Indovina perché ti odio

di GretaHorses
(/viewuser.php?uid=377144)

Disclaimer: Questo testo proprietà del suo autore e degli aventi diritto. La stampa o il salvataggio del testo dà diritto ad un usufrutto personale a scopo di lettura ed esclude ogni forma di sfruttamento commerciale o altri usi improri.


Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Capitolo 1 ***
Capitolo 2: *** Capitolo 2 ***
Capitolo 3: *** Capitolo 3 ***
Capitolo 4: *** Capitolo 4 ***
Capitolo 5: *** Capitolo 5 ***
Capitolo 6: *** Capitolo 6 ***
Capitolo 7: *** Capitolo 7 ***
Capitolo 8: *** Capitolo 8 ***
Capitolo 9: *** Capitolo 9 ***
Capitolo 10: *** Capitolo 10 ***
Capitolo 11: *** Capitolo 11 ***
Capitolo 12: *** Capitolo 12 ***
Capitolo 13: *** Capitolo 13 ***
Capitolo 14: *** Capitolo 14 ***
Capitolo 15: *** Capitolo 15 ***
Capitolo 16: *** Capitolo 16 ***
Capitolo 17: *** Capitolo 17 ***
Capitolo 18: *** Capitolo 18 ***
Capitolo 19: *** Capitolo 19 ***
Capitolo 20: *** Capitolo 20 ***
Capitolo 21: *** Capitolo 21 ***
Capitolo 22: *** Capitolo 22 ***
Capitolo 23: *** Capitolo 23-Epilogo ***



Capitolo 1
*** Capitolo 1 ***


                                                               CAPITOLO 1

 

 

Fisso il libro di scienze aperto nel capitolo sui diversi tipi di cellula, alzo lo sguardo e vedo il professor Galindo che è molto preso dalla spiegazione e, guardando le illustrazioni alla lavagna, penso che disegnare non sia il suo forte. Questa lezione è più noiosa del solito, quindi prendo il mio quaderno da schizzi e abbozzo qualcosa di astratto. Due anni che sono in questa scuola e ho solo un'amica, gli altri non mi vanno a genio salvo qualcuno. Nulla contro la scuola sia chiaro, anzi ho sempre sognato frequentare il liceo artistico! Il mio problema è un altro. Già dalle medie mi sono sempre sentita fuori posto e speravo che con le superiori le cose cambiassero e che incontrassi persone come me, invece nulla. Continuo a guardarmi attorno e sono ancora dell'idea che sia finita nella classe peggiore del mondo. Il mio sguardo si posa su Francesca ossia l'unica persona che mi stia veramente simpatica qui dentro, è intenta a prendere appunti e a seguire la lezione. E' vestita con una felpa oversize rosa, dei leggings neri e delle Converse bianche. Ho legato molto con lei verso la metà dell'anno scorso, questo significa che all'inizio ero proprio un'emarginata sotto tutti gli aspetti. E' molto dolce e buona ed è per questo che va d'accordo con tutti, ma solitamente preferisce passare il tempo con me e per questo le sono ancora infinitamente grata. Accanto a lei è seduto Marco, il suo migliore amico. Non ci parlo molto, mi sembra un bravo ragazzo e forse è uno dei pochi che si salva. Fran è cotta di lui da diverso tempo, ma lui ancora non lo sa. Contrariamente alla sua compagna di banco, lui non ascolta il professore. Sta parlando invece con i ragazzi dei banchi dietro ossia con Massimo detto Maxi, una delle poche persone con cui parlo ogni tanto e con Camilla, una ragazza piuttosto alta dai capelli rossicci che esce spesso con me e Fran. E' più amica di Francesca che mia, non mi è mai andata giù per i suoi comportamenti molto volta gabbana. Cioè un giorno la vedi a ricreazione con me e la mia migliore amica e il giorno dopo col gruppetto dei figli di papà, diciamo che oscilla fra le due compagnie. Sbadiglio e mi rendo conto di non dormire mai abbastanza, fatico ad addormentarmi e quando il sonno arriva faccio quasi esclusivamente incubi. Che ho fatto di male? Siccome non sarebbe la prima volta che mi addormento durante una lezione di Galindo, mi volto dall'altra parte della classe per osservare altri miei compagni dal momento che è l'unica cosa che mi tiene sveglia. La odio. La detesto. Le sputerei su un occhio. Oh scusate! Parlavo di Ludmilla, l'ochetta della classe la quale chiacchiera di cose futili con Nata, la sua 'migliore amica'. E' vestita di tutto punto con persino i calzini firmati e credo che non sopporterò un minuto di più quella mano sempre tenuta in quella posizione con atteggiamento di superiorità. La mia non è gelosia per i suoi milioni, sinceramente non me ne può fregar di meno. E' tutta una questione di principio: se tu mi rispetti, io ti rispetto. Siccome la “principessina di ghiaccio” mi ha sempre trattato peggio di uno straccio, non vedo perché dovrei farle i compiti ed essere la sua serva. Non capisco come possa una ragazza buona come Nata a stare con una come lei, tra l'altro all'inizio del primo anno di liceo si sedeva vicino a me perché non conosceva nessuno e di conseguenza non sapeva con chi parlare ma poi ha conosciuto Ludmilla: ricca sfondata, bella ragazza, compagnia che le assicura una reputazione d'oro, biondissima e a mio parere stupida che più stupida non si può. Parlando di persone stupide dietro le due arpie c'è Andrès, il ragazzo più sciocco e ingenuo della classe. Anche se è un affiliato della servitù di Ludmilla infondo non lo detesto, provo quasi compassione per lui perché, poverino, proprio non ci arriva. “Prof., glielo dico col cuore in mano: farebbe un favore a tutta l'umanità provvista di vista se posasse il gessetto e la smettesse di disegnare. Si rischiano seri danni al bulbo oculare, questa è scienza!”. L'intera aula viene invasa da una risata generale e sì, la battuta pessima arriva proprio dal vicino di banco di Andrès, dal deficiente. Se c'è qualcuno che odio più di Ludmilla in questa classe è proprio lui. E' arrogante, viziato, ignorante e pure troglodita! Mi domando come possa una persona essere così tanto sfaticata perché essere bocciati due volte è proprio da somari e soprattutto ad aver avuto così tante ragazze a soli diciassette anni! Da quando cavernicolo è bello? “Vargas...risparmi le battutine sarcastiche, questo sarebbe un favore all'umanità dotata di udito e questa è scienza.” L'homo stronzus, così lo chiamo quando sfogo tutto l'odio represso nei suoi confronti con Fran, è visibilmente sorpreso dalla risposta del professore ed improvvisamente mi gonfio di piacere perverso nel vederlo in difficoltà. “C'è ben poca originalità nella sua battuta del tutto scopiazzata dalla mia e poi alla sua non ha riso nessuno e alla mia tutta la classe!”. Oh ecco il mezzo sorrisetto che odio, tradotto sarebbe: 'Tanto so già che con questo ho vinto!'. “Non è vero 'carissimo' Vargas, ad esempio la signorina Castillo non ha nemmeno sollevato un angolo della bocca se non erro!”. Mi sento spaesata, ora tutta la classe è girata verso di me e mi sento troppo osservata. Saprei le parole giuste da usare in questo momento, maledetta timidezza! Io lo voglio spegnere, io lo devo spegnere. “Questo perché di certo non mi abbasso ai livelli di un troglodita”. Una risata ancora più rumorosa della precedente scoppia in classe coinvolgendo anche il prof. Galindo, è davvero strano che trovino divertente qualcosa uscito dalla mia bocca. La mia voce praticamente non la sentono mai se non per le interrogazioni, riesco perfino a scorgere Ludmilla ridacchiare di nascosto e la cosa mi mette parecchio a disagio perché tutti ridono della mia battuta tranne io e il diretto interessato che invece continua a lanciarmi frecciate con gli occhi. L'insegnante, dopo essersi ripreso, scruta la classe attentamente e all'improvviso i suoi occhi si riempiono di una strana luce. Ha qualche sua pazza idea e la cosa non mi piace. “Vi devo dire una cosa che interessa a me e ai vostri altri professori e che credo sia giusto ne siate al corrente. Ai consigli di classe discutendo con gli altri colleghi ho potuto constatare che il vostro gruppo-classe non è unico e compatto, ma bensì è diviso in diversi gruppetti che però non si rispettano o quantomeno tollerano perché ogni giorno c'è un litigio o cose simili. A noi rincresce molto questa cosa perché ci teniamo al fatto che veniate a scuola in un ambiente sereno e queste battutine di Vargas e la contro risposta della Castillo ne sono la prova e questa è solo la minima parte delle vostre problematiche. Per cui ora che vi vedo bene sto pensando di farvi fare più spesso dei lavori in coppia oppure in gruppo, sarebbe un modo nuovo e di certo più divertente di esplorare la scienza. Poi se vi traumatizzo così tanto gli occhi vorrà dire che vi arrangerete voi che siete degli artisti!”. Il silenzio è calato fra i banchi, tutti si guardano intorno freneticamente pregando di non essere costretti a lavorare con questo o con quell'altro. “A scelta, mia s'intende, oppure ad estrazione? Volete affidarvi a me o al fato?”. “Sinceramente preferisco ad estrazione, è più fico perché puoi capitare con chiunque!”. Ovviamente è Maxi, tanto lui che problemi ha? Sta simpatico a tutti! “Il problema è questo appunto!”. Lo sapevo: lei deve avere sempre voce in capitolo in qualsiasi cosa, mi riferisco palesemente a Ludmilla. “Oh aspettate! Che significa troglodita?”. Questo logicamente è Andrès che, come al solito, resta sempre a metà discorso. “Ludmi, ma metti caso che scelga lui. Non credi che ci metta apposta in coppia con le persone che non sopportiamo?”. L'uomo di Neanderthal non ha tutti i torti in questo caso, ma al momento sono troppo accecata dal disprezzo verso di lui e dai conati di vomito per il nomignolo che ha dato alla strega per pensare al fatto che per una volta nella mia vita condivido ciò che dice. “Giusto Lyon”. Vomiterò, lo so che vomiterò. Lo stronzo si chiama Leon, LEON, L-E-O-N! Non Lyon! Ma quanto mi danno fastidio quei due e i soprannomi che si danno! Ho sempre sospettato che ci fosse qualcosa fra loro e infatti quest'estate ne ho avuto la conferma con Fran che mi ha raccontato di averli visti insieme nella piscina comunale mentre si limonavano beatamente davanti a tutti. Se prima di quel giorno credevo fosse viscido, in quel momento ne avevo avuto la conferma! Ora teoricamente non stanno più insieme e frequenta invece una tipa di 3^B di nome Lara, ma sono rimasti in buoni rapporti. Anche troppo. Lui sembra che ci provi sempre con Ludmilla, ma ora che ci penso ci prova con tutte. Tranne che con me. Per carità non ci tengo proprio ad avere uno così che mi sfianca, già ne ho avuto una pelle con Diego l'anno scorso. Ammetto che lo avevo un po' illuso mettendogli i cuoricini nei messaggi e uscendoci insieme, ma io volevo solo provare a vedere se con il tempo riuscivo a farmelo piacere. Nulla però sembrava cambiare e quando aveva tentato di baciarmi lo avevo respinto facendolo quasi cadere per terra, a quel punto aveva cominciato ad insultarmi pesantemente dicendomi che ero uno 'stronzetta capricciosa' che usava tutti e quando non poteva trarne più vantaggio li scaricava. In realtà non è per niente così, voglio che il mio primo bacio sia con la persona giusta e che sono sicura di amare tanto più la prima volta che farò l'amore. “Bene allora che estrazione sia”. Mi sono persa qualcosa? Ho sentito che la classe stava discutendo animatamente, ma sono stata troppo assorta nei miei pensieri per seguire. Decido allora di chiedere cosa cavolo è successo nel frattempo al mio compagno di banco. “Oh Broadway, che hanno detto?”. Si gira verso di me e lo vedo alquanto confuso, ora che ci penso è la prima volta che gli rivolgo la parola dall'inizio del mese. “Hanno deciso che per formare le coppie per la prossima ricerca sui vari tipi di cellula e si farà ad estrazione perché hanno paura che Galindo faccia le coppie con gente che non si sopporta fra loro”. “Ah, giusto”. “Senti Violetta, posso chiederti una cosa?”. “Certo”. Gli rivolgo un sorriso, infondo il ragazzo brasiliano non è male. “Cosa ti ha fatto Leon di male per farsi odiare così tanto?”. Il sorriso svanisce così come è apparso, di tutte le cose che poteva domandarmi proprio di Leon doveva chiedermi? “Di preciso non lo so, penso sia perché ha un atteggiamento strafottente e per il suo essere così...come dire...stronzo”. Broadway soffoca una risata e mi guarda sorridendo, credo che forse potrei trovare il mio primo amico maschio nella classe. “Riconosco il fatto che non sia uno stinco di santo ma in fondo è apposto, davvero! Siamo stessa band ed ha veramente talento, penso potrebbe starti simpatico perché suona e canta molto bene. Non eri tu quella che amava la musica e cantare?”. Arrossisco visibilmente. L'avevo detto il primo giorno di prima superiore, ma ero convinta che a nessuno gliene importasse o quantomeno se lo ricordasse. “Sì, canto in un coro e suono principalmente il pianoforte, ma anche la chitarra. Comunque non credo che nonostante tutto mi starebbe simpatico...il tuo amico”. Ridiamo assieme. “Interessante, mi piacerebbe sentirti un giorno e penso anche agli altri componenti della band. Sei forte Castillo”. “Anche tu Nascimento”. Mi volto e vedo Galindo che ha appena finito di fare i bigliettini con i nomi e li sta inserendo in una borsetta di plastica per poi chiamare Camilla a scrivere alla lavagna i nomi delle coppie e Francesca ad estrarre i pezzettini di carta. Il professore agita per bene il sacchetto e dà il via all'operazione. Prima coppia: Broadway e Camilla. Seconda coppia: Francesca e Maxi. Terza coppia: Nata e Marco. Quarta coppia: Federico e Ludmilla. Quinta coppia: Andrès e Braco. Sesta coppia: Tomas e Napo. All'improvviso non capisco più nulla, il cervello mi si scollega all'istante quando vedo la mano di Camilla mentre scrive 'Castillo e Vargas'.

 

 

Sono incazzata, molto. Quando ho realizzato cos'era successo durante l'ora di biologia gli unici sentimenti che si sono fatti strada dentro di me sono l'odio e la rabbia. Oggi non ho nemmeno rivolto la parola a Francesca che ha provato in tutti i modi a parlarmi e a chiedermi che cosa avevo, ma io l'ho sempre evitata così come con il mio vicino di banco. Secondo me in fondo Fran lo sa. Sono alla fermata dell'autobus con le cuffiette con la musica sparata al massimo per eliminare il rumore nella mia testa e mi guardo intorno notando le facce annoiate degli altri studenti. Quanto invidio la mia migliore amica che va sempre a casa assieme a suo fratello maggiore che ha la patente, io devo prendere il bus che arriva sempre in ritardo e nel quale ho il dieci percento di possibilità di trovar posto a sedere. Detesto i bus. A dir la verità detesto molte cose. Guardo il cellulare per vedere l'ora: già cinque minuti di ritardo. Ottimo, direi! Sbuffo e cambio canzone nell'mp3. Finalmente vedo quel catorcio risalente al '15-'18 arrivare e ci salgo trovando, per puro culo, un posto libero. Prima cosa positiva della giornata, in questo momento voglio solo andare a casa e sfogarmi nel mio diario. Fisso le file di case che scorrono guardando fuori dal finestrino e ad un tratto sento una presenza accanto, mi volto e...no, cazzo no! Il deficiente vicino non lo voglio! Mi sta guardando serio e intuisco che vuole dirmi qualcosa allora metto in pausa la musica e tolgo le cuffiette. “Volevo solo dirti che questa settimana non ho tempo per sta ricerca che dobbiamo fare, a dir la verità non ne ho mai. Se la facessi tu da sola e poi mi facessi avere una copia il giorno prima dell'esposizione per me sarebbe l'ideale”. Ma che faccia tosta! Ha il coraggio di sedersi accanto a me e a pretendere che faccia io tutto il lavoro. Col cavolo che glielo faccio, col cavolo! “Oh Vargas! No, il sedile non è occupato. Tranquillo, puoi sederti”. Accenna uno dei suoi sorrisi carichi di sarcasmo, poi torna all'espressione precedente. “Castillo, Castillo, Castillo...penso tu possa immaginare quanto mi costi avvinarmi a te e pure parlarti, ho una reputazione da difendere sai?Pfff...e poi dovremmo pure trovarci fuori da scuola? Non ci penso proprio!”. Ride di gusto e maturo l'idea che potrei macchiarmi la fedina penale per la prima volta da un momento all'altro. “Me ne sbatto della tua reputazione e poi tanto perché tu ne sia al corrente: neanche a me piace lavorare con te. Quindi siamo nella stessa situazione, che facciamo? Te lo dico io che si fa: si decide un giorno a settimana che vada bene ad entrambi così come per il luogo e facciamo questa maledetta ricerca e poi ognuno per la sua strada!”. Mi osserva stupito e poi dice: “Oh Castillo, guarda che scherzavo! Senti: tu non mi piaci e nemmeno io ti piaccio e dobbiamo lavorare per forza insieme. Ti propongo una tregua entro le prossime due settimane ossia il giorno della scadenza del progetto, poi come hai detto tu ognuno per la sua strada. Posso solo il giovedì e te?”. Provo una fitta allo stomaco e non so nemmeno il motivo, mi ha proposto una tregua e non si è ostinato a non voler collaborare eppure sono...amareggiata? Non lo so. “Per me è okay e giovedì va benissimo”. Rimetto gli auricolari e premo play, non ho voglia di sentire altro dalla sua bocca. Dopo un paio di fermate lui deve scendere e mi saluta con la mano, ma io lo ignoro. Sento un sollievo quando lo vedo fuori dalla corriera, non potevo resistere un minuto di più.

 

 

11 gennaio 2014

Caro diario,

oggi è stata una giornata da schifo. Ero anche contenta perché ho chiacchierato per la prima volta col mio vicino di banco e poi il prof. Galindo ha rovinato tutto assegnandomi ad un progetto in coppia con LEON VARGAS! Ti dice niente questo nome? Sai, si è seduto vicino a me in bus chiedendomi come prima cosa se potevo fare il lavoro per lui e ovviamente gli ho risposto di no e poi sono riuscita a fargli cambiare idea e ci siamo messi d'accordo per vederci giovedì. Tu dirai: non sei contenta? Hai fatto ragionare Vargas! No perché non lo sono. Non capisco perché ma sto male, prima ho anche pianto! Ma senza motivo proprio, come quest'estate. Questo pomeriggio non sono riuscita a fare i compiti né a studiare, che mi succede? Mancano solo due giorni a giovedì e devo ancora sapere dove cavolo dobbiamo trovarci per questa fottutissima ricerca che NON VOGLIO FARE. Io lo odio, lo odio con tutta me stessa quel brutto stronzo! Beh, proprio brutto no...ciò non toglie che non lo sopporto. E' così sfrontato e antipatico. E ancora non so dove diamine dobbiamo trovarci! Che faccio? Gli scrivo? Ma aspetta cosa dico...non gli scriverò mai e poi non ho il suo numero e non ho neanche interesse ad averlo. Ora che ci penso i cavernicoli non disponevano di cellulari per cui è improbabile che lui lo abbia ahahahah...no, non fa ridere e lo so. Come la battuta di oggi in classe, perché i miei compagni ridevano? Credo che sia perché infondo tutti lo pensano. Pure Ludmilla, la sua 'adorata' amichetta, rideva di lui! Gli sta bene, così si rende conto con che alla sua 'Ludmi' non gliene importa nulla. Ho sentito dire che con quella Lara non ha una vera relazione ma sono 'solo' scopamici, mi credi se ti dico che mi sono cadute le palle che non ho quando l'ho sentito? Grrr che nervi! Quel ragazzo sarà mai serio?! Non smetterò mai di dire che è la persona che mi ha fatto conoscere L'ODIO alla veneranda età di quindici anni, assieme alla strega s'intende! Ora basta sono troppo incazzata persino per scrivere ancora, raramente mi sono sentita così furente in tutta la mia vita.
A domani,
Violetta


 

Chiudo il diario e lo lancio per terra dall'incazzatura. Prendo in mano il cellulare che avevo appoggiato sul comodino e trovo quattro messaggi di Fran su Whatsapp.

Vilu oggi che avevi? Rispondimi ti prego, sto in pensiero:(
11 gennaio 2014, ore 14.06

Non voglio essere volgare ma...cazzo Violetta rispondimi!!
11 gennaio 2014, ore 14.55

E' per Leon vero? Perché sei capitata in coppia con lui?

11 gennaio 2014, ore 17.11

Vilu posso chiederti una cosa? Non è che ti piace Leon?? D:
11 febbraio 2014, ore 17.58

No, aspetta un secondo...rileggo tipo diecimila volte l'ultimo messaggio. Ma le è andato di volta il cervello? E' forse impazzita? Vedo che è online, allora le scrivo e so che mi risponderà subito. Perfetto, voglio mettere in chiaro un paio di cosette.
Fran ma ti droghi? Pensi che mi potrebbe piacere uno come l'homo stronzus soprattutto dopo quello che è successo con Diego?
11 gennaio 2014, ore 18.22

Non passano neanche trenta secondi che sotto il suo nome appare la scritta 'sta scrivendo...'.

Non lo so sinceramente...sei troppo strana dio mio! Ti arrabbi così tanto solo per una ricerca e poi ogni pretesto è buono per sparlare di lui. Diciamocelo, non detesti nemmeno Ludmilla così tanto! E Ludmilla ti ha fatto qualcosa, mentre Leon non ti ha fatto nulla che io sappia...
11 gennaio 2014, ore 18.24

Oh ma perché si ostina a non capire, porca miseria?!?
E' una questione di principio. Lui è stronzo, antipatico, maleducato, arrogante e in più è amico di Ludmilla Ferro! Peggio di così...
11 gennaio 2014, ore 18.25

Ma che ti importa? Se lo detestassi sul serio non staresti a parlarmi quasi esclusivamente di lui!
11 gennaio 2014, ore 18.25

Basta! Sono infuriata, se questa giornata è stata un disastro ora lo è ancora di più per colpa della mia migliore amica e delle sue stupide insinuazioni!
Fanculo te e le tue insinuazioni di merda. Ciao.

11 gennaio 2014, ore 18.27

Spengo il cellulare e lo rimetto nel posto di prima, ho bisogno di strafogarmi di qualcosa di ipercalorico all'istante! Mi rialzo dal letto e vedo il mio diario a terra con un sacco di foglietti e cose del genere sparpagliati attorno ad esso. Li raccolgo velocemente e mi soffermo a guardare una foto di mamma. Oh mamma, Dio solo sa quanto mi manchi! Anche tu hai odiato una persona così tanto? Anche tu ti sentivi incompresa ed emarginata alla mia età? Metto le cose da parte un secondo e alzo il diario che lanciandolo si è aperto in una vecchia pagina risalente al due ottobre del 2012. Una parte di ciò che avevo scritto quel giorno mi si imprime nel cervello prepotentemente, non ricordavo nemmeno di averla scritta: 'Per ora non sono riuscita a legare con nessuno, sto quasi sempre con una ragazza di nome Nata che anche lei è nella mia situazione. Però in compenso in classe mia c'è un ragazzo bellissimo, si chiama Leon Vargas e ha due anni più di me. E' alto con dei capelli castano chiaro, abbastanza muscoloso e ha gli occhi verde scuro. Peccato che non guarderà mai una sfigata come me, sarebbe troppo bello per essere vero...'. Oh. Mio. Dio. Ma cosa avevo dentro la testa? Lo schifo? A tutto c'è una spiegazione: non sapevo chi fosse veramente. Col tempo ho potuto vedere quanto viscido e stupido sia in realtà e così sono tornata sulla retta via. Questi sono i classici commenti che direbbe qualsiasi ragazzina quattordicenne in preda agli ormoni su uno come Leon. Almeno credo.




ANGOLO DELL'AUTRICE

Ciao a tutti! Questa è la mia prima fanfiction su Violetta, non so nemmeno se continuarla. Premetto che mi sono persa tipo metà della stagione, quindi non linciatemi! D: Spero vivamente che vi piaccia la mia idea e mi scuso per la trama che fa veramente pietà ma dopo essermi scervellata fino allo sfinimento ho pensato: quale miglior trama di un pezzo tratto dal brano? E così è andata! Ho dovuto scervellarmi abbastanza per trovare un titolo decente...non prendetela per pigrizia sia chiaro! * nasconde il sacchetto di patatine dietro il divano * E' un'idea che mi è venuta così, all'improvviso, mentre ero in bus (IO ODIO I BUS CON TUTTA ME STESSA) e guardavo fuori dal finestrino ascoltando la musica, lì sì che si fanno pensieri profondi...ad ogni modo, ho pensato: 'Perché no? Vediamo cosa mi dicono i lettori di EFP e poi valuto se è il caso di continuare e se scrivo bene (uno dei miei più grandi timori)'. Ah e mi scuso anche per la lunghezza del capitolo per chi odiasse i capitoli troppo lunghi e ricchi di storia, volevo farlo finire in principio quando estraggono i nomi ma dopo mi pareva troppo poco. Insomma sappiatemi dire (sempre se vi piace sta sottospecie di storia) se i capitoli vi vanno bene così o li desiderate più lunghi. Ora la smetto di rompervi le palle (PER LE DONNE: che non avete) e vi saluto.*sparisce dietro il divano a mangiare le patatine*

 

Ritorna all'indice


Capitolo 2
*** Capitolo 2 ***


                                                CAPITOLO 2

 

 

Stanotte ho faticato a chiudere occhio, come sempre. Ho ascoltato fino allo sfinimento 'Hurricane' dei Thirty Seconds to Mars e l'ho fatto anche stamattina mentre con l'autobus raggiungevo la scuola. Grazie al cielo sono in una delle prime fermate e trovo quasi sempre posto, il cretino è verso le ultime per cui sta spesso in piedi. Quando l'ho visto salire ho fatto finta di niente e sono sprofondata nel sedile anche perché su quello accanto avevo poggiato la mia cartellina e non volevo che si sedesse vicino a me come ieri. Ora devo solo pensare a scusarmi con Francesca, l'ho trattata davvero male e mi spiace molto. Apro un taschino dello zaino ed estraggo le chiavi dell'armadietto, arriverà da un momento all'altro di sicuro. Inserisco la chiave nel lucchetto e lo apro, mi tolgo il cappello nero e il doppiopetto dello stesso colore e lo appendo al gancetto. Mi volto e vedo la mia migliore amica con le braccia conserte che mi guarda, non mi piace litigare con lei e la cosa è reciproca, riesco a leggerglielo negli occhi. Solitamente non lo farei mai eh? Sono una tipa troppo orgogliosa, però mi fiondo fra le sue braccia pigolando degli 'scusami' ripetuti all'infinito. Subito è rigida, ma dopo pochi secondi si scioglie e mi abbraccia di rimando. “Credimi se ti dico che sono una stupida insensibile e che non avrei dovuto trattarti così male. Sei l'unica vera amica che ho mai avuto...non voglio perderti”. Fran mi fa uno di quei sorrisoni rassicuranti che sembrano dire 'Non preoccuparti ci sono io con te, sempre'. “Tranquilla Vilu, non me l'ero presa così tanto come ho voluto farti credere. Avevo capito che la tua risposta era dovuta al fatto che ieri eri molto nervosa”. Nervosa? Incazzata nera semmai. “Allora è tutto risolto?”. Ride e mi abbraccia ancora, è incredibile quanto io abbia bisogno di Fran in questo momento più che mai. “Però hai un bel caratterino eh? Leon ti fa uscire di testa”. “Dipende per cosa intendi per 'ti fa uscire di testa'”. “Nel senso che non lo sopporti”. “Beh quello sì, pensa te che ieri si è seduto vicino a me in corriera chiedendomi se potessi fare il lavoro al posto suo e poi glielo facessi avere ed io, ovviamente, ho rifiutato. Così ci siamo messi d'accordo per trovarci giovedì, ma non so nemmeno il luogo e l'ora e poi non so...ha detto tante altre sue cazzate, allora ho messo gli auricolari dell'mp3 per non starlo più a sentire”. Lo stomaco continua a rigirarsi su sé stesso al ricordo di quella conversazione e fa male, tanto male. Non capisco cosa di preciso mi faccia stare così da cani, so solo che ho provato una cosa simile solo quest'estate. “Hey...stai bene? Sei molto pallida”. “Sì Fran, sto bene. Ho solo dormito poco”. Mi guarda pietosamente come si fa con un cucciolo che continua ad andare addosso ad una porta di vetro nonostante ci sia andato a sbattere più volte. “Ancora con questa storia? Dillo a tuo padre, Vilu. Non va bene che tu dorma solo una media di tre ore e mezza a notte, non è salutare!”. “Lo so, ma in fondo che gli dico? 'Papà portami all'ospedale perché non dormo'? Non avrebbe senso”. Ora la sua espressione si tramuta e diventa come quella di una madre che ha appena scoperto una nota nel libretto del proprio figlio. “Mai sentito parlare di insonnia? E' una malattia da non prendere alla leggera, può causare danni fisici e psicologici”. “Tanto peggio di così...”. Da dove mi è uscita questa? Ovviamente mi riferivo ai danni psicologici, sono già lesa di mio. Per fortuna Francesca non ha capito ciò che ho detto. “Come scusa?”. “Oh niente, niente!”. “Mmm...”. “E' stato una specie di lapsus, sai quando dici una cosa completamente diversa dal contesto perché magari ne pensavi ad un'altra? Ecco era una cosa del genere”. Fa una faccia maliziosa e mi pizzica la pancia. “Ahia!”. “A chi stavi pensando?”. “A...niente”. “Non ci credo ti conosco troppo bene...pensavi all'homo stronzus vero?”. Mi fa l'occhiolino, a questo punto penso che fosse meglio che le esplicassi tutti i miei problemi psicologici dal primo all'ultimo. “Hey! Guarda che ho io l'esclusiva di chiamarlo così!”. “Okay, okay. Puoi chiamarlo solo tu così contenta? Dai, a me puoi dirlo...pensavi a Leon, ne sono sicura!”. No, no e poi no! Perché mai dovrei pensare anche solo...vedo Heredia in lontananza e dalla disperazione dico: “Pensavo a...Tomas! Sì ecco, pensavo proprio a lui”. La mia migliore amica sgrana gli occhi e si mette le mani davanti alla bocca. “Oh. My. God. Ti piace Tomas!”. Mi guardo attorno in imbarazzo e le do un sberla sul braccio. “Puoi urlare un po' più forte?! Alla fermata non ti hanno sentito!”. “Oh scusami tanto, è solo che sono così contenta che ti piaccia un ragazzo dopo quello che è successo con Diego! Poverina, devi aver sofferto molto...”. Fa il labbruccio e mi dà una pacca sulla spalla. In verità per Diego non ci sono stata male per niente, ma Fran è convinta che quest'estate abbia sofferto per lui quando invece non ho la più pallida idea di quale sia stato il motivo. Mio padre credeva che io avessi avuto un'altra ricaduta per la scomparsa di mamma, ma non è stato nemmeno quello. So solo che mi facevo schifo, mi guardavo allo specchio e mi sentivo un mostro. Cominciata la scuola tutto è magicamente passato, sarà perché avevo Francesca vicina tutti i giorni. Ogni estate lei torna nel suo paese d'origine, l'Italia, per incontrare i suoi parenti e di conseguenza l'ho vista veramente poco durante le vacanze. Questo ha comportato: io, copertina di plaid, barattolo di gelato e film deprimenti, questa è stata la mia compagnia estiva. Il brutto è che sto rivivendo queste sensazioni proprio ora. “Già...”. “E io che pensavo ti piacesse quell'altro!”. Non credo di aver mai fatto un sorriso più sforzato in vita mia. “Non so come una stronzata del genere abbia potuto anche solo passarti per l'anticamera del cervello”. “Sì però ammetti che uno poteva anche arrivare a pensarlo, lo pensa tutta la classe ormai!”. Si porta un mano alla fronte e ripete alla velocità della luce 'stupida, stupida, stupida!'. “Cosa?!?”. “Ehm...non avrei dovuto dirtelo, ma Cami mi ha detto che tutti nel gruppo dei figli di papà credono che a te piaccia...ecco sì, Leon. Compresa Ludmilla”. “Oh merda”. Affondo il viso fra le mani e scuoto il capo, non può essere. “Ma tranquilla Vilu, ho un'idea: dico a Cami che tu mi hai detto che ti piace Tomas, così dopo magari lo dice alla tarantola e così smentiamo la voce”. Alzo di scatto la testa e la guardo allarmata, adesso per colpa di una cazzata viene fuori il finimondo. “No! Ma che vuoi fare? Vuoi che lo sappiano tutti?”. Le reggo il gioco anche se ho veramente paura che si sparga un'altra voce non vera sul mio conto. “Ma scusami: meglio che sappiano la verità che credano una cosa non vera, no?”. Nessuna delle due Dio santo, sono entrambe false! “Va bene, fai così. Piuttosto che credano che vada dietro a Vargas...”. “Vedi? E' meglio così, fidati! Ora sbrighiamoci che sennò arriviamo in ritardo alla lezione di storia dell'arte”. Chiudo l'armadietto e ci incamminiamo verso la nostra aula. Mi sembra di camminare sui carboni ardenti, ho timore per come mi guarderanno i miei compagni di classe e poi fra meno di ventiquattro ore si spargerà la voce che mi piace Tomas Heredia, andiamo bene. Le due arpie avranno detto qualcosa al troglodita? Spero proprio di no, in caso contrario non riuscirei a guardarlo più in faccia per la vergogna e la cosa più strana è che non ho motivo di vergognarmi.

 

 

La lezione di zia Angie è stata piuttosto interessante, stiamo trattando il gotico francese e trovo che sia uno stile artistico divino. Angela è la sorella di mamma ed è sempre stata la mia roccia assieme a papà e nonna Angelica, non so come farei senza di loro. Avevo solo sei anni quando mia madre è morta in un incidente stradale e esattamente l'otto maggio di quest'anno saranno passati dieci anni dalla sua scomparsa, per assurdo proprio il giorno della festa della mamma. Zia è completamente diversa da lei, ha un carattere impulsivo e travolgente e i pomeriggi con lei sono divertimento puro! Da Angie ho ereditato la passione per l'arte, da mamma quella per la musica e da papà...il naso, credo. La domenica la mia famiglia si ritrova spesso a pranzare a casa di nonna Angelica che abita in periferia poco distante dalla zia, mi piace stare con i miei parenti perché mi fanno sentire sicura e protetta. Ci sono momenti in cui mi sento un leone e spaccherei il mondo, invece ce ne sono altri in cui mi sento debole e fragile come una foglia in autunno. Per natura io ho bisogno di sostegno. Un ragazzo per me deve essere prima un amico, voglio sentirmi libera di parlare con lui di tutto e di più senza necessariamente scambiarci effusioni, poi ovviamente le coccole ci stanno ma non sempre. Ecco perché con Diego non ha funzionato: lui voleva stare con me certo, ma sembrava mi desiderasse solo fisicamente e che non gliene importasse di me come persona. Mi risveglio dal turbine dei miei pensieri e mi dirigo con la cartellina sottobraccio verso l'aula di discipline pittoriche, ossia dove disegniamo e sperimentiamo le varie tecniche come gli acquerelli, i carboncini, le tempere e cose così. Entro nella stanza e prendo posto nel mio tavolo nel quale sono già seduti Francesca, Maxi, Camilla e Marco. Dando una rapida occhiata alla classe i gruppetti possono essere individuati subito perché si raggruppano tutti in una tavolata ben precisa. Ci sono tre tavoloni ed, escludendo la mia, in uno ci sono le due arpie, Andrès e il deficiente e nell'altro Broadway, Napo, Tomas e Braco. E i professori vorrebbero unirci? Sarebbe come mescolare l'olio con l'acqua, non ci riusciranno mai. Wow, è da un periodo che ho cominciato a studiare scienze e già si notano i risultati! Mi sento il Dalton dei poveri. All'improvviso il professor Benvenuto meglio conosciuto come Beto chiama il silenzio, devastando nel frattempo metà aula dalla sbadataggine.“Dimenticate tutto ciò che stavate facendo, cancellatelo! Oggi vi propongo un lavoro: prendete un foglio bianco, qualsiasi strumento che sia pure una matita o anche una penna e disegnate qualcosa che esprima ciò che provate!”. Mmm questa cosa mi puzza, sicuramente c'è lo zampino del prof. Galindo. Di solito è lui quello con le idee strane. “Ma come faccio a rappresentare un sentimento che è una cosa astratta?”. Vedo un alquanto confuso Napo e credo che la sua domanda se la siano posta tutti. “E' questo il bello. La rappresentazione di un sentimento in un linguaggio universale, ossia le immagini”. Credo di aver appena avuto l'ispirazione, allora mi infilo le cuffiette nelle orecchie e mi metto subito sotto dimenticando tutto il resto ed isolandomi da tutta la classe che nel frattempo sta questionando. Il tempo passa veloce e la mia mente si svuota quando disegno, ci sono solo io, la musica e la mia mano che scorre nel foglio bianco senza che io le dia indicazioni. Finito di fare la base in matita, mi alzo per andare a prendere gli acquerelli che sono nell'armadio e mi metto a rovistare col profumo delle tempere che mi solletica le narici. Quando mi volto vedo metà classe attorno al mio disegno e posso sentire Beto dire: “Dovete prendere esempio da Violetta, questa sì che è una rappresentazione triste e struggente che sprizza emozioni di tutti i tipi da ogni singolo tratto in matita”. Vedo il prof. alquanto entusiasta e quando raggiungo il mio posto mi dà una pacca sulla spalla facendomi vivissimi complimenti. Ora tutti i miei compagni mi circondano osservando ciò che ho creato, mi volto a destra e vedo lo stronzo che mi fissa torvo. Oh, speriamo che non creda che mi piaccia. Non riesco a decifrare la sua espressione anche perché è la prima volta che lo vedo con un atteggiamento non derisorio, sposta lo sguardo sul mio disegno, dopo su di me e così per altre tre volte. Poi va a sedersi prima degli altri che nel frattempo si trattengono da me lodandomi, per fortuna dopo cinque minuti se ne vanno via tutti. E forse è a quel punto, quando tutta la confusione si è allontanata che osservo bene ciò che ho sotto il naso. C'è una ragazza molto somigliante a me rinchiusa in una stanza piena di specchi, lei urla, piange e continua a sbattere i palmi delle mani contro di essi. Aldilà delle pareti ci sono delle persone indifferenti che non si accorgono della giovane che chiede disperatamente aiuto, solo ora noto una cosa: fra la folla ho disegnato anche un ragazzo. E quel ragazzo assomiglia tremendamente a Leon.


Sono stanchissima, non vedo l'ora di andare a casa e in più sto morendo di freddo. Sono seduta sulla panchina sotto la pensilina nella fermata degli autobus e, manco a dirlo, sto ascoltando i Mars ad un volume illegale. Socchiudo gli occhi, sento che il sonno mi sta intorpidendo ogni cellula del corpo e credo che mi addormenterò da un momento all'altro. La sento ancora, sì proprio quella presenza. Riesco a percepirla ed è troppo vivida per essere solo un sogno. Apro gli occhi e vedo Vargas seduto accanto a me intento a divorare un Kinder Bueno. Metto in pausa la musica e mi levo gli auricolari. “Che vuoi?”. Si volta e sorride in modo sarcastico, questo significa che è lo stronzo di sempre. Non gli hanno riferito nulla. “Ma ciao musona, vedo che sei di buon umore come sempre”. No aspetta, come mi ha chiamato? Musona? Mr. IoSonoErMejoETuNo se vuoi ho un biglietto per Fanculoland, vedi di andarci! “No seriamente: che vuoi?”. Ora mi ride in faccia, ma per lui sono davvero così divertente? “Senti ciccia, sei l'unica persona di classe nostra che prende questo bus e non ho nessuno con chi stare per cui t'attacchi! Poi è vantaggioso sia per me che per te”. Fa un espressione compiaciuta, sinceramente non capisco cosa intende. “Per quale assurdo motivo dovrei trarre vantaggio stando con uno...come te in fermata?”. Ammetto che gli esercizi di autocontrollo che ho seguito su Internet danno i suoi frutti! “Beh io non sto solo come un cane e poi non so se mi hai visto bene: potrebbero premiarmi da un giorno all'altro come 'Miglior Trovatore di Posti in Bus' dell'istituto il che andrebbe quasi tutto a vantaggio tuo”. Non so perché ma scoppio in una risata fragorosa e anche lui si unisce a me. Mi porge l'altro cioccolatino del Kinder Bueno e mi dice: “Ne vuoi un po'?”. “No grazie, non ho fame”. Il mio stomaco che brontola interrompe il silenzio dopo la mia risposta e mi sento sprofondare. Se lui potrebbe essere premiato per i posti in autobus, io potrei ritirare la fascia di 'Miss Figura di Merda' all'istante. “Sicura?”. “Ehm...sì”. “No dai, tienilo!”. Me lo appoggia su una gamba e io glielo ripasso prontamente. “Ti ho detto che non voglio mangiare nulla!”. “Cazzo hanno sentito il tuo stomaco brontolare fino in Uganda, ti prego voglio che lo mangi!”. Ma che nervi Dio mio! Riprendo lo snack, lo apro velocemente dal nervoso e gli do un morsicone. “Ecco, contento?”. “Sì, così va meglio. Detesto le ragazze perfettine e attente alla linea, Ludmilla ad esempio tiene conto su un foglietto quante calorie assume ad ogni pasto per non superare la media consigliata dal nutrizionista per non ingrassare”. “No aspetta, cosa hai detto? Detesti 'Ludmi'?”. Calco l'ultima parola volutamente per stuzzicarlo. “Non lo so, ci sono momenti in cui mi sta simpatica e momenti in cui la prenderei per collo”. Mima il gesto di strozzarsi con gli occhi fuori dalle orbite e rido. Di nuovo. Dovrei smetterla, altrimenti dopo ci fa troppo l'abitudine. “Ma se te la facevi quest'estate in piscina! Certo che sei proprio coerente come poche cose”. “E tu come fai a saperlo?”. Ops...e ora che gli dico? “Le voci girano 'caro' Vargas, più velocemente di quanto credi”. Si aggiusta il colletto del giubbotto con nonchalance e mi guarda in modo imperturbabile. “E allora? Non vedo dove stia il problema. Fisicamente Ludmilla merita molto come ragazza, in costume da bagno poi!”. Io. Lo. Detesto. “Tu ti soffermi su questo? Su come sta una in bikini? Sei ridicolo!”. “Sì perché tu la tartaruga ai ragazzi non la guardi! Noooo!”. Ma quanto coglione è? Ma soprattutto perché gli ho rivolto la parola? Potevo far finta di dormire e basta. “No, credo che l'aspetto fisico conti relativamente. Prediligo la sfera caratteriale...sai com'è, quando non si è frivoli e superficiali funziona così!”. “Quindi mi stai dando indirettamente del frivolo e pure del superficiale?”. “Vedo che sei intuitivo”. Sghignazza e scuote il capo. “Okay lo ammetto con questa hai vinto tu. Ma solo per questa volta eh? Voglio al più presto la rivincita!”. Credo di essermi persa qualcosa. Stavamo discutendo seri e lui lo prende come...un gioco? Al quale ho pure vinto. “Adesso noi ridiamo e scherziamo, ma dobbiamo ancora scegliere il luogo e l'ora dove trovarci domani per la ricerca di scienze”. Si mette le mani suoi capelli con finta disperazione dimenandosi come un pazzo e trattengo l'ennesima risata per non farlo gasare più di quanto lo è già. “Oh!!! La ricerca di scienze!! Cavolini di Bruxelles, se quello scimmione del mio compagno non mi dice ora e luogo sono FI-NI-TA. Non voglio rovinare la mia media!”. Ora capisco, quel deficiente mi sta imitando! Io cerco anche di condurre un discorso serio e civile e lui pensa a prendermi per il culo! Dopo il siparietto per niente divertente si arresta di scatto e con un sorriso da ebete dice: “Domani alle quattro a casa mia, prendere o lasciare!”. “E ti costava tanto dire 'Vieni domani alle quattro a casa mia' invece di prendermi in giro?”. “Con la presa in giro e più divertente e poi tu ti incazzi come una bestia, quindi mi riempi di soddisfazione! Non mi deludi mai, Castillo”. Roteo gli occhi e fisso la strada davanti a me. “Bene grazie dell'informazione, vorrà dire che non me la prenderò più in futuro!”. “No, no, no! Aspetta che dici? Resta pure così, mi piace quando ti arrabbi!”. Lo guardo scocciata e cerco di riproporre di nuovo l'argomento ricerca ossia l'unica cosa che mi trattiene ancora a parlare con questo pagliaccio. “Dove abiti?”. “Eh, ti piacerebbe saperlo?”. “Riesci ad essere serio per più di un secondo?! Mi fai uscire di testa quando fai così, veramente!”. Batte le mani e annuisce. “Questa scenata mi piaceva parecchio, complimenti ragazzina. Comunque non sto qua a spiegarti dove abito, fai prima a darmi il tuo numero così te lo dico nel pomeriggio”. “Faresti prima a dirmelo qua in realtà, però non voglio infierire”. “La verità è che...non mi ricordo le vie, ma dettagli!”. Questa volta non riesco a trattenere una risata e, mentre scrivo il mio numero di cellulare su un pezzettino di carta, dico: “Ma quanto stupido sei?”. “Me lo dice sempre anche mia mamma”. Rido ancora e gli porgo il bigliettino facendolo però cadere a terra...dovevo immaginarlo no? Sono 'Miss Figura di Merda'! Ci chiniamo contemporaneamente per raccoglierlo e quasi gli do una testata, alzo lo sguardo e incontro il suo. “Toh...tieni”. Come era scritto nel diario ha gli occhi verde scuro, ma non avevo mai notato che l'iride è contornata di nero. Deglutisco a fatica e mi risiedo goffamente. Dopo essersi riseduto anche lui, guardandosi le scarpe mi chiede: “Che indirizzo andrai a fare il prossimo anno?”*. Accavallo le gambe e rispondo: “Arti figurative, te?”. Si volta verso di me e sorride. “Anche io sceglierò arti figurative molto probabilmente, anche se sono indeciso con grafica. Logicamente arti figurative mi piacerebbe di più perché c'è molta più libertà ed è più creativo, ma non tutti siamo bravi come te”. Mi sento...lusingata? Leon Vargas mi ha appena fatto un complimento, il primo e forse anche l'ultimo. “Ma cosa dici! Ho visto il ritratto di Billie Joe Armstrong che hai fatto ed è praticamente identico”. Ora fissa la strada. “Era bello il disegno che hai fatto oggi, sul serio. Posso chiederti una cosa?”. “Certo”. All'improvviso arriva il bus ed una fiumana di studenti si fionda appresso le porte di esso compresi noi due, vengo spinta e gettata all'indietro. Lo sapevo, sono negata a salire negli autobus. Faccio le scalette e mi ritrovo in piedi come immaginavo, mi guardo attorno e vedo Vargas che mi fa segno col braccio di andare da lui. Mi faccio spazio fra la gente e lo raggiungo. Mi ha tenuto il posto. Mi siedo imbarazzata e non dico nulla, a parlare per primo è lui: “Che ti avevo detto?”. Gli rivolgo un sorrisetto alquanto a disagio. “Avevi ragione, meriti proprio quel premio”. Il silenzio fra noi cala di nuovo ed è in completo contrasto con la caciara che fanno gli altri ragazzi tutt'intorno. Non ho voglia di ascoltare la musica nell'mp3, non oggi. Per cui cerco di tirare fuori un argomento di conversazione. “Che volevi dirmi prima?”. Continua a fissare fuori dal finestrino. “Niente, non ha importanza”. “Dai su, puoi dirmelo”. “Mi sono dimenticato”. “Ma se prima hai detto che non aveva importanza”. “Non ha importanza perché me lo sono dimenticato”. “Ah”. Aspetto un po' per vedere se gli viene in mente, ma non pronuncia nemmeno un verso. Mi metto le cuffiette e guardo dalla parte opposta. Dopo cinque minuti finalmente si gira, ma mi chiede solamente se posso alzarmi per farlo passare. Prenota la fermata, mi saluta e scende dal bus lasciandomi con mille interrogativi.

 

 

                                                                                                                                                         12 gennaio 2014
Caro diario,

oggi non sono più arrabbiata, piuttosto mi sento strana. Da una parte mi sento felice e da un'altra triste. Ora ho finito di fare i compiti, ma prima di cominciarli guardavo morbosamente il cellulare. Forse dovrei smetterla, non mi scriverà mai. Soprattutto dopo come si è comportato in bus...sembrava fosse arrabbiato con me. Ho fatto qualcosa di male? Ho ripensato mille volte a ciò che ho detto in quella conversazione in fermata e non mi pare di aver detto nulla di offensivo! Lo so che ti sembrerà strano sentirlo dire da me, ma lo preferisco stronzo a questo punto...almeno mi parla. Ho sempre pensato che sia un ragazzo freddo e apatico, ma del resto lo sono anche io. Ho sempre detto di odiarlo e difatti ancora non lo sopporto, ma ci sono state delle volte in cui mi sembrava vulnerabile, come se da un momento all'altro sarebbe crollato a pezzi. A volte provo quasi pena per lui, ma poi lo vedo alle feste studentesche a provarci con tutte le ragazze carine sotto tiro e a ubriacarsi e allora ricomincio a detestarlo di nuovo. Mi hanno sempre detto che ho un sesto senso a capire le persone, infatti metto subito in guardia chi voglio bene quando si fida troppo di una persona che non mi va a genio. Con Vargas è diverso. Ho cominciato ad odiarlo nel momento stesso in cui ho visto che non riuscivo a comprenderlo. Lui nasconde bene ciò che prova sotto una maschera di menefreghismo, anche se di questo passo credo che quello non sia un modo per camuffare i suoi sentimenti ma che invece lui sia veramente così. Ora mi preparo per la cena perché in questo momento sono sotto le coperte con il pigiama addosso.
A domani,

Violetta


Mi alzo dal letto e mi metto i vestiti che indossavo prima, prendo in mano il telefono per guardare l'ora e trovo un messaggio di un numero che non ho salvato in rubrica.
Ciao Castillo, sono Leon. Per raggiungere casa mia devi scendere alla mia fermata, vai nella prima via a destra e prosegui. In quella via ci sono un sacco di stradine che sbucato da ogni parte per cui mentre cammini fa attenzione ai cartelli con i nomi delle vie. Io abito in via Isaac Newton, quando la vedi imboccala e là ci dovrebbe essere la mia casa. E' il numero 22. Penso di averti detto tutte le indicazioni corrette, se hai qualche dubbio chiedimi a scuola. A domani.

Sento come se lo stomaco mi formicolasse e mi do una sberla sulla pancia come se potesse in qualche modo fermare questa sensazione. Che faccio? Rispondo o non rispondo? Rispondo.
Penso di aver capito come arrivarci, grazie per le indicazioni. A domani.
Poso il cellulare sulla scrivania e scendo le scale praticamente saltellando. “Hey Vilu che cos'hai? Sembri...contenta?”. Mio padre mi viene incontro e mi abbraccia. “Ah niente, Francesca mi ha detto che domani si entra un'ora dopo”. “E sei contenta per così poco?”. “Embè logico, vado a fare colazione al bar vicino alla scuola con Francesca”. Mi sorride e mi dice di accomodarmi a tavola che la cena è pronta. Non so se riuscirò a toccare del cibo, il formicolio allo stomaco non è ancora passato.


 

*N.d.R nel liceo artistico i primi due anni sono comuni e si prova un po' di tutto dei vari indirizzi, i quali vanno scelti in seconda per i tre anni successivi. Gli indirizzi sono: grafica, arti figurative (scultura, pittura e robe del genere), design, audiovisivo e multimediale (grafica al computer), architettura e scenografia. Io sto facendo il secondo anno del liceo artistico e ho scelto grafica per il triennio, anche se non ve ne frega nulla di sicuro sappiatelo.


ANGOLO DELL'AUTRICE
Ohilà!! Sono tornata e spero di esservi mancata almeno un pochino! Penso abbiate notato che ho inserito i Thirty Seconds to Mars ossia i miei amori (ebbene sì, sono un Echelon ossia una loro fan). *faccia da maniaca* Tornando al capitolo: spero vivamente che vi sia piaciuto e mi ha fatto molto piacere ricevere tutte queste recensioni positive. Ah, tanto per dire: non ho chiesto io alla bea98zb di farmi pubblicità su TwittaH, l'ho scoperto tipo il giorno dopo a scuola perché siamo compagne di classe ahahah:) Questo è stato un aggiornamento RECORD perché solitamente non scrivo mai un capitolo in due giorni, ma siccome vi voglio bene e voglio viziarvi, ma soprattutto ero ispirata dal momento che avevo già un idea chiara su come impostare il capitolo, eccolo qua. Che dire di più? Ditemi se avete qualche critica costruttiva da farmi sulla grammatica o anche solo un consiglio perché sono convinta che si possa sempre migliorare! Ciao baldi ggggiovini, alla prossima!

 

 

Ritorna all'indice


Capitolo 3
*** Capitolo 3 ***


                                                                            CAPITOLO 3

 

 

Prima di aprire la porta della mia aula immetto una bella dose di ossigeno nei miei polmoni, so che mi servirà. Oggi è il giorno. Quando faccio ingresso nella classe molti si girano a guardarmi...non mi è mai piaciuto quando fanno così! Francesca mi saluta con la mano ed io contraccambio, poi mi vado a sedere accanto a Broadway che mi rivolge un sorriso smagliante. “Mi spiace abbandonarti così presto, proprio ora che abbiamo cominciato a legare!”. Ma di che cavolo sta parlando? Non mi sforzo nemmeno a riflettere, alle otto di mattina il ragionamento più grande che riesco a formulare è 'Devo fare la pipì'. “Eh?”. “Oggi il prof. Casal deve cambiare i banchi come ogni mese, è già passato un mese? Incredibile, come passa veloce il tempo! Ah, giusto. Ci sono state le vacanze di Natale in mezzo ecco perché non siamo stati così tanto vicini”. Troppe parole in una sola frase, sono rimasta a 'deve cambiare i banchi come ogni mese'. Lo so, la mattina sono rintronata. “Di già? A che ora abbiamo Casal?”. Mi guarda confuso. “Adesso, alla prima ora. Oh ma Violetta, sei proprio addormentata stamattina!”. “Che ci posso fare? Faccio fatica ad addormentarmi, ma la mattina dormirei. Quando sarò grande darò il via al movimento a favore dello sterminio delle sveglie”. Faccio la faccia volutamente imbronciata e lui scoppia a ridere di gusto. Broadway potrebbe essere un ottimo amico. Nel frattempo entra il professor Casal e ci alziamo tutti in piedi, manco a dirlo è l'unico insegnante che pretende che ci alziamo al suo ingresso. E' peggio di un dittatore e in più è vicepreside, il che incrementa dismisura il suo abuso di potere e lo rende ancora più sadico di quello che già è. “Su, veloci! In fondo alla classe”. Prendiamo i nostri zaini e ci posizioniamo dove ci ha ordinato, mi volto a sinistra e vedo Leon che mi sta guardando, abbasso lo sguardo. Il professore tira fuori dal cassettino la scatola con i bigliettini con i nostri nomi e le dà una bella scossa. “Bene, bene. In prima fila davanti alla cattedra...signor Vargas. Su si sieda, rapido! E...”. Prego tutte le divinità esistenti per non essere io. “Heredia! Si sbrighi anche lei a prender posto! Nei posti dietro...Castillo e...”. Pericolo scampato, grazie al cielo! Chi mi potrebbe capitare peggio del troglodita? “...Ferro, accomodatevi ai vostri banchi signorine!”. Guardo l'ora: sono le otto e dieci del mattino. Troppe cose nel giro di pochi minuti. Ora ho la tarantola come vicina di banco e Vargas davanti. Sarà un mese molto lungo.


Siamo alla terza ora e non ho osato aprir bocca. Ludmilla anziché seguire le lezioni si fa la manicure e delle selfie con il suo iPhone 5S, non a caso lo mette bene in mostra quando mi volto verso di lei per farmi rosicare. In realtà quella gallina non capisce che non me ne può fregar di meno. Ho scoperto Tomas un paio di volte girato verso di me e mi sono sentita a disagio, forse gli hanno detto la bugia di ieri. L'unico che invece non si volta mai indietro è Leon che sembra non calcolare di striscio nessuno, in più oggi devo andare a casa sua ma se è così indisponente ci metto due secondi ad alzare i tacchi ed andarmene. E' uno spilungone, mi tocca spostarmi per vedere in faccia i professori alla cattedra. L'immagine della sua nuca non è molto interessante. Io, dal mio canto, per non girarmi i pollici mi limito a disegnare nell'album da schizzi. “Violet, disegni dei teschi? Che cosa di cattivo gusto!”. La guardo in cagnesco, ma quanto oca è? Con quella voce stridula poi! “Si dà il caso che questi 'teschi', come li chiami tu, siano il simbolo della Trinity, ossia uno dei tanti simboli di una band”. Inarca un sopracciglio abbassando gli angoli delle labbra in segno di disgusto. “E chi sarebbero questi scusa?”. “I Thirty Seconds to Mars, ma non credo che una come te possa conoscerli”. “Con questo che intendi dire?”. Vedo Vargas girarsi di scatto con gli occhi sgranati. “Tu sei una Echelon?”. “Sì...”. “Che figata! Anche io lo sono! Più o meno cerco una Echelon ragazza da sempre, quando ce l'ho in classe. Non mi dire che ascolti anche i My Chemical Romance e i Linkin Park!”. Gli sorrido spontaneamente. “Logico! Mi piacciono anche i Green Day, i Muse, i Paramore e gli You Me At Six”. Si sbatte una mano sulla fronte e continua a scuotere il capo. “Ma li ascolto anche io tutti quelli che hai detto! No okay, sono troppo agitato”. Ridiamo insieme davanti ad una Ludmilla alquanto spaesata, poi lui mi chiede: “Quindi tutte le volte che stavi ascoltando musica con le cuffiette ascoltavi tutto sto ben di Dio?”. “Sì, suppongo che anche per te fosse la stessa cosa”. “Castillo, mi hai migliorato la giornata!”. Si gira dandomi di nuovo le spalle, non posso credere a quanto è accaduto! Leon ascolta il mio stesso genere di musica, ma soprattutto è l'unico Echelon maschio che io conosca. Ne cerco uno da più o meno tutta la vita. Continuo lo schizzo sorridendo inconsciamente e lo ammetto: anche lui mi ha migliorato la giornata.


La mattinata non si è svolta male come credevo, con la strega ho avuto solo tre discussioni e penso sia un grande passo avanti. Ripeto: a mio parere è tutto merito delle lezioni di autocontrollo. Esco da scuola e mi incammino verso la fermata, ci ho messo più del previsto dal momento che le signore in segreteria sono una più rincoglionita dell'altra. Per fortuna ora è tutto risolto ed ho consegnato il modulo d'iscrizione al prossimo anno scolastico con all'interno anche la scelta dell'indirizzo. Passeggio lungo un sentiero fatto di ghiaia incorniciato da alberi di diversi tipi, un po' più a destra scorre un fiumiciattolo e mi rilasso completamente, mi piace stare in mezzo alla natura. Il tutto però viene interrotto dalla visione della pensilina in lontananza e mi rendo conto che in realtà questa è solo un'oasi artificiale in mezzo ad una grande città inquinata. Arrivo in fermata e, notando la panchina occupata, mi siedo su un murettino poco distante. Rovisto nello zaino in cerca delle cuffiette quando improvvisamente il sole fioco invernale viene oscurato da qualcosa o o meglio da qualcuno. Alzo lo sguardo e vedo Vargas con le braccia conserte davanti a me. “Sei in ritardo”. Aggrotto la fronte inclinando la testa da un lato. “Ero andata in segreteria per consegnare i moduli d'iscrizione e poi non è che se per un paio di giorni prendiamo la corriera insieme significa che dobbiamo farlo sempre”. Continuo a frugare fra i libri solo per evitare il suo sguardo, sono convinta che ieri io abbia fatto una figura da ebete. “Allora se la metti così niente sorpresa!”. Si siede accanto a me e fa le spallucce. “Quale sorpresa?”. “Mi hai detto che non vuoi più prendere l'autobus con me per cui non te lo dico”. Con lui è come trattare con un bambino di tre anni che prende tutto alla lettera. “Dai Vargas, sai che scherzo. Allora la sorpresa?”. Ride, estrae da una tasca esterna della sua tracolla un Kinder Bueno e me lo porge. “Ancora con questo Kinder Bueno?”. “Senti, è il mio snack preferito se non l'hai capito. Sono stato bravo a non mangiartene anche solo uno, comunque ne ho mangiato già uno a ricreazione e, siccome avevo abbastanza soldi per prenderne due, ne ho comprato un altro anche per te. Comunque se non lo vuoi fa niente eh? Posso pur sempre tenermelo”. Lo prendo in mano e lo inserisco dentro alla mia cartella. “Grazie...come mai questa idea?”. Fissa un punto indefinito dietro di me. “Ero alle macchinette con Andrès e niente, vedendo il Kinder Bueno mi è venuta in mente la conversazione di ieri e di conseguenza te”. Arrossisco e sento come se il cuore mi uscisse dalla gabbia toracica. Non ne vado fiera. Mi sto emozionando per un cioccolatino, non ha senso. “Beh...grazie ancora, non so che dire. Mi sento in debito”. Mi sorride, ma non per prendermi in giro come fa sempre. Questo è uno di quei sorrisi genuini, quelli che mettono in mostra i suoi denti perfettamente bianchi. “Ma no, non sentirti in debito! Per una merendina poi”. Cala il silenzio, proprio come ieri. Perché mi vergogno a parlargli? Una cosa è certa: se era una settimana fa eravamo qua a scannarci di sicuro. Eppure non ci stiamo insultando, non lo ignoro come prima e non mi viene più da soprannominarlo homo stronzus. Non voglio che accada come ieri che quando siamo saliti in bus non mi ha più rivolto la parola. E' come se sentissi un bisogno, non so di che cosa. So solo che c'è e che quando lui non proferisce parola lo sento a livelli esasperati. “Come va con Lara?”. No aspetta, che razza di domanda è? Perché dico le cose e poi penso? Perché? “Con Lara? Bah, né bene né male. Diciamo che va”. Eccole che arrivano, sì eccole. Le fitte allo stomaco sono tornate, dolorose più di prima. “E lei...”. Deglutisco. “...ti piace?”. Alza la testa che finora ha avuto chinata e fa di nuovo le spallucce. Comincio a detestare quel movimento. “Non lo so nemmeno io”. “Dovresti saperlo se una ti piace”. Fa un'espressione impassibile e dice: “In verità di ragazze me ne sono piaciute molte, ma nessuna mi ha mai colpito particolarmente”. Respiro profondamente e cerco di tornare la Violetta di sempre, solo in questo modo posso sapere. “Perché te le fai se non ti piacciono veramente? Non ha senso! Anche se una ha un carattere di merda a te non importa perché tanto, in costume sta da favola! Le persone normali non le caghi minimamente e preferisci andare con delle troie solo perché non potresti ferirle, loro sono come te. Benvenuto nel mondo reale, Vargas! Loro non ti colpiranno mai perché sono fatte tutte con lo stampino e nonostante tu faccia il bravo in giro dicendo che le tipe con cui sei stato non ti siano mai interessate, fai una bruttissima figura! Perché contrariamente a ciò che dici, continui a scegliere quel genere di ragazze...quelle come Ludmilla!”. Ho detto questo discorso tutto d'un fiato e mi rendo conto solo ora di aver gridato e di aver attirato l'attenzione di tutti i presenti. Lui mi guarda con gli occhi smeraldo spalancati e non riesce a formulare nulla. Caro Vargas, nemmeno io mi capacito di ciò che ho appena detto. “Oddio scusami, scusami! Non volevo dire queste cose, sono una stupida. Lascia stare, non so come mi siamo uscite queste brutte parole, ti prego perdonami. Non voglio che tu sia arrabbiato con me”. Proprio oggi poi che devo andare a casa sua, sono davvero un'imbecille. Si ricompone e, dopo aver dato una rapida occhiata attorno, risponde: “Tranquilla non è successo nulla. E' evidente che tu sia nervosa per qualche altro motivo e te la sia presa con me perché ero l'unico che avevi sotto tiro. Probabilmente queste cose le pensi, può darsi anche di no. Fatto sta che hai urlato e ti capisco, capita pure a me di prendermela con qualcuno che non c'entra nulla”. Il bus arriva e saliamo insieme, mi tiene il posto ma non parliamo. Si ripropone lo stesso copione di ieri. La cosa che più mi turba però è il fatto che, anche se gli ho dato ragione sul fatto di essere nervosa, quelle cose le penso davvero.


“Come? Le valigie? Sì, le ho preparate stasera. Mi spiace molto stare via per così tanto tempo, l'anno prossimo sei obbligata a venire con me a Roma”. Mi sarebbe certamente mancata, ma non ci potevo far nulla. “Tranquilla, starò bene di sicuro”. Mi sforzai di non far sembrare la mia voce tesa, per fortuna Fran non poteva vedere la mia espressione in quel preciso istante. Siano lodati i cellulari. “La sai l'ultima, Vilu?”. “Ehm...no?”. “Avevi ragione riguardo a Leon Vargas, quello di classe nostra. Sta con la tarantola a quanto pare, li ho visti mentre si limonavano in piscina”. Sgranai gli occhi, mi si mozzò il fiato e potevo sentire chiaramente il mio cuore non emettere alcun battito. “Hey Vilu, tutto apposto? Ci sei?”. Inspirai profondamente. “Sì, è solo che mi sono appena ricordata che devo fare una cosa importante. Ti richiamo domattina prima che tu prenda l'aereo, okay?”. “Okay, ci sentiamo domani”. Riuscivo ad accettare tutto, ad accettare tutte. Lei no. Mi aveva umiliata davanti a tutti gratuitamente durante l'anno scolastico e non ero in grado di immaginare lui e lei insieme. Lo sospettavo da tempo, ma era un'ipotesi vaga. In verità speravo con tutta me stessa che ciò che pensavo non fosse vero. Mi alzai dal letto e mi diressi verso lo specchio, fu a quel punto che mi resi conto dell'orrore che avevo davanti. Riflessa c'era una ragazzina castana con i capelli raccolti in uno chignonne disordinato, sotto gli occhi aveva delle leggere occhiaie ed indossava una t-shirt sgualcita nera di una band anni '80 e dei jeans strappati. Iniziai a battere forte le mani contro lo specchio come se servisse a scacciare quel brutto essere. Non se ne andava, allora mi accasciai a terra in un angolo della stanza con le lacrime che mi rigavano il volto e dei crampi che mi stavano torturando violentemente lo stomaco. Con tutte, ma lei no.

 

 

Rinvengo da questo flashback tremendo, ora mi sono chiare un paio di cose. Sono seduta in autobus mentre mi sto dirigendo verso la casa di Vargas, immagino già il disagio che proverò davanti alla sua grande piscina e al suo piano bar. Potrebbe anche avere la sauna ora che ci penso. Quest'estate sono stata male per colpa di lui e Ludmilla insieme? Quindi ero davvero stupida fino a pochi mesi fa. Prenoto la fermata, mi alzo dal sedile e scendo da quell'odioso catorcio. Estraggo il cellulare dalla tasca del giubbotto e rileggo per bene il messaggio di Leon, vedo una via subito a destra e la imbocco. Faccio attenzione alle piccole stradine che sbucano da ogni dove, che strano. In questo posto ci sono solo case popolari, dove sono le ville? Improvvisamente vedo la scritta 'Via I. Newton' e mi arresto, sono quasi arrivata. Svolto in quella vietta e vedo un sacco di appartamenti, controllo ogni numero civico finché non vedo il ventidue e scorro l'indice sinistro lungo la lista dei campanelli. Quando vedo quello con affiancati i nomi 'Lucia Gomez e Leon Vargas', premo il bottone e mi risponde una donna: “Chi è?”. “Sono una compagna di classe di Leon”. “Oh certo! Entra, entra cara! Abitiamo al quarto piano”. Apro il cancello e il portone principale, chiudo il tutto e chiamo l'ascensore. Non credevo che lui potesse vivere in un posto del genere, nulla in contrario contro le case popolari eh? Solo che da uno come lui che sfoggia sempre il suo Galaxy e si veste di marca mi sarei aspettata qualcosa di diverso. Salgo sull'elevatore e premo sul pulsante con il numero quattro, continuo ad accarezzarmi nervosamente la coda di cavallo. L'ascensore si apre ed esco, mi guardo intorno e vedo una porta aperta con una donna bassa dai capelli lunghi castano chiaro che mi sorride e mi fa gesto di entrare. “Tu sei Violetta, giusto? Leon mi ha parlato di te oggi! Prego, accomodati”. Faccio il mio ingresso nell'appartamento e noto che è un ambiente veramente grazioso, le tende e le varie decorazioni sono in tinte calde come per conferire calore a tutto il resto della casa. Su un comò alla mia destra ci sono cornici di diverse dimensioni con delle foto di Leon da bambino, mentre di fronte c'è il salotto con un divanetto piccolo così come il televisore. “Leon! Sbrigati, hai ospiti! Non fare il maleducato”. Si volta verso di me e sorride. “Scusalo sai, ma è da sempre un ritardatario. Sono felice di vedere finalmente una compagna di mio figlio, non ha mai portato nemmeno un amico qui dentro”. La signora si dirige in cucina, la quale si raggiunge attraverso un'arcata a sinistra. Sento dei passi provenire dal corridoio accanto al soggiorno, oh mio Dio sta arrivando. Mi continuo a torturare i capelli con una mano, sembra che più passino i giorni e più mi agito quando devo vederlo. Che cosa assurda. Si è cambiato rispetto ad oggi, adesso indossa una camicia a quadri blu e dei jeans stretti neri. Lo saluto con la mano e lui fa altrettanto. “Ciao Castillo”. “Ciao Vargas”. Silenzio, ancora. Roteo gli occhi in tutte le direzioni e mi formicola lo stomaco come ieri sera. “Se vuoi andiamo in camera mia a fare il lavoro”. “Sì, va bene...”. Varchiamo una porta e ci incamminiamo lungo il corridoio, arrivati in fondo entriamo in una piccola stanzetta dalle pareti blu tinta con varie sfumature del medesimo colore. “Prego, siediti dove vuoi”. Mi accomodo sopra il letto e continuo a guardarmi attorno in preda al disagio, lui invece chiude la porta e si siede sulla sedia della scrivania. Si allunga verso il comodino ed afferra il suo giubbotto, rovista in una tasca ed estrae un pacchetto di sigarette. Con il suo solito modo di fare indifferente la accende ed appoggia il posacenere sulla sua gamba. “Allora hai qualche idea?”. “Non ancora, in questi giorni non ho avuto nemmeno il tempo di respirare”. All'ultima parola lancio una rapida occhiata alla sigaretta volutamente e lui, intuendo ciò a cui mi riferisoo, pensa bene di spegnerla. Si mette a braccia conserte e dice: “Io avevo pensato di fare tre modellini: uno sulla cellula procariote e gli altri due su quella eucariote vegetale e animale. Collegheremo tutti gli organuli del citoplasma con del fil di ferro e magari renderemo il citosol con della spugna, poi per colorare le varie componenti useremo le tempere o gli acrilici. Finito il lavoro manuale ci prepareremo sul capitolo. Cosa ne pensi?”. Sorrido visibilmente colpita, non avrei mai pensato che Vargas potesse avere un'idea così geniale. “Mi piace molto! Però oggi senza materiale che facciamo?”. Scrolla le spalle. “Faremo qualche bozzetto su quello che dovrà essere il progetto e magari faremo qualche schema per facilitare lo studio, no?”. “Sì, va più che bene...ma dopo per fare il resto del lavoro come ci organizziamo?”. Assume un'espressione divertita. “Ci troveremo un'altra volta, no? Certo che per avere la media dell'otto ci arrivi meno di me”. No, un'altra volta no. Già ho fatto uno sforzo sovrumano per venire fin qui, ora mi tocca pure rincontrarlo di nuovo fuori da scuola. “Facciamo la settimana prossima”. “Per me va bene. Luogo?”. Faccio una faccia incerta. “Casa mia?”. Annuisce col capo e si alza dalla sedia per prendere da una mensola il quaderno e il libro di scienze suppongo. Si siede accanto a me ed avverto ancora quella strana, piacevole sensazione allo stomaco. E' come se fossi leggerissima. Solo ora sento che profuma di tabacco e vaniglia, mi volto e lo vedo concentrato a leggere i suoi appunti. Tiene le labbra all'indentro e quando fa così gli si formano delle fossette carinissime sulle guance, quando alza lo sguardo verso di me mi sento come se fossi stata scoperta a fare chissà quale reato ed improvvisamente le mie All Star nere diventano l'oggetto più interessante del mondo. Ritorna immerso nella lettura di chissà quali concetti scientifici ed io, non so perché, gli chiedo: “Come mai non fai venire nessuno a casa tua?”. Si disincanta dal quaderno e mi rivolge un'espressione fredda come il ghiaccio. “Ha importanza?”. “No, era solo per sapere”. Passo in rassegna ogni centimetro della camera e forse ho capito il motivo. “Non vuoi che vedano che abiti in un appartamento, giusto? Leon Vargas non deve permettersi cose da persone normali, lui deve essere all'altezza del gruppo dei figli di papà”. Fissa il parquet e mi risponde senza neanche guardarmi: “Quando prendi un bel voto che fai la volta dopo?”. Assumo una faccia confusa. “Mi impegno per migliorare o quanto meno eguagliare il voto”. “E questo perché...”. “...mio papà si aspetta una determinata media da me”. “Funziona così anche con me, ho sempre frequentato un particolare gruppo di persone. Questa compagnia ha soldi e si può permettere tutto, io no. Però la gente si aspetta questo da me ed io cerco di essere quantomeno simile a loro. Ecco perché non ho mai invitato nessuno a casa mia, ho sempre mentito loro riguardo la mia condizione economica. Loro non sanno niente di me”. Abbasso lo sguardo. “E perché io sì?”. Ci mette un po' prima di rispondere. “Tu sei una tipa pacifica, non parli. Probabilmente ho voluto che venissi a casa mia anche perché sono stufo di mentire a tutti”. Mi faccio coraggio e lo fisso negli occhi. “Tuo padre dov'è?”. Riesco a leggere un velo di rancore nel suo volto. “Mio padre non c'è mai stato, se n'è andato via quando io ero ancora un neonato. Quindi fin dall'inizio siamo sempre stati solo io e mamma. Ora lui è un imprenditore e mi manda dei soldi per gli alimenti una volta al mese, mia mamma li spende per la scuola e cose del genere e i rimanenti li dà a me. So che è da stupidi, ma io li uso per acquistare quelle poche cose di marca che mi posso permettere. Per lui questo è il suo contributo, non si è mai posto il problema di incontrarmi e vedere come stiamo.” Lo guardo tristemente e gli accarezzo il braccio. “E tua mamma cosa dice?”. “Mia mamma? Lei lo odia e non ha tutti i torti. Anche io lo odio. Delle volte mi sento...un merda. Per come la tratto e anche per come tratto alcune ragazze perché mi rendo conto di comportarmi come mio padre o come tutti gli uomini che hanno l'hanno fatta soffrire da sempre. Ad otto anni rischiavo quasi di finire in un centro d'adozione perché mia madre era stata giudicata 'mentalmente instabile' per la crescita di un figlio, lei infatti soffriva di depressione. Assumeva molti farmaci ed io mi sentivo impotente di fronte a tutto ciò, poi ero piccolo quindi capivo fino ad un certo punto. Ha comunque sempre cercato di migliorarsi nonostante tutto, ma la peggiore ricaduta l'ha avuta un paio d'anni fa. Avevo quindici anni anni e capivo fin troppo bene, quando tornavo a casa la trovavo stesa sul pavimento implorandomi di andarle a prendere gli antidepressivi e mi arrabbiavo perché non volevo che si riducesse ancora così, non di nuovo. Mi sentivo un tossico ad andare a prenderle sempre quelle fottute medicine di nascosto, tante volte mi alzavo nel cuore della notte per andare in una farmacia di turno per comprargliele. Volevo solo non tornare mai a casa dopo scuola, rimanere sempre fuori. Quando tornavo avevo la garanzia di trovare il soggiorno devastato e mia mamma isterica in crisi di astinenza. La mia vita era un disastro, per cui tanto valeva ubriacarmi e farmele tutte. A nessuno importava realmente di me per cui non ci sarebbero state male, tanto dopo una settimana ne avevano già un altro. L'unica persona che mi voleva bene si stava uccidendo e non riuscivo a sopportarlo. Alla fine ne è venuta fuori...per me. Ha capito che non era sano per lei vivere in quel modo, ma lo ha fatto soprattutto per non rendermi di nuovo la vita un inferno. In quest'ultimo anno ho notato dei significativi miglioramenti ed ora segue ancora la terapia andando in un centro di riabilitazione due volte a settimana. Mi basta questo per essere felice”. Non so come faccia a non versare neanche una lacrima dopo un discorso come questo, solo ora mi rendo conto di avere la mano premuta contro la sua. “E tu? Parli sempre di tuo padre...dov'è tua madre?”. Lui è forte, io no. Scoppio in un pianto liberatorio, nessuno sa di lei a parte Francesca. “Lei è morta quando avevo sei anni in un incidente stradale e, anche se sono passati quasi dieci anni, nessuno ha ancora superato del tutto la sua perdita. La casa sembra vuota da quando non c'è più...non ho più cantato per cinque anni. Quando era in vita io cantavo e suonavo esclusivamente con lei ed è come se si sia portata via tutta la mia voglia di vivere e di fare ciò che mi piace. Papà non si è più risposato ed ha avuto solo una fidanzata, Jade, che ha mollato diversi anni fa. Mi sono chiusa in me stessa per colmare il vuoto che avevo dentro e per placare il rumore nella mia testa ed è stato proprio quando ho riscoperto la musica che ho ricominciato di nuovo a vivere e ad...andare avanti, ecco...scusami”. I singhiozzi invadono la stanza, ho il viso schiacciato fra i palmi e tremo come una foglia. Come ho potuto anche solo pensare che sarei stata in grado di raccontare il mio passato? Improvvisamente sento delle braccia calde avvolgermi ed una mano accarezzarmi i capelli, mi stringe a sé e sento il mio corpo schiacciato contro il suo. Mi prende il viso delicatamente, mi asciuga le lacrime con il pollice e mi dice: “Tranquilla, è tutto passato ora. Non devi più preoccuparti di nulla. E' evidente che io e te non siamo simpatici alla vita”. Mi riabbraccia questa volta quasi stritolandomi, mi sento così sicura e protetta quando sono insieme a lui. “Siccome sabato è il patrono della città e le scuola sono chiuse, perché domani non vieni ad una festa studentesca? Puoi portare anche la tua amica e poi io sarò sicuramente là, dai che ci divertiamo”. Mi stacco da lui e scuoto il capo. “No, no e poi no! Ci sono già andata una volta e mi è bastata per tutta la vita”. Mi sorride e mi prende la mano. “Perché sei così asociale, Violetta? Vieni, dai! Magari quella festa faceva schifo e sono il primo a dire che ce ne sono state con della musica pessima e cose del genere, ma ho guardato il volantino che mi hanno dato a riguardo e il dj è veramente bravo. Poi se stai con me ti posso aiutare a rimorchiare qualche ragazzo, ho diverse conoscenze”. Mi ha chiamata per nome, non riesco a crederci. “Grazie dell'invito, ma non mi interessa...rimorchiare”. Ride anche se non capisco cosa ci sia di divertente in questa frase. “Vorrà dire che ci divertiremo allora. Dai vieni, non voglio che tu stia a casa da sola il venerdì sera!”. Lo guardo rassegnata. “E va bene ci verrò, ma porto anche Francesca”. Abbassa lo sguardo sulle nostre mani intrecciate e toglie prontamente la sua. “Bene allora, alziamoci che è il caso di mettersi sotto con il progetto di scienze”. Sorrido e gli rispondo: “Sì, mi sa che è il caso”. Ci sediamo accanto alla scrivania e ci mettiamo a lavorare. Ed anche se sto facendo una cosa noiosissima mi sembra di essere come una bambina alle giostre per la prima volta.

                                                                                                                                                         13 gennaio 2014
Caro diario,

oggi è stata una giornata bellissima. All'inizio sembrava aver tutte le premesse per finir male, invece è andato tutto benissimo. Al ritorno dalla casa di Leon ho mangiato il Kinder Bueno che mi ha regalato oggi in fermata, sembrava fosse più buono del solito. Ho scoperto varie cose su di lui che non aveva mai raccontato a nessuno e mi sento lusingata per questo, pure io gli ho raccontato del mio passato e di mamma. Lui è più forte di me e non ha versato neanche una lacrima, mentre io mi sono messa a piangere come una bimba. Però mi abbracciata e tutti i problemi e le preoccupazioni sono svanite a contatto con il suo corpo caldo e con le narici immerse nel suo profumo. Domani andrò ad una festa studentesca con Francesca, le ho già chiesto e mi ha detto che può venire. Ci sarà anche lui per cui voglio essere bella, almeno per una sera. Non capisco come mai improvvisamente mi importi così tanto, fino a ieri non potevo sopportarlo. Ora quando sto con lui mi sembra come se volassi senza ali perché quel formicolio allo stomaco mi fa sentire di una leggerezza assurda. Sono così confusa, da un giorno all'altro mi si sballati i sentimenti e tutte le certezze si sono cancellate. Non capisco più ciò che provo.

A domani,
Violetta

 

 

Metto il diario all'interno del comodino, non so perché quando scrivo in esso mi metto sempre il pigiama e mi fiondo sotto le coperte. Mi alzo dal letto e prendo in mano i vestiti che indossavo questo pomeriggio, hanno qualcosa di diverso. Li avvicino al naso ed inspiro profondamente. Tabacco e vaniglia.

 

 

ANGOLO DELL'AUTRICE

Ciao a tutti! Questa volta, lo ammetto a malincuore, non è stato un aggiornamento record, ma tenete conto che il giorno dopo la pubblicazione del secondo capitolo sono andata in gita quindi non conta. * cancella il giorno dal calendario * Da venerdì in poi ho sempre scritto per cui eccomi qua con questo nuovo spumeggiante capitolo! Okay, placo gli entusiasmi. Spero che vi sia piaciuto leggerlo e che vogliate continuare a seguire questa storia, sono molto felice delle recensioni che ho ricevuto e non posso far altro che ringraziarvi per l'appoggio che mi date ma soprattutto per credere in questa fanfiction. Piccolissimissimissimo spoiler: nel prossimo capitolo ne vedrete delle belle! Per cui stay tuned ;)
PS i cantanti che ho menzionato nella parte in cui Leon e Violetta scoprono di avere gli stessi gusti sono tutti quelli che ascolto io, whoopsie!

 

Ritorna all'indice


Capitolo 4
*** Capitolo 4 ***


                                                                   CAPITOLO 4

 

 

Lo spogliatoio è un cinguettio continuo e le mie compagne di classe sono attive ed in fermento, io invece sembro un'ameba più che altro. Fra pochi minuti ci sarà la lezione di motoria e mi sento una cretina ad aver usato tutte le giustificazioni che la prof. Saenz ci aveva dato a disposizione, ce ne aveva concesse quattro per tutto l'anno scolastico ed io da fottutissima genia le ho sprecate le prime quattro lezioni. Ora mi tocca far ginnastica anche con la bronchite. Mi infilo gli shorts neri e una maglietta bianca dei My Chem con su scritto 'Welcome to the Black Parade', raccolgo i capelli in una coda di cavallo e mi metto le scarpe. La mia migliore amica è lenta come l'anno della fame, ma mi tocca aspettarla per forza altrimenti si incazza. “Allora Fran hai finito sì o no?”. “Eccomi sono pronta...da quand'è che hai fretta di far motoria?”. Assume un'espressione maliziosa. “Da quando la Saenz mi ha linciato per aver usato tutte le giustificazioni all'inizio dell'anno...su muoviti!”. La spingo fuori dalla porta e ci dirigiamo in palestra. Siamo arrivate pure in anticipo, difatti vedo i miei compagni già preparati che chiacchierano in gruppetti. Mi domando da sempre: perché i maschi si cambiano in trenta secondi? Intanto mi intrattengo con Francesca. “Allora per stasera tutto confermato?”. “Certo che sì, sono contenta che tu voglia venire ad una studentesca finalmente! Ci sono sempre voluta andare ma tu: 'No, guardiamoci un film a casa mia piuttosto'!”. “Ti dirò la verità, non mi attira neanche ora l'idea di andare a quel genere di feste. Però sai com'è...ogni tanto bisogna provare nuove esperienze, no?”. Mi guarda poco convinta. “Chi ti ha convinto?”. “Nessuno”. “Seriamente: chi ti ha convinto a venire?”. “Ma non può essere venuta a me l'idea di andare ad una studentesca?”. “Ti conosco troppo bene e so che non lo faresti mai. Allora dimmi...chi cazzo è che ti ha invitato?”. E' irritata e lo capisco dal fatto che ha appena detto una parolaccia, di solito lei non le dice mai. Siamo gli antipodi: lei è tutta dolce e femminile ed io impreco come uno scaricatore di porto, ci bilanciamo però. Io dico e penso parolacce come due persone! “Vargas”. Nel suo viso si estende un sorriso da un orecchio all'altro. “Sapevo che c'era qualcosa sotto, ne ero sicura! E dimmi come te l'ha chiesto?”. I suoi occhi ora sono a forma di cuoricino e chissà quali filmini mentali si sta facendo. “Mi ha detto: 'Vuoi venire alla studentesca di venerdì?'. Cosa ti aspettavi? Che me lo chiedesse con un mazzo di rose rosse ed una serenata?”. Alza le mani in segno di resa. “Ah, per quello che ne so io...”. Nel frattempo arriva Camilla visibilmente di buon umore ad unirsi al nostro discorso. “Hey ragazze di che parlavate?”. A rispondere è Francesca: “Ciao Cami! Niente, stavamo parlando della festa di stasera al Damn Night. Tu ci sarai?”. “Certo mi accompagnerà Maxi e forse verrà anche Marco! Ehm...Vilu?”. Fa una faccia divertita. “Ehm...Cami?”. “Non per dire ma...”. Si avvicina al mio orecchio. “...Leon ti sta fissando il culo da quando sei arrivata”. Sbarro gli occhi e mi volto verso di lui, effettivamente sta guardando verso di me ma non mi pare stia guardando il mio...culo. Mi saluta con la mano e sorride ed io faccio lo stesso. “Da quant'è che siete così amici?”. Mi domanda Camilla perplessa e Fran assume un'espressione del tipo 'Questa me la spieghi'. “Da mai, perché non lo siamo”. Scoppiano a ridere ed iniziano a bisbigliare l'una nell'orecchio dell'altra, mi sento a disagio. “Si può sapere di cosa cavolo state parlando?”. Francesca ride ancora e dice: “Stiamo contando tutte le volte che Vargas ti guarda il didietro e ne abbiamo contate già quattro!”. “Ora basta, mi avete stufato. Me ne vado”. “No Vilu! Aspetta!”. Non importa se la mia migliore amica mi sta implorando di tornare indietro, procedo senza voltarmi verso una panchina accanto alla cattedra e mi ci siedo. Accavallo le gambe e mi guardo attorno, sono tutti intenti a chiacchierare e da quel poco che riesco a sentire da ogni conversazione capisco che quasi tutti parlano della festa di stasera. Leon invece è intento a darsi spallate e spintoni con Andrès sotto gli sguardi sufficienti di Ludmilla e Nata. Ad un certo punto se ne va dal suo gruppetto, non venire verso di me ti prego. Non ora, le altre mi sfotteranno il triplo! Beh potrebbe anche darsi che stia andando da...no cazzo, sta venendo qui! Mi tocco freneticamente la coda e fingo di non notarlo guardando dalla parte opposta. “Ciao musona, bella maglia”. Si siede accanto a me e, sono stufa di ripeterlo, comincia a formicolarmi lo stomaco. “Grazie Vargas”. “Alla fine stasera vieni?”. “Sì ci vengo, ma non per rimorchiare sia chiaro!”. Scrolla le spalle. “Come vuoi te, a me basta che ti diverti. Anche se in fondo rimorchiare è il bello delle feste”. Abbassa la voce rendendola roca dicendo l'ultima frase e dei brividi si rincorrono lungo la mia schiena. “Ehm...credo che divertirmi con Francesca sarà la mia priorità stasera...”. Si sistema il ciuffo con una mano e mi guarda negli occhi. “E se io ti chiedessi di ballare?”. Sento il viso avvamparmi e con un tono fievole rispondo: “Dipende da come mi gira”. Sghignazza e mi rivolge un sorrisetto sarcastico. “Sei proprio impossibile Castillo! Beh, vedremo se mi concederai l'onore di ballare con te, allora. Starò col pensiero fino a stasera”. Intanto fa il suo ingresso la professoressa Saenz in palestra, lui mi dà una pacca sulla spalla e si alza in piedi incamminandosi verso Andrès. Non posso fare a meno di non notarlo: anche lui ha un bel sedere.

 

 

Oggi papà è uscito da lavoro prima e mi è venuto a prendere a scuola a sorpresa, a dir la verità mi è dispiaciuto non tornare a casa come al solito...non per l'autobus ovviamente. La mia stanza al momento è sottosopra perché non ho niente di carino da mettere per stasera, l'unico vestito che ho trovato risale a tre anni fa. Me lo aveva regalato nonna Angelica per Natale, ma non lo indosserò mai. E' in tulle. Rosa. Con le maniche a sbuffo. Mi metterei addosso un sacco della spazzatura piuttosto di quella 'cosa' che sembra uscita da un cartone della Disney. Per fortuna Fran mi ha promesso di portarmi un abito a detta sua 'FA-VO-LO-SO', ma non so davvero cosa aspettarmi. Mi sono già fatta la doccia e piastrata i capelli, per il trucco aspetto la mia migliore amica perché ha espressamente detto di volermi sistemare lei per bene. Quando fa così ho paura che mi conci in chissà quale modo...e poi io non so essere sensuale! Solitamente non vado mai oltre all'eyeliner e la matita nera, ma quelle volte che lo faccio mi sembra di essere un battona dell'est. Sento il cellulare vibrare sopra il comodino, controllo e mi è arrivato un messaggio su Whatsapp.
Senti un po' musona: ti offro un drink se tu mi concedi un ballo;)
14 gennaio 2014, ore 18.54
Sorrido inconsciamente, ma non voglio ancora concedermi. Devo fare la difficile.
Mmm...la proposta è molto allettante...ma per ora è no. Devi guadagnartela la mia compagnia ahahah
14 gennaio 2014, ore 18.56
La scritta 'sta scrivendo...' compare poco dopo il mio invio.
Pff va bene...cosa deve fare un bel giovane uomo per ballare con una ragazza -.-”
14 gennaio 2014, ore 18.57
Dimentichi anche modesto ahah:')
14 gennaio 2014, ore 18.58
Non mi provocare, bimba! Ci vediamo più tardi al Damn Night:)
14 gennaio 2014, ore 18.58
Okay a dopo:)
14 gennaio 2014, ore 18.59
“A chi stai scrivendo?”. Mi volto di scatto come se mi avessero colta in flagrante, è arrivata Francesca. “Niente, è solo una mia compagna di coro”. Mi conosce troppo bene, infatti la sua faccia è alquanto perplessa. Sorprendentemente dice: “Ah okay...il vestito è nella borsa celeste, provalo e vedi se ti sta bene”. “Deve starmi bene per forza, altrimenti l'unica alternativa è quello”. Indico 'l'uovo di Pasqua' posato sopra il letto e soffoca una risata, ma torna subito seria. “Prima di provarlo però voglio vedere come sei vestita te”. Le rivolgo un sorriso smagliante e lei si sbottona lentamente il cappotto beige come per creare suspense, poi se lo leva di colpo gettandolo a terra. E' ufficiale: ho la migliore amica più gnocca del mondo! Indossa un vestito lungo appena sopra le ginocchia color porpora con delle spalline abbastanza larghe, il quale si restringe in vita con un enorme fiocco argentato. Ha i capelli raccolti in un curato chignonne, l'ombretto dello stesso colore della cinta e delle scarpe con poco tacco. Mi sento uno sgorbio a confronto. “Wow Fran, sei fantastica! Come farà Marco a non notarti stasera?”. Guarda in basso imbarazzata, anche io la conosco bene e so che questo è il suo intento. “Sì spera Vilu, si spera...ora vai a provarti il vestito che voglio vedere come stai!”. “Come vuoi, ma non ti assicuro nulla”. Entro nel bagnetto adiacente alla mia camera con la borsa azzurra in mano, la apro e vedo un vestito nero privo di spalline con ricami dorati all'altezza del seno che mi arriverà circa a metà coscia. Proprio quello che temevo, sembrerò una puttanella. Me lo infilo attenta a non far danni e chiudo la zip. Improvvisamente sento freddo alle gambe e alle braccia, mi sfrego le mani contro gli arti e mi guardo allo specchio. Oh mio Dio. Sembro una di quelle tope che mettono sui volantini dei sexy shop! Non mi piace...per niente. Torno nella mia stanza e trovo Fran seduta sul letto mentre mi aspetta, si volta e spalanca la bocca. “Ma...sei meravigliosa! Cavoli sei una tettona, Vilu! E poi hai un fisico da modella, perché lo nascondi sotto quelle maglie grandi quattro taglie in più?”. “Ad essere sincera mi sento troppo...nuda?”. Scoppia in una fragorosa risata e mi abbraccia. “Ma cosa dici mai! Sei bellissima così, perché non provi ad essere più femminile ogni tanto?”. Assumo un'espressione scettica. “Perché non mi sento a mio agio”. “Beh, ti ci sentirai col tempo. Mamma quante conquiste farai stasera! Ed ora bando alle ciance, andiamo in bagno che ti trucco!”. Più si avvicina l'ora della festa e più sono agitata. Forse ha ragione Francesca, dovrei imparare ad essere più donna e meno maschiaccio. Avrei di certo più possibilità di far conquiste che con le t-shirt oversize che metto di solito, chissà cosa si prova a piacere ai ragazzi. Ora che ci penso non mi interessa far colpo su tutti i presenti, ma solo su una persona.

 

 

La scritta blu 'Damn Night' risalta nel buio della notte. Sono le nove di sera e la festa è cominciata da circa un quarto d'ora, indosso il mio solito doppiopetto sopra al vestito e procedo a braccetto con Fran. Fuori dall'entrata è già pieno di gente, forse troppa per una come me. Arrivate davanti alla porta la musica è già assordante e mi blocco. “Che fai Vilu?”. Mi viene da vomitare. “Non ce la posso fare...la musica è troppo alta, c'è molta gente...”. Mi dà un pizzicotto sul braccio. “Ahia! Ma sei pirla?”. “No, ormai siamo arrivate e non torniamo indietro! Possibile che con te non si possa fare qualcosa di diverso?”. “Ma io...”. “Ma io un corno,Violetta! Andiamo!”. Mi spinge dentro alla discoteca e quasi inciampo. Diamo le giacche ad un addetto e ci addentriamo di più nell'edificio. Ma questa è musica? A me sembra solo computer. Mi volto verso Francesca e sorrido, sembra una bambina dentro ad un negozio di giocattoli. “Ti piace?”. “Moltissimo! Non vedo l'ora di buttarmi in pista!”. Si guarda freneticamente attorno. “Cerchi Marco?”. “Sì...ma tranquilla, sto con te questa sera”. “Se vuoi andare da lui vacci, io troverò qualcuno con cui stare”. “Veramente? Sei sicura?”. “Certo, va e divertiti! Troviamoci in questo posto fra mezz'oretta”. “Sicura, sicura?”. “Certo vai!”. Mi abbraccia pigolando e sparisce fra la folla. Scruto l'ambiente circostante e decido di dirigermi verso il piano bar, mi siedo su uno sgabello sistemandomi bene il vestito per non stropicciarlo ed accavallo le gambe. “Desidera signorina?”, mi chiede il barman. “Due mojito, grazie”. La voce che ho appena sentito è familiare, mi giro e vedo Vargas che estrae una banconota da dieci e la appoggia sul bancone, poi si siede sullo sgabello accanto al mio. “Non serviva che mi offrissi da bere”. Mi fa un sorriso a trentadue denti. “Buonasera anche a te, musona. Sto bene grazie per avermelo chiesto...no, tranquilla non ringraziarmi”. “Ma? Okay Vargas, buonasera e grazie per avermi offerto da bere”. Nel frattempo arrivano i drink e lui si mette a sorseggiare il suo mojito. “Ora devi per forza ballare con me”. Faccio una faccia sorpresa. “Ma? Come?”. “Ti ho offerto un drink, bimba. Dovrò pur guadagnarci qualcosa, no?”. Non so perché, scoppio a in una risata e anche lui fa lo stesso, non sono abituata a bere alcolici e probabilmente si vede dal fatto che con mezzo mojito ridacchio per stronzate. “Bel vestito, veramente”. Mi squadra da cima a fondo e potete immaginare benissimo il mio disagio in questo momento. “Grazie, anche tu sei vestito bene”. Indossa dei jeans blu scuro ed una camicia bianca abbastanza sbottonata con le maniche arrotolate fino ai gomiti, mentre maneggia il bicchiere noto per la prima volta che nelle braccia si intravedono alcune vene. Proprio come ai modelli, quelli ai quali ho sbavato dietro più o meno da tutta la vita. Poi il mio sguardo si posa sulle mani perfette, da pianista e Dio solo sa cosa vorrei mi facessero...che cazzo sto pensando? Ritorno in me e mi rendo conto di aver finito tutto il drink, sarà per quello che faccio pensieri così strani. “Balliamo?”. Mi guarda stupito, anche lui ha finito di bere. “Sei intraprendente eh? Dai, andiamo!”. Ci alziamo e ci dirigiamo al centro della pista, siamo l'uno di fronte all'altro. Il dj fa partire 'Animal' di Conor Maynard e arrossisco, ho sempre pensato che quella canzone ispirasse sesso in una maniera assurda. Proprio adesso dovevano farla partire? Inizio ad ancheggiare perché non so che movimenti fare, il panico si impossessa di me. “Hey bimba non è così che si balla...”. Mi prende per i fianchi e mi attira a sé, il mio petto contro il suo. “...è così”. Sgrano gli occhi, il cuore mi martella alla velocità della luce e posso sentire il sangue che defluisce in tutto il corpo. Mi guida con le mani, quelle mani, e balliamo assieme. Mai avrei pensato che un giorno sarei stata ad una studentesca a strusciarmi col ragazzo che mi piace da ben due anni. Ho ammesso che mi piace? Sì, è la verità. Gli vado dietro dalla prima volta che l'ho visto, da quando il mio sguardo si è incrociato con quei bellissimi occhi verdi. Tutto questo mi sembra impossibile, mi sembra di essere sulle nuvole. Mi afferra la mano e mi fa fare una gira volta e poi mi riattira a sé, poggio la testa nell'incavo del suo collo e chiudo gli occhi. Tabacco e vaniglia. E' lui a muovermi tenendomi stretta a sé, io non sto facendo assolutamente nulla. Sono come una bambola di pezza fra le sue braccia, non riesco ad opporre resistenza a ciò che fa perché mi sciolgo letteralmente. Tolgo la testa dalla sua spalla e mi ritrovo a pochi centimetri di distanza dal suo viso. Anziché guardarlo negli occhi, fisso insistentemente le sue labbra e deglutisco a fatica. La canzone è finita, mi stacco a malavoglia e guardo l'ora. E' passata più di mezz'ora, Francesca sarà già là! “Violetta, dove vai?”. Lo guardo rassegnata. “Devo andare da Francesca e sono già in ritardo, ma ci vediamo dopo okay?”. Mi rivolge uno dei suoi sorrisi irresistibili. “Ci conto eh?”. Gli faccio il pollice all'insù con la mano destra e mi dirigo verso il luogo dove ci siamo date appuntamento all'inizio della serata. Correre su questi trampoli è praticamente impossibile, alla fine arrivo col fiatone e trovo Francesca in compagnia di Maxi, Camilla e Marco. “Ciao ragazzi!”. Tutti mi salutano all'unisono e chiedo alla mia migliore amica: “Come procede la serata?”. “Benissimo Vilu! Ci siamo divertiti un sacco a ballare come scemi, tutti ci guardavano male ma non ci importava di nulla! E poi...dovessi vedere Maxi come saltava con 'Sorry for Party Rockin''!”. Tutti scoppiano a ridere compresa io. Marco mi chiede: “E tu Violetta? Con chi sei stata nel frattempo?”. Arrossisco e mi sudano le mani, odio mentire a loro perché sono simpatici in fondo. “Ho incontrato un gruppo di ragazzi e ragazze del liceo linguistico davvero simpatici”. Camilla è positivamente stupita. “Però Vilu, alle feste ti trasformi eh? A scuola tutta timida e qua fai conoscenze di tutti i tipi. Devo prendere lezioni di rimorchio da te!”. “No, frena un secondo! Io non ho rimorchiato proprio nessuno!”. Ridiamo ancora tutti insieme e dentro di me nasce la convinzione che loro potrebbero essere la mia prima vera compagnia. “Allora Violetta, vieni a a scatenarti con noi?”. Maxi mi fa l'occhiolino e gli sorrido di rimando. Tutto ad un tratto inizia a girarmi la testa e sento delle fitte lancinanti allo stomaco, quello che vedo non può essere reale. Nella pista riesco a intravedere Leon mentre balla con una ragazza nello stesso modo in cui ballava con me, respiro affannosamente e tirò su il naso. “ Vilu stai bene?”, mi chiede Fran. “Sì...sto bene, mi sono appena ricordata che devo dire una cosa ai ragazzi conosciuti poco fa”. Rapidamente mi volto e mi allontano. “Violetta, aspetta!”. Questa è Camilla, ma la ignoro. Mi intrufolo fra la muraglia di gente per far perdere loro ogni mia traccia e procedo a falcate verso il piano bar. Stupida. Bambina. Illusa. Non valgo nulla. Mi odio per aver anche solo pensato di poter avere una possibilità con lui, sono solo una delle tante con cui ha ballato. Non è successo niente fra di noi, ma per me è stato già tanto. Mi si annebbia la vista per le lacrime e potrei urlare dal dolore che sto provando adesso all'addome. Stremata, mi siedo su uno sgabello. Rovisto nel mio borsellino: ho un venticinque pesos. Bene, dovrebbero bastarmi per questa sera. Praticamente sbatto il denaro nel bancone e il barman di prima mi chiede: “Cosa vuole che le prepari signorina?”. “Tequila”. L'uomo è perplesso. “E' un po' forte come bevanda, quanti anni ha?”. Lo guardo sprezzante e scocciata. “Che importanza ha? Io le do i soldi e lei mi serve da bere! Fine della storia”. Faccio scivolare le banconote verso il barista che tira fuori il resto dalla cassa. “No, non ne voglio solamente una. Ne voglio per tutti i venticinque pesos che le ho dato”. “Signorina, è proprio sicura che...”. “Mi dia quella merda e basta! Che cazzo gliene frega, faccia il suo lavoro!”. Mi serve riluttante il primo bicchiere e lo bevo tutto su un colpo, proprio quello che mi serve. Voglio rovinarmi per una sera, voglio bombardare il mio fegato e vedere la realtà distorta...almeno mi aiuterà a dimenticare per un po'. Afferro con foga la seconda tequila e me la scolo rapidamente, sento la gola andarmi a fuoco e come se il cervello premesse per uscire dalla scatola cranica. Hanno alzato la musica per caso? Tutti i rumori forti sono amplificati e le voci distanti. Allungo il braccio per prendere un altro bicchiere e rapidamente ingerisco il contenuto, ora ho sonno. Non voglio però addormentarmi in un bar come i vecchi ubriaconi d'osteria, mi massaggio la fronte e vedo l'ultima tequila davanti a me. Con la poca forza che mi rimane la bevo fino all'ultima goccia, è come se mi avessero sfregato della carta vetrata contro l'esofago. Ora mi gira la testa e mi sento disorientata, mi alzo dallo sgabello e, anche se vacillo, mi reggo ancora in piedi per fortuna. “Ciao Violetta, anche tu qua alla festa?”. Mi volto e fra il turbinio di luci e colori riesco a distinguere appena il viso di Tomas. “Ciao Tomas! Sì come vedi sono qua...non sapevo saresti venuto anche te”. Mi sorride beatamente e mi prende per mano. “Ti va di ballare?”. No che non mi va, sono ciucca! “Certo”. Mi conduce al centro della pista ed iniziamo a ballare, tutto quel movimento mi stordisce ma non mi importa. Mi attira a sé e posso sentire le sue mani stringersi sul mio sedere, in una situazione normale gli mollerei un ceffone ma ora come ora non oppongo resistenza dal momento che non sono in grado. Intreccio le braccia attorno al suo collo e continuiamo così, finché non si avvicina con la bocca al mio e comincia a baciarlo. Inclino la testa all'indietro per lasciarlo fare, non so cosa mi stia passando per l'anticamera del cervello. “Che cazzo stai facendo?”. Questa frase rimbomba all'interno della discoteca o meglio all'interno delle mie orecchie e mi stacco da Tomas. Fra la confusione riesco a delineare la figura irata di Vargas con i pugni serrati. “Dici a me?”, risponde l'altro. “Sì dico proprio a te, verme che non sei altro! Ti piace approfittarne delle ragazze ubriache eh? Ti piace?”. Spinge lo spagnolo per terra con violenza e così facendo attira l'attenzione di tutti su noi tre. “Leon che fai? Sei impazzito?”. Si volta di scatto verso di me. “Tu sta zitta! Ti invito ad una festa per la prima volta e tu ti ubriachi così di botto! Lo sai che quando le ragazze sono ubriache i maschi ne approfittano? Hai una qualche minima idea di quello che potrebbe succedere? In più con questo lurido essere!”. Lancia uno sguardo sprezzante a Tomas che, seduto sul pavimento, si sta massaggiando le parti doloranti. “Che sta succedendo?”. Tombola! E' arrivata pure la mia migliore amica. “La tua amica è ubriaca, ecco cosa succede!”. Mi guarda con rimprovero. “Vilu, ma cos'hai combinato?”. “Fatevi i cazzi vostri!”. Più che un'esclamazione è un mugugno a malapena comprensibile. “No, tu ora vieni con me!”. Lo stronzo mi afferra per il braccio e mi stringe con forza contro il suo corpo. Questa situazione fino a qualche ora fa mi sarebbe sembrata piacevole, ora la detesto. Cerco di dimenarmi per scappare dalla sua stretta, ma è troppo forte. Mi porta assieme a Francesca in un posto abbastanza tranquillo e isolato e, non lasciandomi, dice: “Che si fa? Non possiamo portarla a casa in queste condizioni”. Fran mi rivolge un'espressione compassionevole, poi guarda Leon seria. “No di certo, suo papà se la vede l'ammazza! E' molto protettivo nei suoi confronti”. Comincio a battere i pugni contro il suo petto nella vana speranza di liberarmi. “Sta buona un secondo! Ho avuto un'idea, basta che usi il suo cellulare”. Senza che io me ne accorga, la mia migliore amica l'ha già estratto dal mio borsellino. “Cosa vuoi che faccia?”. “Scrivi al padre che stasera dorme da te perché farete tardi e la tua casa è meno distante della sua e che vi verrà a prendere tuo fratello”. Annuisce e si mette a scrivere, non posso permettere che mi facciano questo. Inizio ad urlare di lasciarmi andare, ma lui mi poggia contro il muro e mi copre la bocca con la mano. “Shhh sta tranquilla, se stiamo facendo tutto questo è per il tuo bene”. Mi guarda negli occhi e mi accarezza la schiena, allora divento meno rigida e toglie la mano dalla bocca. Improvvisamente suona il mio telefono ed al mio posto risponde Francesca. “Pronto signor German! No Vilu è in bagno al momento e non so quanto ci metterà...sì, va tutto bene qui alla festa! Ci stiamo divertendo un mondo...sì, ci viene a prendere mio fratello Luca. Okay, la richiamerà domattina...a presto, ciao!”. “Quindi tutto risolto?”. “Sì, ci ha creduto...però che facciamo? Non posso ospitarla così da un minuto all'altro!”. “Ci penso io Francesca, ho la casa libera stasera”. Lo guarda perplessa. “Sicuro?”. “Certo, ora però la porto a casa. Ti richiameremo domani mattina”. Sempre non mollandomi, mi porta da un ragazzo piuttosto alto con i capelli neri. “Hey Rodrigo! Non è che potresti prestarmi l'auto per stasera?”. Il ragazzo assume un'espressione sbalordita. “Ma se non hai neanche la patente, Leon!”. “Non importa, sto facendo scuola guida. So come si conduce una macchina”. “Mi posso fidare?”. “Certo Rodrigo, domani passo da te e te la rendo”. Prende dalla tasca dei pantaloni delle chiavi e le passa a Leon. Velocemente mi porta fuori dal Damn Night e ci dirigiamo verso la macchina di Rodrigo. Mi ci fa salire e la mette in moto, sterza in mezzo al parcheggio della discoteca e imbocca la strada. Non proferisce parola, guarda dritto davanti a sé e non mi calcola di striscio. “Sei arrabbiato?”. Sono ubriaca, è evidente. Come ho potuto fargli una domanda del genere? E' ovvio che è arrabbiato. “Che domande, è logico che sia arrabbiato con te”. Non alza il tono, anzi rimane fastidiosamente pacato. “Non dovresti immischiarti nella mia vita...”. Ora sghignazza, ma non si volta comunque verso di me. “Mi immischio eccome se fai male a te stessa”. “Non è affar tuo”. “Sì invece, sono un maschio e chi meglio di me sa cosa pensano i maschi?”. Siamo arrivati di fronte al suo condominio, mi apre la portiera e scendo. Rabbrividisco dal freddo...cazzo, mi sono dimenticata il giubbotto al Damn Night! Sento qualcosa avvolgermi e noto che Leon mi ha messo la sua giacca sulle spalle. Entriamo e saliamo nell'ascensore, arrivati al quarto piano lui impugna un mazzetto di chiavi e apre la porta del suo appartamento. L'ambiente che ieri mi sembrava così caldo ora è avvolto dal buio, lui pensa bene di accendere la luce ed improvvisamente diviene tutto familiare. “Se vuoi puoi dormire sul divano, buonanotte”. “Hey aspetta! Io e te non abbiamo finito!”. Non mi ascolta nemmeno e si incammina verso la sua camera, lo seguo quasi correndo. Nonostante io lo stia praticamente inseguendo e rischi di cadere ad ogni passo, lui fa ingresso nella sua stanza e si siede comodamente nel letto. “Comunque tu credi di sapere cosa pensa Tomas, ma in realtà non lo sai perché non tutti i maschi sono stronzi come te!”. Oddio, l'ho detto veramente? Ecco il più grande fra gli aspetti negativi dell'alzare il gomito! “Stronzate, siamo tutti uguali. Il tuo amichetto non è tanto più diverso da me”. Vengo sopraffatta dalla rabbia, non lo sopporto quando generalizza in questo modo! “Almeno il 'mio amichetto' non cambia ragazza come cambia le mutande e non la fa sentire unica per poi sostituirla con la prima zoccoletta a disposizione...”. Aggrotta la fronte cercando di decifrare ciò che ho appena detto. “...ti odio!”. Due parole, quelle che avrei voluto dirgli da sempre. Mi si annebbia la vista per le lacrime, lui non ribatte. Non capisco più nulla dopo che lui si avventa sulle mie labbra. 



ANGOLO DELL'AUTRICE

L'idea di questo capitolo era più figa nella mia testa e sono un pochino delusa. Voi che ne pensate? Vi piace come è scritto e il contenuto? Vi prego fatemelo sapere! D: ultimamente ho una sacco di cose da fare ed è già tanto che mi sia ritagliata un po' di tempo per scrivere. Vi ringrazio ancora per le recensioni positive, mi fanno veramente piacere e rispondo molto volentieri! Ringrazio anche chi ha aggiunto la mia storia fra i preferiti o le seguite. Spero che continuerete a seguirla nonostante le mie piccole incertezze su questo capitolo, vi prometto che mi rifarò con i seguenti! Ci saranno novità anche nel prossimo, per cui lo ripeto: stay tuned ;)

Ritorna all'indice


Capitolo 5
*** Capitolo 5 ***


                                                                                        CAPITOLO 5

 

 

Apro gli occhi lentamente ed ho un forte mal di testa, mi rendo conto di non essere nella mia stanza. Abbasso lo sguardo sul mio corpo e constato che sono vestita come ieri sera, quindi non ho fatto cazzate. Nelle narici mi penetra improvvisamente un'ondata di profumo di tabacco e vaniglia, solo ora che sto svegliando anche il mio cervello capisco che sono appoggiata sopra ad una persona e che un braccio mi sta cingendo la vita, alzo la testa e...oh Cristo santo! Ho dormito sopra il petto di Leon per tutta la notte e lui mi sta stringendo a sé. Mi mordo il labbro e lo osservo mentre sta riposando tranquillamente, anche lui indossa ancora gli abiti di ieri e il ciuffo gli ricade sulla fronte. E' qualcosa di perfetto ed indescrivibile, resterei a guardarlo tutto il giorno. Sorrido e delicatamente gli sposto la ciocca per lasciare scoperto il viso, ha i capelli così morbidi. Poso la mano sul suo petto e mi ci appoggio di nuovo avvicinandomi più di prima, sento la sua stretta aumentare ed emette un sospiro beato. Alza leggermente gli angoli della bocca per una frazione di secondo, sembra felice. Attenta a non svegliarlo, mi stacco e scivolo ai piedi del letto. Mi massaggio i capelli arruffati e mi dirigo verso la scrivania, prendo in mano il cellulare: sono le nove del mattino ed ho un messaggio di Francesca in cui mi chiede come sto e se mi sono ripresa dalla festa. Le rispondo e mi volto verso di lui, ora è rannicchiato come un bimbo e mi intenerisco. Ieri sera ho dato il mio primo bacio a Leon Vargas ed è stata una delle cose più belle in assoluto. In un primo momento è stato un bacio quasi famelico, come se entrambi aspettassimo quel momento da tutta la vita, poi è diventato dolce e mi ha preso in braccio posandomi nel letto. Non so di preciso quanto sia durato, probabilmente ne avevamo bisogno tutti e due. Dopo ho posato il capo sopra di lui ed ha iniziato ad accarezzarmi i capelli e a dirmi quanto ci teneva a me e al fatto che non mi facessi del male. Essendo ubriaca, non mi ricordo molto. So solo che mi coccolava e di tanto in tanto ci baciavamo, poi mi sono addormentata molto presumibilmente. Ad un tratto sento un cellulare vibrare e, rinvenendo dal turbine di ricordi, vedo che è quello di Leon. Lo prendo in mano e vedo che la chiamata è da parte di Lara, per qualche assurdo motivo rispondo. “Oh finalmente ti sei deciso a rispondere, stronzetto! Sono tre giorni, ripeto tre giorni che non ti fai sentire e non rispondi ai miei messaggi e alle mie telefonate! Si può sapere che cazzo ti prende?! A scuola mi eviti, mi dici che non saresti andato alla studentesca e dopo scopro che ci sei andato. Okay che sono buona, ma non passo per cogliona Leon! Se magari fossi più chiaro con me invece che scappare...oh, ma ci sei? Rispondi e non dici nulla? Cazzo dì qualcosa!”. Riattacco rapidamente, perché l'ho fatto? Mi sento un'impicciona ad essermi fatta gli affari altrui. Poi vedo un messaggio su Whatsapp sempre nel suo cellulare da parte di Andrès, non resisto a non aprire la conversazione.

Andrès...è complicato. Non lo so...vorrei che non mi interessasse, ma allo stesso tempo mi importa!
15 gennaio 2014, ore 01.24

Al gran puttaniere Leon Vargas importa finalmente di una ragazza che si porta a letto...wow!

15 gennaio 2014, ore 01.26

Non me la sono portata a letto, demente!
15 gennaio 2014, ore 01.29

Oh scusa...Leon non sei più tu! Cioè, tu di solito...boh...

15 gennaio 2014 ore 01.29

Lei merita molto di più di questo, è diversa. Non posso trattarla come le altre.
15 gennaio 2014 ore 01.35

Hai ancora paura di innamorarti?
15 gennaio 2014, ore 01.39

C'è una canzone dei Mars, End of All Days, che credo mi rappresenti al meglio. A mio parere parla di un uomo che dopo aver peccato per tutta la vita, per peccato intendo il sesso senza sentimento, si rende conto in sostanza di essere una merda e di aver bisogno di un cambio di direzione perché ha perso la retta via. E c'è una parte in cui dice 'Destruction is his game, a beautiful liar, love for him is pain' ossia 'La distruzione è il suo gioco, un bellissimo bugiardo, l'amore per lui è dolore'. Con sole tre frasi ecco la mia descrizione: rovino la vita di chi si lega a me, mento al novantacinque percento delle persone che conosco e sono convinto che amare comporti soffrire. Non cercare di farmi cambiare idea, io la penso così.

15 gennaio 2014, ore 01.52

Ma dovrai lasciarti andare prima o poi, io sono convinto che l'amore sia la cosa più bella che può capitare ad un uomo!
15 gennaio 2014, ore 01.55

Improvvisamente sento un movimento e prontamente chiudo la conversazione, blocco il telefono e lo poso sopra la scrivania. Vedo Leon che continua a muoversi, probabilmente si sta per svegliare. Mi avvicino lentamente verso il letto, mi stendo sopra di lui e gli do un bacio a stampo. Grugnisce ed apre gli occhi, gli sorrido dolcemente e si mette seduto. “Buongiorno bimba, sei sveglia da molto?”. “No, mi sono svegliata da poco”. Si gratta la testa e sbadiglia. “Hai chiamato tuo padre?”. Mi sbatto una mano sulla fronte. “Cazzo è vero! Ora lo chiamo”. “Ti dispiace se mi cambio?”. “No, assolutamente”. Mi alzo, prendo il mio cellulare e mi risiedo. Intanto lui si dirige verso l'armadio e rovista all'interno di esso. Scorro in rubrica alla ricerca del numero di papà e premo il tasto 'chiama'. Alzo la testa aspettando che mio padre risponda e...non credo di essere in grado di parlare. Davanti a me, Leon si è appena tolto la camicia e ora sta facendo lo stesso coi pantaloni. Ho gli occhi sbarrati e sento un tremolio attraversarmi tutto il corpo da cima a fondo. “Pronto Violetta?”. E' in mutande, non riesco a smettere di far balzare lo sguardo dall'addome a...beh, lo devo proprio dire? “Vilu, ci sei?”. Scuoto il capo e mi ricompongo. “Sì papà, ci sono”. “Tutto bene?”. “Certo, ci siamo divertite moltissimo alla festa e abbiamo dormito bene”. “Vuoi che ti passo a prendere io?”. “No!! Cioè...non è necessario, verrò a casa in autobus...”. “Per che ora torni?”. Guardo allarmata Leon che nel frattempo si sta abbottonando un'altra camicia rosso bordeaux e mi bisbiglia: “Digli nel pomeriggio”. “Nel pomeriggio, comunque ti farò sapere l'ora precisa più tardi”. “E dove mangerai?”. Roteo gli occhi. “A casa di Fran è ovvio!”. “Mmm....fammi sapere l'ora più tardi, mi raccomando!”. “Certo papà, ciao. Ti voglio bene”. “Anche io tesoro, a dopo”. Riattacco, mi rialzo e lo abbraccio da dietro affondando il viso nella sua schiena. “Come mai hai detto di dirgli che andrò a casa nel pomeriggio?”. Si volta e mi risponde: “Forse perché ho in mente di portarti da qualche parte?”. “Ma? In questo modo?”. Indico il vestito succinto che sto indossando dalla sera prima. “L'idea non mi dispiacerebbe...ma hai ragione, non puoi andare in giro conciata così. Non in mia presenza, almeno”. Gli rivolgo un sorrisetto malizioso. “Ti darebbe fastidio?”. “Sì, molto. Per cui adesso vado a prenderti dei vestiti dalla camera di mia mamma”. Esce dalla stanza lasciandomi praticamente impalata, ma quando si decide a baciarmi? Ops...l'ho davvero pensato? Eccolo che ritorna. “Ho scelto più o meno qualcosa che riflettesse il tuo stile, ho trovato solo una felpa nera e questi jeans grigi”. Me li porge e li afferro, solo ora mi rendo conto che devo togliermi l'abito di Francesca. “Ehm...ti dispiace se mi cambio?”. Ripeto la stessa frase che ha detto lui poco fa. “No, fai con comodo”. Metto la mano sulla zip. “Posso...?”. Mi sorride e assume un'espressione come se fosse la cosa più naturale del mondo. “Ti ho già detto che non mi dà fastidio, fai pure”. Si siede sulla sedia della scrivania e inizia a giocare col suo telefono. Inspiro profondamente e abbasso la cerniera facendo cadere a terra il vestito, allungo il braccio per prendere la felpa dal letto e noto che mi sta fissando. Me la metto su e dico: “Cos'hai da guardare?”. Scrolla le spalle. “Ah, nulla. Ho solo una ragazza mezza nuda al centro della mia camera, niente di che”. Rido ed indosso i pantaloni, ora col suo sarcasmo riesce a farmi ridere. “Abbiamo intenzione di stare qua per sempre o andiamo in soggiorno?”. Sposta l'attenzione dal cellulare a me. “Okay, però ti metto in guardia: dovrai sorbirti il terzo grado di mia mamma”. “Penso sia niente in confronto a quello che di solito mi fa papà”. “Come vuoi”. Si alza ed io mi dirigo verso la porta. “Hey, aspetta un secondo”. Mi giro e mi prende il viso fra le mani attirandolo al suo, chiudo gli occhi e sento le sue labbra premere contro le mie. Tabacco e vaniglia. Quando si stacca, li riapro e mi fa un buffetto sulla guancia. “Dai, andiamo”. Sorrido e riconosco che ultimamente lo faccio sempre più spesso. D'altronde in questi giorni sono sempre stata assieme a lui e mi basta solo averlo accanto per essere felice.


“Mi dici dove andiamo, allora?”. “Oh ma che palle che sei! Ti ho detto che è una sorpresa!”. Faccio il broncio e mi metto a braccia conserte. “Ma perché non me lo dici? Magari non mi piace!”. “Ti piacerà, ti piacerà”. Si mette il portafogli nella tasca posteriore dei pantaloni e prende delle chiavi. “Che macchina guiderai, scusa? Abbiamo riportato l'auto a Rodrigo un'ora fa”. “Quella di mia mamma, è ovvio”. “Sì ma ieri sera era un conto, ma adesso come farai senza patente? Prima hai detto di avere solo il foglio rosa”. Apre un cassetto della scrivania, estrae una tessera e me la porge orgoglioso. “La vedi questa? Ora mi chiamo Jorge Martìnez ed ho ventun anni”. Lo guardo seria. “Stai scherzando spero. Non vorrai mica...?”. Fa le spallucce e si mette a ridere. “E allora? E' temporaneo finché non avrò la patente, sempre meglio che prendere l'autobus no? Comunque ti prometto che non appena avrò la patente andremo in giro legalmente”. Scoppio in una risata anche io, è proprio scemo. “Okay, siamo pronti allora”. “Certo, andiamo”. Usciamo dalla sua camera, salutiamo Lucia e prendiamo l'ascensore. Andiamo fuori dal condominio, mi apre la portiera dell'auto vantandosi di essere un gentiluomo e sale anche lui. La accende e partiamo, ammetto che nonostante non abbia la licenza è bravo. Mi piace guardarlo mentre guida, non stacca mai gli occhi dalla strada ed è molto concentrato. Quando è così attento gli si formano le fossette sulle guance e credo siano la cosa più tenera del mondo. Poi osservo le mani, oddio ho la fissazione per quelle mani! Non ho mai capito da dove nasce questa mia ossessione per le mani delle persone, so solo che quelle di Leon sono per me quelle ideali da quando lo conosco. “Perché mi stai guardando?”. Succede sempre così quando lo guardo, mi perdo nei miei pensieri e mi distacco totalmente dalla realtà. “Niente, sei...bello”. Sembro una bambina delle elementari dal tono in cui lo dico. “Oh Violetta Castillo pensa che io sia bello, mi sento onorato. Che cosa strana”. Sghignazza. “Il fatto che ho sempre pensato che tu sia stronzo non influisce sull'aspetto fisico, sei sempre stato uno dei più belli della scuola”. “Ce ne sono di migliori di sicuro”. Sospiro e sposto lo sguardo fuori dal finestrino. “Per me no...”. Accosta a lato della strada e si volta verso di me. “Che significa?”. “Significa semplicemente che per me sei un bel ragazzo, penso che anche tu ne sia conscio”. Ritorna a fissare davanti a sé. “Mi sono sempre creduto desiderabile, mai bello”. “Beh perché non hai mai sentito i commenti che dicono le ragazze su di te! Tipo l'anno scorso dopo la prima settimana di scuola tutte già ti venivano dietro”. Scuote il capo. “Non sapevano chi fossi veramente”. “Ti definisci un mostro?”. “Non proprio, una merda magari sì”. Ripenso alla conversazione letta quella mattina nel suo cellulare e penso si riferisca a quello. “Io credo che ti sbagli”. Fa una risata amara. “Non capisco come mai una ragazza brava ed intelligente come te si ostini a difendermi nonostante io non sia di certo un santo. Porto solo casini, vedi un po' quel che è successo ieri sera. Tu meriti di più, uno come me potrebbe rivelarsi uno dei peggiori errori della tua vita”. “Hey, guardami...”. Delicatamente accarezzo il suo viso e lo giro nella mia direzione. “...tutti commettono degli errori, l'importante è rendersene conto e rimediare. Leon, io voglio conoscerti bene. Non come il compagno di classe con cui devo fare una ricerca o come il gran puttaniere della scuola, a me interessa quello che sei dentro e se questo lo definisci un errore, beh...ho una voglia matta di sbagliare”. Mi sorride ed abbassa lo sguardo, per la prima volta sembra vergognarsi. “Ora bando alle ciance, metti su un cd dei Linkin Park che ci gasiamo un po'! Non hai la minima idea in che posto ti sto portando!”. Rido con trasporto, sono felice di essere uscita da quel argomento pesante. Leon è forte, si riprende subito dai discorsi tristi e vorrei davvero essere come lui a volte. “Grazie per avermelo fatto venire in mente sai? Mi dici dove stiamo andando? Ti prego!”. La faccia da cucciolo dovrà pur funzionare! “No, bimba. Neanche se mi pagano, porta ancora un po' di pazienza e lo scoprirai”. Si mette un paio di RayBan neri a goccia e mette in moto la macchina, iniziamo a cantare come pazzi 'Burn It Down' dei Linkin e non riusciamo a smettere di fare gli stupidi. Non esiste più alcun formicolio allo stomaco, ora sento direttamente tutto il corpo brulicare.


“Copriti gli occhi”. “Cosa?”. “Ho detto copriti gli occhi e non azzardarti a sbirciare”. Poso le mani sopra agli occhi e sbuffo. “Siamo arrivati?”. “Madonna, sembri Ciuchino in Shrek 2! Me lo chiedi ogni cinque minuti! Sarai felice di sapere che siamo quasi arrivati”. “Quindi posso togliere...”. “No”. Ma che rottura di scatole! Voglio scoprire dove mi ha portata. “Sì ma è logico che te lo chiedo ogni cinque minuti, è da un'ora che stiamo in macchina!”. “Ne varrà la pena, fidati”. Improvvisamente l'auto si arresta e mi dice: “Ora”. Non posso credere ai miei occhi, non può averlo veramente fatto. Ho la bocca spalancata e sono letteralmente senza fiato. Ne avevo sentito parlare un sacco di volte, ma non credevo fosse così enorme. Il 'Notas Dulces' è il music store fra i più grandi di Buenos Aires, ho sempre voluto andarci ma mio papà non mi ci ha mai portata. “Allora...ne è valsa la pena sì o no?”. Mi sorride sinceramente ed io quasi balbetto. “W-wow! E' e-enorme”. Si slaccia la cintura ed esce dall'auto, dopodiché mi apre la portiera per farmi uscire. “Allora, riesci a fare qualche movimento o ti devo portare in schiena?”. Constato che ho ancora l'espressione di quando ho tolto le mani dagli occhi, prendo la rincorsa e mi butto fra le sue braccia e quasi cadiamo a terra. “Suppongo che tu sia contenta a questo punto”. “Mai stata più felice in vita mia!”. Quando lo abbraccio si irrigidisce in un primo momento, è molto goffo con le dimostrazioni d'affetto, però dopo poco mi stritola praticamente. Ci incamminiamo verso l'ingresso ed entriamo nell'edificio, mi sembra di essere in un negozio di caramelle. Tutt'intorno è circondato da strumenti di tutti i tipi, vinili, cd, accessori musicali e tanta, troppa band merch. Vorrei essere miliardaria in questo momento per svaligiare il negozio da cima a fondo! “Che strumenti sai suonare?”, mi domanda Leon. “Pianoforte e abbastanza la chitarra, te?”. “Pianoforte, chitarra e un po' batteria, la studio da poco. Mi faresti sentire qualcosa al pianoforte? Hai una vasta scelta qua”. “Certo”. Sorrido e ci dirigiamo nel reparto dei pianoforti e delle tastiere, mi siedo sullo sgabello di una di queste ultime. “Cosa vuoi che ti suoni?”. “Quello che vuoi, per me è indifferente. Voglio solo vedere a che livello sei”. Chiudo gli occhi, inspiro profondamente e poso le mani sui tasti. Potrei suonare qualcosa dal repertorio classico oppure contemporaneo, ma di colpo mi balena alla mente una canzone che avevo composto poco tempo addietro. Il suo titolo è 'Unreachable', irraggiungibile. Le mie dita scivolano sulla tastiera ed un turbinio di suoni mi avvolge, sto eseguendo il tutto alla cieca. Non riesco a vedere nemmeno la sua reazione, ma al momento non ha importanza. Quando arriva il ritornello premo con forza i tasti, quando suono e compongo è la passione ad avere la meglio. Mi lascio trasportare dalla dolce ma al contempo struggente melodia fino all'ultima nota, espiro l'aria racchiusa nei polmoni e riapro gli occhi. Vedo un Leon visibilmente sorpreso e gli rivolgo un sorrisetto timido ed imbarazzato. “Vilu, suoni da Dio! Mi hai lasciato senza parole...non credevo fossi così brava”. A dir la verità neanche io! “Grazie mille, ma...mi hai chiamata Vilu?”. “Ehm...Violetta, ho detto Violetta!”. Sorrido furbamente. “Hai detto Vilu”. “So quello che ho detto e ti ho chiamata Violetta”. “Se lo dici te”. Mi alzo dallo sgabello e mi dirigo verso il reparto vinili. Una cosa non capisco di lui: fa il carino e dopo fa come se non fosse successo nulla, io gli avevo posto la domanda perché a chiamarmi 'Vilu' sono solo la mia famiglia, Fran e Camilla. La trovo una cosa dolce, ma lui fa una carineria e dopo si comporta in modo indifferente. Bah...chi capisce gli uomini è davvero brava! “Guarda Leon, c'è il vinile di 'This is War'! Sarebbe una figata assurda avere un giradischi in casa!”. Non mi risponde, mi volto verso di lui e vedo che sta guardando da tutt'altra parte. “Hey, mi stai ascoltando?”. “Sì, ti ho ascoltato e hai ragione. Vado un secondo a vedere una cosa, aspettami qui”. Si incammina verso un altro reparto. “Ma dove vai?”. “Arrivo subito!”. Avevo pensato poco fa che non lo capisco? Ecco, di nuovo. Ogni tanto se ne esce con ste trovate e mi lascia impiantata per andare a fare chissà che cosa. Mi volto verso i dischi ed inizio a curiosare tra di essi, è come fare un excursus dai mostri sacri del rock a quelli contemporanei. “Le serve qualcosa signorina?”. Accanto a me c'è un aitante commesso sulla ventina che mi sorride in modo cordiale. “No, grazie. Stavo solo dando un'occhiata”. “Posso darle del tu?”. “Certo, figurati”. “Anche tu sei appassionata di vinili?”. “No a dir la verità non sono appassionata dal momento che non ho nemmeno un giradischi, però trovo che siano una gran figata!”. Ride e si avvicina un po' di più. “Se sei qua dentro però ci sarà un motivo”. “Amo la musica, ovvio. Oscillo fra il rock classico, il grunge e l'alternative contemporaneo”. “Io ascolto principalmente i grandi nomi della musica tipo Elvis Preasley, Beatles, Rolling Stones e cose così. Suoni qualche strumento?”. “Suono pianoforte e chitarra, te?”. “Io il sax, la chitarra e un po' il pianoforte”. Improvvisamente sento un braccio che mi cinge la vita, mi volto ed è Leon. “Amore sono tornato, di che stavi parlando con il commesso?”. No, aspetta...amore? Mi sono persa un bel po' di cose mi sa. “Ehm...stavamo parlando di generi musicali e strumenti”. “Wow che cosa meravigliosa! Tesoro devo mostrarti una cosa, vieni con me?”. Mi prende per il braccio fermandomi quasi la circolazione e dice al commesso: “Con permesso...”. Mi conduce lontano dal reparto vinili e solo ora noto che ha una borsetta in mano. “Porca vacca, non posso mai lasciarti da sola per dieci minuti che arriva qualcuno a provarci!”. Lo guardo piacevolmente sorpresa. “Non ci stava provando”. “Te lo dico io che ci stava provando, quante volte ti devo ripetere che conosco la mente maschile meglio di te?”. “Quindi hai finto di stare assieme a me per allontanare il tipo?”. “Ehm...”. Meglio cambiare discorso, quando non sa cosa dire risponde solo a monosillabi o versi. “Che hai nella borsetta?”. Indico il sacchetto blu elettrico con su scritto 'Notas Dulces Music Store'. “Mentre il commesso flirtava con te, sono andato nel reparto della band merch e ho pensato di farti un regalo...hai la S vero?”. Arrossisco e annuisco col capo, mi passa la borsa e guardo all'interno. No, mi sta viziando troppo! Prima mi fa mangiare a casa sua, poi mi porta fino a qui in auto senza avere la patente ed ora mi regala una maglia dei Mars! E' rossa con l'immagine di un lupo con su scritto una frase della canzone '100 Suns' ( N.d.R http://www.thirtysecondstomarsstore.com/products/wolf-t-shirt-x-large PER ME E' BELLISSIMA!), l'avevo già adocchiata sul sito ma non credevo che Leon potesse capire quale fra le t-shirt mi sarebbe piaciuta. “Grazie mille, mi piace da morire!”. Lo abbraccio e, come nel parcheggio, subito sembra un manichino e poi si scioglie. “Vuoi dare un'occhiata a qualcos'altro?”. Acconsento e cominciamo a fare un giretto veloce di tutto il negozio senza soffermarci più di tanto. Guardiamo un po' di tutto dai cd alle cuffie, dalle bacchette per la batteria ai plettri. E' il mondo a cui apparteniamo ed è una cosa che condividiamo solo nostra. Francesca è la mia migliore amica ma non credo capirebbe cosa provo in questo preciso istante, lui sì. Non ci sono molte parole da dire, lui lo sa già. E' come se in argomento musica avessimo una connessione speciale ed è difficile da spiegare quanto mi faccia stare bene. Finito di girovagare per il Notas Dulces, usciamo dall'edificio e ci dirigiamo verso l'auto. “E' stato davvero bellissimo, grazie per avermi portata”. Mi sorride e si mette le mani nelle tasche dei jeans. “Mi sono divertito molto anch'io, forse potremmo...”. Tira fuori le chiavi della macchina e la apre, saliamo. “Potremmo cosa?”. Si allaccia la cintura. “Sì, insomma...potremmo uscire più spesso. Io e te intendo...”. Oddio, penso che potrei vomitare arcobaleni e brillantini da un momento all'altro! “Certo, sarebbe un bella idea...”. “Forte”. “Già”. Il tutto senza nemmeno guardarci in faccia, che cosa strana! Ogni tanto ci baciamo e dopo non abbiamo nemmeno il coraggio di guardarci negli occhi. “Senti, bimba...io non so di preciso che cosa siamo. Non credo ci sia una parola per definirlo, so solo che ecco...mi interessi. Per cui metto in chiaro un paio cose fin da subito: io all'amore non ci credo. Posso darti tutto, ma non ho la certezza di saperti dare anche questo. Poi c'è da dire che sei diversa da tutte le ragazze con cui sono uscito, per cui direi di andarci piano. Nel senso sì, frequentiamoci pure, ma non facciamo un passo più lungo della gamba okay?”. In fondo sono d'accordo, non voglio correre e fare cose di cui potrei pentirmi. “Per me va bene, credo anch'io che sia il caso di fare le cose passo per passo”. “Perfetto. Patti chiari, amicizia lunga. Ora allacciati la cintura, si va a casa”. Faccio ciò che mi dice e partiamo, il resto del viaggio lo passiamo cantando e a fare facce buffe. Non so nemmeno io cosa siamo e se scoprirlo comporta frequentarlo più spesso, questo mi basta.


Siamo appena arrivati e ci fermiamo davanti al cancello di casa mia. Ci troviamo uno di fronte all'altro senza nemmeno parlare, a rompere il ghiaccio sono io: “E' stato bello, dovremmo rifare un'uscita dal genere”. “Vero, mi piace molto quel posto”. Mi sorride e mi prende la mano. “Sabato prossimo andiamo al McDonald's più vicino e ci strafoghiamo di cibo velenoso e ipercalorico, sempre che tu non voglia prenderti un'insalata!”. Calca l'ultima frase volutamente, come per mettermi alla prova. “Un Crispy McBacon andrà bene”. “Brava, così ti voglio! Obesa e noncurante”. Gli do una sberla sul braccio. “Hey!”. “Non ho mica detto che sei obesa, intendevo dire che piuttosto che tu sia uno scheletro ambulante preferisco vederti con qualche in chilo in più. Poi per carità tu non hai il minimo problema, hai un bel fisico...io lo so bene”. Gli do un'altra pacca. “Ma la smetti di picchiarmi? E' vero o non è vero che eri in biancheria intima davanti a me stamattina?”. Mi guardo attorno allarmata. “Urlalo un po' di più, sai? Dillo anche a mio padre che ero mezza nuda in camera di un ragazzo!”. Scoppia in una delle sue risate 'mena per il culo', mi piace definirle così, e alza le mani in segno di resa. “Piccola, io non ti ho costretto a fare nulla. Potevi cambiarti benissimo in bagno”. Lo guardo scocciata e gli do l'ennesimo schiaffo. “Potevi farlo anche tu a questo punto invece di metterti davanti a me mezzo nudo con il coso che ballonzolava sotto le mutande quando ti muovevi!”. Inutile dire che io mi sono fatta l'ennesima figura di merda e che lui non la smette di ridere. “Se sai che ballonzolava significa che volevi guardarlo”. Quarta sberla e ho detto tutto. “Non lo stavo guardando! Solo...mi è caduto l'occhio un paio di volte, ecco”. “Raccontala a qualcun altro, piccola pervertita”. “Ma parli proprio te? L'imperatore della perversione?”. Mi rivolge un sorrisetto carico di sarcasmo, era da un paio di giorni che non lo vedevo. “Oddio imperatore forse no, diciamo re”. “Pff...oh, ora che ci penso: ho dimenticato la borsetta in macchina”. Apro la portiera dell'auto e lui mi dice: “Sì brava, cambia discorso”. Prendo il sacchetto con dentro la maglietta e mi volto verso di lui. “Leon le cose sono due: o la smetti o smetti”. “Hai mangiato limoni di nascosto stamattina? Quanta acidità”. Sbuffo, quando si comporta così mi pare che ciò che è successo alla festa ed oggi non fosse mai accaduto. Sembra il Leon di sempre. “No, è che l'argomento non mi va molto a genio. Quindi dacci un taglio”. “Ai suoi ordini, santarellina”. No, aspetta come mi ha chiamata? Faccio cadere la borsa per terra e mi avvicino a lui spingendolo contro la ringhiera, mi guarda confuso e non proferisce parola. Mi schiaccio contro il suo corpo, prendo il suo viso fra le mani e faccio combaciare le mie labbra con le sue. Non un bacio come quello che ci siamo dati oggi, un po' più come il quello di ieri sera. Vengo presa dalla passione, è da quando l'ho visto per la prima volta che voglio dargli un bacio così. Quasi mi vergogno di me stessa, ho le dita incastrate fra i suoi capelli e continuo a cercare famelicamente la sua lingua. Eppure mi riesce difficile smettere. Lui, dal suo canto, contraccambia e mi stringe a sé con forza. Stremata, dopo chissà quanti minuti, mi stacco senza fiato e con le labbra gonfie. “Santarellina a chi?”. Deve ancora riprendersi, lo vedo alquanto spaesato. “Ammetto che mi hai sorpreso bimba, veramente”. Raccolgo il sacchetto del Notas Dulces e mi si sistemo la felpa che nel frattempo si è un po' alzata. “Lunedì ti porto i vestiti di tua mamma”. Scrolla le spalle. “Fai con comodo, non voglio metterti fretta”. Tentennando, gli do un bacio sulla guancia e suono il campanello di casa mia. “Ci vediamo lunedì allora”. “A lunedì”. Mi saluta con la mano e sale in auto, mio padre apre il cancello e faccio il mio ingresso nel vialetto. Quando mi volto indietro, lui se n'è già andato.

 

 

                                                                                                                                                          15 gennaio 2014

Caro diario,

scusami se non ti ho scritto, ma sono successe talmente tante cose tra ieri ed oggi che mi perdonerai di sicuro. Intanto comincio col dire che la festa non è stata un granché perché mi sono ubriacata...ti chiederai il motivo di sicuro: ho ballato con Vargas e mi sembrava di volare mentre ero stretta a lui, solo che dopo un po' l'ho visto ballare allo stesso modo con un'altra ragazza. Penserai: che stronzo! Ma adesso arriva il bello. Mentre ero al bancone del bar è arrivato Heredia che mi ha chiesto di ballare, probabilmente ha sentito le voci false sul fatto che mi piace, ed io ho acconsentito. Mentre eravamo sulla pista si è avvicinato di più baciandomi il collo, ma in quel momento è arrivato Leon che quasi lo picchiava davanti a tutti. Era arrabbiato con me perché mi ero ubriacata e lui è convinto che i maschi se ne approfittano quando una ragazza è in questo stato. Tra la confusione, lui mi ha portato a casa sua. Credimi se ti dico che mi sto sforzando un sacco a ricordare tutto, ho in mente perlopiù degli sprazzi disconnessi tra loro. In camera sua, poi, è successa la cosa che mi ricordo più vividamente: ho dato il mio primo bacio. E' stata una cosa bellissima, una delle sensazioni più belle che abbia mai provato in vita mia. Dopodiché ci siamo stesi nel letto l'uno accanto a l'altro e lui, coccolandomi, diceva cose riguardo al fatto che non vuole che mi faccia del male e che a me ci tiene. Mi spiace non ricordare praticamente nulla di tutto ciò, ma, come ho detto prima, al posto di un andamento logico ci sono scene sparse un po' qua e un po' là. Stamattina invece mi sono svegliata addossata a lui...è così bello quando dorme! Poi quando anche lui si è svegliato, ho chiamato mio padre e lui si è cambiato di fronte a me. Qui vorrei aprire una parentesi: Non. Gli. Stavo. Fissando. Il. Coso. Ovviamente lui, pieno di sé, è convinto che sia così...mi credi se ti dico che si intravedeva da sotto le mutande e che quando si muoveva ballonzolava? Non è mica colpa mia...Dio santo, sono nata femmina! E' logico che mi capiti di guardare anche là ogni tanto, ma non lo ammetterò mai davanti a lui. Sarebbe come firmare un contratto di prese in giro per un anno intero! Tra una cosa e l'altra, è toccato pure a me togliere il vestito della sera prima e, quando ero praticamente mezza nuda, era lui il pervertito che mi fissava come un gatto in calore. Ha poco da dire a me, a mio parere con la forza di volontà riuscirebbe a spogliarti con gli occhi...è meglio che cambio discorso. A pranzo abbiamo mangiato sempre a casa sua con Lucia, la madre, è molto gentile e simpatica. La adoro soprattutto quando sgrida Leon per la postura scorretta e perché mangia con la foga di un 'bufalo indemoniato'. Ero praticamente stesa sopra il tavolo dalle risate! Nel pomeriggio, invece, mi ha portato al NOTAS DULCES!!! Ti giuro che sto impazzendo, ancora non ci credo di essere andata al music store fra i più grandi di Buenos Aires! Gli ho fatto sentire come me la cavo col piano e lui mi ha regalato una maglietta dei Mars (la sto indossando ora). Si è pure ingelosito perché un commesso, a detta sua, ci stava provando con me e ha finto di essere il mio ragazzo. L'idea, a dirti la verità, non mi dispiacerebbe...ma poi in macchina, prima di partire per tornare a casa, abbiamo chiarito un po' come stanno le cose fra di noi. Ci frequenteremo per conoscerci meglio, per approfondire il nostro rapporto. Ha detto di potermi dare tutto, ma che non ha la certezza di saper amare. Non capisco come possa trarre conclusioni così affrettate, ha solo diciassette anni e un'intera vita davanti per divertirsi e, perché no, anche per innamorarsi. Si crede uno schifo solo perché si è portato a letto molte ragazze diverse, non dico che sia una cosa stupenda ma non vedo dove sia tutto questo male. Se sei bello, giovane e single, te lo puoi permettere. Comprendo che sia un errore, l'importante è capire dove si ha sbagliato e cercare di cambiare in meglio. Si può sempre migliorare.
A domani,

Violetta

 

 

Chiudo il diario e lo ripongo nel cassetto del comodino, osservo la maglia che sto indossando e sorrido ripensando alla pazzia fatta oggi. Non è da tutti scorrazzare per le vie di Buenos Aires illegalmente. Improvvisamente mi torna alla mente una frase che Leon mi aveva detto ieri sera quando eravamo stesi sul letto: “Sono solo e tu colmi il mio vuoto”.
 

 

ANGOLO DELL'AUTRICE

Eccomi qua con un nuovo capitolo, credo non ci sia molto da dire a parte il fatto che ho qualche dubbio su alcuni punti. E a voi che ve ne pare? Vi piace la forma e il contenuto? Necessito dei vostri pareri. Spero continuerete a seguire la mia fanfiction per vederne gli sviluppi, questo è solo l'inizio. Immagino già che molti di voi saranno felicissimi di questo passo in avanti nella storia fra Violetta e Leon, ma sarà tutto così sereno o ci sarà qualche complicazione? Per scoprirlo non vi resta che continuare a seguire i prossimi capitoli! Infine ci tengo a ringraziare tutti gli utenti che mi recensiscono e che mi contattano privatamente facendomi i complimenti, senza di voi non sarei arrivata a questo punto della storia. Grazie di cuore :)

Ritorna all'indice


Capitolo 6
*** Capitolo 6 ***


                                                                CAPITOLO 6

 

 

I lunedì dovrebbero essere illegali. Sono rincoglionita tutte le mattine di ogni giorno della settimana, figurarsi il primo. Fosse per me starei a casa tutto l'anno, forse dico così perché devo ancora riprendermi dalle vacanze natalizie...nah, lo penserei lo stesso fra un mese, fra due, fra tre finché non finisce la scuola. Poi ricomincerò a lamentarmi a settembre, non so se si è notato che sono brontolona. Ieri ho pranzato da nonna Angelica assieme a papà ed a zia Angie, dopodiché ho fatto i compiti e studiato tutto il pomeriggio. Lo so, lo so...dico di odiare la scuola e dopo mi faccio un mazzo sui libri, a dir la verità adoro studiare però non voglio che lo sappia nessuno. Nel frattempo ho anche messaggiato con Leon, passano i giorni e mi piace sempre di più. Abbiamo parlato del più e del meno: dai nostri cantanti preferiti ai film, dal cibo spazzatura ai giochi da tavolo. Pensavate che non avesse tirato in ballo la storia del coso ballonzolante? Ebbene sì, lo ha fatto. Ci ha messo un'ora prima di finirla, ovviamente scherzava ma dopo un po' è diventato pesante il discorso. Tra la faccina con l'espressione pervertita di Whatsapp e tutti quei 'se volevi vederlo, bastava chiedere' sono andata fuori di testa! Per fortuna ad un certo punto ha smesso, ma solo perché abbiamo patteggiato che non ne parleremo più finché non tirerò in ballo io l'argomento. Cosa che non accadrà mai, ci tengo a precisare. Papà durante cena mi ha scoperta mentre scrivevo di nascosto sotto il tavolo, poi prima di dormire ho dato una ripassata generale ad un capitolo di storia dell'arte ed ho continuato a messaggiare con lui fino a darci la buonanotte. Lui non ha studiato nulla, ovviamente. Mi domandavo cosa avesse da fare la domenica a casa di così importante da trascurare i compiti, lui mi ha risposto: 'Cazzeggiare richiede un mucchio di energie'. Mi piace uno zuccone, è ufficiale. Entro in classe con il libro di spagnolo sottobraccio e mi siedo nel mio posto fra i sussurri sommessi dei miei compagni. Davanti a me Leon non mi calcola nemmeno, tiro un calcio alla sua sedia e si volta di scatto. “A casa mia si saluta, non so da te”. “Ah, ciao Castillo”. Si rigira serio in volto. Castillo? Non sul serio...Castillo? Ma che cosa gli è preso? Nel frattempo arriva anche la vipera che lo raggiunge e gli dà una leggera pacca sulla testa. “Hey Lyon, vieni sabato doposcuola con me e Andrès da Nata?”. Scuote il capo. “Ho un impegno sabato, non si potrebbe fare il prossimo?”. “Mmm...okay, dolcezza. Dirò a Nata di spostare, sia chiaro: è solo perché senza di te sarebbe una noia mor-ta-le, mi immagini da sola con quei due? Pff, uno più sciocco dell'altro!”. Ride. Ride. Ride. Non riesco a smettere di ripeterlo nella mia mente, che cazzo ha da ridere se la tarantola ha appena offeso il suo migliore amico? “Va bene, Ludmi. Ti farò sapere se ho qualche imprevisto”. “Parfait, sai dove chiamarmi”. Gli schiocca un bacio sulla guancia lasciandogli lo stampo del rossetto e, con atteggiamento di superiorità, si accomoda accanto a me. No adesso mi stanno seriamente girando le scatole, ma come si permette? Poi lui è anche peggio perché non la ferma, sono solo una cretina. Dovevo aspettarmelo da lui che appena tornati fra i banchi mi avrebbe trattato come prima, se non peggio. Perché mi illudo così facilmente? Ciliegina sulla torta, ecco che spunta pure Tomas! Si siede accanto a Leon e, stranamente, non gli dice nulla. “Tommy!”. Heredia si volta alla voce di Ludmilla alquanto confuso, non era mai successo prima d'ora che gli rivolgesse la parola. “Ho sentito che non è andata molto bene alla studentesca di venerdì...uh, quanto mi dispiace!”. Finge un'espressione triste e fa il labbruccio. “Non sono affari che ti riguardano Ludmilla...”. “E tutto perché sei stato rifiutato da questo sgorbio accanto a me, da questo rifiuto dell'umanità! Bisogna avere un'intera salumeria davanti agli occhi per provarci con una come lei. Chissà quanti rotoli di ciccia nasconderà sotto quei felponi enormi assolutamente antiestetici...come la sua faccia del resto”. Mi indica e la sua risata sadica invade la stanza coinvolgendo pure alcuni presenti, sento le guance avvamparmi e gli occhi inumidirsi. Mi sembra di essere tornata all'anno scorso. Perché non ho mai avuto le palle di risponderle? E perché anche adesso è così? Tomas le rivolge uno sguardo scocciato e si volta. Sto fissando il banco davanti a me, sento la porta aprirsi e i passi del professor Antonio Sanchez dirigersi verso la cattedra. Senza guardare in faccia nessuno, alzo la mano e dico: “Prof, posso andare in bagno?”. Non sento nemmeno se risponde sì oppure no, mi fiondo fuori dall'aula e corro disperata verso i bagni. E' tutto troppo simile all'anno scorso.
 

 

Sono rannicchiata nell'angolo vicino ad un mobiletto grigio, è il posto in cui andavo sempre a piangere. Con tutte quelle cattiverie e quegli scherzi è sempre riuscita ad umiliarmi pubblicamente e se mi sento un cesso a pedali è in gran parte colpa sua. Non ho mai saputo il motivo preciso per cui mi ha presa di mira, so solo che da allora si diverte a rendermi la vita impossibile qui a scuola. Sono un fallimento, nessuno mi vuole. Lui non mi vuole. Sento improvvisamente la porta del bagno chiudersi ed una persona sedersi accanto a me. Delle braccia mi avvolgono e mi accarezzano i capelli, dal profumo capisco che è Francesca. “Perché le permetti di trattarti ancora così? Pensavo che quest'anno le cose fossero cambiate”. “Io non...”. Mi si spezza la voce e scoppio in un pianto liberatorio, proprio come una bambina di tre anni. “Su, sfogati. Piangere fa bene”. Tiro su il naso. “Ma che cazzo dici? Quando piango sto sempre di merda”. “Shh tu piangi e basta”. Continuo ad espellere un mare di lacrime, non riesco a smettere di fermarle. “Lui è uno stronzo”. Si stacca e mi prende il viso fra le mani. “Lui chi?”. Abbasso lo sguardo. “Leon”. “E che ti ha fatto? Mi avevi detto che avevate risolto dalla sera della festa”. Mi asciugo il viso con una manica della felpa. “Sì, ma lui mi ha baciata. Più volte. Abbiamo passato il pomeriggio insieme sabato e abbiamo messaggiato tutta ieri. Ora invece non mi caga più, parla solo a Ludmilla”. Sbarra gli occhi e quasi mi stritola un polso. “Tu che cosa? Con lui?”. “Sì...”. Corruga la fronte. “Ma non dicevi di odiarlo?”. “Eh, dicevo...”. Incrocia le braccia al petto e mi guarda severamente. “Da quanto?”. “Primo giorno di prima superiore”. “E quando pensavi di dirmelo?”. “Pensavo mai perché ho capito da poco che lo odiavo perché in fondo mi è sempre piaciuto”. La sua espressione torna dolce come sempre. “E com'è stato?”. “Cosa?”. “Il tuo primo bacio”. Sento una fitta allo stomaco. Oh no, non ancora. “E' meglio non parlarne, non mi pare il caso”. Mi prende la mano e la stringe forte. “Vedrai che ci sarà una spiegazione di sicuro, non credo abbia qualcosa contro di te dopo quello che avete passato”. Scuoto il capo con rassegnazione. “Da quel che ho capito lui fa sempre così. Sabato mattina ho risposto spinta dalla curiosità ad una telefonata di Lara, quella di terza che stava frequentando. Lui usciva con lei ed improvvisamente ha cominciato ad evitarla e ad ignorarla perché evidentemente non le interessa più. Il suo giocattolino ora sono io e molto probabilmente non sono abbastanza per lui, perciò è alla ricerca di pascoli più verdi”. Mi accarezza la spalla. “Hey perché dici così? Non ho mai visto Leon così tanto preoccupato per una ragazza come con te, io sono convinta che provi qualcosa di sincero nei tuoi confronti. Ho visto come ti guarda”. Faccio una risata amara. “Tu vedi il buono in tutto, Fran. Ma vuoi sapere una notizia? Questo non è un mondo per buoni e gran pochi lo sono”. “Sarà. Io però cerco sempre di vedere le cose indagando da quali sensazioni o sentimenti vengono spinte. Credo che qualsiasi azione, oggetto o persona sia frutto di un sentimento più o meno sincero...ad esempio: il water nasce dall'esigenza di fare i bisogni in un luogo pulito e chiuso ossia deriva dalla sensazione di disgusto nel trovare cacche umane all'esterno”. Scoppio a ridere, ma da dove le è uscita questa? “Il water?”. “Senti Vilu, è la prima cosa che ho visto qui dentro”. “Sì ma di tutti gli esempi proprio il water?”. “Però vedi che c'è un sentimento dietro?”. “Giusto”. Le sorrido spontaneamente, riesce sempre a tirarmi su di morale. “E secondo te perché Leon ha rischiato di far rissa con Tomas e ti ha portato a casa sua per non farti vedere in quelle condizioni da tuo padre?”. “Perché non vuole che mi ubriachi alle feste?”. Si sbatte una mano sulla fronte “No, banana! E' geloso e si preoccupa per te e questo perché...?”. “...perché non vuole che i ragazzi se ne approfittino delle ragazze ubriache?”. Sbuffa rumorosamente. “Perché gli piaci, Vilu! Gli pia-ci!”. “E tu come fai a dirlo?”. “Sesto senso, credo”. Le do un leggera spinta. “A parte gli scherzi. Magari lui deve ancora accettarlo come te del resto, ci hai messo quasi due anni per ammetterlo! A volte non riesce a trattenere ciò che prova, come è normale che sia, e quindi lo dà a vedere...ad esempio alla festa sembrava che fossi la sua ragazza da come si comportava”. Faccio le spallucce...oh no, ora faccio pure i suoi stessi movimenti! “Può darsi di sì come può darsi di no, non sono nella sua testa. Non posso sapere. Io direi di tornare in classe, che dici? Il prof sarà in pensiero”. Cerco un appiglio e mi tirò su, poi aiuto Francesca ad alzarsi. “E' meglio che ci sbrighiamo, Sanchez mi aveva mandata qua per vedere come stavi. Credeva ti sentissi male”. “In effetti non ci è andato molto distante, dai andiamo”. Mi do una sistemata veloce davanti allo specchio ed usciamo dal bagno, dopodiché ci dirigiamo in classe. Guardo l'ora: sono le otto e trenta minuti, questa mattinata da schifo sembra non finire mai.

 

 

Sono seduta su una panchina con Fran poco distante dai distributori automatici, siamo in ricreazione. Il tempo sembra dilatarsi ogni secondo di più, non credo che ne uscirò viva a fine giornata. Mando giù un boccone di brioche mentre ascolto Francesca fare uno dei suoi soliti monologhi su Marco. Almeno si è innamorata di un bravo ragazzo, io sono l'unica tonta che si fissa sugli stronzi. A dir la verità me ne è piaciuto solo uno veramente e credo possiate immaginare di chi si tratta. Improvvisamente vedo Leon e Andrès dirigersi verso le macchinette, mi va di traverso un pezzo di pan di Spagna ed inizio a tossire. La mia migliore amica mi picchietta dietro la schiena e mi domanda: “Stai bene?”. Le faccio okay con la mano e continuo a mangiare silenziosamente. La vedo che si gira verso il distributore di snack, dopodiché mi guarda scocciata. “Ma perché non gli vai a parlare invece di strozzarti con la merendina?”. “Mi pare ovvio. Perché mai dovrei andare a parlargli quando potrebbe benissimo farlo lui?”. Allarga le braccia disperatamente. “Ma Vilu, porca di quella buona donna! Bene: a te piace, a lui piaci...non so se vi siete resi conto che i problemi ve li state creando da soli. In giro ci sono ragazze, non faccio nomi, che muoiono dietro ad un ragazzo che le considera solo amiche! E allora io dico: è una mancanza di rispetto nei confronti di chi ha un amore a senso unico, tu invece ce l'hai corrisposto e non fai nulla e a me girano le scatole, non poco!”. Lui è già tornato in classe da un po', mentre lei è paonazza in viso. “Oh mio Dio, Fran! Ma cosa ne vuoi sapere te? Sei per caso la sua psicologa? No. Quindi non puoi sapere cosa prova per me. Poi me l'ha detto anche lui: gli sono piaciute molte ragazze, ma nessuna l'ha colpito veramente. Perciò se prova interesse per me di certo sono una di quelle”. Mi balena alla mente la frase che mi ero ricordata l'altro ieri sera che mi aveva detto sul suo letto: 'Io sono solo e tu colmi il mio vuoto', cerco di scacciarla immediatamente dalla mia testa. “Sei più cocciuta di un mulo”. “Ah, adesso lo hai notato?”. Nel frattempo arriva Camilla con una confezione di croccantelle in mano e si siede accanto a Fran. “Ciao ragazze”. La salutiamo all'unisono, mi rivolge uno sguardo compassionevole. “Vilu, mi dispiace un sacco per quello che ti ha detto Ludmilla stamattina. Non capisco perché ce l'abbia così tanto con te, ho cercato più volte di farla ragionare ma rimane ferma nella sua posizione. Anche poco fa ci ho provato, ma non mi ascolta”. “Tranquilla Cami, è tutto a posto. Non serve che ti scomodi, tanto lei non cambierà mai”. Mi guarda triste. “Hai ragione, è veramente una stronza a volte”. A volte? Io direi sempre. Improvvisamente vedo estendersi sul suo volto un sorriso da un orecchio all'altro. “Oh Vilu a proposito: dovevate esserci adesso in classe, è venuta fuori una baruffa assurda!”. Francesca sgrana gli occhi e dice: “Fra chi?”. “Fra Ludmilla e Leon”. Scuoto il capo come se quelle parole fossero un colpo fortissimo da attutire. “E perché?”. Sbotto dalla mia apparente quiete. “Per te, Violetta”. “Per me?”. “Sì, proprio per te”. “E cosa hanno detto?”, chiede Fran anche lei presa dal discorso. “Da quel che ho capito lui è uscito dalla classe con Andrès per fare non so cosa, poi quando è tornato Ludmilla gli ha chiesto qualcosa per un giorno in cui dovevano trovarsi e lui le ha risposto che non sarebbe andato. Lei gli ha domandato il motivo e lui le ha detto che non gli era piaciuto come aveva trattato Vilu alla prima ora. Allora lei ha iniziato ad offenderla pesantemente e lui si è incazzato dicendo che la sua è solo invidia, che è un stronza egocentrica convinta di essere migliore degli altri e che in realtà se si dovesse misurare il valore fra Violetta e lei, Violetta la supererebbe dismisura. Più di questo non so, sono venuta qua da voi”. Ho la bocca spalancata e il cuore che mi martella nella gabbia toracica, ora rimpiango di uscire sempre alla ricreazione. La mia migliore amica sorride e si volta verso di me. “Visto? Che ti avevo detto?”. “Taci, Fran”. Mi gratto il braccio e mi guardo freneticamente attorno, i rumori sono lontani e riesco solo a sentire le voci nella mia testa. E' la seconda volta che mi difende eppure si ostina a non rivolgermi la parola, mi porta in uno dei luoghi nel quale ho sempre sognato andare e poi fa finta di non conoscermi. Io invece sono passiva più che mai e sembra che mi muova solo quando lo fa lui, forse è ora che faccia qualcosa.

 

 

Indovinate? Non ho fatto nulla, come sempre. Lui mi ha ignorata, Ludmilla mi lanciava occhiate sprezzanti ed io dentro di me pregavo che quelle maledette tre ore finissero al più presto. Per fortuna ora è tutto terminato e mi sto dirigendo verso la fermata dell'autobus facendo attenzione a non rivolgergli nemmeno uno sguardo. Ecco, lo intravedo seduto sulla panchina sotto la pensilina quindi opto per il muretto. Mi tolgo lo zaino e lo appoggio ai miei piedi, poi cerco nella tasca della giacca in pelle le cuffiette e le collego al cellulare. Scelgo 'Fresh Start Fever' degli You Me At Six e metto il volume al massimo, dopodiché fisso le macchine che mi passano davanti. Ad un tratto sento una mano togliermi un auricolare e qualcuno mi sussurra all'orecchio: “Ciao bimba”. Il suo fiato caldo di si infrange sul mio collo e rabbrividisco, quando abbassa la voce rendendola roca mi fa sempre quest'effetto. Mi volto di scatto ed assumo un'espressione incazzata. “Ciao”. “Perché non ti sei seduta sotto la pensilina? C'erano dei posti liberi”. “Fatti qualche domanda”. Seguono alcuni momenti di imbarazzante silenzio, poi dice: “Mi spieghi che cos'hai?”. Lo guardo esasperata, ho accumulato per tutta la giornata e prima o poi dovrò sfogarmi, no? “Entro in classe, non mi caghi e mi chiami per cognome. Parli invece con Ludmilla cazzo, Ludmilla! E ti fai baciare da lei, da quelle luride labbra coperte da tre chili di rossetto! Continui ad ignorarmi per tutto il giorno come se per te non contassi nulla e ora ti presenti qua facendo finta di niente. Sai che ti dico? Vai a fanculo!”. Incrocio le braccia sotto petto e serro la mascella. Non mi ride in faccia dopo questa scenata che, come quella dell'ultima volta, ha fatto girare tutti i presenti, anzi sembra dispiaciuto. “Senti, se ti ho fatto stare male sappi che mi dispiace. Non l'ho nemmeno fatto apposta, è più forte di me. So di essere uno stronzo, ne sono conscio e lo ammetto. Credimi se ti dico che di Ludmilla non mi interessa nulla, oggi ci ho pure litigato”. Fingo di non sapere del loro litigio. “Perché?”. Abbassa lo sguardo. “Per te. Non mi è piaciuto come ti ha trattata, a dir la verità anche quando faceva così l'anno scorso mi dava fastidio perché mi sembravi una tipa apposto. Eppure lei ti offendeva, una volta le ho pure detto di smetterla perché era solo ridicola e mi ha dato uno schiaffo fortissimo sul viso. Fidati, non ascoltare ciò che ti dice. Più le dai peso, più lei continuerà. Tu non sei per niente un rifiuto dell'umanità, anzi”. Gli sorrido e gli poso una mano sulla spalla. “Hey. Puoi guardarmi anche negli occhi, sai? Non mordo”. Ride ed alza il capo. “Non so, con te non mi riesce facile. Hai quegli occhi così grandi ed espressivi...mi danno l'impressione che fissando i miei potrebbero scavarmi dentro più di quanto non vorrei, è strano no?”. “No, non è strano. Quando guardo i tuoi mi formicola lo stomaco, sembrano celare un cuore grande”. Ma cosa gli ho confessato? No, queste sono cose da scrivere nel diario! Non da dire a lui. “Veramente pensi questo di me?”. Mi sfrego le mani e tentenno. “Sì...beh, ho sempre creduto fossi stronzo eh? Ma ero convinta che fosse tutta una questione di facciata. Dietro a quegli atteggiamenti da duro c'era e tutt'ora c'è un cuore enorme in grado di amare e di fare un sacco di cose”. Stringe una mano in un pugno e fa un sorrisetto triste. “Io non so amare”. “Si può sempre imparare”. Si volta e mi guarda negli occhi. “Non si può imparare”. “Sì che si può, basta trovare una persona paziente in grado di saperti dare tutto l'amore di cui necessiti. Tutti abbiamo bisogno di amare, ma in primis di essere amati”. Scuote leggermente il capo. “Amare credo sia una parola grossa”. “Pure io, si può sempre cominciare da un interesse reciproco. Non tutti gli amori sono frutto di colpi di fulmine, alcuni maturano col tempo”. “E come fa a maturare un amore?”. Sembra un bambino delle elementari che continua a porre domande apparentemente banali alla maestra, ahimè io ne so gran poco in materia. “Beh...innanzitutto, parlo da ragazza, basterebbe solo che ci sia per me e che mi voglia bene. Desidererei un ragazzo che mi protegga, che mi avverta quando sto sbagliando e che fosse...come dire...più un amico che un fidanzato. Cioè va bene scambiarsi effusioni, ma vorrei che gli interessassi più come persona che fisicamente”. “E tu lo hai trovato in passato?”. Sospiro in evidente tensione. “L'unico ragazzo che avrei potuto avere non mi piaceva perché gli interessava solo mettermi le mani addosso invece di chiedermi un semplice 'Tutto bene?', anche se ero rotta in mille pezzi lui non lo vedeva o meglio, faceva finta di non notarlo”. Assume un'espressione malinconica. “Ti capisco. A nessuna delle tipe con cui sono uscito importava veramente come stessi, fingevano interesse scrivendomi per messaggio 'Ciao come stai?' ma finiva subito là. Mi ricorderò sempre di una ragazza alla quale, penso sia l'unica, ho risposto 'Non molto bene' e lei sai cosa mi ha detto?”. Scuoto la testa. “'Tranquillo, ti tiro su io il morale stasera. Porta i preservativi'”. Distorco la bocca in segno di disgusto. “Che schifo”. “Lo so, in quel momento avevo bisogno di qualcuno che mi aiutasse e per lei quello era il modo migliore. Avevo quindici anni e avevo da poco perso la verginità, da lì in poi cominciai seriamente a pensare che il sesso fosse la consolazione”. Si accende una sigaretta dal nervosismo e imbocca una grande dose di fumo. “E lo era?”. “Ovvio che no. Ogni notte che trascorrevo per locali fra alcol e spinelli quando arrivava il momento in cui avevo finito di scopare con la più disponibile che trovavo, mi sembrava di lasciare una parte di me. E' strano da spiegare...dopo essermi concesso sembrava perdessi un piccolo, all'apparenza insignificante, pezzo di me finché sono arrivato ad essere completamente vuoto”. 'Io sono solo e tu colmi il mio vuoto', capisco un bel po' di cose in più ora. “Cosa ti ha salvato?”. Ride amaramente. “Per la maggior parte la musica, ma non sono ancora salvo del tutto”. Fa una pausa per espirare una nuvola grigia. “Ho bisogno di qualcuno che mi salvi”. Non so cosa dire o meglio, lo so ma ho paura della sua reazione. “Voglio salvarti io”. Gli accarezzo la mano posata sopra il muretto. “Tu sei pazza”. “Può essere, ma neanche tu sei da meno”. Mi sorride e, dopo aver gettato a terra la sigaretta, mi abbraccia forte. Tabacco e vaniglia. “Non voglio che tu ti faccia carico di un disastro come me”. Affondo il viso nell'incavo del suo collo. “Fra disastri ci si compatisce”. Sento qualcosa dentro di me, qualcosa di strano. Non il formicolio allo stomaco, non le fitte, non la sensazione di poter vomitare da un momento all'altro. E' come se mi avessero iniettato una sostanza in grado di assuefarmi ed inebriarmi. Nasce in me il desiderio di essere io a proteggerlo a mia volta, di vederlo felice, di passare più tempo possibile assieme a lui, di fargli un regalo per S.Valentino, di andare al centro commerciale a fare spese con lui, di farlo conoscere a mio padre, di premere le mie labbra contro le sue, di fare l'amore e che i nostri goffi abbracci durassero all'infinito. E' un sentimento del tutto nuovo, ma mi fa sentire così viva.

 

 

                                                                                                                                                         17 gennaio 2014

Caro diario,

oggi sto bene, ma non in modo normale. E' difficile da spiegare...sento come una sostanza calda dentro, ma non mi appesantisce...anzi! Mi fa sentire come se fluttuassi e tutto mi sembra bello, strano perché non sopporto qualunque cosa. Una mosca ronzava in camera mia mentre stavo studiando e, invece di ucciderla come farei di solito, l'ho aiutata ad uscire dalla finestra. Ho pulito pure il mio bagnetto perché avevo voglia di aiutare mio padre con le faccende domestiche. Non sono più io, questo mi pare chiaro. Stasera a cena c'era pure Angie e sia lei che papà mi hanno detto che non mi avevano mai vista così sorridente come negli ultimi giorni e che avrebbero piacere che io continuassi ad essere felice. Fino a poco tempo fa con mio padre era una litigata al giorno se non due, tu lo sai bene. Mi sfogavo sempre su di te, diario. Penso solo a lui ultimamente, non che prima fosse stato diverso. Ricordo che avevo iniziato a sentirmi con Diego perché nel suo modo di fare trovavo qualche caratteristica di Leon: la sfrontatezza, la stronzaggine, la nonchalance che mettono in ogni azione. Quasi subito, però, mi sono resa conto che non era la stessa cosa. Anzi, erano diversissimi! I suoi occhi, seppur fossero verde chiaro, non erano scuri come quelli di Leon e non avevano quel particolare bagliore che mi paralizza tutt'ora. Il sorriso, poi, non ne parliamo e le mani! Oh scusa, avevo promesso che avrei smesso di essere ossessionata dalle sue mani. Le vene, le dita affusolate, la giusta fattezza...scusa, ma è più forte di me! Quel che sto vivendo mi sembra troppo bello per essere vero, lui mi è sempre sembrato irraggiungibile. Unreachable. L'avevo composta proprio pensando a lui ed al al fatto che non avessi la minima possibilità di avvicinarmi, se non si era capito. Ora, non chiedermi il motivo, ho fame e vado a mangiare qualcosa.
A domani,

Violetta

 

 

Ripongo il diario sopra il comodino e, con la grazia di un elefante incinta, scendo le scale per andare al piano di sotto. Guardo l'orologio in soggiorno e non sono nemmeno le nove di sera, sposto lo sguardo su me stessa e mi rendo conto di essere già in pigiama, struccata e con un cucco disordinato in cima alla testa stile casalinga disperata. Poco mi importa, mica devo essere figa per Angie e papà. Li saluto passando davanti al divano mentre guardano un programma alla tv e vado in cucina. Controllo dispensa, frigo e freezer. E' una scelta difficile e importante: gelato o latte caldo? I miei occhi vanno dal cartone di latte al barattolo indecisi, alla fine opto per il gelato. Mi siedo su una sedia, tolgo il coperchio e affondo il cucchiaino nell'amarena. Suona il campanello. Aspetto alcuni secondi, nessuno va aprire. Scocciata e con il bussolotto in mano, mi dirigo a falcate verso la porta principale. “Certo che in questa casa nessuno fa niente, eh?”. Mi zittiscono e sbuffo rumorosamente, cosa staranno mai guardando di così interessante? Metto la mano sulla maniglia e a momenti la stacco dal modo violento in cui apro la porta. “Si può sapere chi è il testa di membro genitale maschile che rompe le scatole alle nove?!?”. Oh. God. Why. Devo prendere un'agendina e segnarmi tutte le figure di merda che faccio perché non è possibile che capitino tutte a me. Davanti a me c'è un Leon alquanto confuso, chiudo la porta rapidamente. Non doveva vedermi vestita da cinquantenne in menopausa, no! Appoggio il barattolo di gelato nel primo ripiano che trovo, mi sciolgo i capelli e la riapro. “Si può sapere che ti prende?”. Non riesco a dire nulla a parte un 'Ehm...', noto che mi sta guardando la maglia del pigiama. “Strapazzami di coccole?”, dice divertito. “Senti gli altri pigiami sono a lavare, piuttosto mi spieghi cosa ci fai qua?”. Mi porge il mio doppiopetto, oddio! Quello che avevo lasciato al Damn Night! “Sono venuto a riportarti la giacca”. Mi sbatto la mano sulla fronte. “Giusto! Ora che ci penso, mi sono dimenticata di portare i vestiti di tua mamma. Aspettami un secondo che...”. “Leon! Che ci fai qua?”. Tutte a me, tutte a me. Angie...proprio ora dovevi passare per l'entrata? “E' venuto perché gli devo dare...mmm...una matita!”. “Una matita? Non potresti dargliela a scuola?”. Lui si mette a braccia conserte e dice: “Non dovevi darmi gli appunti di inglese che ti avevo chiesto per domani e oggi ti sei dimenticata di portarmi?”. “Anche”. Il viso di mia zia è ancora sospettoso. “La matita è mia e, già che c'è, ci tiene a restituirmela”, aggiunge lui. “Beh allora fallo entrare, Vilu! Non essere scortese”. Gli faccio il gesto col braccio di entrare mentre lui se la ride sotto i baffi, gli strappo il giubbotto dalle mani e indico le scale senza proferire parola. Lui scuote il capo e mi sorride. Mentre saliamo al piano di sopra riesco a sentire papà urlare alla zia: “E questo chi è? Lo lasci andare nella stanza della mia bambina?!”. Terza figura di merda nel giro di cinque minuti, andiamo bene. Sempre muta come un pesce lo scorto fino in camera, poi chiudo il tutto dietro me. Si siede comodamente nel letto mentre frugo nell'armadio in cerca degli indumenti di Lucia. “Carina la stanza, è molto...rosa”. Mi volto ed assumo un'espressione imperturbabile. “L'hanno verniciata quando mia madre era incinta e ha scoperto che dovevo nascer femmina, il rosa ha smesso di piacermi dalla terza elementare”. Torno alla ricerca della felpa e dei jeans. “Cos'è questa? Un'agenda?”. Lo spio con la coda dell'occhio e vedo che sta per aprire il mio diario. Inutile dire che mi scaravento sopra di lui per toglierglielo dalla mani facendolo cadere all'indietro. “Non aprirlo nemmeno con lo sguardo”. “Uh, è il diario dei segreti? Sennò cosa mi fai?”. Solo ora mi rendo conto che gli sto parlando a pochi centimetri di distanza. “Non oseresti”. “Bimba, così mi provochi”. Deglutisco. “In che senso?”. Mi viene spontaneo domandarlo perché effettivamente sono a cavalcioni sopra di lui. “Nel senso che così mi istighi a volerlo leggere...cosa credevi?”. Divento rossa come un peperone e mi alzo. “Ah...ora ho capito. Ho sempre pensato che sotto quella scorza da puritana ci fosse una depravata assurda”. Gli mollo uno schiaffone sulla gamba. “Smettila di dire cazzate e alzati prima che entri mio padre e ti trovi steso sul mio letto”. Vado di nuovo nel mio guardaroba per continuare ciò che stavo facendo. “Non puoi tirare la palla e dopo non voler più giocare, non è corretto”. “Vedi come sei? Insistente. Perché ti ho fatto entrare? Potevi stare nel portico a gelarti le palle!”, dico senza nemmeno guardarlo in faccia. “Ti ho fatto solo un favore, quindi vedi di esserne grata. Poi tu in un modo o nell'altro riesci sempre a cambiare discorso, come l'altro ieri!”. “Certo, stavamo parlando del tuo pacco! E' ovvio che abbia voluto cambiare discorso”. Ma che cretina, che stupida, che rincoglionita! Ci sono cascata come un pera. Avevamo pattuito ieri che non si sarebbe più parlato del suo coso finché non avessi tirato fuori io l'argomento. Infatti lui scoppia in una risata fragorosa ed io continuo ad imprecare a bassa voce. Improvvisamente sento le sue braccia avvolgermi da dietro e mi sussurra all'orecchio: “Vedi? Gira e rigira riesco sempre a farti fare ciò che voglio”. Mi volto verso di lui e mi attira a sé, sento la sostanza inebriante espandersi sempre di più dal petto fino ad ogni singolo capillare. “Perché non vuoi che io sappia i tuoi segreti?”. Balbettando rispondo: “Pe-perché sono appu-punto segreti...”. “E chi ti dice che io non li sappia già?”. Usa sempre quella tonalità roca che mi fa impazzire. “Ora dovrei...la felpa...”. Cerco di uscire da questa situazione imbarazzante e tento di liberarmi dalla sua stretta, purtroppo i miei sforzi sono sempre vani. “I vestiti di mia mamma possono aspettare”. “Leon io mi sento...”. “...tu ti senti?”. “A disagio”. Si stacca da me e scrolla le spalle ricomponendosi. “Okay, come vuoi”. Presa da chissà quale istinto strano, urlo: “No, aspetta! Mi piaceva!”. Quinta figura di merda, in pratica lo sto implorando di turbarmi sessualmente. “Faccio il sexy per una volta e mi dici che ti fa sentire a disagio, poi urli che ti piace. Insomma, deciditi!”. Guardo le mie ciabatte con gli orsacchiotti vergognandomi di ciò che sto per confessargli. “Nessuno mi ha mai fatto una cosa del genere...essendo la prima volta ero un po' a disagio, ma non significa che non mi sia piaciuto”. Aggrotta la fronte. “E poi mi hai vista? Sembro una casalinga disperata!”. Fa un sorrisetto malizioso. “Le casalinghe possono essere molto, ma molto sexy”. Sgrano gli occhi e pone una mano come per dire 'Alt' tra me e lui. “Stavo scherzando, non scandalizzarti per così poco. Poi mica volevo portarti a letto Dio mio, ti pare che sia così cretino? Con la tua famiglia in giro per casa?”. Non scherzo se vi dico sto tremando leggermente. Non per paura o freddo, ma all'idea di farlo con lui. “E cosa avresti avuto intenzione di fare?”. Sbuffa e dopo mi sorride scuotendo il capo. “Il massimo che avrei potuto fare sarebbe stato baciarti dal momento che ci frequentiamo solo da sabato”. Non ci avevo pensato, infatti ci eravamo messi d'accordo sull'andare piano. “Scusami, scusami. Sono solo una cretina che pensa sempre male”. Lo abbraccio sinceramente dispiaciuta e lui, goffamente, ricambia. “Ho notato”. Rido, tolgo la testa dall'incavo del suo collo e lo guardo negli occhi in un modo in cui non l'avevo mai guardato prima di oggi. Si avvicina e posa delicatamente le labbra sulle mie, dando vita ad un bacio diverso anch'esso da tutti gli altri. Non passionale, a stampo o normale. Qualcosa di più dolce e pieno di trasporto che azzera tutto attorno in modo che non ci sia nient'altro che noi. La sostanza calda che poco prima si espansa, ora sembra emettere delle vibrazioni. I pensieri si sono spenti e riesco solo a sentire il battito del mio cuore correre come un pazzo. Non ho nemmeno paura che mio padre mi veda con lui in questo istante! I suoni sembrano ovattati e l'atmosfera circostante rarefatta, la magia finisce nel momento in cui mi stacco dalla sua bocca e dal suo corpo. Non so neanche quanto sia passato, il tempo l'ho scordato. Lui guarda l'ora nel cellulare e mi rivolge uno sguardo dispiaciuto. “Si è fatto tardi, devo andare”. Lo blocco. “No, aspetta!”. Ora mi è venuto in mente che avevo messo le cose della madre di Leon in una borsetta dentro il comodino, la tiro fuori e gliela porgo. “Ah e tieni anche questi nel caso papà ti domandasse qualcosa”. Gli lancio un quaderno a caso e una matita. “Oh giusto, grazie”. Rapidamente mi dà un bacio a stampo e mi dice: “Ci vediamo domani”. Saluto di rimando ed esce dalla camera. Quando ieri mi sono voltata nel vialetto e non c'era più ho provato una sensazione simile, ora però è aumentata dismisura. Ogni volta che se ne va e mi lascia sola, mi sento come se mi avessero tolto tutto. Vuota. Un'altra frase detta da Leon la sera in cui eravamo stesi sul suo letto si insinua a forza nella mia mente: “Tu mi offendi, ma non hai mai avuto la vera è propria intenzione di offendere. Gli altri sì, tu sei diversa. Non lo fai con cattiveria. Gli altri lo fanno perché credono che io sia una merda ed, effettivamente, so di esserlo. Però tu, tu...quando sono con te mi sembra di fare meno schifo. Mi comporto in modo migliore, mi sento una persona migliore”.


ANGOLO DELL'AUTRICE

Ciao a tutti, scusatemi se ci ho messo due giorni in più ad aggiornare! Ma credetemi: di questi sei giorni, tre non ho proprio potuto scrivere perché sono stata impegnata dalla mattina fino alla sera. Per non parlare, poi, delle verifiche e interrogazioni. Però, per farmi perdonare, ho deciso di allungare un po' di più il capitolo. Spero vivamente che vi sia piaciuto a e che aspettiate con impazienza il prossimo. Beh che dire di più? Grazie a tutti gli utenti che mi recensiscono, che mettono la mia storia fra le seguite o i preferiti e che mi contattano privatamente. Se non fosse per il vostro appoggio non sarei qua a scrivere questa fanfiction nella quale voi avete sempre creduto. Grazie ancora, alla prossima!
PS Spero di essermi fatta perdonare ;)

 

Ritorna all'indice


Capitolo 7
*** Capitolo 7 ***


                                                                 CAPITOLO 7

 

 

Mi sveglio di colpo e mi rendo conto di essere nella mia stanza. Mi metto seduta, mi gratto la testa e guardo l'ora: sono le sei, fra un quarto d'ora suonerà la sveglia. Tutt'attorno è apparentemente normale, ma sono io a sentirmi strana. Ho il ciclo? Non mi pare. Sgrano gli occhi, non voglio nemmeno guardare. Ma se non è sangue...no, non può essere. Scuoto il capo cercando di riordinare i pensieri e mi massaggio le tempie. Ora ho qualche ricordo di ciò che ho sognato stanotte, non avevo mai fatto un sogno del genere! Mi sento così...non riesco nemmeno a definirlo, non ne vado fiera. So solo che mi ha fatto altamente schi...oddio! La mia amica Gina lì sotto continua a dire il contrario, stringo le gambe per metterla a tacere. Okay, okay...lo ammetto, mi è piaciuto e anche troppo. Mi sembra di essere una specie di maniaca perversa, ma ora che ci rifletto bene ho fatto diversi pensieri poco casti su di lui nell'ultimo periodo e penso che il sogno di stanotte li riassuma tutti. Ma è normale alla mia età immaginarlo mentre mi monta come un tavolino dell'Ikea? La cosa più imbarazzante di tutte è che eravamo nei bagni del Damn Night e che lui era vestito come la sera della festa con la camicia sbottonata e le maniche arrotolate che lasciavano intravedere le vene. Le mani, soprattutto, mi toccavano in una maniera nella quale ho sempre fantasticato e la sua bocca stampava baci ovunque...stop! La devo smettere di dare piacere a Gina, è meglio che mi alzi e vada a fare colazione. Scendo le scale e, nel soggiorno, trovo papà e zia nel divano mentre dormono accoccolati. Quei due hanno poco da raccontarmi, si vede lontano un miglio che sono innamorati. Non mi dà fastidio che Angie e papà abbiano una storia perché il sentimento che li lega è sincero e se dovessi scegliere la donna ideale fra quelle che conosco, l'unico nome che mi sentirei di dire sarebbe quello di zia. Sorrido e nella mia mente nasce il desiderio che anche Leon mi guardi nel modo in cui si guardano loro, mi piacerebbe avere il suo amore. Mi dirigo in cucina e mi scaldo al microonde una scodella di latte, mi poso una mano sulla fronte mentre aspetto che finisca e ripenso a ciò che ho sognato. Come farò oggi a guardarlo normalmente senza fare tiri strani? L'unica cosa che provo è vergogna. Diventerò paonazza appena incrocerò i suoi occhi, ne sono sicura! Beh, ora che ci penso l'ipotesi che possa ignorarmi come ha fatto ieri non mi sembra tanto male in questa circostanza. “Hey sei già sveglia, Vilu?”. Mi volto e vedo mia zia con una coperta avvolta attorno alle spalle ferma sull'uscio. “Ehm si...”. “Strano, di solito ci tocca tirarti giù dal letto a forza”. Prendo la scodella, la poggio sul tavolo e ci metto dentro i cereali. “Mi sono svegliata poco prima che suonasse la sveglia, per cui non aveva senso continuare a dormire”. “Giusto”. Mi accomodo su una sedia cominciando a mangiare e lei si siede di fronte a me. “Non credevo stessi insieme a Leon”. Sputo dei corn flakes sul centrotavola. “Noi non siamo insieme”. “Okay, calma. Era tanto per dire, non credevo avresti reagito così. Allora...ti piace molto?”. Mescolo freneticamente la poltiglia che ho sotto il naso. “No...”. Mi sorride con fare materno. “Guarda che non c'è nulla di cui vergognarsi, è normale alla tua età”. L'ultima frase rimbomba nella mia scatola cranica, a questo punto mi domando se chiederglielo oppure no. “Angie...posso chiederti una cosa da ragazze?”. Annuisce col capo. “Certo tesoro, tutto ciò che vuoi”. “Ma...è normale fare sogni...particolari alla mia età?”. Si mette a braccia conserte. “Particolari in che senso? Spiegati”. “Ehm...cioè...mmm...”. “Sogni bagnati?”. Arrossisco e mi metto una mano davanti al volto come per coprirmi. “Sì...”. Scoppia a ridere, ma subito dopo si interrompe rendendosi conto che in salotto c'è papà che dorme. “Tesoro, non è una cosa di cui vergognarsi! Quest'anno hai sedici anni e credimi Vilu, è più che normale”. “Veramente?”. “Certo. Non voglio i dettagli sia chiaro, ma con chi era?”. Imbocco un po' di cereali. “Lo devo proprio dire?”. Sorride in modo comprensivo. “Sì certo, ho capito”. Le punto il cucchiaio contro. “Non azzardarti a dire nulla a papà”. Alza le mani in segno di resa. “Ti pare che farei fare un infarto a German?”. Ridiamo assieme. “Giusto, quindi bada bene a ciò che dici”. “Ho la bocca cucita”. Ripongo la scodella vuota nel lavabo e mi dirigo verso la porta. “Ah Vilu, un'ultima cosa”. Mi giro verso Angie. “Cosa?”. “Se hai qualche consiglio da chiedermi o qualcosa che hai voglia di raccontare, chiamami pure”. Mi guarda amorevolmente e le dico: “Grazie mille, zia. Lo farò”. Esco dalla cucina e sorrido fra me e me. Sono sempre più convinta che Angie voglia ricoprire la figura materna che mi manca.

 

 

Non so perché l'ho fatto, effettivamente mi sento una specie di battona. Ormai non posso tirarmi più indietro, però. Sospiro prima di abbassare la maniglia, che abbia avuto una buona idea? Ho così freddo. Presa da chissà quale piglio stamattina ho deciso di mettermi dei leggings neri strettissimi e una canottiera dei Linkin Park che mi arriva a metà coscia e che nel retro è fatta di pizzo. Ovviamente venendo a scuola in bus avevo indosso il doppiopetto, non sarei mai andata in giro pubblicamente in queste condizioni e a metà gennaio! Apro la porta e, impressione mia o meno, sento gli occhi di tutti puntati addosso. Vado in direzione del mio banco e mi ci siedo. Senza guardare in faccia nessuno, tiro fuori dalla cartella il libro e il quaderno di scienze e poso lo zaino accanto alla sedia. “Hey”. Alzo lo sguardo e trovo Leon appoggiato con un braccio nel mio banco. “Ciao”. Posso sentire la mia coscienza canticchiare 'Che imbarazzo', infatti segue uno di quei silenzi glaciali. Lui però mi guarda, ma non negli occhi. Seguo la traiettoria del suo sguardo e...oddio, mi sta guardando le tette. Non voglio dire cavolate e nemmeno illudermi, ma sembra proprio che sia così! Mi tocco i capelli in modo da coprirmi il seno con l'avambraccio e gli dico: “Cosa diremo a Galindo? Gli mostriamo gli schizzi?”. Aggrotta la fronte e mi guarda confuso. “Che hai detto?”. “Se mostriamo gli schizzi a Galindo”. “Ah sì, ce li ho io nella cartellina. Sai, ieri mia mamma è andata a prendere i materiali che avevamo deciso di comprare”. Sorrido piacevolmente sorpresa. “Sul serio?”. “Sì, gliel'ho chiesto l'altro giorno”. Giocherello con una ciocca. “Da quando ti interessa così tanto biologia?”. Si gratta la nuca. “Da quando mi hanno messo in coppia con te”. Arrossisco e lancio una breve occhiata verso Ludmilla che finge di guardare il cellulare quando in realtà mi sta lanciando sguardi sprezzanti. “Grazie”. “Di niente”. Mi sorride spontaneamente e contraccambio. “Senti...per sabato come ci organizziamo? Passo io a prenderti o ci fermiamo dopo scuola?”. “Io direi di fermarci dopo scuola”. “Tieni conto però che dopo avremo gli zaini con noi”. “Non è un problema”. “Perfetto, ne parliamo dopo durante discipline plastiche...ci sediamo vicini?”. O-okay...dov'è finito il ragazzo menefreghista di ieri? Proprio oggi che se mi avesse evitato sarei stata meglio. “Va bene”. Mi rivolge uno dei suoi sorrisi perfetti e si volta non appena sente entrare il professor Galindo. Si accomoda nella cattedra e fa l'appello come di consueto. Nel frattempo mentre sto aprendo l'astuccio, Napo mi chiama. “Violetta”. Mi giro verso di lui e mi porge un bigliettino. “Per te”. Lo afferro, apro e comincio a leggerlo. 'Ciao Violetta, sei una bellissima ragazza...l'ho sempre pensato, ma oggi mi hai stregato. Mi piaci dall'anno scorso, ma non ho mai avuto il coraggio di dirtelo. Sono da pochi anni in Argentina, ma una ragazza bella come te non l'ho trovata nemmeno in Ucraina...ti prego rispondimi. Voglio sapere se ho una piccola possibilità con te, Braco'. Oh. Mio. Dio. Lo arrotolo e lo infilo in tasca...devo per forza rispondere? Guardo nella sua direzione e noto che mi sta fissando. E' stata una pessima idea vestirmi così! Se fosse stato Leon il mittente, mi sarebbe andato più che bene. Ma Braco...non ci ho mai parlato ed ora se ne esce con questo bigliettino. Strappo un pezzettino di carta e velocemente scrivo: 'Mi spiace ma non sei il mio tipo'. Mmm...troppo crudele? Sì ma che cosa posso dirgli infondo? Che scusa mi invento? Cancello tutto. 'Mi spiace, ma sono già impegnata'. In un certo senso è vero, più che altro è il mio cuore ad essere impegnato. Lo piego e glielo passo a Napo. Dopo un po' sempre tramite il suo amico, mi arriva la risposta. 'Con chi? Devo saperlo'. Inspiro profondamente ed impugno la penna. 'Non sono affari che ti riguardano'. Fingo di essere interessata alla lezione di scienze, quando in realtà sto aspettando il bigliettino che prontamente arriva dopo poco. 'Lo scoprirò da solo, allora'. Trovo la cosa leggermente inquietante, decido allora di interrompere lo scambio. L'avevo già detto che capitano tutte a me? Adesso questo qua vuole sapere con chi sto insieme quando invece sono sola come una cane. Certo esco con Leon, ma non è nulla di ufficiale e poi non mi posso certo aspettare grandi cose visti i precedenti, diciamo che tendo a godermi il momento. “Ora vediamo...Castillo e Vargas. Mostratemi cosa avete ideato finora”. Mi risveglio dai miei pensieri e mi dirigo verso la cattedra insieme a Leon e mostriamo al prof i nostri schizzi. Ah, tra parentesi: li ho fatti tutti io perché lui è convinto che io sia più brava di lui a disegnare anche se credo sia il contrario. “Mmm...non male ragazzi, non male. Mmm...bene dai, posso dire che finora sia l'idea che più mi piace fra quelle che ho visto. Mescola arte e scienza, molto originale. Vedete che se unite le vostre testoline ne esce fuori qualcosa di buono?”. Si volta verso di noi sorridendo. “Guardi prof, se la mia testa esplodesse ed uscisse una minima parte della mia intelligenza basterebbe per rendere dei genti tutta la scuola”. Cerco di trattenermi, ma scoppio in una risata fragorosa assieme a lui. “Vedo che riuscite ad andare d'accordo, mi fa piacere. Però Vargas per la trecentesima volta da quando la conosco: si risparmi certi umorismi”. Ci restituisce i fogli e andiamo verso i nostri posti sghignazzando. Mi sussurra all'orecchio: “Sono una specie di Einstein racchiuso nel corpo di un giovane, attraente uomo”. Gli do una pacca sul braccio. “Se dovessimo trasformare il tuo ego in terra ne verrebbe fuori un nuovo continente”. “Mmm...no, non hai ancora superato la mia battuta sull'intelligenza”. Gli punto contro il dito. “Ce la farò, entro fine giornata ce la farò”. “Vedi di far di meglio”. Ci accomodiamo sulle nostre sedie e torniamo seri, almeno per una volta dobbiamo esserlo. Non ci siamo nemmeno resi conto di aver scherzato come facciamo di solito davanti alla classe che fino a ieri ci aveva visto quasi come degli sconosciuti, infatti ora tutti bisbigliano. Sento lo sguardo di Braco addosso, forse ha capito che mi piace Leon? Non mi sono mai comportata così con nessun ragazzo pubblicamente. Noto che pure Tomas sta lanciando occhiate strane verso il suo vicino di banco, è tutto così disagevole. E' come se ci avessero scoperti o qualcosa del genere, ma in fondo è ciò che voglio. Devono vedere che fra me e lui c'è qualcosa, così Ludmilla lo lascerà in pace. Lo so che io e lui non siamo assieme ma non deve nemmeno sfiorarlo col pensiero o la disintegro, ora non scherzo.

 

 

“No, ma sei un coglione allora!”. “Ha un bell'aspetto però, ammettilo”. “No che non ha un bell'aspetto, stronzo! Non posso neanche andare in bagno cinque minuti e tu mi rovini tutto il lavoro!”. “Eh dai, è solo argilla. Puoi sempre ricominciare tutto da capo”. Sto ancora fissando basita la mia tavoletta con la scultura che avevo cominciato spappolata da una manata di Leon. “Tutto da capo? Hai idea di cosa voglia dire tutto da capo?”. Con la coda dell'occhio vedo il professor Lisandro uscire dall'aula, quindi afferro una bella dose di argilla e gliela spiaccico in faccia. “Ma sei scema? Adesso ti faccio vedere io!”. Me ne infila un bel po' dentro per la canottiera, sento tutto freddo lungo l'addome. “Ma che cretino!”. Ne prendo altra e gliela schiaccio sopra la testa abbassandogli pure il ciuffo. Mi rivolge uno sguardo a dir poco glaciale, mi sa che con questo l'ho fatto incazzare. “Tu hai finito di vivere”. Me la spalma in tutto il viso a mo di maschera di bellezza. Ad un certo punto ci fermiamo, ci squadriamo dalla testa ai piedi e ci mettiamo a ridere. Sembriamo dei mostri perché abbiamo le facce piene d'argilla fresca e le braccia sporche fino ai gomiti. “Che cosa state facendo?”. Ci voltiamo di scatto e troviamo il professor Casal assieme a Lisandro dinnanzi a noi. Tutta l'attenzione della classe è rivolta verso di noi che invece ci limitiamo a scambiarci occhiate preoccupate. Leon guardandomi in volto inizia a sghignazzare, io cerco di trattenermi ma scoppio a ridere e lui mi segue a ruota libera. Non ce l'abbiamo fatta, mi sa che abbiamo peggiorato la situazione. “Vargas e Castillo, in presidenza!”. Sbianco di brutto, non mi era mai successa una cosa del genere. “Ora!!!”. Nell'aula è calato un silenzio di tomba e nessuno osa fiatare. Seri e rassegnati ci dirigiamo verso la porta, usciti dalla stanza mi dice: “Va tutto bene, non fare così. Capita a volte, su dai andiamoci a lavare un secondo in bagno”. Gli rivolgo un espressione esasperata. “Una nota è passabile, ma la presidenza Leon! Se mi scopre mio papà?”. Mi accarezza il braccio e mi guarda negli occhi. “Hey, calma. Vedrai che tutto si risolverà...abbiamo fatto una cazzata, okay ci sta. Basta non farne un dramma adesso!”. “Ma io non sono mai...”. Mi posa un dito sulle labbra. “Shh, tranquilla. Fidati di me, non succederà nulla”. Mi prende per mano e andiamo verso i bagni, forse in tutto questo casino c'è qualche lato positivo.

 

 

Siamo seduti su delle sedie scomodissime in una stanzetta veramente piccola. Non sono claustrofobica, ma credo lo diventerò da un momento all'altro. “Che posto di merda”. “Già, ma col tempo ti piacerà”. “Spero di non tornarci mai più sinceramente”. Mi guardo attorno disgustata, da quant'è che non puliscono questo posto? Tipico dei bidelli, sono pagati e non fanno il loro lavoro! “Ma quanto ci mette quello là dentro?”, dico sbuffando. “Chi? Enrique Montez? Starà dentro metà giornata di sicuro!”. Sgrano gli occhi. “Conosci quello là?”. Mi sta praticamente ridendo in faccia. “Chi non lo conosce! La presidenza ormai è la sua seconda casa e poi non so se lo sai...”. Si avvicina al mio orecchio. “...spaccia erba qua a scuola”. Spalanco la bocca. “Cosa?!”. “Shh non gridare, cazzo! Vuoi che lo scoprano?”. Mi metto a braccia conserte. “Eh beh, sì!”. “Vorresti veramente essere 'colei che ha parlato'? Io no di certo. I suoi affari vanno alla grande e fossi in te me ne starei buona se non vuoi essere odiata da tutta la scuola”. In effetti non ci avevo pensato. “Hai ragione”. “Io ho sempre ragione”. Estrae dalla tasca dei jeans un pacchetto di sigarette e se ne accende una. “Ma sei pazzo?”. “Perché? L'ho sempre fatto qua dentro”. Lo guardo torva. “Sempre?”. “Il primo anno in cui sono arrivato qua io e Andrès le abbiamo consumate queste sedie!”. “Se tu hai due anni più di me significa che sei stato bocciato due volte...ma non si può essere bocciati due volte nella stessa scuola. Quindi che istituto hai frequentato prima di questo?”. Espira una nuvola di fumo denso. “ITIS, mamma che scuola del cacchio! Diciamo che la mia prima bocciatura è stata del tutto colpa mia perché mi sono comportato da coglione”. “In che senso?”. “Nel senso che mi sono lasciato troppo prendere dall'uragano delle superiori, da là ho cominciato a fumare, bere, a saltare la scuola...mi rendo conto di essere stato un cretino inconsapevole, stavo frequentando brutta gente”. Ogni giorno che passa scopro sempre più cose sul suo conto e, sarò sincera, questo aspetto ribelle del suo carattere mi intriga. “E l'anno dopo?”. “Indovina? Mi hanno stangato di nuovo. Sono stato bocciato principalmente per le troppe assenze, poi diciamocelo: quelle poche volte che venivo a scuola ero sempre in questa saletta d'attesa”. Ride e getta la sigaretta a terra, poi ne accende un'altra di fila. Non è una risata di quelle genuine o di scherno, sembra piuttosto isterica. “Come mai non venivi spesso a scuola?”. Si volta e mi rivolge uno sguardo freddo e distaccato. “Secondo te?”. Segue il silenzio totale, ho capito dove vuole andare a parare. Lui continua ad imboccare quasi morbosamente dosi di fumo. “Posso fare un tiro?”. Mi rivolge un'espressione confusa. “Cosa?”. “Posso fare un tiro?”. “No, ovviamente”. “Proprio te che fumi come un turco me lo vieni a dire!”. “Senti bimba, con me abbassi i toni. Appunto perché sono io il primo a farlo non voglio che tu cominci, fumare è un vizio di merda e fa molto male”. Sbuffo e mi giro dalla parte opposta. Per una volta che cerco di essere come le tipe che lui frequenta solitamente, ammazza tutte le aspettative. “Non cercare di essere trasgressiva, non ti s'addice”. Lo guardo rabbiosa e sfogo tutta la tensione repressa nel profondo. “Credi che mi piaccia di andare in giro vestita così e chiederti di poter fumare una sigaretta? Lo faccio solo per piacerti di più, per essere come il tipo di ragazze che frequenti. Scusami se ti sbavo dietro dal primo istante in cui ti ho visto, sai? Sei l'unico ragazzo che mi sia veramente interessato in tutta la mia vita, il solo che sembra capirmi e che mi tranquillizza. Mi spiace cazzo! Mi spiace che una pudica, cessa e bambina come me ti venga dietro...mi sento una puttanella conciata in questo modo, volevo solamente attirare la tua attenzione!”. Lancia il mozzicone dall'altra parte della stanza, si volta e mi prende le mani guardandomi con quei suoi smeraldi. “Io non ti ho mai chiesto di cambiare per me, semmai dovrei essere io a farlo”. “Sì ma io...”. “Tu nulla, bimba. Ammetto che vestita così stai da Dio, però ieri sera con quel pigiamino e struccata per me eri ancora meglio. Le belle ragazze si vedono in quel caso, non di certo alla feste quando sono tutte in tiro! Mi spiace di averti trasmesso l'impressione che io sia un ragazzo solo legato alla fisicità e al sesso, io di certo non volevo...”. Decido di interromperlo. “No, tu mi hai trasmesso altro. Era in un certo senso per rimediare alla figura da ragazzina acerba che mi sono fatta ieri sera”. Corruga la fronte. “Quale scusa?”. “Tu ci provavi con me in un modo un po'...spinto ed io mi sono fatta prendere dal panico”. Scoppia a ridere. “Ma bimba, tu credi che abbia cambiato idea sul tuo conto solo perché non ti sentivi pronta a certe cose? Allora non mi hai capito per niente: se mi piaci, è per il tuo carattere”. Abbassa subito lo sguardo come se quelle parole gli fossero uscite senza volerlo. Ha detto che gli piaccio, oddio...respira. Cazzo Vilu, dì qualcosa! Non fare la codarda, non in questo momento porco canarino!! Inspiro profondamente ossigeno e cerco di articolare un discorso di senso compiuto o quanto meno comprensibile. “Anche tu mi piaci...tanto”. Alza il capo e mi sorride timidamente. “Sai? L'anno scorso ti avevo già vista in fermata, ma non ho mai avuto il coraggio di parlarti. Strano, no? Rimorchiavo vagonate di ragazze il sabato sera, ma mi vergognavo ad avvicinarmi ad una. Il fatto è che non sapevo cosa dire, non avevo nessun pretesto per parlarti e temevo mi avresti mandato via”. “Non l'avrei mai fatto”. Improvvisamente si apre la porta della presidenza e da essa esce il 'famoso' Enrique Montez. “Lascia fare tutto a me”. Lo guardo sbigottita. “Perché mai dovrei star zitta?”. “Fidati, so come fartela scampare”. “Non avrai mica intenzione di addossarti tutta la colpa, vero?”. Fa le spallucce. “E anche se fosse? Sono abituato”. “No! Se ti sospendono e vieni bocciato ancora?! Dovrai cambiare scuola e io non riuscirei a...”. Mi accarezza la guancia. “Vuoi calmarti? Mica mi sospendono per dell'argilla, me la caverò con un richiamo a casa”. “Non voglio che...”. “Per l'amor di Dio, ma quanto sei testarda! Ti ho detto di lasciarmi parlare: so come ci si muove in queste situazioni”. “Basta che non ti metti nei casini per me”. Sbuffa rumorosamente e poi mi rivolge un sorriso dolce. “Okay, cercherò di risolvere la situazione senza mettermi nei casini”. Lo abbraccio e posso respirare a pieni polmoni il suo profumo: tabacco e vaniglia. Mi stacco appena per afferrare il suo viso tra le mie mani, è così perfetto. Cerco, allora, di avvicinarmi io...“Ehm...disturbo?”. Nell'uscio della presidenza c'è il preside Marotti vestito di tutto punto in giacca e cravatta che si schiarisce la voce, noi ci alziamo prontamente dalle sedie. “No, preside Marotti”. “Su, rapidi! Filate dentro, non ho mica tempo da perdere ragazzini”. Ci mima il gesto di entrare e noi ci incamminiamo dentro la zona che io definisco 'proibita', deglutisco a fatica ed il cuore mi martella. Ho paura per quello che accadrà. Leon nota il mio cambiamento di espressione ed intreccia la sua mano con la mia stringendola forte e ci addentriamo. Sì, forse è meglio che parli lui.

 

 

“Quindi tutto risolto?”. “Sì, certo. Non ha nemmeno avvertito i genitori, l'abbiamo scampata con un richiamo”. “Che culo”. Francesca estrae dall'armadietto il suo giubbotto e mi passa il mio. “Ah, mentre tu eri in presidenza Sanchez ha interrogato in storia ed indovina chi ha chiamato? Marco e la vipera. Lui ha preso sei senza nemmeno studiare, un altro culone! Mentre Ludmilla, tieniti pronta...tre e mezzo”. Chiudo il lucchetto e metto le chiavi in tasca. “Fran, non ti dico quanto sto godendo in questo momento”. “Che porcellina!”, dice una voce fin troppo familiare. “Eppure non hai motivo di godere in un luogo sciatto come questo”. Mi volto e trovo Leon appoggiato con una spalla agli armadietti e mi sorride malizioso. “Per quello che ne sai te, dolcezza”. Dolcezza? Da che pulpito mi è uscita questa? “Come si fa, allora? Illustrami, dal momento che sei un'esperta a quanto pare”. Fran è alquanto scioccata dal discorso che stiamo conducendo, le sue smorfie sono buffissime. “O-okay, io mi dileguo. Ciao Vilu, ciao Leon...a domani”. Mi dà un bacio sulla guancia e, goffamente, se ne va. Allontanatasi, lui si volta verso di me ed incrocia le braccia al petto. “Finalmente soli”. Gli do una pacca sul braccio. “Hey! E' la mia migliore amica”. “Quando capirai che io scherzo sempre?”. “Quando la smetterai di essere serio quando 'scherzi'. Ah, aspetta: ho qualcosa per te!”. Mi tolgo lo zaino ed inizio a frugare dentro di esso. “Che cosa?”. “Porta pazienza ancora un secondo...ecco”. Tiro fuori dal disordine di libri e quaderni un Kinder Bueno e glielo porgo. “Vedi che ti penso?”. Lo afferra come se fosse un oggetto di indefinibile valore. “Brava la mia bimba!”. Arrossisco ed abbasso lo sguardo, adoro quando mi chiama così. “Sbaglio o ho il potere di farti arrossire ogni tre secondi?”. “Scemo”. “Può darsi, ma almeno sono bello”. Inizia a scartarsi lo snack. “Pff...ma scusa, non ti conviene mangiarlo più tardi dal momento che fra poco pranzerai?”. Alza l'indice sinistro. “Ci sono due cose a cui non si può proprio dire di no: una ragazza arrapata e un Kinder Bueno”. Scoppiamo a ridere, possibile che pensi solo a quello? “Sei proprio impossibile!”. Dà un morsicone al cioccolatino arrivando quasi alla metà, è un mostro. “Parla quella”. Mi ritrovo a fissarlo intento a mangiare con la foga di 'un bufalo indemoniato' come dice sua madre e, nonostante tutto, continuo a trovarlo carino. Nelle piccole cose, in tutto ciò che fa, lui riesce sempre ad essere bellissimo in qualunque contesto. Ed eccola ancora: quella sostanza calda ed inebriante che invade ogni cellula del mio corpo, scivola lungo gli arti e provoca brividi lungo la schiena. “Ho qualcosa di strano sulla faccia?”, chiede torvo. “No, nulla”. Mi avvicino tanto da farlo sbattere contro gli armadietti. “Che fai?”. “Riprendo da dove il preside Marotti ci ha interrotti”. Stringo il suo viso e lo bacio con un enfasi ed un'energia che nemmeno io credevo d'avere. Lui, dal suo canto, contraccambia ed infila le mani sotto la canottiera facendomi rabbrividire. Continuo a cercare la sua lingua e, probabilmente presa dalla mancata lucidità, poso un palmo fra le sue gambe. No, okay...mi sto facendo troppo condizionare dal sogno di stanotte, mi sa! E' lui il primo a staccarsi e, lentamente, leva la mia mano. Mi guarda negli occhi e sghignazza. “Vedo che mi hai mostrato il modo per godere agli armadietti”. “Perché mi hai interrotto?”. Ride ancora di più e mi abbraccia. “Oh piccola ed ingenua Vilu, ti ricordo che oggi siamo finiti dal preside e non vorrei mai finirci di nuovo per atti osceni in luogo pubblico”. Effettivamente ho perso la cognizione di dove sono. “Scusami...”. Mi allontano ed abbasso la testa pervasa dalla vergogna, ora che ho ripreso il lume della ragione mi rendo conto di essermi comportata da maiala. “Non che mi dispiaccia eh? Però non devi sentirti in dovere di rimediare a ieri sera, comunque non avremmo fatto nulla”. “Ma? Non era per...”. “Ricordi cosa avevamo pattuito? Andarci piano”. Allargo le braccia. “Leon, non sono più una bambina! Le altre te le porti a letto la sera stessa in cui le conosci e con me non fai nulla?”. Mi prende la mano e sorride flebilmente. “Tu non sei come le altre, con te sento di dovermi comportare in modo migliore. Mi sembra di essere una persona migliore. Scommetto che devi ancora fare qualcosa di quel tipo, giusto?”. Mi guardo attorno visibilmente a disagio. “Mmm...sì”. “Ecco, come immaginavo. Quindi procediamo per gradi, non fraintendere: non significa che non sia...ehm...attratto da te, vuol dire solo che non voglio farti far cose di cui potresti pentirti e soprattutto che non sai fare. Ripeto: andiamoci con calma, prima vediamo se riusciamo ad andare d'accordo poi valuterò”. Anche se non è andata come speravo, mi gonfio di un dolce piacere e mi butto fra le sue braccia. 'Tu mi offendi, ma non hai mai avuto la vera è propria intenzione di offendere. Gli altri sì, tu sei diversa. Non lo fai con cattiveria. Gli altri lo fanno perché credono che io sia una merda ed, effettivamente, so di esserlo. Però tu, tu...quando sono con te mi sembra di fare meno schifo. Mi comporto in modo migliore, mi sento una persona migliore'. Sciogliamo il nostro goffo abbraccio e ci mettiamo i giubbotti. Usciamo dalla scuola e ci dirigiamo verso la fermata per mano silenziosamente. Ed è così che dentro di me si fa strada la certezza che quella cosa calda che viaggia nel mio interno possa essere molto più di una sensazione fisica. Amore. Non una cottarella qualsiasi, proprio amore. Più lo guardo e più capisco quanto lo amo e quanto voglia vederlo felice al mio fianco. Ora ho le mani legate, sono fregata. Se finisce male soffrirò come un cane bastonato e non so se sarò in grado di superarlo, ma al diavolo tutti i timori! Sono felice da far schifo e non mi importa di niente e nessuno all'infuori di noi.

 

 

                                                                                                                                                        18 gennaio 2014

Caro diario,

parto subito con le notizie bomba: ho fatto il mio primo sogno bagnato, sono finita dal preside, Leon ha ammesso che gli piaccio, ho toccato (esternamente) il suo pacco e mi sono resa conto di amarlo. Quante cose in un solo giorno, eh? Ora vado più con calma. La prima...beh...se la saltassi sarebbe meglio. Però è un diario segreto e, sperando che mio padre non lo trovi, devo per forza sfogarmi qui. Non andrò nel dettaglio, stavo ballando in mezzo alla pista del Damn Night che era stranamente vuoto. Già da qua è irreale, ma non è ancora finita. Improvvisamente ho sentito le sue possenti braccia afferrarmi da dietro e attirarmi al suo corpo. “Che stai facendo?”, gli ho domandato. “Ieri non abbiamo finito un paio di cosette”. Mi sono voltata verso di lui e ho notato che era vestito come il giorno della studentesca, tutto su un colpo mi ha baciata con passione e mi ha portato fino ai bagni del locale. Lì abbiamo iniziato a spogliarci con foga e...basta, finisco qua il racconto del sogno perché è meglio così, certi particolari li tengo per me. Poi oggi a scuola mi ha rovinato il lavoro di plastiche e tra una cosa e l'altra abbiamo fatto una specie di battaglia con l'argilla, ma per nostra sfortuna in quel momento è entrato il prof Casal con Lisandro che gli doveva mostrare alcune carte e...BAM! In presidenza. Nella saletta d'attesa ci siamo confidati, mi ha raccontato altri aspetti di lui che ancora non sapevo e, senza volerlo, ha ammesso che gli piaccio. Pure io ho affermato di contraccambiare! Per fortuna che aveva esperienza su come trattare con Marotti, infatti grazie a lui siamo riusciti a scamparla con un solo richiamo. Alla fine delle lezioni, invece, è venuto a prendermi agli armadietti e, dopo avergli regalato un Kinder Bueno (so che li adora), l'ho baciato dal momento che in saletta eravamo stati interrotti. Presa da chissà quale istinto animalesco/perverso, ho posato una mano in corrispondenza del...mmm...suo coso. Lui si è staccato e mi ha detto che non vuole costringermi a fare nulla e che dobbiamo andare con calma...mi sa che non ha capito che in quel momento non lo stavo facendo per rimediare alle figuracce di ieri, ma perché lo volevo io. Comunque la trovo una cosa veramente, ma veramente dolce da parte sua. Con le altra ragazze non si è mai comportato così e con me ha affermato di sentirsi migliore. I suoi (pochi) complimenti mi lusingano come poche cose! Poco dopo, mentre stavamo raggiungendo la fermata in silenzio, l'ho fissato bene e solo ora ho capito cos'è quella sostanza calda ed inebriante che mi scorre nella vene: amore. Come ho fatto a non accorgermene prima? Io sono innamorata di lui da un sacco di tempo, solo che l'ho represso con una maschera di odio. Ho paura per il futuro, però cerco di vivere al massimo il momento perché sono molto, forse troppo, felice. Infine mentre aspettavamo l'autobus (maledetto) abbiamo discusso su come organizzarci quando verrà a casa mia giovedì, chiacchierato del più e del meno e ci siamo fatti degli autoscatti idioti. Lui ha la capacità di farmi con poco, veramente.
A domani,

Violetta

 

 

Chiudo il diario e lo ripongo all'interno del cassettino. Che giornata piena ed intensa, per fortuna che papà non ha scoperto nulla riguardo la convocazione in presidenza! Per noia, prendo in mano il cellulare e scorro fra i 'preferiti' di Whatsapp e noto che Leon ha cambiato immagine del profilo, la apro...oddio! Ma siamo io e lui, è uno delle foto che ci siamo fatti oggi col suo telefono. Per fortuna ha messo l'unico autoscatto in cui abbiamo fatto delle facce normali! Solo ora leggo il suo stato: 'La felicità arriva quando meno te l'aspetti'.


ANGOLO DELL'AUTRICE
Ciao bananoni (?), eccomi qua con un nuovo capitolo! Per chi non avesse letto i messaggi privati che ho mandato, vi avverto: i tempi di aggiornamento della fanfiction d'ora in poi saranno più lunghi perché ho pure io i miei impegni scolastici e non ed una vita sociale seppur precaria :') ringrazio chi mi recensisce puntualmente il capitolo, chi mi contatta per complimentarsi della storia e anche chi mi aggiunge fra i preferiti e le seguite. Conta moltissimo per me il supporto costante che mi date!
Un abbraccio,

Gre

 

 

Ritorna all'indice


Capitolo 8
*** Capitolo 8 ***


                                                                        CAPITOLO 8

 

 

Cammino lungo una strada deserta, appuntiti pezzi di vetro mi scorticano la pianta dei piedi nudi. Intorno il nulla, solo arbusti. Decine e decine di arbusti dai colori sbiaditi, è il crepuscolo. Sono vestita con solo una vestaglia bianco candido, ho i capelli lunghi e castani che mi ricadono lungo la schiena e la pelle trasparente costellata da lividi e graffi. Improvvisamente una luce mi acceca, sembrano i fanali di un automobile e penso che da un momento all'altro mi prenderà in pieno scaraventandovi chissà dove. Mi preparo psicologicamente al colpo chiudendo gli occhi e serrando la mascella. Niente. Niente macchina, niente volo. Solo una sagoma che si avvicina uscendo da uno spesso strato di nebbia, cerco di metterla a fuoco. In un primo momento non riesco a capire chi sia la persona che mi stia venendo incontro, ma ora è tutto chiaro. E' mia madre. Perfetta nel suo vestito argentato e con il suo bellissimo sorriso che non ho mai dimenticato. Corro senza badare al dolore che mi provoca ogni passo e la raggiungo, sono a pochi metri da lei. Mi scruta coi suoi occhi nocciola da capo a piedi e quando capisce chi sono, mi regala un altro dei suoi fantastici sorrisi. Mi avvicino ancora di più e tutto ad un tratto la sua espressione felice svanisce. Adesso mi guarda spaventata, comincia a piangere e mi indica tremando. “Violetta! Violetta!”. Perché urla il mio nome? Sposto allora lo sguardo su me stessa. Dai graffi escono fiotti di sangue e i lividi violacei si espandono a vista d'occhio, la pelle si sta consumando e le mie gambe cedono. Cerco di raggiungerla strisciando a terra ma non vedo più nulla, solo ombre che tentano di mangiarmi viva.

 

 

Mi sveglio di soprassalto singhiozzando. Affondo i palmi nel mio volto, mi rendo conto di avere le guance rigate di lacrime e gli occhi umidi e gonfi. Era da un po' di tempo che non facevo brutti sogni e mi pareva strano che non fossero ricomparsi a tormentarmi la notte. Ora eccone uno, sembra che più cresca e più gli incubi diventino paurosi. Mi alzo dal letto e vado in bagno a risciacquarmi il viso con dell'acqua gelata, dopodiché mi bagno anche i polsi e tampono il tutto con un asciugamano. Sento un forte disorientamento e, a tentoni, torno nella mia stanza. Afferro la sveglia e l'avvicino alla faccia per vedere l'ora: sono le tre del mattino. La getto in un punto non definito nel pavimento, prendo il pc e mi metto seduta sotto le coperte. Devo staccare la mente per un po', devo infilarci dentro cose futili e superficiali per rimuovere tutti i dispiaceri. Entro su Facebook, controllo le notifiche ed inizio a scorrazzare per la home concentrandomi più che altro sui post delle pagine che su quello che pubblica la gente, sinceramente di quest'ultimo non me ne può fregar di meno. Infatti mi ritrovo a guardare le immagini di una pagina sui Mars, almeno la vista di quei tre figacci mi distrae. Improvvisamente, mentre sto guardando una foto di Jared Leto, si apre in basso a destra la chat e vedo che c'è un messaggio da parte di Leon.
Anche tu sveglia a quest'ora?

19 gennaio 2014, ore 03.07

Sospiro profondamente. Glielo dico? Sì, in fondo è l'unico che può aiutarmi.

Incubi.

19 gennaio 2014, ore 03.07

Anche io.

19 gennaio 2014, ore 03.08

Non faccio nemmeno in tempo a posare le mani sulla tastiera per dargli una risposta che mi arriva un altro messaggio.

Aspetta un secondo...

19 gennaio, ore 03.08

Aspetto un paio di secondi e tutto d'un tratto nello schermo appare una richiesta di videochiamata da parte sua, clicco su 'Accetta' e si apre una finestra con Leon al centro. Perché ha voluto contattarmi con la webcam? “Hey bimba, riesci a sentirmi?”. “Forte e chiaro”. Mi saluta con la mano ed io faccio altrettanto. “Perché mi hai videochiamato?”. Scrolla le spalle, perfino alle tre del mattino ha la forza di fare quel fottuto movimento. “Dal momento che non me la sento di prendere l'auto e girare nel cuore della notte per le vie malfamate di Buenos Aires per venire da te, questa mi sembra una buona via di mezzo”. Sorrido timidamente. “Hai pianto?”, mi domanda. Annuisco col capo. “Oh no...piccola, credimi se ti dico che se fossi lì ti abbraccerei fino a stritolarti e che quelle lacrime te le asciugherei tutte. Devi accontentarti però di questo”. “E' molto carino da parte tua”. Faccio una breve pausa. “Tu che hai sognato?”. Sospira e guarda in basso, ci mette un po' prima di rispondere. “Ho sognato che mia madre era stata rapita da mio padre e che io volevo ucciderlo a tutti i costi, quando ho scoperto il covo dove la teneva prigioniera ho tentato di sparargli in testa ma per sbaglio ho colpito lei dritta al cuore...poi mi sono svegliato”. Deglutisco della saliva, anche lui non scherza con gli incubi. “Te invece?”. “Io...camminavo a piedi nudi sopra a dei pezzi di vetro in una strada grande e deserta, improvvisamente una luce mi ha abbagliato e, credendo fosse un auto, aspettavo che mi investisse da un momento all'altro. Invece non è successo nulla, da una nube fitta e scura è uscita mia madre ed io ho cominciato a correrle incontro noncurante del dolore che mi provocavano i cocci correndo e che provavo con i lividi lungo il corpo. Arrivata poco distante da lei, mi ha guardata e, dopo avermi riconosciuta, mi ha sorriso. Questa sensazione piacevole però non è durata per molto: ha cominciato a gridare il mio nome e ad additarmi, ho spostato lo sguardo su me stessa e solo in quel momento ho notato che dalle ferite usciva sangue a non finire e che le botte violacee si stavano espandendo rapidamente. In più cercavo di raggiungerla, ma le mie gambe avevano ceduto ed in pratica ero stesa a terra e cieca. Le uniche cose che riuscivo ad individuare erano delle forme indistinte che con i loro denti aguzzi mi stavano lacerando la carne”. Segue il silenzio, evidentemente sta cercando le parole giuste da usare. “Secondo me guardi troppi film di Tim Burton”. Rido flebilmente, è come un angelo caduto dal cielo proprio nel momento del bisogno. “Dai, seriamente. Secondo te hanno un qualche significato nascosto i nostri sogni?”. “Non credo sai? Penso che i sogni siano solo una rielaborazione dei nostri pensieri e delle nostre paure. Io odio mio padre e temo che mia madre possa tornare con lui e per il tuo probabilmente c'è una qualche collegamento con l'incidente stradale e col fatto che magari tua madre non vorrebbe che ti distrugga facendo riferimento solo al passato, capisci cosa intendo”. “Sì, capisco”. Abbassa lo sguardo e poi lo rialza. “Attaccati pure ad un ricordo che tanto poi cadi...questo mi dice sempre mamma”. Sorrido cercando di alleggerire il discorso. “Non ti facevo così filosofico, Leon. Mai pensato di iscriverti al classico se ti dovesse andar male?”. Mima il gesto di spararsi in bocca. “Piuttosto vado a lavorare”. Scoppiamo a ridere. “Non hai idea di quanto mi faccia bene sfogarmi con te, di solito non racconto nemmeno a Francesca certe cose”. “Idem”. Si gratta la testa e guarda dritto nell'obiettivo della webcam. “Da quando hai dormito qui da me in poi, il letto mi sembra così grande...tanto da farmi sentire solo perfino in casa mia”. 'Io sono solo e tu colmi il mio vuoto'. “Anche io vorrei averti con me in questo momento, riuscirei di sicuro ad addormentarmi”. Si vede che sono stanca morta, in una situazione normale non avrei il coraggio di dirgli certe cose. “Credevo che mia madre fosse l'unica donna per la quale avrei 'lottato' per strapparle un sorriso, per renderla felice e per proteggerla. Poi sei arrivata te e hai trasformato tutte le mie certezze in creta e le stai sgretolando ad una ad una. Non mi sono mai sentito così in dovere di assicurare il bene ad una persona oltre a mamma”. Siamo entrambi stanchissimi, mi pare più che ovvio. “Senti è da tanto che te lo voglio domandare...ma non ho mai avuto le palle di chiedertelo. Ricordi il disegno che avevi fatto poco tempo fa? Quello con la stanza fatta di specchi? Ecco...quel ragazzo fra la folla ero io?”. Sgrano gli occhi e sbianco, ma se lo ricorda ancora? “Mmm...non volutamente, ma sì”. “Cosa intendi dire?”. “Nel senso che ti somiglia molto, ma non l'ho fatto apposta. Quando disegno non penso a nulla, svuoto completamente la testa dai pensieri e la matita scorre da sola sul foglio”. “Mi hai messo nella folla che ti stava ignorando...”. “Ero convinta che di me non te ne fosse mai importato nulla”. Scoppia a ridere. “Ma se di te mi è sempre importato!”. “Non me l'hai mai dimostrato”. Sbuffa rumorosamente. “Che dovevo fare, bimba? Mi veniva riferito ciò che dicevi di me, sai? Troglodita, deficiente, viziato, stronzo, arrogante, smorfioso, incoerente...potrei continuare fino alle cinque del mattino! E' logico che dopo non ho mai avuto il coraggio di parlarti, se tu pensavi questo di me di certo non ne valeva la pena. Uscivano poche parole dalla tua bocca, ma pesavano come macigni. Lo ammetto: più di una volta ci sono rimasto male. Sapevo che in molti pensavano questo di me, ma quando lo dicevi tu ci stavo sempre di merda”. E' imbarazzato, riesco a leggerglielo sul volto. “Io non credevo che ciò che dicessi...”. “...credevi male”. Ora il suo viso si tinge di amarezza. No, no aspetta che fai? Non volevo farti soffrire, io non volevo...“Leon, ascoltami. Dicevo di odiarti solo perché in realtà mi piacevi un casino e, fidati, non c'è niente di peggio che mentire a sé stessi. Non mentivo solo agli altri, ma soprattutto a me. Quando ti vedevo entrare in classe nella mia testa era tutto un 'Vilu, lui non ti piace. Ti fa ribrezzo. Lo devi detestare. Non guardarlo così o capirà che ti interessa. Perché non ti deve interessare.' e quando parlando con gli altri mi uscivano tutte quelle offese che ti hanno fatto star male, sappi solo che le usavo più per convincere me stessa di ciò che dicevo. Nel profondo ero conscia che erano tutte parole buttate al vento e che anche se mi fossi sforzata di non pensarti ci sarei ricaduta comunque, però...cercavo di allontanarti dai miei pensieri, ero sicura che il tutto avrebbe provocato solo dolore perché eravamo così distanti così come le nostre realtà. E ama...ehm, andarti dietro non avrebbe avuto senso”. Mi osserva per un po' piacevolmente sorpreso, poi dice: “Quand'è che hai capito che ti piacevo?”. Ci rifletto un attimo...oh, ora mi è venuto in mente il momento esatto. “Il primo giorno di prima ero seduta sul banco tutta spaesata ed impaurita perché non conoscevo nessuno. Mi guardavo attorno morbosamente studiando la mia nuova classe e cercando disperatamente una faccia amica, poi improvvisamente ho incrociato il tuo sguardo e sono rimasta letteralmente pietrificata. Me lo ricordo ancora bene: eri vestito con una camicia a quadri rossa, dei jeans di marca e della Vans nere. Poi il prof Sanchez ha fatto l'appello ed ero là che aspettavo che parlassi per scoprire come ti chiamavi, quanti anni avevi e cose così...si può dire che mi sei piaciuto fin da subito”. Non mi sono nemmeno resa conto che di aver raccontato questo aneddoto con un sorrisetto beato stampato in faccia. “E...te?”. Tentenna. “Hai cominciato a piacermi seriamente da quando abbiamo iniziato a parlarci, ma diciamo che nutrivo un interesse per te da un bel po' di tempo. Mmm...sì, ora mi ricordo: dalla gita a Cordoba”. Lo guardo torva. “Perché dalla gita a Cordoba?”. Non ci eravamo nemmeno cagati. “Ti giuro ce l'ho stampato qua...”. Si sbatte le mano sulla fronte. “...in bus eri seduta nei posti con il tavolino assieme a Francesca, Camilla e Marco mentre io ero poco distante da voi seduto accanto a Ludmilla e, non so nemmeno io il motivo, mi sono ritrovato a fissarti. Non sentivo ciò che dicevi, ma vedevo che stavi chiacchierando con loro...poi hai riso e, da quando l'hai fatto, ogni tanto mi voltavo per guardarti. A mia sorpresa sono arrivato a pensare 'Wow, ma la Castillo ha proprio un sorriso bellissimo', da quel giorno in poi ti ho sempre guardata da lontano per vedere se sorridevi ancora e...lo so che è una cosa stranissima, ma mi piaceva vederti allegra”. Arrossisco ed abbasso il capo, ma come ho fatto a non accorgermi quando mi stava fissando? Ogni tanto anche io mi giravo verso di lui, ma lo vedevo sempre parlare con Ludmilla o con gli occhi chiusi mentre ascoltava la musica con le cuffiette, a quanto pare è un mago nel non farsi sgamare. Controllo l'ora nel desktop e...cazzo, manca un quarto d'ora alle quattro! “Oddio ma è passato già così tanto?”. Corruga la fronte. “Da cosa?”. “Da quando abbiamo cominciato a parlare...sono le tre e quarantacinque”. Mi rivolge un sorriso dolce. “Vorresti dormire?”. “Ehm...non fraintendere, fosse per me starei a parlare con te per tutta la notte, ma domani c'è scuola e non mi va di fare assenze per niente”. “Giusto”. Ride. “Sai che a me non importa, vero? Credimi se ti dico che potrei tranquillamente saltare scuola per quello che mi interessa, piccola. Comunque se sei stanca è giusto che tu riposi, buonanotte e sogni d'oro”. Mi manda un bacio con la mano. “Buonanotte anche a te, grazie per avermi fatto sentire meglio”. Contraccambio il bacio 'volante'. “Di nulla, è piacere. A domani”. “Leon, io ti...”. Non faccio neanche in tempo a finire la frase che si è già disconnesso, lasciandomi più sola di prima. Chiudo Internet e spengo il pc, poi lo ripongo sopra la scrivania. Che pensavo di fare? Sono una pazza. Per fortuna che non si è reso conto che gli stavo per dire altro, non so cosa mi sia preso. Mi stendo sul letto e mi copro col piumone fino alle orecchie. Questa conversazione mi ha scombussolato un bel po' le idee, non credevo che l'odio che fingevo di provare per lui lo facesse star male e poi con tutte le cose carine che mi ha raccontato, mi sono quasi sentita in dovere di dirglielo. Forse è troppo presto o, ancora meglio, ad uno come lui certe cose non vanno dette. Ma per quanto potrò trattenermi dal confessarglielo? Devo sapermi controllare d'ora in avanti, poco fa ho avuto la prova che appena disconnetto il cervello e mi lascio andare rischio di mandare tutto all'aria. Se non sto attenta, quel maledetto 'ti amo' potrebbe scapparmi di bocca e portarlo lontano da me. Non potrei sopportarlo.

 

 

Sembro una emo e vi giuro che non sto esagerando. Indosso un felpone nero con su scritto 'I HATE EVERYBODY', dei leggings grigio scuro e i miei amatissimi anfibi, ma a dare il tocco di classe sono la cera cadaverica, i calamari sotto gli occhi color pece ed i capelli pettinati alla bell'e meglio. Mi sono scolata tipo tre tazze di caffè prima di venire qui, in più mi sono portata i Pocket Coffee. Non ho guardato in faccia nessuno e per fortuna non si sono azzardati a chiedermi nulla, forse avevano paura che li sbranassi. Entro in classe mogia mogia e, sempre non cagando i miei compagni, mi siedo al mio posto. “Trovo che la tua felpa sia molto descrittiva”. Alzo lo sguardo e trovo Leon appoggiato con le braccia e la testa sopra il mio banco, gli sorrido. Incredibile, la prima persona che ho trattato bene stamattina! “Ciao Leon”. “Stai meglio?”. Annuisco col capo. “Grazie per stanotte”. “Di niente, dovevo farlo”. Solo ora mi rendo conto che siamo entrambi poggiati sul tavolo, probabilmente presi dalla stanchezza, e che stiamo parlando a pochi centimetri di distanza. Guardo bene il suo viso e noto per la prima volta un'imperfezione, ossia un leggero accenno di occhiaie. Ovviamente lui è un fiore in confronto a me, più che altro sembra che io abbia fatto after in un rave party. “Hai studiato per l'interrogazione?”, mi chiede. “Sì, ma non credo di farcela. Ho studiato tutto il pomeriggio, ma dopo una nottata come questa sono esausta”. Sorride debolmente. “Vedi che bisognava stare a casa?”. La porta dell'aula si chiude facendoci sobbalzare, lui torna al suo posto ed io mi metto composta. Zia Angie raggiunge la cattedra e si siede, tira fuori le sue cose da una borsa ed estrae il registro da un cassetto. “Gli assenti?”, domanda. “Ponte Massimiliano e Comello Francesca”, dice Tomas. Si annota giù quanto detto, poi ci scruta. “Oggi interroghiamo: volontari?”. Inutile dire che nessuno ha alzato la mano, è un po' come domandare 'Chi vuole un pugno in faccia?'. “Peggio per voi, sceglierò io...”. Questi sono i peggiori momenti nella vita di ogni liceale, lo sguardo della prof continua a scorrere su e giù lungo l'elenco della classe. “Mmm...Torres”. Mi volto verso Camilla che invece guarda in alto e dal labiale intuisco che sta dicendo cose poco sante. “Logunov e infine...”. Angie o meglio, la professoressa Saramego continua a picchiettare il piede alzando ancora di più la tensione. Quando Dio distribuiva l'ansia, io ho fatto la fila due volte. “...Castillo”. Mi arriva una forte fitta alla pancia. Studio sempre regolarmente, ma oggi non me la sento proprio. Alzo la mano. “Sì Castillo?”. Deglutisco a fatica. “Prof...io per oggi ho studiato, ma stanotte non sono stata per niente bene per cui non me la sento di uscire interrogata”. Osserva attentamente il mio aspetto e dall'espressione che assume penso abbia capito. “Okay, Violetta. Se oggi non stai bene non uscirai interrogata, ma per la prossima volta voglio vederti volontaria”. “Va bene, professoressa”. “Ma questo non è giusto!”, urla Ludmilla paonazza in viso. Sgrano gli occhi e la guardo quasi spaventata. “Non è giusto che lei faccia favoritismi, professoressa Saramego! Dovrebbe comportarsi in modo professionale all'interno di queste mura e non proteggere la sua alunna preferita, perché noi lo sappiamo cosa crede?!”. Noto che zia sta cercando di mantenere la calma, mentre io non so proprio cosa dire. “Ludmilla, lo avrei fatto anche con te se me l'avessi detto e se avessi la certezza che tu venga sempre preparata alle mie lezioni”. “E chi glielo dice che la sua 'Vilu' non abbia studiato questa volta e che sia tutta una scusa?”. Dio mio che stronza, il modo con cui ha calcato il mio soprannome mi fa salire il crimine. “Perché, in questo caso, conosco bene la Castillo e so che ieri pomeriggio stava studiando”. La tarantola agita una mano in aria e sbraita: “Questo è nepotismo!”. “Questa è umanità Ludmilla, quella che tu non hai!”. Tutta la classe si volta sorpresa verso Leon e, lo ammetto, pure io sono basita. “Che incantesimo ti ha fatto questa strega per farti ridurre così, Lyon?”. “Ah sicura? Credi davvero che qui dentro sia lei la strega e non tu? Beh, mia cara: vedi la realtà un bel po' distorta. Ti odiano tutti se non l'hai notato”. La guarda sprezzante. Oh mio Dio, sta litigando per me! Potrei fermarlo, ma mi piace troppo godermi la scena da esterna nonostante si stia parlando di me. “Non lo dicevi l'estate scorsa, vero?! Non lo dicevi quando mi sbattevi nei bagni della piscina!”. Questa. Me. La. Deve. Spiegare. “Okay ragazzi, basta! Qua mi pare che si stia sfociando in questioni personali che vanno risolte al di fuori di qui”, interviene zia da paciere. Tutt'intorno è un bisbigliare, mentre io sono ammutolita con una mano davanti al viso come per coprirmi da tutto ciò. Forse era meglio che uscissi interrogata e basta rovinandomi la media. “Sei stata tu la prima a cominciare, non io!”, afferma Leon noncurante di ciò che ha appena detto la professoressa. “Non mi hai respinta, però!”. “Adesso basta!!!”, grida Angie facendo zittire tutta la classe. Nessuno l'aveva mai vista così. “I vostri problemi li risolvete da un'altra parte e se voi due continuate così avrete tutto il tempo del mondo per risolverli in presidenza!”. Indica prima Leon, poi Ludmilla. Non vola neanche una mosca e, ottenuto il risultato che voleva, torna a sedersi sulla cattedra. “Al posto della Castillo esce Heredia”. I tre nominati si alzano dal posto e si sistemano a sinistra della prof con l'aria di chi sta per andare in guerra, in effetti l'insegnante è molto arrabbiata e probabilmente temono che non faccia sconti a nessuno.

 

 

Finalmente questa giornataccia è finita. Tutti sembrano avercela con me per la storia dell'interrogazione, ma che ci posso fare se continuo a stare male tutt'ora? Senza Francesca si potrebbe dire che io abbia passato una mattinata da eremita, per fortuna Leon è stato con me alla ricreazione e durante le due ore di pittoriche si è seduto accanto. E' incredibile che con il mutare del mio rapporto con lui il resto della classe abbia cambiato assetto! Nelle tre tavolate i gruppi sono cambiati: nella prima c'erano solo Nata e Ludmilla, nella seconda Tomas, Braco e Napo e nel nostro Camilla, Broadway, Marco e Andrés. E' necessario dire, però, che il nostro tavolone è quello più grande per cui loro erano concentrati nella parte opposta dalla quale eravamo seduti noi. Nessuno ci ha calcolati minimamente e se si potesse dare un titolo alla nostra giornata potrebbe essere 'Noi soli contro tutti', perché, salvo qualcuno, tutti ci lanciavano occhiatacce. Sinceramente parlando, se ho la sua compagnia mi basta. Comunque il ragazzo che si professa tanto impedito a disegnare ha fatto un disegno a dir poco meraviglioso, ha raffigurato sé stesso intrappolato all'interno di una clessidra mentre stava riuscendo ad uscirne. Mi ha confessato che allude al fatto che lentamente sta superando il suo passato, credo sia stata una trovata geniale. Mentre lo stavo osservando ho notato che nel prato in cui era poggiato l'orologio a sabbia c'era un solo fiore. L'ho indicato e gli ho chiesto: “Perché ne hai fatto solo uno?”. Lui mi ha risposto: “Non lo vedi? E' una violetta”. Quando vuole sa essere il ragazzo più dolce dell'intero universo. Ripongo alcuni libri, prendo il giubbotto dall'armadietto e lo chiudo. Chissà se mi sta aspettando in fermata, sospiro e tra me e me e raccolgo lo zaino da terra. “Quindi saresti tu la ragazza di Leon?”. Mi volto di scatto verso dove proviene questa voce sconosciuta. Lara. “Cosa?”. “Sei tu la nuova ragazza di Leon o mi hanno detto sbagliato?”. Non so perché, ma in questo momento ho una fifa assurda. “Noi non stiamo insieme”. Mi gira attorno come fa un predatore con la sua prossima preda e mi studia dalla testa ai piedi. “Quindi avrebbe scaricato me per te?”. Sono mummificata e, nonostante mi sforzi, non riesce ad uscirmi nemmeno un monosillabo dalla bocca. “Rispondi!”, mi urla contro. “Perché non lo chiedi a me, piuttosto?”. Alle mie spalle sbuca Leon serio in volto e con le braccia conserte. “Su, forza. Chiedimelo Lara!”. Ora non è più la ragazza sicura di prima, torna invece ad avere un'espressione normale. “Chi non muore si rivede”. “Mi hai sempre visto in questi giorni a scuola, potevi venire a parlarmi se ci tenevi tanto”. “Mi hai piantata in asso senza nemmeno dirmi nulla”. “Questo perché forse non c'era nulla da dire?”. Ripeto: potrei fermarlo, ma mi piace troppo guardare da esterna queste cose! “Potevi almeno essere chiaro e non sparire da un giorno all'altro, non dopo tutto ciò che abbiamo passato”. “Tipo chessò...niente?”. “Osi pure dire 'niente'?”. “Per quanto ci siamo frequentati? Una settimana, forse due...questo tu lo chiami 'qualcosa'?”. Lara rotea gli occhi e serra la mascella. “Vargas, non cambierai mai. Merda eri e merda rimani. E tu piccoletta: credi di essere l'unica? Sei veramente convinta che non farà lo stesso con te? Aspetta solo il momento giusto per scaricarti. Sta ancora con te? Evidentemente non gliel'hai ancora data, non mi sbaglio giusto?”. Mi guarda maliziosa, io non rispondo e, codardamente lo ammetto, guardo in basso. “Ecco, come immaginavo. Sappi solo che ottenuto ciò a cui mira, ti lascerà sola ed abbandonata. Fa come me, non credere in cazzate come l'amore e non aspettarti mai niente da nessuno...soprattutto da lui”. Lo guarda disgustata, lui mi prende per un braccio e cerca di portarmi via. “Violetta, andiamo...”. Improvvisamente il viso della ragazza si illumina e mi indica. “Ah, quindi il tuo nome è Violetta? Ora i conti tornano...ecco perché mi avevi chiamato così l'ultima volta che ci siamo visti la settimana scorsa. Pensavi alla piccola, dolce Violetta...prevedevi già di scaricarmi in pratica, bravo!”. Si mette a battere le mani. “Lara smettila! Lascialo in pace, tu non sai niente”. Scoppia a ridere. “Ah perché tu credi di saperne tanto più di me della vita? E di lui?”. “No, ma sono convinta che tu parli più per delusione che per altro”. “Non ti invidio, sai? Mi fai solo pena, Violetta. Lo difendi con un tale trasporto tanto da farmi provare solo compassione, si vede che ti sei innamorata di questo qua e mi spiace constatare che sei finita nella sua trappola. E a te, Leon: non credevo saresti caduto così in basso. Tutte quelle ragazze le hai mai guardate in faccia? Hai mai annusato il loro profumo? Dimmi: qual'è la differenza? Quando te le porti a letto, non sembrano tutte uguali? Non ho mai detto di essere una santa, mi comporto esattamente come te. Finché te la giocavi con le poco di buono nei locali era un conto...ma lei, lei è brava ed innocente. Glielo si legge dallo sguardo, perché vuoi farle del male? Tutte le altre, compresa me, non credono nell'amore ma lei...dico solo: mi fai schifo. Con questo ho chiuso”. Alza i tacchi e se ne va lasciandoci ammutoliti. Nonostante io stia cacciando via i pensieri maligni, non riesco a fare a meno di dare voce ai miei dubbi sul comportamento di Leon. “Non darai ascolto alle sue parole, vero?”. Gli rivolgo un'espressione confusa. “No, ma...ad esempio, quella cosa di Ludmilla: non me l'avevi mai detta”. Allarga le braccia esasperato. “Perché mai avrei dovuto dirtelo? E' successo quest'estate, non avrebbe senso riparlarne! E' acqua passata”. “No, ma...”. “'Ma' cosa, bimba? 'Ma' cosa? Devo stilarti una relazione su tutta la mia vita sessuale prima di cominciare ad uscire con te? Pensavo non ti interessasse lo schifo che ero e che mi accettassi per la persona che sono e non per ciò che ho fatto, credevo fossi diversa...mi sbagliavo”. Si volta e parte spedito verso l'uscita, lo rincorro e lo strattono per un braccio. “Non ho mai detto questo! Perché fraintendi sempre ciò che dico? Lasciami finire di parlare senza interruzioni una volta tanto!”. Non risponde, mi guarda solamente con quegli specchi verdi serio. “Vuoi sapere perché mi preme tanto la cosa di Ludmilla? Ricordi anche tu le prese in giro, gli scherzi di cattivo gusto e tutte le violenze psicologiche subite da lei l'anno scorso. Tu mi piacevi un sacco e, beh, vederti sempre con lei sei ore ogni giorno non era proprio il massimo. La detestavo con tutta me stessa, aveva reso il mio primo anno di liceo un inferno e quando ho scoperto che aveva una storia con te mi è crollato il mondo addosso. A questo punto mi chiedevo se valesse di più essere bella e crudele oppure brutta e sensibile. Tu, stando alla tua scelta, preferivi la prima opzione e Dio solo sa quanto di merda ci sono stata quando l'ho saputo, perché per colpa di quella strega mi sono sentita un cesso a pedali. Per colpa sua ho perso la poca autostima che avevo. Tu preferivi lei a me, io per lei ero brutta. Era quasi matematico: tu mi consideravi brutta e se ci stavi pure insieme chissà quante cattiverie pensavi sul mio conto. Ti dico solamente che ho passato l'estate più brutta della mia vita senza Francesca e barricata in casa, mi guardavo allo specchio e vedevo solo lo schifo con braccia e gambe. Tutte, ma non lei. Ero disposta ad accettare tutte le troiette sotto tiro, ma la ragazza per la quale mi sono chiusa a guscio per tutto questo tempo proprio no”. Senza rendermene conto, hanno iniziato a lacrimarmi gli occhi. Mi attira a sé e mi abbraccia forte, questa volta non goffamente. “So perché ti odia così tanto”. Stacco leggermente il capo in modo da guardarlo in viso. “Perché? Ti prego dimmelo, è da due anni che me lo chiedo!”. Abbassa lo sguardo. “C'è una cosa che non ti ho detto stanotte riguardo all'interesse che nutrivo per te l'anno scorso...”. “Cioè?”. Sospira profondamente. “Dopo la gita a Cordoba qualcosa in me era cambiato...non sapevo di preciso cosa, ma mi spingeva a voler essere una persona migliore. Non ti avevo mai vista sorridere, ti ho sempre reputata una musona...ma dal giorno in cui ho iniziato a vederti con occhi diversi, se così si può dire, ho notato che le cose nella mia vita andavano migliorando. Mia madre non cadeva più nei suoi vizi ed io ne ero felicissimo, si può dire quasi che tu sia stata una specie di segno. Ero ispiratissimo in quel periodo, per cui disegnavo e componevo a manetta. Il problema era che poco prima avevo cominciato non dico a sentirmi, però ad essere più che un semplice amico di Ludmilla. Un giorno lei ha trovato il mio album da schizzi...ed è venuto fuori il putiferio. Perché fra i vari schizzi che avevo abbozzato ce n'erano alcuni che ti ritraevano. Uno mentre eri annoiata durante la lezione di matematica, l'altro quando sorridevi ad una battuta di Francesca, in un altro ancora stavi disegnando con passione. Poi, come se non bastasse, ha pure trovato in fondo al quaderno un foglio ripiegato in quattro nel quale c'era scritta una canzone che avevo composto per pianoforte, il suo titolo era 'Violet'. Inutile dire che si è arrabbiata tantissimo con me, nonostante non stessimo assieme. Da lì probabilmente ti ha linciata, anzi ne sono sicuro. Credimi se ti dico che mi sento in colpa per averti causato tutto questo, se solo avessi...”. Mi sento in dovere di interromperlo. “Non è colpa tua assolutamente, è lei che ha sbagliato. Ciò non giustifica a trattare così di merda una persona”. Cerca di ribattere, ma mi fiondo sulle sue labbra per zittirlo. Sono stufa delle parole, credo che oggi siano state usate fin troppo e a volte anche per niente. Tutto l'amore che ho dentro esplode in un tripudio di calore, non posso dirgli 'ti amo' a voce però continuo a baciarlo con foga nella speranza che in questo modo possa capire. Vengo presa dalla passione, non esiste più la scuola, gli armadietti, il corridoio...nulla. Solo io e lui, insieme. Alla faccia di tutti! Ed è quando ci stacchiamo e fisso le sue labbra gonfie e rosse che gli dico: “Leon, io ti...”. “...tu mi?”. Rinvengo e mi rendo conto di essere stata travolta ancora dall'ingenuità di stanotte. “...ti volevo dire che siamo in ritardo e forse dovremmo sbrigarci ad andare in fermata, altrimenti perderemo il bus”. “Ah...giusto”. Mi metto il giubbotto e lo zaino in spalla, usciamo dall'edificio e ci dirigiamo verso la fermata. Contrariamente a ieri, durante il tragitto chiacchieriamo e ridiamo. Nonostante questo, non riesco a fare a meno di pensare al fatto che stavo per confessargli tutto. Di nuovo? Ma che mi prende? Devo badare bene a ciò che dico e a ciò che faccio. L'ultima cosa che voglio è perdere il primo e unico ragazzo che io abbia mai amato e non mi interessa un fico secco di ciò che vengono a dirmi gli altri, io gli credo. La sincerità che riesco a captare nei suoi occhi mi basta, così come nei suoi gesti.

 

 

                                                                                                                                                         19 gennaio 2014

Caro diario,

non so se dire se oggi è andata bene o male, diciamo un po' ed un po'. Beh comincio col dirti che, sfortunatamente, stanotte gli incubi sono ritornati a farsi sentire. Più inquietanti di prima. Al mio brusco risveglio ho cercato di riprendermi navigando su Internet per distrarmi e mi ha scritto Leon su Facebook, abbiamo fatto una videochiamata e ci siamo confortati a vicenda dal momento che pure lui aveva fatto un brutto sogno. Abbiamo scoperto cose nuove su di noi e devo dire che ora mi sento molto più legata a lui. Ah, a proposito: grazie al cielo alla fine della videochiamata non ha sentito che stavo per dirgli altro e si è disconnesso, perché stava per uscirmi un 'ti amo'. Quanto tonta sono? Mi dice sempre di non credere nell'amore ed io gli voglio confessare di essermi innamorata di lui! So già che se lo scoprisse si allontanerebbe da me all'istante perché non vuole complicazioni di tipo sentimentale, ma che ci posso fare se quando sto con lui mi sembra di volare? Non è colpa mia se mi esplode il cuore ogni volta che mi sorride. Lui ha il potere di non farmi pensare a niente, di svuotare la mia mente...proprio come quando disegno o suono. Non ci sono più preoccupazioni né dubbi, la passione prende il sopravvento e si impossessa del mio corpo. A quanto pare anche delle mie corde vocali. Potrei fare le cose più folli quando sono con lui come ad esempio ieri con la battaglia d'argilla, difatti siamo finiti dal preside. Sono disposta ad andare in giro illegalmente in auto della serie che se ci fermano sono cazzi amari. Mi infonde sicurezza a tal punto che non ho paura di niente e mi sento in potere di fare qualunque cosa io voglia, tanto c'è lui che mi para il culo. Non sarà sempre così, ne sono certa. Non posso sempre fare affidamento su di lui, perché quando non c'è: chi mi può salvare? Devo tornare razionale com'ero un tempo, da quando lo frequento sono diventata fin troppo impulsiva. Sarà anche un bene, ma se gli confesso il amore diventerebbe un male. Mi sto facendo influenzare un sacco, infatti ogni tanto replico i suoi movimenti senza neanche rendermene conto. Ad esempio le spallucce che tanto non sopporto ho cominciato a farle pure io! Poi lui è l'impulsività fatta persona, sarà per questo che ora anche io lo sono. Basti vedere oggi come ha litigato per me con Ludmilla davanti a tutta la classe, senza volerlo abbiamo posto quasi tutti i nostri compagni contro di noi. Sono sicura che se Francesca fosse stata presente sarebbe stata con noi, però a che prezzo? Stando lontana anche dal suo caro Marco? L'amore rende stupidi ed io lo so bene. Ad ogni modo, siamo stati isolati da tutti soprattutto a discipline pittoriche. Nessuno ci ha degnati di una parola, ma di sguardi sì e anche troppi. Si facessero i cazzi loro, in particolare le due ochette! Come se non bastasse, dopo queste ore da emarginati, ero nel mio armadietto ed è venuta a cercarmi Lara, la pseudo ex di Leon. Mi chiedeva insistentemente se fossi la sua ragazza, ma gli ho risposto di no. Ammetto che avevo un po' di paura, quella tipa fa kick boxing e sinceramente chi non temerebbe un pugno in pieno volto? Per fortuna per l'ennesima volta è arrivato Leon che mi ha salvata, da lì ha cominciato a litigare di nuovo per me. Sono conscia del fatto che avrei potuto benissimo calmarlo, ma vederlo incazzato per me è una cosa che andava assolutamente guardata come i nuovi episodi di 'Diario di una Nerd Superstar'! Lara, in conclusione, mi ha detto di stare attenta a lui, che sta con me solo perché aspetta il momento che io gliela dia per dopo abbandonarmi. Si diceva disgustata da lui, perché non si aspettava che sarebbe andato con una brava ragazza e che avrebbe dovuto vergognarsi. Io non so se crederle, per quanto io mi sforzi a pensare che sia cambiato ho paura. Non dico che non creda a tutte le cose belle che mi racconta o che mi confessa, ma se un giorno dovessi ipoteticamente mettermi insieme a lui controllerei ogni mattina la mia testa per vedere se mi sono spuntate le corna. 'Il lupo perde il pelo ma non il vizio', dice sempre papà. Non mi va di fare la maliziosa, però un po' di timore ce l'ho e ammetto che sono parecchio gelosa di lui anche se non dovrei. In più al tutto si mescola l'agitazione che ho per domani perché verrà a casa mia e devo sistemare per bene la mia camera rendendola quantomeno presentabile. E papà sarà fuori per lavoro. Angie sarà ad un congresso per insegnanti. Saremo io e lui, soli. Nella mia stanza da letto. Okay, non devo pensare male...però provaci tu con un tipo come Leon Vargas! Ammetto che l'idea di combinare qualcosa con lui non mi fa schifo per niente...oh, si è fatto tardi! Devo scendere a cenare...stasera il menu della casa offre: spaghetti ai frutti di mare e come secondo insalata e tacchino! Per fortuna che mio padre è un bravo cuoco, non so cosa mangerei se non ci fosse lui! Bah, probabilmente tirerei avanti con surgelati, Nutella, panini e bibite gassate. Grazie papà per esserci, altrimenti sarei una palla da bowling!
A domani,

Violetta

 

 

Prendo in mano il cellulare e rispondo ad un messaggio di Francesca, poi mi rendo conto che il mio profilo Whatsapp ha ancora l'immagine di Jared Leto nell'ultimo concerto qua a Buenos Aires e come stato 'The best day of my life! #MarsinBuenosAires'. Tra parentesi, è stata una bomba ad orologeria quel concerto e posso dire con certezza che è stata una delle esperienze più belle della mia vita! Però ce l'ho da tipo tre mesi e mi pare giusto cambiare. Vado sulla mia galleria e scelgo l'ultima immagine del profilo di Facebook di Leon, non chiedetemi perché me la sono salvata nel telefono. Potete benissimo arrivarci da soli. Poi vado su 'Modifica Stato' e...okay, farò la semplice. Non voglio scrivere frasi neoshakespeariane, per cui mi limito a mettere un cuore. Credo che riassuma tutto, le parole non sono necessarie. Il cuore simboleggia l'amore ed è anche l'organo del nostro corpo senza il quale moriremmo. Sì, il cuore va più che bene.

 

 

ANGOLO DELL'AUTRICE

SCUSATE PER IL RITARDO! Sono stata colpita da un bug che non mi permetteva di pubblicare, venerdì ho provato in tutti i modi ma nulla. Ho dovuto quindi contattare l'amministrazione per risolvere questo problema ed ora eccomi qua! Ah, un ringraziamento specialissimo va fatto a ChibiRoby che mi ha aiutata in questi giorni informandosi pure lei e dandomi anche un grandissimo supporto morale su Twitter :3 Ad ogni modo, tornando alla storia: cosa ne pensate di quanto successo? Cosa credete succederà nel prossimo capitolo? E' bello essere l'autrice della storia perché io so cosa accadrà e voi no gnegnegnegne! Dai scherzo, sbizzarritevi pure nelle recensioni con ipotetici continuati. Grazie mille per il supporto e per le recensioni puntuali che mi lasciate, mi fa davvero molto piacere leggerle e rispondervi. Se avete qualche critica da muovermi o qualche consiglio da dare, non esitate a scrivermelo! Ah, a proposito: volevo chiedervi un parere. Avrei in testa alcune altre fanfiction abbozzate da scrivere dopo di questa, non so se farne di quest'ultima una serie scrivendone una con gli stessi personaggi anni dopo oppure una Jortini (rigorosamente AU e OOC) dal punto di vista di Jorge. Sappiatemi dire nelle recensioni, perché ho ancora le idee confuse. Se invece volete saperne di più riguardo le due storie che ho in mente, contattatemi privatamente. Tanto sapete che rispondo sempre prima o poi:)
PS ci saranno molte novità nel prossimo capitolo, quindi mi sento di dirvi la frase che preferisco di più in assoluto: STAY TUNED! *w*

Gre

Ritorna all'indice


Capitolo 9
*** Capitolo 9 ***


                                                                        CAPITOLO 9

 

 

 

'And I've always lived like this, keeping it comfortable distance. And up until now I'd sworn to myself that I'm content with loneliness. Because none of it was ever worth the risk but...you are the only exception, you are the only exception, you are the only exception, you are the only exception'. Ho la testa poggiata sul finestrino dell'autobus, le orecchie bombardate di musica e la mente che vaga di qua e di là. 'The Only Exception' dei Paramore è diventata la colonna sonora delle mie giornate da un po' di tempo, la ascolto sempre e mi ricorda ovviamente lui. 'Ed ho sempre vissuto in questo modo, cercando di vivere in maniera confortevole allontanandomi. E fino ad ora ho giurato a me stessa che sarei stata contenta con la solitudine. Perché niente di questo ha mai valso il rischio, ma...tu sei l'unica eccezione, tu sei l'unica eccezione, tu sei l'unica eccezione, tu sei l'unica eccezione'. Mi descrive appieno questa strofa. Ho sempre pensato che chiudendomi sarei stata meglio, che così facendo nessuno avrebbe potuto intaccarmi o farmi star male. Volevo convincere me stessa che la solitudine fosse la mia unica amica, una compagna fedele che ti sta sempre accanto quando tutti se ne vanno abbandonandoti. La vita è un po' come stare seduti su una panchina, davanti a te passano fiumane di persone e alcune sembrano non notarti, altre ti guardano ma poi proseguono nel loro cammino. Altri si siedono accanto per poi andarsene quando meno te l'aspetti e poi c'è chi fa la medesima cosa, ma decide di rimanere. Ho sempre trovato stimolante guardare la gente alle prese con le loro vite totalmente differenti dalla mia, infatti tante volte mi trovo a fissare degli sconosciuti per pura curiosità. Quelli che rimangono si possono contare su una mano ed a sedici anni chi può dire con certezza chi si porterà dietro per tutta l'esistenza? Non posso dirlo nemmeno di Francesca perché, per quanto possa essere fondamentale per me, questa è un'età in cui nulla è definitivo. Con Leon è diverso. Non dico che con lui abbia delle certezze, anzi tutt'altro! E' il contrario di quello che noi chiamiamo stabilità, è dinamico e non si sa mai cosa combinerà. Bisogna conoscerlo veramente per capire che in fondo è una bravo ragazzo e che ha quel qualcosa in più che manca a tutte le persone che abbia mai conosciuto in vita mia. Dà speranza, sempre. Anche quando tutto va per il verso sbagliato, lui è in prima fila a dirti che insieme troverete una soluzione e che tutto si risolverà al più presto. Non a caso i suoi occhi sono verde smeraldo come il il colore della speranza. E solo ora comprendo il motivo della mia costante infelicità, mi mancava una figura come la sua. Una personalità protettiva ed in grado di infondermi sicurezza e di aiutarmi a capire dove sbaglio, quella che mi è stata tolta con la morte di mamma. “Buongiorno, bimba. Posso sedermi?”. Mi levo un auricolare e mi volto a sinistra. E' lui, gli sorrido affettuosamente. “Certo, siediti pure”. Inaspettatamente mi accarezza una guancia e mi bacia in modo dolcissimo. Non con la lingua, né toccandomi da altre parti che non siano il mio viso. Quando ci stacchiamo alza un angolo della bocca e lo guardo negli occhi, riesco perfino a specchiarmici. Non avevamo mai fatto nulla del genere in pubblico. Agli armadietti è sempre stato appena finita la scuola la quale si svuota immediatamente al suono dell'ultima campanella, per cui passano gran poche persone per i corridoi e poi gli armadietti della nostra classe sono in un posto abbastanza nascosto ed appartato. Si può dire in un certo senso, quindi, che questa è la prima volta che mi ha baciata davanti a tutti. Il mio sguardo balena attorno a noi e noto che diversi nostri compagni di scuola ci stanno fissando. “Stanotte sei riuscita a dormire?”. Annuisco col capo. “Te?”. “Sì, ci ho messo un po' prima di addormentarmi però alla fine ce l'ho fatta”. Poggia il suo zaino sulle gambe, lo apre ed estrae un sacchetto di carta marroncina e me lo porge. Ha un buonissimo profumo, sa di...pasticceria? “Cos'è?”. “Se vuoi scoprirlo, aprilo”. Lo apro e all'interno trovo dei muffin con delle gocce di cioccolato, sembrano davvero gustosi. “Li hai fatti te?”, gli chiedo sorridendo come una bimba che sta scartando i regali la mattina di Natale. “Mmm...diciamo di sì”. “Diciamo?”. “Mi sono fatto aiutare da mia mamma, ecco. I libri di ricette sono alquanto difficili da capire, non trovi?”. Scoppiamo a ridere ed infilo una mano all'interno della busta. “Posso?”. “Ci mancherebbe! Li ho portati apposta per te, mangiarli è un dovere”. Affondo i denti in un muffin e lo mastico per bene. “Dì a Lucia che sono buonissimi”, dico scherzando. “Hey, calmina! Mamma mi ha solo aiutato a capire cosa dovevo fare, tutto il resto l'ho fatto io”. “Scherzo, scemo”. Lo abbraccio e ricambia accarezzandomi la nuca, poi, prima di staccarsi, mi dà un bacio sulla fronte. “Come mai così espansivo oggi?”. Inarca un sopracciglio. “Perché non si può?”. “No, no era solo per chiedere”. Non risponde, si limita a sorridermi e a mettersi composto. Gli porgo l'altra cuffietta, riaccendo la musica e poggio la testa nell'incavo del suo collo. Tabacco e vaniglia. Nel frattempo con una mano stringo il sacchetto dei muffin come se fosse l'oggetto più importante del mondo e l'altra la intreccio alla sua. Non ho mai avuto un ragazzo in tutta la mia vita, ma credo che lui sia quello che più ci si avvicina.

 

 

“Hey piccioncini, disturbo?”. Mi stacco dalle labbra di Leon e mi volto verso la mia migliore amica. “Oh, ciao Fran”. “Buongiorno Francesca”. Si porta le mani ai fianchi e sul viso le si estende un sorriso da un orecchio all'altro. “Da quant'è che siete insieme?”. Scoppiamo entrambi a ridere davanti ad una Francesca alquanto confusa. “Noi non stiamo insieme”, dico sghignazzando. Nemmeno io so perché troviamo divertente la cosa. “Frequento la tua amica da troppo poco tempo per mettermici assieme”. “Okay, va bene...ehm...l'armadietto”. La guardo torva. “L'armadietto?”. Noto che è parecchio imbarazzata. “Siete appoggiati...sopra l'armadietto...”. “Ah, scusaci”. Ci spostiamo lentamente più in là restando però sempre poggiati e l'uno contro l'altro, per una volta che si comporta da fidanzato non vedo perché non dovrei approfittarne, no? Mentre Fran sta sistemando le sue cose e siamo sicuri sia concentrata da un'altra parte, Leon si riavvicina dando vita ad un altro bacio. Non ho idea di cosa gli stia prendendo oggi, so solo che mi piace da morire. Improvvisamente sento una cosa strana, è da un po' di giorni che ho notato questa sensazione particolare alla fine dei nostri baci più passionali perché solitamente non faccio nemmeno in tempo ad avvertire questa cosa che si è già allontanato da me. Adesso che però non si è subito staccato, posso sentire con prepotenza che c'è qualcosa di duro che preme contro le mie cosce...oh mio Dio. Aspetta...forse ho capito. Appena realizzato di cosa si tratta, però, lui si toglie prontamente. Fingo di non aver compreso quanto successo. “Perché ti sei allontanato?”. “Ehm...era per non far sentire a disagio la povera Francesca, insomma mi sono reso conto che stiamo un pochino esagerando o no?”, dice guardando la mia amica. “Grazie per la comprensione, Leon”. Si mettono entrambi a ridere. Eh no, caro Leon. Tu non ti sei allontanato per Fran, lo so bene. Ho capito che vuole andarci piano, però sinceramente ci vorrei provare. Non dico che voglio andare a letto con lui di botto, ma almeno combinare qualcosa che sia più di un semplice bacio. Lo amo e mi sento pronta a fare qualsiasi cosa con lui, magari non il sesso. Non ora, almeno. Nella mia testa si insinua l'idea che se gli si drizza significa che mi trova attraente e mi desidera fisicamente, sorrido allora tra me e me. “Perché sorridi?”, mi domanda. “Niente”. Mi rivolge un'espressione confusa, poi si volta verso Francesca che urla allargando le braccia: “Comunque ho sentito di ieri ragazzi e mi dispiace veramente tanto, ma che problemi ha la gente?”. “Che problemi ha Ludmilla, semmai”, puntualizzo. “Anche! Credimi, se ieri non avessi avuto la visita al piede, ti assicuro che sarei venuta e gliene avrei dette a quattro a quella...a quella...”. “Tranquilla, in ogni caso ci sarei stato io a difenderla”. “Leon, pure io la odio. Quello che ha fatto e che continua a fare a Vilu è a dir poco inaccettabile, io...io...non riesco a capacitarmi di come una persona possa essere così sadica, subdola e manipolatrice. Mi domando da quando la conosco se sia reale o meno, credevo che persone così cattive non esistessero!”. Scuoto la mano per attirare l'attenzione su di me. “Hey, ragazzi! Grazie per il conforto, ma qui si tratta di me per cui state buoni e non scomodatevi più di tanto. So badare a me stessa”. Leon mi squadra poco convinto e ridacchia. “Cazzo ridi?”. “'So badare a me stessa'? Mi prendi in giro?”. Gli do una sberla sul braccio. “Tu. Smettila. Ora”. Quando cerco di essere minacciosa lui smonta il tutto ridendomi in faccia in modo sguaiato. Riesce a passare dal ragazzo dolce ad un cretino a trecentosessanta gradi. Dopo essersi ripreso dalla risata alla quale ha preso parte anche la mia migliore amica (questa me la segno), rivolgendosi a lei chiede: “E tu invece? Con Marco?”. Sgrana gli occhi e mi rivolge un'espressione allarmata, alzo le mani come per dire 'Ah, io non ho detto nulla'. “Perché questa domanda?”. “Era solo per chiedere, siete sempre vicini. Mi chiedevo se fra di voi ci fosse qualcosa perché insomma...sembra di sì”. “Siamo solo migliori amici, qualcosa in contrario?”, afferma prontamente. “Oh, scusami. Non credevo che la domanda ti premesse così tanto, non te lo chiederò più...”. Chiude rapidamente l'armadietto col lucchetto e, mettendosi lo zaino, dice tutto d'un fiato: “Direi di andare in classe ora, levo il disturbo”. Ci lascia allibiti e pieni di interrogativi, anche se credo di sapere bene perché se n'è andata. Quando una situazione diventa troppo imbarazzante, è tipico di Francesca andarsene quasi di corsa. “Sai qualcosa su Marco?”. Corruga la fronte. “In che senso?”. “Sai qualcosa sui sentimenti di Marco per Francesca?”, chiedo con un'eccitazione che non sembra neanche mia. Infatti sono tutta elettrizzata per Fran. Sospira e tira indentro la bocca formando le sue fossette caratteristiche che mi fanno veramente impazzire. “Allora?”. “Non dovrei dirlo in giro, a te poi che sei la sua migliore amica...siccome Marco suona nella mia band, ne so qualcosa diciamo. Ma veramente poco, non ho grandissimi rapporti con lui...”. Sbuffo rumorosamente. “Leon: il nocciolo del discorso, su! Basta giri di parole!”. Incrocia le braccia al petto. “C'è poco da dire: dal quel che ho capito va dietro a Francesca, ma non ne sono sicuro”. Inizio a pigolare dei 'Cazzo si!' e ad agitare un pugno in aria. “Quanto alta era la culla da cui sei caduta da neonata?”. Gli faccio la linguaccia. “Ah ah, spiritoso”. “No, seriamente. Qual è il tuo problema?”. Poggio le mani sui fianchi a mo di professorina. “Il mio 'problema' è voler troppo bene a Fran, tanto da essere felice per lei in questo momento”. “Ah! Ora capisco...anche a lei piace Marco”. “Invece di offendermi potevi arrivarci subito, babbeo!”. “Anche tu ti dai alla pazza gioia con le offese, eh?”. Faccio il labbruccio e, prendendolo per il colletto della camicia, lo attiro a me. “Questo perché mi provochi”. Fa un sorrisetto malizioso. “Bimba sta attenta, stai giocando con il fuoco”. Un brivido mi attraversa la schiena solo a sentire quella voce roca. “Guarda che prima ho capito il vero motivo per cui ti sei staccato da me...”. Inarca un sopracciglio. “E sentiamo: quale sarebbe?”. “Diciamo che sto particolarmente simpatica al tuo amico là sotto”. “Oh, noto con piacere che sei perspicace. Il fatto è che sto cercando di tenere a bada il mio soldato da quando abbiamo iniziato a frequentarci, ma a causa della sua natura curiosa ogni tanto scappa”. “Il tuo soldato?”, dico ridendo. “Quando vuole sa trasformarsi in un'arma letale”. Gli do una leggera sberla sul braccio. “Ma smettila!”. Sghignazza divertito. “Non puoi capire, piccola”. Spinta da chissà quale istinto, gli dico alzando l'angolo della bocca: “E se io volessi scoprirlo?”. “Vorresti sul serio?”. Deglutisco quando si avvicina lentamente al mio viso facendo scivolare una mano sopra il mio sedere. Ad un certo punto mi dà uno schiaffo forte sul didietro e scoppia in un'altra risata sguaiata, poi si allontana lasciandomi imbambolata. “No, bimba. Questa volta passo”. “M-ma come?”. Mi spettina i capelli affettuosamente. “Quante volte ti devo dire la frase 'andiamoci piano'?”. “Lo vuoi quanto me”. Scrolla le spalle. Ho già detto che non sopporto quando fa questo movimento? “Può darsi, ma tu non sei come le altre. Questo comporta che ti devo trattare in modo differente, comunque...non sapevo di arraparti così tanto”. “Potrei dire la stessa cosa”. Annuisce col capo. “Ammetto che con questa hai vinto”. Ora si riavvicina, non per prendermi in giro però. Chiude gli occhi e pure io lo faccio, le nostre labbra stanno per sfiorarsi...“Che fate?”. Sbarriamo gli occhi e vedo Leon voltarsi rabbioso. “Porca troia, Andrès!”. “Ho interrotto qualcosa?”. A me viene semplicemente da ridere, invece noto che Leon è alquanto irritato. “No bacio ragazze per sport, guarda!”. “Veramente avrei qualcosa da ridire in merito...”: “Shh! Non dire un'altra parola”. “Suvvia Leon, recupereremo più tardi”, dico maliziosa come per lasciarlo in sospeso. Gli do una leggera pacca sulla spalla e mi dirigo verso la classe. Sono quasi contenta che sia arrivato il suo migliore amico, non mi concederò così tanto facilmente. Anche se mi sarà difficile resistergli, voglio tenerlo sulle spine fino ad oggi pomeriggio. Fino ad allora, niente più baci. Sì, lo farò dannare.

 

 

“Odia la nostra classe dal profondo del suo cuore, è ufficiale”. Marco quasi si strozza con la merendina dall'enfasi che ci mette quando parla male del professor Casal. Fran ridacchia, dopodiché torna seria. “Su cosa ti basi per dire ciò?”. Il messicano sgrana gli occhi come se fosse sotto anfetamine, quando si tira in ballo questo argomento si infervora talmente tanto da farmi paura. “Su cosa mi baso? Fran mi stai prendendo per il culo?! Abbiamo fatto la verifica appena ritornati dalle vacanze di Natale, oggi entra in classe e si inventa di fare compito su tutti gli argomenti del primo quadrimestre! No ma ditemi voi se è normale una cosa del genere perché è da ricovero, ragazze! Cioè abbiamo appena cominciato il secondo quadrimestre e lui ci viene a fare una verifica sul primo? Vi giuro che se mi prendo il debito in matematica anche quest'anno per colpa delle sue bastardate, vado sotto casa sua e gli brucio il giardino!”. Non riusciamo a trattenere una risata perché è veramente buffo quando ci si mette. “Dai su, se ti consola il debito l'anno scorso se l'è preso quasi tutta la classe”, cerca di rincuorarlo Camilla. Intanto ci raggiunge sulla panchina Maxi sorseggiando un cappuccino preso alle macchinette. “Violetta non si è presa matematica l'estate scorsa, ovviamente”. Mi volto ed assumo volutamente un'espressione seria come per conferire superiorità. “E con ciò?”. “Dico solo che sei la preferita di Casal, solo perché prendi sempre nove!”, dice sedendosi. “Esagerato”. “No, Vilu. Non esagera! Io devo ancora capire le cose dell'anno scorso...figurarsi le disequazioni, infatti nell'ultima verifica ho preso quattro. Voglio spararmi in bocca, sommando il voto di quella di oggi avrò la media del due...”, urla Marco disperato. Fran gli accarezza la spalla cercando di tranquillizzarlo. “Dai Marco, non fare il melodrammatico! Recupererai di sicuro e poi avrai fatto qualcosa, no? Non hai preso due”. “Non dico di aver preso due, stavo parlando della media che è diverso! Le mie ultime speranze le ripongo nella settimana dei recuperi di inizio febbraio, se tiro su almeno il primo quadrimestre d'estate potrei beccarmi solo il secondo. Il che sarebbe sempre meglio di essere rimandati su tutto il programma”. Noto che la mia migliore amica lo sta guardando con degli occhi luminosissimi, si vede proprio che è innamorata. “Beh, anche Fran è brava in matematica. Potreste trovarvi per fare gli esercizi assieme e magari farti aiutare da lei. Te lo assicuro: se non capisci qualcosa, chiedilo a lei. Sa spiegare le cose da Dio”. Mi sembra di lavorare per un'agenzia matrimoniale, ma se quei due non si danno una mossa mi vedrò costretta a vestirmi da prete e celebrare il matrimonio seduta stante! “Fidati, lo so bene: a cosa credi sia dovuto il sette in geometriche?”. Ridiamo tutti assieme. “No, sul serio...è una bella idea Vilu, grazie! Fran saresti disposta a farmi da tutor in vista della settimana dei recuperi?”. “Certo, mi farebbe piacere”, dice flebilmente. Che cara! Mi ricorda molto il mio comportamento con Leon poco tempo fa. “Oh ragazzi, ci troviamo sabato per una pizzata?”. Sbotta con entusiasmo Camilla dal suo apparente stato di quiete. Tutti annuiscono dicendo cose tipo 'Perché no?' oppure 'Bell'iniziativa', mi spiace rompere l'atmosfera che si è creata ma devo proprio dirglielo. “Io sabato avrei già un impegno”. Si voltano e mi fissano in silenzio, poi Maxi chiede: “Che genere di impegno?”. Sorrido debolmente e tentenno. “Devo andare al Mac...con Leon”. Dei sorrisi da ebeti si estendono sui loro visi. “Ah, giusto. Il fidanzato prima degli amici, brava!”, dice sarcasticamente Marco. “Uno: avevo fissato questo appuntamento da sabato scorso. Due: non credo che il Mac sia il massimo del romanticismo e della galanteria, per cui qualsiasi filmino mentale vi stiate facendo...beh, rimuovetelo e basta. Terzo, ma più importante: Leon non è il mio ragaz...”. Non faccio nemmeno in tempo a finire la frase che un braccio mi si attorciglia attorno al collo e le mie narici vengono invase da quel profumo. Ebbene sì, tabacco e vaniglia. “Stavate parlando di me?”. Ruoto il capo a destra e vedo Leon accanto a me ed Andrès in piedi davanti a noi. “No, tranquillo. Nulla di importante”. Assume un'espressione maliziosa. “Ma se si parla di me è logico che sia importante”. Sono a pochi centimetri dal suo viso e mi sto specchiando nei suoi occhi, improvvisamente ritorno alla realtà e guardo i miei amici. Perché quando mi perdo nei suoi smeraldi dimentico tutto ciò che ho attorno? “Modesto come sempre”. “Ovvio”. “Oh Leon, ci stai rubando l'amica sai? Per sabato ci ha tirato un bidone perché deve uscire con te”, dice Camilla ridendo. “C'est la vie, ragazzi. Gliel'ho chiesto prima io”. Fa l'occhiolino ed uno dei suoi sorrisi smaglianti, Maxi gli batte una mano sulla spalla. “Fai bene a portarla al Mac Leon, è così magrolina”. “Hey!”. “Fidati Maxi, è magra nei punti giusti perché in altri è perfino troppo prosperosa”. Sgrano gli occhi e gli mollo una pacca sulla gamba fra le risate degli altri. “E' inutile che mi picchi, sai che è vero”. Sbuffo rumorosamente. “Di che stavate parlando prima che arrivassimo?”, domanda Andrès. “Di quanto stronzo è Casal e del fatto che molto probabilmente mi rimanderà di nuovo”. Riesco a vedere con la coda dell'occhio Fran appoggiare la mano sopra quella di Marco come dire 'Calmati, è meglio non riparlarne'. Sono così teneri...Francesca, vai così! Leon scoppia a ridere sguaiatamente e dice: “Io non mi pongo più il problema sinceramente, so già di stargli in culo e che mi rifilerà il debito di nuovo. Sempre che non venga bocciato, opzione che non escludo”. Gli rivolgo uno sguardo assassino. “Che c'è?”. “Avevi promesso che non saresti stato più bocciato”. “Facile dirlo, difficile farlo”. “Avevi. Promesso”. “Ma...”. “Ma niente! Quante materie hai sotto?”. Si gratta la nuca. “Mmm...matematica. Poi...storia dell'arte e storia. Di incerte col cinque e mezzo ho scienze e spagnolo, mi pare”. Incrocio le braccia al petto e lo guardo imbronciata. “E in questo modo come pensi di essere promosso? Almeno quelle non incerte non sono gravi, vero?”. “Beh...storia dell'arte e storia ce le ho col cinque per cui non sono gravi, ma in matematica ho quattro. Con la verifica di oggi, poi, non so...potrei averla abbassata ulteriormente”. “Siamo sulla stessa barca, amico!”, afferma Andrès. A dir la verità sono irritata, molto. Per cui levo il suo braccio dalla mia spalla e faccio finta di niente. Sì, perché quelle poche volte in cui gli chiedevo 'Quest'anno non verrai stangato vero?' lui rispondeva: 'No, no! Figurati, ne ho un paio sotto!'. Si è visto, cazzo! Tra l'altro, a parte matematica, sono tutte materie di studio quelle in cui ha l'insufficienza e lui non è per niente stupido. Non ha voglia di far niente e non si applica, questa cosa mi dà sui nervi. “Io ho sotto matematica e ho incerta storia dell'arte, voi?”, dice Camilla un po' sconsolata. Francesca euforicamente risponde: “Niente!”. “Secchiona! Io disegno geometrico e ho sei meno in spagnolo”, aggiunge Maxi. “Indovinate? Matematica”, Marco serra la mascella, sta ripensando di sicuro a Casal. “Ne avrò tipo cinque: ovviamente matematica, storia dell'arte...fatemi pensare...scienze...disegno geometrico e inglese”. Andrès ha un'espressione impassibile, non so come faccia! “Come le recupererai?”, chiede Francesca preoccupata. “Non lo so, non mi pongo il problema sinceramente...ci penserò l'ultimo mese di scuola, c'è tempo! L'anno scorso ha funzionato”. “Sì, ma l'anno prima no”, precisa Leon facendo scoppiare a ridere tutti. Tranne me. “Oh Leon, mamma quell'anno lì quante ne abbiamo combinate! Ricordi quella volta che hai scoppiato un petardo in classe durante l'ora di Pereira?”. “Non mi manca per niente quello là! E quella volta che tu hai finto di morire dissanguato?”. I due hanno sono piegati dalle risate.“Da scompisciarsi, veramente! Però mi tocca ammettere a malincuore che la miglior stronzata di quell'anno scolastico è tutta tua che, tra parentesi, ti è costata tre giorni di sospensione!”. “Oh sì, quella volta che per l'incazzatura ho lanciato la borsa della Ramos fuori dalla finestra! Ammetti però che era una stronza eh? Mi trattava peggio di un animale”. “Ma avete cambiato tutti i professori quando siete venuti nella nostra classe?”, domanda Camilla. “In pratica”. “Sì ma francamente parlando non ci siamo persi nulla”, dice Leon freddamente. Sapevo che faceva stronzate l'anno in cui è stato bocciato qua all'artistico, ma non ho mai saputo cosa ha fatto. Era veramente un cretino, spero solo sia cambiato veramente. Voglio credergli, ma dopo la storia delle materie sotto sono un po' alterata. Gli altri continuano a discutere di scuola, mentre io sto sulle mie non intervenendo. Non mi è mai piaciuto intromettermi nei discorsi, mi sembra sempre di essere di troppo in qualunque caso. “Bimba, che ti prende? Sei arrabbiata con me?”, mi sussurra Leon all'orecchio. Mi volto scocciata e gli rispondo a bassa voce: “No guarda, mi hai solo mentito per tutto questo tempo. Hai idea di cosa succederà se verrai bocciato di nuovo? Cambierai scuola e io non voglio, lo sai bene”. “Prima stavo scherzando, recupererò di sicuro...non preoccuparti per me”. Mi accarezza il braccio che prontamente scosto. “Certo che mi preoccupo, se non mi importasse niente di te non lo farei...non credi?”. “Okay bimba, ti prometto che tirerò su tutte le insufficienze...ma per matematica non ti assicuro nulla”. Inarco un sopracciglio. “Dovrai metterti seriamente però, se vuoi ti posso aiutare”. “Lo faresti veramente?”. “Che domande!”. Mi abbraccia forte, poi, quando si stacca, rimaniamo a fissarci coi nasi che si sfiorano. Chiude i suoi smeraldi e si avvicina lentamente a me, improvvisamente mi balena alla mente la cosa che mi ero promessa di fare stamattina ossia farlo dannare. Ruoto il capo in modo che nella traiettoria del suo bacio ci sia una guancia, quando arriva con le labbra alla mia gote spalanca gli occhi. Non fa in tempo ad aggiungere nulla che suona la campana indicandoci che l'intervallo è terminato, gli do una leggera pacca sulla spalla e gli dico: “Recupereremo più tardi”. Poi mi alzo e assieme a Cami e Fran mi dirigo verso l'aula di discipline geometriche.

 

 

Guardo l'ora: sono le tre e mezza. Dovrebbe essere qua a momenti. Non capisco perché nonostante tutto continui ad essere agitata come una settimana fa prima del suo arrivo. Appena arrivata a casa da scuola ho mangiato qualcosa al volo e mi sono infilata sotto la doccia, dopodiché mi sono vestita con dei leggings neri e un canottiera lunga con su scritto 'Love Lust Faith Dreams' (NdR LA VOGLIO. http://www.emp-online.it/30-seconds-to-mars-love-lust-faith-dreams-top-donna/art_264028/). Ora sono nel soggiorno che vado avanti e indietro come una forsennata torturandomi i capelli e mangiucchiandomi le unghie. Suona il campanello, respiro profondamente e vado ad aprire. “Scusa il ritardo ma c'era un traffico mostruoso”, esordisce entrando. “Dove posso appoggiare il casco?”. Chiudo la porta e gli indico il tavolino di vetro davanti al divano. “Tieni questa un secondo”. Mi porge un borsetta di nylon che afferro, guardo all'interno e constato che ci sono i materiali per i modellini. “Porca vacca!”. “Cosa c'è?”, domando. “Questa è una maglietta di Manuel Lanzini dei River Plate autografata da tutta la squadra!”. Mi avvicino ad un Leon alquanto attonito di fronte alla maglietta incorniciata al muro. “Sì, quest'estate sono andata al ritiro dei River con papà”. “Hai fatto anche una foto con Ramòn Diaz, l'allenatore!”. Urla agitato e quasi venerando essa. “Anche tu tifoso dei River?”. Si volta verso di me con gli occhi fuori dalle orbite. “Cazzo sì!”. Corrugo la fronte. “Ma tu non sei messicano?”. “Tecnicamente sì, praticamente sono nato in Argentina per cui ho la doppia cittadinanza”. “Ah, capisco”. “Hai pure l'X Box! Ma questo è il paradiso!”. Scoppio a ridere, sembra un bambino in un negozio di caramelle. “Posso guardare che giochi hai?”. Annuisco col capo, poi mi dirigo in cucina a prendere del succo d'arancia. In fondo è pur sempre un ospite, devo essere servizievole. Quando ritorno in salotto, poggio il vassoio sul tavolino e dico: “Ho portato qualcosa da bere, sempre se hai sete. Oh, sentiti libero di sederti sul divano”. “Grazie”. Prende in mano un bicchiere e si siede. “Ho visto che hai Fifa 13”. Mi accomodo accanto a lui. “Ci gioco ogni tanto il sabato sera con papà”. “Un giorno dobbiamo fare una partita insieme, ci conto”. “Quando vuoi, sei parecchio masochista però”. “Perché?”. “Perché non sai l'inferno che ti aspetta: batto persino papà”. Sorseggio un po' di spremuta. “Evidentemente anche tu non sai chi hai davanti”. Sbuffo ridacchiando. “Segui il calcio regolarmente?”, mi chiede. “Ovvio, che domande!”. Vedo un sorriso a trentadue denti estendersi sul suo volto. “Dove sei stata per tutta la mia vita?”. “Più vicina a te di quanto pensassi”. “Giusto”, sghignazza e posa il bicchiere vuoto. “Ci mettiamo a lavoro?”, domando. “Certo”. Ci alziamo dal divano, raccolgo il sacchetto coi materiali e saliamo le scale diretti nella mia stanza. Entrati, poso la borsetta sopra la scrivania e, poggiata su di essa, mi volto verso di lui. “Avevo detto lavorare, non stravaccarsi sul mio letto”. “Sono stanco”, mugugna. Lo raggiungo e lo scuoto. “Dai su, forza e coraggio!”. “No!”. Sbotta e si mette a pancia in giù affondando il viso nel mio cuscino. Decido allora di accomodarmi sul letto...lo osservo per alcuni secondi, ma nulla. Non muove nemmeno un dito, vuoi vedere che questo si addormenta veramente? Gli do una sberla sul sedere e sobbalza, dopodiché si mette rapidamente seduto. Non riesco a fare a meno di ridere alla vista del suo ciuffo storto. “Che cazzo fai?!”. “Eri steso come un salame e non ti alzavi!”. Riduce gli occhi a due fessure e mi spinge facendomi cadere all'indietro, poi si mette sopra di me e mi dà una cuscinata in faccia. “Questo succede quando qualcuno prova a sfidare Leon Vargas”. Gli do un pizzicotto sulla pancia, facendolo crollare a peso morto su di me. “Questo succede, invece, quando qualcuno prova sfidare Violetta Castillo”. Sento il suo corpo premere contro il mio, ma non mi importa. Mi trovo a pochi centimetri dal suo viso e alzo leggermente l'angolo della bocca, mi sa che questo è il momento giusto per 'recuperare'. Sono io ad annullare le distanze per prima dando vita ad un bacio a dir poco passionale, solo ora mi chiedo come abbia fatto a resistergli tutta oggi. Infatti lui aveva tentato più volte ad avvicinarsi, ma io mi giravo sempre dalla parte opposta. Oh, quanto l'ho aspettato questo bacio! Non voglio essere volgare eh? Ma questa è la limonata più bella che abbia fatto con lui fino ad ora. Ed ecco che di nuovo sento la cosa dura premere sulle mie cosce che avevo sentito stamattina. Improvvisamente lui si stacca e si butta al mio fianco incazzato nero. “No, soldato! No!”, urla guardando il suo...ehm...coso? “Quante volte ti devo ripetere di stare al tuo posto?”. Per carità, non sono per niente un'esperta in materia, ma ora che riesco ad intravederlo bene dai suoi jeans posso dire che è la cosa più grande che avessi mai visto! Ricordo che da piccola ogni tanto vedevo papà far pipì, ma è niente in confronto. “Che c'è?”. Ruota il capo verso di me e dice scocciato: “Gli stai troppo simpatica! Ecco che cosa c'è!”. Arrossisco visibilmente, poi sorrido dolcemente. “Perché sorridi?”. “Mi fai tenerezza, tutto qua. Ti ostini a non voler far nulla con me quando invece tremi tutto”. Sospira. “Non voglio farti far cose di cui protesti pentirtene...”. Mi appoggio sul suo petto e, prendendo coraggio, gli dico: “Non ho detto che voglio arrivare subito a quello, ma che vorrei fare qualcosa che andasse oltre il bacio”. Alza leggermente la testa e mi guarda negli occhi, ci ritroviamo ancora praticamente faccia a faccia. “Saresti disposta veramente a...”. “Sì”. Ride. “Ma se non ti ho nemmeno detto cosa!”. “Oh...okay, qualsiasi cosa tu faccia a me va bene”. Si mette seduto. “Il punto è che tu non hai esperienza, non posso chiederti di...farmi certe cose”. “Ma se non lo faccio, non imparerò mai”, puntualizzo. “Il ragionamento non fa una piega, ma potrebbe essere doloroso”. Corrugo la fronte. “Doloroso?”. “Per me intendo, quando si fanno queste cose con una ragazza che non sa come farle finisci accasciato a terra aspettando di vedere Gesù Cristo dopo il tunnel di luce bianca”. “Esagerato”. Sgrana gli occhi. “Ti giuro! Certe tipe non stanno attente ai denti, non sai che sofferenza!”. Ho capito che non vuole che io faccia niente, questo mi pare chiaro. A tutto, però, c'è un'alternativa. “Potresti farlo te”. Mi guarda torvo. “In che senso?”. Ammetto che sono imbarazzata per ciò che sto per dire. “Beh...se non vuoi che io faccia nulla, potresti...”. “Vorresti che fossi io farti qualcosa?”. “Almeno ho la certezza che ci sai fare”. Si gonfia di fierezza. “Modestamente nessuna si è mai lamentata, anzi!”. Che gallo cedrone dei miei stivali ho davanti! “Allora cosa ti spinge a non fare lo stesso con me?”, chiedo esasperata. “Boh...non lo so, sono sempre stato abituato con ragazze che avevano già provato. Insomma, sarebbe la tua prima volta e farà un po' male”. Sbuffo dalla disperazione. “Vale la stessa cosa di prima: se non proverò mai, resterò per sempre un'inesperta. Va bene preoccuparsi, ma se sono io la prima a darti il consenso non vedo perché farsi tanti problemi. Cazzo, fai l'uomo!”. Okay, forse ho un pochino esagerato, quando ci vuole però ci vuole. Infatti dalla sua espressione capisco che l'ho 'ferito' nell'orgoglio, mi fissa per un po' e si rimette sopra di me. “E' questo che vuoi veramente? Guarda che dopo non si ritorna più indietro”. La determinazione che riesco a leggere nei suoi occhi mi fa rabbrividire, ma non perché mi spaventa. “Sì, lo voglio”. “Te lo chiedo per l'ultima volta: ne sei sicura?”. Annuisco col capo e cerco di fare un sorriso più convincente possibile. Ammetto che sono un po' agitata, infatti mi irrigidisco subito. “Così non va! Non devi essere un pezzo di legno. Chiudi gli occhi e rilassati, pensa a qualcosa che ti faccia star bene”. Faccio ciò che mi dice e mi concentro sulla località marittima in cui andavo quand'ero bambina assieme ai miei genitori. Quel posto è paragonabile al paradiso. Ho ancora impresse nella mente le onde che si infrangevano sugli scogli, la sabbia fra i piedi ed il profumo pungente della salsedine. Improvvisamente sento la sua mano dentro per le mutande e l'ansia torna a farsi sentire. “Non azzardarti ad aprire gli occhi, continua a pensare e basta”, dice con un tono pacato. Il cuore batte all'impazzata e quasi mi manca il respiro, posso sentire le sue dita giocare con la mia intimità. E' una sensazione così strana eppure allo stesso tempo piacevole, ad un certo punto una di queste penetra. Aveva ragione, fa un po' male. E' sopportabile, comunque. All'inizio provo quasi fastidio, dopodiché la cosa mi piace e anche troppo. Sento il fiato corto e sono sopraffatta dal caldo, mi sembra quasi di soffocare. Sbarro gli occhi ed afferro il suo braccio. “Basta, ti prego!”, urlo in modo disumano. Attentamente toglie la mano da là sotto, si siede e confuso mi domanda: “Non ti piaceva? Ti ho fatto troppo male? Lo sapevo, cazzo! Lo sapevo!”. Scuoto il capo come per tornare alla realtà, mi sembra di essere stata su un altro pianeta nell'ultimo paio di minuti. “No ma che dici? Mi è piaciuto”. “Allora perché hai voluto che smettessi?”. “Mmm...non lo so, improvvisamente mi sono sentita tutta accaldata come se avessi un fuoco dentro. Non riuscivo a respirare ed avevo la sensazione di soffocare, poi tipo sentivo un formicolio là sotto e tremavo. E' così strano...non sapevo cosa mi stesse succedendo”. Mi sorride e poi scoppia a ridere. “Tesoro, ma eri solamente eccitata”. Aggrotto la fronte. “Sul serio?”. “Non dico che tu possa aver provato la stessa cosa prima di oggi, ma simile sì. Mai capitato di eccitarti guardando, chessò, un porno o facendo sogni bagnati?”. Mi sembra di essere stata colta il flagrante e arrossisco. “Mai guardato un porno in vita mia”. “Ma avrai sogn...”. “Ho detto di no! Non ho la mente perversa come la tua”. Alza le mani in segno di resa. “Okay bimba, la smetto. Ora vado a lavarmi le mani, tu prepara le cose per i modellini. Puoi dirmi dov'è il bagno?”. Gli indico la porta di fronte a me, si alza e si dirige verso il bagnetto. Sono frastornata eppure così felice, mi massaggio i capelli e mi guardo attorno. Davvero tutto questo è reale? Sospiro beatamente e mi stiracchio. Torna nella mia stanza e si ferma per alcuni secondi, alzo lo sguardo e noto che mi sta fissando. “Che c'è?”. Alza un angolo della bocca. “Niente, sei bellissima”. “Io ti...”. No! Non azzardarti ad aprire quel forno che chiami bocca, Vilu! “...adoro. Sei un ragazzo speciale, Leon”. Mi tiro su e gli vado incontro per abbracciarlo, ora che sono senza scarpe gli arrivo giusta al petto. “Anche io penso lo stesso di te, bimba. Ora mettiamoci a lavoro, su!”. Mi stampa un bacio sulla fronte e ci accomodiamo sulle sedie della scrivania. Mai avrei pensato fino ad un mese fa che sarei arrivata a questo punto con lui, mai avrei pensato di amarlo così tanto.

 

 

                                                                                                                                                 20 gennaio 2014

Caro diario,

scusami se non ti ho scritto prima di cena come faccio di solito, ma Leon è rimasto a casa mia fino alle sei e mezza per completare il progetto di scienze. Dopo che se n'è andato ho praticamente mangiato subito e poi ho guardato un po' la televisione assieme a papà, però ora eccomi qua! Beh che dire di oggi? Devo ancora finire i muffin che mi ha regalato Leon. Vabbè, li mangerò domattina per colazione. E' stato veramente dolcissimo con me, tanto da voler scambiare effusioni in pubblico! Mi ha fatto un po' arrabbiare però quando ho scoperto che mi aveva mentito finora circa la sua situazione scolastica, infatti mi diceva sempre di non preoccuparmi perché ne aveva sotto un paio e non erano gravi. Ha tre insufficienze, tra cui una grave in matematica, e due incerte. Non capisco perché abbia preferito dirmi una bugia invece della verità, se l'avessi saputo fin da subito avrei cercato di aiutarlo in qualche modo. Lui è estremamente orgoglioso e non gli piace per niente abbassarsi a dire che non è in grado di farcela da solo. Portando però avanti una menzogna non solo rischia di essere bocciato di nuovo, ma di perdere la fiducia di chi gli sta attorno facendoli incazzare il triplo. Per fortuna che ora lo so, così appena avrò del tempo libero cercherò di salvare ciò che è salvabile tipo scienze. Con questi modellini e col cartellone che abbiamo preparato per martedì di sicuro porterà il voto minimo a sei! Inoltre mi ha detto di essere un tifoso sfegatato dei RIVER PLATE!!! Già si è messo a parlare di andare a vedere una partita assieme, magari il Superclàsico contro i Boca. A papà Leon non piace molto, ma quando gli ho detto che tifa per il River gli si sono illuminati gli occhi. Ah, stavo giusto per dimenticare. Oggi sono andata oltre al bacio con lui ed è stato bellissimo. Ammetto che all'inizio provavo fastidio, insomma un dito che va su e giù per Gina non è proprio il massimo...poi invece ho provato una sensazione stranissima e del tutto nuova: sentivo un formicolio là sotto, avevo moltissimo caldo ma soprattutto mi mancava l'aria. Tanto che l'ho perfino fermato! Mi sembrava di avere una reazione del tutto anormale, invece poi parlandone ho scoperto che mi stavo solamente eccitando. Che figura di merda! Grazie al cielo lui l'ha vista come una cosa tenera e mi ha pure detto che sono bellissima. Ora di certo le cattiverie dette da Ludmilla avranno minor peso, a me non interessa piacere agli altri. Se piaccio a lui, mi basta. Ora dormo perché sono stanca morta, questa nottata sarà diversa: c'è ancora il suo profumo impregnato nelle lenzuola.

A domani,

Violetta

 

 

ANGOLO DELL'AUTRICE

Sono tornata con un nuovo capitolo! Inizio col dire che spero sia di vostro gradimento e che non abbia tradito le vostre aspettative. Che ve ne pare? Ci ho messo anima e corpo. A parte i classici ringraziamenti di rito che non smetterò mai di farvi per l'appoggio che continuamente mi date, non so che altro dirvi Mi fa sempre piacere leggere le vostre recensioni, rispondere e vedere che state aumentando di numero nei preferiti e nelle seguite. Delle volte ho delle brutte giornate in cui sono di a dir poco pessimo umore, entro su Efp e trovo i vostri complimenti e i vostri messaggi...veramente ragazzi, mi migliorate la giornata! Nel continuato ci saranno altre novità, sappiatelo. Per cui...

STAY TUNED ;)

Gre

Ritorna all'indice


Capitolo 10
*** Capitolo 10 ***


                                                                             CAPITOLO 10

 

 

 

Lentamente mi sfilo pure i pantaloni e mi ritrovo ad indossare solo la biancheria intima. Oggi c'è qualcosa che non quadra: le mie compagne si stanno cambiando stranamente tranquille e non si sentono rumori di natura non pervenuta provenienti dallo spogliatoio maschile adiacente al nostro. E' tutto calmo, troppo calmo. Rovisto all'interno del borsone alla ricerca degli shorts e della t-shirt da indossare per la lezione, quando improvvisamente sento un forte rumore e le ragazze urlare. Mi volto di scatto, ma non faccio in tempo a realizzare ciò che sta accadendo che sono già zuppa. I ragazzi hanno fatto irruzione nella stanza e ci stanno colpendo con delle pistole ad acqua, bastardi! Spalanco la bocca in preda agli spasmi dati dal freddo, tra la caciara riesco ad individuare Leon e gli rivolgo uno sguardo assassino. “Deficienti! Siamo mezze nude!”, urla Ludmilla furiosa. Su questo non posso darle torto, però. “E' proprio questo il motivo”. Broadway ride sguaiatamente dando una gomitata a Tomas. “Questo non giustifica la cosa! Ma vi è andato in pappa il cervello? Siete pazzi!”. Camilla è rossa dalla rabbia. “Quante storie! In fondo è come se steste in costume no?”. Oh, questo non lo dovevi dire caro mio. Potete immaginare benissimo a chi mi riferisco, irritata dico: “Ti prego, meglio che tu stia zitto”. Si gira verso di me e mi sorride malizioso, dopodiché mi squadra dalla testa ai piedi. “Avevi ragione riguardo al fatto che è magra nei punti giusti e prosperosa in altri, Leon!”, afferma Maxi. “Io ho sempre ragione”. Ad un certo punto entra la Saenz nello spogliatoio e la sua espressione passa da preoccupata ad incazzata nera. “Cos'è successo qua? Un festino?”. Nessuno osa proferire parola, ci limitiamo a guardarci allarmati. “Qualcuno mi spiega cos'è successo qui dentro?”. Alza il tono di voce, ma tutti continuano a restare in silenzio desiderando, probabilmente, di rimpicciolirsi fino a diventare invisibili. Certo che però i professori fanno proprio delle domande idiote, eh? Fai ingresso in una stanza e vedi tutte le ragazze bagnate e i maschi con le pistole ad acqua, non credo ci voglia il quoziente intellettivo di Einstein per capire cosa sia accaduto! “Dal momento che nessuno si degna di darmi una consona spiegazione...tutti in presidenza!”. No, non ancora. A distanza di tre giorni è la seconda volta che vengo spedita dal preside, sta diventando una specie di incubo. Almeno non sono l'unica. “Forza, asciugatevi e rivestitevi! E voi...fuori di qui!”, grida indicando la porta ai miei compagni. Rivolgo un ultimo fuggente sguardo a Leon prima che esca, lui si limita ad alzare l'angolo della bocca e sghignazza. Come fa a non essere minimamente toccato da tutto questo?

 

 

“Ne ho viste davvero tante nella vita, si potrebbe dire quasi tutte. Ma mai mi è capitato di vedere una classe intera in presidenza!”, dice Leon ridendo. Andrès aggiunge: “Di solito al massimo si dà la nota di classe”. Le sedie scomodissime della saletta d'attesa sono tutte occupate e siamo disposti a ferro di cavallo, io sono seduta fra Fran e Cami. “Secondo me la Saenz è in combutta con Casal”, afferma Marco. Maxi scuote il capo. “Nah! E' solo una psicopatica mestruata che ci tratta come se fossimo atleti a livello agonistico, cosa che non siamo!”. “Eh beh Casal? Non è peggio? Pretende risultati da geni matematici e spiega come un caprone handicappato!”, ribatte Federico. Tutti scoppiano a ridere per la battuta, tranne me. “Non so se vi siete resi conto che aldilà di quella porta c'è il preside Marotti e che può sentire tutto quello che dite anche se è a colloquio con qualcun altro. Vedete di moderarvi coi toni e con le parole se non volete aggravare la situazione”. Mi spiace, ma dovevo proprio dirlo. Ci tengo alla mia condotta, in particolare ultimamente perché sta andando lentamente a farsi un viaggetto con tutte queste convocazioni in presidenza. “Come vuole, Miss Gelo”. Tomas assume un'espressione di scherno guardandomi e coinvolgendo alcuni in una risata. Camilla sbuffando urla: “Ma che palle! Quanto cavolo ci mette quello là dentro?!”. Le lancio un'occhiata seria e si ricompone, Andrès risponde: “Mi sa che perderemo anche l'ora dopo perché con Enrique Montez dentro la vedo dura”. “Ancora quello là?”, sbotto. “Ti ho già spiegato come funzionano le cose qua dentro, mi pare”. Mi volto e vedo Leon intento ad accendersi una sigaretta. “Giochiamo a 'verità o penitenza'?”. Chiede Napo euforico, metà classe lo squadra torva. “E' dalla seconda media che non gioco a cose così infantili”. Ludmilla è sempre la solita acida, ma anche in questo caso non ha tutti i torti. 'Verità o penitenza' penso sia il gioco più stupido che esista, soprattutto se giocato con persone sconosciute. Ed io in questa classe mi sono sempre sentita un'emarginata, salvo con qualcuno. “Può essere divertente”. Broadway sorride divertito suscitando i consensi di Maxi e Braco che annuiscono col capo. “A me sinceramente non va molto come idea”. “Quoto Marco”, afferma la mia migliore amica. “Dai ragazzi, è solo per ammazzare il tempo! Non fate i falsi maturi, dai!”. Federico sta cercando di animarci, poi continua: “Quanti a favore?”. Alzano la mano praticamente tutti tranne me, Ludmilla, Marco e Francesca. “Quanti contro?”, alziamo anche noi la mano invano. “Bene, il popolo a deciso! 'Verità o penitenza' sia. Chi vuole cominciare?”. Federico lo vedrei bene come uno di quegli animatori nei villaggi vacanza, tutto sommato è simpatico ma nulla di più. Non so perché, ma a pelle sento di non dovermi fidare dei tipi come lui. E' così eccentrico e falsamente cordiale con tutti da sembrarmi finto. Da come sbraccia Camilla intuisco voglia iniziare lei. “Mmm...Ludmilla: verità o penitenza?”. La strega ridacchia e si arriccia i capelli con un dito. “Verità, sempre”. E' ironico come una bugiarda di prima categoria come lei dica così, poi quel 'sempre' è davvero ridicolo! “Qual è il ragazzo più dotato con cui sei stata?”. Assume un sorrisetto malizioso, si volta e, anziché guardare Cami, mi fissa negli occhi. “Che domande, Lyon!”. Abbasso lo sguardo e serro la mascella, la detesto. I ragazzi stanno gridando come cavernicoli riempiendo di gomitate e complimenti Leon, mentre le ragazze stanno ridendo istericamente. Tranne Fran, la quale si avvicina al mio orecchio e sussurra: “Tutto bene?”. Annuisco col capo e alzo la testa guardandolo seria, dal suo canto lui scrolla le spalle confuso quanto me e dal suo labiale riesco ad intuire che vuole dirmi: “Non ascoltarla, ti prego”. La tarantola interrompe il vociare creatosi: “Okay, ora tocca a me. Scelgo...Lyon”. Mi aspettavo scegliesse me, sinceramente. “Verità o penitenza?”. “Verità”, sbotta sicuro. “Con quante ragazze sei stato in tutta la tua vita? Voglio i numeri delle tipe con le quali hai avuto una relazione ufficiale e quelle con cui hai avuto solo una scappatella”. Nella stanzetta cala un silenzio di tomba, sembra che tutti aspettino ansiosi di sentire un verdetto. Compresa me. “La penitenza sarebbe?”. Ora tutt'intorno è un continuo bisbigliare ed io mi sento alquanto a disagio. Quante ne ha avute per vergognarsi a dirlo davanti a tutti? “Non c'è possibilità di tornare indietro Lyon, ormai hai detto verità”. “Sono disposto anche a lustrare questo lurido pavimento con la lingua”. Alza il mento con fare altezzoso. “Assumiti tutta la colpa con Marotti”. Sgrana gli occhi e le fa il gesto dell'ombrello. “Col cazzo! E' stata un'idea meditata da mesi e non solo mia, non mi prenderò mai la responsabilità di tutto questo casino!”. Fa 'no' col dito. “O la colpa o la pura verità, dolcezza”. Allarga le braccia esasperato e ammette: “La verità è che...non lo so”. “Come fai a non saperlo!”, urla Maxi. “Oh, state calmini eh? Al momento non so il numero preciso di nessuno delle due, ho la memoria corta e poi il più delle volte ero ubriaco”. Tremo. Non so il motivo, ma tremo. Devono legarmi alla sedia come una pazza perché a momenti sto per sbroccare, mi giro in direzione della strega e mi rivolge un sorrisetto falso. I ragazzi stanno ancora questionando con un Leon sulla difensiva. “E va bene! Approssimativamente saranno una decina di relazioni più o meno serie e forse...mmm...una quindicina di incontri di una sola sera? Non so”. Mi alzo dalla sedia e mi dirigo rapidamente verso l'uscita. “Che fai?”, chiede preoccupata Francesca. Con la mano sulla maniglia rispondo: “Se nel frattempo entrate, dite a Marotti che sono andata in bagno”. Chiusa la porta alle spalle, sono finalmente sola e mi dirigo verso lo sgabuzzino vicino all'aula 24. Ci entro, sposto un il piccolo carrellino dei bidelli e mi siedo goffamente sopra ad una poltrona sgualcita e sporca, la mia poltrona. Era da un po' di tempo che non tornavo in questo posto, quanti ricordi. Tutte le ricreazioni passate a leggere le opere di William Shakespeare e Charles Baudelaire, tutte quelle volte che chiedevo di andare ai servizi quando volevo semplicemente rilassarmi per cinque minuti fra queste mura. L'anno scorso, quando subivo le cattiverie di Ludmilla, venivo spesso qua a piangere. Andavo anche nel bagno, ma la mia scelta dipendeva da in che aula ci trovavamo e di conseguenza dalla distanza, ma di solito preferivo il ripostiglio soprattutto perché era ed è tutt'ora un luogo nascosto e poco utilizzato. Pulizie, queste sconosciute! Sento la porta aprirsi e, impaurita, afferro una ventosa e la punto contro chiunque stia per entrare. “Pensavi veramente di difenderti con quello?”, domanda ridendo Leon. Per fortuna, temevo il peggio. Già dovrei essere in saletta d'attesa pronta per un altro entusiasmante colloquio in presidenza, in più se mi sgamano all'interno di uno sgabuzzino la cui entrata è permessa solo ai bidelli sono finita. Lancio l'oggetto svogliatamente sopra il carrello e mi volto verso di lui. “Come sapevi che ero qua?”. “Sesto senso”. Lo guardo poco convinta. “Okay, okay. Ti ho seguita e ti ho vista mentre entravi”. “Cosa vuoi?”. “Metterti in guardia”. Aggrotto la fronte. “Che? Mettermi in guardia?”. “Sì, riguardo Ludmilla. Sta facendo di tutto per farti imbestialire e tu ci stai cadendo come una polla”. Fa una piccola pausa, poi continua: “Per quanto mi possa far piacere il fatto che mi consideri il più dotato, non credo proprio sia vero. Anche perché Ludmilla è stata con tanti ragazzi, per cui io sarei solo uno della sua lunga lista. Per quanto riguarda la domanda che mi è stata posta dopo: avevi detto che non ti interessava il mio passato, no?”. “Sì, l'ho detto. Permetti però che ne sia infastidita, insomma non stiamo insieme però ti a...cioè, c'è qualcosa fra di noi! Ormai lo sanno anche i sassi ed è più che comprensibile che un po' mi secchino le insinuazioni fatte da una tua ex e le tue relazioni precedenti. Sono umana, cazzo!”. Si accuccia e posa una mano sopra un bracciolo della poltrona. “Il fatto è che tu le stai dando troppa corda standola a sentire. Vuole solo metterci i bastoni fra le ruote, capisci?”. Ruoto il capo a sinistra in modo da poterlo vedere bene in volto. “Quando vuole qualcosa, mostra i denti e sfodera gli artigli e non le importa di chi ha davanti. Se vuole qualcosa, se la prende giocando la carta della paura e dell'impotenza”. “Lei vuole te?”. “Stando ai messaggi che mi sono arrivati in questi giorni, sì”. “E tu le hai risposto?”. “Ai primi sì, dicendole di lasciarmi in pace. Dopodiché no, non le ho più risposto”. “Ah”. Sposto lo sguardo davanti a me confusa ed intimorita. Se mi ha trattata come uno straccio tutto l'anno scorso, non oso pensare fino a dove si spingerà adesso che sa che fra me e Leon c'è una storia. “Vuoi sapere come fare ad uscirne vincente?”. Annuisco col capo e lo guardo negli occhi. “Non dare peso alle sue parole e sii superiore ignorandola totalmente, ma, cosa più importante, dammi fiducia”. “E chi te lo dice che io non mi fidi te?”. Sorride flebilmente e scuote la testa. “Te lo si legge in quegli occhioni, bimba. Vedo come mi squadri appena poso lo sguardo su un'altra ragazza e non oso immaginare quante volte hai controllato i profili delle mie ex. Non sono stato un santo e non lo sarò mai, ma credimi se ti dico che di tutte loro non mi interessa un bel niente ora che ho te. Perché mai dovrei pensarci se tu sei la cosa più bella che mi sia capitata in questa vita di merda?”. Con una mano gli accarezzo la guancia e assumo un'espressione dolce. “Davvero?”. Mi guarda un po' imbarazzato e credo che questa sia la prima volta che lo vedo arrossire. “Beh, sì...una delle cose più belle, di sicuro!”. Torna in piedi e mi alzo pure io, poi mi accoglie fra le sue braccia. “Adesso ti fidi di me?”. Annuisco col capo, prendo una sua mano e la poggio sul mio petto. “Questo è l'effetto che mi fai, quello che mi hai sempre fatto”. Il mio cuore sta battendo all'impazzata, come sempre del resto quando sto con lui. Mi sorride e, prendendomi il viso fra le mani, mi attira a lui baciandomi dolcemente come ieri mattina in autobus. Dentro di me, improvvisamente, si insinua l'idea che forse c'è ancora un speranza per noi due, che potremmo veramente metterci assieme e che lui sia sinceramente innamorato di me. Io amo lui e lui ama me. No, non posso permettermi illusioni, me lo ripete sempre: 'All'amore non ci credo'. E allora perché mi sembra così? Quando ci stacchiamo mi dà un buffetto sulla guancia e dice: “Su, muoviamoci a tornare nella saletta d'attesa. Saranno preoccupati per noi”. “Okay”. Usciamo dal ripostiglio e ci dirigiamo verso la stanzetta, mi cinge la vita attirandomi a sé e mi schiocca un bacio sulla tempia. Nonostante tutto continuo ancora a sperare in un futuro 'noi' concreto come una bambina ostinata.

 

 

Giocherello annoiata con il tappo di una penna durante l'ora di letteratura, il professor Sanchez è intento a spiegare il pentametro giambico nella metrica anglosassone. Per quanto mi possa interessare quest'argomento, oggi non è proprio giornata perché mi pare di aver della poltiglia al posto del cervello. Troppe cose in sole tre ore, Marotti ha detto che per ora passa liscia ma che la prossima volta non farà sconti a nessuno nella nostra classe. Ovviamente mentre diceva ciò fissava intensamente Leon e Andrès, sue vecchie conoscenze. Inoltre si è sbilanciato dicendo che diversi di noi rischiano di perdere l'anno stando ai voti ed al comportamento, dentro di me pregavo che non si riferisse a lui con tutta me stessa. Il rumore della porta che si apre mi risveglia dalle riflessioni, mi volto in direzione dell'entrata e noto che ha fatto il suo ingresso Casal. “Mi scusi Antonio, posso fare un annuncio alla classe?”. “Certamente Gregorio, venga pure qua accanto alla cattedra”. “Grazie”. “Si figuri”. Munito di valigetta e con un passo da marcia militare, Casal si posiziona dove gli è stato detto dal prof di spagnolo. “Buongiorno, ragazzi. Sono lieto di annunciarvi che da oggi in poi avrete un nuovo compagno di classe nonché mio figlio, per cui vi invito ad assumere un comportamento appropriato nei suoi confronti. Prego, entra”. Tutti ci giriamo per vedere chi sia il figlio del famigerato vicepreside e...no, non può essere! Mi pizzico il braccio più volte sperando che sia un incubo, ma è tutto vero. “Piacere ragazzi, io sono Diego Casal e sono felice di poter entrare a far parte di questa sezione”. Guardo Fran allarmata e noto che lei è agitata quanto me, ma perché devono capitare tutte a me? “Benvenuto Diego, sono molto felice di averti come alunno! Conosci per caso qualcuno di questa classe? Magari potresti sedertici vicino in questo primo mese per ambientarti meglio”. No prof Sanchez, no! Ma queste idee le partorisce dal culo? Prego tutti gli dei esistenti perché conosca qualcun altro all'infuori di me, nel dubbio mi metto a rovistare nello zaino nella speranza di non essere notata. “Mmm...sì, conosco solo Violetta Castillo”. Tutti i miei compagni si voltano verso di me ed io, alzando il capo, sorrido visibilmente a disagio. “Signorina Ferro, si sposti gentilmente accanto a Federico e Camilla”. La tarantola sbuffando raccoglie le sue cose e si dirige dove richiesto, tutto ad un tratto mi manca avere quella strega accanto a me. “Bene allora, Diego accomodati pure accanto a Violetta”, dice il professore di lettere sorridendo. “Il mio lavoro qua è finito. Spero vi stiate preparando al giro di interrogazioni che comincerà domani, buona giornata e buona lezione”. Casal esce dall'aula sbattendo la porta come al suo solito. Sento la sua presenza scomoda troppo vicina. “Ti sono mancato, principessa?”. Lo guardo scocciata. “No, per niente. Quante volte ti devo dire di non chiamarmi principessa?”. “Non ti crederei nemmeno sotto tortura, principessa”. Calca quell'odiosa parola volutamente, sbuffo e torno a fissare il mio libro. “Perché mi tratti così dopo quello che c'è stato fra di noi?”. “Ma cos...”. “Piacere di conoscerti, Diego”. Alzo lo sguardo e vedo Leon porgergli la mano. Cos'ha intenzione di fare? “Ehm...il piacere è mio, tu saresti?”. “Leon, il ragazzo di Violetta”. Lancia un sorriso di sfida e lo spagnolo aggrotta la fronte. “Ah. Non hai perso tempo a quanto pare”, dice guardandomi. Continuo a spostare lo sguardo sui due in modo alternato indecisa su cosa dire. “Allora, dimmi: da quant'è che frequenti questo qua?”. “Lei non deve dare spiegazioni a nessuno, specialmente a te”. “Sei anche il suo avvocato difensore? Lascia che sia lei a parlare”. “E' troppo timida per dire ciò che pensa”. “Preferirei dire troppo insicura e confusa, come quella volta che mi ha rifiutato”. “Avrà avuto le sue buone ragioni, non credi?”. “Che non si è mai degnata di darmi”. Ora ho gli occhi di entrambi fissi su di me, non so davvero cosa dire. “Hey voi tre, avete finito di fare sagra qua davanti?”. Grazie al cielo il professor Sanchez interrompe questa situazione imbarazzante, infatti entrambi ritornano composti. Faccio una panoramica di com'è la situazione attorno: tutti si stanno facendo gli affari loro, chi più e chi meno, ad eccezione di Braco che mi guarda afflitto, Fran che scuote il capo e Ludmilla che...sorride. Cosa avrà mai da ridere quella strega?

 

 

“Mi lasci in pace?”. Sbatto l'anta dell'armadietto violentemente e guardo seccata Diego. “Ma principessa, non credi che io meriti una spiegazione?”. “Per cosa? Non è successo nulla fra di noi!”. “Come no! Ci siamo sentiti per un paio di mesi e siamo pure usciti tre o quattro volte”. Sbuffo ed incrocio le braccia al petto. “Questo tu lo chiami 'qualcosa'?”. “Sì, cioè non so...abbiamo condiviso molte cose”. “Tu non sai niente di me”. “Ammetti almeno che non ti piacevo abbastanza, dillo!”. “Sì, è vero. Non mi sei mai piaciuto abbastanza e allora?”. Diventa rosso d'ira e mi urla contro: “Potevi fare a meno di illudermi!”. “Oh, che succede qua?”. Sia lodato Gesù Cristo, ecco che arriva Leon! “Ci mancava solo sto coglione!”. “Intanto moderi i termini, carino!”, sbotto. “Hai sentito? Datti una calmata!”. Lo spagnolo abbassa lo sguardo e serra la mascella. “Non so se hai notato che stavamo tenendo una conversazione in cui tu non sei gradito”. “La stavi aggredendo, non dire cazzate!”. Gli si para davanti. “Non avrei alzato il tono di voce se lei si degnasse di dirmi la ragione per cui mi ha scaricato ed ha cominciato a trattarmi di merda!”. Corrugo la fronte e ribatto: “Trattarti di merda? Ma quando mai?”. “Sì, nelle ultime settimane in cui ci siamo sentiti mi rispondevi in modo freddo e tutta scazzata. Fino al punto in cui hai smesso proprio di rispondermi”. “Questo perché volevo porre fine ad una cosa che per me non aveva senso”. “I sentimenti che provavo per te non avevano senso?”. “Non sto dicendo questo. Non aveva senso perché io non contraccambiavo e tutte le cose carine che ti dicevo...beh, le dicevo pensando a qualcun altro”. Con la coda dell'occhio guardo Leon che sorride flebilmente. “Quindi erano tutte stronzate!”. “Avresti dovuto rendertene conto perché per messaggio ero tutta un'altra persona rispetto alla realtà”. “Credevo ti vergognassi”. Sospiro. “Mentire per messaggio è maledettamente facile”. “Sei un troia!”. Le parole sembrano intrise di veleno da quanta cattiveria ci mette, Leon lo spinge contro gli armadietti e lo alza prendendolo per il colletto della felpa. “Chiedile subito scusa!”. “N-no”. Lo pressa ancora di più. “Forse non hai sentito bene: chiedile scusa!”. Diego è paonazzo ed impaurito. “Mai”. “Scusati se non vuoi che ti pesti fino a farti sputare ogni singolo dente!”. “Leon, ti prego calmati”, cerco di tranquillizzarlo. “No, bimba! Non mi calmo finché questo schifoso non si scusa!”. “Okay, hai vinto te. Scusa!”. Alza le braccia in segno di resa. “Scusa...”. “...sono stato un idiota”. Lo lascia andare e lo guarda sprezzante. “Adesso vattene che per quello che le hai detto meriteresti una batosta ma di quelle fisse, stronzo!”. Diego ci rivolge un'occhiata carica d'odio, dopodiché si allontana con la coda fra le gambe lasciandoci soli. “Leon, certo che non te ne fai mancare una di cazzata!”. Scrolla le spalle. “Perché? Se lo meritava. Sebbene io possa pensare ciò che ti ha detto di diverse tipe non mi azzarderei mai a dirglielo, è una mancanza di rispetto e so quanto possa ferire una donna”. Mi metto le mani fra i capelli e scuoto il capo. “Mi dici che cavolo hai?”. “Diego è il figlio di Casal, il vicepreside nonché coordinatore della nostra classe. Se ne parlasse con suo padre? Hai idea di quello che potrebbe accadere?”. “Tanto mi odia già, non cambierebbe nulla”. “Perderesti l'anno e se verrai bocciato cambierai scuola, quante volte ti devo ripetere questo passaggio?”. Allarga le braccia. “A volte non controllo la rabbia e allora? Piuttosto che manchino di rispetto a me e a chi tengo preferisco darne di santa ragione”. “Leon, la violenza non è mai una buona soluzione. Così passi dalla parte del torto...”. “Però non ti piace che ti chiamino 'troia' no?”. “Certo che no”. Si mette a gesticolare come Galindo durante le lezioni di biologia. “Rispetto. E' una cosa basilare, io porto rispetto a te e tu porti rispetto a me. Se così non è bisogna imporsi mia cara, sennò ti mangeranno sempre la minestra in testa nella vita”. Tentenno. “Io non ci riesco, quando mi sento 'attaccata' faccio sempre scena muta perché non so mai come ribattere”. “Questo perché quando ti offendono credi a ciò che dicono”. Abbasso lo sguardo. “Come fai a saperlo?”. “Vilu, si vede. Non reagiresti così alle provocazioni di Ludmilla ad esempio! Perché non impari a volerti un po' di bene?”. Scuoto la testa. “Non ci riesco...”. “Non c'è nulla di male a volersi bene, ciò non implica essere egoisti. Significa solo portarsi rispetto e non permettere a nessuno di intaccare la tua autostima e la tua felicità, perché con un atteggiamento passivo finirai sempre per risultare la vittima e lì fuori tutti se ne approfitteranno”. Silenzio. “Guardami in faccia quando ti parlo, Violetta!”. Alzo il capo e lo fisso negli occhi. “Sai, questa cosa mi fa quasi sorridere. So che sono parole buttate al vento perché tu sei così e non cambierai la tua indole, sorrido perché tu non alzeresti un dito e non ti permetteresti mai di ferire i sentimenti di qualcuno. Io sono sempre circondato da persone, ma alla fine sono solo. Il contrario avviene con te: sei sola perché nessuno ti merita. Tu sei troppo per tutti loro, vali molto di più di quel che credi”. Sorrido debolmente. “Sei meraviglioso, sono io quella che non si sente mai abbastanza quando sono accanto a te”. Aggrotta la fronte. “Perché mai?”. “Tu sei bello e perfetto...io no”. Mi prende il viso fra le mani. “Quando ti renderai conto delle cazzate che stai dicendo? Guardati, sei bellissima”. “Sì, ma di certo sotto i tuoi soliti standard. Gli altri cosa penseranno?”. “Di quello che dice la gente me ne frego”. “Ma...”. Sento le sue labbra premere sulle mie con prepotenza, subito sono rigida ma poco dopo abbandono ogni resistenza. Sembro fatta di ricotta perché mi lascio completamente andare fra le sue braccia e sono vulnerabilissima, intreccio le dita nei suoi capelli e andiamo in perfetta sincronia. Non ne avrò mai abbastanza di lui e solo oro mi capacito del fatto che per me sta diventando come una sorta di dipendenza: se c'è lui sto bene, se invece non è così mi deprimo. Una volta avevo visto un documentario che diceva che quando ci si innamora si attiva una parte del cervello che è la stessa in funzione quando si fa uso di droghe o comunque si è dipendenti da qualcosa tipo il fumo, l'alcol o il gioco. Questo spiega la totale assuefazione che si prova nei confronti della persona amata, sei disposto a mettere da parte l'orgoglio per lei e, nei casi più disperati, a perdere la dignità per inseguirla quando questa fugge. Sinceramente ho paura, temo che tutto questo possa terminare un giorno e che mi risvegli nella mia stanza rendendomi conto che è stata tutta un'invenzione della mia mente. Sarò spolpata e persa, ora che è entrato nella mia vita mi riesce inconcepibile immaginarla senza di lui. Lentamente stacca la sua bocca e poggia la fronte contro la mia. “Voglio solo te”. Sorrido e gli do un bacio a stampo. “Credo di a...”. La frase si tronca inesorabilmente, le parole si bloccano all'estremità della gola per poi sciogliersi quando arrivano alla lingua. Il cuore le spinge forte, però la vista dei suoi occhi verdi e il ricordo di tutto ciò che mi ha detto sull'amore le fa fermare. “Tu credi?”. Odio mentirgli. “Credo di aver trovato un motivo in più per andare avanti con te, mi dai la forza di reagire a tutto il male che mi fa la gente”. Si allontana di più e mi carezza una guancia. “Un giorno tutto questo dolore ti sarà utile”. “Con te non provo più dolore”. Sorride piacevolmente sorpreso. “Sul serio?”. “Da quando ci sei tu ho imparato a pensare positivo e, sentendo la tua esperienza, ho capito che nulla è perduto e che tutti riceviamo una seconda possibilità per ricominciare a vivere la nostra vita al meglio, basta saperla cogliere”. “Mi fa piacere che tu la pensi così, veramente”. “Grazie a te”. “Io in realtà non ho fatto nulla, hai fatto tutto te. Ora basta parlare di cose filosofiche, parliamo di cazzate come dei normali adolescenti!”. Scoppiamo a ridere e ci sistemiamo per dirigerci in fermata. “Tieniti pronta per domani...oh, prego”. Mi apre la porta e usciamo dall'edificio, dopodiché scendiamo le scale. “Perché dovrei tenermi pronta?”. “Diciamo che ti ho fatto il regalo di compleanno con due mesi di anticipo”. Sgrano gli occhi ed inizio a pigolare: “Wow, wow! Cos'è?”. Sghignazza”. “Non te lo posso dire”. Faccio il labbruccio. “Ma perché?”. “Sennò non avrebbe senso darti il regalo domani”. “Ah, giusto”. “Che tata che sei!”. Gli do una leggera spinta. “Hey!”. “Vedi? Ti comporti proprio da bambina”. Gli faccio la linguaccia facendolo ridere. “Come mai lo hai fatto così presto?”. “Domani capirai”. “Uffa! Che palle che sei”. “Cosa devo fare per farti star zitta?”, mi domanda esasperato. “Che effetto ti faccio?”. Corruga la fronte e arresta la sua camminata in mezzo al vialetto alberato. “In che senso?”. “Dimmi ciò che provi per me ed io non rompo più le scatole con la storia del regalo”. Non so cosa mi spinga a chiedergli ciò, forse irrazionalmente credo che contraccambi con la mia stessa intensità. Sogna Vilu, sogna. “Oh Dio, non saprei...cioè lo so, ma non lo so. E' strano da spiegare”. “Cioè?”. “Mmm...wow, trovo più difficile questa domanda che il compito di matematica di ieri. Il fatto è che non sono mai stato bravo con i sentimenti e beh, è una cosa talmente strana e nuova che non so nemmeno come definirla. Non ci sono parole per descriverlo, è...non so, sappi solo che quando sono con te sto bene e sembra che tutti i problemi e le preoccupazioni svanissero per un'istante. Mi sento in dovere di proteggerti e renderti felice...questo ti basta?”. Annuisco col capo e lo abbraccio, forse non è ancora pronto o, semplicemente, non mi ama affatto. Di certo non mi posso lamentare, che fosse nella strada giusta per innamorarsi? Sarebbe bello se provasse anche solo una minima parte di ciò che sento per lui. Improvvisamente mi balena alla mente una frase che avevo letto da qualche parte: 'L'amore non è mai alla pari. Ci sarà sempre uno dei due che ama più intensamente dell'altro', scaccio subito questo pensiero. No, non gli dirò mai 'ti amo' finché non lo dirà lui, non voglio far cazzate se non sono sicura di essere contraccambiata a pieno. Devo solo avere l'autocontrollo giusto e non perdere mai la concentrazione, ma con uno come Leon come ci si può trattenere?

 

 

                                                                                                                                                    21 gennaio 2014

Caro diario,

sarai 'felice' di sapere che sono finita dal preside per la seconda volta, per fortuna che è stata convocata tutta la classe assieme a me. E' stata tutta colpa dei ragazzi che si sono intrufolati nel nostro spogliatoio e ci hanno sguazzate con delle pistole ad acqua! Sono proprio dei cretini, ma tutto sommato abbiamo riso perché è stato divertente. Nella stanza puzzolente, lurida, scomoda...scusami, mi sono lasciata prendere la mano! Nella saletta d'attesa hanno proposto di giocare a 'verità o penitenza' e, dopo aver fatto una votazione, abbiamo cominciato a giocarci. E' stato chiesto alla strega di dire qual era il ragazzo più dotato con la quale è stata e lei, manco a dirlo, ha risposto 'Leon'. Dopodiché toccava a lei fare la domanda e l'ha posta a lui chiedendogli di fare la lista delle tipe con cui ha avuto una storia e di quelle con cui è stato 'solo' a letto. Premetto che sono umana e per quanto possa dirgli che non mi importa di cosa ha fatto in passato mi scoccia sentirne parlare, credo sia più che plausibile. Allora ho deciso di prendere una boccata d'aria e, con la scusa di andare in bagno, sono corsa nel mio sgabuzzino. Poco dopo mi ha raggiunto Leon che mi ha confermato di non essere interessato a nessuna ragazza all'infuori di me. Fino a qui tutto bene, ma il peggio sta per venire. Diego è il figlio di Casal e si è iscritto nella mia scuola, più precisamente in classe mia! E' stato un incubo averlo accanto per tutte le tre ore, i suoi sguardi e i suoi ammiccamenti mi urtavano un sacco! In più alla fine delle lezioni continuava a seguirmi perché 'pretendeva spiegazioni', dopo avermi urlato contro è arrivato Leon a chiedere cosa stava succedendo. Pur di mandarlo via, gli ho dato le spiegazioni che tanto desiderava e mi ha dato della troia, ma non ho fatto nemmeno in tempo a dirgli qualcosa o a mollargli un ceffone che Leon lo ha sbattuto sugli armadietti e lo minacciava di picchiarlo se non mi avesse chiesto scusa. Ero sotto shock e non sapevo che dire o fare, desideravo solo che non si facessero male perché l'ultima cosa che volevo era che si generasse una rissa per me. Alla fine si è scusato e, incazzato nero, ci ha lasciati in pace. Leon non si rende conto della gravità della cazzata che ha fatto, Diego è il figlio del famigerato prof di matematica e se lo venisse a sapere? Di certo non la passerebbe liscia. Ho paura di perderlo per strada per niente, è talmente impulsivo e testa calda che alla minima offesa parte in quarta. Però non voglio pensare negativo, voglio piuttosto concentrarmi sull'uscita che faremo domani e sul regalo che mi farà con ben due mesi di anticipo. Non ho idea di cosa possa essere, sono molto agitata!

A domani,

Violetta

 

 

Chiudo il diario e lo ripongo nel suo consueto cassettino, mi alzo dal letto e mi infilo le ciabatte. Fra poco sarà pronta la cena, per cui è meglio che vada giù da basso. Prima, però, voglio controllare il cellulare. Apro Whatsapp e trovo ben tre messaggi: uno di Francesca in cui mi chiede cosa c'è da studiare per domani, uno di una mia compagna di coro e uno di Leon. Avverto un tremore allo stomaco e lo apro.

Non so cosa mi spinga a scriverti questa cosa, però mi è sorta questa curiosità. Tu, invece, cosa provi per me?

 

ANGOLO DELL'AUTRICE

Ehilà! I'm back with a new chapter! Okay, sopprimo l'anglofona che è in me e cerco di scrivere qualcosa di serio. In questo capitolo ci sono stati meno momenti Leonetta, ma dovete capire che è stato fatto un passaggio importante per la storia: il ritorno di Diego. Ammetto che se dovessi dare un titolo a questa parte sarebbe 'A volte ritornano' :') Nel continuato ci sarà il primo pranzo fuori fra Leon e Violetta per cui ne vedrete delle belle (è risaputo ormai che Vilu è Miss Figura di Merda, no?) e scoprirete il regalo. Tra parentesi, se un ragazzo mi facesse un regalo del genere lo sposerei diretto! Comunque, prima che mi ammazziate di parole, metto subito in preventivo che per il 'ti amo' vi farò un dannare e sarà fra un bel po' di capitoli. Per cui per ora mettetevi l'anima in pace! Per concludere in bellezza ci tengo a fare i ringraziamenti di rito a chi recensisce la storia, a chi la mette fra le seguite e le preferite e a chi mi sostiene. Non sarei arrivata al decimo capitolo se non fosse per voi!

Besos :3

Gre

Ritorna all'indice


Capitolo 11
*** Capitolo 11 ***


                                                                     CAPITOLO 11

 

 

 

Mi lego i capelli in una coda ordinata ed aspetto con ansia che la professoressa Wons consegni le tavole corrette. Tamburello le dita sul banco per smorzare l'ansia, non so perché quando stanno per darmi un voto vado nel pallone. “La vuoi smettere? Mi metti ansia!”. Mi volto verso Leon e sbuffo. “Antipatico”. Mi fa la linguaccia e continua giocare ad Angry Birds, da quando l'ho visto la prima volta stamattina in bus avrà imprecato tipo una cinquantina di volte. “Vola, uccello di merda!”. Distoglie l'attenzione dal suo smartphone e mi dice: “Brava, se non mi avessi distratto sarei andato avanti col livello!”. “Oh, non è mica colpa mia eh?”. “Livello duecentotredici, non dico altro”. “Ma...”. “Sono duecentonovanta livelli in tutto, come hai potuto!”. Mi sbatto una mano sulla fronte. “Certo che sei proprio idiota! Prendersela così per un gioco”. Alza un dito in segno di disappunto. “Angry Birds non è solamente un gioco”. “Questo spiega il pupazzetto che hai sopra il letto”. “Esatto”. Scoppio a ridere per non piangere. “Metti via il telefono, sta entrando la prof”. Credo che se mettesse tutta l'energia usata per nascondere il cellulare nello studio avrebbe tutti nove e dieci. “Buongiorno ragazzi, ho corretto i disegni”, esordisce subito. Andiamo bene. Poggia la tracolla sulla cattedra e tira fuori un mazzetto di chiavi, dopodiché si avvicina ad un armadio poco distante e lo apre estraendo i nostri fogli. “Ora passerò per i banchi consegnandovi le tavole e spendendo qualche parola per ciascuno”. Dal momento che io e Leon siamo in seconda fila, abbiamo cinque o sei persone prima di noi per cui possiamo rilassarci nel frattempo. Anzi, no. Sono in preda al panico. Me la sono sempre cavata in discipline geometriche, ma non sono mai stata particolarmente portata. Capisco dopo tre anni cosa devo fare ed ammetto che quando ci arrivo sono abbastanza spedita, ma manca sempre quel qualcosa nei miei disegni. Nonostante io ci metta l'anima, non ho mai preso sopra il sette e questa cosa mi rode. “Violetta!”. Mi risveglio dal mio stato di trance e mi giro verso Leon. “Eh?”. “Perché ti rompi tanto le scatole?”. Aggrotto la fronte. “Mi rompo le scatole?”. “Sì, ti crei problemi da sola. Rilassati e goditi la vita, sei giovane! Non stare in ansia per certe cose...è da malati”. Incrocio le braccia sul petto. “Scusami tanto se penso al mio futuro, sai?”. Sghignazza. “Il futuro non esiste”. “Ma che cazzo dici?”. “Non è ovvio? Se sei sempre proiettato in avanti non ti concentri sul presente e se non vivi la vita giorno per giorno, puoi dire 'ciao' al tuo adorato futuro perché dipende dalle azioni che compi ora, in questo preciso istante. E' tutto frutto della nostra mente, capisci? Magari domani non sarai nemmeno qua ed hai perso del tempo prezioso fantasticando su cose troppo distanti. Non ci si può prendere il lusso di pensare solo all'avvenire in questo mondo che corre, bimba. Ancora peggio è rimanere impantanati nel passato! Non va bene nessuno dei due atteggiamenti, la vita è ora”. Ammetto che mi ha smosso un po' le idee, non avevo mai visto le cose sotto quest'ottica. Non ha tutti i torti. “Forse hai ragione”. Sul suo viso si estende un sorriso sornione. “Ho sempre ragione”. Roteo gli occhi, ma tutta questa convinzione dove la trova? “Un giorno dobbiamo bruciare”. “Che? Sei pazzo!”. “Perché no, scusa? Non c'è niente di male”. “Non c'è niente di male nel saltare giorni di scuola per niente?”. Fa le spallucce e un mezzo sorrisetto. “No”. Scuoto il capo. “Non se ne parla”. “Ma se avevi detto che avevo ragione sul discorso di vivere la vita al massimo!”. “Sì, ma questo non è vivere al massimo. Non trovo il senso nel marinare la scuola, se davvero non vuoi andarci non vedo perché non dirlo ai tuoi genitori e dormire tutta la mattina”. Inarca un sopracciglio. “Ah, giusto. Dormire piuttosto di andare a scuola è veramente, ma veramente trasgressivo”. Sbuffo rumorosamente. “Non intendevo quello, dico solo che preferisco dormire un po' di più rispetto al solito che vagare per le vie di Buenos Aires senza un preciso scopo solo perché fa figo! Per farmi un giro in centro ho tutto il tempo del mondo nel weekend”. Avvicina il viso a pochi centimetri dal mio e fa il labbruccio. “Eh dai, bimba! Mi dici di 'no' anche se te lo chiedo così?”. Si mette a mani giunte. “Leon, no...”. “Dai...”. “Ho detto di...”. Inizia a sbattere le ciglia. “E va bene! Un giorno salterò scuola con te, contento?”. “Oh sì!”. Torna seduto normalmente, poi si volta e chiede: “Dove andremo di bello?”. “Si potrebbe andare al cinema...anzi no, allo zoo safari!”. Sgrana gli occhi. “No, no e ancora no! Lo zoo? Ma quanti anni hai? Perché non andare in un centro commerciale?”. Assumo un'espressione disgustata. “No! E' il covo per eccellenza delle multinazionali, poi non mi piace fare shopping!”. “Preferisci guardare degli animali puzzolenti piuttosto che comprarti qualcosa di carino?”. “Ti senti quando parli? Un giorno ti registrerò di nascosto e poi ti farò sentire le cazzate che dici, magari così te ne rendi conto!”. Fisso un punto indefinito davanti a me, è incredibile come la persona che ami più di tutte mi faccia girare le scatole nel giro di mezzo secondo. “Siamo come una vecchia coppia sposata”. Lo guardo e scoppiamo a ridere. “Vargas...nove, come al solito lavoro impeccabile: a parte questo piccolo difettuccio va tutto più che bene. Se mi avessi fatto giusta anche questa cosa, avresti preso dieci”. La professoressa Wons posa il disegno di Leon sul banco, dopodiché passa a me. “Castillo, Castillo. Molte imprecisioni, ma l'argomento l'hai assimilato”. Appoggia sul banco la mia tavola e spero di aver preso almeno...sei. Basta, sono stufa di prendere lo stesso, inutile sei. “E tutti questi segnacci, dovresti stare più leggera! Quante volte ti ho detto di usare una matita più dura di una 2H? Hai il tratto pesante che è perfetto per discipline pittoriche, ma non per la mia materia. Spero che ascolterai ciò che ti ho detto, la prossima volta ti voglio in classe con in mano una 4H come minimo”. Sconsolata afferro il foglio, osservo tutti gli errori in rosso e lo sbatto sul banco. “Hey...calmati, va tutto bene. E' sufficiente”. “Ancora sei Leon, sono stufa! E' da due anni che mi faccio il culo per questa materia e sono sempre al punto di prima”. Mi accarezza la spalla. “Devi farti più furba”. Corrugo la fronte. “In che senso?”. “Conosco un po' di trucchetti che, se applicati insieme, come minimo ti alzano di un voto”. Vorrei essere una persona esterna per vedere la mia faccia in questo momento, sembra mi sia apparsa la Madonna davanti. “Sul serio?”. “Certo, ad esempio guarda un po'...”. Apre il suo astuccio ed estrae una gomma pane, dopodiché la tampona delicatamente sopra ai tratti della figura. “Se hai la mano pesante, ti conviene alleggerire le linee di costruzione con la gomma pane per renderle più fine come vuole la prof”. Spalanco la bocca incredula. “Mi si è aperto un mondo”. Ridacchia. “Non è che potresti insegnarmene altri?”. Scrolla le spalle e alza un angolo della bocca. “Potrei...a che prezzo?”. Sbuffo. “Dai cazzo, Leon! Ne ho bisogno, non devi trovare il secondo fine in ogni cosa”. Sospira come se fosse pensieroso, poi si guarda le mani e scrocchia le dita. Mi sta urtando sui nervi parecchio. “Allora?”. Avvicina lentamente il suo viso al mio. “Voglio che tu in cambio mi dia uno di quei baci che mi piacciono tanto”, assume il tono di voce di un bambino. “Tanto sai che lo farei comunque”. “Non vuoi nemmeno sdebitarti per il consiglio che ti ho dato?”. “Sai? Se è questo è modo che ho di farlo, comincerò a chiederti favori più spesso”. Chiudo gli occhi e lentamente poso le labbra sulle sue, posso sentire i fischi di qualcuno ma cosa volete che mi importi? Lo bacio dolcemente ma allo stesso tempo rapidamente, siamo in classe e non è un comportamento dei migliori da tenere. Sarei un pochino stufa di finire dal preside. Mi stacco da lui e gli accarezzo la guancia, sul suo viso si estende un gran sorriso ed io col dito tocco delicatamente una sua fossetta. “Che fai?”, dice confuso. “Scusami, ma è dal primo momento che ti ho visto che sogno di farlo!”. Entrambi scoppiamo in una fragorosa risata, tanto che la professoressa Wons ci zittisce. Ci diamo un'ultima occhiata, poi ci mettiamo seduti composti. Ho la sensazione che mille sguardi taglienti come lame affilate mi stiano perforando la schiena, con noncuranza mi volto all'indietro e vedo che tutta la classe ci sta fissando. Francesca è felice come una Pasqua, Braco mi osserva con la stessa espressione di ieri, Tomas ha gli occhi ridotti a due fessure ed, infine, Ludmilla sta sussurrando qualcosa nell'orecchio di...Diego.

 

 

“Leon, basta!”. “No, non la smetto”. Sbuffo e mordo il panino. “Hai rotto le palle, calmati!”. Sgrana gli occhi ed addenta rabbiosamente un quadrato di Kinder Bueno. “No, non mi calmo! In queste tre ore sono riuscito a recuperare ottanta livelli, ripeto: ottanta livelli. Ovviamente tu mi distrai sempre nei momenti meno opportuni, che poi mi domandavo cosa ci fosse di così tanto importante da darmi una gomitata così forte che domani di sicuro avrò un livido nero enorme...'Oh Leon! Guarda: piove'”, dice l'ultima frase rendendo la voce stridula con l'intento di imitarmi. “Senti, in classe tutto diventa interessante quando ti stai annoiando!”. Serra la mascella, dopodiché spalanca la bocca infilandosi dentro tutto il resto dello snack. “Questo non giustifica la gomitata”. “Era da un'ora che non mi stavi cagando”. Ridacchia. “Ma cosa dici? Ti ho sempre ascoltata”. Inarco un sopracciglio. “Sul serio? Mi stai prendendo per il culo? Ma se mi hai detto che mi avresti portato ai Caraibi quest'estate e che mi avresti donato la tua moto”. Aggrotta la fronte. “Quando? Non ho mai detto queste cose!”. “'Leon, che palle sta lezione!' e tu: 'Sì'. 'Oggi sono stanca morta' e tu: 'Certo'. 'Ma mi stai ascoltando?' e tu: 'Sì, sì'. 'Beh quindi per quest'estate siamo d'accordo per la crociera ai Caraibi? Ah, e ricordati che la settimana prossima devi portarmi la tua moto dal momento che hai promesso di regalarmela' e tu: 'Sì'. Per cui, caro mio, le cose sono due: o ammetti che non hai ascoltato una mazza di ciò che ti ho detto oppure fai a meno, sappi solo che aspetto la moto ed il biglietto per la crociera!”. Rotea gli occhi e si stravacca sulla panchina. “Siamo come una vecchia coppia sposata”, pronuncio le stesse parole dette da lui durante l'ora della Wons. Ruota il capo verso di me e sorride scuotendolo. “Ah, a proposito: perché ieri non hai risposto al mio messaggio?”. Colpita e affondata. Speravo con tutta me stessa che non affrontasse l'argomento e tutto sembrava andare a meraviglia...fino a due secondi fa. “Ah...uhm...oh...quale messaggio?”. Se mi vedessero dei produttori hollywoodiani credo che mi classificherebbero come l'anti-attrice per eccellenza. “Quello dove...beh, se non l'hai visto lascia stare”. In verità ho scritto e cancellato la risposta un milione di volte, non sapevo fino a dove potevo spingermi e quali parole utilizzare. Alcuni mi sembravano espliciti, altri troppo poco. Ho perso un'ora dietro a quel messaggio, alla fine ci ho rinunciato e dalla disperazione ho tolto l'ultimo accesso in modo che la cosa fosse più credibile. Lo so, sono una codarda e pure scema. Infondo, però, che potevo fare se non sapevo come esprimermi? “Ed il regalo? Avevi promesso che me l'avresti dato oggi!”. Cerco di cambiare discorso, anche se davvero voglio sapere di cosa si tratta e ci ho pensato tutta ieri. Non mi è venuto in mente nulla, credo sia scontato dirlo. “Sì, ma più tardi”. “Ma io voglio vederlo ora! Eh dai, leoncino”. Si irrigidisce tutto d'un colpo, è immobile come una statua di cera ed il suo volto non trapela nessuna emozione. “Non l'hai capita? Un leoncino è un piccolo leone e tu ti chiami Leon...no? Okay, sto zitta”. Sospira e si massaggia la fronte. “L'avevo capita, ma speravo di aver sentito male”. “Beh insomma, era carina”. Ancora silenzio. “Leoncino, oggi sei cattivo con me...per farti perdonare dammi il regalo!”. Faccio un sorriso alla Jocker, visto da fuori dev'essere veramente inquietante. “E va bene!”, sbotta dalla sua apparente quiete. “Basta che non mi chiami più con quel soprannome da ritardato!”. Si alza in piedi e mi fissa. “Pensi di trattenerti ancora per molto?”. Mi pulisco la bocca con la salvietta del panino. “Perché?”. “Secondo te ho il regalo in tasca?”. “Ah”. Nel giro di cinque minuti mi sono fatta tre figure di merda, sono convinta che le persone nelle vicinanze credano che Leon sia il mio professore di sostegno. Lo seguo e noto che sta facendo una strada conosciuta, troppo conosciuta. Gli armadietti. Arriviamo davanti al suo ed estrae la chiave dalla tasca, lo apre e si mette a frugare nella tasca del giubbotto. “Non sbirciare”, mi dice ridendo e senza nemmeno guardarmi. Ci frequentiamo da poco, ma questo ragazzo intuisce ciò che sto per fare al volo! Forse sono troppo prevedibile... “Et voilà!”. Mi porge un foglio piegato con un sorriso trionfante. “Un foglio?”. “Diciamo che non è un foglio qualunque”. Lo afferro. “E' un disegno? Una canzone?”. “Qualcosa di meglio, forza aprilo!”. Gli lancio un'ultima occhiata, poi lentamente lo apro. Sembra una...ricevuta? Inizio a leggere ciò che c'è scritto e mano a mano che i miei occhi scorrono fra quelle righe mi riempio progressivamente di eccitazione e fermento. Sono incredula, non può essere...lui è pazzo! “Hai comprato due biglietti per il 'Carnivores Tour'?”. Non fa neanche in tempo a rispondere che mi fiondo fra le sue braccia. “Ma come faremo? Gli Stati Uniti sono così distanti! E per l'hotel? Chi ci accompagnerà? Tu non sarai ancora maggiorenne per agosto! Chicago è una grande città e potremmo perderci...oddio! Ora che ci penso dovremmo andare in aereo ed ho paura che...”. Si stacca e mi posa le mani sulle spalle. “Calmati. Respira e conta fino a dieci prima di parlare, okay?”. Spalanco la bocca. “Ma come faccio a calmarmi se hai preso un biglietto per il tour più epico della storia dei tour epici?! Qui non si parla di una sola band, ma di due! E si tratta dei Thirty Seconds to Mars e dei Linkin Park, io...io...svengo!”. Si mette le mani nei capelli. “Sei peggio di mia mamma quando guarda 'Beautiful', bimba! Se ti tranquillizzi possiamo discuterne, sennò dammi indietro quella ricevuta che non ci metto molto a venderli”. La stringo al petto con gli occhi fuori dalle orbite. “No!”. “Come immaginavo...allora, ti calmi sì o no?”. Annuisco col capo. “Bene, comincia a chiedermi ciò che vuoi sapere”. Cerco di parlare, ma mi interrompe subito. “Una domanda alla volta”. “Chi ci porterà negli Stati Uniti?”. “Pensavo mia madre, ne abbiamo già parlato”. “Okay...quanto staremo lì?”. “Questo è ancora da decidere, una settimana credo sia l'ideale se si vuole anche visitare un po' la città”. “Quindi per l'hotel non hai ancora prenotato”. Scuote il capo. “No, volevo prima sentirti per decidere i giorni in cui staremo là, però mi sono già informato su alcuni siti per i prezzi. Comunque ce n'è di tempo per prenotare!”. Solo ora mi rendo conto che questi sono solo problemi secondari ad uno che in confronto è gigantesco. “Bimba, che c'è?”. Sospiro e mi gratto la nuca. “Chi glielo dice a mio padre?”. Scrolla le spalle. “Diglielo te, non vedo dove sia il problema”. “Non mi lascerà mai andare in un altro stato, ad un concerto di band che a lui non piacciono perché a detta sua fanno live troppo 'caotici' e con uno come te!”. Si mette a braccia conserte. “Con questo cosa intendi dire?”. “Mi ha accompagnato al concerto dei Mars qualche mese fa ed ha detto che facevano troppo casino! Gli ho risposto che ad un concerto non ci si mette mica a pettinare le bambole e a bere il the, come minimo si canta a squarciagola e si salta!”. “Non questo, dopo”. “Che non mi lascerebbe andare con te”. “Errore. Hai detto 'uno come te'”. “Cosa hai capito? Io non vole...”. “Sì, intanto l'hai detto però!”. Allargo le braccia. “Non ti facevo così permaloso”. Non mi risponde e guarda da tutt'altra parte. Mi ha già fatto diverse volte tiri del genere nei giorni scorsi, quando si dice una parola di troppo lui se la prende e fa il prezioso. “Su, dai...leoncino”. Almeno so che con questo mi risponderà. Male, ma mi risponderà. “Chiamarmi così serve solo a farmi incazzare di più”. In questi casi c'è solo una cosa da fare. Mi avvicino ed attorciglio le braccia attorno al suo collo, continua con la sua sceneggiata facendo finta di nulla. “Sai che non intendevo dire niente di male, quante volte devo ripeterti che mi piaci un casino?”. Infondo è quello che vuole sentirsi dire, lo so bene. Ruota il capo e, finalmente, ci troviamo faccia a faccia. “Però non chiamarmi più leoncino, per favore. Almeno cerca di trovare un soprannome meno imbarazzante”. Scoppio a ridere. “E' che non so cosa inventarmi, chiamarti per nome mi sembra troppo banale. Tu mi hai soprannominata bimba, ma adesso che ci penso...perché?”. Mi sorride dolcemente formando le sue solite fossette che adoro. “Non è evidente? Ti comporti da bimba o meglio, hai l'ingenuità di una bimba. L'ho capito dal primo momento che ho incrociato questi occhioni da cerbiatto”. Oh. Mio. Dio. Il modo in cui mi sta guardando...il mio cuore sta gridando a pieni polmoni 'Ti amo', ma la ragione sta sopprimendo il tutto tentando di soffocarlo. Posa una mano sulla mia guancia e la accarezza con il pollice, Leon non sei d'aiuto. 'Almeno bacialo, stupida!', dice la mia coscienza esasperata. Non serve che io faccia nulla perché è lui il primo a chiudere gli occhi ed a posare le labbra sulle mie. Non mi stancherò mai dei suoi baci, è sempre come la prima volta con lui. Scollego totalmente la connessione al cervello e difatti i miei arti cedono come poltiglia fra le sue braccia e mi distacco dal mondo esterno. Potrebbe anche cadere un meteorite all'interno della scuola, ma in questo momento non lo noterei. Lentamente ci allontaniamo rimanendo, però, avvinghiati, alza un angolo della bocca e mi dice: “Potrei aiutarti a parlare con tuo padre”. “Lo faresti veramente?”. “Logico, ma ad una condizione”. Aggrotto la fronte. “Quale?”. “Chiamami ancora una volta 'leoncino' ed il concerto te lo puoi scordare”. Ridiamo assieme ed un istante dopo suona la campanella, rapidamente rimette il foglio all'interno della giacca e chiude l'armadietto. Ci dirigiamo verso la nostra aula per mano discutendo sui compiti per casa che c'erano da fare per quest'ora, ovviamente lui ha assunto la solita espressione da 'C'erano compiti?'. Questo non può finire anche se non è propriamente cominciato nulla di serio fra di noi, so solo che se dureremo fino a quest'estate, cosa che mi auguro, potrò dire definitivamente che sto passando l'anno più bello della mia vita.

 

 

“Mmm...penso che prenderò un menu supersize”. Lo guardo incredula. “Ma sei un maiale!”. Alza un dito in segno di disappunto. “Ti sbagli, sono un uomo normale con un appetito anormale come dice il grande Adam Richman, il conduttore di 'Man vs. Food'”. “Ma che stronzate guardi alla tv? E poi come fai? Mangi più di me, Cristo! Sappi solo che io mangio tanto e tanto è dire poco”. “Mi pare ovvio, sei una ragazza! In quanto essere di genere maschile ho bisogno di un maggiore nutrimento”. Gli rivolgo un'espressione confusa e mi volto per vedere ancora una volta i panini dal momento che sono ancora indecisa. “Perché mi guardi così?”. “Niente, avvertimi quando andrai nella foresta a cacciare qualche cervo, intanto io penso a guardare la nostra prole e a raccogliere frutti”. Rotea gli occhi. “Come sei suscettibile”. “Ehm...fossi in te non metterei in discussione l'argomento permalosità”. “Non sono permaloso!”. “Questo giustifica il fatto che sei permaloso”. Sbuffa, finalmente arriva il nostro turno. “Benvenuti da McDonald's ragazzi, cosa desiderate ordinare?”, ci domanda una ragazza solare sulla trentina. “Un Crispy McBacon, una Sprite media ed una porzione di patatine”. La commessa si annota il tutto. “E a lei cosa porto, bel giovanotto?”. Nel sorriso di Leon si estende un sorriso sornione. “Un menu supersize completo. Ah, mi dia del 'tu' per favore, chi mi dà del 'lei' mi fa sentire vecchio”. La donna ride e riporta la sua ordinazione. “Okay, arrivano subito”. Va in cucina a prendere il nostro pranzo lasciandoci da soli al bancone. “Che ho fatto di male?”, mi chiede Leon. Infatti gli sto rivolgendo uno sguardo assassino. “Anche se non ci provi con le commesse vivo bene lo stesso”. “Non ci stavo provando”. “Sì, sì certo!”. Sghignazza. “Ah, ridi anche?”. “Grrr mi piace questa Violetta aggressiva”. Gli do una sberla sul braccio. “Dai, stupido!”. “Ecco le vostre ordinazioni, buon pranzo e buona giornata. Tornate trovarci al più presto”. Paghiamo, prendiamo i nostri vassoi e ci accomodiamo in un tavolino per due poco distante. Non aspetto nessuno, apro la scatola ed estraggo il mio panino addentandolo affamata. Sono le due e mezza, credo che sia più che comprensibile. Alzo lo sguardo e vedo Leon intento a fotografarmi con il suo cellulare, prontamente pongo una mano davanti all'obiettivo. “Sei scemo? Sai che odio essere fotografata!”. “Guarda questa che bella”. Mi mostra una foto in cui lo guardo con il panino in bocca e le mani strette attorno ad esso. “Fa schifo, per favore eliminala!”. “Cosa dici? Sei venuta bene e poi è molto naturale perché non ti sei resa conto che ti stavo immortalando”. “Ti scongiuro, elimina quella merda di foto!”. Infila la cannuccia nella sua bibita ed inizia a mangiare il suo panino a tre piani. “Oh, ma mi ascolti quando ti parlo o ignorarmi sta diventando un hobby?”. Improvvisamente sento un trillo provenire dal mio cellulare, lo sblocco e mi è arrivata una notifica da Facebook: 'Leon Vargas ha aggiunto una foto in cui sei taggata'. Clicco su di essa, si apre il sito e...io lo ammazzo questo demente! “Deficiente! Perché l'hai pubblicata su Facebook?”. “A me piaceva!”. “A te, non a me! E...oddio già quattro persone hanno messo 'mi piace'!”. Intinge una patatina fritta nel ketchup e se la infila in bocca. “Almeno leggi la didascalia”. Scorro in su per vedere. “La mia mangiona?”. “C'è anche un cuore dopo, prova ancora dirmi che non sono dolce adesso!”. Esco da Internet, blocco il telefono e me lo infilo nella tasca della felpa. “Non lo sei, mi fai passare per un'obesa”. Dà un altro morso al suo panino, è incredibile come io sia neanche arrivata a metà e lui sia quasi alla fine. “Oh mamma mia, l'ho detto in senso carino!”. Continuo a mangiare. “Cambiamo discorso sennò non la finiamo più di discutere”, dice infine. “Okay”. “Facciamo un gioco?”. “Dipende da cosa si tratta”. “Lo facevamo sempre al campo estivo, uno dei due fa una domanda a testa e bisogna rispondere con la massima sincerità. Tipo, siccome siamo in due, una la fai te, dopo io, poi ancora te e così via ed è una domanda a cui dobbiamo rispondere entrambi, mi raccomando. Perdevamo serate intere attorno al falò con questo gioco!”. Annuisco col capo e mi pulisco la bocca con una salvietta. “Prima le signore”. Mi sforzo di trovare una domanda intrigante, ma allo stesso tempo divertente. “Qual è stata la prima persona famosa sulla quale hai fatto pensieri poco casti?”. Sorride visibilmente sorpreso. “Non ti facevo così porcellina! Comunque...mmm, vediamo...credo sia Megan Fox, te? Aspetta, non dirmelo: è Jared Leto”. Scoppio a ridere. “Ma come sei perspicace!”. Sorseggia un po' di Coca Cola e poi dice: “Ora tocca a me...mmm...ti pongo la stessa domanda, solo che mi riferisco a persone normali”. Oh no, non posso dirgli che è lui l'unico ragazzo sul quale ho fantasticato in quel modo! Sento tutto il viso avvamparmi e le mani sudare. “Hey bimba, che c'è? Sei rossa come i capelli di Donald McDonald”. “Ehm...fa molto caldo qui dentro, dovrebbero accendere l'aria condizionata!”. “Siamo a gennaio, Vilu”. “Ah, giusto”. Bevo un po' di Sprite per rinfrescarmi e per evitare di dire cazzate, quando vado nel pallone la mia bocca blatera sempre più di quanto dovrebbe. “Perché no-non rispondi prima te?”. “Mmm...okay. Fammici pensare...oh sì, la professoressa di storia e geografia in terza media. Mamma che donna!”. Ero sicura che io non rientrassi in questa categoria, è un ragazzo ed è pure più grande di me ma provo un leggero fastidio comunque. “Ah wow...”. “Non ti dà fastidio, vero?”. “No, no”. “Okay...allora, la tua risposta?”. “Ehm...oh...uhm...uno in...stazione”. Ma che cazzo ho detto? “Uno in stazione?”. “Sì...”. Scoppia a ridere sguaiatamente. “No, spiegami: tu hai visto in stazione un tipo che nemmeno conoscevi e...bam! Immagini di trombare con lui. Ammetto che sei parecchio strana, Violetta”. Riduco gli occhi a due fessure. “Perché? Speravi che dicessi il tuo nome, caro Leon?”. Ha seccato pure le patatine ora, è incredibile! “No, ma di certo sarebbe più che comprensibile”. “Ah, molto modesto mi dicono dalla regia”. “Beh, guardami: non ti attizzo nemmeno un po'?”, dice ad alta voce. Mi guardo attorno in preda all'imbarazzo. “Urla un po' più forte sai? La commessa di prima non ti ha sentito!”. “Scusami, bimba. Comunque non dico di essere bello, ma non ho mai fatto schifo a nessuna”. Gli lancio un'occhiata esasperata. “Quelle le finisci?”. Indica le patatine sul mio vassoio. “Sì, le finisco. Solo perché non ci metto trenta secondi a divorare tutto non significa che non sia in grado di terminarle”. Alza le mani in segno di resa. “Okay, calmina”. Riesco a finire il tutto tranquillamente sotto lo sguardo attento di Leon, ovviamente guardava il cibo non me. Finito il pranzo, ci alziamo e ci dirigiamo verso l'uscita. “Allora ti è piaciuto?”, mi chiede aprendomi la porta. “Il Mac è sempre il Mac, te?”. “Non sono neanche domande da farmi, qualsiasi cosa sia commestibile io la adoro”. Rido passeggiando lungo una stradina alberata. “Da quanto questa relazione morbosa con il cibo?”. “Da sempre più o meno”. “Ti invidio un casino, sai? Tu mangi come un bufalo e non ingrassi, io respiro e metto su cinque chili!”. “Dopo sarei io quello che spara cazzate? Guardati, sei magra e vai benissimo così!”. “Lo dici solo per farmi sentire meglio”. Arresta la camminata e mi guarda serio a braccia conserte. “No, fidati di me. Poi si vede che il tuo è un magro sano perché mangi e sei perfetta così, non direi mai una cosa per un'altra”. “Ti invidio lo stesso, hai un fisico perfetto!”. “Ma tesoro, io vado anche in palestra e tu non fai niente dalla mattina alla sera”. “Ah, grazie eh?”. “E' la verità e lo sai”. “Hai ragione, ma almeno studio a differenza di qualcun altro”. “So che ti riferisci a me e sappi che ieri ho studiato storia dell'arte tutto il pomeriggio! Mia mamma ha detto che se resterò promosso potrò andare al concerto, sennò starò qua a Buenos Aires per tutta l'estate”. Sorrido piacevolmente sorpresa. “Ammirevole, mettiti sui libri seriamente allora...Chicago ci aspetta”. Mi sorride di rimando. “Ti immagini? Io e te negli Stati Uniti. Che figata assurda, gli americani devono cominciare a tremare per il nostro arrivo”. Scoppio a ridere. “Esagerato. Sarebbe bello andare anche in altri posti assieme: a Parigi, in Italia oppure in Giappone. Sarebbe stupendo poter viaggiare assieme a te”. Cosa ho detto? Vilu, fermati non... “Non importa il luogo in cui mi trovo, basta che tu sia con me ed io sto bene anche se, come dici te, ci comportiamo da vecchia coppia sposata discutendo ogni due per tre. Ma la sai una cosa? Adoro vedere le coppie che durano negli anni perché la loro forza sta nel fatto che si a...”. L'ultima parola mi si mozza in gola, torturata dalla ragione che la picchia selvaggiamente. “...si sopportano nonostante tutto e perché hanno imparato ad apprezzare soprattutto i difetti dell'altro”. Mi attira a sé e mi stringe forte. “Sei incredibile”. Mi accoccolo sul suo petto, il posto che vorrei restasse sempre e solo mio. “Sai cosa mi piace di noi?”. Scuoto il capo. “Ci diciamo su parole sempre e ci prediamo in giro in continuazione, ma dopo pochi secondi è come se niente fosse accaduto. Strano no? Sento che più discutiamo e più mi piaci”. Prendo il suo viso fra le mani e lo bacio con dolcezza, questo è l'unico modo per esprimere ciò che sento. Il principe azzurro non è come quello delle fiabe. Non cavalca un cavallo bianco e non ti salva da un drago, il mio gira in sella ad una moto e mi ha salvata dalla solitudine. Grazie a lui ho scoperto il piacere di circondarmi di persone e di uscire dalle mura domestiche, mi ha fatto capire quant'è importante agire nel presente e, soprattutto, mi ha fatto comprendere il significato della parola 'amore'. Non quello che si prova per un genitore, per un animale e, perché no, per un'amica. Qualcosa di diverso e più viscerale, qualcosa di più fisico e forte. Lo desidero con tutta me stessa, voglio appartenergli e non ce niente che mi fermerà dall'esserlo. Magari non ora, ma prima o poi sarò sua e nessuno oserà mettersi fra noi perché non lo permetterò.

 

 

ANGOLO DELL'AUTRICE

Scusatemi per il ritardo, ma sono stata sommersa di impegni scolastici questa settimana. Penso che chiunque sia al liceo fra di voi mi capisca, non so...fanno più verifiche nelle ultime tre settimane di scuola che in un anno, sti prof sono rincoglioniti! Anyway, spero che il capitolo vi sia piaciuto anche se io personalmente ho moltissimi dubbi. Per favore: se fa cagare, ditemelo! Vi piace vedere Vilu e Leon versione 'vecchia coppia sposata'? Vi giuro che mi sono divertita un sacco a scrivere le scene in cui bisticciano:') Concludo facendo i ringraziamenti di rito a chi recensisce puntualmente la mia fanfiction, a chi la mette fra le preferite e fra le seguite. Anche se non ho la minima idea di chi voi siate (a parte ChibiRoby u.u) vi voglio già bene per questo...okay forse non dovrei fare così tanto la leccaculo, ma se sono arrivata fin qui è merito vostro!

Stay Tuned :3

Gre

 

Ritorna all'indice


Capitolo 12
*** Capitolo 12 ***


                                                                      CAPITOLO 12

 

 

 

Ultimamente in casa dicono che sia sbadatissima, infatti dimentico un sacco di cose ed ho la testa fra le nuvole. Papà continua a chiedermi se sono innamorata ed io prontamente rispondo di no, poi mi domanda sempre se questo mio stato sia dovuto al 'ragazzo dagli occhi verdi' e potete immaginare il mio imbarazzo di fronte a queste insinuazioni. Ieri a pranzo siamo andati da nonna Angelica, la quale ha fatto la solita ed inutile domanda di rito: “Ce l'hai il fidanzatino?”. A parte il fatto che ancora non capisco perché usino questo stupido diminutivo, comunque io ho risposto: “No nonna, non ce l'ho”. Improvvisamente è saltato fuori papà che ha detto: “Come no, Vilu? E quel ragazzone dagli occhi verdi che vedo spesso dalle nostre parti dove lo metti?”. Panico. Odio quando gli adulti non si fanno i cazzi loro. “Oh, ma vedi che il fidanzatino ce l'hai allora! Mi pareva così strano con questo bel visino qua”. Quando la smetteranno di trucidarmi le guance? Se a quasi sedici anni mi trattano in questo modo, non oso pensare a venti. “Nonna...”. “Ma com'è questo giovanotto? Bello?”. “Mi sembra un po' troppo grande per Vilu”, ha aggiunto papà. “Ma cosa...papà, ha solo due anni più di me!”. “La differenza di età nell'adolescenza si fa sentire di più. Tu sei una brava ragazzina e lui è quasi maggiorenne, ha altre cose per la testa, soprattutto su di te, che non voglio nemmeno immaginare”. Ho sbarrato gli occhi. “Smettila, ti prego! Non sono più una bambina!”. “Ah, questo significa che anche tu pensi a 'quello' su di lui? Buono a sapersi”. L'unica cosa che sono riuscita a mugolare è stato un “Papà!” intriso di disperazione perché l'ultima cosa che volevo era incappare in quell'argomento con lui, ma soprattutto davanti alla nonna. Per fortuna è arrivata Angie con il suo fantastico cheesecake ad interrompere il tutto, non avrei retto un minuto di più se non fosse stato per lei. Credo che infondo zia lo sappia, soprattutto per la confessione che le ho fatto la settimana scorsa. Ad ogni modo, la domenica è passata tranquilla come al solito fra compiti, studio e cazzeggiamento online. Leon? Beh, lui ha scoperto la 'passione' di mandare messaggi vocali su Whatsapp e vi assicuro che è diventato una specie di incubo. Mi si impallava il cellulare in continuazione perché continuava a riempirmi di registrazioni...sapete com'è, quando non si ha il Galaxy come certe persone! Tutto è cominciato con un mio 'Che fai?' e ad un tratto mi è arrivata la notifica 'Download nota audio', considerato che in camera non prende quasi nulla ho girato per metà casa come una forsennata in cerca di un posto con una buona recezione. Era passato tipo un quarto d'ora quando finalmente ho letto che era stato scaricato tutto correttamente, l'ho aperto e...mi sono cadute le palle che non ho. 'Niente'. Sì, avete capito bene: sono quasi andata fuori di testa per una stronzata. Dire che l'ho riempito di parole mi sembra riduttivo, gli ho digitato tutti gli insulti di mia conoscenza. Quanto gli costava premere due tasti? Aveva paura che si strisciasse il touch screen del suo telefono che costa come un mutuo? Quel ragazzo non ha senso del limite, appena superato il periodo selfie si sbizzarrisce con questo e devo ammettere anche che si diverte con poco. Quanta pazienza ho? Fino a tre giorni fa mi mandava foto di lui per ogni cosa che faceva, ma la migliore resterà sempre: '#selfie #losochenevuoialtre #indiano #rose #telecomprereiseavessiisoldi #ciaobella'. Rendiamoci conto...si è fatto un autoscatto assieme ad uno degli indiani che vendono rose rosse in centro a Buenos Aires, vi assicuro che quando l'ho vista ero piegata in due dalle risate perché facesse almeno facce normali nelle fotografie! No, lui deve sempre fare il deficiente ed è anche per questo che lo amo. “Ciao Violetta”. Mi volto di scatto e trovo Diego a braccia conserte. “Che vuoi?”. “Di buon umore come sempre”. “Che. Cosa. Vuoi”. Fa una specie di ghigno. “Non si può semplicemente salutare la propria compagna di banco senza un preciso scopo?”. Riduco gli occhi a due fessure. “Pff, te che fai cose senza secondi fini? Non saresti nemmeno tu”. “Mi spiace che ti sia fatta questa idea di me”. L'espressione sul suo volto si fa seria e...malinconica? Forse è solo un'impressione mia. “Non capisco...”. “Violetta, tu non sai chi io sia veramente perché non mi hai dato l'opportunità di farmi conoscere...perché non provare ad essere amici? Magari così potremmo andare d'accordo e non bisticciare ogni due per tre in classe”. Sorride timidamente guardando in basso, dovrei credergli? Sembra sincero. “Diego, io...”. “Non voglio farti pressioni né pretendere qualcosa da te, desidero solo esserti amico”. “Vattene”, sussurro. “Perché mi dici questo?”. Sgrana gli occhi esasperato. “Perché sta per arrivare Leon, idiota. E' solo un consiglio, non voglio finisca come l'ultima volta”. Ruota il capo all'indietro e mi bisbiglia un 'Grazie' prima di andarsene rapidamente. Leon arriva con una camminata decisa alla Jared nello spot di Hugo Red, si appoggia agli armadietti con una spalla e mi fissa. “Cosa voleva?”. “Buongiorno anche a te, caro. Ho dormito bene stanotte, grazie per l'interessamento e te?”. Rotea gli occhi. “A quanto pare stanotte hai fatto a botte col diavolo”. “Vorrei ti mettessi nei miei panni”. “Oh, mamma mia! Per così poco...anche io tante volte dormo malissimo eppure me ne sto zitta e non rompo le palle a nessuno”. Alza l'indice. “Per così poco? Vuoi che ti dica cosa mi è successo stamattina? Mi sveglio: sono in ritardo, mi precipito in cucina di corsa e realizzo che non faccio in tempo a fare colazione. Mi crolla il mondo addosso, ma non ho tempo di disperarmi quindi mi infilo in bocca una brioche marcia che sarà là da mesi e prendo lo zaino accanto alla porta d'ingresso, almeno quello lo avevo preparato ieri sera. Arrivato in ascensore posso prendere un po' di fiato, però quando mi volto verso lo specchio mi rendo conto di essere ancora in pigiama ma soprattutto spettinato. Devo premere il bottone del mio piano, tirare fuori le chiavi dalla cartella e rientrare in casa. Raggiungo la camera a falcate e mi vesto rapidamente, mi precipito in bagno e mi sistemo i capelli alla cazzo di cane. Finalmente sono pronto ed il bus passerà nel giro di pochi minuti. Corro giù per le scale, non ho tempo per aspettare l'ascensore, ed esco dal condominio. Nella fretta non mi rendo conto di aver pestato una merda, bestemmio e continuo a correre noncurante della fragranza che proviene dalla mia scarpa. Quando arrivo in fermata vedo l'autobus che sta per partire, mi metto a sbracciare in mezzo alla strada e a rincorrerlo, ma non mi vede. Dal momento che non ho più nulla da perdere, mi fermo su una panchina a pulirmi la scarpa e noto che la cacca era pure fresca. Non troppo lentamente, ritorno a casa e a malincuore prendo la moto precipitandomi a scuola. Vengo qua con l'intenzione di salutarti nonostante abbia passato la mezzora peggiore negli ultimi mesi e trovo quel coglione di Diego che ti importuna come sempre...poi uno non deve incazzarsi!”. Lo guardo in viso per alcuni secondi, dopodiché scoppio a ridere. “Ah ridi pure? Grazie della comprensione Violetta, sei sempre d'aiuto”. Mi asciugo alcune lacrime. “Rido perché sei adorabile nelle tue sfighe”. Mi squadra perplesso per un paio di secondi, poi mi sorride. “Mi sono cambiato le scarpe, tanto per la cronaca”. “No! Avevi sporcato le Nike bianche?”. “Sì...erano proprio quelle bianche”. Ridiamo ancora. “Mi sorprende come un cagnolino possa contenere tutta quella roba”. “E come fai ad essere sicuro che sia stato un cane di piccola taglia?”. “Fidati, lo so bene. E' il cane di quella vecchia stronza al terzo piano”. “Dai, Leon! Insomma...modera i termini, è pur sempre un'anziana”. “No, perché quella donna finge di essere malata ed impossibilitata a muoversi solo per farsi fare favori da tutti i condomini, quando in realtà è più agile persino di noi. In più ha un cane e non è in grado di guardarselo, caga dappertutto nel vialetto davanti all'edificio e fa il demonio in appartamento...guarda, ti invidio un sacco! Quanto vorrei avere una casa tutta mia come ce l'hai te, senza vicini fastidiosi e strani sia sopra che sotto, sia a destra che a sinistra!”. “Vuoi avere i miei vicini? Te li presto volentieri! A destra ho una famiglia di cristiani convinti che fanno spesso e volentieri degli eventi in giardino assieme ad altri come loro e passano serate intere a cantare canzoni su Gesù attorno ad un falò, quindi entra anche il fumo in salotto se teniamo le finestre aperte! Per non parlare poi di quelle volte che suonano il campanello con una torta ed un sorriso cordialmente falso stampato in faccia, chiedendoti di entrare a bere un caffè assieme per passare il tempo e finiscono sempre col parlare della Parola del Signore e dell'essere un buon cristiano facendoti sentire in colpa perché non vai a messa ogni domenica o perché mangi carne durante la Quaresima. A sinistra, invece, ho una famiglia che è tutto il contrario: sembra che la maleducazione l'abbiano buttata via. Si sentono i loro litigi chiaramente e ti assicuro che sembra stiano distruggendo la casa, hanno sempre dei lavori rumorosi da fare di prima mattina quando sono a casa da scuola col trapano o col tosaerba e il loro figlio più piccolo che ha un anno in meno di me è un maniaco perverso perché, siccome la mia finestra della camera dà sulla sua, l'ho scoperto molte volte a spiarmi mentre mi spogliavo! Ti sfido a trovare dei vicini peggiori di questi”. Ovviamente scoppia a ridere sguaiatamente per poi dire: “Dilettante. Al piano di sopra ho un tizio vegano e naif che tre volte alla settimana si mette a fare yoga alle due del mattino, per cui il novanta percento delle volte mi sveglio nel cuore della notte credendo ci sia un'inondazione per poi scoprire che in realtà si tratta di quelle musichette irritanti con il rumore delle onde sparata al massimo. Sotto c'è la vecchia di cui ti parlavo prima, oltre al cane che fa casino mi tocca sorbirmi tutte le richieste di favori che fa a me e a mamma. Ho scoperto di essere bravo a metterle i bigodini in testa, avrei un futuro come parrucchiere per anziane se mi dovesse andar male! Poi, a destra, ho una famiglia con quattro bambini tra cui gli ultimi gemelli appena nati. Non puoi capire cosa si prova a sentire quei due marmocchi che si sgolano giorno e notte ininterrottamente, quando smette di piangere uno comincia l'altro e così via. Poi non è che gli altri due più grandi siano stinchi di santi eh? Tengono il televisore ad un volume illegale, per cui le mie giornate sono scandite al ritmo di 'Peppa Pig' e dei 'Teletubbies'. Infine, ultima ma non meno importante, c'è una coppia di neo-sposini che si ama tanto ed è molto felice. Ti chiederai dove stia il problema: aldilà del muro della mia stanza c'è la loro, per cui molto spesso prima di addormentarmi sono costretto a sentire i loro latrati di piacere. Non sono semplici urla dal momento che sono più canine di quelle di Angelito al piano di sotto! E' ironico come quel piccolo demonietto a quattro zampe si chiami con un nome così. Per cui i tuoi vicini a confronto sono niente, i miei sono scoccianti quanto i tuoi solo moltiplicati per due dal momento che sono circondato da tutti i lati!”. “Okay, ammetto che con questo hai vinto te”. “Non ne vado fiero”, dice ridendo. “Delle volte vorrei solamente scappare in un'isola in mezzo al Pacifico e basta, senza scuola, vicini scartavetra coglioni e responsabilità. Solo io, il mare e la spiaggia: il paradiso”. Gli do una leggera pacca sul braccio. “E me? Dove mi metti?”. Inarca un sopracciglio. “Ho detto che non voglio persone che scartavetrino i coglioni, per cui sentire sotto l'ombrellone le tue lamentele non aiuterebbe...meglio lasciarti a Buenos Aires”. Adesso gli arriva una vera e propria sberla. “Hey! Sei uno stronzo!”. “Si fa per scherzare bimba, sai che senza di te non andrei da nessuna parte”. Lo guardo poco convinta. “Credimi, tu sei una pennellata di colore nelle mie giornate grigie”. “Questo è troppo, di tutte le frasi usate per rimorchiare che ho sentito questa è la peggiore in assoluto”. “Apprezza almeno lo sforzo...con le altre ha sempre funzionato”. Emette un ghigno, da questo capisco che lo ha detto volutamente. “Ti metto in guardia: stai peggiorando solo la situazione”. “Ed io che volevo la Violetta aggressiva, non è giusto!”. Scoppiamo a ridere e chiudo l'armadietto che fino ad ora avevo lasciato spalancato. “Pronto per la lezione di spagnolo?”. Scrolla le spalle. “Oggi ti interroga?”. Mi rivolge un'espressione da ebete. “Sì e, credici o meno, ho studiato!”. “Ma che bravo!”, esulto piacevolmente sorpresa. “Questa settimana ci troviamo per fare i compiti? Tranne venerdì, quel giorno ho coro”. Si scrocchia le dita. “Ho palestra domani e venerdì, il mercoledì ho le prove con la band...per cui resta sempre e solo libero il giovedì”. Gli sorrido. “Allora ci troviamo il giovedì come sempre?”. Annuisce col capo. “Ricordati che domani devi portare i modellini di scienze per l'esposizione, li avevamo lasciati a casa tua se non sbaglio. Ah, dove ci troviamo?”. “Mi piace casa tua”. Aggrotta la fronte. “Perché?”. “Mi piace come è arredata e strutturata e poi è spesso libera, mentre nella mia c'è sempre papà o Angie”. “Questo perché mia mamma lavo...oh, non penserai mica di...”. “No! Cos'hai capito? E' solo che molte volte gli adulti interrompono lo studio in continuazione”. Alza un angolo della bocca e scuote la testa. “Sì, certo Vilu...mia mamma si fa sempre i cazzi suoi e poi staremo in camera. Lo sai bene, ricordi l'ultima volta che sei venuta? Non ci ha mai disturbati”. Arrossisco e cerco di difendermi in qualche modo. “Ma io non intendevo...”. “Smettila di arrampicarti sugli specchi, bimba. Sei porca e pervertita quanto me, ora ne ho la conferma”. Perché pensa certe cose? Ho realizzato ciò che ho detto dopo...maledetta boccaccia. “Per quanto la mia mente possa fare pensieri poco casti, sono sicura che non potrà mai superare la tua in quanto a perversione nemmeno in un mondo parallelo!”. “Forse hai ragione”. Raccolgo lo zaino da per terra. “E' ovvio che ho ragione”. “Che fai?”. “Non andiamo in classe? Mancano un paio di minuti al suono della campanella”. “Ma non ci siamo ancora salutati per bene”. Sorride malizioso e si avvicina alle mie labbra dando vita ad un bacio passionale, credo che dopo ciò che gli è successo stamane ne abbia bisogno. Le nostre lingue continuano a rincorrersi fameliche, è bastato solo un giorno a farci andare in astinenza. Ho le mani poggiate sui suoi pettorali e lui le ha posate sotto la mia felpa. Sento dei brividi lungo tutta la schiena per il contatto delle sue dita contro la mia pelle, vorrei solo che mi desiderasse quanto lo desidero io. Se sapesse quanto lo amo e quanto adoro il suo modo di fare, ogni suo gesto e movimento. Anche quando mi prende in giro non riesco ad avercela con lui neanche per scherzo, proprio non ce la faccio a tenergli il muso per più di cinque minuti perché trova sempre il modo di farmi sorridere. Il suono della campana ci suggerisce di avviarci verso la nostra aula, per cui lentamente ci stacchiamo e ci specchiamo l'uno negli occhi dell'altro. “Fa' vedere a Sanchez chi sei”, gli dico. Mi dà un pizzicotto sulla pancia sorridendo. “Dai, andiamo”. Ci dirigiamo verso la nostra classe, spero con tutta me stessa che faccia una bella interrogazione. Se lo merita, ultimamente si sta impegnando molto e credo che ce la stia mettendo tutta. Non è facile passare dal non far niente allo studiare regolarmente e sono convinta che sotto questo punto di vista Leon stia facendo un grande cambiamento. Comincio persino a credere che non si comporterà mai più come il puttaniere di una volta, almeno spero.

 

 

Appena presa una cosa di inglese per l'ora successiva, mi avvio a passo spedito verso la classe per non perdere un secondo in più di ricreazione. Improvvisamente vado a sbattere contro una persona ed il mio libro cade rovinosamente a terra, mi accuccio ma lo raccoglie prima e me lo porge. “Scusami, mi dispiace da morire! Non l'ho fatto apposta”. Alzo lo sguardo e rimango letteralmente ibernata sul posto dagli occhi color ghiaccio di una ragazza bellissima di fronte a me. “No, figurati. E' colpa mia, non stavo nemmeno guardando dove stavo andando dalla fretta”. Ci alziamo e solo ora noto che è molto più alta rispetto a me ed ha dei capelli corvini, lisci e lunghi, oltre ad essere magra e slanciata. “Allora tutto apposto?”, mi chiede. Annuisco col capo e la saluto con la mano per poi continuare a camminare, quest'incontro mi ha colpita particolarmente. Questa tizia potrebbe fare di sicuro la modella, ma quello che più mi è rimasto impresso è stato il suo sguardo misterioso e distaccato. Sarà strano, ma ho provato un brivido come se mi avessero buttato addosso dell'acqua gelida. Scuoto il capo come per scacciare queste strane sensazioni ed entro all'interno della nostra aula. “Vilu!”. Oddio, non faccio nemmeno in tempo ad entrare che sono già in quattro che mi chiamano. “Dov'eri finita?”, chiede Francesca. “Sono andata in bagno e poi all'armadietto...”, dico confusa da così tanta attenzione nei miei confronti. “Sabato sera ci sei per una festa in discoteca?”. Cami si mette a ballare insieme a Marco, il quale si volta verso di me. “Dai, Vilu! Ci devi essere...è il compleanno di Maxi, non vorrai mica deluderlo!”. “Non lo so, non mi piace molto la discoteca, soprattutto da dopo la studentesca”. Maxi sbuffa. “Ti staremo vicini tutta la sera per tenere a bada l'alcolizzata che è in te”. Tutti scoppiano a ridere e mi metto a braccia conserte. “Ah ah, spiritoso. Il punto è che non so se mio papà mi lascia, ma soprattutto quanto faremo tardi”. “Le discoteche chiudono alle quattro o alle cinque”, dice Camilla euforica. “Ma sei fuori? Non mi lascerebbero mai stare fuori fino alle cinque del mattino!”. “Beh, si potrebbe dormire nella mansarda a casa mia, no?”, aggiunge Marco. “Chi hai invitato per quella sera?”. Mi rivolgo al festeggiato. “Beh...tu, Fran, Cami, Marco e Broadway”. “Nessuno potrebbe accompagnarmi comunque”. Assumo un'espressione rassegnata. “Perché non chiedi al tuo ragazzo, scusa?”, mi suggerisce Fran. “Sì, ma cosa gli chiedo? 'Portami alla festa, poi vai via e torna per quando devi venirmi a prendere'?”. “Beh, potrebbe venire pure lui”, dice la mia migliore amica. “Ragazze...sul serio: Leon? Per quanto possa starmi simpatico non è mai stato della compagnia, cosa lo invitiamo a fare?”. Maxi sembra leggermente perplesso. “Stai sciallo, Maxi! Leon è simpaticissimo e non è stato mai nella compagnia solo perché Violetta lo detestava, ma a quanto pare ultimamente vanno fin troppo d'accordo”. Su tutte le loro facce si stampano dei sorrisi da ebeti, poi Marco continua: “E poi nella mia mansarda c'è spazio per un sacco a pelo in più, a meno che non vogliate usarne uno in due”. Che stronzi, mi stanno pure prendendo in giro! “Aldilà delle vostre insinuazioni per niente pertinenti, non credo che Leon voglia...”. “Non devo volere cosa?”. Parli del diavolo e spuntano le corna. Si siede con disinvoltura sopra ad un banco accanto a me mangiando una focaccia e ci scruta sospettoso. “Sabato sera festeggeremo in discoteca il mio compleanno e ci chiedevamo se volessi venire con noi, dopo la serata andremo tutti a dormire a casa di Marco”. “Sono più che sicura che abbia già qualcosa da fare...”. “Ti sbagli, bimba. Ci vengo volentieri, ci sarai anche tu vero?”. Non potete capire il disagio che sto provando in questo momento nel vedere con la coda dell'occhio i miei amici che ci stanno fissando come se fossimo i protagonisti di un telefilm. “Sì”. “Allora vengo di sicuro”. Sul suo viso si estende uno di quei sorrisi spontanei che mettono in mostra i suoi denti perfetti. “Vuoi un pezzo?”. Perché quegli infami dei miei amici non osano fiatare? Grrr... “Leon Vargas che mi offre del cibo, quale onore”. “Ritieniti fortunata, il cibo per me è sacro”. “Dal momento che è un'occasione più unica che rara, ne approfitto”. Afferro la focaccia e le do un leggero morso, poi gliela porgo. “Mmm...che buona!”. “Sei sporca di briciole qua...”. Posa una mano sulla mia guancia e con il pollice mi pulisce gli angoli della bocca, poi lo sento avvicinarsi sempre di più. Altolà! Non davanti agli altri. Scosto rapidamente il capo e mi giro verso di loro. “Allora provo a chiedere a papà per sabato, okay? Però dico che ci sono solo le ragazze e Maxi”. Marco sgrana gli occhi. “E perché escludi noi due?”, dice indicando sé stesso e Leon. “Papà non vuole che esca con dei maschi, almeno non di notte”. “Oh, ma io sono un maschio!”, urla giustamente Maxi. “Non so perché, ma è convinto che tu sia...ehm...un po', come dire...dell'altra sponda, ecco...”. Inutile dire che tutti scoppiano in una risata rumorosa. “L'ho sempre detto!”, dice Cami in lacrime ricevendo una pacca dal diretto interessato. “Ma che cazzo...dì a tua papà che sono uno stallone etero!”. “Dai, Maxi...non farne una tragedia, sarà perché esci con noi ragazze e sei quasi sempre l'unico maschio”. Fran con il suo tono pacato e rassicurante riuscirebbe a placare perfino un rabbioso. “Appunto, anche io credo sia per questo. Che poi mi ha detto testualmente: 'Maxi o è gay oppure un gran furbo'. Per cui non ha proprio detto di credere che tu sia omosessuale”. “Mmm...vabbè, digli pure così a tuo padre se lo fa sentire meglio”. Ridiamo ancora per l'espressione offesa del ragazzo, ma che ci possiamo fare se è veramente buffo? Alla fine, però, cede anche lui ed è proprio in questi momenti in cui tutti siamo complici che sento di aver trovato finalmente dei veri amici. Una compagnia. Come quelle che sogni da bambina, delle persone con cui essere una cosa sola ed uscirci ogni weekend. Non c'è niente di meglio che sentirsi circondata da persone che ti comprendono e vogliono solo ed esclusivamente il tuo bene, con loro mi sento così. Ammetto che l'idea che il ragazzo che amo ne entri a far parte mi rende ancora di più felice, perché in un solo gruppo ristretto posso aver racchiuse le persone più importanti per me.

 

 

“Hey”. “Ciao, bimba”. “Che stai facendo?”. La domanda mi sorge spontanea dal momento che lo trovo seduto a gambe divaricate con la schiena appoggiata al suo armadietto intento a sistemare delle carte. “Ah, niente. Devo consegnare i moduli di iscrizione al terzo anno in segreteria”. Non riesco a trattenere un sorriso. “Wow! Finalmente hai deciso, posso vedere?”. “Certo”. Si alza in piedi da terra e me li porge, ammetto che sono un pochino agitata nel scoprire cos'ha scelto. Apro avidamente i fogli alla ricerca della sezione dedicata agli indirizzi, finalmente ci sono arrivata e sono felice di poter dire che...cosa? No, aspetta....cosa? Ero sicura che avrebbe scelto arti figurative come me e che saremmo stati in classe insieme anche l'anno prossimo o che al massimo in alternativa scegliesse grafica come mi aveva confidato. “Architettura e ambiente?”. Vorrei essere una persona esterna per vedere l'espressione sconvolta nella mia faccia in questo momento. “Perché? Non sei contenta?”. Che stupida! Sono un'egoista, sto pensando solo a me quando in primis dovrebbe venire il suo volere. “Scusami...è solo che non me l'aspettavo”. “A dirti la verità nemmeno io, ieri sera stavo sfogliando il volantino con tutti gli indirizzi ancora indeciso e, non so per quale motivo, leggendo la facciata dedicata ad architettura ho capito che questo è l'indirizzo che fa per me”. Aggrotto la fronte. “Lo so che sembra strano, ma è così. Penso che la stessa cosa sia successa con te per arti figurative”. “Quindi mi stai dicendo che hai scelto così di botto?”. Scrolla le spalle. “Sì, ho seguito il mio istinto. Sento che sia la cosa più giusta per me”. “Se la cosa ti rende felice non posso far altro che assecondarti”. Si avvicina e mi accarezza la guancia. “Piccola, non cambierà nulla fra di noi, saremo sempre nella stessa scuola e potremo vederci ogni mattina in autobus e alla ricreazione. Sarà ancora meglio, fidati! Accrescerà il nostro desiderio di incontrarci”. Fa combaciare le sue labbra con le mie dando vita ad un bacio dolcissimo, ma al contempo veloce. Quando si stacca, mi dice: “Scusami, ora devo proprio scappare! Devo andare in segreteria e poi a prendere la moto, mi spiace non essere in bus con te oggi ma domani mi farò perdonare, promesso!”. Si mette lo zaino in spalla e mi saluta con un bacio a stampo per poi scomparire in fondo al corridoio. Nonostante tutto dovrei essere contenta per lui, no? Ha trovato la sua strada e ha fatto chiarezza nei suoi pensieri. Eppure come mai non lo sono? Vilu, smettila di essere così egoista! Chi sei tu per intralciare i suoi sogni? Mi faccio schifo da sola in questo momento, non riesco a gioire per una cosa bella accaduta al ragazzo che amo. Improvvisamente mi vibra il cellulare in tasca, lo sblocco e vedo che è un messaggio di Diego.

Ciao Violetta, come stai?:) Spero bene, io sono molto stanco...a proposito, quale indirizzo hai scelto per la terza? Io arti figurative!

Un bacio, Diego

Rimango imbambolata a rileggere questo sms per svariate volte, ancora non mi capacito di tutto ciò. Vorrei che quest'anno scolastico non finisse mai.

 

 

ANGOLO DELL'AUTRICE

Ciao tutti belli e brutti (?) eccomi qua con un nuovo capitolo! No dai, voi siete tutti belli :3 comunque spero vi piaccia e che non abbia deluso le aspettative, se avete qualche critica da farmi fatemela perché io sono sempre pronta a migliorarmi. Ah, vi dico una cosa: questo capitolo è importante perché pone delle fondamenta a quello che sarà il sequel di 'Indovina perché ti odio', spero siate stati attenti nella lettura perché ci sono due elementi che in questa fanfiction sono quasi superflui, ma che in 'Dal primo momento' avranno molta rilevanza. Non vi dico nulla, spero solo abbiate capito. Beh, che dire di più? Fatemi sapere cosa ne pensate con una recensione. Ringrazio chi mette la mia storia fra le preferite e le seguite, chi la recensisce e, perché no, anche chi la segue in 'silenzio'.

Alla prossima!

Gre

Ritorna all'indice


Capitolo 13
*** Capitolo 13 ***


                                                                    CAPITOLO 13

 

 

 

Ci sono momenti in cui non si può far altro che provare timore di fronte ad essi, anzi no: terrore. La prima volta che si sale sulle montagne russe, un richiamo dal preside (ne so qualcosa), essere interrogati quando non si ha studiato, stare a casa da soli nel cuore della notte...e poi c'è il fatto che stamattina papà mi porta a scuola in macchina perché devo trasportare i modellini e passiamo a casa di Leon per prenderlo. Sì, avete capito bene: mio padre, German Castillo, dovrà condividere pochi metri cubi d'aria con il ragazzo che frequento. A dir la verità, non so cosa potrebbe accadere. Spero solo che Leon ne esca vivo e vegeto o quantomeno abbia tutte le ossa integre e nessun occhio nero. La cosa che più mi stupisce però è che si stia sempre di più interessando al rapporto fra me e lui, uscendosene con frasi del tipo: 'E Leon come sta?', 'Mister Occhi Verdi va bene a scuola?' oppure 'Da quant'è che segue i River?'. Devo ammettere che sono un 'pelino' preoccupata per tutto questo coinvolgimento nella mia sfera privata, però magari vuole solo essere un buon padre. Dopotutto, con tutte le litigate che facevamo, vuole farsi perdonare ed è da un periodo a questa parte che noto i suoi sforzi ed il suo cambiamento. Continua comunque ad inquietarmi la cosa. Ieri sera eravamo seduti sul divano mentre stavamo guardando un film orribile di cui non ricordo nemmeno il nome, ovviamente, presa dalla noia, stavo messaggiando con Leon. Ad un certo punto mi sono voltata e ho visto papà che sbirciava il mio cellulare, prontamente l'ho bloccato. “Papà!”. “Scusami Vilu, ma è da quasi mezzora che continui a fissare quell'aggeggio anziché guardare il film”. “Per forza, mi annoia”. Ha fatto le spallucce, dopodiché si è di nuovo messo a guardare il televisore. A distanza di neanche cinque minuti, l'ho scoperto di nuovo a spiare con la coda dell'occhio lo schermo. “Papà, ora basta!”. “Scrivere messaggi a Leon è più importante che vedere questo capolavoro del cinema?”. Sono diventata tutto ad un tratto paonazza. “E' in bianco e nero, se avessi messo qualcosa di più moderno magari l'avrei guardato molto più volentieri”. Si è messo a sbuffare. “Ah, babbo! Ricordati che domani devi portarmi a scuola in macchina perché ho i modellini di scienze da portare”. “Come minimo non dovrei accompagnarti dal momento che non sai apprezzare i film d'epoca”. “Ma dai! Insomma, me l'avevi promesso la settimana scorsa!”. “E va bene...se vuoi chiedi pure al tuo morosetto di venire con noi, posso passare a prenderlo sotto casa”. Ho sgranato gli occhi. “Ehm...siamo solo amici”. “La vostra generazione ha uno strano concetto di 'amicizia', allora. Comunque dì pure al tuo 'amico' che se ha voglia posso portarlo io a scuola domani, da quel che mi hai detto siamo di strada perché prende il tuo stesso autobus”. “Non mi sembra un buona idea...”. Avevo già fatto uno schema nella mia mente di tutte le possibili tragiche conseguenze. “Perché no? Dai, chiediglielo. Mal che vada rifiuta l'offerta e va avanti”. Sono scoppiata a ridere e sotto il suo sguardo attento ho digitato sulla tastiera:

Siccome domani devo portare i modellini vado a scuola in macchina con papà e mi ha chiesto se vuoi venire con noi. Ti passiamo a prendere sotto casa, puoi sentiti libero anche di dire 'no' eh? Non è una costrizione.

Dentro di me speravo che rifiutasse oppure che non avesse voglia di venire perché ci sarebbe stato papà. Non lo so, bastava che scrivesse quel benedetto 'No, grazie'.

Dì a tuo papà che è un grande! Ti giuro che non ho proprio voglia di salire in quel lercio bus soprattutto dopo quello che è successo stamattina. Per me va bene, a che ora passate?:)

“Visto, che ti avevo detto?”. “Taci, papà!”. “Digli che passiamo per le sette e mezza”. “Va bene”.

Alle sette e mezza:)

In un batter d'occhio mi è arrivata la risposta.

Take me down to the paradise cityyy! Cazzo sì, posso dormire mezz'ora in più! Sono l'uomo più felice sulla terra, datemi un Oscar.

Mi sono messa a ridere ed ho tolto il telefono dalla sua vista. “Ehm...ora sono finite le conversazioni in cui sei menzionato, guarda il film”.

Ma cosa c'entra l'Oscar? Tu sei tutto matto:')

 

Ne ho vinti tanti quanti Di Caprio.

 

Oh, wow ahahah:')

 

Sono bello...

 

Ma cosa cazzo! La smetti di dire cose che non c'entrano niente fra loro?!

La smetto di riportare le nostre conversazioni altrimenti andreste fuori di testa di sicuro! Ora mancano solo un paio di minuti al condominio di Leon e sono veramente agitata anche perché sarebbe il primo incontro 'ravvicinato' fra loro due. Oddio, sto parlando di loro come se fossero animali...beh in effetti, sono uomini. “Devo svoltare qua, giusto?”. Mi guarda dallo specchietto retrovisore ed annuisco col capo. Una mano stretta alla borsetta con dentro i lavori, l'altra torturata dalla mia bocca che nel frattempo sta facendo le unghie a pezzettini. “Ci sono tutti nomi di scienziati e artisti in queste viuzze! Come hai detto che si chiama la sua?”. “Via Isaac Newton”. “Mmm...vediamo...Via Johannes Kepler, Via Michelangelo, Via Albert Einstein...oh, ecco: Via Isaac Newton!”. Gira all'interno della stradina e prosegue finché non troviamo Leon seduto sul gradino antistante al cancelletto. Appena vista l'auto sembra rianimarsi, perciò si alza di scatto e si dirige verso il veicolo. “Salve”. Salve? Ma se il massimo che riesce a formulare di prima mattina è un 'Oh!' impastato dal sonno in perfetto stile Filnstones. “Buongiorno, siediti pure dietro accanto a Vilu”. Si accomoda dove detto da mio padre e chiude la portiera. Papà mette in moto la macchina e ripartiamo, come immaginavo: silenzio imbarazzante. “Allora, Leon...da quant'è che tu e Vilu siete amici?”. Lo sapevo, lo sapevo che non avrebbe esitato a porgli domande del genere. “Beh...non da molto in verità”. “Ma prima eravate comunque in buoni rapporti, no?”. Vedo la sua bocca aprirsi scuotendo leggermente il capo, ma come? Il più grande bugiardo sulla Terra continua a dire la verità sul nostro rapporto a papà? “D'amore e d'accordo”, dico. Leon si volta e mi guarda aggrottando la fronte. “Ah sì? Bene dai, sono felice per voi”. Improvvisamente mi vibra la tasca e noto che mi è arrivato un messaggio. E' di Leon.

Ma che cazzo dici?

Gli rivolgo uno sguardo fuggente, poi digito:

Senti, caro: ho detto così perché lo conosco meglio di te e so che se lui ha la conferma che le cose vanno o comunque sono sempre andate bene, accantona l'argomento. E' fatto così, vuole esser sicuro che tutto fili liscio. Volevi veramente essere inondato di domande sul come mai non ci sopportavamo? Guarda che papà quando si fa i cazzi miei è peggio di uno della CIA.

Alzo lo sguardo e mi fa il pollice in su con la mano. “Vilu mi ha detto che segui i River”. “Oh sì, tifo per loro da quando sono piccolo!”. Credo che con questo argomento per un po' staranno buoni. “Bravo ragazzo, pure a me questa passione è stata passata di generazione in generazione”. “Non sa quanto la stimo, signor Castillo”. “Oh, ti prego dammi del 'tu' e sentiti libero di chiamarmi German”. Posso intravederlo...sorridere? Hey, non sta andando come temevo. “Pratichi calcio?”. “No, almeno non a livello agonistico. E' ovvio che ogni tanto una partita di calcetto con gli amici ci sta, ma non mi considero un professionista. Diciamo che me la cavicchio, dai”. “Ah, capisco. Invece io amavo e amo tuttora questo sport e miravo pure ad essere un calciatore di fama mondiale per giocare nei club più prestigiosi. Prima che nascesse Vilu ero una promessa del calcio in una squadretta locale, il mio allenatore aveva messo buona parola su di me alla società dei River ed era addirittura riuscito a fissarmi un provino. La sfortuna volle che due settimane prima durante una partita mi fratturai la tibia ed il perone ed i tempi di guarigione andavano dai cinque ai sei mesi, anche di più se non si era dei professionisti. Ero solo un ventenne e giocavo per una maglia anonima, ero convinto che un'opportunità del genere non mi sarebbe capitata mai più. Vidi tutti i sogni sfumati e le mie speranze vane, così presi la drastica decisione di abbandonare tutto e di andare a lavorare in un'impresa tessile. Però non mi è andata male per niente. Lì conobbi Maria e dopo un paio d'anni di frequentazione ci sposammo, pochi mesi più tardi nacque Vilu e beh, il resto è storia. Sai cos'ho imparato dalla vita, Leon? Non tutti i mali vengono per nuocere. Tienilo bene a mente, ragazzo”. La storia di come si sono conosciuti mamma e papà la sapevo e anche del suo sogno di diventare calciatore, ma non pensavo che avrebbe dato lezioni di vita a Leon. “Grazie per il consiglio, ne farò tesoro. Anche se, sai com'è, a questa giovane età è difficile da capire...”. Lo fisso con un'espressione confusa, ma lui continua a guardare in avanti rivolgendosi a mio padre. “...nel senso che quando qualcosa va storto non la prendi con filosofia, ti arrabbia e basta. Non vivi le tue giornate con l'idea che tutto il dolore e il periodo orribile che stai passando ti fortificheranno, penso si arrivi a pensare in questo modo quando si è adulti e si guarda al passato. Quando sto male non reagisco piangendomi addosso come la maggior parte delle persone fanno, io mi arrabbio ed inizio a prendere le decisioni più spropositate ed a fare cose folli solo per per mettere a tacere tutti i pensieri che ho nella testa. E' strano, ma è così. E credo che anche per te sia stato così, insomma...abbandonare il proprio sogno dev'essere stato difficile”. Guardo l'ora: sono le sette e quarantacinque. Okay, non credevo si potesse arrivare a fare discorsi del genere a quest'ora del mattino. “Sai una cosa? In questo siamo molto simili. Non sono mai stato un piagnucolone e odio essere un peso per gli altri, preferisco piuttosto staccarmi da tutti e proseguire per la mia strada da solo. Ricordo di aver perso molte amicizie dopo l'infortunio e, sinceramente parlando, ora ho dei grandissimi rimpianti che mi tengo dentro risalenti sia a quel periodo della mia vita sia dopo. Poi però guardo al presente: ho un lavoro, una figlia meravigliosa, una donna che amo e tutto sommato dei buoni amici. Cosa chiedere di più?”. “E' proprio quello che penso, bisogna sempre pensare al presente. Te l'ho detto anche l'altro giorno, vero Vilu?”. Si volta verso di me sorridendo e rispondo con un flebile “Sì”. “Che c'è, tesoro? Il gatto ti ha mangiato la lingua?”, mi chiede papà con un sorriso smagliante. “Ho sonno”. Ho omesso un bel po' di cose in realtà. E' vero che sono stanca, ma non sono taciturna per questo: la verità è che mi ha un po' scioccata e allo stesso tempo toccata la loro conversazione. Non credevo fossero così simili caratterialmente, questo spiega il fatto che faccio almeno una litigata al giorno con entrambi. Ammiro la loro forza perché ammetto che sono una di quelli che si piangono addosso, però sono più il classico tipo che soffre in silenzio e non si confida con nessuno per la paura di disturbare o essere di troppo. Non ho avuto una vita rose e fiori, ma loro due l'hanno avuta nettamente peggiore rispetto alla mia. Nonostante mio padre spesso mi faccia arrabbiare sono convinta sia una delle persone più rispettabili che abbia mai conosciuto perché non si scompone mai e riesce sempre a pensar positivo, per Leon vale lo stesso anche se lui non crede sia così. Ed il mio essere così debole stona accanto alle persone meravigliose e forti di cui mi circondo che mi fanno sempre e puntualmente da stampella. “Bene ragazzi, siamo arrivati. Buona giornata ed in bocca al lupo per l'interrogazione di oggi”. Oh, siamo già nel parcheggio della scuola? Sentivo che loro due continuavano a chiacchierare, ma le loro voci erano così lontane. Quando mi perdo nei miei pensieri mi ci immergo proprio! “Crepi e grazie ancora per il passaggio”. “Grazie, buona giornata anche a te. A dopo”. Scendiamo dall'auto e salutiamo con la mano per poi avviarci verso l'entrata. “E' forte tuo padre”. “Vi somigliate molto”. “Ah, sì? Devo prenderlo come un complimento?”, dice ridendo. “Ovvio, non hai appena detto che è un grande?”. “Giusto”. Varchiamo la soglia della porta e mentre ci dirigiamo verso gli armadietti lo guardo in tutta la sua bellezza e ancora, nonostante si ostini a dire il contrario, continuo a sentirmi troppo poco per lui sotto tutti i punti di vista.


Sistemo del materiale cartaceo all'interno del mio zaino, oggi grazie al cielo siamo usciti un'ora prima. L'interrogazione è andata benissimo ed il professor Galindo ne è stato entusiasta. Il duro lavoro ha fruttato un bel dieci per il progetto ed un nove per l'esposizione orale, alla fine ne è valsa la pena. Non ho idea di dove sia Leon, per cui mi metto in sua ricerca. Sarà da almeno mezzora che l'ho perso di vista e dobbiamo prendere insieme l'autobus. Mi alzo dalla panchina e getto il bicchierino da caffè vuoto, mi incammino lungo il corridoio guardandomi attorno nella speranza di scovarlo da qualche parte. Sono stata fino ad adesso a chiacchierare con Fran, ma ora lei se n'è andata perché è venuto suo nonno a prenderla a scuola. Si può essere più fortunati di così? Se non è il fratello, è qualche altro suo parente a portarla a casa. “Violetta!”. Mi volto verso questa voce familiare, ma al contempo sconosciuta. “Nata?”. Mi raggiunge in lacrime e non appena arriva nei miei pressi si fionda fra le mie braccia. “Cos'è successo? Mi fai preoccupare così”. “Non ce la faccio più, non ce la faccio più!”. “Sediamoci un secondo e tranquillizzati, okay? Così mi racconti”. Si stacca, la accompagno fino alla panca di prima e ci accomodiamo. “Tieni”. Le porgo un pacchetto di fazzoletti, si asciuga il trucco colato e con un altro si soffia il naso. Per fortuna si è un po' tranquillizzata, ma è ancora tremante. “Allora mi dici chi ti ha ridotta in questo stato?”. Pff, che domanda retorica! Ho la certezza di sapere chi è stato o meglio: chi è stata. “Ludmilla”. Ci voleva poco per arrivarci, comunque. “E che ti ha fatto?”. “Mi ostacola sempre e comunque, poi si giustifica dicendo che lo fa per il mio bene quando invece continua a farmi solo cattiverie su cattiverie”. “Ti ostacola? In che senso?”. Tira su il naso. “Non mi permette mai di fare ciò che voglio e devo sempre sottostare a ciò che mi dice, già non approva il ragazzo che mi piace ma ora che vuole condizionare la scelta dell'indirizzo per il triennio sta davvero oltrepassando ogni limite”. “Aspetta, aspetta. Primo: chi ti piace? Secondo: che indirizzo vuole che tu faccia?”. Il suo viso si tinge improvvisamente di rosso. “Forse è meglio che cominciamo a parlare degli indirizzi...”. Non riesco a non sorridere teneramente. “Eh dai, cosa vuoi che sia? Dammi almeno un indizio”. “Il fatto è che non posso e poi tu sei sua amica!”. Scoppio a ridere. “Involontariamente mi hai dato un indizio! Mmm...Marco?”. Scuote il capo. “Broadway?”. “No”. “Maxi?”. Abbassa timidamente lo sguardo. “Ho indovinato? Ti piace Maxi?”. “Sì, ma ti prego non dirglielo!”. “Non mi chiamo mica Ludmilla”. Accenna un mezzo sorriso. “E per quanto riguarda l'indirizzo?”. “Vuole costringermi a scegliere il suo nonostante io non voglia”. “Semplicemente non farlo e basta”. Tentenna. “Sai...è difficile, è l'unica amica che ho”. Aggrotto la fronte. “Nata, sei una carissima ragazza e l'ho sempre pensato. Credo sia giusto dirtelo una volta per tutte: lei non è tua amica, se lo fosse veramente non ti tratterebbe come una serva e vorrebbe solamente il tuo bene. Non capisci che pensa solo a sé stessa? Non le interessa di nessuno al di fuori di lei. Ricordo che l'anno scorso all'inizio eravamo abbastanza amiche io e te, poi ci siamo staccate a causa sua ma la mia opinione su di te non l'ho mai cambiata”. “Il brutto è che lo so e rimpiango tutti i giorni di aver scelto lei al posto tuo, di esser stata parte delle sue cattiverie anche se non facevo nulla e di aver assistito a tutto il male che ti faceva in silenzio. Mi sento uno schifo ogni volta che ti vedo, Violetta, ma non ho mai avuto il coraggio di scusarmi. Soprattutto ultimamente perché ti vedo felice, tu lo meriti e meriti anche l'amore di Leon”. “Amore? Che parola grossa”. “No, fidati se ti dico che non l'ho mai visto così preso da una ragazza in tutti questi due anni e l'ho conosciuto abbastanza bene”. Non so se credere o no a queste parole, nel frattempo il mio cuore ha fatto un triplo salto mortale. “Abbastanza bene? Credevo che voi due foste in rapporti poco più che cordiali”. Si illumina e sono contenta nel vedere che ha cambiato stato d'animo, in un certo senso però sono anche curiosa di sentire come si muoveva Leon nel gruppetto dei figli di papà. “Sai qual è la cosa buffa? Nel nostro gruppo quella che lo conosceva meno di tutti era Ludmilla. Ammetto che Leon non l'ho mai sentito veramente come un amico, ma c'è stato un periodo in cui eravamo una sorta di pseudo amici. Se non ricordo male è stato verso ottobre, novembre di quest'anno scolastico...messaggiavamo principalmente per i compiti, poi gli argomenti si sono ampliati e siamo arrivati a parlare del più e del meno. Non so...da lì ho scoperto che l'avevo giudicato male e che forse non era così superficiale come avevo sempre pensato, l'avevo capito soprattutto per la comprensione che mi dava, infatti mi difendeva spesso dalle angherie di Ludmilla. Comunque i nostri rapporti si sono sempre limitati a chiacchiere banali, mai a cose private. Su questo campo è sempre stato molto schivo e misterioso...oh, ora mi è venuta in mente una cosa che devi sapere assolutamente!”. Ha un sorriso da un orecchio all'altro ed io le poso le mani sulle spalle. “Okay, calmati e dimmi”, dico ridendo. “Ricordi il giorno in cui abbiamo fatto la foto di classe?”. “Ehm...era tipo fine ottobre”. “Sì, eravamo vestiti tutti quanti a tema vintage”. “Mmm...sì, mi ricordo”. “Tu mi pare fossi vestita con una gonna a ruota ed una camicetta a pois carinissima ed avevi anche il rossetto rosso!”. “Non ti sfugge nulla, ma perché? Cos'è successo quel giorno?”. “Avevo appena finito allenamento di nuoto il pomeriggio ed ero uscita dallo stabilimento, ho preso in mano il cellulare e mi era arrivato un messaggio da parte di Leon riguardo le cose da studiare di storia e tra una cosa e l'altra ci siamo messi a parlare delle foto per l'annuario che avevamo fatto quel giorno e lui ad un certo punto fa: 'Però la Castillo era quella vestita meglio di tutti' o una cosa del genere, poi gli ho risposto e dopo un po' ha scritto: 'Non riuscivo a levarle gli occhi di dosso. Era veramente bellissima, sapevo già che era una ragazza carina ma non credevo così tanto'. Dentro di me stavo gioendo perché già dall'inizio dell'anno ce l'avevo a morte con Ludmilla e, se l'avesse saputo, sarebbe andata su tutte le furie”. Possono poche parole farti battere il cuore all'impazzata? Anche io quel giorno continuavo a fissarlo vestito con quella giacca in pelle e i jeans stretti. “Wow...è una cosa...wow”. “Sai solo dire 'wow', Violetta? Gli piaci da morire e si vede, sei così fortunata! Comunque un po' di interesse nei tuoi confronti l'ho sempre notato perché molte volte ti guardava durante le lezioni oppure quando il prof. Benvenuto appendeva sui pannelli i disegni nell'aula di pittoriche rimaneva sempre tre anni a fissare i tuoi”. “Non so che dire...”. “Sono felice per voi due, tu meriti di essere felice e lui sembra molto cambiato da quando state insieme”. “Non siamo ancora insieme”. “Ancora no? Che strano...beh, questo mi fa capire molte cose. Di solito non è il tipo che aspetta tempo e se lo fa credo sia perché ci tiene veramente e non vuole fare le cose in fretta”. Fa una breve pausa. “Non so come tu abbia fatto, ma lo hai cambiato. Sembrava veramente irrecuperabile quel ragazzo”. “Non è mai troppo tardi per cambiare”. Le carezzo il braccio e sorrido. “Hai ragione, ma nessuno mi vorrebbe dei tuoi amici. Violetta, sei troppo buona”. “Non credo, Nata. Infondo tutti sanno che l'unica stronza nel vostro gruppo è Ludmilla, magari faranno un po' di fatica a fidarsi ma vedrai che una volta conosciuta la fantastica persona che sei ti accoglieranno a braccia aperte. Poi puoi sempre conoscere meglio Maxi...”. Mi dà una pacca sul braccio. “Sono troppo timida”. “Beh, ti darò una mano come ho fatto con Francesca e Marco”. Spalanca la bocca. “Francesca e Marco sono insieme?”. “No, non ancora...diciamo che li ho inviati sulla buona strada, ecco. Sabato sera sono andati al cinema e si sono baciati”. “Oddio, ma ora che ci penso sono una coppia carinissima!”. “Lo sareste anche tu e Maxi”. Le do una leggera gomitata. “Dai, basta!”, dice ridendo. “Grazie di tutto. Veramente, mi sei mancata molto”. Si getta fra le mie braccia di slancio e, nonostante sia un po' goffa con gli abbracci, mi sciolgo quasi subito. “Di nulla, ho sempre sperato che tu tornassi sui tuoi passi in fondo”. Si stacca e si mette lo zaino. “Ti sarò per sempre debitrice, Vilu. Posso chiamarti 'Vilu', vero?”. “Ma certo!”. “Ora devo andare alla fermata della metro, ci vediamo domani”. “Anch'io devo andare in fermata del bus nel giro di pochi minuti...sempre che riesca a trovare una minima traccia di Leon in giro per la scuola”. Ridiamo insieme. “A domani”. La guardo allontanarsi e svoltare l'angolo, il detto dice: 'Fidarsi è bene, non fidarsi è meglio'. Eppure con lei sento di non dovermi comportare in modo diffidente forse perché dentro di me ho sempre avuto la certezza che non sia mai stata come Ludmilla e poi con Nata dalla nostra parte la vipera resta sola come merita di essere. Leon si è staccato e con lui anche Andrès, questo significa che non ora non c'è nessuno che la possa aiutare con le sue cattiverie. Ora che ci penso meglio ne rimane ancora uno: Diego. Sebbene oggi mi abbia trattata bene e parlato cordialmente, non riesco a non essere insospettita dagli sguardi fugaci che si scambia con la strega. E poi perché mai dovrebbe voler diventare mio amico da un giorno all'altro? Neanche il cane muove la coda per niente.

 

 

“Ma si può sapere dov'eri prima?”. Gli rubo una patatina dal sacchetto che tiene in mano. “Ero al bar piano di sotto”. “Cosa ci facevi al bar?”. “Guarda che te l'ho detto che sarei andato a bere qualcosa assieme a dei tipi che erano in classe mia l'anno in cui sono stato bocciato”. “Sì, ma non hai specificato dove”. Scrolla le spalle. “Eh vabbè era sottinteso”. Sbuffo. “Non era per niente sottinteso, ci sono un sacco di bar anche fuori da scuola e le macchinette”. Rotea gli occhi. “Hai la media dell'otto, dovresti arrivarci”. “Oh, ma ancora con questa storia? Quando capirai che la media scolastica non c'entra niente?”. “Giusto, hai ragione. Guarda me ad esempio: ho la media bassa ed ho un quoziente intellettivo che Einstein a confronto è nulla, mentre te ce l'hai alta e beh...”. “Mamma, mamma...dirti che sei stronzo sarebbe farti un complimento!”. Scoppia a ridere e continua a mangiare. “Oh si è offesa adesso, non mi parla più la signorina”. Lo ignoro ed apro lo zaino alla ricerca delle cuffiette. “Fa pure l'incazzata, guardatela come apre con inaudita violenza la cartella! A momenti stacca la cerniera”. Alzo lo sguardo. “La finisci?”. “Lo sapevo che mi avresti rivolto la parola, sei così prevedibile”. Lo fulmino con lo sguardo e finalmente estraggo gli auricolari. “Ti voglio bene anch'io comunque”. Attacco la presa al cellulare e scorro fra le canzoni per poi far partire 'Smells Like Teen Spirit' dei Nirvana, almeno è rumorosa e non lo sento. Con un gesto brusco mi toglie la musica dalle orecchie. “Mi dà fastidio quando mi ignori”. “La prossima volta fa' a meno di fare lo stronzo”. “Tanto sai che scherzo”. “Delle volte ci prendi troppo la mano e poi tu puoi dirmi tutto ciò che vuoi ed io mai nulla perché sennò ti offendi e fai il prezioso. Vedi? E' bello essere trattati così?”. Mi rivolge un'espressione combattuta. “Mmm...no”. “Ora basta discutere, non mi piace litigare con te”. “Nemmeno a me”. Mi butto fra le sue braccia e mi stringe forte a sé, sono cambiati molto i nostri abbracci dalle prime volte. Mi stacco lentamente e gli rivolgo un sorriso. “Piuttosto raccontami cos'hai fatto tu nel frattempo in cui ero al bar”. “Ho chiacchierato un po' con Fran e poi ho parlato con...Nata”. Corruga la fronte. “Nata? Da che pulpito?”. “Mi è venuta incontro piangendo e dicendo che era stanca di subire cattiverie da Ludmilla”. “Pff, era ora che si svegliasse”. “Leon!”. “Che c'è? E' la verità ed entrambi lo sappiamo bene”. Annuisco col capo. “Ma tu sapevi che le piace Maxi?”. Scoppia a ridere. “Trovi la cosa divertente?”. “No, è che Ludmilla lo chiamava 'l'Ippopotamo Rapper'”. Lo guardo seria. “Ah quindi lo sapevi? Magari la prendevi pure in giro!”. Arresta improvvisamente la sua risata. “Per chi mi hai preso? Non l'avrei mai fatto. Comunque sì, lo sapevo già e ricordo che Ludmilla non approvava la sua cotta, in verità non approvava nulla di ciò che diceva o faceva. L'unica persona a cui dava retta in minima parte ero io, Nata dovrebbe ringraziarmi per questo: l'ho salvata molte volte”. “Ora sta esagerando però, vuole compromettere la scelta dell'indirizzo. Qua non si parla di una cottarella, si parla del futuro di Nata!”. Pone le mani come per dire 'Alt' fra me e lui. “Sì, però non sbraitarmi contro che sembra che tu ce l'abbia con me...ci stanno guardando tutti”. Mi guardo attorno ed effettivamente tutti i nostri compagni di scuola sono voltati verso di noi. “Scusami è che quando parlo della vipera mi infervoro”. “L'ho notato”. “Come fai a non odiarla nemmeno un po'?”. Scrolla le spalle. “La vita è troppo breve per arrabbiarsi con persone che non meritano un quarto della nostra considerazione”. Batto le mani. “Grazie al cazzo, Socrate dei poveri. Tu sei tu, mettiti nei miei panni: come faccio a non odiare una così?”. “E cosa vuoi che faccia, bimba? Che la odi solo perché la odi tu? Non ha senso. Sono convinto che quella ragazza sia ridicola e non sopporto il male che ti ha fatto, però non riesco ad odiarla. Sotto a quello che vuole dare a vedere c'è molto di più, per un momento io l'ho visto”. Rido istericamente forse perché questa cosa mi irrita parecchio, come si permette di dire che la strega non è come sembra? “E sentiamo: cosa avresti visto?”. “Sono cose private di Ludmilla e non so se...”. “Dimmelo o ti spezzo in due”. “Okay, okay...”. Si avvicina ed abbassa il tono di voce. “Suo padre la ignora ed è come se neanche ci fosse perché è sempre via per lavoro e sua mamma era malata di cancro”. Sgrano gli occhi. “Era...?”. “Sì, hai capito bene: si è spenta l'estate prima delle superiori. Non dico che sia una santa, anzi non lo è per niente, però l'ho vista piangere e per una frazione di secondo il mostro che tutti chiamavano Ludmilla si era tramutato in umano. Capisci cosa intendo? Mi urta sui nervi, certo, ma non riesco a provare un sentimento così forte come l'odio nei suoi confronti. Tu hai tutte le ragioni per farlo, ma ignorala e basta. Se ti prova a dire qualcosa, chiama me e lasciami risolvere la questione”. Annuisco flebilmente. “Hey, non fare così. Sai che resti sempre la migliore”. Mi accarezza la guancia, alzo lo sguardo e sorridendo dico: “Come quando ero 'bellissima' nel mio abbigliamento vintage”. “Ma chi...Nata!”. Scoppiamo a ridere entrambi. “Ti ha detto qualcos'altro per caso?”. “Solo qualcosa in proposito al fatto che mi guardavi durante le lezioni e che fissavi sempre i miei disegni appesi nell'aula di Beto”. “Oh, non le sfugge proprio nulla ma soprattutto non le si può dir niente. Comunque eri veramente bella quel giorno là”. “Anche tu eri molto sexy vestito da motociclista”. Avvicino le mie labbra alle sue e diamo vita ad un bacio dolce, ma al contempo passionale. Chissà quanto staremo sulle scatole a quelli in fermata perché ogni volta, anche senza volerlo, finiamo per baciarci e scambiarci effusioni. Ricordo ancora il crimine che mi saliva ogni volta che vedevo una coppietta felice, ma ora che sono dalla parte opposta sono dell'idea che se non ci tengono a vederci forse è meglio che spostino l'attenzione su qualcun altro. Lo so, sono cattiva. Però quando sto con lui non me ne frega di nessun altro e i fidanzatini più spudorati che si limonavano di fronte a me non si facevano tanti scrupoli, eh? Allontaniamo le nostre bocche e ci specchiamo l'uno meglio occhi dell'altro. “Promettimi che non mi abbandonerai, ti prego”. Deglutisce. “Non sono fatto per le cose a lungo termine, non prometto mai se non sono sicuro”. “Cosa ti trattiene dal farlo?”. Scuote il capo. “Lo sapevo che ti saresti innamorata di me”. Improvvisamente mi manca l'aria, allora l'ha capito. Mi sento come se fossi stata scoperta, ora sa cosa provo. Cerco di formulare una frase, ma tutto ciò che mi esce sono dei suoni tremolanti. Si massaggia la fronte e fissa il muretto sotto di noi. “Pe-perché reagisci così?”. “Bimba, non sono chi credi che io sia”. “Cosa intendi con questo?”. Sospira profondamente. “Non ci riesco, non ce la faccio proprio...”. “Non ce la fai a fare cosa?”, sbotto impaziente. “Sono stato il peggiore, non sai ancora molte, troppe cose su di me. Certo ne conosci più di tutti gli altri, ma la parte più brutta...beh, non sei a conoscenza di quella”. “Merito di saperle, non credi?”. Continua a tenere lo sguardo abbassato e, dopo alcuni secondi di pausa, dice: “Saresti disposta a fare una follia?”. “Dipende da cosa si tratta”. “No, non voglio né 'se' né 'ma', in questo momento faresti una follia assieme a me?”. “Sempre”. “Sappi che oggi non tornerai a casa da scuola”. “Va bene, sono disposta a farlo”. Si alza di scatto e mi porge la mano. “Dove mi vuoi portare?”. “In un posto in cui non ho mai portato nessuno”. Fisso incerta per qualche istante la sua mano tesa verso di me, poi l'afferro e mi tiro su. Iniziamo ad incamminarci lungo il marciapiede senza proferire parola, è serio in volto e credo che parlerà non appena saremo arrivati in questo misterioso luogo. Nonostante sia sicura che con lui non mi possa accadere nulla, sento un'ansia crescente dentro di me ad ogni passo data probabilmente dalla sua stretta che si fa sempre più forte. L'attesa si fa più pressante mentre procediamo a piedi per delle vie sconosciute, non ho nemmeno il coraggio di guardarlo in faccia. Già mi prefisso nella mente di non cambiare idea su di lui qualsiasi cosa mi dirà perché ho la netta sensazione che non sarà nulla di piacevole.

 

 

ANGOLO DELL'AUTRICE

Ciao a tutti! Eccomi qua con un nuovo capitolo. Beh, che dire? Sono successe molte cose, non vi pare? L'incontro fra German e Leon, il riavvicinamento fra Nata e Violetta ed infine...sì, alla fine non si sa cosa succede perché sono bastarda ed ho deciso di troncare la scena proprio nel momento di spannung. Non odiatemi u.u

Ad ogni modo...cosa ve ne sembra del capitolo? E' di vostro gradimento? Se avete notato errori o cose del genere fatemelo presente. Ringrazio ancora chi recensisce puntualmente la mia storia (mi scuso se ci metto tanto a rispondere alla recensioni a volte, ma ogni tanto sto fuori da Efp per giorni), chi la mette fra i preferiti e chi fra le seguite. Non sto neanche qua a dirvi 'Stay Tuned' perché sapete che nel prossimo capitolo ci saranno novità!

Alla prossima,

Gre

Ritorna all'indice


Capitolo 14
*** Capitolo 14 ***


                                                                       CAPITOLO 14

 

 

 

Lo scricchiolio delle scale lignee è l'unico rumore percepibile, le narici sono pizzicate da un odore acre di muffa e noto che sulle sommità dei muri ci sono molte, moltissime ragnatele. Continuiamo a salire in alto, sempre più su, finché di colpo non si arresta. Posa la mano su una maniglia arrugginita ed apre una porta, ruota il capo a destra e sinistra come per scrutare il luogo ed entra nella stanza. Lo seguo e ci ritroviamo in un soggiorno probabilmente risalente ai tempi della dittatura, il tavolo in legno ormai marcio è sovrastato da circa due dita di polvere ed il pavimento è più lurido di quello della saletta d'attesa della presidenza. Dalla cucina proviene una puzza sgradevole, probabilmente data dal frigorifero inutilizzato da chissà quanto tempo. Si aggira osservando meticolosamente ogni minimo dettaglio: apre le portiere, dà un'occhiata fuori dalle finestre lerce e sposta alcuni piccoli oggetti sopra ai ripiani. “Di chi è questa casa?”. “Di nessuno”, risponde continuando la sua perlustrazione. E' da quando siamo partiti dalla fermata che nessuno dei due ha osato fiatare, abbiamo imboccato tutte le strade sconosciute e proseguito in religioso silenzio. “Che ci facciamo qua?”. Apre un cassetto, fruga all'interno velocemente e lo richiude. “Volevo solo controllare che fosse tutto come l'avevo lasciato, è da quasi un anno che non torno qui”. Si volta finalmente verso di me rivolgendomi uno sguardo serio e distaccato. “Seguimi”. Si dirige verso l'uscita rapidamente ed io faccio lo stesso. Le scale non sono ancora finite se è questo che stavate pensando, saliamo fino a non trovare nessun altro gradino. Siamo in una specie di soffitta spoglia, va verso una porta di vetro ormai grigiastro e la apre emettendo un suono stridulo assai fastidioso. Usciamo e mi rendo conto di essere arrivata in cima al palazzo, contemplo la vista di Buenos Aires regalata dall'altezza dell'edificio per poi guardarlo confusa. Non credo di aver mai visto i suoi occhi, i miei smeraldi preferiti così vuoti e al contempo carichi di dolore. Alza il capo verso il cielo, serra le palpebre e poi lo riabbassa. Si avvicina, mi porge la mano e mi porta fino al limite del palazzo. “Dovrei dirti di non guardare giù, ma fallo per un istante”. Osservo la distanza enorme che mi divide dal suolo e mi vengono i brividi. Sì, soffro di vertigini. Per fortuna mi scosta all'indietro prendendomi per un braccio, si siede a terra e faccio altrettanto. “Perché mi hai detto di guardare giù?”. “Era per creare un'idea nella tua mente di ciò che ti sto per raccontare”. Cerco il suo sguardo invano, continua a fissare un punto indefinito di fronte a lui. “Ricordi quando ti ho parlato degli anni in cui sono stato bocciato? Ti avevo detto che il secondo l'ho perso per le assenze principalmente”. “Certo, mi ricordo”. Sospira profondamente. “Tutto andava male: mamma soffriva di depressione e mi sentivo impotente, questa parte della storia già la sai. Non avevo la forza di fare nulla ed andare a scuola stava diventando una cosa troppo pesante da reggere, così cominciai a frequentarla saltuariamente. Spesso scendevo alla fermata e mi incamminavo senza un preciso scopo per le vie di Buenos Aires da solo, la maggior parte delle volte non avevo un soldo in tasca per cui mi limitavo a camminare e camminare finché i miei piedi mi imploravano di fermarmi. Diciamo che era una consuetudine ciò che abbiamo fatto io e te oggi, hai avvertito qualcuno per caso?”. Annuisco col capo. “Mio padre e anche Angie”. Sul suo viso si estende un sorriso amaro. “Io non lo dicevo a nessuno. Sparivo e basta, a volte anche per giorni. Solo ora mi rendo conto di aver fatto peggio, di certo facendo preoccupare mamma non miglioravo la situazione, ma infondo che potevo fare? Avevo solo quindici anni ed estraniarmi da tutto ciò che rappresentava un problema era l'unica maniera per darmi l'illusione di risolverlo. Ma non fui sempre solo. Incontrai, dunque, in questo mio vagare senza meta dei ragazzacci di strada che in un primo momento mi misero al muro, ma successivamente mi inglobarono nel loro giro. Con loro spendevo gran parte del mio tempo e feci le cose più spericolate e folli per spegnere il rumore nella mia testa, i pensieri ci mettevano poco a prendere il sopravvento e a premere contro la mia scatola cranica imponendomi di ragionare. Decisi allora di riempire la mia vita di cazzate pur di non soffermarmi a pensare nemmeno per un secondo, ce l'avevo col mondo intero e la rabbia era diventata quasi viscerale. Ogni tanto la mia coscienza faceva capolino quando meno me l'aspettavo: quando ero a bordo di un automobile rubata, quando stavo prendendo a pugni un tizio sconosciuto solo perché avevo l'impressione che avesse qualcosa contro di me, quando vendevo erba fuori dai locali oppure quando mi stavo facendo una tipa che conoscevo da neanche un paio d'ore. Era devastante. Mi faceva rendere conto dello schifo che ero, ma non ne avevo mai abbastanza: dovevo proprio arrivare al limite per pormi delle serie domande esistenziali. Continuai quindi a vivere in questo modo sregolato frequentando assiduamente il ghetto e le persone più sbagliate che potessi trovare, in pochi mesi diventai una delle figure più importanti all'interno della gang. Questo edificio abbandonato divenne la nostra o meglio, la mia seconda casa. Ci trascorrevo molte giornate, soprattutto qua nella cima: mi dava l'impressione di poter monitorare la situazione. Ero convinto non potesse andare peggio di così, ma ecco che piove sul bagnato: mia madre venne licenziata perché ritenuta non più idonea e per troppo assenteismo. Tutti ci avevano voltato le spalle, eravamo soli con moltissime spese da sostenere e lei non se ne rendeva conto perché malata. Pretendeva che le andassi a comperare gli antidepressivi e al contempo dovevo anche pagare l'affitto, le bollette e molte altre cose. I soldi però mancavano, così cominciai a chiedere prestiti alle persone più svariate qua nel ghetto di cui dovevo puntualmente sdebitarmi se ci tenevo a salvarmi la pelle. Un giorno di quasi due anni fa, proprio in questo preciso punto, discussi con un novellino del giro proprio per questo motivo. Nonostante tutti i miei sforzi non ero riuscito a restituirgli tutta la somma di denaro ed ero pure in ampio ritardo, tra una cosa e l'altra volarono parole di troppo e l'atmosfera si fece sempre più intrisa d'ira. Finché il ragazzino mi urlò contro: 'Tua madre dev'essere proprio una puttana per aver fatto nascere uno come te', non ci ho più visto e con una forza che non credevo nemmeno di avere in corpo...”. Fa una breve pausa perché gli si spezza la voce. “...l'ho spinto giù da questo palazzo”. Spalanco la bocca ammutolita, finalmente si volta verso di me per guardarmi negli occhi. “Mi dispiace...”, dice con voce tremante. Delle lacrime iniziano a rigargli le guance ed infossa il viso fra i palmi delle mani. “E lui è mor...”. Non riesco nemmeno a finire di pronunciare la frase, tanto il mio respiro si fa più pesante. Scuote il capo sempre rimanendo nella stessa posizione, il mio cuore sembra risollevarsi anche se solo di poco. “Da codardo, scappai pensando al peggio. Lì sì che avevo raggiunto il limite: potevo rovinarmi quanto volevo, ma di certo non sfogare la mia rabbia su altre persone e in un modo così brutale. La coscienza continuava a designare gli scenari più macabri e disperati, oltre che autopunirmi martellandomi con un sacco di inammissibili verità. La spinta, sebbene sia stato un gesto impulsivo, gliela avevo data sapendo bene che dietro di lui c'era il vuoto, in un certo senso questo faceva di me un assassino. Corsi per metri, chilometri, chissà. Mi stavo allontanando dai problemi invece di affrontarli, come sempre del resto. I giorni seguenti frequentai la scuola e vissi la vita come se nulla fosse anche se il senso di colpa mi ronzava attorno costantemente, così decisi di tornare al ghetto facendo il finto tonto ed ascoltando le ultime novità dalla gang. Il ragazzino non era morto come credevo, bensì in coma. In un certo senso ero felice che non fosse andata come pensavo, però non lo ero del tutto e mi sentivo una merda ugualmente. Gli altri non se ne curavano e avevano attribuito l'accaduto alla sbadataggine del novellino o, addirittura, ad un tentato suicidio. Per questo motivo la cosa non li intaccò minimamente e continuarono con le loro bravate abbandonando quella zona della quale se ne parlava ormai troppo, ma non feci come loro. Mi distaccai bruscamente dal gruppo e cominciai ad andare a trovare il ragazzo in ospedale quasi ogni giorno fingendo di essere un suo amico e stando accanto alla sua famiglia, feci così per i mesi a seguire. Scoprii, allora, che si chiamava Moises, avrebbe dovuto compiere quattordici anni a luglio e da grande voleva fare il pilota di Formula 1. Amava giocare a basket e mangiare le prugne dell'albero vicino casa, guardava sempre Dragon Ball alla televisione e giocava spesso alla Play Station. Il suo colore preferito era l'azzurro non intenso come l'oceano, bensì chiaro e quasi trasparente come il cielo. Odiava la scuola e tutte le cose non connesse ai motori, il suo cibo preferito era la fonduta di cioccolato. Mi resi conto di essermi interessato a chi fosse veramente Moises solo quando era ridotto ad un vegetale, il che crebbe il senso di ribrezzo nei confronti di me stesso. Non avevo mai creduto nell'esistenza di un Dio, ma in quel periodo ci sono andato molto vicino: pregavo ogni giorno per quel poverino, per mia madre e per tutti all'infuori di me. Se esisteva veramente, questo comportava anche la presenza di un luogo come l'inferno ed ero sicuro che quello sarebbe stato il mio posto. Mi ritraevo come un mostro, un vigliacco ed il più delle volte lo facevo qua, in cima al palazzo. Era il secondo posto che frequentavo di più dopo il reparto in cui era ricoverato il ragazzino. Salivo fino a quassù, mi sedevo riflettendo sul grosso sbaglio di persona che ero e, di tanto in tanto, mi accostavo a pochi centimetri dal limite fra l'edificio ed il vuoto guardando di sotto. A volte piangevo pure come prima, altre volevo solo buttarmi giù e farla finita. Tanto non sarei mancato né servito a nessuno, poi però col tempo maturai l'idea che solo una persona, la più importante, aveva realmente bisogno di me: mamma. Non potevo abbandonarla e lasciarla sola a gestire un mondo troppo bastardo per lei, così presi la decisione di combattere per noi e per un futuro migliore. Cominciai a pensare positivo e ad abbandonare tutti i brutti vizi tranne il fumo, non ci sono mai riuscito. Imposi che gli unici divertimenti a cui mi sarei concesso sarebbero stati una sbronza leggera ed una sana trombata il sabato sera, niente più cose losche o contro la legge. Nacque in me un cambiamento che mi ha portato ad essere ciò che sono ora e sinceramente preferisco vivere mille giorni di questi che un solo minuto del mio passato”. “E Moises?”. Si accende una sigaretta, è evidentemente nervoso. “Moises è e sarà uno dei miei più grandi rimpianti. Si è svegliato dal coma, certo, ma non sarà mai più lo stesso: ora è in sedia a rotelle e, in seguito al trauma cranico che gli ha intaccato la parte del cervello adibita alla memoria, ogni tanto ha dei vuoti. Continuo però ad andarlo a trovare due o tre volte al mese, siamo diventati molto amici nell'ultimo anno da quando è tornato fra noi e sono convinto sia una delle persone che mi conosce di più in assoluto. E' un legame diverso da quello che c'è con Andrès ad esempio, mi sento quasi in dovere di essergli vicino in tutto e per tutto dopo il male che gli ho procurato”. Vorrei dirgli un sacco di cose, ma le parole si ostinano a non voler uscire dalla mia bocca. “Fammi un favore: ora che sai chi sono veramente se non vuoi più avere a che fare con me, ti prego, vattene ora”. Spegne il mozzicone strisciandolo sul pavimento con lo sguardo abbassato. “Farebbe meno male...”. Pronuncia questa frase con tono sommesso. Improvvisamente scollego il cervello completamente e dico: “No, resto qua”. Alza il capo facendo incrociare i suoi occhi gonfi ed arrossati coi miei che sono lucidi. “Ti amo”. Silenzio totale. Nonostante in sottofondo ci sia il contrastante rumore del traffico urbano, le uniche cose che riesco a sentire sono il suo respiro affannato ed il mio cuore battere all'impazzata. Fissa un punto indefinito in avanti, deglutisce e poi si volta di nuovo verso di me rivolgendomi uno di quegli sguardi che sembrano scavarti dentro. “Anch'io credo di amarti”. Sul mio viso si estende un sorriso a trentadue denti, ma allo stesso tempo scoppio a piangere dalla felicità. La sua espressione da cane bastonato svanisce e ricambia con un sorriso altrettanto grande. “Sai perché non volevo raccontarti del mio passato?”. Scuoto la testa. “Perché in fondo ci speravo”. Aggrotto la fronte. “In fondo ci speravi?”. “Sì, speravo ti innamorassi di me”. Poso una mano sopra la sua la quale è poggiata al pavimento. “Dopo ciò che mi hai raccontato ti amo più di prima”. Mi guarda dolcemente per poi avvicinarsi alle mie labbra e baciarmi in un modo del tutto nuovo e carico di sentimento. Mai come in questo momento sento la connessione speciale che c'è fra noi e ci metto tutto l'amore represso in questo tempo, posso perfino avvertire che lui sta provando la medesima sensazione. Dopo un tempo a me indefinito, ci allontaniamo lentamente tenendo le nostre fronti l'una posata sull'altra. Mi dà un leggero bacio sulla punta del naso e, senza fiato, dice: “Violetta, voglio essere il tuo ragazzo. Non una storiella di poco spessore, voglio una relazione seria...con te”. Colma di una felicità che non provavo da secoli, rispondo: “Lo voglio più di qualsiasi altra cosa”. Ci baciamo un'altra volta, poi ancora e ancora finché non ne avremo abbastanza di noi. Potrebbe durare all'infinito.

 

 

Allungo il cucchiaino verso la sua coppetta, rubo un po' di gelato e lo porto alla bocca. “Cos'è questa storia che devi sempre assaggiare ciò che prendo io?”. Scoppiamo a ridere. “Prendi sempre cose strane”. “Sapevo che in questa piccola gelateria all'angolo fanno il gusto Kinder Bueno e poi qua il gelato è più buono di tanti altri posti sempre pieni di gente, non credi?”. Annuisco col capo. “E' veramente buonissimo, peccato che non lo conosca nessuno”. “No, meglio così: più gelato per noi”, dice sorridendo. Continuiamo ad imboccare alcune cucchiaiate silenziosamente, Leon quando mangia è come un cane: non bisogna parlargli né toccarlo sennò morde, se ci vuoi provare bisogna fare molta attenzione. “E tu? C'è qualcosa che devo sapere?”. Lo guardo confusa. “In che senso?”. “Ora io non ho più segreti, te invece?”. Si lecca le labbra per pulirsi dai rimasugli di cioccolato. “Beh, non sai cos'è successo gli anni dopo la morte di mamma”. “Se ti va puoi raccontarmelo, se non vuoi non ti costringo”. Abbasso lo sguardo, dopodiché lo rialzo. Francesca sa della sua morte e alcuni aspetti delle mie ricadute, ma realmente non è a conoscenza nemmeno lei di ciò che ho passato. Mi sento però forte abbastanza per raccontarglielo a qualcuno, a lui soprattutto. Certo, il magone resta fra le corde vocali e la lingua, ma credo di essere in grado di dire il tutto senza crollare. Mi sono sempre tenuta dentro ciò che provavo ed è ora che mi sfoghi con qualcuno. “Avevo sei anni quando lei ci lasciò in un incidente stradale, non sai però che ero con lei nell'auto quella maledetta sera. Ho assistito in prima persona alla scena, è stato tutto così veloce ed istantaneo...nel giro di pochi secondi ci furono una luce abbagliante, lo schianto e poi il buio. Aprii gli occhi quando ero ancora stesa sull'asfalto fra pezzi di vetro e le grida di alcune persone, alzai lo sguardo cercando di creare un'immagine nitida e riuscii a delineare un uomo di fronte a me che disse: 'E' viva, caricatela su!'. Ricordo vividamente come se fosse ieri: mi prese fra le sue braccia e mi mise su una barella, poi nell'ambulanza persi coscienza. Mi svegliai dopo non so quanto tempo in una stanza d'ospedale con mio padre accanto che dormiva su una poltrona, cercai di muovermi ma ero limitata da tubi respiratori. Dovevo aver fatto un bel po' di rumore perché papà si svegliò di soprassalto, la sua espressione mutò quando mi vide e si mise a piangere di felicità e ad abbracciarmi. Ruppi però l'atmosfera all'istante chiedendo dove fosse la mamma, mi fissò per alcuni istanti e continuò a versare lacrime non più dalla contentezza. 'Non ce l'ha fatta', fu l'unica cosa in grado di dirmi. Piansi assieme a lui e mi chiese di essere forte. E così feci, fui forte. Tutti, in un certo senso, ne furono felici: sembrava che nulla fosse successo e mi comportavo come prima. Non diedi problemi a nessuno, ma dopo quasi un anno dalla sua scomparsa degenerai. Iniziai a non voler più salire in qualsiasi automobile, mi staccai dal mondo esterno e mi barricavo in casa per tutto il giorno. La mia famiglia ne fu spaventata, ma non sapevano che in realtà mi ero tenuta tutto dentro. Alla lunga peggiorai inesorabilmente, ebbi sempre meno amici fino a rimanere completamente sola e divenni ossessionata dalla morte. Avevo paura di morire sempre, non c'era momento della giornata in cui non temevo che qualcosa mi uccidesse. La mia fobia si manifestò nei sogni e puntualmente ogni notte morivo per mano delle più svariate cose. Glielo confessai a mio padre pensando di essere capita, ma la prese malissimo e cominciò a portarmi da una psicologa infantile. All'inizio non capivo fosse una specie di dottoressa anche perché mi ripetevano sempre che era più come un'amica, infatti il giorno in cui mi portavano al centro era soprannominato 'Giorno Amicizia'. Dopo anni di tutto questo, però, qualche domanda cominciai a farmela. Avevo dieci anni ormai e la cosa a tratti mi sembrava alquanto sospetta: nella scrivania di papà c'era un cassetto che non potevo aprire nemmeno col pensiero e mi mandavano sempre a giocare fuori dopo ogni mia seduta. Un giorno, finito di sfogarmi con la psicologa, uscii come al solito nel giardino antistante all'edificio. Cominciò ad instaurarsi in me la curiosità di tornare dentro e scoprire cosa c'era di così importante da sbolognarmi via ogni volta, così rientrai. Tornai nei pressi dello studio della dottoressa e notai che la porta era chiusa, c'erano delle voci che provenivano dall'interno. Mi misi ad origliare e sentii mio padre che discuteva con la donna sul mio stato mentale ancora sballato, mentre lei lo rassicurava dicendo che continuando la cura e gli esercizi che mi dava da fare sarei di sicuro riuscita a smaltire il trauma infantile. Dalla terminologia che usavano, il modo in cui ne parlavano e trattavano l'argomento sembrava stessero parlando di una malata a tutti gli effetti e quella malata ero io. Ripensai allora a come mi trattava la gente dopo la perdita di mamma e capii che tutti mi vedevano come un caso clinico: tutti quei 'Vilu, oggi come ti senti? Vuoi una mano?', la maestra che mi seguiva separatamente, gli amici di papà che mi venivano a trovare...per forza, per loro ero malata! Mi crollò il mondo addosso e cominciai realmente a sentirmi tale. La situazione che era leggermente migliorata, degenerò ulteriormente. Se avevo ricominciato a salire nelle macchine, ora piangevo e gridavo se volevano portarmici. Mi portarono da altri dottori e in diversi ospedali, ma nulla sembrava cambiare anche perché gli incubi erano aumentati dismisura...”. Poggio sopra il tavolino la coppetta ormai vuota e mi pulisco la bocca con una salvietta. “E come hai fatto ad uscirne?”. “Grazie alla musica e all'arte principalmente, contribuirono un sacco alla mia guarigione e beh, ovviamente anche farmaci e terapie intensive hanno fatto la loro parte. Cominciai a seguire band che mi aiutarono a superare la mia ossessione per la morte tipo i Mars o i My Chem ed il disegno diventò un modo per sfogare tutto ciò che sentivo perché a volte avevo l'impressione che il mio corpo non potesse reggere così tante emozioni, come adesso”. Gli sorrido. “Sicuramente appena arriverò a casa farò un disegno perché sono talmente felice di stare assieme a te che ho la necessità di riportarlo su un foglio, strano vero?”. “Non è strano, sei un'artista”. Mi rivolge un sorriso rassicurante e mi accarezza la mano. “C'è un'altra cosa che non sai su di me”. “Del tipo?”. Abbasso leggermente lo sguardo arrossendo. “Ricordi la sera in cui mi hai baciato in camera tua dopo la festa?”. “Certo, come dimenticarla”. “Ecco, beh...quello era il mio primo bacio”. Scuote il capo ridendo. “Non so se sentirmi onorato o una merda”. Corrugo la fronte. “Una merda? Perché?”. “Perché se sapevo che era il tuo primo bacio magari cercavo di dartelo meglio, non da ubriaca e in quel modo poco...mmm...gentile?”. “E' stato bello per questo”. “Non sono stato troppo...passionale?”. “Ma figurati, a me è piaciuto un sacco”. Sembra sollevato, mi intenerisce vederlo preoccupato per il mio primo bacio. “Suppongo, allora, di essere il tuo primo ragazzo”. Annuisco col capo. “Oh...come mai non ne hai avuti altri?”. Perché pigia sempre sui tasti dolenti? “Ehm...bella domanda, ecco un'altra cosa che non sai: non ho mai avuto ragazzi né mi sono interessati altri perché mi sei sempre piaciuto solo tu”. Assume un'espressione indecifrabile, sembra un misto fra stupito e contento. “Che c'è?”. “Niente, solo che mi chiedo come tu abbia fatto ad innamorarti di uno come me”. Sospiro. “Beh, ho cominciato a comprendere che provavo più di una semplice attrazione fisica da quando ti ho conosciuto. L'ho capito che non eri come gli altri fin da subito, penso sia dovuto anche a questo”. “Conoscevi la mia pessima reputazione, però”. Faccio le spallucce. “Poco m'importava, perché mai avrei dovuto ascoltare quello che dicevano gli altri se non l'ho mai fatto? Erano solo chiacchiere da corridoio e poi non ti conoscevo personalmente, se ti giudicavo era solo un espediente per convincermi che non mi piacessi quando in realtà non è servito a nulla. Andiamo?”. “Certo”. Ci alziamo dalle sedie ed imbocchiamo una stradina di ciottolato incorniciata da casette graziose e variopinte. “Non so come fai a trovare certi posti bellissimi”. “Te l'ho già detto, ho camminato a lungo senza meta”. “Potrei camminare anche per cent'anni, ma non troverei mai posti così”, dico ridendo. “Non credi ti sia già successo?”. “In che senso?”. Do un calcetto ad un sasso. “Abbiamo camminato a lungo senza meta e alla fine ci siamo trovati”. Lo guardo e sorrido come una ebete. “Ma come fai?”. “Come faccio a far cosa?”, domanda sorpreso. “A dire queste frasi bellissime, le leggi da qualche parte?”. “No, non mi piace leggere”. “Strano, perché sei bravo ad usare le parole e credo sia una delle cose che adoro di più nelle persone”. Scoppia a ridere. “Grazie mille, allora”. “Ma? Dove si arriva se continuiamo a percorrere questa strada?”. “Vedrai, vedrai...”. Ad un certo punto mi stoppa tenendomi per un braccio, mi volto e sorridendo dice: “Aspetta un secondo...”. Mi leva la sciarpa dal collo e la porta agli occhi legandomela sul retro della testa. “...così va meglio”. “Non vedo nulla!”. “Appenditi a me”. Mi appoggio al suo corpo e mi avvolge con un braccio la vita. Lentamente mi guida lungo la via e ad un certo punto sento sotto i piedi i ciottoli venir meno. Una folata di vento mi scompiglia i capelli, rabbrividisco e mi raggomitolo fra le sue braccia. “Posso vedere?”. “Non ancora, affidati agli altri sensi per capire dove sei”. “Non lasciarmi”. “Devo”. Si stacca bruscamente lasciandomi cieca ed insicura, cerco di camminare incespicando così mi fermo. Dovrei fare ciò che mi dice? Attivo tutti i sensi per capire dove ci troviamo ed in pochi secondi mi è tutto chiaro: il rumore dei gabbiani in lontananza, il profumo della salsedine che mi pizzica le narici, mi accuccio ed accarezzo il terreno constatando che è sabbia. Siamo al mare, il mare di Buenos Aires. Ritorno in piedi e mi tolgo la sciarpa dagli occhi cercando di formulare un discorso di senso compiuto invano. “Non hai mai visto il mare in inverno?”. Scuoto il capo. “Trovo sia più bello che d'estate, in questa stagione non ci viene quasi nessuno”. “Era da secoli che non ci venivo”. “Ti dirò, io ci vengo spesso”. Lo guardo piacevolmente sorpresa. “Perché?”. “Solitamente per pensare, mi aiuta a riflettere questo posto...vieni con me”. Mi porge la mano e l'afferro, mi conduce fino ad una dunetta sabbiosa poco distante e ci sediamo. “E' stupendo qui”. “Fra un po' arriva la parte migliore, ossia quando il sole tramonta. Infatti se devo venire qua preferisco farlo verso quest'ora”. Ruoto il capo e lo fisso mentre è intento a scrutare l'orizzonte con quegli occhi in grado di vedere dentro l'infinito. “Da adesso in poi niente bugie, solo sincerità fra di noi”, esordisce. Annuisco col capo e mi accoccolo contro di lui. “Promettimi che non mi abbandonerai, ti prego”. La stessa frase, ora so veramente chi sia. Mi deve una risposta. “Adesso, dimmi: come faccio ad abbandonarti se sei l'unica persona che continua a restare nonostante tutto? Che mi ama sebbene abbia un carattere orribile e sia uno stronzo a tratti insensibile? Solo un pazzo lo farebbe”. Alzo la testa dalla sua spalla e gli do un leggero bacio sulla guancia. “Questo posto d'ora in poi avrà un valore diverso”. “In che senso?”, chiedo. “Adesso ogni volta che ci tornerò da solo saprà di te”. Si volta guardandomi dritto negli occhi, posa una mano sul mio viso e mi bacia dolcemente. Non credo ci sia niente di più bello dell'amare e dell'essere amati, mi sento veramente fortunata ad essere corrisposta. Lacordaire diceva che l'amore perdona tutto, tranne una cosa: quella di non essere amato. Nel frattempo il sole ha cominciato ad avvicinarsi al mare per unirsi assieme in un tripudio di colori, immortalo questo istante nei miei ricordi sapendo che mi aiuterà ad addormentarmi quando sarà più difficile farlo ed a mantenermi a galla quando tutto sembrerà volermi affogare. Sarei disposta ad andare in capo al mondo ed a fare i più folli sacrifici purché sia felice, anche a vederlo fra le braccia di un'altra se questo è destino. Si può tenere così tanto ad una persona a soli sedici anni? Voglio solo il suo bene e che niente intacchi il suo sorriso perfetto, dopo tutto quello che ha passato merita veramente di essere felice. Lotterò per questo, farò il possibile. Sono sempre stata dell'idea che un 'amore' adolescenziale sia perlopiù una cotta passeggera e che non ci si possa innamorare seriamente di una persona così giovani, mi sono dovuta ricredere. Se un giorno in futuro le nostre strade si dovessero ipoteticamente dividere sono certa che continuerà ad occupare un posto in prima fila nel mio cuore e, anche se soffrirei come un cane bastonato in un primo momento, mi basterebbe sapere che sia felice per esserlo anch'io. Infondo amare è anche questo, no?

 

 

                                                                                                                                                  25 gennaio 2014

Caro diario,

sono insieme a Leon. Sì, hai capito bene: io, Violetta Castillo, sono la ragazza di Leon Vargas. Non mi sembra ancora vero! Sono tornata a casa alle sei di sera, mio padre era abbastanza preoccupato e l'ho rassicurato dicendo che abbiamo studiato tutto il pomeriggio in biblioteca. Sì, studiato. Oggi non ho aperto nemmeno lo zaino, ti assicuro che ho paura per domani. Per fortuna Leon mi ha rassicurato dicendo che domani mattina in bus mi svelerà tutti i trucchi per farla franca, dovrei fidarmi? Ho messaggiato un po' con Fran e le ho dato la notizia, inutile dire che non ha esitato a telefonarmi e a farsi raccontare tutto 'nei minimi minimissimi dettagli'. Ne ho approfittato per chiederle come procede con Marco e mi ha detto che va tutto bene, ma che non sono ancora pronti a fare quel passo in più nella loro relazione. Hanno paura di rovinare la loro amicizia. Credo sia normale che ci sia un po' di timore da entrambe le parti, è sempre complicato quando ci si trova in una situazione del genere. Con Leon è stato più facile perché realmente non siamo mai stati amici prima di metterci assieme, eravamo entrambi indirizzati verso quel tipo di rapporto. Infatti mentre ci stavamo dirigendo verso la gelateria all'angolo ha detto: “Non ho mai scritto ad una ragazza se non mi interessava” e le prime volte era sempre lui che attaccava bottone per messaggio anche utilizzando pretesti inutili. Mi ha scritto anche Nata ringraziandomi per la chiacchierata, abbiamo discusso del più e del meno e alla fine indovina di chi abbiamo parlato? Maxi, ovviamente. Quella ragazza è veramente persa, mi ricorda molto me qualche mese fa con la differenza che lei l'ha ammesso a sé stessa. Ora è meglio che dorma, sono le undici passate e domani devo svegliarmi presto come sai bene. Spero di riuscire a chiudere occhio stanotte, anche se credo sarà difficile con tutti i pensieri che intasano la mia mente.

A domani,

Violetta

 

 

Chiudo il diario e lo ripongo all'interno del cassetto, allungo la mano per spegnere la lampada e noto che la spia rossa che indica che mi sono arrivati dei messaggi continua a lampeggiare. Lo afferro e lo sblocco, è una registrazione da parte di Leon: “Allora, da dove comincio? Beh, avrei voluto scriverti un messaggio dal momento che so che odi le note vocali, ma sarebbe venuta una cosa troppo lunga e non avevo voglia di scrivere. Volevo solo dirti grazie per la meravigliosa giornata, sento come se mi fossi tolto un macigno dalla coscienza. Ovviamente ai momenti seri abbiamo alternato le cazzate, sennò non saremmo nemmeno noi! Ah, Moises ti saluta: sa di te più o meno dal principio. Ci tenevo a dirti di continuare ad esser forte come hai sempre fatto perché di persone che lottano veramente per migliorarsi ed inseguire i propri obiettivi ne conosco veramente poche e siete solo tu e mamma. Le persone che combattono per qualcosa in cui credono sono le persone più rispettabili per me. Sono sicuro al cento per cento che tu sia sveglia a quest'ora perché nonostante tu dia la buonanotte alle nove e mezza stai sempre alzata fino a tardi, poi lo vedo quell'online cosa credi? Dormi, scema, che domani c'è scuola e non dirmi per la milionesima volta che sei agitata perché non hai fatto i compiti sennò vengo lì e ti prendo a cuscinate. Che altro dire? Buonanotte e sogni d'oro, amore. Ci vediamo domani...ah, te lo ripeto: dormi invece di guardare serie tv in streaming nel cuore della notte!”. Ho la tentazione di ritagliare la parte in cui dice 'amore' ed impostarla come suoneria. E adesso chi dorme?

 

 

ANGOLO DELL'AUTRICE

Ciao ciccioni (?) come state? Io sono qua che conto i giorni, le ore, i secondi che mancano alla fine dello strazio chiamato scuola. Sembrerò esagerata ed ammetto che mi piace pure andarci, ma alla fine dell'anno QUALSIASI studente medio ne ha le scatole piene. Inoltre mancano solo SEDICI GIORNI al mio secondo concerto dei Mars e niente, c'ho l'ansia pre concerto accollata addosso. Chiunque sia andato a vedere il proprio idolo credo possa comprendere a fondo questo stato d'animo e la conseguente depressione post concerto. Sì, perché prima sei agitato come poche cose e quando la magia del live finisce ritorni alla solita vita grigia e monotona e rimpiangi di non esserti infiltrato abusivamente nel tourbus. Chiusa questa breve parentesi, che ve ne pare del capitolo? Finalmente avete scoperto il segreto di Leon e anche qualcosa in più su Violetta. Diciamocelo terra terra, hanno avuto una vita di merda. Finalmente i nostri zucconi si sono detti 'ti amo' *applaude* per quanto pensavate di farci dannare? Ditemi cosa ne pensate con una recensione! Ringrazio, ovviamente, chi recensisce puntualmente la storia e chi la mette fra le preferite e le seguite. Ci tengo a mandare un pensiero 'speciale' a quelle buone anime di ChibiRoby e Syontai che sopportano i miei scleri su Twitter ahahah:'D

Stay tuned (mi piace troppo dirlo),

Gre

Ritorna all'indice


Capitolo 15
*** Capitolo 15 ***


                                                                      CAPITOLO 15

 

 

 

Ho odiato il periodo della mia vita in cui le gente mi squadrava dall'alto al basso per poi bisbigliare nell'orecchio di un altro, molto meglio essere invisibile come negli ultimi anni. Non mi è mai piaciuto essere al centro dell'attenzione, è una circostanza che mi mette a disagio in una maniera assurda. Ultimamente, però, qualsiasi cosa io faccia tutti mi osservano: quando salgo in bus, quando passo per i corridoi, quando sono alle prese con tutto. Continuo a fingere che la cosa non mi tocchi, però più passano i giorni e più provo fastidio. Come faccio ad avere ancora un buon udito? Mi sto sparando 'The ballad of Mona Lisa' dei Panic! At The Disco al massimo e non è che le altre canzoni le ascolti ad un volume più basso di questo. Ormai non mi soffermo più su ciò che vedo al di fuori del finestrino perché si può dire tutto di questo tragitto, tranne che sia bello. E' grigio, monotono e ripetitivo: case, pensilina, negozio, case, pensilina, negozio. Improvvisamente il bus arresta di colpo, ma questi autisti ci sono o ci fanno? Eccolo. Bisogna ammettere che in quanto ad espressività del viso, Leon non lo batte nessuno. Non riesco a non farmi sfuggire un flebile sorriso per la sua espressione scocciata alla vista dell'autobus, sbuffa e si dirige verso le scalette. Cammina affiancato ad un ragazzo di quarta che ho visto diverse volte chiacchierare con lui e, manco a dirlo, si passa una mano sul ciuffo accuratamente pettinato. Ho trovato il primo difetto del mio ragazzo: ha una fissazione maniacale per i propri capelli. Una donna non esce di casa truccata? Bene, lui non si azzarda a metter piede fuori se non ha l'acconciatura apposto e curata nei minimi dettagli. Se avessi la possibilità, lo iscriverei al programma 'Io e la mia ossessione'. Che poi non ci sono solo i capelli, c'è pure il cibo. Diciamo che se una cosa gli piace molto, si fissa un sacco su di essa. Appena salito nell'autobus si guarda attorno e, non appena mi vede, mi fa un gesto di saluto con la mano sorridendomi. Non riesco ancora a capacitarmi del fatto che ora stiamo assieme, fino a qualche mese fa la mattina lo osservavo sempre da lontano in tutta la sua bellezza e mi rimpicciolivo sul sedile per non farmi notare. In sua presenza provavo vergogna, strano no? Mi sta raggiungendo e...no, un attimo: un gruppetto di ragazze acconciate come se dovessero andare chissà dove stanno fissando fin troppo intensamente il mio ragazzo, statevene lì buone se ci tenete alla vostra dentatura. “Buongiorno bimba”. Mi levo un auricolare per ascoltarlo meglio. “Buongiorno”. Si siede accanto a me, posa lo zaino ai suoi piedi e si volta in mia direzione. “Come va?”, mi domanda. “Bene dai, te?”. “Non c'è male”. “Wow, stamattina ti trovo particolarmente positivo e raggiante”. Scuotendo il capo dice: “Sono un deficiente”. “Che hai combinato?”. “Niente, è solo che ti dico di non fare le cose che poi io stesso sono il primo a fare”. Aggrotto la fronte. “Non capisco”. “Ieri sera ti avevo detto di andare a dormire e di non stare sveglia fino a tardi, quando invece io l'ho fatto. Il risultato? Sono rincoglionito come poche cose”. Fingendomi preoccupata gli accarezzo il braccio. “Oh, se ti consola sappi che sei rincoglionito ogni giorno ventiquattrore su ventiquattro”. Rotea gli occhi. “Sei simpatica come un calcio nelle palle”. “E tu dolce come l'acido muriatico”. Distoglie lo sguardo da me e si mette a guardare da tutt'altra parte ignorandomi, ecco a voi Mister Permalosità in persona. E' più mestruato di una donna, lasciatemelo dire! “Dai, su”. Alza il mento come per conferire superiorità. “Sai che scherzavo, Leon”. Gli faccio un grattino dietro l'orecchio, so che gli piace. L'ho scoperto qualche giorno fa, ma non vuole che si sappia in giro. Non si gira nemmeno con questo, allora è veramente arrabbiato. Senza volerlo, scoppio a ridere. “Ah, ridi pure? Brava”. “Sei carinissimo quando ti arrabbi”. “Allora in questo momento devo essere un figo da paura perché già avevo le scatole girate, in più tu con il tuo fare da simpaticona le hai fatte girare ulteriormente”. “Come se non fossi già un figo da paura”. La sua espressione da irritata diventa compiaciuta, ma quanto gli piace sentirsi dire che è bello? “Grazie per aver espresso l'opinione di tutto il genere femminile”. Gli do una leggera pacca sul braccio. “Certo che tu hai un modo di comunicare tutto tuo, eh? Invece dare carezze, rifili sberle a tutto spiano. Piuttosto di ammettere che vuoi bene ad una persona, la mandi a quel paese. Sei strana, lo sai?”. Okay, sono alquanto imbarazzata. Sono peggio di uno scaricatore di porto e se n'è reso conto pure il mio ragazzo, aspetto solo che mi cresca un pene fra le gambe a questo punto. “Ma in fondo è per questo che mi piaci, continua ad essere così cazzuta che farai strada nella vita”. Mi dà un buffetto sulla guancia sorridendo, dopodiché estrae il cellulare dalla tasca. “Che fai?”. Senza distogliere lo sguardo dallo schermo risponde: “Sto mandando un messaggio criptato alla NASA per metterli al corrente del fatto che ho trovato un clan di pony dietro casa mia, in modo che avvertano gli alieni di Arcobalenolandia di tornare sulla Terra a riprendersi i loro animali domestici che si erano dimenticati durante l'ultima loro visita nel nostro pianeta...secondo te? Gioco ad Angry Birds”. Sto per rimettermi la cuffietta, quando tutto ad un tratto mi blocca. “Aspetta! Devo chiederti una cosa”. “Beh, dev'essere di vitale importanza dal momento che hai interrotto persino la partita ad Angry Birds”. “Eh, direi. Per caso hai qua il mio braccialetto?”. Oh cavolo, il braccialetto! Ieri sera mi ero resa conto di averlo ancora indosso e togliendomelo mi ero promessa di ridarglielo l'indomani, peccato che stamattina me ne sia totalmente scordata. “E' molto importante?”. Ricordo che sulla spiaggia l'ho indossato perché morivo dalla voglia di provarlo, mi piaceva troppo. “Abbastanza”. “Perché?”, sbotto rapidamente. “E' un regalo...”. “Di chi?”. Pone una mano fra me e lui. “Calmati, se mi avessi fatto finire la frase te l'avrei detto”. Nemmeno nelle peggiori telenovelas sono così gelosi e mi rendo conto di essermi veramente fatta la figura della fissata. Pensandoci bene, però, sono la sua ragazza ed ho il diritto di sapere qualsiasi cosa lo riguardi. “Oh, scusa. Continua”. “Me l'ha regalato Moises per il mio compleanno ed è uno degli oggetti a cui tengo di più”. Ora i conti tornano. “Ah, capisco perché eri così riluttante a darmelo. Comunque è molto bello, veramente. Mi piace molto il ciondolo con le chiavi di violino e basso fuse assieme!”. “Beh, bisogna ammettere che è un'idea molto originale perché solitamente si punta a qualcosa di più classico tipo una semplice nota o alle due chiavi separate. Ha scelto quel ciondolo perché sa che il mio strumento preferito è il pianoforte ed è risaputo che la caratteristica per eccellenza del piano è che va suonato leggendo due pentagrammi con chiavi diverse, appunto quella di violino e di basso. C'è un altro motivo, poi, per cui adoro questo bracciale: ci puoi aggiungere tutti i ciondoli che vuoi e desideravo tanto appenderne altri con cose che mi rappresentino, ma volevo lasciarlo intatto come mi era stato donato. Solo che l'ultima volta che l'ho incontrato ha espresso lui stesso il desiderio che aggiunga altri ciondoli, ma non so proprio cosa metterci. Tu cosa mi consigli?”. Ci rifletto un po', poi l'illuminazione. “Potresti appendere una Triade oppure un Orbis Epsilon, anche una Mythra* sarebbe forte”. “Lo sai che hai ragione? Sono tutte belle idee, ma credo sceglierò la Triad”. Gli punto un dito contro. “Anche tu hai conosciuto i Mars con 'This is war'?”. “Sì, è per questo che sono più legato a quel simbolo”. “Certo che io e te per alcuni aspetti ci assomigliamo un sacco, per altri siamo totalmente diversi”. Mi sorride. “E' un buon equilibrio, no? Va bene essere diversi, ma se lo si è troppo non si va d'accordo. Va bene anche essere simili, ma se ci si assomiglia troppo sai che noia?”. Gli do una leggera spinta sulla spalla. “Vedi come sei? Questo gesto tradotto a tutti i comuni mortali significa: ti voglio bene, ma sono troppo orgogliosa per dirtelo per cui ti spingo nella speranza che tu riesca a capirlo da solo”. “In verità volevo solo spingerti e basta”. Assume un'espressione poco convinta. “Balle, credo di aver sviluppato una particolare abilità ultimamente che mi permette di capire a cosa stai pensando dandoti solo una rapida occhiata. Sono diventato una specie di 'Violetta translator'”. Corrugo la fronte. “Adesso stai pensando: 'Che cazzo sta dicendo'?”. “Questa era facile”. Mi sforzo di pensare a qualcosa, ma momentaneamente non mi viene in mente nulla. “Sei frustrata perché non riesci a pensare a qualcosa che mi metta in difficoltà”. Lo fulmino con lo sguardo. “Anche questa era facile...”. Improvvisamente, non so nemmeno da che pulpito, mi balena in testa l'immagine di Leon in mutande. Vorrei essere lui per vedere la mia faccia, credo di avere un sorriso compiaciuto. “Questa roba che è?”. “Vedi che non ci riesci?”. “No, aspetta: ce la posso fare”. Rido perché è davvero buffo, si concentra veramente per questa stupidata! “Stai pensando...a qualcosa che ti diverte”. “In un certo senso sì”. “E ti piace”. “Fuochino”. Mi scruta attentamente con gli occhi ridotti a due fessure dal viso alla postura, dall'espressione alle mie gesta. “E ti...oh, aspetta! Hai la stessa espressione della faccina pervertita di WhatsApp, stai pensando di sicuro a qualcosa di sconcio o giù di lì”. Arrossisco tutto su un colpo, ma come cavolo ha fatto a capirlo? “Ah, la mia porcellina fa progressi. Ora non mi scappi, a chi pensavi?”. “Mmm...Jared Leto?”. “Tu menti”. “Johnny Depp”. “Menzogne”. “Uhm...Brendon Urie”. Si scrocchia le dita con disinvoltura e con un sorrisetto irritante stampato in faccia dice: “'D'ora in poi niente più bugie nel nostro rapporto', ti dice niente?”. Sbuffo rumorosamente. “E va bene! Pensavo a te, contento?”. Sospira beatamente. “Oh sì, sapevo che stavi pensando a me”. “Ma cosa...”. “Senti, bimba: non so se ti sei resa conto che mi stavi praticamente fissando con un'espressione del tipo 'Sbrigati a saltarmi addosso, sennò lo faccio io'”. Oddio, adesso faccio le cose e nemmeno me ne rendo conto. Dov'è finita la Violetta pudica di qualche mese fa? Certo, stare insieme a Leon Vargas non aiuta a ritornare sui vecchi passi. “Più o meno come ti guardo io quando ti vesti in modo che siano mostrati...ehm, come dire...i doni che Madre Natura ti ha fatto”. Non so perché, ma saperlo attratto da me mi rende euforica. 'Per forza, è tuo moroso genio!', dice una vocina nella mia testa. Vedi di andartene, antipatica! “Hey, scusami se sono sembrato troppo...”. “No, tranquillo mi fa piacere”. Abbassa lo sguardo, poi lo rialza. “Domani ricordati del braccialetto, per favore”. “Certamente”. Il bus, che in un primo momento andava ad un'andatura sostenuta, frena di colpo. Questi autisti prendono la patente nel Bronx? Raccogliamo le nostre cose e scendiamo alla fermata per poi dirigerci verso scuola, Leon mi prende la mano ed inizia a darmi tutte le dritte necessarie per scamparla quando non si studia o non si fanno i compiti. Nonostante stia camminando a fianco a fianco col ragazzo che amo e tenti di seguire il discorso per filo e per segno, l'unica cosa che riesco ad avvertire più di tutte sono mille sguardi taglienti come lame che mi stanno lacerando senza pietà la schiena.

 

 

“Andrà tutto bene, vedrai. Sei con me, tranquillizzati”, dico a Nata mentre stiamo andando in cortile. Quando uno è agitato, è agitato e basta. Sono più che conscia del fatto che questa frase è servita a poco niente perché quando l'ansia inizia a divorarti non c'è nulla che ti possa riportare in uno stato di quiete, a volte nemmeno i farmaci appositi. Chi meglio di me lo sa? Ho smaltito il trauma infantile, ma gli attacchi d'ansia, a volte pure di panico, ogni tanto si ripresentano ancora anche se meno frequentemente. Appena sento i miei classici sintomi, ossia nausea, vertigini e tachicardia, provvedo subito prendendo una compressa di Xanax o, nei casi peggiori, un paio di gocce di Valium. In molti mi chiedono perché abbia sempre una confezione di Xanax nello zaino o in borsa, io sono convinta che prima di uscire di casa bisogna pensare a tutto e, anche se questi attacchi ora come ora sono rari, non si sa mai nella vita cosa potrebbe accadere. “O-okay”. Utilizza un tono sommesso, si vede che è nervosa. “Ciao ragazzi!”. Forse ho usato troppo entusiasmo nel dirlo, non è da me. Infatti mi trovo di fronte ad una Francesca sorpresa, un Marco accigliato, una Camilla confusa e Maxi, beh lui non mi sta nemmeno considerando. Quest'ultimo alza il capo ed è il primo a rompere il ghiaccio. “Ragazze, qual buon vento”. Gli unici a loro agio sembrano Maxi e Camilla, entrambi non hanno mai subito gli effetti della discrepanza che c'era fra gruppi. “Ho parlato un po' con Nata e ci tenevamo a sapere se poteva venire anche lei sabato sera...”. Silenzio imbarazzante, brutta mossa: avrei dovuto prima inserirla in una conversazione. “Questo dovete chiederlo al festeggiato”, dice Fran. Tutti ci voltiamo verso Maxi come in attesa di un verdetto, dalla sua espressione capisco che è alquanto in soggezione. “Per me è okay, bisogna vedere cosa dice Marco perché dormiremo tutti nella sua mansarda”. Ora l'attenzione è tutta puntata verso di lui, sembra il più diffidente nell'accogliere Nata. Infondo, però, è comprensibile perché fino a ieri girava con Ludmilla, anche se avevamo notato un po' tutti nella compagnia il loro progressivo distacco. “Si può fare, tanto una persona in più non fa la differenza”. Cala di nuovo il silenzio, è un po' strana e del tutto nuova questa situazione. Nata non si azzarda ad aprire la bocca nemmeno per scherzo sebbene si stia parlando di lei, per cui cerco di tirare fuori un argomento per coinvolgerla. “Ma, Nata! Il tuo outfit è favoloso e il cappotto ti sta d'incanto, vero ragazzi?”. Neanche si vede che è una conversazione forzata, non parlo mai di vestiti. Odio fare shopping. “E' veramente bellissimo, Nata. E' pelliccia vera?”. Cami si avvicina ed inizia a toccarle il cappuccio. “No, è sintetica. Se avessi saputo che è di qualche animale, non l'avrei mai presa”. Sbaglio o Maxi se la sta mangiando con gli occhi? Perché non parla? Dice tanto di essere uno stallone etero e nemmeno di mette in gioco! Okay, forse starò esagerando ma credo che shippare sia una delle cose che mi riesce meglio in assoluto. Film, serie tv, libri, vita reale: trovo coppie da shippare perfino negli spot pubblicitari. Anche se è da pazzi, bisogna ammettere che grazie alla mia perseveranza sono nate pseudo coppie come Marco e Francesca, non stanno ancora insieme ma è pur sempre qualcosa. Il mio prossimo obiettivo sono Nata e Maxi. “Anche Maxi ama gli animali! Fa volontariato in una clinica veterinaria due volte a settimana”. La mia migliore amica mi sta guardando con un espressione del tipo 'Che gioco stai conducendo?', senza farmi vedere dagli altri le mimo il gesto che glielo dirò più tardi. “Vero, ho anche tre cani, due gatti, una tartaruga e due cocorite”. “Uno zoo in pratica”, sbotta Marco facendoci ridere. “Mi spiace dirlo, ma il peggior animale che possiedono i signori Ponte penso sia Maxi”. Inutile dire che scoppiamo tutti in una fragorosa risata, riesco a scorgere pure Nata fare lo stesso. “Ah ah, molto divertente Camilla. Ora capisco perché sei ancora single”. “Fossi in te non parlerei dal momento che sei single pure tu e da un pezzo ormai”. “Uh, questo è un colpo basso”, dice Marco. Quante frecciatine stanno volando nell'aria? Maxi e Camilla sembrano pure prendersela. “Dai, ragazzi. Per così poco, non sarà mica la fine del mondo non essere impegnati”. Cami si volta verso di me. “Facile per te parlare, te la fai con Vargas!”. Vedo Fran rivolgermi un sorrisone, solo lei è al corrente di ieri pomeriggio. Ovviamente ho tralasciato la parte dei nostri passati, le ho detto semplicemente che ci siamo raccontati le nostre vite e che entrambe non sono state facili. Poi la parte in cui ci siamo detti 'Ti amo' e ci siamo messi insieme non potevo non raccontargliela, vi dico solo che per telefono i suoi gridolini acuti di gioia mi hanno quasi perforato un timpano. “C'è qualcosa che dobbiamo sapere?”, chiede dubbiosa Camilla. “No, no...”. “Francesca, tu sai qualcosa di sicuro: sputa il rospo”. Marco cerca di intenerirla con uno dei suoi sguardi dolci, ma lei per tutta risposta finge di cucirsi la bocca. Non domandatevi, poi, perché l'adoro. “Dai, Vilu. Dicci cosa è successo con Leon, ho bisogno di saperlo”. “Maxi, ma cosa dici?”, dico ridendo. “Sul serio, voglio sentire un po' di pettegolezzi. E' da un periodo che qua a scuola siamo a secco e gli unici di cui parlare siete te e Leon”. Aggrotto la fronte. Okay, questa non me l'aspettavo. Ecco perché tutti mi fissano ultimamente, ora si spiega la cosa. “Capisco perché il padre di Violetta crede che tu sia dell'altra sponda”. E' un po' cattivella, ma non posso non ridere. Certo che Francesca ha un bel peperino, merito della vicinanza di Marco? “Oh, ma di recente va di moda prendermi per il culo? Non so...”. Marco lo abbraccia. “Sai che scherziamo, sei e rimarrai sempre il mio gay preferito”. Lancio un'occhiata rapida a Nata per poi sussurrarle: “Guarda che scherziamo su Maxi, non farti problemi. A lui piacciono le ragazze”. Annuisce col capo, mi sembrava un po' sconvolta da questi discorsi. Sono pane quotidiano per la nostra compagnia, invece. “Tra una cosa e l'altra però non ci hai detto di te e Leon!”, mi dice poi in modo che la sentano. Giuda Iscariota, come hai potuto? Io mi fidavo di te. “Appunto, a te la scelta: ce lo dici tu o faremo il solletico a Fran finché non confesserà”. Cami ha già la mano pronta accanto alla pancia della mia migliore amica, la quale continua ad implorarmi a mani giunte. “E va bene, io e Leon stiamo insieme”. Se ne stanno zitti per un paio di secondi come se dovessero metabolizzare la notizia, poi si mettono a gridare manco avessero vinto i Mondiali. “Per favore, smettetela: mi state mettendo in imbarazzo”. Marco mi dà una pacca amichevole sulla spalla. “E' a questo che servono gli amici”. “Ci stanno guardando tutti, vi prego...”. Non capisco una ceppa di ciò che stanno dicendo perché stanno parlando tutti insieme e ad alta voce, l'unica cosa che riesco a distinguere è un 'Congratulazioni'. “Ma congratulazioni di cosa? Mica ci stiamo sposando”. “Da questo al matrimonio il passo è breve, per non parlare poi dei figlioletti”, sentenzia Maxi. “Ma cosa...”. Sia benedetta la campanella, per la prima volta nella mia vita ringrazio che sia suonata. Ci dirigiamo verso la porta d'entrata e, nella confusione, affianco Fran. “Non ho detto nulla, quanto sono stata brava da uno a dieci?”. “Debole”, le sibilo contro. Ovviamente sa che non sono seria. “Sai che il solletico è il mio punto debole più grande”, piagnucola. “Per questa volta ti perdono, la prossima non so. Oggi pomeriggio hai da fare?”. Scrolla le spalle. “Compiti e studio, te?”. “Idem. Che ne dici se ci troviamo a farli da me? Mi mancano i nostri pomeriggi assieme”. Quanto posso amare i suoi sorrisi? E' sempre così spontanea e genuina. “Tesoro, pure a me. Comunque sì, ci sto! Così possiamo parlare meglio di te e Leon e di me e Marco senza sentirci costantemente ascoltate”. “Vedo che capisci al volo. Portiamo matematica e un paio di materie di studio, okay?”. Annuisce. “Porto anche la maschera esfoliante alle alghe e il beauty case”. La guardo poco convinta. “Fran...”. “Eh, dai! Infondo ti piaceva quando facevamo i pomeriggi di bellezza”. “Li odiavo”. “Sei così amorfa, iniettati un po' di vita nelle vene!”. “Non voglio essere bella per nessuno, con quella cacca di folletto in faccia poi!”. Fa il labbruccio. “Dopo il trattamento saremo ragazze nuove, su! E' bello viziarsi ogni tanto e fare qualcosa per sé stessi”. Sospiro profondamente, detesto questo suo genere di iniziative. Per fortuna che l'abbiamo fatto solo tre volte! Se avessi dovuto sorbirmi ogni pomeriggio od ogni sera passata con lei in questo modo, vi giuro che spararsi in tempia sarebbe un'alternativa migliore. “Okay...”. Non fa neanche in tempo a gioire che la interrompo dicendo: “...ma: prima il dovere e dopo il piacere. Ossia prima si fanno i compiti e dopo possiamo metterci addosso tutta la merda di folletto che vuoi!”. Siamo quasi arrivate in classe e, prima di entrarvici, mi stritola. Ci compensiamo, lei ogni tanto ha questi slanci d'affetto che io non riesco proprio a concepire. Ho cominciato ad abbracciarla dall'inizio di quest'anno scolastico, in prima non mi azzardavo nemmeno a sfiorarla. Il contatto fisico lo concedo a pochi e se lo faccio significa che veramente mi fido o quella persona conta per me, infatti mi lascio toccare solo la famiglia, Fran e Leon. Anche se sembro burbera, lunatica, sprezzante, delle volte un abbraccio di queste persone importanti è tutto ciò che mi serve per andare avanti.

 

 

“Oh, ma quindi le piace Maxi! Che cosa tenera”, dice continuando a mettermi uno smalto color prugna ai piedi. “A quanto pare sì”. “Ha fatto bene a lasciare sola Ludmilla, è ciò che si merita”. “Lo penso anch'io”. Una persona qualsiasi non sopporterebbe le mie risposte brevi, a volte a monosillabi, ma lei è Francesca e mi regge come nessuna. Sa che dietro ad ogni parola, ogni gesto c'è molto di più, ma che lo lascio nascosto. L'unico che capisce al volo di cosa si tratta è Leon. “Con Marco, invece?”. Sospira. “Ah, oggi mi ha detto qualcosa in proposito al fatto che ha paura di rovinare la nostra amicizia...non so più cosa pensare, inizio a credere veramente che non ci sia un futuro fra noi e che non provi nulla per me”. Sgrano gli occhi. “Non dirlo neanche per scherzo, Fran! E' cottissimo di te e si vede lontano un miglio, Leon mi ha dato conferma più volte: mi ha detto che durante le ultime prove ha preso in mano il cellulare e, sbirciando, ha visto che ha messo una tua foto come blocca schermo. Più abbrustolito di così c'è solo il bacon”. Scoppia a ridere, poi improvvisamente ritorna seria. “Non dovrei muovere un muscolo facciale con la maschera alle alghe, pure te! Oh...finito, guarda che belle unghie hai adesso”. Le guardo, effettivamente sono venute bene. “Grazie mille”. Mi punta il dito contro con fare minaccioso. “Hey, trattieni il tuo sorriso per dopo quando vedrai il risultato”. Sbuffo. “Va bene, va bene. Ogni tanto dimentico che un folletto mi ha cagato in faccia”. “Vilu! Ancora con questa storia? Non essere così volgare!”. Tutto ad un tratto suona il campanello, guardo l'ora: sono quasi le cinque del pomeriggio. “Chi potrà mai essere?”, chiede confusa. “Sarà mio padre di sicuro, ogni tanto esce da lavoro prima”. Mi alzo dal tappetto del soggiorno con un po' di difficoltà e mi metto a camminare sui talloni per non far sbavare lo smalto. “Attenta che ti sta per cadere l'asciugamano!”. Mi poggio un secondo addosso al muro per sistemarmelo, ho dimenticato di dire che ho anche un turbante in testa. Un altro suono, è impaziente. Perché in questa casa hanno il vizio di dimenticarsi spesso le chiavi? Senza guardare attraverso la fessura sul legno della porta per vedere chi è, la apro con sicurezza pensando di trovarmi davanti papà. Niente di più sbagliato. “Amore, sei tu?”. Porca miseria. “Ehm sì, sono io...”. Aggrotta la fronte. “Ma cosa ti sei fatta...”. “Ciao Leon!”, dice Fran da dietro di me. “Ehm, ciao...perché vi siete fatte cagare in faccia da un elfo?”. “Vedi? Lo dice anche lui”. “Tu dicevi folletto, per l'esattezza”, puntualizza. “Per favore, Fran, puoi andare in cucina a tirare fuori qualcosa da bere?”. “Ma io non ho sete...oh, vado subito!”. Se ne va rapidamente verso la cucina lasciandoci soli. “E' stata una sua idea”, mi giustifico. “Non avevo dubbi, non sei tagliata per questo genere di cose”. “Mi conosci troppo bene. Perché sei passato?”. Domando indicando il casco che tiene in mano. “Beh, ho finito prima le prove e siccome stasera Moises mi ha chiesto se vado da lui, non voglio farlo senza braccialetto”. “Giusto”. “E poi è pur sempre una scusa in più per vederti”. Mi rivolge un sorriso malizioso e nel suo viso si forma un'espressione sexy. Peccato che ogni volta che passi per casa mia senza preavviso mi trovi sempre conciata come una cinquantenne in menopausa. “Non ha lo stesso effetto con me conciata in questo modo”. “Beh, effettivamente...”. Gli do una pacca sul braccio. “Hey!”. “Questo tradotto significa: 'Devi dirmi che sono figa anche con uno scoiattolo rabbioso in faccia'”. “Smettila di tradurre ogni cosa che faccio”. “E' che ogni pacca che dai è diversa, così come l'interpretazione”. “Pff, pensi di stare fuori o di entrare? Dai, entra”. Gli faccio cenno con la mano e fa il suo ingresso, dopodiché chiudo la porta alle nostre spalle. “Dove...”. “Sopra il tavolino in vetro”. Poggia il casco e il giubbotto in pelle dove indicato, devo ammettere che pure io sto diventando brava nel capirlo. “Il bracciale ce l'ho di sopra sul comodino, se mi aspetti qui...”. “No, vengo con te”. Alza un angolo della bocca, Dio solo sa il disagio che sto provando. Lui sexy da mozzare il fiato, io con il turbante e la merda di folletto in faccia. “Fran, guarda che vado un secondo su in camera con Leon perché devo restituirgli una cosa”. Spunta subito dall'arcata, qualcosa mi dice che ha origliato finora. “Okay, andateci piano però”. La fulmino con lo sguardo anche se da sotto la maschera alle alghe si nota gran poco, Leon dal suo canto ride. “Non ti posso promettere niente, Francesca”. Che deficiente. Saliamo le scale e, percorso il corridoio, raggiungiamo la mia stanza. Senza pensarci due volte si siede a peso morto nel letto mentre io apro il cassetto del comodino alla ricerca del bracciale. “Oh, pensavo fosse qua...ah, giusto: la scrivania”. “Saresti più credibile senza quello sperma di alieno in faccia”. “Ah, adesso è cambiato: da cacca a sperma”. Mi dirigo verso la scrivania. “Prima c'era la tua amica, non mi sembrava il caso”. “Con me non ti fai molti scrupoli, vedo”. “Per niente”, mi rivolge un sorriso beffardo. “Per favore Shrek, togliti quella roba dal viso”. Sbuffo in preda all'esasperazione. “Okay, mi levo la maschera! Va bene? Tieni il tuo bracciale”. Glielo lancio e prontamente lo prende al volo. Vado fino al bagnetto, apro il lavandino e mi sciacquo il viso con acqua e sapone per poi prendere l'asciugamano che ho in testa ed utilizzarlo per asciugarmi il volto. “Per quanto ti puoi trattenere ancora qua?”, gli urlo anche se la porta che divide il bagno e la camera è praticamente spalancata. “Leon?”. Mi volto in sua direzione e lo vedo intento a leggere qualcosa, un libricino blu notte. Cazzo, il mio diario! “Leon!”, ringhio. A falcate lo raggiungo e glielo strappo di mano. “Quante volte ti ho detto di non leggere il mio diario?”. “In verità solo una e più di una settimana fa, non so se vale”. “E' ovvio che vale, ma come ti è saltato in testa?”. “Avevi lasciato il cassetto aperto e dentro c'era il diario in bella mostra, chiunque avrebbe sbirciato”. Sospiro cercando di mantenere la calma. “Che hai letto?”. “Non ho fatto in tempo a legger nulla”. “Che. Cosa. Hai. Letto”. “Vuoi veramente saperlo? Avvicinati...”. Porto il mio orecchio accanto alle sue labbra e mi sussurra con voce roca: “Non credevo di essere così tanto al centro dei tuoi pensieri”. Mi giro per guardarlo negli occhi e mi ritrovo a pochi millimetri dal suo volto. “Dovevi immaginarlo”. “Ho dato una sfogliata veloce, mi pensavi parecchio anche quando mi detestavi”. Arrossisco e guardo in basso, con la mano mi prende il mento ed annulla le distanze. Dapprima è un bacio normale, ma si fa subito passionale. Senza volerlo, faccio una leggera pressione sul suo petto con la mano facendolo stendere. Ora sono a cavalcioni sopra di lui e continuiamo a baciarci famelicamente, mi sento una cretina a pensare a come sarebbe baciarlo con la maschera in faccia. Inizio a sbottonargli la camicia, non so cosa mi stia prendendo. Si stacca lentamente e toglie la mia mano dal suo petto. “No, Vilu”. “Lo so, scusa”. Mi levo dal suo corpo e mi stendo al suo fianco. “Non ti piaccio abbastanza per farlo?”, piagnucolo. “Lo sai che non è per questo, non dire cazzate”. Si mette seduto dopodiché mi dà un leggero bacio a stampo. “Sarebbe troppo presto e comunque avresti veramente voluto farlo con Francesca al piano di sotto?”. Oh, Francesca. Come ho fatto a non pensarci? Mi metto a sedere. “Oh, hai ragione”. Mi sposta una ciocca da davanti il viso per portarmela dietro l'orecchio e mi sorride dolcemente. “Devo andare, amore. Ci vediamo domani e ricordati che devi venire a casa mia”. Si alza in piedi e si riabbottona la camicia, mi tiro su anch'io e lo abbraccio. “C'era bisogno di dirmelo?”. Gli do un breve bacio dolce per poi accompagnarlo giù per le scale fino alla porta d'uscita. Fran ci osserva come si guarda la propria OTP in un momento di estrema tenerezza. Appena uscito, la delusione dovuta a poco fa se ne va per lasciar spazio all'idea che domani lo rivedrò a casa sua e che saremo da soli. Vorrei tanto cambiasse idea.

 

 

*N.d.R.: la Triad, l'Orbis Epsilon e la Mythra sono dei simboli della band Thirty Seconds to Mars, hanno una vasta simbologia e questi tre sono in assoluto i miei preferiti!:3

 

 

ANGOLO DELL'AUTRICE

Heilà, ragazzi! Mi scuso in anticipo per il grande, grandissimo ritardo. In pochi di voi sanno che martedì sera ho perso l'intero capitolo e che mi è toccato riscriverlo tutto da capo, all'inizio non l'ho presa molto bene *nasconde gli oggetti rotti* poi però sono andata avanti con l'idea che l'avrei riscritto in modo migliore perché la storia ce l'avevo già presente. Che ve ne pare? Datemi un parere lasciando una recensione. Violetta e Leon ora vivono il loro amore alla luce del sole, anche se a Vilu non piace essere al centro dell'attenzione di tutti. Sarà d'intralcio per la loro storia? Finalmente Nata si sta inserendo un po' nella compagnia, chissà cosa succederà nella festa di sabato...chissà, chissà *fischietta* Violetta non vede l'ora di fare l'amore con Leon e l'indomani devono trovarsi a casa di lui, cederà al desiderio della fidanzata oppure si mostrerà ancora fermo nel suo volere? Diego e Ludmilla sembrano momentaneamente fuori dalla scena, staranno combinando qualcosa? Beh, se volete saperlo non vi resta che continuare a seguire la mia fanfiction! Ringrazio chi recensisce la storia, chi la mette fra i preferiti e chi fra le seguite. Ah, COMUNICAZIONE IMPORTANTE: dal 18 al 22 giugno sarò a Torino dai miei parenti per il concerto, per cui in quei giorni mi sarà impossibile scrivere. Credevo fosse giusto farvelo sapere, un bacio e alla prossima!

Gre

Ritorna all'indice


Capitolo 16
*** Capitolo 16 ***


                                                                      CAPITOLO 16

 

 

 

Inserisco quaranta centesimi nella macchinetta e seleziono 'cappuccino', questa mattina sono proprio stanca. Infatti appena scesa dal bus ho fatto il tragitto con Leon, dopodiché appena entrati a scuola lui si è fermato a parlare con alcuni ragazzi che suppongo fossero in classe sua due anni fa. Invece io mi sono diretta all'armadietto, mi sono tolta la giacca e lo zaino e sono corsa fino a qua. Ho bisogno di caffeina. Picchietto le unghie contro il metallo nell'attesa che il mio cappuccio sia pronto quasi impaziente. “Non ti è bastato rubarmi il ragazzo, ora vuoi pure rubarmi la mia migliore amica”. Una voce fin troppo familiare, una voce che a meno dieci le otto proprio non voglio sentire. “Che vuoi?”. Più che scocciato, il mio tono sembra annoiato come se parlare con Ludmilla mi facesse prender sonno anziché paura. “Mi hai rubato il ragazzo, ora stai mettendo le tue sudice mani su Nata. Che vuoi, ancora? Vuoi rubarmi la reputazione? Lo stile?”. Aggrotto la fronte. “Qui nessuno ti sta copiando, saresti l'ultima persona da prendere come esempio”. Mi sorprendo di me stessa, poco tempo fa non avrei mai avuto il coraggio di risponderle così. Anche lei se n'è resa conto. “Eppure continui a prenderti ciò che è mio”. Le rido in faccia. “Leon? Nata? Le persone non sono una proprietà e se si sono allontanate da te ci sarà un motivo”. Rizza le braccia lungo il corpo e si mette a sbattere i piedi a terra emettendo gridolini striduli, ma quant'è infantile! Questa è la vera tarantola? Ho temuto davvero una tipa così capricciosa e stupida? “Non avevano alcun motivo di allontanarsi da me! Sono una stella, una supernova, loro avrebbero brillato grazie alla mia luce. Avrei dato loro tutto ciò a cui ambisce uno studente liceale: notorietà. Chiunque in giro per i corridoi li avrebbe fatto un cenno di saluto perché sarebbero stati popolari come me, invece si sono abbassati ad andare con una sciacquetta come te”. Bip. Il mio cappuccino è pronto, le do le spalle per prendere il bicchierino e poi mi rigiro verso di lei. Con disinvoltura mi metto a sciogliere lo zucchero con il cucchiaino e sul mio viso si estende un sorriso beffardo. “La sciacquetta, come la chiami tu, avrà pochi amici in confronto a te, ma almeno sono veri. Non ti rendi conto di essere sola? Lo sei, tutti ti detestano per il tuo comportamento meschino e viziato. Ah, la sciacquetta inoltre ha trovato un ragazzo che la ama veramente e che non la usa come ha fatto con altre. Ebbene sì, sta con Leon Vargas e, beh, è cambiato molto da quando sta con lei. Cara la mia Supernova, ti domandi ancora perché si sia allontanata pure Nata per andare con lei? La sciacquetta non la riduce in schiavitù, la tratta come una persona con una dignità qual'è. Fatti qualche domanda, il mondo non gira intorno a te”. Sorseggio un po' del contenuto. “Buona giornata”. Mi avvio lungo il corridoio lasciandola impietrita, dentro di me so che urla vendetta. Non mi importa, però. Ho affrontato Ludmilla e ne sono uscita a testa alta, è incredibile. Mai avrei pensato di superare il blocco che mi veniva ogni volta che mi trovavo di fronte a lei, temevo il suo sguardo così deciso e con un bagliore maligno. Non dico che adesso non sia così, sono ancora convinta che da bambina si divertisse ad osservare le formiche con la lente d'ingrandimento solo per vederle contorcersi e bruciare sotto i suoi stessi occhi. E' sadica, questo suo aspetto caratteriale resta, però ho capito che in quanto ad intelligenza raggiunge a malapena un tubero. Sbattere i piedi? Nemmeno all'asilo facevo tiri del genere. Finito di bere, getto il bicchiere in un cestino e vado a recuperare lo zaino che avevo lasciato dentro l'armadietto. Fra un po' cominceranno le lezioni. Infilo le chiavi e lo apro, afferro la cartella e lo chiudo. “Ciao Violetta, volevo chiederti se...”. “Avete rotto il cazzo, tu e la tua amica!”, sbotto rabbiosa. Diego mi guarda ammutolito, quasi confuso. “Volevo solo chiederti se era tua questa penna che mi sono ritrovato nell'astuccio”. Fisso la biro blu che ha fra le mani ed improvvisamente mi sento un cretina. “Scusami, Diego. Credevo fossi venuto qua per la storia della sciacquetta ruba fidanzati e migliori amiche”. Assume un'espressione accigliata. “Cosa?”. “Ah, niente. Meglio che lasci stare, non è mia comunque”. Ultimamente ho imparato a tollerarlo, non siamo in chissà quali meravigliosi rapporti però non litighiamo più. Ha fatto passi da gigante, ma il fatto che sia amico della strega compromette la veridicità del suo comportamento nei miei confronti. “Perché non possiamo essere amici?”, mi chiede con uno sguardo triste. “Non puoi chiedere l'amicizia di qualcuno, è una cosa che matura da sé”. “Ma non so come fare, come comportarmi con te!”. Sospiro profondamente, perché non se n'è andato quando gli ho detto che la penna non è mia? “Tu frequenti gente che a me non va, okay?”. “Beh, se è per questo il tuo fidanzato non è che frequentasse fior fiore di persone”. Riduco gli occhi a due fessure. “Questo è davvero troppo”. Cerco di andarmene, ma mi blocca per un braccio. “Scusa, non volevo dire questo. E' solo che...”. “Lasciami!”. Tento di liberarmi con uno strattone invano. “Ascoltami...”. “Tu non sai niente, non sai niente di lui!”. “So quel che c'è da sapere: mamma drogata, figlio problematico e giro di criminali. Mi sorprende che ci fossero e ci siano ancora ragazze che stanno dietro ad uno così”. Sgrano gli occhi e con un colpo deciso riesco scappare dalla sua morsa, ho l'avambraccio indolenzito. “Lei non è drogata e lui non è un criminale, ficcatelo bene in testa. Non sai un cazzo in realtà, ne hai parlato con lui per caso? Ti ha raccontato qualcosa, eh? No che non lo ha fatto. Per cui se taci, fai più bella figura. Così come tutto il resto della feccia come te che spara sentenze a random senza sapere nulla sulla persona e sui fatti realmente accaduti”. A passo spedito mi allontano da lui, come ho potuto anche solo pensare che i suoi sentimenti fossero sinceri? E' come tutti gli altri, sa solo giudicare per sentito dire. Questa scuola fa schifo, la gente fa schifo, la natura umana fa schifo. Vivessimo tutti in pace fra noi, senza giudizi e asti. No, c'è sempre chi deve dare aria alla bocca solo per il piacere di farlo non curandosi del fatto che quelle parole siano vere o possano ferire qualcun altro. Per quale motivo sono stata emarginata lo scorso anno? Maldicenze della tarantola. Se tutti imparassero a farsi gli affari loro, sarebbe di certo un mondo migliore. Da una persona all'altra, poi, le notizie vengono manipolate, trasformate, arricchite. Durante studentesca al Damn Night Leon ha dato un pugno a Tomas ed io ero ubriaca, ma mi reggevo in piedi per cui tanto bevuta non ero e dopo mi ha portata a casa sua. Ecco, sono venuta a sapere che a scuola si spifferava che Leon fosse particolarmente irascibile quella sera perché si era fumato più di uno spinello e che appena ha visto me e Tomas assieme gli fosse salito un mezzo istinto omicida per cui l'ha steso al tappeto picchiandolo finché qualcuno non li ha divisi. Cosa non vera, gli ha sferrato un pugno e non si è mai chinato a terra per riempirlo di botte. Poi ci sono io che ho sfiorato quasi il coma etilico secondo le voci, mi hanno portata in bagno e magicamente rianimata nel giro di due minuti. Improbabilissimo, considerato che per risvegliarsi dal coma etilico ci vuole un 'pochino' più di tempo. Alla fine io e lui ce ne siamo andati a bordo di un'auto rubata, che sarebbe quella prestataci da Rodrigo, a fare chissà cosa in giro per le vie di Buenos Aires. L'alcolizzata e il drogato, una bellissima coppia non c'è che dire! “Vilu, come mai così di fretta?”. Mi volto, è Marco. Perché tutti mi rivolgono la parola stamattina? Almeno è un viso amichevole. “Manca una manciata di minuti al suono della campanella”. Scrolla le spalle camminandomi incontro. “Hai tutto il tempo del mondo, alcuni bus arrivano anche dopo la prima campana”. “Preferisco essere in anticipo che in ritardo, non credi?”. “Beh, sì”. Percorriamo il tragitto per andare verso l'aula silenziosamente, finché dice: “Senti, so che Fran ti ha detto qualcosa. Ne sono sicuro, siete molto legate. E' da ieri che non risponde ai miei messaggi, alle mie telefonate e sono molto preoccupato. A te cos'ha detto?”. Inarco un sopracciglio. “Non dovrei dirtelo sai?”. China lo sguardo e sospira. “Per favore, devo saperlo. Io...io...non so cosa farei senza di lei”. E' così tenero e affranto, non posso permettere che finisca in questo modo. Loro sono i Marcesca e la mia OTP, oltre che frutto del mio insistere a farli avvicinare. Loro sono una mia creatura. Okay, so già che 'Marcesca' è suonato non male, di più. Diciamo che mi diletto a fondere i nomi assieme per le coppie che shippo, quanto sono nerd da uno a dieci? “E' triste per il fatto che tu le abbia detto che non vuoi rovinare la vostra amicizia per cui siete ad un punto fermo, teme che fra di voi non ci sarà mai niente e che tu non provi nulla nei suoi confronti”. “Ma? E' pazza per caso? Non è vero che non provo niente per lei, come fa anche solo a concepirle certe cose?”. Mi correggo. “Probabilmente intendeva dire non con la stessa intensità”. Scuote il capo con talmente tanta energia che per un secondo ho pensato si staccasse dal collo. “Oh, no. Lei non sa che la osservo da lontano praticamente da sempre, è dalla seconda media che fisso la 'ragazzina carina della sezione C' e Dio solo sa quanto avrei voluto sapesse della mia esistenza”. Corrugo la fronte. “Tu e Francesca andavate nella stessa scuola media? Non me l'ha mai detto”. “Questo perché c'erano quasi dieci sezioni della nostra età, per cui era impossibile conoscere tutti i componenti delle classi. Ricordo che l'avevo notata durante uno spettacolo teatrale, lei interpretava Desdemona in 'Otello'. Da lì in poi ho sempre avuto occhi solo per lei, tanto che avevo degli informatori amici di amici e quando ho scoperto che avrebbe fatto la mia stessa scuola superiore ero al settimo cielo. Nel modulo d'iscrizione c'era una parte in cui ti chiedevano se volessi essere inserito in classe assieme a qualcuno in particolare, ricordo di aver scritto 'Francesca Comello'. Sono stato io, infatti, a fare il primo passo verso di lei e siamo diventati subito amici. Il fatto è che un'amicizia da lei non l'ho mai voluta, è sempre stata di più nel mio cuore”. Li sentite? Sì, i fuochi d'artificio dentro di me. Marco mi è sempre sembrato un ragazzo dotato di estrema dolcezza, non posso che confermare le mie impressioni. “Sappi che Fran ti ha considerato un amico per veramente poco, si è innamorata di te fin da subito. Appena hai un momento libero, alla ricreazione ad esempio, corri da lei e raccontale tutto. Con il bacio siete arrivati ad un punto di non ritorno: o si diventa qualcosa di più oppure ci si distacca, non si può tornare come prima dopo un gesto del genere. Sono le vostre insicurezze che rischiano di rovinare il vostro rapporto, non quello che verrà. Buttati, segui il tuo istinto e apri il tuo cuore. Che aspetti? Sei innamorato, lei pure, non c'è nulla che vi trattenga dall'intraprendere un cammino insieme”. Mi sorride piacevolmente sorpreso, dopodiché mi abbraccia. Sono praticamente un pezzo di legno, ma dopo un po' la smetto di essere rigida. Non ci eravamo mai abbracciati prima d'ora. “Grazie mille Violetta, mi sei stata di grande aiuto. Ho sempre pensato tu fossi una ragazza fredda e apatica, mi sbagliavo. Sei molto di più, sei una brava persona e il mondo intero dovrebbe saperlo. Grazie ancora, mai come ora ti sento mia amica”. Gli sorrido di rimando, poi suona la campanella. Per fortuna che siamo a pochi metri dall'aula e che ci siamo fermati solo verso la fine del discorso, quindi rapidamente la raggiungiamo. Prima di entrarvici, si volta e mi dice: “Sappi che per qualsiasi cosa, puoi contare su di me”. Saranno anche frasi fatte, senti e risentite, però fa sempre bene al cuore quando qualcuno te le dice.

 

 

“Non so come farò sabato sera, sarò di sicuro imbarazzata come poche cose”, dice in un sussurro. “Perché mai dovresti? Nata la capisco, ma te?”. Cami si sistema rapidamente lo chignonne in cima alla testa. “Broadway”. “Cos'ha Broadway?”. “Non lo sai? E' il mio ex!”. Sgrano gli occhi e quasi mi strozzo con un Bounty. “Ma quand'è che...tu e lui...oddio, non ci riesco!”. Scoppia in una fragorosa risata, sono davvero così divertente quando sono scioccata? “Era ancora a metà dell'anno scorso, siamo stati insieme due mesi”. Ora capisco, l'anno scorso ero praticamente fuori dal mondo e poi i pettegolezzi non mi hanno mai attirata. “Beh, ne è passato di tempo”. “Il disagio però resta ancora, Maxi non poteva sceglierseli meglio gli amici?”. Guarda verso il cielo come per invocare qualche divinità. “Gliel'ho già detto: se viene lui, io non vengo”. “Sei scema? No, no e poi no. Tu vieni e basta, hai capito? Non puoi perderti per nulla al mondo la festa del tuo migliore amico, nemmeno per il tuo ex. Basta che lo ignori e lui farà lo stesso, fidati”. A me sembrano cari ragazzi tutti e due, come mi sdoppierò? Se parlo con lei, lui mi detesterà e se faccio il contrario sarà viceversa. “Non ho detto propriamente che non vengo, gli ho detto che non lo so ancora e ci devo pensare”. “E' successo qualcosa di molto grave fra voi?”, le chiedo giustamente preoccupata. Sospira e poi fissando il vuoto risponde: “Abbiamo litigato dopo che l'ho tradito ad una festa...”. E' ufficiale: non sono scioccata, sono scossa. Da Camilla non mi sarei aspettata un atto del genere. “Con chi?”. Sposta lo sguardo sulle sue scarpe, ora è rannicchiata come una bimba. “Federico”. “Federico quello di...”. “Sì, di classe nostra”. L'anno scorso che scuola frequentavo? Ero davvero nella prima F o è stato solo un sogno? “Perché?”. “Vilu, non c'è un motivo per questo. E' una cosa che succede e basta, senza il presupposto di voler far male a chi stai insieme”. “Ma avete...”. Ride. “No, ma figurati! Non sono arrivata ancora a quello, non sono così sgualdrina. Ci siamo baciati in modo...ehm...passionale ad una studentesca”. Fa una breve pausa. “Poi Broadway è venuto a saperlo e abbiamo rotto. Tutto qui”. Aggrotto la fronte. “Tu e Federico ora a malapena vi rivolgete la parola”. “Lo so, lo so...credi che non ne soffra? Ti ho già detto che l'ho fatto senza pensare, non era una cosa seria e nemmeno mi piaceva. Però da dopo quella sera gli muoio dietro e non so che fare, non gli interesso per niente. Ho provato ad avvicinarmi, ma nulla. Lui ha occhi solo per Ludmilla e lei sta al gioco, ma in realtà lo fa solo per averlo ai suoi piedi. Non le è mai interessato veramente, lo fa solo perché le piace far soffrire la gente. Ho provato a continuare ad esserle amica, ma proprio non ci riesco. Sapere che il suo cuore batte per lei, mi fa troppo male. Dico in giro di essere forte, che non me ne frega di lui, ma infondo sto da cani. E se fa male è solo perché mi importa, dovrei imparare a sbattermene. Sto perdendo tempo inseguendo un errore di una sera, eppure non riesco a levarmelo dalla testa. Un solo bacio è bastato a superare di gran lunga quelli di Broadway, un suo sguardo è più gratificante di tutti i messaggi dolci che mi scrive Seba”. “Seba?”. “Un ragazzo di terza design col quale mi sento da un po' di tempo”. “Ah, capisco”. Assume un'espressione triste. “Ti invidio un sacco, Vilu. Tu hai avuto l'amore di chi ti è sempre piaciuto, credo non ci sia sensazione più bella al mondo”. Aspetta, ma Cami non sa che mi piaceva Leon dall'inizio della prima. “Ha iniziato a piacermi recentem...”. “Non dire bugie, Vilu. Non è il tuo forte! Tutti in classe sapevamo che gli morivi dietro, si era capito”. “Da cosa?”, sbotto. “Da come lo guardavi, te lo mangiavi con gli occhi. Durante motoria, poi, davi il meglio di te”, dice ridendo. “Veramente io...”. “Ti piaceva e si notava molto, ora lo ami e si vede”. Poi aggiunge: “E anche lui ti ama, secondo me”. Sorrido flebilmente indugiando su cosa rispondere, quando di slancio si getta fra le mie braccia stritolandomi. “Te lo meriti dopo tutto quello che ti hanno fatto, sei una bellissima persona Violetta”. Come mai oggi tutti mi vogliono bene, tutti hanno slanci d'affetto, tutti mi parlano? E' una cosa talmente strana che mi sembra uno scherzo. “Ehm...grazie, anche tu lo sei”. Si stacca e si estende un sorriso smagliante sul suo viso, ammiro la forza di questa ragazza. Nel giro di un minuto riesce a tirarsi su di morale, almeno apparentemente. “Mi hai convinta, sabato verrò al compleanno”. “Vedi? Non varrebbe la pena perdersi una festa del genere”. “Giusto”. “Cami, posso chiederti una cosa?”. “Sì, dimmi”. “Ci sono altre cose successe l'anno scorso che dovrei sapere? Perché era come se neanche fossi nelle nostra classe”. Per una manciata di secondi mi guarda confusa, dopodiché si mette a ridere. “Allora, da dove comincio? Beh, all'inizio dell'anno, non arrabbiarti, andavamo tutte dietro a Leon. Sarà perché è figo ed era stato bocciato, non so perché ma rende il soggetto più affascinante. Dopo un mese, però, sappi che la cotta era svanita a tutte...con qualche eccezione, ovviamente”: Mi sorride ed abbasso lo sguardo per poi rialzarlo subito. “Dove sono rimasta? Ah sì, a Napo piaceva Nata ma lei non l'ha mai sopportato. A Ludmilla piaceva Leon, questo ormai mi sembra palese, ma lui non penso ricambiasse. Forse un po' in principio, ma solo fisicamente perché non va a genio a molti per via del suo carattere. Per quanto riguarda Maxi...”. Si avvicina al mio orecchio. “...non dirlo a nessuno, ma all'inizio della prima era interessato a Fran”. “No!”. “Sì!”. “No!”. “Okay, ora basta”, dice ridendo. “Comunque le interessava e basta, nulla di serio. Adesso in teoria le piace una seriamente, ma si ostina a non volermelo dire. Chissà chi è! A proposito di Fran, sai dov'è?”. “Sta risolvendo una questione con Marco, stamattina lui è venuto a sfogarsi con me e l'ho convinto a chiarirsi”. Stropiccia l'alluminio del panino appena finito. “Mi sa che dovrò chiederti aiuto con Federico, sono in alto mare. Che dico? Sto proprio in spiaggia”. Sospira. “Non conosco molto Federico, per non dire che non so nulla di lui. Però...perché no? Potrei vedere cosa si può fare. Sono brava a risolvere i problemi altrui, ma con i miei non ci riesco mai anche quando la soluzione è così ovvia”. Mi poggia una mano sulla spalla. “E' più che normale, fidati. Il brutto è quando sai qual è l'unica soluzione, ma ti ostini a non volerla accettare perché farebbe troppo male”. “Per te quale sarebbe?”. “Dimenticarlo, lasciarlo perdere, fingere che quel bacio non ci sia mai stato. Sicuramente sarei più felice di adesso, non soffrirei così tanto per uno che mi ignora”. Si interrompe per poi dire: “Cerco di allontanarlo dalla mia mente in tutti i modi, ma allo stesso tempo ho paura di riuscirci davvero. E' masochista e da pazzi, lo so...”. Scuoto il capo. “No, Cami. Non è da pazzi, so cosa si prova meglio di chiunque altro. Vorresti non pensarci più e magari anche ci riesci, ma quando lo vedi ritorni al punto di partenza. Mentre cerchi di convincerti che non lo sopporti e devi stargli lontana, non ti rendi conto che lo stai fissando con una faccia inebetita mentre il cuore batte all'impazzata. Capisco come ci si sente ad aspettare e aspettare, non aspettandosi nulla infondo. Però, pensaci bene, se non avessi continuato a sperare in me e Leon, non staremmo insieme ora. E ti ricordo che io e lui a malapena ci rivolgevamo la parola, se lo facevamo era solo per beccarci o per cose futili”. Le sfugge un mezzo sorriso. “Come dimenticarlo? I vostri battibecchi da un banco all'altro erano il top. Come quella volta che durante la lezione di Galindo era andato in bagno e ci ha messo quasi mezz'ora per tornare, il prof gli ha chiesto cosa ci fosse di così importante da stare fuori dall'aula per così tanto tempo e tu hai detto che era andato a scoprire la ruota. Ti giuro, ho riso un sacco! Guarda un po', i due sempre in conflitto ora sono innamorati. C'è veramente speranza per tutti”. “Appunto, non perderla mai. Secondo me con Federico dovesti riprovarci, ma gradualmente. Cominci col chiedergli qualcosa di scuola in classe, poi esci da quell'argomento per domandare altro finché non instaurate vere e proprie conversazioni. Tutto questo fino a che non vi scambiate i numeri e così via, il resto vien da sé”. Mi sorride piacevolmente sorpresa. “Sai che è proprio un bel consiglio? Grazie, Vilu. Lo seguirò di sicuro”. Suona la campanella, la ricreazione è terminata. Ci alziamo da vicino al termosifone per avviarci verso la classe. “Di nulla, è un piacere aiutare le persone”. Se mi dovesse andar male avrei un futuro come strizzacervelli. Il parrucchiere per anziane e la strizzacervelli, una bellissima coppia non c'è che dire!

 

 

Apro il portone principale del condominio, raggiungo l'ascensore e lo prenoto. Dopo pochi secondi arriva, ci salgo su e premo sul tasto con scritto quattro. Arrivata al quarto piano, esco e mi avvicino alla porta per suonare il campanello. Nell'attesa, mi sistemo le pieghe del giubbotto. Alzo lo sguardo e mi trovo Leon davanti con un grembiule da cuoco e un guantone da forno in una mano. Non faccio in tempo a focalizzare bene l'immagine che la mia attenzione si concentra sulla scritta nel grembiule: 'So sbattere, montare e strapazzare alla perfezione'. Sgrano gli occhi e lo guardo sconvolta. “Oh, perdona questo grembiule osceno. E' un regalo che hanno fatto le amiche di mamma a lei e, beh, vendono un sacco di roba con questi doppi sensi, sai? Quando superano i quaranta diventano peggio degli adolescenti in quanto a perversione, entra pure”. Faccio il mio ingresso nel suo appartamento, era da un po' che non ci tornavo. Sento profumo di pulito e non posso non provar tenerezza scorgendo un moccio accatastato in un angolo, sembra si sia dato da fare per me perché è tutto veramente lindo e ordinato. “Ah, poggia pure il giubbotto sull'attaccapanni e accomodati dove vuoi. Mi casa es su casa”, mi urla dalla cucina. Mi levo la giacca e la appendo, poi mi siedo sul divano di una tinta arancio. Non mi sono mai soffermata ad osservarne i particolari, ma è davvero bella sebbene sia piccolina. I colori caldi, i vari soprammobili e le fotografie danno un non so che di intimo e familiare. Sono definitivamente affascinata da quest'appartamentino, lo trovo l'abitazione più graziosa che avessi mai visto. Nella mia perlustrazione, alla mia destra, noto che sopra un comò pieno zeppo di souvenir e cartoline c'è un portafoto che che contiene ben tre immagini di Leon e sua madre: una da neonato, l'altra nell'infanzia e la terza recente. Do un'occhiata rapida attorno a me per non esser vista e prendo in mano la cornice per guardarla da vicino. La prima fotografia ha dei colori un po' sbiaditi e c'è un Leon paffutissimo in una tutina verde acqua fra le braccia di Lucia sotto all'arcata che collega l'ingresso alla cucina. Devo ammettere che da neonato aveva più occhi che altro, erano veramente grandi e si poteva vederne benissimo il color smeraldo. Nella seconda avrà avuto attorno ai sette anni ed è vestito con un grembiulino azzurro, con una mano stringe il proprio zainetto e con l'altra la mano della madre. Quest'ultima guarda sorridente l'obiettivo della fotocamera, mentre Leon sorride guardandola. Solo ora capisco il motivo dei sacrifici fatti per lei, era colmo di ammirazione fin da sempre. L'amore che prova per lei è una cosa completamente diversa e al di sopra di quello nei miei confronti, ma non mi infastidisce per niente perché infondo un po' invidio il loro legame così stretto. Mi piacerebbe tanto averlo con papà. Nell'ultima lui la supera di un bel po' di centimetri in altezza ormai e si vede che il dolce bimbo delle foto precedenti è cresciuto per diventare un uomo, dall'abbigliamento credo siano stati a qualche battesimo o matrimonio perché lui è in smocking mentre lei in un elegante e lungo vestito rosso. Lei si copre la bocca con una mano perché sta ridendo, mentre lui ha un braccio avvolto attorno alla sua spalla e le bacia il capo. Sono così teneri, avere una mamma significa questo? Improvvisamente sento un rumore di passi e rapidamente riposo il portafoto dov'era, non so perché ma credo che non gli faccia piacere che curiosi fra il suo passato. Faccio finta di niente e mi volto verso l'arcata della cucina con aria vaga. Arriva in soggiorno con in mano un piatto e lo poggia nel tavolino di fronte a me. “Et voilà! La specialità della casa è servita”. Allungo la mano e prendo un taco. “Li hai fatti te?”. “No, Babbo Natale...certo che li ho fatti io!”. Lo porto fino al naso per annusarlo. “Cosa ci hai messo?”. Alza l'indice della mano come per fare il precisino. “Certe cose non si chiedono mai ad un cuoco, tanto più se è una ricetta che si tramanda di generazione in generazione. Ti posso solo dire che questi sono tacos al pollo”. “Okay, grande cuoco”. Do un morso per assaggiarlo, è buonissimo. “Complimenti”. “Thank you, babe”. Aggrotto la fronte. “Come mai oggi ti destreggi così tanto con le lingue?”. Fa le spallucce. “E me lo chiedi? Lo sai che sono strano. Vado un attimo a togliermi questo grembiule del cacchio, aspettami qua”. Torna indietro lasciandomi sola come prima, devo ammettere che il taco è veramente buono e l'ho finito in un batter d'occhio. “Felice che ti sia piaciuto, ma mangi come un orso”. Si butta a peso morto accanto a me. “Hey! Era piccolo!”. “Tutte scuse”. Sbuffo. “Hai portato i compiti?”. “No”, gli rispondo noncurante. “Ah, brava. Solo perché stai con me non significa che io sia un buon esempio da seguire”, dice ridendo. “Guarda, caro mio, che mi sono presa avanti coi compiti ieri con Fran perché sapevo che sarei venuta qua da te”. “Donna previdente”. Mi volto a guardarlo e solo ora noto che è vestito con una t-shirt nera attillata e dei jeans leggermente sgualciti dall'usura. Oh mio Dio è così...“Oh, ma mi ascolti quando ti parlo?”. Scuoto il capo come per eliminare tutti i pensieri e lo guardo spaesata. “Ehm...come scusa?”. “Ti ho chiesto se ti va di vedere un film”. “Ah, sì...certo”, rispondo con un filo di voce. “Beh, allora guardiamo che film ci sono”. Ci alziamo dal divano per andare nel mobiletto sovrastato dal televisore, nelle mensole ci sono esposti molti DVD. “A te la scelta”. I miei occhi scorrono lungo i vari titoli, poi incontrano 'The last song' e lo afferro subito. Glielo passo ed il sorriso che dapprima era sul suo volto svanisce. “Sul serio?”. “Ehm...sì”. Rotea gli occhi. “Che c'è? Mi hai detto te di scegliere!”. “Pensavo che dal momento che sei una tipa forte avresti scelto un film meno...mieloso”. Mi gonfio offesa. “'The last song' non è mieloso!”. “E' per femminucce!”. “Grazie al cazzo, sono una femmina!”. Sospira come per mantenere la calma. “Credevo ti piacessero film fantastici tipo 'Fast and furious', 'American pie' o 'Una notte da leoni'”. “A parte 'Fast and furious' sono troppo volgari per i miei gusti”. Allarga le braccia. “Appunto! Sei o non sei volgare?”. Sgrano gli occhi e gli do una sberla sulla spalla. “Oh, ma per chi mi hai preso?”. “Per una depravata”, sbotta. Giù un altro ceffone. “Okay, okay...la smetto. Guarderemo il tuo film strappalacrime del piffero, contenta?”. “Certo”. Torno a sedermi e posso sentirlo ridacchiare alle mie spalle mentre inserisce il disco nel lettore. Quando ha finito accende la tv con il telecomando e gli faccio cenno di accomodarsi. Fa quanto indicato e, dopo essersi messo accanto a me, mi avvolge un braccio attorno alla vita e mi attira a sé. Deglutisco. Okay, Vilu...calma. E' il tuo ragazzo, no? Non ci sono problemi o, meglio, non ci dovrebbero essere. Il film parte e non me ne rendo nemmeno conto, cerco di svuotare la mia mente e concentrarmi su quanto sto vedendo. “Mia mamma è fissata con i film ispirati ai libri di Nicholas Sparks, infatti li legge tutti perché è il suo scrittore preferito. Ovviamente io sono costretto a vedermeli tutti con lei, avrò visto 'Le pagine della nostra vita' minimo una trentina di volte”. Poggio una mano sul suo petto e la testa sulla sua spalla. “Ah, sì? Dev'essere una donna molto romantica”. Sento il suo respiro regolare cullarmi. “Sogna troppo, a volta si comporta bene con persone che non meriterebbero neanche un quarto di un quarto della sua bontà”. Fa un breve pausa. “Poi si innamora sempre delle persone sbagliate, sembra quasi che nella natura umana ci sia qualcosa che ci spinge ad avvicinarci a chi ci fa soffrire”. Mi accoccolo ancora un po'. “Con te so già che non sarà così”. Per tutta risposta mi dà un bacio sopra il capo e sorrido beatamente. Continuiamo a guardare il televisore tranquillamente mentre lui arrotola ciocche dei miei capelli, quando improvvisamente fa scendere la mano fino alla spallina del mio reggiseno e giocherella pure con essa. Mi mordo un labbro e mi faccio pure male. Lo osservo con la coda dell'occhio, con mia gran sorpresa è coinvolto nella visione del film e forse non odia così tanto quelli romantici. Poi lo sguardo si sposta ancora sulla maglietta e mi irrigidisco, il respiro diventa pesante. Sono a casa da sola col mio ragazzo, sua madre tornerà fra un paio d'ore. “Tu non hai caldo?”. Con cosa me ne sono uscita? Di tutti i tentativi di avance che potevo fargli, questo è di sicuro il peggiore. “Vuoi che spenga il termosifone?”. Oh cazzo. “No, no! Tranquillo, davvero...è sopportabile”. Continuo a guardarmi attorno maniacalmente, ormai 'The last song' me lo sono scordato. Okay, nei reality come fanno? Il piedino? No, troppo squallido. Toccarlo...là? No, da puttana. Cerco di far qualcosa, quando...“Cazzo, lei però è anche deficiente eh? Avrà tutte le ragioni del mondo, ma lo fa soffrire e basta in questo modo!”. Guardo il cielo come per appellarmi a qualcuno, a qualsiasi cosa o persona nell'universo. E' possibile che tutte le energie negative cosmiche siano concentrate su di me? Potrei fare un altro tentativo...“Insomma, fregatene di ciò che pensa la sua famiglia e continua a stare con lui! Ti ama, quante volte deve dirtelo?”. Oh, ma che due coglioni. Roteo gli occhi e mi poso una mano sulla fronte. Ripresa la calma, pacatamente dico: “Forse dovremmo...”. “Shh!”. Mi interrompe e dopo avermi rivolto un'occhiataccia, torna a guardare il film. Rabbiosamente prendo il telecomando e spengo il televisore, lui si gira verso di me rapidamente: “Cosa. Cazzo. Hai. Fatto”. “Mi annoiava”, dico con nonchalance. “Ma Ronnie e Will stavano per rimettersi insieme!”. Indica disperatamente la tv spenta fissandomi perso. Riduco gli occhi a due fessure e lo spingo sul divano mettendomi a cavalcioni sopra di lui. “Ma cosa...”. “Stai zitto!”. Gli poso un dito sulla bocca e per la prima volta è lui a deglutire. Mi levo la maglietta rimanendo in reggiseno e la getto altrove, va a finire vicino alla porta che dà sul corridoio delle camere. Poi ritorno a guardare lui che continua a fissarmi impietrito o, meglio, non mi fissa di certo la faccia. “Guarda che...”. “Da quant'è che non lo fai?”, sbotto. “Non deve avere importanza nella nostra relazione, non devi sentirti obbligata...”. “Tu rispondi e basta, ti ho posto una domanda ed esigo una risposta!”. Sgrana gli occhi e tiene la bocca semiaperta. Okay, forse adesso lo sto un 'pochino' spaventando. “Tre settimane fa, forse un po' di più”. Lo osservo per pochi secondi mentre è in attesa di una risposta e mi chino per baciarlo. Prova a parlare, ma glielo impedisco e dopo poco perde ogni resistenza contraccambiando. Con un movimento risoluto, gli sfilo la t-shirt nera e butto via pure quella, gli passo l'unghia lungo il petto sorridendo sorniona. Mai avrei pensato che Leon 'Dio del sesso' Vargas ora fosse succube dei miei giochi. “Violetta, io...”. Serra le palpebre ed improvvisamente sento quella 'cosa' che preme contro le cosce. Oh, finalmente Mr. Soldato è tornato fra noi! Ciò mi fa assumere ancora di più un'aria trionfante, lentamente sposto il dito lungo l'addome per arrivare al ventre scontrandomi contro i pantaloni e con un piccolo gesto sbottono l'unico bottone. “Ops!”. Tiro giù la zip e mi sento ancora più piena di potere perché lui non si azzarda a fiatare. “Ferma!”. Oh no, lo avevo appena pensato e ora mi blocca. “Prima di togliere i pantaloni, prendi il mio portafogli dalla tasca posteriore”. Aggrotto la fronte. “Tu fallo e basta”. Inarca leggermente il bacino per permettermi di prenderlo ed infatti ci riesco. “E cosa dovrei...”. “Aprilo”. Faccio quanto mi dice. “Ora guarda nella parte in cui ci sono le tessere e i documenti”. Comincio a rovistare... “Quando trovi una cosa blu...”. Non fa neanche in tempo a finire la frase che estraggo qualcosa di quel colore. Guardo ed è una confezione in plastica quadrata, la rigiro per leggere: Durex. Poggio il portafogli sopra il tavolino e lo bacio, forse perché sono felice che alla fine abbia ceduto. Ridendo stacca le mie labbra dalle sue rimanendo a pochi centimetri l'uno dal viso dell'altro. “Hey, calma. Se te l'ho fatto prendere significa che devo mettermelo”. “Aspettiamo un po'”, dico col labbruccio. “Va bene, amore”. Ora è lui ad annullare le distanze e posa le mani sul bordo dei miei leggings per potermeli togliere, continuiamo a baciarci con foga mentre lui me li sfila lentamente. Suona il campanello. Sobbalziamo spaventati e rapidamente mi tiro su quel poco di pantaloni che mi aveva abbassato. “Oh, merda”, dice. “Vestiti, veloce!”. Ci alziamo dal divano e, mentre io recupero le magliette, lui si riabbottona i pantaloni. Un altro suono. Gli lancio la sua e la indossa velocemente così come faccio io che mi siedo sul divano fingendo di leggere una rivista. Corre alla porta e, prima di aprirla, si assicura che il suo amichetto sia tornato al suo posto. “Mamma! Ma cosa ca...ci fai qua? Non dovevi tornare alle cinque e mezza?”. Il falso sorriso di Leon è una cosa stupenda, devo trattenermi dal non ridere. “Tesoro, oggi al ristorante abbiamo finito prima perché c'è sciopero”. Lucia fa il suo ingresso in casa, devo dire che è di una bellezza disarmante e l'avevo notato fin da subito. Leon avrà preso di sicuro da lei. E' ironico come un armadio alto un metro e ottantacinque sia sottomesso ad una donna così minuta e piccola. “A scuola però c'erano tutti gli insegnanti...”. “Infatti non era sciopero del personale scolastico”. Sento gli smeraldi della donna puntati addosso, mi ha notata. “Guarda un po' chi c'è qui! Ciao Violetta, che piacere rivederti!”. “Salve Lucia”. “Oh, ti prego dammi del 'tu'”. Mi rivolge un sorriso smagliante e con la coda dell'occhio vedo che dà una gomitata al figlio. Probabilmente non voleva esser vista, ma il “Mamma smettila!” di Leon, seppur sia sussurrato, lo sento chiaramente. “Che cosa meravigliosa averti qui, ho chiesto spesso di te a Leon perché mi hai fatto una buona impressione”. Le sorrido di rimando. “Oh, grazie mille”. Chiude la porta dietro a sé. “Ah, comunque non serve che chieda di te a Leon perché tanto parla sempre di te lo stesso”. Arrossisco e abbasso lo sguardo. “Mamma...”, dice il mio ragazzo a denti stretti. “Di cosa ti vergogni, tesoro? Una bella ragazza come lei, dovresti solo esserne contento!”. Dall'altra parte dalla stanza lei cerca di condurre una conversazione mentre lui continua a lanciarmi occhiate esasperate. “Perché non mi avevi detto che l'avresti invitata?”. “Perché credevo fossi a lavoro...”. “Ah, capisco. Quindi vi siete trovati per fare i compiti. Di che cosa?”. “Biologia!”. “Matematica!”. Oh, merda. “Biologia e matematica”, dice Leon grattandosi la nuca. “Vilu, forse è il caso di andare non credi?”. “Ehm...sì, giusto io vado”. Mi alzo prontamente per andare verso l'attaccapanni. “Violetta, ma non hai lo zaino o la borsa per i libri?”, chiede cordialmente Lucia. “No, è venuta ad aiutarmi. Lei si era già presa avanti”. Come è abile a mentire lui, non lo è nessuno. Finito di abbottonarmi il giubbotto, lo saluto con un bacio sulla guancia mentre sua madre con un cenno della mano. “Guarda che se vuoi, puoi rimanere qui quanto ti pare. Posso cucinarti qualcosa, lavoro in un ristorante e posso farti tutto ciò che desideri”. “Sono sicuro che Violetta abbia altro da fare, mamma”. “Okay, ciao stella”. Mi abbraccia ed io, ovviamente, reagisco con tanta emozione quanto un palo della luce. Poi, sorridendo, saluto tutti per una seconda volta ed esco dalla casa. Inspiro ed espiro profondamente, se avesse avuto le chiavi di casa per me e Leon sarebbe stata la fine. Raggiungo l'ascensore e lo prenoto con la consapevolezza che, ancora una volta, non sono riuscita a fare l'amore col mio ragazzo. Proprio oggi che ci stava, mi sto praticamente mangiando le mani. L'elevatore arriva e ci entro premendo 'piano terra', mi passo una mano fra i capelli. Mi sono divertita a giocare con lui e penso che nessuno possa capire la felicità che ho provato quando mi ha detto di prendere il...oh, no. Controllo le tasche della giacca, nulla. Leon non ha raccolto niente né dal divano né da terra, si è solo abbottonato i pantaloni ed è corso ad aprire a sua madre. Dove cavolo è finito quel preservativo? E se a trovarlo fosse Lucia e non lui? Oh no, siamo nella merda.

 

 

ANGOLO DELL'AUTRICE

Hey ragazzuoli! Come va? Lo so che mi volete uccidere, lo so. Non l'hanno fatto e voi sarete sicuramente qua a riempire di parole la povera Lucia, ma dai ragazzi! La mamma di Leon è troooppo tenera per avercela con lei, su. Ci sono problemi per la nostra amata coppia, chi sarà a trovare il preservativo? Lo saprete nel prossimo capitolo, ovvio! *faccia malvagia* Piaciuto il capitolo? Spero di sì, ci ho lavorato molto da dopo il mio arrivo domenica e penso di aver fatto un lavoro quanto meno accettabile. Ditemi cosa ne pensate con una recensione, la risposta è assicurata e lo sapete bene. Ah, sappiate che il concerto è andato benissimo e che Torino è una città meravigliosa! So che non vi interessa un piffero, ma vabbè. Ci tengo a ringraziare i lettori che recensiscono la mia storia, che la mettono fra i preferiti e le seguite. Vi aspetto, come sempre, alla prossima!

Chau:3

Gre

Ritorna all'indice


Capitolo 17
*** Capitolo 17 ***


                                                                               CAPITOLO 17

 

 

 

Scendo le scale rapidamente, per poco non inciampo rischiando di cadere rovinosamente. “Non so se hai notato che se cadi tu, cado di conseguenza anch'io. Ah, potresti smetterla di stritolarmi la mano? Mi stai bloccando la circolazione!”. Non mi ero resa conto che lo stavo ancora tenendo per mano, così lo mollo. “Ma dove cavolo mi stai portando?”. “Sta zitto e seguimi”, rispondo senza guardarlo in faccia. Arrivati al piano seminterrato, proseguo lungo un corridoio fino a trovare la camera oscura e ci entro. “Abbiamo un aula di fotografia?”. Chiudo la porta alle nostre spalle ed accendo la luce. “Certo che li conosci tutti i posti più isolati e macabri della scuola, perché siamo qua?”. “Quest'aula è inutilizzata da anni, comunque dobbiamo parlare”. Aggrotta la fronte. “E non potevamo, chessò, parlare in cortile? Mi sento molto mafioso in questo posto”. “Non volevo che qualcuno ci sentisse”. “Chi vuoi che si metta ad ascoltare i nostri discorsi?”. “Beh, ne conosco giusto un paio eh? Diego, Ludmilla, Lara, Tomas, Braco...”. Elenco i vari nomi con le dita delle mani. “Braco che c'entra?”. “Ah, niente! Lunga storia”. Guarda l'orologio da polso e si mette a braccia conserte. “Sono le otto meno un quarto, ne ho di tempo”. “Non è importante adesso, posso parlarti dell'altra cosa?”, liquido subito l'argomento Braco che proprio non mi interessa. “Okay, sono tutt'orecchi”. Inspiro ed espiro, fare le cose è sempre meglio che parlarne. Stamattina in bus nessuno dei due ha osato dir qualcosa su quanto accaduto ieri pomeriggio, per cui mi trovo in enorme imbarazzo anche se so che non dovrei. “Sai per caso...il coso, ecco...sul divano...blu...”. “Il coso sul divano blu? Ma che cazzo stai dicendo?”. Le mie guance stanno letteralmente avvampando, perché in me continua a vivere la Violetta pudica? Imito con la mano il gesto di infilarsi un profilattico più volte sperando che capisca. “Co-cosa? Chi hai masturbato su un divano blu?! Voglio sapere chi è!”. “No!”, urlo tutto d'un fiato. “Cos'hai capito? Parlavo del preservativo”. Sospira sollevato. “Quanto ti costava nominarlo? Non è mica Voldemort! Non dirmi che sei contro l'utilizzo del preservativo sennò da me non avrai mai niente”.“Se mi lasciassi finire anziché trarre conclusioni”. “Oh, certo. Continua”. Mi ricompongo cercando di formulare un discorso quanto meno comprensibile. “Il preservativo...ehm...che fine ha fatto?”. Ecco, è stato facile. Scrolla le spalle. “L'ha trovato mia madre”. Sbianco e porto una mano alla bocca spalancata mentre continuo a sbattere le palpebre in modo quasi convulsivo. “Dov'era?”. “Sotto il divano, mi pare abbia detto così”. Ora la mia mano passa dalla bocca alla fronte. “Che ha detto?”. “Stavamo cenando tranquillamente in silenzio quando ad un certo punto mi ha detto: 'Guarda che se volevi fare sesso con Violetta bastava dirmelo' ed io ero tipo: 'Grazie mamma, lo terrò bene a mente la prossima volta'”. Sgrano gli occhi. “Tutto qui?”. “Sì”. “Non ha detto nient'altro?”. “Niente di che, ha detto solamente che facciamo bene ad usare le dovute precauzioni e basta. Insomma, le solite menate che ti fanno i genitori sul sesso”. Sento un peso in meno, veramente. “Ah”. “Quindi tu mi hai quasi trucidato il braccio destro e fatto correre fino a qua giù per questo?”. Abbasso lo sguardo imbarazzata. “Ehm...sì?”. Scoppia ridere e di gusto anche. “E' così divertente?”. “Certo, guarda che mia mamma non è mica nata nell'ottocento”. Sorrido forzatamente. “Mio padre evidentemente sì, se l'avesse trovato avrebbe fatto il putiferio”. “Ma è normale, Vilu. Sei una ragazza e quando un uomo ha una figlia adolescente si comporta così perché chi più di lui conosce la mentalità di un maschio a quell'età?”. “Giustifichi la sua iperprotettività?”, lo guardo incredula. “Non la giustifico, ma in un certo senso la comprendo. Tu non hai idea di cosa passi per la testa di un ragazzo di sedici anni, non puoi neanche lontanamente immaginarlo”. Rabbrividisco al solo pensiero. “Non ci tengo neanche a saperlo, grazie”. Si siede in una poltroncina in vimini ed io faccio altrettanto con quella accanto. “Quindi tua mamma sa che non sei vergine?”. Si gratta dietro alla nuca. “Oddio, non lo sa per certo ma credo che lo immagini”. “Beh, papà una volta mi ha detto che mi consiglia vivamente di rimanere vergine fino al matrimonio così lo farò con la persona che sono sicura di amare”. Si copre il viso con una mano e ride. “Cos'hai?”. “Rettifico: tuo padre è da ottocento, proprio!”. “Cosa ti avevo detto?”. Giocherella col suo braccialetto d'argento, quello coi ciondoli di Moises. “Adoro mamma ed è veramente aperta mentalmente, ma quando vuole sembrare giovanile per forza usando espressioni che nemmeno i giovani usano la tronco subito in partenza”. “Tipo?”. “Beh, mi è venuto in mente stando all'argomento verginità. L'estate scorsa, in luglio mi pare, la stavo aiutando a potare delle piante nel terrazzino della sua stanza. Eravamo accucciati con dei vasi fra le mani e parlavamo del più e del meno, poi ad un certo punto c'è stato un momento di silenzio mentre eravamo intenti a lavorare. Fatto sta che dal nulla mi ha detto: 'Leon, ma hai mai usato il mestolo?'. Dentro di me stavo pensando a che domanda assurda mi stava ponendo, era ovvio che l'avevo usato. Come cavolo potevo cucinare la minestra se non col mestolo? Per tutta risposta mi è uscito un 'Come?' con tanto di faccia accigliata. Lei, con nonchalance, ha esclamato: 'Intendevo dire: hai mai infornato la baguette?'. Subito non avevo afferrato il concetto, poi mi è parso tutto chiaro: mi stava chiedendo se avevo mai fatto sesso in vita mia. Sai cosa le ho risposto?”. Scuoto il capo. “'Mamma, ehm...chiesto così non te lo direi mai, veramente. Adesso che ci penso, non te lo direi comunque. Per cui, per non infangare la tua candida mente di madre, preferisco passare alla domanda successiva'”. Scoppiamo a ridere, devo ammettere che è stato anche bravo a risponderle così. Fossi stata io con mio padre non so cosa ne sarebbe uscito fuori, probabilmente qualcosa di simile al coso nel divano blu. “Alla fine ne avete più parlato?”. “Sì, qualche mese fa. Credo sia convinta che abbia perso la verginità lo scorso anno, preferisco la pensi così”. Fa una breve pausa. “Comunque sei molto fortunata ad avere me”. “Ah, modesto il ragazzo”. “Ma no! Era solo per dire che quando lo fai la prima volta è meglio che sia con uno che l'ha già fatto, così ci sa già fare e sa come andarci piano”. “Oh”. Ci penso un po' prima di chiederglielo, ma dal momento che stiamo insieme e siamo in tema non vedo perché no. “E te la prima volta sei stato con una che era vergine come te?”. “Sai che non ricordo? Aspetta, devo ricordarmi l'anno...estate duemilaundici...no, lei lo aveva già fatto. Avrà avuto un paio d'anni più di me”. “Cosa?”, grido in modo stridulo. “Che c'è di male?”. “Era più grande di te, è come se avesse abusato di te!”. Mi osserva per qualche secondo per poi mettersi a ridermi in in faccia. “Questa è la cazzata più grande che avessi mai sentito! Certo, all'inizio ero un po' intimorito, ma alla fine non è che non lo avessi voluto. Per cui consenziente io, consenziente lei, non vedo dove sia il problema”. Il problema sta nel fatto che la cosa mi infastidisce, parecchio. Però non devo darlo a vedere, infondo sono stata io ad averglielo chiesto. “Quindi se è fra due inesperti finisce male?”. Sembro un'alunna a cospetto del proprio professore. Certe cose mi interessano, veramente. Mio padre è troppo pudico per parlarne o per rispondere anche solo ad una delle mie domande, sarà da lui che ho preso. “Non necessariamente, ma per tutti quelli che conosco è stata disastrosa. Come ad esempio Andrès ed Emma, lui non sapeva come mettersi e lei era troppo spaventata per fare qualcosa che lo potesse eccitare. Morale della favola? Prima volta da dimenticare sia per lui che per lei”. “Andrès ha la ragazza?”. Perché tutti mi scioccano in continuazione con queste notizie? “Da anni ormai, forse due o tre. Frequenta lo scientifico, comunque, non la conosci”. “Ah”. Improvvisamente sentiamo un rumore proveniente dal corridoio e mi volto di scatto allarmata verso la soglia. “Merda”. “Calmati, andrà tutto bene. Vieni, vieni di qua”, dice in un sussurro. Lo seguo con passo felpato e ci nascondiamo dietro ad un telone nero accucciandoci a terra, con le braccia mi avvolge e stringe a sé. La mia schiena contro il suo petto, sento il suo fiato caldo infrangersi sul collo. Qualcuno fa il suo ingresso e serro le palpebre, per infondermi sicurezza aumenta la sua presa. Dei passi proseguono avvicinandosi sempre di più a noi, il mio respiro è tremolante e mi escono dei lamenti strani. Leon mi tappa la bocca con una mano, lo sconosciuto si ferma proprio in corrispondenza nostra. “Carlos, qui dentro non c'è. Non so dove l'abbia messo quell'altro”. “Beh, andiamo a cercare da un'altra parte”. L'uomo, probabilmente un bidello, ritorna indietro chiudendo la porta alle sue spalle. Lentamente toglie la mano e allenta la stretta, riprendiamo a respirare regolarmente anche se nessuno dei due osa ancora fiatare. “Che culo”. “Mi è passata tutta la vita davanti nel giro di dieci secondi”. Scioglie le braccia dalla mia vita e ci alziamo in piedi. “Esagerata”. “Non scherzo, ho temuto veramente la presidenza di nuovo”. Calco volutamente le ultime due parole. “Io avrei perso l'anno, ma non mi vedi così agitato”. Lo guardo con espressione di rimprovero. “Devo essere promosso, devo essere promosso...”, dice con i pugni a mezz'aria e gli occhi chiusi. “Bravo”. Gli do un pacca sulla spalla. “Sì, sì. Ora però andiamocene di qui, lo sapevo che i tuoi posti nascosti non avrebbero portato nulla di buono”. Silenziosamente sgattaioliamo fuori dall'aula di fotografia attenti a non farci notare, appena arrivati nel corridoio rapidamente raggiungiamo le scale e torniamo al piano di sopra col fiatone o meglio, io ce l'ho. Lui è come se non avesse nemmeno corso lungo la rampa. Agguanto la sua spalla e mi appoggio sul suo braccio. “Credo di aver perso un polmone più o meno a metà scala”. “Per così poco”. Ridacchia divertito. “Grazie della comprensione, come sempre. Senti, sono le otto meno cinque: che dici se andiamo già in palestra? Facciamo i bravi studenti per un buona volta”. Mi sorride e mi prende per mano mentre ci dirigiamo verso gli armadietti, tutto ad un tratto si arresta e si volta per parlarmi. “Ci ho pensato molto e, so che queste cose non andrebbero programmate, mi chiedevo se domenica pomeriggio ti andrebbe di venire a casa mia. Insomma, passeremo il sabato sera in discoteca e poi dormiremo da Marco, il giorno dopo potresti venire da me già che ci siamo e...”. “Mi stai chiedendo di venire a casa tua per riprovare a fare sesso?”. Mi osserva sorpreso, effettivamente anch'io mi stupisco della mia uscita senza un pizzico di pudore. “Avrei usato dei termini più gentili per dirtelo, ma è proprio questo che intendevo. Comunque mia mamma sa già tutto, le ho detto che volevo di invitarti e ha deciso di andare al centro commerciale con le sue amiche fino alle sei e mezza. Credo abbia intuito le mie intenzioni e mi ha pure chiesto se ti andasse di fermarti da noi per cena”. Gli lascio un leggero bacio a fior di labbra. “Dovrò chiedere a papà, ma credo proprio sia un sì”. “Sappi che non so dove abbia messo quel preservativo e poi, anche se lo trovassi, dovrei pur sempre far rifornimento”. “Beh, c'è una farmacia poco dist...”. “No, niente farmacie” . Assume un'espressione quasi disgustata. “Preferisco i distributori automatici, non so se hai presente”. “Perché? Da queste parti non ce n'è nessuno e poi c'è più varietà in farmacia”. “Perché tutta questa fretta? Ho una moto, due gambe, posso arrangiarmi”, dice con la fronte corrugata mentre le mie goti sembrano prender fuoco. “Ah, ho capito...vuoi vedere di persona”. Rialzo lo sguardo. “Guarda che non devi vergognartene, è normale...credo”. Sgrano gli occhi. “Hey, sai che scherzo sempre”. Ride. “Non devi mai prendermi troppo sul serio, dovresti saperlo. Andremo a prenderli domani, casomai”. Mi scocca un bacio sulla fronte. “Ora andiamo a prendere il cambio, la lezione con la Saenz ci aspetta”. Sbuffo e piagnucolando dico: “Oggi non ho voglia di far motoria!”. “Quando mai tu hai voglia di fare un movimento maggiore del tragitto letto-divano?”. Sciolgo la mia mano dalla sua e gli punto un dito contro. “Vargas, smettila di importunarmi col tuo sarcasmo sennò finisce male. Ho molto, moltissimo materiale per sfotterti in giro”. Allarga le braccia. “Non ti si può dir niente”. “Cose tipo 'Tesoro dopo ti porterò la borsa' oppure 'Ti trovo veramente incantevole' suonano così estranee? La galanteria dove la mettiamo?”. “Non è nel mio stile”. Scuoto il capo e proseguiamo fino agli armadietti, ognuno apre il suo ed estrae il proprio cambio. Lui lo chiude e mi raggiunge. “Per favore me lo tieni un secondo?”. Gli passo la borsa e continuo a frugare nell'armadietto alla ricerca del sacchetto con le scarpe da ginnastica. “Tipo mettere tutto in una sola borsa?”. “Taci”. “Ma quante cose hai qua dentro?”. Con una mano posata sull'anta, mi volto scocciata verso di lui. “I cazzi tuoi?”. Punto l'occhio e noto che ha posato le mie cose a terra. “Una cosa ti ho chiesto: tenermelo per un secondo”. “Ma sul gruppo della classe continuano a mandare messaggi e avevo la coscia che vibrava!”. Raccolgo rabbiosamente la borsa e me la metto sottobraccio. “Sei utile come un freezer in Groenlandia”. Riprendo la mia ricerca. “Brava, tu continua a cercare. Se non ci fosse il tuo Leon che guarda cosa stanno scrivendo sul gruppo della classe, staresti qua fino a stasera. Hanno detto che la Saenz è assente per cui ci sarà supplenza”. Lo guardo con occhi sognanti, quasi mi commuovo. La Saenz non ha mai saltato una lezione da quando sono in questa scuola, è un evento di proporzioni epiche. “Non mi stai prendendo per il culo, vero?”. Scrolla le spalle. “No, lo hanno detto in tre: Napo, Federico e Nata. Loro sono già in palestra e li ha avvertiti un bidello”. Getto il cambio dentro l'armadietto e chiudo il lucchetto, Dio solo sa quanto mi sento realizzata in questo momento. “Andiamo?”. “Tu porti il cambio lo stesso?”. “Sì, facciamo una partita di basket amichevole tanto per passare il tempo”. Scoppio a ridere. “Certo che hai un concetto di divertimento!”. “Ha parlato quella che passa pomeriggi interi a guardarsi i video del Dottor CuloCane”. Inarco le sopracciglia. “Sono estremamente divertenti se sai cogliere l'umorismo fine che c'è dietro, ma tu preferisci un altro tipo di umorismo evidentemente”. “Sono stronzate, non umorismo fine. 'Sai qual è la città in cui si lavano i tonni? Washing-ton', ma sei seria?”. “Si chiamano freddure per un motivo, infatti. Sentiamo, spiritosone: dimmi una battuta che reputi divertente”. Ci pensa per alcuni secondi, poi dice: “Un pene chiede ad una vagina: 'Posso entrare?', lei scocciata gli rifila un no secco. Allora le dice: 'Bene, faccio il giro da dietro'”. Strizzo gli occhi inorridita mentre lui se la ride con una mano posata sull'addome. “E questa dovrebbe far ridere? Ma è squallida!”. “Tu non sai apprezzare l'umorismo sconcio che, personalmente, adoro”. Il suono della campana interrompe la nostra conversazione, mi avvolge un braccio attorno al collo e ci dirigiamo verso la palestra. Nei corridoi si riversa un fiumana di studenti e ci tocca farci spazio fra la gente. Gli sguardi sono più taglienti di lame a mio parere, tutti ci scrutano dall'alto al basso e so già a cosa pensano: non sono abbastanza per lui. Ci ho pensato proprio ieri sera e finalmente ho capito, ci osservano o meglio osservano me perché si domandano evidentemente cosa ci faccia una sfigata come me accanto ad uno dei ragazzi più desiderati del liceo. Stanca delle occhiate, levo rapidamente il braccio di Leon dal mio corpo e con passo spedito, pure con qualche spinta, esco fuori da quella morsa soffocante di persone. Sono di fronte alla porta della palestra. “Si può sapere cosa ti è preso?”, chiede appena sbucato fuori dall'intoppo. “Niente...”. “Ragazzi, anche voi qua? Sbrighiamoci che siamo in ritardissimo!”. Ci voltiamo entrambi verso la provenienza di una voce familiare, quella di Broadway. “Sì, andiamo”. Loro entrano lasciandomi ferma sulla soglia, non ho avuto nemmeno il tempo di spiegare. Non me ne frega niente di ciò che pensa la gente, ma in questa situazione mi sento continuamente giudicata e troppo sotto pressione. Sembra si aspettino qualche passo falso da lui, qualche stranezza da me...vogliono qualcosa di cui parlare. Ed io detesto essere al centro dell'attenzione e fatico ad accettarlo. Infondo, però, se sto con lui dovrò pur imparare a conviverci, so già che non potremmo mai avere una storia che sia completamente privata e intima. Vorrei solo avere il potere di scomparire all'interno delle mie felpone oversize.

 

 

“Indovinate di chi sto parlando? Fa rima con sottana”, domanda Nata. “Ludmilla”, dice Camilla emettendo quasi un sibilo. “In verità sarebbe stato 'puttana', ma sei andata subito al sodo”, Fran sorride trionfante e sorseggia un po' di succo di mela. “Quindi bisogna fare una mappa concettuale sul paragrafo della politica estera della Roma imperiale?”, chiedo masticando l'estremità di una matita e fissando il libro di testo. “Guardala come si appolpa a Federico, non la sopporto!”. “Non è che con Marco sia tanto meglio, eh?”. “E con Maxi? Gli sta sculettando praticamente in faccia”. Alzo lo sguardo con un sopracciglio inarcato. “Qualcuna di voi mi caga sì o no?”. “Non ho la forza né la voglia di studiare”, mi liquida Francesca. “E allora cosa ci siamo messe in cerchio coi libri di storia a fare?”. “Era tanto per mostrare al supplente che stavamo facendo qualcosa di produttivo”. Cami scrolla le spalle per poi aggiungere: “L'unica ragazza in mezzo a tutti i maschi della classe, ridicola!”. Roteo gli occhi. “Perché non andate a giocare invece di fissarli come stalker da lontano? L'hanno chiesto anche a noi”. “No! Non so giocare a pallacanestro, mi farei la figura della scema”. Nata chiude il libro che tiene fra le gambe e lo getta in avanti mentre le altre annuiscono alla sua affermazione. “Va bene, non c'è verso di ragionare con voi”. Mi metto con la schiena appoggiata al muro a guardare anch'io il match, effettivamente la strega non si presenta di certo come una santa: shorts neri somiglianti ad un paio di mutande e top rosa shocking, la vedrei benissimo sotto un lampione il sabato sera. “Che poi non sa nemmeno lei giocare a basket, cosa ci fa là in mezzo?”, dice la mia migliore amica. “Non è così impedita come credi, è solo un modo per attirare l'attenzione e farsi aiutare”, sentenzio. La osservo atteggiarsi in mezzo il campo e ridere per ogni minima stronzata, il brutto è che gli altri le danno corda. Odio Ludmilla di qua, odio Ludmilla di là e poi ci scherzano assieme. Uomini, contraddittori come poche cose. Danno punizione alla sua squadra e lei si sbraccia per poter fare il tiro libero, afferra il pallone fra le mani e si prepara per tirare. Tutto ad un tratto di ferma e con un dito poggiato su una guancia e la palla in una mano dice: “Adesso che ci penso, i tiri liberi non li so fare. Ho bisogno di qualcuno che mi aiuti...Lyon?”. Serro entrambi i pugni e stringo i denti. “Io? C'è Broad che è più bravo di me”. “Ormai ho scelto, su sbrigati! Non abbiamo tutta la giornata”. Lo intima con un gesto della mano a venire verso di lei e, dopo un tentennamento iniziale, la raggiunge. Sbatto un pugno nel parquet in legno. “Dicevi?”. Mi volto rabbiosa verso Cami fulminandola, poi torno a guardare la partita. I loro corpi combaciano e lui tiene le mani sopra le sue per poter lanciare la palla, ho il cervello in ebollizione e sento che scoppierà da un momento all'altro. “La uccido, la uccido...prima o poi la strangolo”, bisbiglio fra me e me ad occhi chiusi. Sento esultare, riapro le palpebre e vedo che hanno fatto canestro. Una sola cosa serve a farmi scattare: la visione di lei che lo stritola per il collo mentre lui, chino, cerca di staccarsi. Mi alzo rapidamente in piedi sotto gli sguardi confusi delle mie amiche, prendo un elastico dalla tasca e mi lego i capelli in una coda di cavallo. “Cos'hai intenzione di fare?”, chiede Nata allarmata. “Vado a giocare”. “Ma tu sei allergica allo sport!”, dice Fran cercando di farmi ragionare. “Da oggi non più”. Con determinazione, do le spalle alle ragazze e mi dirigo verso il centro della palestra. Affianco Napo che si è improvvisato arbitro dirigendo l'incontro. “Vorrei giocare anche io”. Si gira verso di me allibito per poi dirmi: “Capiti proprio giusta perché dopo questo periodo di gioco ci sarà un'altra partita. Braco è rimasto fuori perché sennò le squadre sarebbero state dispari, ma ora può benissimo giocare. Mmm...sarai nella squadra composta da Marco, Maxi, Diego e Andrès, ti va bene?”. Annuisco decisa alzando leggermente un angolo della bocca, i miei avversari saranno Leon, Broadway, Federico, Braco e...Ludmilla. “Certo, non vedo l'ora”. Napo dichiara la fine del match e le squadre fanno cambio di campo, ha vinto quella del mio ragazzo. “Da adesso giocheranno pure Violetta e Braco rispettivamente nella squadra capitanata da Marco e da Federico”. Io e Braco entriamo in campo ognuno nella propria squadra, Leon mi fissa accigliato ed io per tutta risposta faccio le spallucce proprio come fa lui spesse volte. Al centro si posizionano i saltatori, ossia Andrès per noi e Leon per loro. Napo getta il pallone al centro e straordinariamente Andrès riesce ad avere la meglio portandolo dalla nostra parte. Diego prontamente lo afferra e si avvia rapidamente come noi verso la metà campo avversaria facendolo rimbalzare a terra, si arresta e lo passa a Maxi che immediatamente lo lancia a Marco. Senza essermene resa conto, sono quasi sotto il canestro e mi trovo nella posizione più favorevole. Mi volto all'indietro ed agito un braccio in modo che mi noti, ci riesce e me lo passa. Per un pelo non veniva intercettato da Broadway! Con la palla salda fra le mani fisso concentrata il cesto, dopodiché il mio sguardo scende al di sotto e vedo la tarantola in difesa mentre mi sta venendo incontro. Ho poco tempo per pensare, anche se tutti i suoni sono distanti riesco a sentire gli urli dei miei compagni di squadra che mi dicono di tirare. I ventiquattro secondi stanno scadendo. Prendo un respiro profondo ed istintivamente getto con forza il pallone contro il viso di Ludmilla, la quale cade rovinosamente a terra davanti a tutti. Il gioco viene fermato, tutti corrono da lei ed io sono impassibile di fronte alla scena. Che cosa ho fatto?

 

 

“Che cosa hai fatto?”. Sono seduta su una panchina nello spogliatoio femminile con una mano poggiata sul labbro inferiore, Ludmilla me l'ha spaccato rifilandomi un pugno quando sono andata da lei per scusarmi poco dopo l'accaduto. “Non lo so...”, mugugno. Leon si siede accanto a me con una borsa di ghiaccio. “Togli la mano dalla bocca”. Faccio quanto mi dice e, dopo aver osservato sommariamente la botta, mi posa il sacchetto sulla bocca. Assumo una smorfia di dolore al contatto gelido, ma subito provo una sensazione di sollievo. Mi sento una stupida. Siamo uno di fronte all'altro, io con lo sguardo basso e lui intento a reggermi il ghiaccio. “Quando sarai in vena di dirmi qualcosa?”. Lo guardo negli occhi e piagnucolando rispondo: “Quando il labbro finirà di farmi male”. Sorride scuotendo il capo. “Seriamente, bimba”. Sospiro profondamente e tolgo dalla sua mano la sacca per reggermela da sola, così lui abbassa il braccio. “In verità non so cosa mi sia preso...l'ho vista là davanti a me e senza pensare le ho gettato la palla addosso”. “Ho fatto qualcosa di sbagliato?”, mi chiede. “No, tu non hai fatto nulla. E' lei che si attacca come una cozza, soprattutto a te”. Mi accarezza la gamba dolcemente. “Sarà la centesima volta che ti ripeto che Ludmilla per me non significa niente, né nessun altra”. “Non è solo per questo, ieri ha avuto la faccia tosta di venirmi ad accusare di averle rubato il ragazzo e la migliore amica”. Sgrana gli occhi. “Vilu, perché non me l'hai detto? Avrei provato a dirle qualcosa”. “Non è stato necessario, ci sono riuscita benissimo da sola a schiacciarla. Anche se sapevo che avrebbe contrattaccato in qualche modo e, a quanto pare, ha voluto cominciare col riprendersi te”. Faccio un breve pausa per risistemarmi la borsa. “Scusami se ti ho messo in imbarazzo”. Aggrotta la fronte. “In imbarazzo?”. Sospiro tristemente. “Sì, in palestra c'era anche un'altra classe e mi sono fatta una brutta figura coinvolgendo anche te”. “Guarda che a me non impor...”. “La gente non mi ha mai visto alla tua altezza qua a scuola, tutti mi hanno sempre vista come una sfigata ammesso che mi abbiano mai notata. Sei sempre uscito con ragazze meravigliose dal punto di vista fisico dal carattere forte e sicuro ed ora ti fai vedere in giro con uno sgorbio amorfo e costantemente complessato come me. Tutte le tue ex hanno un fisico da modelle, mentre io d'estate se posso evito di mettermi in costume per il ribrezzo che mi fa la sola vista del mio corpo mezzo nudo. Loro ci sanno fare con i ragazzi, mentre io mi limito a fissarli timidamente da lontano durante la ricreazione. Se vogliono qualcosa lottano per averla, io invece se realizzo che è difficile da raggiungere preferisco rinunciare in partenza. Detesto i posti affollati e le feste, sono praticamente intollerante alle persone. Loro non vivrebbero senza vita sociale. Odio essere al centro dell'attenzione, ma stando con te è impossibile. Non mi piace il contatto fisico con chi non conosco o è solamente mio conoscente, mi sento impazzire quando per sbaglio mi vengono addosso o continuano a toccarmi. E nonostante mi comporti come se non me ne fregasse di niente e nessuno, una minima stronzata basta per ferirmi e farmi soffrire per ore, giorni, mesi”. Mi posa una mano sulla guancia accarezzandomi col pollice. “Lo sai che non dovresti farti problemi, mi piaci perché sei diversa da qualsiasi ragazza abbia mai incontrato. Perché vedi solo gli aspetti negativi? Quando ti guardo vedo una ragazza dolce che si nasconde dietro ad una maschera di acidità, intelligente ed estremamente divertente con il suo sarcasmo. Bellissima anche se non se ne rende conto, molto più bella e in gamba di tante altre solo che ha paura di mostrarsi più del dovuto quindi preferisce rimanere nell'ombra. Ha moltissime qualità: sa disegnare, scrivere poesie, cantare, suonare e comporre però si svaluta in continuazione. Cocciuta e ferma nelle sue posizioni, devota allo studio e assetata di conoscenza. La sai una cosa? Lei ha un carattere forte, uno dei più cazzuti che avessi mai conosciuto. Non è scialba come afferma di essere, ha visto in faccia la morte ed è riuscita ad uscire da un vortice di depressione. E' solamente timida, ma se superasse il suo blocco non le manderebbe a dire a nessuno perché non ha peli sulla lingua e dice sempre ciò che pensa anche se sbagliato. Ma, cosa più importante, è in grado di amare incondizionatamente anche se non è brava a parole, lo dimostra bensì coi fatti. Sarebbe in grado di far sciogliere perfino i cuori più gelidi e insensibili con l'amore che sa dare...”. Toglie il palmo ed abbassando lo sguardo aggiunge: “...ed ha fatto innamorare pure me”. Poso il ghiaccio dietro di me e, sorridendo quanto il labbro mi può permettere, prendo il suo viso fra le mie mani e lo bacio dolcemente. Devo sopportare, lo devo fare per lui. Imparerò a lasciare che le occhiate della gente mi trapassino come fa sempre lui del resto. Ci stacchiamo e con un sorrisetto timido dice: “A volte sento di non meritare il tuo amore”. “Perché?”, sbotto. “Perché sei troppo buona con uno che in pratica era uno pseudo criminale”. “Shh, non voglio più sentir parlare di questa storia né dei nostri passati. Godiamoci il presente, ciò che siamo diventati. Domani ci sarà la festa di Maxi al 'Kaleidoscope' e ci divertiremo un sacco, poi dormiremo tutti insieme da Marco e domenica verrò a casa tua. Sarà uno dei weekend più belli della nostra vita!”. Assumo un'espressione euforica e, con la bocca spalancata, agito le mani come una bambina al luna park. “Questa è un'uscita molto alla Francesca”, dice ridendo. “Vero? Quella donna mi contagia”. “Un po' di sana positività non ti fa di certo male”. Mi dà una leggera pacca sulla spalle, io invece di slancio lo abbraccio. Ho bisogno del suo calore, del suo contatto, del suo corpo per sentirmi completa, integra. Solo con lui non provo la costante sensazione di dovermi frantumare in mille pezzi da un momento all'altro. “Avete finito di amoreggiare, piccioncini?”. Rapidamente ci ricomponiamo e ci voltiamo verso l'entrata dello spogliatoio. “Maxi, cosa...”. “Non fraintendete, non sono venuto qua per interrompere qualunque cosa steste facendo. E' stato il supplente a chiedermi di venirvi a cercare per farvi tornare di là perché è preoccupato, insomma...Ludmilla ha rifilato un pugno a Vilu che, dopo essersi coperta il volto, è scappata nello spogliatoio perdendo sangue dal viso. Ha tutte le ragioni per esserlo, non credete?”. Si mette a braccia conserte e si poggia con una spalla allo stipite della porta. “Hai ragione, adesso arriviamo”, gli rispondo sorridendo e se ne torna in palestra. “Che casino che ho fatto”, ammetto ridacchiando. “Effettivamente eravamo tutti un 'pochino' preoccupati, c'erano le ragazze che si stavano per precipitare subito da te, ma le ho fermate in tempo. Credevo avessi avuto bisogno di qualcuno più pacato e poi ci tenevo a parlarti perché l'unico motivo che giustifichi questo episodio con Ludmilla alla fine sono io, comunque è stato veramente carino da parte loro. Hai delle vere amiche. Ora torniamo, va! Sennò viene a prenderci direttamente il supplente e penso tu voglia finirla subito questa storia”. “Ovviamente”. Ci alziamo in piedi e raccolgo la borsa del ghiaccio, mi porge la mano. “Posso prenderti per mano o rischiamo di finire sulla copertina del giornaletto scolastico?”. “Scemo”. Gliela afferro e raggiungiamo la nostra classe, appena metto piede nella sala da ginnastica vengo circondata dalle ragazze in un tripudio di “Stai bene?”, “Ti sei fatta tanto male?” e “Cosa è successo?”. Mi sento un po' a disagio per tutte queste attenzioni, poi mi giro per guardare Leon negli occhi. “Vai con loro”, mi sussurra. Gli lascio un bacio sulla guancia e mi avvicino alle mie amiche che mi prendono sottobraccio portandomi nei materassoni per poter parlare. Prima di sedermici, mi volto in sua direzione e mi sorride scuotendo il capo. La vita è un susseguirsi di alti e bassi, di gioie e dolori. Quando pensi che tutto sia perduto, faccia schifo e vada per il verso storto, faresti meglio a guardarti attorno attentamente. Il tuo salvatore potrebbe essere più vicino di quanto credi, è la tua unica possibilità di stravolgerti l'esistenza, di ricominciare a vivere una vita degna di essere chiamata così. Questo tipo di persone sono silenziose e capirai che sono tali solo quando avrai dato loro modo di farsi conoscere, per me sono paragonabili a dei doni che vengono fatti ma che solo pochi sono in grado di riconoscerli e apprezzarli. E il regalo che mi è stato fatto porta il nome di Leon.

 

 

ANGOLO DELL'AUTRICE

Greta è tornata, più forte e più cazzuta di prima (?). Ciao bellissimi, come state? Come avete visto il problema al pc è stato risolto comprandone uno nuovo, sono fortunatissima eh? Ho notato che in diversi mi hanno contattata e la cosa mi ha riempito di gioia perché ho potuto constatare l'affetto che provate per questa storia, grazie di cuore per il sostegno. Oggi vi invito a fare una riflessione profonda: avete mai incontrato una persona in grado di stravolgervi la vita? Non dev'essere per forza un fidanzato, può essere anche un familiare, un'amica o una persona che non avevate mai considerato. Io no, con la sfiga che ho non ho mai incontrato una persona del genere tanto da considerarla 'salvatrice'. Però so che le persone di cui mi circondo mi vogliono bene sul serio e mi amano per ciò che sono, anche se sono una manciata quelle a cui tengo. Grazie a queste personalità sono riuscita a superare i brutti periodi e credetemi se vi dico che ne ho passati anche troppi per la mia età. Anyway, chiusa la parentesi 'heart to heart', vi chiedo: sareste così gentili da dirmi cosa ne pensiate del capitolo con una recensione? Sono un po' pazza, ma non mordo mica u.u Ah, voglio rendervi partecipi del mio sclero quando ho visto che l'ultimo capitolo ha ricevuto ben DICIOTTO RECENSIONI, siete fantastici! Non potrei chiedere lettori migliori:') Grazie a tutti voi che recensite, a chi mette la storia fra le seguite, le preferite e le ricordate.

E' inutile che vi dica che nel prossimo capitolo ci saranno novità, è palese. Ci sarà la festa!

Un bacio e stay tuned,

Gre

Ritorna all'indice


Capitolo 18
*** Capitolo 18 ***


                                                                           CAPITOLO 18

 

 

 

Camminiamo mano nella mano lungo il viale raggiungibile dal retro della scuola, la settimana è finita e finalmente possiamo rilassarci e concederci una pausa dai pensieri legati allo studio. Sarà Leon ad accompagnarmi a casa, stamattina è passato a prendermi in moto senza che lo sapessi e devo ammettere che non mi è dispiaciuto per niente non prendere l'autobus. Alla fine della strada c'è una piazza, dobbiamo far tappa in farmacia e dopo in paninoteca. Sì, la farmacia. “Senti, mi spiace per ieri sera. Ho cercato di fermarlo, ma...”. “Tranquilla, veramente. Mia mamma è stata ben disposta a mentire per noi”, mi risponde sorridendo. Scoppio a ridere, che situazione assurda. Papà ha telefonato a Lucia col telefono fisso per sapere se domenica sarebbe stata a casa tutto il giorno, evidentemente non vuole lasciarci soli in una casa libera. Ovviamente lei l'ha rassicurato dicendo che non ci avrebbe mai perso di vista, anche se starà fuori tutto il pomeriggio con le sue amiche. “Ha iniziato a chiedermi come mai sono sempre a casa tua ultimamente, cos'ho da nascondergli, perché usciamo sempre più spesso. Gli ho semplicemente risposto che ci siamo messi insieme da poco, ma seriamente”. “E come ha reagito?”. Sospiro. “Saresti disposto a cenare con tutta la mia famiglia? Comprese Angie e nonna, s'intende”. Inarca entrambe le sopracciglia palesemente stupito. “Oh, wow...quanta gente”. Si schiarisce la voce. “Perché no? Sarà un'occasione per parlargli del concerto e del viaggio”. Mi mordo la guancia da dentro. “Anche tua madre è invitata...”. Stacca la mia mano dalla sua, ormai siamo arrivati in piazza. “Cosa? Aspetta...che? Cosa cazzo...non dobbiamo mica sposarci o aver figli!”. Gli accarezzo dolcemente il braccio. “Calmati, andrà bene. E' solo maniaco del controllo e desidera veramente conoscervi, ma con tutte le buone intenzioni del mondo. Fa sempre così...in verità non ho molti termini di paragone, anzi no: neanche uno perché sei il mio primo ragazzo. Credo sia per questo che vuole conoscere te e la tua famiglia, ci tiene sul serio. Ovviamente puoi rifiutare, eh? Ma pensaci, per favore”. Fa un smorfia di disagio misto confuso, sembra abbia una colica. “Dovrò vestirmi elegante, vero?”. “Oddio, una camicia e una paio di jeans basteranno. Insomma, non vorrai mica venire in tuta!”. Osserva pensieroso un punto indefinito sopra di me ed espira dalla bocca facendo fuoriuscire una nuvola di condensa. Nonostante febbraio sia alle porte, il freddo è ancora penetrante. “E' solo che...non sono bravo in queste cose, mi sento come se...è strano da spiegare”. Mi metto a braccia conserte. “Sono strana pure io, quindi puoi dirmi dove sta il tuo problema”. Si gratta dietro la nuca. “Insomma, non ho mai conosciuto le famiglie delle mie ex e mi sembra tutto così strano, pressante. Mi sento carico di un responsabilità enorme...e se non piaccio a loro? E se mia mamma risulta antipatica?”. Sghignazzo. “Che c'è da ridere?”. “Rido perché in pratica conosci due terzi della famiglia e sai già che hai fatto una buona impressione a papà, ad Angie stai simpatico e nonna Angelica, beh...non importa ciò che dirai, sei un bel ragazzo e gli andrai bene comunque”. Ora è lui a ridere, sembra gli abbia tolto un peso dalla coscienza. “E poi tua mamma è l'amore, come farà a non piacerli?”. “Non sottovalutare quella donna, stai sempre all'erta quand'è nei paraggi”. Gli do una pacca sulla spalla. “Ma va, va!”. Mi sorride per poi dire: “Ne parlerò con mamma domani, comunque”. Riprendiamo a camminare e finalmente raggiungiamo la farmacia, l'agitazione ha la meglio quando saliamo i gradini ed entriamo. Perché mai dovrei essere ansiosa di comprare dei preservativi? Semplice, non l'ho mai fatto. Dentro ci sono un'anziana al banco intenta a decifrare assieme al farmacista una ricetta del medico, con quella calligrafia a zampa di gallina che possiedono non mi sorprende che nessuno la capisca, un uomo sulla quarantina nel reparto premaman e una signora che stringe la mano di un bambino sui cinque anni che continua a tossire e starnutire. Secondo i tg locali è in giro l'influenza più potente degli ultimi decenni, più o meno la stessa storia che ripetono puntualmente ogni inverno da anni. Senza essermene resa conto, Leon si è già avviato nel ripiano dove sono esposti tutti i tipi di profilattici. Aguzzo la vista per vedere quanto c'è scritto nelle scatolette: 'Ultrasottile per la vostra lei', 'King size', 'Emozioni tropicali', 'Intramontabile classico', 'Tempesta d'Oriente'...certo che ne hanno di fantasia le ditte di preservativi! Improvvisamente il mio sguardo si blocca a fissarne una con su scritto 'Performance' ed aggrotto la fronte. “Oh, ma con performance cosa cambia?”. Cazzo, l'ho urlato praticamente. L'uomo si gira e ci lancia un'occhiata divertita, quanto vorrei sprofondare in questo momento. “Vilu, se non la smetti di urlare sarò costretto a farti uscire e ad arrangiarmi. E' già per me un grande sforzo essere qui”, mormora. Abbasso lo sguardo imbarazzata e con tono fievole dico: “Scusami...”. Mi posa una mano sulla spalla. “Fa niente, piccola. Ad ogni modo, quello è semplicemente un ritardante”. “Cioè?”. Rotea gli occhi ed assume un'espressione come per dire 'Ma proprio tutto ti devo spiegare?'. “Ha una specie di anestetico che fa ritardare l'eiaculazione, in modo che il rapporto duri di più e sia una migliore 'performance'”. All'ultima parola mima le virgolette con entrambe le mani. “Ah”. Come ho fatto a non pensarci? Allunga una mano verso lo scaffale ed afferra una scatoletta, osservo ciò che ha preso: i classici. “Perché quelli?”. Si volta all'indietro, era già diretto alla cassa. “Costano di meno”. “E se io volessi, chessò, che profumassi di papaya? O di mirra?”. Si passa una mano sulla fronte, dopodiché mi strattona e mi attira da lui. “Dovrei avere voce in capitolo pure io, dovresti venire incontro alle mie esigenze!”. Il bimbo col moccio che gli gocciola dal naso ci fissa come se fossimo la cosa più strana che avesse mai visto, sua madre sta pagando ed è davanti di noi. “Taci, non sai nemmeno quali siano le tue esigenze”, mi sussurra a denti stretti. “Ti sto mettendo in imbarazzo?”. Serra le palpebre inspirando ed espirando profondamente. “No, ma se chiudessi la bocca mi sentirei di certo meno a disagio!”. Ora è lui ad aver gridato, l'uomo del reparto premaman, cosa ci faccia ancora là non si sa, ci guarda di nuovo trattenendo una risata. Alzo le mani a mezz'aria in segno di resa. “Scusa, allora sto zitta”. La donna riprende per mano il piccolo e se ne va lanciandoci un'occhiata stizzita. Posa i preservativi sopra il bancone e il farmacista lo raccoglie per impacchettarlo inarcando le sopracciglia, cosa c'è che non va? Non ha mai visto quei cosi in vita sua? “Vuole qualcos'altro, signore?”, chiede senza nemmeno guardarci o meglio, guardarlo in faccia. “No, direi che siamo apposto così”. Finito di ricoprirlo di carta, glielo porge e chiede: “Non so, lubrificante per la signorina? Oppure un anello vibrante per il piacere della vostra lei? Pillola anticoncezionale?”. Adesso è me che guarda, picchietto il piede sul pavimento e contraggo la bocca in un sorriso innaturale. Mi ha posto delle domande che probabilmente per lui sono pane quotidiano, a me più che altro sembra invasione della privacy. Il tizio di prima è dietro di noi in coda, tiene in entrambe le mani ciucci, biberon e quant'altro. Mi balena per un secondo l'idea che non voglio aver figli, non ora almeno. Non voglio finire in programmi squallidi come 'Sedici anni e incinta', per cui senza pensare rispondo: “Una confezione di pillole anticoncezionali, grazie”. Leon si avvicina al mio orecchio, probabilmente per evitare figure come quelle precedenti, e mi bisbiglia: “Certo, finché a pagare sono io”. “Guarda che dopo i soldi te li do se ci tieni così tanto, spilorcio!”, dico mantenendo un tono di voce come il suo. “Lascia stare, non serve che tu me li renda”. Ricevuto lo scontrino, paga la cifra dovuta e, dopo aver avuto il resto, usciamo finalmente dalla farmacia. Stringo i nostri acquisti e, appena scesi dalle scalette, me li strappa via dalle mani. “Questi li tengo io”. “Hey!”. Cerco di saltare per prenderli, ma allunga il braccio in alto e praticamente mi diventa impossibile. “Almeno dammi le mie pillole!”. “No!”. Faccio un altro balzo appena vedo che rilassa il braccio, ma ha buoni riflessi e lo rialza subito. “Ma a cosa ti servono? A meno che tu non abbia le ovaie! Mi stai nascondendo qualcosa, Leon? Non sarai mica un transgender?”. “Ma cosa cazzo...”. Sentiamo una voce schiarirsi e di scatto ci voltiamo. “Dovrei passare, state bloccando il passaggio...”. “Oh sì, certo...ci scusi”. Il mio ragazzo si scosta, io invece mi limito ad osservare la piazza circostante con aria vaga sperando con tutta me stessa che se ne vada al più presto. Tre figure di merda consecutive con uno sconosciuto, un record. Quando l'uomo è abbastanza in lontananza, ci spostiamo il più distante possibile dalla farmacia. Si infila le cose nella tasca del giubbotto e mi posa le mani sulle spalle sospirando. “Potresti cercare di fare la persona normale per un'ora?”. “Chiedi troppo, facciamo mezz'ora”. “Quarantacinque minuti”. “Ci sto”. Ci fissiamo per alcuni secondi con sguardi di sfida, ma ci arrendiamo subito scoppiando in una fragorosa risata. “Seriamente, perché non vuoi lasciarmi le pillole?”. Sorridendo mi risponde: “Per il tuo bene, non sarebbe piacevole se le trovasse tuo padre. Vorrà di sicuro veder sgorgare il mio sangue, per cui è meglio non rischiare”. “Giusto, papà...ho afferrato il concetto”. Mi avvolge un braccio attorno alle spalle e mi lascia un bacio sulla tempia mentre ci dirigiamo verso la paninoteca, questo spiazzo ad un chilometro dalla scuola è comodissimo perché ci sono tutti i negozi di bisogno primario e nel locale in cui stiamo andando fanno dei panini buonissimi. L'hanno scorso mi fermavo spesso con Fran nel doposcuola a pranzarvici quando dovevamo studiare in biblioteca, la quale ovviamente si trova sempre qua. Diciamo che questo posto è frequentato perlopiù da persone del nostro liceo perché è molto vicino ad esso, la nostra scuola si può dire che sia in culo alla balena perché è da tutt'altra parte del caos del centro studi in cui ci sono praticamente tutti gli istituti. Sinceramente mi va benissimo così, una scuola isolata comporta meno gente e meglio di così si muore. Non ci manca nulla, abbiamo perfino questa piazzetta con tutto! Se ci vieni prima del suono della campanella o alla fine delle lezioni è un via vai di studenti dell'artistico, tanto che il posto in cui stiamo andando in principio aveva un altro nome ed ora si chiama 'Trattoria degli artisti'. Appena facciamo il nostro ingresso, una cameriera ci scorta fino ad un tavolo abbastanza appartato passando per un'arcata in pietra. Ci accomodiamo e ci lascia due menu, ognuno si mette a fissare il proprio e tra una cosa e l'altra passiamo dal parlare del cibo alla festa. Le premesse ci sono tutte per passare una bella serata in compagnia, l'importante è che nessuno abbia proferito parola a riguardo in giro. Se così fosse, ci terrei a non avere brutte sorprese.

 

 

Mi fermo davanti al letto osservando l'abito deciso per questa sera e non riesco a non farmi sfuggire un sorriso, è stata Angie ad accompagnarmi a comprarlo questa settimana altrimenti a papà non sarebbe andato bene nulla. E' nero con lo scollo a V, lungo fino a metà coscia, ha una fascia in vita in semipelle e dei lacci intrecciati sul retro appena sopra la cinta. Sono fiera del mio acquisto, in molti lo giudicherebbero dark ma non mi importa. Finché a me piace, sai dove mi metto l'opinione altrui? A dare il tocco di classe, però, sono le creepers nere borchiate. Metterò quelle al posto dei tacchi, tanto con la loro spessa suola caratteristica mi alzano di cinque centimetri buoni ed arrivare alla straordinaria altezza di un metro e sessantotto è un enorme traguardo. Ho optato, inoltre, per le calze a rete: spero che papà non si faccia molti viaggi mentali. Do un'ultima occhiata soddisfatta a ciò che indosserò fra poco, poi mi dirigo in bagno. Arrivata di fronte allo specchio, guardo compiaciuta il mio make up che mi è costato mezz'ora di intenso lavoro. Ho usato della matita e del rimmel, fatto la linea dell'eyeliner prolungata in modo da rendere gli occhi quasi felini e messo del rossetto rosso vermiglio sulle labbra in tinta con gli orecchini e il cardigan che utilizzerò per proteggermi dal freddo di gennaio. Mi sciolgo i capelli, li spazzolo ed afferro la piastra per potermeli lisciare. Non so perché, ma mi vedo meglio liscia che mossa. Improvvisamente sento bussare, di routine rispondo urlando con un vocione rude e scazzato che i migliori camionisti mi invidierebbero. “Chi è?”. Nessun rumore di passi. Strano, di solito papà o Angie mi sentono perché tengo la porta che collega il bagnetto alla mia stanza sempre spalancata. Aspetto ancora un po', poi ci riprovo. “Oh, mi dici chi sei?!”. Niente. Scrollo le spalle e penso che se fosse davvero una cosa importante sarebbero entrati senza fare tanti rituali cortesi, la cortesia non è propriamente una qualità della mia famiglia. Inizio a piastrare una ciocca, due, tre...un altro colpo ancora più forte, ma che vogliono? Rabbiosamente poso la piastra sopra il mobiletto e procedo con piedi pensanti come piombo fino all'entrata della mia camera, afferro la maniglia e, prima di aprire, urlo: “Adesso mi sentite: cosa avete in testa? Segatura? Vi ho ripetuto cento volte questo pomeriggio di lasciarmi in pace perché mi sto preparando, in più fate i burloni bussando e non rispondendo! A meno che non stia prendendo fuoco la casa non per mano della mia piastra, non vedo per quale altro motivo dobbiate rompere il caz...oh”. Di fronte a me ci sono le mie amiche con un'espressione alquanto spaventata. “Ciao ragazze, ehm...scusate l'irruenza, credevo fosse papà”. “E ti rivolgi così a tuo padre?”, chiede Nata sconvolta. “Solo quando mi molesta in continuazione rompendo l'equilibrio cosmico che si genera nella mia stanza quando sono sola”. Sono confuse più di prima. “Quando fracassa le palle continuando a bussare”. “Aah!”, esclamano all'unisono. “Entrate pure, accomodatevi dove volete”. Faccio loro cenno di entrare e fanno quando li ho intimato. “Questo vestito è la fine del mondo! Ti metterai pure le creepers e le calze a rete? Oddio, se questo è il tuo outfit credo proprio verremo messe in ombra per tutta la serata!”. Camilla stringe fra le mani il mio vestito e lo osserva come fosse oro colato. “Grazie mille, ma sei troppo esagerata! Anche voi tre siete meravigliose, veramente”. E non scherzo quando dico che sono tutte e tre bellissime. Nata indossa una camicetta leggera e svolazzante rosa antico inserita in una salopette i cui pantaloni arrivano poco più su del ginocchio, mentre ai piedi ha un paio di espadrillas bianche e nere. Anche se è acconciata bene, non oso pensare al freddo che patirà stasera! Il trucco più o meno rispecchia la sua personalità, ossia dolce e poco marcato mentre i capelli sono boccolosi come sempre. Fran invece ha un treccia che ricade a lato del capo e un vestito bianco a pois neri con del tulle del medesimo colore che spunta da sotto la gonna, porta degli stivaletti grigi ed una collana placcata in argento. E' truccata con un ombretto cenere, un lucidalabbra trasparente brillantinato e un po' di brush sulle guance. Camilla è vestita in una maniera veramente esuberante e frizzante, ricca di colori vivaci e molto originale. Ha i capelli sciolti e naturali, alla testa porta un nastro blu elettrico annodato da dietro e ai lobi degli orecchini con delle piume variopinte. Indossa una canotta monospalla magenta, una minigonna azzurro cielo e dei tacchi verdi. Sembra le sia esploso un arcobaleno addosso! Per quanto riguarda il make up, ha delle labbra rosee dovute probabilmente ad un gloss e gli occhi di un viola sgargiante. Sì, ho decisamente delle amiche strafighe. “Come mai siete passate?”. “Ci siamo messe d'accordo oggi alla ricreazione mentre tu eri alle macchinette con il tuo amato, volevamo farti una sorpresa”, risponde Francesca. Roteo gli occhi solo per il fatto che abbia chiamato Leon 'il tuo amato'. “Che pensiero carino, peccato che voi siate già preparate mentre io sono conciata peggio di una barbona”. Sposto lo sguardo su me stessa: maglione grigio enorme e sgualcito che fra un po' mi fa da vestito, pantaloni della tuta lilla e un paio di ciabatte dorate con paillettes. In questo momento sono l'antisesso, questo abbigliamento potrebbe essere usato come difesa in caso di stupro perché non si corre proprio il rischio ridotti in questo modo. “Sei...originale”. Cami non infierire, per favore. “Lo so che gli abbinamenti fanno cagare, non serve che cerchiate di farmi sentire meglio”. Scoppiamo a ridere tutte quante, è una situazione divertente. Loro sistemate per bene, io trascurata come una zitella gattara. “Ad ogni modo, mi manca solo da farmi la piastra e cambiarmi, poi ho finito”. Il viso di Nata si illumina tutto ad un tratto. “Posso piastarteli io? Ho sempre adorato fare le tinte, pettinare i capelli, lisciarli...e sono pure brava! Almeno, lo dice mia sorella Lena”. Le sorrido entusiasta, una scusa in più per evitare la rottura di coglioni che comporta farsi i capelli lisci. “Perché no?”. Emette una specie di urletto, dopodiché mi trascina in bagno. “Fate come se foste a casa vostra!”, urlo alle altre. Fran ormai è di famiglia e pure Cami ci è venuta alcune volte, ma mi sento in dovere di dirlo per dimostrare che un briciolo di educazione e finezza esistono fra queste mura. Anche se l'urlo ha stroncato la gentilezza della frase, ma si fa quello che si può. Mi siedo su uno sgabello e Nata mi acconcia i capelli raccontandomi di sua sorella, della sua vecchia scuola media, di come fare una perfetta messa in piega mentre io mi limito ad annuire di tanto in tanto. Razionalmente so che il mio corpo è qui, ma ho l'impressione che la mia mente sia da tutt'altra parte. E penso di sapere dove.

 

 

“Non la trovate una vigliaccata che i ragazzi si siano messi d'accordo per trovarsi un'ora prima?”, afferma Camilla stizzita. “Per fortuna che c'è Vilu che ci fa da spia”. Pongo le mani tra me e lei come per dire 'Alt'. “Per favore, gli avevo promesso che non ve l'avrei detto. Fate anche solo una parola a riguardo e vi faccio a pezzi, chiaro?”. “Vestita in quel modo, ti credo”, sussurra quasi impaurita Nata. “Bene, quindi mute”. Arriviamo davanti al buttafuori che ci chiede di mostrare i biglietti, perciò li esibiamo e ci permette di entrare. Le mie iridi vengono sopraffatte da un turbinio di colori diversi che creano fantasiose combinazioni sul pavimento, sui muri, ovunque. “Ora capisco perché si chiama 'Kaleidoscope'”, dice Fran ridendo. Lei è sempre così quando si tratta di andare a delle feste, appena sente la musica assordante e vede le luci stroboscopiche entra in fermento diventando la più festaiola delle festaiole. Non posso dire lo stesso di me, con tutto questo rumore e questa gente rischierò lo shock anafilattico. Però sono con i miei amici e col mio ragazzo, per cui farò uno sforzo. “Saranno già ubriachi marci...”. “Camilla, se non la smetti giuro che ti taglio la lingua!”. La mia migliore amica la mette in guardia, sembra seria ma tutte noi scoppiamo a ridere. “Pensiamo di rimanere ferme ad ostruire il passaggio ancora per molto? Cerchiamoli”. Se non ci fossi io a smuoverle, potremmo stare qua anche tutta la sera. Ci addentriamo fra la folla al centro della pista, questa discoteca è piuttosto piccola rispetto al Damn Night. Notiamo Broad poco distante da noi mentre gira col braccio attorno al collo di una bionda vestita in modo provocante, senza volerlo tutte ci voltiamo verso Cami. “Cosa vi avevo detto? Guardatelo il deficiente!”. “Pensaci bene, Cami: è single da un bel po' di tempo, se le può permettere certe cose perché non è impegnato”. La rossa lancia un'occhiata fulminea a Nata che si zittisce. Finalmente ci vede e ci viene incontro senza la tipa, grazie al cielo. “Ragazze, siete incantevoli!”. Ci saluta con un abbraccio, eccezion fatta per la sua ex. Devo ammettere che quando l'ho stretto ho avvertito l'odore pizzicante dell'alcool, non hanno perso tempo evidentemente. Leon. Come starà messo? Avrà rimorchiato anche lui come il suo amico? Mi strofino le mani nervosa. “La festa è fantastica”. “Marco dov'è?”. Oh Fran, come ti capisco. “Non lo so, dev'essere nei dintorni del piano bar. Abbiamo fatto una gara di shortini con diversi tipi di vodka, vi giuro che stavamo collassando dal ridere”, ci racconta in preda alle lacrime per le risate. Gara di shortini? Perfetto, noi arriviamo un'ora dopo e questi già cominciano con i superalcolici. “Sembra...divertente?”. Nata non sembra molto convinta dall'espressione. Improvvisamente Broadway mi indica e scoppia a ridere, è così esilarante il mio abbigliamento? “Non sto ridendo di te, rido ancora per prima. Ma il tuo ragazzo cos'ha al posto del fegato? Titanio? Se n'è scolati undici e ne è uscito indenne, non so come faccia! Mi veniva da vomitare all'ottavo e ci ho rinunciato, mentre le altre due checche si sono fermati a cinque o sei”. Inarco un sopracciglio, non ci vedo niente di buono in ciò. “Interessante...”. Cami ha parlato al posto mio, brava! Ecco che arriva Maxi con una bottiglia di rum in mano, Broad si volta e si abbracciano. Se la stavano godendo senza di noi a quanto pare... “Il nostro festeggiato! Hai visto che è arrivata...ops, volevo dire: che sono arrivate”. Gli arriva una gomitata, chissà a chi si riferisce. “Wow, ma che dico? Doppio, triplo, quadruplo wow! Siete bellissime, ragazze!”. Lancia uno sguardo sommario a tutte, ma è su Nata che si sofferma in particolare. Il bello è che ce ne siamo accorti tutti, mentre loro continuano a fissarsi con un mezzo sorrisetto da ebeti. “Beh, che ne dite se nel frattempo andiamo a cercare gli altri due?”. Fran esorta Broad con la mano cercando di non farsi vedere e lui, che in un primo momento aggrotta la fronte, dopo le fa 'okay' con una mano. “Sarà meglio che andiamo cercarli! Fran, Vilu...Camilla”. Esita prima di dire l'ultimo nome, Maxi si volta di scatto. “E noi?”. Lo liquido subito dicendo: “Voi aspettateci qui, intanto ballate, bevete un drink...insomma, fate qualcosa”. La nostra amica ci lancia uno sguardo allarmato, ma è troppo tardi perché noi ci siamo già infilati fra la gente facendo perdere le nostre tracce. “Vi accompagno velocemente, però, la mia bambolina mi aspetta sui divanetti e si premette una bella serata”, dice Broadway facendo una specie di balletto mentre Camilla rotea gli occhi sbuffando. Finalmente raggiungiamo il piano bar, ma troviamo solamente Marco intento a parlare con...Diego. Cosa ci fa qua? Ma soprattutto...Leon dove cazzo è? “Marco, Dieguito...guardate chi ho recuperato?”. Ci osservano e si estendono dei sorrisi sui loro volti, Diego mi guarda fin troppo insistentemente ma cerco di ignorarlo. “Siete...non c'è parole per descrivervi e tu, Fran, sei fantastica! Adoro la tua treccia e pure il tuo vestito, poi mi piace anche...”. “Sì, insomma, abbiamo capito che preferisci lei”, sbotta Diego facendoci ridere. E' la prima volta che trovo divertente qualcosa uscito dalla sua bocca. “E tu, Violetta, sei perfetta”. Mi mordo il labbro e arrossisco, perché sto avvampando? Me l'ha detto in una maniera strana, con una voce graffiante. “Leon?”, chiedo con voce quasi stridula. “Quando sono andato via era qua...”, mi risponde Broadway per poi aggiungere: “Ad ogni modo, io adesso vado. Anastasia mi aspetta, ci vediamo più tardi”. Ci fa l'occhiolino per poi andarsene, Cami sembra sollevata. “Era con Maxi prima”, mi dice Marco. Però adesso Maxi è con Nata, Broad con Anastasia e gli altri due davanti a noi. Lo stomaco inizia ad attorcigliarsi e farmi male, mi sta torturando da dentro ed impulsivamente poggio una mano sul ventre facendo una leggera pressione come se servisse a scacciare il dolore. Era da tanto che non provavo questa sensazione, avevo cominciato a non dubitare del suo amore per me. Inizio ad essere afflitta dai sospetti, infondo è l'insieme delle cose: come si è comportato alla studentesca l'ultima volta, il fatto che già a inizio serata sia carico di alcool, tutti l'hanno visto ma nessuno sa dove sia...mi strofino di nuovo le mani. “Beh, direi di lasciare soli i piccioncini”. Diego si alza dallo sgabello mettendosi fra me e Camilla. Mi distacco leggermente, non voglio averlo vicino. Il suo profumo di colonia è nauseante, ma al contempo piacevole. Ci allontaniamo da Fran e Marco senza una meta ben precisa, nel frattempo continuo a guardarmi attorno assiduamente alla ricerca di Leon invano. “Bene, adesso che facciamo? Siamo solo in tre...anzi in due, perché stai venendo con noi?”, domanda Cami irritata. “Sono tutte coppie, peggio di San Valentino cazzo! Broadway, poi, è single e se n'è trovata una in quattro e quattr'otto mentre io sono venuta qua solo per divertirmi e non pensare a nulla”. Sento lo sguardo di Diego puntato addosso, anche se fingo di non notarlo continuando a ruotare il capo cercandolo. Cercando lui. “Per fare le vostre cose da coppie avete tutto il tempo del mondo e vi mettete in testa di farlo proprio stasera, a quanto pare la vera festa è stata senza di noi”. Sospiro combattuta, dove sei? Ti prego, fatti vedere. “Oh, ma qualcuno di voi mi sta prestando attenzione?”. “C'è Federico...”, dico quasi sorpresa di ciò notandolo in lontananza. Aggrotto la fronte e mi volto di scatto verso di lei che invece mi guarda con gli occhi fuori dalle orbite. “Oddio, mi rimangio tutto ciò che ho detto! Statemi vicini per tutta la sera, per favore”. Si aggrappa al braccio di Diego, ma subito si ricompone rendendosi di conto di quanto appena fatto. “Perché semplicemente non vai là e gli parli?”, le chiede. Effettivamente me lo domando anch'io, tutto questo temporeggiare aggrava solamente la situazione. “Dite che dovrei?”. “Perché no? Fingi di averlo incontrato per caso e butti un argomento qualsiasi tipo il meteo, la scuola...che ne so vedi te!”. Ammetto che non è male come consigliere, potrei chiedere a lui un gior...ma che cosa sto pensando? Mai e poi mai. Sul viso di Cami si estende un sorriso raggiante e pigolando dice: “Beh, se la mettete così...allora vado, auguratemi buona fortuna!”. Le sorrido ed incrocio le dita di entrambe le mani a mezz'aria, poi se ne va. No, no, no. Ora sono sola con Diego. “Tutti impegnati a flirtare stasera, mi pare che tu stia a secco”, esordisce. “Non ne sento la necessità ”. Quanto mi urta quando fa così! “Secondo me il tuo 'fidanzatino' la sente eccome”. Lo fisso dritto in faccia e riduco gli occhi a due fessure. “Non c'è niente che tu possa fare per farmi dubitare di lui”. “Non si direbbe da come stai tremando”. Sghignazza divertito. “Mi fido di lui”. “Ah, sul serio? Allora perché sta parlando là infondo con quella tipa?”. Non scherza. E' seduto su un pouf azzurro intento a chiacchierare con una ragazza dai capelli rossi accessi, probabilmente tinti, e dagli abiti succinti. Sento il suo respiro infrangersi sul dorso del collo, si avvicina all'orecchio e mi sussurra: “Guardalo, guardalo come si diverte. Sta ridendo, sta scherzando e non si sta preoccupando di te. E' lì senza di te. Non si è preso la briga di chiamarti, di vedere se sei arrivata, di cercarti. Questo lo chiami amore, Violetta? Il lupo perde il pelo, ma non il vizio”. Deglutisco a fatica, ha ragione. Purtroppo, ha ragione. Allo stesso tempo però voglio fidarmi, voglio credere che Leon sia sincero e che non mi abbia riempito di bugie fino adesso. Le donne sono sempre state il suo punto debole, gli piace conquistarle. Ho ancora impressa nella mente l'immagine di lui che balla in modo spinto con una sconosciuta al Damn Night, ricordo quando si baciava con Ludmilla alla ricreazione o quando andava in giro per la scuola con Lara avvolta a sé. No, non devo pensarci. Non sono una delle tante, lui ha detto di amarmi. In verità ha detto che 'crede' di amarmi, ma non m'importa perché nessuna era arrivata a tal punto con lui. Allora mi passa fra i ricordi lui che piange sopra l'edificio scusandosi per essere semplicemente sé stesso, che mi invita a casa sua sebbene non ci abbia mai portato nessuno in vita sua, che parla sempre di me a sua madre, che fa di tutto per esserci quando ne ho bisogno. No, non sono una delle tante. “Fanculo, Diego”, sibilo a denti stretti. Mi allontano a falcate per avvicinarmi a lui, al ragazzo che amo. Vedo che alza lo sguardo e mi nota, sul suo viso si estende un enorme sorriso. Appena lo raggiungo, si alza in piedi e mi abbraccia per poi baciarmi sulle labbra. “Sei bellissima, bimba! Mi lasci senza fiato come sempre”. “Anche tu sei meraviglioso”. Indossa un paio di pantaloni bianchi abbastanza stretti e una camicia total black rigorosamente con le maniche arrotolate fino ai gomiti e leggermente sbottonata scoprendo la parte superiore del petto. “Ti devo presentare un persona: Vilu, lei è Mysteria”. La ragazza si alza per darmi la mano, ora vedo bene com'è vestita: ha una camicia a quadri rossa annodata appena sotto il seno in modo da lasciar scoperto l'addome, un paio di shorts dai bordi sfilacciati e degli stivaletti marroni. “Piacere, che nome strano”. Cazzo, potevo tenermelo per me! Entrambi scoppiano a ridere e mi sento in imbarazzo. “Non è il suo vero nome, bimba. E' un nome d'arte, lei fa la spogliarellista qua al Kaleidoscope”. “Ah”. Non sapevo che conoscesse delle spogliarelliste, anche se dovevo immaginarlo. “Come vi siete conosciuti?”, chiedo. “Conosco Leon da quando era ancora uno sbarbatello, tranquilla! E' come un fratellino minore per me”. “Quanti anni hai?”. “Ventidue, piccola, ma dì in giro che ne ho ventisei okay?”. Mi fa l'occhiolino ed aggrotto la fronte, perché mai dovrei mentire sulla sua età? “E' solo perché quando ha cominciato a lavorare era minorenne perciò ha mentito sulla sua età dicendo di avere quattro anni in più”, mi dice Leon capendo al volo che non avevo compreso il senso di quella frase. “Sono segreti professionali, assieme al mio nome reale ovviamente”. “Tu sai come si chiama?”, gli domando. “Sì, ci sono voluti anni prima che me lo dicesse però non posso dirtelo, mi spiace”. Mysteria mi dà una pacca sulla spalla e, ammiccando, mi dice: “Tientelo ben stretto, è un bravo ragazzo anche se vuole dimostrare il contrario”. “Certo, lo farò”. Si passa una mano fra la chioma rossa fuoco. “Ora vado, zuccherini, fra un po' comincia il mio orario di lavoro”. Ci saluta con la mano per poi mescolarsi con la folla. “Sei qua da molto?”. Mi sorride dolcemente. “Abbastanza per sentir parlare delle tue prodezze con gli shortini”. Si sbatte una mano sulla fronte ridendo. “Speravo che quelle tre boccacce restassero chiuse”. “Tu sembri apposto invece, Broad e Maxi sono partiti”. Scuote il capo. “Dopo la gara di shortini non ho più bevuto, non volevo mi vedessi ubriaco”. Fa una breve pausa. “Comunque sei stupenda, amore”. Attorciglio le braccia attorno al suo collo e guardandolo negli occhi chiedo: “Leon Vargas, sarebbe così galante da onorarmi di ballare assieme a lei?”. “Certo che sì, Violetta Castillo”. Ironia della sorte, parte proprio un lento. “Prima di infiammare l'atmosfera con le nostre Pussy Girls, volevo rallentare il ritmo per un secondo e lasciarvi scendere in pista col vostro partner o con la persona al vostro fianco. Ho visto che ci sono molte coppiette stasera e che dire di più? Distendetevi e ballate!”. Mi porge la mano con un inchino e, scoppiando a ridere, l'afferro. Mi trascina in mezzo alla pista accanto a tutte le altre coppie, con una mano mi cinge la vita e mi attira a sé e l'altra la tiene stretta alla mia. Iniziamo a ballare cullati dalla musica dolce che stona con l'ambiente da feste animalesche, secondo me c'è lo zampino di Mysteria. In un primo momento sono impacciata, non ho mai ballato un lento, dopo però acquisto un po' più di fiducia guidata dai suoi movimenti. “Siamo tornati al punto di partenza”, ammette sorridendo. “In che senso?”. “Nel senso che tutto cominciato con un ballo ed ora eccoci qua a ballare di nuovo”. Mi fa fare una piroetta per poi far ricombaciare subito i nostri corpi. Dove ha imparato a muoversi così bene? E' davvero bravo. Scorgo in lontananza Cami che balla o meglio, cerca di ballare con Federico tra mille risate. Non riesce a non sfuggirmi un sorriso, anche perché poco più distante ci sono pure Fran e Marco accoccolati. “Una cosa non capisco: non sono la più carina, a primo impatto non brillo di simpatia, tendo ad allontanare le persone...perché proprio me?”. Si morde un labbro. “Eri una sfida, una sfida che a poco a poco è diventata sempre più coinvolgente prendendomi del tutto”. Appoggio la testa nell'incavo del suo collo. Vengo inebriata dal suo profumo di tabacco e vaniglia, è da un po' che non lo penso. Forse perché ormai quell'odore fa parte anche di me. “Quindi ti eri già preposto di conquistarmi?”. “In un certo senso”. “E quando, di preciso, lo hai capito?”. Tace per alcuni secondi, lasciando spazio solo alla musica lenta e armoniosa. “Quando ti ho parlato in fermata per la prima volta, eri così scontrosa ma allo stesso tempo...bella. Fare il cretino mi è sembrato l'unico modo per attaccar bottone, poi avevo pure il pretesto della ricerca per conoscerti meglio. Diciamo che in quel momento ho deciso che avrei voluto approfondire la tua conoscenza, scoprire chi veramente fossi”. Mi stacco per guardarlo dritto negli occhi. “E se si dovesse rivelare una scelta sbagliata?”. Scuote il capo vigorosamente. “Sono sicuro di non aver commesso un errore. Mi sento migliore, ora che ci sei te”. La canzone finisce, ma rimaniamo fermi e abbracciati a fissarci. “Sei la cosa migliore che mi sia successa in diciotto anni”. Avvicina il viso al mio baciandomi appassionatamente, la gente intorno ha già ripreso a scatenarsi e molti sono accalcati nei pressi dei cubi dove si esibiscono le spogliarelliste. Noi però non calcoliamo nessuno, siamo troppo presi da un momento solo nostro. Quando le nostre labbra si separano, gli lascio un leggero bacio sulla punta del naso sussurrandogli: “In questa vita di merda per fortuna ho incontrato te. Mi fai scappare da me stessa, allontanare dai miei fantasmi, mi fai sentire una persona”. Alza un angolo della bocca e mi bacia di nuovo. E' il miglior modo, infondo, di esprimere ciò che sentiamo in questo istante.

 

 

“Ragazzi, vi prego, sono le cinque passate! Adesso dormiamo”, si lamenta Francesca. La festa è andata a dir poco bene, dopo il lento io e Leon ci siamo messi da fare per recuperare tutti gli altri in modo da passare il resto della serata assieme. Sennò che festa sarebbe stata se fossimo stati tutti sparpagliati? “Fran, sei debole”, dice Broad con la voce impastata dall'alcool. Ho sempre adorato le conversazioni notturne perché sei disteso al buio e riconosci chi sta parlando solo dalla voce. “Non sono debole, ho solo sonno cazzo!”. Scoppiamo tutti a ridere, sento il petto di Leon vibrare sotto di me. Condividiamo lo stesso sacco a pelo. “Però oh, che serata”, afferma Marco. “E' la decima volta che lo dici da quando siamo arrivati”. “Sta zitto, Maxi”. C'è un momento di silenzio, finalmente. Ora possiamo addormentarci... momento che viene rotto puntualmente da qualcuno, per la precisione Cami. “Adesso abbiamo parlato per due ore di cosa abbiamo fatto e di quanto ci siamo divertiti, ma io mi domando ancora cosa ci facesse Diego al Kaleidoscope”. Bella domanda. Sento la testa di Leon alzarsi per guardare chissà dove, è buio pesto non so a quanto serva. “Chi gli ha detto di venire?”, chiede. “Nessuno che io sappia”, risponde Nata. “Qualcuno di voi, ragazzi?”. E' quasi divertente come stia prendendo seriamente la faccenda. “No”, dicono all'unisono. Riappoggia la testa e torna a respirare regolarmente aumentando la presa sulla mia vita. “E' venuto per Vilu di sicuro”. Questa è Fran, lei ovviamente sa la storia ed è convinta che gli piaccia ancora. Opzione che neanch'io escludo, mi stringe ancora di più. “Andasse a farsi un giro invece di perdersi dietro alle ragazze già impegnate”. Calca con forza l'ultima parola, mi piace saperlo geloso infondo. “Violetta, ma sei sveglia?”, domanda Broadway. “Sì che sono sveglia, vi stavo solamente ascoltando”. “Ah okay, perché è da tipo mezz'ora che non fiati”. “Se non blatera è perché è stanca”, sentenzia Leon. Per tutta riposta gli do un pizzicotto sulla pancia che lo fa gemere. “Che state combinando là in fondo?”. “Niente, Maxi, è solo che alla signorina non le si può dir niente”. Una fragorosa risata anima la stanza, Marco ci zittisce tutti. “Shh! Potete parlare, ma fate piano per favore. Al piano di sotto ho le mie sorelle che dormono”, bisbiglia. “Comunque grazie per avermi svegliato, mi stavo addormentando”. Camilla è proprio incontenibile, effettivamente però non posso darle torto perché anch'io desidero dormire. Sento la sua mano fra i miei capelli e mi sfugge un sorriso beato, me li accarezza e se li rigira fra i polpastrelli. “Appunto ragazzi, diamoci un taglio che è da due ore e mezza che parliamo. Domattina a colazione chiacchiereremo ancora, sarà divertente raccontare a chi era brillo le cose che non ricorda”, dice Fran ridacchiando. So già che non riuscirò a trattenermi quando diranno a Broad che si è messo a ballare attorno al palo assieme alle cubiste tra cui Mysteria o a Maxi che è salito sul piano bar cantando una canzone pietosa a Nata. Marco invece si è contenuto, mannaggia! Mi viene quasi il dubbio che lui e la mia migliore amica si siano messi assieme perché tutti i ragazzi impegnati stasera non hanno fatto baldoria, si sono divertiti ma senza eccessi. Sono sicura che se fosse stata una festa di soli uomini non avrebbero esitato a scolarsi metà bar. “Hai ragione, dormiamo dai!”, sussurra Nata con un filo di voce. La mansarda è un tripudio di 'buonanotte' mormorati al buio, poi cadiamo tutti in un religioso silenzio intervallato di tanto in tanto dal rumore di qualcuno che si rigira all'interno del proprio sacco a pelo. Leon continua ad accarezzarmi il capo e a cullarmi col suo respiro, mi sento così piccola rannicchiata nel suo petto. Il sonno si impossessa del mio corpo e lentamente chiudo le palpebre, inspiro ed espiro sempre più profondamente. Non so se sia un sogno o meno, ma credo di aver sentito la sua voce dirmi: “Sei bellissima quando dormi, amore mio”.

 

 

ANGOLO DELL'AUTRICE

Hey, hey, hey! Come state? Io bene, dai! A parte il fatto che muoio costantemente di fame perché sono a dieta, quindi ho accantonato per un po' il cibo spazzatura. Però i risultati si notano perché ho cominciato due settimane fa esatte e sono calata di due chili e qualcosa! *-* Anyway, non so perché vi sto parlando di diete. Cosa ne pensate del capitolo? E' il più lungo che abbia mai scritto, datemi una medaglia o un trofeo o una stecca di cioccolato (non pensarci, non pensarci...)! Qual è la parte che vi è piaciuta di più? Ma soprattutto...vi piacerebbe avere degli amici come quelli di Vilu? Pronti per il diciannovesimo capitolo? Okay la smetto con domande stile televendita:') Datemi il vostro parere con una recensione, è molto importante per me anche per vedere dove posso migliorare. Ah, mi scuso per il ritardo nella risposta alle ultime recensioni, ma ho visitato poco Efp in questi giorni. Ringrazio chi segue e recensisce la storia e chi la mette fra preferiti, fra le ricordate e fra le seguite!

Stay tuned for the next chapter,

Gre

P.S. Ho visto solo oggi che ci chi mi ha messa fra gli autori preferiti (esiste veramente 'sta funzione?), grazie mille! Siete dolcissimi :3

Ritorna all'indice


Capitolo 19
*** Capitolo 19 ***


                                                                            CAPITOLO 19

 

 

 

Mi passo una mano sul viso e strizzo gli occhi, ho come l'impressione di avere dei pesetti di piombo che cercano di richiudere le palpebre ancora e ancora. Si può dire tutto di me, tranne che sia una mattiniera. Sbadiglio e scuoto il capo come se servisse a svegliarmi rigirando il cucchiaio all'interno della tazza con latte e cereali, stamattina siamo tutti zombie. Gli unici rumori avvertibili nella veranda di casa Pònce sono il tintinnio delle posate, i cereali scricchiolanti nelle nostre bocche e qualche sbadiglio di tanto. Papà me lo dice sempre da quando son piccola: alla sera leoni e alla mattina coglioni. Sarà poco fine, ma arriva dritta al punto: alla sera si è belli carichi tanto da stare svegli fino a tardi, il mattino seguente però si è ridotti peggio di uno straccio. “Che ore sono?”, mugugna Cami con gli occhi semiaperti. “Faccio io...”, risponde con voce impastata dal sonno Maxi. Avvicina al cellulare a pochi centimetri dal viso per mettere a fuoco proprio come gli anziani, poi lo riposa accanto alla ciotola. “Meno cinque alle dieci”. Leon è l'unico che ha voluto bere solamente un bicchiere di caffè nero senza aggiungerci dello zucchero, non so come faccia. Non solo per il sapore amaro, ma anche per il fatto che appena sveglia avevo lo stomaco che gridava dalla fame. “Porca miseria, che mal di testa...”, si lamenta Broad. “Per forza, con la balla che hai fatto ieri sera!”. Marco ha ragione e, ad essere sincera, non vedevo l'ora che si tirassero in ballo l'argomento festa. “Ho fatto qualcosa di cui in questo momento potrei pentirmene? Ho un ricordo ben definito della prima metà della festa, dell'altra solo immagini ma se devo dirla tutta non ricordo niente”. “Hai solo fatto una lap dance assieme alle spogliarelliste, rotto un paio di bicchieri da chupito, pomiciato con Anastasia e sei inciampato sulle scale per salire fino alla mansarda...ma niente di che”, gli dice Fran facendoci ridacchiare. Il diretto interessato si massaggia una tempia con espressione preoccupata, si sarà di sicuro pentito. “Ed io? Ho fatto qualcosa di sbagliato? Perché anch'io ho i ricordi sfocati e confusi”. Maxi ha una faccia quasi spaventata e Nata abbassa lo sguardo sotto il tavolo, vuole di sicuro volatilizzarsi. “Hai cantato per Nata sopra il bancone del bar, ti sei scolato una bottiglia di rum da solo ed hai rischiato di prenderle dal buttafuori per la tua impertinenza...ma niente di che”. Camilla ha usato volutamente la stessa espressione finale di Francesca, devo dire che è di gran effetto. “Amico, alla prossima festa non toccheremo nemmeno un aperitivo”, dice rivolto a Broadway. “Ci puoi giurare”. “Tanto non vi crede nessuno”, sbotta Marco scherzoso suscitando la nostra ironia. “Però è stato un bellissimo compleanno infondo, grazie a voi”. Accanto a me Leon si rigira il bicchiere vuoto fra le mani fissando l'esterno della vetrata, chissà a cosa sta pensando. Praticamente è stato assente per tutta la colazione e non credo abbia ascoltato nessuno dei discorsi, io vi ho prestato attenzione senza parteciparvici. Mi rendo conto di aver giocherellato fino ad ora con il cucchiaio e i rimasugli sul fondo della tazza, un atteggiamento da disinteressati. “Terra chiama Vilu e Leon!”, esclama Nata. Io mi limito ad alzare lo sguardo perché tanto li stavo già ascoltando, mentre Leon si volta lentamente anche se, dal balzo che ha fatto nel sentire il proprio nome, era assorto in altro. “Qualcosa non va?”, chiede quasi in modo scorbutico. “No, niente. E' solo che non siete partecipi alla conversazione, ecco tutto”. “Il sonno mi rende un vegetale”, le rispondo accennando un sorriso. “Eppure dev'essere stato facile per voi dormire, eravate nel sacco a pelo insieme...”. Fulmino Maxi. “...accoccolati...”. Cami, non dovevi farlo. “...stretti a tal punto da sentire i vostri cuori...”, aggiunge Fran. “...i vostri cuori scalpitanti d'amore...”, continua Broad. “Okay, che ne dite se ci diamo un taglio?”. Assumo un'espressione a dir poco infastidita, anche se dal mio volto trapela solo disagio. “Eccola che diventa rossa come quella volta ai grandi magazzini”. Sgrano gli occhi e scuoto il capo guardando Camilla, ti prego stai zitta. Ti prego non dire una parola. “Devi sapere, Leon, che ogni volta che uscivamo io, lei e Fran era terrorizzata dall'idea di incontrarti. Un giorno eravamo ai grandi magazzini, hai presente quelli ad ovest del centro?”. Annuisce. “Ecco, quel giorno ci aveva fatto una testa enorme con la storia che eri insopportabile, egocentrico, stronzo...però non si rendeva conto di aver praticamente parlato solo di te per tutto il tempo, allora noi le abbiamo detto che se avesse continuato probabilmente saresti apparso da qualche parte. Salto la parte in cui ci ha insultate pesantemente per dire che, quando siamo entrate nel negozio di elettronica, lei ha deciso di andare nel reparto dei cd mentre noi eravamo poco distanti in quello dei tablet. Ad un certo punto è arrivata di corsa quasi andando addosso ad un commesso per dirci che mentre stava ascoltando un disco con le cuffie, si è voltata e ti ha visto intento a curiosare fra gli album nella sua stessa scansia. La vedi la tovaglia? Era rossa come questa, se non di più. Violetta è proprio insgamabile in quanto a sentimenti!”. Bene, grazie dell'aneddoto divertente. Potrei mimetizzarmi con la tovaglia in questo preciso istante, con la coda dell'occhio guardo Leon e vedo che sta sorridendo dolcemente come se trovasse tenera questa vicenda. Io la trovo da psicopatica, più che altro. “Io mi ricordo come ha reagito quando le hai rivolto la parola per la prima volta”. Nata, pure tu adesso! “All'inizio della prima io e Vilu eravamo abbastanza legate, quindi stavamo sempre assieme. Così era anche durante l'ora di motoria e ricordo che eravamo in periodo di campestre, quindi a ottobre o novembre. Stavamo aspettando la Saenz mentre chiacchieravamo del più e del meno, tu stavi facendo il giro di tutta la palestra per vedere chi avrebbe fatto la corsa campestre probabilmente perché non la voleva far quasi nessuno ed eri intenzionato a sapere chi ci sarebbe venuto con te. Ti sei avviato verso di noi e le hai chiesto: “Tu fai la campestre?”. Impietrita. Ricordo ancora la sua bocca semiaperta e lo sguardo vacuo, le ho dato un lieve pizzicotto senza farmi vedere così ti ha risposto che non ci sarebbe andata. Dopodiché l'hai chiesto a me, poi sei passato ad altri. Però lei ha continuato ad avere la stessa espressione persa per cinque minuti buoni, per non parlare del fatto che per tutto il resto della lezione non si è azzardata a fiatare. Sapevo che ti reputava carino perché me l'aveva detto, ma non credevo le piacessi così tanto”. “Ed io che credevo fosse perché era timida e non sapeva interagire con le persone”. Si sbatte una mano sulla fronte ridendo, poi aggiunge: “Sono arrivato anche a pensare che glielo avessi chiesto in modo troppo diretto, di averla intimorita, che avrei dovuto essere più gentile o addirittura che avessi qualcosa di strano sulla faccia...in quei cinque secondi ho provato un imbarazzo incredibile, mi chiedevo se andarmene o cercare di farla parlare poi, per fortuna, ha risposto”. Abbasso lo sguardo sulla ciotola, non che lo avessi tenuto alzato per molto a lungo. “Poi, col passare dei mesi, ho cominciato ad essere convinto del fatto di starle sul cazzo”. Marco scuote il capo ridendo, per poi dire: “Era quello che voleva far passare, diceva di non sopportarti ma l'abbiamo scoperta più volte a guardare il tuo profilo Facebook di nascosto”. Amici, conoscono i migliori modi per sputtanarti. “Bene, che ne dite di chiudere la parentesi 'Sputtaniamo Vilu assieme'?”. Scoppiano tutti in una fragorosa risata, cosa ci sarà mai di divertente? Ammetto che ero un 'pochino' fissata con lui, ma non ci trovo nulla di così spiritoso nella cosa. Improvvisamente sento la sua mano posarsi sulla mia, alzo lo sguardo e mi sorride timidamente. Almeno non ha reagito male come pensavo, così contraccambio. “Andiamo a prendere le nostre cose in camera?”, chiede Fran. Ci lanciamo delle occhiate complici ed usciamo dalla veranda, prendiamo le scale salendo verso la mansarda. Non ha ancora lasciato la mia mano.

 

 

I miei occhi guizzano da una parte all'altra della camera ed un tremolio mi attraversa il corpo da cima a fondo, mi sfrego nervosamente le mani. Mi do una rapida annusata, almeno non puzzo. Serro le palpebre e sospiro profondamente, perché ci mette così tanto? Passo i palmi sul copriletto color notte, è così morbido e piacevole al tatto. Accavallo le gambe ed osservo la stanza: nella sedia è posato lo zaino scolastico alla bell'e meglio e sopra la scrivania c'è un portatile e dei libri di testo accatastati in pile. Non so se rendo, dei libri! Mi alzo in piedi e mi avvicino al tavolo, aiuta a smorzare un po' la tensione. Curioso fra le sue cose e mi sfugge un sorriso nel vedere dei pupazzetti dei diversi uccellini di Angry Birds disposti accuratamente vicino ad un portapenne, poco distante invece c'è un quaderno aperto con degli appunti di letteratura. Sono felice nel constatare che si stia impegnando con lo studio, in parte mi sento coinvolta in questo suo cambiamento. Nella mensola sovrastante ci sono due cornici: una con la foto di classe e l'altra con lui, Andrès e Moises nell'entrata di un parco divertimenti. Mi fa tenerezza perché è accucciato accanto alla sedia a rotelle dell'amico, mi fa piacere sapere che pure Andrès condivide queste esperienze assieme a loro. Fra i due portafoto ci sono un mazzetto di chiavi, un pacchetto di sigarette aperto con all'interno un accendino ed una boccetta di profumo. Mi volto a destra e fisso la sua chitarra elettrica posata su un piedistallo, mentre la tastiera la nasconde gelosamente sopra all'armadio dall'altra parte della stanza dove ovviamente nessuno ci può arrivare all'infuori di lui. A sinistra della scrivania c'è un porta cd colmo di album di un sacco di artisti, mentre accanto ad esso c'è un grande stereo posizionato in obliquo per potere riempire l'angolo. Torno ad osservare i libri quando improvvisamente sento delle mani posarsi sui fianchi, al contatto il mio corpo s'irrigidisce. “Do-dove sei stato?”, chiedo con un filo di voce. Avvicina la bocca al mio orecchio e, con il respiro caldo che s'infrange sul collo, mi sussurra: “Mi sono fatto una doccia veloce, spero non ti dispiaccia”. Sento delle gocce scorrermi lungo il dorso del collo e rabbrividisco, inizia a posarmi dei baci lungo di esso ed il mio respiro si fa pesante. Credevo di essermi preparata psicologicamente in queste settimane...mi sbagliavo. Le sue mani scivolano sotto la mia maglietta accarezzandomi il ventre, mi sfugge una risatina per il solletico. Mi lascia un bacio sulla guancia e, con un movimento fluido, mi fa ruotare in modo da trovarci l'uno di fronte all'altro. Indossa una canottiera bianca abbastanza aderente e dei jeans, i capelli bagnati gli ricadono sulla fronte. Fino a pochi giorni fa ero io la dominatrice, ora sono una bambola a cui può fare ciò che vuole liberamente. Mi attira a sé facendo combaciare le nostre labbra con passione, mi aveva baciata altre volte in questo modo però non con tale trasporto. Fa alcuni passi all'indietro facendomi di conseguenza avanzare e, con le braccia avvolte attorno alla parte bassa della schiena, si stacca per riprender fiato. “Che c'è, bimba? Il gatto ti ha mangiato la lingua?”. Boccheggio affannosamente e sul mio viso si estende un sorrisetto da scema. “Non mi sembra vero”. Mi scosta una ciocca per portarla dietro ad un orecchio. “E' vero e sta succedendo proprio ora”. Cogliendomi di sorpresa mi afferra per farmi cadere di schiena sopra il letto, in un primo momento urlo spaventata poi scoppio a ridere. “Non riesci a trattenerti dal fare il cretino neanche in questi casi”. “E' la mia specialità”. Si stende sopra di me e l'agitazione torna a farsi sentire così come se n'è andata per un frazione di secondo. “Hey, rilassati...”. Mi accarezza una guancia col dorso della mano. “Svuota la mente da tutte le preoccupazioni e lasciati andare, concentrati su ciò che stiamo facendo e cerca di essere meno rigida”. Sospiro, non devo mandare tutto a monte! “Per te è facile parlare, cosa posso fare?”. Scuote il capo sorridendo. “Magari puoi cominciare col metterti in una posizione più comoda”. Abbasso lo sguardo sui nostri corpi, effettivamente ho le gambe strette fra loro e a lui tocca tenerle un po' divaricate per potermi stare sopra. Arrossisco imbarazzata, sono proprio un disastro. “Quindi dovrei aprire...”. Annuisce. “Sarebbe un buon inizio”. Si scosta leggermente per permettermi di farlo, dopodiché si posiziona comodamente tornando a poggiarsi su di me. “Leon, io...”. “Shh...”, mi posa un dito sulle labbra facendomi zittire all'istante. “Finché non ti sarai lasciata andare, limitati a chiudere gli occhi e a non pensare a nulla”. Faccio quanto mi indica, non devo pensare. Non devo pensare. Mi concentrerò su ciò che sento senza darci troppo peso, farò così. Mi sfila la maglietta lentamente per poi gettarla chissà dove, serro ancora di più le palpebre nel sentire il mio addome contro la superficie ruvida della sua canotta. Torna a lasciarmi una scia di baci partendo da dietro l'orecchio sinistro, proseguendo lungo il collo ed arrivando fino allo sterno. Trattengo il respiro, la sua bocca si trova proprio fra i miei seni. Mi impongo di non pensare a quanto sia in preda all'ansia ed espiro tutta l'aria in eccesso per poi provare a respirare regolarmente anche se mi è praticamente impossibile perché mi si spezza il fiato ogni volta che sento qualcosa di diverso. Come ora che mi sta sganciando il reggiseno, inarco leggermente la schiena per poterglielo permettere e pure quest'indumento se ne va. Di tanto in tanto un goccia d'acqua scivola dai suoi capelli per scontrarsi con la mia pelle rovente, mentre ora sono gli stessi a solleticarmi il collo mentre lui è intento a posarmi le labbra lungo i seni. Mi viene la pelle d'oca ed una specie di tremarella, il calore mi avvolge quasi fosse una coperta e, pur non pensando a nulla, inizio a boccheggiare. Intanto la sua bocca esperta scende lungo l'addome passando per l'ombelico e raggiungendo i pantaloni. I miei polmoni chiedono disperatamente ossigeno ed il tremore diventa sempre più forte, una sensazione simile l'avevo provata solo a casa mia la settimana scorsa. Sono eccitata. Oh Dio mio, sta succedendo ancora. Con un movimento deciso rimuove i miei pantaloni lasciandomi solo in in mutande, lui però è ancora vestito. Cos'ha intenzione di fare? Nel frattempo sento la sua erezione premere contro la mia coscia, ma non ho tempo nemmeno di rendermene conto che il suo corpo si stacca dal mio. Se è uno scherzo, non è per niente divertente! Sento un formicolio là sotto, ma non ci faccio molto caso perché ormai ho capito che è normale. Mi sfila pure gli slip, ora sono completamente nuda sotto ai suoi occhi. Mi piacerebbe aprire i miei per vedere la sua reazione e soprattutto cosa sta facendo, ma non posso per cui li serro ancora di più. Non devo pensare all'imbarazzo che mi procura la mia nudità, devo sforzarmi di non farlo. Perché mi ha rimosso l'ultimo indumento intimo avendo ancora gli abiti in dosso ed essendosi tolto da sopra di me? Improvvisamente sento qualcosa insinuarsi all'interno di me, reagisco stringendo con in pugni il copriletto e soffocando un gemito. Non capisco cosa sia, è una cosa ruvida ma al contempo liscia. Muovo nervosamente il piede destro come fosse un tic nervoso, mentre il formicolio diventa sempre più insistente. Sento questa cosa muoversi, ma non mi infastidisce anzi mi fa piacere. Anche troppo, direi. Questa volta mi scappano alcuni versi, ne ho trattenuti abbastanza fino ad ora. Tutto ad un tratto quel qualcosa esce lasciandomi una sensazione di vuoto, come se non ne avessi avuto abbastanza. Sbarro gli occhi ed abbasso lo sguardo, mi fissa col capo poco più su della mia intimità. Allora era la sua ling... “Ti avevo detto di non aprire gli occhi”. Roteo gli occhi e lo afferro per le spalle facendolo tornare col viso di fronte al mio. “Sai che l'ottanta per cento delle volte non ti ascolto, per cui sono stata brava a tenerli chiusi finora”. Rapidamente tolgo la sua canottiera e per alcuni secondi mi fermo a guardare il suo petto scrutandone ogni dettaglio, scuoto il capo e gli stampo un bacio per poi stuzzicargli con le labbra il retro dell'orecchio e i lobi. Dopodiché passo al collo e, mentre ho il volto infossato nel suo incavo, inizia a ridacchiare. “Anche tu soffri il solletico?”. Sorridendo mi risponde: “Avresti dovuto capirlo con tutte le volte che ti ho fermata quando volevi baciarmi il collo”. Assumo un'espressione beffarda e comincio ad affondare la faccia su di esso facendolo ridere quasi fosse in preda a delle convulsioni, cade a peso morto su di me. “Basta! Vilu, smettila!”, urla con le lacrime agli occhi. Faccio come mi dice e gli lascio un tenero bacio sulla guancia, per poi far combaciare le nostre labbra in un bacio passionale quanto il primo. Faccio scivolare le mani dal suo volto alla sua cintura slacciandola e facendola cadere a lato del letto. Finalmente mi sono lasciata andare, faccio il tutto senza pensare. Slaccio il bottone e ad abbasso la zip, posa una mano sopra la mia. “Lascia che questo lo faccia io”. Agilmente se li toglie, effettivamente se l'avessi fatto io da sotto di lui sarebbe stato un po' più difficoltoso. Ora a separarci sono solo i suoi boxer grigi, riesco ad intravedere 'soldato' e sorrido. “Questa volta non dovrai dire al tuo amico di trattenersi”. “Direi di no, a meno che tu non voglia cambiare idea ora. Sai che sei ancora in tempo per rimediare, semmai ti rendessi conto di potertene pentire”. Con il cuore in gola, per tutta risposta allungo le braccia e sfilo le sue mutande lasciandolo totalmente nudo. Ha il corpo più bello che avessi mai visto, il migliore che potessi desiderare. Non è troppo pompato, ma si vede che va in palestra due volte a settimana per mantenersi in forma. Preme con forza la bocca contro la mia fronte per poi mormorarmi con voce roca: “Aspettami un secondo sotto le coperte”. Annuisco deglutendo, mentre lo osservo alzarsi per andare accanto alla scrivania. Sembra una di quelle statue greche che ci ha fatto studiare zia Angie l'anno scorso in storia dell'arte, ossia ha un fisico perfetto e ben proporzionato. Mentre è intento ad infilarsi il preservativo, io scivolo sotto le lenzuola attendendolo. Dopo pochi secondi mi raggiunge posizionandosi sopra di me come prima, prendo un respiro profondo e chiudo gli occhi per poi riaprirli subito. “Farà tanto male?”, chiedo preoccupata. “Sono un uomo, quindi non posso saperlo con precisione...farà un po' male sì, ma solo in un primo momento”. Mi mordo il labbro in inferiore e sospiro. “Ripeto: puoi sempre cambia...”. “Fallo. Tolto il dente, via il dolore”. E' più forte di me, devo serrare le palpebre. Dopo un po' di attesa lo sento entrare dentro di me, una scossa di dolore si irradia in tutto il corpo arrivando al viso che si contrae in una smorfia e alle corde vocali che se ne escono con un: “Porca troia! Cos'hai, un bastone lungo tre metri per uno e mezzo? Dio, che male!”. “Certo che capisco tutto, ma sei di una delicatezza Vilu...”. “Continua”. Un'altra spinta meno dolorosa, dico solamente: “Ahi”. Un'altra ancora, ora provo solamente fastidio. Apro gli occhi per guardarlo dritto nei suoi, mi sorride insinuandosi ancora in me. Avvicina il suo viso al mio baciandomi dolcemente mente le spinte continuano ad aumentare sempre più frequenti e veloci, adesso è tutto diverso: sembra la sensazione più bella del mondo. Stacchiamo le nostre labbra non appena la mia bocca emette un gemito che a poco a poco diventa più di uno. Anche lui emette dei versi piuttosto gutturali, mentre io sembro più che altro una gallina. Inizio ad essere ricoperta di sudore e pure lui lo è, ora capisco perché ha preferito farsi prima la doccia. In un tripudio di gemiti, trova la forza di avvicinarsi un po' di più e sussurrarmi: “Ti amo”. Cercando di trovare il fiato, rispondo affannosamente: “Anch'io ti amo”. Non faccio neanche in tempo a dirlo che un grido disumano mi esce dal profondo della gola, lo stringo a me conficcandogli i polpastrelli nella schiena e posando la testa sul suo petto. Le spinte si fanno sempre più deboli fino a cessare del tutto. Non so di preciso cosa sia stato, so solo che è come se un uragano mi avesse travolto alla sprovvista però in modo positivo. Nel senso che è probabilmente una delle cose più belle che avessi provato, come se fosse l'apogeo di tutto il piacere che mi ha donato. Lentamente si sfila da dentro me e si stende al mio fianco, mi ci vuole un po' per metabolizzare ciò che è appena accaduto. Mi accoccolo al suo corpo caldo e chiudo gli occhi inspirando il suo profumo a pieni polmoni, un profumo che ormai mi appartiene. “Oggi ho capito una cosa”. “Cosa?”, chiedo. “E' stato come riscrivere tutto da capo, come se tutto il sesso fatto in questi due anni e mezzo non fosse servito a nulla. L'ho fatto per la prima volta proprio come te: stesse emozioni, più sentimento e meno lussuria. Ora capisco a cosa si riferiscono quando parlano di differenza fra fare sesso e fare l'amore”. Alzo il capo e, con le mani posate sul suo petto, allungo il collo per lasciargli un bacio a fior di labbra. “Sei l'unica ragazza che abbia mai amato”. “Lo stesso vale per me”. “Non lasciarmi mai, non voglio più essere solo”. Inarco le sopracciglia sorpresa, mai mi era capitato che fosse lui ad implorarmi di non abbandonarlo. “Come potrei, amore? Voglio stare solo con te”. Faccio una breve pausa, poi con la bocca tremante aggiungo: “E' una promessa”. Annuisce. “E' una promessa”. Riappoggio la testa sopra di lui, in questo momento potrebbe anche finire il mondo e non mi importerebbe. Almeno sono sicura di aver passato gli ultimi istanti con lui, con Leon, con il ragazzo che amo alla follia. Ed ora ho la certezza che anche per lui è così, mi ha sussurrato 'Ti amo' con decisione e non ha detto di credere di amarmi come quelle volta sul palazzo. Lui mi ama ed io lo amo. La mia vita, un tempo priva di senso e aspirazioni, ora è completa. Sono tornata integra dopo anni e anni ed è stato lui a rimettere insieme i cocci, è per merito suo se mi sto aprendo di più verso le persone ed ho scoperto che non tutti vogliono il mio male. Gli sono devota per tutto, mi ha cambiata completamente e no, non me lo lascerò scappare per nulla nell'intero universo. E' una promessa.

 

 

Riapro gli occhi lentamente, non sono in camera mia. Sbadiglio e decido di mettermi a sedere. Il freddo mi coglie alla sprovvista e constato di non aver indosso nulla, per cui porto il lenzuolo appena sopra il seno. Giusto, oggi è domenica pomeriggio. Ho fatto l'amore con Leon. Volto lo sguardo verso sinistra e lo osservo dormire con l'espressione innocente di un bimbo, è così bello. Involontariamente mi sfugge un sorriso che svanisce in un solo istante quando lo vedo rigirarsi sotto le coperte, ora ha il viso contratto in una smorfia. “Ti prego, basta”, mugugna con voce cavernosa quasi in un lamento. Sono preoccupata, cosa starà sognando? E' uno degli incubi che spesso lo tormentano? Ha la fronte costellata di sudore e continua a dimenarsi agitato, mi arriva pure un calcio. “Ahi”. Allungo il braccio per poterlo tranquillizzare posandogli una mano sulla spalla. Spalanca le palpebre e si mette rapidamente seduto gridando: “Mamma!”. Si gira a destra con gli occhi fuori dalle orbite e vede la mia mano, l'afferra e la leva con forza dalla sua spalla. “Non mi toccare! Non mi toccare!”, urla sgolandosi. Ritraggo il braccio spaventata con la bocca semiaperta, mai l'avevo visto in questo modo. Il suo respiro torna a farsi regolare e scuote il capo come per scrollarsi il tutto di dosso. “Scusami, scusami...”. Deglutisce. “Subito ho visto solamente la mano e non ho connesso...perdonami, per favore”. Rimango a fissare il suo volto affranto per alcuni secondi per poi gettarmi fra le sue braccia, chi se ne frega del lenzuolo! Con le dita gli accarezzo i capelli della nuca e gli sussurro: “Non preoccuparti, capita anche a me”. “Ti ho trattata male...”. “Se ci si sveglia così brutalmente da un brutto sogno è normale”. Il suo battito cardiaco torna ad essere normale, significa che si è tranquillizzato. Non si decide però a sciogliere l'abbraccio e non sarò di certo io la prima a farlo. “Grazie, almeno la tua mano mi ha svegliato”, dice ridendo. “Prego”. Mi lascia un bacio sulla fronte e mi guarda negli occhi. “Hai degli occhi bellissimi”. Arrossisco, perché dopo tutto i suoi complimenti continuano a farmi questo effetto? “E i tuoi, scusa? Da quando li incrociati per la prima volta mi hanno catturata”. Chiude le palpebre e si avvicina alle mie labbra, quando improvvisamente sentiamo rumori provenienti dall'entrata. Basta solo sentire la chiave nella serratura per farci scattare, mi volto verso la sveglia sul comodino. “Sono le sei e ventisette. Quanto cazzo abbiamo dormito?”, chiedo allarmata. “Non c'è tempo per pensarci, vestiti!”. Ci alziamo rapidamente dal letto e ci rimettiamo i vestiti alla velocità della luce, non sto nemmeno guardando cosa sto indossando. “Ragazzi?”. Ci precipitiamo in salotto di corsa e armandoci del sorriso più convincente possibile raggiungiamo la cucina. “Mamma, sei tornata!”. Le va incontro e la abbraccia. “Scusa se non ti abbiamo sentito subito, eravamo in camera a guardare dei video su Youtube con le cuffiette”. La sua abilità nel mentire su due piedi mi sorprende ogni giorno di più. “Oh, fa niente”. Poggia le borse della spesa sopra il bancone, poi si volta per guardarmi. “Violetta, vieni qua che ti saluto come si deve”. Titubante vado verso di lei e mi abbraccia, subito si stacca e mi osserva con la fronte corrugata. “Tesoro, hai la maglietta storta”. “Oh...ehm...”. “Tranquilla, so già tutto”, mormora al mio orecchio facendomi avvampare. “Grande!”, esclamo con finto entusiasmo. “Che ne dite di andare in salotto mentre vi preparo la cena?”. “Okay, Vilu andiamo?”. “Sì”. Esco dalla cucina accompagnata da Leon, ci accomodiamo sul divano e mi tolgo la maglietta per potermela rimettere correttamente. “Sono una deficiente...”. Gli lancio un'occhiata rabbiosa. “Che hai da guardare?”. Alza le mani a mezz'aria. “Io non vorrei dire, ma ti sei tolta la maglietta e sei la mia ragazza...ho da guardare eccome!”. Mi infilo la t-shirt e gli sorrido. “Accontentati per un mese, adesso”. Ovviamente sto scherzando, ma mi piace provocarlo. “Co-cosa? Un mese non lo accetto, no”. Scuote il capo con vigore. “Ebbene sì, siccome l'entrata del tempio è mia posso vietare benissimo l'accesso”. Rotea gli occhi sbuffando. “Non puoi rigirare tutto come vuoi te”. Dico 'no' con l'indice destro ed un sorrisetto beffardo. “Senti, ho aspettato un tempo infinito rispetto ai miei standard. Direi che merito tutto questo, no?”. Nego con la testa. “Come minimo due o tre volte a settimana”. Sembra serio da come lo dice, mentre io stavo solamente scherzando. E' ovvio che lo voglio anch'io, ma due o tre volte a settimana? Peggio dei conigli. “Ma sei scemo? Mi vuoi sfinire?”. “Okay, allora facciamo una nel weekend”. Scoppio a ridere per la serietà con cui sta prendendo questo discorso. “Va bene, dai”. “Oh, grazie a Dio...”. “Ma...”. Lo blocco subito. “...sappi che se ti comporti male, salta il sesso di fine settimana”. Allarga le braccia esasperato. “Dimmi una volta in cui ti ho fatto qualcosa di male!”. Scrollo le spalle. “Finora niente, in futuro chi lo sa? Nel dubbio ti impongo questa regola”. Si mette a guardare dalla parte opposta. “Ti sei offeso?”. “No, guarda! Mi parli come se sapessi già che più avanti mi comporterò male con te e mi imponi questa stronzata solo perché ti fa comodo. E' da quasi un mese che ti sto dietro ed è dalla studentesca che avrei voluto portarti a letto, ma non l'ho fatto perché ci tenevo che non buttassi via la tua verginità a caso e da ubriaca”. Non si è nemmeno voltato per dirmelo, senza pensarci mi allungo verso di lui e lo circondo con le braccia da dietro posando il capo sulla spalla. “Detesto vederti arrabbiato”. Non risponde. “Sai che stavo scherzando, permalosone”. Sospira. “Okay, tolgo la regola se ti fa sentire meglio”. Si volta sorridendo sornione e si mette composto. “Potrei fare l'attore melodrammatico, sai?”. Spalanco la bocca incredula. “Che stronzo!”. “Si chiama 'recitazione', cercalo sul vocabolario”. “Il vocabolario lo consulto più di te, imbecille!”. Annuisce. “Su questo hai ragione”. Gli do una cuscinata sull'addome facendolo piegare, rapidamente rialza la testa per lanciarmi uno sguardo di sfida. “E' questo che vuoi? Che guerra sia”. Prende un cuscino alla sua destra e mi colpisce talmente forte da farmi cadere all'indietro, si mette a cavalcioni sopra di me e riesce a strapparmi di mano il mio gettandolo a terra. “Hai qualcos'altro da dire, signorina?”. Afferro il suo viso fra le mani e lo bacio dolcemente, appena mi stacco ci specchiamo l'uno negli occhi dell'altro e gli do un buffetto sulla guancia. “Sabato o domenica prossima salti l'appuntamento, carino”. “Sei sleale!”. “Perché quello che si è finto arrabbiato per raggiungere i suoi scopi ne sa molto di lealtà!”. “Ragazzi, la cena è pro...oh, ho interrotto qualcosa?”. Ci voltiamo di scatto verso l'arcata. “Ehm, mamma...non fraintendere, stavamo solamente giocando a colpirci con i cuscini”. Si toglie da sopra di me in un batter d'occhio, mentre io mi metto seduta. “Okay, sono venuta per dirvi che la cena è già sui vostri piatti”. Ci alziamo dal divano per dirigerci verso la cucina, quando sento una mano toccarmi in fondo la schiena. “Che stai facendo?”, sbotto. “Niente, ti stavo solamente abbassando la maglietta dal momento che ce l'avevi alzata”. “Ti tengo d'occhio”. “Senti, carissima: devo ricordarti ciò che abbiamo fatto oggi pomeriggio? No, perché se ti scandalizzi perché ti sfioro il culo per sistemarti la maglia è proprio il colmo”. Gli do una pacca sul braccio. “E poi adesso sei solo mia, per cui ho i miei diritti da esercitare. Hai il marchio Vargas nel collo, sei dei nostri”. “Che?”, aggrotto la fronte. “Non l'hai visto? Hai due o tre succhiotti nel collo”. Sgrano gli occhi. “Quando pensavi di dirmelo? Davanti a papà col collo bello in mostra?”. “Credevo te ne fossi resa conto, scusa”. Mi mordo il labbro inferiore. “Okay, per una settimana farò finta di avere mal di gola così sarò costretta a portare sempre una sciarpa o un foulard...”. “Potresti usare il correttore o il fondotinta anziché fingerti malata”. Sorrido piacevolmente sorpresa. “Bella idea”. “Vilu, Leon: il cibo si sta raffreddando”. Entriamo nella stanza e troviamo la tavola imbandita accuratamente e colma di un sacco di pietanze tutte rigorosamente messicane, Lucia ci sorride seduta dal proprio posto. “Mamma, non serviva ti scomodassi così tanto”. “Suvvia, Leon! Cosa vuoi che sia? E' un occasione speciale, Vilu è la prima ragazza che hai portato da noi in tutta la tua vita”. Visibilmente in imbarazzo, risponde a denti stretti: “Grazie, mamma...”. “Oh, sedetevi. Violetta, fa come se fosse casa tua e serviti pure quanto ti pare e piace!”. Ci accomodiamo vicini ed osservo cos'ho dentro il piatto: paella. “Ma la paella non è un piatto spagnolo?”. “Sì, ma questa è paella alla messicana. Guarda che se vuoi prima di mangiarla, ci sono le tortillas: ho preparato salsa di avocado, piccante e al formaggio in cui intingerle. Quelli là in mezzo sono dei nachos ricoperti di formaggio con peperoncino verde, stai attenta perché beccano molto. Ho fatto anche dei burritos al pollo e alle verdure, poi basta credo...”. “Wow, comincio con le tortillas”. Allungo la mano verso il centro del tavolo, ne afferro una e la intingo sulla salsa piccante. “Hai fatto tutto questo in così poco tempo?”. “Ma va, è da ieri sera che è rinchiusa in cucina”. Mando giù un boccone. “Non credo di aver visto così tanto cibo messicano in vita mia”, commento ridendo. “Cenate sempre così?”. “Ogni tanto mamma sente il richiamo della sua terra d'origine”, dice masticando un burrito. “E tu?”. “Io cosa?”. “Non senti mai il richiamo del Messico?”. Scrolla le spalle. “Non ci sono mai stato, non mi può mancare qualcosa che non ho mai avuto”. Inarco le sopracciglia. “Mai?”. “Mai”. Prendo un'altra tortilla in silenzio, che cosa strana. “Violetta, credo proprio ti debba ringraziare per aver indirizzato Leon verso lo studio”. Le sorrido. “Prego, ma ha fatto tutto lui”. “Tu gli dai man forte e questo per me è già tanto”. Con la coda dell'occhio lo vedo roteare gli occhi. “Ho scoperto che vuole fare pure l'architetto, incredibile no? Non l'avrei mai detto qualche mese fa”, dice portandosi una forchettata di paella in bocca. “Già, incredibile...”. Devo ancora digerire del tutto il fatto che abbiamo preso strade diverse, ho ancora l'amaro in bocca per la sua scelta. “L'ho sempre visto come un artista figurativo perché è sempre col blocco in mano, ma adesso mi rendo conto che l'indirizzo deciso rispecchia il suo carattere: progettista, calcolatore, preciso. Nonostante sia molto impulsivo, pensa anche troppo per un ragazzo della sua età”. “Mamma, ma che dici?”. “Quello che penso”. Inizio a mangiare ciò che ho sul piatto e anche lui. “Tu che indirizzo hai scelto?”. “Arti figurative”. “E' bravissima a disegnare, te lo posso assicurare”. “Cosa dici? Tu sei più bravo di me!”. “Taci, quella brava qua sei tu”. “Ma sei pazzo?”. “Ehm...la smettete con questa modestia da artisti?”, si intromette Lucia facendoci scoppiare a ridere. “Aggiungerei falsa modestia solo per mio figlio”. “Hey!”. “Concordo”. “Doppio hey!”. Siamo piegate in due dalle risate mentre lui ci fissa attonito. “E' sempre stato egocentrico fin da piccolo, adesso che è un po' più grandicello si trattiene”. “Ma non è vero!”. “Perché? Cosa faceva da piccolo?”, le domando con le lacrime agli occhi. “Mamma, non...”. “Alla recita scolastica dell'asilo si è rifiutato di partecipare perché non l'avevano preso nel ruolo principale, ad esempio”. “Davvero?”, mi volto incredula. “Per me contava molto essere il Principe degli Ortaggi, voi non potete capire”. Inutile dire che il modo serio con cui lo dice suscita la nostra ironia. “Gli avevano assegnato la parte del Peperone Brontolone ed è arrivato a casa piangendo”. “Grazie per l'informazione, mamma”. “Prego, caro”. Curiosa chiedo: “Ci sono stati altri episodi del genere?”. “Oh sì, moltissimi. Il caso estremo però l'ha raggiunto in terza elementare, quando ha dato un pugno ad un suo compagno di classe perché continuava a toccargli i capelli”. “L'hai davvero fatto?”. Visibilmente a disagio, risponde: “Vorrei vedervi se uno vi tocca la testa in continuazione come reagireste”. Subito dopo sorride beatamente. “La mia prima nota...ah, che tempi d'oro”. Lucia gli punta la forchetta contro. “Vanne fiero sai? Se vieni bocciato anche quest'anno ti mando a lavorare, tanto l'età ce l'hai ed è ora che muovi le chiappe”. Leon sbuffa come se queste affermazioni fossero pane quotidiano. “Mi ha detto che mercoledì siamo invitati a casa tua”. “Sì, non siete obbligati a venire”. Scuote il capo. “No, no! Ci vengo più che volentieri, sarà bello conoscere la tua famiglia”. “Anche per noi, ho messo una buona parola su di te”. “Che ragazza carina! Leon, te la sei scelta proprio bene”. “Ovvio, ho un fiuto per le scelte che solo pochi hanno”, afferma poggiando la posata con nonchalance sul piatto vuoto. Il mio è ancora a metà, ma è un orso! “Ecco, l'ha fatto di nuovo”. “Che ho detto di male?”. “Non se ne rende nemmeno conto!”. Assieme sono davvero uno spasso, si comportano più come amici che come madre e figlio. “Però infondo anche tu te lo sei scelto bene, Vilu. E' un gran tenerone anche se si nasconde sotto quella scorza da duro, fa tanto il macho quando in realtà è un micio”. Annuisco. “Lo so, gli piacciono i grattini dietro l'orecchio”. “Sì, ogni tanto quando guardiamo la tv assieme sul divano si fa ancora coccolare ed i grattini sono la cosa che lo rilassa di più”. Arrossisce ed abbassa lo sguardo imbarazzato. “E' successo tanto tempo fa”. “Due settimane, Leon”. Rido, ma non per scherno. Rido perché la trovo una cosa estremamente dolce. “Se gli passi una mano fra i capelli accarezzandogli la testa invece si addormenta come un sasso, finalmente ho trovato qualcuno che può coccolarlo al posto mio”. “Userò la mossa dei capelli quando mi sarà utile”. Mi arriva una gomitata. “Sai che scherzo, amore”. Ops, ho detto amore? Davanti a sua madre? “Volevo dire...Leon”. Lucia dal suo canto sorride intenerita, le brillano quasi gli occhi. Credo sia contenta nel vedere che suo figlio ha messo la testa a posto e si sia...innamorato? Suona strano. Leon Vargas è innamorato di Violetta Castillo. Leon Vargas e Violetta Castillo, i nomi almeno sono belli da sentire assieme. La serata passa fra risate, aneddoti sull'infanzia di Leon e progetti per la settimana negli Stati Uniti. Sua mamma sembra ben disposta a farci da accompagnatrice e anche a venire alla cena di mercoledì, so già che sarà in grado di conquistare tutti i miei parenti. Ricapitolando: ho dormito per la prima volta assieme a tutti i miei migliori amici, ho fatto l'amore col ragazzo che amo e quest'estate molto probabilmente andrò in vacanza con lui e vedrò due delle mie band preferite live. E' stato un weekend da ricordare, la mia vita non potrebbe andare meglio di così.

 

 

ANGOLO DELL'AUTRICE

Ciao plebei (amo questa parola!) come va? Eccomi con un nuovo capitolo dove succedono tante cose belle u.u Vilu ha passato il weekend più bello della sua vita e...oddio, ma i nostri eroi (?) finalmente ce l'hanno fatta! Hanno inzuppato il biscotto! Quanto siete contenti da uno a dieci?:') Io mi sento alquanto a disagio eh? Ho paura che quella scena sia venuta da cani, per cui attenderò con ansia il vostro giudizio che spero non sia diffamante. Cosa importante: mancano solo quattro o cinque capitoli alla fine della fanfiction. Bilancio finale? Come vi è sembrata? Spero sarete in molti a seguire il sequel, vi avverto già che dopo il capitolo finale mi ibernerò (?) per due settimane dopodiché tornerò a pubblicare. Ringrazio chi recensisce, chi mette la storia fra i preferiti e le seguite!
Un beso muy grande,

Gre
P.S. Chi non ha ancora ricevuto la trama del sequel e vuole leggerla, è pregato di contattarmi in privato e gliela invierò :3

Ritorna all'indice


Capitolo 20
*** Capitolo 20 ***


                                                                       CAPITOLO 20

 

 

 

Cammino per i corridoi con una consapevolezza diversa, non mi sento più gelare ad ogni occhiata anche se un po' di disagio resta. Questa volta, però, procedo fissando la strada davanti a me e con il mento leggermente alzato come per conferire superiorità, io sono superiore a questa situazione perché non me ne curo di tutti loro. Svolto a destra e proseguo passando davanti allo spiazzo delle panchine e delle macchinette, vado ancora più avanti finché non trovo la porta che dà sul cortile. Le mie amiche sono tutte riunite sotto ad un albero ossuto e grande posto al centro del giardino, staranno aspettando solamente me. Esco e le raggiungo silenziosamente, l'erba scricchiola al contatto coi miei anfibi perché ricoperta di brina. “Buongiorno”. Mi sistemo il cappello in testa e mi sfrego le mani ghiacciate sebbene indossi i guanti. “Come mai così tardi? Di solito arrivi prima”, constata Nata. “Oggi mi ha portata papà”. Ancora silenzio, le uniche pazze ad uscire la mattina prima delle lezioni siamo noi. Gli altri sono tutti dentro a chiacchierare agli armadietti, ad aspettare qualcuno in atrio o a bere qualcosa di caldo al bar. “Sentite, non ce la faccio proprio! Vilu cominci tu o comincio io?”, sbotta Cami. “Che vi devo dire?”. La mia voce tremola, ma non per il freddo. “Tutto”. “Hey, Cami...mi spaventi!”. Scoppiamo tutte a ridere all'unisono, anche se devo ammettere che la sua espressione da maniaca mi ha un po' intimorita. “Beh, in verità non c'è molto da raccontare. Eravamo in camera ed è successo, l'avevamo programmato per cui niente sorprese”. “Ha fatto male?”, chiede subito Fran. “All'inizio abbastanza, poi sempre meno. Credo di aver avuto anche un orgasmo”, spiego ridacchiando. Sembra quasi vogliano fare a gara per pormi domande, sono davvero buffe. “E com'è Leon? Bravo?”. Pongo una mano come per dire 'Alt'. “Camilla, dove vuoi andare a parare?”. “Non fraintendere, era solo per sapere!”. “In verità non lo so, non ho persone a cui paragonarlo. Posso solo dirvi che a me è piaciuto e che ci sa fare”. “Su questo non c'era ombra di dubbio, Leon Vargas è pur sempre Leon Vargas”, dice Nata. Mi metto a braccia conserte squadrandola. “Risponderò ad altre vostre domande solo se la smetterete di fare insinuazioni sul mio ragazzo”. E' visibilmente pentita, infatti alza le mani a mezz'aria. “Scusa, non volevo”. “Ma tipo come l'avete fatto? Avete usato bondage, fruste oppure costumi per interpretare dei ruoli?”. Ci voltiamo tutte scioccate verso Francesca, non è da lei una cosa del genere e sono io la prima a dirlo! A malapena utilizza le parolacce se non in casi estremi, poi se ne esce con queste cose. “Fran, ma cosa cavolo...”. “Eh, ho letto 'Cinquanta sfumature di grigio'...”. Aggrotto la fronte. “Mi avevi detto che non avresti letto quel libro per nulla al mondo e che era troppo volgare per i tuoi gusti esortandomi pure a fare come te”. Abbassa lo sguardo imbarazzata, è diventata tutto d'un tratto paonazza. “Ehm...io...in realtà l'avevo letto e anche tutta la trilogia...”. “Ah però, dopo sarei io la pervertita del gruppo”, sentenzia Cami ridendo. Cerco di levarla da questa situazione scomoda dicendole: “Niente di tutto questo, comunque”. “Non si è rotto il preservativo, vero?”. Inarco un sopracciglio. “Naty, tu vuoi proprio chiamarle le disgrazie”. Improvvisamente sento dei passi dietro di me venire verso di noi, mi giro per vedere chi è...Federico? Torno a guardare le ragazze, Camilla l'abbiamo persa. “Oh, ma siete pazze o cosa?”. Ci raggiunge sotto l'albero sorridendoci, mi sono persa qualcosa? No, perché ultimamente mi perdo sempre tutto. “Ti piace il nostro ritrovo?”, chiedo. “Un po' troppo gelido e angusto in questa stagione, ma più avanti potrebbe essere carino”. Si guarda sommariamente attorno. “Perché sei qui?”. Fran ha un'espressione confusa tanto quanto la mia, la rossa dal suo canto non riesce a formulare nemmeno una sillaba. “Mi annoiavo ed ho pensato di venire da voi dato che vi ho intraviste dalla finestra, la compagnia lì dentro non è delle migliori”. “Tipo chi?”, domanda Nata. “Bah, Tomas e Braco che non mi stanno simpatici più di tanto e poi mi pare di aver visto quello nuovo, ma non lo conosco abbastanza da poterci andare a parlare. Infine ci siete voi, l'alternativa migliore che potessi trovare”. E' un abile conversatore, l'ho sempre pensato di lui. Riesce a persuadere le persone con la sua parlantina e i suoi complimenti talvolta non veritieri, secondo me è anche per questo che Cami si è fissata con lui. Attenta a non farmi vedere, le do una gomitata facendola cadere dalle nuvole. “Dì qualcosa!”, le sussurro all'orecchio. “Sai per caso dove sono gli altri?”. Alzo gli occhi al cielo, poteva domandargli qualsiasi cosa e lei è andata a chiedere degli altri come se di lui poco le importasse. “Ho visto Maxi e Broadway nelle gradinate prima dell'entrata e Marco mentre scendeva da un bus”. E Leon non lo vede mai nessuno. “Comunque io e te potremmo avere un futuro come ballerini, mio zio ha una scuola di ballo e potrei trovare qualche posto disponibile anche se le iscrizioni sono già state chiuse”, dice ridendo. “Tu dici? Ho ancora i lividi sui piedi per i pestoni che mi hai dato”. “Sono proprio un disastro”. Si posa una mano sulla fronte. “Beh, non è che io sia stata tanto meglio”. “Vilu, Nata: potreste accompagnarmi in bagno?”. “Ci puoi andare benissimo da sola, Fran”, le rispondo. “Sai che noi donne necessitiamo di essere accompagnate...”. Mi fa l'occhiolino e le mostro il pollice all'insù. “Giusto! Che stupida, andiamo?”. Nata ci osserva ancora confusa e le do un colpetto sulla schiena per farla camminare, ci dirigiamo verso la porta. “Ed io?”. “Tu continua a parlare della tua pseudo bravura nel ballo, dei lividi sui piedi e di tante cose belle”, la liquida la mia migliore amica. Ci dileguiamo velocemente prima che possa ribattere, sicuramente ci starà lanciando uno dei suoi sguardi assassini però non dobbiamo voltarci in loro direzione. Ritornate in corridoio, io e Francesca ci scambiamo un'occhiata complice e scoppiamo in una fragorosa risata. “Siamo buone amiche, un giorno ci ringrazierà”, mi dice col fiato corto. “Quel giorno non è oggi”. Utilizzo volutamente una voce roca e ombrosa, come quella degli assassini quando telefonano alla vittima nei film horror. “Mamma, ti ricordi quella volta che abbiamo visto un film dell'orrore a casa mia? Ci eravamo dimenticate di aver ordinato delle pizze e quando il fattorino ha suonato il campanello, siamo andate ad aprirgli con una mazza da baseball di mio fratello per sicurezza”. “Come dimenticarlo? Tu davanti che aprivi la porta di appena mezzo centimetro ed io dietro già pronta in posizione per colpire”. “Che serata, da rifare!”. “Sicuro”. Natalia agita una mano con entrambe le sopracciglia inarcate. “Mi spiegate che sta succedendo invece di parlare delle vostre serate?”. “Cami muore dietro a Federico”, le rispondo. “Ah, ecco perché hanno ballato assieme al Kaleidoscope!”. Ha l'espressione di chi ha appena scoperto una cosa di vitale importanza, lei vive di queste cose. “Sarebbero una bella coppia, guardate che carini!”. Indica fuori dalla finestra e li vediamo intenti a parlare seduti a terra con le schiene poggiate al tronco dell'albero. “Già, quasi belli quanto te e Maxi”. Mi arriva una gomitata dalla diretta interessata. “Non è vero, Fran? Fran?”. Mi volto e la mia migliore amica non è più al mio fianco, è corsa incontro a Marco che si trova in fondo al corridoio. Soffoco una risata e scuoto il capo. “Ha perso proprio la testa”. “E' normale quando si è innamorati, credo”. Le sorrido annuendo. “Più che normale, fidati”. Abbassa lo sguardo, poi mi chiede: “Tu cosa provi quando lo vedi?”. “Leon?”. “E chi sennò?”. Mi mordo il labbro inferiore sospirando. “Non lo so, cioè...sono talmente tante cose messe assieme che riesco a malapena distinguerle. Nonostante tutto mi blocco ancora a guardarlo come la prima volta o come quando lo osservavo da distante in giro per la scuola e mi sembra che ogni giorno diventi sempre più bello. La mia mente va completamente in tilt e c'è come un blackout generale di tutto il corpo, ossia esso non reagisce ai miei comandi infatti rimango inchiodata sul posto. E' strano e forse da malati, ma infondo è solo perché sono innamorata di lui”. Non mi sono nemmeno resa conto che mi sono portata una mano al petto in corrispondenza del cuore, la levo subito appena me ne accorgo. “Un giorno mi piacerebbe poter provare un amore così”. La osservo piacevolmente sorpresa, è bello che pensi che il mio amore per lui abbia qualcosa di speciale rispetto agli altri. “Sono sicura che lo troverai anche te, devi guardarti attentamente attorno soprattutto alle macchinette”. Aggrotta la fronte. “Che?”. Le faccio cenno di guardare verso i distributori automatici per vedere Maxi assorto nella scelta dello snack da prendere. “Oh, porca...”. “Vai là e parlagli”. Con le labbra tremanti e gli occhi fuori dalle orbite riesce solo a proferire: “No-non po-posso...”. Le carezzo il braccio. “Tu puoi tutto, sei Natalia Navarro. L'hai dimenticato? Non c'è nessuna Ludmilla che ti ostacola, ora hai la strada spianata verso lui e qualcosa mi dice che non gli dispiaccia”. Arrossisce leggermente. “Quindi dovrei provarci?”. “Devo ricordarti la serenata che ti ha cantato sabato sera spolpo? O di quando ha urlato che sei bella come un angelo? Si sa che gli unici a dire sempre la verità sono i bambini e gli ubriachi”. Prende un profondo respiro serrando le palpebre, poi le riapre. “Okay, sono pronta”. “Brava, però muoviti che sta ritirando la merendina”. Si gira di scatto e camminando velocemente lo raggiunge, non prima di avermi rivolto un'occhiata carica di gratitudine. Dal posto in cui mi trovo sento che stanno discutendo su quale sia più buono fra il Bounty e il Twix, dopodiché le voci si fanno sempre più lontane e fievoli perché si stanno allontanando per raggiungere l'aula. Estraggo il cellulare dalla tasca del giubbotto e guardo l'ora: mancano tre minuti alle otto. “Come mai ancora qua Vilu?”. Una folata d'aria fredda m'investe, mi volto verso la porta e noto che Camilla e Federico sono rientrati. “Sto aspettando Leon”, rispondo risolutamente. In verità non è per questo, ma piuttosto che pensino che sono qua per spiarli. “Ah, noi andiamo in classe...vieni con noi? Leon sarà già là che ti aspetta”, mi dice l'italiano sorridendo. “Okay, sennò rischio di entrare in ritardo”. Ci avviamo verso la classe, lascio passare loro davanti ed io mantengo una certa distanza per non sembrare di troppo. Stanno parlando di motorini e sinceramente mi sorprende alquanto che Cami ne sappia qualcosa in materia, chissà come ci sono finiti dalla danza agli scooter. Arrivati in fondo al corridoio, svoltiamo a destra e nel frattempo arriva Leon dalla parte opposta. Appena lo vedo senza pensarci due volte lo fermo per un braccio. “Hey, che fine avevi fatto?”. In un primo momento mi guarda serio, subito dopo accenna un sorriso. “E tu perché hai ancora indosso il giubbotto?”. Lascio la presa. “Non si risponde ad una domanda con un'altra domanda”. Rotea gli occhi. “A parlare con degli amici, ora tocca a te”. “Sono uscita in cortile per cui non aveva senso che lo togliessi, penso che me lo porterò in classe e lo lascerò all'armadietto alla ricreazione perché ora non c'è tempo”. Lo scruto attentamente, ha i lineamenti visibilmente tesi. Ho detto qualcosa che non va? Non mi pare. Forse ha litigato con Lucia o ha discusso animatamente con questi suoi amici con cui dice di aver parlato... “Andiamo?”. Sta già riprendendo a camminare, allora gli chiedo: “Cos'hai?”. Si volta all'indietro e scrolla le spalle. “Nulla”. “Ti conosco, hai per forza qualcosa”. “Se ti dico che non ho niente, significa che non ho niente”. Sembra spazientito, non l'ho mai visto così. “Puoi darla a bere agli altri, ma non a me”. Incrocio le braccia appena sotto il seno con aria di rimprovero. “Violetta...è così e basta”. “Non ti cre...”. “Non insistere, lo dico per il tuo bene”. “Ah, per il mio bene? Perché potresti anche farmi male solo perché mi preoccupo per te?”, dico ridacchiando. “Non mi ha mai visto arrabbiato in vita tua e ti assicuro che non è un gran bello spettacolo, finiscila sennò mi costringi a diventarlo”. “Io, davvero, non ti capisco...”. Suona la campanella interrompendo la nostra conversazione, rimaniamo alcuni secondi a guardarci seriamente negli occhi per poi andare verso l'aula silenziosamente. Tutt'intorno è una caciara ed un via vai di studenti diretti ognuno nella propria classe, mentre noi contrariamente non proferiamo parola. Quando siamo sulla soglia, lui si accomoda sul suo banco accanto a Tomas lasciando cadere con noncuranza lo zaino a lato di esso. Mi risveglio dal fissarlo quando Fran mi chiama dall'altro lato della stanza salutandomi con la mano, ricambio e, con movimenti lenti ed insicuri, mi siedo al mio posto. Mi dà le spalle e mi sento in colpa, avrei dovuto smetterla fin da quando si era dimostrato indisponente. Ora l'ho fatto incavolare ancora di più, ma infondo volevo solamente aiutarlo. Anche se è solo per oggi, mi manca non averlo girato in mia direzione. Poso la cartella accanto alla gamba della sedia e rimuovo gli indumenti che ho usato per ripararmi dal freddo poggiandoli su di essa. Mi guardo attorno dando una veloce occhiata ai miei compagni, sono tutti riuniti in gruppetti. Cami è seduta sopra ad un tavolo e scherza assieme a Federico e Braco, Francesca è in piedi mentre chiacchiera con Marco, Nata, Maxi e Broad. Alla mia sinistra Diego sta giocando annoiato col cellulare, mentre Napo e Andrès sono vicini alla cattedra intenti a leggere qualcosa sul calendario. Manca qualcuno, lo sento. Ruoto ancora il capo rapidamente da una parte e poi dall'altra. Ludmilla è assente.

 

 

Sono in piedi accanto alla pensilina e fisso la strada assorta nei miei pensieri, oggi non ho proprio voglia di ascoltare musica anche se aiuterebbe. Non mi ha più rivolto la parola e non ho la minima idea di cosa abbia, stamattina si è ostinato a non volermelo dire. Avevo dimenticato cosa si provasse a non essere cagata minimamente da lui e questo suo atteggiamento distaccato mi fa ritornare alla mente le giornate grige e tristi dello scorso anno, quando eravamo praticamente degli sconosciuti. Dopo sei ore cariche di prese in giro e solitudine, mi rannicchiavo addosso allo stesso palo al quale sono poggiata ora con i Mars sparati a tutto volume. Ripensavo ai fatti accaduti e mi deprimevo, volevo solamente essere più forte di tutto quello. Più o meno verso meno un quarto le due, ossia cinque minuti prima che arrivasse il bus, arrivava lui in fermata. Senza un capello fuori posto, espressione da incazzato col mondo e movimenti sfrontati come se si sentisse superiore a tutti. Almeno, quella era una mia impressione. Diciamo che aveva il tipico modo di fare da stronzo a cui non gliene frega niente di nessuno, ma era una maschera che gli riusciva piuttosto bene. Dev'essere una passeggiata per lui mentire, non ho mai visto una persona farlo con così tanta naturalezza. Un semplice esempio è quando ieri ha detto a Lucia che non l'avevamo sentita entrare perché stavamo guardando dei video su Youtube, era composto e pacato mentre lo diceva per cui ha dato persino a me l'illusione che stesse realmente dicendo il vero. Guardo l'ora sul cellulare: meno venti. E' il lunedì più lungo della storia, sembra non finire mai. Sento gli ennesimi passi e mi volto ancora all'indietro per vedere se è lui, per fortuna è così. Cammina a testa bassa con le cuffiette alle orecchie e le mani nelle tasche della giacca, cosa gli sta passando per la testa? Perché è così strano? Durante l'intervallo ha parlato con tutti tranne che con me, sono per caso io il problema? Finito il vialetto, svolta subito per sedersi nel muretto adiacente e si toglie lo zaino dalle spalle. Rovista all'interno di un taschino di esso ed estrae un pacchetto di sigarette, se ne accende una e lo rimette dentro. Il fatto che non mi cerchi mi irrita un sacco. Posso comprendere tutto, ma ignorarmi non ha proprio senso. Vado o non vado? Vado. Silenziosamente mi dirigo verso di lui per sedermici accanto, appena mi accomodo mi rivolge un'espressione indecifrabile. Getta il mozzicone a terra, lo calpesta e si leva gli auricolari. Ci specchiamo l'uno negli occhi dell'altro senza dire nulla come stamane, le condense dei nostri respiri si fondono assieme. “Suppongo tu abbia qualcosa da dirmi”. Mi mordo forte l'interno guancia, devo saper usare bene le parole altrimenti rischio di farlo innervosire di nuovo. “Perché?”. L'unica cosa in grado di uscirmi. Effettivamente non c'è niente di meglio per esprimere ciò che ho da chiedergli: il perché. “Scusami, oggi non è giornata”. Scuoto il capo con vigore. “Non è che se hai una brutta giornata devi evitarmi, sono qua apposta per aiutarti e cercare di risollevarti il morale!”. Si osserva le mani quasi fosse imbarazzato. “Lo so, ho sbagliato e mi dispiace. Ogni tanto ci ricasco ancora, quando non sto bene scappo da chi mi vuole aiutare”. Poso la mia sopra le sue. “Sei perdonato. Adesso, mi dici che cos'hai?”. Ci mette un po' prima di rispondere, poi dice: “Mi sono svegliato di pessimo umore e non sto affatto bene, ho lo stomaco sottosopra e forti giramenti di testa. Spero di non avere l'influenza di cui si parla tanto perché sennò questo comporterebbe che te l'abbia passata”. Corrugo la fronte. “Quindi solo questo?”. Alza lo sguardo. “Solo? Non mi ammalo praticamente mai, tanto meno di influenza! Quando mi sento giù fisicamente preferisco stare solo e il più lontano possibile dalle persone che temo di poter infettare”. Faccio le spallucce e rido. “Beh, non dovresti farti tanti problemi perché probabilmente l'ho già presa”. Mi sistemo i guanti. “Se vuoi posso passare da te oggi pomeriggio, per aiutarti con i compiti o assisterti...”. “No!”, sbotta rapidamente. “Volevo dire...no, non serve. Riesco a cavarmela benissimo da solo, grazie per l'interessamento”. “Non c'è di che...”. Mi metto a fissare la strada di fronte a noi, cade un silenzio di tomba. E' strano, troppo strano. Perché mi tratta come se fossi una sconosciuta? Sono la sua ragazza e che diamine! Non mi ha sfiorato nemmeno per sbaglio per tutta la mattinata, mi ha evitato come la peste ed è evidente che nasconda qualcosa. Ma cosa? Ieri era tutto così perfetto, abbiamo fatto l'amore dopo diverso tempo. Che abbia intenzione di lasciarmi ora che ha ottenuto ciò che voleva? Le parole di Lara riecheggiano pesanti come macigni nella mia mente e si insinuano prepotentemente imponendomi di dare ascolto ad esse: 'Sappi solo che ottenuto ciò a cui mira, ti lascerà sola ed abbandonata. Fa come me, non credere in cazzate come l'amore e non aspettarti mai niente da nessuno...soprattutto da lui'. Deglutisco e lo guardo tristemente, vorrei dire tutto ciò che mi passa per la testa e che anche lui facesse lo stesso. Non è così. Una parte di lui sarà sempre restia a dirmi la verità e solo ora capisco il peso che comporta stare con uno come lui: se ha qualche problema, si allontana e non capisco a cosa serva tutto questo. 'Da adesso in poi niente bugie, solo sincerità fra di noi', ora come ora sembra una barzelletta. Potremmo affrontare tutto assieme e spaccare i culi a chiunque, se solo lui si degnasse di non mentirmi. Faccio per dirgli qualcosa di getto, non so nemmeno cosa di preciso. Arriva però l'autobus, quindi lui si alza di scatto ed io faccio lo stesso. Salite le scalette, ci accomodiamo vicini e mi vedo costretta ad infilarmi le cuffiette nelle orecchie. Il silenzio che c'è fra noi è insopportabile.

 

 

                                                                                                                                                                                                                       31 gennaio 2014

Caro diario,

è da tanto che non scrivo e non so nemmeno io il motivo per cui ti ho tenuto chiuso così a lungo, sarà che ora preferisco vivere i momenti senza necessariamente riportarli su carta perché tanto so che dalla mia mente non si scinderanno mai. O forse perché sento il bisogno smisurato di armarmi di penna e scrivere tutto ciò che sento quando qualcosa non va come vorrei. Leon è strano. Oggi a malapena mi ha rivolto la parola e, quando ho provato ad insistere per sapere cosa gli passasse, si è innervosito e mi ha risposto male. Mi ha evitata per tutto il giorno, fino a quando non gli ho parlato in fermata chiedendogli il motivo di tanto mistero. Ha l'influenza o meglio, lui dice di averla. Non spicca di certo per sincerità, per cui ho preso con le pinze ciò che mi ha detto anche perché suonava molto sospetto. Perché cagare gli altri e non me se sei veramente preoccupato di infettare qualcuno? Ma soprattutto...perché rifiutare in modo così avventato la proposta di andarlo a trovare questo pomeriggio? Ho provato a mandargli un paio di messaggi, ma il suo ultimo accesso risulta alle due e sono passate più di tre ore. Non voglio essere il tipo di ragazza pressante, però così mi spaventa. Mi vuole mollare. Cerco di non pensarci, ma sembra si stia prendendo del tempo per allontanarsi da me e meditare sul da farsi. Non voglio perderlo, è fondamentale per riuscire ad andare avanti. Non può andarsene, non può abbandonarmi...non ora. Ho bisogno di lui, adesso più che mai. Mi sono finalmente aperta al mondo dopo anni, se dovesse lasciarmi mi richiuderei a guscio all'istante. 'Sociofobia, depressione cronica, attacchi di panico e ansia, allucinazioni'. Sono schedata così al centro. Fatico perfino a scriverlo, mi trema la mano. Sono ancora malata, so di esserlo. Certe cose me le porterò dietro per tutta a vita, per sempre. Qualche sintomo resta ancora: la costante insicurezza, il detestare di essere al centro dell'attenzione, le iperventilazioni improvvise, il bloccarmi quando voglio dire qualcosa. Per fortuna ora non ho più così paura delle persone, dei contatti umani e non credo che tutti vogliano solo il mio male o mi giudichino dalla testa ai piedi. Certo, temo ancora il giudizio altrui ma ci sto lavorando. Alla fine l'uomo necessita di vivere in una comunità, non da solo e se ho rischiato l'esaurimento è stato anche per questo. Ora sto per spiccare il volo, mi sto gettando nel vuoto contando sulla forza delle mie ali. Non credo di farcela da sola, in un primo momento ho bisogno di qualcuno che mi sostenga e poi la mia precaria autostima mi permetterà di volare. Non se ne può andare. Per non cadere ci dev'essere lui, il ragazzo di cui mi sono innamorata alla follia. Gli sarò infinitamente grata per l'aiuto che mi ha dato nel suo piccolo, il quale ha comportato un grande cambiamento. Magari sto stilando delle conclusioni affrettate, ma con il suo comportamento ombroso come pos

 

 

Nel comodino suona il cellulare facendomi sobbalzare, lascio perdere ciò che stavo scrivendo lasciando pure una parola a metà e lo afferro. E' una chiamata in arrivo da parte di Fran, perché mi sta chiamando a quest'ora? A parte il fatto che predilige i messaggi di testo e se mi chiama lo fa col fisso. Con espressione accigliata, premo su 'rispondi' e lo porto all'orecchio. “Pronto?”. Sento un fiato affannoso. “Fran, che stai facendo?”. “Mi sono nascosta dietro ad un albero”. “Che? Dietro un albero? Fran dove sei? Mi stai facendo preoccupare”. “Li sto spiando”, bisbiglia. “Chi?”. Fa una breve pausa, il suo respiro è tornato regolare. “Leon e Ludmilla”. Una fitta lancinante mi colpisce lo stomaco, come se mi avessero accoltellato con una lama tagliente. “Co-cosa?”. E' l'unica cosa in grado di uscirmi, la voce si fa stridula e mi si spezza. “Sono in centro per raggiungere mio fratello al negozio e sono dovuta passare per il parco principale, li ho visti seduti in una panchina assieme e non ho esitato a chiamarti”. Mi mordo il labbro con forza facendomi male, il sapore metallico del sangue mi invade la bocca. “Che stanno facendo?”. “Sembrerebbe niente, stanno parlando...oh, aspetta! Adesso l'ha abbracciata!”. Gli occhi mi si velano di lacrime, cerco di ricacciarle indietro ma non ci riesco. Infondo sono in camera mia, non c'è nessuno che mi stia guardando. “Vilu, ci sei? Stai piangendo? Scusami, non avrei dovuto dirtelo...”. Tiro su col naso. “No, tranquilla. Hai fatto più che bene, ho capito molte cose”. Porto le ginocchia al torace, le premo contro di esso come se servisse ad alleviare il dolore. Il mio stomaco verrà dilaniato prima o poi, me lo sento. “Non credevo fosse così...così...”. “Stronzo? Meschino? Bugiardo?”, dico fra i singhiozzi. “Non traiamo conclusioni affrettate, però. Infondo non stanno facendo nulla di male, stanno continuando a parlare”. Rido amaramente. “Apprezzo il tuo buonismo, ma non mi pare il caso”. “Un abbraccio è una cosa innocente”. Mi passo la lingua sul labbro inferiore per placare la fuoriuscita di sangue. “Mi ha mentito, Fran! Aveva detto che stava male e che oggi pomeriggio se la sarebbe cavata da solo a casa sua”. “Oh...sul serio?”. “Sì”. C'è un momento di silenzio, lei non trova le parole ed io continuo a piangere. “Con lei...”. “Già, con lei”, le rispondo. “E' un cretino, lasciatelo dire”. Col braccio libero avvolgo le gambe e dondolo avanti e indietro. “Lo sapevamo praticamente da subito, ma credevo fosse cambiato per te”. “Le persone non cambiano...mai”. Mi asciugo il viso con il dorso della mano. “Quello sei e quello rimani”. “Mi spiace”. “Tranquilla, passerà come tutte le volte che ho sofferto per lui. Anche se adesso sarà decisamente più difficile...”. “Lo sapevo che l'estate scorsa stavi male per lui e non per quel Diego”. Sospiro anche se mi esce una specie di lamento. “Non credevo si sarebbe abbassato a tanto perché fino a che se la passa con le sgualdrine è un conto, ma con te è diverso”. Parole differenti, ma stesso concetto di Lara. Lei mi aveva avvertita ed io non l'ho voluta ascoltare. Stupida, stupida, stupida. “Vilu?”. “Ho bisogno di stare sola”. Quasi mi soffoco con la mia stessa voce, ne risulta un suono aspro ed incrinato. “Come vuoi, chiamami appena ti senti meglio”. “Certo, lo farò”. Metto giù e riposo con estrema calma il cellulare sopra al comodino, forse troppo pacatamente. Lo sguardo si posa sul mio diario sopra al letto, lo sfoglio rapidamente e ciò che leggo a ripetizione è il suo nome. In ogni riga, in ogni pagina. Lo getto rabbiosamente contro il muro e così faccio anche con la penna, riprendo a piangere più intensamente di prima. Gli occhi strizzati, il viso contratto in una smorfia disperata e la bocca spalancata dalla quale mi escono dei gemiti. Mi sto comportando come una bimba che si è appena fatta male cadendo a terra. Una bimba. Inizio ad odiare questa parola. Infosso il viso in una mano e con l'altra mi copro la bocca per ammortizzare un urlo gutturale. Ci sono andata a letto insieme, sono cretina tanto quanto lui. Ho fatto tutto quello che voleva ed ecco il risultato: mi mente per correre fra le braccia della sua ex. Eppure sembrava sincero, credevo fossi l'unica persona alla quale dicesse sempre e solo la verità. Mi sbagliavo. Chissà a quante avrà detto la cazzata del 'Io non so amare' per poi dire loro di amarle e farle sentire speciali, chissà quante volte avrà raccontato la sua storia fingendo di non averla mai confessata a nessuno per non far loro dubitare del suo 'amore'. E tutti i progetti futuri? Stronzate. Il viaggio negli States, il concerto, la cena di dopodomani...tutto sfumato. Tutto per la sua voglia di avere sempre una ragazza nuova a sua disposizione, si sa che i giocattoli vecchi attirano meno. Perché Ludmilla? E' un giocattolo vecchio, se così si può dire. Forse è la più facile fra quelle che ha avuto, probabilmente è così. Senza rendermene conto, mi butto a peso morto all'indietro sprofondando nel materasso. Volto il capo a destra in direzione del comodino, lo chiamo? Allungo il braccio verso il telefono, ma cade a penzoloni perché mi mancano le forze. Allora mi rannicchio a uovo posata su un lato, gli occhi gonfi e la bocca martoriata da tagli dovuti a morsi troppo forti. Stasera non ho voglia di cenare, non ho fame. Non voglio nemmeno vedere papà, né nessun altro. Quindi chiudo le palpebre e lascio che il sonno mi porti in altri mondi, il più lontano possibile da tutto questo. Ricordi della sua figura si stagliano nella mia mente e nonostante cerchi di rimuoverli persistono. Ad un certo punto tutto diventa confuso, le immagini si fondono assieme senza un senso logico e scorrono rapidamente una dopo l'altra: Ludmilla che mi sorride maliziosa, Lucia che mi abbraccia, papà che mi viene a prendere al centro, il concerto dei Mars dello scorso anno, Angie seduta alla cattedra con espressione severa, un messaggio di Diego, Fran che ride, mamma un attimo prima dell'incidente ed infine Leon che mi sussurra 'Ti amo' mentre facciamo l'amore. Poi il buio.

 

 

ANGOLO DELL'AUTRICE

Ciao a tutti! Come avete visto, sono tornata. Premettiamo che a livello di contenuto so già che il capitolo non vi piace, ma credetemi se vi dico che tutto questo sarà necessario. Alors, Leon nasconde qualcosa: evita Vilu e non si capisce cosa abbia, dice di essersi beccato l'influenza anche se dopo si scopre che in realtà deve incontrarsi con Ludmilla. Cosa starà accadendo? Perché tanto mistero? Di cosa stavano parlando al parco? Ma soprattutto...perché le ha mentito? Ha tutta l'aria di essere un tradimento oppure che sia intenzionato a lasciarla, ma sarà così? Beh, tutte le risposte a questi interrogativi verranno svelate nel prossimo capitolo! Voi cosa ne pensate? Come giustificate il suo comportamento? Ora tutti lo detesteranno e ne sono sicura, ma Leon è senz'altro il personaggio più complesso che ci sia nella fanfiction. Ha un carattere particolare e non di certo facile, ma del resto anche la nostra Vilu è complicata. Solo che della protagonista sappiamo tutto perché la storia è in prima persona, di lui fatichiamo a capire certi suoi atteggiamenti perché ciò che gli passa per la testa ci resterà sempre oscuro. Ovviamente fatta eccezione per me che solo l'autrice u.u Visto che non ho nient'altro da aggiungere, ringrazio chi recensisce e chi mette la storia fra le preferite e le seguite!

Besitos,

Gre

Ritorna all'indice


Capitolo 21
*** Capitolo 21 ***


                                                                           CAPITOLO 21

 

 

 

E' una di quelle mattine in cui avrei voluto restarmene nel mio letto, al caldo e lontano da tutti. Non ho nemmeno richiamato Fran, ma mi sono addormentata quasi subito ieri per cui sono giustificata. Non le telefonerei nemmeno adesso perché non mi sento meglio, forse peggio. Ho finto anche di essere malata, ma, viste la mie doti recitative pari a quelle di una sedia, papà non ha abboccato e mi ha spedito a scuola. Un giorno di assenza non avrebbe fatto male, però non ammette che io stia a casa per niente. Per niente. Ho i miei motivi validi per farlo, avrei potuto fargli una lista lunghissima sui perché: Leon, Ludmilla...in verità ci sono solo loro due, ma basta e avanza. Almeno l'ho convinto a portarmi in macchina, qualcosa si può dire che abbia ottenuto. Se avessi preso il bus, avrei visto di sicuro lui e non avrei potuto sopportarlo. Non sono solo triste e delusa, stamattina al mio risveglio ho scoperto di essere incazzata nera e di avere una rabbia disumana che mi ribolle nel sangue. La mia testa esploderà, troppi sentimenti messi assieme per una come me. Non uno alla volta come le persone normali, ho rinunciato ad avere un pizzico di normalità già da anni. Scuoto il capo come per eliminare tutti i pensieri che mi attanagliano la mente, graffiano e premono contro la scatola cranica. Non devi pensare, concentrati su ciò che stai facendo. Inspiro, l'aria sembra perfino bruciarmi quando entra nei polmoni. Espiro profondamente, non tralasciando neanche un soffio. Infilo le mani dentro l'armadietto e rovisto per bene, non passa molto tempo prima che trovi qualcosa di suo. Estraggo il suo libro di laboratorio artistico e lo poso a terra, cerco meglio e trovo pure un suo modellino. Continuo la mia ricerca e mi ritrovo fra le mani i suoi colori acrilici, le sue squadrette ed un suo album. Poggio tutto nello stesso posto e frugo ancora con la testa praticamente all'interno di esso. “Buongiorno, bimba”. Il mio corpo s'irrigidisce tutto su un colpo, ma provo a non darlo a vedere. “Ti è passata molto in fretta l'influenza”, dico senza nemmeno guardarlo in faccia. “Dicono siano sintomi dovuti allo stress”. Afferro un suo disegno e lo metto assieme alle altre cose, dopodiché chiudo il tutto. “Che stai facendo?”. Mi volto verso di lui. Ha un'espressione accigliata, poi indica il mucchietto. “Quelle cose sono mie?”. Scrollo le spalle. “Impara a ricordarti le chiavi del tuo armadietto, nel mio ci sono più cose tue che mie e di Fran”. “Avevi detto che non sarebbe stato un problema...”. Raccolgo i suoi oggetti e glieli porgo. “Portateli via, occupano solo spazio e basta”. Drizza un braccio e mi mostra una busta marroncina. “E con ciò? Non puoi prendere le tue cose perché hai le mani occupate?”. “No, è per te”. Sono stanca di dover riprendere e riappoggiare le cose e, roteando gli occhi, le rimetto a terra. “Cos'è?”, chiedo con voce priva di emozione. “Scoprilo tu stessa”. Afferro il sacchetto e lo apro: un bombolone alla crema. Lo osservo per alcuni secondi, poi lo chiudo e gli sorrido falsamente. “Ho pensato che fosse un modo per scusar...aspetta! Che fai?!”. Raggiungo un cestino poco distante e lo getto all'interno rabbiosamente, mi viene incontro di corsa. “Perché lo hai fatto?”. “Chiedilo a Ludmilla perché l'ho fatto, potreste incontrarvi al parco centrale oggi pomeriggio e discuterne là...che ne dici? Mi sembra una brillante idea!”. Serra la mascella e si mette a braccia conserte. “Chi è stato a dirtelo?”. Sento il sangue defluire bollente in ogni parte di me, che importanza ha chi mi ha riferito l'informazione? Il meschino qui è lui, non chi mi ha avvertita! “Cosa te ne frega? Lo so e basta, dovresti vergognarti”. Allarga le braccia. “Vergognarmi di cosa? Non ho fatto niente di male!”. “Mi hai trattato di merda tutto il giorno e detto bugie su bugie, come faccio a fidarmi di te? Poi ti vedono con la tua ex e...bingo! C'è qualche cazzata che ti sei dimenticato di fare, Leon?”. “Ti giuro che non ho fatto niente!”. Cala il silenzio e ci specchiamo negli occhi, chissà perché quando litighiamo c'è sempre un momento di stallo in cui ci zittiamo per guardarci. E' paonazzo in viso e ha le vene del collo pulsanti, non oso pensare a come sia ridotta io. Porto le mani ai fianchi e mi avvicino, per un istante mi balena in testa l'idea di baciarlo. Che cosa stupida. “Se è vero che non hai niente da nascondere e non hai combinato nulla, adesso dimmi: cosa ci facevi al parco assieme a lei?”. Il mio tono è minacciosamente pacato, lui abbassa lo sguardo. “Non puoi saperlo”. Lo supero tornando davanti al mio armadietto, mi accuccio e prendo le sue cose per poi pressargliele contro il petto. “Per me è sufficiente”. Gli do le spalle e mi incammino per il corridoio, mi afferra per un braccio. “Aspetta! Amore mio, non fare così!”. Un pugno allo stomaco. Quella parola è un pugno allo stomaco. Meccanicamente ruoto il capo per vederlo in volto, ha il viso contratto in una smorfia. Con una mano mi sta bloccando il polso, con l'altra sorregge i suoi oggetti tenendoli premuti contro il torace. “Non chiamarmi in quel modo”, sibilo. “Mollami!”. “Credimi se ti dico che vorrei dirtelo, ma non posso”. Mi mordo il labbro inferiore, nonostante sia devastato. Altro sangue, altro sapore metallico. “Non credo a ciò che dici, non credo a te...”. Mi libero con uno strattone. “...e non credo al tuo amore”. E' una frase dettata dall'impulsività, non so nemmeno se lo penso realmente. Deglutisce e molla la presa, si mette a ridacchiare scuotendo il capo. “Non mi sento neanche di offenderti, Violetta. Dico solo che sei come tutto il resto della gente in questa scuola, in questa città...tu non hai capito un cazzo di me”. Infila una mano in tasca, estrae delle chiavi ed apre il suo armadietto. Scaraventa tutto dentro senza un minimo di cura e lo chiude sbattendo forte l'anta, dopodiché se ne va lasciandomi sola con la bocca semiaperta. No, non devo provare compassione per lui. Si è comportato male, è un dato di fatto. Non devo sentirmi in colpa per niente, lui ha sbagliato e lui ne paga le conseguenze. Cerco di mettere a tacere il rimorso ingozzandolo di rabbia, concentrandomi solo sul fatto che in questo momento sono arrabbiata perché nonostante tutto non si è degnato di darmi una spiegazione al suo comportamento. Però adesso lo è anche lui e mi fa quasi paura, mi dà come l'impressione che possa spaccare la faccia al primo che gli capiti sotto tiro solo perché è alterato per gli affari suoi. Raccolgo il mio zaino e percorro tutto il corridoio fino ad arrivare alle mie adorate panchine. Mi siedo a peso morto e sbuffo rumorosamente, quando finiranno queste orribili giornate? Apro la cerniera ed estraggo il libro di biologia, ripassare aiuterà. Inizio a sfogliarlo, ma ci sono due pagine attaccate fra loro e dalla foga di staccarle ne strappo una. Digrigno i denti e serro le palpebre, chiudo il libro e lo getto a destra. Con la coda dell'occhio noto una presenza poco distante da me, mi volto e vedo Diego intento a guardarmi con un bicchierino di caffè in mano. “Che hai da guardare?”, sbotto rabbiosa. “Uno, in questa panchina sono seduto da prima di te. Due, sei tu che ti sei messa qua. Tre, dovresti smetterla di fare tiri da psicopatica se vuoi evitare di essere guardata”. Sorseggia un po' del contenuto inarcando un sopracciglio. Effettivamente ha ragione, sto praticamente grugnendo inferocita sotto ai suoi occhi. “Scusami, sono arrabbiata”. “Non si era notato molto”. Mi sfugge un sorriso. In condizioni normali non lo farei, ma ho solo bisogno di questo. “Che stai facendo qua tutto solo?”. Fa le spallucce. “Penso e mi tengo sveglio col caffè”. “Come va con i tuoi?”. Perché gli sto chiedendo della sua vita? Quando ci sentivamo mi raccontava abbastanza dei suoi problemi in famiglia e forse erano gli unici momenti in cui mi sembrava simpatico. “Il solito, come vuoi che vada?”. Giocherella con il cucchiaino. “Quindi non si è risolto proprio nulla? Non vanno ancora d'accordo?”. Nega con la testa. “Litigano in continuazione anche a distanza di anni e si telefonano solo per sbraitarsi dietro i peggiori insulti per ogni minima stronzata, l'unica ignara di tutto è Michelle”. Michelle è la sua sorellina più piccola che avrà sui cinque anni, i suoi genitori sono divorziati e lui non sembra averlo preso bene. “Meglio così, è troppo piccola per vivere certe cose”. “Non ero tanto più grande quando le ho vissute io”. “Non ti trovi meglio ora? Piuttosto di averli in casa che litigano, è meglio che stiano separati e si siano rifatti una vita”. Accartoccia il bicchierino con un solo gesto, forse ho toccato un tasto dolente. “Mia madre non capisce un cazzo”. “Diego, cerca di...”. “No, Violetta! Non cerco di capirla, di biasimarla...ha sbagliato, punto. Qual è il senso di trasferirsi dall'altra parte del paese per risposarsi? Non poteva venire lui con sua figlia qua a Buenos Aires in modo che io e Michelle potessimo vedere papà? E' egoista e non ha pensato al bene mio e di mia sorella, ma al suo. Ha messo la sua felicità davanti alla nostra e mi è toccato passare il primo anno di superiori via da qui, è stato un inferno tanto che sono stato pure bocciato. E di chi è la colpa? Mia, certo...ma anche sua perché non mi applicavo per il disagio che provavo costantemente in quella cittadina schifosa. Odiavo la gente, i miei compagni, il posto...tutto. La mia sorellastra, poi, era una rompipalle seriale e dovevo pure dividerci la camera con quella, poi si domanda perché me ne sono tornato da papà”. Per quanto mi sforzi di comprenderlo, non ci riesco appieno perché non ho mai vissuto una situazione come la sua. Avere entrambi i genitori, ma divisi. Dev'essere tremendo. “Non vedo mia sorella da sette mesi...”. Tiene lo sguardo abbassato e riesco a leggere un velo di malinconia nei suoi occhi, è fragile come tutti nonostante voglia dimostrare il contrario. “Devi volerle molto bene”. Anche qua, non capisco cosa si provi ad avere un fratello o una sorella. Non ho mai dovuto condividere l'amore dei miei genitori con nessun altro all'infuori di me, io e Diego apparteniamo a dimensioni completamente diverse. “Sì, mi sono sempre preso cura di lei fin da piccola. Sono ancora fermamente convinto che lei meritasse più di tutto questo, infatti i miei si separarono quando lei aveva qualcosa tipo nove mesi. Mia madre mi ha rifilato una sberla in faccia quando le ho detto ciò che pensavo...”. “Cosa le hai detto?”. Sospira. “Il giorno della mia partenza da Buenos Aires ero seduto in macchina accanto a lei mentre Michelle dormiva pacifica nei posti dietro, mi chiese perché tenessi il muso da tutto il viaggio e le risposi che per colpa del suo egoismo ci aveva fatto allontanare da papà più di quanto non lo fossimo già. Poi guardai verso la mia sorellina e le dissi che lei meritava molto di più di tutto ciò e che almeno io sapevo cosa significasse avere una famiglia unita dato che l'avevo provato sulla mia pelle per dieci anni. Mi corressi, otto anni era più veritiero perché in pratica gli ultimi due, nonostante agli occhi di tutti fossimo felici, erano un litigio dietro l'altro e tante volte papà finiva col stare in hotel per giorni. Puoi immaginare come mi sentivo? All'epoca ero figlio unico. Poi diede alla luce Michelle, creatura nata dal disperato tentativo di ricucire un rapporto che si era già sfaldato da un bel pezzo. Le dissi che i figli non vanno fatti per salvare i matrimoni, ma per amore e mi arrivò un bello sberlone dritto sulla faccia”. Mima il gesto di darsi un ceffone. “Tua sorella come si trova lì?”. “Meglio di me di sicuro”, sghignazza. “A settembre comincerà le elementari e si è fatta degli amici, mentre io sono arrivato probabilmente troppo tardi. Una fetta di vita l'avevo già vissuta e mi era difficile ambientarmi in un contesto completamente differente, mi trovavo meglio qui per cui, alla fine dell'anno scolastico, presi la decisione di andare a vivere con papà”. “Tornerai da loro?”. “Credo che in giugno ci andrò come ho fatto l'estate scorsa, un mese fa è nato Miguel, figlio di mia madre ed il suo compagno, per cui mi vedo quasi costretto viste le telefonate insistenti. L'unica cosa che mi lega a quella famiglia, che non sento mia, è Michelle. Se non fosse per la mia sorellina, non andrei mai fino a laggiù”. Non so perché, ma gli poso una mano sulla spalla. “Sai cosa penso? Sempre che il mio parere valga qualcosa. Penso che tu non ti renda conto della fortuna che possiedi, tua madre può anche aver sbagliato però è pur sempre tua madre. Nonostante tutti gli errori, sono sicura che ti ama. Vuoi provare a metterti nei miei panni? Io una mamma l'ho avuta per relativamente poco e Dio solo sa quanto ho sofferto per questo. Non sono l'unica ad avere una figura in famiglia, ci sono moltissimi altri ragazzi che hanno solo uno dei genitori”. Penso subito a Leon, quindi scaccio il pensiero. “Tu nel bene o nel male li hai entrambi e, sebbene tu dica che è un'egoista, tua madre in qualche modo ha donato a tua sorella un prototipo di famiglia unita e felice anche se manca il suo vero padre che può comunque vedere quando vuole perché non credo le sia privato incontrarlo”. Alza il capo e fissa un punto indefinito di fronte a lui. “Forse hai ragione, devo ragionarci. Sono conscio che la colpa della loro separazione sia dovuta ad entrambi, ma il trasferimento è stato un colpo troppo basso. Vorrei perdonarla, ma vedere papà soffrire a causa sua di certo non aiuta”. Immaginare Casal stare male per qualcosa è praticamente impossibile, allora dietro a quell'atteggiamento duro si nascondono dei sentimenti? Un animo umano? “Ora è più imperturbabile, ma ricordo come se fosse ieri che dopo ogni telefonata si rinchiudeva nel suo studio dicendo che aveva del lavoro urgente da sbrigare. Lo sentivo piangere, non ero stupido. Feci finta di niente però, non gli piaceva parlarne”. Il professore di matematica nonché vicepreside piange? Espelle lacrime dagli occhi? Mi si sta aprendo un mondo. “Prenditi il tempo che ti serve per rifletterci, secondo me dovresti mettere da parte il rancore perché ti rovini la vita e basta”. Sorride timidamente. “Grazie, Violetta”. “Prego, non c'è di che”. Mi porge la mano e gliela stringo, dopodiché scoppiamo a ridere e ci abbracciamo. Perché lo sto facendo? In questo momento lo sento mio amico, è strano da spiegare. Ho il viso infossato sulla spalla, alzo lo sguardo e vedo Leon in lontananza intento a parlare con Andrès. La sua vista basta per farmi staccare automaticamente, lui però non mi nota e sparisce andando verso l'aula. Ritorna a tormentarmi la mente, questa conversazione mi aveva un po' distratta perlomeno. “Violetta, cosa c'è che non va?”. Prendo il libro di testo e lo rimetto nello zaino, chiudendolo. “E' per Leon? Per come ti ha trattata ieri?”. “Tu come fai a saperlo?”, chiedo scioccata. “Lo ha notato tutta la classe che non vi calcolavate”. “Sai qualcosa di Ludmilla? Sei suo amico, dovresti sapere”. “Ludmilla?”. Aggrotta la fronte. “Ludmilla cosa c'entra adesso?”. Quindi nemmeno lui lo sa essendo suo amico, allora perché Leon? “Niente, lascia perdere”. Suona la campanella. Grazie al cielo, non avrei saputo rispondere ad una domanda in più. Ci tiriamo su ed andiamo verso l'aula silenziosamente, finito il corridoio svoltiamo a destra ed incrociamo Ludmilla. E' bianca cadaverica, ha gli occhi cerchiati ed il viso stanco. Ci lancia un'occhiata vacua per poi sgattaiolare in classe, sembra un fantasma.

 

 

Ha cominciato a piovere, sento qualche goccia colpirmi il viso ma non ci faccio caso. Va di male in peggio, oggi se possibile è stato più lungo ed interminabile di ieri. Continuo camminare meccanicamente, i miei movimenti sono dettati dalla routine e non dal cervello che è da tutt'altra parte. Non mi ha parlato. Infondo provo rimorso perché credo che in un certo senso sia anche colpa mia, però ogni volta che vedevo le occhiate che si scambiava con Ludmilla cambiavo idea all'istante. In classe si sarà voltato tre o quattro volte verso i banchi sul fondo dell'aula, lui con lo sguardo teso e la mascella serrata e lei con un'espressione vuota e persa. Non capire cosa sta accadendo mi snerva, decisamente. Anche se mi sforzo, non riesco a provare compassione per lei. In passato mi ha fatto troppe cattiverie per meritarla, è quasi impossibile. Ho chiacchierato con Diego del più e del meno, forse non è così male come pensavo. Magari parlare della sua famiglia lo ha aiutato a comportarsi in modo migliore con me, chissà. So solo che l'unico momento in cui Leon mi ha considerata è stato quando, al cambio dell'ora, stavo ridendo ad una battuta del mio compagno di banco, ho alzato la testa e mi stava fissando poggiato alla parete. Ho distolto subito lo sguardo tornando a guardare Diego, anche se con la coda dell'occhio ho visto che ha dato un pugno al muro. Per sedersi, poi, ha tirato la sedia facendo un frastuono incredibile come per attirare l'attenzione. Probabilmente è solo un'impressione mia. Rabbrividisco ed imbocco il vialetto incorniciato da alberi che porta alla fermata, almeno questa giornata scolastica è terminata. “Violetta!”. Una voce conosciuta, ma più fievole ed incrinata. Mi fermo per poi proseguire, fingo di non averla sentita. “Violetta, ti devo parlare! Aspettami!”. Mi volto all'indietro, Ludmilla ha gli stessi occhi vitrei ed i calamari scuri. Si avvicina finché a dividerci sono pochi centimetri, è senza trucco ed ha la chioma legata in uno chignonne spettinato. La pioggia inizia a scendere un po' più insistentemente, inumidendo il mio cappello e lasciando delle goccioline simili a rugiada lungo i suoi capelli biondi. “Che vuoi?”. Le labbra screpolate le tremano. “Volevo parlarti di Leon”. Alzo una mano come per fermarla. “Non sono in vena di sentir parlare di lui tanto meno da te, cosa sei venuta a fare? A sbattermi in faccia qualcosa? Cosa vuoi dimostrare?”. “Lo so che ama te, smettila di fare così!”, mi urla contro scoppiando in lacrime. Il mio corpo s'irrigidisce tutto su un colpo, mi sento sempre a disagio quando qualcuno piange di fronte a me tanto più se è la Ferro. “Se ti ha mentito, lo ha fatto ha fatto perché è una brava persona”. Scuoto il capo. “Non capisco”. Tira su col naso. “Sono io che non ho voluto che parlasse, gli ho chiesto espressamente di non dire niente a nessuno. Non l'ha fatto per farti star male, lo ha fatto perché l'ho pregato di mantenere un segreto”. Mi metto a braccia conserte. “Che genere di segreto?”. Si asciuga il viso con il dorso della mano. “Se questo aiuta a farti entrare in quella testa di rapa che lui non è uno stronzo, allora te lo dirò...”. Abbassa lo sguardo. “Mia madre è morta un anno e mezzo fa di cancro ed a mia sorella minore è stata diagnosticata la stessa patologia”. Strizza le palpebre con il volto contratto in una smorfia di dolore. “Papà è sempre via per lavoro e ci ignora, se dovessi perdere anche lei...io...”. Nasconde la faccia nelle mani emettendo dei lamenti. “Mi spiace, non credevo fosse per questo che ieri era nervoso”. Alza il capo, ha gli occhi gonfi ed arrossati. “Leon ha un cuore enorme e l'ha presa anche lui molto male perché mi era stato vicino poco dopo la morte di mia madre e conosce personalmente mia sorella. Ti chiedi il perché della mia fissa con lui? Semplice, è l'unico che sa più di tutti. Mi sono aperta più volte a lui ed ha vissuto il mio dolore come se fosse il suo, nonostante tutto è una delle persone migliori che conosca”. Non sta mentendo, lo vedo. E' sincera, lo si capisce dalla sofferenza di cui sono intrise le sue parole. “Non credo di essermi innamorata di Leon seriamente, lui è più una sbandata. Attualmente per me è solo un amico però è anche una delle persone più importanti, era ora che lo sapessi. Ovviamente per lui non valgo così tanto...”. Fa una breve pausa per guardarmi negli occhi. “...la più importante per lui sei tu”. Mi manca il respiro, come se mi avessero aspirato tutta l'aria dai polmoni. “Ed ammetterlo mi è stato davvero difficile. Facevo finta di non notarlo, non c'è miglior ceco di non vuol vedere. Ma è così palese...il modo in cui gli brillano gli occhi quando parla di te, il fatto che si agita anche solo quando parli con un tuo amico, la foto in cui vi baciate come sfondo del cellulare, il sorriso che gli si forma ogni volta che ti guarda, il ciondolo con la tua iniziale appeso ad un braccialetto...”. Sento lo stomaco contorcersi, questa volta per l'emozione. Ha aggiunto al bracciale una 'V' e non me ne sono nemmeno resa conto, aveva detto che ci avrebbe aggiunto solo le cose importanti per lui. Mi sento una stupida, gli ho anche detto in faccia che non credo al suo amore. Come ho fatto a dubitare di lui? “...e scusami se sono stata accecata dalla gelosia e dall'invidia nei tuoi confronti tanto da trattarti così male, sono coscia di averti fatto soffrire e mi dispiace. Me lo ha fatto capire proprio lui ieri, è riuscito a farmi riflettere ed ho compreso di essere solo una vigliacca. E nonostante mi comportassi in modo aggressivo sottomettendoti, quella forte sei sempre stata tu. Io esercitavo potere sulle persone solo per avere l'illusione di poter fare qualsiasi cosa, ma non era così. Sono estremamente fragile e dentro sono tutta frantumi, non ho mai superato la perdita di mamma e se dovesse lasciarmi pure Marisol rischierei di impazzire”. “Tuo padre come l'ha presa?”, domando. “Lo scoprirò solo quando tornerà dal viaggio d'affari in Colombia, le domestiche sono disperate tanto quanto me. Ci hanno viste crescere e sono delle figure più vicine a noi che nostro padre. Ovviamente non si tratterrà qua per molto, rimarrà a Buenos Aires per una settimana e poi partirà per l'Europa e chissà fra quanto lo rivedremo. E' una delle principali giustificazioni alla mia costante sensazione di sentirmi abbandonata...”. Le poggio una mano sulla spalla. “Se solo ti comportassi in modo migliore con le persone, la gente ti starebbe più vicina. Fidati, lo so. Se respingi chi cerca di darti aiuto maltrattandolo od estraniandolo come facevo io, è ovvio che ti ritroverai sempre sola a gestire i tuoi problemi”. Sorride tristemente. “Sei troppo buona, Violetta. Non merito il tuo aiuto, né quello di nessun altro”. Inspiro profondamente, non so se mi pentirò di ciò che sto per dire. “Leon cerca di aiutarti e se vuoi pure io posso farlo, ti staremo vicini se necessario”. La pioggia è sempre più battente, siamo zuppe in mezzo al vialetto però non ce ne importa nulla. “Se mostrassi agli altri ciò che veramente sei e hai da dare, tutti ti apprezzerebbero di più e qualcuno, magari, ti starebbe accanto in questo momento difficile. Anch'io ho perso mamma, in circostanze completamente differenti ma è pur sempre successa la stessa cosa. Certo, la morte di tua madre dev'essere stata più dura perché l'hai vista appassire giorno dopo giorno sotto ai tuoi occhi, mentre quella della mia è stata istantanea. Abbiamo però entrambe pianto ad un funerale, posiamo regolarmente dei fiori nuovi sopra le loro lapidi e dedichiamo pensieri a loro ogni giorno. Non siamo poi così tanto diverse, Ludmilla. Eccetto per il carattere, ognuno ha il suo modo di reagire al dolore e tu l'hai fatto in maniera totalmente differente. In un certo senso riesco a compatirti e sapere che stai rivivendo lo stesso inferno, mi porta ad offrirti il mio aiuto e a darti il mio perdono”. Di slancio mi abbraccia, subito sono come un asse di legno ma dopo, sforzandomi un po' lo ammetto, contraccambio. “E' strano, le uniche persone disposte a fare qualcosa per me sono il mio ex e la ragazza che ho sempre detestato perché piaceva, appunto, a lui”. Il suo respiro è irregolare, intervallato da singhiozzi sommessi. “E' sempre stato affascinato da te”. Sciolgo l'abbraccio e la tengo per le spalle. “Come, scusa?”. “Se una cosa è troppo facile da avere, a Leon non interessa”. La guardo torva. “Non sono la più bella, non sono la più simpatica e non ho fascino”. “Che c'entra? Sei sempre stata carina e misteriosa. Secondo me è per questo che ti osservava spesso, cercava di capirti e voleva scoprire cosa si nascondesse dietro a quello sguardo ingenuo ma al contempo duro, come se avessi visto cose che noi non potremmo nemmeno immaginare. Non so moltissimo di Leon, ma so che ha passato momenti veramente difficili e che forse era attratto da te per questo aspetto: vedeva qualcosa di simile a lui”. Quindi anche lei se n'era resa conto. Interesso a lui fin dall'inizio e tutti nella sua compagnia sembravano averlo notato, mentre io ero palesemente cotta agli occhi di tutta la classe. Come abbiamo fatto a non accorgercene per due anni di scuola? Lo avevano capito tutti tranne noi, in pratica. “Non parli, Violetta?”. Scuoto il capo come per riordinare i pensieri. “No, è che mi sento una cretina ad aver dubitato del mio ragazzo”. “No, non sei una cretina! Credo sia normale, insomma...ti mente e poi viene visto con un'altra ragazza, non dev'essere molto carina come cosa”. “Effettivamente”. “Mi scuso ancora per i problemi che ho causato alla vostra relazione, è solo che non volevo che nessuno sapesse della mia vita privata e l'ho pregato di non farne parola con nessuno. Scusa, non credevo avrebbe reagito in modo così strano non parlandoti!”. “Scuse accettate. Hai un ombrello?”, chiedo ridacchiando. Le gocce sono aumentate di numero e velocità e fra non molto un acquazzone si riverserà su di noi. “Oh, certo”. Apre una tasca esterna dello zaino, estrae un ombrellino lilla e lo apre facendomi posto accanto a lei. Ci dirigiamo assieme fino alla fermata, lei mi terrà compagnia finché non arriva il bus dal momento che Leon si è fatto portare a casa da dei suoi amici di quarta. “Se ti va...potresti venire a casa mia un giorno”, dice timidamente. “Certo, volentieri”. Le sorrido per infonderle forza. “Vorrei rimediare a tutto il male che ho fatto, magari conoscendoci meglio. So che non sarà possibile del tutto, ma ci voglio provare. Mi sembri una persona in gamba, anche se lo pensavo di te già da tempo”. Inarco le sopracciglia sorpresa. “Sul serio?”. “Certo, ne sono convinta. Ti ho temuta, in un certo senso, da sempre per questo”. Un rumore stridente di vecchia ferraglia ci aggredisce le orecchie, mi volto e sta per arrivare l'autobus. Quando si ferma, la guardo e le dico: “Grazie per avermi riparata anche se per poco”. “Non c'è di che, a domani”. Faccio una breve corsetta per raggiungere le scalette, mentre sto salendo mi urla: “Violetta, hai il mio numero?”. “No! Scrivimi dopo su Facebook, me lo darai là”. “Va bene”. Le porte che ci dividono si chiudono e mi accomodo su un posto, oggi ci sono meno persone rispetto al solito sarà che alcuni si son fatti venire a prendere in auto. Guardo fuori dal finestrino e saluto Ludmilla con la mano, contraccambia ed il bus riparte. Mi infilo le mani in tasca ed estraggo le cuffiette, spero solo che vadano con tutta la pioggia che ho preso. Le attacco al cellulare e faccio partire 'Can you feel my heart?' dei Bring Me The Horizon, funzionano grazie al cielo! Sembra surreale ciò che è successo poco fa, Ludmilla che implora il mio perdono e che mi racconta cose intime per salvare il rapporto fra me e Leon. L'esperienza deve averla talmente scossa da farsi un esame di coscienza e mettersi il cuore in pace. Tutti possono cambiare, sono una stupida ad aver affermato il contrario ieri al telefono con Fran. Gli scream di Oli Sykes non sembrano infastidirmi, anzi alzo il volume al massimo. Entro su Facebook per ammazzare il tempo anziché fissare sempre il solito paesaggio, la prima cosa che mi appare nella home è uno stato di Leon. 'Giornata di merda. Non parlatemi, non toccatemi, non scrivetemi...sono incazzato nero! Ah, non commentate neanche questo stato perché tanto non vi rispondo'. Sento una fitta allo stomaco, questa storia deve finire. Scrivergli un messaggio? No, è tutto più fraintendibile. Queste sono cose che vanno affrontate di persona, ma per incontrarlo dovrò aspettare fino a domani e voglio chiarire al più presto questa faccenda. Devo escogitare qualcosa.

 

 

Rabbrividisco e mi sfrego le mani contro le braccia, è il primo febbraio eppure si muore di freddo. Non c'è il minimo accenno di primavera, è tutto così spoglio e frigido. Cammino lungo un marciapiede costellato di pozzanghere, per fortuna ha smesso di piovere un'ora fa anche se ho l'ombrello assieme a me. Dalla mia bocca escono nuvole di condensa, creano forme strane e buffe sotto ai miei occhi. Non c'è anima viva, spero di aver fatto la strada giusta altrimenti sono guai. Ad ogni rumore mi volto allarmata, non che sia notte fonda ma sono pur sempre le nove di sera e mi trovo per delle vie che avrò fatto sì e no due volte in tutta la mia vita. Ho una paura tremenda, ma non posso tirarmi indietro. Buenos Aires non brilla di certo per sicurezza, anzi tutt'altro. E se mi fossi persa? No, non può essere. Ho ricontrollato più volte i nomi delle vie che mi sono annotata e stando a ciò che ho scritto sono nella via giusta. Almeno questo non dà l'impressione di essere un quartiere malfamato, è tutta un'altra cosa rispetto al ghetto. L'inquietudine è data dal fatto che non c'è nessuno, i negozi a quest'ora sono tutti chiusi e gli unici bagliori fievoli vengono dalle finestre delle case. Finalmente infondo scorgo un'area abbondantemente illuminata con delle macchine parcheggiate a bordo della strada. Stavo perdendo le speranze. Accelero il passo quasi correndo, devo evitare che se ne vada prima che io raggiunga la palestra. Alcune auto iniziano già a partire, devo muovermi. Arrivo ai cancelli praticamente senza fiato, ma per fortuna sono in tempo. La moto rossa è ferma davanti a me, significa che è ancora dentro. Un uomo sulla trentina mi passa accanto lanciandomi un'occhiata accigliata, cosa avrà mai da guardare? Potrei essere venuta a prendere un amico o un'amica! Supero l'entrata ed imbocco il vialetto che va dritto alla porta, nello stesso momento Leon esce dall'edificio tirandosi su la cerniera della giacca in pelle con una tracolla nell'altra mano. Non mi ha ancora notata perché intento a far altro, perciò gli vado incontro. Quando sono ad un metro da lui, alza lo sguardo e sgrana gli occhi. “Tu che ci fai qui?”. Infilo le mani nelle tasche del doppiopetto e timidamente dico: “Volevo parlare con te”. Lascia cadere la borsa a terra e mi prende per il braccio con forza attirandomi più vicina. La sua espressione sembra...arrabbiata? “Cosa ti è passato per la testa? Andare col buio in giro da sola? Sai quali rischi potevi correre? Non voglio nemmeno pensarci perché mi vien male solo all'idea, come hai potuto essere così irresponsabile?”. Mi sta rimproverando perché sono venuta fin qui da sola? “Di German Castillo ce n'è già uno, non mi serve una sua copia in miniatura”. Serra le palpebre e espira rumorosamente dal nervoso. “Sei la persona più fifona che io conosca, eviti come la peste tutto ciò che può rappresentare anche solo lontanamente un pericolo e poi te ne esci con queste cose! Io...veramente...non farlo mai più, ti prego”. Il suo viso s'intenerisce anche se rimane comunque serio. Si sta preoccupando per me e nonostante voglia ostinarsi a fare il duro, riesco a captare che sta facendo uno sforzo enorme. “Non lo farò più, promesso”. Nel frattempo escono diverse persone dalla palestra fino a svuotarla del tutto. Allenta la presa dal mio braccio, ma non lo molla. “Allora?”. Mi esorta con il capo. Mi mordo il labbro inferiore, ho fatto tutta questa strada per arrivare fin qua e dovrò pur chiarire le nostre incomprensioni. “Dai, dimmi quello per cui se venuta”. Deglutisco della saliva perché la gola è secca, dal suo tono di voce pacato trapela impazienza. “Oggi ho parlato con Ludmilla e so tutto. Mi spiace per come ti ho trattato stamattina, per aver buttato via la colazione che mi avevi portato, per non averti chiesto scusa ma soprattutto...”. Abbasso lo sguardo. “...per aver detto che non credo nell'amore che provi per me. Io ci credo, credo in te e credo in noi. Quelle parole mi sono uscite inavvertitamente, le ho dette per vedere come avresti reagito e mi sento una stronza per questo. Tu, nonostante tutto, non mi hai mai offesa anche quando ce ne sarebbero state molte da dire! Il punto è che sono arrivata a pensare che mi volessi lasciare, avevo timore di perdere tutto questo. Ed una delle mie più grandi paure è che tu mi abbandoni, sarei inesorabilmente vuota e mi romperei di nuovo in mille pezzi. Grazie a te ho imparato a vivere degnamente la mia vita, a sorridere di fronte alle piccole cose, ad essere quello che sono senza curarmi di ciò che pensa la gente. Mi hai dato una possibilità dalla quale vengono generate mille altre opzioni, non sono più impantanata nella solita direzione! Ne ho centinaia e centinaia davanti e posso scegliere quella che voglio. Non posso separarmi da te, non posso separarmi da colui che ha fatto così tanto per me in così poco tempo. Ci sono persone che ti stanno accanto tutta l'esistenza e non fanno nulla, tu in quasi un mese l'hai stravolta. Non credo esista una parola per esprimere la gratitudine che provo nei tuoi confronti e nemmeno per dirti quanto ti amo”. Rialzo la testa per guardarlo in volto, mi sorride dolcemente con gli occhi lucidi. In controluce al chiaro di luna pare quasi più perfetto, oserei dire surreale. Mi prende il viso fra le mani e mi bacia appassionatamente, era da domenica che non ci sfioravamo nemmeno. Intreccio le braccia attorno al suo collo e faccio combaciare il mio corpo col suo, posso sentire il suo cuore battere all'impazzata come il mio. Non c'è più nessuna Ludmilla, nessun Diego e nessuna Lara che tenga. Siamo solo io e lui, ci amiamo e non dobbiamo dubitare l'uno dell'altro per nessuna ragione al mondo. Incastro le dita fra i suoi capelli mentre lui fa scivolare le sua mani sui miei fianchi. Ogni tanto ci interrompiamo per guardarci, ma poi riprendiamo ancora più famelici di prima. Sono in punta di piedi, non so quanto ancora potrò resistere. Lentamente e dopo chissà quanto tempo, stacchiamo le nostre labbra ormai gonfie rimanendo abbracciati. Abbasso i piedi e mi appoggio con la testa sul petto, quando indosso le scarpe basse ci arrivo giusta. Il suo battito è irregolare e sorrido beatamente socchiudendo le palpebre. Tabacco e vaniglia. Ho il naso infossato nella sua giacca, il suo profumo è l'unica cosa che riesco ad odorare. Mi stringe a sé ancora più forte quasi stritolandomi, affonda il suo viso fra i miei capelli e vi lascia un leggero bacio. Adesso che ci penso, non ho più così tanto freddo.“Ti amo da morire”. Con le mani posate sul suo petto, alzo il capo per poterlo guardare negli occhi. “Anch'io, non sai quanto”. Sento la sua mano accarezzarmi la schiena, mentre io giocherello coi suoi capelli. “Per fortuna ha funzionato il piano A”. “Ah, perché avevi anche un piano B?”, mi chiede sorridendo. “Oh, certo...”. Frugo in tasca ed estraggo un Kinder Bueno. “Se non avesse funzionato il primo, con questo di sicuro avresti avuto il mio perdono!”. Scoppiamo a ridere, glielo porgo e lo afferra. “Grazie mille. Credo che anche io ti debba delle scuse, ti ho mentito ed ho sbagliato...”. “Era bugia a fin di bene, ti ho già perdonato da quando Ludmilla mi ha raccontato tutto”. Si mette a braccia conserte. “In tal proposito, cos'è questa storia?”. “Appena uscite da scuola è venuta a parlarmi di te e mi ha fatto capire che se mi hai mentito, era perché te l'aveva chiesto lei di non far sapere in giro cose sul suo conto. Si è scusata per aver creato problemi nella nostra storia e per tutte le cattiverie fatte in passato, proponendomi di provare a conoscerci meglio per cercare di rimediare. Mi sembrava sinceramente dispiaciuta e bisognosa d'aiuto, così ho acconsentito”. Mi osserva piacevolmente sorpreso. “Beh, wow! Ieri ho cercato di farle comprendere fra le altre cose che il suo comportamento nei tuoi confronti è stato sempre scorretto, ma non credevo che mi avesse dato ascolto e tanto meno che tu fossi disposta a starle vicina”. “Ha veramente bisogno d'aiuto e non dobbiamo far altro che essere presenti e non farla stare sola, tu sei suo amico ed io, non so perché, mi sento quasi in dovere di farlo. Si è aperta con me rivelando cose che non dice a nessuno per paura di sembrare fragile, proprio a me con la quale si comportava sempre da superiore. Necessita man forte ed io gliela darò, nonostante tutto”. Mi prende per mano. “Sei la persona migliore che abbia mai conosciuto in tutta la mia vita, davvero”. “Anche tu lo sei”. “Ragazzini, che ci fate ancora qui?”. Ci voltiamo di scatto verso l'entrata della palestra, un uomo tozzo e pelato sta chiudendo la porta a chiave. “Ci scusi signor Gonzalez, ci siamo trattenuti a parlare”. Ci squadra poco convinto. “Sì, certo. Vedete di andarvene subito che dovrei chiudere i cancelli ed andarmene a casa, se non vi dispiace”. “Si figuri. Vilu, andiamo”. Raccoglie la sua borsa da terra e percorriamo il vialetto fino ad arrivare sul marciapiede. “E' il sorvegliante della palestra, finisce più tardi perché è anche addetto alle pulizie. Non è il classico tipo gioviale”, mi sussurra all'orecchio. “L'ho notato”. Il sorvegliante ora è poco distante da noi, chiude i cancelli e sale nella propria auto per poi andarsene. Leon alza la sella della sua moto, rimuove il casco e ci inserisce la tracolla. “Toglimi una curiosità: con cosa sei venuta qui?”. Glielo devo proprio dire? “Bus”. “Di cazzate ne hai fatte abbastanza per oggi, non credi?”. Annuisco col capo. “Tuo padre lo sa che sei qui?”. Contraggo la bocca in un sorriso palesemente forzato. “Questa è una bella domanda, davvero...”. “Lo sa sì o no?”. “Ehm...no”. Si massaggia la fronte. “Sei uscita di nascosto...” . “Sì”. “...dal retro...”. “Sì”. “...e suppongo ti debba riaccompagnare a casa”. Inarco le sopracciglia. “Beh, non sei obbligato”. “Sono obbligato eccome dal momento che non ti permetterei mai di vagare sola soletta per le vie di Buenos Aires un'altra volta!”. “Giusto...”. Abbassa la sella ed infila testa dentro il casco allacciandoselo. Con la voce ovattata, mi dice: “Stasera farai il tuo primo giro sulla mia Ducati”. Sale a bordo e mi fa posto dietro di sé, tentenno in un primo momento però poi mi ci siedo. “Stringiti forte a me, non sia mai che ti perda per strada”. Faccio quanto mi dice ed accende la moto, poi parte. Ho il capo posato sulla sua schiena ed i capelli liberi al vento, mi piace la velocità. Tanto più se mi costringe ad appolparmi al mio ragazzo, cosa che farei anche in una situazione statica. Guardo la notte attorno a noi, le luci si susseguono confuse e mescolate fra loro mentre l'aria fredda s'infrange sul mio viso scoperto. Fra poco prenderò di sicuro la sgridata del secolo, ma non m'importa. Ci sono io, c'è lui e le stelle hanno preso il posto delle nuvole grige. La luna illumina il suolo bagnato tingendolo di tonalità perlacee, stiamo imboccando vie secondarie per cui non ci sono molte macchine. Silenzio, perfetto ed immacolato silenzio. Chiudo gli occhi e sorrido come una bimba stringendomi a lui ancora di più. Sono in paradiso.

 

 

ANGOLO DELL'AUTRICE

Ciao a tutti! Amatemi perché ho aggiornato con un giorno d'anticipo ed ho fatto il capitolo più lungo di sempre u.u che ve ne pare? Finalmente hanno chiarito i nostri due piccioncini ed abbiamo assistito ad un cambiamento da parte di Ludmilla e anche un po' di Diego. Con questo ne abbiamo la conferma indiscussa: la ama tanto. E finalmente, ora non abbiamo dubbi. Spero proprio che vi sia piaciuto, ditemi la vostra lasciando un commento! Vi ricordo che nel prossimo capitolo ci sarà la famosa cena dai Castillo e vi anticipo che Leon farà una sorpresa alla sua Vilu. Non vi dico altro, non voglio spoilerare. Ringrazio chi lascia puntualmente una recensione e chi mette la storia fra le preferite e le seguite, avere così tanti lettori mi riempie d'orgoglio. Grazie di cuore, davvero.

Stay tuned,

Gre 

Ritorna all'indice


Capitolo 22
*** Capitolo 22 ***


                                                                          CAPITOLO 22

 

 

 

E' difficile comportarsi come se niente fosse con papà. Ieri non si è accorto che sono uscita di nascosto, infatti avevo studiato un piano ben strutturato nonostante Leon dica non abbia usato la testa. Eccome se l'ho usata, ho ideato il piano! Siccome il giorno precedente ero strana e non ho nemmeno mangiato, ho pensato bene di fare finta di essere afflitta dallo stesso problema senza rivelarglielo. Il pomeriggio sono stata rintanata in camera e sono scesa soltanto per cenare fingendomi una morta vivente, durante il pasto non ho proferito parola ed alla fine, giustamente, mi ha chiesto il motivo del mio malumore. Negata la risposta, ha insistito così ho finto di arrabbiarmi, gli ho fatto una scenata e sono corsa nella mia stanza chiudendomi a chiave. Mi ha seguita ed ha iniziato a bussare dicendomi di uscire, ma gli ho urlato che non volevo vedere nessuno e che non mi sarei fatta viva fino all'indomani. Ha continuato a parlare, ma dalla mia parte c'era solo silenzio così se n'è andato. Ho sistemato per bene dei vestiti sotto le coperte in modo da formare una sagoma e spento la luce lasciando accesa solo quella fioca dell'abat-jour sul comodino. Rapidamente mi sono messa il giubbotto e mi sono infilata il foglietto con le indicazioni ed il cellulare in tasca. Ho aperto cautamente la porta e poi richiusa, dopodiché ho preso il mio ombrellino ed un sasso abbastanza grosso che avevo nascosto appositamente dentro al cassetto di un mobile in corridoio. L'ho percorso con passo felpato fino ad arrivare infondo di fronte ad una finestra che dà sul giardino antistante alla nostra casa, l'ho aperta facendo attenzione anche al minimo rumore ed ho guardato fuori. Dovevo mirare al cancello, non era poi così difficile. Ho immagazzinato un po' d'aria nei polmoni che ho scaricato del tutto durante il lancio, un frastuono enorme ha invaso il quartiere riecheggiando fra il silenzio della notte invernale. Appena ho visto la luce dell'entrata accendersi sono corsa giù per le scale, passata per il soggiorno e la cucina rischiando di esser scoperta e sgusciata dalla porta sul retro. Ho corso fino alla fermata guardandomi più volte alle spalle, ma di papà nessuna traccia. Probabilmente avrà creduto fosse stato uno scherzo dei vicini maleducati, i loro figli non sono a nuovi a burlate come petardi o strani oggetti nel nostro giardino. Al ritorno invece mi sono avvalsa di Leon per rientrare, lui ha suonato il campanello con la scusa di cercarmi ed ha trattenuto papà mentre io, passando sempre dal retro, sono riuscita a tornare in camera e a fingere di essere stata là tutto il tempo a piangermi addosso. Secondo lui devo sdebitarmi per, a detta sua, l'enormissimo favore che mi ha fatto contro la sua volontà perché l'ultima cosa che desidera è mentire al padre della propria ragazza. Tanto più se il soggetto in questione è German Castillo. Abbiamo patteggiato che questo sabato avrà lui il monopolio sul sesso, sceglierà tutto senza consultazione: dalla durata alla quantità delle volte, dallo 'stile' da adottare agli eventuali esperimenti. Andiamo bene. Un po' mi fa paura, lo ammetto. Perché sono stata così stupida da cascarci? Sono o non sono io la posseditrice della porta del tempio e dovrei avere l'arbitrio su di essa? Però lui ha un'informazione che farebbe incazzare papà e non poco, per cui per non rovinare la cena di stasera forse è meglio così. Ci guadagniamo entrambi, forse più io che lui. “...perché nonostante tutto la moda va avanti e non si può mica rimanere bloccatati su un solo stile!”. Oh, giusto. Sono alle panchine delle macchinette e sto parlando con Ludmilla, siamo il due febbraio ed ho un sonno tremendo. Quando parto con i pensieri viaggio proprio dimenticandomi di tutto il resto, perfino di chi si sta rivolgendo a me. “Ad esempio te: vesti sempre con colori smorti tipo nero, grigio scuro e altre tonalità opache...vivacizza il tuo guardaroba! E poi tutte questi felponi enormi e queste magliette con scritte e disegni che nessuno capisce...”. “Queste magliette con 'scritte e disegni che nessuno capisce' sono band merch, Ludmilla”. Aggrotta la fronte. “Band che?”. “Band merch, ossia merce di band. Sono tutto quel vestiario e quei gadget con frasi di canzoni o significative, simboli rappresentativi o il nome del gruppo”. Si mette a braccia conserte. “Interessante, ma non è di questo che stavamo parlando. Un giorno verrò a casa tua e rifaremo il tuo guardaroba da cima a fondo!”. “No, grazie. Sto benissimo così, mi piacciono i miei vestiti”. Scuote il capo sconsolata. “Ma non pensi al tuo ragazzo? Non pensi voglia vederti in qualche mise più provocante?”. Le sorrido divertita, si vede che è nata in una dimensione completamente diversa dalla mia. Che poi a Leon darebbe fastidio se andassi in giro conciata in modo provocante, mi ha detto che se vedrà mai qualcuno osservare insistentemente 'cose che non dovrebbe' non esiterà a piazzargli un suo gancio destro in piena faccia. Nonostante stesse scherzando, non credo lo abbia fatto del tutto visto che è una testa calda. Per cui è meglio non rischiare. “A Leon vado bene così, non credi starebbe con un'altra già da un pezzo se non mi accettasse per quello che sono?”. Ci pensa un po', dopodiché annuisce. “Effettivamente se cercasse solo sesso, mirerebbe ad altri soggetti”. “Appunto”. “Spero tu soddisfi, però, il suo desiderio tipico dei ragazzi”. Scoppio a ridere. “Oh, certo! Gli concedo anche fin troppe libertà, ovviamente nella giusta misura”. Ripenso subito all'accordo di sabato. Sì, sono decisamente fin troppe libertà. “Brava, bisogna sempre appagare il proprio partner altrimenti si rischia che lui cerchi pascoli più verdi”. Assumo un'espressione confusa e mi dà una pacca sulla spalla. “Scherzo, scema!”. Il viso torna ad essere rilassato e sorrido timidamente, mi punta l'indice contro. “Però è anche vero che tutti i ragazzi hanno bisogno della loro razione una volta tanto, nessuno escluso. Hanno istinti più animaleschi dei nostri sotto questo punto di vista”. “Ci siamo messi d'accordo sul farlo il fine settimana, gli ha anche dato un soprannome...che cosa stupida”, ridacchio. “Una volta a settimana? Mi sembra ottimo! E che nome gli ha dato? Sempre se posso saperlo”. Mi metto una mano di fronte al volto come per nascondermi da ciò che sto per dire, mi vergogno per lui e per le stronzate che fuoriescono dalla sua bocca come fossero sparate da un mitra. “Lo ha chiamato...'L'essenza vitale'. Ora, dimmi te se non è la cosa più stupida che abbia mai sentito!”. “Almeno è sincero con sé stesso”. “In che senso?”. “Ammette che per lui è una cosa importante, ergo tu devi soddisfarlo”. Roteo gli occhi anche se forse ha ragione. “Conosco abbastanza Leon per dirti che è molto legato alla fisicità e fare sesso gli piace, anche tanto!”. Mi passo una mano fra i capelli. “L'ho notato dal modo in cui prende seriamente la faccenda”. “Sinceramente mi domando come abbia resistito per ben tre settimane a secco, un'eternità per lui! Bah, si sarà sfogato su YouPorn o guardando le tue foto...”. Sgrano gli occhi e spalanco la bocca. “Ludmilla!”. Come fa a parlarne con così tanta naturalezza? Sono io che sono troppo pudica o lei troppo diretta? “Che c'è? E' normale che un maschio faccia certe cose, Violetta!”. “Lo so, è solo che immaginare il mio ragazzo...brrr!”. Rabbrividisco alla sola idea, non voglio nemmeno provare a pensarci. “Come è anche normale che lo faccia una ragazza, anche se per molti è un tabù. Tu ad esempio l'hai mai fatto?”. “Co-cosa?”. “Masturbarti, genia!”. Abbasso lo sguardo e divento rossa, questo argomento mi imbarazza alquanto. “No, mai”. Si sbatte la mano sulla fronte. “Oh Gesù, non è possibile...è una cosa basilare, tutti l'hanno provato almeno una volta. Su che mondo vivi?”. “Il mio?”. “Adesso appena torni a casa, ti infili sotto la doccia e provi a farlo”. “No, non voglio...”. “Sì che lo farai!”. “Che senso avrebbe se adesso ho un ragazzo col quale farò l'amore regolarmente? Non devo sfogare alcun desiderio represso, non mi serve”. Improvvisamente sento un trillo proveniente dal mio cellulare, lo estraggo dalla tasca degli skinny jeans e dalla spia rossa che lampeggia capisco che mi è arrivato un messaggio. “Ma non serve mica a quello! E' una cosa che va fatta e basta...ma mi stai ascoltando?”.

Hai un concetto piuttosto distorto di 'cinque minuti e poi torno', non credi? Muovi quel culetto bello e portalo agli armadietti, ti devo dare una cosa e se non ti sbrighi non faccio in tempo a dartela.

02 febbraio 2014, ore 07.49

“E' Leon”. “Che vuole?”. Blocco il telefono e scrollo le spalle. “Ha detto che deve darmi una cosa agli armadietti”. “Ah, allora va!”. “Sicura? Non vuoi che io stia qua ancora un po'?”. “Ci vediamo dopo in classe”, mi risponde. “Okay, a dopo”. Mi alzo e la saluto, per poi imboccare il corridoio. Cosa avrà mai di così importante da darmi da interrompere la mia chiacchierata con Ludmilla? Un regalo! Che dolce, potrebbe avermi regalato una collana con la triade. Un cd? Magari ha puntato su qualcosa di più romantico tipo un peluche o una scatola di cioccolatini a forma di cuore. Svolto a sinistra e percorro ancora un po' di strada fino a trovare un piccolo braccio laterale in cui si trovano gli armadietti della nostra classe, mi sta aspettando poggiato con la schiena su di essi. “Oh, alla buon'ora”. Sbuffo. “Come se tu fossi sempre in orario”. “Sono sempre più preciso di te”. Roteo gli occhi. “Ad ogni modo, non siamo qui per discutere su chi sia ritardatario o no! Ho pensato di farti...”. “Un regalo!”, pigolo. “Ehm sì, un regalo. Mi è venuta l'ispirazione ieri sera, quando sei venuta fino alla mia palestra”. Oddio, è di sicuro qualcosa di romantico. Ora il cerchio si restringe ai cioccolatini e a quelle cose lì. Raccoglie da terra un sacchetto di plastica e me lo porge, lo prendo e constato che pesa parecchio. “Oh, wow! Pesa eh?”. “Su, guarda che c'è dentro!”. Gli sorrido ed infilo la mano al suo interno, è una cosa liscia e dura. Trovo una cavità per afferrarlo e lo tiro fuori. “Un casco?”. “Sì, è il mio secondo casco e voglio che tu lo tenga”. Corrugo la fronte. “E cosa me ne faccio di un casco?”. “Secondo te?”. Che stupida, come ho fatto a non pensarci? E' per salire assieme a lui nella moto. “Finite le lezioni ti porto a casa con la Ducati, che dici?”. Mi fa l'occhiolino. “Com'è galante, cavalier Vargas! Comunque grazie, tra l'altro è del mio colore preferito”. “Sapevo che rosso ti sarebbe piaciuto, ma guardalo un po' meglio”. Lo rigiro fra le mie mani, quando nel lato destro scorgo una scritta davanti alla quale scoppio a ridere. “Non è possibile”. “Oh, eccome se è possibile! Ora tutti sapranno chi sei”. Con stile graffiti c'è scritto in blu 'L's Girl', la ragazza di L. “Hai fatto tu la scritta?”. “Beh, mi pare ovvio”. Anche se non è proprio quello che mi aspettavo, è una cosa tenera a modo suo. Lui ama le moto, le auto ed i motori in generale ed il fatto che mi abbia fatto entrare a far parte di questa sua passione mi rende felice. “E sul tuo?”. “Il mio è pieno di scritte, non so se hai notato. Alcune me le avevano fatte quelli della vecchia compagnia, c'è ancora il soprannome con cui mi chiamavano”, ricorda sorridendo. “Sarebbe?”. “Vuoi davvero saperlo?”. Annuisco. “Granata”. “Perché 'Granata'?”. “Perché potevo esplodere in qualsiasi momento, ero il più irascibile del gruppo. Le ho date e le ho prese anche quando non c'entravo, tante volte mi arrabbiavo io al posto di un amico”. Inarco le sopracciglia. “Vi davate tutti soprannomi così?”. “Oh, sì. Veleno era quello più, come dire, schietto? Sputava veleno, appunto, su tutto. Ciccio, il più grasso, e Sardina, il più esile. Se volevi un consiglio andavi da Guru ed infine Casanova, il ragazzo che aveva in mente solamente una cosa e penso tu sappia a cosa mi stia riferendo”. “Come mai non sei più amico loro?”. Assume un'espressione malinconica. “Li ho conosciuti quando facevo l'ITIS perché eravamo in classe assieme, abbiamo tenuto un po' i contatti anche il primo anno in cui sono venuto qui però poi mi sono staccato quando ho conosciuto...altra gente”. Capisco a chi si riferisce, perciò cambio argomento per non incappare in cose che per lui sono difficili anche solo da pensare. “Ma proprio zero contatti?”. Fa le spallucce. “Ogni tanto mi capita di risentire Veleno e Guru, ma gli altri tre nulla”. Sospira. “Evidentemente non erano veri amici”. Gli accarezzo il braccio. “Ora hai noi”. Mi guarda un po' insicuro. “Ho te, Andrès e Moises, vorrai dire”. Scuoto la testa. “No, hai tutti noi! Perché dici questo?”. “Per il semplice fatto che non sono mai stato uno di voi e che, nonostante i vostri sforzi, mi sento sempre fuori posto perché ho paura di sbagliare tutto”. Allora non sono l'unica ad avere questo tipo di timori. “Ma non suoni in una band con Marco, Broad e Andrès?”. “Certo, sono stato inserito perché Andrès è amico di tutti! Io sono solo...solo...il tastierista”. “Non dire cazzate! Tu sei molto di più, inizi a fare l'insicuro? Questo non è il Leon che ho conosciuto! Lui se la tira come pochi, quando si osserva allo specchio crede di essere Mister Universo e se si guarda attorno l'unica cosa che vede sono plebei”. Riesco a strappargli una risata che coinvolge anche me. “Hai ragione, sono troppo bello per abbattermi”. “Questo è quello che intendo!”. Gli do una pacca sulla spalla ridacchiando. “Comunque grazie per il casco, mi piace un sacco! Soprattutto la scritta, è fatta veramente bene”. Si passa una mano sul ciuffo con la sua consueta nonchalance. “Un artista del mio calibro non potrebbe far altro che un lavoro eccellente”. “Sai una cosa? Rimpiango il Leon complessato che ho visto per una frazione di secondo”. Avvolgo il braccio libero attorno al suo collo, mi innalzo sulle punte e gli lascio un leggero bacio. “Pronto per stasera?”. “Non farmici pensare, ti prego”. “Perché? Vedrai che tutte le tue preoccupazioni si riveleranno inutili”. “Se lo dici tu...”. “Sì, amore, lo dico io”. Adesso è lui a stringermi a me, anche se è un po' complicato con il casco che ingombra. “Farò il bravo”, mi sussurra all'orecchio. Il suo fiato mi solletica il collo facendomi sogghignare, poggio l'altra mano sulla sua guancia e vi lascio un bacio. “Sarà meglio andare in classe o ci prenderemo all'ultimo come sempre ultimamente”. Mi stacco e ripongo il casco nell'armadietto, una volta chiuso mi avvicino per venire avvolta e attirata al suo corpo. Camminiamo ancora insieme, più forti e sicuri di prima. In molti si voltano a guardarci lungo il nostro tragitto, ma noi fissiamo la strada di fronte imperturbabili. Nulla potrà separarci.

 

 

“...non mi dispiacerebbe, anzi! Sabato sera?”. Mi sistemo il cordless nell'incavo del collo dal momento che stava per scivolare. “Okay, avevo pensato di andare a quel nuovo ristorante giapponese in centro”. Mi passo la piastra guardandomi allo specchio. “Meglio di no, a Leon non piacciono le cucine orientali”. “Tu per cosa opteresti? Va bene qualsiasi cosa, Marco mangia un po' tutto”. “Mmm...una pizza? Più le cose son semplici, meglio è”. Mi liscio l'ultima ciocca, spengo il tutto ed esco dal bagnetto. “Va bene, dopo gli mando un messaggio. Ci andiamo assieme o ci troviamo lì?”. Mi siedo sul letto per indossare i tacchi, in pratica mi ha costretto Angie ad indossare queste macchine da tortura. “Per me è uguale, può sempre passare Leon a prendervi in auto”. “Perfe...aspetta, ma lui non ha la patente!”. Mi alzo in piedi per andare di fronte allo specchio, non sono poi così orribile. Finalmente sostengo il telefono con la mano, la spalla stava iniziando a farmi male. “Sta facendo scuola guida, deve dare l'esame a maggio e poi ha il foglio rosa! Insomma, la sa guidare un'auto”. “Sì, ma teoricamente non potre...”. “E' una lunga storia, Fran”. Il vestito me l'ha prestato zia, se avessi usato quello del compleanno di Maxi papà farebbe un infarto. E' rosso fuoco, lungo fino alle ginocchia davanti e a metà polpaccio dietro e senza spalline. L'ho scelto principalmente per il colore, ma è piuttosto carino. Sento il campanello suonare dal piano di sotto ed un vociare, i nostri ospiti sono arrivati. “Ora ti devo salutare, sono appena arrivati. Grazie per i consigli sul trucco, mi sei sempre utile! Un bacione enorme, a domani”. “Buona fortuna per stasera, Vilu. A domani”. Riattacco, esco dalla camera e poso il cordless al suo posto nel mobiletto in corridoio. Qualcuno mi chiama, sembra nonna Angelica. Inspiro un bel po' di aria e mi decido a scendere le scale lentamente, mi mordo il labbro nervosamente. Quando mancano solamente pochi gradini, decido finalmente di voltarmi verso il salotto: al centro vi sono tutta la mia famiglia e quella del mio ragazzo. Lucia ha i capelli castani raccolti in un chignonne, delle scarpe blu con poco tacco ed un vestito lungo con fantasia floreale. Leon invece indossa dei jeans, una camicia azzurrina tassativamente arrotolata fino ai gomiti e, sorprendentemente è dir poco, una cravatta bordeaux. Mi avvicino verso di loro attenta a non inciampare sui trampoli che ho ai piedi e armandomi del sorriso più spontaneo possibile. “Buonasera”, dico. “Oh, ciao Violetta! Come sei bella!”. Sua madre mi abbraccia teneramente, non sono più così impacciata con gli abbracci. “Ciao Vilu”. “Ciao Leon”. Saluto più freddo di questo non esiste, per cui gli do una pacca amichevole sulla spalla. Ci guardiamo leggermente a disagio, sentiamo lo sguardo di papà addosso. “Vi salutate così di solito? Siete una coppia un pochino smorta!”. No, nonna. Normalmente avremmo concluso il saluto nel migliore dei modi. “Ho fatto gli stuzzichini per l'aperitivo questo pomeriggio, sono di là in cucina. Andiamo? Ah, ragazzi: dal momento che non potete bere alcolici, che ne dite di portare le giacche al piano di sopra? Vilu, mettile pure nella tua stanza”. Zia vede sempre oltre rispetto agli altri e non sapete quanto la sto ringraziando mentalmente. “Oh, certo”. Per fortuna la sala si libera degli adulti che se ne vanno in cucina in un chiacchiericcio continuo, Lucia piacerà loro di sicuro. “Concordo con quanto ha detto mia madre”. Mi prende per mano facendomi fare una giravolta su me stessa. “Grazie, anche tu stai molto bene vestito con la camicia e...la cravatta”. “Taci va, taci! Mi ha costretto a metterla, mi sembra di essere un animale in cattività”. Mi lascia per allentare il nodo al collo, dopodiché si guarda attorno. “Più che una cena come un'altra sembra un ricevimento nuziale, aperitivo? Vestiti eleganti? Poi tutte queste decorazioni...buon Dio”. “Un lato positivo c'è, non ho mai visto la mia casa così pulita”, cerco di sdrammatizzare invano. “Parlo seriamente”. “Il matrimonio ti spaventa così tanto?”, gli chiedo leggermente innervosita senza sapere nemmeno il motivo. “Il matrimonio è come questa cravatta...”. La indica. “...è una cosa scomoda e strozzante”. Roteo gli occhi. “Guarda che ho cambiato pure idea col tempo! Una volta dicevo che era la morte di tutte le gioie, ora sono delle idea del 'magari più tardi ripasso'...non so se mi spiego”. Annuisco. “Comprendo che ad una così giovane età la cosa ti spaventi, certo”. “Non mi spaventa!”, sbotta orgoglioso. “E' solamente che lo trovo un grosso impegno, ma non di quelli che durano un determinato tempo. E' una cosa che ti porti dietro per tutto il resto della tua vita, una responsabilità alla quale non puoi sottrarti una volta detto sì”. Fino a poco fa Leon ed impegno nella stessa frase suonavano ridicoli, mentre ora ci sta lavorando. Credo bisogna fare un passo alla volta, ecco una sua paura: la responsabilità. “Hai ragione, andiamo a portare su i giubbotti?”. “Certo”. Li raccolgo dal divano ed andiamo al piano di sopra, una volta arrivati in camera li poso sopra la mia scrivania e mi volto verso di lui che nel frattempo si è accomodato nel mio letto. Lo raggiungo e mi ci siedo accanto, sbadiglio. “Rischierò di addormentarmi sopra il tavolo stasera, ho bisogno di qualcosa per ricaricarmi”. Sento la sua presenza sempre più vicina, ma cos...mi bacia prepotentemente facendomi schiudere le labbra a forza per permettere alla sua lingua di entrarvici. Okay che non ci siamo salutati, ma questo mi sembra un po' eccessivo. Dal mio canto, però, ricambio e mi lascio trasportare, intreccio le braccia attorno al suo collo e senza neanche rendermene conto mi stendo. Improvvisamente sento la sua mano nella zip del vestito, sgrano gli occhi e lo spingo via. “Che fai?”. Ritorno seduta e fa le spallucce. “Avevi detto che ti serviva qualcosa per ricaricarti”. Chiudo gli occhi e mi passo una mano sulla fronte. “Ma cosa hai capito? Intendevo il caffè, testone”. “Specifica, allora!”. “Non c'era bisogno di specificare e poi semmai è una cosa che stanca”. Mi sistemo i capelli e mi passo l'indice attorno alla bocca per togliere il rossetto sbavato. Ridacchia, cosa ci sarà mai di divertente? “Cos'hai?”. Scuote il capo. “Niente, è solo che da questo deduco che non mi desideri”. Aggrotto la fronte. “Non dire stronzate, sai benissimo che non è così!”. “Quindi lo faresti?”. “Sì, ma...”. Non faccio nemmeno in tempo a finire la frase che già si sta riavvicinando, perciò lo blocco posando una mano sul suo petto. “La smetti?”. “Eh, dai!”. Sorride sornione. “Sei pazzo? Al piano di sotto c'è tutta la mia famiglia compreso mio padre e sottolineo mio padre! Hai idea del rischio che correremmo?”. “Il rischio rende tutto molto più eccitante”. Mi fa l'occhiolino e sbuffo. “No, è fuori questione”. “Ma...”. “Dacci un taglio, Leon”. Torno in piedi, mentre lui è ancora stravaccato con le gambe divaricate. “Fra quanto ceneremo?”. Do una rapida occhiata alla sveglia sul comodino, per poi rispondere: “Fra dieci minuti, un quarto d'ora...perché?”. Il suo viso si illumina. “E' perfetto! Una sveltina ci sta tutta”. Mi metto a braccia conserte. “Ancora? Basta”. “Guarda che non c'è bisogno di fare chissà quali cose, basta che ti alzi la gonna ed io mi abbasso i panta...”. “Quale concetto non ti è chiaro della parola 'no'?”. Si butta a peso morto all'indietro. “Che palle però!”. Mi passo una mano nell'orecchio destro e noto di aver perso il gancetto dell'orecchino. “Merda”, bisbiglio. “Che c'è?”, domanda. “Ho perso il gancetto dell'orecchino...”. Mi accuccio a terra per cercarlo, basta scorgere anche solo un piccolo bagliore. “Ti do una mano”. “Ecco, bravo”. Si mette a carponi pure lui e girovaghiamo alla ricerca disperata del gancio. “Eccolo!”. “Cosa fai? Togliti da dietro!”. Mi sta praticamente sovrastando col suo corpo e sta allungando il braccio di fronte a lui. “Ragazzi, volevo dirvi che...oh”. “Zia, non è come sembra!”. Angie è sull'uscio della porta che era già aperta con gli occhi sgranati, effettivamente io sono a pecorina mentre lui è dietro di me con una mano poggiata sulla mia vita. “Ho perso il gancio dell'orecchino e...”. “Non voglio sapere”, sentenzia. “Ero venuta solamente a dirvi che stiamo per servire la cena in tavola e che potete venire giù quando volete, insomma...quando avrete 'trovato l'orecchino'”. Ci sorride maliziosa e se ne va. “Oh, tieni”. Me lo passa con non poca difficoltà e lo prendo. “E levati!”. Mi scrollo come per allontanarlo e torno in piedi, poi mi rimetto l'orecchino. Gli afferro la mano e lo tiro su, non è facile alzare un colosso di ottanta chili. “Comunque grazie per la figura che mi hai fatto fare con zia, eh? Grazie tante”. “Non è mica colpa mia se tutti ci trovano nei momenti meno opportuni, l'ho fatto per aiutarti”. Ci fissiamo per alcuni secondi, poi scoppiamo a ridere. “Dai, andiamo giù”. Gli do la mano ed usciamo, poi scendiamo le scale. Attraversiamo il salotto e raggiungiamo la cucina, si sono già tutti accomodati a tavola. “Oh, finalmente siete qua. Stavo iniziando a preoccuparmi...”, esordisce papà. Ci sediamo ai nostri posti, siamo vicini e soprattutto in una posizione centrale imbarazzante. “Avete trovato...l'orecchino?”. “Sì, grazie per l'interessamento”, rispondo risolutamente. Leon sta fissando il suo piatto, mentre io mi guardo nervosamente attorno. La smettono di osservarci? “Vado a prendere gli spaghetti allo scoglio, spero siano di vostro gradimento”. Zia si alza dal tavolo, grazie al cielo esiste lei. “Allora, Leon, cosa fai nella vita?”. Oddio nonna, manco fosse un quarantenne. “Studio...”. “Usiamo paroloni grossi”, ironizzo. Mi lancia un'occhiataccia per poi continuare: “...un giorno spero di diventare architetto”. “Oh, che bella cosa! Te lo sei scelto bene il fidanzatino, paperotta”. Arrossisco tutto ad un tratto e divento della stessa tinta del vestito, lo sguardo divertito del mio ragazzo mi urta un sacco. “Ah, paperotta? Questa mi mancava”. “Vilu da piccola camminava con i piedi all'infuori tipo a papera, per fortuna con la crescita ha corretto questo suo difetto”, racconta papà. “Come mai non me l'avevi mai detto, paperotta?”, mi dice ridacchiando. “Fossi in te non riderei tanto, devo ricordarti del Peperone Brontolone?”. Quanto posso adorare Lucia? Il suo viso da schernitore si fa serio. Arriva Angie con una pentola e serve tutti, dopodiché lo ripone sopra la cucina e ci raggiunge. “Beh, buon appetito a tutti”. Tutti intoniamo la stessa frase e cominciamo a mangiare. “Prima che veniste giù, ho scambiato quattro chiacchiere con Lucia e mi ha riferito qualcosa a proposito di un viaggio...potresti dirmi di che si tratta, Vilu?”. Rimango con la forchetta a mezz'aria e la bocca spalancata. E' giusto che sia io a dirlo, ma come? Ho paura che non mi lasci partire. “Ehm...sì, agosto...il compleanno...i Mars...Leon...”. “Che?”. “Per il compleanno le ho regalato dei biglietti per un concerto”. Sento la sua mano accarezzarmi dolcemente la schiena, mi infonde sicurezza. “Okay e cosa c'entra il viaggio?”. “Il concerto è a Chicago”, aggiungo. Silenzio di tomba. Papà ci scruta accigliato, Leon mi stringe la vita. Il rumore sommesso delle posate non fa altro che aumentare la mia ansia, noi tre non stiamo toccando cibo. “Tu...”. Mi indica. “...e lui...”. Sposta il dito su di lui. “...in una grande città degli Stati Uniti? Da soli?”. “No!”, sbotta Lucia. “Mi sono proposta di fare da accompagnatrice, sarei molto felice di stare loro vicino”. Le lancio un'occhiata carica di gratitudine ed abbozzo un sorriso. “Vorrei venire anch'io”. “German, non sarà necessario se c'è la madre del ragazzo”, puntualizza zia. “Appunto, se hanno una persona adulta con loro non vedo dove sia il problema”. Anche nonna Angelica sta dalla nostra parte, bene. Papà poggia i gomiti sul tavolo e congiunge le mani portandole a pochi centimetri dal volto con fare pensoso, poi si volta verso Leon. “Allora pensi veramente di fare sul serio con la mia bambina?”. Non risponde subito, inizio a preoccuparmi. “Sì”. “Dormirete in camere separate?”. Roteo gli occhi, lo sapevo che sarebbe andato a parare anche là. “Dormiremo tutti in un'unica stanza”, lo rassicura la messicana. “Mmm...”. Quanto sono tesa, detesto quando temporeggia! “Si può fare”. Non ci penso due volte, mi alzo e corro a stritolarlo. “Grazie, grazie! Sei il miglior papà del mondo”, pigolo euforica. “Certo, però fate attenzione negli States. Mi raccomando...”. “Pà, fidati di me per una volta!”. Sciolgo l'abbraccio per guardarlo negli occhi. “Di te sempre, è degli altri che non mi fido”. Sospira. “Ma se c'è Leon sono più sicuro”. Torno a sedermi e continuo la mia cena. “Stia tranquillo, German: è in buone mani”. “Tienila d'occhio, ogni tanto fa di quelle stupidaggini”. “Oh, lo so bene”. Mi osserva sottecchi. “Infondo però è una brava ragazza, se la sa cavare benissimo”. “Su questo non ho ombra di dubbio, ma tu monitorala lo stesso”. “Sicuro”. Si scambiano un sorriso complice per poi concentrarsi sui rispettivi piatti. Sono fiera di loro, degli uomini della mia vita. Abbasso lo sguardo ed imbocco una forchettata di spaghetti, mentre tutti chiacchierano io mi guardo attorno felice. Appartengo a tutto questo, so finalmente cosa voglio. Seguirò le orme di zia Angie, all'università voglio studiare storia dell'arte e laurearmi. Desidero viaggiare, tanto. Proseguire il mio cammino affianco al mio ragazzo, stare accanto alla mia famiglia nonostante tutto. Ora so che posto ho nel mondo e nei loro cuori. Sto attraversando il mio miglior momento, sono felice. Perché una seconda possibilità viene data a tutti, ma è un treno che devi saper prendere al volo. Ed io l'ho preso, per una volta ne sono uscita vincitrice dopo tutte le mie sconfitte. Non avrei mai pensato di poter tornare ad esserlo, non dopo la morte di mamma: potrei ripeterlo all'infinito, sono felice.

 

 

ANGOLO DELL'AUTRICE

Hey giovincelli! Vi è piaciuto il penultimo capitolo? * si acquatta piangendo * Co-co-cosa? Era un moscerino. E dopo quasi cinque mesi assieme a voi questa storia volge al termine, il riscontro positivo che ha avuto è stato qualcosa di inaspettato e unico! Eppure questa è una storia semplicissima, non ha chissà che di anomalo o speciale. Cosa ci avete visto in questa fanfiction? Soprattutto vista la trama che fa un po' tanto cagare LOL Vi do appuntamento alla prossima settimana con l'epilogo che sarà una lunga pagina di diario in cui parlerò di tutto ciò che è accaduto fino ad ora, cose passate e pensieri futuri. Direi il miglior modo per concludere in bellezza, no? So già che quando cliccherò su quel 'completa' prima di aggiornare mi si stringerà il cuore, ma hey chicos c'è il sequel! (Che se possibile vi truciderà il cuore più della fine di 'Indovina perché ti odio', ma dettagli) Lo ripeto per l'ultima volta: chi non ha la trama del sequel e vuole leggerla è pregato gentilmente di contattare in privato la sottoscritta. Ora come non mai mi sento di ringraziarvi profondamente per tutto l'appoggio datomi, per le bellissime recensioni, per quei numeri altissimi di visualizzazioni e di persone che hanno messo la storia fra i preferiti e le seguite e per l'affetto che dimostrate puntualmente per questa fanfic. Ma bando ai sentimentalismi, i discorsi strappalacrime li farò nel prossimo capitolo.

Un bacio grande,

Gre the disagiata

Ritorna all'indice


Capitolo 23
*** Capitolo 23-Epilogo ***


CAPITOLO 23

EPILOGO

 

 

 

Caro diario,

come hai ben visto, non ho messo la data. Questo perché non è un pezzo della mia vita che voglio annotare, non è uno sfogo né altro. Diciamo che è un lungo discorso finale che voglio fare, un saluto. Sì, finale. Sento che sono arrivata alla conclusione di un ciclo e che se ne è aperto uno nuovo e tutto da scoprire, non necessito più di un diario segreto. Questo non significa che tu non sia stato importante per me, anzi! Ti porterò sempre nel cuore e ti conserverò con cura nel mio cassetto, chissà magari un giorno in futuro ti riaprirò e sorriderò di fronte a te. Mi hai accompagnato per un periodo delicato della mia vita e non posso far altro che esserti debitrice, in principio eri il mio unico amico. Ricordo ancora quando ti acquistai, guardavo attentamente la vasta gamma di diari esposti e quando mi sono imbattuta in te non c'è stata storia. Dovevi esseri mio. Così grazioso, in velluto blu scuro come il cielo nelle notti limpide estive e soprattutto con un sacco di pagine su cui scrivere. Spesso quasi quattro dita, sapevo che ne avrei avuto per molto. Era un complemento per la terapia, infatti l'ho comprato una volta rilasciata dal centro a fine estate. Mancava poco più di una settimana all'inizio del mio secondo anno di medie e papà aveva pensato bene di farmi questo regalo, guarda ora: mancano a malapena una quindicina di pagine al termine. Tre anni e mezzo da quel giorno. Non ho mai avuto il coraggio di leggerti dall'inizio, ci ho provato l'anno scorso fallendo. Faceva troppo male. Era come se con un nastro mi avvolgessero il collo sempre di più, ad ogni riga sempre più. Oggi l'ho fatto e non ho provato più quella sensazione di soffocamento, sono rimasta impassibile di fronte al mio passato. Ho rivissuto la solitudine, il dolore, la paura. Ero convinta che se fossi morta a nessuno sarebbe importato, forse tutti avrebbero vissuto meglio senza un peso costante da portarsi appresso. Mi sentivo di troppo, un sassolino nella scarpa di papà, zia Angie e nonna. Facevano chilometri per portarmi al centro, da ospedali a farmacie. Non stavano fermi neanche in casa, mi controllavano sempre per vedere come stavo con quell'espressione solcata da angoscia e preoccupazione. Come potevano sapere cosa avrebbero trovato una volta aperta quella porta? Se andava bene potevano vedermi intenta a disegnare o dormire, se andava male a fissare il muro o il vuoto con sguardo vacuo e la bocca semiaperta e non rispondevo ai loro implori nemmeno con un cenno di qualsiasi parte del corpo. A volte potevo anche piangere senza apparente motivo, ma cercavo di stare attenta a non farmi scoprire da nessuno. Seguire una malata non è vivere, più andavo avanti e più dentro di me si faceva grande l'idea di farla finita e di togliere il disturbo per far star meglio la mia famiglia. Pensandoci bene adesso e guardando le cose oggettivamente, sarebbe stata la mossa più sbagliata da fare: se il lutto di mamma era stato devastante e difficile da superare per tutti, non oso pensare se mi fossi tolta la vita. Nonostante avessi pensieri suicidi per il novanta percento del tempo, non ho mai realmente provato perché ero troppo codarda. Infondo la morte mi spaventava e non poco, avevo paura anche solo di salire nelle automobili figurarsi di imbottirmi di strane sostanze o di gettarmi da una finestra. Il primo anno con te, diario, era un alternarsi di “sono a terra, voglio farla finita” o se andava 'bene' osavo scrivere “hey, oggi sono un po' triste!”. Il terzo anno, invece, è stato leggermente migliore. Almeno davo uno pseudo valore alla mia vita e non facevo più strani pensieri, avevo finalmente superato l'ossessione per la morte grazie alla mia perseveranza nell'esternare le emozioni con il disegno ed alla scoperta di un genere di musica che mi ha risollevata. Diciamo che la solitudine fa da padrona alla terza media, i sentimenti contrastanti: il desiderio di avere finalmente un amico in carne ed ossa e la paura ad avere contatti umani data dalla mia sociofobia. Se da un lato le allucinazioni erano state smaltite con la terapia intensiva al centro e la depressione cronica passo dopo passo, la sociofobia era dura a morire. La gente mi spaventava più di ogni altra cosa. Il loro giudizio soprattutto, quando sentivo dei gruppetti di ragazzini ridere avevo sempre il timore che ridessero di me. La mia autostima all'epoca era pari a zero, non che adesso sia alle stelle eh? Sono un po' migliorata, ho acquisito più determinazione e sicurezza nelle mie capacità. Dei compagni che avevo al tempo ne ricordo solo alcuni, ma neanche tanto. In quella classe parlavo sì e no con tre per cose inerenti alla scuola, per cui si può dire che in quei tre anni non ho mai avuto un briciolo di amico e se possibile è stato peggio delle elementari. C'è stata solo una cosa positiva: almeno non prendevano in giro, ma per il resto erano persone grige. Non rimpiango nulla di tutto quello, bene o male le medie sono un periodo oscuro per tutti: chi più, chi meno. Infatti mi è sfuggita una risata nel leggere la pagina dedicata all'ultimo giorno, è la prima volta che ho letto la parola 'felice' dall'inizio del diario. “Sono felice di non veder più queste mura di merda e queste facce da culo”. La delicatezza da elefante incinta è una mia caratteristica da sempre, perfino nelle situazioni peggiori traspariva un po' del mio cinismo. Ecco quando ho cominciato a divertirmi sul serio, l'inizio delle superiori. C'è una differenza abissale perché le preoccupazioni sono completamente cambiate, siamo passati dal “ho paura che stanotte un assassino irrompa nella mia stanza con un pugnale e mi accoltelli” ad “adesso vicino a chi mi siedo?”. Una parte di me desiderava avere nella nuova classe persone della vecchia per avere qualcuno con cui parlare, l'altra ricordava che erano tutte 'facce da culo'. Non ho potuto non sorridere di fronte a quando ho scritto di Leon per la prima volta, solo ora mi rendo conto che è stato un vero e proprio colpo di fulmine. “Quando mi sono presentata davanti a tutti ero a disagio, soprattutto perché sentivo gli occhi di quel Leon Vargas addosso”. Ricordo ancora come se fosse ieri quando mentre parlavo, ho ruotato leggermente il capo incrociando il suo sguardo ed un brivido mi ha attraversato la schiena. Per tutto il resto del tempo mi guardavo attorno cercando qualche volto amichevole, nel suo mi sono imbattuta diverse volte ed ho sentito la stessa sensazione. Non capivo, però. Aveva un'espressione seria ed indecifrabile, cosa stesse pensando o provando in quel momento è tutt'ora un mistero. Dopo un mese di scuola, avevo trovato una quasi amica ossia Nata e parlavo un po' con Francesca e Camilla. Il paradiso sembrava, gente simpatica ed in più vedevo quel ragazzo tutti i giorni. In dicembre le cose iniziarono a peggiorare. Se prima ero riuscita a costruire una qualche relazione nonostante le mie difficoltà comunicative, ero tornata ad essere sola e con le spalle al muro. Si erano già formati dei gruppi ed io non facevo parte di nessuno, Nata aveva preferito Ludmilla a me. Non avevo nessuno e cominciarono ad affiorare i difetti di quelle persone, crebbe la convinzione di essere finita ancora in un brutto posto. “La classe peggiore del mondo” ero solita ripetere. Camilla non capivo da che parte stesse, oscillava fra una compagnia e l'altra come se nulla fosse. Ludmilla se la tirava e non perdeva occasione di sbattere in faccia la sua ricchezza a tutti. Federico era incoerente, diceva di non sopportare qualcuno e poi lo vedevi assieme. Broadway era un bambinone come Maxi, non sembravano prendere seriamente nulla ed il loro continuo ironizzare su qualsiasi cosa alla lunga risultava snervante. Marco era il contrario, troppo serio e chiuso. Andrès era ed è tuttora una ciofeca, ma infondo non l'ho mai biasimato. Braco e Napo stavano sempre fra loro come se gli altri fossero merde, mentre Tomas era un saccente di prima di categoria. In più Leon aveva dato libero sfogo al suo lato stronzo, si atteggiava in continuazione e sembrava provarci con tutte. Tranne che con me, ovviamente. L'unica persona a cui non trovavo qualcosa che non andasse era Fran, la sola che si degnava di rivolgermi la parola ogni tanto. Provavo una certa simpatia nei suoi confronti, ma pessimista com'ero cercavo di convincermi che lo facesse solo per pietà. Infondo bene o male a quasi metà anno si sapeva qualcosa di tutti ed io ero l'orfana di madre asociale ai loro occhi. L'anno nuovo portò dei piccoli miglioramenti, ossia cominciai a chiacchierare sempre più con la mia attuale migliore amica non solo di compiti e cose così. In verità non la comprendevo inizialmente, perché decidere di perdere tempo con me anziché con gli altri amici che si era già fatta? L'avevo sempre vista con Maxi, Marco e Camilla. Perché me? Nacque quindi gradualmente una bellissima amicizia e stentavo a malapena a crederci, più andavo avanti e più mi chiedevo se avere un'amica significasse quello. Purtroppo verso fine febbraio cominciarono le prese in giro di Ludmilla, offese taglienti e non solamente su cose futili come il vestiario. Parole che toccavano l'animo torturandolo, che prendevano a sprangate la mia autostima già precaria e constatare che c'era gente che rideva di tutto ciò mi faceva soffrire. Quindi facevo bene ad evitare le persone? Francesca era l'unica al mio fianco e che mi difendeva a spada tratta in quanto io non sapevo rispondere alle provocazioni. Leon era l'altro tasto dolente, perché stavo tanto male per uno sconosciuto? Mascheravo la tristezza che provavo nel vederlo sempre appresso a Ludmilla con l'odio. Viscido, stronzo, troglodita, puttaniere, egocentrico, ipocrita mi ripetevo. Mi straziavo mentalmente ogni volta che me li trovavo davanti: lui seduto sulla sedia e lei che si piazzava sulle sue gambe attorcigliando le braccia attorno al suo collo. Non stavano insieme, però flirtavano che era uno schifo. Non ho idea di quanti monologhi carichi di disprezzo fosse stata costretta ad ascoltare Fran di lì alla fine dell'anno scolastico, la invitavo spesso da me e mi dilungavo in discorsi su loro due ed è stato proprio da questi pomeriggi che ne è uscito il soprannome 'Homo Stronzus'. Più i mesi passavano, più sentivo la testa esplodere. Sono arrivata anche a pensare di cambiare scuola nonostante sia stata una delle migliori scelte che avessi fatto. L'unica nota positiva è che approfondendo la conoscenza di Francesca ho avuto modo di conoscere e frequentare un po' Cami, Maxi e Marco che non erano poi così tanto male come pensavo. In maggio conobbi Diego durante un concerto del mio coro, mi aveva dato l'impressione di essere un tipo simpatico e spigliato. A mia sorpresa lo ritrovai alle successive prove aperte al pubblico ed era venuto solamente per me, la cosa mi lusingò non poco dal momento che effettivamente era il primo ragazzo che dimostrava interesse nei miei confronti. Così cominciammo a sentirci su Facebook fino a scambiarci i numeri di cellulare, dentro di me si insinuò l'idea che forse potevo avere la mia prima storia e dare il mio primo bacio. Le prese in giro persistevano, ma cercavo di resistere concentrandomi su questo. Mi riusciva però difficile ogni volta che vedevo Leon, nel giro di una frazione di secondo Diego diventava l'ultimo dei miei pensieri. Tante volte quando mi inviava un messaggio dolce coprivo il suo nome ed immaginavo dentro di me che fosse Leon a mandarmelo. Lo so, è da scemi. Ma sono quelle sbandate che ti segnano, penso tutti ne abbiano avuta una. Cominciai a frequentarlo di persona e tutto sembrava andar bene fino a quando non tentò di baciarmi, con un rapido riflesso l'ho spinto lontano da me facendolo inciampare e quasi cadere. Non ero io quella che voleva baciare un ragazzo? Non volevo avere una storia? Non potevo illuderlo, non se lo meritava. Nessuno lo merita. Sono stata offesa pesantemente, però. Compresi con che razza di persona avevo a che fare e ci misi una pietra sopra praticamente subito. Cominciata l'estate, non avevo voglia di far niente e sai che novità. Fran era partita per l'Italia lasciandomi sola, un'altra volta. Almeno era una solitudine con data di scadenza, per cui pensarla in questo modo mi consolava in qualche modo. Lei però rimaneva in contatto anche con altri compagni di classe, così seppe tramite qualcuno che Ludmilla aveva una storia con Leon. Anche se non ero lontana dall'immaginarlo, speravo comunque fosse un'impressione solo mia e che mi sbagliassi. Era più che evidente anche se non volevo accettarlo: quegli sguardi languidi durante le lezioni, il modo in cui si osservavano parti poco caste e il loro continuo giocherellare provocandosi a vicenda. Non ho mai provato invidia per lei come molte, ma se si trattava di lui facevo un'eccezione. Inspiegabilmente venivo investita da un'ondata di gelosia e l'idea che lui potesse anche solo sfiorare il motivo principale della mia emarginazione mi faceva impazzire. Guardavo spesso il suo profilo Facebook e realizzai che era perfetta: bionda, corpo da favola, lineamenti delicati e ricca. Nonostante avesse un carattere pessimo, quale ragazzo non si infatuerebbe di lei? Mi guardavo allora allo specchio attentamente. Dei giorni mi vedevo una balena, altri troppo magra e senza curve. Uno schifo in entrambi i casi. Capelli sfibrati e di un colore banale, occhi comunissimi e labbra carnose che detesto. Il viso era troppo a punta, le occhiaie marcate e la carnagione marmorea. Chi si sarebbe potuto innamorare di un disastro sotto tutti i punti di vista? No, non caddi in depressione. Era piuttosto malinconia mista a solitudine e ribrezzo nei confronti di me stessa. Papà era preoccupatissimo, temeva un'altra mia ricaduta e faticava persino a dormire la notte. Vedevo spesso la luce accesa della sua stanza, detesto averlo fatto stare così tanto in pensiero. Francesca credeva che stessi male per il distacco da Diego, ma a quanto pare aveva capito fin da subito il vero motivo. Avevo cominciato a comportarmi in modo strano da quando mi aveva riferito quella notizia, uno più uno fa due. Nuovo anno scolastico, nuovo comportamento. La mia fragilità persisteva, ma la tenevo ben nascosta sotto ad uno strato di menefreghismo verso tutto e tutti. Riavere Fran accanto aveva di sicuro contribuito, in un certo senso l'esperienza estiva mi aveva fortificata. Il primo giorno andai con lei a fare colazione, per poi aggregarci a Marco, Maxi e Cami per ritornare fra i banchi. Misi un piede dentro la classe guardando in basso, alzai lo sguardo e mi trovai Leon davanti. Se fossero stati pochi mesi prima avrei balbettato iniziando a fare discorsi senza senso, mentre ricordo come se fosse ieri che gli dissi “Spostati che devo passare” in tono freddo e distaccato. Da lì iniziò la diatriba fra me e lui, ogni lezione era un pretesto per lanciarsi frecciatine e se mi parlava era per fare commenti poco carini ai quali ovviamente rispondevo a tono. Se c'erano delle discrepanze fra i vari gruppi da sempre, in quel periodo si notavano ancora di più. Avevamo spesso creato problemi ai professori, ma con i continui battibecchi li facevamo dannare. Ogni scusa era buona per attaccare qualcun altro e ciò che ne derivava era una litigata generale, ho perso il conto di tutte le note di classe che abbiamo preso quest'anno. Mi chiamavo sempre fuori, fatta eccezione per quando a provocarmi era lui. Era l'unico al quale stranamente avevo il coraggio di ribattere, la cosa sembrava divertirlo un mondo mentre io ero piuttosto irritata. Fino ad un mese fa. Non posso credere che la mia vita sia completamente cambiata nel giro di trenta giorni e con una sola persona. Ora ho un ragazzo, ho dato il mio primo bacio e pure fatto l'amore. Lo stesso che dicevo di odiare dal profondo del mio cuore, lo stesso che mi chiamava 'musona', lo stesso che cambiava tipa con la stessa frequenza delle mutande. Ci ho pensato bene e sinceramente non credo sia cambiato, sono convinta che lui infondo fosse sempre stato così solo che non lo dava a vedere per orgoglio o chissà per altro. Non riuscirei ad immaginare la mia vita senza di lui e non saprei nemmeno cosa ne sarebbe stato se non l'avessi mai conosciuto, sarei ancora un caso clinico? Di chi mi sarei innamorata? Chi lo sa, so per certo che al solo pensiero mi vengono i brividi. Ogni tanto lo osservo quando dorme in bus accanto a me, quando è intento a giocare ad Angry Birds, quando è concentrato su qualcosa. Lo guardo e non mi sembra ancora vero, nessuno avrebbe mai puntato un pesos su me e lui. Sarà esagerato da dire, ma desidero veramente averlo con me per sempre. Perché non ho mai provato niente di così forte e intenso se non con lui, quando incrocio il suo sguardo adesso è come la prima volta durante le presentazioni. Leon ha aperto un ciclo, il mio nuovo ciclo. Quello per cui ho deciso di chiuderti e di porre fine alla nostra avventura, sarai un bellissimo ricordo che mi porterò dietro. L'accompagnatore nei miei periodi più bui, il mio primo amico. Sembro pazza, do del tu ad un oggetto inanimato e gli voglio pure bene. No, non voglio pensarla così. Per me sei di più di un semplice diario, hai quasi il valore di una persona. Sei l'unico confidente che non ha mai giudicato il mio modo di essere o agire, è come se dietro a queste pagine ci fosse qualcuno che mi ascolta sempre e comunque senza mai ribattere. Una presenza costante con cui, nonostante non dica mai nulla, hai la garanzia di sentirti meglio dopo essertici sfogata. Sei paragonabile a quegli abbracci silenziosi, quando qualcuno ti abbraccia senza proferire parola e riesce lo stesso a darti conforto. Ecco, per me sei stato tutto questo. Leggendo ciò che ho scritto in tutti questi anni ho potuto rivivere un cambiamento interiore che nella realtà è stato lento e graduale, ora sono maturata e sento di non aver più il bisogno di avere un diario con me. Certo, sentirò ogni tanto l'esigenza di riportare degli sfoghi su carta, ma nulla di comparabile al farlo con una cadenza regolare. L'hai visto anche tu, no? Ultimamente ti ho scritto solo quando c'è stata l'incomprensione con Leon e non mi va ti utilizzarti un giorno sì e l'altro no, per cui ho deciso di darti un saluto degno per uno come te. Oddio, quanto sto scrivendo? Non lo so nemmeno io, sto quasi finendo le pagine mancanti! Ho le dita indolenzite, ma voglio continuare un altro po'. Quando scrivo è un po' come quando disegno, svuoto la mente e la mano va da sola. In più è tardissimo perché stasera sono tornata a mezzanotte dall'uscita a quattro con Fran, Marco e Leon. E' andata benissimo, siamo andati in una pizzeria piccolina appena fuori dal centro consigliata dal mio ragazzo ovviamente. Non so come faccia a conoscere così tanti posti, la mia conoscenza si limita al tragitto casa-scuola. Ah, a proposito: lo sai che ieri abbiamo prenotato l'hotel? Sono felicissima, non vedo l'ora che sia agosto per poter volare negli States! Francesca mi ha pure chiesto di andare in vacanza con lei un mese a Roma, ma non so se chiederlo a papà dal momento che mi ha già permesso di andare una settimana a Chicago. Tentar non nuoce, ci proverò più avanti anche se non credo mi lasci stare all'estero per un mese. Che dire di più? Grazie. Grazie di tutto, della presenza costante anche quando a nessuno sembrava importare, dell'aiuto datomi silenziosamente. La sto tirando lunga, ma è solo perché fatico a dirti addio. E' tremendamente difficile, sapevo che questo momento sarebbe arrivato. Addio è una brutta parola. Non mi piace, meglio dire altro. Lo devo fare anche se mi si spezza il cuore...

A presto,

Violetta

 

 

Chiudo il diario stringendolo e sospiro. Non sono triste, ho un sorriso appena abbozzato. “Amore che leggi?”. Alzo lo sguardo e lo poggio sul comodino. “Una cosa che ho scritto più di un mese fa”. Torno stesa e mi volto verso di lui ruotando il capo. “E tu che hai fatto finora?”. Si porta le mani sotto la nuca con nonchalance. “Pensavo”. Scivolo dall'altra parte del letto e mi accoccolo a lui. “A cosa?”. “Niente di che”. Alzo la testa dal suo petto in modo da guardarlo in viso. “Non penserai mica di farmi un regalo la settimana prossima, vero?”. Per un momento assume un'espressione come se l'avessero scoperto in flagrante, poi torna normale. “Cosa? Io? No”. “Come no? Il mese scorso abbiamo fatto quel lungo discorso sul fatto che il mesiversario fosse una cosa stupida e che non avremo speso soldi per niente, poi mi hai fatto un regalo lo stesso facendomi sentire una merda perché io non l'avevo fatto”. Sul suo volto si estende un sorriso sornione. “Ammetti però che quel completino intimo ti sta da favola”. Gli do una sberla leggera. “Stupido”. “Questo mese sono obbligato a fartelo anche perché compi gli anni”. “Ma mi hai già regalato i biglietti per il concerto!”. “Shh”. Mi posa un dito sulle labbra zittendomi all'istante. “Pronta per il terzo round?”. Scrollo le spalle. “Posso farne a meno”. Stinge le mani attorno alla mia vita e con un rapido movimento me lo ritrovo sopra. “Sei un cretino”, dico ridendo. “Lo vuoi più di me”. Riduco gli occhi a due fessure. “Indovina perché ti odio?”. Scuote il capo. “Non saprei, dimmelo”. Allungo il braccio verso l'abat-jour e rendo la luce soffusa, poi torno a guardarlo. “Perché ti amo anche quando fai il deficiente”. Avvicino la sua bocca alla sua dando vita ad un bacio passionale. Pronti per amarci un'altra volta come se fosse la prima.

 

 

ANGOLO DELL'AUTRICE

ULTIMO CAPITOLO, OLE'! *stappa lo spumante* Insomma siamo giunti al termine di questa fanfiction, non so se esserne felice o triste. Felice per il lavoro svolto ed il riscontro positivo, triste per questi due zucconi che tanto adoro. Nel dubbio bevo lo spumante! Però ci sarà il sequel ed è un modo per dare continuità a questa storia che vi ha appassionati anche se sarà ambientata tre anni dopo, in circostanze e ambientazioni differenti. Insomma, starete a vedere. Ho riletto alcuni capitoli addietro per rivedermi alcune cose da riportare nella pagina di diario e devo ammettere che sono rimasta sorpresa nel pensare che quelle cose le avevo scritte io, di solito a parte per la revisione prima della pubblicazione non li rileggo mai. E vi dirò: rileggerli dopo diverso tempo è più bello, di solito se lo faccio mentre lavoro la maggior parte delle volte è un 'ni' in pratica il mio giudizio ondeggia fra il 'Cristo, c'è di meglio' e il 'Mi fa cagare più delle Dodici Erbe'. Invece vedendoli ora non mi sono dispiaciuti e penso sia una gran cosa per una che ha tanta autostima quanta i capelli di Claudio Bisio. Ed ecco i ringraziamenti finali: ringrazio chi mi ha recensito la storia, chi l'ha messa fra i preferiti, le ricordate e le seguite, chi mi ha contattata su Twitter e chi sopporta spesso le mie stronzate (sì, sto parlando in modo particolare con ChibiRoby e Syontai. Vorrei dire i vostri veri nomi, ma c'è la “praivasi”). Senza di voi tutto questo non sarebbe stato possibile, il vostro affetto mi ha spinta a scrivere, scrivere e ancora scrivere! Grazie di cuore, il vostro supporto ha incrementato ancora di più la mia fantasia e la mia creatività.

Un abbraccio fooorte fooorte,

Gre :3

*getta la bottiglia vuota e saluta con la mano*

Ritorna all'indice


Questa storia è archiviata su: EFP

/viewstory.php?sid=2511833