Ti presento i miei di Aleberyl 90 (/viewuser.php?uid=3515)
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Capitolo 1 ***
Capitolo 2: *** Capitolo 2 ***
Capitolo 1 *** Capitolo 1 ***
«Forse
avremmo dovuto essere più delicati»
mugugnai
tra me ad alta voce, rannicchiando le ginocchia contro il petto e
stringendomi
nelle spalle. Non riuscivo proprio a combinare qualcosa di buono, in
quel
periodo.
Appollaiato
accanto a me sul materasso, Edward si limitò a scuotere il
capo con un
movimento quasi impercettibile: lo catturai a malapena, con la coda
dell’occhio.
Alzai lo
sguardo in cerca di una qualche conferma e sul suo volto perfetto si
aprì una
smorfia, a metà tra il rassegnato e il divertito.
«…Che
c’è?» chiesi, in attesa di una sua
risposta: la leggera tensione delle sue
labbra tradiva la sua impazienza.
Fece un
sospiro. «Anche se avessimo usato tutti i giri di parole
possibili, dubito che
avrebbe reagito in modo diverso».
Non potei
che dargli ragione: in effetti Charlie era piuttosto prevedibile.
«Sei
preoccupata?» mi chiese poi, dopo avermi osservata
attentamente per un lungo
secondo. Probabilmente stava cercando di esaminare la mia espressione,
di cui
io ero pressoché ignota.
«No»
risposi, «è solo che…ecco, sapevo che
sarebbe andata così, ma proprio per questo avrei dovuto
cercare di attenuare il
colpo!».
«Sarebbe
comunque venuto a saperlo, prima o poi». Gli angoli della sua
bocca si
curvarono in un sorriso comprensivo.
«Oh, certo,
ci mancava solo che non lo mettessimo al corrente del nostro matrimonio
e
scappassimo via come due amanti in fuga!» sbottai,
sarcastica; la voce uscì,
mio malgrado, più acuta di quanto avessi sperato.
Matrimonio…
Oddio.
«Amanti
in fuga» mi citò lui sfoderando
un’espressione falsamente solenne, per
scherzare. «Suona davvero bene».
«Smettila»
lo redarguii io con un mezzo sorriso. Fortunatamente il mio accenno di
nervosismo non aveva intaccato il suo buonumore. Finchè
quell’oro caldo avesse
vegliato su di me, anche il mio tormento sarebbe stato
senz’altro meno
insostenibile.
«Comunque
ormai è inutile tornare a rimuginarci su»,
concluse infine sfiorandomi la
guancia con la punta delle dita, nell’innumerevole tentativo
di confortarmi. «Non
dovresti essere così dura con te stessa, migliaia di ragazze
hanno già
affrontato questa prova prima di te». Sogghignò
beffardo.
«Sì, ma
detto…in quel modo!»
piagnucolai,
improvvisamente preda dei sensi di colpa. Strinsi tra le mani un angolo
del lenzuolo
e lo torturai, torcendolo ed attorcigliandolo su se stesso.
Che
rabbia.
Forse
quello non era stato il momento
più
opportuno per informare mio padre della celebrazione che sarebbe
avvenuta di lì
a poche settimane.
E pensare
che durante il tragitto dalla nostra radura alla villetta Swan ero
perfino
riuscita a riordinare le mie idee e ad elaborare una piccola arringa
per
l’occasione! Ero pronta ad affrontare la situazione a testa
alta, un leone concentrato
esclusivamente sulla propria preda.
Stando
alla mia solita fortuna, ovviamente nulla
era andato come avevo accuratamente previsto.
Forse
sarà stata l’ansia, la preoccupazione, la mia
smania di levarmi quell’impiccio
il prima possibile…fatto sta che, non appena ebbi messo
piede al di là della
soglia di casa, le mie labbra si scollegarono dal cervello e si mossero
per
conto loro, senza che io riuscissi a controllarle. Ero andata
inesorabilmente in tilt, con tutte
le conseguenze del
caso.
Un lieve
calore alle gote mi stordì e mi annebbiò la
mente, assorta nel ripercorrere le
fatidiche tappe che avevano preceduto il mio sfortunato annuncio.
No, non “sfortunato”:
è un termine troppo riduttivo.
Ecco, la
definizione giusta è disastroso.
Insomma,
quando mai si è vista una ragazza che piomba nella cucina di
casa sua in
compagnia del proprio fidanzato ed esclama così, di punto in
bianco, di fronte
al proprio padre che non aspetta altro che un’occasione per
bandire il proprio
genero dalla città: “Papà,
io e Edward
stiamo per sposarci!”?!
E senza
nemmeno uno straccio di preambolo, un’introduzione, o cose
del genere! Io e la
delicatezza appartenevamo a due sfere differenti. Purtroppo non
appartenevo
nemmeno al mondo dei telefilm – anche se, tecnicamente, da
due anni a quella
parte era impossibile affermare che appartenessi ancora al mondo reale - , in cui le eroine delle serie
non mostrano mai un briciolo di insicurezza ed annunciano il loro
matrimonio con
così tanta tranquillità che se le riprendessero
nel sorseggiare un caffè al bar
non sarebbe possibile notare alcuna differenza.
E come se
non bastasse, la prima cosa che mi chiese fu la più
ridicola, prevedibile ed
imbarazzante che potesse mai uscire dalle sue labbra: «Sei
incinta, non è
vero?!»
Avevo
negato con tutte le mie forze, ovviamente, ma non sono del tutto sicura
di
averlo convinto. A quanto pare la nostra piccola parentesi sullo stato
della
mia verginità non aveva avuto i risvolti che avevo sperato.
Scossi
freneticamente la testa e strizzai gli occhi per reprimere
l’episodio, che non
la smetteva di fare perfidamente capolino nella mia mente.
L’espressione
sbigottita che si era andata stampando pian piano sul viso di Charlie
era
ancora talmente vivida nei miei ricordi che mi nascosi istintivamente
il viso
tra le mani e gemetti, mentre l’imbarazzo provato poco prima
al piano di sotto
riaffiorava con una violenza a dir poco sorprendente.
A quel
gesto, Edward mi accarezzò delicatamente i capelli e mi
strinse un poco a sé.
«Bella»
mi sussurrò all’orecchio, «vedrai che
gli passerà ancor prima di quanto tu
possa immaginare».
Sospirai
a fondo, appoggiando il capo contro il suo petto e stringendo il lembo
della
manica della sua camicia, mettendoci più forza del solito: a
differenza di me,
durante tutta la durata dell’annuncio lui
non aveva battuto ciglio. Uffa.
«Parli
bene, tu», borbottai imbronciata.
Lui soffocò
una risata. «Non devi preoccuparti, sento già la
sua furia omicida
placarsi…anche se a un ritmo piuttosto lento,
certo». Mi baciò la punta del
naso. «Comunque, stanotte potrai dormire sonni
tranquilli».
Fortunato
lui, a non aver bisogno di fronteggiarsi con un genitore per questioni
del
genere.
A
proposito di genitori…
«…come la
mettiamo per la sua richiesta?» alzai gli occhi per cercare
il suo sguardo, ma
lui osservava la parete al di là di me. Sembrava pensieroso.
«Edward?»
lo richiamai, incuriosita. Chissà cosa l’aveva
distratto…
Lui
abbassò lentamente lo sguardo su di me, l’ombra di
un sorriso sul viso
serafico. «Bè…non credo ci siano
difficoltà» rispose tranquillo dopo aver abbassato
appena le palpebre. «Del resto, mi pare più che
naturale che voglia scambiare
quattro chiacchiere con la famiglia del suo futuro genero».
Ridacchiò
malizioso.
Rabbrividii
appena, nel tentativo di scacciare via la negatività che mi
stava assalendo.
Scambiare
quattro chiacchiere con la famiglia del
suo futuro genero. Se in quel momento fossi stata
più lucida – e
soprattutto se la diretta interessata non fossi stata io
– avrei perfino potuto mettermi a ridere per
l’assurdità della
situazione.
Charlie
conosceva i Cullen.
Chi non
li conosceva, in quella piccola contea il cui unico vanto era di
ospitare una
serie di persone che sapevano a menadito ogni più piccolo
dettaglio della vita
dei propri concittadini?
Solo che,
dal momento che io ed Edward eravamo, a quel punto, fidanzati ufficialmente, aveva ritenuto che fosse
arrivato il momento, per lui, di conoscerli di
nuovo. Per questo ci aveva chiesto di organizzare un piccolo
incontro tra
le nostre famiglie per “approfondire il rapporto e discutere
delle varie
faccende”.
Quali
fossero le faccende di cui avrebbe
voluto discutere con i Cullen…bè, a dire il vero
non avevo indagato, ma
supponevo si trattasse delle solite cose di cui ci si dovrebbe
preoccupare
nell’organizzazione di un matrimonio, come gli abiti o la
prenotazione del
ristorante.
Avrebbero
avuto ben poco di cui discutere: Alice non avrebbe rinunciato al suo
piccolo,
terrificante divertimento per nulla al mondo.
Ovviamente
avevo provato a dissuaderlo dal voler mettere in piedi una cerimonia
troppo
sfarzosa – particolare che anche Edward aveva rimarcato con
insistenza – prima
che avesse il tempo di avanzare qualsiasi proposta, ma in quel momento
sembrava
talmente perso nei suoi pensieri che dubito ci abbia ascoltato.
Anzi, più
che immerso nei suoi pensieri…boccheggiava come se qualcuno
gli avesse
improvvisamente rifilato un ceffone e borbottava con insistenza cose
che non
ero riuscita ad afferrare - se non il nome di mia madre, in un
minuscolo e
fugace frangente.
«Sei
sicuro? Nessun problema?» mormorai, vagamente preoccupata:
non riuscivo
minimamente ad immaginare come avrebbe potuto svolgersi la dinamica
dell’incontro. Mi sembrava ancora tutto così
assurdo… Come se stessi osservando
tutto da dietro un pannello di vetro.
«Nessun
problema» ribadì lui alzando una mano.
«Se solo Emmett si azzarderà a fare
troppo lo spiritoso, do la mia parola d’onore che lo faccio a
pezzi». E scoppiò
in una vera risata, il cui suono argentino colmò le mie
orecchie.
D’un
tratto mi sentii ancora più in disagio: il mio broncio era
proprio fuori luogo,
rispetto alla gaiezza che traspariva dalle sue parole. Era totalmente
entusiasta, glielo si leggeva in ogni sua piccola attenzione a me
rivolta.
«Sei al
settimo cielo, non è vero?» mugugnai incerta,
tentando comunque di tirare fuori
un mezzo sorriso e di mantenerlo per più di due secondi.
«Cosa te
lo fa pensare?» rispose lui ironico, sfoderando un sorriso a
trentadue denti,
talmente magnifico da mozzare il fiato.
Rimasi ad
ammirarlo per qualche secondo, in silenzio. Le mie guance assunsero
automaticamente una delicata sfumatura porporina.
E poi,
prima che potessi aprire bocca per ribattere, fu lui a riprendere la
parola.
«Sei pentita di averlo fatto?», sussurrò
dolce al mio orecchio.
«No!»
ribattei subito io… forse troppo in fretta, ma ormai era
tardi per riparare al
danno: lo vidi aggrottare le sopracciglia.
«Avresti
preferito aspettare ancora qualche giorno» concluse per me.
«No…davvero»
risposi io a bassa voce. «È stato molto meglio
così: se avessimo aspettato
ancora non mi sarei mai decisa, mi conosco».
«Mmm»
Edward mi si avvicinò con fare indagatore. I suoi occhioni
color caramello mi
fissavano intensamente, come se cercassero di penetrare il fitto
intreccio dei
miei pensieri e, inconsciamente, mi chiesi se in quell’attimo
stesse provando
la solita frustrazione che lo assaliva di fronte al fallito tentativo
di
setacciare la mia mente. «Io invece penso che, se fosse
dipeso da te, avresti
rimandato quel momento all’infinito».
Trasalii:
non mi aspettavo tanta schiettezza.
Il primo
pensiero spontaneo che affiorò nella mia mente negava quella
constatazione, ma
non mi fu di grande aiuto: sapevo già di non poter mentire
né a me stessa…né a
Edward.
Sentii le
guance avvampare di rossore ed evitai accuratamente di incrociare il
suo
sguardo mentre cercavo di mettere insieme una risposta accettabile.
«Ti
sbagli, ora che l’abbiamo detto a Charlie mi sento, come
dire…sollevata». E
questa non era una bugia. «E poi mi pareva che ne avessimo
già parlato più
volte, sai…tutta quella storia dei compromessi, i punti di
vista...e…»
Sentii un
nodo in gola e fui costretta ad interrompere la mia penosa filippica.
Semplicemente non trovavo le parole per costruire un discorso logico.
La verità
era che non c’era modo di spiegare il turbamento che provavo
in quel momento
senza ferire Edward: nonostante alla fine avessi ceduto alla sua
richiesta e mi
fossi mostrata così ben disposta ad assecondare i suoi
progetti, mi occorreva
ancora del tempo per digerire l’evento che di lì a
poco sarebbe accaduto.
Renèe e
le sue fisime sul matrimonio! Era solo colpa sua se mi trovavo in
quello stato!
Però,
tutto sommato, l’aver dato la notizia a mio padre mi aveva davvero fatto sentire meglio, come se mi
fossi levata un macigno
dalle spalle. Se non altro, non avrei dovuto pensarci più.
«Bella».
Edward mi strinse una mano tra le sue e scatenò tutta
l’intensità del suo
sguardo su di me. «Non voglio che tu ti senta costretta a
fare qualcosa
controvoglia, non è giusto che l’unico ad essere
felice sia io. Sei terrorizzata, te
lo si legge in faccia,
in ogni gesto che fai da quando siamo tornati a
casa…». Poggiò una mano sulla
mia guancia e la carezzò con il pollice, come per
confortarmi.
«Edward».
Portai la mia mano destra al viso e la sovrapposi alla sua.
«Se non fossi felice non
avrei mai accettato di…sposarti.
Non preoccuparti di quello che
penso, se sei felice tu…bè, sono felice anche
io».
Mai, mai più
l’avrei fatto soffrire. Avevo
fatto una promessa a me stessa e intendevo mantenerla.
«Dalla
tua espressione non si direbbe che tu lo sia»,
obiettò lui cupo.
«Senti».
Distolsi lo sguardo per volgere il viso al lembo di lenzuolo che ancora
stringevo tra le mani, ormai sgualcito. «Non voglio voltare
le spalle al mio
impegno, ho detto che ti sposerò e lo
farò». E sapevo di suonare decisa.
Chissà…forse mi stavo abituando
all’idea.
E poi
avevo già constatato di persona che portare un anello al
dito non era così male
come temevo. In fondo, poi, anche sposando Edward non sarebbe cambiato
granchè:
cercavo di vederla come uno degli infiniti modi per rendere il nostro
rapporto
veramente ufficiale – come se poi ce ne fosse stato bisogno!
Ultimi eventi a
parte, credo che nessuno che ci veda insieme possa dubitare di quello
che c’è
tra noi.
Certo, se
quell’atto di generosità non avesse richiesto
chilometri di strascico bianco e
un paio di insidiosi, terrificanti tacchi
a spillo…
Rabbrividii
involontariamente. Cercai di convincermi che si sarebbe trattato solo
di
qualche ora. Una volta terminata la cerimonia non avrei più
indossato nulla del
genere.
Per
mascherare il mio orrore tornai a concentrarmi su Edward, il suo viso
ancora
contratto in una smorfia di rimorso. Non mi andava che si tormentasse
ulteriormente: sfoderai un ghigno e gli lanciai un’occhiata a
metà tra il
divertito e l’esasperato.
«Mi
dispiace davvero deluderti, ma se speravi di andare
all’altare da solo ti
conviene non contarci troppo». Feci una linguaccia.
«Anzi, sai cosa? Credo
proprio che ti anticiperò di qualche ora e mi
farò trovare subito lì, così
quando arriverai ti avrò colto completamente di
s…»
Non mi
permise di concludere il discorso: mi prese rapidamente il viso tra le
mani e
premette le sue labbra sulle mie, con foga. Rimasi spiazzata e confusa,
ma
ricambiai con lo stesso entusiasmo.
«Grazie» sussurrò,
una volta scostatosi da me e aver fatto aderire la sua fronte alla mia.
Liscia,
perfetta, senza increspature. Meno male.
«Di cosa
dovresti…» cominciai io col fiato corto, ma la sua
bocca mi impedì per la
seconda volta di proseguire ulteriormente. Senza allontanarsi di un
centimetro,
guidò le mie mani dietro la sua schiena e con le sue mi
cinse i fianchi. E un
attimo dopo, senza nemmeno essermene resa conto, mi ritrovai con la
testa sul
cuscino.
Quando
interruppe il bacio per fissarmi negli occhi, gli restituii uno sguardo
curioso
e riconoscente. Non mi ero accorta di quanto stress mi avesse procurato
la
dichiarazione di quel pomeriggio: la morbidezza che aveva accolto la
mia nuca
era un vero toccasana e mi rilassai istantaneamente.
«È tardi»
mormorò lui dolce, avvolgendomi nel lenzuolo stropicciato e
sistemandone i
lembi sotto il materasso, sollevandolo appena. Tirai un sospiro
profondo e mi
aggrappai al colletto della sua camicia, per trascinarlo accanto a me.
Non tardò
ad assecondare le mie intenzioni: si sdraiò al mio fianco,
sopra la coperta, e
mi abbracciò stretta, cullandomi sul suo petto.
Per qualche
minuto ci beammo l’uno del contatto con l’altro,
ascoltando il suono regolare
dei nostri respiri.
«A
proposito», disse poi Edward all’improvviso,
avvicinando il viso al mio
orecchio. «Oggi pomeriggio sei stata davvero
fantastica».
«Credi?»
bofonchiai incerta.
«Hai
sostenuto lo sguardo di Charlie fino alla fine, sembravi
sinceramente…determinata», spiegò lui,
soffocando una risata che fece tremare
il letto.
«Davvero?».
Non me ne ero minimamente resa conto. A quanto pare il mio spirito di
adolescente si era impossessato di me un’altra volta.
«Quando
vuoi sai essere veramente testarda», scherzò lui
baciandomi sulla guancia.
Avvertii sulla pelle le sue labbra distese in un ampio sorriso e non
potei che
esserne lieta.
Mi lascia
sfuggire uno sbadiglio e lui mi strinse a sé ancora
più forte.
«Cerca di
dormire, Bella, domani avremo un bel po’ di cose da
fare», mormorò in tono
musicale; aveva preso a canticchiare la mia ninna nanna ancor prima che
avesse
terminato la frase.
Annuii,
mi accoccolai contro di lui e affondai il viso nel suo petto.
«Mi dici
una cosa, prima che mi addormenti?», azzardai.
«Chiedi
pure».
«Poco fa,
quando avevi quell’espressione assorta…a cosa
stavi pensando?».
Esitò un
attimo, ma si riprese subito dopo. «A dire il vero, ecco,
stavo…ascoltando».
«Origliando»,
lo corressi io.
«Quello
che è». Nel suo tono di voce c’era una
punta di imbarazzo, ma allo stesso tempo
pareva divertito. «Ecco, a quanto pare Charlie sta cercando
di escogitare un
modo per bandirmi dalla città una volta per tutte. Non che
sia così difficile,
in effetti, ma…»
«Stia
attento a quello che fa, signor Cullen», lo ammonii io,
divertita a mia volta
per la sfacciataggine di mio padre, «l’ispettore
Swan non aspetta altro che la
prima occasione per mandarla via da Forks a forza di calci nel
sedere».
«Starò
attento», promise lui ridacchiando. «Ah, inoltre
continuava a bofonchiare in
continuazione cose del tipo: La mia
bambina, è ancora troppo presto!, oppure: Quel Cullen è un teppista, ne sono
sicuro!. Tu ne sai qualcosa?»,
chiese malizioso.
«Tu non
sei un teppista», farfugliai io, ormai ad un passo dalle
braccia di Morfeo. Avrei
dovuto dirlo anche a Charlie e rassicurarlo una volta per tutte. Voltai
ancora
la testa e, ad occhi chiusi, gli sfiorai la clavicola con la punta del
naso.
«Grazie
per la smentita», rispose lui ridendo. Il mio suono preferito.
«E adesso
cosa sta pensando?» biascicai lentamente, trascinando le
parole con mente
annebbiata.
«Non
farmi ripetere cose che ho già detto».
«Mmm».
Qualcosa mi diceva che quei pensieri avrebbero accompagnato mio padre
per un
bel po’ di tempo.
Intonò di
nuovo la mia ninna nanna e a quel punto non fui più in grado
aprire bocca.
Inspirai a pieni polmoni il dolce profumo della sua pelle, percepibile
anche al
di là della stoffa della sua camicia, e gioii in segreto per
il fatto che avrei
goduto di quell’irresistibile fragranza per
l’eternità ed oltre.
A quel
punto il torpore avvolse anche le ultime delle mie membra e mi
abbandonai ad un
sonno ristoratore, protetta e coccolata dall’abbraccio di
Edward, conscia che
ad aspettarmi ci sarebbe stata una notte limpida e senza incubi.
[…]
Per chi non
avesse ancora sostenuto
gli esami di maturità…ecco, questo
è quello che viene fuori quando hai
bisogno di svagarti un po’ dallo studio! :D Una piccola fic
senza pretese su
una delle serie che più mi hanno coinvolto ed emozionato
nell’arco di pochi
mesi! Molto semplice e breve, che del resto è
l’unica cosa che puoi scrivere
quando non ne puoi più di piani Marshall e leggi della
termodinamica… XD Visto che
ho cominciato a scriverla a giugno non ci saranno spoiler di
“Breaking Dawn”
(che sono ansiosissima di leggere nonostante mi sia già
bruciata la trama sul
dannatissimo Wikipedia, sigh…), tutto è puro
frutto della mia immaginazione (:
E…ehm…visto che è il mio primo
tentativo su “Twilight”, mi farebbe piacere sapere
cosa ne pensate! Un
commentino? :D
Nel frattempo vi ringrazio molto
per aver letto il primo capitolo, spero che vi sia piaciuto! (:
Oh Edward… XD
A presto!
Alessandra
|
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Capitolo 2 *** Capitolo 2 ***
Non
potevo assolutamente credere che quel rotocalco chilometrico che Alice
mi aveva
ficcato tra le mani fosse davvero un menu.
Davanti
ai miei occhi si stagliava un elenco di vivande dai nomi più
disparati, metà
dei quali erano completamente estranei al mio vocabolario. Anitra all’arancia, escargot,
paẽlla, lasagne
ai porcini… Cosa diavolo aveva in mente?
«Ehm,
Alice», mugugnai alla mia stilista personale, «che
cosa dovrei fare esattamente
con questa?». Le
sventolai il foglio
sotto il naso, distogliendola dal rocchetto di filo con cui stava
disputando
un’ardua lotta.
«Mh?».
Sollevò gli occhi e mi lanciò uno sguardo
distratto. «Oh…scegli pure i piatti
che ti piacciono di più, poi penseremo al resto».
«D’accordo,
ma…come faccio a scegliere quali piatti mi piacciono di
più se prima di oggi
non sapevo nemmeno che ne esistessero così
tanti?!», sbottai, sgranando gli
occhi. «Per esempio, che cos’è la
bou…bulla…». Era difficile perfino da
leggere.
«Bouillabaisse»,
mi corresse Alice,
riponendo il rocchetto all’interno di un’enorme
scatola e pescandone uno spillone.
«Una specialità francese, molto buona,
così dicono».
«Ah». Non
si finiva mai di imparare; forse mi sarebbe piaciuto ancora di
più sapere di cosa e come fosse fatta quella pietanza.
«E dimmi…credi che avrei dei
motivi validi per sceglierla?», borbottai sarcastica.
«Temo di non aver mai
avuto l’occasione di assaggiarla, prima d’ora,
forse dovrei fidarmi dell’opinione
della rivista di cucina da cui hai pescato questo nome».
«La bouillabaisse
è una pietanza internazionalmente
riconosciuta dagli esperti del settore», replicò
lei facendo spallucce. «In
tutta sincerità, credo non sia nemmeno così
difficile procurarsela».
«Va bene,
va bene, chiudiamo l’argomento». Afferrai la matita
che Alice mi aveva dato
insieme alla lista e disegnai una piccola croce accanto a quel nome
complicato.
Mi sarei volentieri fermata lì, ma sapevo che Alice non me
l’avrebbe mai data
vinta, perciò mi sforzai di ricercare e segnalare i piatti
più semplici – o
conosciuti - che riuscivo a scovare, setacciando con
meticolosità ogni singola
riga. Al termine della mia scrupolosa indagine avevo apposto solo una
mezza
dozzina di crocette, ma non avevo la minima intenzione di coinvolgere
nella mia
scelta anche solo uno dei piatti a me ignoti; Alice se la sarebbe fatta
andare
bene così com’era.
Le
consegnai la lista, sbuffando appena: avevo una mezza idea che i
preparativi
per il mio matrimonio fossero appena cominciati. Chissà cosa
aveva in mente la
mia organizzatrice, per chiedermi di scegliere tra quei piatti tanto
costosi e
complicati. Senza considerare, poi, che avevo esplicitamente preteso una cerimonia per pochi intimi,
un quarto dei quali era costituito da vampiri disgustati dal cibo
umano. Forse
avrei dovuto proporre di servire spazzatura, così in ambito
alimentare saremmo
stati tutti sullo stesso livello.
«Sul
serio, Bella…sei sicura
che sia
sufficiente?», mi chiese Alice controllando il menu, un velo
d’ansia sul viso
da folletto. «E se poi non piacerà
tutto?»
«Oh,
tutti sapranno cavarsela egregiamente», la rassicurai io.
«E da quello che mi
hai detto sembra tutto talmente sostanzioso…».
Sorrise
soddisfatta e adagiò con cura il foglio sulla scrivania,
attenta a non
sgualcirlo. «Mmm…e come antipasto? Cosa credi che
preferisca?»
«Santo
cielo, Alice, stai pensando di far esplodere il fegato di qualche
ospite?!»
esclamai scioccata. Io stessa dubitavo che sarei riuscita ad andare al
di là
della prima portata.
«Ma…».
«Credimi:
basta e avanza». Posi
avanti le mani,
come per concludere lì il discorso. Se avesse provato a
protestare ancora,
avrei ribadito il mio rifiuto fin quando non sarebbe stato sufficiente.
Alice mi
guardò con uno sguardo colpevole. «Scusami, Bella,
è solo che Edward non è
riuscito a dirmi granchè sulle abitudini di Charlie, quindi
non sapevo se…». La
sua voce sfumò e si portò una mano sotto il
mento, riflettendo.
«Come?».
Perché ora si stava riferendo solo a Charlie? Forse
perché il padre della sposa
meritava qualche privilegio in più rispetto al resto degli
invitati?
«Eppure
in quelle sciocche commedie che trasmettono alla televisione le tavole
sono
sempre imbandite di ogni genere di pietanza…»,
mormorò lei, più a se stessa che
a me, confusa. «Forse avrei dovuto documentarmi meglio sul
metabolismo degli
umani… Ho fatto male qualche calcolo, Bella?».
Non
risposi, troppo impegnata a decifrare l’orribile sensazione
che si stava
facendo lentamente strada dentro di me.
Gettai
un’occhiata rapida alla lista della pietanze sul tavolino,
mentre associavo le
parole di Alice alla data segnata sul calendario.
«Bella?».
Alice mi richiamò all’ordine sventolandomi una
mano davanti agli occhi.
«Alice»,
gracchiai, la gola improvvisamente secca. «Questi
piatti…», afferrai il foglio,
«…per chi sono?».
Lei mi
guardò come se mi fosse sfuggito qualcosa di ovvio.
Fu la
certezza che stavo aspettando…e che temevo da morire.
«…Sono
per la cena di domani sera, vero?!», gracchiai, troppo
stupita per parlare
correttamente. La mia voce era salita di un’ottava e non me
ne ero nemmeno resa
conto.
«Cos’è
che credevi, Bella?», disse Alice, stralunata.
«Oh no,
no!», sbottai io allargando le braccia, esasperata.
«No!»
Come
potevo essere così stupida?!
Sentii
il sangue colorarmi la pelle e il sudore freddo imperlarmi la fronte.
«Cosa c’è
che non va? Credi che a Charlie non piacerà la bouillabaisse?», mi chiese lei
in tono innocente, probabilmente
cercando di spiegarsi il motivo del mio attacco di panico.
«Non è
questo!», boccheggiai io. «Voglio
dire…non c’è bisogno che vi occupiate
della
cena, sul serio! Sono sicurissima che Charlie avrà
già prenotato un tavolo al
Lodge e…»
«Non dire
assurdità, Bella», replicò Alice in
tono deciso. «Non permetteremo mai che un
evento così importante sia preso tanto alla leggera.
È l’incontro ufficiale tra
le nostre famiglie!». Lanciò un gridolino di
eccitazione.
Ancora
con questa storia dell’ufficiale.
Forse stavano dando troppa importanza a quest’aspetto della
faccenda.
«Ma tu conosci
Charlie», la implorai, «anzi, se
potesse ti adotterebbe come seconda figlia!»
Ridacchiò
per quella mia osservazione. «Lo so bene, ma
insomma…tu ed Edward state per sposarvi!»,
cinguettò, e un brivido mi
percorse la schiena come una scarica elettrica. «Vogliamo che
la cena avvenga
nelle migliori condizioni possibili».
Dalle sue
parole trapelava tanto di quell’entusiasmo che dubitavo sarei
riuscita a
dissuaderla dal suo intento. Sospirai e lascia cadere le spalle,
sconfitta.
«Vedrai,
Bella, ci sarà da divertirsi!». Alice mi si
avvicinò e mi abbracciò stretta,
mentre contemporaneamente saltellava sul posto. «Esme
è già elettrizzata
all’idea di rimettersi ai fornelli!».
«Esme sa
cucinare?», chiesi, incredula.
«Bè, è un
po’ che non si esercita, ma è convinta di
potercela fare», rispose lei con un
sorriso di incoraggiamento. «Del resto basta solo un buon
libro di ricette, no?
Anche io e Rosalie le daremo una mano, ovviamente».
«Ovviamente».
Non riuscivo proprio ad immaginare come le mie tre vampire preferite
potessero
lanciarsi in quell’impresa: ad essere sincera, mi sembrava
piuttosto disperata.
«Vi darò
una mano anch’io, credo che vi servirà il mio
aiuto per quando si tratterà di
assaggiare e verificare i gradi di cottura». Questa era la
parte che mi
preoccupava di più.
«Come se
fossi a casa tua!». Era chiaramente eccitata per la proposta.
«Però,
almeno per quanto riguarda le portate, dai retta a me». Presi
l’elenco e glielo
misi sotto il naso. «Sono sicura al cento per cento che
Charlie preferirebbe di
gran lunga mangiare cibo cinese d’asporto, piuttosto che
strani intrugli
francesi di cui ignora l’esistenza». Se
consideriamo, poi, che per diciassette
anni era stato costretto a prepararsi i pasti da solo…
«Oh…tu
dici?» Mi guardò perplessa. «Credevo che
gli umani amassero la cucina
raffinata».
«Ci sono
sempre le eccezioni», la contraddissi io. «Una
bella pizza sarà più che
sufficiente, garantisco io». Le feci l’occhiolino.
«Chiederò
consiglio ad Esme», promise lei. «Forse se ne
intende più di me».
«Lo credo
anch’io», ridacchiai scompigliandole i capelli,
«ma apprezzo molto i tuoi
sforzi».
«Oh,
stiamo solo parlando del mio passatempo preferito!»,
esclamò lei piroettando su
se stessa con la sua solita grazia.
«A
proposito, credi che Edward sia tornato?». Era più
di un’ora che era uscito per
andare a caccia, cominciavo ad avvertire il vuoto della sua assenza.
«No,
l’avrei sentito arrivare», rispose lei.
«Aspetta, fammi controllare». Si portò
le dita alle tempie e chiuse gli occhi, concentrandosi intensamente.
Dopo
qualche attimo sollevò il mento e mi sorrise.
«Tra meno
di un quarto d’ora sarà qui».
«Oh, meno
male», sospirai io. «Vorrei chiedergli di
accompagnarmi a casa, stamattina
siamo venuti qui con la sua macchina.»
Alice
annuì. «Devi preparare il pranzo per tuo padre,
vero?».
«Sì, oggi
tornerà prima dalla centrale…e poi
dovrò avvertirlo della cena di domani sera,
prima che prenoti da qualche parte».
«Non
preoccuparti, credo che Esme gli abbia già telefonato
qualche minuto fa».
«Oh»,
feci io, sorpresa. Erano sempre tutti così
previdenti… «Vorrà dire che
più
tardi scenderò a ringraziarla».
Rimasi
insieme ad Alice per altri dieci minuti, aiutandola
nell’apportare qualche modifica
al velo del mio vestito da sposa – lavoro che mi
causò decine di escoriazioni
sui polpastrelli, fino a quando non sentimmo bussare alla porta della
camera.
Alice
scattò in piedi come se fosse stata punta da
un’ape, sfrecciò alla porta e vi
si appoggiò con la schiena, come per bloccare qualcosa che
minacciava di
entrare.
«Che
cosa…?». La guardai perplessa: sembrava impazzita.
«Presto,
Bella, nascondi il vestito!», sibilò lei scoccando
un’occhiata fiammeggiante
prima a me, poi all’ammasso informe di stoffa che giaceva sul
pavimento. Mi
affrettai a raccoglierlo, lo ancorai ad una gruccia più
ordinatamente che potei
e lo ficcai in una delle tante ante dell’armadio a muro.
Automaticamente
si rilassò, sospirò di sollievo e si
allontanò dalla sua postazione. Una
frazione di secondo più tardi la porta si
spalancò e Edward entrò nella stanza.
«Grazie
per l’accoglienza, Alice», bofonchiò,
lanciandole un’occhiata scocciata.
«Gli
uomini non sono ammessi, mi dispiace», rispose lei
incrociando le braccia al
petto e sfoderando un’espressione autoritaria. «Mi
meraviglia che tu non lo
sappia, sei così legato alle
tradizioni…».
«Non
credo proprio che si possa parlare di tradizione,
nel nostro caso», obiettai io sistemandomi la maglietta e
raggiungendo Edward.
«Concetto
già ribadito», confermò lui cingendomi
i fianchi con un braccio e baciandomi i
capelli. Anche lui aveva sentito la mia mancanza.
Alice ci
squadrò da capo a piedi, leggermente stizzita.
«Parole a parte, il fatto che lo
sposo non veda il vestito della sposa fino al momento delle nozze
è di buon
auspicio».
«Come se
lui non l’avesse già visto nei tuoi
pensieri!», ribattei io scoppiando a
ridere. Era quasi impossibile che tra i due fratelli ci fossero
segreti, ovvia
conseguenza della loro reciproca complicità.
A sorpresa,
Alice sfoderò un sorriso trionfante. «Non sono
così ingenua, Bella. Anzi…fino
ad ora sono stata particolarmente attenta».
«Vuoi
dire che…», balbettai io, volgendo il viso verso
Edward. Lui scrutava la
sorella con una nota di disappunto.
«Mostriciattolo»,
borbottò, facendo una smorfia e distogliendo lo sguardo.
Alice ridacchiò,
maligna e compiaciuta.
Non che a
me importasse molto del fatto che Edward potesse vedere il mio vestito
o meno,
ma gli sforzi che stava facendo Alice per tenergli nascosta
quell’immagine
erano davvero ammirevoli.
«È andata
bene la caccia?», gli chiesi, anche per distoglierlo da quel
pensiero.
«Sì,
stavolta non abbiamo nemmeno dovuto spingerci troppo fuori dai
confini». Mi
sorrise.
«Bella
deve andare a casa, Charlie aspetta che gli prepari il pranzo da
portare in
ufficio», ricordò Alice prima che potessi
rispondere. «Arriverà con qualche
minuto di anticipo, è meglio che ti sbrighi».
«Sì». La
salutai con un rapido abbraccio e mi diressi verso la porta della
camera,
seguita a ruota da Edward.
«Ci
vediamo domani!», esclamò lei agitando una mano a
mo di saluto.
«Certo…ehm,
a che ora vuoi che venga?», le chiesi, ricordandomi
improvvisamente che la cena
ufficiale si sarebbe svolta nella
sala da pranzo di casa Cullen.
Alice fece
spallucce. «Quando vuoi, e comunque credo che proveremo a
cucinare qualcosa
anche stanotte».
«Ah».
Brutta prospettiva.
Edward mi
spinse fuori dalla stanza prima che Alice potesse vedere il mio volto
contratto
dall’ansia.
Dopo
essere passata in cucina per ringraziare Esme dell’aver
avvertito Charlie al
posto mio – ne approfittai per controllare che tutti gli
utensili fossero
effettivamente adatti per un pomeriggio di pasticciamenti – e
averle assicurato
il mio aiuto per il giorno dopo, uscimmo nel portico della casa e ci
dirigemmo
a passi lenti verso il garage.
«Cosa
avete fatto mentre io ero via?», mi chiese Edward in tono
amabile ed
interessato. «Prima che Alice ti costringesse a farle da
cavia per verificare
quanto fossero appuntiti i suoi spilli, ovviamente».
Sollevò una delle mie mani
incerottate e soffocò una risata.
«Al
contrario: ho sacrificato le mie dita per una nobile causa»,
risposi,
prendendolo per mano; lui strinse la mia con più delicatezza
del solito. «Nulla
di particolare, mi ha solo fatto scegliere personalmente il menu per la
serata
di domani. A proposito, non sapevo che conoscessi così bene
le abitudini
alimentari di Charlie: in quale ignoto universo parallelo
l’hai visto mangiare
una bullabaise?», chiesi
ironica.
«Bouillabaisse»,
mi corresse lui. «Quella
non è colpa mia, è stata Alice e setacciare tutte
le riviste culinarie che è
riuscita a trovare e a compilare l’elenco. Io le avevo detto
solamente che a
Charlie piace la cucina semplice».
«E
secondo te tutte quelle cose che mi ha rifilato sono classificabili
come cucina semplice?!»,
esclamai spalancando
gli occhi. «Richiederanno anni di esperienza!»
Nel
frattempo avevamo raggiunto la Volvo argentata; mi
aprì la portiera del passeggero e mi chinai
per entrare nell’abitacolo.
«Vedrai
che per domani sera avranno già rivoluzionato il menu da
cima a fondo», mi
rassicurò lui sedendosi al posto di guida e infilando la
chiave nel quadro.
«Sono
tutti così eccitati per la cena…»,
sospirai, ripensando all’entusiasmo di Alice
e al gran sorriso che mi aveva rivolto Esme quando ero scesa a
salutarla.
«Esme, Alice e Rosalie hanno addirittura intenzione di
preparare le portate
tutte da sole!»
«In
effetti la trovo un’impresa piuttosto ardua»,
confermò lui increspando le
labbra in un sorriso. «Se io trovo fastidioso
l’odore del cibo, non credo che
su di loro la situazione possa cambiare più di
tanto».
Improvvisamente
mi resi conto di quanto sforzo dovesse costare loro il maneggiare
ingredienti
con cui non avevano familiarità, addirittura le
disgustavano, e nonostante questo
volessero che tutto fosse perfetto per l’incontro con mio
padre. Che tutto
fosse perfetto per fare piacere a me.
Mi si strinse il cuore, in preda ad un attacco di commozione.
«Grazie
per tutto quello che state facendo», mormorai ad Edward,
voltandomi verso di
lui con gli occhi lucidi. «Non so se Charlie
apprezzerà il vostro sforzo, ma io
sì».
Levò gli
occhi dalla strada per guardare il mio viso arrossato. «Per
te questo ed altro».
Le sue labbra disegnarono il mio sorriso sghembo e il mio cuore
accelerò il suo
ritmo.
«Ma
dimmi…Esme sa davvero
cucinare?». Non
ne ero ancora del tutto convinta: non avendo una famiglia da sfamare
– o
meglio, non con i metodi tradizionali – credevo che per lei e
le altre fosse
particolarmente difficile regolarsi con il sale o intuire il momento
esatto in
cui sfornare una torta prima che questa si bruci.
Fece
spallucce. «Non ho mai avuto modo di verificare, ovviamente,
ma credo che
seguendo alla lettera i suoi libri di ricette potrebbe
cavarsela».
«Le
sorveglierò per tutto il giorno: non vorrei che Charlie
trovasse un incendio
invece di casa Cullen». Rabbrividii.
Rise e
ammiccò.
Quando
parcheggiammo l’auto di fronte al vialetto di casa, la
volante della polizia
era lì al suo solito posto. Charlie era già
tornato, come aveva previsto Alice.
«Ci
vediamo più tardi», sospirò Edward
sereno voltandosi verso di me.
«Ti
aspetto», mormorai io sporgendomi leggermente verso di lui,
mentre lui faceva
lo stesso nella mia direzione. Sfiorò le mie labbra con le
sue e intrecciò le
dita nei miei capelli per ridurre ulteriormente la distanza tra i
nostri visi.
Rossa in
viso e frastornata come sempre dopo uno dei suoi baci, scesi
barcollando dalla
macchina e mi avviai verso il portico, non senza aver gettato
un’ultima
occhiata al vialetto ora deserto.
Tirai un
sospiro, prima di entrare in casa: non avevo più incrociato
mio padre dalla
disastrosa sera precedente, quindi non sapevo in che stato fosse il suo
umore.
In ogni caso, mi ero ripromessa di evitare l’argomento matrimonio fin quando non
l’avrebbe ricacciato fuori lui stesso,
quando e se ne avesse voluto voglia.
«Bells?»,
chiamò mio padre quando udì la chiave girare
nella toppa.
Ok,
Bella. Disinvolta.
«Ehi,
papà, scusa se non sono tornata prima, stavo dando una mano
ad Alice».
«Non
preoccuparti, ho trovato nel frigo qualche avanzo di ieri
sera», rispose lui
inarcandosi sullo schienale della sedia e sbadigliando sonoramente.
Ecco,
proprio quello a cui mi stavo riferendo poco prima, quando si parlava
di
abitudini alimentari.
«Bene, se
pensi di essere sazio…». Feci spallucce, un
po’ sorpresa. Stavo ancora
aspettando che mi dicesse qualcosa a proposito di me ed Edward; mi ero
preparata a qualsiasi tipo di reazione da parte sua – sia che
cominciasse ad
urlare o che mi si gettasse implorante ai piedi – ma la sua
espressione era del
tutto serena.
«Come sta
Alice?», mi chiese. Che stesse cercando di sviare il discorso
che gli – anzi, ci
premeva di più?
Mi
sedetti al tavolo della cucina, prima di rispondere. «Bene.
Non vede l’ora che
arrivi domani sera, sono tutti molto ansiosi di
conoscerti…di nuovo», aggiunsi
incerta. Temevo che quelle parole potessero scatenare la tempesta.
Charlie non
era il tipo da perdere le staffe molto facilmente, ma stando a quanto
mi aveva
riferito Edward prima che mi addormentassi…
«Mrs
Cullen mi ha telefonato giusto un paio d’ore fa»,
cominciò senza battere ciglio,
«e mi ha praticamente pregato di unirsi a loro per cena,
domani sera. Meno male
che mi ha avvertito in tempo: se avesse ritardato anche di un solo
minuto avrei
già prenotato un tavolo al Lodge».
«Già, per
fortuna, eh?». Scommetto, invece, che qualcuno
aveva suggerito ad Esme il momento più opportuno per
chiamare.
«Sono
persone davvero educate», annuì mio padre
rispettoso, «e con i loro figli hanno
svolto un lavoro impeccabile».
Lo
guardai sospettosa e lui fece una smorfia.
«Sì…anche con
lui, lo ammetto».
Mi
sforzai di sorridere e gli lanciai un’occhiata riconoscente.
«E a
proposito di questo, Bella». Si alzò dalla sedia e
rimase in piedi di fronte a
me, le braccia incrociate al petto.
Ci siamo, pensai.
Strinsi le labbra.
«Ci ho
riflettuto e…». Sembrava in imbarazzo.
«Bè, non nego che pensi che siate ancora
troppo giovani per compiere questo passo, ma so quanto tu sia testarda
e so
che, molto probabilmente, non cambierai idea con
facilità».
«Esatto»,
confermai io con determinazione.
«E poi -
devo riconoscerlo… Edward è davvero…un
bravo ragazzo». Quella confessione
sembrò costargli un grande sforzo. «Ultimi eventi
a parte, la tua sicurezza gli
sta molto a cuore, è evidente».
Non
risposi. Ripensare agli eventi a
cui
si riferiva Charlie aveva stuzzicato le ferite della mia anima, quelle
che non
sarei mai riuscita a rimarginare nemmeno con il tempo, che avrebbero
fatto per
sempre parte di me.
Chissà
dove si trovava Jacob. Fino a quel momento ero riuscita a non pensarci
troppo
insistentemente, anche grazie all’aiuto di Edward, ma
l’intervento di mio padre
aveva temporaneamente vanificato tutti i miei sforzi.
«Sì».
Tentai comunque di biascicare qualcosa.
«Perciò…ecco,
cercherò di fidarmi di lui e di non fare la parte del padre
padrone, tutto
qua». Fissavamo entrambi il pavimento. «Se sei
davvero convinta di sapere ciò a
cui vai incontro, non ti fermerò».
«Papà…».
I miei occhi traboccavano di lacrime di gratitudine e angoscia.
Chissà quante
altre volte avremmo potuto avere dei momenti come quello prima della
mia… del
mio cambiamento.
Senza
pensarci, mi alzai di scatto dalla sedia e lo abbracciai con tutta la
forza che
avevo in corpo. Lui ricambiò, sorpreso e un po’
impacciato.
«Grazie»,
bofonchiai, asciugandomi le guance con il dorso della mano.
«Anche Edward ne
sarà felice». Ero piacevolmente stupita: non mi
aspettavo tutta quella
comprensione da parte sua. In un certo senso avevamo avuto la sua
approvazione,
come sarebbe accaduto se fossimo vissuti ai tempi della giovinezza di
Edward.
«Non
pensarci, piccola», mormorò, commosso a sua volta,
facendomi una carezza sulla
testa. «A proposito, dov’è?».
Si guardò intorno come se gli fosse sfuggito
qualcosa.
«È andato
a casa sua, credo che anche la sua famiglia pranzi a
quest’ora», risposi,
evasiva; ero diventata davvero abile a mettere insieme scuse come
quella.
«Tornerà oggi pomeriggio».
«Come
dubitarne?», sbuffò Charlie scrollando le spalle.
«Avresti
potuto aspettare che ci fosse anche lui, prima di dirmi quelle cose,
avrebbe
fatto piacere anche a lui sentirle». In realtà
sapevo che non si era perso una
parola. Forse aveva riportato la macchina a casa, era tornato indietro
di corsa
ed ora si nascondeva nelle fronde dietro casa, oppure aveva
già ascoltato i
pensieri di mio padre ancor prima che io avessi messo piede in salotto.
«Credimi,
probabilmente non sarei stato in grado di fare lo stesso discorso se vi
avessi
avuti entrambi davanti agli occhi», confessò lui
facendo una risata secca e nervosa.
«E poi, prima di tutto volevo parlare con te».
Gli
lanciai un’occhiata a metà tra
l’irritato e il divertito, insieme ad un ghigno.
«E tu credi a me, papà: dopo aver ammesso
così apertamente che Edward è
effettivamente un bravo ragazzo, non hai più scuse per
considerarlo un
teppista».
Mi fissò
stralunato. «Quando mai avrei pensato una cosa del
genere?!». Aveva un tono di
voce indignato, ma i suoi occhi rivelavano tutta la sua sorpresa per
essere
stato smascherato.
Ridacchiai
e filai al piano di sopra senza aggiungere altro. Del resto, se
immaginare il
mio fidanzato nei panni di un gangster o con le braccia ricoperte di
tatuaggi
lo divertiva, perché privarlo di quel suo piccolo, maligno
piacere personale?
[…]
E va bene, lo
confesso. La scena
padre-figlia non era in programma, come ha fatto a venire fuori?!
>.<
Forse era inevitabile dopo quello che è successo nel
capitolo precedente…è
uscita spontaneamente! XD Spero che nessuno sia crollato addormentato
durante
la lettura! :D
Wow, non mi aspettavo che ben otto
persone aggiungessero la mia storia nei loro preferiti solo con il
primo
capitolo! O_O Sono felicissima, grazie mille a tutte coloro che lo
hanno fatto!
È anche la prima volta che i favoriti sono più
dei commenti… :D ...a cui ora
vado a rispondere uno per uno!
Crusade: Realistica?
Sul serio? Mi hai illuminato la giornata *-* Trovo
sempre abbastanza complicato rimanere IC in ogni punto della storia,
quindi
sono davvero contentissima che il primo capitolo ti abbia lasciato
questa
impressione! :) Spero che anche il secondo non ti abbia deluso,
e…aspetto il
tuo parere! Un bacio!
aLbICoCCaCiDa: Grazie per i
complimenti, sono proprio
contenta che ti piaccia il mio modo di scrivere! :) Spero che anche il
nuovo
capitolo ti piaccia!
MANDiNA: Grazie
mille, spero che ti piaceranno anche i prossimi capitoli!
Ripeto, ripeto: essendo il mio
primo tentativo su ‘Twilight’ vorrei essere sicura
di essere rimasta fedele al
carattere di ciascun personaggio, in questo caso di Alice (la ADORO!),
per cui…mi
piacerebbe molto che mi lasciaste le vostre impressioni! :)
Grazie per aver letto, ci vediamo
al prossimo capitolo…la cena Cullen-Swan si avvicina!
*risata malvagia*
A presto!
Alessandra
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