Rigor Mortis di Ortensia_ (/viewuser.php?uid=124384)
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Capitolo I ***
Capitolo 2: *** Capitolo II ***
Capitolo 3: *** Capitolo III ***
Capitolo 4: *** Capitolo IV ***
Capitolo 5: *** Capitolo V ***
Capitolo 6: *** Capitolo VI ***
Capitolo 7: *** Capitolo VII ***
Capitolo 8: *** Epilogo ***
Capitolo 1 *** Capitolo I ***
Rigor
Mortis
Capitolo
I
Kuroko
Tetsuya, giovane promessa del basket conosciuto come: "Il sesto
uomo fantasma della Generazione dei Miracoli", trovato impiccato
nel suo piccolo appartamento di periferia.”
Questa
era la notizia apparsa il terzo giorno di febbraio su quotidiani come
Asahi Shinbun e Tokyo Shinbun e che aveva lasciato tutti senza fiato,
attoniti e inermi di fronte al peso schiacciante della
realtà.
Non
ci avevano messo molto, gli ex membri della Generazione dei Miracoli,
per recarsi in quella tranquilla zona di periferia, come in
pellegrinaggio, ancora spaesati e increduli di fronte alla notizia di
una morte così prematura. Di un suicidio.
In fondo alle scale, il
nastro giallo e nero della polizia e due agenti avevano ostacolato il
passaggio degli ex membri della Generazione dei Miracoli e neppure le
doti persuasive di Akashi erano servite per farli desistere dal loro
incarico.
Kise, Midorima, Murasakibara, Akashi e Momoi erano
rimasti raccolti ai piedi di quelle scale; qualcuno aveva pianto,
qualcuno si era appoggiato al muro e aveva nascosto il viso fra le
mani, esasperato: la presenza della polizia era una prova sufficiente
per rendersi conto che non si trattava di uno scherzo, per realizzare
che Kuroko era morto davvero.
Colui che li aveva guariti e riuniti
era morto, e di quella giornata sarebbero rimasti solo il crepitio
della carta di giornale sotto le dita e il suono sommesso della
pioggia.
Momoi era scoppiata in lacrime nel momento in cui aveva
scorto il nastro della polizia e sembrava incapace di smettere,
continuava a chiedersi ad alta voce perché Kuroko avesse
commesso un
gesto simile.
Kise, dal canto suo, non riusciva neppure a
muoversi, si sentiva schiacciato contro quel muro nel quale,
paradossalmente, aveva sperato di trovare un sostegno.
Akashi e
Midorima, invece, avevano cercato di strappare qualche informazione
agli agenti, mentre Murasakibara era rimasto alle spalle del primo
proprio come un bambino che, in cerca di protezione, si attacca alla
sottana della madre.
Dopo trenta minuti di attesa straziante,
Aomine aveva sceso le scale ed era passato sotto il nastro della polizia per
raggiungerli, rimanendo in silenzio anche dopo tutte le domande che
gli rivolsero.
Aomine aveva avuto sfortuna: c'erano stati tre
delitti in zona, quella mattina, e a lui era stato assegnato quello
di Kuroko, ragion per cui, con quell'immagine orribile marchiata a
fuoco nella mente, non si sentiva ancora in grado di parlare e, pur comprendendo benissimo il perché
si
trovassero già tutti lì, non li
voleva avere intorno, anzi se avesse potuto li avrebbe fatti scomparire con uno schiocco di dita.
Dopo un paio di minuti era riuscito a dire
qualcosa, aveva boccheggiato il minimo indispensabile:
aveva spiegato ai cinque che
non si trattava di suicidio, che tutto era stato inscenato,
perché
il cellulare, il telefono e il computer di Kuroko erano scomparsi,
dimostrando l'ovvio intento dell'assassino di nascondere le prove;
aveva anche espresso la propria opinione, concordante con quella
degli altri agenti: senza dubbio l'omicida era qualcuno che conosceva
bene Tetsuya, qualcuno di cui si fidava.
Infine, Aomine li aveva informati
che erano tutti sospettati. Nessuno escluso.
«Satsuki.»
la voce di Aomine vibrò di nervoso.
«Rispondi alla domanda e non
farmi perdere tempo.» neanche a lui piaceva l'idea di
interrogarli
tutti e di essere interrogato a sua volta: nessuno, dopo una simile
notizia, avrebbe voluto subire un trattamento simile, essere tenuto
per ore in centrale e passare da una cella all'altra a rispondere
alle più disparate domande.
«Io ...» Momoi affondò le mani fra
i capelli e lasciò che le dita si intrecciassero alle
ciocche
morbide, tirandole appena.
«Io non lo so-» le tremò la voce, le
labbra fremettero in un spasmo di dolore e gli incisivi sprofondarono
in quello inferiore, in una manifestazione di rabbia
silenziosa.
«Come non lo sai? Satsuki, rispondi a questa cazzo di
domanda!» Aomine non sospettava di Momoi, affatto, ma
sentirla così
esitante non gli piaceva affatto, a dare risposte così vaghe
e
inutili, senza concedere alla polizia neppure una piccola
informazione, rischiava di cadere in una trappola penale e
burocratica ben peggiore di un interrogatorio in centrale.
«Satsuki.»
Aomine la chiamò di nuovo e si sporse appena verso di lei,
lasciando
aderire i palmi al piccolo tavolino: aveva ricominciato a piangere e
si era affrettata ad afferrare un altro fazzoletto e nascondersi il
viso in quel pezzo di carta bianca.
«Quando è stata l'ultima
volta che l'hai visto? Non puoi non saperlo.» Satsuki era
senza
dubbio una delle persone che avrebbe potuto dare le risposte
più
accurate, per una ragione ben precisa che Aomine conosceva
perfettamente.
«L'altra ... l'altra settimana.»
«Che
giorno?»
«Venerdì, venerdì pomeriggio.»
«Il ventotto,
quindi?»
Momoi annuì appena e si soffiò il naso, per poi
sollevare gli occhi arrossati e gonfi di lacrime verso
l'altro.
«Dai-chan, s-sono la principale ...»
singhiozzò e
cercò di immagazzinare più aria possibile nei
polmoni «sospettata,
vero?»
Aomine la guardò in silenzio e batté la punta
della
penna sul blocchetto, inspirando profondamente.
«Indubbiamente
sì, sei una dei principali sospettati.» Aomine si
torturò la
radice del naso con le dita, poi riprese con un sospiro
«stiamo
analizzando le impronte digitali e i capelli, ma non c'è
dubbio che
quelli fossero i tuoi.»
Momoi deglutì appena e prese un'altra
fazzoletto, asciugandosi gli occhi e tirando su col naso un paio di
volte.
«Dai-chan, è ovvio che ci siano i miei capelli e
le mie
impronte digitali in casa di Tetsu-kun.» dovette fare una
pausa non
appena pronunciò quel nome e si lasciò sfuggire un sospiro
tremante, lasciando scivolare il capo all'indietro per ricacciare le
lacrime «e-eravamo fidanzati, fino ad una settimana
fa.»
Ecco
per quale motivo Momoi avrebbe potuto fornire risposte più
precise e
attente rispetto agli altri.
«Vi siete lasciati
venerdì?»
«Sì.»
«Lo hai lasciato tu? O ti ha lasciato
lui?»
Le dita di Momoi accartocciarono il fazzoletto inzuppato di
lacrime, scavarono nella carta fino a bucarla: una risposta sincera
le sarebbe costata una reclusione ancor più restrittiva e
duratura
nella gabbia dei sospettati.
«Mi ... mi ha lasciato lui.»
Aomine
non perse tempo e appuntò immediatamente l'informazione sul
blocchetto; Momoi, dal canto suo, sentì di aver firmato la
sua
condanna a morte.
«Ti farò ancora qualche domanda e poi ti
lascerò andare.»
«Dai-chan, come avete fatto a scoprire di
Tetsu-kun?»
Aomine stava per rispondere e finì per imporsi il
silenzio mordendosi la lingua: non era facile interrogare la sua
migliore amica d'infanzia, ovviamente c'era molta più
confidenza di
quanta se ne potesse avere con un altro potenziale assassino
sconosciuto e non si sentiva in grado di essere severo e irremovibile
come al solito.
«Le domane le faccio io.» magari glielo avrebbe
detto, ma solo dopo essersi assicurato che non fosse lei la
colpevole, anche se indubbiamente le prove di cui disponevano erano
più a suo sfavore che a suo favore. Comunque Momoi sarebbe venuta a saperlo
ugualmente, magari alla televisione, o magari dalla stessa persona
che quella mattina aveva trovato il corpo di Kuroko e aveva
telefonato in centrale, visto che anche lui era uno dei
sospettati.
Momoi capì e non insistette: era il suo lavoro,
dopotutto, e lei doveva limitarsi a rispondere alle domande, a
pregare che Aomine non le chiedesse qualcosa che richiedesse
l'ennesima risposta compromettente.
«Come
mai avevi le chiavi dell'appartamento di Tetsu?»
Finalmente
Aomine sentì di poter mettere un po' della
severità che aveva
risparmiato a Momoi in quell'interrogatorio, deciso ad incastrare chi
gli stava di fronte in quel momento - perché sì, ne era sicuro: quello era il colpevole -.
«Saranno affari miei,
Aomine.»
Aomine rimase in silenzio per qualche attimo e poi
scosse la testa con un ghigno divertito.
«Vuoi che ti sbatta
subito in cella, Kagami?»
Kagami ricambiò lo sguardo torvo di
Aomine, poi sfiatò appena e rivolse il proprio sguardo
altrove,
putandolo al pavimento.
«Beh, cinque anni di amicizia non sono
pochi.» Kagami cominciò a torturarsi il lobo
dell'orecchio con le
dita e Aomine non seppe dire se si trattava di semplice imbarazzo o
di uno sciocco tentativo di mantenere la calma ed evitare di
scoppiare a piangere davanti a lui come aveva fatto Momoi.
«C'era
confidenza, ecco.»
«Da quanto tempo avevi le sue chiavi?»
«Più
o meno ... mhn, cinque mesi, direi.»
Sorprendentemente,
interrogare Kagami si stava rivelando più facile del
previsto.
«Andavo abbastanza spesso a casa sua e alla fine mi ha
duplicato le chiavi.»
Aomine sollevò il proprio sguardo in un
moto di sincero interesse.
«Non sei stato tu a
chiedergliele?»
Kagami negò appena con il capo e Aomine aggrottò
leggermente la fronte, scettico.
«Siete rimasti così tanto in
buoni rapporti? Insomma, non avete mai litigato?» questa
volta,
Aomine non poteva negare di avere anche dell'interesse personale a
porre quelle domande e ad ascoltarne le risposte.
«A volte ci
sono state delle incomprensioni, ma che io ricordi non ci sono mai
stati litigi seri, fra me e Kuroko.» Kagami
deglutì e abbassò il
capo, sfregandosi gli occhi con le mani.
«Ti viene in mente
qualcuno con cui Tetsu potrebbe aver avuto dei problemi? Ti ha
raccontato qualcosa di particolare, negli ultimi tempi?»
Kagami
ci pensò su solo per qualche attimo, poi sospirò
appena e riprese
con un po' di fatica.
«No, qualche settimana fa mi aveva
assicurato che avrebbe lasciato Momoi, ma per il resto
non—»
Aomine
lo bloccò con un rapido cenno della mano, aggrottando la
fronte
confuso.
«Assicurato?» Kagami aveva parlato come se Kuroko
glielo avesse dovuto, come se avesse finalmente acconsentito alle sue
pressioni per lasciare Momoi.
Kagami, che aveva sussultato appena
e aveva assunto una posizione piuttosto rigida ed innaturale,
guardò
nuovamente a terra, boccheggiando qualcosa di insensato.
«Kagami,
che tipo di rapporto c'era, fra te e Tetsu?» Aomine non
avrebbe mai
voluto giungere ad una situazione del genere, mettersi a fare domande
per scoprire se Kagami e Kuroko erano più che amici come
aveva
spesso sospettato.
Anche Kagami, dal canto suo, non aveva affatto
voglia di parlare di una cosa del genere.
«Avanti.» Aomine
sembrò quasi ringhiare, inforcando la penna e preparandosi a
scrivere.
Kagami rimase a fissare la superficie liscia del
tavolino che, vuota e fredda, pareva segnare un confine fra lui e
Aomine.
«I-io e Kuroko ... beh ...» Kagami avrebbe fatto
fatica
a dire una cosa del genere con Kuroko ancora in vita, figuriamoci ora
che era morto, ora che era consapevole quanto significato avesse
perso la sua stessa vita.
Sospirò rumorosamente e protese il capo
all'indietro solo per qualche attimo, chiudendo gli occhi e cercando
di fare mente locale.
«Sì, avevamo una relazione.» ma la
vergogna che provò in quel momento, pronunciando quelle
parole, non
fu niente in confronto al dolore che aveva cominciato a corrodergli
il petto, alle lacrime che gli stavano bruciando gli occhi e che con
tanta fatica stava cercando di contenere.
Aomine cercò, seppur con fatica, di
mantenere la sfera personale separata da quella lavorativa e
cominciò
a scrivere, schiarendosi appena la voce.
«E da quanto tempo?»
La
confessione di Kagami poteva aggravare ancor di più la
posizione di
Momoi, pensandoci bene: poteva trattarsi di un comunissimo delitto
dettato dalla gelosia, compiuto dopo aver scoperto il tradimento di
Kuroko.
«Da sei mesi.»
Aomine annuì appena e risollevò lo
sguardo verso di lui non appena ebbe finito di scrivere.
«Per
questo ti ha dato le chiavi.»
«Sì, diceva di essere innamorato
di me e che era intenzionato a lasciare Momoi, ma non voleva farlo in
modo brusco.»
«Lei lo sapeva?»
«Non credo proprio.»
«E
Tetsu ti ha per caso raccontato com'era la sua relazione con lei? Sai
se negli ultimi tempi avevano litigato?»
Kagami negò appena con
il capo.
«No, è difficile litigare con Kuroko.»
solo in quel
momento Kagami si rese conto che avrebbe dovuto parlare al passato e
intrecciò le dita ai capelli, socchiudendo di nuovo gli
occhi.
«Abbiamo finito?»
«Hai il porto d'armi?»
Kagami
sussultò nuovamente e sbatté le palpebre un paio
di volte, sorpreso
da quella domanda.
«Cosa?! E perché dovrei avere il porto
d'armi?»
«Negli Stati Uniti è facilissimo ottenerlo, e
visto
che fino a qualche anno fa vivevi lì—»
«Secondo te mi porto
un'arma sull'aereo? Così mi scambiano per
terrorista?»
Kagami sbuffò innervosito «non ce l'ho,
comunque.»
Aomine annuì
appena e diede un'occhiata al foglio: aveva raccolto abbastanza
informazioni, poteva anche lasciarlo andare.
«A parer mio
dovresti essere tu il primo a cui fare un interrogatorio.»
Aomine
inarcò appena un sopracciglio e rimase in silenzio,
incitando
l'altro a continuare con la sola forza dello sguardo.
«Visto che sei un poliziotto potresti anche
abusare della tua posizione, e poi sono già due anni che ti
occupi
di omicidi, quindi avrai una buona esperienza nel campo, no?»
«Ti
rendi conto delle cazzate che dici, vero?» Aomine
schioccò la
lingua infastidito.
«Devo ricordarti cosa ha trovato la pattuglia
in casa tua?»
«Ancora quella storia?» Kagami sembrò
soffiare e
tornò sulle difensive «se avessi voluto scappare
avrei comprato un
biglietto di sola andata, e di certo non vi avrei telefonato per
dirvi di Kuroko.»
Aomine rimase in silenzio, dovendo riconoscere
che sì, effettivamente c'era un'incongruenza: perquisendo la
casa di
Kagami, gli agenti avevano trovato un biglietto aereo di andata e
ritorno per Los Angeles, dal quattro febbraio - ovvero dal giorno
dopo l'uccisione di Kuroko - all'undici, ma se Kagami avesse voluto
scappare ne avrebbe comprato uno di sola andata e, soprattutto, non avrebbe
telefonato in centrale per segnalare la morte di Kuroko.
«È una
vendetta che hai covato negli anni, vero?» quando Aomine si
alzò,
pronto ad informare Kagami della fine dell'interrogatorio, questo
ringhiò e strinse i denti, catturando la sua attenzione.
«In
tutti questi anni, tu hai ...» Kagami strinse i pugni e gli
rivolse
uno sguardo torvo, iniettato di rabbia «hai progettato
l'omicidio di
Kuroko.»
Se non avesse avuto la divisa da poliziotto indosso e
non si fossero trovati in centrale, Aomine lo avrebbe tempestato volentieri di pugni.
«Kuroko sospettava che lui ti piacesse, e
anche io, ed è così, no? Sei sempre stato geloso
del mio rapporto
con Kuroko.»
«Questa storia appartiene al passato, coglione. E
poi, se fossi stato così tanto geloso di Tetsu, avrei dovuto
uccidere te, non lui.» Aomine aveva già spalancato
la porta ed era
tornato a fissarlo, in attesa che si alzasse ed uscisse.
«Togliti
dai piedi, l'interrogatorio è finito.»
Aomine
non poteva stare in pace neppure durante la pausa pranzo. Non che
avesse voglia di mangiare dopo aver saputo della morte di Kuroko e
dopo aver visto la scena con i propri occhi, ma più
semplicemente
avrebbe preferito chiudere gli occhi e riposare, riordinare le idee e
riprendere a respirare, tuttavia pareva che qualcuno avesse deciso di
rendergli la giornata ancor più spossante.
«Si può sapere come
diavolo hai fatto a trovarmi?» chiese Aomine non appena lo
vide
prendere posto di fronte a lui, pur essendo consapevole
dell'inutilità della domanda.
«Ho i miei metodi, Daiki.» Akashi
rispose con estrema calma, leggermente divertito
dall'ingenuità che
Aomine, anche dopo tutti quegli anni, continuava ad ostentare: era
davvero convinto di potergli scappare? Ad Akashi non sfuggiva mai
nulla, soprattutto se si parlava degli ex membri della Generazione
dei Miracoli.
Aomine brontolò sommessamente: l'interrogatorio di
Akashi non era ancora avvenuto, ma in qualche modo sentiva che si
sarebbe svolto in quel momento e che sarebbe stato il sospettato a
fare le domande a lui.
Akashi otteneva sempre ciò che voleva, in
qualsiasi modo aveva sempre il coltello dalla parte del manico e si
metteva in salvo con l'ausilio di raffinati e in apparenza
inesistenti raggiri mentali.
«Non avete scoperto ancora nulla di
importante, vero?»
Aomine si trattenne dallo sbuffare: era
fastidioso dover scucire qualche informazione in più proprio
a lui
che, in corrispondenza della morte di Tetsuya, si trovava a Tokyo per
partecipare ad un torneo di shogi - una coincidenza alquanto
significativa, secondo il parere di Daiki -
«Per ora ci stiamo
concentrando su Satsuki e Kagami, che sono i principali indiziati, ma
non c'è ancora nulla di definito. I risultati delle analisi
e
dell'autopsia arriveranno nei prossimi giorni.»
«Capisco.»
La
notizia della morte di Kuroko aveva trapassato Akashi come avrebbe
potuto fare un fantasma, sembrava quasi essergli entrata da un
orecchio ed uscita dall'altro, perché era imperturbabile e
deciso
come sempre, voleva sviscerare la faccenda e capire come si erano
svolti i fatti, ma evidentemente sapeva che per farlo doveva lasciare da parte i
sentimenti.
«Voglio aiutarti, Daiki.»
«Sei un indiziato,
Akashi, esattamente quanto me.»
Le labbra di Akashi si
incresparono in un flebile sorriso divertito.
«Sappiamo entrambi
che il colpevole non è fra noi.» fece una piccola
pausa, poi si
alzò con calma e rimase a fissare Aomine dall'alto in basso,
quasi a
volergli ricordare come ai vecchi tempi che doveva stare al suo
posto, che non poteva contestarlo.
«Voglio vederci più chiaro in
questa faccenda, voglio scoprire chi è l'assassino di
Tetsuya.» non
disse altro: quelle parole bastarono per far capire ad Aomine che non
solo aveva il desiderio di scoprire l'identità
dell'assassino, ma
che prima o poi lo avrebbe fatto per davvero e che era solo questione
di tempo.
Il
cellulare venne gettato a terra e raggiunse il telefono e il
portatile con un capitombolo rumoroso, le dita si strinsero al manico
della tanica di benzina e la sollevarono, lasciando che il liquido
giallognolo fuoriuscisse dal suo contenitore e bagnasse al punto
giusto le prove che dovevano essere distrutte il più presto
possibile.
Fece qualche passo indietro e adagiò la tanica vuota a
terra, lasciando che la mano si insinuasse rapidamente nella tasca
del cappotto e ne fuoriuscisse solamente quando le dita riuscirono ad
arpionare la scatoletta di fiammiferi.
La capocchia del fiammifero
stridette lungo il bordo ruvido della scatola e si accese una piccola
fiamma, unica fonte di luce in quel garage abbandonato da
tempo.
Esitò solo per qualche attimo, stringendo il bastoncino
sottile fra le dita e osservando la fiamma tremolante, poi fece
ancora qualche passo indietro e gettò il fiammifero in cima
alla
pila di oggetti, rimanendo ad ammirare compiaciuto la fiammata che, in un
crepitio rumoroso, si sollevò immediatamente in alto e gli
frustò
il viso con un alito di calore che lo fece retrocedere ulteriormente.
Si
voltò in silenzio e, quando fu abbastanza lontano dalla pila
bruciante, gettò all'indietro la scatola di fiammiferi che,
in un
attimo, andò ad aggiungere corposità alla fiamma
troppo grande e
vorace, pronta a trasformarsi in incendio.
Quando lasciò il
garage ed entrò in macchina era notte fonda; il biancore
lattiginoso della luna, oltre un manto scuro
di nuvole turgide di pioggia, si poteva appena intravedere.
Il cellulare stava vibrando nella
sua tasca da almeno un paio di minuti, ma non aveva intenzione di
rispondere né di controllare chi fosse: inspirò
profondamente e
mise in moto, premendo immediatamente sull'acceleratore.
L'auto
sgusciò silenziosamente nella notte, parve quasi scomparire
nel
buio, mentre la luce del fuoco, alle sue spalle, si faceva sempre
più
intensa e calda.
Il
nodo di congiunzione che li aveva tenuti uniti si era sciolto,
distrutto in una piovosa giornata di febbraio: le anime che si erano
ritrovate grazie a Kuroko sarebbero ricadute molto presto nella
malattia, si sarebbero allontanate e non avrebbero più avuto
occasione di riavvicinarsi.
Da quel giorno in avanti, la
spaccatura che Kuroko era riuscito a riparare si sarebbe tramutata in
una voragine nera che li avrebbe risucchiati tutti, li avrebbe
consumati e distrutti, dal primo all'ultimo.
Angolo
invisibile dell'autrice:
Adoro
i gialli, l'unico problema è che non so scriverli
perché non mi so
immedesimare abbastanza nell'assassino.
Comunque sia sappiate che
farò di tutto per depistarvi, cercherò di non
rendervela
facile.
Le idee ci sono, per ora sono poche, ma ho già in
mente come potrebbe essersi svolto il fatto, quindi non mi rimane
altro da fare se non lasciare che i personaggi agiscano, indaghino e
si diano addosso da soli, perché è proprio quello
che faranno.
Ho
ritenuto doveroso inserire il genere "dark" perché
ovviamente dopo ciò che è successo i personaggi
avranno un
comportamento diverso. E poi non dobbiamo dimenticarci che
c'è un
assassino fra loro.
Beeene, per ora non dico niente, anzi cercherò
di non dire niente neppure per quanto riguarda le prossime volte, non vi farò notare particolari
importanti perché
dovrete cercarveli da soli (non me ne vogliate!)
E se per caso
(per culo, meglio) chi mi ha mandato i prompt ultimamente e non ha
ancora ricevuto la mia risposta ha letto tutto ciò: prometto
che
presto mi metterò a lavoro, è che
martedì ho l'esame e quindi ho
passato gli ultimi giorni a studiare e ora sono nell'ansia
più
completa, quindi è probabile che mi dedicherò ai
prompt martedì
sera, quando mi sarò tolta il pensiero dell'esame e
sarò più
tranquilla ;u;
Spero che questo primo capitolo vi incuriosisca
quel tanto da farvi venire voglia di seguire la storia, alla
prossima!
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Capitolo 2 *** Capitolo II ***
Capitolo
II
Aomine brontolò nervosamente e si rigirò fra le
coperte, dando la schiena al cellulare che improvvisamente aveva
cominciato a vibrare contro la superficie del comodino, disturbando il
suo sonno.
Il lato negativo del lavoro di poliziotto era che, bene o male, doveva
essere sempre reperibile, per cui il cellulare non poteva assolutamente
trovarsi in modalità silenziosa e quando dormiva era in
vibrazione. Quella notte, ad esempio, aveva vibrato almeno cinque o sei
volte, lui si era svegliato, aveva dato un'occhiata allo screensaver e
poi, assicuratosi che non si trattasse della centrale, era tornato a
dormire; in quel momento, nonostante avesse voltato le spalle al
comodino, gli occhi di Aomine vennero feriti dalla luce fioca del sole
che aveva cominciato ad insinuarsi tra le fessure delle tapparelle,
così, capendo che non sarebbe riuscito a riaddormentarsi, si
sistemò sulla schiena con un rantolio nervoso e
afferrò il cellulare con ben poca delicatezza.
«Ma che vuoi?» Daiki brontolò, con la
voce ancora impastata dal sonno.
«Aominecchi!» l'altro sembrò quasi
sorprendersi del fatto che avesse risposto: era sicuro che il suo
sarebbe stato l'ennesimo tentativo a vuoto.
«Ma non eri in servizio, ieri sera? Perché non hai
risposto alle chiamate?»
Aomine alzò gli occhi al cielo e sbuffò
esasperato.
«Perché ero in servizio. E poi sono andato a
dormire.» in verità avrebbe potuto rispondere
benissimo alle chiamate di Kise anche quando era in servizio - come era
già successo, dopotutto -, ma quella notte aveva deciso di
non farlo: era scontato che Ryouta volesse parlare di Kuroko, e lui non
ne aveva la minima intenzione, era già abbastanza averlo
visto in quello stato, essere uno dei poliziotti con il compito di far
luce sul delitto e, allo stesso tempo, uno dei sospettati per il quale
la polizia o gli altri potenziali assassini avrebbero fatto di tutto
pur di sbattere in galera.
«Comunque ...» Kise riprese un po' titubante
«hai sentito dell'incendio di stanotte?»
«Incendio?» Aomine si mise a fatica a sedere,
aiutandosi con una mano e reggendo il cellulare con l'altra.
«Sì, la zona in cui è scoppiato non
è tanto distante da casa mia. Al telegiornale hanno detto
che era di natura dolosa, anche perché è
scoppiato in un garage completamente abbandonato.»
Aomine lo lasciò parlare e si mise in cerca del telecomando,
tentando di scacciare via gli ultimi residui di sonno per mettere in
moto il cervello.
«Dovevo essere già a dormire quando è
successo.» fece una piccola pausa e non appena ebbe
recuperato il telecomando e acceso la televisione riprese «o
c'è un piromane in città, o qualcuno ha tentato
di nascondere qualcosa.»
Il notiziario locale del mattino parlava proprio di quell'accadimento.
Un incendio di tipo doloso in un vecchio garage abbandonato, durante la
notte; un avvenimento isolato in mesi e mesi di
tranquillità, avvenuto poche ore dopo la morte di Kuroko:
anche un bambino avrebbe capito che non era casuale, era logico pensare
che i due avvenimenti fossero collegati.
«Devo andare.» Aomine tagliò corto:
voleva chiudere la chiamata e ascoltare ciò che aveva da
dire il notiziario, non Kise, che si era preso la briga di chiamarlo
per dirgli dell'incendio.
«Stai attento.»
Quelle parole sortirono un immediato effetto confusionale su Aomine,
che cercò di rispondere qualcosa ma si ritrovò
semplicemente a sputare aria, con la fronte aggrottata in un cruccio.
Kise non aveva detto altro e aveva chiuso la chiamata, ma non in modo
frettoloso: gli aveva dato l'impressione che fosse rimasto con
l'orecchio incollato al cellulare in attesa di qualcosa, e che poi lo
avesse scostato lentamente e avesse preso una grande boccata d'aria
prima di troncare il contatto.
Aomine non diede peso alla chiamata interrotta senza un vero e proprio
saluto - che in sostanza non era affatto "cosa da Kise" -, ma piuttosto
volle concentrarsi sul notiziario e alzò il volume, venendo
a scoprire che l'incendio si era generato poco dopo l'una di notte ed
era stato spento poco dopo le due.
Avrebbe voluto recarsi immediatamente in centrale e poi raggiungere la
zona incriminata con alcuni colleghi, ma quello era il suo giorno
libero e non avrebbe potuto fare nulla per scoprire qualche particolare
in più sull'incendio, visto che, a giudicare dalle immagini
proposte dalla televisione, la zona era accessibile soltanto ai
giornalisti, alle troupe televisive e ai vigili del fuoco.
Quando l'immagini dei vigili del fuoco passò per
l'anticamera del cervello di Daiki, questo sussultò e si
mise subito in piedi, con le dita strette attorno al cellulare, in
cerca del contatto di Kagami. Era buffo pensare che fosse stato proprio
Kuroko ad insistere perché salvasse nella propria rubrica
anche il numero di Kagami; diceva sempre: "Per qualsiasi evenienza,
dovesse succedere qualcosa.", e aveva ragione, maledettamente ragione,
visto che Aomine si era appena immerso nella straziante attesa di una
risposta dall'altra parte dell'apparecchio telefonico.
«Cosa vuoi?» la risposta non tardò ad
arrivare.
Kagami aveva la voce arrochita, il respiro pesante: Aomine non sapeva
dire se avesse pianto e se, più semplicemente, fosse stanco
a causa di una lotta notturna contro le fiamme.
«Sei al garage abbandonato? Dove c'è stato
l'incendio?»
«Sì, perché?»
Prima ancora di cominciare ad articolare una risposta a quella domanda,
Daiki aggrottò la fronte confuso e vagamente infastidito.
«Un momento, come facevi a sapere che ero io?»
perché sì, era ovvio che lo sapesse: non si
rispondeva in quel modo al cellulare, con voce annoiata, soprattutto se
non si conosceva il numero, ma a quanto pareva Kagami aveva il suo
contatto salvato in rubrica.
«Kuroko mi ha costretto a salvarlo.» Kagami si
morse il labbro, quasi a volersi punire per aver parlato ancora una
volta in presente «credimi, non fa piacere neppure a me avere
il tuo numero in rubrica, ma Kuroko insisteva, diceva che era meglio,
per qualsiasi evenienza.»
Per qualsiasi evenienza.
Aomine si sentì gelare il sangue: Kuroko si era comportato
nello stesso modo sia con lui che con Kagami e aveva voluto a tutti i
costi che fossero entrambi in possesso del recapito dell'altro.
«Credo che le due cose siano collegate.» Aomine
decise di non dare più peso al fatto di essere venuto a
conoscenza solo in quel momento del fatto che Kagami avesse il suo
contatto e si decise a rispondere alla sua domanda.
«La polizia è già lì? Hanno
trovato qualcosa?»
«Sì, sono qui, ma io che diavolo ne so se hanno
trovato qualcosa? E poi cosa dovrebbero aver trovato?»
Era ovvio che Kagami non avesse voglia di parlarne e la pensasse
diversamente da Aomine - oppure stava semplicemente cercando di sviare
il discorso? -
«Chiama uno dei tuoi colleghi e chiediglielo: io sono un
vigile del fuoco, non un poliziotto.»
Aomine sbuffò spazientito.
«Fra mezz'ora sono lì.» rispose piccato,
chiudendo la chiamata senza concedergli neppure il tempo di ribattere.
La faccenda si sarebbe svolta in un modo ben diverso, se Aomine non
fosse stato un poliziotto: nonostante fosse scontata la presenza di un
assassino fra loro, il clima della centrale non era poi così
rigido e freddo come era apparso ai più durante i primi
interrogatori, anzi in quel momento si trovavano tutti nella stessa
stanza, in attesa di aggiornamenti.
Quando entrò nella stanza, Aomine studiò con lo
sguardo i volti dei vari sospettati, poi guardò oltre le
proprie spalle e sbuffò sommessamente non appena
registrò la presenza di altri due agenti: dopotutto anche
lui era un faceva parte della cerchia dei presunti assassini e, anche
se come tale si trovava in fondo alla lista, il capo della centrale
aveva ordinato ad altri due poliziotti di scortarlo.
«Ho un po' di cose da dirvi.» Aomine non sapeva
neppure da dove cominciare, l'unica cosa di cui era consapevole era che
avrebbe dovuto cercare di rendere il più comprensibile
possibile ogni informazione, perché se fra loro c'era un
assassino, gli altri rimanevano comunque amici di Kuroko e volevano
conoscere ogni minimo dettaglio come lui, volevano giustizia come lui.
Nessuno fiatò, il loro tacito accordo incitò
Daiki a procedere.
«Tetsu è morto il due febbraio, in un orario
compreso fra le quattro e le cinque del pomeriggio.» fino a
quel momento si trattava di un'informazione che aveva sentito
pronunciare dai suoi colleghi e che non aveva mai avuto il coraggio di
ripetere, così fu molto lento ad articolare le parole, cauto
verso gli altri e se stesso: la maggior parte di loro non riusciva
ancora a credere all'accaduto, elaborare una perdita così
prematura e inaspettata risultava difficile anche ai più
forti.
«Abbiamo esaminato il corpo e potrebbe trattarsi davvero di
suicidio.»
L'unico a non tradire alcuna emozione fu Akashi, che rimase a fissare
Aomine in silenzio, mentre gli altri sobbalzarono e si scambiarono
sguardi increduli.
«Kuroko non aveva motivo di ...»
«Ho detto: "Potrebbe", Kagami.»
Gli occhi di tutti tornarono improvvisamente puntati su Daiki.
«Il segno lasciato dalla corda sul collo di Kuroko tendeva
verso l'alto, proprio come nell'impiccagione, in più non
sono state rilevate abrasioni né le piccole emorragie che di
solito si manifestano sul volto in caso di soffocamento, o particolari
sostanze all'interno del suo organismo.» Daiki si
schiarì la voce e continuò «l'unica
cosa che ci ha fatto impensierire è stata la
quantità di solanina, ma è una sostanza tossica
che si introduce nel corpo mangiando alimenti particolari come patate e
pomodori e non era presente in dose letale.»
Aomine fece una piccola pausa: a dire il vero c'era anche
qualcos'altro, qualcosa di cui aveva discusso con Midorima nel suo
primo interrogatorio e che l'autopsia aveva confermato.
Kuroko aveva il segno di una puntura sul braccio sinistro ed era stato
Midorima stesso, ancor prima che gliene parlasse lui, a dirgli che due
giorni prima aveva incontrato la vittima nel suo studio per vaccinarla:
la scientifica aveva indagato e non aveva reperito alcuna anomalia, ma
prima di escludere definitivamente Shintarou dalla cerchia dei
sospettati voleva ascoltare e verificare il suo alibi.
«Quindi cosa vi fa escludere l'idea
dell'impiccagione?» Akashi proferì le prime parole
in quel momento, perché nonostante fosse da circa un quarto
d'ora chiuso in una stanza con gli altri non aveva ancora aperto bocca:
era lì per i risultati, aspettava solo quelli.
«Non la escludiamo: la accantoniamo.» volle
precisare Aomine, braccato dagli occhi curiosi di Akashi.
«Rimane la questione del cellulare, del telefono e del
computer: è evidente che l'assassino abbia paura di essere
trovato, probabilmente si teneva in contatto con Tetsu e ha voluto
nascondere alcune prove. Oltre a voler nascondere gli sms, vuole
nasconderci le e-mail, e questo ci fa pensare che Tetsu avesse salvato
la propria password proprio nel computer, oppure l'ha semplicemente
preso per depistarci: anche questa è un'ipotesi.»
«Non credo proprio che Kuroko avesse scritto la propria
password da qualche parte: diceva sempre di ricordarsela.»
borbottò Kagami.
«Lo diceva sempre anche a me.» e anche Momoi si
unì al coro, spingendolo sull'orlo di un burrone colmo di
disagio, nel quale precipitò non appena Aomine gli rivolse
uno sguardo eloquente: presto Satsuki sarebbe dovuta venire a
conoscenza della relazione che Taiga e Tetsuya avevano consumato alle
sue spalle.
«In più c'è la faccenda delle
chiavi.»
«Delle chiavi?»
«È stato Kagami a trovare il corpo, e ha
specificato che la porta era chiusa.»
«Quindi Kurokocchi si è ...»
«No, questo è ciò che l'assassino ci
vuole far credere, o è semplicemente uno stratagemma per
confonderci e farci perdere tempo. Tetsu non si è suicidato,
sono sparite delle cose in casa sua.» Aomine fece una piccola
pausa ed inspirò appena «escludiamo l'idea che
l'assassino avesse chiuso l'appartamento dall'interno e fosse ancora
nascosto lì dentro, piuttosto riteniamo che qualcuno di voi
sia in possesso di una copia delle chiavi di Tetsu, qualcuno di cui lui
si fidava e con cui ha mantenuto il segreto delle chiavi.»
Daiki fece vagare il proprio sguardo finché non
trovò quello di Kagami «a meno che, cosa ancora
più semplice, non sia stato Kagami ad inscenare il
tutto.»
«Anche Momoi aveva le chiavi dell'appartamento di
Kuroko!» Kagami ringhiò e si mise sulle difensive:
non gli piaceva, Aomine continuava a dargli addosso come se fosse stato
sicuro al cento per cento che fosse lui l'assassino.
«Un attimo, perché Kagamin aveva le chiavi di
Tetsu-kun?»
Kagami sobbalzò appena e rivolse una rapida occhiata a
Momoi, sentendosi sprofondare nella vergogna.
«Di questo parliamo dopo.»
Poi, quando Daiki le rispose, Taiga tornò a rivolgergli uno
sguardo per niente rassicurante: voleva raccontarle della sua relazione
con Kuroko nonostante non avesse ricevuto il permesso? Kagami lo
avrebbe strozzato volentieri e, in effetti, ci volle davvero poco
perché il suo impulso non prendesse il controllo del suo
corpo.
«Inoltre abbiamo analizzato l'appartamento e abbiamo trovato
alcune tracce, soprattutto capelli.» fu proprio Aomine che,
raccontando degli altri particolari, scosse Kagami da quello stato di
rabbia silenziosa.
«Di tutti?»
«Di tutti, ad esclusione di Akashi.»
Akashi fu soddisfatto di sentirgli pronunciare quelle parole: era ovvio
che non si trovassero sue tracce nell'appartamento di Kuroko, visto
che, essendosi trasferito nella prefettura di Kyoto ancor prima che lo
acquistasse, non vi aveva mai messo piede: il fatto che si trovasse
nella capitale giapponese proprio durante la morte di Tetsuya era solo
una coincidenza fortuita.
«Io però non andavo a trovare Kuro-chin da un bel
po' di tempo ...» anche Murasakibara decise di parlare.
«Sì, anche io.» Midorima intervenne e
azzardò un'ipotesi: «i capelli non potrebbero
rimanere attaccati ai vestiti?»
«Sicuramente-! A me è capitato più
volte di trovarmi addosso qualche vostro capello!» fu Momoi a
rispondere per Aomine.
«Infatti stiamo agendo con molta cautela e avevamo
già preso in considerazione questo particolare.»
Daiki si voltò e si incamminò verso l'uscita
«comunque sia, fra poco verrete interrogati di
nuovo.»
Le orecchie di Aomine furono subito sfiorate da un vociare sommesso che
si occupò di troncare alzando la voce.
«Kagami, tu sei il primo.»
Taiga si zittì immediatamente e si voltò verso
Aomine, dedicandogli un'occhiata aggressiva e rabbiosa che Daiki,
girato di spalle, non poté vedere.
Aomine era ancora sicuro del suo obbiettivo, determinato a strappare la
maschera all'assassino di Kuroko: Kagami Taiga.
Dal momento in cui Kagami lasciò la stanza, Akashi
cominciò a scrutare ogni volto, soffermandosi su qualsiasi
particolare che potesse suscitargli quel tanto di curiosità
da arrestare la sua rapida analisi anche per un solo secondo in
più.
Si soffermò innanzitutto su chi, per un puro parere
personale, reputava innocente: Momoi attendeva silenziosamente il
proprio turno - come tutti gli altri, d'altronde -, aveva i capelli
legati in una coda bassa e disordinata ed era evidente che non avesse
avuto neppure il tempo di fare una doccia, oppure, più
semplicemente, non ci era riuscita perché aveva riempito il
suo tempo con le lacrime, visto che gli occhi erano troppo arrossati e
quindi lasciavano presupporre un pianto prolungato o per lo meno
recente.
Gli occhi di Akashi balzarono via da quel volto con disinteresse e si
soffermarono su chi gli sedeva accanto: Midorima era imperturbabile e
silenzioso come sempre, forse vagamente infastidito da quell'attesa e
ovviamente messo sotto pressione dalla situazione: glielo leggeva sulle
labbra, strette, contratte, tanto da rendere impossibile l'accesso alla
sua bocca anche a del comunissimo pulviscolo.
Akashi guardò oltre Midorima e si soffermò su
Kise, che gli rivolse un sorriso nervoso, forse colto alla sprovvista
in un momento di meditazione. Sul viso di Ryouta sembrava non esserci
alcun segno di pianto, e ciò lo sorprese; in più
era molto nervoso: si capiva dalla postura rigida, dalla schiena
leggermente inarcata, dalle gambe tese, pronte a farlo scattare in
piedi.
Seijuurou inspirò e continuò a fissarlo per
qualche istante, poi si voltò alla sua destra, negandosi di
fatto sia la vista di Kise che quella di Midorima e Momoi.
«Atsushi.»
Murasakibara non rispose immediatamente, ma sobbalzò poco
dopo, voltandosi verso di lui con sguardo trasognato: doveva essere
talmente immerso nei suoi pensieri da aver recepito dopo quel richiamo
o, più semplicemente, non era riuscito a lasciarli
immediatamente da parte e aveva preferito dedicare ancora qualche
secondo alle sue congetture, prima di rispondergli.
«Sì, Aka-chin?»
«Hai dormito, ultimamente?»
Murasakibara rimase imbambolato per qualche attimo, quasi come se non
avesse capito la domanda; gli altri, intanto, si voltarono verso coloro
che avevano osato rompere quel sacrosanto silenzio.
Avendolo vicino, ad Akashi era bastata una breve occhiata per rendersi
conto dei pesanti segni che aveva sotto gli occhi, della stanchezza che
aveva stampata in volto.
«Non molto.»
Murasakibara fece una piccola pausa, disturbato dallo sguardo di
Midorima che, nonostante lo stesse fissando nello stesso identico modo
di Akashi, lo urtava profondamente.
«Penso a Kuro-chin.» si giustificò poi,
tornando a guardare davanti a sé con un piccolo sbuffo.
Akashi, dal canto suo, non volle esercitare pressione ulteriore e si
voltò nuovamente verso Midorima; il loro rapido scambio di
sguardi fu eloquente: a nessuno dei due piacevano le occhiaie di
Atsushi, ad entrambi avevano fatto sospettare qualcosa.
«Come fate?»
Questa volta fu proprio Murasakibara ad andare all'attacco, attirando
nuovamente su di sé gli sguardi di Midorima e Akashi.
«A fare cosa?» lo rimbeccò Shintarou.
«Ad essere così calmi.» Murasakibara
borbottò, ritrovandosi nuovamente scocciato di avere lo
sguardo di Midorima addosso.
«Io e Shintarou stiamo cercando risposte.» Akashi
tagliò corto e tornò a rivolgere la propria
attenzione alla porta chiusa, intrecciando le mani in grembo e siglando
di fatto un nuovo silenzio che si protese per diversi minuti,
finché non venne il suo turno.
«Dove ti trovavi il due febbraio fra le sedici e le
diciassette?»
«In albergo. Mi trovo qui solo per il torneo di shogi che
inizierà domani, ma ci è stato richiesto di
venire a Tokyo una settimana prima.» Akashi fece una piccola
pausa e riprese non appena vide Aomine aprir bocca per dire qualcosa
«ero in camera, quindi non credo che qualcuno mi abbia visto,
ma puoi chiamare l'albergo, dovrebbero poter confermare quanto ti ho
detto.»
Akashi gli porse un biglietto cartonato contenente il logo,
l'indirizzo, il numero telefonico e il fax dell'albergo.
«Non mi piace, sembra quasi che tu ti sia preparato il
discorso.»
«Mentalmente ce lo siamo preparati tutti, Daiki. Poco prima
sei stato tu stesso a dirci quando è morto Tetsuya, era
ovvio che ci chiedessi dove ci trovassimo quel giorno e che cosa
stessimo facendo in quell'arco di tempo.»
Aomine rimase in silenzio solo per qualche attimo, lasciandosi scappare
un flebile sospiro per cercare di tenere a bada il nervoso: Akashi era
sempre così calmo e preciso da mettergli paura, aveva sempre
l'impressione che più domande gli faceva meno gli era chiara
la faccenda e più Seijuurou riusciva a leggergli nella mente.
«Come mai Kagami aveva le chiavi di Tetsuya?»
Eccolo che cominciava a fare domande. Detestava i sospettati che
facevano domande durante l'interrogatorio e cercavano di invertire i
ruoli.
«Questo non posso dirtelo.»
«Daiki, quante volte devo ripetertelo che il colpevole non
è fra noi due?»
Akashi ci teneva a precisare di essere innocente ogni volta e, in
effetti, considerando che era l'unico di cui non erano state trovate
tracce nell'appartamento di Kuroko, poteva benissimo essere
così, ma ad Aomine non piaceva ugualmente.
«Riguarda Satsuki, non te.»
Akashi rimase in silenzio solo per qualche attimo, poi
accennò un piccolo sorriso soddisfatto
«Ho capito.»
Aomine arricciò il naso e non riuscì a trattenere
l'ennesimo sospiro spazientito: cosa aveva capito, Akashi? Che Kuroko
tradiva Momoi con Kagami? Certo, Tetsuya e Taiga erano molto vicini, ma
Kuroko non si poteva dire quel tipo di persona, nessuno avrebbe mai
potuto immaginarlo come un "adultero", probabilmente neppure Akashi che
era molto più sveglio di tutti loro messi insieme.
«Avete preso in considerazione l'incendio della scorsa
notte?»
«Certo.» avrebbe preferito rispondergli con
qualcosa di più simile a: "Fatti gli affari tuoi, che non
siamo stupidi e sappiamo fare il nostro lavoro.", ma riuscì
a trattenersi: Daiki non era il tipo di persona pronta a farsi
comandare a bacchetta e a farsi mettere i piedi in testa da chiunque,
ma nonostante tutto aveva un grande rispetto per Akashi e non
sottovalutava mai la sensazione di soggezione che gli metteva in corpo
ogni volta che lo guardava negli occhi o gli parlava.
Akashi si alzò senza permesso e Daiki, dal canto suo, non
fiatò finché non fu interpellato: alla fine i
ruoli si erano invertiti davvero.
«Abbiamo finito, vero?»
«Sì.»
«Chiama l'albergo, Daiki.»
Le ultime parole di Akashi risuonarono come un monito, una
raccomandazione costrittiva e vincolante.
«Siete sicuri?»
«Di cosa?»
«Che sia stato ucciso da qualcuno.»
«Sì.»
C'era qualcuno di peggiore da interrogare, dopo Akashi, e questo
perché il tutto assumeva una piega troppo confidenziale e si
trasformava in una normalissima conversazione fra amici.
«Quindi qualcuno oltre Kagamicchi e Momoicchi-chan ha le
chiavi ...» Kise borbottò sovrappensiero, con gli
occhi fissi sulle mani di Aomine che si apprestavano a sistemare una
piccola pila di fogli.
«Personalmente non credo.»
Kise protese leggermente il viso e gli rivolse un'occhiata piena di
interesse.
«Cosa vuoi dire?»
«Voglio dire che ...» Aomine esitò: ma
perché ne stava parlando con Kise? Aveva continuato a
respingere Akashi e poi si era gettato immediatamente a capofitto nella
conversazione con Ryouta.
«Beh, credo che il colpevole sia fra loro due.» e
sapeva che Kise avrebbe cominciato a tartassarlo di domande, avrebbe
detto che Momoi e Kagami volevano troppo bene a Kuroko per fargli del
male e tante cazzate del genere, ma forse aveva espresso il suo
pensiero proprio perché voleva che gli venissero fatte
quelle domande, voleva sfogare almeno in minima parte il dolore che
stava racchiudendo e che si stava ostinatamente rifiutando di lasciar
uscire.
«E immagino che con: "Fra loro due", tu intenda
Kagamicchi.» Kise assottigliò leggermente lo
sguardo, ma Aomine non riuscì a capire se si trovasse
d'accordo o meno.
«Già.»
Kise gli diede la risposta non appena gonfiò le guance e
sbuffò rumorosamente.
«Aominecchi, sei sempre il solito! Kagamicchi e Kurokocchi
sono amici dalle superiori!»
Aomine inarcò appena il sopracciglio, ritrovandosi a pensare
quanto fosse buffo che solo lui, almeno fino a quel momento, fosse a
conoscenza della relazione fra Kagami e Kuroko, ma Kise
sembrò non farci caso e continuò.
«Insomma, come puoi dire ch–»
«Se ragioni così, ti ricordo che noi siamo amici
di Tetsu dalle medie.» fu proprio Aomine ad interromperlo: si
era già stufato di sentirlo parlare e, prima che iniziasse
ad intavolare cazzate irrimediabili e scatenasse le sue ire,
preferì fermarlo.
«Senti, vediamo di sbrigarci.»
Kise non disse nulla e si strinse nelle spalle, con le labbra strette
in una piccola smorfia, quasi si fosse offeso per essere stato zittito
tanto bruscamente.
«Dove ti trovavi il due febbraio, fra le sedici e le
diciassette?»
Il solo pensare che avrebbe dovuto fare quella domanda ancora tre
volte, quella mattina, gli mise la nausea.
«Se vuoi l'alibi, non ce l'ho.»
Kise sembrò ancor più offeso e rimase a fissarlo
con quella smorfia, le braccia conserte, il busto rigido contro lo
schienale della sedia.
«Come non ce l'hai?»
«Non ce l'ho.»
«Dai Kise, non fare il coglione.»
«Non credo che le pareti di casa mia possano testimoniare in
mio favore, Aominecchi.»
Aomine sospirò e si sistemò un po' meglio sulla
sedia, preparandosi a scrivere.
«Quindi eri a casa?»
«Sì, avevo il pomeriggio libero.»
«Ed eri da solo?»
«Sì.»
«Sei stato in casa tutto il giorno? Nel senso, magari hai
fatto qualcosa prima, o dopo ...»
«Sono stato allo studio fotografico dalle nove alle undici e
poi sono tornato a casa. Sono uscito, ma alle otto di sera.»
Aomine appuntò tutto e arricciò il naso:
sicuramente quella era una testimonianza da non sottovalutare, non
avere un alibi in un caso come quello era grave, un punto a sfavore per
Kise.
«Ricordi se ti sono arrivate delle telefonate sul
fisso?»
«No, ormai uso solo il cellulare, il telefono fisso lo tengo
per le chiamate dei miei genitori.»
Aomine rimase in silenzio solo per qualche attimo, poi lo
congedò senza neppure staccare gli occhi dal foglio.
Kise, dal canto suo, si comportò in modo completamente
inverso ad Akashi.
«È grave, vero?»
Era rimasto seduto e aveva borbottato con un fremito nella voce.
Aomine sollevò lo sguardo dalle parole di inchiostro appena
tracciate sulla carta e lo guardò negli occhi per qualche
istante.
«Di certo ... lo terranno in considerazione.»
Era piuttosto frustrante che le situazioni di Kise e di Momoi fossero
così compromesse mentre l'alibi di Kagami, che il due
febbraio aveva coperto il turno dalle quattordici alle diciotto, fosse
già stato confermato.
Kise annuì appena, rassegnato all'idea.
«Puoi andare.»
Aomine lo seguì con lo sguardo e non disse altro, al
contrario di Kise che, fermatosi sulla porta, tornò a
parlare.
«Sta attento, Aominecchi.»
Aomine si sentì esplodere il cuore nel petto:
perché continuava a dirgli di stare attento? Kise sapeva
qualcosa? Kise era in qualche modo coinvolto e voleva soltanto metterlo
in guardia?
Aomine fu incapace di parlare, perché in quel momento gli fu
evidente il fatto che non volesse assolutamente sapere di un eventuale
coinvolgimento di Kise in quella brutta storia: se era Ryouta
l'assassino, o semplicemente un complice, Daiki si sarebbe spezzato e
non sarebbe mai più tornato in piedi.
Angolo invisibile dell'autrice:
Saaaaalve!
Finalmente sono riuscita ad aggiornare! Fra sami e altre fanfiction
sono un po' lenta e, oltretutto, cerco di stare molto attenta alla
storia, perché la modalità con cui si
è svolto l'omicidio è abbastanza complicata e
devo tener conto di molte cose ... insomma, impazzirò!
Comunque non credo che questa fanfiction durerà molto, ho
l'impressione che altrimenti finirei per scavarmi la fossa da sola,
facendovi capire chi è l'assassino! D:
Ok, come potete notare Akashi si diverte a giocare alla bella
investigatrice (?) e a rompere le scatole ad Aomine (penso che
inserirò l'AoAka negli accenni, come avvertimento,
perché ci saranno molte scene con questi due), Kise
è ultra apprensivo (e sì, confermo: ci
sarà dell'AoKise *3*) e Daiki ce l'ha a morte con Kagami.
Non credo che questo capitolo sia molto interessante, ma se l'ho
scritto così significa che era necessario ;u;'' (?)
Ah, un piccolo appunto su Akashi: sono rimasta indietro col manga,
diciamo ... capitolo 264, mi pare, e lo riprenderò non
appena avrò finito gli esami (fra tre giorni, sì
=w=), ma da quanto mi pare di capire Seijuurou non è
più così inquietante ... ebbene, qui sto cercando
una via di mezzo, inquietante perché è funzionale
al tipo di storia, ma non così ossessionato dalla vittoria
(anche se si impegnerà nella sua investigazione) come lo
abbiamo conosciuto.
Vi ricordo che Akashi potrebbe darsi così tanto da fare
perché, semplicemente, è lui l'assassino e cerca
di nascondere le sue tracce. O forse è Murasakibara, che non
ha dormito. O Midorima. O Kise. O Kagami come dice Aomine ... oppure lo
stesso Aomine? Magari Momoi, che avrebbe molte più
motivazioni degli altri!
Non si fosse capito, io, malefica autrice che non sono altro, cerco di
mettervi i bastoni fra le ruote anche nell'angolo invisibile
dell'autrice ... potrei darvi qualche dritta, o buttarvi completamente
fuori strada (non è necessario dirvelo, ormai lo sapete che
sono sadica, ma ... sì, mi sto divertendo~)
Per il prossimo capitolo dovrete aspettare un po', spero di fare un
buon lavoro e rendere la storia abbastanza intrigante.
Scusate se n ho risposto alle recensioni, ho finito per dimenticarmele
... però vi ringrazio, non pensavo che avrei ricevuto
così tanta attenzione! Prometto che risponderò
alle prossime recensioni! ;*;
Chu!
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