Out Of Dust

di Ilarya Kiki
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologue: The End. ***
Capitolo 2: *** Awakening ***
Capitolo 3: *** Here we are. ***
Capitolo 4: *** I don't breath. ***
Capitolo 5: *** The past; sensei. ***
Capitolo 6: *** The past; regrets ***
Capitolo 7: *** Into the woods. ***
Capitolo 8: *** Tears. ***



Capitolo 1
*** Prologue: The End. ***


Prologue: The end.


Lei lo guardò intensamente, non appena le sue braccia cominciarono rapidamente a sgretolarsi.
Lontano, il loro silenzio era spezzato dalle urla e dal clangore delle battaglie. Nessuno dei due parlò, non ce n’era bisogno.
Colonne di luce scesero dal cielo come dita divine, come moniti al sacrilegio, come la salvezza dopo la Maledizione, e punteggiarono la terra distrutta attorno a loro, illuminando il buio crepuscolo di luce sacrale; solo allora le labbra si sciolsero.
“La Liberazione…”
“Ce l’ha fatta, alla fine.”
I loro corpi si disintegravano lentamente insieme alle catene invisibili che li tenevano legati ad essi, liberandoli da quella turpe prigione, e sentirono la libertà tornare nei loro pensieri, in ciò che restava dei loro arti, nelle loro anime. Ma non ci badarono. Le loro mani erano strette, l’una nell’altra, gli occhi avvinti.
Finalmente fu libera anche una lacrima.
“Non voglio morire…non adesso.”
“Noi siamo già morti.”
Vieni con me, voleva dirgli. Resta con me per sempre.
Una luce abbacinante li circonfuse, e lei sorrise, era celestiale. Finalmente lo vide, il suo vero volto, abbagliante. Finalmente si sentirono sollevare, e quelle carni sacrileghe crollarono al suolo, come tutto quello che erano stati fino a quel momento.
Anime intrappolate, strappate al cielo.
Vite di polvere.


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Eccomi qui con il seguito di ISOA!!!
*squilli di trombe e coriandoli volteggianti*
Sono davvero eccitatissima per l'inizio di questo nuovo viaggio, e spero di non deludervi! Spero anche di non finire con la sindrome del sequel...cioè con un calo di qualità, nel caso fatemi un fischio!
Ah, una cosa devo dirvi, questa storia è diversa da quella a lei precedente, sotto molti aspetti, e sarà piena di novità e soprattutto nuove personalità si intrometteranno nella storia...
Ma basta così, direi.
A prestissimo!

*se ne va folleggiando*
Kiki

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Capitolo 2
*** Awakening ***


Awakening


Attorno a me vedo solo azzurro.
Solo un’immensa luce, che brilla a partire dal centro del mio petto, come se mi fossi trasformata in un sole, o in una bellissima stella. Sono…perfetta.
L’aria non si muove, e scorgo sotto i miei piedi, molto vagamente, il verde manto di un bosco ed un circolo di polvere innalzata dall’emanazione potentissima che mi sublima.
Vedo nubi, infiammate di bianco.
Ma che luogo è questo?
È qualcosa di bellissimo, che continua a ripetersi ancora ed ancora: la luce esplode, in me e fuori di me, spegnendosi e riaccendendosi come se fosse dipinta sulle pagine di un libro illustrato, le quali sono continuamente voltate avanti e indietro da un paio di mani ammirate dalla bellezza della scena dipinta.
Dove mi trovo?
Ah, ma questo, è quello che ho fatto quando sono morta.
Il momento in cui mi sono fatta esplodere rivive in un circolo infinito attorno a me, allietato da qualche vaga consapevolezza, ma neanche troppo. Non sono nemmeno sicura se sia normale che io stia vivendo questo, ma fatico persino a pormi questo genere di domande. Poi credo di capire, deve essere così. Questi sono i miei ricordi.
Non appena acquisisco questa certezza, cominciano subito a confondersi, ed il mio orizzonte si riempie di altre immagini mischiate: accanto a me ora svetta quel ciliegio che tanto amavo da bambina, così grande visto da me così piccina.
Poi c’è l’Accademia, al villaggio. E poi il volto di Kiyome, la mia maestra all’orfanotrofio. Il suo viso di rimprovero, le mie mani macchiate di inchiostro ed i miei capelli neri lunghi fino alle ginocchia. La mia solitudine, il mio kimono preferito.
Poi dietro di me sento un respiro, e mi scorgo voltarmi velocemente contro il nemico che mi ha colta alle spalle nella foresta. Il suo sangue, la mia divisa da jonin tutta imbrattata, e poi le urla dei miei vecchi compagni di squadra, mentre litigavamo. I miei capelli lunghi sugli occhi, che mi impedivano di vedere chiaramente e si incollavano alle ciglia, e poi, il mio coprifronte che bruciava e fondeva il suo metallo al suolo. Oh, sì, e poi quella splendida sensazione della lama che mi ha tranciato via tutti quei capelli, insieme col mio passato da kunoichi, per portarmi al mio futuro da geisha, libera, finalmente.
Sono un po’ confusa, e l’esplosione di prima torna a darmi fuoco, come a bruciare tutti quei momenti inutili, così patetici, così arrugginiti di passato e di turbe adolescenziali.
C’è un momento di confusione, e fatico persino ad identificarmi nella turba di corpi evanescenti che la mia memoria mi proietta attorno, fino poi a focalizzarsi in un sorriso. Per un momento mi pare di vedere me stessa, ma poi mi accorgo che ciò vedendo non sono io. È Dei-senpai.
Deidara…
Spero che tu stia bene, e che ti stia godendo la vita che sono riuscita a preservarti facendomi esplodere. Spero davvero che tu sia felice. Mi accorgo che tutto il resto è sparito, e lui occupa tutto lo spazio. Non so se ho ancora una bocca –non mi sembra-, ma se l’avessi starei sicuramente sorridendo tra me e me, arrossita. Mi scorrono davanti in fretta, con la sua immagine che non mi abbandona nemmeno per un momento, tutti i momenti che ho passato come membra dell’organizzazione Akatsuki, i giorni più immensi e stravolgenti della mia vita. Con lui, con Deidara, ho finalmente trovato le ali, e ho raggiunto la bellezza perfetta.
È strano, è come se stessi rivivendo, nei miei ricordi, tutta la mia breve vita di diciottenne.
Non capisco nulla, è come se fluttuassi. Non ricordo nemmeno quando questa luce è iniziata, quando ho ricominciato a chiamarmi “io”, quando il mio spazio mentale si è ricomposto per riaccogliere frammenti di una vecchia vita, che dovrebbe già essere perduta, in polvere. È come un lento e sonnolento risveglio, in cui i miei pezzi si stanno man mano ricongiungendo, per farmi tornare ad essere quella che ero una volta, quella giovane donna che voleva essere chiamata Tsukaiko. Ma Tsukaiko è morta. Lo so, perché sono assolutamente certa di essere morta.
Ma, allora, perché?
Perché ricordo, perché penso?

Non ho idea di quanto tempo sia passato da quando sono entrata in questo stato, né ho la possibilità di percepirlo, quando qualcosa di molesto ferisce i miei occhi.
Occhi? Da quando ho ancora gli occhi?
È luce, luce vera, solare, di quelle che accecano gli occhi dei morti. Ad un palmo dal mio volto si crea una fessura di doloroso bianco, poi si espande subito, odo uno schianto di qualcosa che cade al terreno e la luce mi circonda completamente, spazzando via tutti i pensieri e tutti i ricordi.

La vista ritorna con una strana sensazione nella zona dove in vita si trova la nuca, ed un paio di gambe non mie mi fanno avanzare di un passo. Odo voci, e percepisco la brezza che muove la mia veste, la terra sotto i miei piedi nudi. E poi, sento la puzza.
Due uomini, uno incappucciato e l’altro mascherato, parlano, indicando più o meno il luogo dove mi trovo. La mia bara di legno.
Non sono sola, altre presenze sono accanto a me, con i loro sarcofagi profanati, con il loro fetore di morte, i loro passi blasfemi sulla terra dei vivi. Mi pare di aver già sentito da qualche parte le voci di quei due davanti a me, soprattutto una, che mi irrita al solo suono.
“…sono tutti fortissimi, e non sono nemmeno tutte le mie pedine a disposizione.”
Pedine?
“Alleati con me, e ti metterò a disposizione le mie risorse militari. Hai bisogno di me per vincere questa guerra.”
Pausa. Il sole mi acceca, la puzza, anche se non la respiro, la sento penetrarmi nelle ossa come una malattia infettiva. I miei polmoni non respirano, il cuore non batte nel mio petto, le gambe non riesco a sentirle, ma mi tengono comunque in piedi. Io sono qui. Circondata da mosche.
“Ma questa…” mormora l’altra voce, sconcertata “…questa, è l’Edo Tensei.”

Bentornata nel mondo, ragazza mia.
Le gambe mi fanno rientrare nel sarcofago, ed il buio si rifà subito assoluto con un tonfo legnoso, facendomi ricadere nel mio confuso limbo di memorie, terrorizzata.
E poi, più nulla.

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Capitolo 3
*** Here we are. ***


Here we are.


“Tutti noi!? Intendi…proprio tutti tutti?”
“Così ho sentito dire a Kabuto.”
Il tono di Sasori era lo stesso di sempre, come tanto tempo prima, secco e asciutto come se si stesse rivolgendo ad un completo idiota. Deidara pensò che era il caso di sentirsi irritato, ma anche che quella voce gli era mancata, e tanto. Il suo vecchio compagno stava seduto accanto a lui, a gambe incrociate, tenendo gli occhi castani fissi in un punto indefinito davanti a lui, con espressione assolutamente rilassata ed assente. Non spostò lo sguardo nemmeno per rispondergli.
Aveva sempre fatto così, quando non indossava la sua pesante armatura, Iruko.
Una valanga di memorie invasava la mente di Deidara, come se non fosse stato già abbastanza confuso di suo. Non riusciva a capacitarsi del fatto che la persona accanto a lui fosse davvero Sasori, quel Sasori che era morto durante la missione per recuperare il monocoda, in un tempo passato che gli pareva infinitamente lungo e lontano.
Si rese conto che il rosso si era accorto di essere fissato, e così ricominciò a guardare il paesaggio scorrere lento sotto di lui, ad un’altezza non eccessiva ma tale da non dare troppo nell’occhio.
Erano in volo, su una delle sue opere volanti, insieme. Anche questo fatto isolato, di suo, era anomalo, perché Sasori prima non avrebbe mai accettato di farsi trasportare su uno dei suoi volatili d’argilla. Primo nella lista di una serie di fatti anomali, lunghissima.

Tutti i membri di Akatsuki erano stati riportati in vita per combattere come pedine in quella che sembrava a tutti gli effetti la Quarta Grande Guerra Ninja, al servizio di “non si sa bene chi”, contro le forze unite di tutti i cinque grandi Kage, per la prima volta alleati. Kabuto, l’allievo di Orochimaru, aveva perfezionato la tecnica dell’Edo Tensei, la tecnica della Resurrezione Impura, per fornire al suo misterioso alleato un buon valore di scambio per mettersi dalla parte del vincitore, o per qualche altro motivo non ben definito, ma poco importava, in fondo.
Loro di certo non erano stati riportati in vita per farsi delle opinioni.
In ogni caso, un gran numero di potenti ninja deceduti erano stati riportati nel mondo dei vivi per combattere come armi da guerra, e tutti i membri dell’Akatsuki avevano avuto la fortuna di rientrare in quel numero. Questo era quanto sosteneva Sasori, che era riuscito a sentire meglio i discorsi di Kabuto e dell’altro uomo mascherato.

La sensazione era irreale.
Deidara ricordava la vita, la ricordava molto bene, dopo che Kabuto aveva deciso di concedergli la memoria attraverso la tecnica, e quella non era vita. O almeno, era qualcosa che faceva finta di esserlo.
Poteva a vedere con quegli occhi che non riusciva a sentire suoi tutto ciò che lo circondava, ascoltava suoni, percepiva odori, ma non gli sembravano veri, non riusciva ad assaporarli come reali: erano come impulsi che gli permettevano di rendersi conto del mondo attorno a lui, ma freddi e distanti, quasi come quando ci si ferisce in un sogno. Se qualcuno avesse provato a staccargli di nuovo le braccia, era assolutamente sicuro che non avrebbe provato nessun dolore. E poi, il suo corpo: era immobile, nulla si muoveva al suo interno, né cuore, né polmoni, né nient’altro. Gli pareva di essere uno spirito intrappolato in una statua. Sensazioni tutte piuttosto spiacevoli, ma sopportabili una volta presa l'abitudine. Non aveva molta scelta, dopotutto.
La prima cosa che ricordava da quando si era scoperto intrappolato in quel corpo non suo era la luce del sole accecante, e poi la presenza di Sasori accanto a lui: subito dopo gli erano stati impartiti degli ordini da parte di Kabuto e da un tizio che sembrava Tobi (Tobi? Davvero quel Tobi? Probabilmente no, era troppo cambiato).
Non si era fatto molte domande, aveva già sentito parlare dell’Edo Tensei, e d’altronde si era accorto di non avere molto controllo sui suoi stessi pensieri, che talvolta venivano spazzati via e sostituiti da un imperativo imprescindibile. Tranne in quel momento, in cui riusciva davvero a pensare, ed aveva appena saputo da Sasori che era stata riportata in vita tutta Akatsuki.
Magari, c’era anche lei.
“Non pensavo che sareste morti tutti. Persino Pain, persino tu, Deidara-san…”
“Emh, Danna, ma cosa ha detto di preciso, Kabuto?”
“Quello che ti ho appena detto io.”
“Non ha fatto nomi, come…”
“Che c’è, cerchi qualcuno in particolare?”
Non c’era malizia nella voce di Sasori, ma Deidara si zittì comunque, imbarazzato. Si sentiva incredibilmente stupido, e non voleva che il suo compagno pensasse che si comportava ancora come un ragazzino. Quando si erano conosciuti, aveva cercato il più possibile da atteggiarsi da adulto, perché il rispetto del suo compagno era la cosa che bramava di più in assoluto. Ora lui era cresciuto davvero – e anche morto, tra l’altro – ma aveva ricominciato a sentirsi ridicolo.
“Dopo che tu sei morto, mi hanno assegnato un altro compagno. Ma ho qualche cosa da dirgli. Tutto qui.”
“Ah.” Fece Sasori, gelido, al limite del disinteresse. “Non un gran ché, se speri di trovarlo tra gli zombie, allora.”
“Già.” Rispose Deidara, a voce bassa. Non aggiunse altro, anche se avrebbe avuto voglia di gridare.
Continuò a fissare il paesaggio scorrere sotto di sé, un mare di alberi senza traccia di presenza umana. Se avesse continuato a parlare, probabilmente si sarebbe messo a farneticare, voleva ritrovarla, voleva parlarle, la sola idea che lei fosse tornata in vita insieme a lui e che era lì da qualche parte, lontana da lui, lo faceva impazzire. Ma nel frattempo non voleva assolutamente parlarne a Sasori, lui non c’entrava nulla, e forse si sarebbe arrabbiato.
Arrabbiato? Perché mai, cosa poteva importarne a lui…? Che sciocchezze, doveva pensare a fare quello per cui erano stati riportati in vita.
“…e, come mai tutto questo interesse per un tizio che è durato così poco?”
Sasori di solito non era così loquace.
“Cosa c’è, sei geloso?”
“Non essere stupido.”
Il silenzio tornò, gelido e un po’ seccato. Deidara si era messo a pensare, suo malgrado, a come avrebbe potuto ritrovare “il tizio che era durato così poco” nonostante il controllo di Kabuto.
“Allora ragazzino, vuoi rispondermi sì o no?”
“Ma cosa vuoi da me!? Ho i miei motivi!”
“Si può sapere cos’hai da urlare? Ti ho fatto solo una domanda!”
“Anche tu ti stai scaldando!”
“No, affatto!”
“Non sono affari tuoi, è successo dopo che ti sei fatto ammazzare come un dilettante da una vecchia e da una ragazzina!”
Sempre meglio che farsi saltare in aria come un completo deficiente!!!
Io almeno l’ho spazzato via con me, il mio avversario!!!” Ecco, era successo. Stavano di nuovo litigando come una vecchia coppia sposata, urlandosi contro i peggiori insulti, come facevano sempre anche quando erano in vita.
Deidara non ne aveva voglia, sinceramente, ma dovette ammettere che si sentì avvampare di nostalgia.
Almeno era riuscito a deviare l’argomento.
Si sentiva così stupido.
Stavano quasi per venire alle mani, quando le loro menti si svuotarono all’improvviso, e le parole scivolarono via dalle labbra. Kabuto si era accorto che si erano messi a bisticciare, ed aveva stretto i fili che legavano le loro menti.
Tornarono a fissare il paesaggio con occhi vuoti, accovacciati sul volatile d’argilla.
Il tempo si dilatò nel vento che gli soffiava nelle orecchie.
“C’è una squadra di otto ninja cinque kilometri a sud-ovest.” Mormorò Deidara.
Sasori annuì, e tornarono indietro per fare rapporto.

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Capitolo 4
*** I don't breath. ***


I don't breath.


Aiuto, sono di nuovo solo. Non respiro.
Questo non è molto diverso dalla vera morte, quando non siamo fuori dalle bare: si muore sempre da soli. Non lo sopporto. Voglio uscire, ho delle cose da fare. Ma non posso. Non sento nemmeno il mio finto corpo. Non sento nulla.
Almeno, posso di nuovo pensare… maledizione, che stupido. Devo ricordarmi di fare il bravo, con Sasori, o non riuscirò davvero a combinare niente. È tutto buio, mi sento soffocare.
Ma non posso soffocare.
Io non respiro.
Tsukaiko mi torna in mente, lei è lì, sempre, non se ne è mai andata, aggrappata con artigli insanguinati alle pareti più interne del mio cuore, e grida, e mi accusa, e mi manca. Nemmeno la morte l’ha cancellata. Nemmeno la mancanza di ossigeno e di luce, nemmeno la mancanza della mia stessa coscienza di me stesso. Lei è lì e nulla è stato capace si strapparla via, come una ferita aperta.
Per tutto l’arco di tempo in cui ho vissuto ho provato il bruciante desiderio di rivederla, almeno per darle un addio decente, per dirle grazie. Mi ha lasciato mentre le parole mi mancavano. Non sono mai riuscito a perdonarla per questo.
Ora lei è qui, nel mondo dei vivi, uno spirito errante legato ad un cadavere che corre sui polverosi campi di battaglia, proprio come me…posso rivederla, posso davvero farlo!
Questa cosa mi fa impazzire, e maledico il buio, la bara, e queste membra morte che rifiutano di attivarsi al mio comando. Dove sei Tsuka-chan? Cosa stai facendo? A cosa stai pensando?
Cosa pensi di me…?
Ti avranno detto come sono morto? Probabilmente penserai che sono un codardo. Tu mi avevi detto di vivere ed insegnare al mondo la bellezza, ma io mi sono arreso, sono stato sconfitto.
Vorrei davvero parlarti…ti racconterei della mia sublimazione, non perfetta come la tua, ma altrettanto maestosa. Credo che l’abbiano vista in tutte le Cinque Grandi Terre.
Ora, anche quello ci hanno tolto, amore: l’opera d’arte perfetta non concede nessun bis, eppure, eccoci ancora qui, a trascinare una stanca performance che aveva già trovato il suo sublime picco finale.
Ti racconterei di come si sia sciupata la mia esistenza senza di te, forse tu capiresti, alla fine. Sì, voglio essere ottimista, la rabbia non ti infiammerà fin dentro al tuo profondo, ma ti brucerà solo sulla superficie lasciando morbido e comprensivo il nocciolo più interno. Se riuscirò mai a trovarti… non siamo liberi, non possiamo esserlo. Maledizione.
Cosa diavolo siamo!?
Non siamo vivi, non siamo morti, siamo solo oggetti di distruzione in mano ad altri, e questa cosa mi fa andare in bestia, è per non diventare un essere del genere che sono diventato un nukenin. Ma ti troverò, giuro che ti troverò, tecnica o non tecnica. Se il mio destino ha prescritto per me questa occasione non posso permettermi di lasciarla volar via, o giuro che vagherei senza pace per l’eternità. Sarebbe un lurido bastardo, se no, il destino, a deriderci così.
Ti troverò, e ti parlerò di come, alla fine, tuo padre è morto, e in qualche modo sei stata vendicata, anche se non da me. Ma di cosa potrebbe importarti, ormai? La nostra presenza è solo un furto, non potremo mai tornare a stare insieme, e realizzare i sogni che ci eravamo prefissati, solo pensarci mi fa star male…spero che ti basti, un addio come si deve. E tutte le cose che ho da dirti. E vorrei anche toccarti, ma non potrei mai farlo perché queste mani non sono mie.
Mi basta vederti, davvero.
Aiuto, non respiro…non voglio rimanere qui da solo.
È come la morte ad occhi aperti. Non ce la faccio più.
Riesco quasi a sentirli i vermi che si riproducono da qualche parte dentro il mio involucro, e si dimenano, e mangiano. Ma va bene, posso sopportarlo.
Se ti rivedrò, posso sopportarlo.
Sarà bello, ci ricorderemo di quando eravamo insieme, e ti ringrazierò per tutto quello che mi hai dato, finalmente, dopo tutto questo nulla in cui mi hai lasciato da solo senza una parola, strappata via senza nessun riguardo.

Devo trovare un modo per potermi liberare senza dire nulla a Sasori-danna. Lui non deve sapere niente. Però mi piacerebbe che anche lui trovasse un po’ di libertà, perché non ho proprio voglia di separarmi da lui senza nessun preavviso: mi è mancato moltissimo, accidenti, e sono davvero contento di averlo di nuovo al mio fianco, dopo tutto quello che mi è capitato.
Magari, Tsukaiko potrebbe anche piacergli. Oh…ma che diavolo! No, lui non deve sapere niente.
Prima di tutto, devo evitare di far scoppiare liti dannose, in modo tale da mantenere il più possibile la coscienza e soprattutto il controllo sul mio corpo. Magari, una volta finita la fase di ricognizioni e raggiunto lo scontro in campo aperto non avrà più bisogno di noi…o forse no, se è furbo non si dimenticherà delle mie bombe e delle marionette del mio compagno e ci sfrutterà fino al massimo delle nostre possibilità. Ma questa guerra dovrà pur finire, prima o poi. Magari, potrei approfittare di quando non avrà più bisogno di noi, quando non avrà più così tanto interesse che noi ci troviamo nel punto e nel momento esatto che prevede la sua strategia.
Magari. O magari anche prima, se trovo un momento adatto.
Non posso progettare nulla, nella mia posizione. Maledizione!
Starò all’erta.
E ritroverò Tsukaiko, e in qualche modo darò un degno regalo d’addio anche a Sasori, che oltre ad essere stato mio compagno per tanti anni è sempre stato anche un po’ come un maestro di vita. In tutti i sensi, proprio.

All’improvviso, luce.
Si torna sul campo.

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Capitolo 5
*** The past; sensei. ***


The past; sensei.



All’improvviso vedo Kiyome, la mia maestra, sopra di me, mentre tiene in mano i miei pennelli preferiti. Li ha appena presi dalla tavoletta su cui sto disegnando; no, non li ha presi, li ha rubati.
“Dovresti essere all’addestramento con gli altri bambini., Tsukaiko, che non ti trovi più a bighellonare mentre gli altri lavorano per diventare difensori del nostro villaggio!”
La visione sfuma leggermente, perdendosi nei fumi della memoria, e subito dopo la rivedo di spalle, con i miei pennelli stretti nelle sue dita ad artiglio, mentre li va a mettere sottochiave. I suoi capelli chiarissimi raccolti solo parzialmente sulla nuca sventolano come una bandiera sul suo kimono bianco, nascondendo parzialmente lo stemma del villaggio.
Sì, lei mi odia. Mi ha sempre odiata da quando sono venuta al mondo.
Con i miei piedini di bambina mi rialzo e tiro un calcio al marsupio pieno di attrezzatura base che Kiyome mi ha lasciato al posto dei pennelli, i ferri da lavoro per chi vuole diventare un ninja. Ma io li odio. Sono brutti, e gli esercizi per imparare ad usarli sono ridicoli. Non li prenderò mai, è inutile che la maestra continui ad insistere.

Deidara percepì vagamente un forte vento soffiargli tra i capelli poco dopo l’evocazione. E poi arrivò la coscienza, improvvisa, totale, lampante. Si risvegliò come da un sogno nero e nebuloso, e si rese subito conto di essere in piedi sopra una delle sue opere con qualcuno al suo fianco: alzando un poco gli occhi scoprì di trovarsi a terra, all’interno dello strano covo del loro evocatore che pareva scavato all’interno della cassa toracica pietrificata di qualche spaventosa bestia mitologica.
Prima che si fosse ripreso completamente, una voce irritante gli giunse agli orecchi, che riconobbe subito come quella del suo evocatore:
“Buongiorno Deidara. Oggi ho bisogno di te.”
Kabuto non era il massimo, come ninja da cui dipendere: oltre ad essere particolarmente viscido e tenebroso, Deidara non poteva infatti certo perdonargli tutti i problemi che era stato capace di dargli quando era ancora in vita. Egli, infatti, era stato il braccio destro di Orochimaru, che le aveva provate tutte per sottrargli Tsukaiko e renderla un suo strumento da battaglia, oltraggiando i loro spiriti liberi e spingendo la sua amata, infine, al sacrificio per salvare a lui la vita. Insomma, poteva a malapena tollerare la sua presenza, e la grande libertà di pensiero e movimento che gli era stata concessa in quel preciso momento non aiutava certo a dimenticarsi di questi piccoli dettagli.
“Ehi, posso muovermi liberamente! Che succede?”
Kabuto non gli lasciava più tutta questa libertà da quando aveva ricominciato a bisticciare con Sasori.
“Mi servi e non conosco bene le tue tecniche. Sei un tipo creativo, sono sicuro che saprai sorprendermi.”
“Dove andiamo?”
“Te lo dico in volo, tu pensa a decollare.”
Sentì Kabuto assicurarsi con qualcuno a terra sulla sicura riuscita della sua impresa – probabilmente il tizio che assomigliava così tanto a Tobi – e comandò al suo grosso rapace d’argilla di spiccare il volo. Presero quota velocemente, sollevandosi sopra le foreste attorno al loro covo segreto.
In fondo, la stizza nei confronti di Kabuto era meno forte di quanto Deidara potesse prevedere: Orochimaru era morto, e il suo sottoposto non aveva fatto altro che agire come un ninja modello dovrebbe fare sempre, ovvero approfittarsene subdolamente. Lui non era come il suo capo, aveva progetti diversi. Inoltre, tutto quello che riguardava la sua vita, eccezion fatta per Tsukaiko, gli sembrava pallido e lontano, come un antico sogno. In fondo, che diritto aveva lui, che era morto, di prendersela con chi era riuscito a sopravvivere più a lungo?
“Il nostro obiettivo è un’isola a largo della costa del Paese della Nebbia, al suo interno si nascondono le forze portanti dell’enneacoda e dell’ottacoda, che io catturerò vive. Tu dovrai pensare a individuare e fermare l’isola: è itinerante.”
“Mi stai dicendo che stiamo andando a prendere quel moccioso di Naruto Uzumaki?”
“Sì, lui.”
Ecco, Deidara aveva un conto in sospeso anche con Naruto Uzumaki da quando era in vita: gli doveva un pugno e una profonda ferita nell’orgoglio. Ovviamente il rancore era pallido e lontano, ma perché non cogliere l’occasione di levarsi qualche soddisfazione quando ti veniva servita così, su un piatto d’argento? Kabuto non lo poteva toccare, ma si sarebbe potuto divertire a prendersela con quel genin della Foglia.
“Ti vedo allegro.”
“Sì, non è male tornare in azione dopo così tanto tempo. Piuttosto…qualcuno ha parlato della mia esplosione? È stata stratosferica.”
“Ummm…no, in realtà.”
“Eh, continuo ad essere troppo avanti per la gente comune.” E così fu spento il barlume di speranza che gli era rinato per un secondo insieme all’ebbrezza del vento nelle orecchie. Niente da fare, esattamente come quando era in vita, nessuno apprezzava le sue opere.
Solo Tsukaiko lo faceva.

Io, Tsukaiko, sto combattendo contro un bambino della mia età, al centro dell’arena ricoperta di sabbia attorno al quale gira il pergolato della scuola ninja.
Il duello é appena iniziato, ma il mio avversario sanguina già da una tempia; lo vedo prepararsi per il prossimo assalto ma non gli do nemmeno il tempo di stringere i pugni, che l’ho già lanciato a due metri di distanza, con la faccia nella polvere.
Mi sono allenata molto per fare bene questa mossa, e i risultati si stanno finalmente facendo apprezzare.
Il maestro di arti marziali approva con un cenno, e mi sento invadere dall’orgoglio. Sì, finalmente sto diventando brava: una brava kunoichi. I miei compagni mi rivolgono uno sguardo schifato, ed io lo sopporto in silenzio, so che è dovuto solo alla paura, perché io sono incredibilmente più forte di loro. Ma presto, anche loro mi sorrideranno, proprio come il maestro. Lo desidero con tutto il cuore, con tutta se stessa. Io non sono la figlia del Demone, io sono Tsukaiko, kunoichi del villaggio nel bosco.
Lo capiranno tutti, presto, ne sono sicura. Solo Kiyome continuerà ad odiarmi, ma pazienza: lei ormai è un caso perso.

Deidara e Kabuto volarono qualche ora sulla superficie lievemente increspata del mare, prima di vederla: l’isola semovente della Nuvola. Era piuttosto piccola per essere un’isola, ed era completamente ricoperta di vegetazione. Deidara notò qualcosa di molto strano, però: infatti uno di quegli scogli che si gettavano direttamente nel mare aveva decisamente la forma di una coda.
“Ehi, ma è un animale?”
“Sì, è una tartaruga gigante. Tu devi arrestare la sua corsa.”
“Pff, tutto qui?”
Bastò una creazione a forma di medusa per far ribaltare l’immenso carapace, in uno eccezionale spettacolo di spruzzi di acqua salata. Poi arrivò anche una bestiaccia di Kabuto a finire il lavoro, una sorta di serpente che stritolò e morse il corpo della povera creatura marina.
“Direi che possiamo metterci a cercare le forse portanti, ora, Deidara.”
“No…aspetta.”
Tre figurette umane erano comparse nel campo visivo del biondo redivivo, e stavano svolazzando a tutta velocità in direzione della pancia della tartaruga. Deidara li riconobbe subito, con una stretta di nostalgia a comprimergli i polmoni vuoti.
"Che c’è?”
“Li vedi? Sarebbe meglio coglierli si sorpresa.”
“Ah, bravo. Che hai? Li conosci?”
“Sì.” Mormorò Deidara, tra i denti.

La mia sensei, Kiyome, è un caso perso. Ma non soffrirà ancora a lungo. Ho già deciso che presto tutti i suoi problemi saranno finiti; in fondo, a volte una disgrazia può capitare, no? “Chi sono?”
“Quello…” il biondo ridusse gli occhi a fessure, per esserne assolutamente sicuro,
“…quello è il mio sensei.”


*angolino autrice*
Ehilà!
Eccomi tornata a rompere sotto i capitoli, scusatemi se sono mancata! -come se la mia presenza qui sotto fosse necessaria...ma dovete sorbirmi lo stesso! :) -
Volevo chiedervi scusa per la il tempo che si frappone fra un capitolo e l'altro, soprattutto perché alcuni di voi lettori mi seguono fin dalla storia precedente, e mi rendo conto che vi faccio aspettare parecchio lo svolgersi degli eventi! Purtroppo, quando non torno la sera tardissimo per le lezioni sono presa dagli esami, e quando son finiti anche gli esami...beh, è Agosto. Ed è Agosto per tutti XD.
Spero che possiate sopportarmi e soprattutto grazie, grazie per essere arrivati a leggere fin qui, e per tutte le recensioni! Ogni vostra parola mi fa sempre saltare dalla gioia e mi da la carica per continuare!
Detto questo...al prossimo capitolo! :D

Grazie a tutti! :*

Kiki

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Capitolo 6
*** The past; regrets ***


The past; regrets.



Lo scontro fra le due squadre in volo fu violento: il colpo del vecchio Tsuchikage, Oonoki, infranse senza difficoltà le difese dei due occupanti dell’opera volante, che parvero non tentare neppure di fuggirne. Il pugno del capo del villaggio di Iwa rimase incastrato nel corpo di Kabuto, dopo averlo passato da parte a parte, e Deidara si affrettò a cingere da dietro il vecchio, impedendogli qualsiasi via di fuga.
“Non ci posso credere! Ma quanto tempo!” esclamò il biondo, con tono scanzonato, mentre già il suo chakra si concentrava in un solo punto. Il vecchio ninja sogghignò, in risposta, poco prima di saltare in aria in un’esplosione potente come il tuono di una tempesta.
Frammenti di roccia e polvere d’argilla piovvero sul mare: entrambi i contendenti erano delle copie. I tre ninja di Iwa in carne ed ossa osservarono l’esplosione da lontano, da distanza di sicurezza: indossavano tutti l’armatura tradizionale del loro villaggio, sopra la divisa rossa.
Deidara era certo di essere stato riconosciuto all’istante dal piccolo gruppo, anche perché quelli non erano guerrieri pescati a caso: si trattava dell’elite scelta fra i jonin più abili del villaggio. La sua vecchia squadra.
“Abbiamo usato la stessa strategia.” Mormorò, più a se stesso che a Kabuto, con un sorrisetto ironico stampato sul volto.
All’improvviso, al posto di un secondo attacco, il duo fu raggiunto da un grido, la voce dello Tsuchikage.
“Che avete fatto a Deidara?”
“Lui è quasi vero!” rispose Kabuto, compiaciuto, e poi, rivolgendosi al redivivo: “Che meravigliosa coincidenza, eh? Ora dobbiamo muoverci sull’isola, quei tre stanno cercando sicuramente di proteggere le forze portanti, e non si sono ancora accorti che le abbiamo trovate.”
“Ci penserò io a loro tre.” Affermò Deidara, convinto, “tu pensa a fare quello che devi fare.”
Detto questo il volatile d’argilla sbatté le ali più forte, spingendosi in un alto volteggio prima di gettarsi in picchiata verso l’isola-tartaruga, metri e metri sotto di loro; subito i tre inseguitori si lanciarono dietro di loro, e Deidara fu sicuro di sentire Kurotsuchi imprecare in malo modo per la sorpresa. Ahahah, come ai vecchi tempi.

“Non ci faccio squadra con questo pezzente, nonno!”
Stupida bimbetta viziata, non scorderò mai con quale graziosa cortesia si è formato il nostro gruppo, subito dopo il diploma dell’accademia, quando avevamo ancora dodici anni. Era una mattina soleggiata ma io avevo freddo lo stesso: la stupida divisa rossa della Roccia aveva una manica lunga ed una corta, quasi per farti venire i brividi apposta. Kurotsuchi mi fissava dall’alto della sua statura, con gli occhietti neri iniettati di dispetto e le braccia incrociate. Lei è la prova vivente del nepotismo che alberga in pianta stabile, tutt’oggi, nel mio ex villaggio: è la nipote di Oonoki, e per questo è stata istruita più degli altri per quanto riguarda strategie e tecniche segrete. Non è particolarmente più forte degli altri, ma già da allora sapevo che tutti si aspettavano che sarebbe stata lei a diventare Tsuchikage, il giorno che il vecchio gnomo da giardino avrebbe tirato le cuoia.
“Smettila di lamentarti! Lui è il migliore del tuo corso, e poi non dimenticare che è stato istruito personalmente da
me.
Oonoki è vecchissimo, ma sembra identico ad allora: un piccolo signore con un enorme naso rosso, piegato in due dal mal di schiena, con lo sguardo di granito di un guerriero indomabile. Sì, ero stato addestrato da lui, personalmente, e questo mi rendeva estremamente orgoglioso quando ero ancora un ragazzino; che scemo che ero.
Intanto Kurotsuchi faticava ad accettarmi, principalmente perché ero povero, e poi perché fin dall’accademia tutti mi consideravano già uno spostato, cosa che mi accompagnò per tutta la vita, prima dell’ingresso nell’Akatsuki. D’altronde è una cosa normale dato che nessuno a Iwa ci capisce un’acca di arte, mentre nell’Akatsuki semplicemente la gente stramba era così tanta che nessuno faceva caso alle manie dell’altro.
Non l’ho mai sopportata quella ragazza, nemmeno dopo un paio d’anni che lavoravamo insieme, quando si stava stancando di prendermi in giro perché non capiva nulla di quello che dicevo e aveva iniziato a farmi le moine perché si era accorta che, di fatto, io ero il più forte del trio. Era inoltre piena di cattive abitudini, tra le quali lasciarsi scappare parole poco convenienti per una signorina ed essere una inguaribile stronza.
Non sembra cambiata molto nemmeno lei.

Il volatile d’argilla piombò sulla pancia corazzata dell’isola tartaruga senza schiantarsi, e scivolò a pochi metri dal suolo permettendo a Kabuto di saltare giù e correre verso il suo obiettivo. Deidara fece appena in tempo a girare l’opera che si ritrovò sotto al suo vecchio maestro, in volo a parecchia distanza sopra di lui, intento a preparare la sua tecnica più pericolosa.
“Ops, mi sa che il vecchio si è arrabbiato…” si ritrovò a farfugliare il biondo, scoppiando a ridere per tutta l’assurdità di quella situazione: la tecnica che stava preparando Oonoki sfruttava l’arte della polvere, e avrebbe, letteralmente, “polverizzato” qualunque cosa fosse entrata in contatto col suo raggio d’azione… e sotto Deidara c’era la tartaruga, con tutti i suoi occupanti. Inutile aggiungere che Deidara si trovava in una condizione di indiscutibile immortalità, anche se per un secondo un guizzo del suo antico spirito di sopravvivenza lo spinse a darsi alla fuga. Ma fu solo un secondo di terrore.
E poi, Oonoki si era già fermato. Era stato Akatsuchi a farlo ragionare.

Akatsuchi mi sembra più grosso dall’ultima volta che l’ho visto, dev’essere ingrassato ancora. Non posso fare a meno di pensare a lui come a un grosso, molle cuscino, anche adesso: se non fosse stato per lui, l’intraprendenza ingombrante del mio vecchio sensei avrebbe urtato proprio con l’oggetto che avrebbe dovuto proteggere, e tutto sarebbe stato distrutto.
Lui è sempre stato così, anche quando lavoravamo insieme: era la massa noiosa e ingombrante che impediva a me e Kurotsuchi di scannarci a vicenda, ogni volta che uno di noi due aveva qualcosa da ridire sull’altro. Ci si metteva in mezzo, ed assorbiva passivamente tutta la rabbia che ci lanciavamo l’un l’altro, facendo in modo che la nostra squadra acquistasse un certo equilibrio, dato che qualsiasi altra persona sarebbe impazzita in mezzo a due personalità come la mia e quella della mia compagna. Mi son sempre chiesto cosa effettivamente ci sia nella testa di quel ragazzo, dato che non è un tipo di molte parole: in linea di massima gli piacciono le cose semplici e si diverte con poco, ma non ho mai pensato che fosse un cretino completo. Bah. In realtà non ho mai fatto molto caso a lui quando ero un adolescente, e lui non ha mai cercato di avvicinarsi a me oltre lo stretto necessario.
Anche lui fa parte di un clan importante, mi pare persino che sia imparentato con la famiglia di Oonoki… ma non ricordo proprio. So solo che hanno molta poca fantasia coi nomi nei clan in vista di Iwa. Sono entrambi due pezzi di sasso colorati *. Che tristezza. Io almeno, pur essendo il figlio pezzente di una geisha, ho avuto un nome interessante e soprattutto mi sono risparmiato quell’orribile nasone pieno di porri che hanno tutti i ninja della Roccia che contano qualcosa, Akatsuchi compreso.

Deidara approfittò della momentanea distrazione dei suoi avversari per lanciargli contro un esplosivo C2, ma i due non riportarono danni poiché Akatsuchi, che non si era staccato dal suo capo, aveva protetto tutti e due evocando un golem di pietra.
Stupido Deidara-san!” gridò Oonoki in preda alla stizza, non appena il fumo si fu diradato un pochino “Persino da morto sei una rogna! Quanto fango vorresti buttare ancora sul nome di Iwa?!? E’ stato già abbastanza vergognoso vederti sconfitto da quel marmocchio della Foglia!
Quelle parole lo colpirono più duramente di qualsiasi tecnica dell’Arte della Polvere.
Come osi, vecchio schifoso!?” urlò, infuriandosi di più ad ogni sillaba
Ti ridurrò in brandelli!

Oh no, questo no, vecchiaccio della malora…
È per questo che lo odio! È per questo che me ne sono andato! Come può ancora pensare che io sia legato a lui e al suo villaggio della malora?!
È sempre stato quello che ci ha commissionato più missioni, in Akatsuki, non riusciva a capacitarsi di avermi perso! “Nasci nel villaggio, e gli appartieni. Per sempre.”
Io odio Iwa! Persino riempirli di bombe è stato inutile!
E poi come
osa anche citare il mio ultimo combattimento…
Questa è la buona volta che lo ammazzo davvero!

Deidara lanciò la sua opera in direzione del suo vecchio maestro, che lo scherniva dall’alto, ma percepì un’improvvisa rigidezza negli arti.
“Cosa!?” esclamò, “…perché ora non posso muovermi come voglio?”
La voce di Kabuto gli risuonò nelle meningi con un tagliente avvertimento: “Non perdere la testa, non ti ho evocato per mandare all’aria la nostra missione.”
La comunicazione fu troncata più in fretta del dovuto non appena Kurotsuchi atterrò sul ventre della tartaruga, e Kabuto si trovò braccato da lei.
Deidara sentì all’improvviso gli arti liberi, e capì che il suo capo aveva appena cambiato piano d’azione, ma non si era sprecato nel spiegarglielo più a lungo.
Oonoki e Akatsuchi stavano per atterrare anche loro, nel frattempo, e Deidara di conseguenza si lanciò contro di loro, ora che aveva di nuovo libertà di movimento.
I due, vedendolo planare a velocità elevatissima in loro direzione, rotearono subito nell’aria e invertirono la rotta, in fuga. Forse il piano di Oonoki era quello di allontanare il suo avversario per mettere in difficoltà i suoi due nemici, ma a Deidara non importava per nulla: voleva farlo a pezzi e basta. Il biondo si lanciò all’inseguimento di Oonoki e presto si lasciò indietro quel peso morto di Akatsuchi, arrivando a danzare tra le correnti d’aria nel tentativo di trovarne una buona per il lancio di una bomba.
“Non ti ho mai sopportato Deidara!” Urlò Oonoki, “Combatti sempre a distanza!”
“Non rompere vecchiaccio!” rispose l’altro, predisponendo già la tecnica che aveva scelto.
C4. In condizioni normali sarebbe stato rischiosissimo usarla, sia per gli effetti collaterali che causava nel paesaggio attorno sia per l’esorbitante quantitativo di chakra che necessitava per la sua buona riuscita, ma uno dei pochi pregi dell’essere uno zombie era il chakra infinito. E in mare i danni sarebbero stati minimi, ma a Deidara poco importava: stava già pregustando il momento in cui avrebbe visto Oonoki dissolversi lentamente nell’aria, con le particelle di argilla nelle vene che pian piano lo disintegravano da dentro.
Ma così non fu.
Il sarcofago dell’evocazione apparve prima che la bomba fosse lanciata, e Deidara si trovò in mezzo all’oscurità della morte ancora prima di potersi lamentare.
Che gran peccato.

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*Kurotsuhi e Akatsuchi in giapponese significano rispettivamente “pietra nera” e "pietra rossa" (“Kuro”= nero “Aka”= rosso “Tsuchi”= pietra).

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Capitolo 7
*** Into the woods. ***


Into the woods.


Tsukaiko si sentiva annoiata.
I suoi due nuovi compagni non avevano ancora aperto bocca, e lei era decisa a non interrompere quel silenzio; aveva delle domande che le frullavano nella mente, ma non aveva mai preso troppa confidenza con quei ninja, anche se vestivano entrambi come ex membri di Akatsuki, e non se la sentiva di prendere iniziativa. Uno, addirittura, non le pareva di averlo mai visto: era un uomo alto, emaciato, con una gran massa di capelli prematuramente bianchi. L’altro ovviamente era Itachi Uchiha.
Non ricordava da quanto tempo fosse stata evocata, anche perché con le funzioni vitali annullate lo scorrere delle ore risultava indifferente al livello fisico, e si poteva contare al massimo sui movimenti del sole. In ogni caso, c’erano le nuvole e Tsukaiko non ci aveva nemmeno provato, a contare il tempo.
Si trovavano in una zona isolata, seduti su quelle che sembravano le rovine di un vecchio tempio Shinto in mezzo alla foresta. Il silenzio era completo, tranne che per il frusciare del vento e qualche eco lontano di battaglia.
Fu lo sconosciuto a parlare per primo, o piuttosto, a sospirare: “E’ per evitare che accadesse questo che ho combattuto tutta la vita.” Aveva un’aria molto abbattuta.
“Cosa, diventare uno zombie?” replicò Tsukaiko in tono neutro, approfittando dell’occasione per conversare un po’.
“No, la guerra.”
“Ah…ecco.”
Fu poi Itachi a intervenire: “Immagino che presto ne prenderemo parte anche noi. Kabuto ci sta tenendo isolati qui perché ha qualche piano particolare in mente.”
Tsukaiko notò come la voce di Itachi fosse ancora più atona e inespressiva di quella che era riuscita a mantenere lei, e cominciò a capire perché Deidara l’avesse odiato così tanto: doveva essere irritante sentirlo parlare sempre così: dava l’impressione di sentirsi assolutamente superiore a chiunque altro. Assomigliava veramente tanto a suo fratello, ma aveva un che di virile che a Sasuke mancava, si trovò a notare la kunoichi: era più alto, più posato, e sembrava racchiudere dentro il suo sguardo enigmatico un sacco di pensieri segreti, rendendolo eccezionalmente maturo per essere un ragazzo morto a vent’anni.
“Tu sei Tsukaiko, giusto? La partner di Deidara.” Chiese l’uomo emaciato, guardandola sorridendo, “Scusami, ma faccio un po’ fatica a ricordarmi dei vari volti, ora che sono un redivivo.”
“Sì…” rispose la kunoichi, grata di poter scambiare due parole “…e tu saresti?”
“Oh, ma certo. Scusami. Sono Pain.”
Pain sorrise di nuovo nel vedere l’espressione perplessa di Tsukaiko, e subito chiarì che il suo vero corpo l’avevano visto davvero in pochissimi, dato che per la sua fragilità era costretto ad usarne altri. La ragazza assorbì l’informazione con un cenno di ringraziamento, ed il suo vecchio capo sorrise di nuovo, affermando che tanto, ora che erano tutti morti, era inutile tenere ancora dei segreti.
“Però…” disse la kunoichi, tradendo una forte preoccupazione nella voce “…se anche tu sei morto, oltre che Itachi…che ne è stato della nostra organizzazione, di Akatsuki?”
Gli altri due mantennero il silenzio, forse perché nemmeno loro sapevano cosa rispondere.
“E Deidara? Come sta Deidara?”
Pain stava per dare una risposta, atteggiandosi in modo rispettoso, ma Itachi lo precedette. “Eravate molto affiatati, vero Tsukaiko-san?” la sua voce baritonale fece una breve pausa, mentre gli occhi della rediviva si riempivano di quella che sembrava autentica disperazione “…si è fatto esplodere qualche mese dopo la tua morte. Sicuramente anche lui è stato resuscitato, qua attorno.”
Tsukaiko ebbe un fremito, come per attaccare l’Uchiha e staccargli la testa per ciò che aveva appena detto, ma si contenne e rimase a fissarlo con gli occhi spalancati e le labbra che tremavano.
“Mi dispiace.” Si affrettò ad aggiungere il nukenin, lasciando trapelare giusto quell’oncia di imbarazzo che richiedeva la cortesia “Sai benissimo anche tu che morire in battaglia fa parte delle possibilità di chi combatte come un ninja.”
La ragazza non rispose, limitandosi a fissare impotente il terreno con le labbra fortemente serrate. Maledetto Itachi Uchiha. Adesso lo odiava anche lei, perché era un insensibile bastardo. Come poteva dirle che Deidara era morto? Che non aveva mantenuto la promessa che le aveva fatto, di insegnare al mondo la bellezza? Come aveva potuto dirle che non aveva vissuto una vita felice dopo che lei si era sacrificata per donargliela?
“Contro chi stava combattendo, quando è morto?” chiese, piatta.
“Contro mio fratello.”
“Ah. E Sasuke, è morto?”
“No.”
“Ah.”
Itachi aveva mantenuto un tono impassibile, ma si capiva che non gli piaceva dove stava andando a parare il discorso dalle risposte monosillabiche; Tsukaiko dal canto suo si sentiva profondamente amareggiata.
Pain assisteva silenzioso, dispiaciuto per l’atmosfera tesa che era venuta a crearsi.
“Beh, che disdetta. Che Sasuke sia sopravvissuto.”
Itachi non rispose, ma Tsukaiko non poté evitare di notare uno sguardo furibondo che filtrò nei suoi occhi anneriti dall’Edo Tensei.
“Insomma, tu lo detesti, a quanto ho capito. O no?”
“Basta, basta così.” Intervenne Pain “Ognuno aveva i suoi rancori, in Akatsuki, continuiamo a rispettarli vicendevolmente.” Si interruppe, e sorrise amichevole a Tsukaiko:
“Mi dispiace molto per Deidara, la sua perdita ha ferito molto anche tutti noi. In ogni caso, come diceva Itachi, anche lui deve essere stato riportato in vita, quindi avrai la possibilità di incontrarlo di nuovo. È una magra consolazione, ma è meglio di niente.”
Tsukaiko sospirò, e pensò che il loro vecchio leader non avesse mai perso l’abitudine di comportarsi come un maestro d’asilo con i suoi bambini, nemmeno da morto. La cosa non le dispiaceva, e provò una fitta di nostalgia.
“Ne sono convinta, boss.” Disse, rispondendo al sorriso.
Itachi rimase silenzioso, e non proferì più parola per le ore a venire. Pain si mise a pregare.
Tsukaiko si annoiava, e si struggeva con quel dolore atroce che le premeva dentro, rimpiangendo di non aver nemmeno le lacrime per poterlo far sgorgare fuori, anche se era convinta che non sarebbero bastate tutte le lacrime del mondo.

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Capitolo 8
*** Tears. ***


Tears.
 
Lacrime di polvere. Maledetta anima mia, che ristagni dolente in questo cuore fermo, in questi polmoni vuoti. Sanguino senza sangue, voglio gridare, urlare, voglio piangere. Ma non posso, la polvere non piange.
 
Perché, Deidara? Solo, perché?
Il mio sole è morto, anche se non potevo più vederlo. E questa tecnica, maledetta, mi sbatte in faccia la notte desolante mantenendo in vita la mia coscienza. Vorrei morire, com’era prima. Non sentivo nulla. No, che egoista. Come potrei dormire in eterno quando il mio sole è tramontato?
 
Devo smetterla…
La morte è una realtà che noi guerrieri abbiamo sempre dovuto considerare vicina, ci accompagnava sempre, stando costantemente al nostro fianco come una vecchia, terribile amica. L’ha detto anche Itachi. E, poi, lo rivedrò, in qualche modo, in un sacco di organi polverosi come quello in cui sono io. Magra consolazione.
 
Il tempo pare non passare mai, anche se la brezza si è fatta buia e le foglie galleggiano nell’aria, trasportate dai soffi di vento. In un attimo di nostalgia, vorrei sentire la sua fresca carezza sulla pelle, ed assorbirne il profumo di bosco fino a saturarmene i polmoni. Ora, non sento niente, e non posso far altro che osservare e ricordare. Mi manca, la vita?
Difficile da dire…dopo la morte uno si rende conto che la vita finisce. Sempre. Sembra stupido da dire, ma è così: la vita finisce sempre, per ogni creatura vivente, e quindi si tratta di un dono naturalmente  momentaneo e fragile, una brillante parentesi cristallina, pronta ad infrangersi in qualsiasi momento.
Difficile dire che mi manchi, poiché la mia, semplicemente, è finita, ed ho la piatta ed ovvia consapevolezza che non la otterrò indietro mai più; mi sento più come se mi stessero disturbando dal mio meritato sonno eterno. In ogni caso, non rivorrei mai una vita dove Deidara non c’è più.
 
Anche i miei compagni di non-morte sembrano condividere le mie sensazioni di inedia; però almeno sono riuscita a fare qualche discorso interessante con il mio vecchio capo, Pain. È incredibilmente differente da come me l’ero immaginato in vita, tranne per il suo approccio con i suoi compagni di organizzazione, che era l’unica cosa di sé che ci mostrava. A differenza del ninja cinico e spietato che mi aspettavo, ho conosciuto un uomo timido ed educato, con un’anima irremovibilmente pacifista: strana cosa per una persona che ha fondato un’organizzazione con lo scopo di creare la più potente arma del globo per ottenere il monopolio economico delle guerre tra i paesi.
Mi ha raccontato di venire dal Paese della Pioggia, che si trova incuneato fra quattro delle Cinque Grandi Terre, e di conseguenza è sempre stato il campo di battaglia prediletto degli eserciti in guerra: lui, Konan ed un altro loro amico si sono trovati orfani da bambini, e per pura fortuna un Jonin della Foglia li prese sotto la sua protezione e gli insegnò le arti ninja.
Poi, mi ha raccontato Nagato, ha incontrato Tobi, che gli ha consigliato di fondare un’organizzazione di persone in difesa per la pace: Akatsuki. Come poi una società pacifista si sia trasformata in quello che eravamo noi, ha evitato di dirmelo, e la cosa sembra ferirlo molto; credo se ne vergogni. A quanto pare la morte gli ha fatto fare un esame di coscienza.
Di tutto questo discorso, la cosa che mi ha sorpreso di più è stata il ruolo di Tobi. Insomma, quel Tobi? Quell’idiota insopportabile era in realtà l’arbitro della nostra Akatsuki? Bah.
Mentre io e Nagato parlavamo di queste cose, Itachi se ne stava in silenzio, ad osservarci di sottecchi. Credo che lui ne fosse a conoscenza, di questa storia: ai suoi occhi sono solo una povera ignorante, chissà che considerazione ha di me.
Un po’ mi fa male, devo dire in tutta sincerità, che l’organizzazione che avevo scelto da viva come ideale di vita fosse in realtà manovrata nell’ombra per scopi non troppo chiari, ma ormai è tardi per avere rimpianti.
“Ho sempre pensato che noi di Akatsuki fossimo liberi da ogni istituzione, e invece probabilmente siamo stati usati come subdolo strumento di qualche stato. Era per fuggire a questo genere di cose che ho tradito il mio villaggio – ho confessato a Nagato – non so se ho molta voglia di combattere per Tobi, adesso.”
“Non possiamo farci nulla, temo.” Mi rispose il mio ex-capo, scuotendo la testa e facendo ondeggiare i capelli sottili davanti agli occhi.
“Non è giusto, però. – dissi – questo mondo fa schifo, l’ho sempre pensato. Ma ora, di più.”
“La società ninja è un organismo che si basa sulla morte e la violenza, ma esiste sempre qualche speranza.” Con mio grande stupore, era stato Itachi a parlare.
“Che intendi dire?” gli chiesi, ma non ottenni risposta, se non un cenno enigmatico. Tra tutte le persone che ho conosciuto, mai mi sarei aspettata una frase del genere da uno come lui.
Poi non abbiamo più parlato, poiché, anche se Nagato sembrava pienamente d’accordo con l’ultima uscita di Itachi, si era rimesso a pregare e non mi sembrava avesse molta voglia di continuare la discussione.
È da quel momento che strane idee mi girano in testa, e sto cercando di ignorarle. Che genere di persona è, veramente, Itachi? Se persino Nagato si è rivelato una sorpresa, chissà cosa nasconde quell’Uchiha dallo sguardo misterioso. In ogni caso, non ha una grande importanza.
Noi che siamo morti dovremmo smettere di porci certe domande, no?
 

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