Indumenti di Sorella_Erba (/viewuser.php?uid=18628)
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Fiore di rugiada [Camicia] ***
Capitolo 2: *** Al costo di un sogno [Mantello]. ***
Capitolo 1 *** Fiore di rugiada [Camicia] ***
Indumenti.
Fiore di rugiada.
{drabble, 115 parole}.
“Shanks aveva la
passione di abbinare il colore dei suoi capelli con le
mutande...”.
Non ci aveva fatto caso, assolutamente.
Entrata in locanda, si
era diretta di fretta al lavabo per riempire un secchio.
Dopodiché, afferratolo per i manici, aveva gettato
l’acqua dalla finestra.
«Volevo
soltanto lavare fuori, capitano, scusami!».
Il problema?
Non l’aveva
visto, e il secchio con tutto il suo contenuto gli erano finiti
rispettivamente in testa e sulla camicia, bagnandolo quasi interamente.
Ma lui…
Oddio, lui era sempre
brioso e spensierato.
«Fa nulla,
Makino! Adesso somiglio solo ad una spugna».
E, per tutti i mostri
marini, la faceva ridere un sacco.
«Guarda che
ti ho portato?», disse ammiccante.
E le faceva battere il
cuore in maniera perfino dolorosa.
Odorò
il fiore imperlato, mentre lui s’allontanava ciondolante.
N/A.
Ebbene, sapevo che prima o poi ci sarei arrivata, a questo
punto :D
Ho deciso di fare una raccolta lievemente fuori dagli schemi, ma non
poi così tanto. Amo Shanks, questo è risaputo. E
mi piace un pochetto Makino, massì. Soprattutto, li adoro
insieme, questi due, e non posso fare a meno di pensare smielatamente
ad alcuni possibili episodi che potrebbero vederli come protagonisti di
una intensa, mielosa e straziante - anche - storia d'ammmore.
Perché tutti, chi più, chi meno, hanno bisogno di
miele nella vita ù_ù Pure io.
Non aspettatevi chissà cosa, soltanto amore e passione per
ciò che faccio e farò.
La raccolta, come annuncia il titolo, prenderà spunto dal
magnificente vestiario di Shanks, e dunque: mantello, sandali,
pantaloni, camicia e cappello. Per ognuno di essi scriverò
una one-shot, drabble o flash-fiction che sia, dipende dall'ispirazione
e dal tempo.
Spero che le fans del Rosso e/o della coppia apprezzino! ;)
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Capitolo 2 *** Al costo di un sogno [Mantello]. ***
Al
costo di un sogno.
(one shot,
2410 parole)
“Shanks
aveva
la
passione di abbinare il colore dei suoi capelli con le
mutande…”
«S’è
fatto tardi, Makino. Mi tocca levar le tende».
Il
brontolio del vecchio sindaco era incerto e possibilmente
più rauco del solito. Quando si alzò dallo
sgabello, le sue ginocchia
scricchiolarono in maniera sinistra e un rutto sommesso fece
timidamente
capolino dalla sua bocca.
«Certo,
sindaco. Sono due berries».
Makino
sfregò il panno che aveva in mano sul boccale
appena lavato, prima di posarlo su una mensola dello scaffale alle sue
spalle.
Sentì il tintinnio di due monete sul legno e i passi
malfermi del sindaco
dirigersi verso l’uscita.
«Buonanotte.
Salutami i ragazzini»,
si congedò il sindaco e scomparve oltre le porte cigolanti.
Quando
si volse nuovamente a guardare oltre il bancone, Makino
notò che il locale era vuoto, eccezion fatta per due uomini
seduti ad un tavolo
in fondo che parlottavano a bassa voce, e un terzo, seduto poco
distante da
loro, che teneva la testa poggiata contro il muro, col viso paonazzo e
chiaramente immerso nel mondo dei sogni. Ubriaco fradicio.
Makino
sorrise al bicchiere in vetro appena agguantato, lustrandolo
col panno.
Lavorare
in una locanda appariva come una cosa divertente
e stimolante. Poteva esserlo, per carità… ma non
quando gli unici clienti
abitudinari del locale cadevano sbronzi dopo poche bottiglie e,
soprattutto, erano
soltanto una manciata di pescatori.
La
vita della locandiera – la sua
vita – era pressoché tranquilla, con rogne quasi
inesistenti e
il più delle volte causate da stranieri che attiravano
l’attenzione e guai. E
siccome solitamente gli stranieri erano solo di passaggio a Foosha
– villaggio costiero,
l’ideale per partire in mare –, la gente viveva in
costante serenità.
Aveva
sempre sognato di fare questa vita, sin da bambina: aprire
una locanda tutta sua, dove servire clienti affezionati e in particolar
modo
nuovi, fra cui viaggiatori, marinai e forestieri provenienti da ogni
dove, e
poter ascoltare lì storie fantastiche che sapevano di vita
vissuta. E che vita.
Sarebbe stato piacevole far parte di quel mondo anche in maniera
indiretta.
Makino
non era un tipo tanto intraprendente da prendere il
mare. Il vantaggio di vivere in un villaggio portuale è
proprio quello di avere
il mare a portata di mano, e potersi sdraiarsi sulla sabbia calda a
guardare i
movimenti lenti delle onde, mentre il sole picchia dall’alto
la superficie cristallina,
facendola risplendere.
Eppure
l’affascinava, la vita del viaggiatore. Del pirata,
per meglio dire.
Con
la morte di Gold Roger quella che sembrava ai più una
disgrazia, aveva preso avvio.
Lo
scalpore di una vita tanto ricca, finita sopra il patibolo
di una piazza qualsiasi, aveva spinto migliaia di uomini a prendere il
mare,
alla ricerca dell’ambito tesoro del Re dei Pirati.
Re
dei Pirati…
Makino
soffocò un risolino e scosse impercettibilmente il
capo.
Di
sicuro non era un’esperta in campo, ma… cosa
potevano
saperne, quei tizi che abbandonavano le comodità di una vita
normale – pulita -, per
partire per chissà dove?
Sapevano quanto sarebbe costata la loro improvvisa e sfrontata
decisione?
Una
vita umana, magari; la vita di un padre di famiglia,
di un vecchio marinaio, di una madre, di un bambino.
Nei
piccoli villaggi, la mentalità era ristretta. Makino
lo sapeva bene. Lei stessa, per certe questioni, preferiva una visione
all’antica.
I
pirati non erano brave persone.
Diede
un’occhiata all’orologio appeso alla parete
affianco, per poi guardare incerta i tre uomini ai tavoli.
«Ragazzi,
dovrei chiudere».
Un
coro di muggiti bassi si levò nel locale. Fortunatamente,
quei tre riuscivano a sostenersi sulle loro gambe; in breve tempo, dopo
i dovuti
saluti alla locandiera, si dileguarono.
Makino
sospirò, gli occhi fissi sulla porta.
Non
era esattamente l’orario di chiusura, ma c’era
tanto
da sistemare in giro per il locale che non voleva rimanere tutta la
notte
confinata lì. Si mosse leggera fra i tavoli della locanda,
prendendo un
bicchiere solitario, rovesciato sul legno.
Regalò
un pensiero ai due marmocchi e sorrise
nell’immaginarli sdraiati scompostamente nei loro letti, a
ronfare piano.
«’Sera!
È ancora aperto?»,
domandò una voce sbucata dal silenzio del nulla.
Makino
si portò una mano al petto, volgendosi subito in
direzione dell’ingresso. La sagoma nera e alta di un uomo si
stagliava nella
penombra notturna. Spalancò gli occhi e – mentre
il bicchiere le scivolava
dalle mani e cadeva sul pavimento, frantumandosi in mille schegge
luccicanti, affilate
come lame di rasoio – il viso dell’uomo davanti a
lei uscì dalla semioscurità illuminandosi
in una maschera di dispiacere.
«Ops», disse. «Ti ho
spaventata?».
Makino
annuì lentamente, prima di prendere
coscienza della situazione. «Ah, mi scusi. Pulisco e subito
sono da lei».
Il
tizio rise di gusto, gettando indietro il
capo tanto velocemente che il cappello rischiò di
scivolargli.
Che
risata eccentrica.
«Ma cosa dici,
dolcezza, ti do una mano volentieri!».
Makino
lo guardò sistemarsi il cappello sulle spalle, chinarsi
e raccogliere alcuni pezzi di vetro posandoseli su un palmo con
cautela. Da
sotto un ciuffo di capelli rossi, notò una strana cicatrice
a forma di unghiata
sull’occhio sinistro dell’uomo.
Aggrottò
la fronte e sentì la bandana, stretta alla testa,
tirare un poco i capelli dalla radice. Aveva già visto quel
viso, quegli occhi
dal taglio aguzzo e soprattutto quella cicatrice.
Non
ricordava di preciso né dove né quando, ma era
stato
di certo il sindaco a metterla al corrente…
Al corrente?
Sbiancò.
In un
lampo di comprensione, ricordò la sera in cui il
sindaco aveva portato alla locanda un foglio di pergamena logoro ed
ingiallito,
coi margini laceri e gli angoli arcuati, e lo aveva sbattuto sul
bancone con
una manata, borbottando un “pirati” in maniera
decisamente indignata.
«Dicono che la
nave di questo… questo Rosso si stia avvicinando al villaggio. Un tipo della
Marina stamattina mi
ha portato questo foglio dicendomi che, in caso di avvistamento,
dovrò chiamare
la sede più vicina il prima possibile».
Ricordava
di aver guardato con curiosità quel viso
allegro. Aveva un sorriso che andava da un orecchio all’altro
e una cicatrice
alquanto bizzarra che il ciuffo ciondolante di frangia rossa non
riusciva a
nascondere.
«È
strano, sindaco. Non si sono mai dati la briga di avvisarci, quelli
della Marina…».
«Hai visto la
taglia di questo tizio, Makino?», chiese il
vecchio con un
sopracciglio alzato. Si era tolto gli occhiali e le aveva lanciato uno
sguardo
misto fra l’atterrito e l’incredulo. «Ammonta a 40
milioni di berries! Cosa mai sentita! Ci
credo che se la sono fatta di corsa per avvertirci!».
40 milioni di
berries…
Santo cielo, 40 milioni di berries… 40!
Cominciò
ad indietreggiare istintivamente e con lentezza,
sperando di non dare a vedere il panico improvviso. Cercò di
mettere in moto il
cervello, di pensare ad una possibile via di fuga. Poi
ricordò di avere una
pistola nascosta in un cassetto del bancone; era vecchia, ma funzionava
ancora
e, se ricordava bene, doveva essere carica. O almeno se lo augurava.
Makino
si morse le guance e strinse i pugni senza staccare
gli occhi di dosso all’uomo, al pirata che la stava aiutando
a pulire per terra.
Una cosa – pensò, disgustata – che non
lo avrebbe aiutato a fare ammenda di
tutti i crimini che di certo aveva commesso in chissà quali
peripezie. Una
gentilezza che non serviva a niente, la sua.
«Qualche
problema?».
Makino
si accorse solo in quel momento che il pirata le
stava rivolgendo un’occhiata incuriosita.
«Ah…
sto, ehm, andando a prendere una scopa per i pezzi più
piccoli»,
disse velocemente.
«Ah, bene!».
Deglutì
subito dopo essersi girata ed aver voltato le
spalle al suo ennesimo sorriso abnorme. Un sorriso che, per certi
versi, era
inquietante. Forse perché era il sorriso di un pirata che
valeva 40 milioni di
berries? Dannazione.
Makino
arrivò in poche falcate febbricitanti al bancone,
cercando a tentoni di aprire il cassetto dove stava la pistola mentre i
suoi
occhi scrutavano atterriti la schiena curva del pirata. Il cassetto si
aprì con
uno scatto leggero e sul fondo, oltre al manico liscio della pistola,
c’era un
foglio arrotolato dall’aria familiare. Lanciò
un’ultima occhiata all’uomo,
apparentemente tutto concentrato a raccattare vetro, per poi dedicarsi
alla
pergamena logora. La uscì e la dispiegò,
girandosi verso lo scaffale per
nasconderla. I suoi occhi palesarono ulteriore tensione mentre
scorrevano
veloci sul volto, immortalato in un’espressione divertita,
dello stesso pirata
che le stava a pochi metri di distanza. Chiuse un momento gli occhi e,
quando
li riaprì, sentì le dita accartocciare i margini
del foglio.
«Finito!».
L’esclamazione
del pirata la riscosse e si voltò ad
affrontarlo, portando immediatamente una mano ad impugnare la pistola
nel
cassetto.
«Gentile da
parte sua, capitano
Shanks»,
scandì infine, lo sguardo truce.
Il
suddetto Shanks batté gli occhi velocemente, come
intontito. «Ci
siamo presentati?».
Makino
strinse le labbra prima di rispondergli a dovere.
«Shanks
detto il Rosso, ricercato capitano di
una nave pirata e con una taglia di 40 milioni di berries che vi pende
sulla
testa, giusto? Non c’è bisogno di
presentazioni».
Alzò la mano che stringeva la pergamena con il
suo ritratto per mostrargliela.
«Oh, per quella».
L’uomo
sembrò pietrificarsi: si era fermato nell’atto di
sistemarsi
il mantello nero e teneva gli occhi neri puntati sulla taglia che
vibrava nella
stretta nervosa della ragazza che lo fronteggiava. Si lasciò
scappare un
sorrisetto un po’ infantile mentre portava alla testa il
cappello.
Nuovamente
il suo volto fu tagliato a metà dall’ombra; ma
Makino avrebbe giurato di scorgere un fulgido luccichio provenire dai
suoi
occhi, un luccichio che di buono non prometteva nulla e che contrastava
col
simpatico ghigno che gli modellava la bocca.
Poi,
le orecchie le si riempirono della tonante risata del
pirata. Spalancò gli occhi, serrando con tenacia la mano
attorno al calcio della
pistola, e osservò l’esplosione di tutta
quell’inspiegabile ilarità.
Di
essere eccentrico, per tutti i mari, lo era eccome. Come
poteva ridere in una situazione così tesa?
O
forse… era soltanto lei ad essere in ansia? Dopotutto
non poteva certo paragonarsi ad un pirata.
Un pirata del genere, poi, con una taglia tanto elevata. Avrebbe potuto
farla
fuori in un nanosecondo e senza sforzo.
Magari
rideva esattamente per questo.
Rideva,
prima di decidersi a muovere un passo e…
«Me
la daresti?».
Makino
trasalì, sbiancando. «Cos..?».
«Dico
la taglia»,
spiegò il pirata strizzandole l’occhio. «Ah, i ragazzi
se la farebbero sotto dalle risate!».
Makino
studiò ogni suo movimento: la mano che si era mossa
in direzione della bocca, coprendo l’abnorme sorriso,
l’altro braccio posato
contro lo stomaco, le spalle scosse dalle risate.
«Cosa ridi!»,
esclamò con
voce malferma. Sentiva il respiro irregolare mozzarsi in gola come a
causa di
un groppo.
«Io?», le rispose
il
pirata dopo aver consumato quel momento di divertimento. «Mah, nulla.
Innanzitutto in quella taglia ho una
posa a dir poco ridicola»,
spiegò e, posando
nuovamente gli occhi sul suo ritratto, sbuffò per
un’ennesima risata. «E
poi, be’…».
Makino
lo vide sorridere con leggera spudoratezza.
«Pensi
seriamente di potermi fare del male con quella?».
Il
silenzio calò improvvisamente, come una cappa di nera
notte.
Tutto
era quieto, immobile, teso fino allo spasmo. Le
orecchie di Makino fischiavano in maniera seccante, quasi dolorosa.
Come
aveva fatto? Come aveva potuto vedere?
Makino
deglutì, tremando visibilmente. Inutile nascondersi
ancora, dunque. In qualche modo, aveva capito cosa nascondeva e
stringeva con
ansia crescente nella mano abbassata. Uscì l’arma,
pesante come non mai, e la
tese con entrambe le mani in direzione del viso del pirata. Se doveva
morire,
l’avrebbe fatto in maniera decorosa.
E
mentre tentava di tener salda la pistola fra le dita, il
suo ultimo pensiero si rivolse a Rufy e ad Ace, immersi in sogni
tranquilli. Al
sicuro.
Si
morse il labbro inferiore; gli occhi lucidi si acuivano
lentamente, cercano di mantenere a fuoco la sagoma statica del pirata.
Non
avrebbe potuto vederli crescere, diventare uomini…
Un
rimpianto che faceva male, le squarciava il petto.
«Per tutti i
marines…».
Il
pirata scosse il capo. «Se
ancora non l’hai
capito, non voglio farti alcun male»,
sorrise
comprensivo. «Stavo
soltanto cercando una
taverna per comprare qualche botte di birra».
Makino
tentò una smorfia. «Sì,
certo. Comprare».
Il
viso del capitano di tramutò in una buffa
maschera di dispiacere.
«Hai una
visione tutta distorta dei pirati»,
si crucciò. In pochi passi, fu davanti al bancone
con una mano affondata nella tasca dei pantaloni. Makino udì
un leggero
tintinnio. Avvinghiò l’arma con più
tenacia, recitando mentalmente delle parole
che le infondessero coraggio, consolazione.
«Il denaro non
serve per comprare? Non ho alcun
bisogno di derubarti».
Il
capitano Shanks posò sulla tavola una manciata di
berries. «Fidati»,
rise poi, «avrei
potuto freddarti senza che tu
te ne accorgessi. Sei così sbadata che non mi hai nemmeno
sentito arrivare!».
Ma,
incrociando lo sguardo febbrile di lei, capì di non
averle infuso fiducia, nemmeno un po’.
I
suoi occhi si gelarono all’improvviso.
«Non tutti i
pirati sono uomini senza scrupoli. Dietro le
nostre azioni c’è sempre, sempre,
una
necessità».
Raddrizzò
con due dita il cappello. Il viso fu del tutto
nascosto dall’ombra.
«Sempre. Che
sia un sogno, o un desiderio di bramosia…».
Makino
rimase senza fiato. Gli occhi dilatati non vedevano
più: tutto, tutto era nero.
«O la nostra
stessa indole».
Un sussurro a pochi centimetri dal suo orecchio. Poi, il suono debole
di un
sogghigno.
Le
battevano i denti per il panico e il cuore batteva,
batteva forte come un tamburo e rimbombava sordo nelle orecchie, dentro
la
testa.
La
sua bocca esalò un flebile gemito.
«Lasciala
andare».
Sentì
la pistola sfuggirle dalle mani e cadere in un tonfo
sordo, più potente del battito del suo cuore. La sua unica
speranza era finita
per terra, calpestata da piedi indegni.
Una
lacrima le rigò una guancia.
Ritornò
a vedere e la luce era più accecante di prima,
forse a causa delle lacrime.
Il
pirata era davanti a lei, con entrambe le mani che
sistemavano il mantello nero. Lo vide riservare un’occhiata
veloce all’orologio
appeso al muro, prima che potesse incrociare il suo sguardo limpido di
pianto
ed angoscia.
«Il mio»,
proseguì ancora
lui, «è
un sogno. Un semplice sogno che
perseguo da quand’ero un bambino».
Si
diresse lentamente alla porta con andatura gongolante;
nessuna traccia del disinteresse che poco prima aveva assiderato i suoi
occhi.
Ogni
suo passo era un’eco lontana per le orecchie di
Makino, tramortita.
«Domani
passerò a prendere ciò che mi serve», sorrise lui
voltandosi. «Non
piangere, su».
Svanì
dal locale così com’era venuto, in
silenzio e col morale intatto, allegro.
Makino
cadde a ginocchioni sul pavimento del
suo locale – un luogo pacifico, sereno e privo di vita,
quella vera. Così
diverso da come lo desiderava lei.
Portò
le mani alle guance per asciugare le
lacrime; il viso però era asciutto.
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