Il Giardino del Male

di La Mutaforma
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** L'evocazione ***
Capitolo 2: *** La pagina ***
Capitolo 3: *** La piuma ***
Capitolo 4: *** L'eroe ***
Capitolo 5: *** L'ombra ***
Capitolo 6: *** La prima nota del canto funebre ***
Capitolo 7: *** La seconda nota del canto funebre ***
Capitolo 8: *** L'ultima nota del canto funebre ***



Capitolo 1
*** L'evocazione ***


Per di qua, presto!
Aspetta,         non vuole che io esca.
Non lo saprà, seguimi. Vieni, c’è tanta luce. Siamo tutti qua. Non mancano mai le caramelle, e abbiamo tanti giochi.
E…         ?
 
I suoi incubi sfumavano in un grigiore tetro, una lenta discesa verso l’abisso.
Al suo risveglio, lo accoglievano le familiari pareti e gli scaffali della biblioteca. Ormai avvezzo all’abituale sensazione di pesantezza alla testa, spinse la schiena contro il muro alle sue spalle, e constatò che era reale.
Come il mal di testa, come la sua prigionia.
Quanto poteva essere rassicurante la certezza di essere di nuovo ingabbiato, lontano dallo spazio inconsistente dei suoi incubi?
Quali terribili sogni popolano l’eterno sonno dei morti?
Sospirò e poggiò la fronte alle ginocchia, aspettando che l’eternità volgesse al suo atto conclusivo.  
 
 
La matita strisciava, graffiando il foglio spiegazzato. Il suo fruscio ipnotico si era fatto spazio tra i suoi pensieri, i suoi occhi ingranditi da quell’insignificante riflesso.
Una matita su un foglio.
Una matita che si muove.
Una matita che si muove per una mano. Viva.
Fujishiro Nageki non avrebbe saputo dire con esattezza quanti giorni fossero, ma da un certo momento, tra una nota e l’altra del suo lamento funebre, uno strano ragazzo aveva preso l’abitudine di venire in biblioteca. Per disegnare.
Doveva essere uno studente del corso di disegno. In ogni caso, non poteva chiedere conferma a lui, né controllare sui tabulati.
Fuori, batteva la pioggia contro i vetri delle finestre. Un ritmo incessante insinuato come sottofondo alle sue giornate d’autunno, un rumore contro i vetri come pugni che battevano dentro la sua testa.
Che supplicano di uscire?
Lo spettro si era seduto dall’altra parte del tavolo, di fronte allo sconosciuto. Non faceva a dir la verità molta differenza, visto che non poteva vederlo. Ma era sempre una sorpresa studiare qualcosa che gli fosse estraneo. In quei momenti, ricordava di non essere solo nella scuola, e le voci che sentiva nei corridoi e le ombre che vedeva nel cortile dalla finestra, non erano di fantasmi, ma parte di una realtà vivace e in movimento.
Osservare la vita che continuava senza di lui era il masochista piacere che si dava per sentirsi ancora parte di essa.
Ero proprio come voi, sapete? Come miss Tosaka, come mr Kawara, come tutti i ragazzi che vedo dalla finestra.
Ma quella consapevolezza sfuocata gli pareva sempre più un antico sogno che un ricordo. Nella sua memoria immacolata si ergevano riferimenti letterari di ogni genere, ma non un solo volto familiare che lo rimandasse al mondo prima di adesso.
Un interminabile adesso che sembrava non avere fine apparente.
E come quel mondo –tanto sospirato, di cui suo malgrado non faceva parte– lo  affascinava e lo spaventava, così lo intimidiva quella figura davanti a lui, misteriosa e aliena, sfuggente come un soffio di vento.
Come sempre, probabilmente come ogni giorno, la campana, quasi un richiamo demoniaco, faceva echeggiare i suoi rintocchi, e la strana apparizione –curioso da parte sua vedere le cose sotto quel punto di vista– spariva nei corridoi. 
Restavano, di quell’ora di silenzio e di concentrazione, i fogli sul tavolo e i passi dei suoi stivali oltre la porta.
Ma durava solo quell’attimo. L’assenza. La consapevolezza che mancava qualcosa, all’ambiente.
Poi schiariva il grigiore della sua familiarità con la solitudine, e tornava ad intonare il suo canto funebre.
 
Un giorno, dovette cambiare.
Con una bella metafora, quei giorni erano come leggere sempre la stessa pagina di un libro. O fare sempre lo stesso ritratto.
Quando cominciava a non distinguere più i giorni che passavano, Fujishiro Nageki si appostò alle sue spalle, senza il timore di essere notato, spiando sul foglio. La mano, bendata con strette garze, coprì come d’istinto gli schizzi disordinati, e il ragazzo alzò inspiegabilmente lo sguardo.
Era la prima volta che lo vedeva da così vicino.
Cercò nelle sue vuote memorie la descrizione di una sensazione vagamente simile che aveva letto nei suoi libri.
Nulla.
Era spaventoso.
I suoi capelli, di un inesprimibile colore tra il verde e il blu, gli coprivano disordinatamente la fronte fasciata e l’occhio bendato, il sinistro. L’altro, color verde mare, lo fissava. E quello sguardo non lo attraversava, lo colpiva e lo feriva, come un dardo.
Non stava guardando dietro di lui. Stava guardando proprio lui.
Mi… vede?
“Devi scusarmi, non volevo disturbarti”
Trascorse un istante di silenzio, in cui trattenne il fiato, paralizzato da quello sguardo che gli aveva inchiodato le gambe al suolo e il respiro in gola.
Lo strano ragazzo fece strisciare rumorosamente la sedia sul pavimento spingendola all’indietro e si alzò in piedi. Era meno massiccio di quanto avesse immaginato in precedenza. Era piccolo e esile, e guadagnava solo grazie ai grossi stivali qualche centimetro che lo faceva sembrare più alto di lui, ma era di corporatura visibilmente sottile.
Ciò non lo rendeva tuttavia meno imponente.
“Tu non sei di questo mondo”
Gli parve quasi di non capire.
“Come?”
“Non sei di questo mondo. Non siamo di questo mondo”
Fuggì via, e nell’impeto della corsa la matita rotolò sul pavimento, tracciando una via di fuga che Nageki non avrebbe potuto seguire.  
 
Lo ha davvero detto?
Detto, e ripetuto.
Chiamò la sua mente a riflettere. Quando aveva confessato a miss Tosaka il suo segreto, lei era rimasta sorpresa, e lo stesso era stato con Kawara.
Ma quel ragazzo, perché aveva parlato in quel modo?
Aveva detto –e più di una volta, maledizione, nemmeno l’illusione di aver frainteso– che non apparteneva a quel mondo.
Come poteva vederlo? Come poteva saperlo?
Nageki spinse via il suo libro e guardò la luce del tramonto che scivolava come una mano lontana sotto le finestre chiuse.
Non siamo di questo mondo.
 
Il giorno dopo sembrava non essere cambiato nulla. Si era seduto dall’altra parte del tavolo, al solito posto, e aveva cominciato a disegnare sui fogli che aveva lasciato il giorno prima.
Poi, preso coraggio, Nageki aveva chiesto il suo nome.
“Io sono lo scarlatto angelo caduto di Judecca, Higure Anghel”
Nonostante l’iniziale stupore per quella così criptica risposta, la sua meraviglia fu nell’avvertire quanto facilmente comprendesse le sue parole.
“Io mi chiamo­–”  
“So chi sei” La sua voce era chiara e profonda, più matura di quanto ci si sarebbe aspettato da un corpo così snello. 
“Ah sì?”
“Textoris Melodia Funeris”
Nageki si morse un labbro, scavando nelle sue magre conoscenze di latino.
“Il… tessitore del canto funebre?” tentò lui, esitando.
“Hai bisogno che te lo confermi?”
“Lo hai tradotto malissimo, comunque. Dovresti rivedere le tue conoscenze di latino”
Anghel ignorò il commento e tornò ai suoi disegni, noncurante.
“Come mai non… hai mai provato a parlare con me?”
“Non avevo messaggi dall’Abisso da riferirti, Eterno Studioso”
La campana diede i suoi rintocchi, e il ragazzo si alzò. Si aspettava che andasse via di corsa, invece rimase a fissarlo.
“Se mai avessi bisogno dei servigi di un servo di Dio, pronuncia il mio nome per evocarmi” disse, e ne andò, a passo sostenuto, come se improvvisamente non avesse più fretta.
Nageki rimase coi suoi mille pensieri nella testa.
“Un nome per richiamarlo”
Come un fantasma senza memoria.
Un nome per richiamarlo.
Un nome per dargli pace.
 

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Capitolo 2
*** La pagina ***


“Nageki? Cosa sono questi fogli?”

Tosaka Hiyoko, in quanto segretaria della biblioteca, si era avvicinata al grande tavolo dove il fantasma era solito sedere e leggere. O forse, si era avvicinata solo in quanto sua amica. Ma per lui era ancora difficile da comprendere.

“Ah, non darci peso” disse, sintetico “Sono di un ragazzo. Viene qui tutti i giorni a disegnare. Deve essere molto distratto, o in buona fede”

“Di chi si tratta?”

“Ha detto di chiamarsi Higure Anghel. Ad ogni modo, c’è scritto il suo nome in fondo al foglio che hai in mano” rispose lo spettro, con un lieve cenno del capo.

La ragazza strinse gli occhi osservando un punto indeterminato del soffitto. Poi il sguardo si aprì e si illuminò.

“Ah! Ho capito di chi parli! Si chiama Akagi Yoshio, credo. È un ragazzo della classe accanto. Un tipo stranissimo, devo dire. Ma molto simpatico. Anche se spesso non si capisce che dice. Ryouta ha stilato una lista di frasi ricorrenti e ha provato ad interpretarle. Magari te ne scrivo una copia, così provi a comunicare con lui”

“Sei gentile, miss Tosaka, ma non penso ce ne sarà bisogno”

Chissà se non sentiva quella necessità perché non aveva alcuna voglia di parlare con quello strano individuo, oppure perché riusciva a capirlo perfettamente.

Hiyoko girò tra le mani i fogli stropicciati, osservando sommariamente i disegni e le vignette scritte con una calligrafia tremante, nell’eccitazione febbrile della sua prorompente creatività.

“L’angelo cremisi di Judecca, Higure Anghel” lesse lei, al termine della pagina, con tono leggiadro. La sua voce fu seguita da un disastro di suoni e vetri rotti.

I due si voltarono verso la finestra, spaventati, e videro chiaramente la figura dello strano ragazzo aggrappato al davanzale della finestra. Schegge di vetro si erano sparse tra i suoi capelli e i suoi vestiti, ma lui non sembrava preoccupato. Si avvicinò con passo fieramente sostenuto a miss Tosaka e spalancò gli occhi per lo stupore.

Si era inginocchiato davanti a lei, con fedeltà quasi religiosa.

“Hai chiamato il mio nome, angelo di fuoco Edel Blau. Giungo a portarti i miei servigi!”

“Ahhh.. Anghel! Quando imparerai che non mi chiamo Edel Blau?”

Il ragazzo si sollevò, stringendo tra le dita fasciate un crocifisso alato che portava al collo. Il suo sguardo, come una freccia, si diresse verso di lui, ma lo salutò solo con un cenno del capo.

Nageki fece lo stesso.

Un allucinato. Ecco cos’era. Almeno così lo aveva descritto Hiyoko. Un folle che parlava con una terminologia improbabile e che dava falso nome, in modo poco educato, doveva ammettere.

Sospirò. Non sapeva se dirsi davvero deluso. Dopotutto, non sapeva cosa si fosse aspettato.

“Non dovresti avere lezione adesso, Anghel?” chiese la ragazza. Lui invece non staccò il suo profondo sguardo indagatore dal fantasma.

“Un ultimo rintocco, Angelo di fuoco, prima dell’eterna disperazione” disse, con tono severo. Prese i fogli dalle mani di Tosaka e si avvicinò a lui. Nageki spostò i suoi occhi da lui, ai fogli, e poi nuovamente su di lui.

“Devo affidarti una gravosa missione, evocatore di stelle. Un miasma tenebroso sta cercando di impedirmi di trascrivere questo racconto epico proibito. Sarebbe troppo rischioso portare con me queste pagine. Questa prigione di ghiaccio è protetta da un incantesimo. E so che tu li custodirai con cura, Textoris

Nageki affrontò il suo sguardo, esitando un istante. Poi raccolse i fogli tra le mani. “Hai la mia parola”

 

Non sapeva cosa lo aveva spinto ad accettare. Ma comunque, non doveva farci molta attenzione. Li aveva lasciati al solito posto. Di tanto in tanto alzava gli occhi dal suo libro –ormai non aveva nemmeno idea di cosa leggesse, si limitava a lasciare che le sillabe di carta e inchiostro gli scorressero davanti– per controllare che fossero ancora lì. Nonostante tutte le stranezze, i disegni di Higure Anghel non sapevano muoversi liberamente.

Ancora.

Quando li prese tra le mani, scoprì che nessuna forza arcana li custodiva. Solo il suo sguardo. E prima ancora di capire perché li stesse sfogliando, si ritrovò a leggerli.

Non era un genere di lettura recuperabile in biblioteca, ma non gli era del tutto ignoto.

Come si chiamavano? …Manga?

Aveva trascorso quella notte ad interpretare quelle traballanti didascalie dai caratteri incerti, e spesso sbagliati.

In quel disastro di matita e inchiostro, riconosceva la stessa confusione dei suoi ricordi lontani, probabilmente irrecuperabili.

Quella notte non ebbe tempo per gli incubi.

 

Il giorno dopo, come si aspettava, Anghel tornò in biblioteca.

Ovviamente, dalla finestra.

Nageki lo guardò con occhi annoiati. “È da incivili entrare nelle stanze in questo modo. Inoltre, così rompi i vetri delle finestre, che sono proprietà della scuola”

Il ragazzo si avvicinò al tavolo e si appoggiò pesantemente con entrambe le mani alla superficie. “È tuttavia l’unico modo possibile per raggiungere questo loco ameno”

Il fantasma sbuffò. Perché doveva essere tutto così illogico? E perché il destino lo aveva condotto in una condizione tale da dover assecondare i fanatismi di un folle allucinato che odia le porte?

“Terrò una finestra aperta. Cerca quanto meno di entrare da quella senza mandare in frantumi le altre”

“Accordato” disse lui, annuendo col capo “Il mio racconto epico illustrato?”

Nageki fece comparire da sotto il libro i fogli del fumettista esaltato. “Ho letto”

“Hai letto?!”                                                                       

“Sì. Non avevo di meglio da fare. Hai fatto parecchi errori di ortografia e in più punti la tua calligrafia risulta incomprensibile e i disegni confusi” si sentì così severo nel commentare così apertamente l’innocente opera di creatività di quel ragazzo sul cui viso cresceva l’agitazione sentendo ogni parola che gli veniva riferita. “Tuttavia” disse infine “l’ho trovato alquanto interessante, come inizio. Spero che tu abbia le idee abbastanza chiare su quello che vuoi scrivere”

Anghel riprese i fogli tra le mani con titubanza e diede uno sguardo sommario a quelle pagine piegate dalle sue dita malferme; rifletteva, contando gli errori.

“…Potrei ricevere la tua disponibilità a leggere oltre?!”

“Hai attirato la mia curiosità” dichiarò lui, brevemente.

Lo studente gettò con violenza i fogli sul tavolo e si piegò in avanti per prendergli le mani tra le sue. D’istinto, Nageki provò a ritrarsi, inutilmente. La sua presa non era violenta, ma solida e decisa, come se fosse più la determinazione che la forza fisica la sua vera energia.

“Da adesso, Textoris, siamo incatenati attraverso le rosse catene del fior di loto! Sarai mio alleato per diffondere la verità attraverso questo poema epico!” disse con calore “Seguirò i tuoi santi consigli per rendere più realistico questo poema di eroi da lungo tempo caduti, in modo che tutti ne vengano a conoscenza!”

Higure Anghel non bisbigliava mai, pensò. Non parlava mai sottotono, né sussurrava. La sua voce non conosceva mormorii: era diretta e decisa, e i suoi discorsi, seppur complicati, non si intricavano mai.

Sapeva esattamente quello che diceva.

Si disse che fosse per questo che, oltrepassando la sua stravaganza, accettò.

 

 

 

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Capitolo 3
*** La piuma ***


Il tetto era l’unico posto che gli piacesse visitare quando vedeva il sole fuori. Per qualche strano motivo, era l’unico luogo che poteva raggiungere dalla biblioteca.

L’unico che gli andasse di vedere.

Passare attraverso il soffitto la prima volta gli era sembrato spettrale e spaventoso. Il tempo ­–quanto tempo?– lo aveva poi abituato a quel tipo di sensazioni. Dopotutto doveva essere nella sua natura fare cose spettrali e spaventose.

Oltretutto, il tetto era sicuramente preferibile a ciò che si nascondeva sotto il pavimento. Pur non sapendo cosa lo spaventasse precisamente. Per quanto sembrasse codardo, non voleva affrontare le sue paure per constatarne la ragionevolezza e la pericolosità.

Chiuse gli occhi: il tetto era invaso dalla luce e Nageki se ne sentiva attraversato. Come un’aurea ultraterrena che veniva dal cielo. Ormai vedeva ogni cosa sotto quella chiave di lettura. D’altronde, non considerava di poter fare altrimenti. Lui stesso faceva parte del grande barattolo delle cose ultraterrene.

Approfittando di questa condizione, restava seduto, al sole, senza paura che il vento lo facesse ammalare. Ascoltava il tubare delle tortore che si posavano sul limitare del tetto, e quella piccola pace era unicamente sua.

Di solito quella era una solitudine completa, nessuno a parte pochi addetti poteva salire sul tetto.

Poi, sentì dei passi affrettati risalire le scale. Poi passi più pesanti.

La porta metallica si aprì con un cigolio faticoso, e una figura familiare avvolta nella luce intensa di quella mattina la spinse per richiuderla.

Tra i luccichii della luce riflessa sulle fibbie metalliche, gli occhi evanescenti di Nageki ricomposero la fisionomia di Higure Anghel.

Teneva la schiena contro la porta, tenendola bloccata.

Avrebbe giurato di aver sentito dei colpi, oltre la porta. E voci. Ma fu tutto in un istante, e fu difficile da comprendere.

“Mi è doveroso ricordarti che agli studenti è vietato venire sul tetto” tese l’orecchio per ascoltare i rumori oltre la porta. “Che succede?”

“Demoni”

“Demoni? Nella scuola?”

“Sono ovunque”

Lo guardò sedersi contro la parete, con un blocco di fogli sul ginocchio e la matita malferma nella sua mano. Lo osservava a distanza, come si fa con gli animali selvatici per paura che mordano.

Non era sicuro che anche Higure Anghel mordesse, ma non voleva sperimentarlo.

“Vieni qui spesso a disegnare?”

“Il mio operato ha bisogno di assoluta concentrazione e di un luogo lontano dalle spore demoniache e dai neri tentacoli dell’inevitabile tragedia” rispose il ragazzo, quasi attraversandolo con lo sguardo. Quell’unico occhio di Higure sembrava non vedere le cose, ma il riflesso distorto alle loro spalle, e in quel momento capì quanto poco fosse sorprendente che vivesse in un’allucinazione febbrile.

“Tu perché ti nascondi sul margine che ci separa dal cielo?”

Il turbinio di ali di uccelli sulle loro teste non li distrasse.

Guardando le cineree ali delle tortore allontanarsi dove non avrebbe più potuto vederle, Nageki capì quanto stupidamente inconcepibile fosse agli occhi delle persone che un uccello si potesse fermare, avendo in potere di volare ovunque.

Malinconicamente, pensò che quelle ali già lontane avevano la possibilità di scegliere di fermarsi e di ripartire. Ed era la cosa più preziosa e desiderabile di tutte. Una scelta.

“Guardo la libertà, proprio come un canarino guarda le aquile attraverso le sbarre della gabbia” pensò, ma Higure Anghel non avrebbe potuto capirlo.

 

Non vuoi giocare con noi?

Vieni, vieni con noi!

Faremo un girotondo tutti insieme

Non avrai il fiato corto

Non avrai più paura

 

Come accade in ogni sessione di studio accurato, un giorno accadde qualcosa di inusuale e inaspettato. Insomma, l’essenza stessa di quel ragazzo era inusuale, e il fatto che stesse studiando il suo comportamento col distacco di uno psicanalista era inaspettato.

Tuttavia, accadde qualcosa di ancor più interessante di tutta la vicenda in sé.

Si era fermato in un angolo della biblioteca, a sistemare dei vocabolari lasciati ­–quale sciagurato poteva averlo fatto– sul tavolo, incustoditi. Di solito era miss Tosaka che si occupava di quelle piccole mansioni, ma essendo costretto in biblioteca e non avendo troppo da fare, non gli dispiaceva mettere in ordine. Da quell’angolo non aveva sentito perfettamente la conversazione, ma aveva afferrato le poche parole che gli avevano suggerito di intervenire.

“Ma la parli la nostra lingua?”

“Stupido filippino idiota”

“Perché non te ne torni al tuo paese?”

Sporgendosi, aveva visto chiaramente tre ragazzi, a lui completamente sconosciuti, ma non serviva essere un fantasma per capire che non erano tipici frequentatori della biblioteca.

Higure era tra di loro, accerchiato.

Ci fu una spinta.

“Quanto dici che tiene nelle tasche questo pidocchio?”

Un’altra spinta. Lui cercava solo di non cadere.

“Niente, cosa vuoi trovare addosso a questo tipo qua?”

“Magari qualcun altro dei suoi disegni ridicoli?”

Vide chiaramente dipingersi sul volto del ragazzo una smorfia di rabbia, ma non ebbe alcuna reazione.

Alla terza spinta uno afferrò lo studente per la spalla e, prima ancora di chiedersi se fosse giusto o meno, se fosse il caso o no, se gli importasse davvero, Nageki sollevò il vocabolario sopra la testa e corse verso il più alto dei tre, quello che aveva afferrato il disegnatore matto, presumibilmente il capo. Lo colpì: e non voleva farlo con forza, ma era stato il vocabolario a diventare troppo pesante per le sue mani.

Lo stupore si dipinse sul volto della vittima e della sua combriccola.

“Un… libro fluttuante!” esclamò uno.

“È il mostro della biblioteca!” balbettò la voce di un altro. “Era vera quella storia del libro stregato!”

“Scappiamocene!”

Le loro voci si allontanarono in un indistinto rumore di passi in corsa. Era accaduto così in fretta e torbidamente che per un momento Nageki si illuse che non fosse mai successo. Nell’attimo in cui rivide il vocabolario tra le sue mani, si rese conto di quello che aveva fatto.

La sua immediata reazione fu una smorfia di paura. Aveva aggredito un ragazzo con un libro senza pensarci due volte. Non aveva memoria, ma sentiva che era qualcosa che non faceva parte delle sue attitudini, solitamente pacifiche e mansuete. Eppure, vedere Higure così sorpreso da quel salvataggio stimolò in lui un buffo sorriso di compassione. Probabilmente non del tutto inspiegabile, ma preferì non investigare troppo in quel momento.

Dopo una lunga esitazione, il leggendario disegnatore riprese a parlare.

“Sei venuto in mio soccorso”

L’ho fatto? L’ho fatto.

“Sì”

Esitò ancora. “Perché…?”

“Non avrei dovuto? Sono un tuo alleato, dopotutto”

Oh Cielo, sto cominciando a parlare come lui.

Sorridendo, lo strano ragazzo ripeté quella parola più e più volte, la novità che il solo pronunciare quella parola gli portava lo faceva sorridere, entusiasta.

“Il mio petto cremisi non lo dimenticherà” disse, con un sorriso pieno di gratitudine “Grazie” aggiunse, con sorprendente affetto e semplicità, prima di fuggire via.

Lo spettro riuscì a sentire ancora le sue urla sempre più flebili nel corridoio mentre si allontanava.

Un alleato. Un alleato. Un alleato!

 

In realtà, Nageki non sapeva perché lo avesse fatto. E ripensandoci, dopo quello che era successo, la consapevolezza era giunta in ritardo e in quel momento avrebbe di gran lunga preferito essere invisibile, in modo completo. Persino agli occhi di Higure Anghel. Non era la prima volta che colpiva qualcuno con un libro –l’invisibilità gli permetteva di prendersi quelle piccole libertà d’agire, per alimentare la leggenda del libro fantasma e per sfogo personale– ma non era mai successo davanti qualcuno che potesse vederlo. E per difendere qualcosa che non fossero i suoi libri.

Era irragionevole, sconsiderato, inutile, immotivato. E l’aveva fatto.

Senza alcuna esitazione.

 

“Adesso lo sai”

“Il mio petto cremisi ne ha sempre avuto il sentore”

Nageki sospirò stancamente. “Gli altri ragazzi non mi hanno visto. Sai cosa significa”

Non sapeva se Higure fosse stato fin dall’inizio a conoscenza la sua vera natura. Di certo se era rimasto sorpreso, era stato bravo a nasconderlo.

Il disegnatore allucinato allungò la mano verso la sua, facendo combaciare le palme. Le sue dita superavano di poco le sue in lunghezza; erano asciutte, indurite dalla passione per il disegno. Ma ciò che lo colpiva di più la loro differenza di colorito. Mentre la pelle di Nageki era pallida, quasi perlacea, di quel colore malato alla tonalità perfetta delle confezioni dei medicinali, la mano di Higure Anghel era di un bel color caramello, sano e ambrato. Gradevole era il suo calore vitale, rispetto alla sua freddezza spettrale. Rispecchiava il battito frenetico del suo cuore agitato, nascosto dentro quell’agghiacciante petto cremisi stretto dalle fasciature.

Guardando attentamente il suo unico occhio cangiante, dal verde mare al blu profondo, pensò che le loro diversità erano accomunate da qualcosa che li rendeva identici. Tuttavia, ancora non riusciva a capire cosa, e le loro sagome restavano come due specchi vuoti l’uno davanti all’altro.

“Siamo nati sotto la stella della solitudine. Non siamo parte di questo mondo”

“Non ho ancora capito cosa intendi dire con questa metafora” Nageki guardò con lieve disagio le loro mani così vicine, chiedendosi quando era stata l’ultima volta che aveva avuto un contatto fisico così diretto.

“Tu non puoi essere visto dagli altri. Io vedo ciò che gli altri non vedono”

Il fantasma strinse gli occhi leggermente, scrutandolo in viso.

Ciò che gli altri non vedono.

 

Aveva davanti una scelta.

In quel momento, scelse di fare una follia e fidarsi di lui. 

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Capitolo 4
*** L'eroe ***


E' un eroe!!              è il nostro eroe!!

Facciamo un girotondo.

Un girotondo intorno al mondo.

Un girotondo perché qui non mancano mai caramelle.

Un girotondo perché qui nessuno ha portato termometri, perché non ci ammaliamo più.

Un girotondo grande grande per il nostro eroe.  

 

Tanti disegni dopo, Nageki Fujishiro aveva capito una cosa. E forse era una banalità di facile intuizione, ma preferiva non sottovalutare alcuna informazione, non con quello strano ragazzo.  

Higure Anghel voleva essere un eroe. Piegando la testa all’indietro pensò che quello avrebbe spiegato molti misteri legati alla sua persona. Il secondo nome, per esempio. Si era creato forse una seconda identità eroica? Cosa lo aveva tradito nella vita? Perché il mondo reale era diventato così insopportabile da doversi rifugiare in una vivace illusione?

Il suo unico tentativo di investigare sul suo passato era stato bruscamente respinto.

“Mi hanno detto che in realtà ti chiami Akagi Yoshio”

Lui aveva fatto una smorfia di dolore, urlando e stringendosi una mano al petto. La sua iniziale reazione lo aveva spaventato. Era scattato indietro di riflesso, guardando il ragazzo con un misto di paura e insicurezza. “Non dovresti pronunciare il nome degli angeli!! Non dire mai più quel nome proibito!”

“Non ti si può chiamare col tuo vero nome?”

Non aveva risposto.

Qualcosa in passato doveva averlo sconvolto, ma non avrebbe saputo dire cosa esattamente. E Higure non gliel’avrebbe raccontato. Non così facilmente almeno. Ma dopotutto, poteva apprezzare la sua rumorosa compagnia anche senza conoscere le motivazioni di quell’esilio volontario nell’allucinazione che viveva, in cui cercava di trascinarlo.

Higure aveva preso l’abitudine dopo qualche tempo di sedersi accanto a lui. Non c’era molta comunicazione tra loro, in ogni caso. Lui parlava tra sé e sé, sfogando il suo bizzarro estro creativo. Nageki lo rimproverava perché rompeva il doveroso silenzio della biblioteca, ma non si aspettava che lo ascoltasse. Ormai quell’avviso era lo stendardo del suo dovere, anche se nessuno lo rispettava. Ma finché non rompeva altre finestre, poteva sopportare.

Talvolta il fantasma tentava un approccio di conversazione, non per compagnia ma piuttosto per curiosità. Tuttavia, non era mai facile. Molto spesso le sue risposte erano criptiche e apparentemente senza senso, o comunque non legate ad un discorso normale.

Quel giorno, l’angelo caduto alzò lo sguardo dai suoi schizzi, incontrando quello di Nageki nei suoi occhi stanchi e malinconici impegnati nella sua attenta lettura e fu davvero inusuale.

“Sembri affranto. I tuoi occhi mi ricordano il gelo in fondo all’inferno”

“L’inferno non è avviluppato dalle fiamme?”

Abbassò lo sguardo, prendendo un foglio bianco. “È freddo. Più freddo di qualunque altra cosa, nemmeno puoi immaginare”

Higure gli poggiò la mano sul braccio, guardandolo negli occhi. Il suo sguardo non aveva pudore, indagava senza vergogna ovunque si volgesse. Tuttavia non c’era maleducazione nel suo modo di fare. Inizialmente aveva pensato a quanto potesse essere fastidioso e rumoroso, ma c’era sempre un’infantile curiosità in quello che faceva, nelle minuziose ispezioni contro le spore demoniache in giro per la scuola e la biblioteca.

Nageki guardò la mano sul suo braccio, mordendosi il labbro. “Qualcosa non va?” gli chiese, sorpreso. Sembrava avere sempre la necessità di toccare tutto ciò che vedeva, di controllare la corporeità del mondo che lo circondava, e quindi allontanare le ombre.

“Voglio fare un disegno”

Inarcò leggermente un sopracciglio. “È quello che fai sempre”

“Un disegno che mi ricorda te”

Aveva preso la matita prima che Nageki potesse chiedergli ulteriori spiegazioni.

Dopo, gli porse uno scarabocchio pieno di bambini.

Le sue linee era incerte, i sorrisi sbilenchi e facevano paura.

Inconsapevolmente i suoi occhi si fecero umidi e cominciò a piangere.

Era spaventoso non saperne il motivo, non riuscire nemmeno a fermarsi. Incredulo, si portò le mani agli occhi, nell’istintivo gesto di nascondere il suo dolore, di asciugare quel pianto a lungo trattenuto. Era la prima volta che una sensazione di panico così travolgente lo colpiva.

Perché stava piangendo? Perché non riusciva a smettere?

Perché faceva così male?

Perché sentiva gli occhi bruciare?

Non aveva senso. Non aveva assolutamente senso.

Higure Anghel lo guardò, preoccupato, probabilmente indeciso su cosa fare. Poi prese dalla tasca delle garze, le piegò, e le usò per tamponare via le lacrime che scendevano dai suoi occhi increduli.

“Non ho un fazzoletto. Ma queste cureranno le tue ferite, come hanno curato le mie”

Le loro ferite erano di natura diversa, ma forse avrebbero trovato lo stesso modo di curarle.

 

Nei giorni a seguire evitò di guardare il suo disegno. Lo aveva nascosto nello scaffale più alto, tra il quattordicesimo e il quindicesimo libro.

Nessuno andava mai a prendere quei libri.

Nessuno veniva mai in biblioteca.

Se lo avesse tenuto in tasca avrebbe ceduto alla tentazione di rivederlo.

Perché lui voleva rivederli, voleva rivederli tutti.

Voleva abbracciarli, voleva baciargli le piccole fronti, affondare le mani tra i capelli, e giocare con loro, saltare la corda e dire “ho il fiato grosso” al quinto salto. 

Inconsapevolmente, prima che ne accorgesse, insieme al dolore per i suoi ricordi perduti e l’agitazione per quei bambini di carta e matita, cresceva l’attesa di Miss Tosaka che tornasse in biblioteca, di Kawara che uscisse dall’infermeria per salutarlo dopo il solito controllo giornaliero.

E che Higure tornasse a disegnare.

A poco a poco il suo racconto epico procedeva, e anche la sua storia. Procedeva come aprire un quaderno e cominciare a scrivere da metà. Ogni pagina che Higure disegnava era un giorno che trascorreva, un giorno di cui manteneva il ricordo.  

Poi lui gli aveva proposto di interpretare i suoi ricordi sfruttando i suoi poteri di angelo caduto, e seppur avesse urlato come suo solito, agitando le braccia e facendo cadere due sedie, aveva avvertito in quelle parole una delicatezza inaspettata.

Non c’era stato nemmeno bisogno di raccontargli i suoi sogni. Una benedizione, per lui. Gli aveva risparmiato l’imbarazzante disagio di dare una vaga interpretazione verbale a quella successione di suoni, sensazioni, il febbrile torpore probabilmente legato ai ricordi che purtroppo la sua mente aveva rimosso, una sensazione di vuoto inspiegabile. Come se qualcuno avesse messo la storia della sua vita sul fuoco e non fosse rimasto altro che cenere.

Higure intingeva il pennino nelle sue ceneri e ridisegnava la sua storia, pagina dopo pagina.

Gli bastava prendergli la mano, guardarlo negli occhi, qualsiasi tipo di contatto fisico sembrava stimolare la sua creatività. Era solo fantasia o i suoi poteri erano reali? A volte dubitava che stesse davvero ricostruendo il suo passato. Magari stava solo inventando tutto, credendo di interpretare le sue memorie.

Forse si stava facendo trascinare nella sua oppiacea illusione.

Ma se era quello il prezzo da pagare, lo avrebbe seguito fino alla più fredda estremità dell’inferno.

“Non avevo una famiglia? Dei genitori?”

“Non vedo quel genere di figure”

“E cosa vedi?”

“Innocenti” la mano del veggente si immobilizzò e lentamente abbassò la penna, lo sguardo rivolto verso il basso “Textoris? Saekro’m vuole mostrarmi qualcosa che proviene dall’Abisso. Il mio petto cremisi avverte stilettate di tenebra. Non posso mostrartele”

Aveva imparato con l’abitudine che Saekro’m era il nome del pennino che usava per disegnare. Sembrava esservi molto legato, in qualche strano modo. Un rapporto di fiducia, come quello tra un cavaliere e la sua spada. Il cavaliere confida che la spada lo protegga e lo conduca alla vittoria, la spada sa che il cavaliere dovrà maneggiarla con cura e impegno.    

“C’è… troppo sangue su queste pagine”

Nonostante avesse provato a chiedere, quella volta non gli disse cos’aveva visto. Lo interpretò come un goffo tentativo di proteggerlo.

Esattamente come avrebbe fatto un eroe. 

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Capitolo 5
*** L'ombra ***


Le due settimane di vacanza per le festività invernali trascorsero lentamente.

La neve si era accumulata sui davanzali, ma Nageki non aveva mai chiuso quella finestra. Diceva che se l’angelo  fosse tornato dall’inferno senza preavviso avrebbe rotto un’altra finestra.

O forse lo stava aspettando. Preferì non considerare quella possibilità. Dopotutto, non sentiva freddo, né alcun cambiamento di temperatura avrebbe potuto disturbarlo. Era abituato al freddo come alla solitudine, ma quella era la prima volta che il silenzio lo annoiava. Un insopportabile tedio lo tormentava inspiegabilmente ogni volta che la biblioteca si faceva buia e silenziosa. Persino le pareti contavano i minuti senza urla, senza risate, senza gli attesi passi di Miss Tosaka e Mr Kawara. O il familiare ed esasperante fragore di vetri rotti.

Quando sentì gli studenti accalcarsi nel cortile sotto la finestra, lamentandosi delle festività durate troppo poco, come ogni anno, Nageki si lasciò sfuggire un timido sorriso.

I primi ad arrivare furono Tosaka e Kawara, insieme come sempre. C’era una forte unione tra loro, e ammirava molto la loro amicizia, un legame quasi fraterno, tra loro che si conoscevano fin da bambini. Guardarli gli dava un pungolo di dolore nel petto, come si guarda qualcosa che si ha perso da tempo.

Un tempo di cui ovviamente non aveva memoria.

Prima che potesse chiedersi dove fosse, Higure Anghel fece irruzione dalla finestra che aveva lasciato aperta per lui, reggendo uno strano pacchetto tra le mani. Si volse prima verso Tosaka e Kawara, guardandoli con determinazione. “Vi porgo i miei saluti, Prescelti. Possa una stella misericordiosa accompagnare i vostri passi in questo nuovo ciclo di avventure” si avvicinò al fantasma, lo sguardo quasi incandescente.

“Evocatore di stelle!”

Nageki si voltò non di scatto, guardandolo con noncuranza. “Salve Higure. Spero che tu abbia trascorso delle felici festività”

Allungò il braccio che reggeva la bustina di carta in un elegante decoro di fiori e foglie irrimediabilmente spiegazzato, come se lo avesse sbattuto in ogni direzione. “Ti porto in dono un amuleto miracoloso contro i demoni, per proteggere la prigione di ghiaccio quando io non sarò presente, com’è già accaduto per imminenti incombenze passate”

Nageki lo guardò titubante, poi raccolse il pacco tra le mani, scartandolo. Dentro era contenuta una piccola freccia di legno, dalla quale pendevano due campanelli, un piccolo biglietto di auguri, e l’immagine di un coniglio, il segno zodiacale di quell’anno. Kawara Ryouta si avvicinò, curioso.

“Ah, ho già visto questo tipo di pendenti! Li vendevano al tempio il primo dell’anno. È usanza appenderne uno, come augurio per il nuovo anno e protezione dai demoni”

Nageki sollevò il braccio, osservando la freccia controluce. Dietro, lo sguardo truce di Anghel lo osservava.

“Questa è la leggendaria freccia che punterà in direzione dell’inevitabile potere dell’oscurità. Le forze dell’Erebo si scateneranno d’intorno, ma questo luogo non cadrà nelle tenebre. E io ritornerò qui a cercare ristoro”

Lo spirito sbatté le palpebre. Lo stava… proteggendo? “Quella finestra sarà sempre aperta per i guerrieri valorosi” si voltò prontamente verso Tosaka Hiyoko “Miss Tosaka, mi aiuteresti ad appenderlo sopra la porta?”

“Dovete metterlo all’imboccatura del sacro portale per raggiungere questo luogo!”

Tosaka prese prontamente la freccia e una sedia, avvicinandola cautamente alla finestra. Kawara Ryouta la guardò con ansia, raccomandandosi di fare attenzione. Prima di poter rispondere la cacciatrice saltò con la solita energia sulla sedia, assicurando la freccia sul muro in modo che penzolasse sopra la finestra.   

Trafitto da un raggio di sole, Nageki non poté fare a meno di pensare quanto quella follia sembrasse, nello sguardo determinato dell’angelo caduto, maledettamente convincente.

 

Un rumore.

Di solito la biblioteca era silenziosa di notte. Perché allora quel rumore? Nageki cercò nella sua mente una serie di ragioni per cui avrebbe dovuto averlo immaginato e si alzò stancamente dalla sedia di legno prendendo la torcia a batteria che gli aveva regalato miss Tosaka per leggere al buio, per raggiungere la fonte di rumore. Erano dei colpi alla porta.

Deglutì quasi con ansia. Doveva essere un uccello entrato da una finestra dimenticata aperta e rimasto bloccato nella scuola. Inoltre non aveva paura dei fantasmi, quindi non c’era motivo di preoccuparsi. 

Aprì la porta senza esitazione. La scoperta lo lasciò senza parole.

“Higure?”

L’angelo di Judecca in persona, appena risalito dall’inferno a giudicare dalla sua faccia. Aveva il viso premuto contro la parete, quasi dormisse in piedi. Gli puntò la torcia contro, e lui strinse gli occhi infastidito.

“Che ci fai qui? La scuola ha chiuso da molto tempo. È contro le regole”  mentre lo diceva realizzò quanto poco fosse adeguato in quel momento. Abbassò la torcia e sospirò. “Entra, siediti”

Nonostante gli facesse strada con la luce della torcia, Higure Anghel urtò un paio di volte sedie e tavoli, ma Nageki non lo rimproverò. Lo fece sedere accanto a sé, poggiando la torcia rivolta contro la parete.

“Cos’è successo?”

“Ero accerchiato da dei demoni, all’ora della quotidiana liberazione delle anime, e ho cercato un rifugio per fuggire, ma nell’attesa di essere fuori pericolo, sono caduto nell’oblio e mi sono risvegliato nelle tenebre e nella solitudine”

Con un po’ di fantasia, provò ad immaginarlo chiuso nel ripostiglio delle scope per evitare di fronteggiare i suoi “demoni”. Ma stranamente la cosa non faceva ridere, per quanto in realtà quell’immagine mentale avesse una notevole vena di ilarità.

“Suppongo passerai qui la notte”

L’angelo annuì lentamente, e rivolse lo sguardo alla torcia. La afferrò con un gesto frenetico e gliela mise tra le mani. Il suo disagio fu tale da impedirgli anche di piegarvi sopra le dita, al punto che la tenne tra le palme, guardandolo vagamente col panico negli occhi, mentre cercava di evitare qualunque tipo di contatto fisico e visivo con lui.

“Reggi la lancia della tonante voce del destino e indirizzala verso la parete”

Nageki lo guardò, indeciso e strinse le labbra mentre rivolgeva la torcia contro la parete. Con sua grande sorpresa, Anghel mosse le mani davanti al raggio di luce e la loro ombra si proiettò sulla parete. Tuttavia le sue dita si muovevano in modo incerto e l’immagine era più somigliante ad un groviglio che a qualunque altra cosa che avesse in mente.

“Ma che stai facendo?”

“Le ombre cinesi”

Nageki scosse la testa. “Non si fanno così”

La sua espressione delusa lo fece sorridere. “Ti faccio vedere io come si fa”

Gli passò gentilmente la torcia elettrica e posizionò le mani per ricreare sulla parete la sagoma di un coniglietto. L’iniziale delusione di Anghel si trasformò in un sorriso quando vide il coniglio sulla parete e la sua risata fu dolce, quasi infantile. Non aveva alcuna vergogna di ridere, di essere rimasto chiuso a scuola, di star facendo le ombre cinesi con una torcia come due bambini che non prendono sonno.

Nageki pensò che persino avrebbe potuto ridere, in sua compagnia, ma si limitò ad un sorriso conciso, spostando le mani per ottenere un cane. Lui rise, agitando la torcia.

“Tienila ferma” disse, e quella frase, dannazione, quella frase l’aveva già sentita. E non l’aveva già letta, l’aveva già sentita.

“Perdonami” immobilizzò il raggio di luce sul muro “Sapresti fare un angelo?”

Nageki arricciò le labbra e unì le mani per fare un uccello. “Sembra un angelo, vero?”

Higure sorrise guardando quell’ombra che si muoveva quasi volasse, e quel sorriso era dolce, delicato, prezioso. Farlo sorridere era una sensazione impagabile.

“Era la mia figura preferita” disse Nageki, prim’ancora di accorgersi di quanto era incredulo nel pronunciare quella frase.

Aveva fatto quel gioco altre volte. Quando era in vita. E con qualcuno che gli aveva detto di tenere ferma la torcia. Nel suo petto sentì uno sfarfallio angoscioso e allo stesso tempo eccitante. Un ricordo. Un ricordo caldo e affettuoso. Un ricordo che non faceva paura. Un ricordo bello.

Sentì una lacrima bagnargli le ciglia ma inconsapevolmente sorrise.

Quando riemerse da quell’antico calore, sentì il peso della testa di Higure Anghel sulla sua spalla. Si era addormentato. Guardò l’orologio: la ventiduesima ora di quello strano giorno.

Guardò il muro davanti a lui, e non seppe nemmeno cosa pensare.

Poggiò la guancia sui suoi capelli e premette il tasto rosso per spegnere la luce.

E tutto ebbe un senso.  

 

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Capitolo 6
*** La prima nota del canto funebre ***


Dopo quel giorno, gli si infilò in testa un’idea che ronzava come una mosca e non gli dava pace. Esattamente come una mosca fastidiosa.

Cosa c’è sotto il pavimento?

Perché mi spaventa così tanto?

Eppure sarebbe stato così semplice. Lasciarsi scivolare oltre le piastrelle e cercare la verità al piano inferiore. Lo desiderava intensamente. Sentiva per qualche strana e inspiegabile ragione che quello era l’unico rimedio possibile.

“Mr Kawara?”

Kawara Ryouta era una persona quieta e all’apparenza affidabile, la persona adatta a cui chiedere.

“Dimmi Nageki”

“Ho bisogno di sapere cosa c’è al piano inferiore”

Ryouta arricciò leggermente le labbra. “Piano inferiore? Non sapevo ci fosse un piano inferiore. Credo sia chiuso, o comunque riservato al personale. Nageki, ma tu non puoi uscire dalla biblioteca, giusto?”

Il fantasma sospirò lievemente. Era il caso di spiegare? In effetti, non si spiegava nemmeno lui quell’anomalia. Era davvero un bel fantasmino speciale.

“No infatti. Era solo curiosità, considerando che non posso uscire da qui”

Kawara si alzò, raccattando i suoi quaderni. “Chiederò ulteriori informazioni, ma dubito ci sia qualcosa di interessante. Magari è solo un ripostiglio per le scope di Mister One” disse lui con un sorriso. Mentre usciva, Higure Anghel si catapultò violentemente nella stanza entrando dalla finestra. Nageki gli risolve un sorriso ironico.

“Miracolosamente di ritorno da un’altra battaglia, a quanto vedo”

“Ogni giorno è una battaglia” chinò il capo di fronte a Kawara “Salute a te, prescelto. Nageki, hai finito di leggere il mio poema? Ho proseguito la mia narrazione in questi giorni”

Ryouta rise leggermente “Higure Anghel che pronuncia un nome reale? I pianeti si stanno allineando di nuovo” sbatté leggermente le palpebre quando l’angelo e il fantasma gli risolsero lo stesso sguardo confuso “Devo smettere di usare metafore…”

“Dovresti” suggerì Nageki, non riuscendo a trattenere una risatina mentre guardava Mr Kawara lasciare la biblioteca, indi si rivolse verso l’angelo caduto “Ho letto. È stato interessante”

Higure sorrise con calore a quel commento, porgendogli le altre pagine. “Volevo ripeterti i miei ringraziamenti per l’aiuto che mi stai offrendo”

“Le cose ripetitive non mi infastidiscono del tutto” era un fantasma di routine ormai, le ripetizioni avevano occupato una grande parte della sua esistenza “Ma non c’è bisogno di ringraziarmi” aggiunse.

“Non mi riferivo solo alla stesura del poema epico proibito”

“Prego?”

L’angelo perse improvvisamente la sua determinazione e gli risolve un timido sorriso impacciato. “Siamo… amici?”

Non aveva usato alcuna metafora, quindi automaticamente si sentì in dovere di rendere criptica la sua risposta. “Siamo collegati dal destino tramite la sua energia miracolosa, nell’imperscrutabile progetto divino i nostri nomi sono stati marchiati col sangue e legati insieme in modo permanente” guardando il disagio crescente sul suo volto, sorrise e aggiunse “Quindi temo di sì”

Il suo sorriso gli diede un inspiegabile senso di calore. Era diverso da quello che aveva provato guardando le ombre sulle parete quella sera incantata. Questo non era un ricordo, non era un’ombra: era reale e si stava costruendo davanti ai suoi occhi. Non credeva nemmeno fosse consentito agli spiriti. E agli angeli caduti.

Ma dopotutto Higure Anghel guardava sempre oltre il visibile. E in quel momento provò un inquietante e delizioso moto di gratitudine nei suoi confronti.

“Dunque” l’angelo spostò indietro la solita sedia per sedersi al solito posto “Il tempo scorre e le lancette dell’Inferno si muovono anche più in fretta. Quindi, devo subito riprendere il mio operato”

Nageki si sedette accanto a lui e inspiegabilmente aveva cominciato ad apprezzare quella routine, e non c’era nemmeno il bisogno di negarlo. Amava le visite di Kawara e Tosaka, amava il disordine e il chiasso che portavano in biblioteca.

Era… felice. Dopo molto tempo.

Così felice che non ci sarebbe stato niente di male nel confidarsi con lui. Ingoiò l’iniziale esitazione, e cercò di farsi coraggio nel trovare le parole giuste.

“Higure?”

“Ti ascolto”

“C’è una cosa che devo confessarti”

“Esplicami”

“Credo di aver trovato un modo per recuperare i miei ricordi, in modo definitivo”  

L’angelo venuto dall’inferno lo guardò aggrottando un sopracciglio. “Quale?”

“Voglio… scendere al piano inferiore”

Lo sguardo dello studente si fece ansioso, quasi spaventato. “No. Non scendere negli abissi”

Nageki fece una risatina. “Non è così drammatico come sembra. Forse ci sono solo tante inutili scartoffie, ma finché c’è la speranza che tra quelle scartoffie ci sia un fascicolo che mi riguarda, devo andare”

L’angelo cremisi lo guardò negli occhi e scosse la testa. “Non devi”

“Perché?” la sua voce suonò più disperata e indignata di quanto avrebbe voluto.

“Perché le tenebre ti tratterranno. L’inferno non rilascia facilmente i suoi condannati. Non puoi andarci. Non è ancora giunto il tempo”

Il fantasma strinse le labbra, sentendosi improvvisamente minacciato dalla sua presenza. Aveva sempre –più o meno– apprezzato la sua compagnia, ma in quel momento il suo rifiuto lo fece innervosire. Aveva assecondato per giorni le sue fantasie su mondi paralleli, battaglie all’ultimo sangue e punizioni divine, avrebbe gradito ricevere la stessa cortesia.

“Perché dovrei aspettare? E cosa mi dirà che il tempo sarà maturo?”

“Lo saprai”

“Io penso di saperlo adesso”

L’angelo venuto dall’inferno sospirò nervosamente. “Devi ascoltarmi. Troveremo una soluzione, ma non puoi discendere nel Tartaro”

“Perché parli come se fosse pericoloso? Voglio solo vedere cosa c’è e andarmene, non voglio certo restarci”

“Devi fidarti di me!” replicò con più forza “Non è ancora il tempo di aprire i cancelli dell’Erebo, ascoltami Nageki!”

“Come posso sapere con certezza che quello che stai dicendo è vero e non un’altra delle tue fantasie?”

Lo aveva detto. Lo aveva detto davvero.

La sensazione iniziale fu un caldo distendimento dei suoi muscoli, una soddisfazione malata, venefica. Poi, ci fu lo sguardo di Anghel. Il suo unico occhio lo attraversò, la sua espressione era accigliata, ma non mostrò alcun segno di delusione. Solo le labbra strette, la mascella immobile, serrata.

Dopo un eterno istante di nauseante senso di colpa in cui Nageki avrebbe potuto replicare o quanto meno chiedere scusa, l’angelo cremisi tirò indietro la sedia e raccattò i suoi fogli, per poi sparire oltre le soglie dell’inferno.

L’unica cosa che riuscì a guardare con i suoi colpevoli occhi fu un cartello alla parete che recitava “Per favore, silenzio in biblioteca”

 

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Capitolo 7
*** La seconda nota del canto funebre ***


Nei giorni a seguire dell’angelo cremisi di Judecca non si vide nemmeno l’ombra. Nageki non avrebbe potuto dirsi sicuro che fosse venuto a scuola o meno, non poteva andare a cercarlo.

Si era chiesto se, in condizioni normali, avrebbe avuto il coraggio di andare da lui e chiedergli scusa. Indubbiamente, quello sarebbe stato il suo dovere.

Forse, in condizioni normali, non avrebbero avuto motivo di parlarsi.

Decise che, non potendo lasciare la biblioteca, lo avrebbe aspettato, e quando avrebbe fatto ritorno gli avrebbe chiesto scusa. Se glielo avesse chiesto cortesemente, Higure non avrebbe replicato. Era un ragazzo di buon cuore.

Abbassò gli occhi.

Era davvero di buon cuore.

 

Il quarto giorno, ricomparve. Come in un sogno.  

Entrò come di consueto dalla finestra, con lo scampanellio dell’hamaya che gli faceva da allarme. Nessun grido, nessun saluto. Nageki quasi non si accorse della sua presenza.

Quando alzò gli occhi dal suo libro, allarmato dal rumore del campanellino, sorrise mestamente alla schiena di Higure.

“Ciao Higure..”

Non rispose. Stava frugando tra gli scaffali con l’aria di chi sta cercando qualcosa con gran fretta. Nageki lo guardò a lungo, senza sapere cosa dire esattamente. Il suo arrivo non era certo inatteso, ma era successo così improvvisamente che al suono del campanello aveva dimenticato tutto quello che voleva dirgli.

E il tempo per rifletterci non gli era mancato.

“Higure, vorrei parlarti..”

“Non ho tempo”

La sua risposta era stata così brusca che, imbarazzato dal rifiuto, si sentì costretto a riportare gli occhi sul libro, in silenzio.

In seguito, tentò ancora di dirgli che doveva parlargli, o che voleva sapere cosa stesse cercando esattamente, se aveva bisogno di aiuto.

Non rispose a nessuna delle sue domande.

Ed era strano, per una volta c’era silenzio in biblioteca ed era terribilmente sbagliato.

 

Suonata la campanella che avvisava l’inizio delle lezioni, l’angelo misterioso uscì silenziosamente dalla finestra. Mai nei suoi movimenti c’era stata tanta accortezza. Era quasi blasfemo pensare che non sembrava più lui.

Ogni giorno tornava a setacciare un’altra libreria. Girava i libri tra le mani, con l’ansia febbrile di chi cerca disperatamente un tesoro a lungo perduto. Una volta lo aveva sfiorato il dubbio che stesse cercando il Sacro Graal, ma non lo avrebbe certo trovato in biblioteca.

Avrebbe voluto dirglielo, ma sembrava non ascoltare. A volte confabulava tra sé e sé, si incitava a trovare in fretta qualunque cosa stesse cercando.

Le persone intorno a lui dovevano averlo sempre considerato strano.

E a ragione!, pensò stancamente Nageki. E lui si era comportato esattamente come tutti gli altri. Non proprio un fedele alleato.

In qualche modo, doveva rimediare a quell’assurda situazione.

Dopo alcuni giorni, l’angelo caduto nel giardino dei peccati aveva verificato mezza biblioteca. Non che fosse particolarmente fornita, certo, ma stava facendo un ottimo lavoro. Ma la sua disperata determinazione portava un cinereo velo di ansia su tutti i libri che non erano quello che cercava, e tutto sembrava scivolare un gradino più in basso nell’inferno.

“Ti decidi a dirmi cosa stai cercando?”

Higure Anghel si voltò con una violenza inaspettata, stringendo tra le mani il libro sbagliato e nello sguardo una luce di frustrazione e di rabbia.

“Cosa cambierebbe se te lo dicessi? Che mi risponderesti che non è reale? Perché mai dovresti capire?!”

Avvertiva tutta la rabbia e il dolore che aveva scatenato, per colpa di un egoismo perfettamente giustificato. Ma non a quel prezzo.

“Non intendevo ferire i tuoi sentimenti..”

La campana suonò di nuovo e Anghel gli voltò le spalle, uscendo dalla finestra. Non lo aveva nemmeno guardato. E a niente serviva la notte sedersi con la schiena contro la parete, chiamando il suo nome come in un canto funebre.

L’angelo gli aveva detto di pronunciare il suo nome qualunque volta avesse avuto bisogno dei suoi servigi e sarebbe volato da lui.

Ma non c’era.

Aveva rotto l’incantesimo, e tutto era tornato alla realtà, una realtà in cui era da solo. E allora capì la ragione delle fantasie di quello che tutti consideravano uno strano ragazzo. Che quel mondo oscuro di cui parlava esistesse o meno non era importante, perché entrambi si erano lasciati trascinare lontano dalla malinconia, dalla solitudine, dalla cattiva stella che li aveva messi al mondo.

Tu non sei di questo mondo. Noi non siamo di questo momento.

Poggiando la fronte alle ginocchia, si chiese a quale mondo appartenesse, e se a questo idilliaca terra promessa appartenesse anche il suo angelo con le ali di carta.

 

I giorni trascorrevano, ed era come fare ogni notte lo stesso incubo.

Entrava, rovistava tra i libri, si disperava, e andava via.

Ogni volta era peggio, ogni volta era più disperato.

Quel giorno, gli mancava l’ultima libreria da ispezionare. Nageki era seduto al solito posto, mandandogli delle brevi occhiate oltre l’orlo del suo libro. Il suo nervosismo lo preoccupava, ma decise di fidarsi di lui. Finché non sentì un tonfo.

Si era buttato sulle ginocchia, esausto.

“Higure…? Higure, va tutto bene?”

Seguì una lunga pausa terrificante.

“Non c’è”

“Scusami..?”

“Non c’è. Non c’è. Il libro di incantesimi proibito. Non è… qui”

Nageki lo guardò apprensivo, avvicinandosi a lui. “Va tutto bene Higure.. non c’è bisogno che tu mi mostri un libro. Io ti credo. Mi fido ciecamente di te, anche sulle cose che non posso vedere”

Si voltò di scatto, mostrandogli un’espressione disperata. “È qui ti dico! Ne sono sicuro! Io so che è qui!”

Il fantasma si avvicinò di un altro passo, allungando le braccia verso di lui per fargli segno di calmarsi. “Ne sono sicuro”

“Mi stai assecondando?”

Si sentì in colpa per quel pensiero, e scosse la testa. “No”

L’angelo si sollevò in piedi, stringendo le labbra. “Troverò quel libro. Lo troverò, e te lo porterò”

Avrebbe voluto gridargli che non aveva bisogno di un libro per credergli. Avrebbe creduto ad ognuna delle sue metafore, ad ogni piccola pagina disegnata, pur di non cedere a quel velenoso senso di colpa, pur di farsi perdonare.

Ma quella disperazione non dava spazio alle scuse.

Il prescelto si lanciò a volo d’angelo dalla finestra così in fretta che sentì solo il sibilo familiare del vento e lo scampanellio echeggiare nella sua testa, una, due, tre, tante volte.

E ogni volta era sempre peggio.

Ogni volta era colpa sua.

 

Era notte.

La notte porta consiglio, così si dice.

O incubi orribili.

Uscito dall’ombra grigia di fumo e cenere delle sue angosce notturne, Nageki decise che l’unica cosa che doveva davvero fare, era fidarsi di quel pazzo che era volato in biblioteca rompendo la finestra.

Afferrò con rabbia la torcia elettrica e cominciò a cercare in giro.

Se il libro di incantesimi non era sugli scaffali era altrove. E lui lo avrebbe trovato. Avrebbe riportato la magia.

A volte si fermava con la schiena contro il muro, osservando la luce della torcia e chiedendosi perché stava volontariamente abbandonando ogni contatto con la realtà. Ma quella realtà non gli piaceva. Stringere tra le dita la torcia elettrica gli tornava in mente il calore del corpo di Anghel addormentato accanto a lui, appoggiato alla sua spalla.

Scosse la testa.

Perdere la coscienza per quella notte non sarebbe stato grave.

In fondo, sono un fantasma. Chi vuoi si curi di me o di dove decido di vivere?

Salì su una sedia, imitando il modo energico di muoversi di Miss Tosaka, anche se le sue gambe tremavano ancora.

Fu in quel momento che lo vide.

In cima ad una libreria. Nascosto dalla polvere.

E non poteva che essere quello.

Puntando la torcia elettrica, Nageki trovò qualcosa

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Capitolo 8
*** L'ultima nota del canto funebre ***


Accarezzando la copertina del quaderno, sorrise delicatamente.

C’era stato un momento della sua permanenza in biblioteca in cui aveva deciso di annotare i giorni, pensieri, lembi di ricordi, pagine senza data che sembravano venute da un’epoca trascorsa, lontana.

Non lo aveva aperto, voleva aspettare il ritorno dell’angelo cremisi. Perché sarebbe tornato. Definitivamente.

Non aveva mai avuto tanta fiducia in qualcosa dacché ricordasse.

E la sensazione che gli scaldava il petto era che quella fiducia non era un salto nel vuoto. Higure Anghel meritava tutta quella fiducia.

 

Il campanello alla finestra suonava molte volte, con sua gran delusione, per il vento, ma quella volta il vento gli aveva portato due ali d’angelo in biblioteca.

Si alzò, guardandolo solennemente. “Higure..”

“So dove trovare il libro d’incantesimi”

“Higure, non serve”

“Sì invece”

“No” gli mostrò il quaderno chiuso in una copertina marrone di cuoio “Sapevo che c’era un antico manufatto in questa biblioteca, e ho cercato insieme a te. E ho trovato questo”

L’angelo si avvicinò a Nageki, osservando l’oggetto tra le sue mani. “Non è… il libro di incantesimi. Non è quello che stavo cercando”

Il fantasma sorrise lievemente, aprendo il quaderno alla prima pagina. “Riconosco la mia calligrafia. Ho scritto io qui dentro. I primi tempi in biblioteca”

“A quando risale questo manufatto?”

Nageki sfogliò le pagine, mostrandogli le x tra le sbarre, in un educato e per niente inquietante xx/xx/xx, simile ad un mazzo di crisantemi che cresce dentro la galera.

“Non so quando l’ho scritto, ma è stato tempo fa. Quando i miei giorni erano tutti uguali e queste croci servivano a ricordarmi che il tempo passava anche per me, anche se non ne facevo più parte”

L’altro lo guardò di sottecchi, indeciso. “E.. adesso?”

“Adesso sono… parte di tutto. Del tempo, della scuola, delle persone.. perché questa biblioteca non è più vuota”

Anghel gli sorrise lentamente. “Non è mai stata vuota. Ci sei sempre stato tu”

Era commovente, per quanto potesse sembrare una semplice constatazione.

Un fantasma non riempie uno spazio. Non ne fa parte, non interagisce col mondo. È una cosa presa da un barattolo e rimessa in quello sbagliato. È un sopramobile che nessuno nota, parte dell’arredo, pur non potendo modificare nulla intorno a sé. Ma lui adesso esisteva. Era parte di quella biblioteca e persone erano venute in biblioteca per lui, non per i libri, non per la finestra aperta che raffreddava l’aria ancora di più. Ed era merito di quell’angelo strampalato, che gli aveva permesso di esistere ancora.

Quella stanza non era vuota.

L’aveva riempita di ricordi, come si riempie una scatola di latta di fogli, giocattoli, e carte di caramelle.

 

Lessero insieme.

Pensandoci attentamente, non aveva mai letto con lui. Aveva letto i manga che lui aveva disegnato, ma più che leggere era un lavoro di decifrazione delle vignette e dei disegni, come un archeologo che studia un’antica stele.

O un messaggio degli alieni.

Era stato così semplice da sembrare un istinto naturale. Nageki leggeva, ad alta voce e senza vergogna, lui girava le pagine. Era un completo mostrarsi all’altro, ma sapeva di potersi fidare ciecamente di lui.

All’ultima pagina, Nageki prese dalla tasca dei pantaloni il disegno che l’angelo scarlatto gli aveva donato e lo infilò nel quaderno, fermandolo con una graffetta.

“Lo lasci qui?”

“Sì”

“Ma i tuoi ricordi non sono stati recuperati”

Nageki accarezzò i bambini sul foglio di carta, lasciando che le dita scorressero sui visi di tutti loro. “Mi sento ancora incompleto, ma riempirò questo vuoto. E allora mi sentirò più vicino a tutti loro.”

Anghel lo guardò negli occhi, e annuì dopo una breve esitazione. “Questa è la tua decisione, astrologo”

“Volevo chiederti scusa” aggiunse Nageki, in fretta. Lui lo guardò con un’espressione così confusa da fargli tenerezza. “Mi riferisco a quello che ti ho detto l’altra volta. Non lo pensavo per davvero, e mi dispiace averti sconvolto. La mia mancanza di delicatezza nei tuoi confronti è imperdonabile. Spero che tu possa scusarmi”

La pausa di silenzio che ci fu tra loro quasi lo spaventò. Poi, enigmaticamente, Anghel sorrise e poggiò la mano sulla sua. “Alleati?”

Nageki sistemò il palmo sul suo, facendo combaciare le loro mani, e guardando oltre le loro dita, sussurrò “Amici”

Rimasero per breve tempo in silenzio, come se non ci fosse null’altro da aggiungere. Il calore della sua mano bastava per entrambi, il suo spirito, la sua energia, erano sufficienti.

“C’è ancora una cosa che mi chiedo”

“Poni la tua domanda, Textoris Melodia Funeris”

“Se non apparteniamo a questo mondo… se questo non è il vero mondo… allora dov’è? Com’è il vero mondo?”

Il silenzio che si alzò tra loro gli fece capire molte cose. Avrebbero potuto cercare la terra promessa su tutto il globo, e oltre, ma ci sarebbe sempre stato altro da vedere, da trovare. E nelle sue condizioni, la lista delle terre da esplorare veniva drasticamente ridotta.

Forse un mondo vero non c’era. Non per loro. Non per un fantasma e per un angelo caduto. Loro stessi venivano dallo stesso barattolo delle cose non vere.

Ma quel momento era vero. E nessuno avrebbe potuto negarlo.

Le loro mani erano vere, i loro sguardi, il fatto che erano lì, in quel luogo, in quel momento.

Quello, era tutto vero.

 

 

 

 

Alla fine, credo che i tempi non fossero ancora maturi.

Ma lo saranno. Un giorno.

Fino ad allora, i miei sogni non potranno più spaventarmi.

Ho fatto una scelta. E credo che anche             ne sarebbe fiero.     

 

 

 

 

 

 

 

Fanfic dedicata a Phrancesca, probabilmente l’unica lettrice e sostenitrice dei miei deliri.

Mi sono strafatta di citazionismo scrivendo questa fanfic, ma dopotutto Nageki vive in una biblioteca.

Gli spazi vuoti non sono errori dell’html; Miyazawa li usava come censura. Chissà cosa ho censurato, ops.

Il titolo è stato ispirato senza volerlo da Lana del Rey. Grazie.

E grazie per averla letta. 

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