sole è appena sorto; volevo lasciare la mia casa prima che qualcuno si svegliasse per non dover affrontare di nuovo le accuse che la sera prima mi erano state rivolte. Faccio il biglietto per il primo treno in partenza senza badare alla destinazione, non m’importa dove vado, tutto ciò che voglio è allontanarmi il più possibile da quella città e dalla mia famiglia. Quando il treno parte, dirigendosi lentamente verso le montagne, lascio il mio passato sulla banchina di quella stazione mentre il mio sguardo corre in avanti, alla mia meta, ancora sconosciuta, in cui spero finalmente di sentirmi a casa.
“Ce la faremo” mormoro, cercando di convincermi che andrà tutto bene. “Troverò una casa e un lavoro e non ti farò mai mancare niente” prometto, abbassando lo sguardo sul fagotto che tengo tra le braccia. Un visetto dolce spunta tra le coperte rosa pallido e due occhi azzurri come il cielo mi guardano curiosi.
Sorrido, le do un rapido bacio sulla fronte e mi assicuro che sia coperta bene prima di tornare a prestare attenzione al paesaggio che scorre rapido davanti ai miei occhi.

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Capitolo 2
*** Un nuovo lavoro ***


Buon Anno!
Spero che abbiate iniziato questo 2014 nel migliore dei modi e come mio piccolo regalo vi lascio il nuovo capitolo. La storia comincia lentamente a prendere forma e non fanno che aggiungersi altre domande a quelle che già erano presenti ma presto cominceranno a sciogliersi i primi dubbi.
Spero apprezzerete questo capitolo.
Buona lettura.
Sensibility
 
 
Capitolo 1
 
 
Il suono ripetitivo delle ruote del treno che corrono sui binari culla i pochi passeggeri che alle sette del mattino si ritrovano a sbadigliare seduti scomposti negli scomodi sedile del vagone, diretti probabilmente al lavoro.
Soffoco uno sbadiglio, guardando fuori dal finestrino il sole che sorge lentamente dalle montagne. Dopo aver lasciato la casa di mio padre, sono saltata sul primo treno e sono scesa solo quando la mia bimba ha cominciato a piangere, reclamando il latte.
Non ci misi molto a riconoscere Liverpool, una bella città industriale affacciata sul canale che separa Inghilterra e Irlanda; l’ambiente freddo e poco ospitale non aiutò a mettere da parte i miei timori ma il profumo del mare e il suono lieve delle onde che s’infrangevano contro le rive rilassava la mia mente, cacciando via i cattivi pensieri. Ricordo di aver pensato che avrei potuto vivere in quella città, nonostante la frenesia che la caratterizzava e l’umore tetro che sembrava regnare ovunque; non passò nemmeno un’ora prima che qualcuno riconoscesse il mio volto e cominciasse a parlare alle mie spalle. Camminai per ore alla ricerca di un posto dove stare, con il mio piccolo fagottino tra le braccia, ma le voci mi seguivano ovunque, potevo sentire i loro commenti e i giudizi che si abbattevano su di me, senza che nessuno si preoccupasse di chiedermi come erano andate veramente le cose. Quello che importava a loro era solo avere una storia da raccontare, e io ero perfetta per questo.
Passai di città in città, lavorando più che potevo, ma ovunque andassi le voci, i giudizi, i finti sorrisi mi seguivano e così me ne andavo. Per otto mesi non avevo fatto altro che viaggiare attraversando l’Inghilterra da un capo all’altro senza trovare un posto in cui potessi sentirmi a casa.
Alla fine capii che se fossi rimasta in Inghilterra, che tanto amavo, non avrei mai avuto un attimo di pace. Mio padre è un uomo piuttosto famoso nel suo ambiente  e spesso, girovagando per le strade di Londra ero stata additata come la figlia di Charlie Swan, il grande imprenditore, l’uomo del momento, il ricco uomo d’affari che puntava ad entrare in politica. Avevo sempre odiato tutto questo, nessuno sapeva il mio nome ma tutti sapevano chi fossi e le cose non erano diverse in un’altra città.
Presa dallo sconforto decisi di prendere un volo che mi portasse a migliaia di chilometri da mio padre, dove non m’importava. Sono atterrata a Seattle solo poche ore fa ma mi ritrovo nell’ennesima metropoli con alti grattacieli grigi, tutti uguali, gente che corre da una parte all’altra senza fermarsi nemmeno per chiedere scusa quando ti urta nella sua folle agitazione. Ho attraversato mezzo mondo, sorvolando l’oceano, e mi sembra di non essermi allontanata da casa nemmeno di pochi metri; non è cambiato niente, questa città mi mette addosso la stessa ansia di essere riconosciuta e giudicata che avevo quando sono partita.
So che è una sciocchezza, a mio padre non importa nulla di me o non mi avrebbe cacciato di casa quindi sapere dove sono e cosa faccio non dovrebbe importargli ma mi ha urlato di sparire ed è esattamente ciò che voglio fare; sparirò in modo che nessuno della mia famiglia possa mai trovarmi.
Ed è così che mi ritrovo su questo treno che sbuffando s’inerpica lentamente sulle montagne, facendosi strada a fatica tra dirupi e picchi scoscesi, addolciti dalla neve che ne ricopre i pendii tutto l’anno.
Mi volto verso la mia piccola Lily, controllando se sta bene ma lei sta dormendo come un angioletto, con un pugnetto in bocca; sorrido e sistemo le coperte che già la coprivano perfettamente, non voglio correre il rischio di farla ammalare. Nonostante sia da poco cominciato l’autunno, le temperature si stanno già abbassando e il paese in cui siamo diretti è nascosto in una piccola valle in cui la neve si può vedere tutto l’anno imbiancare le montagne. Queste sono le poche informazioni che sono riuscita a ottenere dal controllore della stazione, mezzo addormentato, prima che il mio treno partisse.
Il viaggio non dura molto, qualche ora appena, ma la stanchezza si fa sentire e faccio molta fatica a non addormentarmi, invidiando il sonno tranquillo di Lily, che non deve preoccuparsi di nulla. Io, invece, non faccio che controllare quanto manchi per assicurarmi di non mancare la nostra fermata.
Sfogliando un giornale, in aeroporto, ho scoperto che una piccola fattoria, a conduzione famigliare, sta cercando una persona che si occupi degli animali, dia loro da mangiare e tenga puliti i loro recinti. Non ci ho pensato due volte. Forse in mezzo alla Natura, tra gli animali, troverò la calma che tanto desidero.
La mia meta è più lontana di quanto credessi ma quando finalmente il treno rallenta, avvicinandosi alla sua ultima fermata, ciò che trovo davanti ai miei occhi mi lascia senza fiato e un sorriso si apre sul mio volto.
“Tesoro, svegliati” mormoro, scrollando piano Lily che dopo aver strofinato forte gli occhi con le sue manine, mi guarda con i suoi occhioni azzurro cielo. “Siamo arrivati. Vieni a vedere.”
Lily tende le braccia verso di me e, non appena sente le mie mani afferrarla, si lancia su di me ridacchiando. “Ti piace questo posto?” chiedo, invitandola a guardare il paesaggio che si presenta ai nostri occhi, fuori dal finestrino del treno.
La piccola stazione del paese è quasi vuota, solo qualche pendolare che è appena sceso dal treno passa rapido davanti a noi attirando l’attenzione di Lily che non si perde nulla. Occhi spalancati che si muovono rapidi per poter vedere tutto ciò che succede, le manine appoggiate al vetro e un’espressione rapita e sorpresa sul volto.
Raccolgo le poche cose che abbiamo con noi, controllando di non dimenticare nulla, e convinco Lily a seguirmi, prendendola in braccio per scendere dal treno. Appena usciamo dalla stazione, mi blocco davanti allo spettacolo che mi trovo di fronte e la bocca involontariamente si spalanca.
Davanti a noi si stende una piccola città immersa nella Natura, con alte montagne che si stagliano contro un cielo azzurro libero da nuvole, con le cime imbiancate dalla neve che non si scioglie nemmeno d’estate, e con la loro mole incombono racchiudendo in un abbraccio le belle case colorate che sorgono qua e là nella piccola valle. Guardandomi intorno, vedo solo villette dai colori sgargianti, circondate da giardini curati con fiori alle finestre e alberi tinti di rosso e oro che fanno ombra ad altalene per bambini o panchine in legno chiaro su cui riesco ad immaginare una coppia di anziani che seduti vicini guardano il tramonto.
Sembra un paese tranquillo, nessuno corre e tutti si conoscono, salutandosi con un sorriso quando si incontrano per strada; si accorgono subito del mio arrivo ma mi sorridono gentili e accennano un saluto con la testa, continuando poi per la propria strada.
Mi sento a casa.
“Ti piace qui, tesoro?” chiedo, sorridendo a Lily che tra le mie braccia si guarda intorno meravigliata. L’autunno ha tinto tutto di caldi colori e le foglie cominciano solo ora a cadere, ricoprendo tutto di rosso, come un immenso tappeto di velluto. È la prima volta che questa stagione non mi da una sensazione di tristezza.
Lily, sentendo la mia voce, si volta verso di me e mi sorride, annuendo con forza.
Sorrido anch’io e, scoccandole un bacio sulla guancia, chiedo: “Pronta per vedere la tua nuova casa?”
“Casa!” esclama Lily, puntando il dito verso una piccola casetta azzurro cielo dall’altra parte della strada. “Bau!” aggiunge poi, vedendo un grosso cane bianco sdraiato in giardino che rosicchia qualcosa, probabilmente un osso.
“Sì, tesoro, è un cane ma non è quella la nostra nuova casa. Dobbiamo camminare un po’ prima di arrivarci, penso. Forse è meglio se chiediamo indicazioni.”
Lily mi guarda e sorride, felice. È una bimba intelligente, sembra capire ogni mia parola, ascoltando la mia voce con attenzione, bevendosi ogni mia parola, e ne impara una nuova ogni giorno che ripete per ore con orgoglio.
Fermo una vecchia signora dall’aria simpatica, con un sorriso gentile sul volto segnato dal tempo, e le chiedo dove posso trovare la fattoria che sto cercando.
“Segua questa strada e la troverà, signorina” mi assicura con un sorriso allegro, indicando con una mano un sentiero che dalla strada principale si dirige verso il bosco, inerpicandosi lungo il fianco della montagna. “Non ci vorrà più di un’ora per arrivare. Anche meno se non dovesse portare questa bella bambina in braccio. Posso sapere come ti chiami, signorina?”
Sorrido, guardando Lily che timida si stringe a me. “Tesoro, lo dici il tuo nome a questa gentile signora?”
“Lily” mormora, accennando un sorriso.
“È un nome meraviglioso per una bimba bella e dolce.”
“La ringrazio, signora” mormoro, guardando la mia piccola; è la prima volta che qualcuno si rivolge in modo tanto gentile a me e soprattutto a Lily. “Ora dobbiamo andare.”
“Continuate per questa strada. Non vi perderete.”
E con un ultimo sorriso e un cenno di saluto con la testa, mi avvio lungo la strada che mi ha indicato la donna. Lascio il paese e mi inoltro nella foresta con Lily che ora cammina accanto a me, ora mi prega di farsi prendere in braccio.
Gli alberi, alti e profumati di resina, mi circondano e oscurano con le loro folte chiome rosso fuoco il sentiero che sto seguendo e che si rivela più ampio di quanto avessi pensato in un primo momento; le foglie che lentamente si staccano dai rami, lasciandoli presto spogli, lo ricoprono e i miei passi risuonano nel silenzio della foresta con il loro scricchiolio.
Lily, appollaiata tra le mie braccia, si guarda intorno meravigliata dai colori e dagli odori che la colpiscono e che mai ha sentito prima d’ora, abituata allo smog delle città in cui abbiamo vissuto.
Cammino lentamente, godendomi l’aria fresca e i profumi che ci circondano, e il sentiero scorre rapido sotto i miei passi aprendosi davanti a me in una vasta radura, circondata dagli alberi, al cui centro svetta una grande costruzione di pietre bianche e legno chiaro, con grandi finestre e fiori sui davanzali; accanto alla costruzione principale, ne sorgono altre due, più piccole e discoste, ai margini del prato.
Lily si agita tra le mie braccia, chiedendomi di farla scendere, e appena la metto a terra, corre verso la grande casa che abbiamo davanti, ridacchiando felice. Sorrido, guardando il sole brillare tra i suoi riccioli biondi, e con più calma la seguo.
Busso alla porta, tenendo sempre un occhio su Lily per assicurarmi che non si faccia male e non si allontani troppo da me, e aspetto che qualcuno mi venga ad aprire. Mi sistemo lo zaino sulle spalle, spostando il peso che comincia a farsi sentire, e faccio un respiro profondo, cercando di calmarmi.
Meno di un minuto dopo sento i passi di qualcuno che scende le scale e la porta si apre, mostrandomi una donna sui quarant’anni, con lunghi capelli castani e grandi occhi color del miele che ricambiano il mio sguardo con curiosità, sul volto un sorriso dolce.
“Buongiorno” mi saluta e dopo essersi pulita le mani nel grembiule che porta legato alla vita, a proteggere il semplice abito color panna che indossa, mi porge la mano. La stringo, timida.
“Buongiorno, sono qui per l’annuncio di lavoro. È ancora disponibile la sua offerta?”
La donna mi fissa sorpresa ma, dispiaciuta, scuote la testa. “Purtroppo ho assunto un ragazzo giusto ieri pomeriggio.”
“Oh, capisco” mormoro, abbassando lo sguardo per nascondere la delusione che si è dipinta sul mio volto. Questa volta speravo di aver trovato un posto in cui fermarmi, finalmente, e invece devo riprendere il cammino. “Arrivederci, e mi scusi per il disturbo” aggiungo, salutando la donna con un cenno del capo prima di voltarmi e cercare Lily con lo sguardo per potermene andare.
“Aspetta!” esclama la padrona di casa, fermandomi dopo appena un paio di passi. “Non sei di queste parti, vero? Non ti ho mai vista. Da dove vieni?”
“Da Londra” rispondo, voltandomi appena in tempo per vedere lo stupore comparire sul volto della donna e un sorriso divertito mi sale alle labbra.
“Cosa ci fai qui?”
“Cercavo lavoro ma lo troverò altrove, non deve preoccuparsi” mi ritrovo a rassicurarla, senza nemmeno sapere il motivo; lo sguardo dolce che leggo nei suoi occhi ricorda quello di una madre e non posso fare a meno di comportarmi così.
“Hai un posto dove stare?” chiede sempre più preoccupata, poi improvvisamente distoglie lo sguardo e accenna un sorriso imbarazzato. “Ma certo che ce l’hai. Immagino che la tua famiglia ti stia aspettando.”
Trattengo a stento uno sbuffo, pensando alla mia situazione, ma prima che possa rispondere qualcosa un piccolo tornado mi arriva alle spalle, sbattendo con forza contro le mie gambe e afferrandosi stretta ai miei pantaloni per non cadere.
“Ehi!” esclamo, abbassando lo sguardo sul piccolo angelo biondo che si stringe a me, lanciando occhiate curiose in direzione della donna che, ferma sulla porta, ci guarda sorpresa e curiosa. “Dove sei stata?”
Lily non mi risponde, lo sguardo fisso sulla figura della donna che ricambia il suo sguardo curioso con un sorriso così dolce da stringere il cuore; intimidita dalla situazione, Lily mi tira una manica in una muta richiesta di attenzione.
“Ciao” la saluta, chinandosi fino a trovarsi alla stessa altezza di Lily. “Come ti chiami, tesoro?”
Lily si nasconde dietro le mie gambe, stringendomi ancora più forte, e una risata mi sfugge dalle labbra. “La mia bimba timida” mormoro, lasciandole una carezza sulla testa. “Non vuoi dire a questa gentile signora come ti chiami?”
Lily risponde qualcosa ma con il volto ancora affondato tra le mie gambe non riesco a capire cose abbia detto, così mi chino e la prendo in braccio. Lily mi stringe le braccia intorno al collo e nasconde subito il volto tra i miei capelli.
“Mi scusi, con gli estranei è sempre molto timida” spiego con un sorriso di scuse, “ma appena passa il primo momento non la smette più di parlare, non è vero, tesoro?” Lily alza la testa, mostrando finalmente il suo volto e gli occhioni azzurri. “Lo vuoi dire alla signora il tuo nome?”
“Lily” mormora con gli occhi bassi.
La donna sorride. “Che bel nome che hai!” esclama e porgendole la mano, lasciando che fosse Lily a decidere se stringerla o ignorarla, si presenta. “Io mi chiamo Esme. Ti piace la mia casa? Ho visto che hai curiosato in giro. Hai fatto benissimo.”
Sorrido. La donna, Esme, ci sa fare con i bambini e sento Lily che tra le mie braccia si rilassa e comincia a sporgersi, allontanandosi dalla sicurezza che trova sempre tra le mie braccia.
“Hai fame? Ti andrebbe una fetta di torta e un bicchiere di latte?”
Ridacchio, vedendo gli occhi di Lily illuminarsi appena sente parlare di torta. Lo vedo che vorrebbe accettare subito l’offerta ma sa che deve chiedermi il permesso prima di mangiare i dolci, e così si volta verso di me e guardandomi con i suoi occhioni enormi da cucciolo mi chiede: “Posso, mamma?”
“Va bene, tesoro, ma poi dobbiamo andare.”
Lily mi guarda e annuisce, prima di sporgersi dalle mie braccia per essere messa a terra e poter così andare a mangiare la sua fetta di torta.
“Venite” ci invita Esme, facendoci strada fino in cucina dove un dolce profumo di torta invade l’aria facendo brontolare i nostri stomaci affamati. La donna sorride e si affretta a servire una fetta di torta a entrambe, accompagnando quella per Lily con un bicchiere di latte fresco. La ringrazio e addento la mia fetta, grata di poter finalmente mettere qualcosa sotto i denti.
“Dove andrete ora?” chiede Esme con uno sguardo preoccupato, tenendo la voce bassa, come se non volesse farsi sentire da Lily che troppo presa dalla sua merenda non le presta attenzione.
Alzo lo sguardo e sorrido. “Torneremo in paese e cercherò un posto dove dormire. Sa se qualcuno affitta camere a buon prezzo?” chiedo, calcolando in fretta quanti giorni mi sarei potuta permettere senza lavorare.
“Restate qui” mi offre di getto.
La guardo sorpresa e un po’ confusa. “Affittate camere?”
“No” risponde, scuotendo la testa, sorpresa dalla mia domanda, “ma ho una camera libera e ve la offro volentieri. È tardi e non potete tornare in paese a quest’ora. La strada è lunga e per quando sarete arrivate, sarà già buio. Come farete se non troverete una stanza? No, restate qui. Mio marito ed io saremmo felici di ospitarvi per tutto il tempo che vorrete.”
Scuoto la testa, stupita dalla generosità di quella donna che senza nemmeno conoscerci ha offerto un posto in casa sua a me e alla mia bambina. “Non posso accettare.”
“Sei venuta per cercare un lavoro. Sono sicura che qualcosa possiamo trovare.”
“È gentile da parte sua ma non posso accettare. Troverò un lavoro da un’altra parte, non si deve preoccupare.”
“Sai cucinare?” chiede, ignorando il mio rifiuto.
Annuisco, lentamente, cercando di capire il motivo della sua domanda ma prima che possa aprire bocca, Esme si apre in un sorriso enorme ed eccitato, sembra quasi una bambina il giorno di Natale. “Perfetto! Proprio quello che mi serve!” esclama, battendo le mani felice. “Mi aiuterai in cucina. In cambio avrai vitto e alloggio e una piccola paga ogni due settimane. Può andare bene? Purtroppo non credo che ti potremo offrire molto, i guadagni della nostra fattoria sono molto modesti.”
Guardo Esme con gli occhi spalancati, senza parole. Questa donna mi ha appena offerto un lavoro, anche se sono più che sicura che non abbia alcun bisogno di aiuto in cucina ma che la sua offerta serva solo a convincermi a restare, e non mi conosce nemmeno. Mio padre, tutta la mia famiglia, mi ha voltato le spalle mentre un’estranea, appena incontrata, mi sta aiutando senza chiedere nulla in cambio.
Sento gli occhi diventare lucidi, abbasso lo sguardo per non farmi notare e scuoto la testa, decisa a rifiutare il suo aiuto. “La ringrazio ma non è necessario, mi creda.”
“Dammi del tu, cara, e chiamami Esme” m’interrompe con un sorriso. “Mi farebbe veramente piacere se ti fermassi per un po’ con noi. Tra poco torneranno mio marito e i miei figli e questa casa diventerà molto affollata” mi spiega e il suo sguardo si perde in lontananza, addolcendosi mentre pensa alla propria famiglia, “e forse ti sembrerà anche troppo affollata ma ti assicuro che non è assolutamente un problema avere per casa una persona in più, o due” aggiunge, facendo l’occhiolino a Lily che ha appena finito di ripulire il piatto dalle briciole.
Guardo l’espressione di Esme che sembra quasi pregarmi di accettare e per un attimo sono indecisa, allettata mio malgrado dall’idea di poter far parte della sua famiglia ma dura un attimo e poi mi rendo conto che io sarei solo un’ospite e che presto o tardi dovrò andarmene. Affezionarmi a loro sarebbe una pessima idea e non farei altro che far soffrire ancora Lily.
Prima che possa rifiutare di nuovo, la porta di casa si apre e un frastuono di voci ci raggiunge, rompendo la tranquillità in cui ci eravamo cullate fino a quel momento.
“Siamo a casa!” esclama una voce maschile, facendo sobbalzare Lily che spaventata corre da me, pregandomi di prenderla in braccio, e appena è tra le mie braccia, affonda il viso nel mio collo, nascondendosi dal mondo, come se così si sentisse protetta e nulla potesse succederle.
“Va tutto bene, amore” mormoro, cullandola piano, mentre tendo l’orecchio per cercare di ascoltare le tante voci che arrivano dall’atrio. Esme, accanto a me, sorride e aspetta in silenzio che la sua famiglia faccia la sua comparsa in cucina.
“Togliti subito quelle scarpe! Non vedi che sono tutte infangate? Guarda! Hai lasciato fango ovunque!” urla una voce femminile, imperiosa e decisamente arrabbiata. “Pulisci tu il disastro che hai combinato? Sei peggio di un bambino.”
“Non ho fatto apposta!” risponde una voce maschile, diversa da quella di prima, più giovane.
“Sei il solito impiastro” lo prende in giro una seconda voce di donna e una risata cristallina segue le sue parole, risuonando per tutta la casa.
“E dai, sorellina, non ti ci mettere anche tu!”
“Te le cerchi, lo sai che Rose adora il tappeto dell’ingresso e tu lo hai appena ricoperto di fango” gli fa notare la sorella. Sento uno sbuffo ma non ribatte, probabilmente sapendo che la sorella ha ragione.
“Mio fratello?” chiede Rose.
“Sono qui” risponde una voce nuova, seguita dal rumore della porta che viene finalmente chiusa. Due giri di chiave, rumore di passi attutiti dal tappeto e la cucina si fa improvvisamente affollata, quando il gruppo fa la sua comparsa.
“Ciao, mamma.”
Un ragazzone alto e grosso, con corti capelli castano chiaro come la madre e gli stessi occhi dolci, si avvicina a Esme e le lascia un bacio sulla guancia, ricevendo dalla donna un sorriso e una carezza leggera. Subito dopo lo imita una ragazzina piccola e magra, con capelli scuri tagliati in modo da darle un’aria sbarazzina, gli occhi verdi, gli stessi occhi che riconosco nell’uomo che si avvicina a Esme, cingendole la vita e lasciandole un lieve bacio sulle labbra.
Distolgo lo sguardo, sentendomi un’intrusa; nessuno si è ancora accorto di me ma so che se cercassi di andarmene, attirerei subito l’attenzione di tutti e, inoltre, per arrivare alla porta di casa, dovrei passare davanti a due ragazzi, un maschio e una femmina, così simili nell’aspetto che non possono che essere fratello e sorella, probabilmente gemelli: stessi capelli biondi, stessi occhi azzurri, stesso modo di muoversi.
E così aspetto, godendomi l’atmosfera di vita famigliare. Persino Lily lascia il suo nascondiglio per osservare la scena, incuriosita.
“E tu chi sei?”
La domanda arriva dal marito di Esme. Mi guarda con lo stesso sguardo gentile che la moglie mi ha rivolto per tutto il tempo, quel pomeriggio.
“Le ho appena chiesto se può lavorare per me” risponde Esme, prima che possa dire qualcosa. “Sai quanto sono impegnata con la fattoria e questa casa che mi richiede veramente troppo tempo per tenerla in ordine, per non parlare dei disastri che combina Emmett” e lancia un’occhiataccia al figlio che cerca di farsi piccolo, con scarso successo vista la sua mole. “Una mano in cucina mi aiuterebbe moltissimo e lei sa cucinare. In cambio del suo tempo le ho offerto vitto e alloggio, naturalmente. Non può andare e tornare dal paese a piedi.”
Il marito la guarda a lungo, in silenzio, poi sorride e annuisce. “Hai ragione, cara. Ho sempre pensato che non dovresti fare tutto da sola e se questa gentile signorina ti darà una mano ne sarò felice.”
“Non è necessario” mormoro con un filo di voce, a disagio sotto lo sguardo curioso di tutte quelle persone; Lily, tra le mie braccia, torna a nascondersi e per un momento la invidio, desiderando di poterlo fare anch’io.
L’uomo mi guarda serio. “Mia moglie lavora troppo e arriva alla sera che è stravolta. Sarei davvero felice se tu potessi aiutarla in qualche modo.”
Lo guardo, desiderando solo accettare la loro proposta e passare qualche giorno in mezzo a persone tanto gentili e allegre, ma qualcosa mi blocca. È Lily alla fine che prende la decisione al mio posto, e a lei non so dire di no.
“Mamma, qui” mi prega, guardandomi negli occhi. Non sa ancora mettere insieme le parole per farne una frase di senso compiuto ma riesce a farsi capire perfettamente anche con poche parole.
Sorrido e quando alzo lo sguardo, vedo che tutti mi fissano, aspettando una risposta. Annuisco, imbarazzata. “Va bene, accetto la vostra offerta ma non voglio essere pagata. Vitto e alloggio saranno più che sufficienti. Vi ringrazio.”
“Ne sono felice” esclama Esme con un sorriso. “Visto che ti fermerai con noi per qualche tempo sarà meglio fare le presentazioni. Lui è mio marito Carlisle” dice, indicando l’uomo alto al suo fianco, “i miei figli, Emmett e Alice” continua, indicando prima il ragazzo alto e grosso, poi la ragazzina dall’aria sbarazzina, “mentre loro sono i loro compagni, Rosalie e Jasper” finisce, indicando i due gemelli biondi.
“Piacere di conoscervi. Io sono Bella e lei è mia figlia Lily.”
“È una bambina bellissima, complimenti” mormora Rosalie, accennando appena un sorriso che ricambio, a disagio.
“Dei averla avuta giovanissima!” esclama sorpresa Alice e mi ritrovo ad annuire mentre un’ombra mi oscura il volto, senza dire una parola. Esme, che in qualche modo deve aver capito che qualcosa non va, lancia un’occhiata di ammonimento alla figlia che si zittisce subito, abbassando lo sguardo dispiaciuta.
Per rimediare e riportare l’allegria, allontanando la tensione che improvvisamente si è creata tra noi, si avvicina a me e con un sorriso mi invita ad alzarmi e mi abbraccia. Lily, ancora in braccio a me, allunga una mano verso Esme fino a posarla sulla sua guancia e le sorride felice.
“Benvenute in famiglia” esclama, sciogliendo l’abbraccio e lasciando una leggera carezza sulla testa di Lily che non si tira indietro, anzi si lascia scappare una risatina che conquista subito tutti.
Le parole di Esme, pronunciate in modo così spontaneo, mi scaldano il cuore e mi ritrovo a ricambiare il sorriso che tutti mi rivolgono, sentendomi finalmente a casa.


 

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Capitolo 3
*** Colazione in famiglia ***


Chiedo scusa per l’enorme ritardo!
Tra lavoro ed esami ho pochissimo tempo libero, quindi la stesura dei capitoli va piuttosto a rilento ma anche se lentamente, arrivano. Non temete.
Siamo ancora all’inizio ma presto entreremo nel vivo della storia, forse già dal prossimo capitolo, e allora spero di poter aggiornare in modo più regolare.
Buona lettura,
Sensibility


Capitolo 2


Mi sveglio presto, come ogni mattina, grazie alle manine di Lily che giocano con i miei capelli, tirando i tanti nodi che nella notte si sono formati, ma non sono capace di arrabbiarmi per essere stata svegliata alle sei del mattino; sentire le sue piccole mani di bambina e il suo profumo di latte che ancora ricopre la sua pelle sono le cose che amo di più al mondo e non ci rinuncerei mai, tanto meno per qualche ora di sonno in più.
“Buongiorno, amore mio” la saluto con un sorriso e un bacio sulla guancia di quelli che piacciono tanto a lei, di quelli che schioccano. Lily ride e si porta la mano alla bocca, nascondendo quella risatina divertita che fa sempre quando la bacio. “Andiamo a fare colazione?”
Lily annuisce con forza, affamata come ogni mattina, e si affretta a scendere dal letto, gattonando fino al bordo per poi lasciarsi scivolare a terra piano. Quando è finalmente in piedi, si guarda intorno e poi corre alla porta, voltandosi per vedere se la seguo.
“Arrivo, dammi il tempo di vestirmi” mormoro con un sospiro, alzandomi dal letto e afferrando un paio di pantaloni e una maglietta. Siamo ospiti nella casa di una famiglia che non conosciamo e non è certo il caso di girare in pigiama, così dopo essermi vestita, costringo anche Lily a infilarsi qualcosa di più adatto del suo bel pigiamino rosa con gli orsetti.
Quando siamo pronte, prendo la mia bimba per mano e usciamo dalla stanza che la sera prima Esme ha deciso che diventasse la mia. Si trova al primo piano, l’ultima del corridoio, e ha una splendida vista sul giardino che circonda la casa e sulle stalle; l’arredamento è piuttosto neutro, i colori tenui del viola e del celeste la rendono molto accogliente, così come il grande letto matrimoniale al centro della camera; accanto un piccolo comodino, un armadio e una cassettiera dello stesso legno chiaro della casa.
Percorrendo il corridoio, passiamo davanti alle stanze dei figli e al grande bagno in comune con la sua enorme vasca idromassaggio, unico lusso in una casa dai tratti tipici della montagna, più improntata all’utilità che alle comodità.
Scendo le scale, portando Lily in braccio per evitare che si faccia male; non è ancora abbastanza grande da riuscire a scendere tutti quegli scalini senza rischiare ogni volta un capitombolo. Il grande soggiorno, ampio ed elegante, si apre davanti a noi e ne rimango sorpresa, osservandolo per la prima volta alla luce del sole. Le tende bianche e i mobili di legno chiaro, che contraddistingue ogni cosa, riflettono la luce che entra dalle ampie finestre, illuminando la sala; due grandi divani in stoffa scura, morbidi e comodi, sono disposti a semicerchio davanti a un immenso caminetto di marmo bianco che sembra essere stato usato spesso negli anni e una lastra di vetro ne protegge le fiamme, opera probabilmente di Esme, preoccupata che i figli, quando erano ancora bambini, si potessero fare male.
Lascio Lily libera di curiosare in giro, ricordandole di stare attenta a non combinare disastri perché non è casa nostra, e mi avvio verso la cucina, l’unica stanza che conosco. È anch’essa in colori chiari, tenuta pulita e in perfetto ordine, ma ovunque mi giri vedo i segni dell’uso che ne è stato fatto: uno spigolo sbeccato dove forse qualcuno ci è andato a sbattere contro, graffi sui mobili più bassi, qualche macchia qua e là che non va più via. Sorrido, pensando alla cucina di casa mia, così immacolata e perfetta da smascherare il fatto che nessuno, a parte me, ci abbia mai messo piede.
Sentendomi un po’ a disagio nel curiosare in giro ma decisa a preparare la colazione per tutti, apro gli armadietti alla ricerca di tutti gli ingredienti necessari per cucinare i pancake che mia sorella tanto adorava da bambina. Lily è ancora troppo piccola per poterli mangiare ma il loro profumo dolce la attira già come una calamita.
Non passa molto tempo che il profumo si diffonda per tutta la casa, attirando in cucina la mia bimba golosa; me la ritrovo accanto, senza che l’abbia sentita arrivare, silenziosa e sorridente, con gli occhi fissi sulla padella in cui i pancake si stanno lentamente cuocendo.
“Hai fame, amore?” chiedo, trattenendo una risata davanti alla sua espressione attenta; non perde mai di vista il dolce, seguendo ogni mio gesto. Dopo qualche minuto il primo pancake è pronto, dorato al punto giusto, e lo sistemo in un piatto versando un’altra dose abbondante di impasto nella padella già calda per preparare un secondo pancake. Continuo così finché l’impasto non è finito e un’alta torre di pancake caldi e dorati fa bella mostra di sé sul bancone della cucina, con Lily che la guarda con desiderio.
“Vieni, tesoro, facciamo colazione” esclamò, dopo aver lavato la piccola pentolina e averla appoggiata accanto al lavandino per lasciarla asciugare. “Che ne dici di una bella tazza di latte caldo?”
Lily distoglie finalmente lo sguardo dai pancake e annuisce, porgendomi le braccia per essere presa in braccio e sistemata sulla sedia. Piccola com’è non è in grado di arrivare al tavolo senza l’aiuto di qualcuno e non avendo un seggiolone dove sistemarla, per paura che su una sedia potesse cadere e farsi del male, l’ho sempre tenuta in braccio mentre beve il suo latte e mangia i pochi biscotti che costituiscono la sua colazione. Anche quel giorno le nostre abitudine non cambiano e dopo aver scaldato un po’ di latte e aver recuperato gli ultimi biscotti avanzati dalla mia borsa, prendo in braccio Lily e ci sediamo su una sedia.
“Ecco, tesoro” sorrido, porgendole la colazione. Lily si affretta ad avvolgere con le sue piccole manine la tazza in cui ho versato il latte caldo, non troppo caldo perché conoscendo la frenesia con cui ogni mattina la mia bimba attacca la sua colazione non voglio rischiare che si bruci; dopo un lungo sorso di latte, prende un biscotto e in pochi morsi lo finisce.
Mentre Lily afferra il suo secondo biscotto, sgranocchiandolo con più calma, sento il mio stomaco brontolare per la fame ma finché Lily non ha finito di mangiare io non posso servirmi; mangiare un pancake con Lily seduta in braccio è impossibile.
Per mia fortuna Lily ha fame quanto me e in pochi minuti ha finito i suoi biscotti e bevuto tutto il suo latte, che le ha lasciato dei deliziosi baffi bianchi sul labbro superiore.
“Aspetta che ti pulisco, tesoro” ridacchio, fermandola prima che possa correre via a giocare. Tenendola ferma per un braccio, afferro un tovagliolo e le pulisco i baffi. “Ecco, ora non assomigli più a un simpatico nonnino.”
Lily si libera della mia presa e corre via. Sospiro, pensando per la prima volta che forse non sa nemmeno chi o cosa sia un nonno, non avendo mai conosciuto il proprio, e non avendo mai avuto qualcuno da poter chiamare nonno.
“Mamma!”
L’urlo di Lily mi fa sobbalzare e precede di poco la comparsa della mia bimba che correndo mi si butta contro le gambe, nascondendosi dalla ragazza dai corti capelli neri che ha appena sceso le scale.
“Ciao, Alice” la saluto, imbarazzata, appoggiando una mano sui riccioli biondi di Lily per tranquillizzarla.
La ragazza, che sembra non avere più di sedici anni, mi guarda in silenzio, sul volto leggo la sorpresa di vedermi in cucina così presto. “Ciao” mormora alla fine, con un filo di voce, e annusando l’aria, si apre in un sorriso. “Cos’è questo buon profumo?”
“Pancake. Ne vuoi uno?”
“Chi li ha preparati? Credevo che la mamma non si fosse ancora alzata.”
Sorrido mentre prendo due piatti e servo un pancake per ognuna, prendendo anche due forchette. “Io. Tua madre mi ha assunto per questo.”
Alice mi guarda sempre più sorpresa. “Non parlava sul serio!” esclama con un sorriso divertito. “Sicuramente non voleva che ti alzassi all’alba solo per preparare la colazione. Di solito io mangio qualche biscotto mentre vado a scuola.”
Le porgo un piatto e poi verso del succo d’arancia fresco in un bicchiere. “La colazione è importante. Spero che ti piacciano i pancake.”
“Li adoro. Mia mamma me li prepara sempre la domenica. Aspetta!” esclama, saltando in piedi e correndo verso un armadietto. Lily, dietro di me, non la perde di vista, curiosa. Con un sorriso, prendo la sua mano e la tiro con me fino al tavolo. “Che ne dici di un po’ di cioccolato?” chiede Alice, mostrandomi un vasetto di cioccolato che la ragazza si affretta a versare con generosità sulla sua colazione. “Ne vuoi?”
Sorrido e annuisco. “Adoro la cioccolata.”
Alice sorride e da un morso alla sua colazione, sporcandosi di cioccolato ovunque. Ridacchio, divertita dalla scena, e presto una risata argentina si unisce alla mia. “Che c’è? Perché ridete?”
Lily indica la faccia di Alice, coprendosi la bocca con l’altra mano. “Ciocoata.”
“Eh sì, si è sporcata tutta di cioccolata proprio come fai tu con il latte” ridacchio, porgendo un tovagliolo ad Alice che, ridendo, si ripulisce con cura.
“Che succede qui?” chiede una voce severa.
Mi volto di scatto, stringendo a me Lily che spaventata nasconde il volto nel mio petto, e mi trovo davanti Rosalie con i lunghi capelli biondi che le incorniciano il volto alla perfezione, l’abito, elegante e sobrio, che le fascia il corpo esaltando il fisico da modella, e i tacchi, così fuoriposto in quel luogo, che slanciano ulteriormente la sua figura; sul volto vedo un’espressione seria che nasconde uno strano risentimento nei miei confronti, come se non mi volesse lì in quella casa, e dolore ma quel miscuglio di emozioni scompare in fretta, così com’è comparso e decido di non pensarci. Forse è solo di cattivo umore, in fondo a nessuno piace alzarsi tanto presto la mattina.
“Ho preparato dei pancake per colazione. Ne vuoi uno?” offro con un sorriso appena accennato, alzandomi in fretta dalla sedia per servirle la colazione.
“Non mangio mai la mattina” risponde Rosalie secca, lanciando sola una rapida occhiata ai miei pancake ormai freddi. “Tu che ci fai ancora a casa? Vuoi fare tardi a scuola?”
Alice salta in piedi come una molla. “Scusa, stavo facendo colazione” mormora e corre via, infilando la giacca in tutta fretta, afferrando lo zaino e uscendo di casa sbattendosi la porta alle spalle dopo aver urlato: “Grazie per il pancake, Bella!”
Lily rimane stretta a me, il volto ancora nascosto; le massaggio la schiena cercando di farla rilassare e calmare, per qualche motivo ha paura di Rosalie. E non le posso nemmeno dare torto, con quell’aria altezzosa e arrabbiata spaventa anche me e non è semplice sorridere e fingere una calma che non mi appartiene.
Rosalie si prepara un caffè senza rivolgermi la parola, evitando persino di guardarmi, ma noto che più di una volta il suo sguardo è corso verso Lily e in quei momenti mi è sembrato che si addolcisse, come se non ce l’avesse con la bambina ma solo con me, anche se non ho idea del motivo.
Sto ancora rimuginando su questo quando sento il rumore di passi leggeri per le scale, seguiti da quelli di qualcuno molto meno delicato. Pochi secondi dopo vedo Esme entrare in cucina seguita dal marito che sbadiglia vistosamente prima di lasciarsi cadere sulla sedia più vicina.
“Buongiorno” saluta Esme allegra ma subito si blocca, guardando meravigliata la pila di pancake sul bancone. “Sono opera tua?” chiede, voltandosi verso di me con un sorriso.
Annuisco. “Ho pensato di preparare la colazione per tutti. Non sapevo le vostre preferenze ma ho pensato che i pancake potessero piacere a tutti.”
“Qualcuno ha parlato di pancake?” urla Emmett, entrando di corsa in cucina, con gli occhi che brillano per l’eccitazione mentre ispezionano tutta la cucina alla ricerca del dolce in questione. Appena li vede, ne afferra uno di slancio e da un bel morso senza preoccuparsi di prendere un piatto. “Adoro i pancake” commenta con la bocca piena. Uno schiaffo risuona presto nella stanza, seguito dal lamento del ragazzo che massaggiandosi il collo, lancia uno sguardo confuso a Rosalie che sostiene il suo sguardo, furiosa.
“Comportati bene per una volta. Non fare il bambino” lo sgrida e porgendogli un piatto pulito, aggiunge: “Mangia come si deve.”
Borbottando e massaggiandosi il collo, prende il piatto, si serve tre pancake, oltre a quello che ha in bocca, e si siede accanto al padre che scuote la testa, ridacchiando. Tra le mie braccia, Lily si muove spiando i componenti di quella famiglia così strana che tanto la affascina.
Esme sorride, guardando la propria famiglia che litiga e si prende in giro. “Scusalo” mormora, sedendosi accanto a me, “quando si tratta di mangiare, diventa peggio di un bambino. Sono sicura che tu non ti sei mai comportata in questo modo, dico bene?” chiede, sorridendo a Lily che la guarda timida per qualche secondo prima di scuotere la testa.
“Tu hai già mangiato? Presto non rimarrà più nulla.”
Lily si siede più comoda, si gira tra le mie braccia per poter guardare Esme e solo allora annuisce, continuando a mantenere il proprio silenzio. Esme sorride e la incoraggia a continuare, facendole un’altra domanda. Lily sorride e indica la sua tazza sporca di latte e il piattino in cui ho sistemato i suoi due biscottini.
In cucina scende improvvisamente il silenzio, tutti gli sguardi sono sulla mia bambina che non se ne accorge, continuando a fissare sorridente la donna, aspettando che capisca cosa sta cercando di dirle. Si comporta sempre così con le persone che non conosce, preferendo indicare e lasciare agli altri il compito di interpretare la sua risposta.
Sorrido e le do un bacio sulla testa. Lily alza lo sguardo su di me e sorride, felice.
“Latte e biscotti?” chiede Esme. Lily si volta di nuovo verso di lei e annuisce con forza, sorridendo. “Che buona colazione. Te l’ha preparata la tua mamma?”
Lily annuisce ancora. “Mamma” ripete per assicurarsi che abbiano capito. Adora ripetere la parola mamma, lo fa sempre con un sorriso che le illumina gli occhi e il volto, e io non posso fare a meno di sentire il mio cuore battere più forte ogni volta.
“Anch’io voglio latte e biscotti” si lamenta Emmett, mettendo un broncio da bambino che fa ridere tutti, anche Lily. “Tu non vorresti ancora un po’ di latte?” chiede, guardando Lily che sorpresa cerca il mio sguardo per sapere cosa fare.
“Ho finito i tuoi biscotti, tesoro, mi dispiace” mormoro con un sorriso triste.
Emmett mi guarda confuso ma non insiste; vedendo però il visetto triste di Lily, cerca di rimediare. “Un altro sorso di latte lo può bere? Con il cacao.”
Appena pronuncia la parola cacao, Lily alza di scatto gli occhi su di me e mi fissa pregandomi con lo sguardo di lasciarle bere il latte al cacao; fissando i suoi grandi occhi verdi non riesco a dirle di no, così annuisco.
“Ace!” esclama Lily, stampandomi un bacio sulla guancia, poi salta giù dalle mie gambe e corre verso Emmett porgendogli le braccia per farsi prendere in braccio e avere così il suo latte e cacao.
Emmett la guarda senza sapere cosa fare, mi lancia uno sguardo indeciso ma vedendomi sorridere, si decide e la prende in braccio, aiutandola a sedersi sulle sue gambe. Esme, intanto, mette davanti a loro due tazze di latte caldo in cui Emmett versa due cucchiai di cacao in ciascuna.
“Attenta, piccola” la avverte poi quel gigante che sembra ancora più grosso con la mia bimba tra le braccia ma con una tenerezza sul volto che mi fa salire le lacrime agli occhi; nessuno ha mai guardato la mia bambina in quel modo, nessuno è mai stato tanto dolce con lei, offrendole una tazza di latte caldo e cacao.
Abbasso lo sguardo, nascondendo il sorriso che sento aprirsi sul mio volto e le lacrime che pizzicano nei miei occhi, e guardo quelle persone che ci hanno accolto e ci hanno offerto un posto dove stare, anche se solo per poco tempo. Stanno tutti osservando rapiti Lily che beve il suo latte insieme a Emmett; entrambi mostrano i loro baffi bianchi sul labbro superiore.
Cercando di non farmi notare, lancio uno sguardo veloce a Rosalie, che osserva anche lei Lily con attenzione, e nel suo sguardo leggo la stessa tenerezza infinita che ho letto negli occhi di Emmett poco prima ma anche un dolore profondo che non so spiegarmi.
Persa nei miei pensieri, nel tentativo di capire cosa la disturbi tanto nella scena che abbiamo davanti, sobbalzo quando Rosalie si accorge del mio sguardo e pianta i suoi occhi color ghiaccio nei miei, fissandomi con rabbia.
“Jasper, ti muovi?” urla, rivolgendosi al piano superiore, chiamando il fratello che ancora non si è visto. “Non voglio arrivare in ritardo in ufficio per colpa tua quindi vedi di sbrigarti o ti lascio qui.”
Lily la guarda spaventata e subito cerca di nascondere il volto nel mio petto ma si rende conto che non si trova tra le mie braccia ma tra quelle di Emmett e ancora più spaventata, mi cerca con lo sguardo divincolandosi per correre da me.
“Ehi, piccola, va tutto bene. Non è successo niente” cerca di calmarla Emmett, senza sapere bene cosa fare con una bambina tanto piccola, così mi alzo e la prendo in braccio, lasciando che affondi la sua testolina nel mio collo nascondendosi tra i miei capelli e respirando il mio profumo.
“Rose, l’hai spaventata!” la sgrida Emmett, stando attento a non alzare la voce per non spaventarla ulteriormente.
Rosalie guarda Lily, dispiaciuta, per qualche secondo, prima di voltarsi e andarsene via a passo deciso, seguita dal rumore secco dei tacchi sul legno del corridoio. Esme, Emmett e Carlisle si scambiano uno sguardo dispiaciuto, subito nascosto dietro un sorriso forzato che non raggiunge gli occhi.
“Devi scusarla, ultimamente è molto stressata per il lavoro” spiega Esme e sembra quasi dispiaciuta per come la ragazza si è comportata con me. “Credo che abbia una scadenza imminente e molto lavoro ancora da sbrigare.”
Sorrido, rassicurandola.
In quel momento Jasper, il fratello di Rosalie che tanto le somiglia, scende le scale di corsa, accenna un saluto con la mano e ispeziona in fretta il tavolo alla ricerca di una colazione da portare via al volo.
“Pancake?” chiede sorpreso, spalancando gli occhi, e senza aspettare una risposta ne afferra uno e lo infila in bocca, uscendo di corsa dalla cucina.
“Si comportano sempre come animali quando si tratta di cibo” mormora Esme con un sospiro, scuotendo la testa, “e tu sei molto brava a cucinare, quindi questo peggiora le cose. Di solito fingono un minimo di educazione a tavola.”
“Sono contenta che la mia colazione sia piaciuta” ridacchio e per la prima volta da mesi mi sento felice, accettata; per la prima volta da anni mi sento parte di una famiglia, nonostante lo sguardo furioso di Rosalie.

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Capitolo 4
*** Un nuovo amico per Lily ***


Ecco il nuovo capitolo! Ci ho messo un po’ a scriverlo ma non sono riuscita a trovare più di qualche minuto ogni tanto per scrivere e così le idee facevano fatica a lasciarsi mettere per iscritto ma alla fine ce l’ho fatta.
Spero il capitolo vi piaccia. Conoscerete un nuovo personaggio, anche se non sarà chi pensate voi…
Buona lettura!
A presto,
Sensibility


Capitolo 3


Dopo aver riordinato la cucina e aver fatto sparire qualsiasi traccia della colazione, ad eccezione del dolce profumo che avrebbe continuato ad aleggiare per la stanza qualche ora ancora, Esme mi propone di fare un giro per la fattoria. La sera prima mi ha mostrato la casa ma mi assicura che devo assolutamente vedere la stalla e il giardino sul retro, su cui la mia stanza si affaccia.
Con un sorriso accetto e vado a cercare Lily che è sparita da qualche minuto con Carlisle ed Emmett che sento ridere nella stanza accanto; quando esco dalla cucina ed entro in soggiorno, la scena che mi trovo davanti mi strappa una risata che contagia anche Esme, accanto a me: Carlisle ed Emmett sono a gattoni sul folto tappeto della sala mentre la mia piccola bimba, in piedi tra i due uomini, finge di portare a spasso due grossi cani molto ubbidienti.
“Tesoro, che stai facendo?” chiedo, avvicinandomi al trio e accucciandomi accanto a Lily che si gira verso di me con un enorme sorriso sul volto e indicando prima Carlisle e poi Emmett, esclama allegra: “Pongo e Tobia.”
“Ma che bei cagnolini” mormoro con un sorriso, imbarazzata dalla situazione, ma i due uomini non sembrano scocciati dal doversi fingere due animali, anzi si stanno divertendo quando Lily.
“Pongo e Tobia?” chiede Esme, guardandomi con un’espressione pensierosa. “Mi suonano famigliari. Pongo non è il dalmata de ‘La carica dei 101’?”
Annuisco con un sorriso. “Tobia, invece, è il cane di ‘Cenerentola’. Sono le sue storie preferite.”
“Immagino che ti abbia fatto vedere quei cartoni fino alla nausea” ridacchia Esme con lo sguardo che corre alla libreria dove alcune vecchie videocassette, ormai completamente ricoperte di polvere, le riportano alla mente i tempi in cui i suoi figli si ostinavano a vedere sempre gli stessi cartoni animati. “Ricordo che quando Emmett era un bambino voleva vedere sempre Peter Pan. Lo conosceva a memoria ma ogni volta restava incollato allo schermo con lo sguardo che gli brillava per l’entusiasmo. Alice, invece, preferiva ‘La Bella Addormentata nel Bosco’.”
Sorriso, rendendomi conto che i loro caratteri rispecchiano bene le preferenze di quando erano bambini, ma scuoto la testa pensando a Lily che quei cartoni non ha mai avuto la possibilità di vederli. Rimango in silenzio, sentendomi a disagio ad ammettere di non aver avuto nemmeno i soldi per comprare un dvd di quei cartoni animati che tanto ama, e così cambio discorso. “Lily ha sempre adorato gli animali. In tutte le storie deve essercene almeno uno altrimenti non sono delle vere storie, dice” e ridacchio, ripensando alla serietà con cui me lo ha detto la prima volta.
“Lily, tesoro?” la chiama Esme, facendomi l’occhiolino. “La tua mamma mi ha detto che ti piacciono gli animali.” Lily si volta verso la donna, lasciando perdere il gioco, permettendo così ai due uomini di alzarsi finalmente da terra; tutta l’attenzione della mia bimba è ora per Esme. “Sai che noi abbiamo tantissimi animali? Ti va di andare a vederli?”
Gli occhi di Lily si spalancano, brillando di una luce che non vedo spesso sul suo volto, e la sua bocca si apre in un sorriso enorme e felice. Senza nemmeno pensarci un secondo, annuisce con forza, trattenendosi a stento dal saltellare per l’eccitazione.
“Allora vieni con me, piccola, che ti porto a vedere tutti gli animali che ci sono” esclama Emmett, porgendole la mano. Solo allora Lily mi guarda, chiedendo il mio permesso come le ho insegnato; sa di non potersi allontanare con qualcuno senza chiedere, soprattutto se non lo conosce bene.
Sorrido e annuisco. “Ci andiamo insieme, che ne dici?”
Lily annuisce e corre a prendermi la mano per poi trascinarmi da Emmett che le sta ancora porgendo la mano con un sorriso così dolce da stringere il cuore; è in quel momento che capisco di fidarmi di quella famiglia tanto da affidarle la persona, per me, più importante al mondo e questo mi terrorizza ma lo nascondo dietro un sorriso.
“Forza, bimbe, muoviamoci!” esclama Emmett con un vocione che mi fa sobbalzare, facendolo ridacchiare. Gli lancio un’occhiataccia, con il risultato di farlo ridere ancora di più, e chiedo scontrosa: “Bimbe?”
“Bimbe” ripete lui, annuendo deciso, e con Lily che stringe la mano a me e a lui, saltellando entusiasta, usciamo di casa, seguiti da Esme e Carlisle che ci saluta poco dopo per andare a lavorare.
Il sole scalda l’aria e illumina l’immenso giardino che circonda la casa, colorato dalle migliaia di foglie cadute dagli alberi ormai quasi completamente spogli che tingono di rosso, giallo e arancio il paesaggio.
Emmett ci guida lungo il vialetto che gira intorno alla casa, lasciandoci alle spalle la strada che porta al villaggio e che ho percorso solo il giorno prima. Il sentiero ricoperto di ghiaia bianca scricchiola sotto i nostri piedi e ci porta fino ai margini del prato dove svettano due costruzioni in legno chiaro, lo stesso legno chiaro degli alberi che circondano la radura: una grande e ampia, con un enorme portone spalancato e ampie finestre allungate riparate dalle intemperie dal tetto spiovente, e l’altra più piccola, con una porta ben chiusa e una sola finestra, sopra l’entrata, simile agli oblo delle navi.
“La nostra è una piccola fattoria” spiega Emmett, guardandomi con un sorriso, e quando il suo sguardo si posa su Lily la sua voce assume un tono che mi fa nascere un sorriso divertito. “Abbiamo tantissimi animali e quando arriva la bella stagione, persone da tutto il paese vengono qui per le passeggiate a cavallo che offriamo, per assaggiare il nostro formaggio o il latte appena munto. Alcuni vengono solo per giocare con i nostri cuccioli.”
“Cucioli?” chiede Lily, alzando il suo visino confuso su di lui, che sorride e annuisce: “Abbiamo sempre tanti cuccioli che girano per la stalla. Vuoi vederli? Non ci sono solo cani ma anche vitellini, agnellini e un paio di capretti. Sono sicuro che tu non hai paura, non è vero?”
“No bau?” chiede contrariata, Lily ha sempre amato i cani e sapere che non ce ne sono è la notizia peggiore che potesse ricevere. Il broncio che mette su manda in agitazione Emmett che mi guarda alla ricerca disperata di un aiuto.
“È un po’ delusa che non abbiate qualche cagnolino con cui giocare” gli spiego, posando una mano sulla testa di Lily che non distoglie il suo sguardo da Emmett.
Esme, che era rimasta qualche passo dietro a noi, si avvicina alla seconda struttura, quella con la porta chiusa e attira la nostra attenzione prima di aprirla. “Sai, tesoro, credo che qui ci sia qualcosa che ti piacerebbe vedere.”
Lily si volta e punta i suoi grandi occhi tristi sul volto di Esme che sorride e apre finalmente la porta, lasciando uscire la confusione che era rinchiusa dentro. Riconosco subito le urla di decine di cuccioli, i loro uggiolii, i ringhi e qualche sbuffo scocciato di cani più grandi che cercano di riportare l’ordine. Anche Lily riconosce in pochi secondi i rumori che sente e la sua manina, ancora stretta alla mia, ha un fremito e stringe con ancora più forza del solito.
“Bau?” chiede per avere una conferma. Esme annuisce e le fa un cenno verso l’interno del piccolo fienile, invitandola ad entrare e ammirare con i propri occhi i cuccioli che aspettano solo di giocare con lei. Lily non se lo fa ripetere due volte e mi trascina con tutta la sua forza all’interno di quello che mi rendo presto conto essere il fienile. Dietro una colonna di fieno che arriva quasi fino al soffitto troviamo nove esuberanti palle di pelo che non appena ci vedono arrivare, ci corrono incontro travolgendo Lily. La tengo in piedi afferrandola per le braccia prima che finisca a terra; i cuccioli, eccitati alla vista di due sconosciute, si alzano sulle loro zampette e assalgono Lily, leccandola tutta dalla testa ai piedi.
Preoccupata, le stringo le mani con forza per evitare che cada sotto il peso di tutti quei batuffoli e mi affretto a controllare che non si sia spaventata per l’assalto che sta subendo ma la sento ridere e mi tranquillizzo.
“Bau!” esclama Lily, ridendo, e con la poca forza che ha cerca di liberare la sua manina dalla mia presa per poter giocare con i cuccioli che l’hanno leccata ormai ovunque, ricoprendo di saliva il suo vestito e il suo viso.
“Sì, tesoro, sono dei cuccioli bellissimi” le sorrido, ammirando i cani che ci circondano cercando in tutti i modi di attirare la nostra attenzione. Conosco poco i cani, mio padre non mi ha mai permesso di averne uno da bambina e i pochi che ho visto nella mia vita erano i randagi che incontravo per strada, ma questi sono sicuramente di razza; sono grandi, dal pelo folto e piuttosto lungo, con i colori che vanno dal bianco al nero passando per tutte le tonalità del marrone. Il pelo sembra così soffice e caldo che invita a infilarci le mani ed è ciò che faccio senza nemmeno accorgermene con uno dei cuccioli, un maschietto bianco, nero e caramello che si diverte a mordicchiarmi le dita. A qualche metro da noi, seduti su un mucchio di paglia, i genitori dei cuccioli ci osservano, tenendo d’occhio i figli per assicurarsi che stiano bene e che non combinino disastri.
Accanto a me Lily si è seduta per terra e gioca con un cucciolo dal pelo bianco punteggiato con sfumature di tutte le tonalità del marrone, dal beige più chiaro al caramello fino al caffè. Sorrido, rendendomi conto di non averla mai vista tanto felice com’è oggi.
“Sono carini, non è vero, Lily?” chiede Esme, guardandola con un sorriso. La mia bambina alza lo sguardo e annuisce, riportando subito la sua attenzione al suo nuovo amico che le lecca le dita ad ogni coccola che riceve.
“Credo si sia appena innamorata” rispondo con un sorriso, indicando i due che giocano tra la paglia. “Sarà difficile farla allontanare.” E mi rendo conto che è vero, sarà molto difficile portarla via non solo dai cani ma anche da questa casa e dalla famiglia che ci ha accolto in modo tanto gentile, facendoci sentire per la prima volta accettate.
“Non è necessario” risponde Esme e accucciandosi accanto a Lily le propone: “Se ti piacciono così tanto, puoi averne uno.”
Lily alza lo sguardo sulla donna, con gli occhi che le brillano per la felicità, e si ritrova a fissarla in silenzio, incapace di rispondere. La proposta di Esme ha scioccato Lily tanto quanto me e mentre la mia piccola è paralizzata e silenziosa, io mi ritrovo a balbettare una risposta: “Non puoi. Lily è troppo piccola, non saprebbe come prendersene cura.”
“Imparerà” mi interrompe lei, tranquilla, ma io scuoto la testa obiettando: “Non ho i soldi per comprarlo.”
“Non ti ho chiesto dei soldi” mi fa notare lei con un sorriso divertito davanti alla mia espressione scioccata, tanto simile a quella di Lily. “È un regalo. Per Lily.”
“Non potrei mantenerlo” ribatto ancora. “Riesco a malapena a prendermi cura di Lily, non potrei trovare i soldi per dare da mangiare anche a un cane.”
Esme mi sorride dolce. “Ora vivete qui. Non ti devi preoccupare di questo. Non abbiamo molti soldi e non ti posso pagare ma ti ho promesso vitto e alloggio per te e la bambina e questo vale anche per il cane, se decidi di accettare la mia offerta.”
La guardo sempre più scioccata e finalmente pongo la domanda che dal giorno prima mi frulla per la testa. “Perché?”
“Perché cosa?” chiede lei, confusa.
“Perché fai questo per noi? Non ci conosci nemmeno e non hai veramente bisogno del mio aiuto, potresti cavartela benissimo anche senza di me.”
Il sorriso di Esme si spegne per un secondo, un solo istante che potrebbe farmi pensare di essermelo immaginato ma quando il sorriso torna sul suo volto, gli occhi rimangono spenti mentre si guarda intorno. Risponde poco dopo, posando il suo sguardo su Lily. “Quando hai bussato alla mia porta ieri, avevi negli occhi uno sguardo così disperato che mi ha spezzato il cuore ma nonostante tutto hai finto una gioia e un’allegria che non avevi quando la tua bimba è corsa da te. Non potevo mandarti via.” So che mi sta nascondendo qualcosa, lo posso leggere nei suoi occhi, ma non ho alcun diritto di farle delle domande quando io per prima non voglio parlare del mio passato. Così mi limito a ringraziarla. “E poi il tuo aiuto mi serve veramente” aggiunge, voltandosi verso di me, “anche solo per tenermi compagnia. Sono sola quasi tutto il giorno.”
“Sono felice di poterti aiutare, in qualsiasi modo.”
“Allora accetta il mio regalo.” La guardo a lungo, pensando a tutti i pro e i contro del tenere un cane con me e i motivi per rifiutare sono notevolmente più numerosi e più pesanti ma tutto ciò a cui riesco a pensare è il sorriso di Lily e il dolore che le darò se non accettassi. “Può restare qui e crescere con i genitori” propone Esme, vedendomi incerta. “Sarà addestrato con i suoi fratelli e le sue sorelle e tu non dovrai mai preoccuparti di nulla ma apparterrà a Lily e per questo non sarà mai venduto come invece capiterà agli altri cuccioli.”
“Mamma” mormora Lily, tirando piano i miei pantaloni per avere la mia attenzione. Abbasso lo sguardo su di lei e sorrido, vedendo il cucciolo con cui giocava prima seduto accanto a lei, docile e silenzioso come non è mai stato da quando siamo arrivati.
Sospiro e mi inginocchio davanti a lei, tenendola stretta per i fianchi. “Tu vorresti uno di questi cuccioli, vero amore?”
Lily annuisce piano, seria. Sospiro di nuovo e sorrido. “D’accordo, puoi sceglierne uno” le concedo e all’improvviso mi ritrovo Lily appesa al collo, con le sue braccia strette intorno a me che mi ripete all’infinito: “Ace, ace, ace, ace!”
Ridacchio e ricambio il suo abbraccio, lasciandole un bacio sulla testa. “Ringrazia Esme, amore. È suo il regalo.”
Lily obbedisce e ringrazia Esme, lasciandole un bacio sulla guancia. “Hai già scelto quale vuoi, tesoro?” chiede Esme, sorridendole dolce. Lily annuisce e indica il cucciolo color caffè che la fissa seduto con la coda che spazza il terreno, tanto è impaziente di tornare a giocare. “Un’ottima scelta. Jacob!” chiama Esme, alzando la voce, e subito un ragazzo, che avrà circa la mia età, alto e muscoloso con un sorriso così bianco da far risaltare il colore ambrato della sua pelle, si avvicina a noi lanciandomi un’occhiata incuriosita che fa brillare i suoi occhi scuri come la notte.
“Ha chiamato, signora?”
Esme annuisce. “Questa bella signorina ha scelto il suo cucciolo” spiega, indicando con un cenno della testa Lily che stringe con forza il suo nuovo amico, quasi temesse di vederlo sparire da un momento all’altro.
“Molto bene” risponde e accucciandosi davanti a Lily, le chiede: “Hai già deciso come lo vuoi chiamare? Così gli metto una bella medaglietta e nessuno potrà portartelo via.”
Lily mi lancia un’occhiata, sentendosi a disagio vicino a un uomo che non conosce, così mi avvicino, posandole una mano sulla spalla per rassicurarla. “È un maschio, vero?” chiedo e l’uomo annuisce. “Come lo vuoi chiamare, amore?”
Lily ci pensa qualche minuto, poi mi guarda ed esclama: “Oliver!”
“Oliver?” le chiedo sorpresa e quando lei annuisce decisa, sorrido e annuisco a mia volta dando il mio ok. “E Oliver sia. Ti piace il tuo nuovo nome?” chiedo, lasciando una carezza sulla testolina del cane che mi lascia una leccata veloce sulla mano prima di correre da Lily e tirarla per la giacca, invitandola a giocare. Lei non se lo fa ripetere due volte e si lancia nel gioco con i cuccioli, dimenticando tutto il resto.
“Va bene, Oliver” annuisce Jacob. “Il veterinario verrà domani. Se mi lasci i tuoi dati, faccio intestare il cane a te.”
“Grazie. E grazie anche a te, Esme” aggiungo, voltandomi verso la donna. “È il regalo più bello che Lily abbia mai ricevuto. Sarà difficile farla separare dal suo nuovo cagnolino.”
“Non lo deve fare” risponde Esme con un sorriso. “Jacob penserà ad addestrarlo e a insegnare a Lily come comportarsi con un cane. Se non combina troppi disastri, lo puoi fare entrare in casa. Quando i miei figli erano piccoli, c’erano sempre cuccioli in giro per casa.”
“Non voglio sconvolgere le vostre abitudine più di quanto non abbia già fatto.”
Esme scuote la testa. “Invece ti assicuro che qualche cambiamento non sarebbe affatto male. Lily porterà un po’ di allegria. Hai visto stamattina! Erano anni che non vedevo Carlisle ed Emmett ridere tanto, per non parlare del fatto che erano a quattro zampe sul tappeto del salotto.”
Ridacchio, ricordando la scena a cui abbiamo assistito quella mattina. “Sarà solo per qualche giorno” assicuro ma subito Esme mi interrompe: “Non ci pensare nemmeno. Resterai qui tutto il tempo che vorrai. Ora devo andare a fare la spesa o non tornerò in tempo per preparare il pranzo agli uomini. Ti serve qualcosa?” mi chiede e rimango sorpresa dal tono tranquillo della sua domanda, come se fosse normale preoccuparsi anche per me.
“Posso andare io a fare la spesa, se vuoi” propongo.
“Non credo che Lily voglia allontanarsi dal suo cucciolo.”
Guardo Lily e devo ammettere, mio malgrado, che se provassi ora a portarla via scatenerebbe il finimondo. “Non credo che vorrà mai allontanarsi da lui.”
Esme si lascia andare a una risata divertita. “Ti serve qualcosa? Per te o per Lily?”
Guardo la donna indecisa se accettare il suo aiuto ma alla fine sono costretta a cedere, pensando a Lily e a quello di cui ha bisogno. “Ho finito i biscotti di Lily e qualche altra cosa per lei” mormoro, evitando il suo sguardo, imbarazzata.
“Ottimo, scrivimi tutto qui e te lo prendo.” Mi porge un foglio di carta su cui ha scritto con grafia ordinata e precisa tutto ciò che le manca in casa; aggiungo in fretta le poche cose di cui ho bisogno e le restituisco tutto. “Per te non vuoi nulla?” chiede, dando una letta veloce alle voci che ho aggiunto.
Scuoto la testa. “Dopo ti restituisco i soldi che hai speso.”
“Vitto e alloggio, ricordi?” chiede, facendomi l’occhiolino, poi sorride ed esclama: “Bene, sarò di ritorno tra un paio d’ore. Se a mezzogiorno non sarò ancora tornata, ti dispiace mettere a bollire l’acqua per la pasta?”
“Certo che no!” esclamo subito. “Preparo io il pranzo, nessun problema.”
“Dovrei tornare in tempo” mi assicura, infilando il foglio ripiegato con cura in tasca, “ma almeno so che non devo fare le corse se ritardo. A dopo!”
E se ne va salutando con la mano e trascinando con sé Emmett, assoldato per portare le borse, che sento borbottare contrariato. La guardo allontanarsi senza riuscire a trattenere un sorriso; quella donna, così materna, disponibile e gentile, mi ha probabilmente salvato da una situazione da cui non riuscivo più a tirarmi fuori.
“È una donna eccezionale” mormora Jacob, notando la direzione che ha preso il mio sguardo e intuendo i pensieri che ne seguono. “Prende a cuore qualsiasi causa persa. Immagino che una ragazza giovane e carina con una bambina al seguito abbia fatto breccia in fretta nel suo cuore.”
Lo guardo sorpresa e mi trovo a inclinare leggermente la testa di lato, come se questo mi aiutasse a capire meglio le sue parole. Ci stava provando con me?, penso ma subito accantono il pensiero assurdo. “Sì, sono una famiglia incredibile.”
“Non tutti nella loro famiglia sono così gentili e bendisposti verso il prossimo” si lascia sfuggire con un certo astio nella voce. Lo guardo confusa mentre Jacob evita con attenzione il mio sguardo, forse rimpiangendo le sue parole avventate.
“Ti riferisci a Rosalie?”
Scuote la testa. “No, lei è solo diffidente ma con il tempo capirà che non sei un pericolo e diventerà molto più gentile. Credo che non abbia avuto un passato facile, è arrivata qui solo un paio di anni fa ma non ne so molto. Io lavoro qui da poco, mi hanno assunto solo due giorni fa, ma sono nato e cresciuto in paese ed è impossibile non venire a sapere certe cose ma quello che ti riporto sono solo le voci che circolano. Non sempre sono attendibili ma in questo caso credo che un fondo di verità ci sia.”
Ripenso a Rosalie, alla freddezza con cui mi ha trattato e all’ostilità che sembrava provare nei miei confronti e posso capire il suo comportamento se in passato ha avuto delle brutte esperienze, in fondo io non riesco ancora a fidarmi di Esme nonostante tutto ciò che ha fatto per me e Lily in meno di ventiquattr’ore.
“Di chi parlavi allora?” insisto, rendendomi conto che ha sviato la mia domanda, evitando così di dover spiegare. Il sospiro che gli sfugge dimostra che ho colpito nel segno.
“Dimentica ciò che ho detto” mormora e lanciando un’occhiata all’orologio, trova una via di fuga: “Devo andare. Ho del lavoro da sbrigare. Tu e la bambina potete restare qui quanto volete ma stai attenta che i cuccioli non escano o dovrò passare il pomeriggio a cercarli ovunque.”
Annuisco e accenno un saluto mentre rifletto sulle parole. Se non si riferiva a Rosalie, di chi stava parlando? A chi dovrei fare attenzione? Non certo a Carlisle o Emmett che hanno giocato con Lily questa mattina come se fosse la loro nipotina; nemmeno Alice, dopo il primo impatto, mi è sembrata contrariata dalla mia presenza o da quella di Lily. Forse Jasper ma qualcosa mi dice che non era a lui che si stava riferendo.
Immersa nei miei pensieri trascorro la mattina seduta in mezzo al fieno, a giocare con i cuccioli in compagnia di Lily che non ho mai visto tanto felice; ride, corre e gioca per ore senza mai cercarmi per avere spiegazioni o per nascondersi da qualcuno che l’ha spaventata. È la prima mattina tranquilla da tanto di quel tempo che nemmeno me lo ricordo e non posso che ringraziare Esme per questo.


 

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Capitolo 5
*** Piacevoli incontri ***


Ecco qui il nuovo capitolo! Finalmente fa la sua comparsa Edward. Il suo incontro con Bella non sarà così scontato come pensate, o almeno spero di riuscire a sorprendere qualcuna di voi. S’incontreranno e incominceranno a conoscersi, desidereranno conoscersi, ma qualcosa cambierà presto le carte in tavola.
In questo capitolo vedremo anche Rosalie che comincia ad aprirsi e a mostrare quanto in realtà sia diversa da quella donna gelida e autoritaria che avete conosciuto nei primi capitoli.
Spero che il capitolo vi piaccia e vi faccia sorridere.
Buona lettura!
Sensibility


Capitolo 4


È passato più di un mese da quando Esme mi ha accolto nella sua casa, accettando con me anche la mia piccola Lily, e non mi sono ancora abituata nonostante la routine che si è instaurata.
Come ogni mattina preparo la colazione, questa mattina ho pensato di cucinare le brioche al cioccolato; non è una ricetta difficile da preparare ma ci vuole del tempo per avvolgere una noce di cioccolato con un triangolo di pasta stesa sottile.
Il profumo chiama la famiglia Cullen al tavolo della cucina in pochi minuti, con la solita confusione per le scale che annuncia l’arrivo di Emmett, Alice e Jasper. Il gemello di Rose, nonostante il persistente odio della sorella nei miei confronti per cui non sono ancora riuscita a trovare un motivo, ama qualsiasi cosa io cucini e non si sveglia più all’ultimo minuto per poi prepararsi di corsa e trangugiare in fretta un paio di biscotti con un sorso di caffè. Ora si sveglia prima di tutti e scende con i fratelli Cullen in cucina per mangiare tutto ciò che preparo, e facendo anche il bis.
“Buongiorno!” mi salutano tutti e tre in coro, prendendo posto intorno al tavolo e aspettando con gli occhi che brillano che io serva loro la colazione. I primi giorni Esme e Carlisle hanno sgridato i loro figli, ricordando che non sono la loro cameriera, che possono alzarsi e servirsi da soli per poi ripulire quando hanno finito, ma a me non importa e così ogni mattina servo loro la colazione: una tazza di the per Alice, un caffè per Jasper e una tazza di latte e cacao per Emmett, accanto a un piatto di qualsiasi cosa abbia scelto di cucinare quella mattina.
“Buongiorno, ragazzi. Dormito bene?” chiedo, posando in mezzo al tavolo un vassoio su cui ho sistemato le decine di brioche che ho appena sfornato.
“Benissimo!” esclama Alice che quella mattina è più entusiasta del solito, eccitata per i preparativi del ballo d’Inverno che si terrà domani sera. Lei è una delle organizzatrici, mi ha detto con orgoglio, e ha scelto lei gli addobbi e il tema della festa. Ciò che, però, rende questo ballo diverso da tutti gli altri è che per la prima volta sarà accompagnata: Jasper l’ha invitata un paio di giorni fa. Quando me lo ha detto, pochi minuti dopo l’invito del suo ragazzo, sono rimasta sorpresa: è una bella ragazza, allegra e solare, e mi ha stupito che non abbia avuto una coda di ragazzi pronti ad uscire con lei. Io non sono mai andata a un ballo da sola, non sono mai andata accompagnata solo dalle mie amiche e forse è stato proprio questo uno dei motivi per cui le cose sono andate come sono andate.
“Stasera tornerò tardi” continua Alice, bevendo un lungo sorso di the caldo, “forse mi fermerò fuori a cena. Potresti dirlo tu a mamma e papà, Bella, per favore? Lo sanno già ma nel caso si fossero dimenticati, non vorrei che si preoccupassero.”
“Ci penso io, non ti preoccupare” la rassicuro con un sorriso, sedendomi accanto a lei e mangiando anch’io la mia colazione. Mentre do un morso alla mia brioche, bevendo un sorso di succo d’arancia fresco, vedo Jasper alzare la testa di scatto dalla brioche in cui stava affondando i denti fino a un attimo prima e puntare i suoi occhi in quelli di Alice.
“Come torni a casa?” chiede serio.
Alice alza lo sguardo su di lui e resta per un attimo disorientata dall’espressione che vede sul suo volto ma risponde con un’alzata di spalle: “Non lo so. Pensavo di farmi dare un passaggio da qualcuno.”
“E se non trovi nessuno?” insiste, la colazione ormai dimenticata nel piatto. “Come pensi di tornare a casa? A piedi? Con il buio?”
“Perché ti preoccupi?” esclama Alice alzando la voce per la prima volta da quando sono arrivata in quella casa. “Non sei mio padre! E non sei mio fratello! Mio fratello non si preoccupa di come tornerò a casa.”
“Tuo fratello se ne frega!” ribatte Jasper, alzando la voce anche lui. Non li avevo mai sentiti urlarsi contro, non li avevo mai sentiti nemmeno litigare e ora non sapevo come comportarmi.
“Ehi!” esclama Emmett, sentendosi preso in causa. “Non è vero che me ne frego! Solo che so che sa cavarsela. Non è mica una bambina.”
“Esatto, Jasper. Non sono una bambina” concorda Alice, lanciando un’occhiata piena di orgoglio al fratello che è tornato alla sua colazione, ignorando la discussione in atto.
“Non ho mai detto che tu sia una bambina” mormora Jasper, colto di sorpresa, “ma non è prudente andare in giro di notte. Potrebbe succedere qualcosa di brutto e non voglio.”
“Cosa vuoi che mi succeda? In questo paese sperduto non è mai successo nulla per cui tu debba anche solo lontanamente preoccuparti” sbotta esasperata.
“Ma io mi preoccupo, invece, lo vuoi capire?? Sei la mia ragazza. Ho il diritto di preoccuparmi!” esclama, alzandosi e lasciando la sua colazione a metà per la prima volta. È sulla porta, ormai quasi in corridoio, quando si ferma e senza voltarsi mormora: “Chiamami quando hai finito. Vengo a prenderti io.” E se va senza salutare, sbattendo la porta.
Emmett sembra non essersi accorto di nulla mentre Alice fissa il punto in cui Jasper è sparito con uno sguardo scioccato negli occhi.
“Va tutto bene?” chiedo preoccupata. In quel mese ho imparato ad apprezzare quel ragazzo silenzioso e sempre composto dai riccioli biondi e gli occhi azzurro cielo e non mi è sfuggito come il suo sguardo segua sempre la piccola di casa, sempre pronto ad aiutarla e a prendersi cura di lei. So che stanno insieme da qualche mese ma sembra che qualcosa infastidisca Alice da qualche giorno e questo sta facendo impazzire il povero Jasper.
Alice annuisce. “Non so cosa gli sia preso stamattina.”
“Lo hai escluso” rispondo con un’alzata di spalle, prima di dare l’ultimo morso alla mia colazione.
“Cosa vuoi dire?” chiede confusa.
Lancio un’occhiata all’orologio appeso al muro, rendendomi conto che è tardi. “Si preoccupa per te perché a te ci tiene e tu ti sei comportata come se non esistesse, come se lui non fosse importante. Avresti dovuto chiedergli di venirti a prendere. Agli uomini piace rendersi utili.”
Alice mi fissa scioccata e vedo le sue guance tingersi di rosa, imbarazzata. Sorrido, intenerita da quell’improvvisa timidezza che ben poco si addice al suo carattere, e annuisco con decisione. “Odio sentirmi una bambina” mormora Alice, abbassando lo sguardo sulla sua tazza ormai vuota, la voce così bassa che faccio quasi fatica a sentirla. “Volevo dimostrargli che so cavarmela, che non sono più una bambina da proteggere. Voglio che smetta di guardarmi come se fossi la sua sorellina minore.”
“Per te è come se fosse tuo fratello?” chiedo scettica. Lo sguardo scandalizzato che mi lancia Alice risponde alla mia domanda senza bisogno di tante parole. “Bene, perché ti assicuro che per lui tu non sei affatto una sorella.”
Il volto di Alice va a fuoco e incapace di trovare una risposta, balbetta una scusa e scappa via, diretta a scuola. Emmett, seduto davanti a me, è alle prese con la sua quarta brioche e non sembra essersi accorto di nulla. Finisco l’ultimo boccone della mia colazione, bevo il mio succo e mi alzo, riordinando in fretta la cucina prima di andare a controllare Lily.
Salgo le scale ed entro piano nella nostra stanza, stando attenta a non far rumore per non svegliare la mia bambina che ha un sonno molto leggero. La trovo addormentata dove l’ho lasciata, in mezzo al letto circondata dai cuscini in modo che non possa cadere e farsi male se nel sonno dovesse agitarsi. Sorrido, vedendo che si è raggomitolata stretta e stringe al petto il lenzuolo che l’avvolge come le spire di un serpente. Ai piedi del letto, acciambellato su una vecchia coperta che mi ha regalato Esme, il piccolo Oliver fa la guardia. Vedendomi, alza la testa e fissa i suoi grandi occhi azzurri nei miei.
“Bravo, cucciolo” sussurro, lasciandoli una carezza sulla testa, “fai la guardia.”
Non so se Oliver capisca le mie parole ma voglio credere che sia così. Mi sento un po’ più tranquilla sapendo che c’è lui a sorvegliare Lily ovunque vada. Dopo un’ultima carezza, richiudo la porta alle mie spalle e vado a cercare Esme.
“Bella!” mi chiama la donna, cogliendomi di sorpresa mentre sono ancora davanti alla mia stanza, a fissare la porta indecisa su cosa fare. Ho un appuntamento in paese e Esme mi ha convinto a lasciare Lily a casa, a dormire, mentre io sono via ma ora non mi sembra più una buona idea. “Cosa fai ancora qui? Rischi di fare tardi.”
“Non mi sono mai separata da lei da quando è nata” rispondo in un sussurro. “So che qui sarà al sicuro e starà bene, e poi io sarò di ritorno tra poche ore, ma non riesco ad allontanarmi.”
Esme mi guarda con un sorriso materno, so che lei capisce ciò che provo e saprà trovare le parole giuste per tranquillizzarmi, ma prima che possa dire qualcosa, compare Rosalie: è perfetta come sempre, con i capelli in ordine, fasciata nell’ennesimo vestito elegante. Nonostante sia passato del tempo, il nostro rapporto non è cambiato; non so per quale motivo provi tanta rabbia nei miei confronti, tutti i miei tentativi di parlarle sono finiti con un buco nell’acqua. L’unica cosa che è cambiata è il suo comportamento con Lily: quando la mia bambina è nei paraggi, la gelida donna in carriera si scioglie e al suo posto compare una ragazza dolce e premurosa che gioca e ride con lei. Solo per questo motivo non posso odiare quella donna.
“Posso stare io con Lily, se per te va bene” propone Rosalie, rivolgendosi a me senza astio forse per la prima volta da quando la conosco. La guardo sorpresa e prima che riesca a trovare la voce per rispondere, Esme chiede: “Non devi lavorare oggi? Credevo che avessi un caso importante da seguire e che non potessi perdere nemmeno un giorno.”
“Posso prendermi la mattinata libera” mormora, guardando Esme, poi si volta verso di me e accenna un sorriso. “Non starai via molto e io farò in modo che Lily si accorga il meno possibile della tua assenza.”
Il mio primo istinto è quello di rifiutare la sua proposta, svegliare Lily e portarla con me in paese ma so che non è la cosa migliore per nessuno. Io sarò impegnata, la mia bambina si annoierà moltissimo e Rosalie ci resterà male. “È molto gentile da parte tua, grazie” rispondo, sapendo che non c’è persona migliore a cui affidarla. Ho spiato Rosalie quando giocava con Lily ed è meravigliosa, sempre attenta che non le succeda niente e piena di idee divertenti per tenerla impegnata.
Rosalie annuisce con un sorriso. “Lo faccio volentieri. Lily è una bambina dolcissima.”
“Va bene” mormoro con un sospiro. “Io vado.”
“A dopo, tesoro, in bocca al lupo!” mi augura Esme, dandomi un bacio sulla guancia e stringendomi in un abbraccio portafortuna. Rosalie si limita a un cenno del capo ma è un passo avanti rispetto al risentimento che vedevo sempre impresso sul suo volto. Forse, accettando il suo aiuto, concedendole di occuparsi della mia bambina da sola, ho fatto un primo passo per conquistarmi il suo rispetto.
Non sono mai scesa in paese da quando sono arrivata, è sempre stata Esme ad occuparsi della spesa e io non ho mai avuto alcun motivo per lasciare la fattoria, così mentre cammino mi guardo intorno ammirando il paesaggio che mi circonda. È cambiato dall’ultima volta: i colori si sono spenti, lasciando il posto ad alberi spogli che svettano verso un cielo grigio che promette neve; la terra si è indurita, complice anche il freddo delle ultime notti; gli animali che animavano la foresta non ci sono più, migrati verso sud per svernare in luoghi più caldi o rifugiatisi nelle proprie tane per il letargo, e i miei passi risuonano nel silenzio che regna ovunque.
Arrivo in paese verso le nove e non ci metto molto a trovare la mia meta, anche senza le indicazioni di Esme sarei riuscita a individuare in fretta il grande edificio moderno, costruito interamente in vetro e acciaio, così diverso dalle case colorate del paese.
Guardo quella costruzione che ospita l’ospedale e non posso fare a meno di sentirmi nervosa, ricordando l’ultima volta in cui sono entrata in un luogo simile. Faccio un respiro profondo, ricacciando indietro i ricordi, ed entro.
All’accettazione una signora gentile mi indirizza verso lo studio della dottoressa con cui ho appuntamento. Nonostante sia un ospedale, non sono qui per una visita ma per cercare lavoro. Esme ha sentito che la dottoressa Weber sta cercando qualcuno che possa dare ripetizioni in francese e spagnolo ai suoi figli. Non ho alcuna qualifica ma provare non costa nulla e ho bisogno di soldi, così busso alla porta, sperando che il colloquio vada bene.
“Si accomodi” mi accoglie la donna, indicando una sedia di fronte alla sua scrivania. Mi siedo, nervosa, e mi presento. “Sì, Esme mi ha già detto tutto” mi interrompe lei sbrigativa. Ha l’età di Esme, il volto ancora fresco e giovane, ma i suoi occhi sono freddi e le sue parole non mostrano il minimo sentimento. Forse è l’enorme responsabilità che il suo lavoro comporta, rifletto, ma mi sento a disagio davanti allo sguardo scrutatore della dottoressa Weber.
“Dove hai portato avanti i tuoi studi?” chiede secca.
“Ho studiato in un collegio a Londra” rispondo, cercando di mostrarmi decisa e sicura di me, come mi è sempre stato insegnato. Il mio sguardo resta fermo negli occhi castani della donna. “Mi sono diplomata con il massimo dei voti e ho scelto di frequentare Lingue Moderne a Cambridge, francese e spagnolo, soprattutto.”
“Non ti sei laureata, però” mi fa notare.
Annuisco. “Ho lasciato dopo tre anni.”
“Il motivo?”
“Problemi personali” rispondo, sostenendo il suo sguardo. So che tutto il paese conosce la mia storia, o almeno quel poco che ho raccontato, ma non ho alcuna voglia di parlarne con quella donna. Merito il lavoro che potrebbe offrirmi e lo sappiamo entrambe. Dopo qualche altra domanda, infatti, lo deve ammettere anche lei e mi offre il lavoro: “Farai lezione tre volte a settimana, due ore al giorno, per un mese. I miei figli hanno una prova ai primi di dicembre. Se non la superano, sei licenziata.”
Non sono in condizione di trattare, né tantomeno di rifiutare quindi annuisco, accettando la sua offerta. Mi lascia un biglietto con il suo numero di telefono e l’indirizzo di casa e mi congeda con un cenno del capo verso la porta, invitandomi a uscire dal suo studio.
Solo quando sono ormai fuori dall’ospedale mi rendo conto di avere finalmente un lavoro che mi piace e scopro di essere entusiasta all’idea di iniziare. Presa dalla voglia di festeggiare, decido di concedermi un caffè al bar che vedo dall’altra parte della strada.
Il locale è carino e appena entrata vengo accolta da uno scampanellio sopra la mia testa e dal profumo intenso e inebriante del caffè. Respiro a fondo, godendomi il calore del locale, e mi guardo attorno ma i tavolini sono tutti occupati, complice anche il freddo pungente che ha colpito il paese costringendo tutti al chiuso. Mi avvicino al bancone e mi siedo su uno sgabello, aspettando che qualcuno mi noti e venga a prendere la mia ordinazione.
“Posso offrirti qualcosa?” chiede una voce maschile accanto a me.
Mi volto e mi perdo in due meravigliosi occhi verde smeraldo, profondi e sorridenti. Solo quando riesco finalmente a trovare un po’ di contegno e a distogliere il mio sguardo mi rendo conto che appartengono a un ragazzo poco più grande di me, con un fisico asciutto e muscoloso di chi fa sport abitualmente, una massa disordinata di capelli ramati e un sorriso che farebbe sciogliere chiunque.
“Cosa posso portarvi?” è la voce del barista ad attirare la mia attenzione, distogliendo i miei pensieri da sogni ad occhi aperti che non posso più permettermi di fare. “Un cappuccino, grazie” rispondo e dopo aver sentito l’ordinazione del ragazzo accanto a me, un caffè e una brioche al cioccolato, metto in chiaro le cose: “Questo non significa che ho accettato la tua offerta. Ti ringrazio ma preferisco pagare.”
Il ragazzo mi guarda sorpreso e un sorriso divertito si apre sul suo volto. “Posso almeno sapere il tuo nome? Non ti ho mai vista da queste parti.”
Lo guardo sorpresa. “Credo tu sia la prima persona che non sa chi sono.”
“Perché?” chiede e sul suo volto compare un’espressione confusa che lo fa assomigliare a un bambino curioso. Prima che possa impedirlo, mi ritrovo a ridacchiare. “Ehi, adesso perché ridi?”
“Hai un’espressione buffa” ammetto, sorridendo. “Per rispondere alla tua domanda, invece, mi sono trasferita qui da poco e in due giorni sembrava che tutti sapessero del mio arrivo.”
“Nei piccoli paesi succede così” annuisce, sbuffando. “La gente ama parlare ma non ci sono molte novità di cui poter spettegolare. Tu a quanto pare sei stata particolarmente interessante. Di solito ci vuole almeno una settimana per fare il giro del paese.”
“Le grandi città non sono molto diverse” mi ritrovo a ribattere, ripensando alla mia infanzia a Londra, e la differenza è abissale: a Forks nessuno mi ha giudicata, nessuno si è messo a spettegolare su Lily, su chi sia il padre, sul perché sono da sola o dove sia la mia famiglia. Tutti sanno che sono arrivata e che ho una bambina con me ma niente più di questo ed è rassicurante.
“Sto morendo di fame. Spero si sbrighi a portare la mia colazione o comincerai a sentire il mio stomaco brontolare” borbotta, lanciando un’occhiata verso il barista che ancora non ci ha portato le nostre ordinazioni, poi si volta verso di me e sorride. “Allora, da dove vieni?”
“Se te lo dico, mi prenderai per pazza.”
“Perché?” chiede curioso e non posso fare a meno di ridere. “Ma tu chiedi sempre perché per ogni cosa??” chiedo, trattenendo a stento le risate. Il ragazzo mi guarda sorpreso, poi scoppia in una risata cristallina che risuona intorno a me e mi scioglie. Adoro sentirlo ridere, questa è l’unica cosa a cui riesco a pensare e mi perdo a guardarlo.
“Ecco le vostre ordinazioni.” Il barista ci serve finalmente i nostri caffè e il mio vicino si lancia sulla brioche come se non mangiasse da giorni. In due morsi l’ha finita e soddisfatto, sorseggiando il suo caffè, mi sussurra: “Temo che domani tutti sapranno che abbiamo fatto colazione insieme. Le voci girano in fretta e se non mi sbrigo, la mia famiglia saprà del mio ritorno prima che io riesca ad arrivare a casa.”
“Non ti trattengo” rispondo, bevendo lentamente il mio cappuccino. Non ne bevo uno da quando ho lasciato la mia casa ma il suo sapore, quell’aroma di caffè, mi riportano al passato, e la tristezza oscura i miei occhi.
“Non ho così fretta. Sto ancora aspettando che tu risponda alla mia domanda” mi fa notare, facendomi l’occhiolino. Per la prima volta nella mia vita, mi ritrovo ad arrossire, imbarazzata. Solo ora mi rendo conto che forse questo ragazzo così bello e divertente, ci sta provando con me. Sono passati quasi due anni dall’ultima volta e non so cosa fare.
“Sono nata e cresciuta a Londra.” L’espressione scioccata che compare sul suo volto mi fa ridacchiare, di nuovo. “Io te lo avevo detto che mi avresti presa per pazza.”
“Perché tu sei pazza!” esclama, attirando l’attenzione di metà dei clienti del locale. A disagio, mi affretto a zittirlo, mettendogli una mano sulla bocca. “Non urlare. Non serve che lo sappia tutto il paese.”
“Perché hai lasciato Londra per venire a lavorare a Forks?” chiede, appena lo lascio libero di parlare, lo shock ancora visibile sul suo volto ma nei suoi occhi vedo la curiosità illuminarli. “Voglio dire… stiamo parlando di Forks, il paese più piccolo e insignificante di tutti gli Stati Uniti!”
“Mi piace qui” rispondo con un’alzata di spalle.
“Tu sei strana” decide, guadandomi storto, poi però sorride e accenna una risata, scuotendo la testa divertito. “Ora devo proprio andare ma prima posso sapere il tuo nome?” e lanciandomi un’occhiata maliziosa, aggiunge: “Altrimenti come posso chiederti di uscire con me?”
Rimango interdetta per qualche secondo. Mi sta invitando a uscire? Quando ritrovo la voce, ricambio quel sorrido malizioso e decido di giocare un po’ con lui. “Nemmeno io conosco il tuo nome” gli faccio notare.
“Edward, molto piacere” si presenta, porgendomi la mano che mi affretto a stringere. Una scossa mi attraversa e dallo sguardo sorpreso di Edward, quella scossa l’ha notata anche lui. “E il tuo nome, invece?”
“Scoprilo da solo come mi chiamo e io uscirò con te.”
“È una promessa?” chiede, fissandomi negli occhi, sfidandomi. Sorrido e annuisco, poi lascio qualche moneta per pagare il mio cappuccino e me ne vado, accennando un saluto con la mano. Edward mi guarda, sorridendo, e ricambia il mio saluto.
Euforica per l’incontro, e il lavoro appena trovato, decido di fermarmi a comprare qualcosa per Lily, una confezione dei suoi biscotti preferiti, il succo di frutta che adora e gli ingredienti per una torta al cioccolato per festeggiare il mio successo e ringraziare Esme per tutto ciò che ha fatto e che sta ancora facendo per me.
Dopo aver pagato, mi inoltro nella foresta, accelerando il passo per arrivare a casa il prima possibile. Finché ero al bar, in compagnia di Edward, mi rendo conto di non aver sentito la mancanza di Lily e mi sento in colpa. Da quando è nata, ormai diciotto mesi fa, è sempre stata al centro dei miei pensieri, qualsiasi cosa facessi lei era con me. Oggi, invece, in quella mezz’ora al bar, mi sono completamente dimenticata della mia bambina; per la prima volta mi sono comportata come una ragazza di ventiquattro anni senza alcuna responsabilità. Mi sento in colpa per aver promesso a Edward un appuntamento quando, quella mattina, solo l’idea di allontanarmi da Lily per un paio d’ore mi ha gettato nel panico.
Arrivo a casa in meno di quaranta minuti, con il fiatone, e rallento per riprendere fiato e permettere al mio cuore che sembra voler scoppiare per la corsa appena fatta di riprendere a battere più lentamente. Quando mi sento abbastanza tranquilla, apro la porta che nessuno chiude mai durante il giorno ed entro in casa.
Il calore mi avvolge, scaldandomi, e il rumore della risata della mia bambina mi arriva con forza, sciogliendomi. Con lei sento la voce di Rosalie che prende in giro qualcuno che sta ridendo con loro, Emmett probabilmente, penso, anche se la sua risata sembra diversa e mi colpisce in un modo che non riesco a capire.
Mi tolgo la giacca in tutta fretta, appendendola in malo modo accanto alla porta, e dimenticando la spesa in un angolo, entro in salotto ansiosa di riabbracciare la mia Lily. “Sono a casa!” esclamo, mettendo piede nella stanza. La mia attenzione è completamente assorbita dal piccolo angioletto biondo che ride al centro del grande tappeto della sala. Rosalie è accanto a lei, inginocchiata per terra, con le mani sollevate e pronte per afferrarla nel caso ridendo perdesse l’equilibrio e cadesse a terra. Accanto a loro, un ragazzo che non ho mai visto ma non mi soffermo su di lui, né su qualsiasi altra cosa che non sia la mia bambina.
Appena sente la mia voce, Lily smette di ridere e si volta con la bocca spalancata per la sorpresa, poi apre le braccia e corre verso di me. “Mamma!”
La prendo al volo e la stringo forte al petto, facendo una mezza giravolta sul posto. Il profumo di latte che ancora emana la sua pelle mi inebria e non posso fare a meno di affondare il volto nei suoi capelli respirando il suo profumo con forza. “Ti sei divertita con Rosalie, stamattina?” chiedo, cercando gli occhi azzurri della piccola che mi guarda e annuisce con forza. “No via, mamma.” Mi stringe le sue manine intorno al collo con forza e non posso che ricambiare il suo abbraccio.
“Non vado da nessuna parte senza di te, amore” mormoro al suo orecchio, in modo che capisca bene le mie parole. “Tornerò sempre da te, qualsiasi cosa succeda” prometto e vengo ricompensata con un enorme sorriso felice di Lily.
“Grazie, Rose” mormoro, alzando finalmente lo sguardo dalla bambina; solo dopo averlo fatto, mi rendo conto di aver usato il nomignolo con cui tutta la famiglia la chiama ma che io non ho mai avuto il permesso di usare. Rosalie, però, non ne sembra risentita e mi sorride, rassicurandomi: “È stata bravissima. Non ha fatto i capricci nemmeno una volta. Stare con lei non mi pesa affatto.”
“Tu sei Isabella??” esclama l’uomo che rideva con Lily, quello che non avevo riconosciuto, ma ora che mi sovrasta con la sua altezza, mi ritrovo a fissare due occhi verdi che conosco bene.
“Voi due vi conoscete?” chiede Rosalie, sorpresa, guardando ora me, ora lui, alla ricerca di una spiegazione che nessuno di noi due sembra in grado di darle. Lily, tra le mie braccia, si stringe a me spaventata dal tono duro con cui quel suo nuovo amico tanto simpatico si è rivolto a me. La tranquillizzo, accarezzandole piano la schiena, e reprimendo un sospiro, mormoro: “Ciao, Edward.”



 

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Capitolo 6
*** Il ritorno di Edward ***


Ecco il nuovo capitolo!
Finalmente ci saranno le prime risposte ai dubbi che tormentano Bella e vedremo come si comporteranno i due ragazzi ora che si trovano a dover vivere sotto lo stesso tetto.
Buona lettura,
Sensibility


Capitolo 5


“Tu sei Isabella??” esclama l’uomo che rideva con Lily, quello che non avevo riconosciuto, ma ora che mi sovrasta con la sua altezza, mi ritrovo a fissare due occhi verdi che conosco bene.
[…]
“Ciao, Edward.”

Edward resta in silenzio, forse aspettando una mia risposta, con il suo sguardo che brucia di una rabbia di cui non capisco il motivo. Accanto a lui, Rosalie non distoglie lo sguardo dal volto di Edward e il silenzio, che ormai si protrae da qualche minuto, sta diventando pesante; Lily, sempre molto sensibile, si agita tra le mie braccia innervosita dal mio disagio.
“Ed” mormora Rosalie, posando una mano sulla spalla di Edward che si volta di scatto verso di lei, puntando il suo sguardo infuocato negli occhi della ragazza che, senza abbassare lo sguardo, mormora: “Mi sono sbagliata.”
Si fissano per qualche secondo, dialogando in silenzio, semplicemente fissandosi negli occhi, finché la porta d’entrata non si apre ed entrano Esme e Oliver, di ritorno dalla passeggiata mattutina del cucciolo. Di solito sono io a portarlo fuori, accompagnata da Lily ovviamente, ma stamattina avevo il colloquio di lavoro e così Esme si è offerta di portarlo a camminare al mio posto anche se le avevo assicurato che non ce n’era bisogno.
“Oliver!” esclama Lily e si lancia dalle mie braccia per essere messa a terra, dimenticando tutto il resto. Quel cucciolo riusciva sempre a distoglierla dai brutti pensieri e farle tornare il sorriso.
“Stai attenta, tesoro” mormoro, posando Lily a terra e lasciando una carezza sulla testa a Oliver prima di rialzarmi e lasciare i due cuccioli ai loro giochi. Alzo lo sguardo appena in tempo per vedere Esme entrare in salotto con un sorriso tranquillo che svanisce quando i suoi occhi vedono il figlio, al centro della stanza.
“Edward” mormora, immobilizzandosi e trattenendo il fiato. “Sei tornato.”
Lo sguardo negli occhi di Edward si addolcisce e sul volto spunta un tenue sorriso, pallida imitazione del sorriso allegro e divertito che ho visto solo poche ore prima al bar. “Ciao, mamma.”
Sentendosi chiamare così, gli occhi di Esme si riempiono di lacrime e in un secondo si lancia sul figlio, stringendolo in un abbraccio così forte da rischiare di stritolarlo. Edward ricambia l’abbraccio della madre con forza, lasciando che un sorriso si apra sul suo volto finalmente.
“Quando sei arrivato?” chiede Esme, sciogliendolo dall’abbraccio solo quel tanto che basta per poterlo guardare in faccia ma le sue mani non si allontanano dal corpo del figlio, quasi temesse che potesse sparire all’improvviso. “Avresti dovuto avvertirmi! Ti avrei sistemato la stanza e avrei preparato qualcosa da mangiare. Ti fermerai questa volta? Non sei solo di passaggio, vero?”
“Calmati, mamma!” esclama Edward, trattenendo uno sbuffo. “Ho pensato di farvi una sorpresa, per questo non ho avvertito nessuno. Non sei felice di vedermi? Pensavo di fermarmi per un po’ e darvi una mano.”
Esme abbraccia di nuovo il figlio e farfugliando qualcosa riguardo alla stanza di Edward da preparare, se ne va di corsa, salendo al piano di sopra. Edward guarda verso le scale con un sorriso dolce sul volto ma dura il tempo di un secondo e quando torna a fissarmi, il fuoco torna ad ardere nei suoi occhi. Stufa di tutta questa situazione, decido di affrontarlo ma non lo farò davanti a mia figlia. “Lily, amore” la chiamo, distogliendola dai suoi giochi con Oliver. Controvoglia, viene da me. “Vai a giocare nella nostra stanza, amore.”
Lily mi guarda confusa ma non chiede nulla e scappa via, accompagnata da Oliver che la segue come un’ombra.
“Hanno una stanza loro??” chiede Edward, voltandosi di scatto verso Rosalie e fulminandola con lo sguardo, cercando nonostante tutto di mantenere il tono della voce basso per non richiamare l’attenzione di Esme.
“Mi dici qual è il tuo problema?” chiedo, tirando fuori tutta la mia rabbia. Non mi sarei lasciata trattare in questo modo da nessuno, nemmeno dal figlio di Esme e Carlisle, nonostante tutto quello che hanno fatto per me. “Perché ce l’hai con me? Mi dici cosa ti ho fatto? Non mi conosci nemmeno.”
“So più di quanto credi” mi aggredisce Edward, facendo un passo verso di me; ora incombe su di me con la sua altezza e io mi sento fragile e piccola ma non mi tiro indietro, anche se il mio primo istinto è stato di abbassare gli occhi e fare un passo indietro. “Ti sei approfittata di mia madre, che accoglierebbe in casa chiunque, e ti sei stabilita qui vivendo sulle spalle dei miei genitori.”
“Non è vero!” esclamo, interrompendolo ma Edward ignora le mie parole e continua: “Avevi detto che ti saresti fermata solo pochi giorni, solo il tempo per trovare un posto dove stare ma non hai mosso un dito per cercarlo. E perché avresti dovuto? Avevi già trovato un posto dove stare.”
“Edward.” Questa volta è Rosalie che cerca di fermarlo, posandogli una mano sul braccio, ma ignora anche lei, scrollandosi la sua mano di dosso e continuando imperterrito: “Tu e tua figlia ve ne restare qui a spese dei miei genitori.”
“Non tirare in ballo mia figlia” lo avverto; ora è il mio turno di fare un passo avanti. “Lei non ha alcuna colpa. Ho scelto io di accettare l’aiuto di Esme ma non l’ho costretta a offrirmi di restare qui.”
“Lo so questo” sbotta Edward, “mia madre non avrebbe mai lasciato una ragazzina e sua figlia per strada. A differenza dei tuoi genitori che a quanto pare non si sono fatti problemi a sbatterti fuori di casa.”
Le sue parole mi colpiscono come uno schiaffo ma non sono le lacrime a salirmi agli occhi, ho smesso da anni di piangere per i miei genitori, per il dolore che mi hanno causato; la rabbia mi invade e per un secondo prende il sopravvento. È il suono, un rumore secco che risuona nella mia testa, a riscuotermi e mi rendo conto di aver appena dato uno schiaffo a Edward; la mia mano brucia e così anche la sua guancia destra che porta il segno rosso delle mie dita.
Sconvolta, fisso la mia mano, leggermente arrossata per il colpo, e mormoro: “Non avrei mai dovuto. Scusa” e scappo via, sotto gli sguardi scioccati di Edward e Rosalie, per non dover affrontare gli sguardi d’accusa che sicuramente mi avrebbero rivolto entrambi.
Corro al piano di sopra, pensando di nascondermi in camera mia, ma in cima alle scale mi ricordo di aver mandato Lily a giocare in camera per non assistere al litigio con Edward e ora non me la sento di affrontare la mia bimba, nonostante la sua età riesce sempre a capire quando non sto bene. Mi fermo davanti alla porta della nostra camera e ascolto ma sento la voce di mia figlia provenire da una camera in fondo al corridoio, la porta è aperta e vedo la mia bambina giocare con Esme sul grande letto matrimoniale della sua camera mentre Oliver è sdraiato in un angolo, silenzioso ma attento ad ogni movimento della sua padroncina.
Mi chiudo in camera mia e mi lascio cadere sul letto, chiudendo gli occhi e respirando a fondo per calmare il battito frenetico del mio cuore. Mi ero divertita con Edward, quella mattina al bar, mi ero sentita bene in sua compagnia, a mio agio, e lusingata dai suoi sguardi e dai suoi modi gentili; ora, invece, mi sento a pezzi, come mi sentivo sempre dopo che mio padre mi aveva urlato contro le mie mancanze.
Sono sdraiata sul letto da qualche minuto quando sento un leggero bussare alla porta e la voce di Rosalie chiedere: “Bella, posso entrare?” e dopo qualche secondo di silenzio, ripete: “Bella? Per favore, fammi entrare.”
Sospiro e mi alzo dal letto, apro la porta che avevo chiuso a chiave e lascio entrare Rosalie che mi fissa con uno sguardo colpevole. Torno a sedermi sul letto, facendo posto alla ragazza che dopo un attimo di incertezza, chiude la porta e viene a sedersi accanto a me. Si tortura le mani in grembo, tenendo lo sguardo basso, evitando i miei occhi.
“Mi dispiace” mormora con un sospiro, alzando i suoi occhi per incontrare i miei. Il senso di colpa che leggo scritto sul suo volto mi colpisce e mi rendo conto che probabilmente quello che sto per sentire non mi piacerà. “Hai raccontato tu quelle cose a Edward, non è vero?”
Rosalie annuisce. “Gli ho mandato una lettera un paio di giorni dopo il tuo arrivo ma ero arrabbiata e non sono stata giusta nei tuoi confronti. Ho scritto solo quello che volevo vedere in te.”
“Hai scritto a Edward che vivo sulle spalle di Esme e Carlisle?” chiedo scioccata; ricordo bene lo sguardo carico di rabbia che mi rivolgeva i primi tempi ma non credevo che pensasse tanto male di me.
“Mi dispiace” si scusa ancora e so che è sincera, posso leggerlo nei suoi occhi che mi pregano di crederle. “Ero gelosa” ammette, “e vedere che tutta la famiglia ti accoglieva e ti adorava mi ha fatto arrabbiare. Così ho mandato una lettera a Edward. Forse, se lo avessi chiamato, le cose sarebbero andate diversamente ma non rispondeva alle nostre telefonate da mesi ormai e così una lettera mi è sembrata l’unica soluzione. Volevo che qualcun altro, oltre a me, ti odiasse ma mi sono pentita di ciò che avevo fatto quasi subito, solo che ormai era troppo tardi.”
“Non gli hai mai mandato una lettera per spiegargli che avevi cambiato idea, che eri solo arrabbiata e che non le pensavi veramente quelle cose?”
“Non pensavo che l’avrebbe letta!” esclama, torturandosi i lunghi capelli dorati e per la prima volta posso vedere quella perfetta chioma scompigliata. “Erano mesi che non si faceva sentire e non rispondeva alle nostre chiamate. Mandava una cartolina una o due volte al mese solo per dire che stava bene.”
“A quanto pare però la tua lettera non gli è sfuggita” ribatto acida. So che Rosalie è dispiaciuta per ciò che ha fatto ma non riesco a passarci sopra come se niente fosse, solo perché si è presentata qui a dirmi che le dispiace. Sentendo il risentimento nella mia voce, Rosalie si alza dal letto e dopo aver lanciato uno sguardo disperato verso di me, va alla finestra e a bassa voce, dandomi le spalle, comincia a raccontare: “Quando sono arrivata qui, quasi un anno fa, non sono stata accolta molto bene. Stavo con Emmett da due mesi, ci eravamo conosciuti per caso. Era passato nello studio per cui lavoro per alcuni documenti e mi ha invitato a uscire.” Si volta verso di me con un sorriso triste. “Sono stata una stronza con lui, gli ho detto che non sarei mai uscita con uno come lui, che preferivo un uomo che conosceva l’esistenza delle camice. Ero così superficiale a quel tempo. Appena laureata, assunta in uno studio prestigioso, circondata da uomini che mi riempivano di fiori e regali costosi, che mi portavano a cena nei ristoranti più in della città. Solo due giorni dopo ho capito che quegli uomini che sembravano tanto perfetti non amavano altro che il mio aspetto fisico e non credevano che potessi diventare un grande avvocato, non quanto loro almeno. Perché ciò che volevano era una bella moglie da esibire che però non fosse meglio di loro, più intelligente o che guadagnasse più di loro.
Ho trovato il mio fidanzato a letto con un’altra e quando ho chiesto spiegazioni, mi ha risposto con una scrollata di spalle che lei non contava, che io sarei stata sua moglie ma che non potevo pretendere che non si svagasse con qualche altra donna ogni tanto.
Mi è crollato il mondo addosso. È stato allora che ho incontrato Emmett per la seconda volta, in un bar vicino al mio appartamento. Mi ha offerto da bere, mi ha ascoltato, mi ha chiesto del mio lavoro e della mia vita, è stato gentile con me senza mai chiedermi niente in cambio. Quando mi ha riaccompagnato a casa, mi ha salutato con un bacio sulla guancia e mi ha lasciato il suo numero, dicendo che potevo chiamarlo se ne avevo voglia. Un amico fa sempre comodo, mi ha detto e se n’è andato via.”
Sorrido, ascoltando il suo racconto. “Emmett è un bravo ragazzo.”
“Sì, lo è” concorda, sorridendomi, “e non ci ho messo molto a capirlo, anche se sono bionda quindi notoriamente stupida. L’ho chiamato un minuto dopo essere entrata in casa.”
Ridiamo insieme, stupite entrambe per quella battuta che nessuna delle due si sarebbe aspettata da un tipo come Rosalie, e la tensione che c’era tra noi comincia ad allentarsi. “È una bella storia ma cosa c’entra questo con me?” chiedo, ritornando seria.
Rosalie si siede accanto a me. “Quando mi ha portato a casa per presentarmi alla sua famiglia, mi sono sentita un pesce fuor d’acqua. Vestivo abiti eleganti e firmati, portavo le scarpe con il tacco, i miei capelli erano appena usciti da un salone di bellezza. Loro si sentiva a disagio con me e nella mia stupidità credevo ce l’avessero con me perché avevo trattato male Emmett. In realtà, non hanno mai saputo quanto sono stata meschina con lui.”
“Quindi tutto il tuo risentimento nei miei confronti era dovuto al fatto che quando ti hanno conosciuta non ti hanno abbracciata come se fossi una di famiglia?” la interrompo, scioccata. “Siamo sincere, tu non sei il tipo che invita agli abbracci.”
La risata triste di Rosalie mi colpisce. “Hai ragione. Sono una donna fredda e distaccata, che non lascia mai avvicinare nessuno. L’unico che lascio entrare in questa mia cortina gelata è mio fratello.”
“E Emmett” aggiungo, con un sorriso.
“Sì, Emmett” mormora, abbassando gli occhi a terra. “Se non fossi così egoista, non avrei mai accettato di sposarlo.”
“Cosa?” esclamo, spalancando gli occhi per la sorpresa. “Stai scherzando? Lui ti ama! Perché non dovresti sposarlo?”
Quando alza il suo sguardo su di me, leggo il dolore nei suoi occhi, un dolore che la sta consumando lentamente. “Difficilmente potrò avere dei figli. Il medico è stato piuttosto chiaro in proposito e nessuna delle cure che esistono al momento possono fare qualcosa per il mio problema. Questo è il motivo per cui ti ho tanto odiato all’inizio” ammette e non posso fare a meno di stringerle la mano. “Tu eri così carina e gentile e dolce e tutti ti volevano bene. Esme condivideva con te le sue ricette; Alice ti chiedeva aiuto per i compiti; Jasper si alza presto tutte le mattina solo per mangiare quello che prepari per colazione; Emmett ride e scherza con te come se fossi la sua migliore amica. E come se tutto questo non bastasse hai una figlia bellissima che ti ama e che ha riportato l’allegria in questa casa. Ho scritto a Edward perché volevo che te ne andassi via e portassi via con te la tua bambina. Lily non faceva che ricordarmi quello che io non avrei mai potuto avere e vedere Emmett giocare con lei mi stringe il cuore perché so che vorrà dei bambini prima o poi e anche se ora mi ama, e sono sicura di questo, non potrà non cominciare a odiarmi perché non sono in grado di dargli un figlio.”
Resto in silenzio, senza sapere cosa dire, per qualche minuto. Ora il suo comportamento posso capirlo. Forse, al suo posto, non mi sarei comportata allo stesso modo ma non posso non capire il dolore che involontariamente le infliggo ogni giorno dal momento in cui ho messo piede in questa casa.
“Mi dispiace” mormoro, stringendole la mano. Rosalie ricambia la mia stretta, alzando il viso e sorridendomi, triste. “Non ti ho raccontato tutto questo per farti sentire in colpa” risponde, cogliendo perfettamente i miei pensieri, “e non l’ho fatto nemmeno per scusarmi. Non avrei mai dovuto comportarmi in quel modo ma volevo che capissi.”
“Nessun altro sa questa storia, vero?” chiedo, intuendo la verità.
Rosalie scuote la testa. “Non ne ho mai avuto il coraggio. Ho paura che Emmett mi lasci se lo scopre. È assurdo, lui è troppo buono per fare una cosa del genere, ma ho paura che parlarne renderà le cose più reali anche per me.”
“Speri che il medico si sia sbagliato?”
Scuote la testa. “So che il medico ha ragione ma anche se piccola una possibilità per me c’è ancora ed è a quella che mi aggrappo ogni giorno. In fondo, la speranza è l’ultima a morire.”
Sorrido e annuisco. “Le cose si sistemeranno.”
“Parlerò con Edward” promette, alzandosi in piedi. Annuisco, ringraziandola con un sorriso, ma prima che possa uscire dalla stanza, la fermo. “Non mi hai detto tutto, vero?”
Rosalie si blocca, la testa che si abbassa, e non si volta quando mi risponde in un sussurro che riesco appena a sentire: “No” e con uno sforzo si volta verso di me. “Non ne parlo volentieri ma se vuoi, se servirà per farmi perdonare, ti racconterò tutto.”
Sorriso e scuoto la testa. “Non voglio costringerti. Mi sembrava solo che mi avessi nascosto qualcosa, tutto qui. Se vorrai parlarne con qualcuno, io ti ascolterò volentieri ma solo quando te la sentirai. Ti ho già perdonato per la lettera che hai inviato a Edward, soprattutto se ora gli spieghi tutto.”
“Grazie” si lascia uscire con un sospiro e prima di chiudersi la porta alle spalle, si volta e con un sorriso timido mi rivela: “Mi piace essere chiamata Rose.” Quando se ne va, chiudendosi dietro la porta della mia stanza, non posso fare a meno di sorridere.
Lascio passare quasi un’ora, per dare il tempo a Rosalie di spiegare tutto con calma a Edward prima di imporgli la mia presenza e quella di Lily che sento ancora giocare in fondo al corridoio con Oliver; è un improvviso brontolio del mio stomaco a ricordarmi che è ora di pranzo e presto torneranno Carlisle ed Emmett dal lavoro, affamati come sempre. Controllando l’ora, decido di scendere in cucina e mettermi al lavoro. Nonostante ciò di cui mi ha accusato Edward, io so che non sono rimasta con le mani in mano in questa casa a farmi mantenere da Esme e Carlisle; spetta a me preparare il pranzo e non intendo venir meno ai miei compiti solo per evitare di affrontarlo.
Arrivata in cucina, trovo Edward che fa sparire le ultime briciole delle brioche della colazione mentre Rose, seduta al tavolo, scuote la testa appena mi vede ferma sulla soglia della sala. “Scusa” mima con le labbra e capisco che il suo bel discorso non ha avuto alcun effetto.
Sospiro ed entro in cucina. “Che vi va per pranzo?” chiedo, fingendo una disinvoltura che non ho ma non ho intenzione di lasciarmi intimidire da nessuno, tanto meno da chi mi giudica senza conoscermi.
Edward si volta di scatto, colto di sorpresa, e mi guarda con la bocca piena.
“Allora?” chiedo, trattenendomi dal ridere della sua espressione e dal fargli notare che ha briciole su tutta la faccia e anche un bel baffo di cioccolato su una guancia, peggio di un  bambino. “Nessuna preferenza?”
“Che ne dici di una pasta zucchine e gamberetti?” propone Rosalie incerta. È la prima volta che mi chiede qualcosa, di solito se ne restava sulle sue, mangiando ciò che le veniva servito senza dire una parola, ma ora capisco che sta cercando di far capire a Edward ciò che ha tentato di dirgli a parole.
Annuisco con un sorriso. “Dovrebbero esserci tutti gli ingredienti, se non ricordo male.”
“Sì, ho comprato tutto l’occorrente ieri” conferma Esme, entrando in cucina con Lily e Oliver che subito si siede accanto alla porta; è stata la prima cosa che gli ho insegnato e da allora non osa fare un passo in più in cucina senza il mio permesso, nemmeno se è Lily a chiamarlo.
Ingoiando il boccone di brioche che ha in bocca, Edward esclama: “Sono buonissime le tue brioche, mamma, come sempre!”
Esme sorride. “Non le ho fatte io. Sono opera di Bella. È bravissima in cucina, chiedi a tuo fratello e a Jasper. Ripuliscono sempre tutto.” Lo sguardo gelido che Edward mi lancia, credendo che nessuno se ne accorga, mi fa rabbrividire ma lo ignoro, impegnandomi a pulire i gamberetti.
“Sono sicuro che non è brava come la mia mamma” esclama, facendo il ruffiano, e viene ricompensato dalla risata divertita di Esme ma nessuno ha tenuto conto del mio piccolo angioletto. “Mamma è bava!” esclama convinta, lanciando uno sguardo duro a Edward che non sa come ribattere davanti a tanta sicurezza. “Spoco di bicioe e ciocoata. Bambino” continua decisa, indicando la faccia di Edward che la guarda confuso per poi alzare lo sguardo su di noi in cerca di aiuto.
Mi ritrovo a ridacchiare, rivolta verso il lavello per non farmi vedere, ma è la risata di Rosalie che mi scalda il cuore; è la prima volta che ride in mia presenza e non posso che essere felice che finalmente si sia lasciata andare. Le lancio un’occhiata veloce e lo sguardo che mi rivolge mi fa capire che mi ha accettato e non posso che esserne felice.
“Lily ha detto che sei sporco di briciole e cioccolato e che sembri un bambino” spiega Rose con un sorriso, invitando Lily a raggiungerla. La mia bimba non se lo fa ripetere due volte e le corre in braccio, sedendosi tranquilla sulle sue gambe.
“Mamma è bava” ripete Lily decisa, guardando seria Edward che imbarazzato si passa una mano tra i capelli. “Sono sicuro che la tua mamma sappia cucinare” cerca di rimediare, senza sapere bene come comportarsi con una bambina tanto piccola ma tanto testarda, “però anche la mia mamma cucina molto bene.”
Lily lo guarda, pensando alle sue parole, e poi annuisce. Edward sorride, lasciando andare il respiro che aveva trattenuto.
“Ehi, amore” chiamo, distogliendo l’attenzione di Lily da Edward che se l’è cavata bene per essere la prima volta. “Guarda un po’ cosa ti ho comprato questa mattina?” e le indico la borsa che qualcuno ha appoggiato sul bancone. Lily salta dalle gambe di Rose che è rapida nell’afferrarla prima che si faccia male e corre verso il bancone alzandosi sulle punte dei piedi per riuscire a sbirciare qualcosa. Sorrido e le apro la borsa mostrandole i biscotti e la cioccolata per la torta che voglio fare nel pomeriggio.
“Bicoti!” esclama, saltellando e battendo le mani per la gioia. “Uno!” chiede, facendomi due occhioni grandi che sa sono il mio punto debole, e quello di chiunque altro.
“È quasi ora di pranzo, tesoro, poi non mangi niente.”
Il sorriso triste mi fa quasi cambiare idea ma prima che possa cedere, Lily si volta verso gli altri tre e fa i suoi occhioni da cucciolo a loro. “Uno soo” chiede e unisce anche le sue manine per dare maggior forza alla sua preghiera. Esme e Rosalie la guardano con un sorriso dolce ma so che non cederanno, non dopo un mio no, ma è Edward a stupirmi. “Perché non può mangiarne uno?” chiede, incapace di distogliere lo sguardo da Lily che ha puntato i suoi begli occhioni azzurri in quelli verdi di Edward; ora che ho scoperto l’anello debole, non lo lascerà andare tanto facilmente. “Non le farà male un solo biscotto.”
“Puoi mangiare un biscotto, se vuoi, ma poi non avrai una fetta della buonissima torta che farò questo pomeriggio” propongo, conoscendo bene quanto Lily adora le mie torte.
“Tota?” chiede subito, dimenticandosi completamente del biscotto. Annuisco, mentre metto a cuocere i gamberetti e comincio a tagliare le zucchine.
“Torta?” chiede Edward quasi nello stesso momento. Alzo lo sguardo su di lui, sorpresa dalla sua domanda e dal tono della voce che lascia trasparire quanto sia goloso di dolci, e non posso che ridacchiare davanti allo sguardo entusiasta che leggo nei suoi occhi.
“Pensavo di fare una torta al cioccolato, se per voi va bene” rispondo, includendo anche Esme e Rosalie nel mio invito. “Volevo festeggiare e una torta mi sembrava la cosa più appropriata. Ho comprato gli ingredienti stamattina in paese, prima di tornare a casa.”
“Festeggiare?” chiede Esme confusa ma subito capisce. “Hai ottenuto il lavoro?”
Annuisco. “Comincio lunedì. Sarò in prova per un mese ma ho un lavoro.”
“Sono così contenta per te!” esclama con un sorriso, abbracciandomi e dandomi un leggero bacio sulla guancia. “Non poteva non assumerti. Le avevo detto che eri brava e con i bambini ci sai fare, questo è sicuro.”
“Grazie” mormoro imbarazzata; il rossore che sento salire lungo il collo, e non solo per le sue parole ma anche per l’occasione che è riuscita a procurarmi, fa accendere il mio volto. Sento lo sguardo di Edward addosso ma evito i suoi occhi e appena Esme mi libera dall’abbraccio torno a cucinare, tenendo d’occhio l’orologio in modo che tutto sia pronto in tempo.
Ho appena scolato la pasta, mescolandola al sugo che ho fatto cuocere lentamente, quando la porta di casa si apre lasciando entrare il vocione allegro di Emmett. “Dove sono le mie bimbe?” urla, togliendosi le scarpe che cadono in un angolo con un tonfo sordo prima di entrare in cucina dove Rosalie e Lily lo stanno aspettando, pronte per essere soffocate nel suo abbraccio. “Eccole!” esclama, prendendo in braccio Lily e facendole fare un giro in volo prima di abbracciare Rose e lasciarle un casto bacio sulle labbra.
Carlisle è più tranquillo e discreto e ha già salutato la moglie mentre il figlio fa il suo teatrino. Solo allora si accorgono della novità.
“Edward” lo chiama il padre, abbracciandolo con forza, “sono contento di vederti. Cosa ci fai a casa? Pensavamo che non ti avremmo visto prima di Natale.”
“Sono tornato prima” risponde tranquillo, ricambiando l’abbraccio.
“Ehi, fratello!” esclama Emmett, lasciando Lily tra le braccia di Rosalie prima di assalire il fratello che quasi soffoca sotto la sua mole. “Ehi, piano, sono delicato io” si lamenta Edward, tossendo ma nascondendo il sorriso divertito che Emmett ha fatto nascere sul suo volto.
“A tavola” esclamo, interrompendo gli scherzi e le risate dei due fratelli. Dopo quel commento buttato lì da Jacob ho pensato spesso di fare qualche domanda riguardo quel figlio che se n’era andato da casa senza più tornare. Ripensando alla mia situazione, mi sembrava impossibile che qualcuno scegliesse di allontanarsi da una famiglia tanto buona quando io avrei fatto qualsiasi cosa per poter riavere la mia, anche se per poco. Alla fine non ho mai chiesto nulla, non ne avevo il diritto e non volevo sembrare invadente.
In pochi secondi sono tutti seduti al tavolo; Rosalie fa accomodare Lily sul seggiolone che Esme ha recuperato dalla soffitt. Solo Edward rimane in piedi, guardandosi intorno spaesato.
“Perché non ti siedi?” chiedo, porgendo un enorme piatto di pasta a Emmett che senza aspettare afferra la forchetta e comincia a mangiare. Un leggero schiaffo da parte di Esme blocca la mano del ragazzo che con uno sbuffo aspetta che io serva tutti.
Edward mi guarda, per la prima volta senza rabbia. “Non so dove sedermi. Il mio posto è occupato da tua figlia.”
Lo guardo sorpresa. “Scusa” mormoro, guardando il tavolo cercando una soluzione, “puoi sederti al mio posto, se vuoi.”
“Ehi, tranquilla” risponde lui, appoggiando senza pensare una mano sul mio braccio, con un sorriso, divertito dal mio improvviso imbarazzo. Lo scossa che ci attraversa è la stessa di quella mattina e attira la nostra attenzione sulla sua mano, posata sul mio braccio; sento il calore formicolare la pelle e pensieri poco adatti alla situazione mi attraversano la testa, facendomi arrossire. “Scusa” mormora imbarazzato, ritirando in fretta la mano e andandosi a sedere il più lontano possibile da me. Dopo qualche secondo ritrovo la calma e mi siedo al mio posto, accanto a Lily; quando alzo gli occhi, vedo lo sguardo di Rosalie su di me e il sorriso che mi rivolge e, soprattutto l’occhiolino che lo accompagna, mi fanno arrossire ma la risata sommessa di Rose mi ripaga dell’imbarazzo.


 

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Capitolo 7
*** Scontro notturno ***


Vi chiedo scusa per il ritardo!! Sono imperdonabile quindi non vi faccio perdere tempo e vi lascio alla lettura del nuovo capitolo. Lascio i miei commenti in fondo al capitolo, se vi va di leggerli.


Capitolo 6


Il pomeriggio è ormai passato ma le mie mani sono ancora immerse nell’impasto della torta che questa mattina ho deciso di preparare. Il ritorno di Edward ha scombussolato i piani di tutti: Carlisle ed Emmett sono andati al lavoro con un’ora di ritardo, distratti com’erano dalle mille domande che volevano rivolgere a Edward, curiosi della sua vita e del suo lavoro; Esme ha passato tutto il tempo a fissare il figlio come se non lo vedesse da anni, con gli occhi che le brillavano tanto era felice di rivederlo.
Rose mi ha dato una mano a riordinare ma una volta sistemato tutto, è dovuta andare al lavoro; Esme aveva ragione a dire che ha un caso importante e non può assentarsi dal lavoro troppo a lungo. Così metto a dormire Lily e rimango con lei, sdraiata sul nostro letto, aspettando che la famiglia Cullen lasci la cucina libera.
Versando l’impasto color cioccolato nello stampo, sento i passi leggeri di qualcuno che scende le scale. Lanciando un’occhiata all’orologio, mi accorgo che sono già le cinque. Avrei dovuto svegliare Lily almeno mezz’ora fa ma mi sono distratta, così non mi volto nemmeno a controllare che sia la mia bambina quando, infilando la torta nel forno già caldo, chiedo allegra: “Hai fame, amore? Che ne dici di fare merenda?”
Il silenzio che segue non mi colpisce subito e così quando mi volto rimango sorpresa di trovarmi davanti Edward con un sorriso malizioso sul volto. “Accogli tutti in questo modo?”
Il mio volto si accende per l’imbarazzo e non posso fare a meno di distogliere lo sguardo, balbettando una risposta: “Pensavo che fossi Lily.”
Il sorriso divertito svanisce dal volto di Edward, lasciando il posto a un’espressione dura, quasi arrabbiata. “E così hai una figlia” afferma e nonostante non sembri una domanda, annuisco lentamente. Lo sguardo che vedo nei suoi occhi non mi piace affatto. “Quanti anni ha? Un anno? Due? L’hai avuta molto giovane.”
“Cosa ti importa?” chiedo, sulla difensiva.
Edward fa spallucce e un sorriso gelido si apre sul suo volto, divertito. “A me niente ma nemmeno ai tuoi genitori deve essere importato granché dato che sei qui, a spese dei miei genitori.”
Le sue parole mi feriscono; anche se è la verità, e non intendo certo negarlo, fa male comunque. Amavo mio padre, era il mio eroe, come un padre lo è sempre per la propria bambina, anche se lavora tutto il giorno e ha ben poco tempo da dedicarle, e quando si è risposato, ero stata felice perché nella mia ingenuità credevo che sarebbe stata la mamma che tanto mi mancava.
Non potevo sbagliarmi così tanto.
Edward però non lo poteva sapere, non poteva sapere che le sue parole avevano colpito nel segno e non glielo avrei mai lasciato capire. Se c’era una cosa che la mia adorata matrigna mi aveva insegnato, era a nascondere le mie emozioni.
“Vediamo di capirci bene” mormoro, sforzandomi di tenere un tono di voce basso per non attirare l’attenzione di Esme che probabilmente sta leggendo sul divano. È il nostro passatempo pomeridiano, l’unico momento che possiamo prenderci per noi, mentre Lily dorme al piano di sopra. “Io non sono qui a spese dei tuoi genitori. Tua madre mi ha assunto, anche se sono consapevole che lo ha fatto solo per convincermi a rimanere. Per questo non ho fatto altro che cercare un lavoro, che ho trovato stamattina, come tu sai.”
La mia voce decisa e lo sguardo duro che gli rivolgo lasciano Edward sorpreso e approfitto del suo silenzio per continuare il mio discorso prima che il mio improvviso coraggio venga meno.
“Devo molto ai tuoi genitori, senza di loro non so come avrei fatto, e non approfitterei mai della loro generosità. Se te ne ho dato l’impressione, mi dispiace. Ciò che ho fatto l’ho fatto solo per Lily e se potessi tornare indietro, lo rifarei ancora. Lily è l’unica cosa che conta e non ti permetto di dire una sola parola cattiva contro di lei. Non ha nessuna colpa e merita solo di essere felice.”
Per un attimo riesco a scorgere negli occhi di Edward una scintilla del sorriso che mi aveva rivolto quella mattina, nel bar, ma sparisce in fretta, nascosta da un muro di freddezza che ho visto spesso nella mia vita: è lo stesso sguardo gelido che mio padre mi ha sempre rivolto.
“Mamma!”
È la voce della mia bimba a interrompere il nostro scontro e sul mio volto spunta subito un sorrido. “Ciao, amore! Hai dormito bene?” chiedo, accogliendola tra le mie braccia. Annuso il suo profumo di latte che persiste sulla sua pelle e che mi manda fuori di testa ogni volta che lo sento.
Lily annuisce con un sorriso.
“Hai fame? Ti va un po’ di latte? E poi potresti aiutarmi a finire la torta al cioccolato, che ne dici? Ti va di aiutare la tua mamma?”
“Sì!” esclama Lily, abbracciandomi con forza. Le scocco un bacio sui riccioli biondi, poi la rimetto a terra e comincio a prepararle la merenda. Con uno sforzo per non lasciar trasparire la mia rabbia, chiedo a Edward: “Vuoi qualcosa anche tu?”
“No” risponde secco e dopo avermi lanciato un’occhiataccia, trattenendosi dal dirmi ciò che sta pensando davanti a Lily, se ne va a passo deciso.
“Ace!” borbotta Lily a voce abbastanza alta da farsi sentire da Edward che però non rallenta e sparisce in soggiorno, fingendo di non aver sentito. Lily mi guarda confusa quando le porgo il bicchiere di latte e un paio di biscotti.
“Lo so, amore, bisogna sempre ringraziare” rispondo con un sorriso, “ma oggi è di cattivo umore. Dobbiamo essere gentili con lui e perdonarlo se qualche volta non si comporta bene.”
Lily mi guarda per qualche secondo, rimuginando sulle mie parole, e alla fine annuisce tornando a sorridere. Prende il bicchiere con entrambe le mani, attenta come sempre a non sporcare e a non combinare qualche danno, e beve avidamente il suo latte tiepido. Solo quando ormai il latte è quasi finito, prende i biscotti e li immerge nel poco latte rimasto prima di mangiarli.
Aspettando che Lily finisca la merenda, preparo l’occorrente per guarnire la torta al cioccolato che si sta cuocendo in forno. Fragole, lamponi, cioccolato e panna. Non sarà una torta dietetica, questo è poco ma sicuro.
“Tota!” esclama Lily, porgendomi il bicchiere di latte vuoto. Sorrido, le pulisco i baffi e la prendo in braccio per farla sedere su uno sgabello accanto a me, in modo che possa aiutarmi.
Faccio sciogliere il cioccolato mentre lavo la frutta e taglio le fragole a fette. “Ora prendiamo la torta e ci mettiamo tutti questi bei frutti colorati sopra. Va bene?”
Lily annuisce e segue con attenzione le mie indicazioni. Nonostante la sua età, è brava e presto la torta è pronta. La guardiamo orgogliose. Una banale torta allo yoghurt, arricchita con cacao e gocce di cioccolato, una crema leggera con i lamponi nel mezzo e ricoperta di cioccolato fondente su cui Lily ha posato con cura fragole e lamponi in un disegno ordinato e geometrico. Per completare la nostra opera, spruzzo qualche ciuffo di panna montana qua e là.
“Sembra buonissima!” esclama Esme, entrando in cucina con un sorriso. “Ecco perché Edward è rimasto per tutto il tempo a gironzolare davanti alla porta della cucina! Aspettava questa meraviglia al cioccolato.”
“È rimasto tutto il tempo fuori dalla porta?” chiedo sorpresa. Esme annuisce, accennando una risata divertita.
“Mamma, Alice non dovrebbe essere già tornata da scuola?” chiede Edward, entrando finalmente in cucina e lanciando un’occhiata all’orologio sportivo che portava al polso. “Sono le sei ormai. Non è tardi?”
Esme sorride, alzando gli occhi al cielo per un secondo. “È rimasta a scuola per dare gli ultimi ritocchi alla palestra, in vista del ballo d’inverno che si terrà domani sera. Credo che si fermerà a mangiare qualcosa in paese prima di tornare a casa.”
Edward annuisce. “Avrà bisogno di un passaggio.”
“Sono sicura che ci penserà Jasper a riportarla a casa” lo rassicura Esme ma la notizia non tranquillizza affatto Edward che aggrotta la fronte e trattiene a stento uno sbuffo. “Stanno insieme quei due adesso?”
“Da qualche tempo, sì. Alice è molto felice e Jasper non farebbe mai niente per ferirla.”
Questa volta lo sbuffo risuona sonoro nella cucina e lo spostamento d’aria fa sollevare il ciuffo di capelli che ricade sugli occhi di Edward. “Lo spero per lui” borbotta sempre più scontroso.
Mi lascio sfuggire una risata divertita davanti allo sguardo duro nei suoi occhi. “Sei geloso della tua sorellina?”
Lo sguardo scontroso di Edward è su di me e la rabbia riaffiora nei suoi occhi. Esme, accanto a lui, ride con me. “È molto geloso! Un vero fratello maggiore.”
Rido, divertita, pensando a quanto sia fortunata Alice ad avere qualcuno che tiene tanto a lei da arrabbiarsi all’idea che qualcuno possa ferirla. Non ho mai avuto un fratello maggiore e sicuramente mio padre non è mai stato il tipo che si preoccupava dei ragazzi che frequentavo.
“Alice è fortunata ad avere due fratelli che si preoccupano per lei” mormorò lasciando trasparire la tristezza, e forse anche un po’ di invidia. Mi ritrovo subito addosso lo sguardo pieno di compassione di Esme e quello serio e concentrato di Edward. Ed è proprio il suo sguardo che mi crea tanti problemi, mi fa sentire a disagio e mi ritrovo a distogliere lo sguardo, cercando un modo per fuggire a quegli occhi che sembrano studiarmi. Per la prima volta non leggo rabbia sul suo volto, solo curiosità.
“Ehi, Lily, che ne dici se andiamo a giocare con Oliver?” le propongo, porgendole la mano per invitarla a cercare Oliver; voglio scappare dagli sguardi che mi sento addosso e che mi mettono tanto a disagio.
Guardando fuori dalla finestra, mi rendo conto che è scesa la sera e che il buio nasconde qualsiasi cosa. L’entusiasmo di Lily però mi impedisce di cambiare idea, così le faccio indossare una giacca pesante, le avvolgo una sciarpa intorno al collo e le infilo un berrettino di lana e un paio di guanti abbinati, di un bel colore rosa, per tenerla al caldo.
Oliver ci raggiunge in pochi secondi. Basta che Lily si avvicini alla porta perché lui corra da lei, ansioso di seguirla ovunque vada. Sorrido e apro la porta, lasciandoli uscire nella notte. Il freddo intenso mi colpisce, facendomi rabbrividire, ma esco di casa, chiudendomi con cura la porta alle spalle dopo aver assicurato ad Esme che non sarei rimasta fuori molto a lungo.
Mi siedo poco lontano dall’entrata e mi perdo ad osservare la mia bimba che corre dietro al suo cucciolo. Oliver sta crescendo a vista d’occhio ma ha imparato presto ad essere delicato per non fare del male alla sua piccola padroncina e così i graffi e i lividi su Lily si sono drasticamente ridotti dai primi giorni.
“Ehi, fa freddo qui fuori.” Non posso fare a meno di sobbalzare, colta di sorpresa. “Scusa, non ti volevo spaventare.”
“Non ti ho sentito arrivare” rispondo, tenendo la voce bassa e gli occhi fissi su Lily che corre dietro a Oliver nel tentativo di riprendersi la pallina che gli ha lanciato poco prima.
Dopo qualche minuto di silenzio imbarazzante, decido di averne abbastanza. “Devi dirmi qualcosa?”
Edward mi guarda sorpreso dal mio tono deciso e annuisce. “Esme mi ha chiesto di controllare se va tutto bene. Fa freddo qui fuori e lei è preoccupata che possiate ammalarvi.”
“Vedo che la cosa ti preoccupa molto” mi lascio scappare, stizzita. Imbarazzata, e sorpresa da me stessa, lo guardo cercando di capire se si è offeso. Probabilmente sì. Per un volta che si comporta in modo gentile, io lo tratto male. “Scusami” balbetto in fretta, “sono stata maleducata. Non avrei dovuto risponderti in quel modo. Sei stato gentile a venire fuori al freddo solo per riferirmi il messaggio di tua madre.”
Edward mi fissa in silenzio per qualche secondo per poi sbuffare. “Veramente non me l’ha proprio chiesto” ammette contrariato. “Il suo è stato più che altro un ordine. Non ho avuto molta scelta quindi non ti scusare.”
Sorrido, divertita mio malgrado dalla situazione. “Dì pure a Esme che rientriamo tra qualche minuto. Lily è ben coperta ma non voglio certo che si ammali.”
Edward rimane ancora qualche minuto a fissarmi, indeciso se tornare dentro o dire ancora qualcosa. Dopo un paio di occhiate verso la porta, penavo che sarebbe rientrato, invece, si avvicina di qualche passo. “Non la perdi di vista un minuto.”
“La tua non è una domanda” ribatto, sorpresa dal tono gentile della sua voce, ma annuisco con un sorriso, tornando a guardare Lily. “Allontanarmi da lei è una sofferenza. Stamattina, quando ci siamo incontrati in quel bar, era la prima volta che la lasciavo a qualcuno per tanto tempo.”
Un accenno di sorriso si apre sul volto di Edward. “Avevi veramente un colloquio di lavoro?” chiede e soffoco la risposta acida che mi sale alle labbra, limitandomi ad annuire.
“Rose si è offerta di badare a Lily mentre ero in paese.”
Edward annuisce e rimaniamo entrambi in silenzio, ognuno perso nei propri pensieri, finché il freddo non mi fa rabbrividire. Mi stringo le braccia intorno al collo, preparandomi a richiamare la mia bambina, quando sento Edward avvicinarsi e posarmi la sua giacca sulle spalle, allontanando il freddo che provo. “Dovresti rientrare” mormora Edward, “o finirai per ammalarti.” Mi volto di scatto, troppo sorpresa dal suo gesto per ringraziarlo, ma vedo solo la porta richiudersi alle sue spalle.
Sospiro, stringendomi addosso la giacca di Edward e lasciandomi avvolgere dal suo calore e dal suo profumo, e chiamo Lily che subito mi corre incontro. Ha il viso arrossato per il gioco e gli occhi che brillano. Sorrido, vedendola tanto felice. “È ora di andare a dormire, tesoro.”
Dopo aver messo a letto Lily, avvolta nel suo pigiamino rosa, mi preparo anch’io e la raggiungo infilandomi sotto il morbido e caldo piumino che copre il letto matrimoniale che dividiamo. Lily si accoccola contro di me, stringendomi a sé con le sue manine, e mi guarda con i suoi occhioni azzurri in attesa della storia della buonanotte.
“Quale storia vuoi sentire stasera?” chiedo accarezzandole i riccioli che le incorniciano il volto.
Ci pensa qualche secondo, poi sorride e risponde: “La Bella e la Bestia!”
Sorrido e comincio a raccontare, tenendo la voce bassa per cullarla. Non passa molto che i suoi occhi si chiudano e la mia piccola scivoli lentamente nel sonno. Dopo essermi assicurata che fosse ben coperta, cerco di prendere sonno anch’io ma per me si rivela molto più difficile. I pensieri continuano a vorticarmi nella testa, ritornando al volto di Edward e alle sue parole, ai suoi occhi così pieni di rabbia di quella mattina, tanto diverso dall’Edward che ho intravisto quella sera, sul porticato della casa, e mi tengono sveglia a lungo.
Quando guardo la sveglia e mi rendo conto che sono le due del mattino, scalcio via le coperte scocciata e decido di scendere a prendere un bicchiere d’acqua. Forse facendo due passi riuscirò a svuotare finalmente la mente e potrò dormire qualche ora prima che Lily mi svegli per una nuova giornata.
Camminando in punti di piedi per non fare rumore, esco dalla stanza facendo cenno a Oliver di restare buono e continuare a dormire; non devo certo dirglielo due volte e appoggia di nuovo la testa a terra prima che abbia chiuso la porta della camera alle mie spalle. Diretta in cucina passo davanti alla camera di Alice, la prima camera del corridoio, proprio di fronte alla mia, e noto stupita che la porta è aperta e il letto vuoto. Mi fermo alcuni secondi a fissare il letto della ragazza, perfettamente in ordine, come se all’improvviso Alice potesse spuntare dal nulla, e mi rendo conto di essere preoccupata.
Pensando che possa essersi addormentata nel letto di Jasper, alcune stanze più avanti, decido di andare a controllare prima di saltare a conclusioni affrettate. I miei passi sono attutiti dal folto tappeto rosso che ricopre il corridoio e che mi impedisce di avere freddo nonostante sia a piedi nudi.
Davanti alla porta della stanza di Jasper mi accorgo che è chiusa e rimango qualche secondo a pensare, non volendo invadere la sua privacy, ma dopo qualche minuto mi decido, faccio un respiro profondo e apro la porta senza bussare. Se la stanza è vuota, bussare è inutile; se, invece, c’è qualcuno che dorme, avrei evitato così di svegliarlo.
La stanza è vuota. Almeno significa che ovunque siano, sono insieme.
Mi guardo un attimo intorno e decido di scrivere ad Alice per assicurarmi che stia bene. Non era mai tornata tardi, e sicuramente non aveva mai violato il coprifuoco, quindi sono sicura che Esme ne sia al corrente. E poi Jasper è con lei ma non posso fare a meno di stare in pensiero. Dopo averle mandato un messaggio, mi avvio verso la cucina.
Scendo le scale e sopprimo un brivido quando metto piede sulle piastrelle della cucina, gelide se confrontate con il tappeto su cui ho camminato fino a poco prima, e mi pento di non essermi fermata a cercare le ciabatte nascoste da qualche parte sotto il letto ma ormai sono qui. Così prendo un bicchiere, lo riempio di acqua fresca e mi siedo sul bancone per allontanare i piedi dal freddo del pavimento mentre sorseggio lentamente l’acqua.
La casa è silenziosa e immersa nel buio, l’unica luce è fornita da una piccola lampadina sopra il lavandino; sono tutti a dormire, sprofondati nei propri letti. Un suono lieve spezza il silenzio e attira la mia attenzione. Cercando di tenere a bada la paura che qualcuno si sia potuto intrufolare in casa, poso il bicchiere ormai vuoto e mi avvicino al soggiorno. A piedi nudi non faccio molto rumore ma appena entro nella stanza, mi trovo davanti il responsabile.
“Bella?” chiede sorpreso Edward, spalancando gli occhi e tirandosi su dal divano su cui era sdraiato.
“Che ci fai qui?” chiedo, sentendo il mio cuore battere furioso nel petto. Non mi aspettavo di trovarlo lì, avevo avuto davvero paura che ci fosse un estraneo in casa anche se di solito Oliver è bravo ad avvertire l’arrivo di chiunque.
“Devo essermi addormentato” confessa Edward, stropicciandosi gli occhi come un bambino appena svegliato dal sonnellino pomeridiano. “Volevo aspettare mia sorella ma immagino che sia tornata mentre dormivo.”
Una smorfia mi sale al viso e lo sguardo di Edward si affila, scrutandomi in silenzio. “Cosa non so?”
“Alice non è tornata a casa” confesso, sapendo che mentire è inutile.
“Cosa??” esclama Edward, girandosi di scatto verso il tavolino e afferrando il cellulare per controllare l’ora. “Sono le due di notte! Dove cazzo si è cacciata?”
Spalanco gli occhi davanti al suo tono di voce e cercando di convincerlo a tenere la voce bassa, ribatto in un sussurro: “Stai tranquillo, è con Jasper. Non le succederà nulla.”
Le mie parole però non sembrano affatto tranquillizzarlo, anzi. Mi guarda furioso. “Non penserà mica di passare la notte con Jasper?? Non può fare una cosa del genere. Ora vado a prenderla e la riporto a casa.”
Lo fisso sorpresa mentre cerca le chiavi della macchina. “Che stai facendo?”
“Vado a prendere Alice” mi risponde come se fosse ovvio. “Non intendo restare a guardare mentre mia sorella si rovina la vita.”
“Non essere così drastico!” esclamo con un sorriso. “Jasper è un bravo ragazzo e non farebbe mai del male ad Alice, non la costringerebbe mai a fare qualcosa che lei non voglia fare.”
“Questo lo so anch’io. Jasper è uno dei miei migliori amici” sbotta in un ringhio, “ma non voglio che passino la notte insieme. Alice non ha ancora diciotto anni.”
“Non è una bambina, Edward” sussurro, ripensando a mia sorella. “Non puoi proteggerla per tutta la vita. Devi lasciare che ognuno faccia i propri errori e impari a conviverci.”
La rabbia negli occhi di Edward sparisce di colpo, rimpiazzata dalla sorpresa e dalla curiosità per le mie parole. Dopo qualche secondo sospira e si lascia cadere sul divano, chiudendo gli occhi. “Sai dov’è?” chiede a bassa voce.
Annuisco, ricordandomi solo dopo che lui non mi può vedere. “Mi ha scritto un messaggio poco fa. Hanno finito tardi con i preparativi per il ballo e la sua amica l’ha invitata a restare a dormire da lei.”
Edward apre gli occhi e mi guarda. “E Jasper?”
Dopo un attimo di tentennamento, sussurro: “È con lei.”
Rimaniamo in silenzio per qualche minuto, Edward seduto scomposto sul divano, io in piedi, a fissarlo, senza sapere cosa fare, se sedermi accanto a lui o tornare a letto.
“Non stare lì in piedi. Non mordo” scherza, mettendosi a sedere composto e battendo la mano sul posto libero accanto a sé. Accenno un sorriso nervoso ma mi siedo accanto a lui, rigida, attenta a non toccarlo nemmeno per sbaglio. Restiamo in silenzio a lungo, seduti su quel divano, uno accanto all’altra. Di nuovo, è Edward a spezzare il silenzio. “Cosa sei venuta a fare qui?”
Le sue parole mi fanno infuriare, nonostante il tono non sembri accusarmi di qualcosa, e senza pensare lo affronto. “Cercavo un posto dove stare, un lavoro. Non mi sto approfittando della tua famiglia. Non lo farei mai.”
“Ehi, no, non intendevo questo!” esclama, voltandosi verso di me e posandomi una mano sul braccio. “Scusa se le mie parole ti sono sembrate delle accuse. Volevo solo sapere come mai sei scesa in cucina alle due di notte. Tutto qui.”
Accenno un sorriso, imbarazzata per la mia sfuriata. “Scusa” mormoro, distogliendo lo sguardo e ritirando il braccio interrompendo il contatto con la sua mano. “Volevo solo un bicchiere d’acqua.”
“Alle due di notte?” chiede con un sorrisetto divertito e per un attimo ritorno nel bar in cui ci siamo conosciuti; nei suoi occhi brilla la stessa luce divertita e maliziosa che mi aveva colpito quel giorno.
Faccio spallucce. “Non riuscivo a dormire.”
Edward mi fissa in silenzio per qualche secondo, poi distoglie lo sguardo e si lascia scivolare sul divano, finendo semi sdraiato accanto a me. “Ora che so che Alice passerà la notte con Jasper non credo che riuscirò a dormire nemmeno io.”
Ridacchio, divertita. “Lo capisco. Rendersi conto che la propria sorellina è cresciuta non è bello, vero?” chiedo e mi rilasso sul divano, alzando i piedi sul divano e infilandoli sotto di me per scaldarli.
“Tra poco più di due mesi compirà diciotto anni. Presto finirà la scuola e se ne andrà al college. Non ho passato molto tempo con lei negli ultimi anni e ora è troppo tardi. Immagino di non avere più il diritto di dirle cosa può o non può fare” borbotta, lasciando andare un lungo sospiro.
Sbuffo con una smorfia. “Non è morta, Edward. Forse non hai passato molto tempo con lei ultimamente ma puoi sempre rimediare e puoi sempre dirle cosa fare. Resti sempre suo fratello e sono sicura che ascolterà i tuoi consigli.”
La preoccupazione di Edward per sua sorella mi fa sorridere e non posso non ripensare a mia sorella. Anch’io, come Edward, ero sempre preoccupata per lei e restavo alzata fino a tardi aspettando che rientrasse a casa prima di andare a dormire. Mia sorella, però, a differenza di Alice, non ha mai ascoltato molto volentieri i miei consigli, preferendo fare di testa propria, convinta di sapere tutto della vita.
Edward mi guarda e sorride.
Ora la situazione è veramente strana, penso confusa da quel cambiamento nel comportamento di Edward nei miei confronti. So che me ne pentirò ma devo chiedere. “Perché ora sei così gentile e carino con me?”
Dallo sguardo malizioso che brilla nei suoi occhi mi rendo conto delle parole che ho usato e che non sono sfuggite a Edward. “Sono carino?”
Sbuffo e lo guardo male, aspettando una risposta alla mia domanda; non ho intenzione di lasciarlo sviare. Edward lo capisce e distoglie lo sguardo, sospirando. Quando torna a guardarmi, è serio come non lo avevo mai visto prima.
“Quando ti ho conosciuta, in quel bar, mi sei subito piaciuta. Eri carina, simpatica e divertente. Non avrei mai pensato che fossi la stessa persona di cui Rose mi ha scritto nelle sue lettere.” Rimango in silenzio, aspettando che continui. Le sue parole, quel “mi sei subito piaciuta” risuonano nella mia testa più e più volte, facendomi arrossire. Per mia fortuna è abbastanza buio da nascondere il colore preso dal mio volto.
“Quando ti ho visto qui, a casa dei miei genitori, ho pensato che mi avessi mentito, che ti fossi presa gioco di me. Credevo a Rose, a quello che mi aveva scritto.”
“E lo credi ancora?”
Sorride e scuote la testa. “Ho parlato con Rose. All’inizio non ho voluto crederle, lo ammetto, ma ora so che ciò che mi ha scritto non era la verità ma solo gelosia e paura, credo. Ho parlato anche con Esme mentre tu eri fuori sul portico e mi ha detto che l’hai sempre aiutata, tanto che qualche volta si è annoiata perché non le lasciavi nulla da fare.”
Ridacchio. “Si è lamentata spesso di questo.”
Edward annuisce con un sorriso. “Mi dispiace di essere stato uno stronzo con te.”
“Eri preoccupato per la tua famiglia, lo capisco. Forse se mi fossi trovata nella tua stessa situazione, avrei reagito come te.”
“Quindi mi perdoni?” chiede, facendomi gli occhi dolci. La sua espressione mi fa scoppiare a ridere. “Ti faccio ridere?” chiede con un sorriso divertito.
“Scusa, non volevo ridere di te ma avevi la stessa espressione di Lily quando la sorprendo a mangiare i miei biscotti al cioccolato che lei sa bene che non deve toccare.”
Edward accenna un sorriso tirato che non illumina i suoi occhi, poi distoglie lo sguardo, abbassandolo a terra, e si passa una mano tra i folti capelli ramati. “Lily era un altro motivo per cui mi sono comportato così male con te” confessa a voce così bassa che faccio fatica a sentirlo.
Mi irrigidisco, pronta a difendere la mia bambina per l’ennesima volta da qualcuno che pensa di poter giudicare le mie decisioni senza conoscere come sono andate le cose veramente. “Che c’entra Lily?” lo affronto, trattenendo a stento la rabbia.
Edward intuisce subito che le sue parole non mi sono piaciute e alza le mani in segno di difesa. “Non ce l’ho con Lily!” esclama e prima che possa interromperlo, continua: “Credimi, la tua bambina è dolcissima e ti adora, si vede! Ma tu sei così giovane e hai già una figlia di due anni.”
“Non ha ancora compiuto due anni” lo correggo senza pensare ma poi capisco che non è l’età di Lily il problema. “Perché ti importa se ho una bambina alla mia età? Sono giovane ma questo non significa che le voglia meno bene e che non sappia prendermi cura di lei.”
“Lo so, ora lo so” mormora Edward con un sorriso di scusa, “ma quando ti ho visto credevo che fossi una ragazzina viziata, abituata ad avere tutto ciò che vuole dalla vita. Credevo che stessi approfittando della mia famiglia, dato che la tua famiglia non ha voluto aiutarti quando ne hai avuto bisogno, perché così qualcun altro si sarebbe preso cura di Lily al tuo posto.”
Lo guardo scioccata. “Mentre io andavo in giro per locali a flirtare con i ragazzi? E magari a portarmeli a letto?” chiedo, scuotendo la testa. Edward rimane in silenzio ma lo sguardo imbarazzato nei suoi occhi mi fa capire che ho colpito nel segno. “Tu non sai niente” sbotto furiosa, lanciandogli un’occhiataccia. Mi ritrovo in piedi, senza nemmeno rendermene conto, e fisso Edward negli occhi sentendo tutta la mia storia che preme per uscire; vorrei potergli dire perché a ventitre anni mi ritrovo con una bimba di nemmeno due anni, lontana da casa e senza un soldo, né un tetto sopra la testa se non grazie a Esme e alla sua generosità. Quest’improvviso desiderio di confessare, di rivangare il mio passato, mi spaventa, così scappo ripetendo in un sussurro: “Tu non sai niente.”
Edward non prova a fermarmi, resta seduto sul divano in silenzio a guardarmi, confuso dal mio comportamento. Sono sull’ultimo gradino quando mi sento chiamare. Mi fermo, indecisa se ignorarlo e rifugiarmi in camera mia, ma alla fine decido di voltarmi. Edward è in fondo alle scale che mi guarda con un sorriso appena accennato, le mani infilate nelle tasche. “Hai ragione, io non so niente e per questo ti chiedo scusa se ti ho giudicata senza conoscerti. So di essermi sbagliato sul tuo conto.”
Annuisco, prima di voltarmi e aprire la porta della mia camera. Lancio un’occhiata a Edward prima di entrare e chiudermela alle spalle; non si è mosso, ancora fermo in fondo alle scale, i suoi occhi fissi su di me e quel sorriso triste che, per qualche motivo mi stringe il cuore. Sto per chiudere la porta quando sento la sua voce e il mio cuore batte forte.
“Avrei fatto di tutto per scoprire il tuo nome.”


So di essere in un ritardo incredibile!! Vi chiedo scusa per questo ma è stato un periodo difficile, tra problemi in famiglia e esami all’università, ma quello che più mi ha causato ritardo è stato il mio computer. Improvvisamente ha deciso che non ne voleva sapere di salvare i documenti e così per quanto potessi scrivere, appena uscivo veniva tutto cancellato. Non avete idee di quanti insulti abbia tirato al computer!! Dopo qualche giorno, tanto per fare le cose fatte bene, quel poco che avevo già scritto è stato cancellato. Così ci ho messo un po’ per riscrivere il capitolo… Se non ho lanciato il computer fuori dalla finestra, poco c’è mancato…
In questo capitolo Edward sembra tornare il ragazzo simpatico del bar ma ci sono troppi segreti tra loro perché le cose possano essere facili. E forse non è solo Bella a nascondere qualcosa. La reazione di Edward a Lily non vi sembra un po’ esagerata?


 

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Capitolo 8
*** Una mattinata movimentata ***


Il nuovo capitolo! Questa volta sono stata quasi puntuale, sto migliorando ;)
Vi lascio subito alla lettura e ci vediamo in fondo.


Capitolo 7


Come ogni mattina è la voce di Lily a svegliarmi. “Mamma, sveia” mi chiama, baciandomi leggera una guancia. Il suo profumo mi colpisce e mi fa sorridere mentre sento le sue manine che stringono la maglia del mio pigiama, cercando di scuotermi per svegliarmi.
Tengo gli occhi chiusi, fingendo di dormire, mentre Lily mi sale sopra. “Mamma, ho fame!” si lamenta la mia bimba, posando le sue manine morbide sulle mie guance. Incapace di resistere ancora, scoppio a ridere, aprendo gli occhi. “Sei sveia!”
“Buongiorno, amore” saluto la mia bambina, scoccandole un bacio sulle guanciotte tonde, poi l’afferro e la faccio sdraiare sul letto, facendole il solletico. La sua risata divertita invade la stanza e rido con lei mentre Oliver ci osserva curioso con il suo musetto peloso posato sul letto accanto a noi. “Andiamo a fare colazione?” le chiedo, fermandomi.
“Sì!” urla, annuendo con forza prima di saltare in piedi sul letto e gettarsi su di me. La prendo in braccio e mi avvio verso la cucina ma appena apro la porta della nostra stanza mi rendo conto di essere ancora in pigiama. Mi fermo, indecisa su cosa fare. Se fino al giorno prima non mi sarei preoccupata, ora l’idea di incontrare Edward con indosso il mio stupido pigiama, di nuovo, mi disturba. Questa notte non ci ha fatto caso, forse, ma non voglio certo farmi vedere da uno come lui vestita così. Sicuramente non due volte di fila a distanza di poche ore.
“Aspetta un minuto, tesoro” mormoro, posando Lily a terra. “Mi cambio e poi andiamo a fare colazione.”
Lily mi guarda senza dire nulla, aspettando tranquilla accanto a Oliver che cerca di richiamare la sua attenzione leccandole le mani e spingendola con il muso finché la sua padroncina non gli lascia qualche coccola, affondando nel suo lungo pelo folto.
Quando sono vestita, faccio un veloce salto in bagno per sistemare i capelli sconvolti e sciacquarmi la faccia, poi prendo in braccio la mia piccola e facendo un gesto a Oliver, ci avviamo tutti e tre verso la cucina.
“Ecco la colazione, amore” mormoro con un sorriso, porgendole la sua solita tazza di latte caldo e qualche biscotto che Lily subito afferra affamata. “Mangia con calma, tesoro, o ti verrà mal di pancia.”
“Buongiorno.”
Mi volto di scatto sentendo la sua voce. Edward è sulla porta e mi guarda con negli occhi una strana espressione titubante, come se non sapesse se può entrare e se invece deve andarsene e lasciarmi sola con Lily.
Sorriso e gli faccio un cenno verso la sedia accanto a Lily. “Cosa vuoi per colazione?” chiedo, voltandomi e cominciando a preparare il caffè sapendo che nel giro di pochi minuti saranno tutti in cucina per la colazione.
“Quello che c’è va benissimo” risponde Edward a disagio, come se fosse lui l’ospite in casa, e non io. “Ma mi posso arrangiare” esclama poi saltando in piedi, “tu siediti e fai colazione.”
Mi volto e scuoto la testa, sorridendo divertita. “È il mio lavoro questo, ricordi? Preparo la colazione. Mangerò anch’io dopo, non ti preoccupare. Ti va del caffè? O bevi il latte di solito la mattina? Una fetta della mia torta di ieri? O preferisci biscotti? Pancake? Pane e marmellata? Uno yoghurt?”
Sono nervosa e si nota. Mi impedisco di continuare, chiudendo la bocca e fissando Edward aspettando una risposta, ma lui mi guarda sorpreso per qualche secondo prima di scoppiare a ridere. Sorrido anch’io, lasciando andare una risata, e mi rilasso.
“Quello che prepari per gli altri andrà benissimo anche a me.”
Annuisco e mi metto ai fornelli, cominciando a preparare i pancake. Li faccio spesso perché so che Jasper ed Emmett li adorano e spero che anche Edward li apprezzerà. Mentre mescolo gli ingredienti e li verso nella padella, sento Lily dire: “Bicotto.”
Mi giro e la vedo porgere a Edward uno dei suoi biscotti.
Imbarazzato e senza sapere bene cosa fare, Edward le sorride. “Sì, è un biscotto. Ehm… è buono?”
Lily annuisce e ripetendo il gesto di porgergli il biscotto esclama: “Bicotto!”
“Ehm, sì, biscotto.”
Mi ritrovo a ridere, divertita. Edward mi guarda, curioso, e nei suoi occhi leggo chiaramente la richiesta di aiuto che non osa fare a voce alta. “Ti sta offrendo uno dei suoi biscotti. Vuole che lo mangi.”
Edward finalmente capisce e guarda Lily, prendendo il biscotto. “Grazie” mormora e da un morso, mastica e quando deglutisce, annuisce sotto lo sguardo attento di Lily. “È buono!” esclama e la ma bimba sorride felice, tornando alla sua colazione.
Edward la guarda mangiare mentre continua a sbocconcellare il biscotto.
“Buongiorno!” la voce tonante di Emmett attira l’attenzione di tutti, cogliendoci di sorpresa. “Cosa c’è per colazione?” chiede ma prima che possa rispondere, lo vedo annusare e appena riconosce l’odore dei pancake, spalanca gli occhi correndo a sedersi. “Pancake!”
“Due minuti e sono pronti” lo avviso, togliendo dal fuoco il primo pancake e versando un’altra dose di pasta nella padella.
“Qualcuno ha detto pancake?” chiede Carlisle entrando in cucina accompagnato da Esme che mi sorride, augurando a tutti il buongiorno. “Alice e Jasper hanno appena chiamato e stanno tornando a casa. Ti dispiacerebbe farne qualcuno anche per loro?”
“Nessun problema” assicuro e porto il primo piatto in tavola. Vedo gli occhi di Emmett seguire ogni mia mossa, come sempre. Ogni mattina è una lotta. Jasper ed Emmett si litigano il primo piatto, sostenendo di avere più fame dell’altro, lamentandosi perché il giorno prima ha mangiato per secondo e tanti altri motivi uno più stupido dell’altro. Così ho cominciato a  decidere io chi dei due deve mangiare per primo e faccio a turno, in modo che non litighino, non troppo almeno.
E quella mattina, dato che non c’è Jasper, Emmett è sicuro che sarà il primo a vedersi servire i pancake ma con un sorriso malizioso porgo il piatto a Edward sotto lo sguardo furioso di suo fratello che sembra augurargli di strozzarsi con il primo boccone.
Esme e Carlisle ridono divertiti dalla scenetta e Lily, abituata ai litigi mattutini, si gira verso Emmett e con uno sbuffo gli offre un biscotto. “Bicotto.”
Emmett prende il biscotto e poi mi guarda, confuso. “Mi sta dicendo che sono un bambino, vero?” e senza aspettare una risposta, fissando il biscotto, borbotta: “Fantastico, persino una bambina di due anni pensa che io sia infantile.”
Rido tanto da avere le lacrime agli occhi e per poco non rischio di bruciare i pancake tanto sono impegnata a ridere.
“Beh, amore, non puoi certo darle torto” interviene Rosalie, entrando in cucina e sorridendo davanti alla scena che si sta svolgendo in cucina. Saluta Emmett con un bacio, attenuando l’umiliazione appena subita da Lily, e si siede accanto a lui, salutando anche gli altri. “Buongiorno, piccola” saluta Lily, dandole un veloce bacio sulla guancia che la fa ridacchiare.
Abbiamo quasi finito di far colazione quando sentiamo il rumore di una macchina avvicinarsi e poco dopo la porta si apre. “Siamo a casa!” urla Alice e correndo, entra in cucina con un sorriso enorme sul volto. È eccitata, si vede, ma c’è qualcos’altro nei suoi occhi, una luce diversa che non avevo mai visto prima nei suoi occhi. Per un attimo ritorno a qualche anno prima e davanti a me non c’è più una ragazzina, piccola e magrolina, dai corti capelli neri e profondi occhi dello stesso incredibile colore verde di Edward ma vedo una ragazza alta e formosa, dai lunghi capelli rossi che incorniciano il suo volto con tanti dolci boccoli, e grandi occhi azzurro ghiaccio. Mia sorella, la mia sorellina che da un giorno all’altro è cambiata così tanto che facevo fatica a riconoscere in lei la bambina con cui giocavo in giardino, riempiendoci di terra e erba, e che la sera mi pregava di raccontarle una storia.
Scuoto la testa e sorrido, intuendo cosa è cambiato in Alice.
“Vi vanno i pancake?” chiedo, guardando ora Alice, ora Jasper. Non mi sfugge la mano di lui stretta in quella di lei, né il suo sguardo che si allontana da lei solo per rispondermi con un sorriso: “Molto volentieri!” prima di tornare a fissarla, rapito. Sono così presi l’uno dall’altra che non si sono nemmeno accorti del nuovo arrivato e stanno tutti aspettando che se ne accorgano, trattenendo a stento un sorrisetto divertito.
Servo i due ragazzi, sorridendo, e poso due piatti con un paio di pancake sul tavolo per poi portare via i piatti di chi invece ha già finito di mangiare. È a quel punto che Alice distoglie lo sguardo da Jasper, notando la novità.
“Edward!” esclama, lasciando la mano del ragazzo per correre a buttarsi addosso al fratello che l’afferra al volo, rischiando di volare entrambi per terra. “Quando sei tornato? Perché non mi hai detto nulla? Perché nessuno mi ha detto nulla?” chiede, voltandosi verso i genitori e il resto della sua famiglia e guardandoli storto.
Edward ride, stringendola forte a sé prima di farla rialzare e costringerla a sedersi al tavolo, accanto a Jasper, per mangiare qualcosa. “Non ho detto a nessuno che tornavo. Volevo farvi una sorpresa. Ci sono riuscito, no?”
“Sono così contenta!” esclama, incapace di tenere la voce a un volume normale, ma è così felice che nessuno glielo fa notare, come invece succede spesso. Persino Lily, impegnata a mangiare il suo ultimo biscotto, alza lo sguardo incuriosita dal comportamento di Alice e la vedo sorridere, allegra. “Quanto resterai?”
“Non lo so ancora ma sicuramente resterò per le vacanze di Natale.”
Alice batte le mani dalla gioia, assomigliando ancora di più a una bambina. “Verrai al ballo d’inverno?” chiede, pregandolo con lo sguardo.
“Sai che odio i balli, Alice” si lamenta Edward ma non osa dire di no e questo non fa che spingere Alice a insistere ancora di più.
“Per favore! Puoi venire con Bella! Ha detto che viene. Vero che vieni?” chiede, girandosi verso di me per avere l’ennesima conferma, preoccupata che possa aver cambiato idea. Come se fosse possibile dirle di no, annuisco con un sorriso. Soddisfatta, torna a tormentare il fratello. “Visto? Puoi farle compagnia, così non sarà costretta a sopportare un branco di ragazzini arrapati che ci provano con lei.”
“Alice!” Il richiamo di Esme, scandalizzata dalle parole della figlia, viene in parte coperto dalla risata sguaiata di Emmett. “E brava la mia sorellina! Qualcosa da me l’ha imparata!”
“Io non ne andrei così fiero se fossi in te” gli fa notare Edward, alzando gli occhi al cielo esasperato, prima di dargli uno scappellotto sul collo.
“Ehi!” si lamenta Emmett con una smorfia, massaggiandosi il collo arrossato dal colpo appena ricevuto. “Mi hai fatto male!”
“Allora? Ci vieni al ballo?” chiede Alice, interrompendo la discussione tra i due.
Edward sospira e annuisce. “Va bene, vengo.”
Soddisfatta dalla risposta ricevuta, abbassa lo sguardo sulla sua colazione e comincia a mangiare, dopo aver versato una dose abbondante di salsa al cioccolato. Jasper ha già finito la sua porzione, ripulendo alla perfezione il piatto dallo sciroppo d’acero che ha versato sui pancake con abbondanza, e ora punta a quelli di Alice che appena nota lo sguardo famelico del suo ragazzo, allontana il piatto il più possibile per evitare che possa rubarle anche il più piccolo pezzo.
Tra un boccone e l’altro Alice si lancia nella descrizione della sala in cui quella sera si terrà il ballo, gesticolando per rendere meglio l’idea, senza preoccuparsi che qualcuno la stia ascoltando ma Esme e Rosalie la guardano con un sorriso, ricordando quando anche loro hanno partecipato al ballo di fine anno. Non posso che fare altrettanto, anche se il mio ricordo non è così piacevole come i loro, probabilmente.

Inizio flashback
Avevo diciotto anni e avevo convinto mio padre a comprarmi un abito adatto per il ballo di fine anno. Ero andata con la mia migliore amica a sceglierlo ed ero tornata a casa con un vestito che solo una volta davanti allo specchio, per la prima volta, pensai che fosse esagerato.
Era rosso, con un’ampia scollatura sul corpetto stretto e la schiena quasi completamente lasciata scoperta, per terminare poi in una gonna che mi fasciava i fianchi e le gambe scoperte. Ai piedi portavo dei tacchi alti di un oro brillante, coordinati agli orecchini e al braccialetto che indossavo.
I miei dubbi durarono il tempo di un respiro per poi svanire. Mi truccai pesantemente e uscii di casa, salendo sulla limousine che il mio ragazzo aveva affittato per quella sera. Con lui c’era anche la mia migliore amica, Kate, che altri non era che sua sorella, con il suo ragazzo.
“Ehi, sei uno splendore, bellezza” esclamò James, attirandomi a sé e posandomi un braccio sulle spalle mentre con l’altra mano mi accarezzava una gamba, giocando con l’orlo del vestito. Ridendo, gli allontanai la mano con una sberla. “Dai, non davanti a tua sorella!” esclamai, imbarazzata. James mi guardò contrariato ma non disse nulla, passandosi una mano tra i folti capelli biondi.
“Sai, a volte non ti sopporto proprio quando fai l’innocentina” borbottò a voce abbastanza bassa perché solo io potessi sentirlo. “Tanto lo sai anche tu che ti toglierò questo vestito entro la fine della serata, come ogni volta che usciamo, e mia sorella questo lo sa bene. Quindi non vedo perché non posso toccare la mia ragazza.”
Sbuffai ma sorrisi. “Aspetta fino a dopo il ballo, per favore. Non voglio rovinarmi il trucco solo perché tu ti possa divertire un po’ con me prima di ubriacarti con i tuoi amici.”
“Ti divertiresti anche tu, non negarlo.”
Per fortuna la limousine arrivò davanti alla sala affittata per l’occasione prima che la nostra breve discussione si trasformasse nella solita litigata. Scendemmo dall’auto e James mi strinse a sé, possessivo, e sentii i muscoli da quarterback a contatto con la mia schiena mentre ci scattarono la foto di rito, prima di poter entrare.
La sala era stata allestita senza badare a spese, lo sfarzo era ovunque e l’ambientazione, che tanto andava di moda quest’anno, era in stile ‘Casinò Royale’ con oro e brillanti che scintillavano ovunque.
Passai la serata accanto a James che beveva e rideva con i suoi amici, ignorandomi per la maggior parte del tempo, ad eccezione delle poche volte in cui riuscii a convincerlo a portarmi a ballare.
Alla fine della serata fummo incoronati re e reginetta del ballo, e non poteva essere altrimenti dato che lui era il campione della scuola, il ragazzo più popolare, quello che tutte volevano, e io la sua ragazza, la figlia di uno degli uomini più ricchi in circolazione, e i soldi mi avevano resa fin dal primo anno una delle ragazze più ricercate e popolari del mio liceo.
Tornai a casa la mattina dopo, felice nonostante il comportamento di James cominciasse a irritarmi. Come sempre avevo ceduto, passando la notte con lui in una camera d’albergo, perché è una tradizione fare sesso la sera del ballo e anche se per nessuno di noi due era la prima volta, ero sicura che James non si sarebbe fatto scappare l’occasione.
Forse, il mio poco entusiasmo avrebbe dovuto avvertirmi ma ero troppo giovane per capire che James non era innamorato di me ma solo della mia bellezza, della mia popolarità e dei miei soldi, o meglio, dei soldi di mio padre ma lo avrei capito presto.
Fine flashback

Sentendo il mio nome, ritorno alla realtà e mi guardo intorno, confusa, cercando di capire cosa mi sono persa.
“Bella mi ha detto che avete passato la notte insieme.” Edward ha dato inizio al suo interrogatorio e Alice ha appena il tempo di lanciarmi un’occhiataccia prima di cercare di mettere insieme una risposta che possa andare bene al fratello ma Edward la interrompe all’istante con un ringhio: “E non guardare male Bella, non è colpa sua. Voleva evitare che venissi a prenderti in paese alle due di notte.”
Le sue parole, il suo tentativo di difendermi, mi colpiscono e mi fanno stranamente piacere, anche se non ce n’era certo bisogno; le parole, così strane in bocca ad Edward dopo quello che mi ha urlato il giorno prima, non sfuggono a Rosalie che senza farsi vedere dagli altri mi fa l’occhiolino.
“Stavi per venirmi a prendere?” chiede Alice, sbarrando gli occhi, e un sorriso felice si apre lentamente sul suo volto. Edward annuisce. “Lo avresti fatto veramente?”
“Certo che sì e se non fosse stato per Bella lo avrei fatto veramente. Ti pare che ti lasciavo passare la notte con lui??” chiede e la rabbia nella sua voce è più che evidente ma ha l’unico effetto di far sorridere tutti intorno al tavolo.
“Sono cresciuta ormai” gli fa notare Alice, ridacchiando. “Non mi serve un fratello maggiore iperprotettivo e geloso.”
Il ringhio di Edward fa capire quanto sia contrariato dalla risposta di sua sorella. Ridendo, lo vedo voltarsi verso Jasper con uno sguardo furioso, pronto a mettere in guardia l’amico dall’allungare le mani sulla sua sorellina. Jasper, intuendo cosa passa per la testa di Edward, alza le mani in segno di difesa, sapendo di non poter dire nulla per calmarlo.
“Io avrei una domanda per te, Ed” interviene Emmett con uno sguardo malizioso negli occhi. “Come è riuscita Bella a impedirti di andare a prendere Alice e riportarla a casa di peso? Deve essere stata molto convincente.”
Arrossisco per ciò che Emmett sta insinuando ma tutti gli occhi sono su Edward e nessuno fa caso a me, lasciandomi il tempo di riprendermi e nascondere il mio imbarazzo.
“Mi ha solo detto che Alice dormiva da un’amica e che stava bene” risponde Edward, balbettando appena, a disagio ad essere lui quello sotto interrogatorio ora, al posto della sorella.
Emmett sorride, malizioso. “Sicuro che non abbia detto altro? O fatto altro… Di solito nessuno riesce a distrarti quando sei in modalità fratello geloso.”
“Abbiamo parlato, tutto qui” mormora, passandosi una mano tra i capelli. Sorriso, vedendolo imbarazzato. “Non mi sono comportato molto bene con lei ieri. Volevo scusarmi.”
Il silenzio cala nella sala, le insinuazioni maliziose di Emmett sono ormai dimenticate. Rosalie tiene gli occhi bassi, sentendosi in colpa, mentre Esme e Carlisle sorridono a Edward, orgogliosi del figlio che ha appena ammesso il proprio errore.
“Che hai fatto??” lo attacca Alice, guardandolo furiosa. A quanto pare nessuno ha voluto dirle nulla di ciò che è successo ieri, nemmeno Jasper le ha detto nulla, preferendo lasciarla all’oscuro.
Edward si ritrova ad affrontare una furia che non mi aspettavo; Alice sa essere terribile quando vuole ma dalla reazione piuttosto calma di Edward non deve essere la prima volta che vede la sorella arrabbiata. “Abbiamo avuto solo qualche divergenza di opinioni” risponde, diplomatico, ma Alice non gli crede e lo fissa con sguardo indagatore, aspettando una risposta migliore che però non arriva. Così si volta verso di me. “Cosa ha combinato, Bella?”
“N-niente” balbetto sotto gli sguardi di tutti; chi curioso, chi ansioso, tutti mi stanno fissando. Non mi è mai piaciuto trovarmi sotto i riflettori ma ora è anche peggio. Alice non mi crede nemmeno per un secondo, lo capisco da come mi fissa arrabbiata, e così cerco di rimediare: “Davvero, Alice, non è successo nulla. Abbiamo solo avuto qualche contrasto.”
“Riguardo a cosa?” insiste, continuando a fissarmi. Alle sue spalle vedo lo sguardo spaventato di Rosalie. So cosa teme ma non sarò io a parlarne.
“Alice, non è importante. Lascia stare” rispondo, pregandola con lo sguardo di lasciar perdere almeno per una volta e non insistere ma Alice non è affatto d’accordo e mi fissa furiosa. “Lo stai difendendo?? Ha appena ammesso di essersi comportato male con te e tu lo difendi? Posso sapere cosa cazzo è successo ieri?” chiede esasperata.
“Alice!” la riprende Esme, sentendola usare un’altra parolaccia. Edward, scandalizzato quasi quanto la madre, mette le mani intorno alla testa di Lily, impedendole di sentire qualcos’altro e lancia un’occhiataccia a Alice. “Puoi evitare di dire certe cose davanti a Lily? Ha solo due anni e vorrei evitare che se ne vada in giro parlando come una scaricatrice di porto.”
Guardo Edward sconvolta, sorpresa dal suo gesto così rapido, quasi istintivo, ma non sono l’unica a fissarlo con gli occhi spalancati e non passa molto perché Edward si accorga di essere di nuovo al centro dell’attenzione. “Che c’è?” chiede imbarazzato, allontanandosi in fretta da Lily. “È piccola. Non volevo che sentisse brutte parole.”
“Brutte parole?” lo prende in giro Emmett, trattenendosi dal ridergli in faccia. Edward lo fulmina con lo sguardo e si volta verso di me, controllando la mia reazione. Sorrido e annuisco. “Grazie. Lo faccio sempre anch’io quando qualcuno esagera. Ormai Lily ha imparato a non ascoltare, vero amore?” chiedo, guardando la mia bimba che sentendo il proprio nome alza lo sguardo su di me e con un sorriso enorme sul volto annuisce e si copre le orecchie con le sue manine, premendo forte.
La risata di Rosalie attira l’attenzione di tutti. Emmett la guarda con un sorriso dolce mentre Rose prende le mani di Lily e le stringe piano. “Brava, tesoro. Dovrai coprirti spesso le orecchie con questi due qui” mormora, indicando con un dito Alice ed Emmett, e le lascia un bacio sulla testa, come ormai fa ogni volta che la incrocia per casa.
“Sto lontana da casa un giorno e qui succede di tutto” borbotta Alice, contrariata di essere l’unica all’oscuro. “Prima o poi scoprirò cos’è successo.”
La minaccia fa sospirare Edward che, dopo aver alzato gli occhi al cielo per l’ennesima volta davanti all’insistenza di Alice, confessa: “Ho reagito male quando ho scoperto che vive qua con la sua bambina. Tutto qui.”
L’espressione scioccata di Alice mi fa capire subito che per lei non è tutto qui, anzi. Cercando di limitare la sfuriata che si sta preparando, intervengo: “È stato solo uno stupido malinteso. Mi ha chiesto scusa e ci siamo chiariti. È tutto a posto, Alice.”
Alice mi guarda solo per un attimo, scettica, prima di tornare a fissare Edward con tutta la sua rabbia. “È la verità?”
“Non le credi?” prende tempo Edward. Ormai la colazione è diventata un teatrino e nessuno vuole perdersi lo spettacolo. O più probabilmente nessuno osa intervenire per paura che Alice attacchi anche loro. È piccola ma mette paura.
Lo sguardo scettico di Alice è una risposta sufficiente. Poi s’immobilizza e spalanca gli occhi, chiedendo in un sussurro: “È per Elisabeth?”
In un secondo il clima allegro in cucina sparisce sostituito dal gelo. “Alice, questa volta hai esagerato” la riprende Carlisle serio e Alice reagisce come se fosse appena stata schiaffeggiata.
“Mi dispiace” mormora, abbassando gli occhi, ma subito ritorna a guardare Edward. “Volevo solo dire che Bella non è come Elisabeth.”
“Smettila” le intima Edward, fissandola gelido. Lancia una rapida occhiata verso di me, poi torna a guardare Alice. “Non ne voglio parlare.”
“Ma Bella non farebbe mai come Elisabeth” comincia Alice, ignorando le sue parole. Lo sguardo rapido che Edward lancia di nuovo verso di me mi fa intuire che forse non ne vuole parlare davanti a me. Sono curiosa di scoprire qualcosa di più su di lui, soprattutto se mi permette di capire il motivo del suo comportamento, ma non è il momento adatto. Non è pronto e io non voglio costringerlo.
“Lily, tesoro, andiamo a giocare?” chiedo, prendendola in braccio con un sorriso, ignorando tutti gli altri. Lily si stringe al mio collo urlando: “Sì!”
“Bella!” mi chiama Edward, cercando di bloccarmi, ma non mi fermo, richiamando Oliver mentre esco dalla stanza. Sento le voci arrabbiate provenire dalla cucina ma cerco di non ascoltare mentre vesto Lily prima di uscire di casa.
Appena la porta si chiude alle nostre spalle, poso Lily a terra e la spingo verso il giardino dove Oliver sta già giocando con un bastone ma lei non si allontana da me. Mi tira i jeans, richiamando la mia attenzione, e mi guarda triste.
“Che c’è, tesoro?” mi preoccupo, prendendola di nuovo in braccio. “Non stai bene? Hai freddo? Vuoi tornare in casa?” Lily scuote la testa e con un dito indica la finestra della cucina. Sorrido. “Non ce l’hanno con te, tesoro. Stanno solo parlando di argomenti noiosi. È più divertente giocare, non ti sembra?”
Lily mi guarda concentrata per qualche secondo, poi annuisce e sorride, sporgendosi dalle mie braccia per farsi mettere a terra. Appena la poso in giardino, corre via a giocare con Oliver che abbandona subito il suo bastone per inseguirla.
Con un sospiro mi avvio verso il giardino, seguendo i miei due cuccioli, ma mi volto un paio di volte verso la casa senza nemmeno accorgermene, così impegnata a seguire il corso dei miei pensieri da non rendermene conto. Sono le grida di Lily a richiamare la mia attenzione e per un secondo, un lunghissimo secondo, trattengo il fiato spaventata ma poi la sento ridere e scopro che è stato Jacob a farla urlare: le è arrivato alle spalle senza che lo vedesse e l’ha afferrata, facendola volare sopra le sue spalle.
“Vorrei riaverla tutta intera, se non ti dispiace” lo avverto con un sorriso; non mi fido di lui abbastanza da non avere il terrore che le possa cadere e che Lily si possa fare male.
“Ciao, Bella” mi saluta, lasciando andare la mia bambina che si lancia di nuovo di corsa verso la sua nuova meta. Scuoto la testa, sorridendo davanti alla sua energia infinita. “Ora è ancora lenta ma quando imparerà a correre non la fermi più.”
“Non me lo ricordare” sospiro, fingendomi disperata all’idea. “Fortuna che ci sarà Oliver a starle dietro.”
“Oh, lui sicuramente saprà tenerla d’occhio. È un ottimo cane da guardia.”
Sorrido e annuisco, prendendo da terra un bastone, poi richiamo l’attenzione di Oliver e lo lancio con forza. Spicca una corsa incredibile e afferra il bastone al volo per poi riportarmelo e posarlo ai miei piedi. “Gli hai insegnato bene” commento, guardando Jacob che osserva il cane, soddisfatto.
“Ho sentito che è tornato Edward Cullen ieri mattina.” Il commento sembra buttato lì per caso, quasi come se non gli importasse granché della risposta ma c’è qualcosa nel tono della sua voce che mi mette all’erta.
Annuisco lentamente mentre mi rigiro il bastone in mano e lo lancio di nuovo, prendendo tempo. “Sono tutti molto felici di rivederlo” dico alla fine.
“Come ti è sembrato?” chiede, insistendo un po’ di più questa volta. “Ti è simpatico?”
Prendo altro tempo, afferrando il bastone che Oliver mi ha diligentemente riportato e rilanciandoglielo con forza. “È arrivato solo ieri” rispondo con un’alzata di spalle, “ma mi sembra simpatico.”
La smorfia sul volto di Jacob mi fa capire subito che la mia risposta non gli è piaciuta affatto ma dura un secondo e poi il sorriso torna sul suo volto. “Mi fa piacere! Non avrai problemi in casa ora che è tornato, vero?”
“No, non credo. Esme me lo avrebbe detto.”
“Bene” risponde deciso, annuendo una volta, poi si apre in un sorriso eccitato. “Stasera c’è il ballo d’inverno in paese. Credo che sia uno degli eventi più attesi dell’anno da queste parti.”
“Sì, Alice è una delle organizzatrici ed è fuori di testa. Non credo di aver mai visto nessuno così eccitato per qualcosa.”
Jacob scoppia a ridere. “Sì, posso immaginarlo. Alice è sempre stata così. Però sembra che quest’anno sia veramente imperdibile. Che ne dici di andarci? Potremmo mangiare qualcosa in centro e poi andare a curiosare.”
Sorrido ma scuoto la testa. “Mi piacerebbe ma avevo già promesso ad Alice che ci sarei andata e lei ha chiesto ad Edward di accompagnarmi.”
“Peccato” mormora lui, deluso dal mio rifiuto. “Vorrà dire che mi racconterai.”
Annuisco ma prima che possa aggiungere qualcosa mi sento chiamare da una voce che conosco anche troppo bene, soprattutto dato che la conosco da meno di un giorno.
“Bella!”
Mi volto verso la casa e vedo Edward corrermi incontro con uno sguardo preoccupato negli occhi. Saluto Jacob e gli vado incontro. “Che succede? Tutto bene?”
“Non dovevi andartene via” mette subito in chiaro, fermandosi davanti a me. “Alice ha tirato fuori un argomento di cui non mi piace parlare ma non per colpa tua. Non ho reagito così perché c’eri tu.”
Sorrido. “Va bene. Non sono arrabbiata.”
“Davvero?” chiede sorpreso e vedendomi annuire, decisa, si calma un po’. “Se non te ne sei andata per colpa mia, allora perché te ne sei andata?”
“Ho pensato che avreste parlato con più calma senza me e Lily intorno” ammetto, distogliendo lo sguardo per controllare Lily che in quel momento sta raccogliendo, o meglio strappando, fiori da una delle preziose aiuole di Esme. “Tesoro, Esme adora quei fiori. Non strapparli così, per favore.”
Lily mi guarda e annuisce, rimettendo nella terra i fiori che ha tra le mani pensando di poter sistemare le cose. Sorrido, scuotendo la testa, divertita dalla sua ingenuità.
“Quindi avevo ragione” sbuffa Edward, cercando i miei occhi. Quando incontro quelle pozze verde smeraldo che sono i suoi occhi, mi ci perdo, dimenticando per un secondo tutto il resto. “Non penso più tutte quelle cose che ti ho urlato ieri, lo sai questo, vero? Non credo più che tu ti stia approfittando della mia famiglia.”
Annuisco. “Lo so. Me lo hai già detto stanotte. L’ho capito.”
“Ma non mi hai perdonato.” La sua non è una domanda ma io scuoto la testa, facendo un vago gesto con la mano, come se stessi scacciando un insetto fastidioso. “Non è quello il problema” mi lascio sfuggire, pentendomene subito; lo sguardo di Edward si fa ancora più attento e concentrato.
“Qual è il problema?”
Distolgo lo sguardo, abbassandolo a terra prima di alzarlo e guardare ovunque tranne che dalla sua parte, cercando di riguadagnare un po’ di lucidità. “Il problema è che non voglio essere giudicata per le mie scelte da qualcuno che non mi conosce” ammetto in un sussurro ma più parlo, più trovo il coraggio di continuare, “e soprattutto non voglio che qualcuno che non la conosce dica una sola parola contro Lily.”
Edward mi guarda senza parole, gli occhi spalancati, sorpreso dalle mie parole. Quando ritrova la voce, le parole si accavallano l’una sull’altra tanta è la fretta di spiegarsi. “Non farei mai una cosa del genere! Non oserei mai dire niente su Lily! Stanotte mi hai frainteso e non mi hai lasciato spiegare.”
Incrocio le braccia al petto, mettendo un po’ di distanza tra noi, e lo guardo. “Bene, allora spiegati.”
“Quelle cose le pensavo prima di conoscerti” comincia, parlando il più in fretta possibile in modo da non lasciarmi il tempo di interromperlo, “ma ti conoscevo solo attraverso le parole di Rose e lo sai anche tu come ti ha dipinta. So che Rose ti ha parlato. Quando poi ti ho incontrato, ho capito di essermi sbagliato sul tuo conto. Completamente. Ami Lily incondizionatamente, te lo si legge negli occhi ogni volta che la guardi o parli di lei. Persino solo sentendola nominare i tuoi occhi si illuminano.”
Arrossisco, imbarazzata dalle sue parole, ma Edward si limita ad accennare un sorriso, divertito suo malgrado dalla mia reazione, e continua: “Faresti qualsiasi cosa per lei, per proteggerla, per renderla felice. Lily, per te, viene prima di tutto e tutti. Persino prima di te, ne sono sicuro.”
“È la mia bambina” rispondo con un sussurro, annuendo. “È la persona più importante della mia vita. È tutto il mio mondo.”
Edward annuisce, sorridendo dolce. “Lo so. Per questo ti chiedo scusa, di nuovo, per tutte le cose che ti ho detto e per tutto ciò che ho pensato di te. A mia discolpa posso solo dire che Alice ha ragione. Non ho reagito in quel modo solo perché credevo che stessi usando la mia famiglia.”
“Non importa” lo interrompo con un sorriso, sciogliendomi dalla posa rigida in cui ero per posargli una mano sul braccio. “Sei perdonato.”
Edward mi sorride, felice e decisamente più tranquillo e rilassato rispetto a pochi minuti prima ma non ha il tempo di aggiungere nulla perché Lily gli porge il bastone con cui stavo giocando con Oliver, esclamando: “Batone!”
“Ma che bel bastone” mormora Edward a disagio, prendendo il pezzo di legno che la bambina gli sta porgendo felice. “Dove lo hai trovato?”
“Batone!” esclama Lily, di nuovo, con più forza.
Ridacchiando, spiego: “Vuole che lo lanci così Oliver lo può prendere e riportare. Credo che sia uno dei loro giochi preferiti ma lei è ancora troppo piccola per riuscire a lanciarlo lontano quanto vorrebbe.”
“Vuoi che lo lanci?” chiede, guardando Lily, capendo finalmente la sua richiesta. Quando la vede annuire, sorride ed esclama: “Pronta a un lancio lunghissimo?”
“Sì!” urla, battendo le mani eccitata. “Batone!”
“Via!” urla Edward a sua volta, lanciando il bastone con tutta la sua forza. Oliver schizza via, lo sguardo fisso sul suo obiettivo che vola attraverso il prato fino quasi al limitare del bosco. Quindi lo prende in bocca e torna di corsa per posarlo ai piedi di Edward, aspettando scodinzolando che lo tiri un’altra volta.
Il gioco va avanti a lungo, incitato da Lily e Oliver che sembrano non averne mai abbastanza, ma Edward non si tira indietro, continuando a tirare il bastone, ogni volta un po’ più vicino.
“Cominci ad accusare un po’ di stanchezza?” lo prendo in giro, vedendo che ormai Oliver riesce di nuovo a prenderlo al volo, segno che non sta più andando così lontano. Edward mi guarda e annuisce, prendendo di nuovo il bastone dalle mani di Lily che ormai saltella dall’entusiasmo. “Ti puoi fermare se sei stanco. O se sei stufo.”
“No” mormora, scuotendo la testa, dopo l’ennesimo lancio. “Si diverte così tanto. Come fai a dirle di no quando ti guarda con quegli occhioni?”
Rido, togliendogli il bastone dalle mani. “Fidati. Lei lo sa perfettamente e lo usa contro di te. Non lasciarle capire che ti ha in pugno.”
Il tono quasi cospiratorio fa scoppiare a ridere Edward fino quasi alle lacrime. “Sembra che parli di un piccolo mostro invece che di una bambina di due anni.”
Ridiamo, davanti allo sguardo curioso di Lily che aspetta impaziente di ricominciare il gioco, quando una voce richiama la nostra attenzione.
“Edward!”
Ci voltiamo tutti e tre verso il sentiero che dal bosco porta alla casa e vediamo una ragazza della mia età, forse di qualche anno più grande, venirci incontro. Ha lunghi capelli biondi che le incorniciano un volto perfetto, grandi occhi azzurri, e cammina sui tacchi alti con l’eleganza di chi è abituata a portarli tutti i giorni.
Edward sorride, alzando una mano per salutarla. “Ciao, Tanya!”
Credo di odiare il nome Tanya.


Eccomi di nuovo qui. Sono successe tante cose in questo capitolo. Bella ed Edward hanno finalmente chiarito e hanno fatto pace, sperando che possa durare; Alice e Jasper hanno affrontato l’interrogatorio del fratello maggiore geloso. È spuntato il nome di questa Elisabeth che causa qualche problema ad Edward. Chi sarà? Qualche idea? E poi non poteva mancare Tanya. Bella dovrà affrontare un’altra sfida prima di potersi godere un po’ di calma.
Vedremo nel prossimo capitolo cosa succederà.
Grazie per tutte le vostre recensioni! Sono sempre molto apprezzate.
A presto!

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Capitolo 9
*** Gelosia ***


Buongiorno a voi!
Vi lascio al nuovo capitolo e ci rivediamo in fondo :)


Capitolo 8


Edward va incontro alla ragazza bionda con un sorriso allegro, dimenticandosi del gioco con Lily, dimenticandosi di tutto il resto che non fosse la nuova arrivata e il suo passo sinuoso.
Oliver, sentendosi abbandonato, lo rincorre per un po’ sperando di vederlo lanciare il bastone un’ultima volta ma quando Edward non lo guarda nemmeno, torna di corsa dalla sua padroncina che mi sta guardando curiosa.
“Sarà una sua amica, tu cosa pensi, amore?” chiedo con un sorriso, accarezzandole la testa e giocando con un ricciolo. Lily mi guarda e sorride, senza capire le mie parole. Dopo un’ultima occhiata verso Edward, chiedo: “Che ne dici se andiamo a disegnare? Comincia a fare freddo qui fuori.”
Lily annuisce con entusiasmo, prendendomi la mano e cercando di tirarmi con tutta la sua forza verso casa. Ridacchiando, mi lascio trascinare verso la porta d’ingresso. Lungo la strada faccio cenno a Oliver di seguirci e cerco di incrociare lo sguardo di Edward per avvertirlo che stiamo rientrando ma lui è troppo preso dalla sua nuova amica per accorgersi di qualcosa.
Faccio un respiro profondo, rendendomi conto che sono gelosa e non ho alcun motivo per esserlo. Come se fosse il mio ragazzo. Siamo a malapena amici e poi per quel che ne so la ragazza potrebbe essere una sua parente. Non è così che succede di solito, nei film? Fai la figura della pazza gelosa e poi il tuo lui ti rivela che la ragazza in questione è la sorella, la cugina o la zia.
Sbuffai. “Figurati se sono parenti” borbotto, attirando l’attenzione di Lily che mi guarda confusa. Sorrido e scuoto la testa. “Dai, andiamo a disegnare.”
Appena entriamo in casa il calore ci avvolge e sulle guanciotte piene di Lily compaiono due chiazze rosse. Mi affretto a svestirla prima che scappi via per andare a prendere fogli e colori e poi mi tolgo la giaccia, guardandomi intorno divertita dalla confusione che regna in casa.
“Dov’è la mia giacca?” urla Emmett, tirando fuori la testa dal guardaroba in cui era immerso con tutto il corpo. Le risposte di Rose ed Esme mi fanno ridere: “Se vengo lì e la trovo, le prendi!”
Prima che Emmett possa impazzire, entro nel guardaroba, spingendo da parte il corpo pieno di muscoli del ragazzo, e in pochi secondi trovo la sua giacca pesante.
“Grazie!” esclama Emmett, prendendo la giacca e scoccandomi un bacio sulla guancia prima di voltarsi verso le scale e urlare: “L’ho trovata! Io vado! Ci vediamo stasera!” e in un attimo è fuori dalla porta.
“Aspetta! Vengo con te” urla Rose, prima che la porta si richiuda alle spalle del suo ragazzo. “Ciao, Bella, a stasera” mi saluta, passandomi davanti di corsa, con i tacchi che risuonano sul pavimento e la ventiquattr’ore che le sbatte sul fianco.
“Ciao, Rose, buon lavoro” mormoro con un cenno di saluto della mano. Quando la porta si richiude, mi avvio verso la cucina dove so di trovare Lily già pronta con tutto l’occorrente per disegnare ma appena entro in cucina sento l’ennesimo urlo scuotere la casa.
“Mamma!” urla Alice con un acuto che mi perfora i timpani. “Dov’è il foulard che Ed mi ha portato da Parigi? Quello rosso e oro!”
La risposta di Esme arriva attutita ma il lamento di Jasper attira la mia attenzione. “Se vuoi un consiglio, scappa finché sei in tempo” mormora il ragazzo, entrando in cucina furtivamente, guardandosi intorno come se temesse di veder spuntare chissà quale pazzo alle sue spalle. Parlando di Alice, forse non ha tutti i torti.
“Che succede?” chiedo, prendendo Lily in braccio e facendola sedere al tavolo. “Ecco, tesoro, cosa vuoi disegnare?”
Lily afferra una matita e comincia a disegnare senza rispondere, così concentrata che la sua lingua spunta tra le labbra. Sorrido e mi siedo accanto a lei mentre Jasper si siede di fronte e con un sospiro, posa la testa sul tavolo. “Stasera ci sarà il ballo d’Inverno e Alice è fuori di testa. Più del solito.”
Ridacchio. “Fammi indovinare. Non sa cosa mettere, niente le sta bene, non trova le scarpe adatte, non riesce a truccarsi come vorrebbe?”
Jasper alza la testa e mi guarda con un sorriso divertito. “Sì, qualcosa del genere. Non so come faccia Esme ad avere tanta pazienza con lei. L’ho accompagnata a fare shopping un paio di mesi fa. L’errore più grande della mia vita.”
Ridacchio di nuovo. “Posso immaginarlo. Mia sorella era uguale ad Alice” mormoro con lo sguardo perso nel vuoto mentre ripenso a Victoria, “ma più viziata.”
Se Jasper è sorpreso di sentirmi parlare della mia famiglia, non lo lascia vedere. “Faccio fatica a crederlo” borbotta, lanciando un’occhiataccia verso il soffitto, dove da qualche parte si trova l’uragano Alice. Sorrido, sapendo che in realtà sta solo scherzando e adora tutto di quella ragazzina così esuberante e piena di energia.
“Edward dov’è?” chiede improvvisamente, guardandomi interrogativo. “Credevo che fosse fuori con te.”
Una smorfia mi compare sul volto e lancio un’occhiata verso la finestra attraverso cui riesco a intravedere Edward e la nuova arrivata parlare. “È arrivata una ragazza poco fa. Credo che sia una sua amica” rispondo indifferente, guardando le linee colorate che Lily sta tracciando sul suo foglio. E su parte del tavolo. Fortuna che non è prezioso e con una spugna riesco sempre a togliere tutto e farlo tornare come prima.
“Una sua amica?” chiede Jasper confuso. “Credevo che ormai non fosse rimasto più nessuno in paese che conoscesse. Non aveva molti amici a liceo e quei pochi se ne sono andati per frequentare università prestigiose in giro per il Paese e nessuno di loro è più tornato.”
“È quasi Natale” gli faccio notare. “Torneranno tutti per le feste a trovare la famiglia.”
“Tu sei qui e non mi sembri intenzionata a tornare dalla tua famiglia per le feste. O mi sbaglio?” chiede Jasper.
Lo guardo ma distolgo subito lo sguardo. Sarebbe facile parlare con lui, confidarmi e togliermi un peso dalle spalle, ma non lo posso fare. “La mia situazione è diversa.”
“Di questo ne sono sicuro.”
Restiamo in silenzio, tutte le cose non dette che aleggiano tra noi rendono l’aria pesante, con l’unico suono della matita di Lily che gratta sui fogli bianchi. Imbarazzata dal silenzio tra noi, mi alzo e prendo una fetta di torta avanzata dal giorno prima e due forchette per dividerla con Jasper che ha già l’acquolina in bocca alla vista di tutto quel cioccolato.
Dal piano di sopra vengono rumori strani, colpi secchi, urla e risate; è sempre così quando Alice deve prepararsi per una serata importante. Esme mi ha raccontato che per il suo primo appuntamento ha tirato fuori tutti i suoi vestiti, sommergendo la stanza di stoffe colorate, provato tutte le scarpe, segnando irrimediabilmente il legno del pavimento, e ha provato almeno dieci modi diversi di truccarsi, per poi passare una giornata intera a fare shopping perché non aveva nulla da mettere.
Ho riso così tanto quando me lo ha raccontato. Per fortuna, in vista del ballo ha già fatto shopping e ora deve solo abbinare abito, scarpe e trucco; una faccenda di vitale importanza che porterà via ad Alice tutta la giornata.
“Vieni, entra!”
La voce di Edward mi fa sobbalzare. Sento i suoi passi avvicinarsi alla cucina, accompagnato dal fastidioso rumore dei tacchi della ragazza. Meno di un minuto dopo entrano insieme in cucina, con un sorriso allegro sul volto. “Vuoi qualcosa da bere? O da mangiare?” chiede Edward, gentile, sorridendole, poi si volta verso di noi e il suo sguardo cade sulla torta. “Ehi, cosa mangiate? Quella non è una fetta della torta di ieri, vero?”
Sorrido e annuisco ma è Jasper a rispondere: “Sì ed è buonissima. Bella ci vizia.”
“Ma smettila!” esclamo, ridacchiando mentre scuoto la testa, imbarazzata. “Siete voi che siete degli ingordi. Se non preparassi un dolce ogni giorno, sareste capaci di mangiarvi persino la tovaglia.”
“Emmett sicuramente” concorda Edward, facendomi l’occhiolino. Arrossisco al suo gesto e distolgo lo sguardo per non vedere l’occhiata furiosa della ragazza al suo fianco.
“Ed, vorrei un bicchiere di succo di pompelmo se non ti dispiace” chiede la sua amica, cercando di attirare l’attenzione di Edward che si volta verso di lei, ricordandosi solo in quel momento della sua presenza.
“Oh, sì, scusa!” esclama Edward, guardandosi intorno con lo sguardo perso. “Non so se abbiamo del succo di pompelmo. Sono tornato a casa da poco e non ho idea di cosa ci sia e cosa no.”
Con uno sbuffo, faccio un cenno con la testa verso il frigo. “Ho comprato del succo di pompelmo rosa tre giorni fa. Ne è rimasto sicuramente almeno un bicchiere.”
“Grazie” mormora Edward, prendendo un bicchiere pulito e servendo il succo fresco alla sua amica, invitandola a sedersi al tavolo con noi.
“Ciao, Tanya” la saluta Jasper con un sorriso. “Come mai da queste parti?”
“Ciao, Jasper” lo saluta Tanya con freddezza, accennando appena un sorriso. “Sono tornata per le vacanze di Natale. Era da un po’ che mancavo da casa e cominciavo a sentire nostalgia della mia famiglia. E poi a Natale si deve stare in famiglia, non trovate anche voi?” chiede, sorridendo a Edward, e la sua voce sembra una carezza. Se sta cercando di fare colpo, ci sta riuscendo; Edward è a disagio e si muove sulla sedia come se fosse seduto su un cactus.
L’accenno alla famiglia mi colpisce, riportandomi a qualche anno fa quando festeggiavo il Natale a casa e non riesco a trattenermi: “È bello poter tornare a casa per Natale.”
Il mio tono di voce, triste e nostalgico, attira l’attenzione di tutti intorno al tavolo e i loro sguardi non mi piacciono per niente. Tanya è curiosa, quella curiosità che ti spinge a scoprire i segreti di tutti per poi poterne sparlare in giro; Jasper è dispiaciuto per me, dopo la nostra chiacchierata di poco fa credo abbia intuito più di quanto avrei voluto; Edward, invece, mi guarda a lungo, in silenzio, con gli occhi che cercano i miei. Distolgo lo sguardo, tornando a guardare Lily.
“E tu chi sei?” chiede Tanya con un sorriso gelido, poi si volta verso Edward con un sorriso svenevole sulle labbra tinte di rosso acceso. “Oh, aspetta! Ma certo! Sei la sorella di Edward, giusto?” esclama con un tono di voce che mi irrita all’istante e senza aspettare una risposta, continua: “Sembri molto più grande dei tuoi diciotto anni. E la bambina? Non mi hai detto che Esme ha avuto un’altra figlia. Non è un po’ troppo vecchia per certe cose?”
La fisso sconvolta. Jasper abbassa lo sguardo sul tavolo, sforzandosi di non ridere, mentre Edward, imbarazzato, scuote la testa. “Avrei dovuto presentarvi prima. Tanya, lei è Bella. Non è mia sorella. Lavora per mia madre. Mia sorella Alice è da qualche parte al piano di sopra a provare abiti per il ballo di stasera, immagino.”
“Oh, il ballo d’Inverno!” esclama Tanya, posando una mano sul braccio di Edward e stringendolo appena. “Ti ricordi? Era stato tutto perfetto. Il mio abito era così bello, elegante e così sexy. Sei impazzito quando mi hai visto, non te lo ricordi?” mormora a voce tanto bassa che faccio fatica a sentirla ma siamo sedute troppo vicine perché le sue parole possano passare inosservate. Edward arrossisce e si passa una mano tra i capelli, senza sapere cosa rispondere. “E poi ovviamente siamo stati nominati re e reginetta del ballo. Credo di avere ancora la corona sulla mia scrivania.”
Ripenso alla corona che anch’io ho ricevuto al ballo di fine anno: un piccolo diadema argentato con alcune gocce di vetro colorato. È rimasta sulla mia scrivania per mesi e non facevo che guardarla, finché non ho capito che vincerla non aveva cambiato nulla. Anzi.
L’ho regalata a mia sorella quando mi sono accorta che entrava nella mia stanza di nascosto per ammirare quella stupida corona, provarla e fingere di essere la reginetta della scuola. Nel giro di qualche mese mia sorella parteciperà a quello stesso ballo e sono più che sicura che farà di tutto per vincere la sua preziosa corona. La mia è rimasta sulla sua scrivania per anni, e forse è ancora lì, in attesa che una seconda corona inutile vada a farle compagnia.
Persa nei miei pensieri sento appena la voce di Tanya ma le sue parole non mi sfuggono, soprattutto quando riguardano Lily.
“Ehi, sta scarabocchiando sul tavolo!” esclama Tanya, indicando la mia bambina che presa dalla foga del disegno ha ormai oltrepassato i confine del suo foglio bianco per colorare tutto il tavolo.
Sobbalzo, colta di sorpresa dal suo urlo stridulo, e come me anche i due ragazzi. Seguendo il dito puntato verso Lily, guardo cosa sta combinando ma sorrido, rilassandomi, quando mi rendo conto che va tutto bene. “Tranquilla, sta solo disegnando. Dopo pulisco tutto e il tavolo torna come nuovo.”
Tanya mi guarda dubbiosa, così Edward la rassicura, annuendo. “Bella ha ragione. Mia madre ha comprato questo tavolo proprio perché si poteva pulire facilmente. Tutti noi abbiamo disegnato qui combinando di quei disastri che non ti immagini. Lily, a confronto, è bravissima.” Sorride alla mia bimba, divertito dal capolavoro che sta creando con le sue matite di tutti i colori.
Tanya fa spallucce, indifferente, e torna a parlare del ballo. “Che ne dici di andare al ballo questa sera? Insieme? In memoria dei vecchi tempi” aggiunge alla fine con tono malizioso, posando una mano sul braccio di Edward e accennando una leggera carezza.
Edward sorride. “Vado già al ballo. Mia sorella mi ha chiesto di accompagnare Bella. Puoi venire con noi se vuoi” propone, lanciandomi un’occhiata veloce per assicurarmi che mi vada bene.
Lo guardo, sorpresa dalle sue parole e per niente contenta; avrei voluto passare la serata con lui, parlare, magari ballare, ma non posso certo dirglielo. Così annuisco con un sorriso, fingendo indifferenza.
Non era un appuntamento, siamo solo amici, mi ripeto mentre guardo Tanya parlare del vestito che metterà quella sera, di quante persone che conoscono ci saranno, di quanto sarà divertente. So già che mi sentirò fuori posto. Sospiro e mi metto a disegnare con Lily, fingendo che tutto il resto non ci sia.
“Cosa stai disegnando, amore?”
“Oliver” mi spiega, indicando un insieme di linee e curve colorate, poi indicando un altro punto continua: “Mamma.”
“Ma che brava che sei” mi complimento con lei, prendendo una matita blu e cominciando a disegnare un piccolo fiore. Jasper ed Edward, attirati dalle mie parole, ammirano il disegno di Lily, facendole così tanti complimenti da farla ridacchiare. Tanya, accorgendosi che nessuno le sta prestando attenzione, lancia una veloce occhiata al foglio e sbotta: “Ma è uno scarabocchio! Non si capisce nemmeno cos’è.”
Le lancio uno sguardo infuriato, controllando che Lily non sia rimasta ferita dalle sue parole ma la mia bambina, anche se piccola, non si fa mettere i piedi in testa da nessuno e tenendo la testa alta, risponde: “Oliver!”
“Brava, bimba!” esclama Edward con una risata. “È Oliver, non ci sono dubbi.”
Tanya lo guarda scettica ma poi sorride, voltandosi verso Lily. “E chi è Oliver, tesoro? Un tuo amico?”
“Oliver!” esclama, puntando il dito verso il suo cucciolo che, sentendosi chiamare, alza la testa dal suo angolino preferito e abbaia. Tanya si volta sorpresa e, vedendo il cane, spinge la sedia verso Edward, allontanandosi di qualche centimetro dall’animale.
“Cosa ci fa quel cane in cucina?” esclama inorridita.
Sorrido, facendo cenno a Oliver, che sentendo Tanya alzare la voce si è alzato in piedi, di stare tranquillo; ubbidiente, si sdraia di nuovo con lo sguardo fisso su Lily. “È il cane di Lily e la segue dappertutto.”
“Tua madre si è addolcita negli anni” borbotta a bassa voce Tanya, lanciando un’occhiataccia a Edward. “Quando eravamo piccoli, non avrebbe mai permesso a un cane di entrare in casa. Figurati in cucina.”
Edward guarda Lily con un sorriso dolce. “Tutte le nonne si addolciscono con i nipotini, soprattutto se sono belli come lei” risponde, facendomi l’occhiolino.
“Nonna?” chiede Lily, alzando la testa e guardando Edward confusa.
“Nonna?” esclama Tanya sorpresa.
Sorrido e annuisco, spiegando a Lily il significato della parola nonna. Non è la prima volta ma sembra che lo dimentichi sempre. O, forse, vuole solo sentirselo ripetere. “La nonna è la mamma della tua mamma.”
“O del tuo papà” aggiunge Edward con un sorriso.
Tanya lo guarda scioccata. “Credevo che Esme avesse avuto un’altra figlia. Di chi è, invece? Non è tua, vero?” chiede e lo fissa come se dalla sua risposta dipendesse tutta la sua vita.
Edward la fissa sconvolto e scuote la testa con forza. “No, non è mia figlia. Certo che no!”
La sua risposta mi colpisce. Dal tono di voce capisco che l’idea di avere un figlio lo infastidisce. Con un sospiro rispondo: “È mia figlia.”
Lily alza lo sguardo su di me e sorride. “Mamma.”
“È tua figlia??” urla sconvolta. “Ma avrai vent’anni!”
Faccio spallucce. “A volte non si può scegliere.”
“Avresti potuto abortire” ribatte come se fosse ovvio.
Questa volta tocca a me guardarla inorridita. “Non potrei mai abortire!” esclamo, lasciando una carezza sulla testa di Lily.
“E i tuoi genitori? Ti hanno lasciato portare avanti la gravidanza senza dire niente?”
“Non era una loro scelta” rispondo con calma. Non voglio risponderle male, anche se non mi piace il tono con cui mi parla e, soprattutto, non mi piace che creda di potermi fare tutte queste domande.
“Tanya” mormora Edward, cercando di frenare l’amica ma lei sembra non sentirlo, o lo ignora volutamente, e continua con le sue domande. “Come mai non sei a casa dei tuoi genitori? Insomma, con una bambina così piccola come fai senza di loro?”
“Ho fatto senza di loro per tutta la vita” sussurro con rabbia per poi continuare a voce più alta, “e sono qui perché ho bisogno di lavorare ed Esme mi ha offerto un lavoro.” Le mie risposte sono il più lapidarie possibili ma questo non scoraggia Tanya che continua imperterrita. “E il padre? Chi è? E dov’è? Non ti può aiutare?”
Ripensando al padre di Lily, non posso fare a meno di abbassare la testa per nascondere una smorfia. Dopo qualche secondo, faccio un respiro profondo ed alzo di nuovo lo sguardo su Tanya ma prima che possa aprire bocca, ci pensa Lily a rispondere al mio posto e la sua risposta mi stringe il cuore.
“No papà.”
Gli occhi di tutti sono su di lei che, come se niente fosse, torna al suo disegno. E poi guardano tutti me, aspettando che dica qualcosa. Sospiro. “Il padre non c’è.”
“Cosa vuol dire che non c’è?” chiede Tanya, lanciandomi un’occhiata infastidita; dal suo tono di voce sembra che si stia rivolgendo a una bambina capricciosa. “Da quel che ne so i bambini si fanno in due, quindi un padre da qualche parte c’è, non ti pare?”
Ora mi ha fatto veramente incazzare. “Dovevi essere la prima della classe in scienze al liceo. Certo che c’è un padre ma non ne voglio parlare. Fa parte del passato e lì resterà.”
“Che maleducata” mormora stizzita.
Sto per risponderle male ma Edward interviene al mio posto. “Tanya, smettila con tutte queste domande. Bella è stata anche troppo gentile ma non ne vuole parlare, quindi piantala.”
Tanya lo guarda scontrosa e mette su un broncio degno di una bambina di quattro anni a cui hanno negato il gelato ma nessuno le presta attenzione e questo non fa che aumentare il suo malumore. Ignorando Tanya, guardo Edward e mimo un grazie in silenzio.
Dal piano di sopra si sentono rumori di passi, il ticchettio di scarpe con un tacco vertiginosamente alto lungo le scale e infine la voce di Alice spezza il silenzio. “Ehi, Jasper, Bella, Edward, dove siete?” chiama, l’entusiasmo nella sua voce è fin troppo chiaro e mette i brividi. Jasper mi guarda, fingendo uno sguardo terrorizzato, poi mi fa l’occhiolino e si alza, mormorando: “Voi non mi avete visto.”
Lo guardo scappare via, ridacchiando, poco prima che Alice entri in cucina con un sorriso e delle scarpe con il tacco di un rosso abbacinante. “Bella, mi serve il tuo aiuto!”
“Che succede?” chiedo, curiosa, ammirando le sue scarpe. “Dove le hai trovate quelle?”
Alice segue il mio sguardo e sorride. “Pensavo di indossarle questa sera, al ballo. Che ne dici? Troppo appariscenti?”
“Decisamente!” esclama Edward, osservando le scarpe della sorella inorridito. Alice, però, lo ignora, continuando a fissarmi in attesa del mio giudizio. Edward mi lancia uno sguardo di fuoco, cercando di convincermi a far cambiare idea a sua sorella.
Prendendo tempo, chiedo: “Che vestito pensi di indossare stasera?”
“È per questo che mi serve il tuo aiuto!” esclama con la sua voce squillante. “Sono così indecisa! Non sono nemmeno sicura che queste scarpe vadano bene. Forse Edward ha ragione.”
“Le scarpe sono fantastiche” assicura Tanya, intervenendo nella discussione. “Non lasciare che tuo fratello ti faccia cambiare idea. Io non avrei alcun dubbio. Le metterei senza pensarci due volte.”
Alice, che fino a quel momento non si era accorta di lei, la guarda sorpresa. “Tanya! Che ci fai qui?” chiede con un sorriso, sedendosi sul bordo della sedia lasciata libera da Jasper poco prima.
“Passo le vacanze di Natale con i miei.”
“E da quando?” si lascia sfuggire Alice e il sarcasmo nella sua voce non lo noto solo io ma non Tanya che risponde tranquilla. “Ho deciso qualche settimana fa. Ho pensato fosse carino festeggiare in famiglia. Se avessi saputo che anche Edward sarebbe tornato a casa, avrei preso il volo prima” mormora maliziosa, facendo l’occhiolino a Edward che rimane impassibile.
Alice mi lancia uno sguardo veloce prima di tornare a Tanya. “Ti annoierai a morte da queste parti. A Forks non c’è granché da fare, soprattutto se paragonato a Los Angeles.”
“Hai ragione!” esclama Tanya disperata. “Non so come ho fatto a sopravvivere al liceo. È veramente una noia qui! Sono arrivata da un giorno e già non ne posso più. Edward, però, mi ha invitato al ballo d’Inverno questa sera. Sono sicura che ci divertiremo, non è vero, tesoro?”
Edward la guarda scioccato. “Non chiamarmi tesoro” borbotta scontroso ma il sorriso di Tanya non ne risente.
Il mio sguardo scioccato, sentendo come ha chiamato Edward, e quello dello stesso Edward, non è niente a confronto di Alice che mostra due occhi sbarrati e la bocca spalancata. “Edward ti ha invitato al ballo?” chiede e per la prima volta da quando la conosco, la sua voce è stranamente di un volume normale. Aspettando una risposta, fissa il fratello scura in volto, ignorando Tanya che annuisce con un sorriso. “Esatto! In memoria dei vecchi tempi.”
Alice fissa per qualche secondo Edward che distoglie lo sguardo, passandosi una mano sulla nuca scompigliandosi i capelli già in disordine. “Bella, vieni con me? Ho assoluto bisogno del tuo aiuto” chiede, voltandosi verso di me, e un sorriso inquietante si apre sul suo volto, illuminandolo di una luce strana.
Un brivido mi corre lungo la schiena. “Arrivo” mormoro, alzandomi in piedi. “Amore, vieni con me a scegliere il vestito per Alice?”
“No” risponde Lily, porgendomi il disegno appena finito e prendendo un nuovo foglio bianco. “Ancoa disegno.”
La guardo, indecisa, poi alzo lo sguardo su Edward. “Ti dispiace controllare Lily per qualche minuto? Vado a cercare Esme per chiederle se può stare con lei.”
“Non ti preoccupare” mi risponde con un sorriso, “resto io con Lily finché Alice non ti libera. Che ne dici, piccola? Resti con me per un po’ mentre la mamma si fa torturare da quella peste di Alice?”
“Sì” esclama Lily con un sorriso, annuendo. “Vai, mamma” mi dice, sorridendomi e salutandomi con la mano. Sorrido, le do un bacio sulla testa e seguo Alice al piano di sopra. Quando la porta della sua camera si chiude alle nostre spalle, Alice sbotta: “Edward è un completo idiota! Come può aver invitato quell’oca al ballo? Doveva venirci con te!”
“Ci andremo tutti e tre insieme” rispondo con un’alzata di spalle. “Non importa.”
“Sì che importa” ribatte furiosa, aprendo l’armadio con tanta forza da far sbattere l’anta contro il muro, e comincia a tirare fuori tutti i suoi vestiti. “Ora ti vai a fare una doccia mentre io cerco il vestito perfetto per te. Stasera sarai assolutamente perfetta e quello scemo di mio fratello non vedrà altre che te. Lo farà sbavare, fidati.”
“No, Alice” cerco di fermarla ma m’interrompe prima che possa aggiungere altro e mi spedisce a fare la doccia. “Fidati di me. Sarai uno schianto. Guarderanno tutti te stasera.”
“È proprio ciò che non voglio” sussurro, chiudendomi in bagno con un lamento. Sarà una lunga serata, me lo sento, ma non posso ignorare l’eccitazione che sento all’idea di attirare l’attenzione di Edward. Così mi butto sotto il getto di acqua calda, obbedendo agli ordini di Alice, preparandomi per qualsiasi cosa abbia in mente per me.


Bene, ora sappiamo qualcosa in più su Tanya. Che ne dite? Vi sembra simpatica? Bella sicuramente no ma cerca di sopportarla anche se dopo tutte quelle domande riguardo il suo passato, di cui Bella non vuole parlare, le ha risposto male. Però se lo meritava, secondo me.
Nel prossimo capitolo vedremo cosa ha in mente quella pazza di Alice e come andrà a finire il ballo a cui parteciperanno quella sera.
A presto!

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Capitolo 10
*** Ballo d'Inverno ***



Eccomi qui! Buona lettura!


Capitolo 9


Sono le cinque del pomeriggio e mi sono pentita della promessa fatta ad Alice almeno un centinaio di volte. L’unica pausa che mi ha concesso è stata per preparare il pranzo e mettere a letto Lily per il suo pisolino pomeridiano. Ho tentato di sdraiarmi accanto alla mia bimba e sonnecchiare un po’ anch’io ma Alice non ha voluto sentire ragioni e mi ha trascinato nella sua stanza.
“Alice, ti prego, non ne posso più” mormoro, lasciandomi cadere sul suo letto con un sospiro, esausta. Tutti i vestiti che quella pazza ha tirato fuori dal suo armadio ora sono sotto di me, spiegazzati e ammucchiati l’uno sull’altro.
“Troveremo l’abito perfetto” ribatte lei convinta, guardando la confusione di vestiti sparsi per la camera, concentrata. “Che ne dici di questo?” chiede, mostrandomi un abito corto, senza spalline, di un pallido color rosa salmone.
Scuoto la testa con forza, facendo una smorfia disgustata. “Tanto vale andarci in mutande al ballo” mormoro a voce abbastanza bassa perché Alice non mi senta, è un suo vestito e non vorrei mai che si offenda, pensando che la stia giudicando per come si veste. “Non indosserò mai un vestito rosa” rispondo, invece.
“D’accordo, niente rosa” ribatte Alice, tornando a guardarsi intorno con attenzione. “E di questo che ne pensi?” chiede e andiamo avanti per un’altra mezz’ora a riguardare tutti i vestiti che abbiamo già visto una volta ma nessuno mi colpisce particolarmente.
Sentendo la voce di Lily chiacchierare con Esme davanti alla sua solita tazza di latte caldo e biscotti, vorrei solo scendere e fare merenda con loro. “Perché non posso mettere il mio vestito? È carino.” Non ho molti vestiti e di adatti ad un ballo ne ho uno solo però mi piace; è azzurro, con le maniche corte e la gonna al ginocchio. Alice non si fa problemi a farmi notare il motivo per cui non mi permetterà di indossarlo.
“Non esiste che metti quel vestito” sbotta, fulminandomi con lo sguardo. “Devi attirare l’attenzione di Edward e non succederà mai se ti vesti come una suora!”
Sbuffo ma prima che possa lamentarmi di nuovo, cercando di convincerla a lasciarmi scendere in cucina per mangiare qualcosa e giocare un po’ con Lily, un bussare delicato alla porta attira la nostra attenzione.
“Che ne dite di questo?” chiede Rosalie, mostrandoci un abito di un meraviglioso blu notte, abbastanza corto da soddisfare Alice che annuisce con un sorriso. “Mi piace. Provalo e vediamo come ti sta, Bella.”
Incrociando le dita, sperando che la tortura sia finita, indosso il vestito. Il corpetto è aderente e la stoffa morbida mi scivola sul corpo come una carezza; ha una sola manica, larga, di tulle semitrasparente, che scende ampia fino alla gonna, quasi troppo corta per i miei gusti ma tutto sommato mi piace e mi sento bella. Mi guardo allo specchio, ammirando come il colore scuro risalti sulla mia pelle chiara, e sorrido, arrossendo appena all’idea di farmi vedere da Edward.
“Stai benissimo, Bella” mormora Rose con un sorriso.
Mi volto, lasciando che la gonna si apra intorno alle mie gambe e un luccichio attira la mia attenzione e quella delle ragazze. Alice spalanca gli occhi ed esclama: “Ehi, brilli!”
Ridendo, controllo l’orlo del vestito e scopro una lunga serie di cristalli cuciti nella gonna e nella manica che riflettono la luce creando mille arcobaleni. “Mi piace questo!” esclamo con un sorriso. “Siete sicure che non è troppo corto?” chiedo, guardando preoccupata la gonna che a ogni movimento sembra alzarsi scoprendo ancora di più le mie gambe.
Alice mi fissa pronta a elencare una serie di motivi per cui non è assolutamente troppo corto ma Rose è più veloce, anticipandola. “È perfetto” mi assicura, “e con un paio di scarpe con il tacco sarai assolutamente meravigliosa. Tanya non ha chance.”
“Hai saputo anche tu la novità, vedo” commenta Alice con una smorfia.
Rose annuisce. “Me l’ha detto Jasper poco fa. Sapete come mai è tornata?” Scuotiamo la testa. “Da quel che so vive a Los Angeles e ha una storia con il figlio di un miliardario che ha fatto fortuna con il commercio del caffè.”
“E allora si può spiegare perché cavolo ci prova con mio fratello?” chiede Alice con un ringhio, scocciata. “Non le basta un uomo?”
Ridacchio divertita ma per distrarla dalla sua invettiva, chiedo: “Hai deciso quale vestito indosserai al ballo?”
Alice si blocca per un paio di secondi, poi annuisce con un sorriso. “Questo qui” risponde, afferrando l’unico abito rimasto appeso nell’armadio. È di un rosa pallido, senza spalline, corto al ginocchio e con un leggero strascico che dona all’abito un’aria romantica; è carino e le sta bene, mettendo in mostra il corpo ancora acerbo di Alice senza risultare volgare.
“Niente scarpe rosse?” chiedo con un sorriso.
Alice scuote la testa. “Quando Tanya ha detto che le avrebbe messe senza pensarci due volte, ho capito che erano esagerate.”
Rose ed io ci ritroviamo a ridere divertite dall’espressione buffa sul volto di Alice che con un sorriso soddisfatto prende un paio di scarpe color panna con un tacco piuttosto alto ma decisamente meno appariscenti delle altre. “Che ne dite?” chiede preoccupata. “Secondo voi, a Jasper piacerà?”
Sorrido intenerita dalla sua improvvisa insicurezza. Rose la guarda con la stessa tenerezza negli occhi che ha quando guarda Lily. “Jasper ti ama. Ti troverà sempre bellissima” le assicura dolce.
“Mi ama?” chiede Alice, cercando una conferma in Rose che si limita a sorridere.
Un rumore di passi in corridoio attira la nostra attenzione, facendo cadere il discorso. Mi volto di scatto, nascondendomi dietro l’anta dell’armadio perché nessuno possa vedere il mio vestito.
“Che fai? Ti nascondi?” chiede Rose, ridendo, mentre Alice mi guarda storto.
Accenno un sorriso imbarazzato. “Sono anni che non indosso un vestito del genere. Mi sento nuda senza i miei jeans.”
“Mamma!” esclama Lily con un sorriso, felice di avermi trovata. Mi corre incontro e si stringe alle mie gambe, sfiorando con la testa la gonna del mio vestito. Quando alza gli occhi e vede le decine di cristalli cuciti nel vestito, resta incantata con gli occhi spalancati e la bocca aperta.
Sorrido, accarezzandole la testa. “Ti piace il mio vestito?”
Lily annuisce, sfiorandolo piano con una delle sue manine mentre con l’altra continua a stringermi le gambe con forza. “Beissima mamma!” esclama con un sorriso allegro.
“Hai ragione, amore” mormora Rose, prendendo Lily in braccio dopo avermi chiesto il permesso con uno sguardo. “Hai una mamma bellissima” conferma, guardandomi con un sorriso. Mimo un grazie silenzioso per poi mandare un bacio a Lily che ridacchia.
“Che ne dici di andare a guardare un cartone animato con me mentre la mamma e Alice si preparano per il ballo?” chiede Rose ma Lily, sentendo parlare del ballo, s’illumina e si sporge verso di me. “Io!” urla, divincolandosi dalle braccia di Rose finché non la prendo in braccio.
“Cosa vuoi, amore?” chiedo con un sorriso.
Lily indica il mio vestito con il suo ditino e mi sorride. “Io e mamma!”
“Vuoi venire al ballo anche tu?” chiedo sorpresa e Lily annuisce con forza, esclamando di nuovo: “Io!”
La guardo a lungo, indecisa, ma alla fine scuoto la testa. “Non ti posso portare con me, amore, non è una serata adatta per una bimba come te.”
L’espressione triste di Lily mi fa stringere il cuore ma non posso portarla con me in mezzo a un branco di diciottenni ubriachi, con la musica alle stelle e soprattutto, con Tanya nei paraggi. Forse sono solo gelosa ma non voglio che si avvicini a mia figlia.
“Forza, diamoci una mossa!” esclama Alice, battendo le mani come una maestrina che cerca di rimettere in riga i suoi scolari. Alzo lo sguardo e incrocio quello di Rose che nasconde a stento una risata divertita mentre prende in braccio Lily, permettendomi così di prepararmi.
“No!” esclama Lily, indicandomi e cercando di farsi mettere a terra per tornare da me, decisa a non lasciarmi andare. Resisto solo pochi secondi prima di correre da lei e riprendermela in braccio ma prima che possa dire qualsiasi cosa, Rose propone: “E se facessimo un nostro ballo qui a casa?” La guardo sorpresa e come me anche Alice e Lily la fissano senza parole. “Adesso andiamo a cercare un bel vestito anche per te e ci prepariamo insieme, che ne dici?” chiede, allungando le braccia verso Lily che dopo un attimo di incertezza si sporge verso di lei, permettendole di farsi prendere in braccio. “E andiamo a cercare Esme, Carlisle ed Emmett per dire loro di vestirsi bene. Poi scegliamo la musica e balliamo in soggiorno. E mettiamo anche le lucine colorate. Che ne dici?”
Lily annuisce entusiasta all’idea di un ballo tutto per lei, dimenticando completamente quello a cui invece dovrò partecipare io. La poca voglia che già ho svanisce in fretta e sono quasi tentata di rinunciare quando mi ritrovo davanti Alice che mi fissa furiosa. “Non ci pensare nemmeno!” ordina, puntandomi contro un dito. “Questa sera tu verrai al ballo senza discutere, hai capito? Non vorrai mica lasciare che quella stupida di Tanya metta le sue unghie laccate su Edward, vero?”
Sospiro e scuoto la testa. “D’accordo, andiamo.”


Sono le sette passate quando Alice entra in camera mia per farsi ammirare. Fa un giro su se stessa e con un sorriso timido chiede: “Come sto?”
“Bea!” esclama Lily, battendo le mani. “Io?” chiede, girando su se stessa imitando Alice, anche se un po’ traballante. Il vestito che indossa è un regalo di Esme. Ha rovistato nel suo armadio finché non ha trovato uno dei vestitini di quando Alice era piccola e Lily se n’è innamorata subito. È di un tenue azzurro cielo con due larghi nastri di seta color indaco, uno in vita e uno sulla gonna che copre appena le ginocchia, lasciando in mostra le scarpette di vernice bianca.
“Sei bellissima, Lily!” esclama Alice con un sorriso enorme. “Ti va se Rose ti fa un acconciatura come quella delle principesse mentre io trucco la tua mamma?”
“Cosa?” esclamo, lanciando un’occhiata sorpresa ad Alice prima di guardarmi allo specchio. “Così non va bene?”
Alice mi guarda scettica. “Ah, non avevo capito che ti fossi truccata” ribatte, prendendomi in giro. Fa l’occhiolino a Lily che ride, saltellando per la stanza. “Pincipessa!” esclama.
“Rose!” urla Alice. “Sei pronta?” chiede mentre comincia a disporre i suoi trucchi con ordine sulla mia cassettiera, obbligandomi a sedermi sul letto. Rosalie arriva dopo qualche minuto, lisciando la gonna del suo vestito color blu notte, e con un sorriso divertito afferra i boccoli di Lily e comincia ad acconciarli intorno al suo visetto fermandoli con piccole mollette colorate.
“Ehi, ragazze, non siete ancora pronte?” chiede Emmett, entrando in camera senza bussare. L’urlo di Alice lo fa sobbalzare e il cuscino lanciato da Rose lo colpisce in faccia. “Ehi, ma siete impazzite?”
“Non ti ha insegnato nessuno a bussare prima di entrare nella stanza di una ragazza, razza di idiota?” chiede Alice.
“Scusate!” esclama Emmett, guardandomi dispiaciuto. Sorrido e gli faccio cenno di entrare, attenta a non muovere la testa per non attirarmi addosso la rabbia di Alice. “Edward e Jasper chiedono se siete pronte. Siete in ritardo di quasi mezz’ora.”
“Una ragazza non è mai in ritardo” ribatte Rose con un sorriso allegro, guardando Lily che annuisce convinta.
Sorrido. “Alice è pronta e ora scende” dico, costringendo Alice a posare i trucchi e spingendola verso la porta. “Non puoi far aspettare Jasper per ore. Quel povero ragazzo avrà i nervi a pezzi.”
Alice arrossisce, evento raro e assolutamente imperdibile, e dopo un ultimo ritocco se ne va facendomi promettere di non tardare troppo.
“Vuoi che ti sistemi i capelli?” chiede Rose e senza aspettare una risposta prende un paio di ciuffi e li fissa con un piccolo fermaglio, lasciando che il resto dei miei capelli ricadano sulle spalle in morbide onde. “Direi che ora sei perfetta.”
“Sono d’accordo. Sei splendida, piccola” mi assicura Emmett, facendomi l’occhiolino, “ma io sono qui per la mia dama, la più bella principessa del reame” e con un sorriso dolce si inginocchia e porge la mano a Lily che ridendo gli porge la sua, così piccola da sparire in quella enorme di Emmett. “Pronta per ballare?” chiede, prendendola in braccio, e vedendola annuire, continua: “Al piano di sotto Carlisle ed Esme stanno appendendo le luci colorate dappertutto. Andiamo ad aiutarli, che ne dici? Secondo me hanno bisogno di aiuto.”
“Sì!” esclama Lily e in pochi secondi spariscono per le scale.
Mi volto verso Rose e sorrido. “Grazie. Non è mai stata così felice come lo è da quando siamo qui.”
“Vale per tutti. Siamo felici che tu sia venuta qui e che abbia accettato di restare. Lily è una bambina così allegra e dolce che faremmo di tutto per lei. Emmett sarà il suo cavaliere per la serata e la farà ballare e ridere e giocare e quando sarà stanca, la metterò a letto. Tu pensa solo a divertirti. Te lo meriti.”
“Grazie” mormoro e finalmente mi decido a scendere le scale.
Il grande salotto sempre così perfetto e in ordine è irriconoscibile: i mobili sono stati addossati alle pareti per creare un grande spazio centrale per ballare; Carlisle ed Emmett, vestiti eleganti con la giacca scura e le cravatte colorate, dietro le indicazioni di Lily, appendono le luci colorate, rosse, blu, verdi e bianche, che illuminano la stanza come a Natale; sul tavolo della cucina sono disposti alcuni vassoi con spuntini e stuzzichini da mangiare con le mani.
“È meraviglioso!” esclamo, guardandomi intorno e ammirando il lavoro che hanno fatto in così poco tempo. Esme mi sorride nel suo vestito color acquamarina, semplice e leggero, che la fa sembrare una ragazzina. “Non avrei mai voluto creare tanto disturbo.”
“Nessun disturbo!” mi assicura Esme con un sorriso, scegliendo un cd da ascoltare. “Erano anni che non avevo l’occasione di indossare questo vestito e di ballare con mio marito. Tu e Lily ci avete solo fornito la scusa per una festa in famiglia.” Mi fa l’occhiolino, inserisce il cd nello stereo e mentre la musica si diffonde per la casa, prende il marito a braccetto e lo trascina sulla pista improvvisata.
“Vai e divertiti” mi spinge Rosalie, accompagnandomi alla porta. “Edward è andato a prendere la macchina. Ti aspetta fuori.”
Lancio un’ultima occhiata alle mie spalle, sorridendo alla vista di Lily che ride e accenna qualche passo di danza tra le braccia di quell’orso di Emmett, ed esco di casa. Edward è lì fuori che mi aspetta, appoggiato alla sua macchina, nel suo completo scuro. M’incanto a fissarlo, ammirando il corpo muscoloso fasciato in quel completo scuro dall’aria costosa, i capelli ramati nel loro solito disordine sexy e gli occhi verde smeraldo che mi scrutano con attenzione dalla testa fino ai piedi calzati nei sandali argentati che Rosalie mi ha prestato, scurendosi rapidamente.
Quando i nostri sguardi si incontrato, Edward si schiarisce la voce e mormora: “Stai benissimo.”
“Grazie” rispondo, arrossendo. “Anche tu sei molto elegante.”
Edward si passa una mano nel colletto della camicia, allargando piano il nodo della cravatta, e sorride. “Non ci sono più abituato. Mi sembra quasi di soffocare conciato così.”
Ridacchiando, mi avvicino e gli sistemo la cravatta sciogliendo il nodo e rifacendolo un po’ più largo. “Così va meglio?” chiedo, facendo un passo indietro.
Edward mi guarda con gli occhi così scuri da sembrare neri nel buio della sera e il suo respiro accelerato mi accarezza il volto. “Sì, meglio.”
Restiamo a guardarci per qualche secondo, i respiri che si mescolano e il suo profumo intenso che mi avvolge, finché il freddo non mi fa rabbrividire nel mio vestitino leggero. Edward se ne accorge subito e con un salto mi apre la portiera. “Sali in macchina prima di ammalarti.”
Il tragitto fino alla scuola è breve e quando si ferma, davanti a una casa a qualche centinaio di metri dalla sala in cui si tiene il ballo, tutto ciò di cui abbiamo parlato è la festa improvvisata a casa Cullen.
“Perché ti fermi qui?” chiedo confusa, vedendo numerosi parcheggi liberi molto più vicini alla scuola.
Edward chiude la portiera che da cavaliere mi ha aperto e indicando la casa davanti a noi, risponde: “Dobbiamo passare a prendere Tanya.”
Non riesco a evitare che una smorfia mi salga al volto. Mi ero dimenticata di lei.
Edward suona il campanello e qualche minuto dopo sentiamo il rumore inconfondibile di tacchi a spillo lungo le scale. “Ciao, Edward!” lo saluta Tanya, scoccandogli subito due baci sulle guance, e con un sorriso malizioso fa un giro su se stessa. “Come sto?”
Edward guarda il vestito rosso fuoco, senza spalline, così corto da coprire appena il sedere, con dei fronzoli di raso lungo tutto il fianco sinistro. “Bel vestito” risponde, fissando con un sopracciglio alzato le lunghe gambe scoperte che terminano in un paio di scarpe con un tacco vertiginoso dello stesso colore rosso acceso dell’abito.
“Sapevo che ti sarebbe piaciuto” mormora Tanya, accarezzandogli piano il petto con una mano dalle unghie laccate, ovviamente rosse. Non posso fare a meno di guardarla scioccata mentre lei si struscia su Edward come una gatta in calore. Quando alzo gli occhi e incontro lo sguardo di Edward, lo vedo alzare gli occhi al cielo e mimare con le labbra un silenzioso “salvami” che mi fa ridacchiare.
Tanya si gira verso di me, furiosa. “Cosa c’è da ridere?” chiede e i suoi occhi mi squadrano dalla testa ai piedi. Quando torna a guardarmi in faccia, capisco subito dall’espressione sul suo volto che ciò che ha visto non le è piaciuto affatto. O, forse, le è piaciuto perché è sicura di non avere rivali.
Sbuffo e ignoro la sua domanda. “Andiamo? Vorrei arrivare prima della fine del ballo.”
Edward ridacchia e mi fa strada, girando intorno a Tanya stando ben attento a non sfiorarla nemmeno. Indispettita, la ragazza ci segue sbuffando ma la sua rabbia evapora presto e comincia a chiacchierare ininterrottamente per tutto il tempo, impedendomi di aprire bocca anche solo per un secondo.
Il ballo d’Inverno si svolge nella palestra della scuola e appena metto piede all’interno, rilassandomi nel calore che mi avvolge dopo aver sopportato il gelo dell’inverno, mi ritrovo a guardarmi intorno, sorpresa e meravigliata, con la bocca spalancata. La palestra è irriconoscibile, Alice e le sue compagne hanno fatto un lavoro incredibile: lungo le pareti sono disposti tavolini ricoperti da tovaglie bianche su cui sono stati sistemate cibo e bevande di ogni tipo; il centro della sala è costituito da una pista da ballo argentata con petali bianchi che volteggiano tra le gambe dei pochi ballerini che danzano sulle note ritmate di una delle canzoni del momento; dal soffitto pendono fiocchi di neve di tutte le dimensioni che brillano sotto le luci blu e bianche che illuminano la sala; le gradinate sono state sostituite da un enorme palco su cui verranno proclamati il re e la reginetta del ballo ma per ora si vede solo un piccolo tavolino su cui è posto un piccolo diadema.
“Alice ha fatto un lavoro incredibile” mormoro con gli occhi spalancati. Edward annuisce con un sorriso mentre Tanya, dopo una veloce occhiata indifferente, si volta verso di lui e posandogli una mano sul braccio gli chiede a voce bassa: “Che ne dici di un ballo?”
Edward la guarda con un sorriso ma scuote la testa. “Pensavo di bere qualcosa prima. Voi che ne dite? Posso portarvi qualcosa?”
Annuisco. “Qualsiasi cosa alla frutta andrà benissimo.”
Tanya mi guarda dall’alto in basso, prima di tornare a guardare Edward. “Immagino che non ci sia nulla di alcolico, almeno prima di un paio d’ore” aggiunge maliziosa. “Credo che aspetterò.”
“Come vuoi. Porterò subito la sua ordinazione, miss” mi assicura Edward con un piccolo inchino e lo guardo allontanarsi ridendo, divertita. Appena sparisce tra la gente, Tanya si volta verso di me con uno sguardo furioso negli occhi, le mani sui fianchi. Trattengo uno sbuffo, infastidita, ma so di poterla affrontare.
“Stai lontana da Edward. Lui è mio” chiarisce Tanya e mi ritrovo a guardarla divertita con un sorriso sul volto. “Cosa c’è da ridere?” chiede con un ringhio, trattenendo a stento un urlo di frustrazione.
Senza distogliere lo sguardo, accenno una risata. “Interessante scelta di parole” commento e imitando la sua voce, continuo: “Stai lontana da Edward, lui è mio. Poco originale, non trovi? Secondo me, hai visto un po’ troppi film.”
Tanya mi fissa con uno sguardo omicida ma prima che possa parlare, Edward torna con due bicchieri pieni a metà di un cocktail dal profumo invitante e me ne porge uno con un sorriso. “Succo d’arancia, limone e fragola. Spero ti piaccia.”
“Grazie” mormoro e ne bevo un sorso. È dolce e fresco. È buono, anche se non è esattamente la stagione giusta per bere un cocktail del genere.
Tanya, con un sorriso lascivo sulle labbra, si avvicina a Edward ondeggiando sui tacchi e mormora: “Ti va di ballare? Io mi sto annoiando.”
Sbuffo, alzando gli occhi al cielo, ma nessuno se ne accorge, grazie alla musica e alla confusione che ci circonda. Edward, accanto a me, indica con un cenno della testa i molti ragazzi presenti nella sala. “Puoi chiedere a qualcuno di loro. Sono sicuro che saranno più che felici di ballare con te, se glielo chiedi.”
“Ma io voglio ballare con te” si lamenta con un broncio da bambina che non le dona affatto e che non ha alcun effetto su Edward, se non quello di farlo sorridere e ribattere, indifferente: “Ora non mi va. Ehi, quella è Alice?” chiede, voltandosi verso di me e indicandomi sua sorella nel suo inconfondibile abito rosa. Annuisco con un sorriso, riconoscendola subito. “Ti va se andiamo a salutarla? Sarà felice di sapere che hai apprezzato come ha allestito la palestra.”
Annuisco di nuovo e insieme ci facciamo largo tra la folla di studenti che comincia a riempire la palestra e la pista da ballo. Tanya, scontrosa, ci segue in silenzio ma sento il suo sguardo di fuoco sulla schiena.
“Ehi, Alice, complimenti!” urliamo io ed Edward appena arriviamo a portata d’orecchio, attirando l’attenzione di Alice e Jasper che stanno chiacchierando a bordo pista. Alice si volta con gli occhi che brillano e la sua soddisfazione le impedisce di essere cattiva persino con Tanya, nonostante i suoi commenti acidi riguardo i fiocchi di neve, i cocktail analcolici e il diadema scelto per la reginetta.
“Tanya, per favore” mormora Edward all’ennesima frecciatina di Tanya, “smettila di fare la stronza. È la serata di Alice e tu la stai rovinando.”
Tanya sbuffa ma rimane in silenzio. Chiacchieriamo con Alice e Jasper per qualche minuto ancora, sorseggiando i nostri drink lentamente. Mi ritrovo a sorridere, accorgendomi che mi sto divertendo; per la prima volta nella mia vita, mi sto veramente divertendo ad un ballo. Quando incontro lo sguardo di Alice, sorrido e qualsiasi cosa lei legga sul mio volto la fa ridacchiare.
“Adoro questa canzone!” esclama Tanya, attirando la nostra attenzione, e anche se non la conosco il ritmo mi piace. Senza accorgermene, comincio a dondolare sul posto, muovendomi a ritmo.
Edward si volta verso Tanya con un sorriso. “Questa canzone è uscita quando avevamo sedici anni, ti ricordi? Credo di averla cantata a squarciagola centinaia di volte durante le feste sulla spiaggia” e voltandosi verso di me, con un sorriso e lo sguardo perso nel passato mi spiega: “Ogni estate il sabato sera ci trovavamo in una piccola spiaggia poco lontano da qui, nella riserva indiana, e organizzavamo una festa con musica a tutto volume e un enorme falò che illuminava la notte.”
“Ti fa venire voglia di ballarla, non è vero?” chiede Tanya, obbligando Edward a distogliere il suo sguardo da me per riportare la sua attenzione su di lei. Edward sorride e annuisce, facendo brillare una luce maliziosa negli occhi di Tanya, ma poi si volta verso di me, ignorando di nuovo la sua amica. “Ti va di ballare?” mi chiede con un sorriso, porgendomi la mano.
Arrossendo appena, annuisco. “Molto volentieri” rispondo, posando la mia mano in quella di Edward che la stringe prima di togliermi di mano il bicchiere ormai vuoto e posandolo su un tavolo lì vicino. Con la mia mano stretta nella sua, lo seguo al centro della pista e dopo un attimo di imbarazzo mi lascio andare, seguendo la musica e, soprattutto, il mio ballerino che si rivela molto più bravo di quanto mi sarei aspettata.
“Non credevo che sapessi ballare così bene” commento con un sorriso.
Edward mi guarda con un ghigno malizioso. “Sono bravo in molte cose” mormora con la bocca a un soffio dal mio orecchio, il suo respiro che mi solletica il collo scoperto, “e il ballo è una di queste ma ce ne sono altre molto più interessanti.”
“Ora sono curiosa. In quali altre cose saresti così bravo?” chiedo, stando al gioco, e dopo una giravolta, mi ritrovo tra le braccia di Edward con il suo corpo decisamente molto più vicino di quanto sia mai stato. La sua mano scorre piano sulla mia schiena, fermandosi appena sotto la mia vita, e il suo calore mi scioglie, rilassandomi ed eccitandomi allo stesso tempo. “Sono molto bravo a fare massaggi” mormora malizioso, muovendo appena la sua mano sulla mia schiena. “Potrei farti rilassare in pochi minuti, nel caso tu ne abbia bisogno.”
“Me lo ricorderò” rispondo e spostando la mia mano sul suo petto, in un sussurro malizioso aggiungo: “ma conosco anch’io un paio di modi per farti rilassare. Sai, nel caso tu ne abbia bisogno.”
Sento Edward irrigidirsi e la sua mano sulla mia schiena si blocca. “Ora credo di averne proprio bisogno. Mi sento un po’ teso.”
Ridacchio, arrossendo, ma prima che possa ribattere alla sua provocazione la voce di Tanya ci interrompe. “Non siete soli, lo sapete? Non mi piace restare in disparte a fare da tappezzeria come una qualsiasi ragazzina sfigata, quindi ho deciso che ora è il mio turno di ballare con te.”
Edward ed io alziamo gli occhi al cielo, facendo un lungo respiro profondo per trattenere uno sbuffo e una risposta poco carina. “Ti prego, balla con lei” mormoro, facendo un passo indietro. “Se la sento lamentarsi ancora una volta, non rispondo delle mie azioni.”
Ridendo, mi lascia andare e il freddo improvviso che provo non mi piace affatto. “Ai suoi ordini, miss” mi prende in giro, poi offre la sua mano a Tanya che con un sorriso vittorioso la afferra, stringendosi a lui senza togliermi gli occhi di dosso. “Andiamo a ballare.”
È mio, vedo Tanya mimare verso di me prima di voltarmi le spalle e trascinare Edward lontano da me. Sbuffo, cercando di nascondere anche a me stessa la gelosia che provo ma senza molto successo. L’unica consolazione è che Edward non sembra apprezzare le attenzioni che Tanya gli riserva da quando è arrivata. Certo, anche le continue allusioni, gli sguardi e i sorrisi maliziosi che mi rivolge aiutano a tenere sotto controllo la gelosia.
La serata passa in fretta, tra un cocktail e uno spuntino, un invito a ballare da qualche ragazzino imbranato o da un adolescente un po’ troppo sicuro di sé e un battibecco con Tanya. Sono quasi le dieci quando Edward riesce a scappare alle grinfie di Tanya per trascinarmi in pista per un secondo ballo.
“Non ce la faccio più” si lamenta Edward con un sospiro esagerato che mi fa ridere. “Non ricordavo che Tanya parlasse tanto. Non è rimasta zitta un minuto. Mi ha fatto venire un mal di testa tremendo.”
Rido, scuotendo la testa. “Non è molto carino da parte tua parlare così. È una tua amica e dovresti essere più gentile con lei” lo prendo in giro, anche se le sue parole mi hanno fatto piacere e tanto. “Credo proprio che dovresti andare a cercarla e scusarti con lei.”
“Zitta e balla” ribatte con uno sbuffo, nascondendo un sorriso divertito. E lo faccio: chiudo la bocca e mi lascio trascinare nelle danze, scivolando tra la folla che ormai riempie la pista da ballo rendendo difficile muoversi. Ondeggiando a tempo con il resto dei ragazzi, ci spostiamo avanti e indietro per la pista con gli occhi di Edward che stanno attenti a non farmi colpire nessuno, e che nessuno colpisca me.
“Posso fare una domanda?” chiedo con un sorriso e vendendolo annuire, continuo: “Cosa stiamo facendo?”
“Balliamo” risponde Edward con un sorriso innocente sul volto ma nei suoi occhi vedo brillare una luce maliziosa. Lo guardo in silenzio, aspettando che risponda in modo un po’ meno ovvio. “D’accordo” cede dopo qualche secondo di lotta di sguardi, il suo innocente, il mio deciso. “Sto cercando di evitare Tanya ma è più difficile del previsto.”
Nascondo un sorriso soddisfatto e propongo: “Possiamo sempre filarcela dalla porta sul retro e lasciarla qui.”
“Filarcela dalla porta sul retro?” chiede divertito.
Annuisco. “Non c’è una porta sul retro?” chiedo, fingendomi sorpresa e dispiaciuta.
“Sì, ce n’è una” risponde con una risata, “ma non sei tu quella che ha detto che devo essere gentile con Tanya perché è una mia amica? Ora non ti puoi rimangiare le parole e suggerirmi di filarmela. Non è carino.”
“Hai ragione” concordo con un cenno del capo e, facendogli l’occhiolino, mi avvicino al suo orecchio e aggiungo in un sussurro: “ma è amica tua, non mia.”
“Allora tu te la puoi filare?” chiede in conferma e io annuisco con un sorriso. “E mi lasceresti qui da solo con lei?”
“Dici che sarebbe poco carino da parte mia?” chiedo, guardandolo interrogativa.
Edward annuisce, cercando di restare serio anche se nei suoi occhi leggo il sorriso. “Assolutamente e tu dovresti essere sempre carina con me.”
“Ah sì? E perché?” chiedo, nascondendo il rossore sulle mie guance con le luci da discoteca che si muovono su di noi.
Edward mi stringe a sé, posando una mano sulla mia schiena e avvicinando la sua bocca al mio orecchio. Il suo respiro sul collo mi da i brividi e so che Edward se n’è accorto perché lo sento sorridere. “Perché siamo amici” risponde e per un attimo resto delusa ma non per molto perché le due parole che mormora subito dopo mi fanno sorridere come una stupida. “Per ora.”
Dopo un attimo di smarrimento, ritrovo la voce e in un sussurro malizioso dico: “Allora vuol dire che ti porterò con me quando me la filerò da qui.”
“Quando? Non se?” chiede, tirandosi indietro e guardandomi sorpreso. “Non ti stai divertendo?” Mi guarda preoccupato.
Sorrido. “Mi sto divertendo ma comincio ad essere un po’ stanca. E sto portando i tacchi da troppo tempo per i miei gusti” aggiungo, scherzando.
Edward mi guarda la scarpe, risalendo lentamente lungo le mie gambe fino ad arrivare ai miei occhi. Lo sguardo che mi rivolge, così concentrato, mi fa arrossire. I nostri occhi rimangono incatenati a lungo mentre balliamo lentamente, ignorando il ritmo frenetico della musica e la confusione che ci circonda. Dopo qualche minuto Edward apre la bocca per dire qualcosa ma la richiude dopo un attimo di esitazione, cambiando idea.
Ora siamo entrambi tesi e quando lo sguardo di Edward scende sulle mie labbra, mi ritrovo a trattenerne il fiato senza sapere veramente cosa voglio ma prima che possa capirlo, e prima che lo possa capire anche Edward, una voce ben nota e irritante richiama la nostra attenzione.
“Edward, eccoti! Ti ho cercato dappertutto. Dov’eri finito?” chiede Tanya con il solito broncio, ignorandomi completamente, e senza tanti complimenti si mette in mezzo a noi, spingendomi da parte. “Torniamo a ballare?” chiede senza aspettare una risposta. “Tra poco eleggeranno il re e la reginetta del ballo e non sarebbe meraviglioso se fossimo noi due, come al nostro ultimo anno?”
“Sì, meraviglioso” risponde Edward sarcastico ma Tanya non sembra cogliere la nota ironica nella sua voce e sul suo volto appare un sorriso entusiasta. Afferra la mano di Edward e lo trascina di nuovo al centro della pista, cercando di allontanarlo il più possibile da me, ma Edward questa volta non la lascia fare e mi prende la mano, trascinandomi con loro attraverso la folla. “Ti prego” mormora a voce così bassa che nessuno, oltre a noi due, riesce a sentirlo, “filiamocela e in fretta.”
Rido, divertita. “Non vuoi la coroncina?” lo prendo in giro, indicando il palco su cui brilla il piccolo diadema. Lo sguardo scettico che mi lancia è sufficiente come risposta. “Va bene, mio cavaliere, io la distraggo e tu scappa.”
Stiamo ancora ridendo quando il preside sale sul palco e cala il silenzio; tutti gli occhi sono su di lui, in attesa di scoprire chi ha vinto l’agognata corona. Tanya si ferma, lasciando finalmente la mano di Edward, con gli occhi fissi sul preside e il foglio di carta che tiene tra le mani.
“Al mio tre” mormoro, dando una spallata a Edward per attirare la sua attenzione. Si volta e mi guarda confuso per un attimo ma appena capisce, sorride e annuisce. “Al tre” concorda.
“Uno” mormoro con un sorriso senza badare a ciò che il preside sta dicendo. “Due” continuo, notando Alice e Jasper tra le prime file, e quando vedo Tanya fare un passo avanti per sentire meglio e non perdersi nemmeno una parola del discorso del preside, sussurro con una risata: “Tre!”
Ce la filiamo di nascosto, scivolando tra la folla, senza che Tanya se ne accorga, la mia mano è ancora stretta in quella di Edward che non sembra intenzionato a lasciarmi andare né io voglio che lo faccia.
Mentre stiamo per uscire sentiamo il preside chiamare sul palco il re e la reginetta e con mia grande soddisfazione non è Tanya il nome che risuona nella palestra ma quello di Alice, seguito da quello di Jasper. Sorrido, felice che Alice dopo tutto il lavoro che ha fatto è stata premiata, e me la immagino saltellare fino al palco, trascinandosi dietro il povero Jasper che vorrebbe essere ovunque tranne lì, ad essere incoronato re, ma che per Alice è disposto a sopportare anche questo con un sorriso.
“Dici che se n’è accorta che ce ne siamo andati?” chiede Edward quando siamo ormai arrivati alla sua macchina.
Scuoto la testa. “Sarà troppo impegnata a lamentarsi per essersi lasciata soffiare la corona da tua sorella ma vedrai che non ci metterà molto a ricordarsi di te.”
“Allora meglio che ci sbrighiamo ad allontanarci. Sarà furiosa e non ho alcuna intenzione di affrontarla questa sera” borbotta, aprendomi la portiera della sua auto e invitandomi a salire con un sorriso. “Torniamo a casa.”
Annuisco e salgo in macchina, lasciando la sua mano controvoglia.


Buonasera! Questo capitolo doveva finire in modo diverso ma cominciava a diventare troppo lungo e così ho deciso di dividerlo. Questo e il prossimo saranno due capitoli decisivi e cominceremo a capire meglio il nostro Edward.
A presto!
E grazie per tutte le recensioni che mi avete lasciato e i vostri suggerimenti :)

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Capitolo 11
*** Confessioni ***




Vi lascio al nuovo capitolo. Buona lettura!


Capitolo 10


Manca poco a mezzanotte quando rientriamo a casa. Le luci sono tutte accese, cosa strana dato che di soluto alle dieci sono già tutti a letto, ad eccezione forse di Alice e Rose, troppo impegnate a studiare per prestare attenzione dell’ora.
Edward si volta verso di me con un sorriso divertito e accennando verso la finestra del salotto, commenta: “La festa mi sembra che stia andando piuttosto bene.”
“Sembra anche a me” ridacchio, sicura che Lily si sia divertita e che non abbia sentito la mia mancanza, anche se questo non è un pensiero molto felice per me. “Sicuramente nessuno di loro ha tentato di svignarsela.”
“Oh, non ne sarei così sicuro se fossi in te” mormora a bassa voce e facendomi l’occhiolino, indica il piano di sopra. “Non sarebbe la prima volta che qualcuno della mia famiglia se la svigna per andare a nascondersi in camera. Possibilmente in compagnia.”
Mi ritrovo ad arrossire, intuendo a cosa si sta riferendo, e la mia reazione fa scoppiare a ridere Edward, seduto accanto a me. “Non ti avrò mica messo in imbarazzo?” esclama sorpreso, un sorriso divertito e malizioso brilla nei suoi occhi. “Hai una figlia, quindi direi che sai come funzionano certe cose.”
“Ehi! Non prendermi in giro” esclamo, ritrovando il mio carattere combattivo, e ridendo gli do uno schiaffo sul braccio. “Ti ricordo che mi devi un enorme favore, quindi taci o chiamo Tanya.”
“Sei crudele!” esclama con una finta espressione scioccata così esagerata che mi fa scoppiare a ridere, scuotendo la testa. “Dai, entriamo” dico, aprendo la portiera dell’auto e uscendo nel freddo della notte. Rabbrividisco, alzando gli occhi al cielo coperto che promette neve, ma prima che possa stringermi le braccia al petto nel tentativo di scaldarmi sento la giacca di Edward sulle spalle. “Sapevo che questo vestito era troppo leggero. Muoviamoci a rientrare o finirai per prenderti una polmonite.”
Sorrido, stringendomi nella sua giacca e per la seconda volta vengo avvolta dal calore e dal profumo inebriante di Edward. “Ehi, grazie, eh! Uccello del malaugurio” borbotto, strappando l’ennesima risata a Edward ma, come ogni volta, sorrido, fermandomi ad ascoltare la sua risata come se fosse la prima volta.
Apriamo la porta di casa e sospiriamo, sentendoci finalmente avvolti dal calore del fuoco acceso in salotto. Una musica dolce e lenta si diffonde dallo stereo e sulla pista da ballo improvvisata le due coppie, Esme e Carlisle da una parte e Rose ed Emmett poco più in là, ballano abbozzando qualche passo appena, troppo presi a guardarsi negli occhi e scambiarsi interi discorsi solo con uno sguardo.
Quando Edward chiude la porta alle nostre spalle, il suono secco attira la loro attenzione su di noi. Esme è la prima a voltarsi verso l’ingresso e accorgersi che siamo tornati. Ci sorride, sciogliendosi dall’abbraccio con Carlisle. “Vi siete divertiti al ballo? Volete bere qualcosa di caldo?” chiede, facendo qualche passo verso la cucina.
“No, Esme, non ti preoccupare” la fermo subito, togliendomi la giacca dalle spalle e porgendola a Edward senza guardarlo. “Ci penso io.”
“No, questa è la tua serata” continua Esme con un sorriso così dolce da farmi salire le lacrime agli occhi. “Preparo io il tè. Un bel tè caldo per tutti prima di andare a dormire.”
La guardo andare in cucina, canticchiando, e rimango in silenzio.
“Vieni” mormora Edward con un sorriso e, prendendomi per mano, mi porta in salotto dove troviamo Rose ed Emmett ad aspettarci; una luce maliziosa si accende negli occhi di Emmett quando adocchia le nostre mani intrecciate. Ignorando gli sguardi di Emmett, mi concentro solo su Rose ma non ho nemmeno il tempo di aprire bocca che lei ha già capito cosa voglio sapere.
“Lily sta bene. L’ho messa a dormire due ore fa” mi assicura con un sorriso. “Ha ballato tutta la sera con Emmett e Carlisle e non voleva saperne di andare a dormire. Forse anche a causa di tutti i dolci che si è mangiata di nascosto” sibila, lanciando un’occhiataccia al suo compagno che cerca di mostrarsi dispiaciuto ma lo sguardo da bambino lo tradisce, facendomi sorridere.
“Grazie, Rose” mormoro e l’abbraccio, lasciando andare la mano di Edward, “e grazie anche a te, Emmett, a tutti voi, per aver badato a Lily.”
“Lo abbiamo fatto volentieri” mi assicura Esme, posando un vassoio carico di tazze piene di tè alla frutta su un piccolo tavolino, “e smettila di ringraziarci. Te l’ho già detto, fai parte della famiglia ormai e in famiglia ci si aiuta.”
Accenno un sorriso prima di distogliere lo sguardo e prendere una tazza di tè, abbassando lo sguardo per nascondere l’ondata di tristezza che mi assale. “Hai ragione” mormoro in un sussurro, “in una famiglia ci si aiuta.”
“Bella?” mi chiama Edward e nella sua voce sento una preoccupazione che mai qualcuno ha provato per me. Alzo lo sguardo su di lui e leggo nei suoi occhi ciò che ha intuito, ciò che vorrei poter dimenticare ma che farà sempre parte della mia vita. “La tua famiglia non si aiutava molto, non è vero?”
“No” mormoro con un sospiro e per evitare gli sguardi carichi di compassione e dispiacere bevo un sorso di tè. Il liquido caldo mi scalda la gola e il corpo, allentando la nostalgia che provo, ma i loro sguardo e il silenzio che è sceso mi fanno sentire a disagio.
“È tardi” decide Carlisle, lanciandomi uno sguardo veloce, e con un sorriso posa la sua tazza di tè. “Meglio andare a dormire.”
Annuiscono tutti, anche Edward, ma mentre tutti gli altri si allontanano diretti alle proprio stanze, lui continua a fissarmi.
“Andiamo a dormire?” chiedo, incapace di sostenere lo sguardo di Edward, ma lui resta in silenzio per un interminabile minuto; i suoi occhi, verdi e concentrati, esplorano i miei alla ricerca di qualcosa. Alla fine annuisce con un sorriso e mi porge la mano. “Andiamo a dormire” mormora e dopo aver spento le luci, afferra la mia mano e insieme saliamo le scale.
Ci fermiamo davanti alla porta della mia camera e ci guardiamo per qualche secondo, con il fiato sospeso, la sua mano che massaggia la mia. “Buonanotte” mormoro, lasciando la sua mano, e dopo un’ultima occhiata, entro in camera mia.
Vedo Lily addormentata in mezzo al mio letto con le coperte rimboccate con cura fin sotto il mento. La guardo per qualche minuto, accarezzandole la testa con un sorriso, poi prendo il mio pigiama e vado in bagno, ansiosa di farmi una doccia e togliermi di dosso il trucco e l’odore di sudore e alcool che mi si è attaccato addosso durante il Ballo. Faccio una doccia veloce, il pensiero che corre al letto morbido e caldo e alla mia bimba che mi aspetta, mi lavo i denti e mi infilo il pigiama.
Tornando verso la mia camera, sento la voce di Edward provenire proprio dalla mia stanza e la risata allegra di Lily in risposta. Curiosa, mi fermo fuori dalla porta per ascoltare e scoprire perché mia figlia è sveglia e, soprattutto, perché Edward è in camera mia a chiacchierare e scherzare con lei.
“La principessa perde la sua preziosa scarpetta perché non l’aveva allacciata bene e quando torna a casa, si accorge che ha tutto il piede nero.”
Sorrido, divertita dalla storia di Cenerentola stravolta da Edward, mentre la risata di Lily risuona nella stanza.
“Perché ridi?” chiede Edward, fingendo di essere sorpreso e nascondendo il sorriso divertito che sento nella sua voce. “Ho detto qualcosa di sbagliato? Non è così la storia?”
“No!” esclama Lily, ridendo, con i ricci che le ondeggiano intorno al viso mentre scuote la testa con forza. “No!” ripete ancora ed Edward ride con lei, una risata così allegra e spensierata che non resisto ed entro in camera.
“Che succede?” chiedo, guardando con un sorriso Lily ed Edward seduti sul letto, lui a gambe incrociate e lei seduta in mezzo. “Cosa ci fai sveglia a quest’ora, amore?”
“Mamma!” urla la mia bimba, districandosi dal suo abbraccio con Edward. Si alza in piedi e, traballante, cerca di camminare fino a me ma cade, rimbalzando sul materasso, così gattona fino al bordo del letto per poi sporgersi e farsi prendere in braccio.
Le do un bacio sulla guancia. “Allora? Che ci fai sveglia?” chiedo di nuovo ma questa volta guardo Edward e l’occhiataccia che gli lancio gli fa alzare le mani in un vago tentativo di difesa. “Non guardarmi così. Non è colpa mia! L’ho trovata che girava per il corridoio e ho pensato che non fosse la cosa migliore. Poteva farsi male, poteva cadere dalle scale” esclama e l’espressione sconvolta sul suo volto mi fa sorridere e tutto quello cui riesco a pensare è che vorrei baciarlo per ciò che ha fatto per Lily.
“Grazie” mormoro, stringendo Lily. “Adesso però è ora di andare a dormire, amore.”
Lily annuisce e quando la metto sul letto, lei gattona fino al cuscino e si infila sotto le coperte, acciambellandosi come un gattino.
“Bene, è meglio che vada anch’io” mormora Edward, alzandosi dal letto, ma la piccola mano di Lily lo afferra prima che possa allontanarsi e stringe i suoi pantaloni con tutta la forza che ha. “Ehi, devi dormire ora, principessa” mormora Edward sorpreso dal gesto della bimba e con un sorriso, le accarezza la testa. “Buonanotte, piccola.”
“No!” esclama decisa, continuando a stringerlo e cercando di avvicinarlo a sé, con un broncio adorabile sul suo visetto. “No andae via.”
Edward alza lo sguardo su di me, senza sapere cosa fare. “Non posso restare qui. Questa è la tua stanza e quella della tua mamma. Io ho la mia.”
“No” mormora contrariata, gli occhi che faticano a restare aperti.
“Non ci stiamo qui” ribatte Edward, prendendo la mano di Lily e sciogliendola dalla presa sui suoi pantaloni.
“Sì” mormora, invece, Lily e per dimostrarlo si fa ancora più piccola, spostandosi in mezzo al letto per far posto ad Edward che, ormai a corto di parole, mi guarda aspettando che sia io a risolvere la situazione.
“Amore” comincio ma Lily mi interrompe, esclamando: “No!”
Sorrido triste, sapendo bene cosa vorrebbe ma non posso fare nulla per esaudire il suo desiderio e sicuramente non lo può fare Edward. E illuderla non l’aiuterebbe affatto ma resisterle è difficile ed Edward non ha ancora imparato a farlo. Nemmeno io ci sono ancora riuscita, come potrebbe lui che la conosce da così poco?
“Facciamo così” propone, sedendosi accanto al Lily. “Resto qui finché non ti addormenti, va bene? Poi però vado nella mia camera o finirò per schiacciarti questa notte e non vorrei trovare una frittata di Lily domani mattina.”
Lily ride, divertita dall’immagine di lei che si trasforma in una frittata sotto il peso di Edward addormentato, e annuisce, accettando la sua proposta.
“Sei sicuro?” chiedo, preoccupata, ma Edward annuisce con un sorriso prima di guardarmi preoccupata. “Sempre se per te va bene” aggiunge e anche se imbarazzata, annuisco con un sorriso.
Edward si siede sul letto e si sistema in modo da non dare fastidio a Lily che si accoccola al suo fianco, poi mi guarda e aspetta che anch’io la raggiunga. Con un sospiro, mi sdraio accanto a lei, avvolgendola tra le mie braccia, e la guardo chiudere gli occhi e rilassarsi con un sorriso felice sul visetto dolce.
Restiamo in silenzio a lungo, cullati dai rumori della notte e dal respiro di Lily che si fa sempre più lento e profondo con il passare del tempo. Quando sono ormai convinta che stia dormendo, Lily si gira e stringe la sua manina sulla maglia di Edward.
“Ho paura che ci vorrà parecchio tempo prima che tu possa andare a dormire” mormoro con un sorriso di scuse.
“Non importa” risponde lui, tranquillo, e dopo essersi sistemato meglio sul mio letto, semi sdraiato accanto a me con la testa di Lily appoggiata sul suo braccio, cerca i miei occhi e chiede in un sussurro: “Ti sei divertita questa sera?”
Sorrido e annuisco, alzando finalmente lo sguardo su di lui dopo aver fatto di tutto per evitarlo. La sua vicinanza mi mette a disagio. “È stata una bella serata. Era da tanto che non uscivo.”
“Immagino non sia facile crescere una bambina da sola” commenta.
Accenno un sorriso, guardando a lungo la mia bambina. “Sarebbe più facile se la gente non mi giudicasse per questo. In tanti mi hanno chiuso la porta in faccia perché ero sola e con una bambina piccola. Ho bisogno di lavorare per potermi prendere cura di lei ma non è sempre stato facile trovare qualcuno disposto ad assumermi” ammetto e non posso fare a meno di lasciar trasparire la rabbia che ancora provo, così faccio un respiro profondo per calmarmi. “Esme è stata meravigliosa. Non so cosa avrei fatto senza di lei.”
“Sono sicuro che te la saresti cavata” ribatte con un sorriso che non riesco a ricambiare.
Sospiro. “Non ho mai pensato che sarebbe stato facile crescere una bambina, soprattutto da sola, senza una casa né un lavoro, ma non credevo che i pregiudizi mi avrebbero creato tanti problemi.”
Mi guarda in silenzio, serio e concentrato, per qualche minuto, poi distoglie lo sguardo e mi sussurra, imbarazzato: “Mi dispiace per quello che ti ha detto Tanya stamattina. Non avrebbe dovuto. Non ho dimenticato quello di cui ti ho accusato, quindi forse sono l’ultima persona che può parlare” aggiunge in tutta fretta ma prima che possa continuare lo interrompo con un sorriso. “Ne abbiamo già parlato. Tu volevi solo proteggere la tua famiglia. Tanya, invece, pensa di sapere tutto e si sente in diritto di elargire al resto del mondo le sue convinzioni.”
Edward mi guarda a lungo, in silenzio, prima di annuire con un breve cenno del capo, distogliendo lo sguardo dai miei occhi. “L’ho incontrata il primo anno di liceo” mormora dopo qualche minuto, spezzando il silenzio che si è creato tra noi, gli occhi che evitano i miei. “Lei era molto diversa da com’è oggi. O, forse, ero io ad essere diverso e il suo comportamento allora non mi disturbava come invece fa ora.”
“Eravate amici?” chiedo, curiosa mio malgrado.
Edward finalmente alza gli occhi su di me e annuisce con un sorriso appena accennato sul volto. “Lei era la ragazza più popolare della scuola, lo è stata fin dai primi giorni. Con i suoi capelli biondi e gli occhi azzurri faceva girare la testa a tutti i ragazzi e bastava che schioccasse le dita perché i suoi desideri venissero esauditi.”
Il mio primo istinto è di sbuffare e alzare gli occhi al cielo ma mi trattengo, ricordando che a quell’età io non ero molto diversa. Rimango in silenzio, aspettando che continui, curiosa di scoprire qualcosa in più di lui.
Dopo qualche secondo, mi lancia un’occhiata veloce e poi, tornando a guardare Lily, mormora: “Ci siamo conosciuti il secondo anno di liceo. Lei era una cheerleader e guardava solo i giocatori di football, così come tutte le sue amiche. Io mi ero appena trasferito da un’altra scuola, addirittura da un altro Stato. I miei genitori mi avevano spedito qui dalla California. Un bel cambio di ambiente, vero?” chiede, sbuffando ironico. Non lo dice ma so che non era d’accordo con quel trasferimento, per niente. “Ero quello nuovo, non conoscevo nessuno ma tutti sembravano conoscere me” continua, senza aspettare una risposta alla sua domanda sarcastica.
Un ghigno mi sale al viso. “Sì, ho presente” mormoro.
Edward mi guarda concentrato, incuriosito dal mio commento, ed è sul punto di farmi una domanda, quando vede qualcosa sul mio viso che gli fa cambiare idea. Distogliendo lo sguardo, continua il suo racconto. “Ero arrivato da poco più di due ore e sembrava che chiunque avesse trovato una scusa per avvicinarsi e farsi gli affari miei. Mi hanno riempito di domande senza nemmeno presentarsi. Quando mi sono rifiutato di rispondere, andandomene via senza una parola, nel giro di pochi minuti tutti lo sapevano e mi avevano etichettato come stronzo. Non che non avessero ragione ma non credevo che i pettegolezzi girassero tanto veloci. Comunque a quel punto nessuno mi rivolgeva la parola. Mi evitavano tutti, guardandomi storto.”
“Eri un emarginato?” chiedo con un sorriso divertito, guardandolo sorpresa, e vedendolo annuire, chiedo ancora: “Come hai fatto a farti notare da una cheerleader? Sei entrato in qualche squadra?”
Edward scuote la testa, facendo spallucce. “No, è stata lei ad avvicinarsi a me. A pranzo, con tutto il suo seguito di cheerleader e campioni della scuola. Era un brutto periodo per me quello, a quindici anni credi che i tuoi problemi siano insormontabili, che tutti ce l’abbiamo con te e che quindi tu abbia il diritto di comportarti come ti pare senza badare alle conseguenze. Sentirsi chiamare stronzo perché mi eri rifiutato di rispondere ad alcune domande, parecchio invadenti se lo vuoi sapere, mi ha fatti infuriare.”
Sorrido e annuisco, restando in silenzio. Nella mia testa passano immagini sfuocate di mia sorella che comincia a truccarsi, che esce di casa tutte le sere tornando sempre più tardi, vestita con minigonne e top che la coprivano ben poco. A quindici anni siamo tutti alla ricerca dell’accettazione dei nostri coetanei.
“Così quando si è avvicinata Tanya, con quell’aria da regina del mondo, mi sono comportato come tutti si aspettavano che facessi. Sono diventato uno stronzo e Tanya mi ha accettato nel suo gruppo.”
“Tu e Tanya avete fatto coppia fissa?” chiedo per distogliermi dai miei pensieri.
Edward scuote la testa, di nuovo. “Non nel modo in cui pensi tu ma sì, in un certo senso eravamo una coppia. Non mi interessava avere una storia. Né con lei né con altre. E, in ogni caso, Tanya non è mai stata il tipo da storie serie. Non è molto fedele, se non te ne fossi accorta” mormora, facendomi l’occhiolino, e non posso fare a meno di ridacchiare, coprendomi la bocca con una mano per attutire il suono della mia risata e non svegliare Lily.
“Siamo stati amici per tutto il liceo” continua, “e una volta entrati all’università le cose non sono cambiate. Ognuno di noi due ha avuto le proprie storie, piuttosto brevi per la maggior parte, ma che fossimo insieme a qualcuno o che fossimo soli, finivamo spesso a letto insieme.”
Me lo aspettavo ma sentirglielo dire mi lascia l’amaro in bocca. Edward se ne accorge subito e mi rivolge un sorriso di scuse, imbarazzato. “Non ero un esempio di fedeltà nemmeno io, lo so. Non sono mai stato un bravo ragazzo e credo che fosse questo ad attirare Tanya. Eravamo molto simili e nessuno di noi due è mai rimasto ferito dall’altro.”
“Ora però lei non sembra più apprezzare il tuo comportamento” mi lascio scappare con un tono un po’ più acido di quanto avrei voluto.
“Sì, beh, in realtà lei vorrebbe che tornassimo amici” ammette, passandosi una mano sulla nuca, imbarazzato. “Negli ultimi anni ci siamo un po’ persi di vista.”
Il tono della sua voce e lo sguardo nei suoi occhi mi fanno capire che c’è qualcosa dietro al suo commento, qualcosa che vuole nascondere. Vorrei chiedergli spiegazioni ma so cosa vuol dire voler nascondere qualcosa del proprio passato e non voglio essere io quella invadente questa volta. Insomma, io nascondo il mio intero passato! Lui ha il diritto di nascondere ciò che vuole. “Con tornare amici intendi…” chiedo ma prima che possa finire la frase Edward mi interrompe, finendola al posto mio. “Che vorrebbe tornare ad andare a letto insieme, sì.”
Restiamo in silenzio per qualche secondo; la domanda che vorrei fargli, che preme sulle mie labbra per uscire, aleggia tra noi.
“Non andrò a letto con lei, se è questo che ti stai chiedendo” mi assicura Edward in un sussurro, i suoi occhi fissi nei miei.
Cercando di non distogliere lo sguardo e di mantenere un tono leggero e indifferente, rispondo: “Non sono affari miei. E comunque non me lo stavo chiedendo.”
Edward sorride, divertito dal tono della mia voce, decisamente molto meno indifferente di quanto avrei voluto, poi si muove sul letto cercando una posizione più comoda e finisce per sdraiarsi di schiena, accogliendo Lily nel suo abbraccio senza che lei si svegli. “Sei brava a mentire” mi prende in giro, facendomi arrossire, ma prima che io possa dire qualcosa, torna serio. “Non ho mai capito cosa ci fosse di male nella mia amicizia con Tanya fino a qualche anno fa. All’epoca stavo con una ragazza ed era una storia seria. Le avevo chiesto di sposarmi, anche se forse lo avevo fatto in modo piuttosto superficiale e per le ragioni sbagliate” borbotta con lo sguardo fisso sul soffitto, i pensieri persi nel passato, “ma comunque le avevo chiesto di sposarmi. Non vedevo Tanya dalla laurea, più di tre anni prima, quando me la sono trovata davanti all’improvviso. Ci siamo incontrati per caso in un bar e lei non era cambiata affatto.”
Lo guardo storto. “Siete finiti a letto insieme?” chiedo, trattenendo la voce per non svegliare Lily. Edward annuisce, evitando il mio sguardo. “E la tua fidanzata?”
Edward alza gli occhi lentamente, incrociando i miei, e quello che leggo è un senso di colpa infinito. Prima che possa rispondere alla mia domanda, intuisco ciò che sta per dirmi e non mi piace affatto. “È successo una settimana dopo aver incontrato Tanya. La mia fidanzata ci ha sorpreso a letto insieme.”
Le sue parole mi colpiscono come un pugno, anche se me le aspettavo, e mi ritrovo proiettata nel passato, quel passato che avrei voluto dimenticare.


Flashback
Era metà luglio e il caldo era soffocante, nonostante fosse ormai tardo pomeriggio. Il corridoio che stavo percorrendo era quasi soffocante, nonostante tutte le finestre della casa fossero aperte nel tentativo di far circolare almeno un filo d’aria ma era tutto inutile. I raggi di sole che filtravano attraverso le tende bianche illuminavano la casa vuota e il rumore dei miei passi sul legno scuro delle scale risuonava nel silenzio che mi circondava.
Arrivata all’ultima porta del corridoio, bussai un paio di volte con un sorriso allegro sul volto, impaziente, e senza aspettare una risposta aprii la porta, entrando nella stanza.
Impiegai qualche secondo prima di rendermi conto che qualcosa non andava.
La stanza era illuminata dal sole al tramonto che entrava dalle finestre aperte, tingendo tutto di una sfumatura aranciata; la scrivania di legno di noce era invasa di fogli, libri e quaderni gettati alla rinfusa ovunque; il pavimento, ricoperto di morbida moquette nera, era disseminato di vestiti dai colori sgargianti.
Lentamente alzai lo sguardo, percorrendo lentamente tutto il pavimento fino ad arrivare al grande letto a baldacchino che troneggiava in mezzo alla camera. Vidi un paio di jeans scuri e una camicetta rosa dalle maniche corte da una parte, una t-shirt chiara e una minigonna bianca poco più in là e appeso alla struttura del letto un reggiseno di pizzo nero elegante e molto provocante.
Con il respiro accelerato alzai gli occhi, la testa vuota da qualsiasi pensiero, impreparata a ciò che stavo per vedere. La prima cosa che mi colpì furono i capelli. Lunghi capelli rossi, ricci e sciolti sulle spalle nude.
Confusa, incapace di capire cosa stessi guardando, rimasi immobile sulla soglia della stanza finché non incrociai uno sguardo famigliare. Gli occhi scuri di James, resi ancora più scuri dall’eccitazione, mi guardarono a lungo, impassibili, mentre le sue mani si muovevano sul corpo nudo della ragazza che ondeggiava sopra di lui.
Restai a fissarlo, in silenzio, mentre faceva sesso con un’altra, finché non vidi un sorriso languido aprirsi sul suo volto. Solo a quel punto indietreggiai e corsi via, chiudendo la porta della stanza con un colpo secco.
Fine


Scuoto la testa, scacciando il ricordo di quel giorno, gli occhi gelidi del mio ex ragazzo e il suo sorriso inquietante che mi perseguita da allora. “Ti segna nel profondo del cuore e non è facile risollevarsi e andare avanti.”
Edward mi guarda confuso. “A cosa ti riferisci?”
“Trovare il proprio uomo a letto con un’altra donna” specifico con un accenno di sorriso tutt’altro che felice.
“Sì” mormora Edward in un sussurro, gli occhi bassi, “ma l’ho capito troppo tardi. Dopo quella sera comunque non ho più voluto vedere Tanya, anche se era ormai troppo tardi per sistemare le cose con la mia fidanzata.”
“Non ha più voluto sposarti?” chiedo, conoscendo già la sua risposta. Non c’è alcun anello al suo dito e, in ogni caso, se fosse sposato, a quest’ora lo saprei.
“Ovviamente no ma non è a questo che mi riferivo”, poi alza gli occhi su di me e cambia rapidamente discorso, più che altro lo sposta su di me. “Ne parli come se sapessi cosa si prova” mi fa notare con un sorriso, scherzando, ma vedendo la mia espressione, mi guarda serio.
Con un sospiro, comincio a raccontare, accarezzando piano Lily evitando con cura gli occhi di Edward che sento fissi su di me. “Avevo ventidue anni e stavo con James da poco più di cinque anni quando lo sorpresi a letto con un’altra.”
“Mi dispiace” mormora Edward, cercando i miei occhi ma io non distolgo il mio sguardo da Lily. “Cinque anni sono veramente tanto tempo” commenta.
Annuisco. “L’ho conosciuto a sedici anni e nel giro di pochi mesi sono diventata la sua ragazza. Era sempre così perfetto che non ho mai voluto vedere com’era veramente. Non ho mai notato gli sguardi maliziosi che lanciava a tutte le ragazze carine che incontrava, non ascoltavo le battute divertenti che rivolgeva loro solo per strappare una risata, ignoravo i commenti sprezzanti che scambiava con i suoi amici. Fingevo. E solo perché credevo di amarlo e che mi amasse.”
“Mi assomiglia parecchio questo tizio” mormora con uno sbuffo, cercando di farmi ridere, e mi ritrovo, mio malgrado, a sorridere divertita ma scuoto la testa con decisione. “No, forse ti assomigliava ma l’Edward che conosco è molto diverso. Non credo che ti comporteresti di nuovo in quel modo, o mi sbaglio?”
“No, non lo rifarei mai” ammette con forza, senza la minima indecisione.
Sorrido triste, guardando Lily fare un lungo sospiro e stringere la sua manina. “James, invece, sono sicura che lo rifarebbe. E sono sicura che continua a farlo anche ora.”
Alzo finalmente lo sguardo su Edward incontrando i suoi occhi verde smeraldo pieni di compassione. Allunga una mano verso di me e me la stringe piano, accennando un sorriso dolce. “Direi che sei stata fortunata ad esserti liberata di un tipo come lui.”
Ridacchio, annuendo. “Ho ripensato spesso al periodo che ho passato con lui e solo ora mi rendo conto che non lo amavo.”
“E perché stavi con lui allora?”
Faccio spallucce. “Non ho avuto un’infanzia serena e lui è stato il primo a farmi sentire importante. Mi vedeva quando nessuno prima mi aveva mai degnato di uno sguardo.”
È la prima volta che ne parlo con qualcuno e mi sento bene, bene come non credevo possibile. La compassione che mi aspettavo di vedere di nuovo nei suoi occhi questa volta non compare. “Posso farti una domanda?” mi chiede titubante, accarezzando il dorso della mia mano con lievi movimenti circolari del pollice.
Lo guardo per qualche secondo, indecisa, ma alla fine annuisco, dandogli fiducia.
“Il padre di Lily è James, vero?”
Una smorfia mi sale al viso ma guardando Edward negli occhi, annuisco. “Lily è stata concepita pochi giorni prima che lo lasciassi.”
“Mi dispiace” mormora, continuando a stringere la mia mano e ad accarezzarla con gesti lenti che mi rilassano e sciolgono la tensione che provo a parlare di James. “Perché non ti aiuta con la bambina? È suo padre. Dovrebbe assumersi le proprie responsabilità.”
Sbuffo. “Responsabilità” sbotto, trattenendo a stento un ringhio. “Oh, eccome se si è assunto le sue responsabilità! Si è offerto di pagare l’aborto. Molto gentile da parte sua, non trovi? Ma di più non avrebbe fatto, mi ha detto. Se non ricordo male, le sue esatte parole sono state: ‘Sono troppo giovane per avere un figlio. Non ho certo voglia di passare il mio tempo a cambiare pannolini. Puoi farlo tu, se ci tieni tanto, ma io me ne tiro fuori.’ Io me ne tiro fuori” ripeto con uno sbuffo, ancora incazzata per quelle parole gettate lì, quasi senza pensare. “Meglio passare le serate a bere e ubriacarsi.”
Le parole escono senza che riesca a impedirlo, sfogandomi per la prima volta, e quando mi accorgo di ciò che mi sono lasciata sfuggire, mi irrigidisco, aspettando il suo giudizio. Ma il giudizio non arriva. Mi accorgo, però, che per tutto il tempo del mio sfogo, Edward mi ha stretto la mano con forza, stringendo anche i denti per impedirsi di parlare.
“Ehi, mi stai stritolando la mano” gli faccio notare con un sorriso, fingendo una smorfia di dolore decisamente esagerata solo per strappargli un sorriso.
Edward lancia uno sguardo alle nostre mani intrecciate e subito lascia la presa. “Scusami, non me ne sono accorto. Ti ho fatto male?”
“No, non ti preoccupare” lo rassicuro, riprendendo la sua mano e stringendola piano. “Volevo solo strapparti un sorriso. Sembravi così arrabbiato.”
“Perché lo sono!” esclama e subito lo zittisco, posandogli una mano sulle labbra e lanciando uno sguardo veloce a Lily per assicurarmi che non si sia svegliata. “Scusa” mormora subito, abbassando la voce, “ma le parole che ti ha rivolto mi hanno fatto infuriare. Lo hai preso a sberle almeno?” Scuoto la testa, nascondendo un sorriso divertito. “Sei troppo buona. James non è solo uno stronzo, è anche un immaturo viziato che non vuole affrontare le conseguenze delle sue azioni. Al tuo posto lo avrei preso a pugni e lo farei anche ora, se lo incontrassi.”
Questa volta ridacchio apertamente divertita. “Vorrà dire che se mai James si farà vivo, ti avverto. Forse è la volta buona che impara la lezione e cresce un po’.”
Edward mi guarda con sguardo duro ma dopo qualche secondo sorride, divertito anche lui. Distolgo per un attimo lo sguardo dai suoi occhi e in un sussurro, gli chiedo: “Tu, se fossi stato al posto di James, che avresti fatto?”
“Mi sarei assunto le mie responsabilità” risponde subito, deciso.
“Non ora ma in passato” specifico, senza però trovare il coraggio di tirare in ballo la sua amicizia con Tanya e il suo comportamento così simile a quello di James, ma non occorre perché è lui a farlo e non senza un po’ di imbarazzo.
“Intendi quando ero uno stronzo e andavo a letto con chiunque respirasse?” chiede, cercando di scherzare ma dallo sguardo nei suoi occhi so che non va fiero del suo comportamento. Annuisco. “Sì, mi sarei assunto le mie responsabilità.”
Lo guardo e non posso fare a meno di credergli. È sicuro e sincero. Su questo non ho dubbi, ma mi accorgo che non riesce a sostenere il mio sguardo molto a lungo. Lo fisso indagatrice e dopo qualche secondo capisco. “Lo hai fatto, vero? Ti sei preso le tue responsabilità quando una ragazza ti ha detto di essere incinta.”
Lo sguardo che mi lancia mi fa capire di aver toccato un tasto dolente, e tanto anche. Così come il silenzio che cala tra noi, interrotto poco dopo. “È tardi e Lily ormai dorme da un pezzo. Vado in camera mia così ti lascio dormire.”
Annuisco, non troppo sorpresa dalla sua improvvisa voglia di scappare via, in fondo io mi comporterei allo stesso modo, e rimango in silenzio a guardarlo cercare di spostare Lily dal suo braccio ma senza molto successo.
“Aspetta, ti aiuto” mormoro, prendendo una manina di Lily e sciogliendo la maglia di Edward dalla sua morsa. Poi mi sistemo sul letto e accolgo la mia bimba tra le braccia, lasciando che le sue mani stringano la mia maglia al posto di quella di Edward.
“Buonanotte” mormora Edward e se ne va in fretta, accostando piano la porta di camera mia in modo che non faccia alcun rumore.


Ecco qui il nuovo capitolo. Ci ho messo molto tempo a scriverlo. Avevo in testa decine di conversazioni diverse tra Bella ed Edward ma nessuna sembrava quella giusta. Alla fine, dopo aver scritto e riscritto questo capitolo non so quante volte, è uscito questo. Non ne sono del tutto soddisfatta ma spero che vi piaccia.
Edward si è aperto e lo stesso ha fatto Bella. Il loro passato è simile, da un certo punto di vista, ma opposto e abbiamo finalmente scoperto chi è il padre di Lily. Sono sicura che non fosse una sorpresa per voi ;) e sappiamo anche qualcosa in più di James. Non si è comportata molto bene con Bella, non lo pensate anche voi?
Edward, invece, è stato sul punto di sposare una ragazza ma ha rovinato tutto facendo lo stesso terribile errore di James. Ma quale sarà questo tasto dolente toccato da Bella che ha fatto fuggire in quel modo Edward?
A presto!
E un grazie a tutte le persone che hanno recensito, che hanno messo la mia storia tra le preferite, le seguite e le ricordate!


 

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