I won't give up di Lyra Lancaster (/viewuser.php?uid=135590)
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Capitolo 1 ***
Capitolo 2: *** Capitolo 2 ***
Capitolo 3: *** Capitolo 3 ***
Capitolo 4: *** Capitolo 4 ***
Capitolo 5: *** Capitolo 5 ***
Capitolo 6: *** Capitolo 6 ***
Capitolo 7: *** Capitolo 7 ***
Capitolo 8: *** Capitolo 8 ***
Capitolo 9: *** Capitolo 9 ***
Capitolo 10: *** Capitolo 10 ***
Capitolo 11: *** Capitolo 11 ***
Capitolo 12: *** Capitolo 12 ***
Capitolo 13: *** Capitolo 13 ***
Capitolo 14: *** Capitolo 14 ***
Capitolo 1 *** Capitolo 1 ***
ffledapple1
Parte I
Friendship
- Capitolo 1 -
Elizabeth si stiracchiò sulla panchina dell'areoporto di
Incheon
e gettò un'altra occhiata all'orologio analogico che
troneggiava
appena prima dei banconi del check-in. Le sue lancette si muovevano
troppo lentamente, ed il tempo sembrava rallentare ogni secondo di
più. Quel coso era sicuramente rotto.
Per sicurezza controllò anche il cellulare, ma segnava lo
stesso orario.
Beth imprecò.
Di solito i voli ritardavano, invece il suo, quello che da Brisbane
l'aveva portata a Seoul, aveva trovato bel tempo, nessuna turbolenza e
aveva planato sulla pista con mezz'ora d'anticipo. All'inizio
era contenta, perchè in questo modo non avrebbe fatto
aspettare
Jason.
Tuttavia, proprio mentre lo pensava, aveva ricevuto un messaggio dal
ragazzo che la avvisava di un imbottigliamento allucinante a causa di
un incidente da cui non sarebbe riuscito ad uscire per almeno una
mezz'ora. Perderò
tempo al ritiro bagagli,
si era detta. E invece la sua valigia nera era stata la prima ad
uscire: era stata tentata di lasciarla scorrere sul nastro per un paio
di giri. Così... Per perdere un po' di tempo... ma alla fine
l'aveva raccolta e si era trascinata fuori.
Ed ecco un altro messaggio di Jason che tirava maledizioni contro i
vigili e la loro progenie per come stavano gestendo la situazone.
Ancora tre quarti d'ora. O così diceva il navigatore.
La giovane gli aveva risposto di non preoccuparsi, avrebbe fatto un
giro, poi era andata in bagno, si era sistemata i lunghi capelli
corvini e aveva preso
una brioches con cappuccino al Nespressobar.
Era tornata in bagno e si era sistemata il trucco leggero. Aveva
rinforzato la linea della matita marrone -non le piaceva nera,
perchè creava troppo contrasto con i suoi occhi celesti-
sopra
l'occhio, poi l'aveva tolta e
l'aveva sistemata come prima. Si era spruzzata ancora un po' di profumo
e poi aveva trascinato se stessa e la valigia su una panchina. Aveva
avvisato Jason che sarebbe stata al terminal 2 davanti al gate 18. Lui
aveva risposto con un messaggio dove citava una canzone che lei non
conosceva.
Sicuramente era colpa della noia.
Lo intimidì di prestare attenzione alla strada, che non era
necessario un altro incidente, ma lui continuò ad inviarle
messaggi finchè non annunciò di vedere
l'aeroporto; quindi Elizabeth si alzò, si diresse verso il
gate e iniziò
a cercare una Mercedes grigia nella fila interminabile di automobilisti
che correvano sulla strada davanti all'aeroporto. Bella impresa. Tre
quarti delle vetture erano grigie e cinque sesti di queste Mercedes.
Tuttavia aveva un altro indizio: sapeva anche che Jason sarebbe stato
solo, perchè sapeva che la Starkim avesse concesso il giorno
libero solo a lui e
non all'intera band. Perciò la ragazza distoglieva lo
sguardo
dall'interno delle auto nonappena si accorgeva che al loro interno vi
era più di una persona.
Ma ecco che, ad un certo punto, circa la duecentesima Mercedes grigia
rallentò, abbassò il finestrino e urlò
un rapido
"Vado a parcheggiare!" nella sua direzione e si allontanò.
Elizabeth non pensava che il tizio si stesse rivolgendo a lei,
perchè era biondo, e lei Jason se lo ricordava con i capelli
scuri, quindi tornò a scrutare l'orizzonte in cerca
dell'amico.
"Steinhaus! Signorina Bebe Steinhaus!"
La giovane si voltò. Il biondo della Mercedes era diretto
verso
di lei con un sorriso raggiante che gli distendeva le labbra.
Spalancò gli occhi.
Quel tipo era sicuramente il suo ex compagno di studi Jason Jang per
un'infinita serie di motivi, tra i quali il suo modo di camminare
sicuro e deciso e il modo con cui aveva attirato la sua attenzione:
nessun suo compagno di corsi l'aveva mai chiamava per cognome e nessuno
si era mai rivolto a lei con lo stupido diminutivo che le aveva
appioppato sua nonna -lei era tedesca e non apprezzava il nome
anglofono della nipote, quindi accorciava ulteriormente il diminutivo
più comune "Beth" con un germanofono "Bebe", così
erano
tutti contenti, tranne la diretta interessata, a cui veniva la pelle
d'oca tutte le volte che si sentiva chiamare in quel modo. Non le
piaceva per niente. Le sembrava ridicolo.
Tuttavia in
quel momento era quasi felice di sentire quel nomignolo.
"Presente, dottor Jang!" Sventolò la mano in
risposta al
suo saluto e, trascinando il trolley, gli volò incontro.
Lui si fermò e splancò le braccia, il sorriso
più
ampio di prima, e Beth mollò la valigia sul marciapiede per
correre ad abbracciarlo.
Ecco. Altre due cose non erano cambiate da quando si erano visti
l'ultima volta; una era il dopobarba che usava, l'altra erano gli
occhiali da sole, tenacemente indossati ad ogni ora e in ogni
occasione. In compenso sembrava più magro. Sciolse
l'abbraccio.
"Come stai?"
"Che hai combinato ai capell... bene grazie. Tu?"
"Lol bene... Idea della Starkim... ti piacciono?"
"No."
"Ma come?" Lui rise. "Piacciono a tutte le mie fan" Si passò
una mano tra i capelli.
"Vuol dire che sono infami. Moro stavi meglio." Elizabeth
allungò una mano per passarla tra le sue ciocche "Oddio come
sono morbidi... Jason dammi il tuo shampoo. Subito. Ora. Adesso. Lo
voglio."
Lui rise e sciolse l'abbraccio: "Qui in mezzo alla strada? Bebe,
aspetta almeno di arrivare in alberg... ahia!" Lei gli aveva tirato uno
scappellotto, facendolo ridere di nuovo."Che c'è? Sei tu che
hai
iniziato! Ti porto la valigia..."
"No Jas... il pugno era per il nomignolo... lo sai che lo detesto... e
non ti preoccupare, ce la faccio da sola"
Ma lui non aveva atteso che la ragazza terminasse la frase; si era
appropriato del suo trolley e lo stava trascinando lungo il marciapiede.
"Oh beh... grazie..." Lo raggiunse. Jason aveva sempre avuto delle
buone maniere, e a Beth erano sempre piaciute le persone con un giusto
senso civico. Insomma. Il mondo è ipocrita e falso, quindi
tanto
vale esserlo meglio degli altri.
"Di nulla, Beth... com'è andato il volo?"
Nel frattempo avevano raggiunto l'auto e Jason aveva caricato la
valigia della ragazza nel bagagliaio, per poi immettersi nuovamente
nell'autostrada.
"Fin troppo bene. Siamo atterrati con mezz'ora di anticipo... "
"Ah... ti sarai annoiata ad aspettarmi..."
"Troppo. Stupido incidente" Rise la giovane, facendo ridere anche Jason.
Partirono, ma il traffico continuava ad essere una matassa
aggrovigliata che si districava lentamente e pesantemente, ringhiando e
sbuffando nuvole di monossido di carbonio, e ci due ci misero un'ora
prima di uscire da Incheon. Elizabeth gli parlò del viaggio
e
della noia mortale a cui era stata condannata dalla diligenza della
Qantas. Avrebbe preferito il brivido di un paio di
turbolenze, qualche vuoto d'aria... anche solo un'hostess con le balle
girate andava bene! Ma nulla... Sorrisi e nuvole che neanche in
Paradiso.
"Non ti lamentare... c'è gente che ammazzerebbe per avere un
volo come il tuo" Jason era sprofondato nel sedile e combatteva con un
incipiente tallone d'Achille che stava per insorgergli a causa del
movimento meccanico repentino tra freno, frizione ed acceleratore. Per
fortuna Elizabeth sapeva come rendere interessante anche il racconto di
un volo noioso.
"Sono nata in una delle terre più pericolose del pianeta...
la
tranquillità mi fa cadere le braccia!" Rispose lei
incrociando
le suddette e seguendo con lo sguardo un uomo che, da come gesticolava
al telefono, sembrava avere tante braccia quante la dea Kali.
"Ah certo... James Cook II, ti piacciono ancora le brioches alla
crema?" Il ragazzo rischiò un tamponamento per guardare
Elizabeth negli occhi e sorridere, lei sgranò i suoi e si
rianimò: "Certo che mi piacciono!" Se n'era ricordato!
All'università, durante una di quelle giornate da suicidio
che
prevedevano quattro lezioni di due ore ciascuna una in fila all'altra,
passava quasi sempre in una caffetteria lì intorno, la
BlumenBaum Baker's, che sfornava delle deliziose brioches fresche
ripiene di crema e ne comprava due: una da mangiare subito e una per
metà mattina. In teoria. In realtà una per
metà mattina, metà da mangiare subito e
metà da
regalare a Jason.
"Sono sul sedile posteriore... volevo ricordare i vecchi tempi e
riscattarti di tutti i carboidrati che ti ho sottratto in due anni" E,
approfittando del semaforo rosso, il ragazzo si voltò
indietro e prese un
sacchetto bianco con dentro una scatola.
"Jas, non dovevi!" Lo ringraziò Beth, prendendo la borsa con
entrambe le mani per sistemarselo in grembo. Era eccitata come una
bambina a cui hanno regalato una nuova bambola.
L'altro rispose con un gesto vago della mano: "Ormai saranno fredde...
e non sono del BB... però sono buone lo stesso, fidati di
me."
In quel momento scattò il verde e Jason premette
l'acceleratore,
gongolando per essere riuscito a far felice l'amica. Ecco una
qualità di lei che gli piaceva: non aveva gusti difficili e
bastava poco per vederla sorridere. Infatti, dopo un "chissenefrega",
Beth aprì la scatola e lasciò che l'aroma dolce e
fragrante dei croissant riempisse l'abitacolo, poi ne prese una e
l'addentò. "Mh! Dio quanto sono buone" commentò.
"Lo so. Me ne dai metà?" Ridacchiò il ragazzo.
"No. Questa me la mangio tutta io. Forse la prossima." Beth si
leccò le dita. La crema era suisita e ventiquattro anni non
erano troppi per gustare una brioche come si deve.
"Come sei cattiva! Tanto siamo quasi arrivati al tuo hotel. Ah!
Purtroppo devo scappare, dopo... mi rivogliono indietro per l'una ed
è già mezzogiorno e un quarto." Le
spiegò Jason
con il tono e lo sguardo di un cucciolo bastonato. Dopo un anno che
non vedi una persona vorresti anche farci quattro chiacchere in santa
pace, perdio!
Elizabeth se ne accorse e abbassò gli occhi celesti sul
cruscotto: "Non ti preoccupare, avremmo tutto il tempo per vederci
un'altra volta... anche io ho un po' di faccende da sbrigare... disfare
le valige, carte da controllare, cartelle da ordinare e fuffa simile"
Gli sorrise per rassicurare lui e se stessa; in realtà
avrebbe
voluto rapire Jason e passare la giornata a ciondolare per il centro
della città, ma il dovere viene sempre prima del piacere.
"Che fregatura! Guarda... ti lascio il biglietto della casa
discografica, così hai l'indirizzo. Se vuoi venire a
trovarmi,
fammi uno squillo." Jason parcheggiò e si voltò
verso la
giovane per salutarla quando, si ricordò che aveva nel
bagagliaio la valigia dell'amica: "Sì ma...
aspè... che
idiota!" E si slacciò la cintura per scendere e scaricare il
trolley. Subito dopo venne raggiunto da Elizabeth, che si riprese il
bagaglio e si alzò sulle punte per schioccargli un bacio su
ciascuna guancia: "Grazie mille Jas... Catchya later!"
"Di nulla Beth, quando hai bisogno... io sono qui." Lui invece si era
abbassato un poco, per ricevere i baci dell'amica, prima di salire di
nuovo in auto e agganciarsi la cintura, mentre Beth entrava
nell'albergo scarrozzandosi dietro il trolley.
Infilò le chiavi nel quadro e, in quel momento, si accorse
che, appoggiata sopra un Kleenex, c'era metà brioche.
*****************
Buonsalve a tutti quanti!
Sono fiera di essere la prima a scrivere in una sezione LEDApple qui su
EFP con questa fanfiction.
Spero che catturi la vostra attenzione e che vi rimanga nel cuore...
oltre che dare spunto alle LEDAs italiane per scriverne altre. Forza
ragazze, so che ci siete! Uscite e tirate fuori la vostra
creatività!
Detto ciò- ci vediamo al cap 2!
Ps: Il titolo della storia è tratto da una canzone di Jason
Mraz, I won't give up,
appunto, di cui il nostro Hanbyul ha fatto una covero (come dice
lui con il suo aussie accent) inedita live. Stay tuned!
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Capitolo 2 *** Capitolo 2 ***
ffledapple2
- Capitolo 2 -
Beth non era in
Corea esplicitamente per vedere
Jason, bensì per seguire un seminario di dieci incontri
sulle nuove
modalità di cura delle infezioni batteriche della
cavità
orale.
Aveva vinto il viaggio grazie ad una borsa di studio post-laurea, e poi
ne aveva
approfittato per incontrare qualcuno che non vedeva da un sacco di
tempo e a cui era molto affezionata.
Elizabeth e Jason si erano conosciuti perchè erano capitati
vicini di banco durante la prima lezione
di fisica del primo anno accademico. Era gennaio, e a Brisbane la
brezza calda dell'estate entrava flebile dalle finestre dell'aula
più affollata di tutto il corso, con gente ammassata per
terra e
gente stipata vicino alle porte per succhiare meglio la poca aria a
disposizione.
Loro due erano tra i pochi fortunati che erano riusciti a trovare posto
a sedere
nelle prime file, anche se entrambi rischiavano il collasso polmonare
per carenza di ossigeno. Infatti, ad un certo punto, Elizabeth aveva
sentito un
tonfo vicino a lei e, voltandosi, aveva visto un ragazzo con il viso
pallido e la testa pesantemente abbandonata sulla mano, il cui gomito a
malapena rimaneva puntellato sulla striscia di compensato chiamata
"banco". Lui contninuava a scrivere, anche se gli tremava la mano. Beth
aveva smesso di prendere appunti e aveva scrollato il ragazzo con una
mano sulla spalla, porgendogli la propria bottiglietta dell'acqua. In
realtà lui avrebbe avuto bisogno di stendersi e di prendere
aria,
perchè chiaramente stava per svenire, ma con tutta quella
gente
in mezzo non sarebbe mai arrivato cosciente alla porta.
Il giovane le aveva sorriso e aveva accettato la bottiglietta, bevendo
avidamente. Beth, pratica di svenimenti per esperinza personale,
sapeva che un po' di acqua non sarebbe bastato, così gli
aveva passato anche una
caramella alla frutta.
"Grazie... dovrei cominciare a portarne anche io, se sono
così
tutte le lezioni" le aveva sussurrato il giovane, infilandosla in bocca.
"Di nulla... sono Elizabeth Steinhaus... piacere"
"Jason Jang, piacere mio" Le aveva stretto la mano, mentre riprendeva
colore: "Sei tedesca?"
"No... sono nata e cresciuta qui. Tu... coreano?"
Lui aveva sorriso di nuovo, questa volta più vivacemente, e
Beth
aveva subito notato una fossetta formarsi sulla guancia sinistra: "Sono
nato e cresciuto anche io qui. Dopo ti offro un caffè per
ringraziarti."
"Ma lascia stare! Puoi sdebitarti venendo qui fino alla fine dei tuoi
giorni a prendere posto anche per me"
"Sì vabbè... vuoi anche che ti venga a prendere a
casa?" Aveva riso lui.
"No. Altrimenti come fai ad arrivare prima per tenermi il posto?"
"Terza fila. Silenzio o vi sbatto fuori." Il professore si era voltato
e stava guardando direttamente verso di loro, costringendo i due
ragazzi a chinare di nuovo la testa sui propri quaderni.
E così per i primi mesi erano stati l'uno per l'altra il
punto
di riferimento e il supporto necessario per districarsi in quella
giungla di novità e disinteresse che era l'immensa UQ. O
almeno finchè uno dei due non aveva
capito che quella non era la sua strada.
Chissà come sarebbero andate le cose, invece, se Jason si
fosse
laureato insieme a lei? Beth se lo domandava spesso, così
come
se lo stava chiedendo in quel momento, mentre disfava la valigia e
sistemava gli abiti nell'armadio, dopo il pranzo in hotel insieme agli
altri seminaristi.
Si buttò poi sul letto, meditando di riposare per qualche
secondo e poi fare un giro nei dintorni, per cominciare ad assaggiare
una piccola fetta di quella che sarà casa sua per il
prossimo
mese.
Il primo incontro era programmato per il giorno seguente, dalle 8:00
alle 12:00, e lei non aveva la minima idea di dove dovesse andare.
Tuttavia non voleva chiamare un taxi; per il suo soggiorno in Corea
aveva il cash limitato, e voleva evitare di spendere soldi inutilmente.
Sapeva che l'auditorio in cui si sarebbe svolto il seminario non era
molto distante
dal suo hotel, quindi preferiva fare quattro passi a piedi e guardarsi
un po' intorno.
Così, una volta sul letto, cercò col gps del
cellulare
l'indirizzo della sua meta ed il percorso a piedi. Ci avrebbe impiegato
venti minuti, e il tragitto da percorrere non sembrava molto tortuoso o
complicato: si poteva fare.
Poi prese il biglietto da visita che le aveva dato Jason, e
cercò anche la Starkim. Purtroppo era nel distretto di
Gangnam,
e a piedi ci volevano quasi tre quarti d'ora. Un giorno in cui
non
avrebbe avuto nulla da fare avrebbe potuto farci un salto,
però.
Perchè no? Una domenica pomeriggio di sole, magari... Quando
non
avrebbe dovuto scrivere relazioni ed incontrare luminari in materia
odontoiatrica.
Cominciava a pensare che, tra i propri impegni e quelli di lui, in
realtà le occasioni di incontrarsi sarebbero state veramente
poche, come aveva dimostrato la chiamata alle armi all'ultimo minuto
effettuata dalla Starkim, con la quale aveva ridotto drasticamente le
ore che avrebbe potuto trascorrere insieme al vecchio amico.
Quindi si ripromise di uscire a fare un giro in centro con gli altri
seminaristi, per conoscere loro e la città.
E invece quel pomeriggio Beth rimase tutto il tempo nella sua stanza,
poichè dopo pochi minuti che si era distesa sul letto, il
suo
cervello si era spento e lei era caduta in un sonno profondo, dal quale
si era svegliata quando ormai il sole era già calato dietro
i
grattacieli e gli ultimi bagliori del tramonto stavano morendo
all'orizzonte.
I suoi compagni di seminario erano una cinquantina in tutto, e per la
maggior parte erano saccenti figli di papà che passavano le
lezioni con la mano alzata a puntigliare sui minimi dettagli facendo
sfoggio di erudizione e di retorica. E Beth detestava la gente del
genere, perchè rendeva ogni nozione puro virtuosismo,
dimenticandone il più importante lato pratico. Per fortuna
c'erano anche due o tre ragazzi che, come lei, avrebbero accoppato
questi medici teorici. Tra di loro c'era una ragazza la cui stanza
distava qualche
numero da quella di Beth, Chloè, con cui lei si era trovata
spesso a chiaccherare.
Poi Beth realizzò che, effettivamente, non avrebbe sentito
Jason
fino a giovedì, e per quel giorno la ragazza gli chiese se
avrebbe potuto assistere alle prove del gruppo.
Lui aveva assentito, entusiasta, e aveva affermato che un'auto sarebbe
passata a prenderla verso le tre del pomeriggio.
Così non
dovrò farmela a piedi. Meraviglioso!
A lei piaceva camminare, ma un tragitto di quasi un'ora in una
città sconosciuta poteva rivelarsi un incubo anche per una
ragazza con un senso dell'orientamento sviluppato come lei -era
praticamente nata in un billabong,
miseria ladra!, per questo
era felice che Jason mandasse un'auto a prenderla.
In auto ci volle più o meno mezz'ora, durante la quale
l'autista
aveva fatto ascoltare a Beth qualche canzone dei LEDApple -dietro
esplicita richiesta del signor Jang, come aveva affermato lui.
A lei erano piaciuti, non erano male, ed era rimasta colpita di quanto
fosse
migliorata la voce di Jason. Aveva sempre pensato che avesse delle
ottime doti canore, sin dalle prime volte che l'aveva sentito entrare
in classe canticchiando più o meno seriamente di tutto e di
più, e dall'ultima volta che si erano visti il suo talento
era cresciuto notevolmente.
Beth era davvero orgogliosa di lui, e sorrideva, mentre l'autista
entrava nel parcheggio sotterraneo e fermava l'auto.
La ragazza aprì la portiera e in quel momento si
aprì anche la porta dell'ascensore.
"Steinhaus! Da questa parte." Jason aveva pronunciato il suo cognome
con tono
assertivo e sguardo severo, come faceva sempre quando voleva
scimmiottare il suono duro della lingua tedesca, però
l'invito
era stato dolce, accompagnato da un sorriso tenero. Beth resistette
all'impulso di saltargli in braccio e stringerlo come un orsetto di
peluche, e si limitò a salutarlo con un movimento della mano
e
un "Ciao Jas!", prima di raggiungerlo nell'ascensore.
"Oggi ti farò conoscere quei fighi che hai sentito suonare
nel CD. Però non sono tutti cool come me."
"Ahahahah! Aspetta... ho bisogno di spazio... il tuo ego mi sta
schiacciando." Era sempre stato poco modesto e piuttosto superbo, ma di
frasi simili non ne aveva mai pronunciate, riflettè
Elizabeth.
"Lo starsystem ti ha pompato come la ruota di una bicicletta?" Rise lei.
Jason le fece eco con la propria risata, passandosi una mano tra i
capelli: "Forse. E tu sei stata inviata dall'alto per guidarmi nel
cammino verso la redenzione dei miei peccati?"
"Jas... ma che erba ti sei fumato?" Continuò a ridere lei.
"Erba gatta... miaow... oh, eccoci!" E dopo l'ultimo esploix di demenza
in cui aveva tentato di imitare la dolcezza zuccherina di un micino,
era tornato serio e aveva atteso l'apertura delle porte, prima di
uscire.
Beth lo seguì, senza sapere se ridere o piangere, e poco
dopo si
trovò davanti i cinque ragazzi che, insieme a
Jason, formavano
i LEDApple.
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Capitolo 3 *** Capitolo 3 ***
ffledapple3
- Capitolo 3 -
"Annyeong-hasaeyo! We are LEDApple!"
Jason si era unito a loro per il saluto, con pollice ed indice a
formare una "L" che si spostava verso destra e la testa che seguiva il
movimento della mano, reclinandosi sulla spalla.
"E questa è Steinhaus Elizabeth... e voi non dovete
assolutamente chiamarla Bebe." La presentò poi, facendole
l'occhiolino.
"Ma cos... ragazzi, piacere di conoscervi" Ricordandosi l'uso coreano,
si inchinò.
A ruota si inchinarono anche gli altri cinque, presentandosi con
cognome, nome e ruolo all'interno del gruppo.
"Ragazzi... le facciamo ascoltare qualcosa? Bebe, siamo ai tuoi ordini."
"Scusatemi... ma non ricordo nemmeno un titolo... " Effettivamente
avrebbe potuto almeno cercarsi su internet le canzoni che suonava il
suo migliore amico, in un anno e mezzo di tempo di tempo... si chiese
perchè non ci avesse mai pensato. Forse perchè
era
talmente in collera con lui per essere sparito da aver preferito che se
lo fosse inghiottito l'oceano. Poi, però, una volta ripresi
i
contatti, lui le aveva passato
qualche titolo all'inizio, ai tempi del suo debutto, prima che lei
fosse sopraffatta dalla laurea e lui da prove e promozioni, ma lei non
ci aveva prestato troppa attenzione. Ormai lo dava per perso.
Un titolo però se lo ricordava.
"No aspettate...
Time's up...
potete suonarla?" Con le guance in
fiamme per l'imbarazzo guardò prima l'amico e poi il leader,
che
annuì e cercò il consenso degli altri.
"Certamente dongsaeng...
Hyoseok, vai col tempo."
Il batterista annuì e cominciò a ritmare il pezzo.
Nessuno aveva bisogno dello spartito, era un pezzo che ormai tutti
conoscevano a memoria, e che tutti amavano, come si poteva capire
dall'enfasi con cui la suonavano. Jason si muoveva come se fosse su un
palcoscenico e maltrattava il microfono come se fosse meritevole delle
peggiori pene infernali, accompagnato da un esagitato Kyumin, che
saltava in giro come se avesse batterie inesauribili. Jas
tirò
anche un paio di stecche ma, anche se stonava, la sua voce rimaneva la
cosa più bella che Beth avesse mai ascoltato.
La giovane si sedette vicino alla chitarra acustica, momentaneamente
abbandonata
contro il muro, e da lì assistette alle prove del gruppo,
che
ogni tanto la consultava per sapere come stessero andando.
"Bene bene ragazzi... continuate così che spaccate!"
Rispondeva
lei, alzando il pollice in segno di apprezzamento. "Forse dovreste
abbassare il basso... non sento bene la chitarra" aggiunse, una volta.
"Io lo dico sempre che il basso si deve abbassare... che è
troppo alto." Annuì Youngjun, portandosi una mano sopra la
testa: non intendeva il volume.
"Questo perchè tu sei un nano da giardino, hyung"
Replicò malignamente Kwangyeon.
"Porta rispetto, altrimenti sei fuori dalla band."
"Morte, sangue, violenza alè
alèèè...
violenza alè alèèè...
violenza alè
alèèè!" Kyumin aveva preso il
microfono e si era
messo a saltare, inneggiando al pestaggio. Hyoseok, dalla batteria, si
unì a lui, battendo sulla grancassa il ritmo.
Kwangyeon si sfilò il basso e lo mollò tra le
braccia di
Beth che, non sapendo come tenerlo senza rovinarlo -e senza cadere
sotto il suo peso, se lo mise a tracolla.
Youngjun posò la chitarra nel trepiedi e avanzò
verso il bassista.
Quest'ultimo, pochi secondi prima sembrava l'essere più
tenero e
pacifico del mondo, mentre in quel momento aveva uno sguardo selvaggio
ed omicida.
Lo stesso valeva per il leader, che si era arrotolato le maniche fin
sopra i gomiti.
Jason si era avvicinato all'amica e commentava la scena come un
presentatore radiofonico ad un torneo di wrestling, mentre KeonU se ne
stava in disparte, sorridendo sornionamente.
"Aish... cosa devo fare con te...?" Scosse la testa il leader.
"Io voglio un mondo libero dalla tirannia." Rispose l'altro, serio.
"Si chiama autorità, e va rispettata." Youngjun lo
additò minacciosamente.
"Io mi appello alla libertà di... suono." Kwangyeon
spalancò le braccia come un eroe liberatore.
"E io al potere conferitomi dagli dei."
I ragazzi stavano parlando in inglese, per far capire anche a Beth cosa
stesse succedendo.
Infatti lei guardava con espressione divertita la coppia, cercando di
non soffocare dalle risate per la piega assurda che stava prendendo lo
scambio verbale.
"Tsè. Se gli dei esistono di certo non inviano te per
rappresentarli."
"E invece sì. Inginocchiati e riconosci la mia
superiorità"
"Okay basta, ora sembra un porno squallido" Rispose Kwangyeon,
scatenando l'ilarità generale e un "Noooooooo!" deluso di un
Kyumin assetato di sangue.
"Ahahahah!... va bene... però abbassa il volume dai pick-up"
Youngjun riprese in mano la chitarra, e Kwangyeon ringraziò
Beth, mentre la aiutava a sflilarsi il basso e se lo riprendeva con
estrema agilità.
Abbassò sul serio il volume, e le prove continuarono fino a
sera, quando band invitò la ragazza a cenare con
loro.
Lei declinò: doveva controllare dei documenti per il giorno
dopo, prima di andare a dormire, e aveva bisogno di essere lucida.
"Sarà per la prossima volta"
"Certo... torna ancora a trovarci presto" "Ciao noona!" "Buonanotte
noona!" "Elizabeth-noona non lasciarci!" "Kyumin taci. Alla prossima!"
Youngjun, Hyoseok, Kwangyeon, Kyumin e KeonU la salutarono
calorosamente, mentre riordinavano la stanza.
"Sicuro! Arrivederci!" Elizabeth si inchinò ed
uscì dalla sala, seguita da Jason.
"Ti accompagno." Disse lui a mezza voce, chiamando l'ascensore. Beth
annuì, ma credeva che volesse semplicemente scendere in
garage
con lei, e invece la seguì all'auto e, per la precisione, si
mise alla guida dell'auto.
"Sali."
Lei non si oppose, ed entrò in macchina.
Jason accese il motore, mise la retro e si voltò per uscire
dal
garage, nella notte illuminata dai neon del distretto di Gangnam.
Elizabeth si appoggiò al sedile e rimase a guardare lo
spettacolo caleidoscopico delle insegne e della gente che camminava per
le strade, abbigliata nei modi più stravaganti e
ostentati
possibili.
"Vogliono far vedere quanti soldi hanno?" Commentò.
L'amico sorrise e annuì, imboccando un boulevard pieno di
alberi
che, illuminati a giorno dai neon, sembravano addobbati a festa.
"Jas... l'hotel è dall'altra parte." Gli fece notare lei.
"Lo so. Ma non ho intenzione di portarti in hotel... Forse è
l'unica sera che posso stare con te e voglio fartela godere."
"Ma io..." Ho
cinquanta pagine di referti medici da analizzare!
Era sua intenzione pronunciare, e invece dalle sue labbra
uscì
un flebile: "Hai ragione. Portami dove ti pare." Quelle carte poteva
guardarle domani mattina, mentre non sapeva quando sarebbe stata la
prossima volta che avrebbe passato del tempo con lui. Poi si rese conto
di una cosa: "Che poi... è più di un anno che non
passiamo una serata assieme." Da quella volta in cui Jason l'aveva
lasciata scossa e confusa in riva all'oceano, dopo averla informata di
aver prenotato il volo per Seoul.
Sembrava che il giovane stesse ricordando lo stesso aneddoto,
perchè parcheggiò con un sorriso tirato e
malinconico e,
mentre il ticchettio delmotore si spegneva, si appoggiò allo
schienale e, con gli occhi puntati sul volante, mormorò:
"Da allora mi sei mancata tanto, Elizabeth."
Beth rimase a guardarlo. L'aveva detto per circostanza?
L' insieme di suoni che avevano articolato quella frase innocente e
sincera suonava così strano, nella penombra soffusa della
Mercedes. E perchè aveva sentito un tuffo al cuore? Forse
perchè era la prima volta che la chiamava con il suo nome
per
intero? "Anche tu." Mise una mano sopra quella di lui e gli sorrise
amichevolmente.
Un anno. Un anno in cui si era sentita come un marinaio che ha perso
l'orientamento in mare aperto fu dissipato in quell'istante in cui
Jason le strinse la mano e incontrò i suoi occhi. Anche lui
aveva sofferto la lontananza da lei. Oltre che dei suoi amici, della
sua città, di quelle dannate brioches alla crema e del loro
profumo, delle onde da solcare, dei suoi genitori.
Oh Jas...
perchè te ne sei andato?
Urlò dentro di sè, per poi rispondersi da sola
quando
notò una mela stilizzata che dondolava, appesa alle chiavi
ancora nel quadro.
"Vediamo se so farmi perdonare, allora." Le strizzò l'occhio
e sfilò le chiavi per poi scendere dall'auto.
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Capitolo 4 *** Capitolo 4 ***
ffledapple4
- Capitolo 4 -
Nella tavola calda in cui
entrarono non
c'era troppa gente e sembrava un posto tranquillo, con le abat-jour che
diffondevano una luce ambrata all'interno del locale e sul viso degli
avventori; era decisamente in
contrasto con la strada affollata e il suo chiasso di colori, luci e
suoni.
"Ti ho portata qui perchè so che non sei un tipo da astice e
caviale" La informò Jason, mentre prendeva posto.
"Oh beh, il caviale non mi piace, ma sicuramente potrai portarmi a
mangiare l'astice, quando mi chiederai di sposarti." Beth si sedette
davanti a lui e prese il menù, che proponeva cibi della
cucina
tradizionale coreana. "Non so da dove iniziare... questo? E' buono?"
Lui si sporse verso di lei, arrivando a sfiorare i suoi capelli. Quei
tavolini erano impossibilmente minuscoli. Praticamente le loro
ginocchia si scontravano ad ogni movimento e non c'era spazio per la
sopravvivenza di due paia di mani.
"Mh... non è male. Dovresti provarlo... accompagnato da
questo."
Alzò di poco lo sguardo, trovandosi a guardare direttamente
negli occhi dell'amica. Lei, con lo sguardo, seguì il suo
dito che si muoveva
sulla carta plastificata e annuì. "Certo... sì.
Mi fido
di te." Annuì, sollevando la testa. La metteva a disagio
quella
vicinanza claustrofobica con lui. "Jas... perchè mi hai
portata
nel nido d'amore per coppiette felici migliore della città?"
Sollevò un sopracciglio poi, dopo che lui ebbe chiamato la
cameriera.
"Ma perchè noi siamo una coppietta felice. Non sei felice in
mia compagnia, Bebe?"
Lei approfittò dello spazio ridotto per tirargli una
ginocchiata: "Sì... ma mi sento un file compresso."
"Allora... qui si paga poco, si mangia bene, non c'è casino
e
puoi rubarmi tutti i pezzetti di carne che vuoi senza fare troppi
sforzi." Jason elencò i vantaggi contando sulle dita.
"Allora acquista punti. Ma non eri tu quello che in mensa rubava il
cibo dal vassoio altrui?" Beth lo guardò con un finto
broncio.
"Questo è vero. Quanto è ingrassato Robert, senza
qualcuno che gli sfilasse i maccheroni sotto il naso?"
"E' ingrassato più perchè, dopo la tua partenza,
ha cercato rifugio nel cibo." Rise Beth.
"Noooo... addirittura?! Era innamorato di me?"
"No. Di me. E sperava che, con te lontano, potesse avere una
speranza... quando ho messo le cose in chiaro, lui si è
allontanato dal gruppo e ha cominciato a mangiare doppio."
"Cosa?" Jason si guardava attorno, confuso, e serrò i pugni
sul
tavolo. "Quali cose? E... perchè lui pensava che io... che
tu...
Beth. Non ho capito."
Lei arrossì violentemente e si sistemò i capelli.
"E'
dispiaciuto anche a me... non volevo che abbandonasse il gruppo. Ma ha
cominciato a diventare... inappropriato... fino a quando non gli ho
spiegato che tra di noi poteva esserci solo amicizia, e..."
"Inappropriato? Ti ha toccata?"
"Ma... no. Se ci avesse provato, io sarei in carcere per omicidio...
è solo che mi telefonava sei volte al giorno."
"Ah... povero Robert. Gillian e Sandra?"
"Si sono fidanzate!"
"Fra di loro?"
"No, pirla... Gillian con Alfred Dambeebak, il tipo rosso che faceva il
master in economia sociale dei servizi non-mi-ricordo-più,
Sandra con Philip!"
"Da Gillian mi sarei aspettato una cosa del genere... a lei sono sempre
piaciuti i tipi con passioni assurde, ma Sandra con Philip... Dura
ancora 'sta cosa?"
"La loro relazione ha sconvolto tutta la Golden Coast, temo... ma non
ho più loro notizie, da qundo mi sono laureata... quindi non
ti
so dire."
Il ragazzo annuì, e in quel momento la cameriera
tornò con le ordinazioni e augurò loro buon
appetito.
"Cosa hai portato in tesi? L'importanza del piercing sulla lingua nel
rapporto di coppia come avevi in mente al primo anno?"
Domandò
ridacchiando.
Lei a momenti non si soffocò con l'acqua. "Ma ti pare? Mi
sono limitata al piercing facciale come espressione sociale."
"Peccato. Tutti quanti avrebbero voluto sentirti inneggiare alla fe..."
"Jason chiudi la bocca per favore. Non siamo nel posto adatto per fare
certi discorsi. E adesso ho ventidue anni, non diciannove... tu pure, e
non credo che riuscirei a mangiare questa cena squisita, se dovessimo
andare sull'argomento." Elizabeth aveva pronnunciato il discorso tutto
d'un fiato, a bassa voce, con tono di ammonimento e gli occhi bassi sul
piatto. Non era mai stata una madonnina infilzata e quando era
più giovane vantava molte idee liberali, anche se consceva
bene
i limiti della questione.
"Come sei diventata seria... stavo scherzando Bebe." Parò la
ginocchiata in arrivo, frenando la gamba di lei con una mano prima che
potesse raggiungerlo. "Sei prevedibile." Spostò la mano e
tornò a mangiare.
Beth accennò un sorriso: "E tu rompiballe. Cosa hai fatto,
una
volta migrato qui?" Alzò nuovamente lo sguardo sul ragazzo.
Lui tornò serio ed ingoiò il boccone, prima di
rispondere: "Sai come sono fatto io... sono andato direttamente al sodo
e mi sono diretto alla Loen Entertainment il giorno stesso del mio
sbarco a Seoul. Poi ho passato una settimana d'inferno in attesa del
verdetto... informandomi anche sulle altre case discografiche nel caso
la Loen non mi avesse preso. No, Elizabeth... non ho pensato neanche
per un
secondo di tornare a casa."
"Lo so. Volevi... tagliare tutti i ponti. Mi hai dato il tuo nuovo
numero solo dopo un mese." C'era amarezza nella sua constatazione, ma
non rimprovero o rancore. L'aveva perdonato già da un pezzo.
"Tagliare i ponti. La definizione è corretta."
Mormorò a
fil di voce."Sai... avevo paura che, mantenendo un contatto anche
minimo con Brisbane, mi sarebbe mancata la forza di rimanere... cercavo
di non pensare a nulla che non avesse a che fare con la mia nuova vita
in Corea. Mi sono gettato a capofitto nello studio della lingua, per
consolidare e dare un senso a quello che avevo già imparato
da
bambino, e nel perfezionamento della mia voce" Jason prese in mano il
bicchiere e iniziò a giochicchiarci. Abbozzò un
sorriso."Ho iniziato a pensare, mangiare e dormire come un coreano...
mutando radicalmente ogni mia abitudine. Mi guardavo allo specchio e mi
parlavo in coreano, dicendo le prime cose che mi venivano in mente...
ascoltavo la radio quasi sempre e mi mettevo anche a ballare...
sì. Lo so che non ne sono mai stato capace, non guardarmi
così... mi muovevo come se fossi nato e cresciuto nello
starsystem delle boyband... come se anche io fossi solo quello... o ci
provavo. Poi un giorno mi è successa una cosa stranissima...
ero
in libreria e stavo cercando qualcosa da leggere... e sono capitato
davanti ad uno scaffale pieno di libri di Ken Follet... e mi
è
venuto in mente che mia madre adorava Ken Follet... che ha letto tutti
i suoi libri cinque volte..." Si interruppe, e il silenzio
calò
tra di loro. Fu Elizabeth a concludere la frase per lui: "E tutta la
nostalgia che hai represso fino a quel momento ti ha sopraffatto... Hai
stretto i pugni e sei fuggito dalla libreria cercando di ricordarti
come si respira, ma non hai preso fiato finchè non ti sei
trovato ad almeno due isolati da lì... hai cercato una
cabina
telefonica nei paraggi, perchè ti sei sentito di colpo
dannatamente solo in un mondo che non ti apparteneva, che non conoscevi
e che nenanche sapevi se ti volesse... ma il numero che le tue dita
hanno composto non era quello di tua mamma."
Il ragazzo, che aveva preso a torturarsi le dita con la lama del
coltello, scosse la testa con un sorriso triste, ma non
pronunciò una parola.
"Non saresti stato in grado di sopportare uno scontro verbale con lei
sulle tue scelte o, peggio, un suo rifiuto di parlarti... quindi ti sei
rivolto a qualcuno che speravi ti capisse... che ti aveva sostenuto
nella tua scelta fino all'ultimo..."
"E, quando mi sono presentato, quella persona non mi ha detto "ciao
Jas, ti piace Seoul?"... prima mi ha ricoperto con i peggiori insulti
creati dalla mente umana, poi ha passato dieci minuti buoni a piangere
e singhiozzare come se l'avessero appena condannata alla ghigliottina."
Beth afferrò le sue dita e le allontanò dalla
lama del
coltello, intrecciandole alle sue. "L'hai mai chiamata, alla fine?" Lo
guardò direttamente negli occhi, con intensità.
La tipica
espressione che la ragazza aveva quando provava grande interesse per
qualcosa.
Jason adorava quell'espressione, ma la sua mano si irrigidì,
come la sua voce: "No."
"Fallo... anche se ti manda a quel paese rimane tua madre... e tu suo
figlio. Anche se non approva quello che hai fatto...
continuerà
ad amarti."
Lui non rispose. Rimase fermo a fissare i disegni damascati della
tovaglia cremisi. "Anche tu le manchi." concluse Beth, accarezzando il
suo pollice con il proprio. Il giovane sciolse la sua presa e si
alzò, diretto alla cassa con sguardo truce. Beth non sapeva
che
fare, nè cosa pensare. L'aveva fatto arrabbiare? Non le
importava. Aveva solo espresso la sua opinione.
Dalla cassa lui le fece cenno di uscire, e lei prese la borsa,
mormorò un "Arrivederci" alla cameriera e lo
seguì.
Jason era salito rapidamente in auto e attese che lei fece lo stesso
prima di filare via, bruciando almeno due semafori. Beth si era
ammutolita e aveva una mezza idea di quello che era successo, ma non
voleva che quella fosse l'ultima volta che lo vedeva, e tantomeno che
si concludesse in quel modo.
Ma chi diavolo crede di essere? Pensò.
Era
arrabbiata e triste allo stesso tempo. Ed angosciata. Si era montano la
testa al punto tale da credere che l'opinione altrui non valesse
più nulla? Un anno aveva
davvero cambiato così tanto il suo amico?
Lei aveva fatto quel discorso perchè voleva solo
il suo bene.
Poi lui parcheggiò l'auto accanto ad una cabina telefonica.
Aprì la portiera e, finalmente, le rivolse la parola.
"Vieni."
E allora fu tutto chiaro. Elizabeth si slacciò la cintura di
sicurezza e lo raggiunse.
Jason infilò i gettoni nella macchinetta, e la ragazza lo
abbracciò, cingendogli la vita con le braccia.
Appoggiò appoggiò
la testa fra le sue scapole, rimanendo ad ascoltare il ritmo del suo
cuore, che correva veloce, chiaramente
fuori controllo, anche se il ragazzo sembrava del tutto tranquillo,
mentre digitava il numero, che conosceva a memoria.
Il telefono prese a squillare, e Jason strinse il braccio di Beth.
"Ciaoma'sonoJason." Buttò fuori lui senza fare una pausa.
Infatti la signora Jang, dall'altro capo del telefono, rispose con un
poco aggraziato: "Cosa? Chi parla?"
"Jason... sono io, mamma."
Anche Beth riuscì a sentire perfettamente la sua reazione:
"Jason? No. Non conosco nessuno con questo nome."
E riagganciò.
Jason fece lo stesso, lentamente, e si voltò verso l'amica,
che
lo strinse senza dire una parola. Lui si aggrappò alle
spalle
della sua maglietta e affondò il viso nell'incavo del suo
collo.
Poco dopo Beth sentì qualcosa di umido colare sulle
clavicole mentre, tra
le sue braccia, il ragazzo tremava e singhiozzava.
*************
Ciao gente!
Visto che non aggiorno da secoli... oggi vi regalo un capitolo extra! :D
Chuuu!
|
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Capitolo 5 *** Capitolo 5 ***
ffledapple5
- Capitolo 5 -
Nei giorni che seguirono
Elizabeth non
ebbe molto tempo da dedicare all'amico, e si limitava a scrivergli su
Whatsapp tra un seminario e l'altro; d'altra parte anche lui era
piuttosto occupato, perchè lui ed i ragazzi stavano
preparando un nuovo mini-album.
Tuttavia, dalla sera della telefonata, tra i due era nata una
complicità che sembrava aver valicato i confini della
semplice
amicizia, ma nessuno dei due se ne accorse, e sembrò loro di
compiere delle azioni del tutto naturali..
Erano già passate un paio di settimane, ormai
mancava poco al
rientro della giovane in Australia, e sembrava davvero che non ci
fossero altri momenti per potersi vedere. Forse Jason non avrebbe
nemmeno potuto accompagnarla all'aeroporto e lei avrebbe dovuto fare
affidamento sulla navetta che partiva dal centro della città
e
si dirigeva ad Incheon.
Un po' le dispiaceva e temeva che, una volta tornata a Brisbane,
avrebbe
continuato a sentirlo con una certa continuità per un mese
circa, poi con sempre minor frequenza, fino a dimenticarsi persino del
suo compleanno. Non voleva che accadesse. Teneva tanto a lui.
Così tanto che stava riflettendo proprio su quanto fosse
vitale
per lei sentirlo almeno una volta al giorno, quella sera, con la matita
puntata sulla
stessa parola da almeno una decina di minuti.
Non ci stava con la testa. Doveva studiare quel plico di fogli,
ma l'orologio segnava le 23:10 e ancora le mancavano una
ventina
di
pagine.
Scosse la testa, appoggiò la matita con aria seccata sul
foglio e si stiracchiò. Beth.
Forza. Non hai vinto tre borse di studio fantasticando sui ragazzi.
Fantasticando. Lei non stava fantasticando. La sua coscienza era
ingiusta. Stava solo inventando modalità con cui scongiurare
la
fine di un'amicizia, ecco tutto.
Le tornò alla mente l'immagine dell'amico, fragile e
distrutto dal dolore, che si abbandonava completamente su di lei.
No. Non sarebbe finita tanto facilmente. Tante volte gli aveva salvato
la vita. Aveva un debito nei suoi confronti, non poteva sparire
così. Di punto in bianco.
Eppure l'ha
già fatto.
Beth tornò alle sudate carte e cercò di
concentrarsi, ma
ad un certo punto si trovò a canticchiare proprio una
canzone
dei LEDApple, e le venne automatico riflettere su quanto fosse
azzeccata per Jason la professione di cantante. Era nato per stare su
un palco e donare caritatevolmente al mondo la propria voce
cristallina. Decisamente sarebbe stato sprecato, in uno studio
dentistico, a ravanare tra le carie di ingoiatori seriali di caramelle
e mangiatori di cipolle professionisti. Jason era un artista, quindi
aveva tutto il diritto di coltivare il proprio talento.
Dopo che mezza Queensland aveva saputo della sua scelta,
questa era
divenuta oggetto di argomento sul forum dell'istituto per un paio di
settimane buone, e i suoi amici stretti erano stati tempestati da ogni
genere di domande, costringendo Robert, Sandra, Gillian e lei stessa a
pranzare e muoversi nella struttura in orari diversi dal
resto della studentesca.
Tra di loro c'era chi lo sosteneva, chi gli dava contro e chi se ne
fregava -grazie a Dio!
I sostenitori ammiravano la sua decisione coraggiosa e quasi romantica
di lasciare ogni contatto con la realtà deprimente e
menefreghista della città per inseguire il proprio sogno di
dedicarsi alle passioni, di dare voce ai sentimenti umani con la
più antica delle forme di espressione: il canto.
Chi gli dava contro lo riteneva un pazzo che preferisce lasciare la
strada vecchia per quella nuova, abbandonando un lavoro sicuro, un
tetto sulla testa e tre pasti al giorno assicurati per inseguire una
decisione repentina e troppo poco ponderata. Molti lo disprezzavano,
perchè conoscevano la natura decisamente cospicua del
partimonio
monetario dei genitori, e credevano che fosse solo un figlio di
papà alle prese con una nuova diavoleria. Oggi la fuga in
Corea,
domani il giro del mondo in Harley Davidson... Era una stupidaggine
qualunque, e lui aveva sputato sulla fatica della gente che sgobbava
per portare a casa il pane per i propri bambini.
Inoltre c'era chi
pensava che non avesse avuto attorno persone in grado di dissuaderlo,
di farlo rinsavire.
Colpevoli i suoi genitori, colpevoli i suoi amici.
E Beth era stata subito assalita dai curiosi, che parevano voler per
forza creare la storia dell'eroina sedotta ed abbandonata, giocando
anche col nome di lui, che richiamava l'eroe greco inviato a recuperare
il vello d'oro.
Poi, semplicemente, Elizabeth un giorno aveva perso le staffe e aveva
sputato veleno su tutti in pieno atrio, urlando che era stata lei ad
incoraggiarlo a seguire il suo sogno, che lei
credeva fortemente che ciascun essere umano ha delle proprie
capacità e, in virtù di queste, dei ruoli
differenti
all'interno della società, e che anche cantare
era un ruolo degno di ammirazione come quello del manager o
dell'avvocato, se non migliore perchè, a differenza di altri
mestieri, la passione per la musica non ha nessun guadagno materiale
pari al proprio guadagno spirituale.
E anche perchè è meglio
passare una breve estate felice e spensierata a cantare con il cuore
leggiero, piuttosto che raccogliere cibo per poter vivere e vivere per
raccogliere cibo, con l'animo gravato dallo stress e dalla paura di non
poter andare a raccogliere
cibo
ancora un altro giorno, finchè non si invecchia e si muore
fissando la pancia piena ma l'anima atrofizzata, immobile ed
inesorabilmente vuota.
Ciò che distingue l'uomo dalle bestie è la
propria
interiorità, e solo chi la sviluppa a pieno può
definirsi
tale. Altrimenti è solo un animale, o un computer.
Così aveva lasciato l'istituto in silenzio. Aveva ammutolito
tutti, non si era spostata una tenda, dopo il suo
discorso; poi, per fortuna, erano iniziate le sessioni di esami, quindi
Beth non aveva mai saputo se la gente credesse pazza pure lei, oppure
la stimasse una persona saggia.
Beth tirò una testata alla scrivania. Quella sera
decisamente non riusciva a
concentrarsi. Prese il cellulare e controllò Whatsapp.
Nessun
messaggio. Sbuffò, delusa.
Forse era vero... aveva sempre avuto un debole per lui.
Ecco di nuovo il tuffo allo stomaco. Quanto debole?
Lui era il classico tipo studioso, carismatico, con il sorriso
affabile, che aveva sempre uno stuolo di belle bionde pronte a dargli
la fiducia -sì, la fiducia.
O questo era quello che sembrava all'apparenza. In realtà
era un
ragazzo riflessivo, serio e con dei sani principi, e anche una vena di
egoismo mista a caparbietà che gli permetteva di ottenere
sempre
ciò che desiderava.
Picchiettò con la matita sulla scrivania, sospirò
e si
tuffò sulla pagina sottolineata a metà, cercando
di
associare le parole al concetto che volevano esprimere. Poi
sentì il trillo di Whatsapp e si fiondò sul
cellulare.
Jason le chiedeva se volesse bere una birra con la band più
fica
di tutta Seoul.
Lei piantò l'ennesima volta la matita sul tavolo, si
alzò
e rispose affermativamente. Quindi si buttò sotto la doccia
e si
preparò per uscire.
Stava ancora finendo di disegnare il contorno occhi con la matita,
quando l'ennesimo squillo la
avvisò che la stavano aspettando di sotto. Beth
roteò gli
occhi imprecando contro se stessa e finì di sistemarsi prima
di infilarsi le scarpe e
scendere. La puntualità non era mai stata il suo punto di
forza.
Venne accolta sull'auto da amichevoli: "ehi Beth!", "ciao Beth!" e il
"Yo Beth wassaaa?" di Kyumin e dopo mezz'ora di AC/DC e Metallica
arrivarono ad un locale frequentato principalmente da studenti
universitari, che festeggiavano la buona riuscita degli esami o
cercavano di affogare nell'alcool le delusioni.
Il posto era un'unica sala che, però, grazie alla sapiente
disposizione
dell'arredamento, creava delle nicchie con un ambiente raccolto,
più intimo, e Jason guidò la combricola verso un
angolo
in cui c'erano un paio di divanetti uno di fronte all'altro, da due e
da tre posti, e altrettante poltrone con una stampa patchwork sulle
tonalità del blu e del marrone, due piantane che facevano
luce e
un tavolino basso in legno e vetro posizionato nel mezzo.
Kyumin e Hyoseok si fiondarono subito sul divano doppio, mentre KeonU
prendeva una poltrona e Kwangyeon si sedeva sull'altro divano, accanto
a Youngjun che, a sua volta, si trovò seduto accanto a Beth.
"Vado io a prendere la birra... prendo il solito o volete qualcosa di
particolare?" chiese Jason, che era rimasto in piedi; un'altra
particolarità di quel locale era che i clienti si servivano
da
soli dalle tante botti sistemate contro il muro.
"Portami una bionda come sempre, Byul!" chiese Hyoseok, "Anche per me!"
gli fece eco il leader, mentre il bassista gli chiese una "Scura e
tedesca. Io preferisco le more." e fece scherzosamente cenno a Beth,
che rise della battuta in stlile flirtaggio e chiese una Heineken;
infine KeonU ordinò un idromele e il cantante fece segno di
aver capito, prima di dirigersi verso
il bancone con i boccali.
"Aaaaaaallora. Elizabeth-noona. Che tipo era
all'università?"
Kyumin incrociò le dita in grembo e
guardò la
giovane con espressione indagatrice da vera pettegola. Il batterista,
vicino a lui, annuì.
"Beh- dovrei essere io a chiedere a voi che tipo è
adesso..."
Ridacchiò lei. Aveva capito che si stava parlando di Jason.
Beth
si picchiettò il mento con l'indice: "Era uno che
studiava... ma
si capiva che non era del tutto innamorato di quello che faceva..."
"Perchè era innamorato di te? Tra di voi c'è
stato
qualcosa?" Continuò il rapper, incalzandola. Lei si
lasciò sfuggire un risolino, e i suoi occhi non poterono
fare a
meno di vagare per la sala in cerca dell'oggetto della conversazione,
prima di tornare a concentrarsi su Kyumin. "No... siamo sempre stati
solo buoni amici." Ottimi amici. Amici per la pelle. Tra di loro c'era
stata sempre solo amicizia. Una favolosa amicizia fraterna, ma sempre e
solo amicizia.
"Miss Steinhaus... notiamo delusione nella sua affermazione. Era
innamorata di lui?" Questa volta era stato Hyoseok a sporgersi verso di
lei e porre la domanda, e Beth stava per rispondere che non era affatto
delusa da nulla quando Kyumin aggiunse: "E perchè non
dovresti
esserlo anche adesso... è un ragazzo d'oro il nostro hyung,
vero
Seok?" "Assolutamente... bello, ricco, famoso, intelligente,
carismatico... sicuramente sei pazza di lui... altrimenti non avresti
fatto dieci ore di volo per venire fin qua" Gli fece eco il batterista.
Elizabeth era passata dall'essere indispettita per la domanda molto
-troppo- privata, all'essere divertita per il discorso da spogliatoio
che stavano intessendo quei due. Le sembrava di essere tornata al liceo
quando le sue compagne, tra una spazzolata di capelli e l'altra,
convessavano di volerci provare con questo piuttosto che con quello.
Decise di tenerli in sospeso per vedere dove volessero arrivare, se
fosse solo curiosità loro oppure fosse un interesse anche
della
casa discografica. Dopotutto Jason era un personaggio pubblico, aveva
gli occhi di migliaia di persone -soprattutto ragazzine- puntati
addosso, e una qualsiasi relazione sentimentale avrebbe fatto scalpore.
Dio che ansia!
"Allora... innanzi tutto le ore di volo sono state tredici, e poi il
mio obiettivo qua non è Jason... Lui vi avrà
detto che
sono a Seoul per un seminario sulle nuove modalità di
prevenire
e curare le infezioni in bocca, no?" Contrattaccò lei. I due
annuirono e Kyumin commentò "Dettagli. Rispondi alla
domanda."
"E se non volessi?" Beth incrociò le braccia sul petto. "Chi
tace acconsente... quindi se non risponderai noi la prenderemo come una
dichiarazione."
Rispose l'altro. "Dai... a noi puoi dirlo... Jason non saprà
mai
nulla." La rassicurò Hyoseok con voce delicata e persuasiva,
che
rassicurò Beth. Erano solo loro a voler sapere se lei fosse
interessata al loro bandmate.
"Cos'è che non saprò mai?" Esattamente in
quell'istante
era ricomparso Jason, portando il vassoio con le bevande. I due
interrogatori fecero un salto sul divano e farfugliarono un "nulla" e
un "niente" poco convincenti, Beth arrossì e non seppe se
rivelare l'argomento della conversazione o tacere.
"Seok e Kyu volevano sapere se tu piacessi a Beth" Lo
informò Kwangyeon, svelando il mistero.
"Ma voi, una cariola di affari vostri mai, eh? Beth, non avrai mica
rivelato loro che siamo sposati, spero..." Stranamente lo sguardo del
ragazzo si era illuminato, nel conoscere l'argomento di conversazione
-o Beth se l'era immaginato?, e aveva fatto l'occhiolino alla giovane,
con il solito atteggiamento sagace. Lei ridacchiò e
incrociò le gambe: "Certo che no, amore... altrimenti
avrebbero
chiesto anche i nomi dei nostri figli." Resse lo scherzo.
"Comunque sono Jack e Daniel." Concluse Jason, e gli altri risero,
prendendo dal vassoio i boccali.
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Capitolo 6 *** Capitolo 6 ***
ffledapple6
- Capitolo 6 -
"Non chiamerò
mai i miei figli Jack e Daniel" Rise Beth, portandosi una mano alla
bocca.
"Perchè tu sei più tipo da Prometeo ed
Epimeteo... o
Apollo e Dafne... o Giustiniano e Teodolinda" Ribattè Jason,
parcheggiando l'auto davanti all'hotel.
"Ma che spari?! Perchè non Adelaide e Lotario,
già che ci siamo?"
"Che? Questi me li sono persi... Adelaide non è una
città?" Ridacchiò lui.
"Sì ma era anche una regina... o che ne so io..." Sono ubriaca?
Si domandò. Sentiva la testa leggera leggera, e non riusciva
a
fermare le parole neanche a volerlo. Non aveva bevuto tanto... forse
era solo un po'alticcia, ma non sbronza. "Jas... vuoi salire?
Mercoledì parto e..."
"Volevi salutarmi in privato?" Concluse lui maliziosamente. Nemmeno
Jason era molto sobrio; le birre di quel locale erano dannatemente
buone.
"Sì... cioè no. Non in quel senso... Hai capito,
no?"
Ridacchiò Beth, pensando che, invece, non le sarebbe affatto
dispiaciuto concedergli un addio esclusivo.
"Certo..." Rispose dolcemente, spegnendo l'auto.
Entrambi scesero dalla Mercedes ed entrarono nel foiyer, dove le luci
dei
lampadari in oro e cristallo abbagliarono Beth, ancora abituata alla
luce soffusa della birreria e dell'automobile. I due si diressero verso
la reception, dove la ragazza chiese la chiave della propria stanza al
portiere.
"Ecco a lei, mi perdoni la domanda, signorina, ma per una politica
interna sono costretto a porgliela: il signore si trattiene con voi?"
L'uomo dietro il bancone si era inchinato profondamente, mentre le
parlava, poi si era sollevato per prendere la chiave della
seicentoquindici.
"Chi, Jas? No... beviamo uno champagne e poi se ne torna filato a
casa sua... che ha bisogno di dormire." Gli sorrise la ragazza,
prendendo la chiave.
"Molto bene. Mi scusi ancora per la domanda, signorina." Anche lui
aveva sorriso, e si era inchinato di nuovo.
"E' tutto apposto, grazie per la chiave." Beth si allontanò,
per
poi guidare l'amico su per le scale e i corridoi, riflettendo su quando
adorasse il rispetto delle popolazioni asiatiche. "Insomma... ti fanno
sentire una regina... noi abbiamo perso un po' questa cosa"
"Mh?"
Nel frattempo erano arrivati davanti alla stanza e Beth la stava
aprendo. "Oh scusa... pensavo ad altavoce... dicevo: qui in Corea sono
sempre stata trattata con i guanti... la gente qui è sempre
gentile e sorridente.". La porta si aprì e la giovane fece
entrare Jason, prima di chiuderla alle loro spalle e accendere la luce.
"Già, ma se non dai loro quello che si aspettano ti menano a
sangue." Ribattè lui, laconico, facendo inorridire l'amica.
"Vuoi dire che ti hanno... Jason!"
"No... non me. La mia casa discografica non fa certe cose... altrimenti
me ne sarei andato già da un pezzo... Ma qualcun altro tende
sfruttare le aspirazioni altrui per soddisfare la propria cupidigia."
"Ma è raccapricciante!" Si levò i sandali e li
ripose
nella scarpiera, imitata da Jason, che vi ripose le proprie scarpe.
"Quando hai un sogno e vuoi raggiungerlo a tutti i costi non sono di
certo le botte a fermarti. Capisci di essere in una condizione
privilegiata, che non tutti possono permettersi di raggiungere,
così cominci a pensare che, dopotutto, il gioco valga la
candela, e inizi a viverla come una sfida di sopravvivenza. Se rimani
vivo, hai vinto tutto... gloria, soldi, fama eterna... ho un amico che
vi è dentro fino al collo in questa situazione, ma non
abbandonerebbe la sua casa discografica per nulla al mondo. Sa che
è la più tosta, ma è anche quella che
sforna da
generazioni le icone pop del Paese." Jason si sedette sulla sedia
davanti alla scrivania e
guardò Beth che prendeva una bottiglia di Dom Perignon dal
frigobar e lo versava corrucciata nei due bicchieri che l'albergo aveva
messo a disposizione sopra il comodino. "Al liceo io venivo ripreso
anche per un errore che potrebbe essere definito superficiale, ma ho
capito quanto ne fosse valsa la pena quando mi hanno ammesso alla
Queensland... e anche se adesso mi occupo di tutt'altro, le batoste del
liceo mi sono servite per poter esigere la perfezione da me stesso
anche quando canto. Ed è per questo che ora faccio arte dei Ledapple." Tese una
mano verso la ragazza che,
sorridendo, gli si avvicinò e posò i calici sulla
scrivania. Lui avvolse il braccio attorno alla sua vita e
appoggiò la testa contro la seta leggera della sua camicia
color
vinaccia.
"Ma non essere triste dai... abbiamo tanti motivi per essere felici...
ognuno di noi ha tanti motivi per essere allegro. Ne ha altrettanti per
essere triste... ma se ci si focalizza solo sui problemi e si ignorano
le cose belle... si finisce per essere accecati dall'odio e dalla
malinconia... e si vive male, perchè ci si dimentica come
godere
dei momenti allegri, No?" Beth annuì e, con il cuore che
correva veloce per il
suo gesto dolce, gli passò una mano tra i capelli. "Appunto.
Jas
oggi sei in vena di filosofare?" Ridacchiò.
"Esattamente" Rise con lei. "Dai, che qui escono tutte le bollicine..."
Con una rotazione del braccio la fece voltare, in modo tale
da
farla sedere sulle proprie gambe.
"Ehi... aspè..." Beth aveva assecondato i suoi movimenti,
poi
gli aveva circondato le spalle con un braccio e con l'altro aveva preso
un bicchiere per passarlo al ragazzo, quindi aveva afferrato il secondo
per
sè. "Allora un brindisi... a cosa vuoi brindare?" Lo
guardò, pensando che, tutto sommato, biondo non fosse poi
così male.
"Brindiamo... alla pace nel mondo." Ridacchiò lui.
"Ahahah! Mi rifiuto. Alla pace spirituale del mondo." Propose lei.
"Eh quanti paroloni... perchè non alla nostra amicizia e
basta?"
"Ma è mainstream! brindiamo... ai miei e ai tuoi sogni."
"Wow come sei originale Bebe... Ahia i miei capelli! facciamo
così. A trovare una ragione per essere positivi anche quando
tutto va storto."
Elizabeth lasciò andare le ciocche dei suoi capelli e
annuì. "Ci sto." E fece tintinnare il bicchiere contro
quello di
lui, prima di portarlo alle labbra. In realtà adorava
ascoltare
l'amico che rifletteva. Le riflessioni su problemi più o
meno
globali -dalla schiavitù infantile all'ora propizia per
andare
in bagno evitando la calca- erano uno dei collanti della loro amicizia,
e nessun argomento era mai troppo stupido o troppo astratto per essere
affrontato. Beth si ricordava di una pausa pranzo passata a discutere
sugli investimenti delle tasse universitarie.
"L'ho richiamata." Mormorò Jason, poco dopo, prima di far
scivolare il calice sul legno della scrivania.
"E... com'è andata?" Respirò appena Beth,
accarezzandogli
una guancia. Aveva capito che si stesse riferendo a sua madre.
"Mi ha chiuso in faccia il telefono di nuovo... allora ho continuato
finchè non si è decisa a parlarmi." Strinse la
ragazza a
sè. "E a scusarsi... e ad ascoltare le mie, di scuse; io
sarò anche fuggito senza dire nulla a nessuno, ma loro non
sono
mai stati d'accordo... era l'unica cosa che potevo fare. Lo sai. E
quando hanno trovato la lettera di sospensione delle lezioni
dell'università sono andati fuori di testa. Non ci hanno
visto
più e mi hanno riempito di botte... anche se non
è
servito molto..." Sorrise amaramente, ma i suoi occhi non mollarono mai
quelli della giovane che teneva in grembo "E così avevano
deciso
di
ignorare la mia esistenza per evitare che gli rodesse la coscienza...
se ne hanno mai avuta una. Ora capisci perchè non ho mai
telefonato prima?" Elizabeth
annuì. Da come aveva sempre dipinto i suoi genitori, non le
erano mai sembrati particolarmente attenti ai bisogni del figlio. O
meglio, si erano sempre interessati solo a farlo star bene dal punto di
vista fisico. Solo una volta aveva incontrato sua madre, e gli era
sembrata una persona triste, che cerca di nascondere il cumulo
polveroso di problemi ed insicurezze sotto un enorme tappeto rosso
Chanel.
"Però alla fine avevi ragione... mi mancavano e...
adesso hanno di nuovo un figlio, a quanto pare." Jason
sollevò un
sopracciglio, e Beth si chinò su di lui per schioccargli un
bacio in fronte: "Bravo il mio Jas... visto che ce l'hai fatta?"
"Elizabeth... io ottengo sempre quello che voglio, se ne vale la pena."
Il sorriso di lui si fece più caldo. "Ma adesso dimmi... ti
è piaciuto stare a Seoul?" Le tirò una ciocca di
capelli
scherzosamente.
"Ah... sì... forse. Ho visto poco... ma mi sembra che sia
tutta uguale." Rise piano. Era cresciuta in una piccola cittadina di
provincia, dove bastava
percorrere pochi chilometri per trovarsi faccia a faccia con la
sconfinata piana del deserto continentale, e gli enormi grattacieli di
Seoul la facevano sentire in gabbia. Non si era mai davvero abituata
nemmeno a Brisbane. La città in generale non le piaceva come
ambiente, le mettevano ansia tutte quelle macchine, le notti mai
davvero scure a causa dell'illuminazione artificiale e il rumore del
traffico che faceva sempre da sottofondo. Le mancavano il silenzio e il
nero profondo delle notti stellate di casa sua, dove si sentiva solo
l'ululato dei dingo e qualche grillo che friniva.
"Sei impietosa... ci sono una marea di negozi di ogni genere e tipo!"
Le diede un colpo leggero con la testa sulla spalla.
"Ma io non ho avuto tempo di fare shopping... Magari faccio un giro
martedì pomeriggio, prima di sistemare le valige"
"Perchè non domani? Domani è domenica. Che fai di
domenica?"
"Mpfh... tu che fai?"
"Dipende... ultimamente ascolto le recriminazioni della Starkim, o
sistemo le canzoni con gli altri."
"Quindi lavori. Ecco... io anche. Oppure dormo. Vuoi dell'altro
champagne?"
"Nah... ho bevuto a sufficienza per oggi... poi non riesco a tornare a
casa... e non mi pare il caso."
"No, decisamente. Potresti restare qui e tornare domani mattina." Gli
propose la ragazza senza malizia. Dopotutto erano amici, no? Che male
c'era?
"Glielo spieghi tu al tipo della reception?" Jason sorrise e
indicò con il dito il pavimento, facendo ridere Beth.
"Ma che te ne frega? Tu rimani... sono io che faccio la figura della
poco di buono, non tu... e poi che gliene frega? Dai... già
adesso sei troppo ubraco, se ti fanno il test alcolemico sei fritto."
Inststeva. Forse una piccola parte di lei stava immaginando come
sarebbe stato farsi stringere dalle sue braccia.
"Non sono ubriaco... e non voglio diventarci. Però ancora un
po'
di chamapgne ci sta. Ma solo un bicchiere. Poi a nanna." La
ammonì il ragazzo. Lui invece aveva paura di combinare
qualcosa di irreparabile, se fosse rimasto a dormire con lei.
Beth rise di nuovo, si alzò e lentamente
raggiunse il frigobar, da cui prese di nuovo la bottiglia.
Jason nel frattempo era andato alla finestra, e stava guardando lo
skyline viola scuro della metropoli: "Come fa a non piacerti? E'
maestosa."
Lei riempì di nuovo i calici e lo raggiunse: "Visto
dall'alto
sembra tutto più bello... ma là sotto... sul
marciapiede... ti soffoca." Passò il bicchiere all'amico,
guardando di sotto i pedoni che passavano, a cinquanta metri di
distanza. Lui sorseggiò il liquido chiaro per un poco, prima
di
parlare di nuovo: "Servirebbe della musica... un buon blues... o
Chopin... aspetta. Spegni la luce... metto la musica dal cellulare." E
si voltò per andare alla scrivania, dove armeggiò
per
qualche secondo con il Blackberry, mentre Beth spegneva la luce e
tornava alla finestra. Il timbro caldo e sensuale di un saxofono
riempì la stanza,
presto accompagnato da quello ipnotizzante di un pianoforte. Beth non
conosceva il pezzo, ma
Jason aveva ragione. Calzava a pennello con il caleidoscopio di luci
sgargianti che delineava i contorni dei grattacieli scuri.
In cielo
non si vedevano le stelle, perchè Seoul brillava
più di
loro.
Un aereo sflilò silenzioso, lontanto, e Beth ne
sueguì la traiettoria finchè rimase nel suo campo
visivo,
mentre finiva lo champagne.
Sentiva la testa persa in un batuffolo di
cotone, con la musica che sembrava riempirla totalmente, e sembrava che
fosse proprio lei a definire i contorni delle cose.
Poi un paio di mani si posarono sulle sue braccia, e lei vide Seoul
riflessa negli occhi di Jason, che la attirò a sè
lentamente, e lei appoggiò la testa sul suo petto caldo,
lasciandosi avvolgere dal suo abbraccio. Poi tornò a
guardare
fuori dalla finestra la città che presto iniziò
ad
ondeggiare a ritmo con il movimento delle spalle del ragazzo. Poco dopo
la
musica si interruppe e partì un altro pezzo. Questo lo
conosceva. Era Only
you.
"Dai... non ci credo che l'hai scaricata..." Sollevò lo
sguardo
verso di lui. Un giorno in uni avevano criticato fortemente i clichet
come le coppie che si consumavano le suole sul pavimento a ritmo di
Only you.
Jason, per tutta risposta, ridacchiò e la strinse
più forte, cantando la canzone con più enfasi e
struggimento che poteva. Beth rise; era notte fonda, ma non si sarebbe
mai sognata di chiedere al ragazzo di tacere. Quindi posò
una
mano sulla sua spalla e fissò l'altra in quella di lui,
cominciando a muovere i piedi sul posto. Lui soffocò una
risata
e tenne stretta a sè Beth, posandole una mano sulla schiena,
mentre continuava la performance.
Poi Jason terminò con l'acuto finale e la musica si spense,
lasciando come sottofondo solo il sordo rombare del traffico.
Elizabeth sciolse l'abbraccio, ma il ragazzo mantenne salda la presa
alla base della sua schiena. Lei sollevò lo sguardo e
sorprese
il vecchio amico a fissarla con un'espressione indecifrabile negli
occhi caldi e liquidi, e le sue labbra erano troppo vicine. Beth
sentì una stretta allo stomaco e si costrinse a respirare.
Forse non avrebbe dovuto bere tutto quello champagne. Perchè
era
colpa dello champagne, se la propria mano era volata ad accarezzare i
capelli di lui, che erano così morbidi! E lui non si era
affatto
opposto, anzi, aveva reclinato il capo contro le sue dita. Beth aveva
il cuore che batteva all'impazzata, e si chiedeva cosa stesse
succedendo, così di colpo. Tra amici non si dovrebbe... era
sbagliato! No, Jason
fermati!
gridava il suo buonsenso, ma venne subito messo a tacere proprio da
lui, che
si chinò e catturò le sue labbra con un bacio.
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Capitolo 7 *** Capitolo 7 ***
ffledapple7
- Capitolo 7 -
Elizabeth si scostò da Jason imbarazzata, cercando di
guardare altrove e di evitare gli occhi dell'amico.
Jason lasciò lentamente la presa sulla ragazza e si
portò
una mano sulla nuca. "Scusa... non so che..." mormorò piano,
mentre lei cercava a tastoni l'interruttore.
"No... non fa nulla..." Pigolò Beth, ancora scossa, ma non
del tutto convinta che fosse stato così sbagliato.
Si sentiva solo come se fosse appena scesa da un ottovolante e non
sapesse se avesse appena concluso un'esperienza terribile o la migliore
della sua vita. Alla fine trovò il pulsante, e la luce della
plafoniera accecò entrambi, dissolvendo ogni traccia di quel
pulviscolo magico che li aveva avvolti come un mantello invisibile,
mentre ballavano sotto la luna.
"Io... vado. Mercoledì ho un ritaglio di tempo... posso
portarti
ad Incheon." Jason si sforzò di infilare un piede dietro
l'altro in direzione della porta, guardando Elizabeth quasi di
nascosto, come se avesse paura di rimanere pietrificato lì
per
sempre, se lei avesse ricambiato lo sguardo.
"Ah... okay... grazie..." Lo raggiunse strisciando i piedi, e
lentamente posò la mano sul pomello della porta per girarlo,
ma
era ancora intorpidita, e nel momento stesso un cui sentì lo
scatto metallico della serratura, capì quale fosse realmente
il
suo punto di vista sulla faccenda.
Forse per telepatia o per idiosincrasia o per qualche istinto
primitivo, nello stesso istante Jason agguntò il polso della
ragazza per tirarla a sè e baciarla di nuovo. Lei si
lasciò afferrare e premette il busto contro il suo petto,
mentre
accoglieva la sua lingua tra le labbra e lo baciava con foga, senza
pensare a nulla che non fosse trovarsi di nuovo stretta fra le sue
braccia, ma alla fine fu proprio lei ad interrompere Jas. Aveva bisogno
di aria.
Il ragazzo la guardò negli occhi, senza più paura
di
rimanere pietrificato, rendendosi finalmente conto di
provare attrazione fisica per la sua migliore amica. Beth
ricambiò il suo sguardo, pensando che il color cioccolato
delle
sue iridi fosse ancora più caldo, in quel momento, e gli si
avvicinò. Premette le labbra contro le sue e le schiuse con
più calma, ed entrambi si abbandonarono ad un bacio
più
lento, più affettuoso ed eccitante, senza l'imbarazzo del
primo
nè la frenesia del secondo. "Ti accompagno?"
sussurrò poi
lei, senza allontanarsi troppo.
"No... non c'è bisogno... rimani pure qui e
riposati."
Jason le posò un bacio sulla fronte e scivolò via
dalle
sue braccia, diretto ad aprire la porta. Beth lo lasciò
andare a
malincuore, ma era bello vedere come il suo viso splendesse di quel
sorriso tipico di chi si è perso in un
paradiso tutto terreno.
"Allora ciao... a mercoledì." Beth lo salutò
dalla
fessura della porta, guardandolo con gli occhi socchiusi, che ancora
dovevano riabituarsi alla luce: "Secondo te è colpa
dell'alcool?" Gli chiese poi a bruciapelo. Non aveva fatto in tempo a
frenare la lingua e si pentì di aver posto la domanda il
secondo
dopo. Aveva paura. Sia che la sua risposta fosse affermativa sia che
fosse negativa.
"Sì... E' stato lo champagne." Rispose lui lentamente, con
espressione pensierosa, non del tutto convinto. "Ammettilo, l'hai fatto
apposta. Volevi stuprarmi." Aggiunse poi, ridacchiando.
"Ahahah. Sì, esatto, volevo violentarti a sangue." Elizabeth
non
sapeva se la sua risposta l'avesse soddisfatta o meno. Non era
abbastanza sbronzo per ammettere di averla voluta baciare o era stato
davvero solo per l'emozione del momento?
"Ma allora potevi farlo anche senza ubriacarmi!"
"Sei un pirla, Jason..." Beth lo guardò sconvolta, cercando
di non soffocare dalle risate.
"Lo so. Buonanotte Elizabeth... Non starmi troppo male... E prendi
un'aspirina." E le regalò un sorriso che avebbe sciolto
l'Artico.
"Okay, Dr Feelgood... anche tu... Buonanotte." Sarebbe rimasta
volentieri lì sulla porta a tubare con Jas, ma lui fu
abbastanza
sensato da voltarsi ed imboccare il corridoio, lasciando la ragazza
all'incombenza di chiudere la porta.
La finestra era lì davanti a lei e Seoul pure. Spense la
luce e
la lasciò risplendere, mentre scivolava sulla moquette
morbida, di nuovo coccolata dalle morbide braccia
dell'oscurità,
proprio come nella sua mente scivolava e si consolidava la
consapevolezza di provare qualcosa
per Jason da un sacco di tempo.
Da quando? Dalla pizzata in cui aveva cantato per lei? No... cantava
per lei la maggior parte delle volte... da quando aveva posto al prof
di chimica quella domanda che l'aveva mandato in crisi mistica? Boh.
Non aveva mai avuto tanto tempo per rifletterci, durante
l'universtà. Aveva sempre cercato di prestare più
attenzione alle lezioni e agli esami che a trovarsi un ragazzo.
Forse proprio perchè la soluzione su questo fronte l'aveva
sempre avuta accanto a sè.
Si alzò e, barcollando, si spogliò prima di
infilarsi in
doccia. L'acqua calda la avvolgeva e la accarezzava dolcemente proprio
come aveva fatto Jason poco prima. Fece scorrere le dita sui propri
fianchi, sui lombi, sulle natiche... smise subito, arrossendo, mentre
tornava a posare le mani sul doccino.
Ormai era ovvio. Era sempre stata cotta persa di Jason.
Beth rise. Faceva uno strano effetto. Era sua... era sempre stata sua.
Chiuse l'acqua e si asciugò con calma, prima di infilarsi la
camicia di seta e scivolare sotto le coperte.
Anche se alla fine non chiuse occhio per tutta
la notte, e rimase a fantastiare in un limbo di paure e desideri.
Sfinita dalla nottata, appena la sveglia aveva segnalato un orario
decente, aveva chiesto la colazione in camera alle sette
e mezza, anche se normalmente scendeva al ristorante verso le nove, ma
le era venuta fame, con tutto quel rigirarsi e cercare la posizione
giusta per dormire..
Per non parlare del mal di testa post-sbornia allucinante che faceva
ondeggiare la stanza come una barca in alto mare, tantochè
mandò giù il caffè che aveva ordinato
a piccoli
sorsi, cercando di concentrarsi sul liquido caldo che le scorreva in
gola e non sulla scrivania che continuava a cambiare forma e posizione.
Alla fine la sbornia vinse, e Beth fu costretta a spostare rapidamente
il vassoio dalle proprie gambe al letto per correre in bagno a
svuotarsi lo stomaco. E lì, con la fronte appoggiata contro
l'asse del water, si chiese se Jason stesse male quanto lei.
Al pensiero di lui, lo stomaco della ragazza fece una capriola. Ma una
capriola buona, vicina alle famose farfalle (sempre nello stomaco), e
non ad un rigurgito. Beth sorrise, tremando per i conati.
Spero di no.
E vomitò di nuovo.
Aveva il sospetto che quello che era successo la sera precedente non
fosse stato causato dall'alcool, e una parte di lei si crogiolava
all'idea come un'ape in un campo di fiori, mentre l'altra avrebbe
voluto estirpare ogni dubbio come gramigna.
Non le era permesso innamorarsi di Jas... tantomeno se era ricambiata
-e sembrava proprio che lui ricambiasse. La logicità della
situazione lo impediva.
Innanzi tutto perchè abitavano, vivevano e lavoravano in due
nazioni diverse, che distavano dieci ore di volo (tredici! Come lei
stessa aveva precisato a Hyoseok la sera precedente) l'una dall'altra,
poi perchè il lavoro inglobava completamente l'intera
giornata
ad entrambi (Beth non aveva ancora un lavoro fisso, stava finendo il
periodo di stage, ma aveva inviato numerosi curricola a varie cliniche
odontoiatriche non solo a Brisbane, ma anche a Sydney, Melbourne, Gold
Coast e Newcastle, e contava di iniziare a lavorare il
prima possibile) e, last
but not least,
perchè Jason era un idol, e gli idols, in ogni nazione, sono
sempre seguiti passo passo dalle fan e dai paparazzi, che si
avvinghiano come edera e succhiano la linfa vitale dei personaggi
famosi per soldi o anche solo per assaporare un po' di quella polvere
di stelle luccicante che i vip si lasciano dietro come una scia; se
avessero scoperto che uno dei loro beniamini aveva una relazione si
sarebbe scatenato il finimondo.
Tutto questo avrebbe minato ogni tipo di rapporto stabile.
Ha quasi distrutto ogni
rapporto fra noi.
Ecco il rimedio! Il veleno era anche la medicina: sarebbe stato meglio
troncare ogni indizio di un coinvolgimento emotivo prima che potesse
evolversi e raggiungere il punto di non ritorno, quello in cui non
sarebbe stata capace nemmeno di respirare, senza la vicinanza (fisica
e/o mentale) di Jas.
La ragazza strisciò fino al lavandino, afferrò
spazzolino
e dentifricio e, senza avere il coraggio di alzarsi, si
appoggiò
alla parete della doccia in vetro smerigliato e si lavò i
denti.
Non le piaceva per nulla quella soluzione. Ormai si era abituata pian
piano a riavere il proprio migliore amico, e le metteva angoscia la
possibilità che potesse di nuovo tornare a non sentirlo
più. Neanche si ricordava più come fosse, quando
non lo
sentiva!
Era il primo buongiorno con cui si svegliava e l'ultima buonanotte con
cui si addormentava, e ogni minuto libero era buono per scrivergli su
whatsapp.
Gli mancava anche solo se non lo sentiva per mezza giornata... smettere
di colpo di parlargli era un'opzione fuori discussione.
E' già il
punto di non ritorno.
Si costrinse ad alzarsi per sputare il dentifricio e finire le
abluzioni con il morale sotto i tacchi (anche se era a piedi nudi).
Prima il dovere, poi il piacere.
Eh, ma allora tantovale
rinchiudersi in convento e farsi monaca.
Anche se, con lui a Seoul...sarebbe stato decisamente peggio del
monachesimo.
La mattinata scorreva lenta, ed l'umore di Beth diventava sempre
più nero, e avrebbe raggiunto livelli catastrofici, se il
telefono non avesse squillato.
La giovane face strisciare il Samsung sul letto verso di lei e
accettò la chiamata. Era il St. Paul di Brisbane, che voleva
fissare un colloquio conoscitivo per decidere se fosse idonea o meno a
lavorare da loro.
Beth, emozionata, cercava di rispondere con un tono sobrio, riposato e
sereno, che non lasciasse trapelare il proprio status attuale
-cioè la sbronza e la cotta- e riuscì a fissare
un
appuntamento per il giovedì seguente alle 10 di mattina. Un
orario più che ragionevole. Avrebbe avuto tutta la mattinata
per
modificare miliardi di volte la presentazione, il sorriso, lo sguardo,
la camminata, i pantaloni (che dovevano cercare di non farle sembrare
il deretano non proprio invisibile una mongolfiera), la
camiciagiaccamagliettacardigan e tono di rossettomatita o acconciatura.
Ma per questo c'era tempo. Per il momento bisognava festeggiare.
Aprì la rubrica del cell e, senza neanche pensarci,
digitò il numero di Jason... che, ovviamente, non rispose.
Era
in radio.
Elizabeth sorrise a se stessa e compose il numero di Chloè.
Doveva festeggiare con qualcuno. Anche se, senza Jason, sarebbe stata
una festa molto triste. Fece una smorfia. Forse sarebbe stato meglio
lasciar stare, pensava.
No... per fare cosa? Piangersi addosso? Almeno con
Chloè si sarebbe un po' distratta.
Magari poteva approfittarne per fare un po' di shopping in
centro...
La radio a tutto volume dava una vecchia canzone di Britney Spears, "I
love rock 'n roll", che Jason e Beth stavano cantando a squarciagola,
sulla tangenziale diretta all'aeroporto.
Lui ammiccava
maliziosamente al guard rail e lei fingeva dei virtuosismi su una
chitarra immaginaria.
"Beth, perchè non impari sul serio a suonare la chitarra?
Così io canto e tu suoni." Rise lui una volta terminato il
pezzo, senza distogliere l'attenzione dalla strada.
"Ahahah! Poi Youngjun si ingelosisce..." Rispose lei, abbandonandosi
nel sedile e volgendo lo sguardo su di lui. Più lo guardava
e
più si chiedeva come diavolo avesse fatto a non innamorarsi
prima di lui. La luce fioca dell'alba intesseva giochi dorati fra i
suoi capelli e risaltava la sua carnagione ambrata, danzando sulle sue
braccia, che la camicia copriva solo fino agli avambracci
perchè
lui ne aveva rimboccato le maniche, e le mani controllavano saldamente
il volante. Anche le sue mani erano fantastiche. Curate, non troppo
grandi e... Beth arrossì e si costrinse a concentrarsi sugli
alberi bagnati dalla luce solare fuori dal finestrino.
Jason sorrise alla sua osservazione: "No... perchè? Potresti
diventare la nostra seconda chitarrista."
"Naaah... poi sarei l'unica ragazza e dovrei avere un camerino da sola,
una stanza da sola... sarei sempre da sola." Incrociò le
braccia
sul petto e mise un finto broncio.
"Ma no.. potresti benissimo stare con noi, se ti senti sola."
Ridacchiò il ragazzo, e Beth spalancò gli occhi
in
un'espressione scandalizzata:"Cosa? E tu lasceresti che gli altri mi
guardino?".
"Sono educati, si girerebbero. Ti sei subito preoccupata di loro...
sottointendi che io posso guardare?"
Arrossì di nuovo, accorgendosi che, effettivamente, la frase
era
ambigua, "Ma..." Si sentiva una stupida. Normalmente avrebbe tirato
fuori qualche battuta poco virginale e la cosa sarebbe morta
lì,
fra le risate. Ma in quel momento rimase semplicemente senza parole.
"Scusa..." Sussurrò Jason. Evidentemente anche lui sentiva
di
essersi spinto un po' troppo in là. Beth tornò a
guardarlo in viso, trovandovi di nuovo quell'espressione indecifrabile
e... era arrossito?
"E' tutto apposto Jas... una sbirciatina puoi darla. Ma solo
perchè mi tenevi il posto in uni." Ridacchiò
Beth,
accarezzandogli il braccio, intenerita.
Jason afferrò la mano e, sorridendo, vi posò
sopra un
bacio. E Beth si avvicinò e gli circondò le
spalle, per
poi schioccargli un bacio sulla giancia, a cui lui rispose ruotando il
capo per sfiorarle le labbra.
"Mi saluterai Sandra e Jillian?" Chiese dolcemente, mentre lei
riprendeva posto sul sedile con le gote in fiamme. "Certo... ci saranno
loro a prendermi all'aeroporto. Tornerai a trovarci, un giorno?" Beth
pose la domanda col cuore pesante, mentre l'aeroporto si stagliava
davanti a loro. "A loro piacerebbe rivederti... e anche a Robert."
"Sì... appena trovo del tempo libero faccio un salto a
Brisbane... così posso anche rivedere i miei." Si
voltò
verso di lei, distendendo le labbra in un sorriso sereno.
"Ecco, sì! Anche loro vorranno rivederti di sicuro... ah!
Sai
che l'altro giorno mia madre ha chiesto di "quel mio compagno
d'università che aveva tutti trenta"?"
"Che carina! Salutami anche lei... L'ho vista un paio di volte ma mi
è sempre sembrata una signora gentile e affabile... Al
contrario
di quella serpe di mia madre." Mentre rallentava per parcheggiare
sorrise, ma non amaramente, questa volta. Era un sorriso affettuoso.
Beth ne dedusse facilmente che le cose con i suoi stessero andando
meglio. Ne era felice.
"Ma dai... piuttosto tu salutami gli altri LEDApple... sono
dei
bravi ragazzi. Mi fa piacere saperti nelle loro mani." Rise, mentre lui
fermava l'auto.
"Sì. E mi aiutano col coreano... faccio ancora un po' di
fatica
a volte. Allora... Elizabeth... fai un buon viaggio." Tirò
il
freno a mano ma non si slacciò la cintura: le aveva
già
spiegato che non aveva potuto prendere la giornata, ma aveva deciso di
accompagnarla comunque e di rimanere in auto, in modo tale da poter
ripartire subito. "E scusami ancora se non scendo..." la sua
espressione era sinceramentre dispiaciuta.
"Non ti preoccupare, Jason... la Starkim ti aspetta..."
Voleva
scendere, ma c'era un'ultima questione da sistemare. E non aveva la
minima idea di come iniziare il discorso.
Aveva cercato tanti modi, ma
non ne aveva mai trovato uno che la soddisfacesse. Erano tutti banali,
scontati, troppo ansiosi o troppo patetici.
"Beth..."
Lo guardò negli occhi. Il suo sguardo esprimeva chiaramente
preoccupazione, e Beth capì che non era necessario parlare.
Anche per lui la cosa era difficile. Quindi lo bloccò, prima
che
potesse rovinare tutto. "Non dirlo! Non dire nulla... lo so. Lo so
anche io... e non è il caso di giungere a conclusioni
affrettate. Non distruggiamo un'ottima amicizia per sostituirla con un
feticcio di qualcosa di incerto." Lo fermò, prima di
abbracciarlo stretto.
"Ah Beth... come sei impietosa... io non mi merito la friendzone, ne
sono sicuro... ma hai perfettamente ragione." La strinse forte anche
lui. "Promettimi che non ti dimenticherai di me, tra un paziente e
l'altro."
"Impossibile." Affermò, fuggendo dalla sua stretta. Se
rimaneva
ancora fra le sue braccia non si sarebbe più mossa di
lì.
Inoltre sentiva le lacrime che cominciavano a pungerle gli occhi, e non
voleva assolutamente scoppiare a piangere. Era patetico! "Sarai nei
miei pensieri giorno e notte." Rise, chiudendo la portiera per andare a
recuperare la valigia dal bagagliaio.
Quindì sventolò la mano per salutarlo un'ultima
volta,
prima di entrare nello stabile, e lui fece lo stesso, prima di
indossare i suoi soliti occhiali da sole mentre si rimetteva nel
traffico ingarbugliato delle sei.
@@@@@@
............ Scusate il mega ritardo nel postare.... ho ripreso
l'università e ho avuto tempo zero per postarebedjfk D:
Perdonatemi T.T
Bene Ledas, questa è la fine della prima parte, quella
ambientata a Seoul.
Nella seconda parte invece voliamo a Brisbane, in Australia :D
Qantas Airways augura a tutti buon viaggio /???
|
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Capitolo 8 *** Capitolo 8 ***
ffledapple8
Parte II
Sail the Ship
- Capitolo 8 -
Jason aveva premuto la schiena di Beth contro le piastrelle in
linoleoum della cucina e l'aveva baciata.
Il volo da Incheon a Brisbane era stato pieno di turbolenze e vuoti
d'aria, che i passeggeri, evidentemente quasi tutti inesperti di voli
lunghi, avevano preso male e si erano messi a pregare, guidati da un
pastore protestante che si sentiva Noè sull'arca e sembrava
che
avesse lui stesso in mano il quadro con i comandi.
Jason era credente ma, porca vacca, placati! Si può pregare
anche senza atteggiarsi come sul set di un kolossal. Sulla strada
insieme con Beth l'aveva preso per i fondelli in un modo
terrificantemente blasfemo e si aspettava un fulmine divino da un
momento all'altro. Anche se per il momento la giornata era soleggiata e
non
erano previsti rannuvolamenti. Solo caldo boia, e quando Beth
aveva aperto la porta del queenslander che
aveva acquistato da poco, Jason si era fiondato in cucina senza troppi
complimenti e si era attaccato al rubinetto.
"Ehi, lasciane un po' anche al resto della città!" Aveva
commentato lei ridendo. Per poi svuotare la caraffa. Era stato circa in
quel momento che il ragazzo si era avvicinato a lei silenzioso come un
gatto e aveva iniziato a riempirla di baci.
Erano passati nove mesi da quando Elizabeth era stata a Seoul, e da
allora lei era riuscita a comprarsi l'appartamento con i primi guadagni
e con qualche aiuto da parte dei suoi genitori. L'aveva
trovato
già ammobiliato per metà, ma la cucina ed il
bagno
necessitavano decisamente di manutenzione. Sarebbe stata la sua
prossima spesa.
"Quando arrivano gli altri?" Jason interruppe il bacio e le
accarezzò una guancia, guardandola negli occhi. Aveva
sognato
quel momento più o meno ogni giorno, da quando lei era
tornata a
Brisbane. Quelle volte che i suoi sonni non erano stati popolati da
immagini così vivaci da aver avuto bisogno di ricorrere ad
un
lavoro di mano, al risveglio. A volte la nostalgia di lei era stata
impietosa
come la puntura di una vespa.
"Tra un quarto d'ora circa" Le mani di Elizabeth frusciarono sulla
schiena del ragazzo e si strinsero sui suoi lombi.
"Un quarto d'ora?" La premette contro la parete e la prese in braccio.
Beth avvolse subito le gambe attorno ai suoi fianchi "Più un
altro quarto d'ora accademico? Jillian anche venti minuti..." Si
chinò sul collo della ragazza e lo baciò
lentamente,
inspirando il profumo a base floreale che indossava, contaminato dal
sapore naturale della sua pelle accaldata dal viaggio. Si autoconvinse
a calmare gli ormoni, mentre le dita della giovane scorrevano
così piacevolmente tra i propri capelli, altrimenti la
vecchia
compagnia al suo arrivo li avrebbe trovati lì
così sul
muro in deshabillè. E non era un buon modo per rivedersi
dopo
tanto tempo.
"Jillian arriverà con Sandra... E poi Robert da solo"
Mormorò Beth come se stesse facendo le fusa, accarezzandogli
teneramente la nuca. Jason sollevò la testa e gli venne
voglia
di farla collidere contro il muro davanti a sè. Sandra
avrebbe
guidato? I + 35 minuti appena calcolati si ridussero drasticamente a
-2. Conoscendola, probabilmente era già fuori dalla porta
con il
dito quasi premuto sul campanello.
"Forse è meglio se..."
"Già..."
Beth allentò la presa e Jason la posò di nuovo a
terra. Appena in tempo. In quel momento un driiiin acuto e
leggermente nasale -dopotutto era un campanello del Queensland-
riempì l'appartamento.
"Calma il tuo old fella...
io vado ad aprire." Sussurrò Beth
stampandogli un bacio sulle labbra, prima di percorrere i pochi metri
necessari per raggiungere la porta. Jason inspirò ed
espirò un paio di volte cercando di pensare ad un mare calmo
con
gabbiani e tante conchiglie, mentre si passava le mani nei capelli e
pirlava in tondo per seguire il consiglio della ragazza.
"Ehi Beth! Dov'è finito quel nerd egoista che cambia
emisfero
senza dire niente a nessuno?" Ecco Jillian con il suo cinguettio.
Poteva quasi vederla abbracciare Elizabeth, darle tre baci sulla
guancia e guardarsi attorno. Sandra, invece, come sempre era calma e si
limitò ad un ciao. Sicuramente aveva anche sorriso. Sandra
era
l'esatto opposto di Jillian. Dove una era spumeggiante ed esuberante,
l'altra era pacata e riflessiva.
"E' in cucina a bere... Jason! Sei stato risucchiato dal buco di
scarico?" Lo chiamò Beth, e lui si decise a presentarsi a
quella
rimpartiata fra amici e andare a salutare le ragazze.
"Sono viv--"
"JASON!" Non ebbe il tempo di finire la frase che venne investito da
Jillian, fiondatasi a stringerlo come un peluche. "Ma dove sei finito,
babbeo? Qui abbiamo tutti sentito la tua mancanza! A quella povera
disgraziata a momenti non viene un esaurimento nervoso!" Gli
circondò il viso con le mani e piantò i suoi
occhi verdi
imbronciati in quelli del ragazzo, indicando Elizabeth con un'unghia
smaltata di blu elettrico. Jillian era stata una cheerleader
della squadra di football dell'ateneo, e spesso si comportava
esattamente come ci si aspetterebbe da una cheerleader anche se, in
realtà, raggiungeva quasi sempre il massimo dei voti e non
era
affatto stupida o di facili costumi.
"Mi dispiace, ragazze... mi farò perdonare." E sciolse
l'abbraccio con koala-Jillian per salutare anche Sandra. Anche lei era
felice di rivedere l'amico, ma non lo dimostrò in modo
così teatrale come Jillian. Un bacio sulla guancia ed un
sorriso genuino.
"Da me ti sei già fatto perdonare abbastanza."
Commentò
lapidaria Beth con un vago gesto della mano, sedendosi sul divano.
Jillian sgranò più che potè gli occhi,
passando da
koala-Jillian a rana-Jillian, e unì le mani con uno schiocco
secco: "Lo. Sa-pe-vo." Fece scorrere lo sguardo da Jason a Beth e da
Beth a Jason almeno una decina di volte. "Da quando? E Beth, santo
cielo! Perchè non l'hai detto? Voi due siete identici: non
parlate mai con nessuno delle cose più importanti. Dio li fa
e
poi li accoppia. Siete terribili!"
"Non in quel senso..." Beth cercò lo sguardo di Jason.
"No... noi non..." Jason cercò lo sguardo di Beth.
"Non siamo..." Continuò la ragazza.
"Non siamo fidanzati." Concluse lui con un sorriso. Era la
verità. Stavano ancora cercando di capire se fosse possibile
una
relazione stabile fra di loro, e per il momento preferivano entrambi il
silenzio stampa sull'argomento.
"Ah. Beh, dovreste pensarci... siete fatti l'uno per amare l'altra."
"And I can't get enough of you babe, can you get enough of me?" Jason
non resistì e partì a cantare la strofa della
famosissima
I was made for loving you
dei
Kiss come un jukebox. Beth rise e accavallò le gambe.
Rana-Jillian si sedette accanto a lei e si sporse al suo orecchio: "Sei
pazza di lui. Ammettilo Beth."
"Jillian, ma dai! Che ti salta per la testa? Ragazzi... sedetevi!" Fece
cenno a Jason e Sandra, ancora in piedi. "Piuttosto... tu ed Alfred
siete riusciti a trovare una lavastoviglie?" Jillian quando insisteva
era asfissiante. Stringeva la presa sulla sua vittima come un boa
costrictor e non
la mollava finchè non l'aveva soffocata.
"Sssì. Cambia discorso, brava. Tanto ti ho sgamata. No...
stiamo
girando tutta Brisbane ma non ne abbiamo trovata una con un prezzo
decente."
"Quindi vivete assieme?" Jason aveva occupato la poltrona ed era felice
che Beth avesse puntato l'attenzione su qualcos' altro.
"Sì... da quattro mesi ormai. E' più divertente e
si
porta avanti meglio una casa, con due stipendi... non viviamo come dei
pascià, però non ce la passiamo male. Tu Jason
dove sei, lì in Corea? Hai un appartamento?"
"No... vivo nel dormitorio della casa discografica con i miei
bandmate." Spiegò il ragazzo.
"Oh! Anche questo deve essere divertente!" Annuì Jillian,
ritornando Jillian-e-basta.
"Sì... ci scanniamo per il bagno di mattino e per i turni di
pulizia di sera, ma è divertente giocare a vedere chi appena
sveglio è più rimbambito."
"Di solito di vince il premio?" Chiese Beth.
"Dipende... spesso Kyumin, ma anche Kwangyeon... sono il rapper ed il
bassista." Aggiunse poi, per Jillian e Sandra.
"Devo tornare a salutarli, prima o poi... ma Robert? Non arriva
più?"
"Stavo aspettando che finiste il discorso per dirvelo..." Rispose
Sandra, schiarendosi la voce: "Poco fa mi ha inviato un messaggio
affermando di aver avuto un contrattempo... e non sa se
potrà venire." I suoi occhi si soffermarono per qualche
secondo
in più su Elizabeth.
"Ah... mi dispiace. Spero che riuscirà a raggiungerci"
Commentò lei, con un velo di tristezza. Dopo il suo viaggio
in
Corea, lui l'aveva ricontattata, spieganole che, dopotutto, tra loro
c'era stata una buona amicizia, ed era stupido mandare tutto a rotoli
in quel modo. Insomma si era rinchiuso da solo nella friendzone, forse
sperando di essere ammesso a qualcosa di più, un giorno o
l'altro.
Beth era stata scettica, e non aveva creduto realmente che si potesse
fare. Se davvero Robert si era innamorato di lei, non avrebbe cambiato
i
propri sentimenti nei suoi confronti tanto facilmente, e di questo ne
avrebbe sofferto. Tuttavia aveva voluto provare a continuare ad essere
sua amica, sebbene
credesse che le cose non sarebbero mai potute tornare com'erano prima.
E infatti, mentre ascoltava Sandra, si diede ragione.
"Vi prego, ditemi che non sono la sola a pensare che sia una scusa.
Jason, lo sai che Robert ha preso una sbandata per Beth? Lei non lo
ricambia, ovvio... è troppo impegnata con il lavoro..."
Jillian mimò due virgolette con le dita: "... Per dargli
corda.
Ma non fargli male... è solo un povero pulcino spaurito. E'
più o meno il Robert di sempre, solo in versione
imbambolata."
"Gioca ancora a Battlefield
fino a notte fonda?" Domandò Jason con affetto, senza
traccia di
preoccupazione. Era più che sicuro che Beth preferisse curare i propri affari,
piuttosto che stare dietro a Robert. Non c'era disprezzo, nella sua
voce. A sedici anni anche lui passava il tempo libero sui videogiochi,
ma Robert era il tipico caso di dipendente patologico dal mondo
virtuale, altrimenti detto gamer.
"No... ci va più piano. Anche lui ha un lavoro, adesso, e
non ha più così tanto tempo da dedicarvi."
"Davvero? Dove l'hanno preso?"
"Al Queen Elizabeth II. Per il momento è assistente, ma
presto credo che otterrà uno studio suo."
"Ma questa è un'ottima notizia! Dovremo festeggiare, quando
ci
riuscirà!" esultò Beth. Era sinceramente felice
per
l'amico. Dopotutto faceva parte della compagnia da quasi subito, da
quando lui e Jason erano finiti nello stesso tavolo di lavoro durante
la lezione pratica di chimica, e le dispiaceva che soffrisse
perchè provava dei sentimenti che lei non poteva ricambiare.
Tuttavia era convinta di aver preso la decisione giusta, respingendolo.
Se l'avesse illuso, gli avrebbe fatto ancora più male e
sarebbe
stata veramente meschina.
"Sì, certamente... se riesce a farsi una ragione di essere
nella
friendzone..." Sandra parlò per la prima volta, quel
pomeriggio.
"Beh ovvio... Jason, tu dovrai evitare di limonarti Elizabeth davanti a
lui." Aggiunse jullian.
"Ahahah! Jillian basta." Gli occhi di Beth incontrarono quelli di Jason
e poi tornarono a rimproverare la ragazza seduta accanto a lei:
"Ragazzi, preparo un tè?"
"Perchè invece non torniamo tutti insieme tra la Hoolahoola e la Sunset?
Mi manca stracciare Jason con quattro bracciate." Propose Sandra,
riferendosi alla striscia lunga una ventina di metri a nord di
Brisbane, poco lontana dalla St.Helena Island,
che era la spiaggia libera su cui tutti insieme si accampavno appena
avevano un po' di tempo libero dagli studi ai tempi
dell'università.
"Non è vero che mi stracciavi! E poi non vale... tu
partecipi ai
campionati nazionali di nuoto! Per forza mi battevi... e battevi me
perchè nessun altro aveva il coraggio di sfidarti." Jason
ricordava
le pagaiate poderose della ragazza, allenata a lavorare di
velocità nelle piscine olimpioniche, che riuscivano sempre a
sminuire i propri bicipiti da quarterback. Quasi. Una volta,
però, era riuscito a vincere. E sarebbe stato felice di
provare
a sconfiggerla di nuovo.
"Aaah! Mi sembra un'ottima idea... Beth. Prendi la crema solare e
andiamo." Jillian si stiracchiò, poi scattò in
piedi.
"Sandra... avverti Robert. Magari quel povero disgraziato riesce ad
essere dei nostri, se nomini la spiaggia."
Effettivamente Jillian aveva ragione: Robert si unì alla
combricola e li raggiunse direttamente in loco. All'inizio tra lui e
Jason ci fu un attimo di imbarazzo, che si tramutò in falsa
cordialità, ma non sfociò nello scontro diretto,
rimase
la stessa tensione di una giornata nuvolosa con molti lampi. Non sai
mai
quando e se sarebbe scoppiato il temporale.
Alla fine fu proprio Elizabeth a dichiarare che l'esperimento fosse
fallito, che sarebbe stato meglio tornare a casa perchè era previsto brutto per il
pomeriggio
anche se non aveva idea di quello che pronosticasse il bollettino meteo
di quel giorno, perchè si sentiva mortificatamente a disagio
a
vedere l'amico e l'uomo che amava beccarsi come due galline in
un pollaio
Jillian e Sandra sentirono le avvisaglie dell'uragano (non quello
inventato da Beth) e preferirono diradare le nubi prima che succedesse
il patatrack.
Anche se, lì lo pensavano tutti, ormai il patatrack sarebbe
stato inevitabile.
@@@@@@@@@@@
G'day da Brissie! :D
Ebbene sì... da questo capitolo in poi saremo in Australia.
:D Ve gusta? A me sì *abbarbicata ad un canguro/?*
E i nostri eroi (/?) saranno lontani dalle pressioni dei riflettori
coreani. Sarà meglio o peggio?
Per citare: lo scopriremo solo vivendo.
Ps: ascoltando la radio c'è un tipo che si sta vantando
perchè, grazie alla posizione geografica dell'Australia (...
è un'isola), il Paese è meno esposto al rischio
di contrarre l'ebola. Certo... può capitare anche a loro, ma
è meno probabile.
... dopo questo ci sarà un fuggifuggi generale verso
l'Australia. LOL
Anyway... see ya later mates!
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Capitolo 9 *** Capitolo 9 ***
ffledapple9
- Capitolo 9-
L'acqua era gelata esattamente come se la ricordava.
Il sole era sorto da poche ore e non aveva ancora fatto in tempo a
scaldare le onde dell'oceano.
Jason era immerso fino ai polpacci e si stava bagnando per
far
abituare il corpo alla temperatura dell'acqua, mentre aspettava
che Beth. si cambiasse; infatti, qualche secondo dopo, il
silenzio
impregnato dalla salsedine portata dalla brezza venne interrotto dal
rumore della sabbia che veniva spostata.
Jas si voltò, e la giovane stava camminando verso di lui in
bikini azzurro, con gli occhi bassi sulla sabbia per non inciampare e
una mano che teneva ingabbiati contro il vento i capelli nero
pece. La raggiunse sorridendole e le prese le mani per trascinarla
verso l'oceano. Lei lo seguì ridendo piano, ma si
fermò
dopo aver immerso i piedi nell'acqua, "E' ghiacciata!"
mormorò.
"Non avrai mica paura... dai, l'abbiamo già fatto altre
volte...
Poi passa e ti scaldi. Ci vuole solo un po' di...
preparazione" Il
ragazzo si chinò e prese l'acqua con le mani per versarla
prima
su un polpaccio di lei e poi sull'altro. Ma solo così non
avrebbe funzionato, quindi prese del'altra acqua e la usò
per
inumidire le sue cosce, accarezzandole con le dita dal basso verso
l'alto. Era completamente incantato dalla sua pelle morbida, e si rese
conto di quello che stava facendo solo quando la mano di lei
all'improvviso strinse la sua
spalla. Sollevò lo sguardo e la sorprese a mordersi
il labbro inferiore, con le gote arrossate e uno sguardo molto
imbarazzato. Di colpo avvertì lui stesso una familiare
scarica
di calore e spostò le mani dalle sue gambe, anche se avrebbe
voluto continuare. Invece cercò nuovamente la sta mano per
stringerla e portò la ragazza verso il largo.
"Ehi Jas... va' che so camminare da sola, non mi ricordo se te l'ho
detto..." Disse lei poco dopo.
Il giovane sorrise tra sè e sè e la
lasciò per poi
voltarsi: "Ti sto guidando su un sentiero nascosto. Se fai
dei passi diversi dai miei finirai inghiottata dalle onde e la tua
anima non avrà più possibilità di
redenzione."
"Ma quante stronzate, che spari." Rispose lei sconsolata e prese
dell'acqua con le mani per gettargliela addosso.
"Ah... Bebe, non sfidare la forza dell'Oceano" E le gettò
addosso il triplo dell'acqua, facendola sussultare e rabbrividire per
il freddo.
"Jason Hanbyul Jang, hai firmato la tua condanna a morte!" La ragazza
si lanciò verso di lui e si appese al suo collo, con
l'intento
di tirarlo verso il basso in una specie di tentativo di annegamento, ma
lui rimase piantato al suolo e ridacchiava per gli sforzi inutili
dell'amica.
Poi la avvolse in un abbraccio: "Elizabeth Steinhaus... sei una
schiappa." e si tuffò di lato, immergendo con sè
anche la
giovane che, colta di sorpresa, cercava di liberarsi e di tornare in
superficie, ma Jason si diede una forte spinta con i piedi e
riuscì a nuotare verso il largo, riemergendo ad una ventina
di
metri dalla riva.
"Sei un pirla!" Sbottò lei tra una boccata e
l'altra,
ansimando per l'improvvisa assenza di aria e muovendo i piedi per
rimanere a galla.
"L'idea è stata tua, in realtà..." Rise lui, e
Beth gli
si lanciò nuovamente contro, ma Jason la bloccò
catturando le sue labbra in un bacio. La giovane addolcì la
stretta al suo collo e si abbandonò al suo bacio delicato.
Poi lei si staccò e gli sorrise, e Jason rimase incantato a
guardare le sfumature violette che il sole nascente creava nei suoi
occhi celesti. Passò le dita tra le sue ciocche corvine e
lei si
appoggiò alla sua mano, prima di posare il capo sopra il
petto
del ragazzo.
Jason la strinse e, a sua volta, chinò la testa su quella di
Beth. Chiuse gli occhi, muovendo appena i piedi per rimanere a galla, e
si disse che, a contatto con lei, l'acqua non era più
così tanto fredda, e sarebbe potuto rimanere incollato al
suo
capo, lì, in mezzo all'oceano, finchè la Starkim
non
fosse venuta a spostarlo di peso.
O finchè la marea non avesse portato verso di loro uno dei
più pericolosi predatori dei sette mari.
Jason avvertì qualcosa spingere contro la propria schiena e,
voltandosi, trovò a salutarlo un esserino trasparente grande
come il suo pugno e con lunghissimi filamenti argentei, che teneva
anche lui
la testa appoggiata al proprio corpo.
Brisbane era famosa per essere infestata da quelle creature iridescenti
il cui tocco avrebbe causato l'infarto miocardico in un
bambino.
Era una cubomedusa, e Jason ringraziò ogni
divinità
esistente ed inventata per non essere a contatto con i suoi tentacoli.
In quel momento il cervello gli inviò due informazioni molto
preziose: a) le meduse si muovono in branco b) Beth ha il terrore delle
meduse.
Guardandosi attorno vide dei puntini luccicare sull'acqua e,
prestandovi attenzione, poteva benissimo notare un contorno e un
movimento diverso da quello delle onde -la maggior parte della gente
pensa che le meduse si lascino trasportare dalla corrente, invece loro
sanno proprio nuotare, e sono anche piuttosto veloci.
Fu esattamente quella visione a dissuaderlo dal rimanere sul posto e a
fargli prendere la decisione di muovere i piedi più
cautamente
possibile per tornare verso riva. "Vieni Beth, qui fa freddo" La
esortò dolcemente, tenendola stretta a sè per
evitare che
si accorgesse da cosa fosse circondata e andasse in panico. Si
ricordava di quando erano venuti tutti insieme a fare il bagno e
Jillian aveva scambiato un sacchetto per una medusa: Beth era schizzata
fuori dall'acqua ed era rimasta sotto l'ombrellone a leggere per tutto
il resto del tempo, ed il giorno seguente era entrata in acqua solo
dopo essere stata rassicurata da Sandra che nell'acqua non ci fosse
nulla di potenzialmente aggressivo a parte Robert, che in quel momento
stava costruendo un castello con la sabbia del
fondo marino sopra la testa di Jillian.
Lei annuì e lo seguì senza protestare. Erano
quasi a riva
quando il silenzio venne spezzato da un urlo agghiacciante, e Jason si
sentì tirare verso il basso.
Beth si era piegata e stava cercando di togliersi dal polpaccio dei
sottili nastri argentei. Jas si ricordò di
un'altra
importante nozione: le cubomeduse si avvinghiano alle proprie prede.
Inorridito, cercò di mantenere la calma per se stesso e per
la
giovane, che era scoppiata a piangere per il dolore e per la paura,
aiutandola a sbarazzarsi della medusa. "E' tutto okay Beth... ci sono
qui io." Afferrò l'animale per il cappello e, con un rapido
movimento di polso, srotolò i tentacoli, liberando la sua
gamba.
Quindi portò l'essere goggiolante all'altezza degli occhi e
lo
rimproverò: "Stronza. Meriteresti l'essiccazione per quello
che
hai fatto alla mia Elizabeth, e non sarebbe neanche sufficiente. Per
questo maledico te e tutta la tua stirpe arroccata Dio solo sa dove
nelle budella dell'oceano." E lanciò via il mostro
assassino,
che creò un arcobaleno prima di tuffarsi tra le onde. Beth
rise,
tra le lacrime: "Grazie Jas..."
"E' il minimo, Beth... come ti senti?" Si chinò e la prese
in braccio, portandola sulla spiaggia.
"Mi fa male la testa... oltre alla ferita. Era una cubomedusa, vero?"
Domandò, mentre lui la adagiava sul telo da mare, sotto
l'ombrellone.
"Sì, Beth... e se vuoi saperlo ne eravamo circondati. Hai la
boccetta di aceto? Non farà molto ma di sicuro
aiuterà,
mentre chiamo
la guardia medica." Prese il borsone e lo sistemò sotto la
testa
della ragazza, rubandole un bacio.
"Ossantapace... grazie per non avermelo detto. Avrei cominciato a
sclerare e a quest'ora non sarei nemmeno viva... comunque la porto
sempre con me... è nella tasca interna della borsetta."
"Lo so." Sorrise lui, prima di aprire la sua borsa ed iniziare a
cercare. "Nella tasca degli assorbenti? Ah... trovato. Ecco. Aspetta...
bevi dell'acqua." E dalla borsetta, oltre all'aceto, prese anche la
bottiglietta d'acqua e glieli porse entrambi.
"Grazie." Svitò il tappo per bere, poi iniziò a
passare
l'aceto sopra le striature violacee, sulle quali si stavano formando
delle vesciche.
Jason la guardava preoccupato, mentre componeva il numero della guardia
medica. Quella bottiglietta avrebbe fatto ben poco. Avrebbe solo
rallentato la diffusione delle tossine nel sangue, ma era meglio di
nulla. "Buongiorno, ho qui una
ragazza aggredita da una cubomedusa... è cosciente.
Sì,
la testa. E'
già all'ombra. Si sta disinfettando la ferita con
dell'aceto...
okay anche acqua di mare.
Sì, ha bevuto. No no no... acqua! Okay... scusi, ho
frainteso la
domanda. Siamo nella spiaggia libera tra il bagno Sunbath e
HoolaHoolabay. Nord. Dieci minuti? Okay. Arrivederci."
Beth nel frattempo aveva chiuso la boccetta e si stava asciugando con
un telo preso dal borsone. "Arrivano fra dieci minuti?"
"Sì... e la tua ferita ha bisogno di acqua di mare. Se non
vuoi
più acqua la bevo io, così uso la bottiglietta
per andare
a prenderla."
"No, bevila pure."
"Okay... torno subito. Ferma lì, eh!" Le
raccomandò,
facendola ridere, poi si diresse verso la riva, finendo l'acqua. Subito
notò che le meduse si erano affollate a pochi metri dalla
spiaggia, e alcune stavano già rotolando senza vita sulla
battigia, trasportate dal rollare delle onde. Si chinò e
più velocemente possibile riempì la bottiglia;
erano
bellissime e l'acqua sembrava costellata di diamanti, ma rimanevano
comunque delle stronze assassine.
Tornò indietro, dove Beth si era imbozzolata
nell'asciugamano, lasciando scoperto solo il polpaccio ferito.
"Hai freddo?" le chiese, spostando il telo per evitare di bagnarlo. La
ragazza annuì, mentre Jason svuotava la bottiglietta
sopra la sua gamba.
"Avrai la febbre. Però respiri bene, sì?" Domanda
inutile. Se avesse avuto problemi a respirare, non sarebbe stata viva
per raccontarglielo. Prese l'aceto e ne passò ancora sopra
le
vesciche.
"Sì, credo di sì. Forse sono stata attaccata da
una
medusa già morta... di solito quelle cose uccidono." Disse
piano. In quel momento si sentì la sirena dell'ambulanza,
che si
fermò davanti alla spiaggia libera.
"Forse sei stata fortunata." Le stampò un bacio sulla fronte
e
si alzò per andare incontro ai medici. "Buongiorno... da
questa
parte." C'erano tre medici, due uomini con una lettiga e una donna con
un block notes. I due corsero subito a prendere Beth, mentre la donna
si avvicinò a Jason.
"Buongiorno. E' lei che ha prestato i primi soccorsi,
immagino...
Può venire con noi, così ci dà gli
estremi della
ragazza?"
"Sicuro, anche se potrebbe darveli direttamente... Ommerda, Beth!" Il
giovane spalancò gli occhi ed impallidì: i due
medici
erano appena passati rapidamente, ma la ragazza che trasportavano era
abbandonata sulla lettiga incosciente.
"Stia calmo, è viva. Per ora. Prenda borse, cellulari e
gioielli. Rapido. Dobbiamo portarla d'urgenza in ospedale."
Ordinò la donna, e il ragazzo si decise a levare gli occhi
di
dosso dalla lettiga e corse verso l'ombrellone per prendere la borsetta
di Beth e gli indumenti di entrambi con il cuore in gola ed il cervello
che si rifiutava di lavorare. Gli tremavano le dita e le ginocchia, e
cercava di non pensare al peggio. Dopotutto era in mani esperte in uno
dei Paesi con il livello di cure mediche più alto del
pianeta.
Non avrebbero lasciato che morisse.
Salì velocemente sull'ambulanza, che partì a
sirene
spiegate, mentre i due medici attaccavano Beth ad un respiratore
artificiale.
"Allora. Nome, cognome e data di nascita. Non la guardi. Se guarda me e
non lei, starà meglio." Jason ci mise qualche secondo a
capire
che la donna stava parlando prima di Beth, e poi di se stesso. Era lui
che sarebbe stato meglio a non guardare lei conciata in quel modo.
Prima era stato forte e aveva scherzato, soprattutto per evitare che
Beth andasse in panico, ma in quel momento era lui stesso ad essere in
panico.
"Elizabeth Steinhaus, nata a Blackall il 22 febbraio 1990 e
residente a Brisbane... vi serve altro?" Chiese Jason, dopo aver
elencato i dati di Beth con voce atona.
"Lei è un parente?" La dottoressa sollevò gli
occhi dal modulo che stava riempiendo.
"No" Scosse la testa.
"E' il marito? Il fidanzato?"
"No. Sono..." Si bloccò per un istante. Cosa era lui per
Beth? E Beth cosa era per lui? Ormai lo status amici era superato
da un pezzo, ma non se la sentiva di dichiararsi il suo ragazzo. Oppure lo era? Ma,
dopotutto... importava davvero?
"E' l'amante? Senta, devo scrivere qualcosa qui. Se ha problemi con un
fidanzato o un marito geloso posso scrivere "amico", ma non posso farla
entrare con lei in rianimazione. In realtà potrei farla
passare
solo se fosse un parente stretto od un coniuge. Quindi non importa. Ma
tieni una cosa a mente, ragazzino: di stronzi ce ne sono già
troppi al mondo, e le donne non sono a servizio del divertimento degli
uomini. Se mai sopravviverà, vedi di trattarla come si
deve." E
gli lanciò un'occhiataccia.
Jason spalancò gli occhi, arrossendo. Aveva frainteso
completamente: "No.
Non ha capito. E' che siamo in una situazione di stallo... Non
è
mia moglie, nèsolo mia amica, nè la mia
fidanzata..." Fece una pausa, indeciso se continuare il discorso o
meno, e alla fine le parole cominciarono a fluire da sole dalle sue
labbra, sull'onda dell'agitazione del momento: "E' la persona di cui mi
fidi di più al mondo e credo di amarla. Non sono uno stronzo
approfittatore e non mi è mai neppure venuto in mente di
approfittarmi di lei." Abbozzò un sorriso tirato e
angosciato,
anche se sincero. Si sentiva quasi liberato da un peso, dopo aver
pronunciato il discorso.
La dottoressa gli rispose con un sorriso materno caldo come il sole:
"Stai tranquillo, tesoro, starà bene. Purtroppo non possiamo
permetterti di seguirla in rianimazione, ma appena potrà
ricevere visite verremo a chiamarti."
"La ringrazio." Mormorò il ragazzo, scosso, con le lacrime
che gli pungevano gli occhi ed il magone in gola.
In quel momento entrarono nel pronto soccorso del St. Vincent's
Hospital, spalancarono i portelloni dell'ambulanza e portarono Beth in
rianimazione. Jason invece strisciò fino ad una sedia della
sala d'attesa
e telefonò a Jillian per chiederle se potesse andare a
prendere ombrellone e teli; lui non aveva nessuna intenzione di
muoversi da
lì.
**********
Commento dell'autrice: a onor del vero bisogna dire che le cubomeduse,
in Australia, uccidono nel giro di cinque minuti, ma non avevo voglia
di far morire Beth o di scatenare una scena apocalittica fra la vita e
la morte, o il clichet eros e thanatos. Sarebbe stato troppo
mainstream... Non mi
serve a nulla uno shock anafilattico... perdonate la mia deformazione
della realtà ^^.
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Capitolo 10 *** Capitolo 10 ***
ffledapple10
- Capitolo 10 -
Alla fine Jillian era corsa alla spiaggia a prendere ombrelloni, teloni
e borsoni e poi si era fiondata all'ospedale. Una volta arrivata aveva
cercato di vedere Beth, ma era stata messa a sedere accanto a Jason
finchè la ragazza non si fosse ripresa. Lei aveva protestato
ma
Jason aveva cercato di farla ragionare, e alla fine si era seduta a
gambe incrociate sulla sedia,
così il giovane aveva preso il cellulare per informare
dell'accaduto anche Sandra e Robert. Sandra aveva avvisato che, appena
libera dagli impegni di
lavoro, si sarebbe fiondata in ospedale, mentre Robert non aveva
risposto. Jason aveva pensato che fosse in bagno o che non
avesse sentito il telefono, quindi aveva riprovato una decina di minuti
dopo, ma il beep
continuava a squillare a vuoto.
Era stata Jillian che, con il suo sesto senso femminile, aveva trovato
un motivo ben più plausibile per il silenzio di Robert: "E'
perchè vede il tuo numero, bamba. Non risponderà
mai a
te. Lo sai." E aveva preso il proprio cellulare, per comporre il
numero dell'amico.
"Jillian, a me sembra che il bamba sia lui."
Sbottò Jason "Io non gli ho fatto proprio nulla... L'ho
obbligato ad andarsene? No! L'ho obbligato a rimanere? No! E' libero e
può fare quello che gli pare." Detestava tutta questa
faccenda.
Non era mai stato il grande amicone di Robert, ma si erano simpatici a
vicenda, erano sempre andati d'accordo e si erano divertiti insieme per
quasi due anni. Capiva il suo fastidio per essere stato respinto da
Beth, ma la questione poteva essere risolta con la logica: lei ha
scelto, fatti da parte e amen! Per fortuna non è il tipo di
persona che continua a provarci anche se non ha speranze.
Perchè
lui non aveva speranze! Più ci pensava e
più si innervosiva.
Forse era davvero meglio che rimanesse al lavoro, a casa o dovunque
fosse, perchè Jason sapeva che avrebbero ricominciato a
litigare
e a lanciarsi frecciatine acide appena si sarebbero visti.
"Ha detto che fra un quarto d'ora è qua."
"Come?"
"Robert... L'ho chiamato, gli ho raccontato di Beth e lui ha risposto
che fra un quarto d'ora arriva." Il tono di Jillian era abbastanza
scocciato. Evidentemente la rivalità fra i due ragazzi non
esaltava nemmeno lei.
Alla fine Sandra e Robert arrivarono in ospedale più o meno
nello stesso momento, un'ora circa dopo che Beth era stata ricoverata.
Fortunatamente per allora la ragazza
si era già svegliata e i medici le
avevano permesso di ricevere visite.
"Visite, non litigate. Quindi boni e cheti." Aveva ribadito Jillian,
prima di entrare in stanza.
Lei era seduta appoggiata ai cuscini, ed era rimasta sorpresa di
rivedere Robert, ma soprattutto felice. E lui, scherzando, l'aveva
paragonata ad uno di quegli eroi medievali
in stile Walter Scott che sconfiggevano il nemico dopo una lunga
battaglia.
Beth invece gli aveva fatto notare che, iniziata la
battagglia campale, come prima cosa era scoppiata a
piangere, e questo non rientrava esattamente nei canoni di gagliardia
cavalleresca. Jason aveva riso, Jillian l'aveva stretta come un peluche
e Sandra aveva proposto di andare fuori a mangiare qualcosa tutti
insieme per festeggire lo scampato pericolo. L'idea era piaciuta a
tutti, ma Jason aveva fatto notare che Beth era stata ad un passo dalla
morte, e che sarebbe stato meglio una cena in casa, perchè
era
più tranquillo. Beth aveva annuito, entusiasta, e Jillian si
era
offerta di ospitarli a casa propria.
Poi avevano stilato il menù a base di pizza su ordinazione e
Jillian aveva telefonato a Alfred per avvisarlo dei cambiamenti di
programma per la cena.
Era stata una bella serata, dove sembrava che non fosse passato molto
tempo delle pizzate da universitari. Oltre ad Alfred,
l'unico cambiamento sembrava essere l'argomento della conversazione;
prima si parlava di esami e professori, ora di lavoro, primari e
pazienti.
Grande oggetto di interesse era stato anche l'impiego di Alfred
che, dopo aver preso il master, aveva trovato posto come consulente di
vendita per la sede a Brisbane di un'impresa navale di Kuala Lumpur. E
questo era curioso di conoscere i dettagli della vita da idol
in
Corea, quindi aveva bombardato Jason di domande, cosa che la sua
ragazza
aveva commentato con un "Alfred, non fare la fangirl, per
carità!",
e lui si era difeso rispondendole: "Jillian, non vedi com'è
interesante? E' tutto un altro mondo, così diverso dalla
nostra
pacifica routine quotidiana! Insomma... lui può girare e
vedere
paesi e città diverse... senza contare della soddisfazione
personale di vedere uno stuolo di gente che è lì
davanti
a te per applaudirti. Jason, tra il pubblico hai mai visto qualche
ragazza di cui avresti voluto approfondire la conoscenza?" La domanda
era stata alquanto imbarazzante, e il giovane aveva subito guardato in
direzione di Beth, che attendeva la risposta ansiosamente. "Beh..." Si
era schiarito la voce. Rispondere di no era una bugia bella e buona, ma
temeva la reazione di Elizabeth. Alla fine si disse che non gli
importava; faceva parte del suo lavoro e, in ogni caso, non poteva mica
mettersi le fette di salame sugli occhi! "Sì, ovviamente...
ho
visto un sacco di ragazze carine, e alcune veramente belle... se mi
stai chiedendo se avrei voluto portarmene a letto qualcuna, la risposta
è: non seriamente. Sei lì sul palco, sei eccitato
per la
musica, le urla, gli applausi e non posso negare di aver pensato questa me la farei...
ma è un po' come quando guardi un film e ti piace l'attrice
protagonista... non è nulla di reale... anche
prchè non
avrei nemmeno la possibilità di rivederla o concludere
qualcosa.
Non che cercherei di approfondire
la sua conoscenza,
se ne avessi la possibilità... ma, insomma. Sono anche io
fatto di
carne e il bello piace a tutti, ma nessuno si sognerebbe di pomiciare
col David di Michelangelo o la Venere di Botticelli."
"Addirittura la Venere..." aveva commentato Beth, fingendosi sdegnta e
gelosa.
Jason arrossì e sorrise, cercando qualcosa da dire a sua
discolpa, e Sandra ridacchiò: "la Venere... ci sono ragazze
così belle in Corea?"
Fu Alfred a correre in suo soccorso e a salvarlo: "Le fan vanno ai
concerti per vedere dal vivo le band anche perchè i loro
componenti sono belli... anche se spesso sono fidanzate. Beth,
Sandra... non ditemi che non avete mai pensato di portarvi a casa uno
dei vostri cantanti preferiti. Il Bello
piace a tutti." E sollevò il bicchiere in direzione di
Jason,
dopo averlo citato, per bere un sorso di birra. Questa volta furono le
ragazze ad essere zittite. Jillian rise e schioccò un bacio
sulla guancia ad Alfred: "Ahahahah! Mi sa che hanno vinto i ragazzi...
Ma
se ti becco a fissare troppo spesso una segretaria perchè Il bello piace a tutti,
ti castro" E gli diede un altro bacio, mentre Sandra e Beth
ridacchiavano.
"Ecco perchè le case discografiche ci consigliano di non
avere
rapporti sentimentali... finiremmo per ferire chi amiamo." Concluse
Jason. Solo in quel momento gli si palesava davanti concretamente il
motivo principale per cui non fosse permesso innamorarsi.
Guardò
di nuovo Beth, che aveva chinato il capo sulla pizza e la stava
tagliando (squartando) con aria preoccupata (furia omicida). Non
avrebbe mai permesso a se stesso di
farle del male. Piuttosto sarebbe fuggito con lei da qualche parte in
Europa. Aveva ricominciato da capo già una volta. Poteva
farlo
ancora.
Gli altri commensali si dovevano essere accorti della tristezza che si
era versata come una bomba d'acqua fra i due ragazzi, perchè
tentarono di cambiare argomento di colpo, e Robert domandò
"Settimana prossima inizia il Super Bowl?"
"Sì! Mercoledì... Ma sapete chi gioca?" Rispose
Alfred, e
per il resto della serata si parlò di football,
finchè
Sandra non dichiarò di essere stanca e di voler tornare a
casa
prima dell'alba. Così anche gli altri si resero conto che si
era
fatto tardi e tutti ringraziarono Jillian ed Alfred per
l'ospitalità, prima di liberare la casa dall'invasione
come
disse Robert.
Ovviamente fu Jason a riportare a casa Beth, che lungo il tragitto
sembrava aver accantonato il problema della loro relazione e, fra uno
sbadiglio e l'altro, sbocconcellava le parole delle canzoni trasmesse
alla radio.
"Vieni con me." Gli propose, infine, una volta giunti davanti al suo
appartamento. Jason la guardò, mentre il proprio cuore
faceva
una capriola. Il sorriso della giovane era disteso e sereno. Calmo. Lui
annuì, sorridendole dolcemente a sua volta, poi spense il
motore
e scese con lei.
Beth trovò la chiave e aprì la porta del
queenslander,
lasciando che Jason entrasse dopo di lei, prima di richiudersela alle
spalle.
"Ti va un po' di tv?" Accese la luce. Era nervosa, lo si capiva dai
suoi occhi e dalla sua voce. Jason le sorrise di nuovo, intenerito.
La
sua Beth era diventata grande. Non ci voleva un master in psicologia
applicata per capire quali fossero i suoi progetti per la serata, e
nemmeno
per intuire che fosse la sua prima volta.
"Tv. Certo" Annuì distrattamente, come se non avesse capito,
e si sedette sul divano, aspettando che lei
prendesse posto al suo fianco; lei invece, con sua grande sorpresa, si
sedette a cavalcioni sulle sue gambe. "Ma non volevi guardare la
televisione?" Fece correre le dita sulle sue cosce e si
fermò
sui suoi fianchi, fingendo uno sguardo confuso.
"Mh... ho cambiato idea... ma se preferisci guardare delle tette
virtuali invece che vere, fai pure." Ridacchiò
lei,
accarezzandogli le spalle.
"Ah... no grazie... ma chi mi dice che fra qualche secondo non cambi
idea nuovamente e tu
non preferisca vedere delle tette in tv?" Ridacchiò a sua
volta,
accarezzando la sua pelle sotto la camicia di seta. Lei mise il broncio
e gli slacciò il primo bottone della camicia, poi il
secondo.
"Boh, nessuno... tanto il telecomendo è lontano e non ho
voglia
di prenderlo."
"Elizabeth..." La guardò negli occhi, serio. "Non giocare
col
fuoco." Con le mani risalì il suo busto, e arrivò
a
sfiorare il ferretto del reggiseno: "Potresti bruciarti..."
Con i
pollici sollevò piano il reggiseno e accarezzò la
sua pelle morbida e calda. Beth spalancò gli
occhi e socchiuse le labbra, stringendo le dita attorno al colletto
della camicia del ragazzo. "E farti male." Concluse lui, tornando con
le dita sui suoi fianchi. Beth deglutì, e Jason si chiese se
ci
stesse ripensando. Allora era davvero vergine. La avvolse in un
abbraccio tenero e le baciò le labbra. Lei si strinse al suo
petto e gli accarezzò una guancia. Era presto per andare
fino in
fondo, ma i suoi occhioni gli avevano fatto venire una mezza idea.
Si voltò e la fece stendere sul divano. "E' tutto
apposto."
"Lo so" Lei gorgogliò una risata, e il ragazzo si
chinò
su di
lei per baciarle il collo lentamente. Sentiva chiaramente il cuore di
lei correre rapido, così come il proprio; era da un sacco di
tempo che desiderava fare una cosa del genere. Il suo profumo era
invitante, dolce, e gli faceva girare la testa.
"Jas... Ti devo dire una cosa..." Mugulò lei.
"Che c'è, Beth... sei lesbica?" La guardò negli
occhi, fingendosi scandalizzato.
La ragazza rise: "No, bamba... non voglio dire che non ti desideri,
anzi... ma..." Arrossì, e fu lui a concludere la frase:
"Sarebbe
la tua prima volta e ti sembra presto." Lei annuì
forte.
"L'avevo capito, Beth, stai tranquilla... avevo in mente altro." Le
sorrise maliziosamente.
"Ossignore, adesso sono curiosa." Rise, affondando le dita tra i suoi
capelli.
"Uh... bene bene..." Rise piano,poi si chinò sulle sue
labbra, mentre le
sbottonava la camicetta, poi tornò a prestare attenzioni al
suo
collo candido.
Lei fremette: "Oh Jas, adoro i tuoi baci"
"Meglio... voglio riempirti di baci" Mormorò Jason sulla
pelle calda
del suo petto, che si sollevava e abbassava rapidamente. "Voglio mangiarti
di baci." E le sbottonò anche i jeans, mentre la giovane
passava
le dita tremanti lungo la schiena del ragazzo sopra di lei.
@@@@@@@@@@
.... Non chiedete, non lo so come ho fatto a scrivere l'ultima parte.
Non lo so.
Comunque... avete sentito la notizia? Hanbyul, Kyumin e Kwangyeon
lasciano i Ledapple.
Io sono sconvolta... auguro loro tutto il bene possibile... ma
praticamente se ne va mezzo gruppo. E dei Led originali rimane solo
Youngjun.
Credo che siano il gruppo più sfigato del Kpop.
Dai ragazzi... fighting!
ps: ovviamente io ho iniziato a scrivere la storia nella categoria
"Ledapple" e continuerà a stare qui... dopotutto nella mia
storia si parla anche degli altri ragazzi. Poco, me ne rendo conto...
ma anche se il focus è su Hanbyul, loro ci sono comunque...
e poi all'altezza cronologica in cui è ambientata la storia,
Hanbyul era ancora il vocalist dei Ledapple.
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Capitolo 11 *** Capitolo 11 ***
ffledapple11
- Capitolo 11 -
La notte stava dolcemente
cedendo il
passo ai primi chiarori dell'alba, e il cielo cobalto era sfumato in
un tenue color indaco, che delineava i contorni prima indistinti della
camera di Beth, ed il mobilio bianco rifletteva sulle pareti i toni
sommessi del primo mattino.
Jason si era svegliato da poco, a causa dell'aria fresca che spirava
attraverso le tende di lino, e aveva trovato la testa corvina di Beth
appoggiata sul suo petto e il suo braccio marmoreo ad avvolgergli il
torace, stringendolo a sè come se avesse paura che fuggisse.
Elizabeth si poteva definire una ragazza forte, che aveva morso la
vita. Aveva origini modeste, e si era sempre pagata
l'università a suon di
borse di studio. Aveva lottato per raggiungere ogni traguardo, e
tutt'ora sapeva che la battaglia non era finita, perchè chi
raggiunge le vette più alte non può permettersi
di commettere errori e cadere,
altrimenti si schianterebbe al suolo. E lei aveva la determinazione e
la fermezza
necessiarie per mantenere gli standard elevati che si era prefissata.
Ricordava quell'orrible giorno in cui era emersa tutta la propria
insicurezza circa il futuro e lei lo aveva rassicurato stringendolo e
sussurrandogli parole dolci come avrebbe fatto una madre con un
bambino. Proprio lei che aveva avuto sempre soltanto se stessa su cui
contare, era
stata in grado di essere forte per se stessa e per quell'amico
incasinato che da un giorno all'altro aveva deciso di gettare all'aria
una concreta prospettiva di vita per andare alla ricerca di un sogno
impalpabile.
Forse era per questo che si era innamorato di lei, e non voleva che
tutto ciò che lei aveva costruito svanisse per colpa di una
relazione che minacciava di sgretolarsi.
Accarezzò piano i suoi capelli e poi le sue spalle, attento
a
non svegliarla. La luce che si faceva sempre più chiara
sfiorava gentilmente
anche la corta camicia da notte ed il lenzuolo in cui era
imbozzolata, così come il polpaccio ed il piedino, lasciati
scoperti.
Ferma così poteva sembrare una statua, ma la sua pelle calda
e
fragrante era molto più confortante di qualsiasi marmo greco.
Non voleva lasciarla. Avrebbe lottato con tutte le proprie forze per
rimanere al suo fianco anche sul letto di morte. Non sarebbe stato
facile, ma se entrambi lo volevano, se entrambi fossero riusciti a
credere in quello che stava crescendo tra di loro... sarebbero rimasti
uniti e nulla li avrebbe divisi.
L'alba era già sorta ed illuminava la stanza, quando Beth si
svegliò e sollevò il capo, sorridendo a Jason:
"'Giorno..." Gli baciò un angolo della bocca e
tornò sul suo petto.
"Buongiorno a te... ti sei dimenticata di avere un cuscino?" Le
grattò la testa, ridacchiando.
"Mph... quel coso non scalda." Lo strinse e gli riempì il
torace
di baci, facendolo ridere: "Che ore sono? Devo essere in ospedale per
le 7:30" Chiese poi, afferrando il cellulare. "Le sei. Meglio se mi
alzo."
"No. Faccio io! Cosa vuoi di colazione?" Jason, più veloce
di
lei, scattò in piedi e si infilò la maglietta.
"Ah va bene..." La ragazza rise e si lasciò cadere sui
cuscini, stiracchiandosi. "Latte, cereali e succo di frutta. Vite, vite garçon!"
Battè le mani.
"Fottiti, Elizabeth." Rise lui, sparendo in cucina. "Mi faccio un
caffè, io!" Urlò poi, mettendo il bollitore col
latte sul
fornello.
"Se vuoi cucinati pure anche gli spaghetti!" Rispose Beth, in segno di
approvazione, e lui preparò un bollitore -in
realtà una
pentola, poichè il bollitore vero e proprio stava scaldando
il
latte- con l'acqua per un americano... Prima di scoprire che Beth non
aveva caffè solubile, ma una bellissima caffettiera e del
caffè in polvere. La tentazione di prepararsi un sano
caffè all'italiana fu irresistibile, così si mise
ad
armeggiare con la caffettiera. Sapeva come fare. Alcuni amici di suo
padre erano italiani e li aveva visti preparare il caffè
più volte.
Quindi, pronti latte e caffè, prese anche i cereali ed il
succo e, con un
vassoio, portò il tutto in camera, dove Beth lo stava
attendendo
seduta, con la schiena appoggiata al cuscino e le mani intrecciate in
grembo. Sembrava una principessa.
"Grazie." Sorrise dolcemente, mentre Jason le posava sulle gambe il
vassoio. "Oggi sarò tutto il giorno in ospedale... e
pranzerò anche là. Tornerò per otto e
mezza
circa... credo. Tu che fai?" Bevve un sorso di succo.
"Pensavo di andare a trovare i miei e di stare un po' con loro... poi
torno in hotel e sento un po' via web gli altri della band."
Elizabeth annuì e gli riempì la mascella di baci,
poi
finì la colazione e si alzò, la camicia che
svolazzava
sui suoi lineamenti snelli: "Vado in bagno. Quando torno ti spupazzo."
Jason ridacchiò, ma lei mantenne la promessa e gli si
gettò addosso riempiendolo di baci e carezze.
"Mi accompagni al lavoro, poi ti lascio l'auto e te ne vai dove ti
pare." Mormorò al suo orecchio, con voce dolce e seducente.
"Beth, amore mio... la macchina è tua... posso prendere il
tram"
La guardò, e lei si strusciò come una gattina:
"Sì, ma mi piace vederti guidare. E' un fetish, una fissa...
chiamala come ti pare." Ridacchiò appena, imbarazzata.
"Allora ti accontento." Sorrise, e la ribaltò sotto di
sè. Solo che nessuno dei due si era ricordato del vassioio
della
colazione che, nel movimento, finì a terra. "Ma no..." Rise
Jason: "No... adesso lo lasci lì. Ha voluto cadere, e il
pavimento è quello che si merita." Aggiunse,
perchè Beth
aveva fatto cenno di sfuggire dalle sue braccia per raccogliere il
vassoio.
"Ahahah, dai Jas... è tardi. Io mi vesto... tu fila in
bagno." Gli ordinò, spingendolo via.
"Okay, okay vado." E si alzò nuovamente dal materasso,
mentre
lei raccoglieva le stoviglie.
Nonostante tutto, alla fine Beth
riuscì a varcare il portone dell'ospedale in tempo, e il
giovane
fece retro marcia, diretto verso quella che era stata casa sua.
La strada per raggiungere l'appartamento che i suoi avevano comprato in
centro a Brisbane, al ventottesimo piano di un grattacielo, con vista
sull'oceano, era sempre la stessa, ma l'asfalto sembrva più
consumato, le palme che costeggiavano la carreggiata erano vecchie e
più avvizzite. Erano passati solo due anni, alla fine, ma
avevano fatto in tempo a cambiare un sacco di cose.
Chissà quanto erano cambati i propri genitori?
Sperò che
non lo cacciassero. Per quanto fosse stato crudele il modo in cui
l'avevano salutato prima che partisse per la Corea, come diceva Beth,
rimanevano sempre i suoi genitori, coloro che l'avevano cresciuto e gli
avevano impartito i primi insegnamenti.
Trovò parcheggio sotto casa, ma il suo occhio corse per
istinto
al cruscotto, dove tempo addietro teneva il telecomando per entrare in
garage.
Si chiese se i suoi avessero venduto la propria auto oppure fosse
ancora al suo posto. Avrebbe potuto usare quella, invece che chiedere
in prestito a Beth la sua, finchè fosse rimasto a Brisbane.
Anche se, in realtà, sarebbe stato inutile,
perchè aveva
il volo di ritorno fra un paio di giorni: la Starkim non gli
aveva concesso più di una settimana di
vacanza, e anche così erano stati clementi.
Arrivato davanti al citofono si inumidì le labbra, si
sistemò la camicia e infine suonò il campanello.
Attese secondi interminabili, nei quali sperò che non ci
fosse
nessuno, che potesse scappare e rimandare a chissà quando
l'incontro con i propri genitori. ma alla fine una voce di donna, con
tono frettoloso e leggermente infastidito, ma imperioso, chiese: "Chi
è?"
"Jason... Mamma sono Jason." Lo ripetè perchè la
prima volta aveva risposto con voce strozzata.
"Ah... Jason... vieni... ti apro." La voce della donna si era
addolcita, ma era rimasta una scheggia di ghiaccio nella testa del
ragazzo.
Il portone si aprì e lui prese l'ascensore, che dava sul
corridoio bianco. Sempre lo stesso corridoio.
Giunse infondo e bussò alla porta in mogano scuro, che venne
aperta praticamente subito.
Fece capolino una signora non tanto alta, con i capelli corvini
tagliati a caschetto, un elegante
tailleur pantaloni grigio e due occhi nerissimi penetranti ed
indagatori,
che si sciolsero un poco nel vedere il suo unico figlio in piedi
davanti alla porta.
"Ciao ma'" Jason tirò le labbra in un sorriso, cercando di
non
scoppiare in lacrime. La bella signora aveva qualche ruga intorno agli
occhi, un paio di chili in più sui fianchi e qualche filo
bianco
tra i capelli, ma per il resto era sempre la stessa donna che ricordava.
Lei rimase qualche secondo ad osservare quel figlio ritornato da tanto
lontano con indifferenza, poi si fiondò contro di lui e lo
strinse in un abbraccio soffocante, lasciando che i singhiozzi
risuonassero per il corridoio dello stabile. E a quel punto neanche
Jason riuscì più a trattenersi, e
lasciò che le
lacrime gli scorressero lungo le guance.
@@@@@@@@@
... Piango il mondo.
La mamma è sempre la mamma.
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Capitolo 12 *** Capitolo 12 ***
ffledapple12
- Capitolo 12 -
Il ticchettio delle
lancette
dell'orologio analogico appeso al muro riempiva la stanza e scandiva i
secondi di silenzio calati fra la signora Jang, seduta sul divano blu
pervinca, e suo figlio, in punta sulla poltrona coordinata.
Entrambi si stavano occupando del tè nero alla rosa e
sandalo e di trovare qualcosa da raccontare.
"Qui le cose non stanno andando male... abbiamo licenziato Edna
perchè non svolgeva più il suo compito
correttamente.
Ogni tre per due sbagliava i conti e il commercialista diventava scemo
per far quadrare tutto di nuovo. Una vera seccatura. Perdevamo un sacco
di tempo."
"Edna? Ma non aveva una laurea in economia?" Le chiese sorpreso il
ragazzo. Aveva avuto una cotta paurosa per quella ragazza, ai tempi del
liceo, ma a lei interessavano di più gli sportivi, come il
quarterback Paul Janstick, con cui si era fidanzata dopo esserselo
portato a letto alla festa di un amico comune.
"Era in tirocinio... non era ancora laureata. E poi sai come la penso
io... non deve essere un pezzetto di carta a dirmi che una persona sa
svolgere le mansioni che mi servono, ma le sue azioni." La donna
finì il tè e posò la tazza sul
piattino.
"Lo so... e hai ragione. Papà?" Cercò di non
pensare al
licenziamento di Edna come ad una vendetta karmica perchè lo
aveva sempre snobbato.
La donna fece un gesto vago con la mano: "Lui è sempre a
Darling Downs. Passa le sue giornate nella farm per
controllare da vicino la produzione... così dice lui...
invece io sono certa che flirti con le impiegate. Ma sono affari suoi.
Che faccia come gli pare. Finchè non andiamo in bancarotta
può vedere tutte le sottane che vuole." Il suo tono era
amaro, i
suoi occhi rassegnati, e Jason non seppe che replicare: suo padre non
era
mai stato un donnaiolo, o meglio, lui non lo aveva mai visto in
atteggiamenti sconvenienti con altre donne. Forse sua madre era
semplicemente irritata per qualcosa, e riversava la sua rabbia sul
marito. Tipico di lei. Si sfogava così: vomitando veleno
addosso
a tutti quelli che la incontravano.
"Allora, Jas... state preparando un album?" Chiese lei con uno
sguardo che poteva essere definito dolce, anche se non era mai stata
particolarmente affettuosa.
"Un singolo... I'll be
there for you."
Il ragazzo tirò le labbra in un sorriso, anche se era
davvero strano parlare faccia a faccia con
sua madre, dopo che lei lo aveva diseredato e riempito di botte.
"Ah... interessante. Ti pagano bene per quello che fai?" Gli sorrise di
rimando, ma i suoi occhi tradivano delusione. Jason riusciva
benissimo a capire quello che stava pensando. Il denaro era
sempre stato il suo debole.
"Sì, mamma. Mi sono pagato un viaggio fin qua e un
albergo...
proprio povero non sono." La risposta gli uscì
più acida
di quanto avrebbe voluto, ma non sopportava il fatto che per sua madre
fosse sempre e solo questione di soldi.
"Un albergo?" Spalancò gli occhi, offesa. "Ma Jason... io e
tuo
padre non contiamo più nulla per te? Avresti potuto venire
qui... è pur sempre casa tua... e rimarrà casa
tua
finchè lo vorrai."
Certo che avrebbe potuto, ma poi lei avbrebbe pensato che suo figlio
non fosse in grado di pagarsi un albergo e gli avrebbe rinfacciato ogni
sua scelta di vita.
Come spiegarglielo in modo gentile ed evitare di uscire di nuovo dalla
porta d'ingresso sbattendola furiosamente?
"Tu e papà lavorate. Non volevo dare fastidio ai vostri
affari." Le spiegò con calma, finendo il tè.
"Dare fastidio?
Da quando il mio bambino dovrebbe dare
fastidio?" Inveì lei, poi il telefono
squillò e la donna si alzò per rispondere. Era
suo marito.
"Come dici? Se n'è andato? No dico... ma sei impazzito? Gli
avrai di nuovo abbaiato addosso come un cane. Perchè questo
sei.
Un cane! Come puoi pensare che riusciremo a tirare avanti ancora, se
continui così? Vuoi vedere tutto gettato all'aria? Vuoi
finire
sotto i ponti?... E adesso non ricominciare... no, sono stufa! Il
divorzio? E che me ne farei? E poi saresti tu a perderci... voglio
vedere un po' cosa farai, quando me ne sarò andata. ma va'
al
diavolo!" E riagganciò, prima di sedersi tra i cuscini con
un
lungo sospiro. "Era tuo padre. Sta bene. Forse." Sollevò le
sopracciglia eloquentemente.
"Le cose non vanno bene?" Jason cercò di non apparire
scosso.
Dopotutto, aveva sentito i genitori urlarsi addosso per tutta
l'infanzia, ma durante il soggiorno a Seoul era riuscito a dimenticare
questo piccolo particolare.
"No. Siamo in perdita. Tuo padre dà la colpa alla crisi
globale,
ai dipendenti e alla scarsità del raccolto... io
all'incapacità dell'uno e degli altri. Ormai gli azionisti
si
stanno infastidendo e non ci quotano più come prima... senza
contare che tuo padre fa scappare tutti i possbili acquirenti..."
"Mamma, che ne dici di prenderti una vacanza? Vai in qualche spa e ti
rilassi..."
"Così quando torno mi trovo senza una ditta? Neanche per
sogno."
"Guarda che non sei tu l'unica capace di fare le cose..." Non
sopportava sua madre quando faceva così. Prendeva tutti per
deficienti e non si fidava di nessuno.
"Cosa? No, certo. Ma io le so fare bene...
Ascoltami, Jason." Aveva iniziato il discorso con tono concitato poi,
dopo una pausa, aveva continuato con un timbro più delicato,
e
aveva accarezzato gli occhi del figlio con i propri. "Sin da quando ti
ho messo al mondo ho cercato di darti il meglio, in modo tale che tu
potessi esprimere il meglio di te stesso. Ogni volta che ti imboccavo
con l'omogenizzato pregavo che tu crescessi forte e sano, e che io
potessi avere sempre i mezzi
per aiutarti a farlo. Io sono il coproprietario di una multinazionale
agricola perchè mi sono data da fare. I tuoi nonni erano
troppo
impegnati a battersi per i loro ideali di pace e amore per pensare a
dare un futuro ai propri figli... per assicurare loro un buon
futuro. Tuo nonno era il cantante sempre pieno di coca di un gruppo
hippie, e tua nonna una groupie conosciuta dietro le quinte... e qual
è stata la loro sorte? Tuo nonno è morto di AIDS,
e tua
nonna si è lasciata morire d'inedia lasciandomi da sola ad
occuparmi dei tuoi zii. Ognuno ha la possbilità di scegliere
liberamente come vivere la propria vita. I miei genitori non avevano
mai conosciuto l'espressione "crisi di nervi", hanno preferito vivere
poveri in canna e morire poveri in canna... ma sereni. Io ho preferito
assicurare a mio figlio tutto quello che ho sempre sognato... e ce l'ho
fatta. Ammettilo. Sei stato super viziato. Non ti è mai
mancato
nulla. I vestiti firmati, le scuole migliori, ogni tipo di nuovo
giocattolo era tuo forse prima che ce ne facessero la
pubblicità
in tv... Capiscimi, ora, se mi è sprofondato il terreno
sotto i
piedi, quando mi hai detto che saresti andato in Corea per sfondare
come cantante. Mi sono sentita presa in giro... e ti ho visto per terra
vicino al brutto divano a fiori stinto di mia madre, morto per
overdose." La signora Jang consluse il discorso con un lieve tremolio
nella voce e gli occhi lucidi.
Ma il ragazzo non si fece impietosire, e le restituì lo
sguardò., conficcando gli occhi nocciola in quelli di
ghiaccio di lei: "Io non sono mio nonno... e non sono nemmeno te. Io
sono indipendente e ho le capatità per crearmi una mia vita.
Ho
anche la capacità di discernimento e la cognizione di cosa
io
desideri dalla vita... e mi importa fino ad un certo punto, che questo
non coincida con il film che tu hai preparato per me. Non voglio
sputare sui sacrifici che tu e papà avete fatto per me... se
avere una rendita di undicimila dollari al mese è un
sacrificio...
ma non ho bisogno del vostro beneplacito e nemmeno del vostro permesso
per costruirmi un'esistenza mia e dedicarla a ciò che amo.
Inoltre... guardiamo pure il lato economico... guadagno più
della grande maggioranza dei ragazzi della mia età. Te lo
dico
perchè a te è sempre interessato così
tanto sapere
quanto la gente avesse sul conto corrente. So cosa stai per obiettare:
quando me ne sono andato non era certo che mi avrebbero preso... ma
chissene frega. Ora sono conosciuto nei cinque continenti e forse anche
in Antartide i pinguini ascoltano i Ledapple. Perchè io ho
avuto
le capacità e la caparbietà necessarie per
arrivare dove
sono ora. Se hai pensato che non ce la potessi fare, allora vuol dire
che non hai avuto fiducia nelle mie possibilità. E
non mi
sembra di non avertene dato motivo."
Non aveva alzato la voce, si era limitato a mantenere il contatto
visivo con sua madre, ma lei era sconvolta come se suo figlio avesse
avuto in mano un megafono. Si guardò in torno, come se il
ficus
e le orchidee nei vasi di terracotta potessero aiutarla a convincere
quel figlio cocciuto quanto avesse buttato nella spazzatura: "Jason. Tu
potevi diventare un luminare della medicina odontoiatrica ed essere
venerato da altri luminari... invece ora chi ti segue? Ragazzine in
crisi ormonale! Che basta un soffio di vento per portartele via ed
indirizzarle verso un'altro bel visino con un sorriso abbagliante. Ti
puoi trovare senza un cavolo da un momento all'altro! Con una laurea in
odontoiatria a quest'ora saresti già sulla buona strada per
ricevere un'onoreficienza dalla regina in persona! Non è
vero
che non ho mai avuto fiducia in te... a quanto pare ne ho avuta troppa.
Speravo che tu aspirassi a qualcosa in più che non fosse
vederti
sbavare dietro." Era lei ad aver alzato la voce. Il figlio si
alzò in piedi, con i pugni chiusi e tremanti e gli occhi che
brillavano di indignazione.
"Cantare significa donare speranza e un po' di serenità a
chi
non ha la mia stessa forza per trovarle da sè. Mi seguono le
tredicenni perchè l'adolescenza è un periodo
particolarmente difficile... hai ragione... se non fossi io, sarebbe
qualcun altro... ma se hanno scelto la mia musica e non qualcun altro
ci sarà un motivo. Se fossi diventato dentista avrei salvato
il
sorriso di molta gente, ma con la mia voce ho potuto salvare il loro
sorriso interiore,
e questo non può farlo nessun luminare medico odontoiatra."
La donna lo guardò e scosse la testa. "Ma cosa stai dicendo?
Non
si mangia mica con la tua dannata musica. Se non hai un tozzo di pane,
di certo non te ne importa nulla di ascoltare musica."
"Ecco perchè non capirai mai
perchè io sono orgoglioso di essere un cantante." E con
queste
parole si diresse per la seconda volta verso la porta di casa, la
aprì e se la chiuse alle spalle. Senza sbatterla,
però.
Sapere di non essere capito dalla propria madre aveva fatto
già
fin troppo rumore.
@@@@@@@@@@
Pensate a quello che volete.
Io ho visto quell'uomo cantare live e sono assolutamente convinta che
in uno studio medico sarebbe morto dentro, si sarebbe spento e sarebbe
diventato un'ombra pallida di se stesso.
E questa è la sorte peggiore per qualsiasi essere umano.
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Capitolo 13 *** Capitolo 13 ***
ffledapple13
- Capitolo 13 -
"Ci voleva anche questa! Sospettavo che non gli piacesse molto la mia
vacanza... ma fino a questo punto..." Jason si portò le mano
al
viso e si stropicciò gli occhi.
Una volta partito da casa sua era andato a farsi quattro passi sulla
battigia per scaricare la frustrazione e la rabbia, poi era tornato in
albergo per pranzo e aveva acceso una videochiamata con i suoi
bandmate. Gli avevano risposto Kyumin e Kwangyeon con una pessima
notizia: le tempistiche per il nuovo album si erano ridotte e Jason
doveva tornare a Seoul il giorno seguente. Pena la sospensione del
contratto.
"Ha detto esattamente così, sì... Se entro domani non vedo il suo
culo davanti a me può anche restarsene lì
finchè non crepa." Annuì Kyumin con
aria stanca. Evidentemente si erano presi tutti una bella lavata di
capo.
"Scusatemi ragazzi... aspetto che Beth torni a casa e poi mi fiondo
all'aeroporto... se riesco a trovare un volo per 'sta sera... domani
mattina sono da voi."
"Va bene... lei come sta?" Chiese Kwangyeon, anche lui
con tono sommesso.
"Lei? Bene, spero... anche se 'sta sera ho come l'impressione che
tornerà a pezzi... è partita alle sette
e mezza e
starà in ospedale fino alle otto... e io la
disintegrerò
del tutto." Jason, con gli occhi bassi sulla tastiera, si stava
chiedendo che ne sarebbe stato del loro rapporto dopo la propria
partenza.
"Usa il metodo cerotto: diglielo subito e velocemente...
così non maceri nell'angoscia." Gli suggerì il
bassista.
"Sì. E' l'unica... Dio che giornata di merda!
Perchè le
cose quando vogliono andare storte si accumulano tutte insieme?"
Battè un pugno sulla scrivania, scuotendo la testa.
"Che altro è successo?" Kyumin lo guardò
preoccupato, e
Jason raccontò tutto d'un fiato il ricongiungimento
disastroso con sua
madre.
"Ma che gliene frega? Sei ricco e famoso!" Fu il suo commento.
"Ma non sono un dottore. E' questo che non le va giù.
Secondo lei sto sprecando il mio potenziale inutilmente."
"Anche mia madre voleva che diventassi medico... e non gli è
mai
andata giù quando mia zia mi ha regalato il primo basso
degno di
questo nome.
Ti capisco, hyung." Kwangyeon gli sorrise tristemente, e
Kyumin lo guardò stupito: "Tu un medico?! Per fortuna non
hai
mai nemmeno cominciato... li avresti uccisi di proposito, i pazienti,
invece di salvarli."
"Ahahah. Esatto. Ecco perchè invece sono il vostro bassista.
Ho
fatto un favore al mondo." Allargò le braccia con un sorriso
soddisfatto ed orgoglioso sulle labbra.
"... Sì ma io ho paura di svegliarmi nel cuore della notte e
non avere più la testa."
"Babo, se non hai più la testa non puoi svegliarti. Jas, tu
che hai le nozioni primarie di medicina, confermacelo."
"... Voi due avete qualche problema... comunque certamente no. Non ti
risveglierai mai più, Kyumin."
"Ecco perchè ho paura." E spostò la sedia.
"Dai. Se ti ammazzo prometto di farlo nel sonno." Lo
rassicurò, beccandosi invece un'occhiata truce.
"Vai via." Ed il cantante si spostò ancora di
più, uscendo dallo schermo.
"Detto ciò... credo che sia ora di andare a cena. Tu hai
già finito?" Kwangyeon prese il monopolio del computer
ridendo.
"No... magari mangio un boccone qui, prima di andare da quella povera
disgraziata a darle la buona novella."
"Okay. Passo e chiudo. Buon appetito." Il ragazzo salutò con
la
mano, e da sopra la sua spalla apparve anche Kyumin a salutarlo. Jason
li salutò a sua volta e spense il collegamento.
Sospirò e si mise a cercare su internet un volo last minute
da
prenotare. Per fortuna o purtroppo non ne trovò uno per la
sera
stessa, bensì per il mattino dopo alle sei. Fissando il
laptop
come se volesse incenerirlo, lo prenotò ed inserì
gli
estremi della Mastercard per il pagamento, dopodichè chiese
il
voucher poi convertibile in biglietto via mail e spense tutto,
rimanendo poi a guardare fuori dalla finestra, perso in un turbine di
pensieri, per cinque minuti buoni.
Poi gli venne un'idea: avrebbe ordinato un paio di pizze da mangiare
con Beth
Erano le otto e un quarto... quindi c'erano buone
probabilità che la ragazza fosse già fuori
dall'ospedale.
Prese il cellulare e compose il suo numero. Lei rispose dopo qualche
secondo: "Ehi Jas! Tutto apposto?" Dalla voce si intuiva che fosse
stanca, ma sembrava felice di sentirlo. Chi invece aveva avuto un tuffo
al cuore era stato proprio il cantante che, per attenersi alla
realtà, avrebbe dovuto rispondere no, Beth, sta andando tutto a
rotoli,
ma non voleva affrontare il problema al telefono, e non voleva neppure
metterle ansia, per questo rispose: "Tutto apposto, sì. Tu?
Sei
già a casa?"
"No Jas... sono per strada... sto rientrando adesso, sono sul
pullman... fra un paio di fermate scendo e poi sono praticamente
arrivata. Fra una decina di minuti mi trovi a casa... ceniamo insieme?
Vuoi che ti prepari qualcosa?" La voce di Elizabeth era morbida e lieve
come neve, nonostante la stanchezza; Jason l'avrebbe ascoltata
mormorare al ricevitore per ore.
"Sì... e no... Nel senso: ti stavo giusto chiamando per
chiederti se potevo ordinare un paio di pizze da mangiare lì
da
te... così tu non cucini." Si alzò dalla
scrivania e
andò alla finestra. Non riusciva a stare fermo mentre
parlava
con qualcuno al telefono.
"Questa sì che è un'ottima idea, babe! Prendimi
una prosciutto e funghi... io preparo la tavola." Chiese, allegra.
"Agli ordini, Ma'am... ma lascia stare la tavola... riposati.
Apparecchio io." Nel frattempo sistemava la stanza e si infilava le
scarpe per uscire.
"Grazie Jason... ma quando arriverai troverai tutto pronto. Lo sai che
non sono capace di stare ferma." La sua risata cristallina
chiocciò piano all'orecchio del ragazzo, che sorrise.
"Bebe, fosse per me mangerei anche dai cartoni sul divano... anzi.
Facciamo così. Non preparare nulla. Mangiamo dai cartoni sul
divano." Propose con entusiasmo, mentre chiudeva la porta della stanza
a chiave e si avviava verso l'ascensore.
"E' un compromesso. Va bene... Ti aspetto." E in un soffio delicato
chiuse la chiamata.
Jason consegnò le chiavi e avvisò la reception
della sua
partenza imminente, chiedendo loro di preparare il conto per de tre e
mezza, poi salì in auto e ordinò una capricciosa
ed una
prosciutto e funghi per le nove.
E' inutile dire che durante tutto il viaggio il ragazzo avesse cercato
le parole esatte con cui annunciare ad Elizabeth la propria partenza.
Due anni fa
era stato molto più semplice. Due anni fa pansava a Beth
come la
sua migliore amica e... no. Non è vero.
Si fermò al semaforo rosso e rimase ad ascoltare il
ticchettio
della freccia direzionale. Non è vero che aveva sempre
pensato a
lei come la sua migliore amica. All'inizio, i primi giorni dopo che si
erano conosciuti, aveva macchinato per portarsela a letto, poi si era
accorto ben presto che Elizabeth Steinhaus valeva molto di
più
di un semplice incontro mordi e fuggi, ed era arrivato a mancargli
l'aria se non riusciva a sentirla o a vederla almeno una volta al
giorno, durante le settimane prima della propria partenza. Solo in quel
momento
poteva affermare che già allora fosse innamorato di lei.
Parcheggiò sotto casa sua e diede un'occhiata al
queenslander.
Era come lei: grazioso, elegante senza essere opulento e ben curato.
Diede una testata al volante e scese dall'auto. L'ora era arrivata.
Suonò il campanello.
Beth gli aprì con un sorriso radioso sul viso di porcellana
e lo
tirò dentro, baciandolo dolcemente senza dire una parola.
Jason non si aspettava un'accoglienza simile, ma le
accarezzò i
capelli, inspirando il suo profumo, e si lasciò trascinare
da
lei in camera.
Poteva quasi sentire il suo cuore che correva veloce, mentre scivolava
sul letto accarezzando dolcemente la sua nuca.
Jason baciò il suo collo, accarezzò la curva
morbida dei suoi
fianchi, delineò la coppa del suo ventre. Lei lo strinse
forte e
reclinò il capo indietro, cercando l'aria con le labbra
socchiuse, che il ragazzo cercò per sfiorarle dolcemente.
Beth rispose al suo bacio, mentre lui accarezzava lentamente le sue
cosce, sollevando la gonna del suo abito bianco punteggiato da piccole
rose rosse. Lei se lo sfilò del tutto, lasciandolo cadere ai
piedi del letto, mentre Jason faceva scorrere lo sguardo e
le sulle linee marmoree del suo corpo, e si
abbandonò alle
sue carezze, che fluirono lievi ed avvolgenti come seta sulle sue
guance, sui seni nudi, sulle coste.
Poi Jason la sentì indugiare sulla fibbia della cintura e
cercò il suo sguardo: non era mai stata così
bella, con
le guance accaldate e i laghi limpidi degli occhi umidi di desiderio.
Lei piano gli tolse gli indumenti, ed il ragazzo la sentì
fremere sotto di sè, mentre inarcava le reni per far aderire
il
proprio ventre con quello di lui.
Quindi le sfilò l'intimo, lei si aggrappò alla
sua
schiena; le accarezzò i fianchi, lei intrecciò le
caviglie attorno alla sua vita e, mentre dalla finestra aperta entrava
la brezza calda dell'Alice Springs, Jason la fece sua.
@@@@@@@@@@
Ho riscritto questo capitolo almeno una trentina di volte, ma alla fine
sembra che sia uscito abbastanza bene/?
Il prossimo sarà il capitolo conclusivo, ve lo annuncio
ora...
Anche per quello ci sto impiegando millenni... spero di riuscire a
tirar fuori qualcosa di leggibile :"""D
Catch ya later!
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Capitolo 14 *** Capitolo 14 ***
ffledapple14
- Capitolo 14 -
Quando il fattorino
suonò il campanello, Jason si era già rivestito e
stava aiutando Beth a cambiare le lenzuola.
"Vado a prendere i viveri!" La avvisò, prima di raccattare
il
portafoglio dal pavimento e aprirgli. Lo pagò, prese i due
cartoni e, come da programma, li sistemò sul divano, prima
di
tornare in camera. Elizabeth aveva già finito e gli sorrise,
pettinandosi i capelli meglio che poteva.
"Lasciali così... ti stanno benissimo" ridacchiò
il ragazzo, prima di prenderla in braccio.
"Nnno... stai mentendo" rise lei, nascondendo il viso sul suo petto.
Sembrava così delicata e fragile, ma forse era una
suggestione
data dalla vista di tutto quel sangue che aveva sporcato il lenzuolo.
Si era spaventato. Sapeva che fosse una cosa normale, ma di certo non
voleva che gli si disintegrasse fra le braccia.
La posò accanto alle pizze, e lei incrociò le
gambe prendendo il proprio cartone.
Bene. Si
ammonì Jason, sedendosi accanto a lei e prendendo la propria
pizza. Ora devo
parlargliene.
Accesero la tv. Beth appoggiò la testa contro la sua spalla
e prese una fetta di pizza.
Il ragazzo rimase per un po' con gli occhi rivolti allo schermo, senza
vederlo veramente, in preda a rivolgimenti mentali, catastrofi
psichiche e forse la fine del mondo. Davvero gli mancavano le parole.
Poi gli venne l'ispirazione.
"Domani parto."
Beth raddrizzò la schiena e lo guardò: "La
Starkim ti ha ridotto il tempo su questa terra?"
Jason rise. L'aveva presa bene. "Ho il volo alle sei. Mi accompagni?"
"No. Prendi un tappeto volante. Stronzo. Prima mi svergini e poi te ne
vai." Si mise in bocca una fetta di pizza. Non era arrabbiata. Era solo
triste. Al ragazzo si strinse il cuore. Avrebbe voluto non aver aperto
bocca, ma l'alternativa era fuggire senza avvisarla, e questo sarebbe
stato peggio.
"Già... e voglio usarti fino in fondo. Quindi accompagnami
che
fa freddo sui tappeti volanti." E incrociò le braccia sul
petto,
cercando di tenere il tenore della conversazione allegro, ma
fallì miseramente: gli occhi di Elizabeth si stavano
riempiendo
di lacrime.
"Oh Beth, non fare così... altrimenti rischio di rimanere
incollato a questo divano per l'eternità." La
abbracciò
forte, e appena la sua testa fu contro il proprio petto, lei
scoppiò a piangere con sussulti e singhiozzi. "No... no" La
cullò come una bambina. Non l'aveva mai vista piangere in
quel
modo. Mai. L'aveva vista triste, abbattuta, arrabbiata, delusa... ma
sconvolta fino a tremare no. Se avrebbe continuato, sarebbe scoppiato
in
lacrime pure lui. "Ci rivedremo... Durante le vacanze potrai venire a
trovarmi... o potrò io... Non ti abbandono di nuovo, Bebe,
non
potrei mai. Sei la persona più importante per me... Non
riuscirei mai a farti del male." Lei in risposta lo strinse
più
forte e fece cadere il cartone con la pizza, ma non lo raccolse.
"N-no... J-Jason... Tu... Tu... Noi..." Ma ad ogni parola i singhiozzi
le impedivano di pronunciare la successiva. Era terribile vederla
così... ed era ancora peggio non poter davvero fare nulla
per
aiutarla. Ovvero. La soluzione c'era... Ma implicava mandare a monte
tutti i sacrifici che aveva compiuto fin ora.
"Possiamo scappare da qualche parte in Europa... Tronco tutto e rimango
con..."
"NO!" Gridò Elizabeth, e lo colpì in pieno petto
con un
pugno che tolse il respiro al ragazzo, poi sollevò il viso e
lo
guardò con le guance arrossate: "Non sparare stronzate."
Disse
tutto d'un fiato, poi singhiozzò, raggiunse un kleenex con
le
dita tremanti e si asciugò il viso: "E' colpa degli... degli
ormoni se sto piangendo. E... E poi non ti permetterei mai di
rinunciare a tutto per... per me." E si soffiò il naso.
Jason le accarezzò il viso, cercando di sorridere. Era
davanti
al motivo principale per cui aveva deciso di seppellire qualsiasi
principio -anche minuscolo- di innamoramento nei confronti di Elizabeth.
Perchè non avrebbe mai voluto essere costretto a scegliere
se
passare dei giorni felici accanto alla persona che amava o dei giorni
terrificanti in cerca del sogno della propria vita.
"Elizabeth. Decidiamo ora... adesso. Vogliamo provarci o è
meglio lasciar perdere?" No- In realtà non avrebbe mai
voluto
porre quella domanda fastidiosa. Ma era da troppo tempo che andava
espressa e, ad un certo punto... Dei chiarimenti erano necessari. Non
voleva scoprire la realtà. Sarebbe bastata una bella bugia a
cui
avrebbero potuto credere entrambi... Magari alla fine, a crederci in
due, sarebbe diventata realtà.
La ragazza lo guardò negli occhi e si morse le labbra. "Non
voglio rinunciare a te, però..."
"Però...?" La incalzò Jason, con il cuore che
piano si sbriciolava. Però
era una parola orribile.
"Non potremo mai avere una storia normale. Non ci vedremo, non ci
abbracceremo, non avremo nulla in comune se non un passato che pian
piano diverrà sempre di più mito di se stesso. E
lo
rimpiangeremo. Vorremmo tornare indietro ma non potremo... E
cominceremo a stare male, perchè non riusciremo
più a
fingere di essere nel passato... Cominceremo poi ad accampare scuse per
evitarci... e poi ci accorgeremo, finalmente, che non abbiamo mai avuto
una storia... perchè le storie
sono composte da avvenimenti,
e noi di avvenimenti condivisi non ne avremo." Aveva pronunciato il
discorso tutto d'un fiato, senza fermarsi.
Jason rimase a guardarla, con le lacrime che bruciavano negli occhi.
"Hai ragione... Siamo abbastanza grandi per capire cosa sia bene per
entrambi." Sospirò in un lucidissimo sussurro. Quella frase
mostrava una prospettiva felice per entrambi, eppure davvero non gli
riusciva di essere allegro.
"C'è... un'altra strada. Nessuno ha detto che la vita debba
essere semplice. Possiamo provarci. Provare ad avere una storia anche
se la logica spingerebbe a non farlo. Magari scopriamo che ce la
facciamo... che ne sai?" Intrecciò le dita a quelle di lei,
guardandola negli occhi. Sperò che non tutto fosse perduto,
che,
nonostante tutto, Elizabeth avrebbe voluto credere che la loro storia
avrebbe potuto avere una chance.
Lei abbassò lo sguardo sulle loro mani unite e si morse le
labbra. Strinse le dita di Jason e sollevò di nuovo gli
occhi,
nei quali brillava una luce decisa e determinata. Alla fine
annuì con un sorriso che si allargava piano sulle labbra.
"Scusami Jas... sono una stupida. Tu mi hai insegnato a prendermi dalla
vita tutto il possibile, perchè nessuno ti regala nulla...
se
rinuncio a te adesso... potrei rimpiangerlo per sempre." Sciolse la
stretta del compagno per allacciare le braccia attorno al suo collo e
premere il busto contro di lui. "E... anche se poi non va... Fa nulla.
Almeno ci avremo provato. Non possiamo sapere adesso se
andrà
male o meno. Magari fra settant'anni saremo ancora insieme. Chi lo sa?"
Jason gorgogliò una risata e la strinse forte, strofinando
la
guancia contro quella di lei. Era felice che, alla fine, lei non avesse
deciso di seguire la cieca logica. Dopotutto, in passato aveva aiutato
un promettente medico a diventare un cantante e lei stessa era
diventata medico partendo dal nulla più assoluto. Era un
tipo a
cui piaceva sfidare ogni logica.
I due rimasero abbracciati ancora per un po' senza parlare,
dopodichè finirono la pizza, trovarono in tv un film a caso
da
commentare sarcasticamente ogni due battute, fecero l'amore sul divano
e infine decisero che era meglio cominciare a prepararsi per uscire.
Continuarono a parlare, senza smettere, timorosi che il silenzio li
avrebbe risucchiati in un gorgo di tristezza. Cercavano di non pensarci
e, sulla strada dall'albergo all'aeroporto, cominciarono a progettare
il prossimo incontro. Natale. Pasqua...
"No Beth, prima c'è il tuo compleanno! Dovesse cascare il
mondo, voglio venire a trovarti."
"Va bene... basta che non ti fai buttare fuori." Rispose Beth,
arrivando al Terminal 1. Parcheggiò e scese ad accompagnare
Jason.
"Qual è il tuo volo?" Gli domandò una volta
nell'edificio, davanti al tabellone. Una volta scesa dall'auto gli
aveva preso la mano e non l'aveva ancora lasciata
"QF660! Parte fra un'ora... meglio se mi sbrigo." Le rispose Jason con
un sorriso, mentre istintivamente stringeva più forte la sua
mano.
Beth annuì. "Vero. Ciao Jas... Fai buon viaggio e scrivimi
appena arrivi."
"Certamente, Bebe... Salutami Sandra, Jillian, Alfred e anche Robert."
E si chinò per baciarla, prima di scivolare via dalle sue
braccia, verso il check-in.
Elizabeth quindi si voltò per uscire dall'aeroporto, poi
ruotò nuovamente su se stessa, cercando Jason nella folla.
"Jaaaaas!"
Lui si girò di scatto a sua volta.
"Ti amo!" Urlò la ragazza.
Jason face segno di non aver capito.
"Ti amo!" Ripetè lei a voce più alta, arrossendo,
ma l'altro le rispose: "Non riesco a sentire nulla!"
"JASON-TI-AMO!" Scandì Beth con espressione metà
disperata e
metà divertita. Era sicura che questa volta l'avessero udita
anche a Perth.
"Non urlare! Avevo capito, sai? Volevo solo sentirtelo dire tre volte."
Le fece l'occhiolino, e lei gli sollevò il dito medio.
Jason ridacchiò e le mandò un bacio con la mano,
prima di urlare: "Ti amo anche io, Elizabeth" con il sorriso
più diabetico del
suo repertorio da idol. Dopodichè si voltò,
lasciando Beth
in mezzo alla folla a sciogliersi come un gelato.
Non si sarebbe arresa per nulla al mondo.
@@@@@@@@@@@@
Grazie, ragazzi, per essere arrivati fin qui.
Forse ho messo qui dentro più me stessa di quanto avrei
voluto
ma... non ho potuto fare nulla per impedirlo. Vi è scivolato
dentro e stop.
Sostanzialmente il mio scrivere sono delle riflessioni, desideri e
risposte a domande della vita reale.
Scrivo per darmi risposte e dare agli altri spunti di riflessione su di
esse.
Non importa se siano d'accordo o meno... L'importante non è
trovare la verità, bensì cercarla.
In questo senso l'arte salva. Aiuta a credere che vi siano delle
risposte.
E' finzione, ma avere davanti un mondo finto peggiore o
migliore di quello in cui ci troviamo, aiuta a viverlo.
Se la situazione presentata è migliore, siamo portati ad
avere
la speranza anche solo subconscia di poterla raggiungere, se
è
peggiore guardiamo quello che abbiamo e ci sentiamo meglio,
perchè ci rendiamo conto che esiste qualcuno che sta peggio.
Questo è il mio ultimo lavoro come fanfictioner... spero di
aver
dato qualcosa, altrimenti la mia presenza qui è stata
inutile
come l'albero che si schianta in una foresta deserta.
Questo è stato il
mio suono.
Spero che qualcuno l'abbia udito.
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