Salve a tutti.
Scusate il ritardo: non è per
via del tempo di stesura (visto che la storia era già completa dei tre capitoli
in partenza), ma è un ritardo scelto.
Ho aspettato di avere un po’ di
commenti, perché, molto sinceramente e penso anche umanamente, non mi piace
postare per nessuno.
Ringrazio in primis coloro che
hanno commentato:
kyokochan_91
Belial0303
ladyflowers
Indelible
yuko_chan
Firiel
Grazie di cuore, davvero! ^^
E ringrazio anche le persone che hanno inserito la mia storia tra
i preferiti.
Sperando che (coloro che non l’hanno fatto) si degnino di
commentare, dato che hanno apprezzato i miei sforzi. Lo spero tanto.
1 - Ametista
2 - angel15
3 - Ermal
4 - ladyflowers
5 - Lunella
6 - retsu89
7 - tobichan
8 - yuko_chan
Ed
ecco, infine, l’ultimo capitolo. Sinceramente è il mio preferito e,
scrivendolo, mi sono anche commossa in alcuni punti. Kanda troverà
definitivamente la risposta a tutte le sue domande.
Sperando
che vi piaccia…
Buona
lettura!
“Detesto il tuo modo di fare da ingenuo.
Ma odio ancora di più i tizi che non mantengono la parola!”
“Ah ah… In ogni caso…mi odi comunque, no?”
III. Verità
Kanda boccheggiò, incredulo e
spaventato.
Quello era lui?
Il se stesso che puntava la
spada alla gola di Allen sorrise e si voltò verso di lui, lanciandogli
un’occhiata maligna. Allen, steso a terra, sembrò non accorgersene. Grondava
sangue dal petto e dalla schiena, la sua divisa da esorcista era stracciata in
più punti, il viso era sporco di polvere e sangue rappreso. Dagli occhi chiusi
e sofferenti scendevano le lacrime.
- Allen! – gridò il giapponese,
in preda al panico.
Ma il ragazzino non sembrò
sentirlo, continuò a piangere, con la gola sorretta dalla punta della Mugen.
Perché non lo ascoltava? Perché non si voltava verso di lui?
Con una mano tesa verso la
scena raccapricciante al centro della sala, Kanda cercò di nuovo di chiamarlo.
Ma l’inglese non lo udiva e non smetteva di piangere, sotto gli occhi perfidi
dell’altro Kanda.
Furioso, il giapponese sbatté i
pugni sul pavimento e si voltò a guardare Road Camelot che, sulla destra di
quell’orribile specie di palcoscenico, sorrideva divertita.
- Cosa gli hai fatto?! -
Lei tornò a guardarlo affabile,
senza cancellare dal viso l’espressione soddisfatta. Gli venne incontro e gli
si chinò a fianco, poggiandogli una mano sotto il mento, perché potesse
assistere meglio alla sua follia.
- Questa – mormorò, indicando
Allen – E’ la mia immaginazione. Dato che io desidero che non ti senta e non ti
veda, lui non ti vedrà e non ti sentirà per nessuna ragione al mondo. -
Kanda chiuse gli occhi.
- Ma…? -
- Oh! – esclamò la ragazzina,
sorpresa – Vuoi dire quel Kanda? – ridacchiò un attimo – Beh, Allen
crede che sia tu… -
Il diciottenne spalancò gli
occhi, atterrito. Quindi Allen pensava di essere ferito e maltrattato da lui?
- Oh, non fare quella faccia… -
riprese Road, studiando attentamente la sua espressione, - Guarda che non mi
puoi incolpare di nulla… Quel Kanda, io l’ho preso dai ricordi di Allen,
sai? -
Il giapponese la fissò
smarrito, mentre una fitta al petto lo faceva contorcere dal dolore.
Quello era il Kanda che
vedeva Allen? Era così che vedeva il giapponese?
Strinse i pugni. Era tutta
colpa sua, se ora Allen si trovava in quella situazione. L’aveva maltrattato e
non aveva mai deciso i considerarlo un amico, o qualcosa di più. L’aveva
escluso, gli aveva dato dell’ingenuo…
Ed ora ne subiva le
conseguenze. Allen, troppo a lungo considerato in quel modo, giustamente vedeva
Kanda come un ragazzo che lo odiava e non lo considerava più che un alleato
fastidioso, da sopportare.
Perché non aveva considerato
prima questa situazione? Perché aveva pensato solo a se stesso, mentre Allen,
pian piano, si trasformava in ciò che non era, diventava cupo e soffriva?
- Perché tu sei quello,
Kanda. -
Il giapponese alzò il viso
verso la ragazzina, che gli sorrideva. Come aveva fatto a sentire i suoi
pensieri?
- Hai capito bene… Non hai mai
pensato ad Allen, perché tu sei così. – ed indicò l’aguzzino dell’inglese, che
non si muoveva – Sei cinico, freddo ed insensibile. Per questo tu non hai mai
notato come Allen stesse cambiando e quanto stesse soffrendo…
- Quello sei tu, Kanda.
E anche se credi che sia una maschera che hai indossato per proteggerti, in
realtà quello non sei altro che tu. Forse una volta eri diverso, ma
ormai il tuo cuore si è ghiacciato e non potrai più liberarti dell’aspetto che
ti sei autoimposto. Ora tu sei così. -
Kanda alzò faticosamente gli
occhi sulla scena al centro della stanza, che era rimasta immutata fino a quel
momento.
Quindi infondo quello era lui?
Non aveva possibilità di salvezza?
Pensò a quanto avesse sperato
che Allen Walker riportasse a galla ciò che era stato prima di essere un
esorcista, prima della guerra. Ripensò a quanto avesse sofferto, quando ciò che
aveva dentro veniva fuori davanti all’inglese. E pensò al viso triste di Allen,
che lo guardava mentre lui gli diceva che lo odiava.
Una determinazione nuova si
fece spazio dentro di lui. Se doveva rimanere cinico e freddo, se non aveva
possibilità di salvarsi… Non era giusto che Allen ne subisse le conseguenze!
Solo lui doveva patire per ciò che si era fatto da solo! Allen non meritava
tutto quello: lui era solare, gentile, altruista… Lui doveva salvarsi.
- Allen! -
Road lo fissò, stupita. –
Ancora non ti sei stancato di chiamarlo? Tanto non risponderà… -
Kanda digrignò i denti e
strinse i pugni, contro il dolore ai polsi e alle caviglie causato dalle
catene.
Doveva esserci un modo...
Doveva esserci!
Ad un tratto una voce lo
immobilizzò nei suoi tentativi di fuga e Road sorrise.
- Kanda… -
Era un sussurro, una parola
flebile, che riecheggiò cupa nella stanza, senza permettergli via di fuga. Era
Allen, che aveva aperto gli occhi, guadava il Kanda sopra di lui e lo implorava
col viso.
Kanda, steso a terra, non
resistette a quelle parole. I suoi occhi si riempirono di disperazione. Allen soffriva.
- Kanda… Kanda… - il ragazzino tossì e sputò del sangue per terra.
La sua voce si fece roca e
bassa. – Kanda… Perché? –
A quel punto il giapponese
sentì lo sguardo riempirsi di lacrime, mentre fissava spaventato i due immobili
al centro dello spazio vuoto.
- Allen! Quello non sono io! -
Road ridacchiò. – Ti ho già
detto che non ti sente. E’ inutile. –
Allen tese una mano verso la
Mugen assassina che gli era puntata alla gola e sospirò.
- Perché…? – mormorò, poi le
lacrime sfuggirono ancora al suo controllo, - PERCHE’? -
Il Kanda sopra di lui sorrise
perfido.
- Perché sei patetico ed
ingenuo… - sibilò, mentre il vero giapponese spalancava gli occhi, spaventato
dalla somiglianza assoluta tra quella voce e la sua, - Perché mi fai pena e sei
debole… Per questo. -
Il ragazzino si protese ancora
verso l’aguzzino, tremando come una foglia per lo sforzo che gli costava. Si
aggrappò alla gamba del falso Kanda e cercò di tirarsi su.
- Ti prego… - implorò – Per
favore… Posso cambiare… -
Il diciottenne ancora
incatenato smise di respirare e fissò attonito l’inglese. Cosa stava dicendo
Allen? Cambiare? Perché sarebbe dovuto cambiare? Solo perché lui lo considerava
patetico e ingenuo? Solo per…lui?
La copia di Kanda ghignò in un
modo che fece venire i brividi a quello vero.
- Non m’interessa se puoi
cambiare. Io non ti voglio più vedere. – poi fece una pausa.
Con violenza, ritirò Mugen e
prese per il colletto della divisa il ragazzino, sollevandolo perché
incontrasse i suoi occhi.
- Ma sai… Così non mi diverto…
- bisbigliò, quasi sulle sue labbra, - Reagisci! -
Furioso, tirò su Allen e lo
mise in piedi, sbattendolo contro il muro alla destra di Road e Kanda. Il
minore lo fissò incerto, ma non si mosse. Il falso giapponese lo squadrò, per
valutare le sue reazioni e quando vide che non voleva combattere lo
schiaffeggiò con forza. Il viso già tumefatto di Allen divenne rosso nel punto
colpito. Si portò una mano alla guancia, gemendo di dolore.
Kanda fissò impotente quell’ingiustizia,
mentre l’altro se stesso colpiva Allen in ogni parte del corpo e lui sputava
sangue, sfinito.
Quando smise di torturarlo, il
ragazzino si accasciò alla parete.
- Su, colpiscimi! – gridò il
falso giapponese, - Avanti, fallo! -
Allen singhiozzò e a Kanda si
accapponò la pelle.
- Non… Non voglio… - mormorò, -
Non posso farti del male… -
A quelle parole, il vero Kanda
si riscosse. Non poteva lasciare che le cose continuassero così. Non poteva
lasciare che Allen venisse picchiato da quello che credeva fosse lui.
Togliendo con difficoltà lo
sguardo dal volto straziato dell’inglese, cercò per la stanza la sua Mugen. La
trovò a pochi passi da Road, tra se stesso e la ragazzina. Dimenandosi si era
avvicinato all’arma, non intenzionalmente, e doveva sfruttare il vantaggio.
Cercando di non farsi notare e
sentire, strisciò verso la sua spada,
riducendo al minimo il rumore metallico delle catene sul pavimento. Quando
stava per poggiare la mano sul lucido acciaio, l’arma si mosse e si allontanò.
Stupito, la guardò un momento muoversi verso Road Camelot come se fosse stata
viva.
La ragazzina si voltò di scatto verso di lui e sorrise seducente, ma
divertita.
- Oh, Kanda… - bisbigliò, come se avesse paura di disturbare in teatro
l’esecuzione di un’opera, - Devo ricordarti che siamo dentro la mia testa? Qui
non puoi fare nulla che io non veda. -
Ridacchiò, soddisfatta dalle sue parole, mentre il giapponese digrignava i
denti, frustrato. Lo fissò pensierosa, poi parve illuminarsi alla vista di
qualcosa che lui non percepiva.
- Ho deciso. – enunciò – Ti do una possibilità: se tu riuscirai a
convincere Allen che quello non sei tu e che tu non lo odi, allora avrete vinto
e vi lascerò liberi di andarvene. – fece una pausa e scrutò l’espressione di
Kanda – Che te ne pare? -
Non aspettò la risposta.
Quando ebbe finito di parlare, le catene ai polsi e alle caviglie del moro
sparirono, ritirandosi nel pavimento, silenziose come erano apparse. Kanda si
massaggiò i polsi e tentò all’istante di alzarsi in piedi, ma le caviglie
doloranti cedettero e si ritrovò nuovamente a terra. Frustrato, combattendo
contro la propria debolezza, si mise faticosamente dritto. Barcollò, sui piedi
incerti, e si piegò a terra, per prendere la spada. La afferrò saldamente e la
puntò alla gola della ragazzina che ancora sorrideva.
Quando si vide la lama diretta alla giugulare, Road Camelot non fece una
piega. Anzi, al gesto del giapponese, rise divertita. Sembrava che tutto la
divertisse, lì dentro; soprattutto l’impotenza dei suoi nemici.
- Kanda, Kanda… - sospirò – Allora proprio non capisci… Qui – e si toccò la
testa ancora una volta – siamo a casa mia. Io decido e governo tutto ciò che
succede, tranne le vostre azioni. Quindi, se io decido di essere immateriale,
lo sono. Non puoi uccidermi. L’unico modo di uscire da qui è vincere il gioco
che ti ho proposto. – sorrise – E’ la tua unica possibilità…
- Voi stessi siete praticamente incorporei qua dentro. – continuò – Certo,
se io decido che voi proviate dolore come se aveste un corpo, voi lo proverete.
Per questo Allen soffre. Ma non ho propriamente il potere di uccidervi,
dato che i vostri corpi sono fuori da questa casa, intatti. L’unico modo per
eliminarvi è farvi credere con tutti voi stessi di essere morti.
A quel punto, morireste davvero: sia nella mente, che nel corpo, anche se io
non l’ho toccato. In pratica, credendo di essere morti, voi scegliete
volontariamente di morire. E il vostro cuore si ferma.
- Perciò… - concluse - …faresti meglio a preoccuparti di Allen, non di me.
Fra poco, con tutte le ferite illusorie che si trova addosso, con tutto il
dolore psicologico e fisico che sta provando, si troverà a desiderare di
morire… -
Finì di parlare senza far sparire il sorriso e s’immobilizzò. Kanda toccò
il suo corpo e lo trovò ghiacciato e solido: si era trasformata in statua e
forse era uscita dalla sua mente. Con rabbia, il ragazzo impugnò Mugen e
decapitò la scultura. La testa di pietra rotolò a terra con un tonfo. Ma quel
sorriso rimase.
Libero di agire, in preda all’agitazione, Kanda prestò nuovamente
attenzione ai due attori che occupavano la sala. La scena era mutata: ora
l’altro Kanda aveva conficcato la spada nella spalla di Allen, trapassando
carne, ossa e vestiti e affondando nel muro dietro di lui.
Il ragazzino ansimava e piangeva senza singhiozzare, solo facendo scivolare
le calde lacrime lungo le guance.
E continuava a ripetere: - Kanda… - come una litania in punto di morte.
Kanda prese coraggio e forza, correndo verso di lui. Lo raggiunse con pochi
balzi e afferrò la punta della spada, estraendola dal suo corpo. Il ragazzino
gridò dal dolore, alzando il viso al soffitto, poi si guardò intorno,
spaventato, fissando il giapponese senza vederlo.
- C-chi…? – balbettò.
Prima che potesse rispondere alla domanda, Kanda fu scaraventato a terra
dalla sua copia, sbattendo la spalla sul pavimento freddo e decorato
dell’ossessiva trama a scacchi. Gemette dal dolore e si rialzò in fretta in
piedi, evitando un pugno diretto al suo petto.
Il suo aggressore lo fissava, gelido, e Kanda si chiese se era così che
guardava Allen ogni giorno. Una fitta di dolore lo costrinse a piegarsi su se
stesso. Ora capiva perché l’inglese aveva pensato che lo odiasse. Non poteva
biasimarlo.
- Non ti intromettere. – sibilò freddo il falso.
Kanda si tenne la spalla dolorante e tese davanti a sé la sua Mugen, in
posizione difensiva.
- Non ti permetterò di fare del male ad Allen. -
A quel punto arrischiò un’occhiata al compagno. Ma quello era ancora
appoggiato al muro, con le gambe piegate che avevano ceduto al troppo dolore di
tenerlo in piedi, e guadava verso il falso Kanda con espressione interrogativa
e spaventata.
Il giapponese riportò all’istante l’attenzione al se stesso nemico che gli
stava di fronte e vide che quello ghignava.
Incrociarono le spade e il clangore delle armi risuonò nella stanza. Con le
Mugen avversarie a pochi centimetri dal viso l’uno dell’altro, il falso lo
guardò negli occhi e sorrise.
- Sicuro di volerti scontrare con me? -
Kanda digrignò i denti e spinse con forza l’arma sul nemico, spingendolo
indietro. Le due spade si separarono.
- Sei sicuro di quello che fai? -
Furioso, il diciottenne si avventò sulla copia, facendo scontrare
nuovamente le armi. Seguì un duello sostenuto, ammaliante per chi lo avesse
potuto ammirare. Le lame danzavano, in un susseguirsi di tira e molla, di
scontri e momenti in cui scivolavano l’una sull’altra.
Quando si staccarono, Kanda ansimava e perdeva sangue dal braccio destro,
che era stato colpito, mentre l’altro non mostrava segni di fatica e l’unico
segno dello scontro era un taglio superficiale sulla gamba.
Ma lo scontro era impari, si rese conto il giapponese. Poiché la memoria di
Allen aveva registrato un Kanda instancabile, quello non mollava, mentre la
verità era diversa: lui era vulnerabile, nonostante tutto.
Mentre riprendeva fiato, il suo falso tornò all’attacco.
- Sei sicuro di volermi distruggere? E’ questo ciò che davvero senti di
dover fare? -
Kanda digrignò i denti e riprese ad incalzarlo. Non voleva sentire quelle
stupide domande. Doveva solo fare in fretta ad eliminare quell’ostacolo e
liberare Allen. Non aveva tempo per i dubbi e le incertezze.
- E così sembri sicuro di ciò che fai… - mormorò l’altro, quando le spade
furono di nuovo davanti ai loro visi, incrociate – Ma come fai a sapere che, se
mi sconfiggerai, Allen vorrà crederti? Come farà a fidarsi della tua parola? -
Kanda si fermò un attimo, distratto e confuso da quelle parole. La copia ne
approfittò subito e, con un affondo, penetrò la sua gamba con la lama. Kanda
gridò di dolore e portò le mani alla ferita, cadendo a terra.
L’altro sogghignò.
- Allora… Non trovi una risposta a questo? Come farà Allen a fidarsi ancora
di te? -
Kanda, con gli occhi serrati per il dolore, boccheggiò, incerto.
- Lui… Lui… -
- Lui, cosa ? – lo incalzò il falso – Lui, cosa, eh? Allen ha
forse qualche motivo per crederti? – lo prese per il colletto del vestito,
proprio come aveva fatto con l’inglese poco prima – Tu l’hai maltrattato e
ferito da quando è entrato a far parte dell’Ordine, l’hai considerato ingenuo e
patetico… L’hai odiato… -
A quella parola, Kanda si sentì trafiggere dalla lama ben più dolorosa di
quella vera, la lama del ricordo.
Detesto il tuo modo di fare da ingenuo. Ma odio ancora di più i tizi
che non mantengono la parola!
Ah ah… In ogni caso…mi odi
comunque, no?
Il senso di colpa si fece
strada nel suo cuore.
Era vero, era tutto vero. Lui
gli aveva detto esplicitamente di odiarlo, più di una volta e, in quella
situazione, l’aveva reso chiarissimo agli occhi dell’altro. Era per questo che
ora Allen credeva che lo odiasse… Era semplice, terribilmente semplice.
- No! – gridò, in contrasto con
i suoi pensieri – Lui mi crederebbe! Lui… -
Con gli occhi serrati, sentì
una risatina provenire da sopra di lui, poi la lama fredda gli squarciò la coscia
da parte a parte. Urlò, ormai sopraffatto da quel dolore così intenso, ansimò e
tossì.
In tutta quella sofferenza, il
dolore più grande veniva da dentro di lui, dalla consapevolezza che aveva
rovinato la possibilità che la vita gli aveva offerto per cambiare. Nel bel
mezzo di quella scena raccapricciante, dischiuse le palpebre, ma l’ambiente era
offuscato dalle lacrime che gli impedivano di vedere con precisione. In quel
momento, in quel preciso istante, capì finalmente con certezza ciò che aveva perduto
a causa della sua stupidità: Allen Walker, si rese conto, era realmente
una possibilità di redimersi che gli era stata mandata dal cielo, una svolta,
una luce di salvezza. E lui, nella sua cecità e stupidità, aveva buttato via
questa possibilità, impedendosi, da solo, di potersi salvare.
Mentre la consapevolezza della
morte scendeva su di lui, ebbe solo un rimpianto. Lui era stato cieco alla
verità. Ma si chiese, quando la luce della vita stava per abbandonarlo, perché
anche Allen Walker dovesse pagarne le conseguenze.
E pregò, pur sapendo che ormai
non aveva più speranza, pregò ancora una volta di poterlo salvare.
- Bravo, Kanda… - sussurrò una
voce al suo orecchio, mentre scivolava sempre di più nelle tenebre – Smetti di
vivere…
- Perché sei stato cieco e
troppo orgoglioso per permettere alla mano di Dio di afferrarti e riportarti
sulla retta via. Perché hai gettato la vita di un ragazzino nella sofferenza e
nel dolore…. Perché quello che ti ha ucciso, quello che tu definisci un altro
te stesso, in realtà non sei altro che tu. Questa è la verità. -
Si lasciò cullare dal suono di
quelle parole melodiose, sentendo un calore confortante nel gelo che prima gli
stringeva il petto. Quella sensazione placò la sua sofferenza e lo sciolse,
come aveva tante volte desiderato di fare sotto i raggi del sole, riportandogli
a tutto ciò che rimaneva della sua coscienza i ricordi della sua infanzia e dei
suoi giochi di bambino nel prato davanti a casa sua. Una strana pace lo invase
e desiderò solo arrendersi.
Se questa è la morte,
pensò, ben venga.
Ma all’improvviso il calore
scomparve e Kanda fu avvolto dal gelo più assoluto. Fu preso dal panico, mentre
sentiva che la sua coscienza riaffiorava e tornava a percepire, seppur con
imprecisione, la sensibilità del suo corpo.
C’era ancora qualcosa, forse,
che lo teneva legato alla vita, che gli impediva di morire.
Sentì che qualcuno lo
abbracciava forte e lo stringeva.
- Kanda… -
Le lacrime scorsero sulle sue
guance e ci mise un po’ di tempo a capire che non erano le sue. Sempre con gli
occhi chiusi, si aggrappò mentalmente a quel corpo che lo sorreggeva, mentre il
dolore si faceva più intenso e lo sommergeva, impedendogli lucidità.
Scivolando nuovamente
nell’oblio, capì che questa volta non sarebbe stato un sonno eterno ad accoglierlo.
E, per qualche motivo, si sentì
sereno come non lo era mai stato.
Stremato, si addormentò.
[EPILOGO]
Mentre osservava il cielo farsi
di un rosso intenso, con una sfumatura rosata, Yu Kanda si rese conto che non
aveva mai provato quelle sensazioni, nella contemplazione di un tramonto.
Di solito, gli sembrava che
quella luce rossastra volesse ricordargli tutto il sangue di cui, ogni giorno,
si macchiava inevitabilmente le mani. Ora, invece, quel sole luminoso che
spariva dietro le colline lontane gli sussurrava all’orecchio che quella era la
fine di una parte della sua vita e l’inizio di un’altra, forse migliore.
Assorto nei suoi pensieri,
perso nell’immagine di quell’orizzonte così significativo, si accorse solo dopo
alcuni minuti che qualcuno si era seduto accanto a lui, sulla panchina nel lato
ovest dei giardini. Sobbalzò, ma quando vide chi era arrivato, si rilassò.
Non lo guardò negli occhi.
- Ciao, Kanda. -
Quella voce gli provocò un
sussulto interiore, ma Allen non lo notò, anch’egli assorbito da quel tramonto
spettacolare.
Rimasero per un istante in
silenzio e il giapponese si chiese come avrebbe dovuto comportarsi, ora.
Erano passati sette giorni
dalla missione in Cina. Come si fossero salvati, era per Kanda ancora un
mistero. Aveva pensato sul serio di morire, nella mente di Road Camelot, alla
residenza dei Noah. Ad un certo punto si era anche ritrovato a desiderare di
morire.
Eppure, nonostante questo, era
sopravvissuto. Quando si era risvegliato era nell’infermeria del Quartier Generale
dell’Ordine, con un impacco sulla fronte e nient’altro: le ferite fisiche erano
rimaste solo nell’immaginazione della ragazzina Noah, probabilmente. Aveva
subito chiesto di Allen, ma lo avevano rassicurato, dicendogli che stava bene e
che, come lui, aveva solo lesioni psicologiche che sarebbero sparite con un
buon riposo; solo, non si era ancora svegliato.
Quel giorno, era riuscito
finalmente ad alzarsi dal letto ed era andato nei giardini, a sedersi su quella
panchina dove, solo una settimana prima, aveva capito cosa significasse Allen
Walker per lui.
Un fruscio lo riportò alla
realtà, mentre il ragazzino seduto vicino a lui si portava le ginocchia al
petto.
- Allen… -
I due furono in ugual modo
sorpresi dalla voce di Kanda che aveva rotto il silenzio. Imbarazzato, e
chiedendosi perché lo fosse, il giapponese proseguì.
- Allen… Cos’è successo? -
Non c’era bisogno di altre
spiegazioni, il ragazzino capì a cosa alludesse. Prese un respiro e si preparò.
- Quando ho sentito la spada
che mi si sfilava dalla spalla, non ho capito cosa stesse succedendo. Ero
sopraffatto dal dolore e non mi riusciva di ragionare lucidamente. Poi però ho
visto che tu… - s’interruppe, a disagio, - Cioè… Ho visto l’altro te che si
allontanava e parlava con qualcuno che io non vedevo. Cercando di non pensare
al dolore, sono stato a sentire cosa diceva. E poi avete iniziato a combattere…
-
Kanda strinse i pugni: il
ricordo ancora era vivido.
- Mentre combattevate ho
sentito quello che diceva, ma non ho capito il suo significato. Continuava a
combattere contro qualcosa di invisibile e io… Beh, anche se non ti vedevo, ho
avuto una strana sensazione… - fece una pausa e sembrò rinunciare a spiegare –
Quando mi sono sentito più lucido, ho capito che potevo approfittare di quella
situazione per salvarmi. Ad un certo punto l’altro te ha conficcato la spada
nel pavimento. Sorrideva trionfante e mi sono reso conto che quella era la mia
ultima possibilità, perché sembrava aver vinto contro l’avversario invisibile.
Mentre mi avvicinavo per colpirlo alle spalle, c’è stato uno scatto metallico
nei miei occhi e quando sono tornato a guardare la scena… ti ho visto. -
Allen fece una strana pausa,
come se andare avanti fosse troppo doloroso. Kanda drizzò le orecchie, attento
a non lasciarsi sfuggire il minimo particolare di ciò che stava per dire.
- Eri… - fece una smorfia,
forse per il dolore – Eri… in un lago di sangue, avevi il viso contratto per la
sofferenza. E lui… l’altro te… ti guardava come se avesse voluto azzannarti e
portarti a morire.
- Non ce l’ho fatta a
sopportarlo. Gli ho conficcato la mano nella schiena e l’ho trapassato. -
Calò il silenzio. Allen fissava
neutro il buio che scendeva, con la sofferenza nello sguardo che voleva essere
indifferente. Ma agli occhi esperti di Kanda, quel profondo dolore non sfuggì.
- Non volevi ucciderlo, non è
così? -
Il ragazzino si voltò a
guardarlo, stupito che avesse capito cosa covavano i suoi occhi. Annuì.
- Sai dov’eravamo? – gli chiese
Kanda e, alla sua negazione, proseguì – Nell’immaginazione di Road Camelot,
della famiglia Noah. – studiò un attimo l’espressione sorpresa dell’altro – Il
Kanda che hai visto tu non era un akuma o qualcosa di reale.
- Era il Kanda nella tua
memoria e nella tua coscienza. – concluse, chiudendo gli occhi.
Allen sussultò a quelle parole
e abbassò lo sguardo, sconvolto.
- Non posso biasimarti. –
continuò il moro – Visto come ti ho trattato da quando sei entrato a fare parte
dell’Ordine, è ovvio che tu mi veda così. -
- M-mi dispiace… -
- Non te ne dispiacere. La
colpa è mia. -
La quiete della sera li avvolse
un istante e le loro orecchie furono riempite dal respiro dei giardini nel
buio. Il canto di un grillo risuonò nell’aria e interruppe i pensieri.
- Quando ti ho visto per terra,
io… Non so cosa mi è successo, ma ho capito che avevi scelto di morire. Ti ho
abbracciato e, in quell’istante tu hai
sussurrato – la voce di Allen si perse in un mormorio basso sull’ultima parola
– “Salvami”. -
Kanda sorrise, al ricordo di
ciò che aveva pensato in punto di morte. Aveva capito che Allen era una
salvezza che lui aveva sprecato. Aveva desiderato che si salvasse.
Forse Dio lo aveva ascoltato.
Forse gli aveva concesso un’altra possibilità.
- Nonostante tutto… Io
voglio essere un distruttore che salva le persone -
Allen lo guardò stupito, mentre
pronunciava la frase che lui aveva sussurrato tra le lacrime a Mater.
Probabilmente si chiedeva come facesse a ricordarla, o perché l’avesse detta.
Kanda si girò verso di lui. –
Allen Walker… - sussurrò – Puoi salvare me? –
Il ragazzino spalancò gli
occhi, deglutì e si ritrasse, confuso dalle sue parole. Poi la determinazione
che lo caratterizzava e lo rendeva assolutamente unico, tornò a risplendere nei
suoi occhi.
Sorrise come non faceva da un
mese, ormai. – Certo, Kanda. –
Quando il silenzio scese e
l’attimo svanì con gli ultimi raggi del sole, il giapponese si accorse di ciò
che aveva detto e l’imbarazzo corse a tingere di rosso il suo viso.
La maschera di freddezza,
evidentemente, faticava ancora adesso a lasciarlo.
- N-non… - balbettò – Non ti
fare venire in testa strane idee, mammoletta. -
Al contrario di ciò che si
sarebbe aspettato, Allen cominciò a ridere, divertito forse dall’espressione di
Kanda, o dalle sue parole, o dal suo cambiamento improvviso. Non glielo spiegò.
- Direi che c’è molto lavoro da
fare… -
La frase lo spiazzò. Quindi
Allen capiva cosa aveva chiesto, quando aveva voluto che lo salvasse.
Il minore gli prese il viso tra
le mani e, prima che potesse fare qualunque cosa, poggiò le labbra sulle sue.
Fu un bacio incerto, imperfetto e titubante. Ma tutti e due capirono cosa
significasse.
Era una promessa. Era un tacito
consenso.
Ti salverò, ecco
cos’era.
Ci sarebbe stato molto lavoro
da fare, certo, ma tutto a suo tempo.
Per adesso, bastava così.
FINE
Ta-dan!
Piaciuto? *-*
Spero di sì!
Per qualsiasi dubbio, non
esitate a chiedere nei commenti, vi risponderò il più presto possibile!
Allora, alla prossima! Un bacio
a tutti!
Aki
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di scrittori.
(Chiunque voglia aderire al messaggio, può copia-incollarlo dove
meglio crede)