Elisabeth.

di Ultraviolet_
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Nuovi incontri ***
Capitolo 2: *** Sedute di shopping e nuovi nemici ***
Capitolo 3: *** Quello che è di Castiel ***



Capitolo 1
*** Nuovi incontri ***



1. Nuovi incontri
 
 
“FAI TANTA FATICA A GUARDARE DOVE VAI, RAZZA DI IDIOTA?” gridai senza nemmeno alzare lo sguardo contro colui che mi era venuto addosso come una furia, facendomi cadere a terra con lo zaino e tutto, e soprattutto facendo cadere il muffin al cioccolato che avevo appena comprato al bar all’angolo.
Me ne pentii subito. Forse avevo un tantino esagerato. L’occhiata che lanciai all’individuo di fronte a me me lo confermò. Si trattava di un ragazzo alto, molto alto, almeno una trentina di centimetri più di me. La prima cosa che notai alzandomi fu la maglietta rossa che portava, con sopra il logo di una rock band di cui conoscevo alcune canzoni, e il giubbotto di pelle nera sopra. Poi, alzando lo sguardo, notai che aveva i capelli dello stesso colore della maglia. Un rosso un po’ tendente al bordeaux. Assurdo. Ma decisamente bello.
“Vedi di calmarti perché sono le otto del mattino e non ho proprio voglia di farmi urlare nelle orecchie da una ragazzina” fece lui senza muovere un dito per aiutarmi. Rimpiansi di essermi pentita dei miei insulti.
“E io non ho proprio voglia di essere sbattuta per terra da uno che corre alle otto del mattino!” replicai rimettendomi lo zaino in bilico su una spalla.
“Ma se mi sei venuta addosso tu.  E scommetto che l’hai fatto pure apposta, notando la mia inenarrabile bellezza” disse in tono calmo, come se la sua fosse una spiegazione più che ovvia dell’accaduto.
Scossi la testa, incredula nel constatare l’alto tassò di vanità che risiedeva in quel pallone gonfiato,  e capii perché era così alto. Ce ne voleva di spazio per contenerla tutta. Lo superai senza guardarlo e, allontanandomi, alzai il terzo dito in sua direzione.
“Svegliata storta, Bella Swan?” mi gridò dietro. Dentro di me crebbe la voglia di girarmi ed incenerire quel gran maleducato con lo sguardo sentendomi chiamare come la protagonista di Twilight, ma mi trattenni.
Avevo i capelli nerissimi, lunghi e lisci, che contrastavano parecchio con la mia carnagione irritantemente chiara. Questo mi faceva sembrare una specie di dark, o una vampira, come aveva appena commentato il ragazzo dai capelli tinti. L’unica nota di colore sul mio viso erano gli occhi, di un verde smeraldo, che avevo preso da mio padre. Per tutto il resto, partendo dai capelli e dal fisico minuto, ero la fotocopia di mia madre. Per questo ogni tanto guardarmi provocava dolore a mio padre, nonostante io e mia sorella di sei anni fossimo le uniche cose che gli erano rimaste.
Anche nel vecchio liceo molti mi avevano paragonata a un vampiro, alcuni come complimento e altri, soprattutto, per prendermi in giro. Era il primo giorno alla nuova scuola, e già il vecchio soprannome riemergeva. Non avevo colto bene il significato che aveva per il rosso l’avermi chiamata così, dopo gli insulti che gli avevo rivolto probabilmente non era un complimento, ma il tono con cui l’aveva detto non era proprio quello di uno intenzionato a sfottermi.
Abbandonai quei pensieri, guardandomi intorno. Dovevo andare in presidenza per consegnare alcune cose alla preside, come una foto per la tessera degli studenti e alcuni fogli firmati da mio padre per completare l’iscrizione. Girovagai per qualche minuto, finché non notai una porta semiaperta con su scritto “Sala Delegati” e decisi di entrare.
Accidenti, pensai, in questa scuola li tirano su proprio bene gli studenti. Infatti mi si era appena parato davanti un ragazzo alto e biondo, con gli occhi di un azzurro sfavillante. Aveva dei tratti a dir poco magnifici, e l’effetto complessivo era decisamente gradevole. Notai che era vestito in modo insolitamente elegante per uno studente.
“Scusa, sto cercando la presidenza, sono una nuova alunna” dissi rivolgendomi al ragazzo.
“Ah, tu devi essere Elisabeth. Vieni pure, mi occupo io della tua iscrizione. Sono il segretario delegato” mi disse con un sorriso gentile.
“Oh, pensavo fossi uno studente” risposi avvicinandomi alla scrivania a cui si stava sedendo.
“Lo sono, ma in questa scuola gli studenti con i voti migliori possono svolgere questo incarico” mi spiegò “Sono all’ultimo anno. Piacere, Nathaniel” si presentò porgendomi la mano.
“Io mi chiamo Elisabeth e sono al quarto, ma qualcosa mi dice che lo sai già” dissi con un sorriso stringendogliela “Però chiamami Beth” aggiunsi.
“In effetti so già più o meno tutto di te, visto che mi sono occupato della tua domanda” mi guardò negli occhi e mi sorrise, e a quel gesto non potei fare a meno di arrossire leggermente. Sembrava davvero perfetto.
“Allora, serve la fototessera, l’autorizzazione per le uscite e il tagliando del regolamento scolastico firmato” elencò consultando il computer.
Gli porsi tutto quanto, lui esaminò i fogli e si complimentò per aver portato tutto, spiegandomi che c’era gente di quinta che non aveva ancora mai portato la foto, nonostante frequentasse la scuola da anni.
“Ti sto stampando il tesserino scolastico, poi ti accompagno alla tua classe. E’ la quarta A” mi disse dirigendosi verso la stampante.
Dopo pochi secondi mi consegnò la tessera, che misi nel portafogli, e mi fece cenno di seguirlo.
“Oh giusto, stavo per dimenticarmi di dirti che dovrai scegliere un club di appartenenza che si riunisce ogni pomeriggio, dalle due e mezza alle cinque e mezza. E’ obbligatorio” spiegò facendomi strada “I club disponibili sono quelli di giardinaggio, basket, disegno, musica, teatro, scienze, giornalismo, calcio e pallavolo, scegli pure con comodo” sorrise.
Intanto eravamo arrivati davanti alla mia classe. Nathaniel bussò, e prima che il professore rispondesse mi voltai verso di lui e gli feci un grande sorriso.
“Piacere di averti conosciuto Nathaniel, grazie mille”.
“Piacere mio, Beth”.
 
“Ragazzi, questa è la vostra nuova compagna, Elisabeth Davies” il professore di letteratura inglese mi presentò alla classe, una mano sulla mia spalla.
“Signorina Davies, visto che siamo già a novembre spero che riuscirà a mettersi in pari con gli argomenti” mi disse leggermente preoccupato. Era un uomo di mezz’età, con qualche striatura di bianco tra i capelli e, nel complesso, un’aria simpatica e vagamente paterna.
“La preside ha confrontato il programma con quello del mio vecchio liceo, e ha detto che piò o meno coincide con tutte le materie” lo informai.
Lui si tranquillizzò visibilmente.
“Comunque, io sono il professor Oldman. Direi che l’unico posto libero sia in ultima fila, di fianco al caro signor Edwards, mia cara. Si accomodi”.
Mi diressi verso il fondo della classe, e iniziai a capire perché il professore avesse chiamato “caro” il mio nuovo compagno di banco. Era stravaccato sulla sedia, con la testa coperta dal cappuccio, ed era intento a rollarsi una sigaretta. Purtroppo per me, mi accorsi soltanto quando levò lo sguardo di averlo già visto prima. La caduta di una ciocca rossa sugli occhi me lo confermò: era il ragazzo che avevo pesantemente insultato poco prima.
Mi riconobbe subito, e la sua espressione annoiata si trasformò in un ghigno divertito. Gli lanciai uno sguardo di fuoco e mi sedetti, ma mi accorsi che per tutto il tempo che impiegai a tirare fuori il libro di testo, il quaderno e l’astuccio non smise di fissarmi, appoggiato con la schiena al muro, la sigaretta appena rollata in equilibrio dietro un orecchio.
“Vuoi una foto?” sbottai dopo un po’, spazientita, mentre il professore scriveva sul suo registro.
“Vedo che il tuo umore non è migliorato dal nostro primo incontro” constatò. Lo ignorai e presi a far vagare lo sguardo per il resto della classe. Notai una ragazza con i capelli rossi legati in una treccia laterale che disegnava sul banco, un’altra dai capelli di un bellissimo viola e l’aria un po’ spaesata, e una bionda dalla bellezza mozzafiato che era occupata a limarsi le unghie. La maglia che portava aveva l’aria di essere molto costosa, così come la borsa che aveva appeso allo schienale della sedia.
Poi, in fondo alla classe nell’angolo opposto al nostro, vidi una ragazza molto più bella della bionda, tanto che rimasi totalmente senza parole. Aveva i capelli talmente chiari che potevano essere definiti bianchi, e dei lineamenti molto eleganti. Portava un abito molto bello, un po’ in stile ottocentesco, e stava seduta sulla sedia con espressione annoiata. Da dove mi trovavo potevo vedere che dietro all’astuccio nascondeva il cellulare, e che stava chiaramente messaggiando con qualcuno. Lasciando vagare lo sguardo, notai anche un ragazzo con i capelli azzurri. Ma in questa scuola se hai i capelli di colori assurdi ti vengono a cercare per farti iscrivere? mi chiesi sconcertata. Il ragazzo era piuttosto carino, aveva delle grandi cuffie al collo e portava un paio di jeans e una t-shirt dai colori sgargianti.
“Signorina Davies, nella sua vecchia scuola avevate iniziato a parlare dei cosiddetti Poeti del Lago?” mi chiese il professor Oldman alzandosi dalla cattedra.
“Credo fosse l’argomento che dovevamo iniziare quando mi sono trasferita” risposi io rammentando quel nome.
“Ottimo, noi ne abbiamo parlato la scorsa lezione. Signor Edwards, sarebbe così gentile da spiegare alla sua compagna chi sono i Poeti del Lago?”
“Mi meraviglio di lei che me lo chiede, prof” fu la risposta del rosso, che, anche se preso alla sprovvista, non si agitò per nulla.
“Lo prendo come un no” sospirò Oldman scoraggiato.
“Lei è un uomo intelligente” commentò il ragazzo con un sorrisetto.
“Castiel, ho sempre detto che mi dispiacerebbe davvero tanto bocciarti, perché porti la giusta allegria a questa classe. Mi stai simpatico, davvero, ma se continui così non saprò più che scusa inventarmi con la preside. Mi sorprende già il fatto che tu ti sia presentato a lezione stamattina” fece il professore con una risata.
Rimasi piacevolmente sorpresa dalla simpatia di Oldman e non potei fare a meno di sorridere. Poi notai che aveva chiamato il mio compagno di banco per nome. Castiel. Gettando un’occhiata nella sua direzione, pensai che gli si addicesse.
 
Durante le prime tre ore di lezione scoprii che la rossa si chiamava Iris e il ragazzo con i capelli azzurri Alexy. All’intervallo, tutti si precipitarono fuori dall’aula, primo fra tutti Castiel. Non sapendo dove andare, io rimasi in classe seduta su un banco, mangiando una barretta di cioccolato e caramello. Quando mi alzai per gettare la carta, Alexy, che era rimasto in classe insieme alla ragazza dai capelli viola, mi venne incontro con un sorriso.
“Ciao!” mi salutò allegro “Io sono Alexy, vuoi venire a sederti con noi?”
Sorrisi riconoscente per l’invito e lo seguii volentieri verso i banchi al centro della classe. Notai che la ragazza stava disegnando su un grosso blocco dalla copertina colorata, e quando mi avvicinai alzò lo sguardo.
“Lei è Violet” disse Alexy anticipandola “E’ una timidona e difficilmente riuscirai a cavarle molte parole di bocca, ma ha una marcia in più di molta altra gente” continuò con convinzione.
Violet arrossì violentemente, mi sorriso debolmente e mi porse la mano, sussurrano un “piacere” quasi impercettibile.
“Piacere mio, sono Elisabeth, ma chiamatemi Beth” dissi stringendole la mano “Il tuo nome è perfetto per i tuoi capelli” aggiunsi “Sono davvero bellissimi”.
“Grazie, sei molto gentile” rispose lei arrossendo di nuovo.
Non riuscendo a trattenermi, mi rivolsi ad Alexy: “Voi due state insieme?”
Il ragazzo mi guardò e scoppiò in una risata così fragorosa che per un attimo pensai che mi stesse prendendo in giro. Anche Violet rise, anche se in modo più composto. Quando si riprese, Alexy mi rispose:
“A dire il vero, sono gay”.
“Ah, ho capito! E’ che vedendovi ho subito pensato che sareste stati proprio bene insieme” spiegai con un sorriso.
“Però lasciami dire che se fossi etero su di te ci farei un pensierino” mi informò candidamente “E poi sei una delle poche persone che reagisce in modo normale” confessò.
“Beh, ma è normale” commentai arrossendo per il complimento.
“Hai degli occhi fantastici” irruppe Violet, come se pronunciare quella frase fosse un grande sforzo per lei. La guardai con riconoscenza e le sorrisi in modo buffo.
“Ehi Alexy, non dirmi che stai importunando la nuova con le tue battute pervertite da gay” ci interruppe una voce alle mie spalle. La riconobbi all’istante.
“Eddai Cas, so che se non fossi così terribilmente etero mi salteresti addosso senza esitazioni” sogghignò il ragazzo.
“In realtà quello che hai appena detto non ha un gran senso, e comunque non sei il mio tipo” lo informò il rosso appollaiandosi su un banco alle mie spalle e addentando un panino.
“Mi dispiace davvero tanto che ti sia capitato lui come compagno di banco, Beth” si rammaricò Alexy guardandolo malissimo.
“Anche a me” commentai lanciando un’occhiata obliqua al rosso.
“Ma se mi muori dietro! Mi sei anche venuta a sbattere addosso apposta stamattina” sogghignò fissandomi.
“Sei ubriaco? Io morire dietro a te? Non credo proprio, Anna dai capelli rossi” dichiarai alzando le mani.
Alexy, che si era portato alla bocca una patatina, fu costretto a sputarla per terra dal gran ridere che gli provocò il modo in cui avevo appena chiamato Castiel. Il ragazzo rimase per un momento interdetto, poi si riprese.
“Attenta, potrei presentarmi a casa tua con un paletto di legno, Bella” mi avvertì estraendo dalla tasca tutto il necessario per rollarsi una sigaretta.
“Scusa, ti ha appena chiamato Anna dai capelli rossi e tu rispondi con bella?” lo schernì Alexy posando i piedi sul banco e portandosi le mani sulla nuca.
“Credo che Buffy qui intendesse Bella, la vampira di Twilight” lo informai.
“Sei davvero una forza. Devo assolutamente presentarti a mio fratello Armin” mi disse il ragazzo scuotendo la testa divertito “E assomigli davvero a una vampira. Ulteriore prova che sei un gran bel pezzo di ragazza, vero Cas?”
“Stiamo parlando della stessa tipa?” domandò lui distrattamente, cercando di non far cadere il tabacco a terra. Aveva scelto di ignorare la mia ultima battuta.
“Ma per favore, vuoi farmi credere che hai rinunciato al tuo girovagare per i  corridoi per un motivo diverso dal venire a vedere Beth?” lo prese in giro Alexy.
“Esattamente. Cosa stai disegnando, Violet?” chiese Castiel, forse per cambiare discorso.
Non me n’ero accorta, ma durante tutto il nostro scambio di battute la ragazza aveva continuato a disegnare sul suo blocco. Per un attimo non rispose e non si fermò, poi, dopo qualche secondo, scarabocchiò qualcosa in fondo al foglio e lo staccò porgendomelo. Lo presi, curiosa, e rimasi senza parole. Mi aveva fatto il ritratto, disegnandomi a matita dall’angolatura in cui si trovava, ovvero vedendomi di profilo. Era un disegno bellissimo, e a guardarlo sembrava che ci avesse impiegato ore invece che una decina di minuti scarsi. In fondo aveva fatto la sua firma.
“Violet, è stupendo!” esclamai guardandola ammirata. Lei arrossì, e quando feci per restituirglielo scosso il capo.
“E’ per te” mormorò.
“Non dovevi, grazie mille!” la ringraziai sorpresa guardando di nuovo lo schizzo.
“L’hai proprio conquistata se ti ha fatto il ritratto” commentò Alexy con un sorriso.
“Sei stata troppo gentile, Violet! Non è mica così bella” commentò Castiel guardandomi con un sorriso idiota stampato in faccia.
Io lo guardai con sufficienza, cercando di fargli capire che la sua opinione non mi sfiorava minimamente.
“Immagino che tu sia nel club di disegno” dissi rivolta all’artista. Lei annuì.
“E tu?”
“Il mio campo è la musica” rispose Alexy indicando le cuffie che portava al collo.
Mi voltai per sentire la risposta di Castiel, ma era sparito.
“Ahi ahi, mi sa che è scappato da Ambra” commentò il ragazzo divertito, indicando la bionda che avevo notato durante la prima ora che entrava dalla porta della classe. Mi spiegò che era ossessionata dal rosso e che tentava in tutti i modi di avvicinarsi a lui, ma inutilmente, perché il ragazzo non voleva saperne. Secondo la maggior parte della gente capace di intendere e di volere infatti Ambra era una vera e propria serpe, vanitosa e spietata, e non biasimavano Castiel per i continui tentativi di evitarla. Volevo chiedere ulteriori delucidazioni sulla bionda, ma la campanella suonò e dovetti tornare al mio posto, dove il mio compagno di banco si era rifugiato fingendo di cercare qualcosa nello zaino.
“Vedo che ci vuole poco a farti scappare” commentai con un sorrisetto.
“La prima volta che te la troverai davanti capirai, è una pazza furiosa” mi informò lui accomodandosi sulla sua sedia e appoggiando i piedi sul banco.
La professoressa di matematica fece il suo ingresso, mi rivolse qualche parola di benvenuto e iniziò a scrivere alla lavagna alcuni esercizi da fare in classe. Scrissi le tracce sul quaderno, decisa a provare a risolverli, nonostante odiassi la matematica con tutta me stessa. Dopo poco però capii di non avere speranza, così cercai di ingannare il tempo guardando fuori dalla finestra. Era metà novembre, il tempo era uggioso e minacciava di piovere. La pioggia mi piaceva molto, così sperai che iniziasse per poter sentire il rumore delle gocce sul tetto e l’odore dell’acqua piovana. Adoravo il freddo.
I miei pensieri furono interrotti ancora una volta dalla voce irritante di Castiel.
“Cos’è, una ragazza modello come te non sa fare un paio di equazioni?” mi chiese con tono di scherno, sporgendosi per guardare il mio quaderno.
“Vuoi farmi credere che le hai risolte?” domandai io di rimando imitandolo. Rimasi interdetta vedendo che era proprio quello che aveva fatto.
“D’altronde, la matematica è una materia per gente… brillante” commentò assumendo un’aria di importanza.
“No, la matematica è una materia che salva il culo a quelli che non hanno voglia di studiare e hanno la fortuna di esserci portati” lo corressi io sprezzante “Un po’ come ginnastica”.
“E scommetto che tu non sei portata per nessuna delle due” mi stuzzicò frugando nell’astuccio alla ricerca di chissà cosa.
“Ti sbagli. Ho fatto pallavolo per anni” lo informai con una smorfia.
Intanto lui aveva estratto un elastico dall’astuccio malandato e stava cercando di farsi un codino con la parte superiore dei capelli, ma con scarso successo. Rimasi a guardarlo divertita mentre tentava di raccoglierli sbuffando, poi tesi una mano.
“Dammi l’elastico” ordinai guardandolo con pena.
“Compratelo” fece lui, come se gli avessi appena chiesto un rene.
“Voglio farti il codino, idiota” spiegai strappandoglielo di mano.
Lui mi guardò come se fossi completamente impazzita, io ricambiai lo sguardo intimandogli di muoversi e gli feci cenno di voltare la testa. Stranamente obbedì. In pochi secondi riuscii a fargli un codino decente lasciando sciolti i capelli sotto.
“Non aspettarti un applauso” mi disse voltandosi e appoggiando la testa sul banco.
In quel momento la professoressa mi chiamò alla lavagna per risolvere un esercizio. Gettai un’occhiata al mio quaderno, dove una X troneggiava su quel poco che avevo cercato di fare.
“Visto che non mi hai ringraziata, mi prenderò questo” sussurrai sfilando il quaderno di Castiel da sotto le sue braccia incrociate e alzandomi prima che potesse dire qualunque cosa. Alla lavagna mi limitai a copiare quello che aveva scritto lui, e la professoressa mi gratificò con un sorriso e un cenno d’assenso. Tornai al posto e mollai il quaderno al legittimo proprietario con un sorrisetto.
 
Al suono della campanella che annunciava la pausa pranzo si precipitarono tutti fuori dall’aula, come se ci fosse una medaglia per il primo che varcava la soglia. Io ficcai tutta la mia roba nello zaino con calma, e notai che la ragazza dai capelli rossi, Iris, mi guardava dalla porta. Mi avvicinai e la salutai con la mano.
“Scusa se non mi sono ancora presentata, ma durante l’intervallo sono dovuta andare dalla preside” il sorriso che mi stava rivolgendo si trasformò in una smorfia “Comunque sono Iris, pranziamo insieme?”
Le sorrisi radiosa e mi presentai, accettando all’istante l’invito. Nonostante il mio incontro burrascoso con Castiel quella mattina, il resto dei miei compagni erano simpatici e accoglienti e pensai che probabilmente mi sarei trovata bene al Dolce Amoris.
“Come mai dovevi andare dalla preside?” le domandai seguendola verso la mensa.
“Faccio parte del club di scienze, e visto che sono la presidentessa la vecchia megera ha deciso di darmi la colpa per la sparizione dei soldi per comprare un nuovo microscopio. Quindi sono stata espulsa dal club” mi disse tristemente.
“Ma non è giusto! Se non sei stata tu non vedo perché dovresti pagarne le conseguenze!” esclamai indignata.
“Visto che il colpevole non si trova hanno deciso di usarmi come capro espiatorio. In fondo non fa nulla, iniziava a stancarmi. Però ora sono senza club” disse afferrando un vassoio.
La imitai e la seguii verso il bancone dove una donna con una retina in testa piazzava sul vassoio di tutti un hamburger e delle patatine fritte dall’aria invitante. Stavo per dirle che anche io dovevo ancora scegliere, quando sentii una voce chiamarmi.
“Beth!” mi voltai e vidi che si trattava del segretario delegato, Nathaniel.
“Oh, ciao!” lo salutai con un sorriso, togliendomi dalla fila dopo aver preso il mio cibo.
“Sono venuto ad avvisarti che la preside mi ha detto che gli unici club ancora disponibili sono quelli di basket e di giardinaggio, e quello di scienze ma non per Iris” disse guardando la rossa con espressione dispiaciuta.
“Non fa nulla” disse lei assumendo un’aria sorpresa.
“Basket e giardinaggio?” domandai inorridendo “Peccato, avevo pensato al club di teatro o di pallavolo” dissi.
“Perché non ci iscriviamo insieme?” propose Iris dirigendosi verso un tavolo in cui intravidi in capelli azzurri di Alexy. La seguii con Nathaniel alle calcagna.
“Ottima idea” dissi, grata che fosse così gentile con me.
Ci sedemmo una di fronte all’altra, e feci un po’ di spazio al povero delegato che era stato costretto a seguirci per sapere in che club inserirci. Gli rivolsi un sorriso di scuse, ma lui non sembrava infastidito. Dopo aver salutato Alexy e Violet, io ed Iris concludemmo che mai e poi mai ci saremmo iscritte al club di giardinaggio, così comunicammo a Nathaniel che avremmo provato col basket.
“Ottimo. Beth, ero venuto anche per farti compagnia, visto che sei nuova e magari non volevi restare sola, ma vedo che sei già in ottima compagnia quindi ne approfitto per tornare al lavoro” disse con un sorriso gentile. Ci spiegò che alle due e mezza avremmo dovuto recarci in palestra e si congedò dando una pacca sulla spalla ad Alexy.
“Incredibile, in quattro anni Nathaniel mi avrà salutata tre volte e ora grazie a te sa anche come mi chiamo” rise Iris.
Mangiammo i nostri hamburger chiacchierando del più e del meno, e le mie nuove conoscenze mi spiegarono alcune cose della scuola e mi parlarono di alcuni studenti. Venni a sapere che Rosalya, la ragazza dai capelli argentei, era fidanzata con un ragazzo che si era diplomato l’anno precedente, e che era tanto bella quanto inavvicinabile. Si sbizzarrirono a parlarmi di Ambra la bionda, e da come la descrivevano doveva essere proprio terribile.
 
Alle due e venti io ed Iris ci alzammo da tavola, decise ad arrivare puntuali, mentre gli altri se la presero comoda. Posammo i vassoi sopra al tritarifiuti dopo averli svuotati e uscimmo dalla mensa. Per raggiungere la palestra dovevamo uscire dall’edificio principale, e visto che il mio desiderio di pioggia si era avverato, ci bagnammo fino all’osso e morimmo dalle risate quando Iris rischiò una rovinosa caduta, evitata soltanto perché era riuscita ad aggrapparsi al mio braccio. La conoscevo da pochissimo, ma le risate che ci facemmo insieme per quella stupidata mi fecero sentire davvero bene. Era una sensazione che mi mancava da troppo tempo.
“Eccoci” disse lei una volta raggiunta la salvezza in palestra. Ci stavamo dirigendo verso gli spalti per cercare qualcuno che ci dicesse cosa fare, quando ci si parò davanti nient’altro che Castiel. Di nuovo. Indossava la divisa, e notai che aveva il numero 24, e che invece del suo cognome sulla maglia c’era scritto “Cas”.
“Non ci posso credere. Sei proprio una stalker” commentò vedendomi “Non dirmi che volete unirvi al club di basket”.
“E tu non dirmi che ne fai parte” dissi io inorridita.
“Sono il presidente” mi informò ghignando come suo solito.
“Bene allora procuraci qualcosa di asciutto, capo” fece Iris strizzandosi la treccia per cacciare via l’acqua.
“Credo che il vostro posto sia al club di giardinaggio” asserì ignorando la richiesta della ragazza “Sul serio pensate di giocare a basket?”
“A dire il vero ne faremmo volentieri a meno” dissi “Però possiamo svolgere qualche ingrato compito che voi maschi non fareste mai, piuttosto che occuparci dei fiori” continuai.
“Faresti proprio di tutto per starmi vicina eh?” rise Castiel allargando le braccia.
Assunsi un’espressione disgustata e allo stesso tempo spazientita.
“Va bene, va bene. Se proprio ci tenete potete segnare il punteggio sul tabellone o rimettere i palloni nei cesti, basta che non facciate danni e non vi rompiate niente” disse spingendoci verso gli altri.
“Allora ci tieni alla mia incolumità” lo stuzzicai avvicinandomi a un gruppetto di cestisti che discuteva animatamente al centro del campo.
Lui mi ignorò e ci presentò agli altri giocatori. Due li avevo già visti nella nostra classe, mentre gli altri erano facce nuove. Alcuni dissero al capitano che era proprio ora che si decidesse a reclutare qualche ragazza, ma Castiel diede loro dei morti di figa e si zittirono. Iris ed io ci piazzammo a sedere su un tavolino e iniziammo a fare pratica con i pulsanti del telecomando del tabellone, mentre gli altri iniziarono una partita. Dopo aver fatto vincere la squadra blu diciotto a sei quando in realtà aveva perso otto a quindici, imparammo ad usarlo e le cose migliorarono visibilmente. Alle cinque e venti i ragazzi andarono a cambiarsi e io ed Iris uscimmo.
“C’è la macchina di mia madre” disse preparandosi a uscire dal piccolo portico per affrontare di nuovo la tempesta “Vuoi un passaggio?”
“No grazie, prendo l’autobus, non voglio allungarti la strada. Resto ancora un po’ qui per vedere se smette” le dissi sorridendo.
“Va bene, se hai bisogno chiamami” disse, poi mi salutò con un bacio sulla guancia e corse via.
Mi sedetti su un muretto e mi misi le cuffiette nelle orecchie, lasciando vagare lo sguardo per il parcheggio deserto della scuola.
 
“So if you want to love me then darlin' don't refrain
Or I'll just end up walkin' In the cold November rain”
 
La canzone mi prendeva così tanto che stavo per iniziare a cantare a voce alta, quando una mano mi diede una spintarella. Mi tolsi una cuffietta e voltai appena la testa. Di nuovo lui.
“Mi aspetti anche al varco ora?” chiese con un sorrisetto.
“Le tue battute con cui mi dai della stalker ormai sono banali” lo informai.
Mi fece cenno di fargli posto sul muretto e lo accontentai. Si sedette rannicchiando le gambe e posando i talloni sul muro, poi si accese una sigaretta.
“Vuoi?” mi chiese porgendomi il pacchetto.
Avevo iniziato a fumare dopo la morte di mia madre, un paio d’anni prima. In poco tempo era arrivata a consumare anche un intero pacchetto al giorno. All’epoca giocavo ancora a pallavolo, e ben presto notai che il gran numero di sigarette che fumavo iniziava a rallentare seriamente i miei riflessi, così aprii gli occhi e presi a diminuirne progressivamente il numero. Poi capii che tutti i soldi che spendevo per comprarne erano soldi buttati nel cesso, così ora fumavo soltanto a scrocco da chi me ne offriva.
Presi una sigaretta dal pacchetto, e Castiel ci rimase piuttosto male.
“Ma sei sempre la secchiona che non si è persa una parola di Oldman e di tutti gli altri prof fatta eccezione per quella di matematica, riempendo mille pagine di appunti?” mi chiese fingendosi irritato.
“Quindi me l’hai offerta solo perché pensavi che avrei rifiutato” lo accusai indignata, evitando di fargli presente che per sapere quelle cose doveva avermi guardata per tutto il giorno.
“Tanto non ti do l’accendino” mi provocò.
Io mi misi la sigaretta tra le labbra e mi avvicinai al suo viso, fino a sfiorare la punta della sua accesa con la mia, che si accese dopo qualche secondo. Tornai a guardare il parcheggio e la pioggia che cadeva, e lo sentii borbottare qualcosa tipo “tutta questa confidenza”.
“Prendi l’autobus?” mi chiese. Annuii.
“E tu?” scosse la testa e indicò con il mento una bicicletta rossa legata alla staccionata. Risi.
Finì la sua sigaretta, la gettò a terra e la calpestò. Si alzò in piedi e si sistemò alla meglio il cappuccio della felpa in testa. Slegò la bici, montò in sella e mi lanciò un’occhiata.
“A domani, Bella Swan” ghignò.
Mi lasciò il tempo di gridare un “ciao, Buffy!” prima di pedalare via.


 



Angolo Autore:

Ma ciao a tutti!
Questa è la mia prima fanfiction sul mondo di Dolce Flirt. Mi sono iscritta da un mesetto a questo gioco di ruolo e me ne sono innamorata subito! Adoro i personaggi, li trovo tutti fantastici. Ho letto qualche storia qui su EFP e mi sono convinta a provare a scriverne una anche io (:
Spero di aggiornare regolarmente, perché mi piace come ho iniziato e non vorrei che restasse a metà. Prometto che mi impegnerò :D
Vi chiedo perfavore di lasciarmi una piccola recensione, per sapere se vi piace l'inizio della storia e se vale la pena continuarla! Mi piace molto leggere cosa pensate di quello che scrivo :)
Per ora vi saluto! Un bacio!



 

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Capitolo 2
*** Sedute di shopping e nuovi nemici ***




2. Sedute di shopping e nuovi nemici
 
 
Il mattino dopo il mio primo giorno di scuola al Dolce Amoris, la sveglia del cellulare suonò decisamente troppo presto. Ero sicurissima di aver sbagliato a puntarla la sera prima, perché non potevano essere già le sette. Questa convinzione rimase cementata nella mia mente per cinque minuti buoni, durante i quali il mio vocabolario di imprecazioni mentali si allargò pericolosamente, finché qualcuno bussò alla porta della mia camera.
“Beth? Alzati o farai tardi” gridò mio padre senza aprirla. Rimase dov’era, in attesa di sentire un cenno di vita da parte mia. Mi uscì un mugugno indistinto, ma gli bastò, perché sentii i suoi passi scendere le scale.
Mio padre mi aveva sempre lasciato i miei spazi, convinto che avrei potuto fare qualunque cosa se solo avessi voluto. Non era il tipo da lezioni di vita, lui piuttosto lasciava che lo guardassi nella sua quotidianità e imparassi da sola. Se sbagliavo, per lui non era una tragedia, anzi, secondo lui una vita senza errori non era altrettanto degna di essere vissuta. Una noia, insomma. Ero legatissima a lui, da sempre, e ancora di più dalla morte di mia madre. Era stato davvero fantastico, era riuscito a superare l’accaduto dopo poco tempo e aveva trascinato con sé le sue due figlie, impedendo in ogni modo e con tutte le sue forze che la perdita subita ci portasse sulla cattiva strada. Mia sorella Kaitlin aveva quattro anni all’epoca, quindi, anche se aveva sofferto molto per la mancanza della mamma, era stato abbastanza facile farle superare il brutto momento. Con me invece, fu tutto il contrario.
Comunque, anche se adoravo mio padre, pensai che avesse riposto decisamente troppa fiducia in me pensando che avessi la forza di alzarmi dal caldo giaciglio delle coperte da sola, per scaraventarmi fuori al freddo e poi dentro ad un edificio grigio e triste sopra ad una sedia scomoda. Infatti passarono altri venti minuti prima che trovassi il coraggio di lavarmi e vestirmi, e alla fine dovetti mangiare i miei cereali in piedi, versandomeli in bocca direttamente dalla scatola e bevendo un sorso di latte per mandarli giù. Fu piuttosto disgustoso, ma non quanto la corsa che seguì per evitare di perdere l’autobus. E sarebbe stato anche accettabile, se avesse funzionato.
Purtroppo per me però arrivai in strada con la giacca infilata a metà e lo zaino in mano, e mi vidi passare davanti il mezzo che avrebbe dovuto portarmi a scuola.
“Tua madre ci ha provato a fare un figlio decente, ma gli sei venuto fuori tu!” gridai all’autista inconsapevole che si allontanava da me.
Mi infilai del tutto il piumino, posando lo zaino a terra, e allacciai la zip. Stavo valutando l’idea di tornare dentro e chiedere a mio padre di portarmi a scuola, quando sentii la sua macchina uscire dal vialetto sul retro e prendere la via del lavoro. Imprecai.
“Qualcosa mi dice che ti sei svegliata anche peggio di ieri” disse una voce alle mie spalle, accompagnata dal trillo di un campanello. Mi voltai appena in tempo per vedere Castiel in sella alla sua bici, e, incredula, feci un passo indietro per evitare di essere travolta, dato che non aveva la minima intenzione di aggirarmi.
“Senti, ora sembri tu lo stalker” dissi guardandolo come a chiedergli spiegazioni.
“Ehi, è dalla prima elementare che faccio questa strada per andare a scuola tutte le mattine, se sei venuta ad abitare proprio qui non è colpa mia” mi informò fermandosi e posando un piede a terra.
“Non ho potuto fare a meno di sentire le dolci parole che hai riservato all’autista del bus” commentò poi con un sorrisetto furbo.
“Secondo te se vado a piedi arrivo per le otto?” gli chiesi sconsolata.
“Non essere ridicola” rispose lui “Non ci arriveresti neanche per le nove con il tuo passo”.
“Che ne sai di che passo ho?” protestai, e lui si passò una mano tra i capelli alzando le spalle.
“Dai, metti il culo sul portapacchi, ti porto io” sospirò vedendo la mia espressione assassina.
“Non c’è bisogno, me ne torno a letto” sbottai innervosita. Non volevo fare pena a nessuno.
Lui si mise in equilibrio sui pedali e mi seguì fino al portone.
“Guarda che se non ti dai una mossa arrivi tardi davvero” mi incitò con una leggera punta di gentilezza in più del solito. “Vuoi che te lo dica in spagnolo?!” continuò vedendo che non mi muovevo. Ok, forse la gentilezza me l’ero immaginata.
Con un sospiro scocciato misi da parte l’orgoglio, pensando che non fosse il caso di assentarmi già il secondo giorno, e presi posto sul portapacchi aggrappandomi poi ad esso con le mani, pregando di non morire durante il tragitto. Se proprio doveva esserci una fine, non volevo che la mia arrivasse andando a scuola. Castiel prese a pedalare, senza nessun tipo di sforzo, o almeno così pareva.
“Spiegami una cosa” dissi dopo un paio di minuti “Se l’autobus è partito cinque minuti fa e noi ora, come faremo ad arrivare puntuali considerando che l’autobus arriva alle otto ed è dotato di motore, mentre la bici no?” sembrava un quesito di scienze.
“Stai forse sottovalutando la potenza del mio bolide?” rispose lui. Notai che aveva una certa tendenza a rispondere alle domande con altre domande. “L’autobus fa qualcosa come un miliardo di fermate. Hartford è una città in cui la gente è così pigra che c’è una fermata ogni cento metri. E non scherzo” mi spiegò.
Annuii, anche se non poteva vedermi. A conferma del suo discorso, dopo qualche minuto raggiungemmo il bus, che era fermo e occupato a far salire gente. Passandogli di fianco, alzai il terzo dito in direzione dell’autista, provocando un’occhiataccia da parte di un passante e uno sbuffo che somigliava a una risata soffocata da Castiel.
“Ma si può sapere quanto pesi? Sembra che sia da solo, sei una cazzo di piuma” disse il rosso, che faceva procedere la bicicletta piuttosto velocemente superando i pedoni che non sapevano distinguere il marciapiedi dalla pista ciclabile.
“Ti sembra, chiedere il peso ad una donna?” feci io assestandogli uno scappellotto sulla nuca.
“Ti stai mettendo in una posizione scomoda, Davies. Ti sto facendo un favore e in più mi picchi, ma stai tranquilla, avrai modo di ripagarmi” disse in tono minaccioso.
“Cos’è, hai smesso di chiamarmi Bella Swan così io non posso più chiamarti Buffy?” dissi sinceramente dispiaciuta. Avrei dovuto trovare un nuovo soprannome che lo facesse davvero arrabbiare.
Non rispose. Eravamo arrivati a scuola, così fece il giro del cortile e mi scaricò davanti alla porta. Erano le otto in punto.
“Ci vediamo in classe!” gridai correndo su per i gradini.
“Non ringrazi neanche?” fece lui, che evidentemente aveva intenzione di prendersela comoda, perché se ne stava seduto sul sellino, entrambi i piedi posati sul cemento e una sigaretta spenta stretta fra le labbra, le mani impegnate nella ricerca dell’accendino.
“Ma ti pare?” dissi correndo dentro, con un sorrisetto.
Attraversando il corridoio di corsa passai davanti alla sala delegati, dove Nathaniel stava in piedi sulla soglia.
“Dove corri?” mi chiese facendomi un gran sorriso.
“In classe” risposi. Non era ovvio?
“Puoi rallentare, la campanella suona alle otto e cinque” mi informò chiudendosi la porta dell’ufficio alle spalle e affiancandomi.
Mi sentii stupida, ma la mano del delegato che mi si posava sulla spalla me lo fece dimenticare subito e avvampai leggermente.
“La mia classe è poco più avanti della tua” disse prendendo a camminare “Allora, com’è andato il primo giorno? Come ti è sembrata la scuola?”
“Oh, bene!” risposi sorridendo “Sono stati quasi tutti molto gentili, a partire da te” arrossii di nuovo “E i professori che ho conosciuto mi sembrano simpatici” aggiunsi.
“Qualcuno non è stato gentile?” si informò sorpreso.
“Beh, diciamo che ho iniziato un po’ male con il mio compagno di banco, un ragazzo dai capelli rosso scuro. E’ un tipo particolare, non capisco mai se non gliene frega niente oppure no. E poi è decisamente uno sbruffone” spiegai.
“Parli di Castiel” indovinò istantaneamente scuotendo la testa con un sorrisetto.
“Siete amici?” chiesi pregando di non aver fatto una brutta figura insultando un suo amico davanti a lui.
“No, diciamo che siamo sempre stati troppo diversi per andare d’accordo. Eravamo in classe insieme in prima, non eravamo troppo amici ma neanche ci odiavamo, poi la sua antipatia per me è aumentata per via di alcune incomprensioni” disse con un’alzata di spalle.
“Si vede proprio” dissi “Che siete diversi, intendo” completai.
Eravamo arrivati davanti alla porta della mia classe. La professoressa di storia non era ancora arrivata, come confermava la porta spalancata e i miei compagni sparsi in corridoio a chiacchierare o al cellulare. Vidi Alexy parlare con un ragazzo identico a lui, fatta eccezione per il colore dei capelli, e pensai che si trattasse del fratello di cui mi aveva parlato.
“Ciao Alexy, Armin!” esclamò una voce che ricollegai subito ad Iris. Infatti un attimo dopo la ragazza spuntò dall’interno della classe.
“Ehi Beth!” mi salutò abbracciandomi, poi rivolse un timido cenno di saluto a Nathaniel.
“Buongiorno Iris” rispose lui gentilmente.
All’arrivo della prof, salutai il delegato che raggiunse la sua aula ed entrai seguendo i miei compagni. Raggiungendo il mio posto notai che Castiel ancora non si vedeva, e così fu per tutta l’ora. La lezione fu piuttosto noiosa, e dopo aver cercato di prendere appunti ed aver riempito una facciata del mio quaderno, mi arresi. Verso la fine dell’ora smise di spiegare.
“Allora ragazzi, come vi avevo anticipato ho pensato di assegnare ad ognuno di voi un argomento del programma di quest’anno per un progetto. Lavorerete in coppie scelte da me.” A questa frase la classe palesò il suo disappunto tramite sbuffi e commenti. “Il vostro compito è di presentare l’argomento che vi è toccato parlando delle curiosità, gli usi e i costumi di quel popolo, il loro calendario, i loro abiti, eccetera. Spero sia un modo per farvi apprezzare di più una materia che potrebbe risultare noiosa, ma che in realtà è molto interessante” spiegò.
La trovai una buona idea, e sperai di finire in coppia con Iris, Alexy o Violet. Le mie preghiere furono esaudite, perché la professoressa tirò a sorte e il mio cognome uscì insieme a quello del ragazzo dai capelli azzurri. Lo cercai con lo sguardo e gli sorrisi. La povera Violet finì in coppia con Castiel, che alla fine dell’ora fece il suo ingresso in classe per poi scomparire di nuovo, e Iris fu messa insieme a Rosalya. Durante il cambio d’ora mi accordai con Alexy e decidemmo di andare insieme a casa mia il giorno seguente dopo aver finito nei nostri rispettivi club.
“Andiamo?” chiese Iris alzandosi dal suo posto e afferrando una borsa abbandonata per terra.
“Andiamo dove?” domandai di rimando, senza capire.
“In palestra, c’è ginnastica le prossime due ore” rispose lei, poi si bloccò “Oh cazzo, Beth, scusami, mi sono dimenticata di dirtelo ieri!” esclamò portandosi una mano alla bocca.
“Ma figurati, non ti preoccupare, l’unico problema è che non ho niente per cambiarmi” dissi tirandole leggermente la treccia per rassicurarla.
“In palestra c’è sempre qualcosa da prendere in prestito, possiamo chiedere ad Arold” disse lei chiudendosi la zip della felpa.
“Chi è Arold?” mi informai alzandomi e prendendo la giacca, pronta ad affrontare l’aria fredda per arrivare in palestra.
“Il custode, o capo bidello, come ama definirsi lui.”
A rispondere era stata la famosa Rosalya, che aveva abbandonato il suo banco in ultima fila e ci era venuta incontro con il cellulare in mano.
“Scusa se non ho ancora avuto occasione di presentarmi, io sono Rosalya” mi disse rivolgendomi un gran sorriso. Aveva una voce melodiosa e piacevole.
“Piacere, io sono Beth” le sorrisi in risposta, perdendomi ad osservare i suoi lunghi capelli argentati. “Hai dei capelli meravigliosi” le dissi ammirata.
“Ma insomma, a me non piacciono tanto, ma ti ringrazio. I tuoi piuttosto, sono davvero da invidiare” disse accarezzandomi qualche ciocca corvina.
Non feci in tempo a ringraziare, che riprese: “Posso accompagnarti da Arold, quell’uomo ha un debole per me. E’ un vecchietto simpatico, tienitelo a mente se ti capiterà di essere buttata fuori dalla classe, è molto di compagnia” rise.
Sorrisi, e ci avviammo tutti insieme verso la palestra. Durante il tragitto Rosalya ci spiegò che lei ed Iris, nell’accordarsi per iniziare il progetto di storia, avevano deciso di andare a fare shopping quel pomeriggio, e ci chiese se volessimo unirci. Violet declinò l’offerta con gentilezza, mentre io ed Alexy accettammo con entusiasmo.
“Voi andate a dire al prof che arriviamo, io accompagno Beth a prendere i vestiti” disse Rosalya una volta arrivati in palestra. Invece di andare negli spogliatoi, ci infilammo in una porticina accanto ad essi e ce ne trovammo davanti una seconda, chiusa. La ragazza bussò con forza.
“Arold, so che sei lì dentro” disse divertita. Dall’interno si sentirono dei passi, una pausa e poi la porta si aprì davanti a noi. Davanti ad essa stava un vecchietto dall’aria fragile, con i capelli completamente bianchi e l’aria giovale.
“Rosa, la mia studentessa preferita!” esclamò dandole un buffetto sulla guancia “Che ti serve, cara?” chiese poi.
“La mia amica Beth non ha i vestiti per ginnastica, avresti qualcosa da prestarle nel tuo armadio magico?” fece lei indicando con il pollice un armadietto alle nostre spalle.
Il vecchio si chiuse alle spalle la porta, e riuscii ad intravedere una piccola scrivania assediata da prodotti per pulire i pavimenti, scope, stracci e cose di quel genere. Pensai che si trattasse di una specie di ufficio-sgabuzzino.
“Vediamo un po’” disse dirigendosi verso lo stipo ed estraendo dalla tasca dei pantaloni blu un enorme mazzo di chiavi. Al primo colpo scelse quella giusta e aprì lo sportello. Mi bastò un’occhiata per capire che conteneva generazioni di abiti dimenticati negli spogliatoi, scarpe comprese. Arold prese a rovistarci dentro, e ogni tanto un capo cadeva ai suoi piedi per essere poi recuperato da Rosalya.
“Queste sono le cose più piccole che posso darti” disse riemergendo dopo qualche minuto di ricerca. Mi guardò dalla testa ai piedi “La maglia sarà un po’ grande ma i pantaloni dovrebbero andare” mi fece un gran sorriso porgendomi gli abiti.
“Grazie mille, va benissimo” lo ringraziai gentilmente.
“E non preoccuparti per la sporcizia, laviamo tutti gli abiti una volta a settimana. Se li porta a casa Ester e fa una lavatrice con tanto di ammorbidente” mi spiegò richiudendo a chiave l’armadio.
Sorrisi, lui destinò un altro buffetto a Rosa e poi ci salutò, avvisandomi che le amiche della ragazza erano anche amiche sue e che avrei potuto rivolgermi a lui per qualsiasi problema. Ci recammo negli spogliatoi ridendo. Indossai i vestiti che mi aveva dato, cioè un paio di pantaloncini decisamente molto corti e una maglia da basket verde decisamente troppo lunga, a cui feci un nodo alla meglio. Quando anche Rosalya fu pronta raggiungemmo gli altri in palestra.
“Mi piace questo tuo nuovo stile” commentò Alexy con una risata, seguito a ruota da Iris. Guardai male il ragazzo e diedi un pizzicotto alla rossa, ricordandole che era per colpa sua se ero finita conciata in quel modo. Ci unimmo al resto della classe, che era raccolta intorno al cesto dei palloni, dove ognuno cercava di impossessarsi di quello migliore.
“Indossi la maglia del nemico” disse Castiel riemergendo dalla ressa con un pallone da calcio nuovo fiammante tra le mani.
“Tifi per i Chicago Bulls?” chiesi guardando la mia maglietta, che era dei Boston Celtics. Il basket mi annoiava parecchio, ma mio padre era un appassionato, quindi ero in grado di distinguere quasi tutte le squadre dell’NBA e riconoscevo alcuni giocatori.
“Perché pensi che le maglie della squadra di basket siano rosse?” fece iniziando a palleggiare con i piedi.
“Forse perché è il colore base della maglie da basket e non ti fanno pagare un supplemento?” risposi come se stessi parlando ad un idiota.
“Una bella fortuna no?” ghignò lui calciando la palla, che finì nella porta indifesa dall’altra parte del campo.
“Di chi è la maglia?” chiesi indicandomi la schiena. Lui fece un passo avanti e mi spostò i capelli di lato per leggere il nome. Mi sfiorò il collo e io rabbrividii impercettibilmente.
“Brandon Bass” lesse mollando la mia chioma corvina. Mi voltai mordendomi le labbra, cosa che facevo sempre quando pensavo.
“E’ di colore vero?” domandai cercando di ricordare le facce dei vari giocatori.
Lui alzò le sopracciglia e annuì.
“Tranquillo, non mi piace il basket. Lo guarda mio padre” lo informai, come a tranquillizzarlo che no, non aveva trovato la sua anima gemella in una rompiscatole mezza vampira che non perdeva occasione di prendere in giro.
A quel punto arrivò il professore, un uomo alto e abbronzato che aveva la tipica aria da prof di ginnastica. Facendo l’appello si fermò al mio nome, si presentò come professor Withman e mi chiese se facessi sport.
“Ho fatto pallavolo per sei anni, e prima danza moderna per quattro” dissi, e lui fece un cenno di assenso, continuando a chiamare i nomi dei miei compagni.
“Dunque, ragazzi” iniziò una volta finito “Castiel, posa un attimo quella palla prima che finisca in posti dove un palla non dovrebbe mai stare” lo avvisò provocando risate isteriche a mezza classe e un sorrisino compiaciuto a me, Iris e Rosalya “Come vi ho detto all’inizio dell’anno, all’inizio di dicembre ho intenzione di portarvi in gita in un villaggio sportivo. Si tratta di un posto attrezzato per fare moltissimi sport diversi, dai più classici come calcio, pallavolo, basket, tennis e tutti quelli che richiedono un campo, passando per bicicletta, corsa, arrampicata, albering e arrivando a nuoto, canoa, tiro con l’arco, wind-surf” spiegò. Avevano già iniziato a levarsi voci che si chiedevano come si potessero fare tutte queste cose a dicembre, così l’uomo alzò le mani e fece cenno di zittirsi “Il villaggio si trova in California, e lì a dicembre si raggiungono i venticinque gradi, quindi non preoccupatevi. Ah, dimenticavo, si dorme nei bungalow. A breve avrete tutti gli avvisi da dare ai vostri genitori” concluse. Ci disse poi di scegliere se fare calcio, basket o pallavolo e di andare a giocare. Sentii la bionda che si lamentava dicendo che non si possono far dormire delle persone in posti squallidi come i bungalow.
“Quando ce l’ha detto a settembre ho pensato di non andare” mi disse Iris afferrando un pallone da pallavolo e dirigendosi verso la rete “Perché Violet non vorrà mai venire, quindi pensavo di stare a casa anche io. Però ora che ci sei tu e che Rosalya mostra tutto questo interesse verso di noi, potrebbe essere divertente”.
“Come mai Violet non vuole venire? E prima d’ora non hai veramente mai parlato con Rosa?” chiesi curiosa.
“Violet sai com’è, anche se sei qui da due giorni si sarà capito. E’ molto timida, non ce la vedo proprio in una gita di questo tipo, infatti ha detto che preferirebbe evitare. Per quanto riguarda Rosalya, è in questa classe solo dall’inizio dell’anno, prima era in C. Visto che era molto più numerosa della nostra hanno spostati alcuni studenti in altre classi sorteggiandoli ed è uscita lei. Non ci ho mai parlato molto, è sempre stata molto sulle sue” mi spiegò.
Annuii per dire che avevo capito, e dopo aver concordato sul fatto che sembrasse molto simpatica ci unimmo agli altri che avevano scelto di giocare a pallavolo e ci dividemmo in due squadre da quattro. Il resto delle due ore passò piacevolmente, e giocando feci conoscenza con molti miei compagni che non mi si erano ancora presentati. Trovai davvero divertente un ragazzo che avevo notato anche al club di basket, di nome Dajan, che si destreggiava giocando a tutti e tre gli sport a turno. Faceva un canestro, si precipitava sul campo di pallavolo a ricevere con un bagher e volava a parare un tiro nella porta da calcio. Alla fine stramazzò teatralmente a terra, sfinito, seguito da Iris che fu costretta a mettersi a gattoni per il gran ridere.
 
Utilizzai quasi tutto l’intervallo per farmi una doccia, considerando che alla fine delle lezioni sarei dovuta rimanere al club di basket fino alle cinque e mezza e che dopo sarei andata a fare shopping non mi andava proprio di rimanere sudata. Restituii gli abiti ad Arold e sfruttai il resto della pausa per mangiarmi una barretta di cioccolato e avvisare mio padre che sarei rientrata più tardi. Rispose al secondo squillo, mi chiese se mi servivano soldi e mi disse di invitare le mie amiche a cena a casa. Tornai in classe e mi sedetti di fianco a Castiel per affrontare le due ore successive, francese e arte. Durante la seconda, appresi che la professoressa ignorava completamente il libro di teoria e faceva disegnare e basta gli alunni, e ne fui sollevata, anche perché nel mio vecchio liceo non facevo arte e sarei stata molto indietro. In quell’ora dovevamo scegliere un quadro di Van Gogh tra quelli illustrati sul libro e cercare di imitarlo, “mettendoci il nostro tocco”, per citare la prof. Io ero una frana completa a disegnare, così sopportai le infinite prese in giro di Castiel, che dal canto suo non era tanto meglio di me, e quando alla fine confrontammo le nostre due opere ci venne da ridere vedendo i rispettivi risultati.
Quando finalmente la campanella annunciò la pausa pranzo raggiunsi Iris, che stava osservando il disegno di Rosalya, che si finse indignata perché la rossa aveva scambiato un sole per un uovo di Pasqua. Ci recammo alla mensa insieme ad Alexy e Violet. Seduto allo stesso tavolo del giorno prima trovammo il fratello del ragazzo, che mi fu presentato come Armin. Appoggiò di fianco al suo vassoio una console portatile con cui stava giocando, mi sorrise e mi strinse la mano.
“Finalmente ti conosco!” esclamò “Ieri Alexy mi ha raccontato di quanto sei brava a zittire Castiel. Abbiamo pensato di eleggerti nostra regina suprema” disse sghignazzando.
“Cosa cosa? Qualcuno che zittisce Cas? E perché io non ne ero a conoscenza?” dietro ai gemelli era spuntato un ragazzo alto, incredibilmente simile a Rosalya. Non per i tratti, aveva sì gli stessi capelli argentei, ma il viso era diverso. Ma anche lui, come la ragazza, portava abiti ottocenteschi che gli conferivano una certa eleganza. Notai che aveva gli occhi di due colori diversi, uno ambrato e uno verde. Di fianco a lui c’era Castiel.
“Cosa stai dicendo, Lys?” chiese “Nessuno mi zittisce”.
“Ciao Lys!” esclamò Rosa alzandosi di scatto e abbracciando il ragazzo “Beth, lui è Lysandre. E’ il fratello del mio ragazzo Leigh” mi spiegò. Lo salutai con la mano e lui mi sorrise. Lui e Castiel si sedettero uno di fianco all’altro, il rosso vicino a me e lui vicino a Rosa.
“Avevi ragione quando mi hai detto che sembra una vampira” disse Lysandre rivolto all’amico, guardandomi con occhi gentili. Io arrossii.
“Così gli hai parlato di me” dissi stuzzicando Castiel e punzecchiandolo con il manico della forchetta tra le costole.
“Parlato mi sembra una parola grossa” rispose lui addentando un panino. “A proposito di cose grosse, la prossima volta per ginnastica scegli una maglia che non metta ancora più in risalto le tue mancanze” disse lanciando un’occhiata alla scollatura della mia maglietta.
Lo guardai malissimo e arrossii. Non ero molto prosperosa, ok, ma non era così divertente da farci battute sopra. A conferma del fatto, soltanto Alexy rise, ma lui rideva per tutto. Le ragazze lo fulminarono con lo sguardo, Armin continuò a giocare con la sua console e Lysandre prese a frugarsi in tasca alla ricerca di qualcosa. Diedi le spalle a Castiel  fingendomi più arrabbiata di quanto fossi e presi a parlare con Iris e Rosa dello shopping che ci aspettava, mentre lui borbottava “permalosa” a bocca piena.
Alla fine della pausa pranzo ognuno si recò al suo club, e appresi che Armin era in quello di calcio e Lysandre in quello di teatro insieme a Rosalya. Io, Iris e Castiel raggiungemmo la palestra, e in cortile ci raggiunse Dajan. Io mi ero portata un libro da leggere e mi alternavo con la ragazza per segnare i punti delle squadre che si allenavano. Due ore dopo salutammo tutti, mi premurai di riservare un saluto leggermente più freddo al rosso e andammo in cortile per recuperare gli altri due e andare finalmente per negozi.
“Prima che mi dimentichi, mio padre mi ha detto di invitarvi a cena” dissi quando ci raggiunsero.
“Io devo saltare, cena di famiglia” disse Alexy con aria dispiaciuta.
“Non preoccuparti, tanto vieni da me domani” dissi ricordandogli del progetto.
Le ragazze invece accettarono con piacere. Lungo la strada dal Dolce Amoris fino al centro ci divertimmo a prendere in giro i professori e ci lamentammo per tutti i compiti che avevamo da fare per la settimana seguente. Arrivati a destinazione entrammo in un negozio di abbigliamento, e subito Rosalya si fiondò addosso al ragazzo che stava dietro al bancone. Me lo presentò come Leigh, suo ragazzo e fratello di Lysandre. In effetti si somigliavano, anche sei lui aveva i capelli neri e nessuna eterocromia. Dopo averlo salutato la ragazza si assunse il compito di trovare dei vestiti nuovi ad ognuno di noi.
“Questo è per Iris, questo per Alexy e questo per te Beth” disse distribuendoci i vari capi che aveva raccolto durante la sua ispezione.
“Ma che colori tristi!” si lamentò il ragazzo sventolando una t-shirt grigia e nera. Se la provò per accontentare Rosalya, ma poi la mise da parte e andò da solo nel reparto da uomo per prendere altre cose.
Alla fine ognuno di noi comprò qualcosa, Rosa più di tutti. Non riuscivamo a capire come avesse fatto, dato che non si era provata niente e si era dedicata a noi per tutto il tempo. Usciti dal negozio salutammo Alexy che ci abbracciò tutte e corse via.
“Bene, per andare da me possiamo attraversare il parco” spiegai indicandolo.
Era pieno di bambini che correvano avanti e indietro, tenuti d’occhio a distanza dai propri genitori seduti sulla apposite panchine. Iris per poco non fu travolta da due ragazzini che giocavano a rincorrersi, facendomi ridere come una pazza.
“Papà, sono a casa!” gridai quando arrivammo, chiudendo la porta. Immediatamente un tornado biondo mi investì.
“BETH!” gridò Kaitlin abbracciandomi stretta.
“Ehi Kat, guarda chi c’è” dissi alla mia sorellina prendendola in braccio e portandola davanti ad Iris e Rosalya, che subito presero a spupazzarla ripetendo “Quanto sei carina!” ogni dieci secondi. Mio padre fece capolino dalla cucina.
“Ciao tesoro” sorrise.
“Papà, loro sono Iris e Rosalya, due compagne di classe” spiegai “Cerca di non avvelenarle con la tua cucina” aggiunsi ridendo.
“Tranquilla, ho intenzione di ordinare la pizza” rispose lui stringendo la mano alle ragazze.
Prima di cena giocammo insieme a Kaitlin con le sue bambole, Iris si innamorò a prima vista del ragazzo delle consegne e dopo aver indagato in tutti i modi per scoprirne il nome ci arrendemmo, finimmo la pizza e ci guardammo un film finché non dovettero tornare a casa. Andai a letto distrutta, puntando la sveglia all’ora giusta.
 
Il mattino dopo presi l’autobus e arrivai puntuale. Salutai Nathaniel nel suo ufficio e feci per andare in classe, ma mi trovai davanti la mia compagna bionda e bellissima seguita da altre due ragazze.
“Senti, bella” esordì “Sei in questa scuola da tre giorni e mi stai già creando problemi. Stai lontana da mio fratello e non azzardarti in nessun modo ad avvicinarti a Castiel, mi sono spiegata?”
“Scusa, ma chi sarebbe tuo fratello?” le chiesi, confusa “E Castiel è tutto tuo tranquilla, nessuno te lo ruba”.
Feci per proseguire il mio cammino, ma lei mi bloccò di nuovo.
“Non mi piace la tua faccia tosta, ti costerà i soldi del pranzo” disse spingendomi verso gli armadietti.
“Ma ti sei bevuta il cervello?” dissi spingendola via senza troppi sforzi e facendola finire a terra “Mettimi di nuovo le mani addosso e ti faccio mangiare i tuoi bei capelli biondi” conclusi  voltandole le spalle.
Una mattinata iniziata bene, non c’è che dire.



 



Angolo Autore:
Ma ciao!
Eccomi di nuovo qui con il secondo capitolo, spero che vi piaccia :3
Come andrà a finire con Ambra? E come andrà il progetto di storia insieme ad Alexy?
Vi chiedo ancora un volta di lasciare una piccola recensione se vi va, per farmi sapere cosa ne pensate :)
Alla prossima!


 

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Capitolo 3
*** Quello che è di Castiel ***



3. Quello che è di Castiel

Entrai in classe come una furia e scaraventai lo zaino sul mio banco. Mi ero aspettata che Castiel non ci fosse ancora, invece, contro ogni previsione, era seduto sul davanzale della finestra con i piedi sul termosifone.
“La tua ragazza è fuori di testa!” gli gridai lasciandomi cadere sulla sedia.
“Buongiorno anche a te… aspetta, chi?” fece lui, perplesso, guardando Alexy, che gli stava di fronte, con aria interrogativa.
Lui alzò le mani come a dire di non guardare lui, e soprattutto di non picchiare lui, e girò i tacchi.
“Ambra” dissi, e lui assunse un’espressione a metà tra il divertito e l’esasperato.
“Te l’avevo detto che è una pazza furiosa” mi fece notare con una piccola alzata di spalle. “Che ti ha detto?” continuò, vedendo che avevo appoggiato la testa sul banco e non rispondevo.
“Dunque, ha iniziando dicendo di stare lontana da un fantomatico fratello che nemmeno conosco, poi ha imboccato la strada ‘non avvicinarti al mio Cassy’ e ha concluso dicendo qualcosa sui soldi del pranzo e sbattendomi contro gli armadietti” elencai contando con le dita.
“Ti ha preso i soldi?” alzai lo sguardo notando una nota diversa nella sua voce, non più divertita. Scossi la testa facendogli notare che non ero così disperata da farmi derubare da un’oca bionda che ha paura di spezzarsi un’unghia, e lui accennò a una risata.
“Non ascoltarla, inizio a sospettare che soffra di manie di protagonismo gravi, visto che considerano tutti quell’imbecille del delegato e a nessuno interessa di quello che fa lei. A me sbatte il cazzo di entrambi quindi vivo bene” disse prendendo posto sulla sua sedia e tirando fuori il cellulare.
“Aspetta, cosa c’entra Nathaniel con Ambra?” chiesi, confusa.
“E’ suo fratello” fece lui con una smorfia, scrivendo un messaggio.
“CHE COSA? Ma com’è possibile? Nathaniel è così gentile e simpatico!” esclamai sbarrando gli occhi, incredula.
“Non dirmi che sei anche tu una fan di quell’idiota” sputò Castiel freddo.
Lo guardai sorpresa, e gli spiegai che non ero fan proprio di nessuno, semplicemente il delegato mi aveva aiutata il primo giorno e si era dimostrato gentile e piacevole. Lui posò il telefono sul banco senza degnarmi di un’occhiata e prese a guardare fuori dalla finestra.
“Ti sarei grata se non parlassi di lui con me, non mi interessa” disse tagliente.
Rimasi in silenzio per qualche secondo. Ma se lo aveva tirato lui in ballo?! Da come Nathaniel mi aveva parlato del rosso avevo intuito che non andassero d’accordo, ma Castiel aveva reagito in modo esagerato, e pensai che forse tra i due non c’era solo semplice antipatia. In ogni caso, decisi di non dire più nulla. Ne avevo abbastanza per quella mattina di gente scorbutica e frustrata che scaricava i propri problemi su di me.
Le prime tre ore di lezione passarono piuttosto in fretta, considerando che non ascoltai una parola e mi dedicai a scarabocchiare testi di canzoni sul quaderno di matematica, ignorando il mio compagno di banco. Non che la cosa richiedesse un qualunque tipo di sforzo, visto che anche lui ignorava me. Durante l’intervallo mi alzai di malavoglia dal banco dove giacevo mezza sdraiata da una buona mezz’ora e mi affiancai ad Iris e Rosalya.
“Vieni con noi in cortile?” mi chiese quest’ultima, aggiungendo che avevano pensato di andarci perché quel giorno c’era particolarmente freddo e probabilmente non avremmo incontrato nessuno.
“Vedo che siete positive come me oggi” ridacchiai accettando l’offerta “Magari trovo qualcuno a cui spillare una sigaretta” dissi pensando che era uno dei casi in cui potevo concedermene una.
Attraversando il corridoio, ci imbattemmo in una ragazza dai lunghi capelli castani che salutò Iris con gentilezza.
“Beth, lei è Melody. Ogni tanto aiuta Nathaniel con il suo lavoro di delegato” mi spiegò la rossa, e io le strinsi la mano.
“Ho forse sentito il mio nome?” il segretario aveva appena fatto capolino dall’interno dell’ufficio, con un’espressione allegra sul viso. “Ehi, Beth! Ti cercavo stamattina” disse avvicinandomisi.
“Oh, vi conoscete già” disse Melody fissandoci, come se non riuscisse a spiegarsi come qualcuno potesse conoscere qualcun’altro prima di lei.
“Volevo chiederti se ti va di pranzare con me oggi” continuò Nathaniel.
“Mi farebbe piacere” accettai con un sorriso di gratitudine. Avevo una scusa per evitare di pranzare con Castiel, in caso si fosse unito a noi come il giorno precedente. Magari la giornata avrebbe preso una piega migliore.
Salutammo i due delegati e uscimmo in cortile. Iris indicò una panchina vuota posizionata sotto ad una quercia, e la occupammo dopo aver chiesto ad una ragazza appoggiata al muro una sigaretta per me.
“Sono io, o Nathaniel ha un debole per te?” buttò lì Rosalya con un sorrisetto malizioso.
“Ho avuto la stessa impressione” confermò la rossa evidentemente divertita.
“Evidentemente allora condividete lo stesso problema mentale” commentai io sbalordita. Non mi era sembrato che il biondo fosse particolarmente interessato a me, era solo stato gentile, a differenza di sua sorella. Rammentai che non avevo ancora raccontato alle due ragazze del mio incontro con Ambra, così le misi velocemente al corrente.
“Era solo questione di tempo, se la sarebbe presa con chiunque si fosse seduto vicino a Castiel in classe” mi tranquillizzò Iris.
“Mica mi ci sono seduta di mia volontà, ne avrei fatto volentieri a meno” puntualizzai io con una smorfia.
“Ma come, pensavo che vi steste simpatici” fece Rosalya appallottolando la carta di una barretta che aveva appena ingurgitato quasi intera.
“Non ci siamo presentati nel migliore dei modi, però effettivamente iniziava a starmi quasi simpatico nonostante le battutine, però stamattina è stato odioso. Non appena ho nominato Nathaniel è diventato di ghiaccio” spiegai “Anzi, a dirla tutta non l’ho nemmeno nominato io per prima. Mi sono limitata a dire la verità, ovvero che è gentile e simpatico”.
“Castiel lo detesta” disse Iris scossando leggermente la testa “Vedrai che gli sarà già passata, fa sempre così quando si parla di lui. Nessuno sa di preciso cosa sia successo tra quei due, Nath minimizza dicendo che non vanno d’accordo, e Castiel non ne parla. Però qualcosa è successo, senza dubbio” continuò con l’intento di tirarmi su di morale.
“In ogni caso, posso confermare con certezza che a Nath piaci” riprese Rosa ghignando. In quel momento ricordò un po’ la solita espressione furba del rosso.
“Tu sogni” le dissi dandole una spintarella, che mi fu prontamente restituita con una risata.
“E poi hai visto come ti ha guardata Melody? Se avesse potuto ti avrebbe incenerita sul momento” aggiunse Iris ridendo.
Lanciai alle ragazze uno sguardo interrogativo, e loro mi spiegarono che Melody era irrimediabilmente innamorata di Nathaniel da secoli, che non gliel’aveva mai detto e che si era vista passare davanti moltissime ragazze nella sua stessa situazione, a cui gradualmente era passata, parecchie delle quali perché non venivano considerate minimamente. A lei però non era passata affatto.
“Comunque, non è proprio il suo tipo” mi informò Rosalya come a tranquillizzarmi.
“Peccato” commentai. Mi lanciarono occhiate scettiche, ma non aggiunsero altro. Buttai a terra il mozzicone della sigaretta e rientrammo.
 
Le due ore successive le passammo nel laboratorio di scienze, e mi affrettai a cercare un compagno di banco che non fosse Castiel. C’ero quasi riuscita, sedendomi vicino ad Alexy e Violet, quando il professore entrò ed esclamò:
“No, assolutamente no! Mantenete i posti che avete in classe”.
Lo maledissi col pensiero, desiderando di avere poteri magici alla Harry Potter per fargli cambiare idea. Scivolai al mio posto, sul banco in fondo a sinistra, e il rosso mi si affiancò.
“Hai idea di cosa sia il cloruro di potassio?” mi chiese in tono quasi allegro appoggiando un flacone sul tavolo.
Mi voltai per guardarlo in faccia. Non dava segno di ricordarsi del mutismo delle tre ore precedenti. Stavo per fare una battuta acida, ma mi trattenni e decisi di imitarlo.
“Dovrei saperlo?” domandai girando la bottiglia per leggerne l’etichetta.
“Non so, però Peterson ha detto che dobbiamo creare una reazione chimica o una cosa simile” fece lui, poco convinto, indicando il professore.
“Magari potrei servirmene per farti esplodere” malignai afferrando un contenitore di vetro con rinnovato entusiasmo. Castiel borbottò qualcosa a proposito della possibilità di farmi bere qualche veleno sostenendo che fosse stato un incidente, ma io non lo ascoltai e mi misi a cercare sul libro di scienze il modo per non prendere una F.
La lezione passò, e il ragazzo continuò a comportarsi normalmente, finché, al suono della campanella, non presi le mie cose dirigendomi verso l’uscita senza aspettare gli altri come facevo di solito.
“Dove vai?” mi gridò dietro il rosso.
“Meglio che non te lo dica, o non mi parlerai per un mese” risposi senza voltarmi.
Nathaniel mi aspettava davanti alla mensa, con due panini in mano.
“Ho pensato di evitare la mensa, è un po’ troppo affollata per i miei gusti” disse dopo avermi salutata con un bacio sulla guancia che mi spiazzò.
Annuii, e lui mi condusse verso delle scale che non avevo mai notato. Dopo tre rampe, spuntammo in quello che doveva per forza essere il tetto. Stranamente non aveva ancora piovuto quel giorno, e, almeno in quel momento, il cielo era sgombro dalle nuvole. Ci sedemmo per terra, ma non iniziammo nemmeno a parlare che un colpetto di tosse ci colse di sorpresa. Mi voltai di scatto e mi ritrovai davanti un ragazzo dai capelli argentei.
“Ehi, ciao Lysandre!” lo salutai, felice di vederlo. Mi era sembrato una persona davvero gradevole, al contrario del suo amico dai capelli tinti.
“Ehilà, mia cara Beth” rispose lui avvicinandosi e baciandomi la mano. Salutava tutte le ragazze così. Rivolse un cenno a Nathaniel, il quale rispose allo stesso modo.
“Scusate, non era mia intenzione interrompervi, ma non trovo più il mio quaderno” spiegò il ragazzo guardandosi attorno con aria crucciata.
“Com’è fatto?” mi informai io.
“Oh, è nero, piuttosto piccolo. Lo perdo in continuazione” rispose lui distrattamente “In ogni modo, non penso che si trovi qui, quindi vi lascio. Buon appetito” e sparì giù per le scale.
“E’ davvero strano, ma mi sta un sacco simpatico” commentai divertita, guardando Nathaniel.
“Sì, Lys è un tipo a posto” confermò lui. Non potei fare a meno di pensare che quella frase lasciava sottinteso un ‘a differenza di Castiel’ non pronunciato.
“Allora, speravo di poter approfittare di questo pranzo per conoscerci un po’ meglio” riprese il biondino scartando il suo hamburger.
“Cosa vuoi sapere?” domandai incuriosita.
“Non so, cosa ti piace fare, quali sono i tuoi gusti, qualcosa sulla tua famiglia, cose così”.
“Dunque” iniziai pensierosa “Vivo con mio padre e mia sorella di sei anni. Mia madre è morta due anni fa in un incidente stradale” dissi, bloccando subito le frasi di circostanza del ragazzo con una mano alzata e un sorriso rassicurante “Ci siamo trasferiti qui per lasciarci alle spalle il passato. Mio padre ha aperto una libreria in città” sorrisi. “In quanto a me, sono una persona semplice ma allo stesso tempo piuttosto complicata. Semplice perché mi basta poco per essere contenta, un libro, una cioccolata calda, un caminetto acceso. Complicato invece è il mio carattere, sono lunatica, pesante, rompiscatole. Molte persone ritengono che fidarsi poco della gente sia un problema, per me invece è il contrario. Mi fido troppo e rimango scottata. Mi piace molto leggere” e a quel punto mi sembrò che l’ombra di un sorriso illuminasse il volto del mio interlocutore “Ho giocato per anni a pallavolo e prima ho fatto danza, ora sono ferma, ma ogni tanto vado a correre. Mi piace guardare film, ascoltare musica, dormire, mangiare. Per un periodo sono stata fissata con il rock e il metal escludendo qualsiasi altro tipo di musica dal privilegio di essere definita tale, per questo nel mio armadio ci sono mucchi di magliette di band che farebbero invidia a…” mi bloccai. Stavo per dire ‘Castiel’, ma pensai che non fosse il caso “A gente che conosco. Ora i miei orizzonti si sono allargati e ascolto un po’ di tutto” conclusi sorridendo.
Nathaniel aveva ascoltato tutto il mio discorso senza interrompermi e senza smettere di guardarmi. Arrossii un po’ e non potei fare a meno di ripensare alle parole di Iris e Rosalya.
“Anche a me piace leggere, soprattutto polizieschi” esordì lui “Per la musica la penso più o meno come te. Non faccio nessuno sport a livello agonistico, ma ogni tanto vado in palestra, e gli anni scorsi facevo parte del club di calcio. Da quest’anno sono segretario delegato e purtroppo non ne ho più il tempo. Vivo con i miei genitori e mia sorella Ambra, che è in classe con te. Mio padre è un uomo molto severo, per lui contano molto i voti. Fa l’avvocato, mentre mia madre fa la casalinga” concluse appoggiandosi con i gomiti sulle ginocchia piegate “Ah, e adoro i gatti” aggiunse con un sorriso.
“Davvero? Io ho sempre voluto avere un cane, e ora che ci penso potrei riproporlo a mio padre ora che Kaitlin non può più essere scambiata per un giocattolo” risi.
Nathaniel scoppiò a ridere e non smise di sorridermi, cosa che mi fece avvampare di nuovo. Di certo, la frase che seguì non mi aiutò a ricompormi.
“Senti Beth, sabato sera in città c’è un pub che da un festa, visto che non conosci bene il posto magari ti va di venire con me” propose il biondino tranquillamente.
Mi chiusi per una trentina di secondi in un insolito mutismo, in cui le parole delle mie amiche riemersero di nuovo. All’inizio non vi avevo dato peso, ma ora sembrava davvero che avessero ragione sul fatto che Nathaniel sembrava interessato a me, per qualche oscuro motivo che non riuscivo ad immaginare.
“Se non ti va non fa niente” incalzò lui con un sorriso di incoraggiamento.
“Nath… a me fa molto piacere che tu me l’abbia chiesto, e probabilmente sto per fare una figura tremenda, ma vorrei specificare subito che… non sono interessata ad avere una relazione al momento” dissi finalmente, lo sguardo basso per l’imbarazzo.
“Temo che tu abbia capito male” fece il ragazzo stupito, il che mi provocò un sospiro di sollievo “Cioè, non fraintendermi, sei davvero molto carina e simpatica, ma la mia era una proposta da amico, perché penso che tu sia davvero una bella persona e vorrei, appunto, esserti amico” non sembrava infastidito dalla mia tremenda gaffe.
“Ma certo, scusami se sono saltata subito alle conclusioni, volevo esserne certa, non avrei mai voluto doverti respingere più avanti” spiegai con una risatina più rilassata.
Lui le fece l’ennesimo sorriso amichevole e gentile, e disse:
“Su questo puoi stare tranquilla, te lo garantisco. Ho imparato da tempo a non toccare quello che è di Castiel”.
 
 
Mi lasciai cadere a sedere sulle gradinate del campo da basket, mezza stordita. Avevo appena salutato Nathaniel, e avevo trovato sul telefono un messaggio di Iris che diceva che mi avrebbe aspettata in palestra. Visto che non si vedeva, ebbi il tempo per ripensare alla conversazione con il biondo.
 
“Scusa?” dissi sbarrando gli occhi e voltandomi di scatto per guardare in faccia il delegato. Forse avevo sentito male.
“Non hai notato come ti guarda?” rispose lui, leggermente sorpreso.
“Come mi guarda, scusa?” feci. Ero talmente presa alla sprovvista che non riuscii ad articolare una frase migliore.
“Beh, forse non te ne rendi conto perché lo conosci da poco, ma io penso di conoscerlo abbastanza e posso giurarti che non sono tante le persone a cui riserva lo sguardo che usa con te. A dire il vero, che io sappia ce n’è stata solo una” spiegò Nathaniel serio.
Non riuscii a trovare le parole per replicare, perché pensavo che il discorso del ragazzo fosse totalmente privo di senso. Alla fine dissi:
“Ma se lo conosco da tre giorni?!”
“C’è chi parla di colpo di fulmine” fece lui con un’alzata di spalle.
“Ma è ridicolo! Non fa altro che insultarmi, come puoi pensare che gli piaccia? E poi sicuramente non sono sua” protestai, ancora stordita.
“Ok, forse non l’ho detto nel modo giusto, ma il concetto è quello” disse lui ridendo. Probabilmente trovava divertente il fatto di avermi completamente sorpresa con quella frase.
“Dai, non pensarci troppo, potrei sbagliarmi, anche se non credo proprio” disse poi, alzandosi in piedi e facendomi cenno di seguirlo verso le scale.
“Secondo me sogni” risposi scossando la testa.
Davanti alla sala delegati, lui mi salutò con un abbraccio decisamente più sciolto, ora che non c’erano più dubbi sulle sue intenzioni.
“Devo tornare al lavoro” disse.
“E poi cosa vuol dire che hai imparato a non toccare quello che è di Castiel?” domandai io senza badargli, ancora presa dall’argomento.
“Ci vediamo, Davies” rise lui infilandosi nell’ufficio.
Così io, che non potevo credere che lui mi lasciasse così, col dubbio, decisi di prendermi una piccola rivincita.
“Nath, quasi dimenticavo, quando ti deciderai a dire a Melody che non ha speranze?” gridai in direzione della porta, sperando che la ragazza non ci fosse.
Il biondino fece capolino da dietro ad essa e mi guardò stupito.
“Cosa?” domandò.
“Ci vediamo” lo scimmiottai con un sorrisetto, correndo verso la palestra.
 
“Hai intenzione di fare qualcosa di utile o vuoi stare seduta lì tutto il tempo?” di nuovo, la voce di Castiel mi aveva riportata alla realtà.
“Ma tu non ce l’hai una vita, Edwards?” domandai alzandomi in piedi e cercando Iris con lo sguardo. Stava entrando dalla porta della palestra proprio in quel momento.
“Certo che ce l’ho, ma disgraziatamente in questo momento dipende da te che alzi il culo da lì e vai a metterti la divisa” rispose imperturbabile.
“Come scusa?” il mio fu quasi un grido.
“Manca James, non possiamo giocare dispari” spiegò spazientito, indicandomi lo spogliatoio.
“Non può giocare Iris?” chiesi indicandola, mettendo da parte la lealtà tra amiche per salvarmi la pelle.
Lei, che ci aveva raggiunti, alzò le mani dicendo che le faceva male un ginocchio. La fulminai con lo sguardo, certa che si trattasse di una scusa, guardai ancora una volta Castiel, che non si era mosso, e mi diressi sbuffando verso lo spogliatoio. Afferrai bruscamente una divisa da Dajan che me la tendeva con aria divertita e vi sparii dentro, seguita dalla rossa.
“Sei una traditrice” affermai chiudendomi la porta alle spalle e puntandole un dito contro.
“Eddai, la prossima volta giocherò io” disse lei ridacchiando.
Sospirai e mi tolsi la felpa calda di malavoglia. Indossai la maglia della divisa, che era enorme, perché ovviamente il capitano aveva ordinato solo completi da uomo. C’era sopra il numero otto e nessun nome. La annodai, cosa che ormai era diventata un’abitudine, e passai ai pantaloni. Erano di quelli larghi e lunghi fino al ginocchio, che sarebbero stati malissimo anche a una modella. Disgraziatamente, io non ero una modella, quindi mi stavano ancora peggio. Una volta finito rimisi la felpa, per niente pronta a rinunciarvi, e uscii accompagnata da Iris che stava palesemente cercando di trattenere le risate per evitare di complicare la sua situazione già critica. Raggiunsi Castiel in mezzo al campo, e lui mi squadrò da capo a piedi con un sorrisetto divertito.
“Sarà meglio che la pianti immediatamente, ti sto facendo un favore ti ricordo” sibilai. Notai che gli arrivavo circa alla clavicola. Un incontro equilibrato, insomma.
“Vuoi stare in squadra con me o con Dajan?” mi chiese iniziando a palleggiare.
“Ovviamente la risposta che mi verrebbe naturale sarebbe con Dajan, ma ho come la sensazione che stare contro di te significhi morte. E poi se sto con te magari riesco a farti perdere” feci, lanciandogli uno sguarda di finta innocenza.
“Se è la tua decisione definitiva” commentò lui alzando le spalle.
Ci posizionammo nei rispettivi campi. Eravamo cinque contro cinque, o meglio, quattro contro cinque. Per metà partita non toccai la palla una sola volta, e nonostante questo le squadre erano in parità. Ero occupata a parlare con Iris dei programmi che avevo con Alexy quel pomeriggio, quando Castiel mi chiamò.
“Davies!” mi voltai pronta a chiedergli cosa diamine volesse, e mi vidi arrivare la palla addosso. Alzai le braccia appena in tempo per evitare che mi rompesse il naso, ma ovviamente non la afferrai. Mi colpì il braccio e cadde a terra.
“Ti sei fatta male?” chiese il giocatore più vicino a me, un certo Trent. Scossi la testa massaggiandomi il braccio un po’ dolorante per l’impatto con la palla. Forse ci sarebbe venuto il livido, ma niente di mortale.
“Sei impazzito?” gridai a Castiel che si stava avvicinando pigramente.
“Ti ho rotto qualcosa?” chiese lui per niente preoccupato.
“No, ma non si tira la palla a uno che è di spalle!” esclamai fingendomi più arrabbiata di quanto fossi realmente.
“Per prima cosa, non dovevi essere di spalle” iniziò lui portandosi indietro i capelli con una mano “Però hai ragione, scusa” continuò.
Rimasi a bocca aperta. Probabilmente di lì a poco mi sarebbe caduta la mascella se non mi fossi affrettata a richiuderla. Mi voltai verso Iris, e vidi che anche lei era senza parole.
“Ho capito che sono di una bellezza accecante, ma chiudi la bocca, dai” fece lui, che intanto si stava asciugando il sudore sulla fronte con la maglia, scoprendo il ventre piatto e gli addominali scolpiti.
“Castiel Edwards che si scusa? Con me? E mi dice che ho ragione?” balbettai ignorando il suo commento.
“Non dico mai a nessuno che ha ragione per il semplice motivo che ho praticamente sempre ragione io. Questa volta no, ma sarà la prima e l’ultima” disse indifferente, recuperando la palla ai miei piedi.
Non feci caso alla modestia di quella frase, ancora sconvolta. Tornammo a giocare, e io, leggermente intenerita dalle scuse del ragazzo, mi impegnai a intercettare qualche palla e a tirarla subito a qualcun altro. Alla fine della partita tornai negli spogliatoi con Iris.
“Assurdo” fu il mio unico commento.
“Incredibile” il suo.
Scoppiammo a ridere come delle pazze, finché non finii di cambiarmi. Ci ricomponemmo bevendo un po’ d’acqua dal rubinetto e uscimmo. Stavamo camminando verso l’uscita, dove Alexy mi aspettava, quando Castiel ci passò di fianco con la custodia di una chitarra in spalla.
“A domani, voi due” disse, e passando mi scompigliò i capelli con una mano. Sbuffai, facendogli una pernacchia che stava per ‘spero che stanotte qualcuno ti accoltelli nel sonno’.
 
Durante il tragitto in autobus insieme ad Alexy, posai la testa sulla sua spalla, esausta, e dormii per una decina di minuti. A svegliarmi fu il ragazzo, che non sapeva dove dovevamo scendere e preferiva evitare di rimanere a bordo fino al deposito. Una volta raggiunta la salvezza del marciapiedi, gli feci strada fino alla porta di casa e lui entrò timidamente chiedendo il permesso.
“Tranquillo, mio padre è al lavoro” gli dissi scaricando lo zaino per terra senza tanti complimenti “A proposito, devo andare a recuperare mia sorella dai vicini, la tengono d’occhio quando è a casa da sola. Non ci darà fastidio” assicurai con un sorriso.
“Vai pure, io inizio ad accendere il computer” disse. Lo pilotai fino alla mia camera, lo feci accomodare sul letto e gli misi in grembo il portatile.
Tornai all’ingresso e afferrai la prima giacca che trovai sull’attaccapanni, visto che iniziava a fare troppo freddo per la mia povera felpa. Era un giaccone di mio padre, piuttosto enorme. Attraversai il vialetto e raggiunsi quello dei vicini. Suonai il campanello e ad aprirmi fu la gentile signora che si era offerta di tenere Kaitlin per non farla stare da sola mentre mio padre era al lavoro ed io a scuola. Si trattava solo di un paio d’ore ogni pomeriggio, ma non ci fidavamo a lasciarla in casa senza nessuno.
“Ciao Elisabeth! Ti chiamo subito la piccola, accomodati” disse con un gran sorriso.
“No guarda, grazie mille, recupero la peste e torno a casa, ho ospiti” spiegai ricambiando il sorriso.
Dopo una paio di minuti Kaitlin mi raggiunse e mi si buttò addosso, cercando di convincermi ad indossare un cerchietto a cui aveva attaccato delle antenne da ape, e riuscendo in qualche modo a ficcarmelo in testa. La signora Kellerman insistette per darci un vassoio di biscotti fatti in casa, così la ringraziai e condussi mia sorella all’ovile. Quando entrammo, Alexy era intento a scrutare le fotografia di famiglia appese al muro.
“Ho portato nutrimento” annunciai mollando il vassoio sul tavolo. Lui mi guardò con aria divertita.
“Non so se ti dona di più quella giacca o le antenne” osservò, poi spostò l’attenzione su Kaitlin. Mi tolsi la giacca e la rimisi al suo posto, ma decisi di tenere il cerchietto per far contenta mia sorella.
“Kat, lui è un mio amico, si chiama Alexy” spiegai “Dobbiamo fare una ricerca, quindi tu ora mangi un po’ di biscotti, se vuoi, e poi cerchi di non darci fastidio, ok?”
Lei, che aveva già fatto un sorriso a trentadue denti al ragazzo, aveva esclamato ‘hai i capelli blu!’ e si stava facendo spiegare che erano tinti, mi guardò come soppesando l’offerta.
“Dieci biscotti?” chiese dubbiosa.
“Se ne mangi cinque dopo giochiamo con te” trattai “E li conto” aggiunsi.
Lei rimuginò un po’, poi annuì con vigore e si gettò sul vassoio. Io e Alexy tornammo in camera ridendo.
“E’ adorabile” commentò lui “Evidentemente è una caratteristica di famiglia”.
Arrossii e presi posto sul letto vicino a lui. Il nostro progetto era sull’antica Grecia, e in poco tempo decidemmo che sarebbe stato carino parlare un po’ di tutti gli Dei dell’Olimpo, idea che venne al ragazzo grazie ad un videogioco del fratello. I più importanti erano dodici, e in un paio d’ore riuscimmo a scrivere due pagine per ognuno, più un breve elenco degli Dei minori più conosciuti. Ritenendo che per quel giorno potesse bastare, alle otto abbandonammo il lavoro e ci lasciammo cadere sul letto, esausti.
“Castiel suona la chitarra?” gli chiesi improvvisamente.
“Come mai tutto questo interessamento per lui?” domandò di rimando dopo qualche secondo, ammiccando.
“L’ho solo visto con la custodia di una chitarra e mi sono incuriosita, tutto qui” risposi con una smorfia.
“Sì, e la suona anche piuttosto bene” mi confermò.
Ripensai a quello che mi aveva detto Nathaniel a pranzo, quando mio padre aprì la porta. Ero sdraiata con la testa in grembo ad Alexy, e visto che mio padre non conosceva le circostanze decisi che era meglio alzarmi.
“Ciao papà” sbadigliai “Lui è Alexy, ti ho detto ieri che veniva, no?”
“Sì sì” confermò lui con un cenno di saluto “Come va la ricerca?”
“Bene signore, sono sicuro che con il mio indispensabile aiuto sua figlia prenderà una A più in storia” disse il ragazzo con aria seria.
Mio padre rise, gli chiese se voleva restare a cena e insistette quando lui disse che non voleva disturbare. Alla fine accettò, e mio padre mi fece cenno di raggiungerlo in cucina. Sospirando, mi alzai e lo seguii.
“Prima che tu dica qualsiasi cosa, Alexy è gay” dissi mettendo le mani avanti.
Lui si rilassò visibilmente.
“Non avevo intenzione di dire proprio niente” mentì.
“Sì sì” lo presi in giro annuendo con vigore.
“Dai, come la volete la pizza?” chiese evasivo.
“C’era bisogno che venissi con te in privato per chiedermi come voglio la pizza? C’è un qualche ingrediente segreto di cui non sono a conoscenza?” domandai fingendomi incuriosita.
Lui mi fulminò con lo sguardo e poi scoppiò a ridere, ordinandomi di andare a chiamare il mio amico e di recuperare Kaitlin, ovunque si fosse rintanata a giocare con le Barbie.
“Belle antenne” aggiunse prima che lasciassi la stanza.
Durante la cena, Alexy e mio padre parlarono molto di svariati argomenti che non mi preoccupai di capire, e notai che andavano piuttosto d’accordo, soprattutto ora che il genitore sapeva che non era un pericolo per la mia innocenza. Dopo mangiato ci toccò tenere fede alla promessa fatta a Kaitlin, che consegnò al ragazzo un Barbie sirena con i capelli del suo stesso colore, e a me una banale bambola bionda. Vedendo che avevo tenuto le sue antenne però mi ricompensò facendomi prendere il vestito più bello. Dopo aver messo in scena circa ottanta teatrini diversi, la bambina si addormentò sul divano. Mio padre la portò a letto, e io accompagnai Alexy alla fermata. Non volevo che tornasse a casa in autobus, ma lui non ne voleva sapere di farsi accompagnare in macchina visto che, secondo lui, aveva già abusato dell’ospitalità restando a cena. Quando il bus arrivò mi salutò con un abbraccio stritolatore, e io me ne tornai in casa, i pensieri che continuavano a tornare a una certa persona dai capelli rosso fuoco.


 


Angolo Autrice:
Ciao a tutti, rieccomi qua!
Sono di fretta, quindi vi dico solo che spero che il capitolo vi piaccia :3
Come sempre, recensite!
A presto!



 

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