Ti presento i miei

di Aleberyl 90
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Capitolo 1 ***
Capitolo 2: *** Capitolo 2 ***



Capitolo 1
*** Capitolo 1 ***


«Forse avremmo dovuto essere più delicati» mugugnai tra me ad alta voce, rannicchiando le ginocchia contro il petto e stringendomi nelle spalle. Non riuscivo proprio a combinare qualcosa di buono, in quel periodo.
Appollaiato accanto a me sul materasso, Edward si limitò a scuotere il capo con un movimento quasi impercettibile: lo catturai a malapena, con la coda dell’occhio.
Alzai lo sguardo in cerca di una qualche conferma e sul suo volto perfetto si aprì una smorfia, a metà tra il rassegnato e il divertito.
«…Che c’è?» chiesi, in attesa di una sua risposta: la leggera tensione delle sue labbra tradiva la sua impazienza.
Fece un sospiro. «Anche se avessimo usato tutti i giri di parole possibili, dubito che avrebbe reagito in modo diverso».
Non potei che dargli ragione: in effetti Charlie era piuttosto prevedibile.
«Sei preoccupata?» mi chiese poi, dopo avermi osservata attentamente per un lungo secondo. Probabilmente stava cercando di esaminare la mia espressione, di cui io ero pressoché ignota.
«No» risposi, «è solo che…ecco, sapevo che sarebbe andata così, ma proprio per questo avrei dovuto cercare di attenuare il colpo!».
«Sarebbe comunque venuto a saperlo, prima o poi». Gli angoli della sua bocca si curvarono in un sorriso comprensivo.
«Oh, certo, ci mancava solo che non lo mettessimo al corrente del nostro matrimonio e scappassimo via come due amanti in fuga!» sbottai, sarcastica; la voce uscì, mio malgrado, più acuta di quanto avessi sperato.

Matrimonio… Oddio.
«Amanti in fuga» mi citò lui sfoderando un’espressione falsamente solenne, per scherzare. «Suona davvero bene».
«Smettila» lo redarguii io con un mezzo sorriso. Fortunatamente il mio accenno di nervosismo non aveva intaccato il suo buonumore. Finchè quell’oro caldo avesse vegliato su di me, anche il mio tormento sarebbe stato senz’altro meno insostenibile.
«Comunque ormai è inutile tornare a rimuginarci su», concluse infine sfiorandomi la guancia con la punta delle dita, nell’innumerevole tentativo di confortarmi. «Non dovresti essere così dura con te stessa, migliaia di ragazze hanno già affrontato questa prova prima di te». Sogghignò beffardo.
«Sì, ma detto…in quel modo!» piagnucolai, improvvisamente preda dei sensi di colpa. Strinsi tra le mani un angolo del lenzuolo e lo torturai, torcendolo ed attorcigliandolo su se stesso.
Che rabbia.
Forse quello non era stato il momento più opportuno per informare mio padre della celebrazione che sarebbe avvenuta di lì a poche settimane.
E pensare che durante il tragitto dalla nostra radura alla villetta Swan ero perfino riuscita a riordinare le mie idee e ad elaborare una piccola arringa per l’occasione! Ero pronta ad affrontare la situazione a testa alta, un leone concentrato esclusivamente sulla propria preda.
Stando alla mia solita fortuna, ovviamente nulla era andato come avevo accuratamente previsto.
Forse sarà stata l’ansia, la preoccupazione, la mia smania di levarmi quell’impiccio il prima possibile…fatto sta che, non appena ebbi messo piede al di là della soglia di casa, le mie labbra si scollegarono dal cervello e si mossero per conto loro, senza che io riuscissi a controllarle. Ero andata inesorabilmente in tilt, con tutte le conseguenze del caso.
Un lieve calore alle gote mi stordì e mi annebbiò la mente, assorta nel ripercorrere le fatidiche tappe che avevano preceduto il mio sfortunato annuncio.
No, non “sfortunato”: è un termine troppo riduttivo.
Ecco, la definizione giusta è disastroso.
Insomma, quando mai si è vista una ragazza che piomba nella cucina di casa sua in compagnia del proprio fidanzato ed esclama così, di punto in bianco, di fronte al proprio padre che non aspetta altro che un’occasione per bandire il proprio genero dalla città: “Papà, io e Edward stiamo per sposarci!”?!
E senza nemmeno uno straccio di preambolo, un’introduzione, o cose del genere! Io e la delicatezza appartenevamo a due sfere differenti. Purtroppo non appartenevo nemmeno al mondo dei telefilm – anche se, tecnicamente, da due anni a quella parte era impossibile affermare che appartenessi ancora al mondo reale - , in cui le eroine delle serie non mostrano mai un briciolo di insicurezza ed annunciano il loro matrimonio con così tanta tranquillità che se le riprendessero nel sorseggiare un caffè al bar non sarebbe possibile notare alcuna differenza.
E come se non bastasse, la prima cosa che mi chiese fu la più ridicola, prevedibile ed imbarazzante che potesse mai uscire dalle sue labbra: «Sei incinta, non è vero?!»
Avevo negato con tutte le mie forze, ovviamente, ma non sono del tutto sicura di averlo convinto. A quanto pare la nostra piccola parentesi sullo stato della mia verginità non aveva avuto i risvolti che avevo sperato.
Scossi freneticamente la testa e strizzai gli occhi per reprimere l’episodio, che non la smetteva di fare perfidamente capolino nella mia mente.
L’espressione sbigottita che si era andata stampando pian piano sul viso di Charlie era ancora talmente vivida nei miei ricordi che mi nascosi istintivamente il viso tra le mani e gemetti, mentre l’imbarazzo provato poco prima al piano di sotto riaffiorava con una violenza a dir poco sorprendente.
A quel gesto, Edward mi accarezzò delicatamente i capelli e mi strinse un poco a sé.
«Bella» mi sussurrò all’orecchio, «vedrai che gli passerà ancor prima di quanto tu possa immaginare».
Sospirai a fondo, appoggiando il capo contro il suo petto e stringendo il lembo della manica della sua camicia, mettendoci più forza del solito: a differenza di me, durante tutta la durata dell’annuncio lui non aveva battuto ciglio. Uffa.
«Parli bene, tu», borbottai imbronciata.
Lui soffocò una risata. «Non devi preoccuparti, sento già la sua furia omicida placarsi…anche se a un ritmo piuttosto lento, certo». Mi baciò la punta del naso. «Comunque, stanotte potrai dormire sonni tranquilli».
Fortunato lui, a non aver bisogno di fronteggiarsi con un genitore per questioni del genere.
A proposito di genitori…
«…come la mettiamo per la sua richiesta?» alzai gli occhi per cercare il suo sguardo, ma lui osservava la parete al di là di me. Sembrava pensieroso.
«Edward?» lo richiamai, incuriosita. Chissà cosa l’aveva distratto…
Lui abbassò lentamente lo sguardo su di me, l’ombra di un sorriso sul viso serafico. «Bè…non credo ci siano difficoltà» rispose tranquillo dopo aver abbassato appena le palpebre. «Del resto, mi pare più che naturale che voglia scambiare quattro chiacchiere con la famiglia del suo futuro genero». Ridacchiò malizioso.
Rabbrividii appena, nel tentativo di scacciare via la negatività che mi stava assalendo.
Scambiare quattro chiacchiere con la famiglia del suo futuro genero. Se in quel momento fossi stata più lucida – e soprattutto se la diretta interessata non fossi stata io – avrei perfino potuto mettermi a ridere per l’assurdità della situazione.
Charlie conosceva i Cullen.
Chi non li conosceva, in quella piccola contea il cui unico vanto era di ospitare una serie di persone che sapevano a menadito ogni più piccolo dettaglio della vita dei propri concittadini?
Solo che, dal momento che io ed Edward eravamo, a quel punto, fidanzati ufficialmente, aveva ritenuto che fosse arrivato il momento, per lui, di conoscerli di nuovo. Per questo ci aveva chiesto di organizzare un piccolo incontro tra le nostre famiglie per “approfondire il rapporto e discutere delle varie faccende”.
Quali fossero le faccende di cui avrebbe voluto discutere con i Cullen…bè, a dire il vero non avevo indagato, ma supponevo si trattasse delle solite cose di cui ci si dovrebbe preoccupare nell’organizzazione di un matrimonio, come gli abiti o la prenotazione del ristorante.
Avrebbero avuto ben poco di cui discutere: Alice non avrebbe rinunciato al suo piccolo, terrificante divertimento per nulla al mondo.
Ovviamente avevo provato a dissuaderlo dal voler mettere in piedi una cerimonia troppo sfarzosa – particolare che anche Edward aveva rimarcato con insistenza – prima che avesse il tempo di avanzare qualsiasi proposta, ma in quel momento sembrava talmente perso nei suoi pensieri che dubito ci abbia ascoltato.
Anzi, più che immerso nei suoi pensieri…boccheggiava come se qualcuno gli avesse improvvisamente rifilato un ceffone e borbottava con insistenza cose che non ero riuscita ad afferrare - se non il nome di mia madre, in un minuscolo e fugace frangente.
«Sei sicuro? Nessun problema?» mormorai, vagamente preoccupata: non riuscivo minimamente ad immaginare come avrebbe potuto svolgersi la dinamica dell’incontro. Mi sembrava ancora tutto così assurdo… Come se stessi osservando tutto da dietro un pannello di vetro.
«Nessun problema» ribadì lui alzando una mano. «Se solo Emmett si azzarderà a fare troppo lo spiritoso, do la mia parola d’onore che lo faccio a pezzi». E scoppiò in una vera risata, il cui suono argentino colmò le mie orecchie.
D’un tratto mi sentii ancora più in disagio: il mio broncio era proprio fuori luogo, rispetto alla gaiezza che traspariva dalle sue parole. Era totalmente entusiasta, glielo si leggeva in ogni sua piccola attenzione a me rivolta.
«Sei al settimo cielo, non è vero?» mugugnai incerta, tentando comunque di tirare fuori un mezzo sorriso e di mantenerlo per più di due secondi.
«Cosa te lo fa pensare?» rispose lui ironico, sfoderando un sorriso a trentadue denti, talmente magnifico da mozzare il fiato.
Rimasi ad ammirarlo per qualche secondo, in silenzio. Le mie guance assunsero automaticamente una delicata sfumatura porporina.
E poi, prima che potessi aprire bocca per ribattere, fu lui a riprendere la parola.
«Sei pentita di averlo fatto?», sussurrò dolce al mio orecchio.
«No!» ribattei subito io… forse troppo in fretta, ma ormai era tardi per riparare al danno: lo vidi aggrottare le sopracciglia.
«Avresti preferito aspettare ancora qualche giorno» concluse per me.
«No…davvero» risposi io a bassa voce. «È stato molto meglio così: se avessimo aspettato ancora non mi sarei mai decisa, mi conosco».
«Mmm» Edward mi si avvicinò con fare indagatore. I suoi occhioni color caramello mi fissavano intensamente, come se cercassero di penetrare il fitto intreccio dei miei pensieri e, inconsciamente, mi chiesi se in quell’attimo stesse provando la solita frustrazione che lo assaliva di fronte al fallito tentativo di setacciare la mia mente. «Io invece penso che, se fosse dipeso da te, avresti rimandato quel momento all’infinito».
Trasalii: non mi aspettavo tanta schiettezza.
Il primo pensiero spontaneo che affiorò nella mia mente negava quella constatazione, ma non mi fu di grande aiuto: sapevo già di non poter mentire né a me stessa…né a Edward.
Sentii le guance avvampare di rossore ed evitai accuratamente di incrociare il suo sguardo mentre cercavo di mettere insieme una risposta accettabile.
«Ti sbagli, ora che l’abbiamo detto a Charlie mi sento, come dire…sollevata». E questa non era una bugia. «E poi mi pareva che ne avessimo già parlato più volte, sai…tutta quella storia dei compromessi, i punti di vista...e…»
Sentii un nodo in gola e fui costretta ad interrompere la mia penosa filippica. Semplicemente non trovavo le parole per costruire un discorso logico.
La verità era che non c’era modo di spiegare il turbamento che provavo in quel momento senza ferire Edward: nonostante alla fine avessi ceduto alla sua richiesta e mi fossi mostrata così ben disposta ad assecondare i suoi progetti, mi occorreva ancora del tempo per digerire l’evento che di lì a poco sarebbe accaduto.
Renèe e le sue fisime sul matrimonio! Era solo colpa sua se mi trovavo in quello stato!
Però, tutto sommato, l’aver dato la notizia a mio padre mi aveva davvero fatto sentire meglio, come se mi fossi levata un macigno dalle spalle. Se non altro, non avrei dovuto pensarci più.
«Bella». Edward mi strinse una mano tra le sue e scatenò tutta l’intensità del suo sguardo su di me. «Non voglio che tu ti senta costretta a fare qualcosa controvoglia, non è giusto che l’unico ad essere felice sia io. Sei terrorizzata, te lo si legge in faccia, in ogni gesto che fai da quando siamo tornati a casa…». Poggiò una mano sulla mia guancia e la carezzò con il pollice, come per confortarmi.
«Edward». Portai la mia mano destra al viso e la sovrapposi alla sua. «Se non fossi felice non avrei mai accettato di…sposarti. Non preoccuparti di quello che penso, se sei felice tu…bè, sono felice anche io».
Mai, mai più l’avrei fatto soffrire. Avevo fatto una promessa a me stessa e intendevo mantenerla.
«Dalla tua espressione non si direbbe che tu lo sia», obiettò lui cupo.
«Senti». Distolsi lo sguardo per volgere il viso al lembo di lenzuolo che ancora stringevo tra le mani, ormai sgualcito. «Non voglio voltare le spalle al mio impegno, ho detto che ti sposerò e lo farò». E sapevo di suonare decisa. Chissà…forse mi stavo abituando all’idea.
E poi avevo già constatato di persona che portare un anello al dito non era così male come temevo. In fondo, poi, anche sposando Edward non sarebbe cambiato granchè: cercavo di vederla come uno degli infiniti modi per rendere il nostro rapporto veramente ufficiale – come se poi ce ne fosse stato bisogno! Ultimi eventi a parte, credo che nessuno che ci veda insieme possa dubitare di quello che c’è tra noi.
Certo, se quell’atto di generosità non avesse richiesto chilometri di strascico bianco e un paio di insidiosi, terrificanti tacchi a spillo
Rabbrividii involontariamente. Cercai di convincermi che si sarebbe trattato solo di qualche ora. Una volta terminata la cerimonia non avrei più indossato nulla del genere.
Per mascherare il mio orrore tornai a concentrarmi su Edward, il suo viso ancora contratto in una smorfia di rimorso. Non mi andava che si tormentasse ulteriormente: sfoderai un ghigno e gli lanciai un’occhiata a metà tra il divertito e l’esasperato.
«Mi dispiace davvero deluderti, ma se speravi di andare all’altare da solo ti conviene non contarci troppo». Feci una linguaccia. «Anzi, sai cosa? Credo proprio che ti anticiperò di qualche ora e mi farò trovare subito lì, così quando arriverai ti avrò colto completamente di s…»
Non mi permise di concludere il discorso: mi prese rapidamente il viso tra le mani e premette le sue labbra sulle mie, con foga. Rimasi spiazzata e confusa, ma ricambiai con lo stesso entusiasmo.
«Grazie» sussurrò, una volta scostatosi da me e aver fatto aderire la sua fronte alla mia. Liscia, perfetta, senza increspature. Meno male.
«Di cosa dovresti…» cominciai io col fiato corto, ma la sua bocca mi impedì per la seconda volta di proseguire ulteriormente. Senza allontanarsi di un centimetro, guidò le mie mani dietro la sua schiena e con le sue mi cinse i fianchi. E un attimo dopo, senza nemmeno essermene resa conto, mi ritrovai con la testa sul cuscino.
Quando interruppe il bacio per fissarmi negli occhi, gli restituii uno sguardo curioso e riconoscente. Non mi ero accorta di quanto stress mi avesse procurato la dichiarazione di quel pomeriggio: la morbidezza che aveva accolto la mia nuca era un vero toccasana e mi rilassai istantaneamente.
«È tardi» mormorò lui dolce, avvolgendomi nel lenzuolo stropicciato e sistemandone i lembi sotto il materasso, sollevandolo appena. Tirai un sospiro profondo e mi aggrappai al colletto della sua camicia, per trascinarlo accanto a me.
Non tardò ad assecondare le mie intenzioni: si sdraiò al mio fianco, sopra la coperta, e mi abbracciò stretta, cullandomi sul suo petto.
Per qualche minuto ci beammo l’uno del contatto con l’altro, ascoltando il suono regolare dei nostri respiri.
«A proposito», disse poi Edward all’improvviso, avvicinando il viso al mio orecchio. «Oggi pomeriggio sei stata davvero fantastica».
«Credi?» bofonchiai incerta.
«Hai sostenuto lo sguardo di Charlie fino alla fine, sembravi sinceramente…determinata», spiegò lui, soffocando una risata che fece tremare il letto.
«Davvero?». Non me ne ero minimamente resa conto. A quanto pare il mio spirito di adolescente si era impossessato di me un’altra volta.
«Quando vuoi sai essere veramente testarda», scherzò lui baciandomi sulla guancia. Avvertii sulla pelle le sue labbra distese in un ampio sorriso e non potei che esserne lieta.
Mi lascia sfuggire uno sbadiglio e lui mi strinse a sé ancora più forte.
«Cerca di dormire, Bella, domani avremo un bel po’ di cose da fare», mormorò in tono musicale; aveva preso a canticchiare la mia ninna nanna ancor prima che avesse terminato la frase.
Annuii, mi accoccolai contro di lui e affondai il viso nel suo petto.
«Mi dici una cosa, prima che mi addormenti?», azzardai.
«Chiedi pure».
«Poco fa, quando avevi quell’espressione assorta…a cosa stavi pensando?».
Esitò un attimo, ma si riprese subito dopo. «A dire il vero, ecco, stavo…ascoltando».
«Origliando», lo corressi io.
«Quello che è». Nel suo tono di voce c’era una punta di imbarazzo, ma allo stesso tempo pareva divertito. «Ecco, a quanto pare Charlie sta cercando di escogitare un modo per bandirmi dalla città una volta per tutte. Non che sia così difficile, in effetti, ma…»
«Stia attento a quello che fa, signor Cullen», lo ammonii io, divertita a mia volta per la sfacciataggine di mio padre, «l’ispettore Swan non aspetta altro che la prima occasione per mandarla via da Forks a forza di calci nel sedere».
«Starò attento», promise lui ridacchiando. «Ah, inoltre continuava a bofonchiare in continuazione cose del tipo: La mia bambina, è ancora troppo presto!, oppure: Quel Cullen è un teppista, ne sono sicuro!. Tu ne sai qualcosa?», chiese malizioso.
«Tu non sei un teppista», farfugliai io, ormai ad un passo dalle braccia di Morfeo. Avrei dovuto dirlo anche a Charlie e rassicurarlo una volta per tutte. Voltai ancora la testa e, ad occhi chiusi, gli sfiorai la clavicola con la punta del naso.
«Grazie per la smentita», rispose lui ridendo. Il mio suono preferito.
«E adesso cosa sta pensando?» biascicai lentamente, trascinando le parole con mente annebbiata.
«Non farmi ripetere cose che ho già detto».
«Mmm». Qualcosa mi diceva che quei pensieri avrebbero accompagnato mio padre per un bel po’ di tempo.
Intonò di nuovo la mia ninna nanna e a quel punto non fui più in grado aprire bocca. Inspirai a pieni polmoni il dolce profumo della sua pelle, percepibile anche al di là della stoffa della sua camicia, e gioii in segreto per il fatto che avrei goduto di quell’irresistibile fragranza per l’eternità ed oltre.
A quel punto il torpore avvolse anche le ultime delle mie membra e mi abbandonai ad un sonno ristoratore, protetta e coccolata dall’abbraccio di Edward, conscia che ad aspettarmi ci sarebbe stata una notte limpida e senza incubi.

 



[…]


 

 

 

 

 

Per chi non avesse ancora sostenuto gli esami di maturità…ecco, questo è quello che viene fuori quando hai bisogno di svagarti un po’ dallo studio! :D Una piccola fic senza pretese su una delle serie che più mi hanno coinvolto ed emozionato nell’arco di pochi mesi! Molto semplice e breve, che del resto è l’unica cosa che puoi scrivere quando non ne puoi più di piani Marshall e leggi della termodinamica… XD Visto che ho cominciato a scriverla a giugno non ci saranno spoiler di “Breaking Dawn” (che sono ansiosissima di leggere nonostante mi sia già bruciata la trama sul dannatissimo Wikipedia, sigh…), tutto è puro frutto della mia immaginazione (:
E…ehm…visto che è il mio primo tentativo su “Twilight”, mi farebbe piacere sapere cosa ne pensate! Un commentino? :D
Nel frattempo vi ringrazio molto per aver letto il primo capitolo, spero che vi sia piaciuto! (:
Oh Edward… XD


A presto!
Alessandra

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Capitolo 2
*** Capitolo 2 ***


Non potevo assolutamente credere che quel rotocalco chilometrico che Alice mi aveva ficcato tra le mani fosse davvero un menu.
Davanti ai miei occhi si stagliava un elenco di vivande dai nomi più disparati, metà dei quali erano completamente estranei al mio vocabolario. Anitra all’arancia, escargot, paẽlla, lasagne ai porcini… Cosa diavolo aveva in mente?
«Ehm, Alice», mugugnai alla mia stilista personale, «che cosa dovrei fare esattamente con questa?». Le sventolai il foglio sotto il naso, distogliendola dal rocchetto di filo con cui stava disputando un’ardua lotta.
«Mh?». Sollevò gli occhi e mi lanciò uno sguardo distratto. «Oh…scegli pure i piatti che ti piacciono di più, poi penseremo al resto».
«D’accordo, ma…come faccio a scegliere quali piatti mi piacciono di più se prima di oggi non sapevo nemmeno che ne esistessero così tanti?!», sbottai, sgranando gli occhi. «Per esempio, che cos’è la bou…bulla…». Era difficile perfino da leggere.
«Bouillabaisse», mi corresse Alice, riponendo il rocchetto all’interno di un’enorme scatola e pescandone uno spillone. «Una specialità francese, molto buona, così dicono».
«Ah». Non si finiva mai di imparare; forse mi sarebbe piaciuto ancora di più sapere di cosa e come fosse fatta quella pietanza. «E dimmi…credi che avrei dei motivi validi per sceglierla?», borbottai sarcastica. «Temo di non aver mai avuto l’occasione di assaggiarla, prima d’ora, forse dovrei fidarmi dell’opinione della rivista di cucina da cui hai pescato questo nome».
«La bouillabaisse è una pietanza internazionalmente riconosciuta dagli esperti del settore», replicò lei facendo spallucce. «In tutta sincerità, credo non sia nemmeno così difficile procurarsela».
«Va bene, va bene, chiudiamo l’argomento». Afferrai la matita che Alice mi aveva dato insieme alla lista e disegnai una piccola croce accanto a quel nome complicato. Mi sarei volentieri fermata lì, ma sapevo che Alice non me l’avrebbe mai data vinta, perciò mi sforzai di ricercare e segnalare i piatti più semplici – o conosciuti - che riuscivo a scovare, setacciando con meticolosità ogni singola riga. Al termine della mia scrupolosa indagine avevo apposto solo una mezza dozzina di crocette, ma non avevo la minima intenzione di coinvolgere nella mia scelta anche solo uno dei piatti a me ignoti; Alice se la sarebbe fatta andare bene così com’era.
Le consegnai la lista, sbuffando appena: avevo una mezza idea che i preparativi per il mio matrimonio fossero appena cominciati. Chissà cosa aveva in mente la mia organizzatrice, per chiedermi di scegliere tra quei piatti tanto costosi e complicati. Senza considerare, poi, che avevo esplicitamente preteso una cerimonia per pochi intimi, un quarto dei quali era costituito da vampiri disgustati dal cibo umano. Forse avrei dovuto proporre di servire spazzatura, così in ambito alimentare saremmo stati tutti sullo stesso livello.
«Sul serio, Bella…sei sicura che sia sufficiente?», mi chiese Alice controllando il menu, un velo d’ansia sul viso da folletto. «E se poi non piacerà tutto?»
«Oh, tutti sapranno cavarsela egregiamente», la rassicurai io. «E da quello che mi hai detto sembra tutto talmente sostanzioso…».
Sorrise soddisfatta e adagiò con cura il foglio sulla scrivania, attenta a non sgualcirlo. «Mmm…e come antipasto? Cosa credi che preferisca?»
«Santo cielo, Alice, stai pensando di far esplodere il fegato di qualche ospite?!» esclamai scioccata. Io stessa dubitavo che sarei riuscita ad andare al di là della prima portata.
«Ma…».
«Credimi: basta e avanza». Posi avanti le mani, come per concludere lì il discorso. Se avesse provato a protestare ancora, avrei ribadito il mio rifiuto fin quando non sarebbe stato sufficiente.
Alice mi guardò con uno sguardo colpevole. «Scusami, Bella, è solo che Edward non è riuscito a dirmi granchè sulle abitudini di Charlie, quindi non sapevo se…». La sua voce sfumò e si portò una mano sotto il mento, riflettendo.
«Come?». Perché ora si stava riferendo solo a Charlie? Forse perché il padre della sposa meritava qualche privilegio in più rispetto al resto degli invitati?
«Eppure in quelle sciocche commedie che trasmettono alla televisione le tavole sono sempre imbandite di ogni genere di pietanza…», mormorò lei, più a se stessa che a me, confusa. «Forse avrei dovuto documentarmi meglio sul metabolismo degli umani… Ho fatto male qualche calcolo, Bella?».
Non risposi, troppo impegnata a decifrare l’orribile sensazione che si stava facendo lentamente strada dentro di me.
Gettai un’occhiata rapida alla lista della pietanze sul tavolino, mentre associavo le parole di Alice alla data segnata sul calendario.
«Bella?». Alice mi richiamò all’ordine sventolandomi una mano davanti agli occhi.
«Alice», gracchiai, la gola improvvisamente secca. «Questi piatti…», afferrai il foglio, «…per chi sono?».
Lei mi guardò come se mi fosse sfuggito qualcosa di ovvio.
Fu la certezza che stavo aspettando…e che temevo da morire.
«…Sono per la cena di domani sera, vero?!», gracchiai, troppo stupita per parlare correttamente. La mia voce era salita di un’ottava e non me ne ero nemmeno resa conto.
«Cos’è che credevi, Bella?», disse Alice, stralunata.
«Oh no, no!», sbottai io allargando le braccia, esasperata. «No!»
Come potevo essere così stupida?! Sentii il sangue colorarmi la pelle e il sudore freddo imperlarmi la fronte.
«Cosa c’è che non va? Credi che a Charlie non piacerà la bouillabaisse?», mi chiese lei in tono innocente, probabilmente cercando di spiegarsi il motivo del mio attacco di panico.
«Non è questo!», boccheggiai io. «Voglio dire…non c’è bisogno che vi occupiate della cena, sul serio! Sono sicurissima che Charlie avrà già prenotato un tavolo al Lodge e…»
«Non dire assurdità, Bella», replicò Alice in tono deciso. «Non permetteremo mai che un evento così importante sia preso tanto alla leggera. È l’incontro ufficiale tra le nostre famiglie!». Lanciò un gridolino di eccitazione.
Ancora con questa storia dell’ufficiale. Forse stavano dando troppa importanza a quest’aspetto della faccenda.
«Ma tu conosci Charlie», la implorai, «anzi, se potesse ti adotterebbe come seconda figlia!»
Ridacchiò per quella mia osservazione. «Lo so bene, ma insomma…tu ed Edward state per sposarvi!», cinguettò, e un brivido mi percorse la schiena come una scarica elettrica. «Vogliamo che la cena avvenga nelle migliori condizioni possibili».
Dalle sue parole trapelava tanto di quell’entusiasmo che dubitavo sarei riuscita a dissuaderla dal suo intento. Sospirai e lascia cadere le spalle, sconfitta.
«Vedrai, Bella, ci sarà da divertirsi!». Alice mi si avvicinò e mi abbracciò stretta, mentre contemporaneamente saltellava sul posto. «Esme è già elettrizzata all’idea di rimettersi ai fornelli!».
«Esme sa cucinare?», chiesi, incredula.
«Bè, è un po’ che non si esercita, ma è convinta di potercela fare», rispose lei con un sorriso di incoraggiamento. «Del resto basta solo un buon libro di ricette, no? Anche io e Rosalie le daremo una mano, ovviamente».
«Ovviamente». Non riuscivo proprio ad immaginare come le mie tre vampire preferite potessero lanciarsi in quell’impresa: ad essere sincera, mi sembrava piuttosto disperata.
«Vi darò una mano anch’io, credo che vi servirà il mio aiuto per quando si tratterà di assaggiare e verificare i gradi di cottura». Questa era la parte che mi preoccupava di più.
«Come se fossi a casa tua!». Era chiaramente eccitata per la proposta.
«Però, almeno per quanto riguarda le portate, dai retta a me». Presi l’elenco e glielo misi sotto il naso. «Sono sicura al cento per cento che Charlie preferirebbe di gran lunga mangiare cibo cinese d’asporto, piuttosto che strani intrugli francesi di cui ignora l’esistenza». Se consideriamo, poi, che per diciassette anni era stato costretto a prepararsi i pasti da solo…
«Oh…tu dici?» Mi guardò perplessa. «Credevo che gli umani amassero la cucina raffinata».
«Ci sono sempre le eccezioni», la contraddissi io. «Una bella pizza sarà più che sufficiente, garantisco io». Le feci l’occhiolino.
«Chiederò consiglio ad Esme», promise lei. «Forse se ne intende più di me».
«Lo credo anch’io», ridacchiai scompigliandole i capelli, «ma apprezzo molto i tuoi sforzi».
«Oh, stiamo solo parlando del mio passatempo preferito!», esclamò lei piroettando su se stessa con la sua solita grazia.
«A proposito, credi che Edward sia tornato?». Era più di un’ora che era uscito per andare a caccia, cominciavo ad avvertire il vuoto della sua assenza.
«No, l’avrei sentito arrivare», rispose lei. «Aspetta, fammi controllare». Si portò le dita alle tempie e chiuse gli occhi, concentrandosi intensamente. Dopo qualche attimo sollevò il mento e mi sorrise.
«Tra meno di un quarto d’ora sarà qui».
«Oh, meno male», sospirai io. «Vorrei chiedergli di accompagnarmi a casa, stamattina siamo venuti qui con la sua macchina.»
Alice annuì. «Devi preparare il pranzo per tuo padre, vero?».
«Sì, oggi tornerà prima dalla centrale…e poi dovrò avvertirlo della cena di domani sera, prima che prenoti da qualche parte».
«Non preoccuparti, credo che Esme gli abbia già telefonato qualche minuto fa».
«Oh», feci io, sorpresa. Erano sempre tutti così previdenti… «Vorrà dire che più tardi scenderò a ringraziarla».
Rimasi insieme ad Alice per altri dieci minuti, aiutandola nell’apportare qualche modifica al velo del mio vestito da sposa – lavoro che mi causò decine di escoriazioni sui polpastrelli, fino a quando non sentimmo bussare alla porta della camera.
Alice scattò in piedi come se fosse stata punta da un’ape, sfrecciò alla porta e vi si appoggiò con la schiena, come per bloccare qualcosa che minacciava di entrare.
«Che cosa…?». La guardai perplessa: sembrava impazzita.
«Presto, Bella, nascondi il vestito!», sibilò lei scoccando un’occhiata fiammeggiante prima a me, poi all’ammasso informe di stoffa che giaceva sul pavimento. Mi affrettai a raccoglierlo, lo ancorai ad una gruccia più ordinatamente che potei e lo ficcai in una delle tante ante dell’armadio a muro.
Automaticamente si rilassò, sospirò di sollievo e si allontanò dalla sua postazione. Una frazione di secondo più tardi la porta si spalancò e Edward entrò nella stanza.
«Grazie per l’accoglienza, Alice», bofonchiò, lanciandole un’occhiata scocciata.
«Gli uomini non sono ammessi, mi dispiace», rispose lei incrociando le braccia al petto e sfoderando un’espressione autoritaria. «Mi meraviglia che tu non lo sappia, sei così legato alle tradizioni…».
«Non credo proprio che si possa parlare di tradizione, nel nostro caso», obiettai io sistemandomi la maglietta e raggiungendo Edward.
«Concetto già ribadito», confermò lui cingendomi i fianchi con un braccio e baciandomi i capelli. Anche lui aveva sentito la mia mancanza.
Alice ci squadrò da capo a piedi, leggermente stizzita. «Parole a parte, il fatto che lo sposo non veda il vestito della sposa fino al momento delle nozze è di buon auspicio».
«Come se lui non l’avesse già visto nei tuoi pensieri!», ribattei io scoppiando a ridere. Era quasi impossibile che tra i due fratelli ci fossero segreti, ovvia conseguenza della loro reciproca complicità.
A sorpresa, Alice sfoderò un sorriso trionfante. «Non sono così ingenua, Bella. Anzi…fino ad ora sono stata particolarmente attenta».
«Vuoi dire che…», balbettai io, volgendo il viso verso Edward. Lui scrutava la sorella con una nota di disappunto.
«Mostriciattolo», borbottò, facendo una smorfia e distogliendo lo sguardo. Alice ridacchiò, maligna e compiaciuta.
Non che a me importasse molto del fatto che Edward potesse vedere il mio vestito o meno, ma gli sforzi che stava facendo Alice per tenergli nascosta quell’immagine erano davvero ammirevoli.
«È andata bene la caccia?», gli chiesi, anche per distoglierlo da quel pensiero.
«Sì, stavolta non abbiamo nemmeno dovuto spingerci troppo fuori dai confini». Mi sorrise.
«Bella deve andare a casa, Charlie aspetta che gli prepari il pranzo da portare in ufficio», ricordò Alice prima che potessi rispondere. «Arriverà con qualche minuto di anticipo, è meglio che ti sbrighi».
«Sì». La salutai con un rapido abbraccio e mi diressi verso la porta della camera, seguita a ruota da Edward.
«Ci vediamo domani!», esclamò lei agitando una mano a mo di saluto.
«Certo…ehm, a che ora vuoi che venga?», le chiesi, ricordandomi improvvisamente che la cena ufficiale si sarebbe svolta nella sala da pranzo di casa Cullen.
Alice fece spallucce. «Quando vuoi, e comunque credo che proveremo a cucinare qualcosa anche stanotte».
«Ah». Brutta prospettiva.
Edward mi spinse fuori dalla stanza prima che Alice potesse vedere il mio volto contratto dall’ansia.
Dopo essere passata in cucina per ringraziare Esme dell’aver avvertito Charlie al posto mio – ne approfittai per controllare che tutti gli utensili fossero effettivamente adatti per un pomeriggio di pasticciamenti – e averle assicurato il mio aiuto per il giorno dopo, uscimmo nel portico della casa e ci dirigemmo a passi lenti verso il garage.
«Cosa avete fatto mentre io ero via?», mi chiese Edward in tono amabile ed interessato. «Prima che Alice ti costringesse a farle da cavia per verificare quanto fossero appuntiti i suoi spilli, ovviamente». Sollevò una delle mie mani incerottate e soffocò una risata.
«Al contrario: ho sacrificato le mie dita per una nobile causa», risposi, prendendolo per mano; lui strinse la mia con più delicatezza del solito. «Nulla di particolare, mi ha solo fatto scegliere personalmente il menu per la serata di domani. A proposito, non sapevo che conoscessi così bene le abitudini alimentari di Charlie: in quale ignoto universo parallelo l’hai visto mangiare una bullabaise?», chiesi ironica.
«Bouillabaisse», mi corresse lui. «Quella non è colpa mia, è stata Alice e setacciare tutte le riviste culinarie che è riuscita a trovare e a compilare l’elenco. Io le avevo detto solamente che a Charlie piace la cucina semplice».
«E secondo te tutte quelle cose che mi ha rifilato sono classificabili come cucina semplice?!», esclamai spalancando gli occhi. «Richiederanno anni di esperienza!»
Nel frattempo avevamo raggiunto la Volvo argentata; mi aprì la portiera del passeggero e mi chinai per entrare nell’abitacolo.
«Vedrai che per domani sera avranno già rivoluzionato il menu da cima a fondo», mi rassicurò lui sedendosi al posto di guida e infilando la chiave nel quadro.
«Sono tutti così eccitati per la cena…», sospirai, ripensando all’entusiasmo di Alice e al gran sorriso che mi aveva rivolto Esme quando ero scesa a salutarla. «Esme, Alice e Rosalie hanno addirittura intenzione di preparare le portate tutte da sole!»
«In effetti la trovo un’impresa piuttosto ardua», confermò lui increspando le labbra in un sorriso. «Se io trovo fastidioso l’odore del cibo, non credo che su di loro la situazione possa cambiare più di tanto».
Improvvisamente mi resi conto di quanto sforzo dovesse costare loro il maneggiare ingredienti con cui non avevano familiarità, addirittura le disgustavano, e nonostante questo volessero che tutto fosse perfetto per l’incontro con mio padre. Che tutto fosse perfetto per fare piacere a me. Mi si strinse il cuore, in preda ad un attacco di commozione.
«Grazie per tutto quello che state facendo», mormorai ad Edward, voltandomi verso di lui con gli occhi lucidi. «Non so se Charlie apprezzerà il vostro sforzo, ma io sì».
Levò gli occhi dalla strada per guardare il mio viso arrossato. «Per te questo ed altro». Le sue labbra disegnarono il mio sorriso sghembo e il mio cuore accelerò il suo ritmo.
«Ma dimmi…Esme sa davvero cucinare?». Non ne ero ancora del tutto convinta: non avendo una famiglia da sfamare – o meglio, non con i metodi tradizionali – credevo che per lei e le altre fosse particolarmente difficile regolarsi con il sale o intuire il momento esatto in cui sfornare una torta prima che questa si bruci.
Fece spallucce. «Non ho mai avuto modo di verificare, ovviamente, ma credo che seguendo alla lettera i suoi libri di ricette potrebbe cavarsela».
«Le sorveglierò per tutto il giorno: non vorrei che Charlie trovasse un incendio invece di casa Cullen». Rabbrividii.
Rise e ammiccò.
Quando parcheggiammo l’auto di fronte al vialetto di casa, la volante della polizia era lì al suo solito posto. Charlie era già tornato, come aveva previsto Alice.
«Ci vediamo più tardi», sospirò Edward sereno voltandosi verso di me.
«Ti aspetto», mormorai io sporgendomi leggermente verso di lui, mentre lui faceva lo stesso nella mia direzione. Sfiorò le mie labbra con le sue e intrecciò le dita nei miei capelli per ridurre ulteriormente la distanza tra i nostri visi.
Rossa in viso e frastornata come sempre dopo uno dei suoi baci, scesi barcollando dalla macchina e mi avviai verso il portico, non senza aver gettato un’ultima occhiata al vialetto ora deserto.
Tirai un sospiro, prima di entrare in casa: non avevo più incrociato mio padre dalla disastrosa sera precedente, quindi non sapevo in che stato fosse il suo umore. In ogni caso, mi ero ripromessa di evitare l’argomento matrimonio fin quando non l’avrebbe ricacciato fuori lui stesso, quando e se ne avesse voluto voglia.
«Bells?», chiamò mio padre quando udì la chiave girare nella toppa.
Ok, Bella. Disinvolta.
«Ehi, papà, scusa se non sono tornata prima, stavo dando una mano ad Alice».
«Non preoccuparti, ho trovato nel frigo qualche avanzo di ieri sera», rispose lui inarcandosi sullo schienale della sedia e sbadigliando sonoramente. Ecco, proprio quello a cui mi stavo riferendo poco prima, quando si parlava di abitudini alimentari.
«Bene, se pensi di essere sazio…». Feci spallucce, un po’ sorpresa. Stavo ancora aspettando che mi dicesse qualcosa a proposito di me ed Edward; mi ero preparata a qualsiasi tipo di reazione da parte sua – sia che cominciasse ad urlare o che mi si gettasse implorante ai piedi – ma la sua espressione era del tutto serena.
«Come sta Alice?», mi chiese. Che stesse cercando di sviare il discorso che gli – anzi, ci premeva di più?
Mi sedetti al tavolo della cucina, prima di rispondere. «Bene. Non vede l’ora che arrivi domani sera, sono tutti molto ansiosi di conoscerti…di nuovo», aggiunsi incerta. Temevo che quelle parole potessero scatenare la tempesta. Charlie non era il tipo da perdere le staffe molto facilmente, ma stando a quanto mi aveva riferito Edward prima che mi addormentassi…
«Mrs Cullen mi ha telefonato giusto un paio d’ore fa», cominciò senza battere ciglio, «e mi ha praticamente pregato di unirsi a loro per cena, domani sera. Meno male che mi ha avvertito in tempo: se avesse ritardato anche di un solo minuto avrei già prenotato un tavolo al Lodge».
«Già, per fortuna, eh?». Scommetto, invece, che qualcuno aveva suggerito ad Esme il momento più opportuno per chiamare.
«Sono persone davvero educate», annuì mio padre rispettoso, «e con i loro figli hanno svolto un lavoro impeccabile».
Lo guardai sospettosa e lui fece una smorfia. «Sì…anche con lui, lo ammetto».
Mi sforzai di sorridere e gli lanciai un’occhiata riconoscente.
«E a proposito di questo, Bella». Si alzò dalla sedia e rimase in piedi di fronte a me, le braccia incrociate al petto.

Ci siamo, pensai. Strinsi le labbra.
«Ci ho riflettuto e…». Sembrava in imbarazzo. «Bè, non nego che pensi che siate ancora troppo giovani per compiere questo passo, ma so quanto tu sia testarda e so che, molto probabilmente, non cambierai idea con facilità».
«Esatto», confermai io con determinazione.
«E poi - devo riconoscerlo… Edward è davvero…un bravo ragazzo». Quella confessione sembrò costargli un grande sforzo. «Ultimi eventi a parte, la tua sicurezza gli sta molto a cuore, è evidente».
Non risposi. Ripensare agli eventi a cui si riferiva Charlie aveva stuzzicato le ferite della mia anima, quelle che non sarei mai riuscita a rimarginare nemmeno con il tempo, che avrebbero fatto per sempre parte di me.
Chissà dove si trovava Jacob. Fino a quel momento ero riuscita a non pensarci troppo insistentemente, anche grazie all’aiuto di Edward, ma l’intervento di mio padre aveva temporaneamente vanificato tutti i miei sforzi.
«Sì». Tentai comunque di biascicare qualcosa.
«Perciò…ecco, cercherò di fidarmi di lui e di non fare la parte del padre padrone, tutto qua». Fissavamo entrambi il pavimento. «Se sei davvero convinta di sapere ciò a cui vai incontro, non ti fermerò».
«Papà…». I miei occhi traboccavano di lacrime di gratitudine e angoscia. Chissà quante altre volte avremmo potuto avere dei momenti come quello prima della mia… del mio cambiamento.
Senza pensarci, mi alzai di scatto dalla sedia e lo abbracciai con tutta la forza che avevo in corpo. Lui ricambiò, sorpreso e un po’ impacciato.
«Grazie», bofonchiai, asciugandomi le guance con il dorso della mano. «Anche Edward ne sarà felice». Ero piacevolmente stupita: non mi aspettavo tutta quella comprensione da parte sua. In un certo senso avevamo avuto la sua approvazione, come sarebbe accaduto se fossimo vissuti ai tempi della giovinezza di Edward.
«Non pensarci, piccola», mormorò, commosso a sua volta, facendomi una carezza sulla testa. «A proposito, dov’è?». Si guardò intorno come se gli fosse sfuggito qualcosa.
«È andato a casa sua, credo che anche la sua famiglia pranzi a quest’ora», risposi, evasiva; ero diventata davvero abile a mettere insieme scuse come quella. «Tornerà oggi pomeriggio».
«Come dubitarne?», sbuffò Charlie scrollando le spalle.
«Avresti potuto aspettare che ci fosse anche lui, prima di dirmi quelle cose, avrebbe fatto piacere anche a lui sentirle». In realtà sapevo che non si era perso una parola. Forse aveva riportato la macchina a casa, era tornato indietro di corsa ed ora si nascondeva nelle fronde dietro casa, oppure aveva già ascoltato i pensieri di mio padre ancor prima che io avessi messo piede in salotto.
«Credimi, probabilmente non sarei stato in grado di fare lo stesso discorso se vi avessi avuti entrambi davanti agli occhi», confessò lui facendo una risata secca e nervosa. «E poi, prima di tutto volevo parlare con te».
Gli lanciai un’occhiata a metà tra l’irritato e il divertito, insieme ad un ghigno. «E tu credi a me, papà: dopo aver ammesso così apertamente che Edward è effettivamente un bravo ragazzo, non hai più scuse per considerarlo un teppista».
Mi fissò stralunato. «Quando mai avrei pensato una cosa del genere?!». Aveva un tono di voce indignato, ma i suoi occhi rivelavano tutta la sua sorpresa per essere stato smascherato.
Ridacchiai e filai al piano di sopra senza aggiungere altro. Del resto, se immaginare il mio fidanzato nei panni di un gangster o con le braccia ricoperte di tatuaggi lo divertiva, perché privarlo di quel suo piccolo, maligno piacere personale?
 

[…]

 

 

 

E va bene, lo confesso. La scena padre-figlia non era in programma, come ha fatto a venire fuori?! >.< Forse era inevitabile dopo quello che è successo nel capitolo precedente…è uscita spontaneamente! XD Spero che nessuno sia crollato addormentato durante la lettura! :D
Wow, non mi aspettavo che ben otto persone aggiungessero la mia storia nei loro preferiti solo con il primo capitolo! O_O Sono felicissima, grazie mille a tutte coloro che lo hanno fatto! È anche la prima volta che i favoriti sono più dei commenti… :D ...a cui ora vado a rispondere uno per uno!

Crusade: Realistica? Sul serio? Mi hai illuminato la giornata *-* Trovo sempre abbastanza complicato rimanere IC in ogni punto della storia, quindi sono davvero contentissima che il primo capitolo ti abbia lasciato questa impressione! :) Spero che anche il secondo non ti abbia deluso, e…aspetto il tuo parere! Un bacio!

 
aLbICoCCaCiDa: Grazie per i complimenti, sono proprio contenta che ti piaccia il mio modo di scrivere! :) Spero che anche il nuovo capitolo ti piaccia!

 
MANDiNA: Grazie mille, spero che ti piaceranno anche i prossimi capitoli!

 
 

Ripeto, ripeto: essendo il mio primo tentativo su ‘Twilight’ vorrei essere sicura di essere rimasta fedele al carattere di ciascun personaggio, in questo caso di Alice (la ADORO!), per cui…mi piacerebbe molto che mi lasciaste le vostre impressioni! :)
Grazie per aver letto, ci vediamo al prossimo capitolo…la cena Cullen-Swan si avvicina! *risata malvagia*
A presto!
Alessandra

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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