I won't give up

di Lyra Lancaster
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Capitolo 1 ***
Capitolo 2: *** Capitolo 2 ***
Capitolo 3: *** Capitolo 3 ***
Capitolo 4: *** Capitolo 4 ***
Capitolo 5: *** Capitolo 5 ***
Capitolo 6: *** Capitolo 6 ***
Capitolo 7: *** Capitolo 7 ***
Capitolo 8: *** Capitolo 8 ***
Capitolo 9: *** Capitolo 9 ***
Capitolo 10: *** Capitolo 10 ***
Capitolo 11: *** Capitolo 11 ***
Capitolo 12: *** Capitolo 12 ***
Capitolo 13: *** Capitolo 13 ***
Capitolo 14: *** Capitolo 14 ***



Capitolo 1
*** Capitolo 1 ***


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Parte I

Friendship

- Capitolo 1 -


Elizabeth si stiracchiò sulla panchina dell'areoporto di Incheon e gettò un'altra occhiata all'orologio analogico che troneggiava appena prima dei banconi del check-in. Le sue lancette si muovevano troppo lentamente, ed il tempo sembrava rallentare ogni secondo di più. Quel coso era sicuramente rotto.
Per sicurezza controllò anche il cellulare, ma segnava lo stesso orario.
Beth imprecò.
Di solito i voli ritardavano, invece il suo, quello che da Brisbane l'aveva portata a Seoul, aveva trovato bel tempo, nessuna turbolenza e aveva planato sulla pista con mezz'ora d'anticipo. All'inizio era contenta, perchè in questo modo non avrebbe fatto aspettare Jason.
Tuttavia, proprio mentre lo pensava, aveva ricevuto un messaggio dal ragazzo che la avvisava di un imbottigliamento allucinante a causa di un incidente da cui non sarebbe riuscito ad uscire per almeno una mezz'ora. Perderò tempo al ritiro bagagli, si era detta. E invece la sua valigia nera era stata la prima ad uscire: era stata tentata di lasciarla scorrere sul nastro per un paio di giri. Così... Per perdere un po' di tempo... ma alla fine l'aveva raccolta e si era trascinata fuori.
Ed ecco un altro messaggio di Jason che tirava maledizioni contro i vigili e la loro progenie per come stavano gestendo la situazone. Ancora tre quarti d'ora. O così diceva il navigatore.
La giovane gli aveva risposto di non preoccuparsi, avrebbe fatto un giro, poi era andata in bagno, si era sistemata i lunghi capelli corvini e aveva preso una brioches con cappuccino al Nespressobar. Era tornata in bagno e si era sistemata il trucco leggero. Aveva rinforzato la linea della matita marrone -non le piaceva nera, perchè creava troppo contrasto con i suoi occhi celesti- sopra l'occhio, poi l'aveva tolta e l'aveva sistemata come prima. Si era spruzzata ancora un po' di profumo e poi aveva trascinato se stessa e la valigia su una panchina. Aveva avvisato Jason che sarebbe stata al terminal 2 davanti al gate 18. Lui aveva risposto con un messaggio dove citava una canzone che lei non conosceva.
Sicuramente era colpa della noia.
Lo intimidì di prestare attenzione alla strada, che non era necessario un altro incidente, ma lui continuò ad inviarle messaggi finchè non annunciò di vedere l'aeroporto; quindi Elizabeth si alzò, si diresse verso il gate e iniziò a cercare una Mercedes grigia nella fila interminabile di automobilisti che correvano sulla strada davanti all'aeroporto. Bella impresa. Tre quarti delle vetture erano grigie e cinque sesti di queste Mercedes. Tuttavia aveva un altro indizio: sapeva anche che Jason sarebbe stato solo, perchè sapeva che la Starkim avesse concesso il giorno libero solo a lui e non all'intera band. Perciò la ragazza distoglieva lo sguardo dall'interno delle auto nonappena si accorgeva che al loro interno vi era più di una persona.
Ma ecco che, ad un certo punto, circa la duecentesima Mercedes grigia rallentò, abbassò il finestrino e urlò un rapido "Vado a parcheggiare!" nella sua direzione e si allontanò.
Elizabeth non pensava che il tizio si stesse rivolgendo a lei, perchè era biondo, e lei Jason se lo ricordava con i capelli scuri, quindi tornò a scrutare l'orizzonte in cerca dell'amico.
"Steinhaus! Signorina Bebe Steinhaus!"
La giovane si voltò. Il biondo della Mercedes era diretto verso di lei con un sorriso raggiante che gli distendeva le labbra.
Spalancò gli occhi.
Quel tipo era sicuramente il suo ex compagno di studi Jason Jang per un'infinita serie di motivi, tra i quali il suo modo di camminare sicuro e deciso e il modo con cui aveva attirato la sua attenzione: nessun suo compagno di corsi l'aveva mai chiamava per cognome e nessuno si era mai rivolto a lei con lo stupido diminutivo che le aveva appioppato sua nonna -lei era tedesca e non apprezzava il nome anglofono della nipote, quindi accorciava ulteriormente il diminutivo più comune "Beth" con un germanofono "Bebe", così erano tutti contenti, tranne la diretta interessata, a cui veniva la pelle d'oca tutte le volte che si sentiva chiamare in quel modo. Non le piaceva per niente. Le sembrava ridicolo.
Tuttavia in quel momento era quasi felice di sentire quel nomignolo.
"Presente, dottor Jang!"  Sventolò la mano in risposta al suo saluto e, trascinando il trolley, gli volò incontro.
Lui si fermò e splancò le braccia, il sorriso più ampio di prima, e Beth mollò la valigia sul marciapiede per correre ad abbracciarlo.
Ecco. Altre due cose non erano cambiate da quando si erano visti l'ultima volta; una era il dopobarba che usava, l'altra erano gli occhiali da sole, tenacemente indossati ad ogni ora e in ogni occasione. In compenso sembrava più magro. Sciolse l'abbraccio.
"Come stai?"
"Che hai combinato ai capell... bene grazie. Tu?"
"Lol bene... Idea della Starkim... ti piacciono?"
"No."
"Ma come?" Lui rise. "Piacciono a tutte le mie fan" Si passò una mano tra i capelli.
"Vuol dire che sono infami. Moro stavi meglio." Elizabeth allungò una mano per passarla tra le sue ciocche "Oddio come sono morbidi... Jason dammi il tuo shampoo. Subito. Ora. Adesso. Lo voglio."
Lui rise e sciolse l'abbraccio: "Qui in mezzo alla strada? Bebe, aspetta almeno di arrivare in alberg... ahia!" Lei gli aveva tirato uno scappellotto, facendolo ridere di nuovo."Che c'è? Sei tu che hai iniziato! Ti porto la valigia..."
"No Jas... il pugno era per il nomignolo... lo sai che lo detesto... e non ti preoccupare, ce la faccio da sola"
Ma lui non aveva atteso che la ragazza terminasse la frase; si era appropriato del suo trolley e lo stava trascinando lungo il marciapiede.
"Oh beh... grazie..." Lo raggiunse. Jason aveva sempre avuto delle buone maniere, e a Beth erano sempre piaciute le persone con un giusto senso civico. Insomma. Il mondo è ipocrita e falso, quindi tanto vale esserlo meglio degli altri.
"Di nulla, Beth... com'è andato il volo?"
Nel frattempo avevano raggiunto l'auto e Jason aveva caricato la valigia della ragazza nel bagagliaio, per poi immettersi nuovamente nell'autostrada.
"Fin troppo bene. Siamo atterrati con mezz'ora di anticipo... "
"Ah... ti sarai annoiata ad aspettarmi..."
"Troppo. Stupido incidente" Rise la giovane, facendo ridere anche Jason.
Partirono, ma il traffico continuava ad essere una matassa aggrovigliata che si districava lentamente e pesantemente, ringhiando e sbuffando nuvole di monossido di carbonio, e ci due ci misero un'ora prima di uscire da Incheon. Elizabeth gli parlò del viaggio e della noia mortale a cui era stata condannata dalla diligenza della Qantas. Avrebbe preferito il brivido di un paio di turbolenze, qualche vuoto d'aria... anche solo un'hostess con le balle girate andava bene! Ma nulla... Sorrisi e nuvole che neanche in Paradiso.
"Non ti lamentare... c'è gente che ammazzerebbe per avere un volo come il tuo" Jason era sprofondato nel sedile e combatteva con un incipiente tallone d'Achille che stava per insorgergli a causa del movimento meccanico repentino tra freno, frizione ed acceleratore. Per fortuna Elizabeth sapeva come rendere interessante anche il racconto di un volo noioso.
"Sono nata in una delle terre più pericolose del pianeta... la tranquillità mi fa cadere le braccia!" Rispose lei incrociando le suddette e seguendo con lo sguardo un uomo che, da come gesticolava al telefono, sembrava avere tante braccia quante la dea Kali.
"Ah certo... James Cook II, ti piacciono ancora le brioches alla crema?" Il ragazzo rischiò un tamponamento per guardare Elizabeth negli occhi e sorridere, lei sgranò i suoi e si rianimò: "Certo che mi piacciono!" Se n'era ricordato! All'università, durante una di quelle giornate da suicidio che prevedevano quattro lezioni di due ore ciascuna una in fila all'altra, passava quasi sempre in una caffetteria lì intorno, la BlumenBaum Baker's, che sfornava delle deliziose brioches fresche ripiene di crema e ne comprava due: una da mangiare subito e una per metà mattina. In teoria. In realtà una per metà mattina, metà da mangiare subito e metà da regalare a Jason.
"Sono sul sedile posteriore... volevo ricordare i vecchi tempi e riscattarti di tutti i carboidrati che ti ho sottratto in due anni" E, approfittando del semaforo rosso, il ragazzo si voltò indietro e prese un sacchetto bianco con dentro una scatola.
"Jas, non dovevi!" Lo ringraziò Beth, prendendo la borsa con entrambe le mani per sistemarselo in grembo. Era eccitata come una bambina a cui hanno regalato una nuova bambola.
L'altro rispose con un gesto vago della mano: "Ormai saranno fredde... e non sono del BB... però sono buone lo stesso, fidati di me." In quel momento scattò il verde e Jason premette l'acceleratore, gongolando per essere riuscito a far felice l'amica. Ecco una qualità di lei che gli piaceva: non aveva gusti difficili e bastava poco per vederla sorridere. Infatti, dopo un "chissenefrega", Beth aprì la scatola e lasciò che l'aroma dolce e fragrante dei croissant riempisse l'abitacolo, poi ne prese una e l'addentò. "Mh! Dio quanto sono buone" commentò.
"Lo so. Me ne dai metà?" Ridacchiò il ragazzo.
"No. Questa me la mangio tutta io. Forse la prossima." Beth si leccò le dita. La crema era suisita e ventiquattro anni non erano troppi per gustare una brioche come si deve.
"Come sei cattiva! Tanto siamo quasi arrivati al tuo hotel. Ah! Purtroppo devo scappare, dopo... mi rivogliono indietro per l'una ed è già mezzogiorno e un quarto." Le spiegò Jason con il tono e lo sguardo di un cucciolo bastonato. Dopo un anno che non vedi una persona vorresti anche farci quattro chiacchere in santa pace, perdio!
Elizabeth se ne accorse e abbassò gli occhi celesti sul cruscotto: "Non ti preoccupare, avremmo tutto il tempo per vederci un'altra volta... anche io ho un po' di faccende da sbrigare... disfare le valige, carte da controllare, cartelle da ordinare e fuffa simile" Gli sorrise per rassicurare lui e se stessa; in realtà avrebbe voluto rapire Jason e passare la giornata a ciondolare per il centro della città, ma il dovere viene sempre prima del piacere.
"Che fregatura! Guarda... ti lascio il biglietto della casa discografica, così hai l'indirizzo. Se vuoi venire a trovarmi, fammi uno squillo." Jason parcheggiò e si voltò verso la giovane per salutarla quando, si ricordò che aveva nel bagagliaio la valigia dell'amica: "Sì ma... aspè... che idiota!" E si slacciò la cintura per scendere e scaricare il trolley. Subito dopo venne raggiunto da Elizabeth, che si riprese il bagaglio e si alzò sulle punte per schioccargli un bacio su ciascuna guancia: "Grazie mille Jas... Catchya later!"
"Di nulla Beth, quando hai bisogno... io sono qui." Lui invece si era abbassato un poco, per ricevere i baci dell'amica, prima di salire di nuovo in auto e agganciarsi la cintura, mentre Beth entrava nell'albergo scarrozzandosi dietro il trolley.
Infilò le chiavi nel quadro e, in quel momento, si accorse che, appoggiata sopra un Kleenex, c'era metà brioche.




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Buonsalve a tutti quanti!
Sono fiera di essere la prima a scrivere in una sezione LEDApple qui su EFP con questa fanfiction.
Spero che catturi la vostra attenzione e che vi rimanga nel cuore... oltre che dare spunto alle LEDAs italiane per scriverne altre. Forza ragazze, so che ci siete! Uscite e tirate fuori la vostra creatività!
Detto ciò- ci vediamo al cap 2!
Ps: Il titolo della storia è tratto da una canzone di Jason Mraz, I won't give up, appunto, di cui il nostro Hanbyul ha fatto una covero (come dice lui con il suo aussie accent) inedita live. Stay tuned!




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Capitolo 2
*** Capitolo 2 ***


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- Capitolo 2 -

Beth non era  in Corea esplicitamente per vedere Jason, bensì per seguire un seminario di dieci incontri sulle nuove modalità di cura delle infezioni batteriche della cavità orale.
Aveva vinto il viaggio grazie ad una borsa di studio post-laurea, e poi ne aveva approfittato per incontrare qualcuno che non vedeva da un sacco di tempo e a cui era molto affezionata.
Elizabeth e Jason si erano conosciuti perchè erano capitati vicini di banco durante la prima lezione di fisica del primo anno accademico. Era gennaio, e a Brisbane la brezza calda dell'estate entrava flebile dalle finestre dell'aula più affollata di tutto il corso, con gente ammassata per terra e gente stipata vicino alle porte per succhiare meglio la poca aria a disposizione.
Loro due erano tra i pochi fortunati che erano riusciti a trovare posto a sedere nelle prime file, anche se entrambi rischiavano il collasso polmonare per carenza di ossigeno. Infatti, ad un certo punto, Elizabeth aveva sentito un tonfo vicino a lei e, voltandosi, aveva visto un ragazzo con il viso pallido e la testa pesantemente abbandonata sulla mano, il cui gomito a malapena rimaneva puntellato sulla striscia di compensato chiamata "banco". Lui contninuava a scrivere, anche se gli tremava la mano. Beth aveva smesso di prendere appunti e aveva scrollato il ragazzo con una mano sulla spalla, porgendogli la propria bottiglietta dell'acqua. In realtà lui avrebbe avuto bisogno di stendersi e di prendere aria, perchè chiaramente stava per svenire, ma con tutta quella gente in mezzo non sarebbe mai arrivato cosciente alla porta.
Il giovane le aveva sorriso e aveva accettato la bottiglietta, bevendo avidamente. Beth, pratica di svenimenti per esperinza personale, sapeva che un po' di acqua non sarebbe bastato, così gli aveva passato anche una caramella alla frutta.
"Grazie... dovrei cominciare a portarne anche io, se sono così tutte le lezioni" le aveva sussurrato il giovane, infilandosla in bocca.
"Di nulla... sono Elizabeth Steinhaus... piacere"
"Jason Jang, piacere mio" Le aveva stretto la mano, mentre riprendeva colore: "Sei tedesca?"
"No... sono nata e cresciuta qui. Tu... coreano?"
Lui aveva sorriso di nuovo, questa volta più vivacemente, e Beth aveva subito notato una fossetta formarsi sulla guancia sinistra: "Sono nato e cresciuto anche io qui. Dopo ti offro un caffè per ringraziarti."
"Ma lascia stare! Puoi sdebitarti venendo qui fino alla fine dei tuoi giorni a prendere posto anche per me"
"Sì vabbè... vuoi anche che ti venga a prendere a casa?" Aveva riso lui.
"No. Altrimenti come fai ad arrivare prima per tenermi il posto?"
"Terza fila. Silenzio o vi sbatto fuori." Il professore si era voltato e stava guardando direttamente verso di loro, costringendo i due ragazzi a chinare di nuovo la testa sui propri quaderni.
E così per i primi mesi erano stati l'uno per l'altra il punto di riferimento e il supporto necessario per districarsi in quella giungla di novità e disinteresse che era l'immensa UQ. O almeno finchè uno dei due non aveva capito che quella non era la sua strada.
Chissà come sarebbero andate le cose, invece, se Jason si fosse laureato insieme a lei? Beth se lo domandava spesso, così come se lo stava chiedendo in quel momento, mentre disfava la valigia e sistemava gli abiti nell'armadio, dopo il pranzo in hotel insieme agli altri seminaristi.
Si buttò poi sul letto, meditando di riposare per qualche secondo e poi fare un giro nei dintorni, per cominciare ad assaggiare una piccola fetta di quella che sarà casa sua per il prossimo mese.
Il primo incontro era programmato per il giorno seguente, dalle 8:00 alle 12:00, e lei non aveva la minima idea di dove dovesse andare. Tuttavia non voleva chiamare un taxi; per il suo soggiorno in Corea aveva il cash limitato, e voleva evitare di spendere soldi inutilmente. Sapeva che l'auditorio in cui si sarebbe svolto il seminario non era molto distante dal suo hotel, quindi preferiva fare quattro passi a piedi e guardarsi un po' intorno.
Così, una volta sul letto, cercò col gps del cellulare l'indirizzo della sua meta ed il percorso a piedi. Ci avrebbe impiegato venti minuti, e il tragitto da percorrere non sembrava molto tortuoso o complicato: si poteva fare.
Poi prese il biglietto da visita che le aveva dato Jason, e cercò anche la Starkim. Purtroppo era nel distretto di Gangnam, e a piedi ci volevano quasi tre quarti d'ora. Un giorno in cui non avrebbe avuto nulla da fare avrebbe potuto farci un salto, però. Perchè no? Una domenica pomeriggio di sole, magari... Quando non avrebbe dovuto scrivere relazioni ed incontrare luminari in materia odontoiatrica.
Cominciava a pensare che, tra i propri impegni e quelli di lui, in realtà le occasioni di incontrarsi sarebbero state veramente poche, come aveva dimostrato la chiamata alle armi all'ultimo minuto effettuata dalla Starkim, con la quale aveva ridotto drasticamente le ore che avrebbe potuto trascorrere insieme al vecchio amico.
Quindi si ripromise di uscire a fare un giro in centro con gli altri seminaristi, per conoscere loro e la città.
E invece quel pomeriggio Beth rimase tutto il tempo nella sua stanza, poichè dopo pochi minuti che si era distesa sul letto, il suo cervello si era spento e lei era caduta in un sonno profondo, dal quale si era svegliata quando ormai il sole era già calato dietro i grattacieli e gli ultimi bagliori del tramonto stavano morendo all'orizzonte.
I suoi compagni di seminario erano una cinquantina in tutto, e per la maggior parte erano saccenti figli di papà che passavano le lezioni con la mano alzata a puntigliare sui minimi dettagli facendo sfoggio di erudizione e di retorica. E Beth detestava la gente del genere, perchè rendeva ogni nozione puro virtuosismo, dimenticandone il più importante lato pratico. Per fortuna c'erano anche due o tre ragazzi che, come lei, avrebbero accoppato questi medici teorici. Tra di loro c'era una ragazza la cui stanza distava qualche numero da quella di Beth, Chloè, con cui lei si era trovata spesso a chiaccherare.
Poi Beth realizzò che, effettivamente, non avrebbe sentito Jason fino a giovedì, e per quel giorno la ragazza gli chiese se avrebbe potuto assistere alle prove del gruppo.
Lui aveva assentito, entusiasta, e aveva affermato che un'auto sarebbe passata a prenderla verso le tre del pomeriggio.
Così non dovrò farmela a piedi. Meraviglioso!
A lei piaceva camminare, ma un tragitto di quasi un'ora in una città sconosciuta poteva rivelarsi un incubo anche per una ragazza con un senso dell'orientamento sviluppato come lei -era praticamente nata in un billabong, miseria ladra!, per questo era felice che Jason mandasse un'auto a prenderla.
In auto ci volle più o meno mezz'ora, durante la quale l'autista aveva fatto ascoltare a Beth qualche canzone dei LEDApple -dietro esplicita richiesta del signor Jang, come aveva affermato lui.
A lei erano piaciuti, non erano male, ed era rimasta colpita di quanto fosse migliorata la voce di Jason. Aveva sempre pensato che avesse delle ottime doti canore, sin dalle prime volte che l'aveva sentito entrare in classe canticchiando più o meno seriamente di tutto e di più, e dall'ultima volta che si erano visti il suo talento era cresciuto notevolmente.
Beth era davvero orgogliosa di lui, e sorrideva, mentre l'autista entrava nel parcheggio sotterraneo e fermava l'auto.
La ragazza aprì la portiera e in quel momento si aprì anche la porta dell'ascensore.
"Steinhaus! Da questa parte." Jason aveva pronunciato il suo cognome con tono assertivo e sguardo severo, come faceva sempre quando voleva scimmiottare il suono duro della lingua tedesca, però l'invito era stato dolce, accompagnato da un sorriso tenero. Beth resistette all'impulso di saltargli in braccio e stringerlo come un orsetto di peluche, e si limitò a salutarlo con un movimento della mano e un "Ciao Jas!", prima di raggiungerlo nell'ascensore.
"Oggi ti farò conoscere quei fighi che hai sentito suonare nel CD. Però non sono tutti cool come me."
"Ahahahah! Aspetta... ho bisogno di spazio... il tuo ego mi sta schiacciando." Era sempre stato poco modesto e piuttosto superbo, ma di frasi simili non ne aveva mai pronunciate, riflettè Elizabeth. "Lo starsystem ti ha pompato come la ruota di una bicicletta?" Rise lei.
Jason le fece eco con la propria risata, passandosi una mano tra i capelli: "Forse. E tu sei stata inviata dall'alto per guidarmi nel cammino verso la redenzione dei miei peccati?"
"Jas... ma che erba ti sei fumato?" Continuò a ridere lei.
"Erba gatta... miaow... oh, eccoci!" E dopo l'ultimo esploix di demenza in cui aveva tentato di imitare la dolcezza zuccherina di un micino, era tornato serio e aveva atteso l'apertura delle porte, prima di uscire.
Beth lo seguì, senza sapere se ridere o piangere, e poco dopo si trovò davanti i cinque ragazzi che, insieme a Jason, formavano i LEDApple.





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Capitolo 3
*** Capitolo 3 ***


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- Capitolo 3 -


"Annyeong-hasaeyo! We are LEDApple!"
Jason si era unito a loro per il saluto, con pollice ed indice a formare una "L" che si spostava verso destra e la testa che seguiva il movimento della mano, reclinandosi sulla spalla.
"E questa è Steinhaus Elizabeth... e voi non dovete assolutamente chiamarla Bebe." La presentò poi, facendole l'occhiolino.
"Ma cos... ragazzi, piacere di conoscervi" Ricordandosi l'uso coreano, si inchinò.
A ruota si inchinarono anche gli altri cinque, presentandosi con cognome, nome e ruolo all'interno del gruppo.
"Ragazzi... le facciamo ascoltare qualcosa? Bebe, siamo ai tuoi ordini."
"Scusatemi... ma non ricordo nemmeno un titolo... " Effettivamente avrebbe potuto almeno cercarsi su internet le canzoni che suonava il suo migliore amico, in un anno e mezzo di tempo di tempo... si chiese perchè non ci avesse mai pensato. Forse perchè era talmente in collera con lui per essere sparito da aver preferito che se lo fosse inghiottito l'oceano. Poi, però, una volta ripresi i contatti, lui le aveva passato qualche titolo all'inizio, ai tempi del suo debutto, prima che lei fosse sopraffatta dalla laurea e lui da prove e promozioni, ma lei non ci aveva prestato troppa attenzione. Ormai lo dava per perso.
Un titolo però se lo ricordava.
"No aspettate... Time's up... potete suonarla?" Con le guance in fiamme per l'imbarazzo guardò prima l'amico e poi il leader, che annuì e cercò il consenso degli altri. "Certamente dongsaeng... Hyoseok, vai col tempo."
Il batterista annuì e cominciò a ritmare il pezzo.
Nessuno aveva bisogno dello spartito, era un pezzo che ormai tutti conoscevano a memoria, e che tutti amavano, come si poteva capire dall'enfasi con cui la suonavano. Jason si muoveva come se fosse su un palcoscenico e maltrattava il microfono come se fosse meritevole delle peggiori pene infernali, accompagnato da un esagitato Kyumin, che saltava in giro come se avesse batterie inesauribili. Jas tirò anche un paio di stecche ma, anche se stonava, la sua voce rimaneva la cosa più bella che Beth avesse mai ascoltato.
La giovane si sedette vicino alla chitarra acustica, momentaneamente abbandonata contro il muro, e da lì assistette alle prove del gruppo, che ogni tanto la consultava per sapere come stessero andando.
"Bene bene ragazzi... continuate così che spaccate!" Rispondeva lei, alzando il pollice in segno di apprezzamento. "Forse dovreste abbassare il basso... non sento bene la chitarra" aggiunse, una volta.
"Io lo dico sempre che il basso si deve abbassare... che è troppo alto." Annuì Youngjun, portandosi una mano sopra la testa: non intendeva il volume.
"Questo perchè tu sei un nano da giardino, hyung" Replicò malignamente Kwangyeon.
"Porta rispetto, altrimenti sei fuori dalla band."
"Morte, sangue, violenza alè alèèè... violenza alè alèèè... violenza alè alèèè!" Kyumin aveva preso il microfono e si era messo a saltare, inneggiando al pestaggio. Hyoseok, dalla batteria, si unì a lui, battendo sulla grancassa il ritmo.
Kwangyeon si sfilò il basso e lo mollò tra le braccia di Beth che, non sapendo come tenerlo senza rovinarlo -e senza cadere sotto il suo peso, se lo mise a tracolla.
Youngjun posò la chitarra nel trepiedi e avanzò verso il bassista.
Quest'ultimo, pochi secondi prima sembrava l'essere più tenero e pacifico del mondo, mentre in quel momento aveva uno sguardo selvaggio ed omicida.
Lo stesso valeva per il leader, che si era arrotolato le maniche fin sopra i gomiti.
Jason si era avvicinato all'amica e commentava la scena come un presentatore radiofonico ad un torneo di wrestling, mentre KeonU se ne stava in disparte, sorridendo sornionamente.
"Aish... cosa devo fare con te...?" Scosse la testa il leader.
"Io voglio un mondo libero dalla tirannia." Rispose l'altro, serio.
"Si chiama autorità, e va rispettata." Youngjun lo additò minacciosamente.
"Io mi appello alla libertà di... suono." Kwangyeon spalancò le braccia come un eroe liberatore.
"E io al potere conferitomi dagli dei."
I ragazzi stavano parlando in inglese, per far capire anche a Beth cosa stesse succedendo.
Infatti lei guardava con espressione divertita la coppia, cercando di non soffocare dalle risate per la piega assurda che stava prendendo lo scambio verbale.
"Tsè. Se gli dei esistono di certo non inviano te per rappresentarli."
"E invece sì. Inginocchiati e riconosci la mia superiorità"
"Okay basta, ora sembra un porno squallido" Rispose Kwangyeon, scatenando l'ilarità generale e un "Noooooooo!" deluso di un Kyumin assetato di sangue.
"Ahahahah!... va bene... però abbassa il volume dai pick-up" Youngjun riprese in mano la chitarra, e Kwangyeon ringraziò Beth, mentre la aiutava a sflilarsi il basso e se lo riprendeva con estrema agilità.
Abbassò sul serio il volume, e le prove continuarono fino a sera, quando band invitò la ragazza a cenare con loro.
Lei declinò: doveva controllare dei documenti per il giorno dopo, prima di andare a dormire, e aveva bisogno di essere lucida. "Sarà per la prossima volta"
"Certo... torna ancora a trovarci presto" "Ciao noona!" "Buonanotte noona!" "Elizabeth-noona non lasciarci!" "Kyumin taci. Alla prossima!" Youngjun, Hyoseok, Kwangyeon, Kyumin e KeonU la salutarono calorosamente, mentre riordinavano la stanza.
"Sicuro! Arrivederci!" Elizabeth si inchinò ed uscì dalla sala, seguita da Jason.
"Ti accompagno." Disse lui a mezza voce, chiamando l'ascensore. Beth annuì, ma credeva che volesse semplicemente scendere in garage con lei, e invece la seguì all'auto e, per la precisione, si mise alla guida dell'auto.
"Sali."
Lei non si oppose, ed entrò in macchina.
Jason accese il motore, mise la retro e si voltò per uscire dal garage, nella notte illuminata dai neon del distretto di Gangnam.
Elizabeth si appoggiò al sedile e rimase a guardare lo spettacolo caleidoscopico delle insegne e della gente che camminava per le strade, abbigliata nei modi più stravaganti e ostentati  possibili.
"Vogliono far vedere quanti soldi hanno?" Commentò.
L'amico sorrise e annuì, imboccando un boulevard pieno di alberi che, illuminati a giorno dai neon, sembravano addobbati a festa.
"Jas... l'hotel è dall'altra parte." Gli fece notare lei.
"Lo so. Ma non ho intenzione di portarti in hotel... Forse è l'unica sera che posso stare con te e voglio fartela godere."
"Ma io..."  Ho cinquanta pagine di referti medici da analizzare! Era sua intenzione pronunciare, e invece dalle sue labbra uscì un flebile: "Hai ragione. Portami dove ti pare." Quelle carte poteva guardarle domani mattina, mentre non sapeva quando sarebbe stata la prossima volta che avrebbe passato del tempo con lui. Poi si rese conto di una cosa: "Che poi... è più di un anno che non passiamo una serata assieme." Da quella volta in cui Jason l'aveva lasciata scossa e confusa in riva all'oceano, dopo averla informata di aver prenotato il volo per Seoul.
Sembrava che il giovane stesse ricordando lo stesso aneddoto, perchè parcheggiò con un sorriso tirato e malinconico e, mentre il ticchettio delmotore si spegneva, si appoggiò allo schienale e, con gli occhi puntati sul volante, mormorò: "Da allora mi sei mancata tanto, Elizabeth."
Beth rimase a guardarlo. L'aveva detto per circostanza? L' insieme di suoni che avevano articolato quella frase innocente e sincera suonava così strano, nella penombra soffusa della Mercedes. E perchè aveva sentito un tuffo al cuore? Forse perchè era la prima volta che la chiamava con il suo nome per intero? "Anche tu." Mise una mano sopra quella di lui e gli sorrise amichevolmente.
Un anno. Un anno in cui si era sentita come un marinaio che ha perso l'orientamento in mare aperto fu dissipato in quell'istante in cui Jason le strinse la mano e incontrò i suoi occhi. Anche lui aveva sofferto la lontananza da lei. Oltre che dei suoi amici, della sua città, di quelle dannate brioches alla crema e del loro profumo, delle onde da solcare, dei suoi genitori.
Oh Jas... perchè te ne sei andato? Urlò dentro di sè, per poi rispondersi da sola quando notò una mela stilizzata che dondolava, appesa alle chiavi ancora nel quadro.
"Vediamo se so farmi perdonare, allora." Le strizzò l'occhio e sfilò le chiavi per poi scendere dall'auto.




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Capitolo 4
*** Capitolo 4 ***


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- Capitolo 4 -

Nella tavola calda in cui entrarono non c'era troppa gente e sembrava un posto tranquillo, con le abat-jour che diffondevano una luce ambrata all'interno del locale e sul viso degli avventori; era decisamente in contrasto con la strada affollata e il suo chiasso di colori, luci e suoni.
"Ti ho portata qui perchè so che non sei un tipo da astice e caviale" La informò Jason, mentre prendeva posto.
"Oh beh, il caviale non mi piace, ma sicuramente potrai portarmi a mangiare l'astice, quando mi chiederai di sposarti." Beth si sedette davanti a lui e prese il menù, che proponeva cibi della cucina tradizionale coreana. "Non so da dove iniziare... questo? E' buono?" Lui si sporse verso di lei, arrivando a sfiorare i suoi capelli. Quei tavolini erano impossibilmente minuscoli. Praticamente le loro ginocchia si scontravano ad ogni movimento e non c'era spazio per la sopravvivenza di due paia di mani.
"Mh... non è male. Dovresti provarlo... accompagnato da questo." Alzò di poco lo sguardo, trovandosi a guardare direttamente negli occhi dell'amica. Lei, con lo sguardo, seguì il suo dito che si muoveva sulla carta plastificata e annuì. "Certo... sì. Mi fido di te." Annuì, sollevando la testa. La metteva a disagio quella vicinanza claustrofobica con lui. "Jas... perchè mi hai portata nel nido d'amore per coppiette felici migliore della città?" Sollevò un sopracciglio poi, dopo che lui ebbe chiamato la cameriera.
"Ma perchè noi siamo una coppietta felice. Non sei felice in mia compagnia, Bebe?"
Lei approfittò dello spazio ridotto per tirargli una ginocchiata: "Sì... ma mi sento un file compresso."
"Allora... qui si paga poco, si mangia bene, non c'è casino e puoi rubarmi tutti i pezzetti di carne che vuoi senza fare troppi sforzi." Jason elencò i vantaggi contando sulle dita.
"Allora acquista punti. Ma non eri tu quello che in mensa rubava il cibo dal vassoio altrui?" Beth lo guardò con un finto broncio.
"Questo è vero. Quanto è ingrassato Robert, senza qualcuno che gli sfilasse i maccheroni sotto il naso?"
"E' ingrassato più perchè, dopo la tua partenza, ha cercato rifugio nel cibo." Rise Beth.
"Noooo... addirittura?! Era innamorato di me?"
"No. Di me. E sperava che, con te lontano, potesse avere una speranza... quando ho messo le cose in chiaro, lui si è allontanato dal gruppo e ha cominciato a mangiare doppio."
"Cosa?" Jason si guardava attorno, confuso, e serrò i pugni sul tavolo. "Quali cose? E... perchè lui pensava che io... che tu... Beth. Non ho capito."
Lei arrossì violentemente e si sistemò i capelli. "E' dispiaciuto anche a me... non volevo che abbandonasse il gruppo. Ma ha cominciato a diventare... inappropriato... fino a quando non gli ho spiegato che tra di noi poteva esserci solo amicizia, e..."
"Inappropriato? Ti ha toccata?"
"Ma... no. Se ci avesse provato, io sarei in carcere per omicidio... è solo che mi telefonava sei volte al giorno."
"Ah... povero Robert. Gillian e Sandra?"
"Si sono fidanzate!"
"Fra di loro?"
"No, pirla... Gillian con Alfred Dambeebak, il tipo rosso che faceva il master in economia sociale dei servizi non-mi-ricordo-più, Sandra con Philip!"
"Da Gillian mi sarei aspettato una cosa del genere... a lei sono sempre piaciuti i tipi con passioni assurde, ma Sandra con Philip... Dura ancora 'sta cosa?"
"La loro relazione ha sconvolto tutta la Golden Coast, temo... ma non ho più loro notizie, da qundo mi sono laureata... quindi non ti so dire."
Il ragazzo annuì, e in quel momento la cameriera tornò con le ordinazioni e augurò loro buon appetito.
"Cosa hai portato in tesi? L'importanza del piercing sulla lingua nel rapporto di coppia come avevi in mente al primo anno?" Domandò ridacchiando.
Lei a momenti non si soffocò con l'acqua. "Ma ti pare? Mi sono limitata al piercing facciale come espressione sociale."
"Peccato. Tutti quanti avrebbero voluto sentirti inneggiare alla fe..."
"Jason chiudi la bocca per favore. Non siamo nel posto adatto per fare certi discorsi. E adesso ho ventidue anni, non diciannove... tu pure, e non credo che riuscirei a mangiare questa cena squisita, se dovessimo andare sull'argomento." Elizabeth aveva pronnunciato il discorso tutto d'un fiato, a bassa voce, con tono di ammonimento e gli occhi bassi sul piatto. Non era mai stata una madonnina infilzata e quando era più giovane vantava molte idee liberali, anche se consceva bene i limiti della questione.
"Come sei diventata seria... stavo scherzando Bebe." Parò la ginocchiata in arrivo, frenando la gamba di lei con una mano prima che potesse raggiungerlo. "Sei prevedibile." Spostò la mano e tornò a mangiare.
Beth accennò un sorriso: "E tu rompiballe. Cosa hai fatto, una volta migrato qui?" Alzò nuovamente lo sguardo sul ragazzo.
Lui tornò serio ed ingoiò il boccone, prima di rispondere: "Sai come sono fatto io... sono andato direttamente al sodo e mi sono diretto alla Loen Entertainment il giorno stesso del mio sbarco a Seoul. Poi ho passato una settimana d'inferno in attesa del verdetto... informandomi anche sulle altre case discografiche nel caso la Loen non mi avesse preso. No, Elizabeth... non ho pensato neanche per un secondo di tornare a casa."
"Lo so. Volevi... tagliare tutti i ponti. Mi hai dato il tuo nuovo numero solo dopo un mese." C'era amarezza nella sua constatazione, ma non rimprovero o rancore. L'aveva perdonato già da un pezzo.
"Tagliare i ponti. La definizione è corretta." Mormorò a fil di voce."Sai... avevo paura che, mantenendo un contatto anche minimo con Brisbane, mi sarebbe mancata la forza di rimanere... cercavo di non pensare a nulla che non avesse a che fare con la mia nuova vita in Corea. Mi sono gettato a capofitto nello studio della lingua, per consolidare e dare un senso a quello che avevo già imparato da bambino, e nel perfezionamento della mia voce" Jason prese in mano il bicchiere e iniziò a giochicchiarci. Abbozzò un sorriso."Ho iniziato a pensare, mangiare e dormire come un coreano... mutando radicalmente ogni mia abitudine. Mi guardavo allo specchio e mi parlavo in coreano, dicendo le prime cose che mi venivano in mente... ascoltavo la radio quasi sempre e mi mettevo anche a ballare... sì. Lo so che non ne sono mai stato capace, non guardarmi così... mi muovevo come se fossi nato e cresciuto nello starsystem delle boyband... come se anche io fossi solo quello... o ci provavo. Poi un giorno mi è successa una cosa stranissima... ero in libreria e stavo cercando qualcosa da leggere... e sono capitato davanti ad uno scaffale pieno di libri di Ken Follet... e mi è venuto in mente che mia madre adorava Ken Follet... che ha letto tutti i suoi libri cinque volte..." Si interruppe, e il silenzio calò tra di loro. Fu Elizabeth a concludere la frase per lui: "E tutta la nostalgia che hai represso fino a quel momento ti ha sopraffatto... Hai stretto i pugni e sei fuggito dalla libreria cercando di ricordarti come si respira, ma non hai preso fiato finchè non ti sei trovato ad almeno due isolati da lì... hai cercato una cabina telefonica nei paraggi, perchè ti sei sentito di colpo dannatamente solo in un mondo che non ti apparteneva, che non conoscevi e che nenanche sapevi se ti volesse... ma il numero che le tue dita hanno composto non era quello di tua mamma."
Il ragazzo, che aveva preso a torturarsi le dita con la lama del coltello, scosse la testa con un sorriso triste, ma non pronunciò una parola.
"Non saresti stato in grado di sopportare uno scontro verbale con lei sulle tue scelte o, peggio, un suo rifiuto di parlarti... quindi ti sei rivolto a qualcuno che speravi ti capisse... che ti aveva sostenuto nella tua scelta fino all'ultimo..."
"E, quando mi sono presentato, quella persona non mi ha detto "ciao Jas, ti piace Seoul?"... prima mi ha ricoperto con i peggiori insulti creati dalla mente umana, poi ha passato dieci minuti buoni a piangere e singhiozzare come se l'avessero appena condannata alla ghigliottina."
Beth afferrò le sue dita e le allontanò dalla lama del coltello, intrecciandole alle sue. "L'hai mai chiamata, alla fine?" Lo guardò direttamente negli occhi, con intensità. La tipica espressione che la ragazza aveva quando provava grande interesse per qualcosa.
Jason adorava quell'espressione, ma la sua mano si irrigidì, come la sua voce: "No."
"Fallo... anche se ti manda a quel paese rimane tua madre... e tu suo figlio. Anche se non approva quello che hai fatto... continuerà ad amarti."
Lui non rispose. Rimase fermo a fissare i disegni damascati della tovaglia cremisi. "Anche tu le manchi." concluse Beth, accarezzando il suo pollice con il proprio. Il giovane sciolse la sua presa e si alzò, diretto alla cassa con sguardo truce. Beth non sapeva che fare, nè cosa pensare. L'aveva fatto arrabbiare? Non le importava. Aveva solo espresso la sua opinione.
Dalla cassa lui le fece cenno di uscire, e lei prese la borsa, mormorò un "Arrivederci" alla cameriera e lo seguì.
Jason era salito rapidamente in auto e attese che lei fece lo stesso prima di filare via, bruciando almeno due semafori. Beth si era ammutolita e aveva una mezza idea di quello che era successo, ma non voleva che quella fosse l'ultima volta che lo vedeva, e tantomeno che si concludesse in quel modo.
Ma chi diavolo crede di essere?
Pensò. Era arrabbiata e triste allo stesso tempo. Ed angosciata. Si era montano la testa al punto tale da credere che l'opinione altrui non valesse più nulla? Un anno aveva davvero cambiato così tanto il suo amico?
Lei aveva fatto quel discorso perchè voleva solo il suo bene.
Poi lui parcheggiò l'auto accanto ad una cabina telefonica. Aprì la portiera e, finalmente, le rivolse la parola. "Vieni."
E allora fu tutto chiaro. Elizabeth si slacciò la cintura di sicurezza e lo raggiunse.
Jason infilò i gettoni nella macchinetta, e la ragazza lo abbracciò, cingendogli la vita con le braccia. Appoggiò appoggiò la testa fra le sue scapole, rimanendo ad ascoltare il ritmo del suo cuore, che correva veloce, chiaramente fuori controllo, anche se il ragazzo sembrava del tutto tranquillo, mentre digitava il numero, che conosceva a memoria.
Il telefono prese a squillare, e Jason strinse il braccio di Beth.
"Ciaoma'sonoJason." Buttò fuori lui senza fare una pausa.
Infatti la signora Jang, dall'altro capo del telefono, rispose con un poco aggraziato: "Cosa? Chi parla?"
"Jason... sono io, mamma."
Anche Beth riuscì a sentire perfettamente la sua reazione: "Jason? No. Non conosco nessuno con questo nome."
E riagganciò.
Jason fece lo stesso, lentamente, e si voltò verso l'amica, che lo strinse senza dire una parola. Lui si aggrappò alle spalle della sua maglietta e affondò il viso nell'incavo del suo collo. Poco dopo Beth sentì qualcosa di umido colare sulle clavicole mentre, tra le sue braccia, il ragazzo tremava e singhiozzava.


*************
Ciao gente!
Visto che non aggiorno da secoli... oggi vi regalo un capitolo extra! :D
Chuuu!




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Capitolo 5
*** Capitolo 5 ***


ffledapple5

- Capitolo 5 -

Nei giorni che seguirono Elizabeth non ebbe molto tempo da dedicare all'amico, e si limitava a scrivergli su Whatsapp tra un seminario e l'altro; d'altra parte anche lui era piuttosto occupato, perchè lui ed i ragazzi stavano preparando un nuovo mini-album.
Tuttavia, dalla sera della telefonata, tra i due era nata una complicità che sembrava aver valicato i confini della semplice amicizia, ma nessuno dei due se ne accorse, e sembrò loro di compiere delle azioni del tutto naturali..
Erano già passate un paio di settimane, ormai mancava poco al rientro della giovane in Australia, e sembrava davvero che non ci fossero altri momenti per potersi vedere. Forse Jason non avrebbe nemmeno potuto accompagnarla all'aeroporto e lei avrebbe dovuto fare affidamento sulla navetta che partiva dal centro della città e si dirigeva ad Incheon.
Un po' le dispiaceva e temeva che, una volta tornata a Brisbane, avrebbe continuato a sentirlo con una certa continuità per un mese circa, poi con sempre minor frequenza, fino a dimenticarsi persino del suo compleanno. Non voleva che accadesse. Teneva tanto a lui. Così tanto che stava riflettendo proprio su quanto fosse vitale per lei sentirlo almeno una volta al giorno, quella sera, con la matita puntata sulla stessa parola da almeno una decina di minuti.
Non ci stava con la testa. Doveva studiare quel plico di fogli, ma l'orologio segnava le 23:10 e ancora le mancavano una ventina di pagine.
Scosse la testa, appoggiò la matita con aria seccata sul foglio e si stiracchiò. Beth. Forza. Non hai vinto tre borse di studio fantasticando sui ragazzi.
Fantasticando. Lei non stava fantasticando. La sua coscienza era ingiusta. Stava solo inventando modalità con cui scongiurare la fine di un'amicizia, ecco tutto.
Le tornò alla mente l'immagine dell'amico, fragile e distrutto dal dolore, che si abbandonava completamente su di lei.
No. Non sarebbe finita tanto facilmente. Tante volte gli aveva salvato la vita. Aveva un debito nei suoi confronti, non poteva sparire così. Di punto in bianco.
Eppure l'ha già fatto.
Beth tornò alle sudate carte e cercò di concentrarsi, ma ad un certo punto si trovò a canticchiare proprio una canzone dei LEDApple, e le venne automatico riflettere su quanto fosse azzeccata per Jason la professione di cantante. Era nato per stare su un palco e donare caritatevolmente al mondo la propria voce cristallina. Decisamente sarebbe stato sprecato, in uno studio dentistico, a ravanare tra le carie di ingoiatori seriali di caramelle e mangiatori di cipolle professionisti. Jason era un artista, quindi aveva tutto il diritto di coltivare il proprio talento.
Dopo che mezza Queensland aveva saputo della sua scelta, questa era divenuta oggetto di argomento sul forum dell'istituto per un paio di settimane buone, e i suoi amici stretti erano stati tempestati da ogni genere di domande, costringendo Robert, Sandra, Gillian e lei stessa a pranzare e muoversi nella struttura in orari diversi dal resto della studentesca.
Tra di loro c'era chi lo sosteneva, chi gli dava contro e chi se ne fregava -grazie a Dio!
I sostenitori ammiravano la sua decisione coraggiosa e quasi romantica di lasciare ogni contatto con la realtà deprimente e menefreghista della città per inseguire il proprio sogno di dedicarsi alle passioni, di dare voce ai sentimenti umani con la più antica delle forme di espressione: il canto.
Chi gli dava contro lo riteneva un pazzo che preferisce lasciare la strada vecchia per quella nuova, abbandonando un lavoro sicuro, un tetto sulla testa e tre pasti al giorno assicurati per inseguire una decisione repentina e troppo poco ponderata. Molti lo disprezzavano, perchè conoscevano la natura decisamente cospicua del partimonio monetario dei genitori, e credevano che fosse solo un figlio di papà alle prese con una nuova diavoleria. Oggi la fuga in Corea, domani il giro del mondo in Harley Davidson... Era una stupidaggine qualunque, e lui aveva sputato sulla fatica della gente che sgobbava per portare a casa il pane per i propri bambini.
Inoltre c'era chi pensava che non avesse avuto attorno persone in grado di dissuaderlo, di farlo rinsavire.
Colpevoli i suoi genitori, colpevoli i suoi amici.
E Beth era stata subito assalita dai curiosi, che parevano voler per forza creare la storia dell'eroina sedotta ed abbandonata, giocando anche col nome di lui, che richiamava l'eroe greco inviato a recuperare il vello d'oro.
Poi, semplicemente, Elizabeth un giorno aveva perso le staffe e aveva sputato veleno su tutti in pieno atrio, urlando che era stata lei ad incoraggiarlo a seguire il suo sogno, che lei credeva fortemente che ciascun essere umano ha delle proprie capacità e, in virtù di queste, dei ruoli differenti all'interno della società, e che anche cantare era un ruolo degno di ammirazione come quello del manager o dell'avvocato, se non migliore perchè, a differenza di altri mestieri, la passione per la musica non ha nessun guadagno materiale pari al proprio guadagno spirituale.
E anche perchè è meglio passare una breve estate felice e spensierata a cantare con il cuore leggiero, piuttosto che raccogliere cibo per poter vivere e vivere per raccogliere cibo, con l'animo gravato dallo stress e dalla paura di non poter andare a raccogliere cibo ancora un altro giorno, finchè non si invecchia e si muore fissando la pancia piena ma l'anima atrofizzata, immobile ed inesorabilmente vuota.
Ciò che distingue l'uomo dalle bestie è la propria interiorità, e solo chi la sviluppa a pieno può definirsi tale. Altrimenti è solo un animale, o un computer.
Così aveva lasciato l'istituto in silenzio. Aveva ammutolito tutti, non si era spostata una tenda, dopo il suo discorso; poi, per fortuna, erano iniziate le sessioni di esami, quindi Beth non aveva mai saputo se la gente credesse pazza pure lei, oppure la stimasse una persona saggia.
Beth tirò una testata alla scrivania. Quella sera decisamente non riusciva a concentrarsi. Prese il cellulare e controllò Whatsapp. Nessun messaggio. Sbuffò, delusa.
Forse era vero... aveva sempre avuto un debole per lui.
Ecco di nuovo il tuffo allo stomaco. Quanto debole?
Lui era il classico tipo studioso, carismatico, con il sorriso affabile, che aveva sempre uno stuolo di belle bionde pronte a dargli la fiducia -sì, la fiducia.
O questo era quello che sembrava all'apparenza. In realtà era un ragazzo riflessivo, serio e con dei sani principi, e anche una vena di egoismo mista a caparbietà che gli permetteva di ottenere sempre ciò che desiderava.
Picchiettò con la matita sulla scrivania, sospirò e si tuffò sulla pagina sottolineata a metà, cercando di associare le parole al concetto che volevano esprimere. Poi sentì il trillo di Whatsapp e si fiondò sul cellulare. Jason le chiedeva se volesse bere una birra con la band più fica di tutta Seoul.
Lei piantò l'ennesima volta la matita sul tavolo, si alzò e rispose affermativamente. Quindi si buttò sotto la doccia e si preparò per uscire.
Stava ancora finendo di disegnare il contorno occhi con la matita, quando l'ennesimo squillo la avvisò che la stavano aspettando di sotto. Beth roteò gli occhi imprecando contro se stessa e finì di sistemarsi prima di infilarsi le scarpe e scendere. La puntualità non era mai stata il suo punto di forza.
Venne accolta sull'auto da amichevoli: "ehi Beth!", "ciao Beth!" e il "Yo Beth wassaaa?" di Kyumin e dopo mezz'ora di AC/DC e Metallica arrivarono ad un locale frequentato principalmente da studenti universitari, che festeggiavano la buona riuscita degli esami o cercavano di affogare nell'alcool le delusioni.
Il posto era un'unica sala che, però, grazie alla sapiente disposizione dell'arredamento, creava delle nicchie con un ambiente raccolto, più intimo, e Jason guidò la combricola verso un angolo in cui c'erano un paio di divanetti uno di fronte all'altro, da due e da tre posti, e altrettante poltrone con una stampa patchwork sulle tonalità del blu e del marrone, due piantane che facevano luce e un tavolino basso in legno e vetro posizionato nel mezzo.
Kyumin e Hyoseok si fiondarono subito sul divano doppio, mentre KeonU prendeva una poltrona e Kwangyeon si sedeva sull'altro divano, accanto a Youngjun che, a sua volta, si trovò seduto accanto a Beth.
"Vado io a prendere la birra... prendo il solito o volete qualcosa di particolare?" chiese Jason, che era rimasto in piedi; un'altra particolarità di quel locale era che i clienti si servivano da soli dalle tante botti sistemate contro il muro.
"Portami una bionda come sempre, Byul!" chiese Hyoseok, "Anche per me!" gli fece eco il leader, mentre il bassista gli chiese una "Scura e tedesca. Io preferisco le more." e fece scherzosamente cenno a Beth, che rise della battuta in stlile flirtaggio e chiese una Heineken; infine KeonU ordinò un idromele e il cantante fece segno di aver capito, prima di dirigersi verso il bancone con i boccali.
"Aaaaaaallora. Elizabeth-noona. Che tipo era all'università?"  Kyumin incrociò le dita in grembo e guardò la giovane con espressione indagatrice da vera pettegola. Il batterista, vicino a lui, annuì.
"Beh- dovrei essere io a chiedere a voi che tipo è adesso..." Ridacchiò lei. Aveva capito che si stava parlando di Jason. Beth si picchiettò il mento con l'indice: "Era uno che studiava... ma si capiva che non era del tutto innamorato di quello che faceva..."
"Perchè era innamorato di te? Tra di voi c'è stato qualcosa?" Continuò il rapper, incalzandola. Lei si lasciò sfuggire un risolino, e i suoi occhi non poterono fare a meno di vagare per la sala in cerca dell'oggetto della conversazione, prima di tornare a concentrarsi su Kyumin. "No... siamo sempre stati solo buoni amici." Ottimi amici. Amici per la pelle. Tra di loro c'era stata sempre solo amicizia. Una favolosa amicizia fraterna, ma sempre e solo amicizia.
"Miss Steinhaus... notiamo delusione nella sua affermazione. Era innamorata di lui?" Questa volta era stato Hyoseok a sporgersi verso di lei e porre la domanda, e Beth stava per rispondere che non era affatto delusa da nulla quando Kyumin aggiunse: "E perchè non dovresti esserlo anche adesso... è un ragazzo d'oro il nostro hyung, vero Seok?" "Assolutamente... bello, ricco, famoso, intelligente, carismatico... sicuramente sei pazza di lui... altrimenti non avresti fatto dieci ore di volo per venire fin qua" Gli fece eco il batterista.
Elizabeth era passata dall'essere indispettita per la domanda molto -troppo- privata, all'essere divertita per il discorso da spogliatoio che stavano intessendo quei due. Le sembrava di essere tornata al liceo quando le sue compagne, tra una spazzolata di capelli e l'altra, convessavano di volerci provare con questo piuttosto che con quello. Decise di tenerli in sospeso per vedere dove volessero arrivare, se fosse solo curiosità loro oppure fosse un interesse anche della casa discografica. Dopotutto Jason era un personaggio pubblico, aveva gli occhi di migliaia di persone -soprattutto ragazzine- puntati addosso, e una qualsiasi relazione sentimentale avrebbe fatto scalpore. Dio che ansia!
"Allora... innanzi tutto le ore di volo sono state tredici, e poi il mio obiettivo qua non è Jason... Lui vi avrà detto che sono a Seoul per un seminario sulle nuove modalità di prevenire e curare le infezioni in bocca, no?" Contrattaccò lei. I due annuirono e Kyumin commentò "Dettagli. Rispondi alla domanda."
"E se non volessi?" Beth incrociò le braccia sul petto. "Chi tace acconsente... quindi se non risponderai noi la prenderemo come una dichiarazione."
Rispose l'altro. "Dai... a noi puoi dirlo... Jason non saprà mai nulla." La rassicurò Hyoseok con voce delicata e persuasiva, che rassicurò Beth. Erano solo loro a voler sapere se lei fosse interessata al loro bandmate.
"Cos'è che non saprò mai?" Esattamente in quell'istante era ricomparso Jason, portando il vassoio con le bevande. I due interrogatori fecero un salto sul divano e farfugliarono un "nulla" e un "niente" poco convincenti, Beth arrossì e non seppe se rivelare l'argomento della conversazione o tacere.
"Seok e Kyu volevano sapere se tu piacessi a Beth" Lo informò Kwangyeon, svelando il mistero.
"Ma voi, una cariola di affari vostri mai, eh? Beth, non avrai mica rivelato loro che siamo sposati, spero..." Stranamente lo sguardo del ragazzo si era illuminato, nel conoscere l'argomento di conversazione -o Beth se l'era immaginato?, e aveva fatto l'occhiolino alla giovane, con il solito atteggiamento sagace. Lei ridacchiò e incrociò le gambe: "Certo che no, amore... altrimenti avrebbero chiesto anche i nomi dei nostri figli." Resse lo scherzo.
"Comunque sono Jack e Daniel." Concluse Jason, e gli altri risero, prendendo dal vassoio i boccali.








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Capitolo 6
*** Capitolo 6 ***


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- Capitolo 6 -

"Non chiamerò mai i miei figli Jack e Daniel" Rise Beth, portandosi una mano alla bocca.
"Perchè tu sei più tipo da Prometeo ed Epimeteo... o Apollo e Dafne... o Giustiniano e Teodolinda" Ribattè Jason, parcheggiando l'auto davanti all'hotel.
"Ma che spari?! Perchè non Adelaide e Lotario, già che ci siamo?"
"Che? Questi me li sono persi... Adelaide non è una città?" Ridacchiò lui.
"Sì ma era anche una regina... o che ne so io..." Sono ubriaca? Si domandò. Sentiva la testa leggera leggera, e non riusciva a fermare le parole neanche a volerlo. Non aveva bevuto tanto... forse era solo un po'alticcia, ma non sbronza. "Jas... vuoi salire? Mercoledì parto e..."
"Volevi salutarmi in privato?" Concluse lui maliziosamente. Nemmeno Jason era molto sobrio; le birre di quel locale erano dannatemente buone.
"Sì... cioè no. Non in quel senso... Hai capito, no?" Ridacchiò Beth, pensando che, invece, non le sarebbe affatto dispiaciuto concedergli un addio esclusivo.
"Certo..." Rispose dolcemente, spegnendo l'auto.
Entrambi scesero dalla Mercedes ed entrarono nel foiyer, dove le luci dei lampadari in oro e cristallo abbagliarono Beth, ancora abituata alla luce soffusa della birreria e dell'automobile. I due si diressero verso la reception, dove la ragazza chiese la chiave della propria stanza al portiere.
"Ecco a lei, mi perdoni la domanda, signorina, ma per una politica interna sono costretto a porgliela: il signore si trattiene con voi?" L'uomo dietro il bancone si era inchinato profondamente, mentre le parlava, poi si era sollevato per prendere la chiave della seicentoquindici.
"Chi, Jas? No... beviamo uno champagne e poi se ne torna filato a casa sua... che ha bisogno di dormire." Gli sorrise la ragazza, prendendo la chiave.
"Molto bene. Mi scusi ancora per la domanda, signorina." Anche lui aveva sorriso, e si era inchinato di nuovo.
"E' tutto apposto, grazie per la chiave." Beth si allontanò, per poi guidare l'amico su per le scale e i corridoi, riflettendo su quando adorasse il rispetto delle popolazioni asiatiche. "Insomma... ti fanno sentire una regina... noi abbiamo perso un po' questa cosa"
"Mh?"
Nel frattempo erano arrivati davanti alla stanza e Beth la stava aprendo. "Oh scusa... pensavo ad altavoce... dicevo: qui in Corea sono sempre stata trattata con i guanti... la gente qui è sempre gentile e sorridente.". La porta si aprì e la giovane fece entrare Jason, prima di chiuderla alle loro spalle e accendere la luce.
"Già, ma se non dai loro quello che si aspettano ti menano a sangue." Ribattè lui, laconico, facendo inorridire l'amica. "Vuoi dire che ti hanno... Jason!"
"No... non me. La mia casa discografica non fa certe cose... altrimenti me ne sarei andato già da un pezzo... Ma qualcun altro tende sfruttare le aspirazioni altrui per soddisfare la propria cupidigia."
"Ma è raccapricciante!" Si levò i sandali e li ripose nella scarpiera, imitata da Jason, che vi ripose le proprie scarpe.
"Quando hai un sogno e vuoi raggiungerlo a tutti i costi non sono di certo le botte a fermarti. Capisci di essere in una condizione privilegiata, che non tutti possono permettersi di raggiungere, così cominci a pensare che, dopotutto, il gioco valga la candela, e inizi a viverla come una sfida di sopravvivenza. Se rimani vivo, hai vinto tutto... gloria, soldi, fama eterna... ho un amico che vi è dentro fino al collo in questa situazione, ma non abbandonerebbe la sua casa discografica per nulla al mondo. Sa che è la più tosta, ma è anche quella che sforna da generazioni le icone pop del Paese." Jason si sedette sulla sedia davanti alla scrivania e guardò Beth che prendeva una bottiglia di Dom Perignon dal frigobar e lo versava corrucciata nei due bicchieri che l'albergo aveva messo a disposizione sopra il comodino. "Al liceo io venivo ripreso anche per un errore che potrebbe essere definito superficiale, ma ho capito quanto ne fosse valsa la pena quando mi hanno ammesso alla Queensland... e anche se adesso mi occupo di tutt'altro, le batoste del liceo mi sono servite per poter esigere la perfezione da me stesso anche quando canto. Ed è per questo che ora faccio arte dei Ledapple." Tese una mano verso la ragazza che, sorridendo, gli si avvicinò e posò i calici sulla scrivania. Lui avvolse il braccio attorno alla sua vita e appoggiò la testa contro la seta leggera della sua camicia color vinaccia. "Ma non essere triste dai... abbiamo tanti motivi per essere felici... ognuno di noi ha tanti motivi per essere allegro. Ne ha altrettanti per essere triste... ma se ci si focalizza solo sui problemi e si ignorano le cose belle... si finisce per essere accecati dall'odio e dalla malinconia... e si vive male, perchè ci si dimentica come godere dei momenti allegri, No?" Beth annuì e, con il cuore che correva veloce per il suo gesto dolce, gli passò una mano tra i capelli. "Appunto. Jas oggi sei in vena di filosofare?" Ridacchiò.
"Esattamente" Rise con lei. "Dai, che qui escono tutte le bollicine..."  Con una rotazione del braccio la fece voltare, in modo tale da farla sedere sulle proprie gambe.
"Ehi... aspè..." Beth aveva assecondato i suoi movimenti, poi gli aveva circondato le spalle con un braccio e con l'altro aveva preso un bicchiere per passarlo al ragazzo, quindi aveva afferrato il secondo per sè. "Allora un brindisi... a cosa vuoi brindare?" Lo guardò, pensando che, tutto sommato, biondo non fosse poi così male.
"Brindiamo... alla pace nel mondo." Ridacchiò lui.
"Ahahah! Mi rifiuto. Alla pace spirituale del mondo." Propose lei.
"Eh quanti paroloni... perchè non alla nostra amicizia e basta?"
"Ma è mainstream! brindiamo... ai miei e ai tuoi sogni."
"Wow come sei originale Bebe... Ahia i miei capelli! facciamo così. A trovare una ragione per essere positivi anche quando tutto va storto."
Elizabeth lasciò andare le ciocche dei suoi capelli e annuì. "Ci sto." E fece tintinnare il bicchiere contro quello di lui, prima di portarlo alle labbra. In realtà adorava ascoltare l'amico che rifletteva. Le riflessioni su problemi più o meno globali -dalla schiavitù infantile all'ora propizia per andare in bagno evitando la calca- erano uno dei collanti della loro amicizia, e nessun argomento era mai troppo stupido o troppo astratto per essere affrontato. Beth si ricordava di una pausa pranzo passata a discutere sugli investimenti delle tasse universitarie.
"L'ho richiamata." Mormorò Jason, poco dopo, prima di far scivolare il calice sul legno della scrivania.
"E... com'è andata?" Respirò appena Beth, accarezzandogli una guancia. Aveva capito che si stesse riferendo a sua madre.
"Mi ha chiuso in faccia il telefono di nuovo... allora ho continuato finchè non si è decisa a parlarmi." Strinse la ragazza a sè. "E a scusarsi... e ad ascoltare le mie, di scuse; io sarò anche fuggito senza dire nulla a nessuno, ma loro non sono mai stati d'accordo... era l'unica cosa che potevo fare. Lo sai. E quando hanno trovato la lettera di sospensione delle lezioni dell'università sono andati fuori di testa. Non ci hanno visto più e mi hanno riempito di botte... anche se non è servito molto..." Sorrise amaramente, ma i suoi occhi non mollarono mai quelli della giovane che teneva in grembo "E così avevano deciso di ignorare la mia esistenza per evitare che gli rodesse la coscienza... se ne hanno mai avuta una. Ora capisci perchè non ho mai telefonato prima?" Elizabeth annuì. Da come aveva sempre dipinto i suoi genitori, non le erano mai sembrati particolarmente attenti ai bisogni del figlio. O meglio, si erano sempre interessati solo a farlo star bene dal punto di vista fisico. Solo una volta aveva incontrato sua madre, e gli era sembrata una persona triste, che cerca di nascondere il cumulo polveroso di problemi ed insicurezze sotto un enorme tappeto rosso Chanel.
 "Però alla fine avevi ragione... mi mancavano e... adesso hanno di nuovo un figlio, a quanto pare." Jason sollevò un sopracciglio, e Beth si chinò su di lui per schioccargli un bacio in fronte: "Bravo il mio Jas... visto che ce l'hai fatta?"
"Elizabeth... io ottengo sempre quello che voglio, se ne vale la pena." Il sorriso di lui si fece più caldo. "Ma adesso dimmi... ti è piaciuto stare a Seoul?" Le tirò una ciocca di capelli scherzosamente.
"Ah... sì... forse. Ho visto poco... ma mi sembra che sia tutta uguale." Rise piano. Era cresciuta in una piccola cittadina di provincia, dove bastava percorrere pochi chilometri per trovarsi faccia a faccia con la sconfinata piana del deserto continentale, e gli enormi grattacieli di Seoul la facevano sentire in gabbia. Non si era mai davvero abituata nemmeno a Brisbane. La città in generale non le piaceva come ambiente, le mettevano ansia tutte quelle macchine, le notti mai davvero scure a causa dell'illuminazione artificiale e il rumore del traffico che faceva sempre da sottofondo. Le mancavano il silenzio e il nero profondo delle notti stellate di casa sua, dove si sentiva solo l'ululato dei dingo e qualche grillo che friniva.
"Sei impietosa... ci sono una marea di negozi di ogni genere e tipo!" Le diede un colpo leggero con la testa sulla spalla.
"Ma io non ho avuto tempo di fare shopping... Magari faccio un giro martedì pomeriggio, prima di sistemare le valige"
"Perchè non domani? Domani è domenica. Che fai di domenica?"
"Mpfh... tu che fai?"
"Dipende... ultimamente ascolto le recriminazioni della Starkim, o sistemo le canzoni con gli altri."
"Quindi lavori. Ecco... io anche. Oppure dormo. Vuoi dell'altro champagne?"
"Nah... ho bevuto a sufficienza per oggi... poi non riesco a tornare a casa... e non mi pare il caso."
"No, decisamente. Potresti restare qui e tornare domani mattina." Gli propose la ragazza senza malizia. Dopotutto erano amici, no? Che male c'era?
"Glielo spieghi tu al tipo della reception?" Jason sorrise e indicò con il dito il pavimento, facendo ridere Beth.
"Ma che te ne frega? Tu rimani... sono io che faccio la figura della poco di buono, non tu... e poi che gliene frega? Dai... già adesso sei troppo ubraco, se ti fanno il test alcolemico sei fritto." Inststeva. Forse una piccola parte di lei stava immaginando come sarebbe stato farsi stringere dalle sue braccia.
"Non sono ubriaco... e non voglio diventarci. Però ancora un po' di chamapgne ci sta. Ma solo un bicchiere. Poi a nanna." La ammonì il ragazzo. Lui invece aveva paura di combinare qualcosa di irreparabile, se fosse rimasto a dormire con lei.
Beth rise di nuovo, si alzò e lentamente raggiunse il frigobar, da cui prese di nuovo la bottiglia.
Jason nel frattempo era andato alla finestra, e stava guardando lo skyline viola scuro della metropoli: "Come fa a non piacerti? E' maestosa."
Lei riempì di nuovo i calici e lo raggiunse: "Visto dall'alto sembra tutto più bello... ma là sotto... sul marciapiede... ti soffoca." Passò il bicchiere all'amico, guardando di sotto i pedoni che passavano, a cinquanta metri di distanza. Lui sorseggiò il liquido chiaro per un poco, prima di parlare di nuovo: "Servirebbe della musica... un buon blues... o Chopin... aspetta. Spegni la luce... metto la musica dal cellulare." E si voltò per andare alla scrivania, dove armeggiò per qualche secondo con il Blackberry, mentre Beth spegneva la luce e tornava alla finestra. Il timbro caldo e sensuale di un saxofono riempì la stanza, presto accompagnato da quello ipnotizzante di un pianoforte. Beth non conosceva il pezzo, ma Jason aveva ragione. Calzava a pennello con il caleidoscopio di luci sgargianti che delineava i contorni dei grattacieli scuri.
In cielo non si vedevano le stelle, perchè Seoul brillava più di loro.
Un aereo sflilò silenzioso, lontanto, e Beth ne sueguì la traiettoria finchè rimase nel suo campo visivo, mentre finiva lo champagne.
Sentiva la testa persa in un batuffolo di cotone, con la musica che sembrava riempirla totalmente, e sembrava che fosse proprio lei a definire i contorni delle cose.
Poi un paio di mani si posarono sulle sue braccia, e lei vide Seoul riflessa negli occhi di Jason, che la attirò a sè lentamente, e lei appoggiò la testa sul suo petto caldo, lasciandosi avvolgere dal suo abbraccio. Poi tornò a guardare fuori dalla finestra la città che presto iniziò ad ondeggiare a ritmo con il movimento delle spalle del ragazzo. Poco dopo la musica si interruppe e partì un altro pezzo. Questo lo conosceva. Era Only you.
"Dai... non ci credo che l'hai scaricata..." Sollevò lo sguardo verso di lui. Un giorno in uni avevano criticato fortemente i clichet come le coppie che si consumavano le suole sul pavimento a ritmo di Only you. Jason, per tutta risposta, ridacchiò e la strinse più forte, cantando la canzone con più enfasi e struggimento che poteva. Beth rise; era notte fonda, ma non si sarebbe mai sognata di chiedere al ragazzo di tacere. Quindi posò una mano sulla sua spalla e fissò l'altra in quella di lui, cominciando a muovere i piedi sul posto. Lui soffocò una risata e tenne stretta a sè Beth, posandole una mano sulla schiena, mentre continuava la performance.
Poi Jason terminò con l'acuto finale e la musica si spense, lasciando come sottofondo solo il sordo rombare del traffico. Elizabeth sciolse l'abbraccio, ma il ragazzo mantenne salda la presa alla base della sua schiena. Lei sollevò lo sguardo e sorprese il vecchio amico a fissarla con un'espressione indecifrabile negli occhi caldi e liquidi, e le sue labbra erano troppo vicine. Beth sentì una stretta allo stomaco e si costrinse a respirare.
Forse non avrebbe dovuto bere tutto quello champagne. Perchè era colpa dello champagne, se la propria mano era volata ad accarezzare i capelli di lui, che erano così morbidi! E lui non si era affatto opposto, anzi, aveva reclinato il capo contro le sue dita. Beth aveva il cuore che batteva all'impazzata, e si chiedeva cosa stesse succedendo, così di colpo. Tra amici non si dovrebbe... era sbagliato! No, Jason fermati!  gridava il suo buonsenso, ma venne subito messo a tacere proprio da lui, che si chinò e catturò le sue labbra con un bacio.








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Capitolo 7
*** Capitolo 7 ***


ffledapple7

- Capitolo 7 -


Elizabeth si scostò da Jason imbarazzata, cercando di guardare altrove e di evitare gli occhi dell'amico.
Jason lasciò lentamente la presa sulla ragazza e si portò una mano sulla nuca. "Scusa... non so che..." mormorò piano, mentre lei cercava a tastoni l'interruttore.
"No... non fa nulla..." Pigolò Beth, ancora scossa, ma non del tutto convinta che fosse stato così sbagliato. Si sentiva solo come se fosse appena scesa da un ottovolante e non sapesse se avesse appena concluso un'esperienza terribile o la migliore della sua vita. Alla fine trovò il pulsante, e la luce della plafoniera accecò entrambi, dissolvendo ogni traccia di quel pulviscolo magico che li aveva avvolti come un mantello invisibile, mentre ballavano sotto la luna.
"Io... vado. Mercoledì ho un ritaglio di tempo... posso portarti ad Incheon." Jason si sforzò di infilare un piede dietro l'altro in direzione della porta, guardando Elizabeth quasi di nascosto, come se avesse paura di rimanere pietrificato lì per sempre, se lei avesse ricambiato lo sguardo.
"Ah... okay... grazie..." Lo raggiunse strisciando i piedi, e lentamente posò la mano sul pomello della porta per girarlo, ma era ancora intorpidita, e nel momento stesso un cui sentì lo scatto metallico della serratura, capì quale fosse realmente il suo punto di vista sulla faccenda.
Forse per telepatia o per idiosincrasia o per qualche istinto primitivo, nello stesso istante Jason agguntò il polso della ragazza per tirarla a sè e baciarla di nuovo. Lei si lasciò afferrare e premette il busto contro il suo petto, mentre accoglieva la sua lingua tra le labbra e lo baciava con foga, senza pensare a nulla che non fosse trovarsi di nuovo stretta fra le sue braccia, ma alla fine fu proprio lei ad interrompere Jas. Aveva bisogno di aria.
Il ragazzo la guardò negli occhi, senza più paura di rimanere pietrificato, rendendosi finalmente conto di provare attrazione fisica per la sua migliore amica. Beth ricambiò il suo sguardo, pensando che il color cioccolato delle sue iridi fosse ancora più caldo, in quel momento, e gli si avvicinò. Premette le labbra contro le sue e le schiuse con più calma, ed entrambi si abbandonarono ad un bacio più lento, più affettuoso ed eccitante, senza l'imbarazzo del primo nè la frenesia del secondo. "Ti accompagno?" sussurrò poi lei, senza allontanarsi troppo.
"No... non c'è  bisogno... rimani pure qui e riposati." Jason le posò un bacio sulla fronte e scivolò via dalle sue braccia, diretto ad aprire la porta. Beth lo lasciò andare a malincuore, ma era bello vedere come il suo viso splendesse di quel sorriso tipico di chi si è perso in un paradiso tutto terreno.
"Allora ciao... a mercoledì." Beth lo salutò dalla fessura della porta, guardandolo con gli occhi socchiusi, che ancora dovevano riabituarsi alla luce: "Secondo te è colpa dell'alcool?" Gli chiese poi a bruciapelo. Non aveva fatto in tempo a frenare la lingua e si pentì di aver posto la domanda il secondo dopo. Aveva paura. Sia che la sua risposta fosse affermativa sia che fosse negativa.
"Sì... E' stato lo champagne." Rispose lui lentamente, con espressione pensierosa, non del tutto convinto. "Ammettilo, l'hai fatto apposta. Volevi stuprarmi." Aggiunse poi, ridacchiando.
"Ahahah. Sì, esatto, volevo violentarti a sangue." Elizabeth non sapeva se la sua risposta l'avesse soddisfatta o meno. Non era abbastanza sbronzo per ammettere di averla voluta baciare o era stato davvero solo per l'emozione del momento?
"Ma allora potevi farlo anche senza ubriacarmi!"
"Sei un pirla, Jason..." Beth lo guardò sconvolta, cercando di non soffocare dalle risate.
"Lo so. Buonanotte Elizabeth... Non starmi troppo male... E prendi un'aspirina." E le regalò un sorriso che avebbe sciolto l'Artico.
"Okay, Dr Feelgood... anche tu... Buonanotte." Sarebbe rimasta volentieri lì sulla porta a tubare con Jas, ma lui fu abbastanza sensato da voltarsi ed imboccare il corridoio, lasciando la ragazza all'incombenza di chiudere la porta.
La finestra era lì davanti a lei e Seoul pure. Spense la luce e la lasciò risplendere, mentre scivolava sulla moquette morbida, di nuovo coccolata dalle morbide braccia dell'oscurità, proprio come nella sua mente scivolava e si consolidava la consapevolezza di provare qualcosa per Jason da un sacco di tempo.
Da quando? Dalla pizzata in cui aveva cantato per lei? No... cantava per lei la maggior parte delle volte... da quando aveva posto al prof di chimica quella domanda che l'aveva mandato in crisi mistica? Boh. Non aveva mai avuto tanto tempo per rifletterci, durante l'universtà. Aveva sempre cercato di prestare più attenzione alle lezioni e agli esami che a trovarsi un ragazzo.
Forse proprio perchè la soluzione su questo fronte l'aveva sempre avuta accanto a sè.
Si alzò e, barcollando, si spogliò prima di infilarsi in doccia. L'acqua calda la avvolgeva e la accarezzava dolcemente proprio come aveva fatto Jason poco prima. Fece scorrere le dita sui propri fianchi, sui lombi, sulle natiche... smise subito, arrossendo, mentre tornava a posare le mani sul doccino.
Ormai era ovvio. Era sempre stata cotta persa di Jason.
Beth rise. Faceva uno strano effetto. Era sua... era sempre stata sua.
Chiuse l'acqua e si asciugò con calma, prima di infilarsi la camicia di seta e scivolare sotto le coperte.
Anche se alla fine non chiuse occhio per tutta la notte, e rimase a fantastiare in un limbo di paure e desideri.
Sfinita dalla nottata, appena la sveglia aveva segnalato un orario decente, aveva chiesto la colazione in camera alle sette e mezza, anche se normalmente scendeva al ristorante verso le nove, ma le era venuta fame, con tutto quel rigirarsi e cercare la posizione giusta per dormire..
Per non parlare del mal di testa post-sbornia allucinante che faceva ondeggiare la stanza come una barca in alto mare, tantochè mandò giù il caffè che aveva ordinato a piccoli sorsi, cercando di concentrarsi sul liquido caldo che le scorreva in gola e non sulla scrivania che continuava a cambiare forma e posizione. Alla fine la sbornia vinse, e Beth fu costretta a spostare rapidamente il vassoio dalle proprie gambe al letto per correre in bagno a svuotarsi lo stomaco. E lì, con la fronte appoggiata contro l'asse del water, si chiese se Jason stesse male quanto lei.
Al pensiero di lui, lo stomaco della ragazza fece una capriola. Ma una capriola buona, vicina alle famose farfalle (sempre nello stomaco), e non ad un rigurgito. Beth sorrise, tremando per i conati.
Spero di no
.
E vomitò di nuovo.
Aveva il sospetto che quello che era successo la sera precedente non fosse stato causato dall'alcool, e una parte di lei si crogiolava all'idea come un'ape in un campo di fiori, mentre l'altra avrebbe voluto estirpare ogni dubbio come gramigna.
Non le era permesso innamorarsi di Jas... tantomeno se era ricambiata -e sembrava proprio che lui ricambiasse. La logicità della situazione lo impediva.
Innanzi tutto perchè abitavano, vivevano e lavoravano in due nazioni diverse, che distavano dieci ore di volo (tredici! Come lei stessa aveva precisato a Hyoseok la sera precedente) l'una dall'altra, poi perchè il lavoro inglobava completamente l'intera giornata ad entrambi (Beth non aveva ancora un lavoro fisso, stava finendo il periodo di stage, ma aveva inviato numerosi curricola a varie cliniche odontoiatriche non solo a Brisbane, ma anche a Sydney, Melbourne, Gold Coast e Newcastle, e contava di iniziare a lavorare il prima possibile) e, last but not least, perchè Jason era un idol, e gli idols, in ogni nazione, sono sempre seguiti passo passo dalle fan e dai paparazzi, che si avvinghiano come edera e succhiano la linfa vitale dei personaggi famosi per soldi o anche solo per assaporare un po' di quella polvere di stelle luccicante che i vip si lasciano dietro come una scia; se avessero scoperto che uno dei loro beniamini aveva una relazione si sarebbe scatenato il finimondo.
Tutto questo avrebbe minato ogni tipo di rapporto stabile.
Ha quasi distrutto ogni rapporto fra noi.
Ecco il rimedio! Il veleno era anche la medicina: sarebbe stato meglio troncare ogni indizio di un coinvolgimento emotivo prima che potesse evolversi e raggiungere il punto di non ritorno, quello in cui non sarebbe stata capace nemmeno di respirare, senza la vicinanza (fisica e/o mentale) di Jas.
La ragazza strisciò fino al lavandino, afferrò spazzolino e dentifricio e, senza avere il coraggio di alzarsi, si appoggiò alla parete della doccia in vetro smerigliato e si lavò i denti. Non le piaceva per nulla quella soluzione. Ormai si era abituata pian piano a riavere il proprio migliore amico, e le metteva angoscia la possibilità che potesse di nuovo tornare a non sentirlo più. Neanche si ricordava più come fosse, quando non lo sentiva!
Era il primo buongiorno con cui si svegliava e l'ultima buonanotte con cui si addormentava, e ogni minuto libero era buono per scrivergli su whatsapp.
Gli mancava anche solo se non lo sentiva per mezza giornata... smettere di colpo di parlargli era un'opzione fuori discussione.
E' già il punto di non ritorno.
Si costrinse ad alzarsi per sputare il dentifricio e finire le abluzioni con il morale sotto i tacchi (anche se era a piedi nudi). Prima il dovere, poi il piacere.
Eh, ma allora tantovale rinchiudersi in convento e farsi monaca.
Anche se, con lui a Seoul...sarebbe stato decisamente peggio del monachesimo.
La mattinata scorreva lenta, ed l'umore di Beth diventava sempre più nero, e avrebbe raggiunto livelli catastrofici, se il telefono non avesse squillato.
La giovane face strisciare il Samsung sul letto verso di lei e accettò la chiamata. Era il St. Paul di Brisbane, che voleva fissare un colloquio conoscitivo per decidere se fosse idonea o meno a lavorare da loro.
Beth, emozionata, cercava di rispondere con un tono sobrio, riposato e sereno, che non lasciasse trapelare il proprio status attuale -cioè la sbronza e la cotta- e riuscì a fissare un appuntamento per il giovedì seguente alle 10 di mattina. Un orario più che ragionevole. Avrebbe avuto tutta la mattinata per modificare miliardi di volte la presentazione, il sorriso, lo sguardo, la camminata, i pantaloni (che dovevano cercare di non farle sembrare il deretano non proprio invisibile una mongolfiera), la camiciagiaccamagliettacardigan e tono di rossettomatita o acconciatura.
Ma per questo c'era tempo. Per il momento bisognava festeggiare.
Aprì la rubrica del cell e, senza neanche pensarci, digitò il numero di Jason... che, ovviamente, non rispose. Era in radio.
Elizabeth sorrise a se stessa e compose il numero di Chloè. Doveva festeggiare con qualcuno. Anche se, senza Jason, sarebbe stata una festa molto triste. Fece una smorfia. Forse sarebbe stato meglio lasciar stare, pensava.
No...  per fare cosa? Piangersi addosso? Almeno con Chloè si sarebbe un po' distratta.
Magari poteva approfittarne per fare un po' di shopping in centro...


La radio a tutto volume dava una vecchia canzone di Britney Spears, "I love rock 'n roll", che Jason e Beth stavano cantando a squarciagola, sulla tangenziale diretta all'aeroporto.
Lui ammiccava maliziosamente al guard rail e lei fingeva dei virtuosismi su una chitarra immaginaria.
"Beth, perchè non impari sul serio a suonare la chitarra? Così io canto e tu suoni." Rise lui una volta terminato il pezzo, senza distogliere l'attenzione dalla strada.
"Ahahah! Poi Youngjun si ingelosisce..." Rispose lei, abbandonandosi nel sedile e volgendo lo sguardo su di lui. Più lo guardava e più si chiedeva come diavolo avesse fatto a non innamorarsi prima di lui. La luce fioca dell'alba intesseva giochi dorati fra i suoi capelli e risaltava la sua carnagione ambrata, danzando sulle sue braccia, che la camicia copriva solo fino agli avambracci perchè lui ne aveva rimboccato le maniche, e le mani controllavano saldamente il volante. Anche le sue mani erano fantastiche. Curate, non troppo grandi e... Beth arrossì e si costrinse a concentrarsi sugli alberi bagnati dalla luce solare fuori dal finestrino.
Jason sorrise alla sua osservazione: "No... perchè? Potresti diventare la nostra seconda chitarrista."
"Naaah... poi sarei l'unica ragazza e dovrei avere un camerino da sola, una stanza da sola... sarei sempre da sola." Incrociò le braccia sul petto e mise un finto broncio.
"Ma no.. potresti benissimo stare con noi, se ti senti sola." Ridacchiò il ragazzo, e Beth spalancò gli occhi in un'espressione scandalizzata:"Cosa? E tu lasceresti che gli altri mi guardino?".
"Sono educati, si girerebbero. Ti sei subito preoccupata di loro... sottointendi che io posso guardare?"
Arrossì di nuovo, accorgendosi che, effettivamente, la frase era ambigua, "Ma..." Si sentiva una stupida. Normalmente avrebbe tirato fuori qualche battuta poco virginale e la cosa sarebbe morta lì, fra le risate. Ma in quel momento rimase semplicemente senza parole.
"Scusa..." Sussurrò Jason. Evidentemente anche lui sentiva di essersi spinto un po' troppo in là. Beth tornò a guardarlo in viso, trovandovi di nuovo quell'espressione indecifrabile e... era arrossito?
"E' tutto apposto Jas... una sbirciatina puoi darla. Ma solo perchè mi tenevi il posto in uni." Ridacchiò Beth, accarezzandogli il braccio, intenerita.
Jason afferrò la mano e, sorridendo, vi posò sopra un bacio. E Beth si avvicinò e gli circondò le spalle, per poi schioccargli un bacio sulla giancia, a cui lui rispose ruotando il capo per sfiorarle le labbra.
"Mi saluterai Sandra e Jillian?" Chiese dolcemente, mentre lei riprendeva posto sul sedile con le gote in fiamme. "Certo... ci saranno loro a prendermi all'aeroporto. Tornerai a trovarci, un giorno?" Beth pose la domanda col cuore pesante, mentre l'aeroporto si stagliava davanti a loro. "A loro piacerebbe rivederti... e anche a Robert."
"Sì... appena trovo del tempo libero faccio un salto a Brisbane... così posso anche rivedere i miei." Si voltò verso di lei, distendendo le labbra in un sorriso sereno.
"Ecco, sì! Anche loro vorranno rivederti di sicuro... ah! Sai che l'altro giorno mia madre ha chiesto di "quel mio compagno d'università che aveva tutti trenta"?"
"Che carina! Salutami anche lei... L'ho vista un paio di volte ma mi è sempre sembrata una signora gentile e affabile... Al contrario di quella serpe di mia madre." Mentre rallentava per parcheggiare sorrise, ma non amaramente, questa volta. Era un sorriso affettuoso. Beth ne dedusse facilmente che le cose con i suoi stessero andando meglio. Ne era felice.
"Ma dai...  piuttosto tu salutami gli altri LEDApple... sono dei bravi ragazzi. Mi fa piacere saperti nelle loro mani." Rise, mentre lui fermava l'auto.
"Sì. E mi aiutano col coreano... faccio ancora un po' di fatica a volte. Allora... Elizabeth... fai un buon viaggio." Tirò il freno a mano ma non si slacciò la cintura: le aveva già spiegato che non aveva potuto prendere la giornata, ma aveva deciso di accompagnarla comunque e di rimanere in auto, in modo tale da poter ripartire subito. "E scusami ancora se non scendo..." la sua espressione era sinceramentre dispiaciuta.
"Non ti preoccupare, Jason... la Starkim ti aspetta..."  Voleva scendere, ma c'era un'ultima questione da sistemare. E non aveva la minima idea di come iniziare il discorso.
Aveva cercato tanti modi, ma non ne aveva mai trovato uno che la soddisfacesse. Erano tutti banali, scontati, troppo ansiosi o troppo patetici.
"Beth..."
Lo guardò negli occhi. Il suo sguardo esprimeva chiaramente preoccupazione, e Beth capì che non era necessario parlare. Anche per lui la cosa era difficile. Quindi lo bloccò, prima che potesse rovinare tutto. "Non dirlo! Non dire nulla... lo so. Lo so anche io... e non è il caso di giungere a conclusioni affrettate. Non distruggiamo un'ottima amicizia per sostituirla con un feticcio di qualcosa di incerto." Lo fermò, prima di abbracciarlo stretto.
"Ah Beth... come sei impietosa... io non mi merito la friendzone, ne sono sicuro... ma hai perfettamente ragione." La strinse forte anche lui. "Promettimi che non ti dimenticherai di me, tra un paziente e l'altro."
"Impossibile." Affermò, fuggendo dalla sua stretta. Se rimaneva ancora fra le sue braccia non si sarebbe più mossa di lì. Inoltre sentiva le lacrime che cominciavano a pungerle gli occhi, e non voleva assolutamente scoppiare a piangere. Era patetico! "Sarai nei miei pensieri giorno e notte." Rise, chiudendo la portiera per andare a recuperare la valigia dal bagagliaio.
Quindì sventolò la mano per salutarlo un'ultima volta, prima di entrare nello stabile, e lui fece lo stesso, prima di indossare i suoi soliti occhiali da sole mentre si rimetteva nel traffico ingarbugliato delle sei.


@@@@@@

............ Scusate il mega ritardo nel postare.... ho ripreso l'università e ho avuto tempo zero per postarebedjfk D:
Perdonatemi T.T
Bene Ledas, questa è la fine della prima parte, quella ambientata a Seoul.
Nella seconda parte invece voliamo a Brisbane, in Australia :D
Qantas Airways augura a tutti buon viaggio /???
 



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Capitolo 8
*** Capitolo 8 ***


ffledapple8


Parte II

Sail the Ship


- Capitolo 8 -


Jason aveva premuto la schiena di Beth contro le piastrelle in linoleoum della cucina e l'aveva baciata.
Il volo da Incheon a Brisbane era stato pieno di turbolenze e vuoti d'aria, che i passeggeri, evidentemente quasi tutti inesperti di voli lunghi, avevano preso male e si erano messi a pregare, guidati da un pastore protestante che si sentiva Noè sull'arca e sembrava che avesse lui stesso in mano il quadro con i comandi.
Jason era credente ma, porca vacca, placati! Si può pregare anche senza atteggiarsi come sul set di un kolossal. Sulla strada insieme con Beth l'aveva preso per i fondelli in un modo terrificantemente blasfemo e si aspettava un fulmine divino da un momento all'altro. Anche se per il momento la giornata era soleggiata e non erano previsti rannuvolamenti. Solo caldo boia, e quando Beth  aveva aperto la porta del queenslander che aveva acquistato da poco, Jason si era fiondato in cucina senza troppi complimenti  e si era attaccato al rubinetto.
"Ehi, lasciane un po' anche al resto della città!" Aveva commentato lei ridendo. Per poi svuotare la caraffa. Era stato circa in quel momento che il ragazzo si era avvicinato a lei silenzioso come un gatto e aveva iniziato a riempirla di baci.
Erano passati nove mesi da quando Elizabeth era stata a Seoul, e da allora lei era riuscita a comprarsi l'appartamento con i primi guadagni e con qualche aiuto da parte dei suoi genitori. L'aveva trovato già ammobiliato per metà, ma la cucina ed il bagno necessitavano decisamente di manutenzione. Sarebbe stata la sua prossima spesa.
"Quando arrivano gli altri?" Jason interruppe il bacio e le accarezzò una guancia, guardandola negli occhi. Aveva sognato quel momento più o meno ogni giorno, da quando lei era tornata a Brisbane. Quelle volte che i suoi sonni non erano stati popolati da immagini così vivaci da aver avuto bisogno di ricorrere ad un lavoro di mano, al risveglio. A volte la nostalgia di lei era stata impietosa come la puntura di una vespa.
"Tra un quarto d'ora circa" Le mani di Elizabeth frusciarono sulla schiena del ragazzo e si strinsero sui suoi lombi.
"Un quarto d'ora?" La premette contro la parete e la prese in braccio. Beth avvolse subito le gambe attorno ai suoi fianchi "Più un altro quarto d'ora accademico? Jillian anche venti minuti..." Si chinò sul collo della ragazza e lo baciò lentamente, inspirando il profumo a base floreale che indossava, contaminato dal sapore naturale della sua pelle accaldata dal viaggio. Si autoconvinse a calmare gli ormoni, mentre le dita della giovane scorrevano così piacevolmente tra i propri capelli, altrimenti la vecchia compagnia al suo arrivo li avrebbe trovati lì così sul muro in deshabillè. E non era un buon modo per rivedersi dopo tanto tempo.
"Jillian arriverà con Sandra... E poi Robert da solo" Mormorò Beth come se stesse facendo le fusa, accarezzandogli teneramente la nuca. Jason sollevò la testa e gli venne voglia di farla collidere contro il muro davanti a sè. Sandra avrebbe guidato? I + 35 minuti appena calcolati si ridussero drasticamente a -2. Conoscendola, probabilmente era già fuori dalla porta con il dito quasi premuto sul campanello.
"Forse è meglio se..."
"Già..."
Beth allentò la presa e Jason la posò di nuovo a terra. Appena in tempo. In quel momento un driiiin acuto e leggermente nasale -dopotutto era un campanello del Queensland- riempì l'appartamento.
"Calma il tuo old fella... io vado ad aprire." Sussurrò Beth stampandogli un bacio sulle labbra, prima di percorrere i pochi metri necessari per raggiungere la porta. Jason inspirò ed espirò un paio di volte cercando di pensare ad un mare calmo con gabbiani e tante conchiglie, mentre si passava le mani nei capelli e pirlava in tondo per seguire il consiglio della ragazza.
"Ehi Beth! Dov'è finito quel nerd egoista che cambia emisfero senza dire niente a nessuno?" Ecco Jillian con il suo cinguettio. Poteva quasi vederla abbracciare Elizabeth, darle tre baci sulla guancia e guardarsi attorno. Sandra, invece, come sempre era calma e si limitò ad un ciao. Sicuramente aveva anche sorriso. Sandra era l'esatto opposto di Jillian. Dove una era spumeggiante ed esuberante, l'altra era pacata e riflessiva.
"E' in cucina a bere... Jason! Sei stato risucchiato dal buco di scarico?" Lo chiamò Beth, e lui si decise a presentarsi a quella rimpartiata fra amici e andare a salutare le ragazze.
"Sono viv--"
"JASON!" Non ebbe il tempo di finire la frase che venne investito da Jillian, fiondatasi a stringerlo come un peluche. "Ma dove sei finito, babbeo? Qui abbiamo tutti sentito la tua mancanza! A quella povera disgraziata a momenti non viene un esaurimento nervoso!" Gli circondò il viso con le mani e piantò i suoi occhi verdi imbronciati in quelli del ragazzo, indicando Elizabeth con un'unghia smaltata di blu elettrico. Jillian era stata una cheerleader della squadra di football dell'ateneo, e spesso si comportava esattamente come ci si aspetterebbe da una cheerleader anche se, in realtà, raggiungeva quasi sempre il massimo dei voti e non era affatto stupida o di facili costumi.
"Mi dispiace, ragazze... mi farò perdonare." E sciolse l'abbraccio con koala-Jillian per salutare anche Sandra. Anche lei era felice di rivedere l'amico, ma non lo dimostrò in modo così teatrale come Jillian. Un bacio sulla guancia ed un sorriso genuino.
"Da me ti sei già fatto perdonare abbastanza." Commentò lapidaria Beth con un vago gesto della mano, sedendosi sul divano. Jillian sgranò più che potè gli occhi, passando da koala-Jillian a rana-Jillian, e unì le mani con uno schiocco secco: "Lo. Sa-pe-vo." Fece scorrere lo sguardo da Jason a Beth e da Beth a Jason almeno una decina di volte. "Da quando? E Beth, santo cielo! Perchè non l'hai detto? Voi due siete identici: non parlate mai con nessuno delle cose più importanti. Dio li fa e poi li accoppia. Siete terribili!"
"Non in quel senso..." Beth cercò lo sguardo di Jason.
"No... noi non..." Jason cercò lo sguardo di Beth.
"Non siamo..." Continuò la ragazza.
"Non siamo fidanzati." Concluse lui con un sorriso. Era la verità. Stavano ancora cercando di capire se fosse possibile una relazione stabile fra di loro, e per il momento preferivano entrambi il silenzio stampa sull'argomento.
"Ah. Beh, dovreste pensarci... siete fatti l'uno per amare l'altra."
"And I can't get enough of you babe, can you get enough of me?" Jason non resistì e partì a cantare la strofa della famosissima I was made for loving you dei Kiss come un jukebox. Beth rise e accavallò le gambe. Rana-Jillian si sedette accanto a lei e si sporse al suo orecchio: "Sei pazza di lui. Ammettilo Beth."
"Jillian, ma dai! Che ti salta per la testa? Ragazzi... sedetevi!" Fece cenno a Jason e Sandra, ancora in piedi. "Piuttosto... tu ed Alfred siete riusciti a trovare una lavastoviglie?" Jillian quando insisteva era asfissiante. Stringeva la presa sulla sua vittima come un boa costrictor e non la mollava finchè non l'aveva soffocata.
"Sssì. Cambia discorso, brava. Tanto ti ho sgamata. No... stiamo girando tutta Brisbane ma non ne abbiamo trovata una con un prezzo decente."
"Quindi vivete assieme?" Jason aveva occupato la poltrona ed era felice che Beth avesse puntato l'attenzione su qualcos' altro.
"Sì... da quattro mesi ormai. E' più divertente e si porta avanti meglio una casa, con due stipendi... non viviamo come dei pascià, però non ce la passiamo male. Tu Jason dove sei, lì in Corea? Hai un appartamento?"
"No... vivo nel dormitorio della casa discografica con i miei bandmate." Spiegò il ragazzo.
"Oh! Anche questo deve essere divertente!" Annuì Jillian, ritornando Jillian-e-basta.
"Sì... ci scanniamo per il bagno di mattino e per i turni di pulizia di sera, ma è divertente giocare a vedere chi appena sveglio è più rimbambito."
"Di solito di vince il premio?" Chiese Beth.
"Dipende... spesso Kyumin, ma anche Kwangyeon... sono il rapper ed il bassista." Aggiunse poi, per Jillian e Sandra.
"Devo tornare a salutarli, prima o poi... ma Robert? Non arriva più?"
"Stavo aspettando che finiste il discorso per dirvelo..." Rispose Sandra, schiarendosi la voce: "Poco fa mi ha inviato un messaggio affermando di aver avuto un contrattempo... e non sa se potrà venire." I suoi occhi si soffermarono per qualche secondo in più su Elizabeth.
"Ah... mi dispiace. Spero che riuscirà a raggiungerci" Commentò lei, con un velo di tristezza. Dopo il suo viaggio in Corea, lui l'aveva ricontattata, spieganole che, dopotutto, tra loro c'era stata una buona amicizia, ed era stupido mandare tutto a rotoli in quel modo. Insomma si era rinchiuso da solo nella friendzone, forse sperando di essere ammesso a qualcosa di più, un giorno o l'altro.
Beth era stata scettica, e non aveva creduto realmente che si potesse fare. Se davvero Robert si era innamorato di lei, non avrebbe cambiato i propri sentimenti nei suoi confronti tanto facilmente, e di questo ne avrebbe sofferto. Tuttavia aveva voluto provare a continuare ad essere sua amica, sebbene credesse che le cose non sarebbero mai potute tornare com'erano prima. E infatti, mentre ascoltava Sandra, si diede ragione.
"Vi prego, ditemi che non sono la sola a pensare che sia una scusa. Jason, lo sai che Robert ha preso una sbandata per Beth? Lei non lo ricambia, ovvio... è troppo impegnata con il lavoro..." Jillian mimò due virgolette con le dita: "... Per dargli corda. Ma non fargli male... è solo un povero pulcino spaurito. E' più o meno il Robert di sempre, solo in versione imbambolata."
"Gioca ancora a Battlefield fino a notte fonda?" Domandò Jason con affetto, senza traccia di preoccupazione. Era più che sicuro che Beth preferisse curare i propri affari, piuttosto che stare dietro a Robert. Non c'era disprezzo, nella sua voce. A sedici anni anche lui passava il tempo libero sui videogiochi, ma Robert era il tipico caso di dipendente patologico dal mondo virtuale, altrimenti detto gamer.
"No... ci va più piano. Anche lui ha un lavoro, adesso, e non ha più così tanto tempo da dedicarvi."
"Davvero? Dove l'hanno preso?"
"Al Queen Elizabeth II. Per il momento è assistente, ma presto credo che otterrà uno studio suo."
"Ma questa è un'ottima notizia! Dovremo festeggiare, quando ci riuscirà!" esultò Beth. Era sinceramente felice per l'amico. Dopotutto faceva parte della compagnia da quasi subito, da quando lui e Jason erano finiti nello stesso tavolo di lavoro durante la lezione pratica di chimica, e le dispiaceva che soffrisse perchè provava dei sentimenti che lei non poteva ricambiare. Tuttavia era convinta di aver preso la decisione giusta, respingendolo. Se l'avesse illuso, gli avrebbe fatto ancora più male e sarebbe stata veramente meschina.
"Sì, certamente... se riesce a farsi una ragione di essere nella friendzone..." Sandra parlò per la prima volta, quel pomeriggio.
"Beh ovvio... Jason, tu dovrai evitare di limonarti Elizabeth davanti a lui." Aggiunse jullian.
"Ahahah! Jillian basta." Gli occhi di Beth incontrarono quelli di Jason e poi tornarono a rimproverare la ragazza seduta accanto a lei: "Ragazzi, preparo un tè?"
"Perchè invece non torniamo tutti insieme tra la Hoolahoola e la Sunset? Mi manca stracciare Jason con quattro bracciate." Propose Sandra, riferendosi alla striscia lunga una ventina di metri a nord di Brisbane, poco lontana dalla St.Helena Island, che era la spiaggia libera su cui tutti insieme si accampavno appena avevano un po' di tempo libero dagli studi ai tempi dell'università.
"Non è vero che mi stracciavi! E poi non vale... tu partecipi ai campionati nazionali di nuoto! Per forza mi battevi... e battevi me perchè nessun altro aveva il coraggio di sfidarti." Jason ricordava le pagaiate poderose della ragazza, allenata a lavorare di velocità nelle piscine olimpioniche, che riuscivano sempre a sminuire i propri bicipiti da quarterback. Quasi. Una volta, però, era riuscito a vincere. E sarebbe stato felice di provare a sconfiggerla di nuovo.
"Aaah! Mi sembra un'ottima idea... Beth. Prendi la crema solare e andiamo." Jillian si stiracchiò, poi scattò in piedi. "Sandra... avverti Robert. Magari quel povero disgraziato riesce ad essere dei nostri, se nomini la spiaggia."
Effettivamente Jillian aveva ragione: Robert si unì alla combricola e li raggiunse direttamente in loco. All'inizio tra lui e Jason ci fu un attimo di imbarazzo, che si tramutò in falsa cordialità, ma non sfociò nello scontro diretto, rimase la stessa tensione di una giornata nuvolosa con molti lampi. Non sai mai quando e se sarebbe scoppiato il temporale.
Alla fine fu proprio Elizabeth a dichiarare che l'esperimento fosse fallito, che sarebbe stato meglio tornare a casa perchè era previsto brutto per il pomeriggio anche se non aveva idea di quello che pronosticasse il bollettino meteo di quel giorno, perchè si sentiva mortificatamente a disagio a vedere l'amico e l'uomo che amava beccarsi come due galline in un pollaio
Jillian e Sandra sentirono le avvisaglie dell'uragano (non quello inventato da Beth) e preferirono diradare le nubi prima che succedesse il patatrack.
Anche se, lì lo pensavano tutti, ormai il patatrack sarebbe stato inevitabile.


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G'day da Brissie! :D
Ebbene sì... da questo capitolo in poi saremo in Australia. :D Ve gusta? A me sì *abbarbicata ad un canguro/?*
E i nostri eroi (/?) saranno lontani dalle pressioni dei riflettori coreani. Sarà meglio o peggio?
Per citare: lo scopriremo solo vivendo.
Ps: ascoltando la radio c'è un tipo che si sta vantando perchè, grazie alla posizione geografica dell'Australia (... è un'isola), il Paese è meno esposto al rischio di contrarre l'ebola. Certo... può capitare anche a loro, ma è meno probabile.
... dopo questo ci sarà un fuggifuggi generale verso l'Australia. LOL
Anyway... see ya later mates!





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Capitolo 9
*** Capitolo 9 ***


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- Capitolo 9-


L'acqua era gelata esattamente come se la ricordava.
Il sole era sorto da poche ore e non aveva ancora fatto in tempo a scaldare le onde dell'oceano.
Jason era  immerso fino ai polpacci e si stava bagnando per far abituare il corpo alla temperatura dell'acqua, mentre aspettava che Beth. si cambiasse; infatti, qualche secondo dopo, il silenzio impregnato dalla salsedine portata dalla brezza venne interrotto dal rumore della sabbia che veniva spostata.
Jas si voltò, e la giovane stava camminando verso di lui in bikini azzurro, con gli occhi bassi sulla sabbia per non inciampare e una mano che teneva ingabbiati contro il vento i capelli  nero pece. La raggiunse sorridendole e le prese le mani per trascinarla verso l'oceano. Lei lo seguì ridendo piano, ma si fermò dopo aver immerso i piedi nell'acqua, "E' ghiacciata!" mormorò.
"Non avrai mica paura... dai, l'abbiamo già fatto altre volte... Poi passa e ti scaldi. Ci vuole solo un po' di... preparazione" Il ragazzo si chinò e prese l'acqua con le mani per versarla prima su un polpaccio di lei e poi sull'altro. Ma solo così non avrebbe funzionato, quindi prese del'altra acqua e la usò per inumidire le sue cosce, accarezzandole con le dita dal basso verso l'alto. Era completamente incantato dalla sua pelle morbida, e si rese conto di quello che stava facendo solo quando la mano di lei all'improvviso strinse la sua spalla. Sollevò lo sguardo e la sorprese a mordersi il labbro inferiore, con le gote arrossate e uno sguardo molto imbarazzato. Di colpo avvertì lui stesso una familiare scarica di calore e spostò le mani dalle sue gambe, anche se avrebbe voluto continuare. Invece cercò nuovamente la sta mano per stringerla e portò la ragazza verso il largo.
"Ehi Jas... va' che so camminare da sola, non mi ricordo se te l'ho detto..." Disse lei poco dopo.
Il giovane sorrise tra sè e sè e la lasciò per poi voltarsi: "Ti sto guidando su un sentiero nascosto. Se fai dei passi diversi dai miei finirai inghiottata dalle onde e la tua anima non avrà più possibilità di redenzione."
"Ma quante stronzate, che spari." Rispose lei sconsolata e prese dell'acqua con le mani per gettargliela addosso.
"Ah... Bebe, non sfidare la forza dell'Oceano" E le gettò addosso il triplo dell'acqua, facendola sussultare e rabbrividire per il freddo.
"Jason Hanbyul Jang, hai firmato la tua condanna a morte!" La ragazza si lanciò verso di lui e si appese al suo collo, con l'intento di tirarlo verso il basso in una specie di tentativo di annegamento, ma lui rimase piantato al suolo e ridacchiava per gli sforzi inutili dell'amica.
Poi la avvolse in un abbraccio: "Elizabeth Steinhaus... sei una schiappa." e si tuffò di lato, immergendo con sè anche la giovane che, colta di sorpresa, cercava di liberarsi e di tornare in superficie, ma Jason si diede una forte spinta con i piedi e riuscì a nuotare verso il largo, riemergendo ad una ventina di metri dalla riva.
"Sei un pirla!"  Sbottò lei tra una boccata e l'altra, ansimando per l'improvvisa assenza di aria e muovendo i piedi per rimanere a galla.
"L'idea è stata tua, in realtà..." Rise lui, e Beth gli si lanciò nuovamente contro, ma Jason la bloccò catturando le sue labbra in un bacio. La giovane addolcì la stretta al suo collo e si abbandonò al suo bacio delicato.
Poi lei si staccò e gli sorrise, e Jason rimase incantato a guardare le sfumature violette che il sole nascente creava nei suoi occhi celesti. Passò le dita tra le sue ciocche corvine e lei si appoggiò alla sua mano, prima di posare il capo sopra il petto del ragazzo.
Jason la strinse e, a sua volta, chinò la testa su quella di Beth. Chiuse gli occhi, muovendo appena i piedi per rimanere a galla, e si disse che, a contatto con lei, l'acqua non era più così tanto fredda, e sarebbe potuto rimanere incollato al suo capo, lì, in mezzo all'oceano, finchè la Starkim non fosse venuta a spostarlo di peso.
O finchè la marea non avesse portato verso di loro uno dei più pericolosi predatori dei sette mari.
Jason avvertì qualcosa spingere contro la propria schiena e, voltandosi, trovò a salutarlo un esserino trasparente grande come il suo pugno e con lunghissimi filamenti argentei, che teneva anche lui la testa appoggiata al proprio corpo.
Brisbane era famosa per essere infestata da quelle creature iridescenti il cui tocco avrebbe causato l'infarto miocardico in un bambino. Era una cubomedusa, e Jason ringraziò ogni divinità esistente ed inventata per non essere a contatto con i suoi tentacoli.
In quel momento il cervello gli inviò due informazioni molto preziose: a) le meduse si muovono in branco b) Beth ha il terrore delle meduse.
Guardandosi attorno vide dei puntini luccicare sull'acqua e, prestandovi attenzione, poteva benissimo notare un contorno e un movimento diverso da quello delle onde -la maggior parte della gente pensa che le meduse si lascino trasportare dalla corrente, invece loro sanno proprio nuotare, e sono anche piuttosto veloci.
Fu esattamente quella visione a dissuaderlo dal rimanere sul posto e a fargli prendere la decisione di muovere i piedi più cautamente possibile per tornare verso riva. "Vieni Beth, qui fa freddo" La esortò dolcemente, tenendola stretta a sè per evitare che si accorgesse da cosa fosse circondata e andasse in panico. Si ricordava di quando erano venuti tutti insieme a fare il bagno e Jillian aveva scambiato un sacchetto per una medusa: Beth era schizzata fuori dall'acqua ed era rimasta sotto l'ombrellone a leggere per tutto il resto del tempo, ed il giorno seguente era entrata in acqua solo dopo essere stata rassicurata da Sandra che nell'acqua non ci fosse nulla di potenzialmente aggressivo a parte Robert, che in quel momento stava costruendo un castello con la sabbia del fondo marino sopra la testa di Jillian.
Lei annuì e lo seguì senza protestare. Erano quasi a riva quando il silenzio venne spezzato da un urlo agghiacciante, e Jason si sentì tirare verso il basso.
Beth si era piegata e stava cercando di togliersi dal polpaccio dei sottili nastri argentei.  Jas si ricordò di un'altra importante nozione: le cubomeduse si avvinghiano alle proprie prede.
Inorridito, cercò di mantenere la calma per se stesso e per la giovane, che era scoppiata a piangere per il dolore e per la paura, aiutandola a sbarazzarsi della medusa. "E' tutto okay Beth... ci sono qui io." Afferrò l'animale per il cappello e, con un rapido movimento di polso, srotolò i tentacoli, liberando la sua gamba.
Quindi portò l'essere goggiolante all'altezza degli occhi e lo rimproverò: "Stronza. Meriteresti l'essiccazione per quello che hai fatto alla mia Elizabeth, e non sarebbe neanche sufficiente. Per questo maledico te e tutta la tua stirpe arroccata Dio solo sa dove nelle budella dell'oceano." E lanciò via il mostro assassino, che creò un arcobaleno prima di tuffarsi tra le onde. Beth rise, tra le lacrime: "Grazie Jas..."
"E' il minimo, Beth... come ti senti?" Si chinò e la prese in braccio, portandola sulla spiaggia.
"Mi fa male la testa... oltre alla ferita. Era una cubomedusa, vero?" Domandò, mentre lui la adagiava sul telo da mare, sotto l'ombrellone.
"Sì, Beth... e se vuoi saperlo ne eravamo circondati. Hai la boccetta di aceto? Non farà molto ma di sicuro aiuterà, mentre chiamo la guardia medica." Prese il borsone e lo sistemò sotto la testa della ragazza, rubandole un bacio.
"Ossantapace... grazie per non avermelo detto. Avrei cominciato a sclerare e a quest'ora non sarei nemmeno viva... comunque la porto sempre con me... è nella tasca interna della borsetta."
"Lo so." Sorrise lui, prima di aprire la sua borsa ed iniziare a cercare. "Nella tasca degli assorbenti? Ah... trovato. Ecco. Aspetta... bevi dell'acqua." E dalla borsetta, oltre all'aceto, prese anche la bottiglietta d'acqua e glieli porse entrambi.
"Grazie." Svitò il tappo per bere, poi iniziò a passare l'aceto sopra le striature violacee, sulle quali si stavano formando delle vesciche.
Jason la guardava preoccupato, mentre componeva il numero della guardia medica. Quella bottiglietta avrebbe fatto ben poco. Avrebbe solo rallentato la diffusione delle tossine nel sangue, ma era meglio di nulla. "Buongiorno, ho qui una ragazza aggredita da una cubomedusa... è cosciente. Sì, la testa. E' già all'ombra. Si sta disinfettando la ferita con dell'aceto... okay anche acqua di mare. Sì, ha bevuto. No no no... acqua! Okay... scusi, ho frainteso la domanda. Siamo nella spiaggia libera tra il bagno Sunbath e HoolaHoolabay. Nord. Dieci minuti? Okay. Arrivederci."
Beth nel frattempo aveva chiuso la boccetta e si stava asciugando con un telo preso dal borsone. "Arrivano fra dieci minuti?"
"Sì... e la tua ferita ha bisogno di acqua di mare. Se non vuoi più acqua la bevo io, così uso la bottiglietta per andare a prenderla."
"No, bevila pure."
"Okay... torno subito. Ferma lì, eh!" Le raccomandò, facendola ridere, poi si diresse verso la riva, finendo l'acqua. Subito notò che le meduse si erano affollate a pochi metri dalla spiaggia, e alcune stavano già rotolando senza vita sulla battigia, trasportate dal rollare delle onde. Si chinò e più velocemente possibile riempì la bottiglia; erano bellissime e l'acqua sembrava costellata di diamanti, ma rimanevano comunque delle stronze assassine.
Tornò indietro, dove Beth si era imbozzolata nell'asciugamano, lasciando scoperto solo il polpaccio ferito.
"Hai freddo?" le chiese, spostando il telo per evitare di bagnarlo. La ragazza annuì, mentre Jason svuotava la bottiglietta sopra la sua gamba.
"Avrai la febbre. Però respiri bene, sì?" Domanda inutile. Se avesse avuto problemi a respirare, non sarebbe stata viva per raccontarglielo. Prese l'aceto e ne passò ancora sopra le vesciche.
"Sì, credo di sì. Forse sono stata attaccata da una medusa già morta... di solito quelle cose uccidono." Disse piano. In quel momento si sentì la sirena dell'ambulanza, che si fermò davanti alla spiaggia libera.
"Forse sei stata fortunata." Le stampò un bacio sulla fronte e si alzò per andare incontro ai medici. "Buongiorno... da questa parte." C'erano tre medici, due uomini con una lettiga e una donna con un block notes. I due corsero subito a prendere Beth, mentre la donna si avvicinò a Jason.
"Buongiorno. E' lei che ha prestato i primi soccorsi, immagino...  Può venire con noi, così ci dà gli estremi della ragazza?"
"Sicuro, anche se potrebbe darveli direttamente... Ommerda, Beth!" Il giovane spalancò gli occhi ed impallidì: i due medici erano appena passati rapidamente, ma la ragazza che trasportavano era abbandonata sulla lettiga incosciente.
"Stia calmo, è viva. Per ora. Prenda borse, cellulari e gioielli. Rapido. Dobbiamo portarla d'urgenza in ospedale." Ordinò la donna, e il ragazzo si decise a levare gli occhi di dosso dalla lettiga e corse verso l'ombrellone per prendere la borsetta di Beth e gli indumenti di entrambi con il cuore in gola ed il cervello che si rifiutava di lavorare. Gli tremavano le dita e le ginocchia, e cercava di non pensare al peggio. Dopotutto era in mani esperte in uno dei Paesi con il livello di cure mediche più alto del pianeta. Non avrebbero lasciato che morisse.
Salì velocemente sull'ambulanza, che partì a sirene spiegate, mentre i due medici attaccavano Beth ad un respiratore artificiale.
"Allora. Nome, cognome e data di nascita. Non la guardi. Se guarda me e non lei, starà meglio." Jason ci mise qualche secondo a capire che la donna stava parlando prima di Beth, e poi di se stesso. Era lui che sarebbe stato meglio a non guardare lei conciata in quel modo. Prima era stato forte e aveva scherzato, soprattutto per evitare che Beth andasse in panico, ma in quel momento era lui stesso ad essere in panico.
"Elizabeth Steinhaus, nata a Blackall il 22 febbraio 1990 e residente a Brisbane... vi serve altro?" Chiese Jason, dopo aver elencato i dati di Beth con voce atona.
"Lei è un parente?" La dottoressa sollevò gli occhi dal modulo che stava riempiendo.
"No" Scosse la testa.
"E' il marito? Il fidanzato?"
"No. Sono..." Si bloccò per un istante. Cosa era lui per Beth? E Beth cosa era per lui? Ormai lo status amici era superato da un pezzo, ma non se la sentiva di dichiararsi il suo ragazzo. Oppure lo era? Ma, dopotutto... importava davvero?
"E' l'amante? Senta, devo scrivere qualcosa qui. Se ha problemi con un fidanzato o un marito geloso posso scrivere "amico", ma non posso farla entrare con lei in rianimazione. In realtà potrei farla passare solo se fosse un parente stretto od un coniuge. Quindi non importa. Ma tieni una cosa a mente, ragazzino: di stronzi ce ne sono già troppi al mondo, e le donne non sono a servizio del divertimento degli uomini. Se mai sopravviverà, vedi di trattarla come si deve." E gli lanciò un'occhiataccia.
Jason spalancò gli occhi, arrossendo. Aveva frainteso completamente: "No. Non ha capito. E' che siamo in una situazione di stallo... Non è mia moglie, nèsolo  mia amica, nè la mia fidanzata..." Fece una pausa, indeciso se continuare il discorso o meno, e alla fine le parole cominciarono a fluire da sole dalle sue labbra, sull'onda dell'agitazione del momento: "E' la persona di cui mi fidi di più al mondo e credo di amarla. Non sono uno stronzo approfittatore e non mi è mai neppure venuto in mente di approfittarmi di lei." Abbozzò un sorriso tirato e angosciato, anche se sincero. Si sentiva quasi liberato da un peso, dopo aver pronunciato il discorso.
La dottoressa gli rispose con un sorriso materno caldo come il sole: "Stai tranquillo, tesoro, starà bene. Purtroppo non possiamo permetterti di seguirla in rianimazione, ma appena potrà ricevere visite verremo a chiamarti."
"La ringrazio." Mormorò il ragazzo, scosso, con le lacrime che gli pungevano gli occhi ed il magone in gola.
In quel momento entrarono nel pronto soccorso del St. Vincent's Hospital, spalancarono i portelloni dell'ambulanza e portarono Beth in rianimazione. Jason invece strisciò fino ad una sedia della sala d'attesa e telefonò a Jillian per chiederle se potesse andare a prendere ombrellone e teli; lui non aveva nessuna intenzione di muoversi da lì.





**********
Commento dell'autrice: a onor del vero bisogna dire che le cubomeduse, in Australia, uccidono nel giro di cinque minuti, ma non avevo voglia di far morire Beth o di scatenare una scena apocalittica fra la vita e la morte, o il clichet eros e thanatos. Sarebbe stato troppo mainstream... Non mi serve a nulla uno shock anafilattico... perdonate la mia deformazione della realtà ^^.



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Capitolo 10
*** Capitolo 10 ***


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- Capitolo 10 -


Alla fine Jillian era corsa alla spiaggia a prendere ombrelloni, teloni e borsoni e poi si era fiondata all'ospedale. Una volta arrivata aveva cercato di vedere Beth, ma era stata messa a sedere accanto a Jason finchè la ragazza non si fosse ripresa. Lei aveva protestato ma Jason aveva cercato di farla ragionare, e alla fine si era seduta a gambe incrociate sulla sedia, così il giovane aveva preso il cellulare per informare dell'accaduto anche Sandra e Robert. Sandra aveva avvisato che, appena libera dagli impegni di lavoro, si sarebbe fiondata in ospedale, mentre Robert non aveva risposto. Jason aveva pensato che fosse in bagno o che non avesse sentito il telefono, quindi aveva riprovato una decina di minuti dopo, ma il beep continuava a squillare a vuoto.
Era stata Jillian che, con il suo sesto senso femminile, aveva trovato un motivo ben più plausibile per il silenzio di Robert: "E' perchè vede il tuo numero, bamba. Non risponderà mai a te. Lo sai." E aveva preso il proprio cellulare, per comporre il numero dell'amico.
"Jillian, a me sembra che il bamba sia lui." Sbottò Jason "Io non gli ho fatto proprio nulla... L'ho obbligato ad andarsene? No! L'ho obbligato a rimanere? No! E' libero e può fare quello che gli pare." Detestava tutta questa faccenda. Non era mai stato il grande amicone di Robert, ma si erano simpatici a vicenda, erano sempre andati d'accordo e si erano divertiti insieme per quasi due anni. Capiva il suo fastidio per essere stato respinto da Beth, ma la questione poteva essere risolta con la logica: lei ha scelto, fatti da parte e amen! Per fortuna non è il tipo di persona che continua a provarci anche se non ha speranze. Perchè lui non aveva speranze! Più ci pensava e più si innervosiva. Forse era davvero meglio che rimanesse al lavoro, a casa o dovunque fosse, perchè Jason sapeva che avrebbero ricominciato a litigare e a lanciarsi frecciatine acide appena si sarebbero visti.
"Ha detto che fra un quarto d'ora è qua."
"Come?"
"Robert... L'ho chiamato, gli ho raccontato di Beth e lui ha risposto che fra un quarto d'ora arriva." Il tono di Jillian era abbastanza scocciato. Evidentemente la rivalità fra i due ragazzi non esaltava nemmeno lei.
Alla fine Sandra e Robert arrivarono in ospedale più o meno nello stesso momento, un'ora circa dopo che Beth era stata ricoverata.
Fortunatamente per allora la ragazza si era già svegliata e i medici le avevano permesso di ricevere visite.
"Visite, non litigate. Quindi boni e cheti." Aveva ribadito Jillian, prima di entrare in stanza.
Lei era seduta appoggiata ai cuscini, ed era rimasta sorpresa di rivedere Robert, ma soprattutto felice. E lui, scherzando, l'aveva paragonata ad uno di quegli eroi medievali in stile Walter Scott che sconfiggevano il nemico dopo una lunga battaglia.
Beth invece gli aveva fatto notare che, iniziata la battagglia campale, come prima cosa era scoppiata a piangere, e questo non rientrava esattamente nei canoni di gagliardia cavalleresca. Jason aveva riso, Jillian l'aveva stretta come un peluche e Sandra aveva proposto di andare fuori a mangiare qualcosa tutti insieme per festeggire lo scampato pericolo. L'idea era piaciuta a tutti, ma Jason aveva fatto notare che Beth era stata ad un passo dalla morte, e che sarebbe stato meglio una cena in casa, perchè era più tranquillo. Beth aveva annuito, entusiasta, e Jillian si era offerta di ospitarli a casa propria.
Poi avevano stilato il menù a base di pizza su ordinazione e Jillian aveva telefonato a Alfred per avvisarlo dei cambiamenti di programma per la cena.
Era stata una bella serata, dove sembrava che non fosse passato molto tempo delle pizzate da universitari. Oltre ad Alfred, l'unico cambiamento sembrava essere l'argomento della conversazione; prima si parlava di esami e professori, ora di lavoro, primari e pazienti.
Grande oggetto di interesse era stato anche l'impiego di Alfred che, dopo aver preso il master, aveva trovato posto come consulente di vendita per la sede a Brisbane di un'impresa navale di Kuala Lumpur. E questo era curioso di conoscere i dettagli della vita da idol in Corea, quindi aveva bombardato Jason di domande, cosa che la sua ragazza aveva commentato con un "Alfred, non fare la fangirl, per carità!", e lui si era difeso rispondendole: "Jillian, non vedi com'è interesante? E' tutto un altro mondo, così diverso dalla nostra pacifica routine quotidiana! Insomma... lui può girare e vedere paesi e città diverse... senza contare della soddisfazione personale di vedere uno stuolo di gente che è lì davanti a te per applaudirti. Jason, tra il pubblico hai mai visto qualche ragazza di cui avresti voluto approfondire la conoscenza?" La domanda era stata alquanto imbarazzante, e il giovane aveva subito guardato in direzione di Beth, che attendeva la risposta ansiosamente. "Beh..." Si era schiarito la voce. Rispondere di no era una bugia bella e buona, ma temeva la reazione di Elizabeth. Alla fine si disse che non gli importava; faceva parte del suo lavoro e, in ogni caso, non poteva mica mettersi le fette di salame sugli occhi! "Sì, ovviamente... ho visto un sacco di ragazze carine, e alcune veramente belle... se mi stai chiedendo se avrei voluto portarmene a letto qualcuna, la risposta è: non seriamente. Sei lì sul palco, sei eccitato per la musica, le urla, gli applausi e non posso negare di aver pensato questa me la farei... ma è un po' come quando guardi un film e ti piace l'attrice protagonista... non è nulla di reale... anche prchè non avrei nemmeno la possibilità di rivederla o concludere qualcosa. Non che cercherei di approfondire la sua conoscenza, se ne avessi la possibilità... ma, insomma. Sono anche io fatto di carne e il bello piace a tutti, ma nessuno si sognerebbe di pomiciare col David di Michelangelo o la Venere di Botticelli."
"Addirittura la Venere..." aveva commentato Beth, fingendosi sdegnta e gelosa.
Jason arrossì e sorrise, cercando qualcosa da dire a sua discolpa, e Sandra ridacchiò: "la Venere... ci sono ragazze così belle in Corea?"
Fu Alfred a correre in suo soccorso e a salvarlo: "Le fan vanno ai concerti per vedere dal vivo le band anche perchè i loro componenti sono belli... anche se spesso sono fidanzate. Beth, Sandra... non ditemi che non avete mai pensato di portarvi a casa uno dei vostri cantanti preferiti. Il Bello piace a tutti." E sollevò il bicchiere in direzione di Jason, dopo averlo citato, per bere un sorso di birra. Questa volta furono le ragazze ad essere zittite. Jillian rise e schioccò un bacio sulla guancia ad Alfred: "Ahahahah! Mi sa che hanno vinto i ragazzi... Ma se ti becco a fissare troppo spesso una segretaria perchè Il bello piace a tutti, ti castro" E gli diede un altro bacio, mentre Sandra e Beth ridacchiavano.
"Ecco perchè le case discografiche ci consigliano di non avere rapporti sentimentali... finiremmo per ferire chi amiamo." Concluse Jason. Solo in quel momento gli si palesava davanti concretamente il motivo principale per cui non fosse permesso innamorarsi. Guardò di nuovo Beth, che aveva chinato il capo sulla pizza e la stava tagliando (squartando) con aria preoccupata (furia omicida). Non avrebbe mai permesso a se stesso di farle del male. Piuttosto sarebbe fuggito con lei da qualche parte in Europa. Aveva ricominciato da capo già una volta. Poteva farlo ancora.
Gli altri commensali si dovevano essere accorti della tristezza che si era versata come una bomba d'acqua fra i due ragazzi, perchè tentarono di cambiare argomento di colpo, e Robert domandò "Settimana prossima inizia il Super Bowl?"
"Sì! Mercoledì... Ma sapete chi gioca?" Rispose Alfred, e per il resto della serata si parlò di football, finchè Sandra non dichiarò di essere stanca e di voler tornare a casa prima dell'alba. Così anche gli altri si resero conto che si era fatto tardi e tutti ringraziarono Jillian ed Alfred per l'ospitalità, prima di liberare la casa dall'invasione come disse Robert.
Ovviamente fu Jason a riportare a casa Beth, che lungo il tragitto sembrava aver accantonato il problema della loro relazione e, fra uno sbadiglio e l'altro, sbocconcellava le parole delle canzoni trasmesse alla radio.
"Vieni con me." Gli propose, infine, una volta giunti davanti al suo appartamento. Jason la guardò, mentre il proprio cuore faceva una capriola. Il sorriso della giovane era disteso e sereno. Calmo. Lui annuì, sorridendole dolcemente a sua volta, poi spense il motore e scese con lei.
Beth trovò la chiave e aprì la porta del queenslander, lasciando che Jason entrasse dopo di lei, prima di richiudersela alle spalle.
"Ti va un po' di tv?" Accese la luce. Era nervosa, lo si capiva dai suoi occhi e dalla sua voce. Jason le sorrise di nuovo, intenerito.
La sua Beth era diventata grande. Non ci voleva un master in psicologia applicata per capire quali fossero i suoi progetti per la serata, e nemmeno per intuire che fosse la sua prima volta.
"Tv. Certo" Annuì distrattamente, come se non avesse capito, e si sedette sul divano, aspettando che lei prendesse posto al suo fianco; lei invece, con sua grande sorpresa, si sedette a cavalcioni sulle sue gambe. "Ma non volevi guardare la televisione?" Fece correre le dita sulle sue cosce e si fermò sui suoi fianchi, fingendo uno sguardo confuso.
"Mh... ho cambiato idea... ma se preferisci guardare delle tette virtuali invece che vere, fai pure."  Ridacchiò lei, accarezzandogli le spalle.
"Ah... no grazie... ma chi mi dice che fra qualche secondo non cambi idea nuovamente e tu non preferisca vedere delle tette in tv?" Ridacchiò a sua volta, accarezzando la sua pelle sotto la camicia di seta. Lei mise il broncio e gli slacciò il primo bottone della camicia, poi il secondo. "Boh, nessuno... tanto il telecomendo è lontano e non ho voglia di prenderlo."
"Elizabeth..." La guardò negli occhi, serio. "Non giocare col fuoco." Con le mani risalì il suo busto, e arrivò a sfiorare il ferretto del reggiseno: "Potresti bruciarti..."  Con i pollici sollevò piano il reggiseno e accarezzò la sua pelle morbida e calda. Beth spalancò gli occhi e socchiuse le labbra, stringendo le dita attorno al colletto della camicia del ragazzo. "E farti male." Concluse lui, tornando con le dita sui suoi fianchi. Beth deglutì, e Jason si chiese se ci stesse ripensando. Allora era davvero vergine. La avvolse in un abbraccio tenero e le baciò le labbra. Lei si strinse al suo petto e gli accarezzò una guancia. Era presto per andare fino in fondo, ma i suoi occhioni gli avevano fatto venire una mezza idea.  Si voltò e la fece stendere sul divano. "E' tutto apposto."
"Lo so" Lei gorgogliò una risata, e il ragazzo si chinò su di lei per baciarle il collo lentamente. Sentiva chiaramente il cuore di lei correre rapido, così come il proprio; era da un sacco di tempo che desiderava fare una cosa del genere. Il suo profumo era invitante, dolce, e gli faceva girare la testa.
"Jas... Ti devo dire una cosa..." Mugulò lei.
"Che c'è, Beth... sei lesbica?" La guardò negli occhi, fingendosi scandalizzato.
La ragazza rise: "No, bamba... non voglio dire che non ti desideri, anzi... ma..." Arrossì, e fu lui a concludere la frase: "Sarebbe la tua prima volta e ti sembra presto." Lei annuì  forte. "L'avevo capito, Beth, stai tranquilla... avevo in mente altro." Le sorrise maliziosamente.
"Ossignore, adesso sono curiosa." Rise, affondando le dita tra i suoi capelli.
"Uh... bene bene..." Rise piano,poi si chinò sulle sue labbra, mentre le sbottonava la camicetta, poi tornò a prestare attenzioni al suo collo candido.
Lei fremette: "Oh Jas, adoro i tuoi baci"
"Meglio... voglio riempirti di baci" Mormorò Jason sulla pelle calda del suo petto, che si sollevava e abbassava rapidamente. "Voglio mangiarti di baci." E le sbottonò anche i jeans, mentre la giovane passava le dita tremanti lungo la schiena del ragazzo sopra di lei.


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.... Non chiedete, non lo so come ho fatto a scrivere l'ultima parte. Non lo so.
Comunque... avete sentito la notizia? Hanbyul, Kyumin e Kwangyeon lasciano i Ledapple.
Io sono sconvolta... auguro loro tutto il bene possibile... ma praticamente se ne va mezzo gruppo. E dei Led originali rimane solo Youngjun.
Credo che siano il gruppo più sfigato del Kpop.
Dai ragazzi... fighting!

ps: ovviamente io ho iniziato a scrivere la storia nella categoria "Ledapple" e continuerà a stare qui... dopotutto nella mia storia si parla anche degli altri ragazzi. Poco, me ne rendo conto... ma anche se il focus è su Hanbyul, loro ci sono comunque... e poi all'altezza cronologica in cui è ambientata la storia, Hanbyul era ancora il vocalist dei Ledapple.






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Capitolo 11
*** Capitolo 11 ***


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- Capitolo 11 -

La notte stava dolcemente cedendo il passo ai primi chiarori dell'alba, e il cielo cobalto era sfumato in un tenue color indaco, che delineava i contorni prima indistinti della camera di Beth, ed il mobilio bianco rifletteva sulle pareti i toni sommessi del primo mattino.
Jason si era svegliato da poco, a causa dell'aria fresca che spirava attraverso le tende di lino, e aveva trovato la testa corvina di Beth appoggiata sul suo petto e il suo braccio marmoreo ad avvolgergli il torace, stringendolo a sè come se avesse paura che fuggisse.
Elizabeth si poteva definire una ragazza forte, che aveva morso la vita. Aveva origini modeste, e si era sempre pagata l'università a suon di borse di studio. Aveva lottato per raggiungere ogni traguardo, e tutt'ora sapeva che la battaglia non era finita, perchè chi raggiunge le vette più alte non può permettersi di commettere errori e cadere, altrimenti si schianterebbe al suolo. E lei aveva la determinazione e la fermezza necessiarie per mantenere gli standard elevati che si era prefissata.
Ricordava quell'orrible giorno in cui era emersa tutta la propria insicurezza circa il futuro e lei lo aveva rassicurato stringendolo e sussurrandogli parole dolci come avrebbe fatto una madre con un bambino. Proprio lei che aveva avuto sempre soltanto se stessa su cui contare, era stata in grado di essere forte per se stessa e per quell'amico incasinato che da un giorno all'altro aveva deciso di gettare all'aria una concreta prospettiva di vita per andare alla ricerca di un sogno impalpabile.
Forse era per questo che si era innamorato di lei, e non voleva che tutto ciò che lei aveva costruito svanisse per colpa di una relazione che minacciava di sgretolarsi.
Accarezzò piano i suoi capelli e poi le sue spalle, attento a non svegliarla. La luce che si faceva sempre più chiara sfiorava gentilmente anche la corta camicia da notte ed il lenzuolo in cui era imbozzolata, così come il polpaccio ed il piedino, lasciati scoperti. Ferma così poteva sembrare una statua, ma la sua pelle calda e fragrante era molto più confortante di qualsiasi marmo greco.
Non voleva lasciarla. Avrebbe lottato con tutte le proprie forze per rimanere al suo fianco anche sul letto di morte. Non sarebbe stato facile, ma se entrambi lo volevano, se entrambi fossero riusciti a credere in quello che stava crescendo tra di loro... sarebbero rimasti uniti e nulla li avrebbe divisi.
L'alba era già sorta ed illuminava la stanza, quando Beth si svegliò e sollevò il capo, sorridendo a Jason: "'Giorno..."  Gli baciò un angolo della bocca e tornò sul suo petto.
"Buongiorno a te... ti sei dimenticata di avere un cuscino?" Le grattò la testa, ridacchiando.
"Mph... quel coso non scalda." Lo strinse e gli riempì il torace di baci, facendolo ridere: "Che ore sono? Devo essere in ospedale per le 7:30" Chiese poi, afferrando il cellulare. "Le sei. Meglio se mi alzo."
"No. Faccio io! Cosa vuoi di colazione?" Jason, più veloce di lei, scattò in piedi e si infilò la maglietta.
"Ah va bene..." La ragazza rise e si lasciò cadere sui cuscini, stiracchiandosi. "Latte, cereali e succo di frutta. Vite, vite garçon!" Battè le mani.
"Fottiti, Elizabeth." Rise lui, sparendo in cucina. "Mi faccio un caffè, io!" Urlò poi, mettendo il bollitore col latte sul fornello.
"Se vuoi cucinati pure anche gli spaghetti!" Rispose Beth, in segno di approvazione, e lui preparò un bollitore -in realtà una pentola, poichè il bollitore vero e proprio stava scaldando il latte- con l'acqua per un americano... Prima di scoprire che Beth non aveva caffè solubile, ma una bellissima caffettiera e del caffè in polvere. La tentazione di prepararsi un sano caffè all'italiana fu irresistibile, così si mise ad armeggiare con la caffettiera. Sapeva come fare. Alcuni amici di suo padre erano italiani e li aveva visti preparare il caffè più volte.
Quindi, pronti latte e caffè, prese anche i cereali ed il succo e, con un vassoio, portò il tutto in camera, dove Beth lo stava attendendo seduta, con la schiena appoggiata al cuscino e le mani intrecciate in grembo. Sembrava una principessa.
"Grazie." Sorrise dolcemente, mentre Jason le posava sulle gambe il vassoio. "Oggi sarò tutto il giorno in ospedale... e pranzerò anche là. Tornerò per otto e mezza circa... credo. Tu che fai?" Bevve un sorso di succo.
"Pensavo di andare a trovare i miei e di stare un po' con loro... poi torno in hotel e sento un po' via web gli altri della band."
Elizabeth annuì e gli riempì la mascella di baci, poi finì la colazione e si alzò, la camicia che svolazzava sui suoi lineamenti snelli: "Vado in bagno. Quando torno ti spupazzo." Jason ridacchiò, ma lei mantenne la promessa e gli si gettò addosso riempiendolo di baci e carezze.
"Mi accompagni al lavoro, poi ti lascio l'auto e te ne vai dove ti pare." Mormorò al suo orecchio, con voce dolce e seducente.
"Beth, amore mio... la macchina è tua... posso prendere il tram" La guardò, e lei si strusciò come una gattina: "Sì, ma mi piace vederti guidare. E' un fetish, una fissa... chiamala come ti pare." Ridacchiò appena, imbarazzata.
"Allora ti accontento." Sorrise, e la ribaltò sotto di sè. Solo che nessuno dei due si era ricordato del vassioio della colazione che, nel movimento, finì a terra. "Ma no..." Rise Jason: "No... adesso lo lasci lì. Ha voluto cadere, e il pavimento è quello che si merita." Aggiunse, perchè Beth aveva fatto cenno di sfuggire dalle sue braccia per raccogliere il vassoio.
"Ahahah, dai Jas... è tardi. Io mi vesto... tu fila in bagno." Gli ordinò, spingendolo via.
"Okay, okay vado." E si alzò nuovamente dal materasso, mentre lei raccoglieva le stoviglie.
Nonostante tutto, alla fine Beth riuscì a varcare il portone dell'ospedale in tempo, e il giovane fece retro marcia, diretto verso quella che era stata casa sua.
La strada per raggiungere l'appartamento che i suoi avevano comprato in centro a Brisbane, al ventottesimo piano di un grattacielo, con vista sull'oceano, era sempre la stessa, ma l'asfalto sembrva più consumato, le palme che costeggiavano la carreggiata erano vecchie e più avvizzite. Erano passati solo due anni, alla fine, ma avevano fatto in tempo a cambiare un sacco di cose.
Chissà quanto erano cambati i propri genitori? Sperò che non lo cacciassero. Per quanto fosse stato crudele il modo in cui l'avevano salutato prima che partisse per la Corea, come diceva Beth, rimanevano sempre i suoi genitori, coloro che l'avevano cresciuto e gli avevano impartito i primi insegnamenti.
Trovò parcheggio sotto casa, ma il suo occhio corse per istinto al cruscotto, dove tempo addietro teneva il telecomando per entrare in garage.
Si chiese se i suoi avessero venduto la propria auto oppure fosse ancora al suo posto. Avrebbe potuto usare quella, invece che chiedere in prestito a Beth la sua, finchè fosse rimasto a Brisbane. Anche se, in realtà, sarebbe stato inutile, perchè aveva il volo di ritorno fra un paio di giorni: la Starkim non gli aveva concesso più di una settimana di vacanza, e anche così erano stati clementi.
Arrivato davanti al citofono si inumidì le labbra, si sistemò la camicia e infine suonò il campanello.
Attese secondi interminabili, nei quali sperò che non ci fosse nessuno, che potesse scappare e rimandare a chissà quando l'incontro con i propri genitori. ma alla fine una voce di donna, con tono frettoloso e leggermente infastidito, ma imperioso, chiese: "Chi è?"
"Jason... Mamma sono Jason." Lo ripetè perchè la prima volta aveva risposto con voce strozzata.
"Ah... Jason... vieni... ti apro." La voce della donna si era addolcita, ma era rimasta una scheggia di ghiaccio nella testa del ragazzo.
Il portone si aprì e lui prese l'ascensore, che dava sul corridoio bianco. Sempre lo stesso corridoio.
Giunse infondo e bussò alla porta in mogano scuro, che venne aperta praticamente subito.
Fece capolino una signora non tanto alta, con i capelli corvini tagliati a caschetto, un elegante tailleur pantaloni grigio e due occhi nerissimi penetranti ed indagatori, che si sciolsero un poco nel vedere il suo unico figlio in piedi davanti alla porta.
"Ciao ma'" Jason tirò le labbra in un sorriso, cercando di non scoppiare in lacrime. La bella signora aveva qualche ruga intorno agli occhi, un paio di chili in più sui fianchi e qualche filo bianco tra i capelli, ma per il resto era sempre la stessa donna che ricordava.
Lei rimase qualche secondo ad osservare quel figlio ritornato da tanto lontano con indifferenza, poi si fiondò contro di lui e lo strinse in un abbraccio soffocante, lasciando che i singhiozzi risuonassero per il corridoio dello stabile. E a quel punto neanche Jason riuscì più a trattenersi, e lasciò che le lacrime gli scorressero lungo le guance.


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 ... Piango il mondo.
La mamma è sempre la mamma.






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Capitolo 12
*** Capitolo 12 ***


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- Capitolo 12 -

Il ticchettio delle lancette dell'orologio analogico appeso al muro riempiva la stanza e scandiva i secondi di silenzio calati fra la signora Jang, seduta sul divano blu pervinca, e suo figlio, in punta sulla poltrona coordinata.
Entrambi si stavano occupando del tè nero alla rosa e sandalo e di trovare qualcosa da raccontare.
"Qui le cose non stanno andando male... abbiamo licenziato Edna perchè non svolgeva più il suo compito correttamente. Ogni tre per due sbagliava i conti e il commercialista diventava scemo per far quadrare tutto di nuovo. Una vera seccatura. Perdevamo un sacco di tempo."
"Edna? Ma non aveva una laurea in economia?" Le chiese sorpreso il ragazzo. Aveva avuto una cotta paurosa per quella ragazza, ai tempi del liceo, ma a lei interessavano di più gli sportivi, come il quarterback Paul Janstick, con cui si era fidanzata dopo esserselo portato a letto alla festa di un amico comune.
"Era in tirocinio... non era ancora laureata. E poi sai come la penso io... non deve essere un pezzetto di carta a dirmi che una persona sa svolgere le mansioni che mi servono, ma le sue azioni." La donna finì il tè e posò la tazza sul piattino.
"Lo so... e hai ragione. Papà?" Cercò di non pensare al licenziamento di Edna come ad una vendetta karmica perchè lo aveva sempre snobbato.
La donna fece un gesto vago con la mano: "Lui è sempre a Darling Downs. Passa le sue giornate nella farm per controllare da vicino la produzione... così dice lui... invece io sono certa che flirti con le impiegate. Ma sono affari suoi. Che faccia come gli pare. Finchè non andiamo in bancarotta può vedere tutte le sottane che vuole." Il suo tono era amaro, i suoi occhi rassegnati, e Jason non seppe che replicare: suo padre non era mai stato un donnaiolo, o meglio, lui non lo aveva mai visto in atteggiamenti sconvenienti con altre donne. Forse sua madre era semplicemente irritata per qualcosa, e riversava la sua rabbia sul marito. Tipico di lei. Si sfogava così: vomitando veleno addosso a tutti quelli che la incontravano.
"Allora, Jas... state preparando un album?" Chiese lei con uno sguardo che poteva essere definito dolce, anche se non era mai stata particolarmente affettuosa.
"Un singolo... I'll be there for you." Il ragazzo tirò le labbra in un sorriso, anche se era davvero strano parlare faccia a faccia con sua madre, dopo che lei lo aveva diseredato e riempito di botte.
"Ah... interessante. Ti pagano bene per quello che fai?" Gli sorrise di rimando, ma i suoi occhi tradivano delusione. Jason riusciva benissimo a capire quello che stava pensando. Il denaro era sempre stato il suo debole.
"Sì, mamma. Mi sono pagato un viaggio fin qua e un albergo... proprio povero non sono." La risposta gli uscì più acida di quanto avrebbe voluto, ma non sopportava il fatto che per sua madre fosse sempre e solo questione di soldi.
"Un albergo?" Spalancò gli occhi, offesa. "Ma Jason... io e tuo padre non contiamo più nulla per te? Avresti potuto venire qui... è pur sempre casa tua... e rimarrà casa tua finchè lo vorrai."
Certo che avrebbe potuto, ma poi lei avbrebbe pensato che suo figlio non fosse in grado di pagarsi un albergo e gli avrebbe rinfacciato ogni sua scelta di vita.
Come spiegarglielo in modo gentile ed evitare di uscire di nuovo dalla porta d'ingresso sbattendola furiosamente?
"Tu e papà lavorate. Non volevo dare fastidio ai vostri affari." Le spiegò con calma, finendo il tè.
"Dare fastidio? Da quando il mio bambino dovrebbe dare fastidio?" Inveì lei, poi il telefono squillò e la donna si alzò per rispondere. Era suo marito.
"Come dici? Se n'è andato? No dico... ma sei impazzito? Gli avrai di nuovo abbaiato addosso come un cane. Perchè questo sei. Un cane! Come puoi pensare che riusciremo a tirare avanti ancora, se continui così? Vuoi vedere tutto gettato all'aria? Vuoi finire sotto i ponti?... E adesso non ricominciare... no, sono stufa! Il divorzio? E che me ne farei? E poi saresti tu a perderci... voglio vedere un po' cosa farai, quando me ne sarò andata. ma va' al diavolo!" E riagganciò, prima di sedersi tra i cuscini con un lungo sospiro. "Era tuo padre. Sta bene. Forse." Sollevò le sopracciglia eloquentemente.
"Le cose non vanno bene?" Jason cercò di non apparire scosso. Dopotutto, aveva sentito i genitori urlarsi addosso per tutta l'infanzia, ma durante il soggiorno a Seoul era riuscito a dimenticare questo piccolo particolare.
"No. Siamo in perdita. Tuo padre dà la colpa alla crisi globale, ai dipendenti e alla scarsità del raccolto... io all'incapacità dell'uno e degli altri. Ormai gli azionisti si stanno infastidendo e non ci quotano più come prima... senza contare che tuo padre fa scappare tutti i possbili acquirenti..."
"Mamma, che ne dici di prenderti una vacanza? Vai in qualche spa e ti rilassi..."
"Così quando torno mi trovo senza una ditta? Neanche per sogno."
"Guarda che non sei tu l'unica capace di fare le cose..." Non sopportava sua madre quando faceva così. Prendeva tutti per deficienti e non si fidava di nessuno.
"Cosa? No, certo. Ma io le so fare bene... Ascoltami, Jason." Aveva iniziato il discorso con tono concitato poi, dopo una pausa, aveva continuato con un timbro più delicato, e aveva accarezzato gli occhi del figlio con i propri. "Sin da quando ti ho messo al mondo ho cercato di darti il meglio, in modo tale che tu potessi esprimere il meglio di te stesso. Ogni volta che ti imboccavo con l'omogenizzato pregavo che tu crescessi forte e sano, e che io potessi avere sempre i mezzi per aiutarti a farlo. Io sono il coproprietario di una multinazionale agricola perchè mi sono data da fare. I tuoi nonni erano troppo impegnati a battersi per i loro ideali di pace e amore per pensare a dare un futuro ai propri figli... per assicurare loro un buon futuro. Tuo nonno era il cantante sempre pieno di coca di un gruppo hippie, e tua nonna una groupie conosciuta dietro le quinte... e qual è stata la loro sorte? Tuo nonno è morto di AIDS, e tua nonna si è lasciata morire d'inedia lasciandomi da sola ad occuparmi dei tuoi zii. Ognuno ha la possbilità di scegliere liberamente come vivere la propria vita. I miei genitori non avevano mai conosciuto l'espressione "crisi di nervi", hanno preferito vivere poveri in canna e morire poveri in canna... ma sereni. Io ho preferito assicurare a mio figlio tutto quello che ho sempre sognato... e ce l'ho fatta. Ammettilo. Sei stato super viziato. Non ti è mai mancato nulla. I vestiti firmati, le scuole migliori, ogni tipo di nuovo giocattolo era tuo forse prima che ce ne facessero la pubblicità in tv... Capiscimi, ora, se mi è sprofondato il terreno sotto i piedi, quando mi hai detto che saresti andato in Corea per sfondare come cantante. Mi sono sentita presa in giro... e ti ho visto per terra vicino al brutto divano a fiori stinto di mia madre, morto per overdose." La signora Jang consluse il discorso con un lieve tremolio nella voce e gli occhi lucidi.
Ma il ragazzo non si fece impietosire, e le restituì lo sguardò., conficcando gli occhi nocciola in quelli di ghiaccio di lei: "Io non sono mio nonno... e non sono nemmeno te. Io sono indipendente e ho le capatità per crearmi una mia vita. Ho anche la capacità di discernimento e la cognizione di cosa io desideri dalla vita... e mi importa fino ad un certo punto, che questo non coincida con il film che tu hai preparato per me. Non voglio sputare sui sacrifici che tu e papà avete fatto per me... se avere una rendita di undicimila dollari al mese è un sacrificio... ma non ho bisogno del vostro beneplacito e nemmeno del vostro permesso per costruirmi un'esistenza mia e dedicarla a ciò che amo. Inoltre... guardiamo pure il lato economico... guadagno più della grande maggioranza dei ragazzi della mia età. Te lo dico perchè a te è sempre interessato così tanto sapere quanto la gente avesse sul conto corrente. So cosa stai per obiettare: quando me ne sono andato non era certo che mi avrebbero preso... ma chissene frega. Ora sono conosciuto nei cinque continenti e forse anche in Antartide i pinguini ascoltano i Ledapple. Perchè io ho avuto le capacità e la caparbietà necessarie per arrivare dove sono ora. Se hai pensato che non ce la potessi fare, allora vuol dire che non hai avuto fiducia nelle mie possibilità. E non mi sembra di non avertene dato motivo."
Non aveva alzato la voce, si era limitato a mantenere il contatto visivo con sua madre, ma lei era sconvolta come se suo figlio avesse avuto in mano un megafono. Si guardò in torno, come se il ficus e le orchidee nei vasi di terracotta potessero aiutarla a convincere quel figlio cocciuto quanto avesse buttato nella spazzatura: "Jason. Tu potevi diventare un luminare della medicina odontoiatrica ed essere venerato da altri luminari... invece ora chi ti segue? Ragazzine in crisi ormonale! Che basta un soffio di vento per portartele via ed indirizzarle verso un'altro bel visino con un sorriso abbagliante. Ti puoi trovare senza un cavolo da un momento all'altro! Con una laurea in odontoiatria a quest'ora saresti già sulla buona strada per ricevere un'onoreficienza dalla regina in persona! Non è vero che non ho mai avuto fiducia in te... a quanto pare ne ho avuta troppa. Speravo che tu aspirassi a qualcosa in più che non fosse vederti sbavare dietro." Era lei ad aver alzato la voce. Il figlio si alzò in piedi, con i pugni chiusi e tremanti e gli occhi che brillavano di indignazione.
"Cantare significa donare speranza e un po' di serenità a chi non ha la mia stessa forza per trovarle da sè. Mi seguono le tredicenni perchè l'adolescenza è un periodo particolarmente difficile... hai ragione... se non fossi io, sarebbe qualcun altro... ma se hanno scelto la mia musica e non qualcun altro ci sarà un motivo. Se fossi diventato dentista avrei salvato il sorriso di molta gente, ma con la mia voce ho potuto salvare il loro sorriso interiore, e questo non può farlo nessun luminare medico odontoiatra."
La donna lo guardò e scosse la testa. "Ma cosa stai dicendo? Non si mangia mica con la tua dannata musica. Se non hai un tozzo di pane, di certo non te ne importa nulla di ascoltare musica."
"Ecco perchè non capirai mai perchè io sono orgoglioso di essere un cantante." E con queste parole si diresse per la seconda volta verso la porta di casa, la aprì e se la chiuse alle spalle. Senza sbatterla, però. Sapere di non essere capito dalla propria madre aveva fatto già fin troppo rumore.


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Pensate a quello che volete.
Io ho visto quell'uomo cantare live e sono assolutamente convinta che in uno studio medico sarebbe morto dentro, si sarebbe spento e sarebbe diventato un'ombra pallida di se stesso.
E questa è la sorte peggiore per qualsiasi essere umano.











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Capitolo 13
*** Capitolo 13 ***


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- Capitolo 13 -



"Ci voleva anche questa! Sospettavo che non gli piacesse molto la mia vacanza... ma fino a questo punto..." Jason si portò le mano al viso e si stropicciò gli occhi.
Una volta partito da casa sua era andato a farsi quattro passi sulla battigia per scaricare la frustrazione e la rabbia, poi era tornato in albergo per pranzo e aveva acceso una videochiamata con i suoi bandmate. Gli avevano risposto Kyumin e Kwangyeon con una pessima notizia: le tempistiche per il nuovo album si erano ridotte e Jason doveva tornare a Seoul il giorno seguente. Pena la sospensione del contratto.
"Ha detto esattamente così, sì... Se entro domani non vedo il suo culo davanti a me può anche restarsene lì finchè non crepa." Annuì Kyumin con aria stanca. Evidentemente si erano presi tutti una bella lavata di capo.
"Scusatemi ragazzi... aspetto che Beth torni a casa e poi mi fiondo all'aeroporto... se riesco a trovare un volo per 'sta sera... domani mattina sono da voi."
"Va bene... lei come sta?" Chiese Kwangyeon, anche lui con tono sommesso.
"Lei? Bene, spero... anche se 'sta sera ho come l'impressione che tornerà a pezzi... è partita alle sette e mezza e starà in ospedale fino alle otto... e io la disintegrerò del tutto." Jason, con gli occhi bassi sulla tastiera, si stava chiedendo che ne sarebbe stato del loro rapporto dopo la propria partenza.
"Usa il metodo cerotto: diglielo subito e velocemente... così non maceri nell'angoscia." Gli suggerì il bassista.
"Sì. E' l'unica... Dio che giornata di merda! Perchè le cose quando vogliono andare storte si accumulano tutte insieme?" Battè un pugno sulla scrivania, scuotendo la testa.
"Che altro è successo?" Kyumin lo guardò preoccupato, e Jason raccontò tutto d'un fiato il ricongiungimento disastroso con sua madre.
"Ma che gliene frega? Sei ricco e famoso!" Fu il suo commento.
"Ma non sono un dottore. E' questo che non le va giù. Secondo lei sto sprecando il mio potenziale inutilmente."
"Anche mia madre voleva che diventassi medico... e non gli è mai andata giù quando mia zia mi ha regalato il primo basso degno di questo nome.
Ti capisco, hyung." Kwangyeon gli sorrise tristemente, e Kyumin lo guardò stupito: "Tu un medico?! Per fortuna non hai mai nemmeno cominciato... li avresti uccisi di proposito, i pazienti, invece di salvarli."
"Ahahah. Esatto. Ecco perchè invece sono il vostro bassista. Ho fatto un favore al mondo." Allargò le braccia con un sorriso soddisfatto ed orgoglioso sulle labbra.
"... Sì ma io ho paura di svegliarmi nel cuore della notte e non avere più la testa."
"Babo, se non hai più la testa non puoi svegliarti. Jas, tu che hai le nozioni primarie di medicina, confermacelo."
"... Voi due avete qualche problema... comunque certamente no. Non ti risveglierai mai più, Kyumin."
"Ecco perchè ho paura." E spostò la sedia.
"Dai. Se ti ammazzo prometto di farlo nel sonno." Lo rassicurò, beccandosi invece un'occhiata truce.
"Vai via." Ed il cantante si spostò ancora di più, uscendo dallo schermo.
"Detto ciò... credo che sia ora di andare a cena. Tu hai già finito?" Kwangyeon prese il monopolio del computer ridendo.
"No... magari mangio un boccone qui, prima di andare da quella povera disgraziata a darle la buona novella."
"Okay. Passo e chiudo. Buon appetito." Il ragazzo salutò con la mano, e da sopra la sua spalla apparve anche Kyumin a salutarlo. Jason li salutò a sua volta e spense il collegamento.
Sospirò e si mise a cercare su internet un volo last minute da prenotare. Per fortuna o purtroppo non ne trovò uno per la sera stessa, bensì per il mattino dopo alle sei. Fissando il laptop come se volesse incenerirlo, lo prenotò ed inserì gli estremi della Mastercard per il pagamento, dopodichè chiese il voucher poi convertibile in biglietto via mail e spense tutto, rimanendo poi a guardare fuori dalla finestra, perso in un turbine di pensieri, per cinque minuti buoni.
Poi gli venne un'idea: avrebbe ordinato un paio di pizze da mangiare con Beth
Erano le otto e un quarto... quindi c'erano buone probabilità che la ragazza fosse già fuori dall'ospedale.
Prese il cellulare e compose il suo numero. Lei rispose dopo qualche secondo: "Ehi Jas! Tutto apposto?" Dalla voce si intuiva che fosse stanca, ma sembrava felice di sentirlo. Chi invece aveva avuto un tuffo al cuore era stato proprio il cantante che, per attenersi alla realtà, avrebbe dovuto rispondere no, Beth, sta andando tutto a rotoli, ma non voleva affrontare il problema al telefono, e non voleva neppure metterle ansia, per questo rispose: "Tutto apposto, sì. Tu? Sei già a casa?"
"No Jas... sono per strada... sto rientrando adesso, sono sul pullman... fra un paio di fermate scendo e poi sono praticamente arrivata. Fra una decina di minuti mi trovi a casa... ceniamo insieme? Vuoi che ti prepari qualcosa?" La voce di Elizabeth era morbida e lieve come neve, nonostante la stanchezza; Jason l'avrebbe ascoltata mormorare al ricevitore per ore.
"Sì... e no... Nel senso: ti stavo giusto chiamando per chiederti se potevo ordinare un paio di pizze da mangiare lì da te... così tu non cucini." Si alzò dalla scrivania e andò alla finestra. Non riusciva a stare fermo mentre parlava con qualcuno al telefono.
"Questa sì che è un'ottima idea, babe! Prendimi una prosciutto e funghi... io preparo la tavola." Chiese, allegra.
"Agli ordini, Ma'am... ma lascia stare la tavola... riposati. Apparecchio io." Nel frattempo sistemava la stanza e si infilava le scarpe per uscire.
"Grazie Jason... ma quando arriverai troverai tutto pronto. Lo sai che non sono capace di stare ferma." La sua risata cristallina chiocciò piano all'orecchio del ragazzo, che sorrise.
"Bebe, fosse per me mangerei anche dai cartoni sul divano... anzi. Facciamo così. Non preparare nulla. Mangiamo dai cartoni sul divano." Propose con entusiasmo, mentre chiudeva la porta della stanza a chiave e si avviava verso l'ascensore.
"E' un compromesso. Va bene... Ti aspetto." E in un soffio delicato chiuse la chiamata.
Jason consegnò le chiavi e avvisò la reception della sua partenza imminente, chiedendo loro di preparare il conto per de tre e mezza, poi salì in auto e ordinò una capricciosa ed una prosciutto e funghi per le nove.
E' inutile dire che durante tutto il viaggio il ragazzo avesse cercato le parole esatte con cui annunciare ad Elizabeth la propria partenza. Due anni fa era stato molto più semplice. Due anni fa pansava a Beth come la sua migliore amica e... no. Non è vero.
Si fermò al semaforo rosso e rimase ad ascoltare il ticchettio della freccia direzionale. Non è vero che aveva sempre pensato a lei come la sua migliore amica. All'inizio, i primi giorni dopo che si erano conosciuti, aveva macchinato per portarsela a letto, poi si era accorto ben presto che Elizabeth Steinhaus valeva molto di più di un semplice incontro mordi e fuggi, ed era arrivato a mancargli l'aria se non riusciva a sentirla o a vederla almeno una volta al giorno, durante le settimane prima della propria partenza. Solo in quel momento poteva affermare che già allora fosse innamorato di lei.
Parcheggiò sotto casa sua e diede un'occhiata al queenslander. Era come lei: grazioso, elegante senza essere opulento e ben curato.
Diede una testata al volante e scese dall'auto. L'ora era arrivata. Suonò il campanello.
Beth gli aprì con un sorriso radioso sul viso di porcellana e lo tirò dentro, baciandolo dolcemente senza dire una parola.
Jason non si aspettava un'accoglienza simile, ma le accarezzò i capelli, inspirando il suo profumo, e si lasciò trascinare da lei in camera.
Poteva quasi sentire il suo cuore che correva veloce, mentre scivolava sul letto accarezzando dolcemente la sua nuca.
Jason baciò il suo collo, accarezzò la curva morbida dei suoi fianchi, delineò la coppa del suo ventre. Lei lo strinse forte e reclinò il capo indietro, cercando l'aria con le labbra socchiuse, che il ragazzo cercò per sfiorarle dolcemente.
Beth rispose al suo bacio, mentre lui accarezzava lentamente le sue cosce, sollevando la gonna del suo abito bianco punteggiato da piccole rose rosse. Lei se lo sfilò del tutto, lasciandolo cadere ai piedi del letto, mentre Jason faceva scorrere lo sguardo e le sulle linee marmoree del suo corpo, e si abbandonò alle sue carezze, che fluirono lievi ed avvolgenti come seta sulle sue guance, sui seni nudi, sulle coste.
Poi Jason la sentì indugiare sulla fibbia della cintura e cercò il suo sguardo: non era mai stata così bella, con le guance accaldate e i laghi limpidi degli occhi umidi di desiderio. Lei piano gli tolse gli indumenti, ed il ragazzo la sentì fremere sotto di sè, mentre inarcava le reni per far aderire il proprio ventre con quello di lui.
Quindi le sfilò l'intimo, lei si aggrappò alla sua schiena; le accarezzò i fianchi, lei intrecciò le caviglie attorno alla sua vita e, mentre dalla finestra aperta entrava la brezza calda dell'Alice Springs, Jason la fece sua.



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Ho riscritto questo capitolo almeno una trentina di volte, ma alla fine sembra che sia uscito abbastanza bene/?
Il prossimo sarà il capitolo conclusivo, ve lo annuncio ora...
Anche per quello ci sto impiegando millenni... spero di riuscire a tirar fuori qualcosa di leggibile :"""D
Catch ya later!









 

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Capitolo 14
*** Capitolo 14 ***


ffledapple14

- Capitolo 14 -

Quando il fattorino suonò il campanello, Jason si era già rivestito e stava aiutando Beth a cambiare le lenzuola.
"Vado a prendere i viveri!" La avvisò, prima di raccattare il portafoglio dal pavimento e aprirgli. Lo pagò, prese i due cartoni e, come da programma, li sistemò sul divano, prima di tornare in camera. Elizabeth aveva già finito e gli sorrise, pettinandosi i capelli meglio che poteva.
"Lasciali così... ti stanno benissimo" ridacchiò il ragazzo, prima di prenderla in braccio.
"Nnno... stai mentendo" rise lei, nascondendo il viso sul suo petto. Sembrava così delicata e fragile, ma forse era una suggestione data dalla vista di tutto quel sangue che aveva sporcato il lenzuolo. Si era spaventato. Sapeva che fosse una cosa normale, ma di certo non voleva che gli si disintegrasse fra le braccia.
La posò accanto alle pizze, e lei incrociò le gambe prendendo il proprio cartone.
Bene. Si ammonì Jason, sedendosi accanto a lei e prendendo la propria pizza. Ora devo parlargliene.
Accesero la tv. Beth appoggiò la testa contro la sua spalla e prese una fetta di pizza.
Il ragazzo rimase per un po' con gli occhi rivolti allo schermo, senza vederlo veramente, in preda a rivolgimenti mentali, catastrofi psichiche e forse la fine del mondo. Davvero gli mancavano le parole. Poi gli venne l'ispirazione.
"Domani parto."
Beth raddrizzò la schiena e lo guardò: "La Starkim ti ha ridotto il tempo su questa terra?"
Jason rise. L'aveva presa bene. "Ho il volo alle sei. Mi accompagni?"
"No. Prendi un tappeto volante. Stronzo. Prima mi svergini e poi te ne vai." Si mise in bocca una fetta di pizza. Non era arrabbiata. Era solo triste. Al ragazzo si strinse il cuore. Avrebbe voluto non aver aperto bocca, ma l'alternativa era fuggire senza avvisarla, e questo sarebbe stato peggio.
"Già... e voglio usarti fino in fondo. Quindi accompagnami che fa freddo sui tappeti volanti." E incrociò le braccia sul petto, cercando di tenere il tenore della conversazione allegro, ma fallì miseramente: gli occhi di Elizabeth si stavano riempiendo di lacrime.
"Oh Beth, non fare così... altrimenti rischio di rimanere incollato a questo divano per l'eternità." La abbracciò forte, e appena la sua testa fu contro il proprio petto, lei scoppiò a piangere con sussulti e singhiozzi. "No... no" La cullò come una bambina. Non l'aveva mai vista piangere in quel modo. Mai. L'aveva vista triste, abbattuta, arrabbiata, delusa... ma sconvolta fino a tremare no. Se avrebbe continuato, sarebbe scoppiato in lacrime pure lui. "Ci rivedremo... Durante le vacanze potrai venire a trovarmi... o potrò io... Non ti abbandono di nuovo, Bebe, non potrei mai. Sei la persona più importante per me... Non riuscirei mai a farti del male." Lei in risposta lo strinse più forte e fece cadere il cartone con la pizza, ma non lo raccolse.
"N-no... J-Jason... Tu... Tu... Noi..." Ma ad ogni parola i singhiozzi le impedivano di pronunciare la successiva. Era terribile vederla così... ed era ancora peggio non poter davvero fare nulla per aiutarla. Ovvero. La soluzione c'era... Ma implicava mandare a monte tutti i sacrifici che aveva compiuto fin ora.
"Possiamo scappare da qualche parte in Europa... Tronco tutto e rimango con..."
"NO!" Gridò Elizabeth, e lo colpì in pieno petto con un pugno che tolse il respiro al ragazzo, poi sollevò il viso e lo guardò con le guance arrossate: "Non sparare stronzate." Disse tutto d'un fiato, poi singhiozzò, raggiunse un kleenex con le dita tremanti e si asciugò il viso: "E' colpa degli... degli ormoni se sto piangendo. E... E poi non ti permetterei mai di rinunciare a tutto per... per me." E si soffiò il naso.
Jason le accarezzò il viso, cercando di sorridere. Era davanti al motivo principale per cui aveva deciso di seppellire qualsiasi principio -anche minuscolo- di innamoramento nei confronti di Elizabeth.
Perchè non avrebbe mai voluto essere costretto a scegliere se passare dei giorni felici accanto alla persona che amava o dei giorni terrificanti in cerca del sogno della propria vita.
"Elizabeth. Decidiamo ora... adesso. Vogliamo provarci o è meglio lasciar perdere?" No- In realtà non avrebbe mai voluto porre quella domanda fastidiosa. Ma era da troppo tempo che andava espressa e, ad un certo punto... Dei chiarimenti erano necessari. Non voleva scoprire la realtà. Sarebbe bastata una bella bugia a cui avrebbero potuto credere entrambi... Magari alla fine, a crederci in due, sarebbe diventata realtà.
La ragazza lo guardò negli occhi e si morse le labbra. "Non voglio rinunciare a te, però..."
"Però...?" La incalzò Jason, con il cuore che piano si sbriciolava. Però era una parola orribile.
"Non potremo mai avere una storia normale. Non ci vedremo, non ci abbracceremo, non avremo nulla in comune se non un passato che pian piano diverrà sempre di più mito di se stesso. E lo rimpiangeremo. Vorremmo tornare indietro ma non potremo... E cominceremo a stare male, perchè non riusciremo più a fingere di essere nel passato... Cominceremo poi ad accampare scuse per evitarci... e poi ci accorgeremo, finalmente, che non abbiamo mai avuto una storia... perchè le storie sono composte da avvenimenti, e noi di avvenimenti condivisi non ne avremo." Aveva pronunciato il discorso tutto d'un fiato, senza fermarsi.
Jason rimase a guardarla, con le lacrime che bruciavano negli occhi.
"Hai ragione... Siamo abbastanza grandi per capire cosa sia bene per entrambi." Sospirò in un lucidissimo sussurro. Quella frase mostrava una prospettiva felice per entrambi, eppure davvero non gli riusciva di essere allegro.
"C'è... un'altra strada. Nessuno ha detto che la vita debba essere semplice. Possiamo provarci. Provare ad avere una storia anche se la logica spingerebbe a non farlo. Magari scopriamo che ce la facciamo... che ne sai?" Intrecciò le dita a quelle di lei, guardandola negli occhi. Sperò che non tutto fosse perduto, che, nonostante tutto, Elizabeth avrebbe voluto credere che la loro storia avrebbe potuto avere una chance.
Lei abbassò lo sguardo sulle loro mani unite e si morse le labbra. Strinse le dita di Jason e sollevò di nuovo gli occhi, nei quali brillava una luce decisa e determinata. Alla fine annuì con un sorriso che si allargava piano sulle labbra.
"Scusami Jas... sono una stupida. Tu mi hai insegnato a prendermi dalla vita tutto il possibile, perchè nessuno ti regala nulla... se rinuncio a te adesso... potrei rimpiangerlo per sempre." Sciolse la stretta del compagno per allacciare le braccia attorno al suo collo e premere il busto contro di lui. "E... anche se poi non va... Fa nulla. Almeno ci avremo provato. Non possiamo sapere adesso se andrà male o meno. Magari fra settant'anni saremo ancora insieme. Chi lo sa?"
Jason gorgogliò una risata e la strinse forte, strofinando la guancia contro quella di lei. Era felice che, alla fine, lei non avesse deciso di seguire la cieca logica. Dopotutto, in passato aveva aiutato un promettente medico a diventare un cantante e lei stessa era diventata medico partendo dal nulla più assoluto. Era un tipo a cui piaceva sfidare ogni logica.
I due rimasero abbracciati ancora per un po' senza parlare, dopodichè finirono la pizza, trovarono in tv un film a caso da commentare sarcasticamente ogni due battute, fecero l'amore sul divano e infine decisero che era meglio cominciare a prepararsi per uscire.
Continuarono a parlare, senza smettere, timorosi che il silenzio li avrebbe risucchiati in un gorgo di tristezza. Cercavano di non pensarci e, sulla strada dall'albergo all'aeroporto, cominciarono a progettare il prossimo incontro. Natale. Pasqua...
"No Beth, prima c'è il tuo compleanno! Dovesse cascare il mondo, voglio venire a trovarti."
"Va bene... basta che non ti fai buttare fuori." Rispose Beth, arrivando al Terminal 1. Parcheggiò e scese ad accompagnare Jason.
"Qual è il tuo volo?" Gli domandò una volta nell'edificio, davanti al tabellone. Una volta scesa dall'auto gli aveva preso la mano e non l'aveva ancora lasciata
"QF660! Parte fra un'ora... meglio se mi sbrigo." Le rispose Jason con un sorriso, mentre istintivamente stringeva più forte la sua mano.
Beth annuì. "Vero. Ciao Jas... Fai buon viaggio e scrivimi appena arrivi."
"Certamente, Bebe... Salutami Sandra, Jillian, Alfred e anche Robert." E si chinò per baciarla, prima di scivolare via dalle sue braccia, verso il check-in.
Elizabeth quindi si voltò per uscire dall'aeroporto, poi ruotò nuovamente su se stessa, cercando Jason nella folla.
"Jaaaaas!"
Lui si girò di scatto a sua volta.
"Ti amo!" Urlò la ragazza.
Jason face segno di non aver capito.
"Ti amo!" Ripetè lei a voce più alta, arrossendo, ma l'altro le rispose: "Non riesco a sentire nulla!"
"JASON-TI-AMO!" Scandì Beth con espressione metà disperata e metà divertita. Era sicura che questa volta l'avessero udita anche a Perth.
"Non urlare! Avevo capito, sai? Volevo solo sentirtelo dire tre volte." Le fece l'occhiolino, e lei gli sollevò il dito medio.
Jason ridacchiò e le mandò un bacio con la mano, prima di urlare: "Ti amo anche io, Elizabeth" con il sorriso più diabetico del suo repertorio da idol. Dopodichè si voltò, lasciando Beth in mezzo alla folla a sciogliersi come un gelato.
Non si sarebbe arresa per nulla al mondo.









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Grazie, ragazzi, per essere arrivati fin qui.
Forse ho messo qui dentro più me stessa di quanto avrei voluto ma... non ho potuto fare nulla per impedirlo. Vi è scivolato dentro e stop.
Sostanzialmente il mio scrivere sono delle riflessioni, desideri e risposte a domande della vita reale.
Scrivo per darmi risposte e dare agli altri spunti di riflessione su di esse.
Non importa se siano d'accordo o meno... L'importante non è trovare la verità, bensì cercarla.
In questo senso l'arte salva. Aiuta a credere che vi siano delle risposte.
E' finzione, ma avere davanti un mondo finto peggiore o migliore di quello in cui ci troviamo, aiuta a viverlo.
Se la situazione presentata è migliore, siamo portati ad avere la speranza anche solo subconscia di poterla raggiungere, se è peggiore guardiamo quello che abbiamo e ci sentiamo meglio, perchè ci rendiamo conto che esiste qualcuno che sta peggio.
Questo è il mio ultimo lavoro come fanfictioner... spero di aver dato qualcosa, altrimenti la mia presenza qui è stata inutile come l'albero che si schianta in una foresta deserta.
Questo è stato il mio suono. Spero che qualcuno l'abbia udito.



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