Halfblood-Shinigami-Alchemist- what else?

di FrancyBorsari99
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Amber ***
Capitolo 2: *** Non più soli ***
Capitolo 3: *** Odio e passato ***
Capitolo 4: *** Magia nel sangue ***
Capitolo 5: *** Ali di cenere e occhi di morte ***
Capitolo 6: *** Lavoro di squadra ***
Capitolo 7: *** Il Re degli Shinigami ***
Capitolo 8: *** ti ama e nemmeno te ne accrogi ***
Capitolo 9: *** Complotto ***
Capitolo 10: *** il piano degli Dei ***
Capitolo 11: *** Rivelazione ***
Capitolo 12: *** La caccia alla bandiera ***
Capitolo 13: *** Ritorno a Ogygia ***
Capitolo 14: *** Lo Shinigami e la reclusa ***
Capitolo 15: *** lavoro sul campo ***
Capitolo 16: *** Libertà ***



Capitolo 1
*** Amber ***


Amber non sa cosa pensare sul mondo degli umani: caotico? Assolutamente sì.

Pericoloso? Be', dipende. Se sei uno Shinigami i posti pericolosi per te sono davvero pochi.

Ma se sei un Mezzo Shinigami? Allora le cose si complicano.

E se, tanto per rincarare la dose, fossi in parte Dio della Morte e in parte Umana?

Okay, avrebbe dovuto annotare da qualche parte che tipo di fiori voleva per la sua tomba.

Dalla cima del palazzo su cui si trova abbraccia New York con lo sguardo, e ne è a dir poco affascinata. Alte torri di vetro le cui punte solleticavano le nuvole che scorrevano placide supra alla sua testa e macchine gialle che sfrecciano in un fitto dedalo di strade. Il suono di tutti quei motori in simultanea produce un ruggito assordante che copre quasi il rumore dei suoi pensieri contrastanti.

Stringe il pugno sull'antenna parabolica a cui si è aggrappata e si sporge appena.

L'asfalto nero è lontano, e il sibilo del vento è allettante, la chiama con sospiri suadenti.

Appena un molleggio di ginocchia e si lancia nel vuoto.

L'aria ghiacciata le si infila sotto il colletto della maglia, fra i capelli, le sferza la faccia con violenti frustate, ma quel senso di libertà le piace e si lascia possedere, allargando le braccia come invitando la corrente ad accanirsi anche su di esse.

Qualche metro prima di sfracellarsi in mezzo al traffico, le ali le si aprono sulla schiena, e con un violento cambio di direzione la riportano in quota.

Volteggia lungo le pareti a specchio verticali dei palazzi argentati poi si allontana, lasciandosi Manhattan alle spalle e dirigendosi verso Long Island, dove sotto di lei si aprono valli e spazi verdeggianti.

Controllò che il Death Note fosse al suo posto, custodito nella borsa di cuoio a tracolla, e con un'ultima spinta d'ali, aumentò la velocità.

 

Un pino alto e maestoso monta di guardia in coma alla collina, irradiando una magia potente che può respingere qualsiasi mostro, Amber la percepisce molto chiaramente.

Non ha nessuna voglia di frequentare quel posto. Gli dei non hanno saputo cosa farsene di lei, gli Shinigami le stanno ostinatamente alla larga neanche porti la peste, rinnegando il suo essere Dea della Morte, quindi figurarsi se gli uomini vogliono avere a che fare con lei.

D'altronde, non ha molte alternative, quella è la sua ultima chance. Deve assolutamente fare un tentativo.

Prima di varcare la soglia si accerta di essere presentabile nonostante il suo aspetto sia quasi umano, dandosi un'occhiata nello specchietto che ha nella borsa,: occhi neri come la pece e una scompigliatissima zazzera bianca stile punk, ogni centimetro di pelle esposta ricoperta da piccole macchioline marroni. L'unico tratto del suo aspetto che sia riconducibile a un Dio sterminatore sono i lampi rossi che le attraversano le iridi quando sopraggiunge la sua vena omicida e quando si arrabbia, oltre alle ali e alle punte ossee e membranose dietro ai gomiti. Sì, abbastanza spaventosa, e già la presenza del Quaderno al suo fianco emette essenza di morte e pericolo che chiunque preferirebbe evitare.

Getta un'ultimissima occhiata alle sue spalle.

Non dovrei essere qui. Nemmeno questo è il posto per me. Quel fugace pensiero fa sembrare il Pino molto più alti di quanto non sia già. Allora non esiste un posto per lei. Non è umana. Non è Shinigami. È quello che tutti chiamano Mezzosangue.

Non ho scelta.

E fa un passo avanti.

 

È come essersi tolti un peso dallo stomaco. Si sente inspiegabilmente sollevata, forse perché la barriera avrebbe dovuto respingerla, o forse perché si è davvero decisa a rivoluzionare definitivamente la sua vita.

È il primo di luglio e fa un caldo infernale.

Ha troppa paura per lasciare andare il quaderno, così stringe un bordo fra le dita e si precipita giù per la collina, dove il luogo che un sacco di volte ha visto dal mondo degli Shinigami si apre sotto di lei. Un semicerchio di casette circondano uno spiazzo ampio dove alcuni ragazzi passeggiano tranquillamente, mentre verso il lago e nel circondario molti altri sono intenti nell'attività fisica pomeridiana. Mano mano che si avvicina allo spiazzo centrale, un sacco di persone si fermano per osservarla, facendo notare la sua presenza a coloro che ancora non sanno che è arrivata.

Si avvicina alla casa più grande, color cielo e con un portico ampio, sentendosi a disagio per le decine di occhi che ha puntati addosso come zanzare fastidiose. Vorrebbe schiacciarle.

Sbatte le ali energicamente con fare stizzito, la pelle dura ed inscalfibile che si stende e comprime producendo un suono intimidatorio, e le persone che fanno per venirle incontro si bloccano improvvisamente e arretrano spaventate.

Il suo essere incompleta fa sì che la gente possa vederla normalmente. Un'altra limitazione causata dal suo sangue misto.

Le fissa tutte riducendo gli occhi a fessure, cosa che sembra minacciarli ancora di più.

– I mostri non possono entrare... – dice qualcuno.

–... Magari non è un mostro...

– …già, la barriera l'avrebbe respinta...

– Ma non la vedete?! Chiamate Chirone!

– Ma che cavolo è ?!

Amber riduce gli occhi a fessure e si costringe a rilassarsi. Di offese ne ha ricevute un sacco nel corso della vita, e non è lì per riceverne altre. Istintivamente la mano si aggrappa al cinturino della borsa a tracolla, pronta ad estrarne la sua arma se necessario.

Un rumore di zoccoli contro il legno la distrae: Chirone la sovrasta a cinque metri da lei, in piedi sotto il portico. Non sembra stupito nel vederla, e nemmeno sconcertato, a dire il vero. Invece, ha un'espressione magnanima e gioviale, che le scalda subito i cuore, che la fa sentire quasi a casa. Nessuno le ha mai rivolto un sorriso così.

– Benvenuta! – le sue braccia si aprono in un gesto d'accoglienza fraterna.

Ovvio, sapevano già che stavi arrivando. Hanno un oracolo, ricordi? La voce doveva essere rimasta fra i pezzi grossi del campo, perché gli altri sembravano davvero esterrefatti, troppo anche per chi ha già ricevuto la notizia del suo arrivo.

Scende con un balzo dal portico e le si avvicina, appoggiandole una mano sulla spalla come se si conoscessero da secoli.

– Eroi, siate gentili con lei, ne ha passate davvero tante! – ride. – E badate, se le fate perdere la pazienza potrebbe essere l'ultima cosa che fate! – ride di nuovo, come se un potere del genere lo divertisse invece che spaventarlo.

– Il suo nome è Amber Jackey, e sarà la nostra nuova compagna.

Amber aveva già visto un sacco di cose di quel campo, ma il comportamento di Chirone rivolto direttamente a lei le ricorda l'accoglienza di un Hippie a capo di una congrega di pacifisti vegani.

Quel pensiero la fa quasi sorridere.

Da un'impercettibile alzata agli angoli della bocca, cercando di sembrare un tantino amichevole.

I presenti si lanciano occhiate nervose, poi salutano con la mano.

Amber nota che la maggior parte di loro indossa una maglietta arancione con la scritta “Campo Mezzosangue”. Istintivamente abbassa lo sguardo sui suoi vestiti: anfibi neri con i lacci rossi, pantaloncini corti e un po' strappati, maglietta nera con bordi pieni di smagliature e sfilacciati. Senza contare le due borse a tracolla, una in cui tiene il Quaderno e qualche effetto personale, e l'altra, decisamente più pesante, contenente campionari di diversi tipi di metallo, che possono sempre tornare utili.

– Hazel, se non ti dispiace, vorrei che facessi fare alla nostra nuova amica un giretto. –

una ragazza sui quattordici anni dalla carnagione scura, gli occhi d'ambra ed i crespi capelli color cioccolato si fa avanti, con un sorriso incoraggiante stampato sul volto.

– Apprezzo il gesto, – Amber si stupisce di essere ancora in grado di parlare, da quanto tempo è passato senza che potesse farlo con qualcuno – ma non è necessario. Ho tenuto d'occhio questo posto per un po', e so già orientarmi. – brusii concitati serpeggiano nella folla.

– Suvvia, Jackey, non vorrai mica deludere Chirone e il Signor D, vero? – la voce beffarda si alza dal gruppo, e una ragazza vestita alla militare si fa avanti sgominando la folla.

Amber legge il suo nome. Clarisse la Rue.

Sa già chi è anche senza vederglielo scritto in faccia. L'ha vista in azione un bel po' di volte, e prova l'immediato desiderio di starle alla larga.

– Non è nelle mie intenzioni. Mi pare inutile sprecare tempo, tutto qui. – dice Amber, azzardando a un sorrisetto ironico.

La ragazza ride. – Divino Ares, non mi dai l'idea di una persona che si ritrova molto da fare! –

quali sono le sue intenzioni? Può essere perfettamente nella sua natura sfidare le persone a quel modo, ma la mossa può anche essere calcolata. Che piani hanno Dioniso e il centauro? Vogliono farmi uscire allo scoperto?

Ha tenuto d'occhio quelle persone per abbastanza tempo da conoscere anche solo parzialmente i loro piani. Lei stessa sa di essere una buona arma in caso di altre guerre. Del resto, può essere comodo avere uno Shinigami al proprio fianco in situazioni simili.

Amber è abituata alle prese in giro. Non le fanno pi né caldo né freddo.

– Quello che pensi tu di me non è affare che mi riguarda, La Rue. – Clarisse sembra strozzarsi con la sua stessa saliva.

– Come fai a sapere il mio cognome?! – più che spaventata sembra scioccata.

– Ci sono molte cose che quelli come me sanno fare, Clarisse. –

la folla intorno a loro scoppia in esclamazioni e fiati mozzati per lo stupore. L'unico che non si scompone minimamente è Chirone, che osserva la scena divertito.

Tutto secondo i piani, eh? Amber sa che è così.

– Andiamo, svegliati. – esordisce, ormai ci ha ripreso gusto a parlare con le persone. – poco fa ho detto che ho osservato questo campo abbastanza a lungo da conoscerne ogni itinerario. Come non potrei sapere il nome della più valente figlia della Guerra? Onestamente, ci fai o ci sei? –

le orecchie di Clarisse cominciano a fumare. Qualcuno fra i presenti ride o annuisce in assenso, mentre un ragazzo fischia divertito fiutando una sfida all'orizzonte.

La ragazza sembra essere sopraffatta dalla collera, e per così poco! Amber si concede una risata di scherno. Ha sempre detestato i bulli. Ovunque era stata aveva desiderato che quel genere di persone provassero la stessa sofferenza che le loro vittime sopportavano a causa loro.

E Chirone? Quel vecchio centauro vuole farla uscire allo scoperto? Molto bene.

– Mi stai sfidando o cosa?! – la voce della figlia di Ares trema.

– Non saprei, tu che ne dici? – lo Shinigami porta la mano alla seconda borsa, pronta a slacciare l'elastico che la tiene chiusa.

È allora che Clarisse parte all'attacco, sguainando la spada e roteandola agilmente nella sua direzione. Il pubblico trattiene il fiato, qualcuno urla per la paura, altri per l'incitamento, ma Amber non li sente. Vede solo l'avversaria e la sua falcata decisa, il movimento delle dita lungo l'elsa, i muscoli contratti per la smania di colpire e la lama che si alza fischiando, pronta per calare su di lei.

Eppure lei resta perfettamente immobile. Non si muove, non lascia trapelare alcuna emozione, fissa un punto indefinito davanti a sé.

Ecco, la spada si sta abbassando per colpirla in faccia di piatto, nella sua inesorabile discesa.

Vede tutto con la coda dell'occhio, in un attimo fugace il suo riflesso compare sul metallo lucido e la sua mente reagisce improvvisamente. Con sommo stupore di tutti i presenti, Chirone incluso, nel momento in cui avrebbe dovuto colpirle la tempia, la lama si frantuma con fragore, schegge acuminate che piovono tutt'intorno e l'elsa che schizza via dalla mano di Clarisse.

Nell'arco di tempo in cui tutto è accaduto, i suoi occhi non si sono mossi, la sua espressione è rimasta la stessa, impassibile di sempre, non ha mai spostato lo sguardo da qual punto assente ed invisibile nel vuoto di fronte a lei.

Clarise è pietrificata al suo posto.

Amber sembra riscuotersi un momento. Allunga la mano di fronte a sé e i pezzi di metallo ai suoi piedi cominciano a tremare violentemente, saltellando sul posto. La figlia di Ares scatta all'indietro spaventata, imprecando in greco antico e inciampando nei suoi stessi piedi, guadagnandoci una figura poco dignitosa.

Le schegge brillano al sole, e ben presto divengono frutto dell'attenzione generale, quando improvvisamente una dopo l'altra sembrano sciogliersi in piccole goccioline di materia argentata e riunendosi tutte in un unico punto. La macchia addensatasi cresce verticalmente, piccoli rivoli scintillanti serpeggiano a spirale lungo un profilo piatto e largo. Amber stringe le dita a pugno, la testa pulsa forte ma ora che ha iniziato deve assolutamente finire.

Ricordati, pensa, come diceva la mamma: cambia ciò che è malevolo in qualcos'altro di benevolo. Stringe le palpebre per lo sforzo. Quando apre gli occhi, la spada si è completamente riformata, ma stavolta non è di bronzo, bensì d'oro.

Un coro di “Oooh” si alza dagli spettatori e qualcuno applaudisce entusiasta. Amber è un po' disorientata, la sua capacità di trasmutare la materia senza alcun processo chimico o fisico non era mai stato visto di buon occhio dagli altri Alchimisti. Osserva il suo lavoro soddisfatta. Fa per muovere qualche passo, ma la magia appena compiuta l'ha indebolita, avrebbe dovuto saperlo benissimo, e invece cade in avanti, il contenuto delle due borse si sparpaglia in giro: piombi di materiali differenti, attrezzi e via dicendo. Resta qualche secondo a terra, la testa gira vorticosamente, ma riesce a rialzarsi e raccoglie la sua roba, poi si dirige verso la figlia di Ares e le porge la spada. Questa arretra come se volesse ucciderla.

– Grazie dell'accoglienza. – Amber decide su due piedi che non vuole più vederla, le caccia l'elsa nella mano con fare seccato e si volta.

– Se a Hazel non dispiace, un giretto lo faccio volentieri. – la ragazza sbuca dalla folla non appena sente il suo nome e le corre al fianco con un sorriso enorme stampato sul volto, facendole strada verso i campi da allenamento.

– Sai, – le dice, ammiccando amichevolmente. – Noi due ci somigliamo. –

Lo Shinigami avrebbe voluto saper interpretare le parole, o almeno chiederle spiegazioni, ma improvvisamente avvertì una sensazioni di vuoto asmatico nel cuore, che solo una volta aveva provato, e che la lasciava spiazzata e a corto d'aria.

– Ehi, Full Metal Alchemist* !! – la voce è allegra e viene da dietro, Amber sente passi veloci che smuovono la ghiaia. Quella sorta di avvertimento che prova la molla dalla sua stretta. Si gira, e subito desidera non averlo fatto.

Il suo Quderno.

È un ragazzo non molto alto e di carnagione abbronzata da ispanico, occhiali da saldatore che tirano indietro i ricci castani e ribelli, sorriso un po' da pazzoide e occhi scuri.

Ha in mano il suo quaderno.

Amber cerca di darsi un contegno, ma lo fissa solo con uno sguardo di sfida. Gli legge il nome.

– Congratulazioni, Leo Valdez. Da oggi sei il nuovo proprietario del Death Note dello Shinigami Amber. –

 

 

 

*Full Metal Alchemist è un Anime

 

Angolo Autrice:

voilà il primo capitolo!!! lo so, lì per lì l'idea di combinare queste due cose sembrava folle anche a me, poi però ho pensato che, unendo un anime epico a una saga epica, il risultato non sarebbe stato male, e inoltre il fatto che Amber sia un alchimista l'avevo in mente sin da subito...

che dire, spero vi piaccia e vorrei tanto che lasciaste una recensione, grazie della lettura :3

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Capitolo 2
*** Non più soli ***


LEO

 

Le prime parole che quella ragazza mi rivolge mi lasciano piuttosto perplesso. Sono il proprietario di un Death Note, ho capito bene? Il nome non promette assai nulla di buono, e sin da quando mia madre morì giurai a me stesso che delle morti ne avevo avuto abbastanza. Siamo sopravvissuti tutti (o quasi) alle recenti imprese, e fino a qualche mese fa credevo che avrei avuto una vita un po' meno caotica.

Dei, quanto mi sbagliavo a quei tempi.

Noi sette dell'ultima profezia eravamo stati messi al corrente da Rachel che un mostro potente stava arrivando, e mi aspettavo qualcosa dotato di quoziente intellettivo piuttosto basso con l'unico ed irrazionale intento di fare di noi il suo spuntino pomeridiano.

Non certo una ragazza stra-carina.

Okay, lo ammetto, lì per lì ci sono rimasto un po' male, non ha mai visto altri mostri se non ciclopi con crisi di iper protettività materna e giganti affetti da sadismo cronico, e mi sarebbe piaciuto vedere qualcosa di differente una volta tanto.

Ma quegli occhi neri e profondi, quei capelli bianchi, quello sguardo imperscrutabile hanno uno strano fascino. Non mi dispiacerebbe essere suo amico.

E a sentire lei, avrei dovuto starle incollato, o meglio, lei avrebbe dovuto stare incollata a me.

 

– Congratulazioni, Leo Valdez. Da oggi sei il nuovo proprietario del Death Note dello Shinigami Amber. – suona come una condanna al patibolo.

Inclino la testa di lato, non riesco ad interpretare le sue parole, e i nostri occhi si incontrano.

Lo sguardo di Hazel saetta da lei a me e viceversa, e sono tentato dal chiederle di smetterla.

– Ehm... Fico. Cosa vuol dire? –

fa roteare le pupille con stizza e le sue ali hanno un fremito nervoso.

– Vuol dire che da oggi in poi quel quaderno è tuo, e potrai farci quello che ti pare. –

Abbasso lo sguardo sull'oggetto fra le mie mani: un comunissimo quadernone a righe con la copertina nera e la scritta Death Note. Istintivamente lo apro, e quando leggo ciò che c'è scritto sopra mi pento subito di averlo fatto.

1. L'umano il cui nome sarà scritto su questo quaderno...

Sento come se il mondo mi stesse crollando addosso, e giuro che non è una bella sensazione.

...Morirà.

– Stai scherzando, vero? – lei mi fissa con divertimento sadico, come se le piacesse il mio sgomento.

Be', a me piace lei, direi che la cosa funzioni, no? Okay, no.

– Per sincerartene perché non lo provi? – c'è tono di sfida nella sua voce.

Subito sono tentato di farlo, un quaderno non può uccidere così, su due piedi.

E se morisse davvero? Mi farei carico della morte di una persona. Se volessi tentare seriamente, dovrei provare con qualcuno la cui morte andrebbe a vantaggio comune... ma sarebbe comunque omicidio.

– Grazie, ma no, grazie. – dico, facendo scorrere gli occhi sulle parole. Quest'affare deve essere incantato, la dislessia non mi impedisce di leggere.

2. Affinché il quaderno abbia effetto, occorre avere in mente il volto della vittima designata, per evitare di colpire eventuali omonimi.

3. Se entro 40 secondi dopo aver scritto il nome si specificano anche le cause della morte, questa avverrà nella maniera stabilita, ma entro i limiti fisici e spaziali della vittima (che lo Shinigami non è tenuto a sapere).

4. Dopo aver scritto Nome e Cause della morte, si hanno 6 minuti e 40 secondi per aggiungere dettagli sulle condizioni della stessa.

5. se non viene specificata la causa, le vittime moriranno per arresto cardiaco.

6. Dopo la morte, vi è il Mu (Nulla)

 

Okay, questa cosa mi fa davvero paura. Il modo in cui Amber mi fissa, gustandosi quel vago senso di terrore che mi gela le viscere, mi fa capire che è una cosa seria. E devo starci attento.

– Sono obbligato ad usarlo? – chiedo, chiudendo il quaderno.

– Ovviamente no, e se ci tieni alla tua sanità mentale non lo farei. Anche io lo uso solo se strettamente necessario. –

la notizia mi toglie un peso dallo stomaco. Quindi mi basterebbe chiuderlo in una cassaforte d'oro imperiale e sigillarla con quanti più codici mi vengano in mente, per essere sicuro che non faccia del male a nessuno.

Se è anche vero che se qualcuno me lo rubasse, o se lo smarrissi, ne perderei la proprietà, come dice l'ultima regola, finirebbe sicuramente nelle mani sbagliate. Per un attimo ho la fugace immagine di quello spaventapasseri di Octavian che scrive il nome di Jason solo per poter diventare pretore di Nuova Roma mi attraversa la mente. Scaccio quel pensiero con un fremito della testa.

– Oh, bene! – fingo di non essere spaventato o preoccupato e lo infilo nella tasca laterale della cintura degli attrezzi.

Mi volto e faccio per andare nel Bunker Nove, dove sono certo di poter pensare senza avere nessuno fra i piedi, quando sento dei passi al mio fianco e qualcosa che tocca il mio gomito.

È lei.

Faccio un balzo di lato per la sorpresa. – Cosa c'è?! – non mi contengo e quasi urlo.

Lei ridacchia fra sé e sé. – Spiacente, ma dal momento che sei il proprietario del mio quaderno, sono costretta a seguirti ovunque tu vada. –

– Che?!?! –

– è la tredicesima regola.

Ficco la mano nella tasca ed estraggo il quaderno. È vero. Ha ragione.

Non sono del tutto sicuro di volere questa presenza demoniaca al mio fianco fino alla morte, ma credo di avere ben poche alternative, o dovrò correre il rischio che sia Octavian a trovare il quaderno. O qualcuno di peggio, che preferisco non immaginare.

Ripongo il Death Note al suo posto.

– Posso andare in bagno da solo, almeno?

– In cambio mi dai delle mele.

– Ehm... se ci tieni... – faccio spallucce e cerco di riprendere il mio solito carattere ironico, proponendole di farle visitare il Bunker 9.

– Se fai la brava e non mi uccidi ti mostro anche la mia trireme.

 

 

Fisso soddisfatto la sua bocca spalancata per l'ammirazione quando le faccio fare il tour

dell'Argo II.

È già da un po' che chiacchieriamo, e si è inaspettatamente rivelata una presenza piacevole.

All'inizio era piuttosto restia a parlare, ma quando si confida un po' capisco qual'è il motivo di tale titubanza: nessuno la vuole, tutto qui, e non ha mai avuto qualcuno con cui aprirsi. Caspita, devo starle proprio simpatico! Un punto a favore per il Team Leo.

Sembra apprezzare il mio incoraggiamento e la mia ironia, e riesco addirittura a farla rorridere con una battuta.

Mi racconta che suo padre si era innamorato perdutamente di una mortale a capo di una setta segreta di alchimisti, e lei è nata prima che lui si sacrificasse per sua madre (della morte non ha fatto altro che cenno, ma preferisco non indagare ulteriormente: sembra che la cosa la turbi). Per molti anni aveva vissuto con sua madre, poi la società segreta l'aveva bandita per la sua capacità, aumentata dalla parte divina, di trasmutare la materia in qualsiasi altra semplicemente fissandola.

– Un potere simile era considerato una maledizione anche in una congrega di fanatici della Pietra Filosofale. Inoltre, il fatto che avessi le ali li metteva tremendamente a disagio, e quando mia madre morì mi cacciarono. Nemmeno nel mondo degli Shinigami ero ben voluta: io odiavo loro, e loro odiavano me. Ero considerata un aborto di natura, uno scarto indegno di essere chiamato Dio della Morte. – conclude.

Sospira fissandosi i lacci rossi degli anfibi, e le leggo una sensazione orribile negli occhi, quel senso di solitudine che grava anche sul mio petto da un sacco di tempo.

– Mi hanno sempre fatta sentire come una nullità, e si erano lamentati con il Vecchio perché mi era stato dato un Quaderno. Ovviamente lui non volle sentire ragioni e, nonostante anche per lui fossi la vergogna del nostro mondo, me lo lasciò tenere. –

Si siede al tavolo nell'angolo dell'officina, premendosi le dita sulle tempie.

Un bullone di fianco alla sua mano si solleva lentamente e volteggia intorno alla sua testa.

– Il metallo è l'elemento che mi è più facile utilizzare. – dice, sorridendo tristemente, e il bullone vola nella mia mano, lo sento tremare e scaldarsi, fino a diventare rosso e rovente.

Non sembra stupita dal mio essere completamente a prova di fuoco e calore e gli angoli della sua bocca si incurvano leggermente.

Lo stringo nel pugno, la polpa fumante chiusa fra le mie dita si modella e quando le riapro è diventato un anellino a spirale di bronzo celeste. Me lo rigiro fra i polpastrelli. È ancora caldo, e tenerlo mi da una strana sensazione, come se celasse un significato importante ed ineluttabile. Cos'è, un simbolo di fiducia? Spero di sì, avere qualcuno che sta come me la maggior parte del tempo mi farebbe sentire meno solo.

Metto l'anello nella tasca della cintura e alzo lo sguardo su di lei, che ha abbassato la testa sulle ginocchia.

Mi dispiace vederla così affranta, e mi avvicino. Allungo la mano, sento come una scarica di corrente elettrica (mi accerto che Jason non sia nei paraggi) che mi attraversa il braccio, lo stomaco un po' aggrovigliato. Le appoggio il palmo sulla spalla. Lei tira su la testa di scatto, un po' stupita, ma lascia che stringa la presa come a rassicurarla e mi sorride mestamente. Solo in quel momento realizzo quanti sembri innocua con in suo viso un po' infantile e le sue migliaia di lentiggini, i suoi ciuffi bianchi e i suoi occhi grandi e profondi. Quel suo sguardo poi è una cosa irresistibile, implorante d'amore e allo stesso tempo inscalfibile ed imperscrutabile, deciso a lasciare tutto quanto sul fondo di quei pozzi neri. Conosco così bene quello sguardo perché è molto simile al mio.

Mi viene voglia di abbracciarla, la scintilla che un po' brilla all'angolo dell'iride la fa sembrare ancora più desiderosa d'affetto.

– Credimi, so come ci si sente. – e attacco a raccontare la mia storia.

 

 

Amber mi piace, realizzo. Mi piace moltissimo.

Mi intendo alla perfezione con le e, benché il nostro rapporto sia appena nato, sento che funziona bene come una macchina ben oliata.

Devo stare attento, però.

Tanto per cominciare ho a che fare con un mezzo dio della morte e mezzo alchimista in grado di cambiare i materiali a suo piacimento (se decidesse di trasformare le mie viscere in un tubo per annaffiare sarei nei guai), ma anche perché ogni volta che la guardo e realizzo che la sua compagnia è un dono per me, sento il senso di colpa che mi impossessa e mi fa ghiacciare il sangue nelle vene, impedisce la circolazione nel cuore, l'ossigeno non arriva al cervello e vorrei solo svenire e non svegliarmi mai più.

Certo, Amber mi scalda dentro per quanto fredda come la morte possa essere (nota per il futuro: scoprire un'eventuale parentela fra lei e Di Angelo), ma il vuoto non si sta davvero colmando. Non come desidero.

Perché quella frase rimbomba ancora nelle mie orecchie:

 

Tornerò per te,

Calypso.

Lo giuro sul fiume Stige.

 

 

 

Spazio Autrice:

Ehi, gente, che ve ne pare???? Stavolta ho voluto raccontare dal punto di vista di Leo, che ve ne pare?

solita richiesta, piccola recensione fa di me una scrittrice sicura e contenta <3

seriamente, spero vi piaccia!!!!!!!

 

 

 

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Capitolo 3
*** Odio e passato ***


 Amber ha parecchie difficoltà ad andare d'accordo con i fratelli di Leo.

Ha passato la prima settimana in una stanza della Casa Grande, ma il Vecchio l'ha contattata apposta per dirle che deve tenere sotto controllo il proprietario, e deve stargli appiccicato come una cozza. Il problema è che gli altri non ne vogliono sapere di lasciarla entrare nella cabina, con la scusa che sarebbe una grave offesa nei confronti di Efesto.

– Potreste anche avere ragione. –

– Già, proprio così! – sbotta Nyssa con arroganza, alzando gli occhi al cielo.

– Ma si da il caso che non me ne importi un fico secco. – conclude lo Shinigami, esibendo un sorrisetto beffardo. Nyssa apre la bocca indignata, e asta per ribattere, ma Amber è brava a bloccarla:

– Il mio essere Dio della morte non ha nulla a che fare con le divinità dell'Olimpo. Pertanto non sono costretta a rispettare le loro regole, ma devo tenere conto delle mie, e il tredicesimo punto del Death Note di Leo Valdez è molto chiaro al riguardo: fino alla sua morte, o al suo eventuale cedimento del Quaderno, io devo seguirlo, e posso allontanarmi solo se strettamente necessario. –

I ragazzi sembrano voler replicare, ma non trovano altri argomenti, e se ne stanno zitti fissandola in cagnesco.

Uno di loro particolarmente grosso si fa avanti facendo roteare nella mano un grosso martello, come a darsi aria dura e minacciosa, sperando di farle cambiare idea. Se lo batte ripetutamente nel palmo calloso, il suono riecheggia nel silenzio carico di sfida.

Amber fa forza con la mente, fissa il blocco di metallo gelido e pesante, e questo cambia colore, diventando argenteo e riflettente, per poi sciogliendosi in una macchia rotonda di mercurio sul pavimento.

Trattengono tutti il fiato e scartano all'indietro.

Solo Leo si avvicina con la bocca spalancata e gli occhi brillanti per l'emozione.

– Devi assolutamente spiegarmi come fai.

– Contaci. – Rispose lo Shinigami.

Ormai non lo può più negare, specie a sé stessa: quel Leo ha qualcosa che la affascina.

L'ha vista, la malinconia, in fondo ai suoi occhi, e si chiede perché la celi con tanta ostinazione con l'ironia e le battutine. Lei non ne sarebbe capace, non con tanta bravura nella finzione.

– Mettetevi d'accordo con Valdez. – commenta, con più acidità del dovuto, ed esce sbattendo la porta della cabina nove.

 

 

Appena fuori una vocina nella sua testa le suggerisce di tornare dentro per tentare di contrattare, ma Amber non ne ha nessuna voglia, e si avvia con passo spedito verso il lago.

L'acqua forma uno specchio che riflette il cielo terso e le cime degli alberi che, affacciandosi sul bordo, sembrano fare da cornice. È un bel panorama, la ragazza vorrebbe solo essere di buon umore per poterselo godere.

Si siede sulla riva e fissa distrattamente la superficie piatta.

Non è quello che vorrebbe accadesse in quel momento, ma una piena di ricordi la assale.

È come se le immagini prendessero vita sfasatamente sul pelo dell'acqua, e si ripetessero tremolando lievemente.

Amber è paralizzata.

Il viso di un ragazzino, un sorrisone smagliante, ali nere e fragili non ancora pronte per il volo, ma desiderose di gonfiarsi sotto la spinta piacevole dell'aria, lo sciabordio dell'acqua e una risata... prima dell'incubo.

Le grida di divertimento si trasformano in urli di terrore ed implorazioni di aiuto, la voce si fa sempre più flebile, inesistente, lontana...

Amber si lascia travolgere, il ricordo è sempre più nitido.

Urla, si porta le mani agli occhi, il suo nome le prorompe dalla bocca.

AMBER! – Lo Shinigami si riprende all'improvviso, e sente l'aria sferzarle la faccia; un viso preoccupato entra nel suo campo visivo, poi un altro e un altro ancora.

Il primo è quello di Leo. Anche se ha la vista sfocata dalle lacrime, i suoi ricci scuri sono facilmente riconoscibili. È terrorizzato quasi quanto lei, del resto vederla in preda a una visione non deve essere un bello spettacolo.

– Amber?! Stai bene? – quando realizza che è sana e salva sembra rilassarsi, e le allenta la presa sulle spalle. La ragazza ha ancora il respiro affannoso e irregolare, il cambio di realtà le ha fatto avere un capogiro, il suo cuore lanciato al galoppo sembra volerle sfondare la gabbia toracica.

– S-sì... Adesso sì. – riesce ad articolare, tra un singulto e l'altro. – Solo i ricordi. –

il viso di Leo si rilassa completamente e accenna ad un sorriso.

– Ce la fai ad alzarti? –

– Credo di sì. –

Amber alza lo sguardo sopra alla spalla dell'amico, e anche senza leggere il nome, capisce subito chi ha davanti: la ragazza è Hazel, l'altro è Percy Jackson.

Di gran lunga, l'ultima persona che voleva vedere, che per tutta la settimana ha accuratamente ed ostinatamente evitato.

– Stavo per fare una nuotata quando ti ho vista, così ho chiamato Leo, che ti stava cercando, e Hazel era con lui... ti abbiamo trovata così. – dice, dandole una mano a issarsi sulle sue gambe.

Fa per prenderla all'altezza del gomito, ma Amber scarta via e si allontana.

Sente ancora le lacrime pungere gli occhi, e non ha nessuna intenzione di mettersi a piangere.

“Gli dei della morte non piangono. Ah, giusto, tu non sei uno Shinigami, dimenticavo.” ecco, cosa erano soliti dirle i suoi simili.

– Già, – conferma Hazel, un po' stupita da quella reazione. – se non fosse stato per lui... be'... posso solo dirti che so bene cosa si prova. –

– Nessuno ha chiesto il suo aiuto. – ringhia Amber, dandogli le spalle e avviandosi dalla parte opposta.

Leo la chiama, ma lei aumenta il passo e si dirige nell'unico posto che conosce e in cui si è sentita a suo agio per la prima volta.

 

 

Il Bunker 9 è molto silenzioso, solo una delle sfere di Archimede riempe lo spazio di sottili clangori, illuminandosi di tanto in tanto e galleggiando placidamente a qualche centimetro dal tavolo di lavoro.

Amber si è rannicchiata in un angolino e stringe le ginocchia al petto, le ali la circondano proteggendola come un muro e trattenendo il calore del suo respiro all'interno.

Quel posto le piace. Sembra quasi una via di mezzo tra il mondo umano e quello degli Shinigami.

E poi c'è il Mu, in cui è stata solo una volta per cercare di riportare indietro Seb. E all'inizio la cosa aveva anche funzionato, poi però il vecchio si era accorto che un'anima era fuggita dal Nulla, e l'aveva riportata dentro.

Amber si costringe a non pensarci, e apre uno spiraglio fra le ali. L'Argo II troneggia a qualche metro da lei, nell'altra stanza, di cui può vedere solo la prua, la polena Festus e la parte frontale della chiglia. È ancora stupita dalle capacità del nuovo amico: quel ragazzo è fenomenale, va anche oltre gli standard per un figlio di Efesto.

Trae un breve sospiro. Ha lasciato scendere qualche lacrima, ma non ha pianto davvero: sono passati quattro anni dall'ultima volta che l'ha fatto.

Serra di nuovo le ali intorno a lei, la pelle tesa fa passare solo un debole bagliore rosso dalle braci nel forno, e china la testa sulle ginocchia, premendovi la fronte.

Quando dal mondo degli Shinigami gettava brevi occhiate al Campo Mezzosangue, sapendo in cuor suo che un giorno sarebbe dovuta andarci, in particolar modo focalizzava l'attenzione di quei brevi minuti sullo stato d'animo delle persone. La maggior parte erano felici, per questo aveva preso la decisione di fare almeno un tentativo.

Quando poi, per la prima volta, scoprì che Poseidone aveva avuto un altro figlio nonostante fosse stato imposto un limite, Amber aveva provato istintiva antipatia per quell'eroe in grado di respirare sotto l'acqua, e la tentazione di scrivere il suo nome sul Death Note era stata forte.

Se ci ripensava in quel momento si sentiva le viscere di piombo: se lo avesse ucciso Crono e Gea avrebbero distrutto quel mondo. Essendo mortale, non deve nemmeno prendersi il disturbo di scrivere Nomi su quelle pagine. Lo fa solo di tanto in tanto, quando si annoia, o quando alcuni individui meritavano davvero di morire.

Ma ricorda bene la sensazione che aveva provato quel giorno, quando Percy Jackson era entrato al campo. Rabbia, odio, dolore. Un grumo di orribili sentimenti che le era rimasto sullo stomaco per intere settimane.

Cercò di scacciare il pensiero.

– Tana per Amber!! – la voce allegra di Leo arrivava piuttosto ovattata.

stringe le ali attorno al corpo.

– Andiamo, esci! Perché non me ne parli, magari ti sentirai meglio... –

sentì le mani del giovane meccanico appoggiarsi sulla superficie membranosa della pelle, ed ebbe quasi un fremito.

È curioso e sfrontato come un bambino.

Sente le dita serrarsi sul bordo, tentano di aprirle, con scarso successo.

Alla fine, Amber si spazientisce e le apre completamente, rivelando il suo corpo e richiudendole alle sue spalle.

Leo è in piedi davanti a lei.

– Era ora! In ogni caso, ho fatto tana, e come premio mi devi una spiegazione. –

si siede a gambe incrociate davanti a lei, e subito le sue dita attaccano a tamburellare sul pavimento quasi convulsamente, a giocherellare con le fibbie della cintura ed a rigirarsi l'anellino a spirale che gli aveva dato una settimana prima.

– Non c'è nulla da spiegare. – si nasconde lei.

– Andiamo, ci conosciamo da sette giorni, ma siamo stati praticamente sempre insieme, e ritengo di conoscerti meglio di chiunque altro, qui al campo. – il suo sorriso svanisce per un attimo. – se c'è qualcosa che ti preoccupa, puoi dirmelo tranquillamente, non lo racconterò a nessuno. –

Amber resta in silenzio, ma la tentazione è forte.

Leo alza gli occhi al cielo. – A per caso a che fare con Percy? Ti sei tenuta a distanza da lui da quando sei arrivata qui. Okay, è un semidio potente, ma non ti affoga mica, sai? – tenta di ironizzare, ma quando la ragazza gli scocca un'occhiata dura si ferma.

– Non scherzare su questo punto. Guai a te. Sarai anche il proprietario del Death Note, ma posso pur sempre scriverci dei nomi anche se non è più mio. – Ringhia.

Leo inarca le sopracciglia.

– Allora è davvero per Percy! – ride tentando di contagiarla, e per poco non ci riesce, ma lei è molto brava a trattenersi.

– Perchè ce l'hai tanto con lui? – è improvvisamente serio.

È una cosa che fa solo quando sono soli: il sorriso svanisce e lascia che la maschera gli scivoli via di dosso, ma non sembra essere capace di rinunciare alle battutine, che da umoristiche diventano sarcastiche. Il vero Leo. Quello che ha perso sua madre e vive ogni giorno corroso dal senso di colpa. Quello che si sente tremendamente solo.

– Avevo un fratellino che si chiamava Sebastian. – dice Amber. – Era nato tre anni dopo di me, sempre tra mia e lo stesso Shinigami. Era un ragazzino molto vivace, gli piaceva giocare e andare a fare escursioni a destra e a manca. Lo amavo tantissimo, anche lui aveva i capelli bianchi e le ali, come me, ci somigliavamo molto. Un giorno decisi di portarlo in gita al lago. Lui adorava nuotare, aveva sviluppato capacità molto strane, come comandare gli elementi a suo vantaggio. Entrambi siamo sempre stati un po' strani anche per i canoni di un dio, ma non ci importava. Quel giorno ci stavamo divertendo un sacco. Poi è tutto andato a rotoli. I suoi poteri... non hanno... funzionato –

Ha la voce rotta, gli occhi gonfi, piccoli singhiozzi la scuotono.

Leo all'improvviso alza la testa. Deve aver capito.

Ecco perché odia tanto Percy Jackson, ecco perché era così terrorizzata quando era in riva al lago ed aveva spiegato che erano solo ricordi. Ora è tutto immensamente chiaro e razionale.

Il ragazzo non ci pensa due volte, si china in avanti e la stringe in un abbraccio, accarezzandole la testa. Sente il calore del suo corpo, le membra che tremano e l'angolo della spalla dove lei ha nascosto il viso leggermente umido per le lacrime.

Per la prima volta in vita sua, Leo Valdez non si sente più solo. C'è qualcuno che, per quanto diverso da lui, ha provato emozioni uguali alle sue, sofferto per una perdita e pianto le stesse lacrime. Qualcuno che ha la stessa bestia in fondo al cuore, il medesimo senso di colpa che lo dilania, le stesse ombre in fondo agli occhi.

Perché quel giorno Sebastian Jackey è morto annegato.

 

 

ANGOLO AUTRICE
Hola, lettori!!!!!!!!!!!!!!!!

allora, prima di tutto ci tenevo a ringraziare pubblicamente Feli_007 per le recensioni, secondo, spero che fino ad ora la storia vi stia piacendo!!

 

 

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Capitolo 4
*** Magia nel sangue ***


 LEO

Da quando Amber mi ha raccontato la storia di Sebastian, comincio a credere che le cose potrebbero andare migliorando, la nostra strana ed improvvisa amicizia si consolida ogni giorno che passa, ed è un altro punto a favore per me.

Eh, che ci posso fare se faccio quest'effetto alle ragazze?

Okay, cercherò di essere serio, promesso.

A quasi tre settimane dal suo arrivo, lei e Hazel sono quasi inseparabili, va molto d'accordo con Piper e Annabeth, mentre per quello che riguarda Percy... be', ci vorrà tempo.

Il lato positivo è che non ha ancora provato a trasformare l'acqua in petrolio mentre ci nuota dentro, ed è un passo avanti. Non ha ancora conosciuto Jason e Frank, che sono a Nuova Roma a sbrigare faccende politiche, di cui,onestamente, non ci capisco un tubo.

Ogni giorno che passa scopro cose nuove sulla sua capacità di trasmutare la materia: a quanto pare il fine dell'alchimia era quello di cambiare i metalli comuni in oro, e da qui viene la ricerca della pietra Filosofale. Ma ancora nessuno di noi si spiega come abbiano fatto i suoi poteri ad estendersi fino a trasformare qualsiasi materiale in qualsiasi altro materiale.

È qualcosa che mi affascina.

Oltretutto mi aiuta tantissimo, se mi manca un qualche pezzo per un mio progetto, posso contare sul suo aiuto, ed è una cosa fantastica.

Certo, dopo un po' si stanca e un paio di volte è anche svenuta, ma continua a ribadire che affrontare magie sempre più difficili la farà diventare più potente. Quindi, se lo vuole lei, diciamo che ne approfitto. E in ogni caso, sembra che si diverta ad aiutarmi. Diciamocelo, noi due formiamo una bella squadra, quasi mi sembra di lavorare di nuovo al fianco di Calypso.

Ogni volta che faccio il collegamento mi sento gelare le viscere. Per questo cerco di evitare di pensarci. Decisamente, meno ci penso meglio sto.

Stasera c'è un po' di fermento a cena, un ragazzino è appena stato riconosciuto figlio di Ares.

Be', buon per lui, se gli tocca passare il resto dell'estate sotto il comando di Clarisse.

Amber si ferma di fianco al braciere di Efesto e vuota tutto il contenuto del vassoio dentro, trattenendo una mela. I miei fratelli hanno acconsentito a farla restare, e in segno di riconoscenza lei butta sempre portate intere nel fuoco. Spero che papà gradisca.

Inoltre, i suoi organi sviluppati -come dice lei- non hanno bisogno di sostentamento, quindi non le serve a molto mangiare.

Sembra solo che non sia capace di rinunciare alle mele. Ne mangia a chili, non ne ha mai abbastanza, mi fa quasi tenerezza perché i suoi occhi si illuminano sempre quando ne prende un paio dal vassoio della frutta.

Nyssa è riuscita a superare le prime divergenze e devo dire che vanno abbastanza d'accordo, adesso.

– Fammi capire, – sta dicendo. – puoi trasformare un oggetto in un altro, no? –

Amber da un morso alla mela, mastica lentamente ed ingoia.

– In realtà no. – dice, giocherellando con il picciolo. – posso solo trasformarne il materiale, o l'aspetto, ma non sono in grado di cambiarlo completamente. Posso dargli una forma diversa, ma la natura resterebbe la stessa. – Nyssa le rivolge uno sguardo interrogativo.

– Prendiamo un cacciavite a stella. – esemplifica Amber, sperando che la dimostrazione fornita possa essere comprensibile. Istintivamente ne tiro fuori uno dalla cintura e glie lo porgo.

– Guardate: – lo fissa intensamente per un paio di istanti, poi quella che era la punta di un comune cacciavite a stella si trasforma in una punta spaccata. – Ecco, ho cambiato il suo aspetto, ma resta sempre un cacciavite. Per esempio, non potrei trasformarlo in una chiave inglese. O almeno, con oggetti relativamente piccoli posso farlo, ma questi sono già troppo grandi.

Mi porge l'attrezzo, me lo rigiro affascinato tra le mani, poi lo ficco nella tasca della cintura.

– Però è strano... – Dice Kevin, il ragazzone alto e muscoloso a cui Amber ha sciolto il martello.

Da quel giorno porta profondo rispetto alla Shinigami, e non osa più contraddirla. All'inizio, quando lo prendevo in giro, minacciava di darmi un pugno sulla testa e rendermi più basso di quanto non sia già (i bassi conquisteranno il mondo, preparatevi...), ma adesso ci scherziamo sempre sopra.

I miei fratelli sono entusiasti di lei, e le chiedono di far loro vedere qualcos'altro.

– Ehm... mi spiace, ma preferirei di no... sono già abbastanza stanca e non vorrei sforzarmi troppo. – dice, restando sulla difensiva.

Le metto una mano sulla spalla. – Sì, gente, questa ragazza deve ancora aiutarmi a completare un progetto, e se me la spremete mi toccherà aspettare domani, perciò aria! – scherzo, ridendo.

Anche lei ride. – Eh, no Valdez, hai finito di farmi fare le ore piccole. – toglie la mia mano e mi da un coppino sulla nuca, con fare giocoso.

È bello vederla sorridere. Non lo fa molto spesso, ma sembra sempre una... magia. Per un attimo i miei fratelli ci fissano di sottecchi, piccole frecciatine e sorrisetti eloquenti passano da un capo all'altro del tavolo, e capisco subito quello che intendono.

– Ehi, ragazzi... –

Improvvisamente, Nyssa mi interrompe, scattando in piedi come se avesse ricevuto una scossa elettrica e fissando lo Shinigami neanche stesse andando a fuoco (ogni riferimento è casuale).

– Oh, miei Dei!!! –

Amber sbarra gli occhi. – Cosa?! – si alza di scatto rovesciando la sedia, il bicchiere di fronte a lei improvvisamente si trasforma in mercurio come il martello di Kevin e si affloscia sul tavolo.

Anche gli altri miei fratelli si alzano, e quando riesco a scorgerlo tutta la sala è piombata nel silenzio.

Amber sbatte le ali come fa sempre quando è nervosa, ci fissa tutti preoccupata, ma non dovrebbe esserlo.

Sentiamo gli zoccoli di Chirone sul pavimento, compare alle sue spalle e emette una risata sommessa, con il suo solito sorriso gioviale stampato sul volto.

La ragazza si sta spazientendo. – Allora? Che c'è? –

Si volta verso il resto della sala. Sono tutti un po' confusi, ma chinano il capo in segno di rispetto.

Amber è sempre più impaziente, nervosa, brevi lampi rossi le attraversano le iridi.

Afferra il mio vassoio e ribalta il contenuto sul tavolo. La piattaforma di plastica, con un sottile suono metallico, si trasforma in una lamina riflettente, e lei vi si specchia. Quello che vede la lascia senza parole.

Sulla sua testa brilla, a intermittenze irregolari, il simbolo di una delle Dee dell'Olimpo: due fiaccole accese ed incrociate.

Non senza un po' di difficoltà Chirone si inginocchia e, con voce solenne che non ammette discussioni, dice: – Ave Amber Jackey, discendente di Ecate, dea della magia.

Ecco la prova ultima alla teoria secondo la quale ogni cosa accade per un motivo.

 

 

Angolo Autrice:

che dire, questo capitoletto è un po' breve, ma mi va bene così.

Non so perché io stia facendo questa cosa di raccontare il capitolo su Amber in terza Persona e quello di Leo in prima persona, spero solo non vi dispiaccia...

biaci baci <3

 

ps: recensitemi eh!!!

 

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Capitolo 5
*** Ali di cenere e occhi di morte ***


Amber è contenta, ora che sa a cosa è dovuta l'estensione fuori dagli schemi dei suoi poteri, si sente più sicura di sè. 
Chiede ai ragazzi se puó essere lasciata sola nonostante loro vogliano festeggiare il suo riconoscimento, e scende verso la spiaggia del lago. Si siede sul bordo, lascia che le onde deboli lambiscano i piedi nudi. Non ha più paura che i ricordi possano tornare a farle visita, quello era solo stato un momento di fuoricontrollo dovuto alla frustrazione. Ora che è rilassata, non teme nulla.
Tecnicamente dovrebbe stare con Leo, ma non si sente davvero obbligata a rispettare quella regola, dal momento che non è una Shinigami completa, quindi si impone di rilassarsi.
Appoggia il peso alle braccia e alza lo sguardo. Una fascia pallida taglia a metà il cielo stellato. 
Da qualche parte in quell'universo, il circoscritto Mu attende anime nuove da poter accogliere, e tra di esse c'è quella di Seb e... della mamma di Leo. 
Il giovane meccanico non ha mai specificato come sua madre fosse morta, e non sembrava parlarne troppo volentieri.
E nemmeno di Calypso. Aveva solo accennato alla sua permanenza su Ogygia, ma quel poco che aveva rivelato lo aveva detto con voce quasi rotta... Ovvio, quale naufrago non si innamora di Calypso?
Amber accavalla le gambe. Un brivido le percorre le braccia facendole venire la pelle d'oca.
Non puó sapere se Leo avesse seriamente perso la testa per lei, non essendo mai stata innamorata non sa quale sia il comportamento della situazione... Ma presume fosse diverso per tutti. Sa solo che immaginare Leo, il primo vero amico che avesse mai avuto, prendersi una cantonata per qualcuno le lascia un sapore amaro in bocca... E un vuoto sordo nello stomaco.
—Ehi, Ambe, a che pensi?— Sebastian le faceva spesso quella domanda. 
Amber pensa di aver bisogno di una distrazione, e che non sarebbe un brutto giorno per intrufolarsi nel Mu... E salutare qualche vecchia conoscenza.

Nulla. Non esiste un nome più azzeccato. Il Mu è costituito dal nulla. Solo un cielo completamente bianco ed abbacinante ed un pavimento nero opaco. Un riflesso sarebbe già considerato come qualcosa. Non ci sono odori, nè suoni. L'orizzonte è una linea dritta e continua, la strada da percorrere infinita. Solo anime e anime che vagano senza meta in uno stato di ebbrezza, chiuse in sfere incolori attorno alle quali gravita una fine fumarola grigia.
—Sebi!— esclama Amber.
Quello che sembra un palloncino circondato da un'aura opalescente si avvicina. La ragazza sbircia dentro, e intravede in dense volute di vapore, un corpicino in miniatura in posizione fetale. 
Il bambino si volta appena.
-Ehi, Ambe! È un po' che non vieni! – si alza a fatica e apre le ali incartapecorite. Amber si sente affondare: sono ridotte ad uno scheletro sede di ragnatele e polvere, la membrana rimasta è crepata e fragile come cenere.
-Sebi... Hai le ali di cenere...- sente le lacrime sugli occhi come spilli. 
-Ehi, sorellina, non piangere- dice Sebastian, allargando la bocca con le dita ed incrociando gli occhi per farla ridere. Riesce nell'intento, suo fratello non è mai stato capace di mentire, quindi sta bene. E se Sebi sta bene, sta bene pure lei.
–Come va, Sebi?–
Lui mette il broncio. –Male. Qui é immensamente noioso, non si fa mai nulla!– brontola, incrociando le braccia. –E tu? Tutto a posto? Com'è dove vivi ora?–
Amber sorride. —ora vivo al Campo Mezzosangue... Ho anche degli amici, ma tu pensa!– 
Sebi fa una faccia meravigliata.
–Davvero?! Non sei più triste allora!– dice, e si mette a saltellare nello spazio ristretto della bolla.
–Oh, Sebi, prima non ero triste! Mi bastavi tu!– dice lo Shinigami mestamente.
– ma io sono morto quattro anni fa!— le fa notare. Amber sente una stretta allo stomaco. 
Vorrebbe dire altro, ma dal pavimento sale una vibrazione profonda e che non promette nulla di buono.
-Ambe! Questo è il Vecchio! Mi sa che devi andartene...- si rattrista un attimo, poi le fa la linguaccia e con un sorrisone enorme va via, la bolla fluttua verso l'orizzonte.
-Fai il bravo, Sebi!!- 
Sente un borbottare gutturale e sommesso provenire da sotto i suoi piedi. È meglio se se ne va.
Si volta ed è pronta a tuffarsi nello spazio nero, finchè un'anima non attira la sua attenzione. 
È una bolla con un'aura particolarmente densa e turbolenta, e la sfera si muove molto di piú delle altre. Amber si avvicina e sbircia demtro. Prima che una violenta scossa la faccia precipitare sulla terra fa in tempo a vedere un viso che ha già visto in fotografia, e legge il nome che le incornicia la fronte.
Spalanca le ali, il cambio di direzione è brusco e trattiene il fiato per il dolore al petto ed ai polmoni.
È scossa, le tremano le mani per ció che ha appena visto, e sente nel cuore un tumulto vivo e potente che la da una nuova smania di agire. Deve solo aspettare il momento giusto. 
Nella sua testa, quel nome continua a galleggiare, andare e venire, comparire e scomparire  ottenebrando gli altri pensieri come una cortina:
Esperanza Valdez.


La prima cosa che Amber fa è lasciarsi cadere sul suo letto nella Casa 9. La scoperta di quel giorno é importante, e il piano si sta già formando nella sua testa ma ovviamente non può agire subito.
Di sicuro il Re degli Shinigami si è accorto della sua presenza nel Mu, e se ci ha messo cosí poco per notarlo allora la volta dopo il tempo a sua disposizione sarà anche minore.
Deve essere quasi ora di pranzo, la luce del sole è molto forte ed entra dalle finestre. Nel Nulla il tempo scorre diversamente, e appena un quarto d'ora in quel posto desolato equivale a piú di un giorno sulla terra.
La sua permanenza probabilmente è stata di una sessantina d'ore.
Smette di rimuginare quando i suoi occhi sono sul punto di chiudersi.
Da fuori vengono voci concitate, una persona che parla con un tono più alto e irato delle altre si sta avvicinando, la porta si apre con trasporto e Leo fa irruzione travolgendo un progetto di Nyssa.
Impreca qualcosa in greco antico, e quando alza gli occhi su Amber sembra alzarsi di un paio di centimetri per il sollievo.
–SEI IMPAZZITA A SPARIRE COSÍ?!?!– sbraita, correndole incontro e stritolandola in un abbraccio.
La ragazza è paralizzata, per la stanchezza non riesce nemmeno a muoversi, ma anche lo stupore fa la sua parte: non ha mai visto Leo cosí arrabbiato e preoccupato, e la sensazione che prova la lascia piuttosto perplessa.
Senso di colpa, probabilmente, ma tecnicamente non dovrebbe importargliene un fico secco. Forse è solo il fatto che é la prima volta che qualcuno si preoccupa davvero per lei... In fin dei compiti il suo compito è solo quello di tenere d'occhio il possessore.
–Per gli Dei, si puó sapere dove sei stata?– è già più tranquillo, ma continua a stringerla come se non volesse lasciatla scappare di nuovo.
–Leo!– la voce di Nyssa giunge da fuori, e si sta avvicinando. –L'hai trovata...?– si affaccia sulla soglia e si blocca improvvisamente paralizzata dalla scena. – oh... Ehm... Scusate– fa imbarazzata, e sparisce chiudendosi la porta alle spalle, senza nascondere un sorrisetto eccitato che Amber fino a quel momento ha visto solo sul viso delle figlie di Afrodite. Leo alza gli occhi al cielo, seccato.
Aspetta qualche minuto, per accertarsi che nessun'altro li disturbi.
–Allora? Stai migliorando a nascondino, ma mi hai fatto preoccupare!— il suo solito sorriso compare sul suo volto da folletto, e le scompiglia i capelli.
–Oh, nulla, solo...– deve mentire? Forse è il caso. -... una breve capatina al mondo degli Shinigami... Il Vecchio è un po' turbato...– il suo guaio è che, relazionandosi poco con gli altri, non ha mai affinato le sua capacità di bugiarda. Si sforza di guardarlo negli occhi, deve fornire altre spiegazioni. –Pare che Ryouk, un altro Shinigami, abbia ottenuto due quaderni... Dio solo sa che cosa ha in mente.–
'Leo non può sapere che è successo tre anni fa... Si, è la scusa più plausibile.'
Lui sembra raddubbiarsi.
Amber ha imparato, passando appiccicata a lui quasi un mese, che quando Leo perde il sorriso vuol dire che c'è davvero qualcosa che lo turba. E se qualcosa turba Leo fino a questo punto, allora è il caso di preoccuparsi.
–A proposito del Death Note, ho letto la regola che regola dello scambio degli occhi.–
Amber sente come se una forza oscura le stesse annodando le viscere. Il cuore comuncia a correre.
Non è possibile. Leo non ha mai usato il quaderno, o almeno, questo è quello che spera. Se lo avesse fatto, allora avrebbe approfittato di un momento in cui lei era assente... Ed era stata via un giorno e mezzo... Avvertì una sensazione strisciante che le gelava le ossa, il terrore la paralizzava.
No... Leo Valdez non è un assassino... perchè vorrebbe fare una cosa del genere? Non ci arriva da solo a capire che è pericoloso, che è la condanna a morte per eccezione?
Amber non sa come reagire, così lo lascia parlare.
–Non mi è chiaro come funziona. Cioè, se nelle migliore delle ipotesi vivessi altri sessant'anni, dopo lo scambio ne avrei solo trenta, giusto?–
Amber non puó mentire, non stavolta. Se dicesse una bugia dovrebbe inventare qualcosa sulla durata vitale, e un qualunque errore da parte di Leo la costringerebbe a salvargli la vita... Uccidendo sè stessa.
Non vuole morire. E nemmeno che Leo muoia. È il primo amico che abbia mai avuto, sarebbe persa senza di lui. Sarebbe sola di nuovo.
–Esatto.– dice alla fine, con l'impressione di avere appena ingoiato un incudine rovente.
Leo si appoggia le mani sulle ginocchia e pensa.
Ha la stessa espressione di quando una sua macchina fa qualcosa che non dovrebbe, e deve intuire dove si trova l'errore, per correggerlo.
Dopo un paio di infiniti minuti sospira.
–Per gli Dei, come posso fare una cosa del genere se con te attorno rischio di morire un giorno sí e l'altro pure? Basta e avanza, grazie. Chi ha inventato questa regola deve essere sadico.– conclude, alzandosi in piedi e riacquisendo il suo sorriso ironico.
Amber sente come se si stesse tramutando in ossigeno puro.
Il paso enorme che le era piombato sul torace scompare in un attimo, e per un momento crede di non essere mai stata cosí felice.
Lo abbraccia con tanto slancio da farlo cadere sul pavimento.
Ridono entrambi, lei sente le braccia di Leo cingerla in vita. Vorrebbe restassero lì per sempre...
–Credevo volessi farlo davvero!! Sei un idiota!!–
Urla stritolandolo e bascondendo la faccia nell'angolo del collo.
È talmente euforica che potrebbe trascinare giù dal Mu tutte le anime morte e riportarle in vita.
Istintivamente pensa a Sebi. È morto, ma è felice perchè ogni tanto riescono a vedersi. Non è molto, ma è uno di quei piccoli doni che ti migliorano la giornata e la vita.
Vorrebbe dire la verità, ma si ritrova di nuovo a raccontare una balla:
–Ti voglio bene.–
Quando invece le sue labbra direbbero 'ti amo'. ----------------------------------- Sono scema, me lo dicono in tanti. la seconda parte di questo capitolo ho provato a pubblicarla tramite il callulare, ma la seconda volta non mi ha fatto ledovute correzioni ed era uno schifino, quindi ora credo di essere riuscita a correggerlo tutto... spero... COOOOOOOOOOOOMUNQUE, questa è la versione definitiva gente <3 e davvero, scusatemi ancora... bacioniii

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Capitolo 6
*** Lavoro di squadra ***


LEO

Non sono assolutamente certo che Amber sia davvero andata nel mondo degli Shinigami, ma faccio finta di crederle. Prima o poi farò delle ricerche, nonostante sia qui da un mese la conosco fin troppo bene, e so che ha in mente qualcosa.


Oggi è una giornata abbastanza soleggiata, fresca, tutti sono fuori a godersi il pomeriggio al lago... insomma, l'ideale da passare all'aperto... se non sei Leo Valdez.
Nella penombra dell'officina del Bunker 9 la testa di Festus è illuminata dalla lampada, e io e lo Shinigami stiamo per metterci a lavorare.
La sfera di Archimede ronza al mio fianco, alcune luci lampeggiano e le sue sfere concentriche girano freneticamente producendo sottili clangori. Sono nervoso, se tutto va bene riuscirò ad aggiustare il mio amico, e se riuscissi a rimediare anche il resto del corpo potrei volare sull'Olimpo a prendere a calci una certa dea di mia conoscenza che da brava rompiscatole ha combinato il finimondo nella mia vita generazioni prima che nascessi.
Voglio dire, ci sono riuscito con Gea, non sarà certo una regina sclerotica a fermare me e il mio drago.
Apro con il cacciavite lo sportellino dietro la testa di Festus e, con dita tremanti, estraggo il disco di controllo. Già la situazione non era un granché, in più con l'ultimo viaggio le cose si sono fatte tragiche. Più del settanta per cento dei circuiti sono irrecuperabili, il chip che controllava i movimenti e le reazioni agli stimoli esterni è in parte fuso, il rivestimento metallico esterno è scheggiato ed ammaccato... mi verrebbe da piangere, dovrei essere anche un chirurgo per sistemare queste cose.
Ma sono determinato ad aggiustarlo, e non mi tirerò certamente indietro adesso che sono arrivato fin qui, non ho messo a tappeto tre Fantasmi assassini per avere le sfere e riportato la pellaccia a casa dopo aver distrutto Gea solo per arrendermi ora.
Amber al mio fianco mi fa un cenno, e cominciamo a lavorare.


La prima cosa che facciamo è sbarazzarci dei circuiti irrecuperabili: tentare di aggiustare quelli, oltre che impossibile, mi fa anche correre il rischio che le prestazioni future di Festus possano risentirne, ed è l'ultimo problema con cui voglio avere a che fare.
Amber trasmuta dei prototipi in plastica e zinco in altri di alluminio, più conduttivo, e bronzo celeste, l'ideale per amichevoli draghi meccanici.
Tre ore dopo siamo riusciti ad installarne circa la metà, facciamo una breve pausa e riprendiamo subito ad un ritmo serrato, che ci consente di finire questa parte del lavoro entro le nove di sera. Non ci fermiamo nemmeno per mangiare. Di tanto Jason o Piper si fanno vivi per vedere se va tutto bene, ma ogni volta ci trovano a trafficare con fili del diametro della bava da pesca e con la tensione alle stelle, perció preferiscono lasciarci alle nostre grane.
Verso le sei del mattino dopo (non chiedetemi come siamo ancora in piedi), abbiamo quasi finito il chip.
La Sfera continua a ronzare e a risuonare dei suoi click, mentre alimenta le frequenze dell'energia elettrica come una macchina per l'elettroshock.
Con un gesto teatrale, premo un paio di bottoni che un'ora fa avevo scambiato per caramelle dalla stanchezza e sistemo sulla piattaforma rotonda l'ultimo pezzo.
Mi abbandono sulla sedia, e Amber fa lo stesso accanto a me. Non mi dispiace ammetterlo, se non fosse stato per lei non so se ce l'avrei fatta in appena quattordici ore e mezza.
“Ci siamo quasi...” mi fa notare, con la testa che le ricade ciondoloni sulla spalla.
Anche io sto letteralmente per crollare.
In vita mia ho lavorato a dei progetti anche per una giornata intera, ma stavolta è diverso: questo è stato una faccenda di nanotecnologia, un campo in cui mano ferma, precisione e costanza giocano una partita difficile. Mi fanno male le tempie e le orbite per tutte le ore passate senza chiudere le palpebre e ad aggrottare la fronte, ancora mi sembra di vedere le file di microscopici numeri che abbiamo dovuto inserire dal computer al chip, i sottilissimi circuiti installati uno ad uno... mi si incrociano gli occhi dalla stanchezza e mi tremano le mani, credo che se non mi addormenterò per lo sfinimento avrò una crisi di iperattività con i controfiocchi... Insomma, siate comprensivi, in un campo di ragazzi dislessici ed iperattivi sono il caso piu grave, e quindici ore passate a fare assemblamenti meticolosi come questi mi hanno messo a dura prova!
Alla fine il sonno ha decisamente la meglio, sento il mio corpo scivolare lentamente in un torpore denso e vischioso come miele, le palpebre mi si chiudono e l'ultima cosa che vedo è il soffitto dell'officina illuminata a giorno... e sento la voce di Amber che mi implora di non addormentarmi.


Nel sogno sono su Ogygia, lo so perchè vedo le mie mani lavorare al timone digitale per la zattera con cui progettiamo di scappare entrambi da qui.
Sento la sua presenza al mio fianco, vorrei voltarmi e baciarla, ma quando alzo lo sguardo scopro che c'è qualcosa che non va, qualcosa di sconcertante: la sua immagine trema e vibra ad intermittenze irregolari come un ologramma mal programmato e, dopo un paio di allarmanti lampeggi, la figura di Calypso si trasforma in quella più bassa ed alata di Amber, e viceversa, Amber trema e perde solidità, tornando di nuovo Calypso. Nel sonno, comincio a pregare Ipno per avere una dormita tranquilla una sola volta in tutta la mia vita.


Quando apro gli occhi mi scopro sdraiato su un tavolo da lavoro nella sala adiacente a quella dove ho lavorato sulla testa di Festus.
L'orologio da parete segna le otto di sera.
Mi alzo a fatica, ho la schiena un po' indolenzita ma quelle dodici ore di sonno mi hanno rimesso a nuovo, e sono pronto a proseguire il progetto, sempre che anche Amber lo sia.
Peccato che abbia già finito da sola.
Sul ripiano cosparso di attrezzi, chiavi inglesi, pinze, molle e bulloni, lo Shinigami ha appoggiato la testa e le braccia, abbandonando il resto del corpo sulla sedia.
Il disco di controllo è a qualche centimetro dalla sua mano sinistra, adagiato con cura sopra ad uno schizzo fatto a matita ed abbastanza frettolosamente.
Mi avvicino e prendo in mano il disco. È assolutamente perfetto, il metallo levigato e liscio, le viti ben strette e il fascio di circuiti custodito prudentemente dentro a quell'involucro inscalfibile. Me lo rigiro fra le dita alla ricerca di errori e imperfezioni, ma quando non ne trovo vorrei solo svegliarla e ringraziarla per quello che sta facendo per me.
Do una sbirciata allo schemino: è uno schizzo della stratificazione del disco.
Uno strato di oro imperiale, uno di bronzo celeste per proteggere la magia che lo alimenta dai mostri all'esterno. Più all'interno ce n'è uno sottile di rame, uno d'ottone ed infine uno di cristallo e uno di titanio, per renderlo assolutamente indistruttibile.
Ingegnoso, realizzo. Calcolato, decisamente furbo, una mossa astuta.
Ed è esattamente quello che avrei fatto io.
Mi chiedo solo quanto sforzo le ci sia voluto per trasformare tutti questi materiali e mi sento un po' in colpa per aver dormito come un sasso mentre lei lavorava.
Poso delicatamente il disco per non svegliarla (altrimenti proverei anche a lanciarlo per terra, nelle migliore delle ipotesi si creperebbe il pavimento), e do una veloce pulita al tavolo.
Dopodiché mi rimbocco le maniche e, con meno sforzo di quello pensavo mi ci volesse, sollevo il suo corpo minuto e lo porto nell'altra stanza, dove la stendo sul tavolo con la sua giacca ripiegata sotto la testa a mo' di cuscino.
Le ali sono molto grandi, e non stanno nel tavolo, così uso due carrelli per sostenerle e, senza alcun pudore, inizio a studiarle.
Davvero, non posso trattenermi, prendo misure e calcolo l'ampiezza, faccio una stima del peso e della pressione dell'aria che basterebbe per sollevare l'intero corpo.
Sono un congegno complesso ed affascinante, da un'apertura massima di quasi cinque metri ed una pelle forte e robusta, ma sottile e che lascia visibili i raggi della lampada se stesa completamente. 
Le creste membranose sui gomiti rendono il suo intero corpo più aereodinamico.
I muscoli lungo le ossa si inspessiscono e diventano più vigorosi all'attaccatura dove, per discrezione, non vado ad indagare, la curva della struttura elegante e sinuosa... la prima volta che le ho viste mi erano sembrate le classiche ali stile Satana, ma ora che le studio con serietà e dedizione hanno un fascino magnetico che distoglie la mia attenzione da qualsiasi altra cosa, e non mi accorgo che Amber si è svegliata da più di mezz'ora e mi sta fissando lavorare.
Quando me ne rendo conto mi fermo e mi sento arrossire. Cerco di trattenere i miei poteri ma le mie mani stanno per mettersi a fumare.
“Biongiorno.” fa lei, sorridendo. Cavoli, quanto è bella.
“Ehm... in realtà sono le nove di sera, ma se ti suona meglio dire così...”
“Pfft, allora buonasera!”
“Ecco, già meglio.” I nostri occhi si incontrano per un secondo. Sento come un tumulto in gola, il cuore mi è schizzato verso l'alto e mi sta bloccando la respirazione.
Per gli Dei, perchè caspita mi fanno quest'effetto?!
“Da quanto tempo ci stai lavorando sopra?” chiede, appoggiando la testa sulla giacca.
“Un'oretta circa... a proposito, hai fatto un lavoro eccezionale con il rivestimento del disco... davvero perfetto.” la sento tirare un sospiro di sollievo.
“meno male che ti piace, credevo di averci messo troppi strati. “ chiude gli occhi.
“E delle mie ali? Che te ne pare?”
Resto in silenzio per un attimo, scribacchio -in greco antico- l'ultima nota sul blocco e alzo lo sguardo su di lei.
“Mi ricordano una delle macchine progettate da Leonardo Da Vinci, sono meravigliose...” mi fermo prima di aggiungere altro... o di prendere fuoco. “E ho finito di studiarle. Ho preso abbastanza note per poter fare una riproduzione per un certo drago di mia conoscenza.” sorrido soddisfatto.
Amber ha ancora gli occhi chiusi.
Mi avvicino e schiocco le dita a un paio di centimetri dal suo naso.
Lei apre gli occhi di scatto gli occhi.
“Allora... Pensi di alzarti ed aiutarmi a sistemare o resti qui a non fare assolutamente nulla?” chiedo beffardo.
Lei ridacchia. "La mia idea era di uscire da qui e prendere una boccata d'aria, ma se proprio non sai fare a meno di me..."
Non so quale forza mi stia guidando (spero solo non un altro Eldonion) e accosto il mio viso al suo.
"Oltre che a campionessa di Nascondino sei anche un'imdovina, ora? Spiacente, ma ormai sei la mia ombra. " dico, forse sottolineando troppo la parola 'mia'.
Lei arrossisce violentemente. Forse perchè è molto vicina... o meglio, io sono vicino a lei. Posso contarle le lentiggini sul viso... e garantisco che non stanno sulle dita di una mano.
Sento il cuore galoppare a mille, tanto che ho paura possa sentirlo anche lei. Ecco, è sempre più vicina, i suoi occhi sono talmente neri che potrebbero trascinarmi in un sbisso nero senza fondo mentre il suo respiro si fonde con il mio...
"Leo! Avete finito?!"
Piper.
Faccio in tempo a fare un balzo all'indietro e a crollare su una sedia nel momento in cui la figlia di Afrodite entra.
"Si, abbiamo completato l'opera" dice Amber. Io mi sento la testa girare, e preferisco rimanere zitto.
Piper ha una faccia turbata.
"Meglio così." Dice.
"C'è una cosa che dovete vedere."


Cinque parole: I ship them so HAAARD
AHAHAHAAHAHAHAHAHA che dire, questa FF mi sta davvero prendendo, mi scuso solo per il casino del capitolo precedente e vi chiedo una piccola recensione

Bacioni a tuttiiiiii

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Capitolo 7
*** Il Re degli Shinigami ***


Amber non sa cosa pensare.
Da una parte vorrebbe scrivere il nome di Piper sul quaderno. Le regole non glie lo impediscono.
Sì, insomma, ha 'quasi' baciato Leo. 
Scaccia il pensiero e fa finta che non sia successo nulla, o meglio, che non stesse per succedere nulla e chiede alla Figlia di Afrodite ulteriori spiegazioni, ma questa sembra non essere capace di fornirle. Diventa sempre più preoccupata ogni passo che fa, e farfuglia qualcosa di incomprensibile.
Quando escono dal bosco e vedono cosa li attende Amber avrebbe preferito mille volte cambiare idea a metà strada e darsi alla clandestinità.
In mezzo allo spiazzo c'è uno Shinigami.
La sua figura è imponente, alta sei metri, le spalle larghe e massicce, fasci di ossa trattengono pietre preziose e minerali che alla luce dei lampioni brillano intensamente. Le braccia molto lunghe gli arrivano alle ginocchia, la testa incassata sembra il teschio di un re che nemmeno da morto ha voluto abbandonare la sua corona. Il cranio è crepato e sembra essere sul punto di sfaldarsi, ma ovviamente non lo farà.
Ai suoi piedi un fumo denso di morte turbina impetuoso, sibila imbufalito contro i presenti che parlano.
Amber è sicura di non aver mai visto Chirone così preoccupato, o arrabbiato.
"Chi sei, e come hai superato la barriera?" Grida rivolto alla creatura, incoccando una freccia nell'arco.
Lo Shinigami non si scompone.
Alza un braccio pronto per stendere il centauro con una semplice manata, ma Amber si lancia in avanti e si mette in mezzo.
Sa che è un suicidio. Non è facile ragionare con il Vecchio, ma nel corso degli anni la giovane Alchimista si è fatta una vaga idea del verso da cui prenderlo.
Il colpo si ferma a qualche centimetro dal suo corpo, lo spostamento d'aria fa cadere un paio di persone alle sue spalle, ma lei no: Amber non cadrà.
Se il Re è li deve esserci una ragione seria... Deve riuscire a trattare senza farsi uccidere.
Non sarà facile, un passo falso le costerà la vita, ha bisogno di un piano oer farlo scendere al suo livello e poterlo fronteggiare alla pari.
Poi d'un tratto realizza. Il suo Death Note. Deve farlo cadere al suolo: uno Shinigami senza quaderno è un mostro terrificante, ma non pericoloso, o almeno, non come prima.
"Deoniok... Che ci fate qui?" Chiede, moderando il tono di voce.
Lui sbuffa, sembra arrabiato, china il capo in avanti. Le sue orbite vuote sono spaventose, in fondo a quegli abissi neri brillano luci rosse e maligne. Gli smeraldi impolverati sulla corona scintillano di una luce maligna.
"Taci." La sua voce è talmente pacata da far paura. "Amberian de Litia Mare Jackey... Sei un essere insignificante, non hai il diritto di baciare il suolo su cui cammino, figuriamoci di rivolgermi la parola. Sono qui per ucciderti."


LEO
Quello deve per forza essere il Vecchio di cui Amber mi ha spesso parlato... E dice che vuole ucciderla. Non ho nessuna intenzione di lasciarglielo fare, dovrà passare sul mio cadavere. Cerco di stare calmo, ma il respiro affannato di Piper al mio fianco non mi rende le cose facili. Ad un certo punto nella mia testa scatta un piano, ma l'unica cosa che mi serve è proprio quella che non ho: il tempo. Mi allontano verso la foresta, nonostante una parte di me vorrebbe davvero tagliare la corda mi rendo conto che Amber ha bisogno di me, e devo fare qualcosa.
Comincio a correre come un forsennato, incespico in radici ed arbusti e taglio nel mel mezzo del borco per arrivare prima. Ad un certo punto sento un'esplosione alle mie spalle, e cado rovinosamente per la sorpresa. Non si sta limitando ad ucciderla con il Quaderno... Prima vuole farla soffrire. Mi alzo a fatica e riprendo la mia maratona, anche se ho le ginocchia ed i palmi delle mani scorticati e sanguinanti ed i pantaloni strappati. Sento una rabbia cieca implodermi nel petto ed improvvisamente non me ne frega piú nulla se ho una paura folle, o se rischieró la mia vita, se Amber è in pericolo la devo aiutare. Ho solo bisogno dei rinforzi. 


AMBER
Sente la terra vibrare sotto ai suoi piedi e non fa in tempo a spostarsi. Zolle di terra scoppiano rotolando ovunque, sente il suo corpo perdere peso e decollare verso l'alto. Un attimo di sospensione, la tetra sorpresa del momento la fa inorridire e percepisce la morsa la gravità agire inesorabile su di lei, mentre la trascina in basso.
L'impatto le toglie il respiro, un dolore vivo ed immenso le perquote le membra irradiandosi dalla schiena al resto del corpo, la tempia sanguinante è esposta ad un vento pungente che sa di zolfo. 
Amber non puó permettersi di restare ferma. Ha a che fare con il Re degli Shinigami, è potente come tutti gli dei dell'Olimpo, e quello che è peggio... puó ordinare agli oggetti che lo circondano di ucciderla. Qualsiasi cosa nel suo raggio d'azione diventa un attrezzo pronto a seminare la morte a comando.
Si issa a fatica sui gomiti, la calonna vertebrale regge a malapena il suo peso ma stringe i denti e riesce a mettersi in piedi. Deoniok è sempre lì, sempre immobile, la fissa dall'alto al basso come se stesse cercando l'angolazione migliore da cui continuare a torturarla. 
Amber deve agire. Si guarda intorno, ma è rimasta sola, nessuno puó contrastare il Dio più potente che sia mai esistito, anche se qualche coraggioso ha sfoderato un'arma in un timido tentativo di aiutarla... Apprezza tutto ció, ma non puó lasciare che lo facciano, rischiano la morte. Fa cenno loro di allontanarsi e si impone la calma. 
Deve pensare. Essere diplomatica. 
In quel momento le sue prestazioni fisiche sono scarse, ma se guadagnasse tempo potrebbe riuscire a prenderlo di sorpresa.
Come le ha insegnato Annabeth. 
"Si può sapere perchè ce l'hai tanto con me?!" Grida, spazzandosi via di dosso polvere e detriti. 
Lo Shinigami sembra essere un po' confuso.
"Che razza di domanda è? Sarebbe meglio che tu morissi." Dice, come se fosse la cosa piú ovvia del mondo e dintorni.
" Meglio per chi? "
" Per tutti. Il tuo sangue misto ti consente di poter entrare inosservata nel Mu e di interagire con i morti, inoltre le regole sono molto meno limitate per te. La tua presenza è pericolosa." 
Oh, ecco come mai. 
Deve pensare velocemente. 
"Se ad esempio io promettessi di non gironzolare più di qua e di la?" 
Non attende una risposta perchè il suo occhio capisce subito che c'è qualcosa che non va: Deoniok è uno Shinigami... Gli altri non potrebbero vederlo... Allora perchè...? Amber non sapeva che gli Dei della morte potessero essere visibili per scelta, e probabilmete non era così. I privilegi dell'essere un sovrano, probabilmente. 
"Caspita!" Esclama. "Ma come fai a farti vedere anche da questi umani?"
Il Vecchio non sembra essere intenzionato a lasciarsi prendere in giro e attacca di nuovo.

LEO
Collego gli ultimi circuiti in fretta e in furia, il cuore mi batte all'impazzata, mi fa quasi male il petto. Ho stretto l'ultimo bullone, non ho tempo di controllare che sia tutto in ordine, devo salvare Amber.
Ha bisogno di me, adesso. Potrebbe essere troppo tardi.
Nonononono!!!! Non puó essere troppo tardi, non devo lasciare nulla di intentato.
Mi precipito fuori dal bunker nove, consapevole del fatto che se morisse, di me resterebbe meno di quello che ero prima del suo arrivo.
Perchè la amo, e senza di lei sarei perso. Sarei solo di nuovo.

AMBER
Attacca la sua sfera emotiva. Un terrore spossante la assale e le stringe la gola come un cappio da forca, sente la paura strisciarle sulle braccia e darle brividi violenti che la fanno cadere in ginocchio.
Il respiro le si mozza in gola, l'attacco di panico è spaventoso e sente che potrebbe morire. Si accascia al suolo, trema e le lacrime cominciano a scendere, l'unico modo per offuscare l'immagine che le galleggia davanti agli occhi. 
Sebastian. Ha il viso color del gesso, la pelle raggrinzita, le orbite incavate e gli occhi sporgenti, la fissano senza vederla davvero... Il fotogramma trema un po', la luce si fa più fioca, un colore verde scuro tinge lo sfondo ed un corpo minuto circondato da ali nere cade provocando un'esplosione di bolle che salgono verso l'alto con fermento nervoso... Si muove, si dimena, cerca la luce, l'aria, ma viene trascinato sempre più in basso... Due occhi rossi si disegnano sullo sfondo, il profilo di un Quaderno compare sfocato dietro al corpo ormai inerme di Sebastian...
Amber realizza tutto. 
Si contorce sul selciato, quella consapevolezza le accende un fuoco vivo dentro.
Ha ucciso il suo fratellino, e vuole completare l'opera ammazzando lei.
"M... MUORI!!!!!!" Esplode, si alza, stringe i pugni lungo i fianchi e, finalmente, i suoi poteri rispondono. La terra comincia a tremare, una vibrazione sorda sale dalle profondità e con un rumore di risucchio, il suolo sotto ai piedi del mostro si trasforma in una polpa argillosa che comincia a trascinarlo giù, giù, sempre più giù... 
Amber lascia che lo sconcerto lo faccia arrabbiare e dimenare, cosa che, naturalmente, lo ancora alla sconfitta . 
La ragazza localizza il suo quaderno, allacciato alla cintura. Si concentra, cerca di focalizzare la sua concentrazione sul frusciare delle pagine, immagina che si trasformi in qualcosa di leggero, che possa volare via al minimo alito di vento...
E con un debole sbuffo, il Death Note del Re si sgretola e si sfalda in una nuvola di cenere che aleggia nell'aria fino a giungere al suolo... E cadervi, riformandosi com'era prima.
Gli occhi di Deoniok si fanno ardenti e malvagi, ma un'ombra di paura gli passa sul volto: ha perso il suo quaderno.


LEO
'Sto arrivando, Amber, tieni duro.'

AMBER
Ha cantato vittoria troppo presto. É vero che gli ha tolto il quaderno, ma il Re è ancora forte, e lei vulnerabile. Lui allunga un braccio e la collpisce allo stomaco, facendola volare a cinque metri da lì. Non sa che cosa le abbia fatto piu male: se l'impatto della caduta o il colpo alla pancia. Si piega in due dal dolore, il sapore metallico del sangue le invade la bocca e ne sputa una boccata, cominciando a tossire arcuando la schiena per i singulti.
Prova ad alzarsi ma non ci riesce, vede solo Deoniok che si libera dalle sabbie mobili ringhiando come una bestia rabbiosa ed alzare il braccio per ucciderla schiacciandola come un insetto...
Finchè Festus non lo cetra in pieno torace.

LEO
Non mi sembra vero! Sono arrivato in tempo!!! O quasi, ma non ho tempo di controllare se Amber sta davvero bene o no, se non agisco in fretta posso farmi del male, o morire. 
Ordino a Festus di abbattersi di peso contro quel mostro che in quanto a dimensioni non ha nulla da invidiare a un drago di bronzo nuovo di zacca a cui, sfortunatamente, mancano solo le ali. Lui cade per terra, ma si rialza quasi subito avventandosi contro di noi. Io sono proprio sopra a Festus, alla base del collo, e il colpo mi fa vibrare tutto il corpo quando lo prende per l'addome e lo scaraventa lontano. Cado di sotto e la spalla comincia a bruciare, pensando con rammarico che  se Festus avesse le ali avrei approfittato di un attacco più potente per stendere lo Shinigami al primo colpo. Certo, come se ultimamente avessi vinto la lotteria... 
Rotolo nella polvere e cerco di alzarmi subito, ma la schiena fa male, le pulsazioni della clavicola mi inchiodano al suolo, e come se non  astasse quel fumo nero mi ha stretto in vita e mi trattiene per impedirmi di aiutare sia Festus che Amber.
Sono impotente mentre quel mostro raggiunge il mio drago di bronzo, che con una fiammata cerca di portarsi in vantaggio, e lo solleva lanciandolo più lontano, per poi voltarsi e dirigersi verso la mia amica.
Solo allora mi rendo conto che è ferita, accovacciata a quattro zampe nel misero tentativo di alzarsi tenendosi lo stomaco con una mano e continuando a sputare sangue. 
La prende con una delle sue mani piene di rubini e la stringe come quei pupazzetti a cui gli occhi escono dalle orbite. 
Vedo la sua pelle cambiare colore, i suoi occhi socchiudersi, la bocca aprirsi in un rantolo sordo..
Eppure è bella anche mentre sta morendo... È la cosa più stupenda che io abbia mai visto.
 Poi realizzo.
Eh, no. Nessuno la deve toccare, nessuno può farle del male.
Decido di agire, optando per l'opzione piu ovvia e meno sensata, dal momento che non ho idea se funzionerá o no.
Con un grosso sforzo, ignoro il dolore alla spalla ed estraggo una penna dalla cintura, schiacciata sotto il mio corpo.
Mi sembra tutto cosí irreale, specie quando prendo il Death Note fra le mani e lo apro, appoggiandoci sopra il polso. Tremo dalla paura, non riesco a credere che lo sto facendo davvero, sento quel gelo dentro che mi blocca la circolazione fino a farmi provare un vuoto che prima di adesso non ho mai sperimentato.
Com'è che lo ha chiamato? Deoniok.. E una volta mi ha detto che gli Shinigami non hanno il cognome. 
Sento le forze abbandonarmi, mi devo sbrigare. Rendendomi conto che una spalla rotta e la dislessia non sono una buona combinazione, lo faccio.
E il Re degli Shinigami cade a terra in una pioggia di detriti dorati.

AMBER
Sa cosa è successo. Sa che Leo lo ha fatto. E sa che lo ha fatto per lei. Precipita al suolo con i detriti polverizzati che erano il corpo del Re, schiantandosi al suolo.
Si lascia sfuggire un grido di dolore, le lacrime bollenti corrono lungo le guance. Il mondo intorno a lei trema. Vede le persone precipitarsi nello spiazzo, il rumore suona come un boato che le rompe i timpani, vorrebbe andarsene, vorrebbe sapere se Leo sta bene, ma è troppo stanca per farlo. 
Poi il ragazzo compare nel suo campo visivo, ha il viso graffiato e sanguinante, si tiene una spalla con la mano, ha la camicia strappata ed i pantaloni sporchi di sangue. 
Sul suo volto si dipinge la paura, forse perchè vede i suoi occhi chiudersi, le aferra un braccio e comincia a scuoterla urlando il suo nome.


LEO
Sta morendo, i suoi occhi si spengono poco a poco ogni minuto che passa. Così mi metto a fare l'ultima cosa che in questa situazione dovrei fare: la afferro per l'avambraccio e la scuoto, chiamandola, le lacrime mi scorrono a fiumi sulle guance, mibruciano la pelle. 
Mi metto a singhiozzare come, da bambino, mia madre se ne era andata.
Per gli Dei, sono arcistufo che le persone che amo debbano sempre andarsene, non permetteró che lei faccia lo stesso. 
Riesco a tirarla su e la stringo con il braccio sano, implorandola sottovoce di non morire. 
-Amber, ti prego... Se muori sono solo di nuovo... Non lasciarmi solo... Non lasciarmi solo... Non lo fare...-
Le mie lacrime bagnano il suo viso.
E improvvisamente si risveglia.
-Ma scherzi?- dice. -come si fa a fare a meno di me?- sorride, prova ad alzarsi ma una fitta alla schiena la inchioda al suo posto fra le mie braccia.
Sono euforico, così contento di vederla viva che mando l'autocontrollo a farsi friggere e la bacio a stampo sulle labbra, fregandomene altamente se ci sono altre persone intorno a noi.
È viva, ecco cosa conta.






HO FATTO USARE A LEO IL DN!!!!!!!
Ok, mi sento realizzata MUAHAHAHAHAHAHAHAHAHAH
Recensitemi eh<3
Baci baci

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Capitolo 8
*** ti ama e nemmeno te ne accrogi ***


AMBER

 

L'infermeria è piuttosto accogliente, e ad Amber non dispiace la sua permanenza lì.

Dopo la morte di Deoniok è svenuta, e il suo letargo è durato più di quattro giorni, ma della lotta ha pochi ricordi sfocati, che si sovrappongono l'un l'altro nella sua testa allontanandola sempre di più dalla verità.

Decide di rilassarsi, ed il periodo della convalescenza si rivela piuttosto riposante, se non fosse per il lancinante dolore alla schiena. E poi, con una compagnia come Leo, non c'è motivo di annoiarsi.

Lui si è rotto solo la spalla, quindi riesce ad alzarsi ed andare i giro a suo piacimento, un paio di giorni dopo i miracoli dell'ambrosia lo hanno completamente rimesso a nuovo, ma non si allontana mai troppo dall'infermeria.

Seguitamente alla vittoria, subito dopo il suo risveglio dal breve coma, tra i due c'è stato un brevissimo attimo di imbarazzo. Amber non lo ha gradito affatto, non le piace dover soppesare troppo le parole quando si tratta di parlare con Leo, che diamine, è il suo amico ed è talmente abituata a parlare più che schiettamente con lui che pensare troppo prima di dire qualcosa la lascia spiazzata.

E tutto a causa del bacio. E prima ancora, di quel... “quasi-bacio”.

Entrambi lo sanno perfettamente, non c'è scusa che tenga, e Amber sente un dolore sordo alla bocca dello stomaco ogni volta che ci ripensa.

Forse perché, sotto sotto, le sarebbe piaciuto farlo. Avrebbe davvero voluto un contatto così completo e vero, come un segreto che condividevano soltanto loro, qualcosa che li univa ancora di più e definitivamente.

Purtroppo, Deoniok aveva altri progetti, ed era saltato fuori con tanto di nebbia nera giusto per ucciderla. Carino da parte sua farsi vivo proprio in quel maledettissimo momento, ma ad Amber sembrava di covare rancore nei suoi confronti nonostante fosse morto.

Un altra cosa che turba lo Shinigami, è il fatto che Leo abbia usato il quaderno, e che ne stia subendo le conseguenze: nella settimana di convalescenza, il ragazzo ha dormito poco, Amber passava notti intere ad attendere che si addormentasse, ma quell'angoscia che solo chi ha usato il quaderno conosce lo aggredisce violenta anche in sonno, trascinandolo in incubi orrendi da cui si risveglia sempre terrorizzato.

Amber sa cosa si prova: non dimenticherà mai la la prima volta che ha ucciso con quel quaderno, quando aveva nove anni e non aveva idea di come funzionasse. Era piccola ed ingenua, si era risparmiata la lettura del regolamento, la sua vera identità di Shinigami le era ignota dal momento che nessuno si era degnato di raccontargliela, e aveva fatto tutto per errore.

Il compito era stato assegnato dalla maestra di scienze, doveva scrivere i componenti del gruppo di laboratorio con cui lavorava... e meno di un minuto dopo erano tutti caduti, morti come mosche, ai suoi piedi.

Era esattamente quell'emozione che Deoniok le aveva fatto provare, riportando a galla quella spossante sensazione di gelo e terrore, la consapevolezza di aver ucciso, l'impotenza di fronte a tutto ciò. Sì, il Re l'aveva davvero fregata, in pochi secondi l'aveva inchiodata al suolo facendole rivivere i giorni peggiori della sua vita.

Amber si rigira nel letto, ma la schiena dolorante e le ali ingombranti rallentano i suoi movimenti e si ritrova bloccata su un fianco, quando dormire a pancia in giù sarebbe l'ideale in quella scomoda situazione. Con un ultimo scatto, riesce a sistemarsi, ma una fitta improvvisa le lascia scappare un gemito strozzato.

“Amber, va tutto bene?” la capacità del figlio di Efesto di materializzarsi al suo fianco quando più ne ha bisogno la lascia piuttosto dubbiosa, ma decide di non fare domande.

“Non tanto, continua a fare male. Non è che puoi costruirmi una colonna vertebrale nuova?” dice, affondando la faccia nel cotone della federa del cuscino. Profuma di limone e disinfettante, ed inspira profondamente.

Leo ridacchia. “se potessi lo farei, ma sono solo un meccanico, non un chirurgo.” si siede sul bordo del letto. “altrimenti avrei una spalla nuova come il protagonista di quell'anime... come si chiamava?”

“Full Metal Alchemist.” sorridono entrambi, al ricordo di quel soprannome dato da Leo ad Amber il giorno in cui si sono conosciuti. Il ragazzo lascia vagare lo sguardo su qualcosa di indefinito nella stanza, come se avesse la testa altrove, poi si riscuote.

I loro occhi si allacciano per un attimo, un lasso di tempo non misurabile che però sembra durare un'eternità, potrebbe anche avvenire l'apocalisse ma continuerebbero a guardarsi così... finché Amber non abbassa il capo.

C'è qualcosa che non va. Leo ha qualcosa che non va. Lo ha notato anche quella mattina, è silenzioso e solitario, non parla con nessuno e a quanto ne sa, non si è presentato a pranzo.

Adesso che sono le dieci di sera e l'infermeria è vuota a parte loro, i suoi occhi le sembrano più distanti che mai, quando non la guarda.

“Stai bene?”

lui sobbalza per un attimo, ma le sue pupille continuano a perdersi in un qualche vuoto intorno a loro.

“Sì. Credo di sì.” dice, ma non ne è per nulla convinto. “torno al bunker, devo finire di riparare Festus.”

E se ne va, senza aggiungere altro.

L'uso del quaderno lo ha turbato più di quanto Amber si aspettasse... oppure c'è qualcos'altro che il ragazzo non le vuole dire. Più per non farla preoccupare che perché non si fida di lei. E questo è impossibile, perché ormai si fidano ciecamente l'uno dell'altra.

Amber getta l'occhio sull'orologio alla parete. Le dieci e un quarto.

Del diciassette luglio.

Il diciassette luglio.

Ma certo. È ovvio.

Esperanza Valdez è morta il diciassette luglio.

 

 

Prima ancora di partire si pente di averlo fatto. Quando è in cielo ogni battito d'ali è come una lancia che cerca di aprirle gli spazi tra le vertebre, e compiere tutto il viaggio la strema fino all'ultima goccia.

Si accascia sul suolo di alabastro opaco e lascia che il bianco del cielo le schiaffeggi la faccia, interrotto solo dalle anime che le galleggiano a qualche centimetro dal naso.

Cerca di rialzarsi, ma se non fa riposare la schiena trasportare un ulteriore peso fin sulla terra potrebbe ucciderla.

L'ultima persona che vuole incontrare è Sebastian. È meglio che non la veda in quello stato, con la fronte imperlata di sudore dallo sforzo ed il fiato corto per il dolore lancinante.

Aspetta un minuto e si alza a fatica, comincia a guardarsi intorno.

All'inizio non la vede, ma quando sente un sibilo più forte degli altri alle sue spalle, si volta e la trova: la bolla la cui nebbia turbina come se stesse per scatenare una tempesta, il cui dolore è talmente forte che nemmeno la pace eterna può risanare.

 

 

Precipita con un tonfo al suolo. La schiena grida in segno di protesta, ma Amber la zittisce, o almeno ci prova, tentando di ignorarla.

Deve essere mezzanotte passata. Una falce bianca è alta nel cielo terso, e fa creare agli alberi ombre lugubri tra i sentieri ed i campi di fragole.

La ragazza si guarda intorno, prende tra le mani la bolla, sussurrando parole lievi e gentili per calmare il temporale che sfuria attorno ad essa e, con delicatezza la spinge davanti a sé.

Ogni passo che fa è sempre più in ansia. Certo, Leo potrebbe gradire la cosa, ma potrebbe anche farlo stare peggio.

Diamine, è ovvio che starà uno schifo, è talmente logico da sembrare banale e scontato, ed è troppo tardi per tornare indietro.

Giunge al bunker nove che a malapena si regge sulle sue gambe, apre i battenti ordinando alla schiena l'ultimo sforzo ed entra.

Il ragazzo è seduto al piano di lavoro, la zampa posteriore di Festus davanti a lui aspetta di essere riparata, ma non sta lavorando. Fissa ancora il vuoto di fronte a sé, sospirando di tanto in tanto.

Poi accade una cosa incredibile: la nebbia intorno alla bolla si dirada completamente, lasciando una sfera sottile e trasparente all'interno del quale una donna si affaccia con timore.

“Leo, tesoro?” la sua voce sembra un debole pigolio, il meccanico non si accorge nemmeno della loro presenza, così Amber la avvicina e le fa un cenno di incoraggiamento.

Mijo?”

E finalmente si gira.

 

Amber li ha lasciati soli. Non saprebbe descrivere l'espressione di Leo quando ha visto sua madre nella bolla, spera solo con tutto il cuore che sia stata una sorpresa gradita. Appoggia la testa al muro e si addormenta nell'attesa.

 

 

LEO

Mamma è qui, davanti a me, esattamente come la ricordavo, esattamente come il giorno in cui se n'è andata. Non ho la benché minima idea di come abbia fatto Amber a portarla indietro, so solo che questo è il più bel regalo che io abbia mai ricevuto.

Di gran lunga molto meglio della cintura per gli attrezzi, delle sfere ed i rotoli di Archimede, meglio del disco di controllo.

Faccio saettare incredulo lo sguardo da mia madre ad Amber, che si fissa imbarazzata le scarpe torturandosi le mani, senza avere il coraggio di guardarmi.

“Ehm... sorpresa.” dice, sembra riesca a malapena a parlare.

“Che cosa... come... perché...?”

“Non ho finito.” dice lei, allungando una mano. Sembra tesa all'inverosimile, ma lascia che prenda la mia fra le mani e la sollevi fino all'altezza della bolla, facendola aderire perfettamente con quella superficie limpida, pura e cristallina.

La sento tremare e, con un debole puff, scoppia. Sto per mettermi a gridare, ma una pioggerellina fine cade e si addensa sul pavimento, ed Esperanza Valdez prende forma e corpo davanti ai miei occhi.

Sento come se dentro di me ogni cosa prendesse il posto che dovrebbe. Le lacrime cominciano a scorrere a fiumi lungo le mie guance, cerco di asciugarmele, ma invano, e mi precipito fra le sue braccia.

Mijo, va tutto bene...” ha la voce rotta, e mi stringe cullandomi leggermente. Al di sopra della sua spalla vedo Amber che, quatta quatta, esce dalla stanza.

 

Restiamo così per diversi minuti, io che piango a dirotto contro il suo collo e lei che mi stringe piano, parlandomi con calma e baciandomi la testa e le guance. La sua pelle è calda, le braccia accoglienti e protettive come una muraglia, il suo respiro lento e pacato mi soffia lieve sul collo, le sue dita giocherellano con i miei ricci.

Dei, quanto mi è mancata. Vorrei che questo momento durasse per sempre, vorrei vivere in eterno solo per poter restare con lei e non lasciare che ci separino di nuovo.

“Ma guardati, Leo...” dice, sorridendo appena. “sono passati sei anni, e sei riuscito a costruire tutto questo, mijo. Hai una splendida famiglia, degli amici, sei un meccanico degno di tuo padre... sei cambiato tantissimo, non ti rendi conto di che persona stai diventando, di quanto tu sia cresciuto, e di quanto tempo io abbia passato in un nulla infinito covando il rammarico per non averti mai salutato...”

Non dico nulla, sono troppo sconvolto.

“Il tu papà è orgoglioso di te, ed io mi sento la madre più fortunata e fiera di questo mondo, Leo.” continua, senza lasciarmi andare.

“Non mi interessa di quello che pensa Efesto.” dico, cercando di non sembrare troppo duro. “mi interessa molto di più quello che pensi tu, che sei l'unica che mi abbia mai amato.” affondo il viso fra i suoi capelli, ormai sono alto quanto lei.

Le sue spalle hanno un fremito, poi un altro. Per un attimo ho l'immenso timore che stia piangendo, invece quando mi scosto appena sta ridendo. Il suo sorriso mi scalda il cuore, e la imito.

Mi passa una mano sul viso e mi bacia la guancia.

“Lo credi davvero, mijo?”

Aggrotto la fronte. “Lo credo davvero, sì.”

lei sospira, come se si trovasse di fronte ad un caso perso. “Accidenti, tesoro, sei più simile a tuo padre di quanto pensi. Perché sia tu che lui, quando si tratta di macchine, trovate il problema in un attimo, vi basta uno sguardo per capire l'intera funzionalità di un meccanismo, e quando si tratta delle persone la risposta la trovate solo con l'aiuto degli altri?” nella sua voce c'è una punta di divertimento che mi alleggerisce, ma ancora non riesco a capire, e le rivolgo uno sguardo interrogativo.

“è una verità che non ti ha mai mollato, Leo, è sempre rimasta al tuo fianco, ha vegliato su di te e ti ha porto una una mano quando credevi che rialzarti ti avrebbe recato più dolore che cadere, è quella risposta che hai sotto gli occhi da così tanto che quasi non la vedi, e hai sempre sperato che fosse davvero quella che cercavi. Quella risposta che non eri sicuro fosse quella giusta, ma che sotto sotto hai sempre saputo che c'è, e una parte di te l'ha quasi data per scontata.”

Leo comincia a vedere la sua figura dissolversi in una nebbiolina fine e leggera. Il suo sorriso si allarga e gli accarezza la guancia prima che perda corposità.

“Addio, mijo, ricordati che sarò sempre qui con te.” So che stavolta è davvero i momento in cui non posso fare nulla. Stavolta dovrò lasciarla andare. Non piango, sorrido soltanto e le faccio un cenno con la testa, una breve intesa, sulla gamba picchieto freneticamente il nostro patto in morse, ti voglio bene.

Mi asciugo le lacrime vecchie e la vedo sparire, ma la sua ultima frase echeggia per lo spazio ormai vuoto dell'officina:

Mijo, non è mai stata colpa tua.

 

Il mio cuore comincia a fare capriole nel petto, e giuro che non mi sono mai sentito così stupido in vita mia, travolto dalla consapevolezza come da un treno in corsa.

Per gli dei dell'Olimpo, ha assolutamente ragione, è così vicina a me che a malapena mi accorgo di quanto sia importante, e solo quando stava per morire mi sono reso conto che io la amavo con tutto il cuore di un amore assolutamente genuino e vero, una sensazione che mi dava pienezza e mi faceva sentire più completo, più vivo.

Senza pensarci troppo mi precipito fuori attraversando tutta l'officina, percorro un paio di corridoi chiamandola e la trovo accoccolata su una sedia, la ali piegate a coprirle i piedi e le gambe. All'inizio mi sembra un po' scortese svegliarla, ma poi penso chissenefrga e le do un colpetto alla spalla, appoggiandomi al muro.

Amber si sveglia sgranando un po' gli occhi e mi rivolge uno sguardo speranzoso.

Probabilmente ho un sorrisone un tantino euforico, perché questo la fa sorridere a sua volta e, raddrizzatasi sulla sedia, mi chiede: “Che hai?”

Non so cosa dire, ci sono miliardi di modi un cui potrei spiegarle quello che ho scoperto e quello che provo, quello che ho aspettato da una vita intera e quanto sia tutto immensamente chiaro e facile ora che me ne rendo conto, così dico la prima cosa che mi viene in mente:

“Ti amo.”

Senza attendere una risposta le prendo il viso fra le mani e la bacio, perché so che anche lei mi ama, è proprio quello che sapevo, quella consapevolezza nascosta nella parte più oscura e profonda del mio cuore, che mai mi sono azzardato ad esplorare per paura di quello che ci avrei trovato.

Sento che risponde al bacio, una conferma così vera e magnifica, vivida e tangibile che non può essere un sogno. Lei è vera, i suoi capelli bianchi fra le mie dita sono reali, le sue labbra unite alle mie sono reali, i nostri respiri che vanno e vengono allo stesso ritmo, sono reali anche quelli, la passione di questo bacio è talmente vera che ho paura che se mi staccassi troppo presto, potrei svegliarmi nel letto dell'infermeria con la spalla rotta.

Sento le sue labbra sotto alle mie dischiudersi e baciarmi più in profondità, come se volesse marchiarmi il cuore di una promessa eterna, non come quella che feci a Calypso, stavolta è una cosa più attesa e conosciuta.

Finalmente ci separiamo.

“Leo?”

“Sì?”

“Mi ami davvero?”

silenzio.

“Sì, ti amo davvero.”

“Ti amo anche io.”

 

 

FIUUUUUUUUUUUUUUUUUUUU mi sono tolta un peso, era un sacco che volevo scriverlooooooooooooo!!!!! ok, basta fangirling, sono le 23.00 e domani ho una versione di latino, vi lascio con questi due qui, e spero vi piaccia il capitolo <3

recensiteeee

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Capitolo 9
*** Complotto ***


-No, questo non lo accetto!- sbraitó Efesto, misurando ad ampie falcate la sala del trono sull'Olimpo.
La barba crepitava e fumava, prendeva ripetutamente fuoco, e addirittura le folte sopracciglia schizzavano scintille.
Le sue mani, in costante movimento, sembravano sul punto di sfasciare qualcosa, gli occhi fuori dalle orbite erano un chiaro segnale che il dio fabbro doveva essere lasciato ai suoi grattacapi.
Estia, invece, ascoltava senza dire nulla le sue sclerate, muovendo le braci alla base delle sue fiamme con un attizzatoio.
-Efesto, onestamente non ho ancora capito a cosa tu ti riferisca.- disse ad un certo punto, riemergendo da un lungo silenzio.
Questi si girò di scatto, afferrò la dea per una spalla e la condusse zoppicante alla finestra che dava sul mondo mortale, dalla quale si godeva un panorama molto dettagliato.
-Di quello!- sibilò in un bieco tentativo di controllare la sua frustrazione.
Estia si sporse e guardò meglio. Riconobbe Leo, il figlio di Efesto, sorridente e sicuro di sè come al solito, ma mano nella mano con una ragazza parecchio strana: pelle bianca ricoperta da piccole macchioline, occhi neri e profondi, capelli bianchi e grandi ali diafane richiuse elegantemente sulla schiena. Anche lei sorrideva timidamente, sembravano davvero felici insieme.
-Aw, che dolci...- disse Estia, con sguardo sognante.
Efesto sobbalzò come se gli avessero fatto l'elettroshock a tradimento. -Come? Ma che cavolo dici, è una catastrofe! Quella ragazza è uno Shinigami! Un dio della morte, ti rendi conto?- disse, abbassando la voce per paura che qualcuno potesse sentire.  Non c'era quasi nessuno sull'olimpo, non in un giorno feriale come quello, ma Efesto era convinto che la sicurezza venisse prima di tutto, e continuò a gettarsi occhiate alle spalle con circospezione.
-Non credo sia un bene che due diversi mondi come quello degli Dei greci e degli Shinigami entrino in contatto.- 
Estia rimase in silenzio per qualche istante, poi disse:- no, ti sbagli. Questa cosa che tuo figlio abbia portato, seppur inconsapevolmente, un dio della morte dalla nostra parte, ci da un po' di vantaggio. Pensa se il campo venisse attaccato da una forza maggiore... Il suo potere ci farebbe comodo.- 
Efesto sembrava voler dire qualcosa ma si bloccò. Picchiettò le dita grandi sulle labbra, camminò lentamente, pensieroso come quando una sua macchina non funzionava e non sapeva il perchè.
-ma se in caso contrario, cambiasse idea, sarebbero cavoli amari. I nostri figli correrebbero gravi pericoli. No, assolutamente inaccettabile!- tornò ad urlare, calciando il pavimento.
Estia roteò gli occhi, sconsolata. 
-Che altro c'è?- 
Efesto strinse i pugni fino a far sbiancare le nocche, una fiamma divampò nella sua barba.
-Tanto per cominciare, quella ragazza attira un sacco di guai. In secondo luogo...- e si bloccò. 
Sembrava non riuscire andare avanti, come se fosse un fardello troppo grande e doloroso da essere sopportato perfino da un dio. Inspirò ed espirò, si passò la mano sul viso e sulla barba, improvvisamente scoraggiato. Si avviò con il suo passo zoppicante al suo trono e vi si sedette di peso sopra, premendosi le tempie con le dita.
-Estia, mio figlio Leo non può assolutamente innamorarsi.- disse.
-Ormai credo che l'abbia gia fatto, Efesto.- Estia si fece seria. -Come mai?-
-Perchè giurò sullo Stige che sarebbe tornato da Calypso. Se si innamorasse di nuovo perderebbe di vista la promessa e...- non terminò la frase. Picchiò forte la mano sul bracciolo di bronzo, ringhiando per la frustrazione, mentre le scintille crepitavano nella sua barba e negli occhi.
-Ho già perso Charles...- borbottò.
Estia si allontanò dalla finestra e lo raggiunse, non senza aver prima dato una rassettata al fuoco nel braciere.
La dea sapeva benissimo quanto Efesto fosse burbero e testardo, quasi allergico a qualsiasi essere vivente e completamente incapace di interagire con i propri figli, ma glie la si leggeva in faccia la predilezione per Leo Valdez. Estia lo trovò commovente, come quel gobbo scorbutico si fosse affezionato al figlio sin a seguire ogni suo passo da quando aveva dovuto lasciarlo.
Stava per dire qualcosa, quando un buonissimo profumo si propagò nella sala. Sembrava cambiare in continuazione, passava dai biscotti alle rose, a quello della cioccolata calda a tutti quelli più dolci ed inebrianti esistenti.
Afrodite varcò la soglia al fianco di Ecate, alzando le msni in segno di resa.
-Non abbiamo potuto fare a meno di origliare.- ridacchiò scoprendo i denti bianchissimi. -Credo che qui ci siano problemi di cuore, eh?- lanciò al marito uno sguardo malizioso.
-Mio caro, spiacente ma l'amore è la forza in ballo più potente che esista, è talmente irrazionale e spontaneo che non lo puoi fermare nemmeno sforzandoti. Ma ammetto che Leo si trova nei guai, è così.-  disse, rassegnata. Si sedette composta sul suo trono e tirò fuori dal nulla una spazzola con cui riprese a sistemarsi i capelli già irrimediabilmente perfetti.
-Basterebbe solo farlo tornare a Ogygia, il tempo necessario per mantenere il giuramento...- ragionò Ecate, incrociando le braccia.
-Certo, nessun uomo può tornare lì due volte, ma con un po' di magia ci si potrebbe anche riuscire.- proseguì, affacciandosi sul mondo mortale. Leo e sua nipote erano insieme nel Bunker, lavoravano in perfetta sintonia, ogni gesto era sincronizzato a quello dell'altro come un'intera catena di montaggio, costruendo l'intelaiatura di un paio di ali. Dopo diversi minuti, Amber si abbandonò su una sedia e chiese un time-out, passandosi una mano fra i capelli. Leo gettò via il cacciavite e si aggregò allo sciopero, chinandosi su di lei e baciandola sulle labbra.
Le dispiaceva rovinare quello che avevano costruito, e sentiva che sarebbe stato difficile: le fondamenta del loro rapporto si basavano sul fatto che si erano aiutati a vicenda ad uscire dalle sabbie mobili del senso di colpa. Come avrebbe detto Afrodite, non esiste amore più forte di quello costruito su un dolore comune da cui era tassativo guarire, e con la stessa medicina. Il genere di amore nato dall'intento di aiutarsi l'un l'altro.
-Se Zeus lo scoprisse saremmo nei guai, ma basterebbe che ciò che verrà detto non esca da queste mura.- disse.
Efesto si alzò in piedi, il viso improvvisamente illuminato, Estia lasciò perdere il focolare ed Afrodite smise di pettinarsi i capelli.
-Suggerisci sotterfugi e tradimenti? Finalmente ci si diverte!
Ecate sorrise, era contenta di vedere i suoi familiari così entusiasti, specie Efesto, che sembrava pronto a costruire un intero esercito di carri armati.
-Ma avremo bisogno di Amber. Il problema sarà convincerla ad aiutarci, e ad aiutare Leo spingendolo nelle braccia di un'altra donna.-




OKAY, Sono riemersa dal tartaro e ho pubblicato finalmente il capitolo nuovo dopo un bel po'! In realtà ero in fase di blocco, credevo che avrei  concluso la FF mettento insieme Amber e Leo, ma sembrava mancasse qualcosa e così, all'1 di notte, vi lascio questo chapter un po' piu corto degli altri...
Recensite se vi piace, e ogni critica costruttiva è ben accetta!!!!
Un bacio, FrancyBorsari99

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Capitolo 10
*** il piano degli Dei ***


Piccolo avviso: lo scorso capitolo ho cambiato tempo verbale rispetto agli altri, me ne rendo conto, ma è ciò che comporta a scrivere alle due di notte. Insomma, mica è colpa mia se avevo mangiato alle undici e mi viene in mente di scrivere solo dopo aver digerito!!!!!! comunque, da adesso in poi c'è una novità: entrambi i punti di vista saranno scritti in prima persona, sia quello di Leo che quello di Amber. scusatemi per tutto sto' casino che sto facendo,spero che sia tutto ugualmente 'capibile' e scorrevole

Be', buona lettura, e mi spiace davvero per eventuali errori di battitura scorsi e futuri! <3 fatemi sapere se la storia vi sta piacendo!!!

 

 

LEO

Non avrei mai voluto far installare delle videocamere di sicurezza nel bunker, se avessi saputo che avrebbero diffuso come un morbo i fatti miei per tutto il campo.

Nyssa mi ha detto che per puro caso aveva aperto la schermata di sorveglianza nel pc e puff, il nostro bacio è diventato di visione pubblica nella cabina nove.

E, dal momento che i pettegoli sono statisticamente nove ogni dieci persone (guarda caso ho dieci fratellastri), adesso non c'è ninfa che non sappia che stiamo insieme.

Da una parte la cosa mi irrita. Voglio dire, gli affaracci miei -e in questo caso, anche di Amber- potrebbero anche non essere argomento di qualsiasi discussione e nessuno ne morirebbe.

Ma d'altro canto, sento che non dovrebbe fregarmene assolutamente nulla.

Questa cosa che finalmente ho la ragazza anche io ha un bel po' di benefici: in primo luogo, ho rinfacciato a Nemesi l'inutilità del soprannome “settima ruota” che mi aveva spietatamente affibbiato, e non devo nemmeno sopportare più questo peso. E questo è il meno. Poi, c'è da dire che amare una persona e sentirsi ricambiati è la sensazione più bella che abbia mai provato in vita mia, ed è decisamente diverso dal tipo di amore reciproco che c'era tra me e mia madre. Esperanza era la donna che mi aveva partorito, e anche se al giorno d'oggi c'è chi non lo fa, mi voleva bene perché era il suo dovere materno. Ma Amber non era tenuta ad innamorarsi di me. Poteva benissimo non farlo e non sarebbe stato così terribile, sarei sopravvissuto lo stesso. Adesso che è con me però, non ce la farei se per qualche ragione se ne andasse.

Sarebbe essere di nuovo solo, non lo sopporterei.

Inoltre, non proverò mai più la frustrazione e l'esclusione nel sentirmi il terzo incomodo quando esco con Jason e Piper.

Amber sa cosa si prova a sentirsi in colpa, sa come mi sento la maggior parte del tempo e devo dire che mi conosce quasi alla perfezione. Ho detto quasi perché onestamente ci sono aspetti di me che non conosco nemmeno io.

So perfettamente che sta per succedere qualcosa di brutto. Di solito è così, per Leo Valdez: quando tutto va a gonfie vele mi devo aspettare un evento drammatico che stravolga ogni cosa.

Però cavolo, vorrei che le cose andassero così in eterno.

 

*
Amber è scomparsa.

 

 

AMBER

È come essere nata di nuovo, senza alcun difetto che mi renda un mostro alla vista degli altri, senza che senta il bisogno di nascondermi.

Leo mi ama davvero, ho degli amici e il Campo è diventato la mia casa.

Solo l'intervento degli Dei può peggiorare drasticamente le cose.

Credo che il Karma sia il responsabile delle mie sciagure, devo imparare a pensare positivo e a tenere la bocca chiusa.

 

Mi sveglio in una sala ampia e circolare, e la prima cosa che i miei occhi incontrano è la notte . Le stelle brillano come fari, tanti piccoli diamanti che una mano abbastanza grande da contenerli tutti ha gettato distrattamente su uno spesso velo nero. Solo che non è il vero cielo. Insomma, quale cielo che si rispetti presenta linee pallide che collegano le stelle a formare le costellazioni? Se fosse sempre così, non esisterebbe nessun divertimento nel tentativo di localizzarle, sarebbe come fare un quiz con una sola opzione.

È questo che mi fa venire subito in mente dove mi potrei trovare. Sento delle voci concitate e bisbigli adirati alla mia sinistra.

– Sono al Planetario? – borbotto, cercando di tirarmi su, ma una voce tonante mi intima di stare lì dove sono senza muovermi.

Obbedisco senza fiatare e cerco di cogliere l'argomento della conversazione, ma il mio udito sembra funzionare solo ad intermittenza.

Non ricordo molto di quello che mi è accaduto prima che arrivassi qui. Solo che io e Leo stavamo costruendo le ali per Festus e che ad un certo punto sono uscita dalla stanza per prendere un qualche attrezzo dalla sala adiacente finché...

Mi dà fastidio essermi dimenticata il motivo per cui sono qui e come ho fatto a finirci, e ancor di più non sapere dove mi trovo. Ma sembra che io mi debba attenere a qualche regola perché ogni volta che provo ad alzarmi mi viene detto di stare giù.

La schiena mi fa male, ma per il resto va tutto bene. Non sono legata o imbavagliata, ho le mani libere e le ali in grado di spiccare il volo, quindi non sono ostaggio di un rapimento.

– Qualcuno si degna di rispondermi?! – E finalmente, mi viene dato il permesso di sedermi.

Spalanco le ali come di solito le persone allungano le braccia per stiracchiarsi e mi guardo intorno. Ci sono quattro persone oltre a me, o per meglio dire quattro Dei, dato che sono alti sei metri e mi sovrastano come fino adesso ha fatto solo Deoniok. La loro presenza mi suggerisce che probabilmente il posto in cui mi trovo non è un planetario ma l'Olimpo, e che non sono legata perché avrebbero tutte le carte in regola per farmi fuori sul posto se provassi a scappare. Anche se in cuor mio sento che teoricamente non potrebbero farlo: io non appartengo a loro. Sono di tutto un'altro mondo, anche se mia nonna è un'Olimpia.

Efesto, Ecate, Estia ed Afrodite.

– Salve. – dico, facendo capire che non ho nessuna voglia di restare qui. – A cosa devo l'onore?

Loro si guardano l'un l'altro come se stessero comunicando telepaticamente, poi Efesto, si fa avanti con la sua andatura zoppicante.

– Abbiamo bisogno del tuo aiuto. – Lì per lì mi fa sogghignare il fatto che gli Dei abbiano bisogno di me, che in vita mia ho ricevuto solo rifiuti prima del mio arrivo al campo, ma lascio che la sua espressione seria ed impassibile mi impedisca di ridere apertamente.

– La vita di Leo è in grave pericolo. – ora non c'è assolutamente nulla da ridere.

 

 

Mi viene raccontata tutta la storia di Leo e Calypso. Lui aveva già accennato al suo naufragio su Ogigia in passato, ma non aveva mai fatto parola del giuramento sullo Stige, e la cosa mi lascia alquanto perplessa e preoccupata.

– Dunque state dicendo che dobbiamo trovare il modo di farlo tornare su quell'isola? Da lei? – sottolineo il mio disappunto in quest'ultima parola, come se non ammettessi nessun'altra lei a parte me nella nostra relazione. Il che è vero. Acconsentire a tutto questo equivarrebbe a correre il rischio che Leo si innamori nuovamente di quella ragazza, dimenticandosi di me e abbandonandomi.

Devo dire che l'idea non mi piace nemmeno un po', non lo farei per tutto l'oro del mondo, ma se c'è di mezzo la vita del mio ragazzo, allora temo di non avere scappatoie.

Mi mostro subito titubante e mal disposta a prendere parte alla cosa, ma mia nonna usa argomenti molto convincenti per portarmi dalla loro parte.

– Se non facciamo in modo che mantenga il giuramento perderebbe la vita e potrebbero sorgere diversi problemi anche qui nell'Olimpo. Zeus si arrabbia un sacco quando una promessa non viene rispettata, e se qualcuno gli andasse contro, si scatenerebbero altre guerre. –

Devo dire che Ecate non ha affatto l'aspetto di una nonna. Corpo giovane e asciutto, intorno ai venti, e capelli lunghi trattenuti in un'acconciatura elegante. Solo gli occhi mi lasciano un po' spiazzata, completamente neri.

Efesto è tutto ciò che non è Leo: alto, muscoloso e tozzo, dall'espressione acida e burbera. Estia è praticamente una bambina, i lineamenti docili illuminati dalle fiamme arancioni che crepitano nel braciere in mezzo al cerchio dei troni, mentre non ci sono parole per descrivere Afrodite: è di una bellezza travolgente, il suo volto inidentificabile, cambia continuazione viso passando a uno più bello di quello precedente. Effettivamente è talmente... magnifica da essere quasi inquietante.

– Non lo so, non ne sono sicura. Voi parlate di fargli rispettare i patti altrimenti Zeus andrebbe in bestia, ma se ci scoprisse temo che si arrabbierebbe ancora di più. Inoltre, come vorreste fare? –

– Cambiando il suo aspetto fisico, in modo da aggirare l'incantesimo che impone a Ogigia di essere visitata solo una volta dalla stessa persona. – dice Ecate. – ed è qui che entri in gioco tu: se potessi farlo ci penserei io, ma equivarrebbe a intervenire direttamente sulle vostre vite, ergo il nostro piano sarebbe scritto su un dirigibile che gira attorno all'Olimpo ventiquattr'ore su ventiquattro. Dovrai fare esattamente come quando trasmuti la materia: qualcosa che cambi le sue caratteristiche estetiche in modo da renderlo irriconoscibile. –

Cerco di immaginarmi quanto tempo mi ci vorrebbe per mettere a punto un incantesimo del genere: un sacco di tempo, sforzo mentale e fisico, e correrei il rischio di morire nell'intento, se ci provassi. È qualcosa fuori dalla mia portata.

– Non posso farcela. Inoltre avete dimenticato che Zeus e gli altri dei possono vedere tutto quello che accade nel campo... ci scoprirebbero di sicuro.

Tutti restano in silenzio, finché Afrodite non esclama, stizzita: – Non potrai mai riuscirci davvero finché non ci avrai provato. Ricordati che un incantesimo a fin d'amore ha un potere illimitato ed enorme!

– Se ami davvero Leo Valdez, dovrai salvargli la vita. Del resto, sei in debito con lui per la volta in cui lo Shinigami stava per ammazzarti e lui gliel'ha impedito usando il Death Note. Ricordati che per te ha rinunciato sia al Tartaro che ai Campi Elisi. – Conclude Estia, con tono quasi rimproverante.

Efesto si dirige lentamente al suo trono e vi si siede, accavallando le gambe ed incrociando le braccia. – Per quanto riguarda il luogo dell'applicazione dell'incantesimo -l'unica parte degna dell'assoluta riservatezza-, ci basterà farlo fuori dal campo, magari alla fine dell'estate per non destare sospetti. –

Mi sento i loro occhi enormi puntati addosso, come se si aspettassero un sì o un sì.

Mi rendo conto che non ho scelta. Se non lo faccio sarà l'ennesima persona morta per causa mia. E non riuscirei a sopportare altro senso di colpa e la sua mancanza, davvero, ormai sono convinta che la mia vita fra la morte di Sebastian e l'arrivo di Leo sia un periodo buio che non voglio assolutamente rievocare. Questi mesi sono stati così intensi, amo Leo così tanto -anche se non ci conosciamo da sempre- che una vita senza di lui non vale la pena di essere vissuta. È l'unico per cui io abbia mai provato il genere di amore che mi fa compiere le scelte giuste anche a costo di mettere a repentaglio la mia vita.

Posso scegliere davvero, in ogni caso queste divinità non hanno alcun vero potere su di me. Ma se scelgo di fregarmene, sarà sul serio colpa mia.

Accetto.

Salverò la vita a Leo qualsiasi prezzo io debba pagare.

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Capitolo 11
*** Rivelazione ***


Spoler La casa di Ade

AMBER
Me ne vado dall'Olimpo nello stesso modo in cui ci sono arrivata: senza sapere né come, né quando.
L'unica cosa che so è che mi sono immischiata in qualcosa di pericoloso, e probabilmente non ne uscirò viva, ma ormai l'importante è che ne esca vivo Leo.
Riprendo i sensi in piena caduta libera, il vento mi frusta la faccia e i capelli mi svolazzano intorno al capo. Ho le ali accartocciate e ripiegate sulla schiena, i muscoli raggrinziti e pressati dall'aria mi impediscono di aprirle. Butto fuori un urlo lungo, finchè l'impatto con l'acqua non mi provoca un'ondata di dolore a tutto il lato sinistro del corpo. Credo che cadere sull'asfalto sarebbe stato meno doloroso, in più apro stupidamente la bocca per gridare di nuovo dal dolore e ingoio il contenuto intero di una piscina olimpionica.
Le ali appesantite mi trascinano in basso, cerco do risalire in superficie ma ogni tentativo è una probabilità in più di morire affogata.
Ormai sono rassegnata. L'acqua è più fredda mano mano che scendo in profondità, i raggi del sole si affievoliscono, e ormai sono pronta ad accettare la mia morte...
e l'aria mi aggredisce come una raffica di proiettili, sento l'acqua cristallizzarsi sul mio viso, ma l'ossigeno ha un sapore talmente buono che boccheggio ed annaspo scalciando con i piedi per salire e prenderne ancora. Qualcosa mi ha presa e spinta su, qualcosa che continua a tenermi saldamente stretta e a trainarmi a peso morto verso la riva.
Percy.
-Coraggio, Amber, ci siamo quasi...- dice, ma sta mentendo: il bianco della sabbia è lontano, e nella sua voce si sente lo sforzo di trascinare ottanta chili ulteriormente appesantiti dall'acqua. Sento le onde spingermi all'altezza dellla schiena, ma il figlio di Poseidone sta facendo fatica ugualmente a causa dell'ingombro di trentasette chili e cinque metri quadrati di membrana. Vorrei davvero aiutarlo, ma ho a malapena la forza di respirare. Sulla battigia sabbiosa intravedo Annabeth che si sbraccia nella nostra direzione.
Cerco di nuotare, ma le mie ali sono troppo pesanti. È la prima volta in vita mia che le maledico con ogni osso del mio corpo. Come se non bastasse, i muscoli mi fanno male per l'impatto con l'acqua, e ho la vista ridotta per l'albedo prodotto dall'acqua.
Vedo Jason raggiungere la costa seguito a ruota da Frank, il primo si butta in acqua ordinando al vento di spingerlo verso di noi, mentre il secondo si trasforma in un delfino e ci raggiunge.
Dopo dieci minuti di tira e molla contro l'ingombro delle ali, riesco a strisciare sulla spiaggia. A dire il vero, quello che faccio non può essere considerato un vero e proprio strisciare, dal momento che ho perso la funzionalità della parte sinistra del corpo. Mi abbandono sulla sabbia morbida e ne stringo un pugno fra le mani.
-Gra... Grazie. - riesco a dire, sputando un altro po' d'acqua. Annabeth si materializza di fianco a me e mi solleva la testa, appoggiandosela sulle gambe.
-Brava, respira, va tutto bene.- dice. Non ho bisogno di essere rassicurata, ho bisogno di dire ciò che ho scoperto... peccato che il mio corpo sia di tutt'altro avviso, e svengo dopo qualche minuto.


Il braccio sinistro fa malissimo, e così il fianco, la coscia, il polpaccio e la spalla.
Quando apro gli occhi mi pento di averlo fatto. Tutte le zone che mi fanno male sono color prugna, un viola nauseante che sfuma nel verde ai bordi. Solo vederlo mi fa salire i conati di vomito, e tutto solo a causa di un tuffo in acqua.
Non senza un notevole sforzo mi isso a sedere. Emetto un mugolio di dolore e mi massaggio il braccio.
Il mio orecchio sinistro potrebbe essere danneggiato. È la parte che mi fa più male, e all'interno sento come se lo avessi pieno di azoto liquido che mi inonda di un male lancinante solo a deglutire. Non una bella sensazione, credetemi. vi schiocco le dita di fianco, ma non sento assolutamente nulla, e subito il morale sprofonda ancora più in basso, se è possibile.
Per questo non sento i passi frettolosi che si fanno via via più forti ogni attimo che passa, e l'abbraccio travolgente di Leo mi fa trasalire visibilmente.
-DOVEDIAVOLOSEISTATAMIHAIFATTOPREOCCUPAREDAMORIRE!- urla, ma tanto non posso sentirlo e lascio che mi stritoli.
-Leo... Mi stai facendo malissimo... - borbotto, stringendo i denti e cercando di ignorare le pulsazioni costanti ai lividi.
-Oh, scusami.- dice, mortificato. Gli chiedo di fare il giro del letto e andare dall'altra parte perchè non sento assolutamente nulla dall'orecchio sinistro, così si sposta delicatamente ed esegue. Mi accarezza il viso, sistemandomi una ciocca dietro all'orecchio, si avvicina un altro po' e mi bacia piano, come se avesse paura di bruciarmi.
Una volta seduto sul bordo del materasso mi prende una mano. -Ho preso un colpo. Credevo che fosse stato qualcosa dal tuo mondo, che ne so, un altro Re che vuole ridurti a un frullato.- dice, stringendo le mie dita fra le sue.
Cerco di sdrammatizzare: -fa lo stesso, mi piacevano un sacco i frullati.-
mi appoggio al cuscino e lascio che esamini gli ematomi violacei sul braccio.
-A pensarci bene, l'eredità del titolo passa quando un Re viene spodestato, quindi...- rifletto ad alta voce, picchiettandomi un dito sul mento.
Alza lo sguardo sbigottito su di me e mi sorride. I suoi occhi scuri scintillano della solita luce birichina, che lo fa sembrare un monello. -Devo chiamarti Vostra Maestà?- si inchina esageratamente e ci mettiamo entrambi a ridere, arrivo quasi a dimenticarmi che ho un male pazzesco dove la macchie deturpano la mia pelle.
-Spiacente, Leo, ma credo proprio che ti stia sbagliando.- dico. -Sei tu che l'hai ucciso. Quindi sei tu il nuovo Re in carica.- il suo sorriso sembra sgonfiarsi.
L'incredulità si allarga sul suo volto e sbarra gli occhi fissandomi come se avessi appena parlato in una lingua sconosciuta.
-Come? No, insomma, non può essere!
-Invece è così.
Leo distoglie lo sguardo e si passa una mano fra i capelli, riprendendo a picchiettare freneticamente le dita sul ginocchio. Non deve essere stato in officina ultimamente, perchè ha la camicia bianca pulita, i pantaloni senza nemmeno uno strappo e le bretelle ancora intere ed elastiche. Mi viene da chiedermi quanto tempo sono stata via. Probabilmente il triplo di quello credevo che fosse passato, quindi un giorno e mezzo? Più o meno.
Mi dispiace per lui perchè questa è una carica di grande responsabilità. Non dubito che lui possa riuscire a fare una cosa del genere, ma un re umano non verrebbe visto di buon occhio, e il mondo degli Shinigami è già abbastanza in declino senza che scoppino altre rivolte. Inoltre, adesso ha altre cose a cui pensare.
Prima di spiegare l'accaduto lascio che la ninfa infermiera mi metta in bocca un quadratino di ambrosia -sapore di mele, mhmm...- ed il dolore comincia a sparire poco a poco.
-Immagino voglia sapere dove sono stata.- dico, improvvisamente seria.
Leo annuisce, senza perdere il sorriso. Alle sue spalle ci sono Percy, Annabeth, Frank, Hazel, Jason e Piper. Creo abbiano visto tutto, bacio incluso, ma non mi interessa più.
Sorrido mestamente. -Sono stata sull'Olimpo.- mi “godo” per qualche secondo le loro espressioni stupite, poi continuo.
-Come ci sei arrivata? Qualcuno ti avrebbe vista uscire!- esclama Annabeth interdetta.
-Non ho mai voluto andare lassù. In un qualche modo mi ci hanno portata con la magia. Non ricordo nemmeno di essere svenuta, semplicemente, mi sono svegliata lì.
C'erano solo quattro Dei: Efesto, Ecate, Estia ed Afrodite, e hanno bisogno del mio aiuto.- dico, abbassando lo sguardo sulle coperte bianche.
Aspetto a continuare. Non sono certa che gli altri sappiano della promessa, e devo fare le cose con cautela.
-Leo, sei in grave pericolo.


LEO
Ormai non mi si dovrebbe piú dire che sono in pericolo. Io ci sono nato in pericolo. Anzi, io stesso sono un pericolo. È un dato di fatto.
-Cosa? Perchè?- mi volto verso i miei amici, che sono tutti sbiancati e si fissano l'un l'altro sbigottiti, mentre le mie mani cominciano a fumare.
-Per via di una promessa che facesti tempo fa e che non ti sei impegnato a mantenere.- dice Amber, abbassando lo sguardo.
Sento come se stessi per mettermi ad urlare. 
-Cazzo...- mi prendo la testa fra le mani e stringo le dita, nella remota speranza che si spacchi a metà. Quelle di Amber peró, me le spostano dolcemente e accarezza i miei ricci. Va già un pochettino meglio. 
-Leo, di che cosa sta parlando?- Sento gli occhi elettrici di Jason puntati sulla schiena, e vorrei che non fosse qui. È come se mi stesse trasmettendo una scarica piena, ed il mio corpo fozse bloccato come pietra.
-Vi ricordate quando, durante la ricerca della casa di Ade, quella pazza isterica di Chione mi ha fatto volare in aria e non sono mai riatterrato sull'Argo II?- Piper alza lo sguardo. Lei ha capito, era presente quando accadde. Deve ricordarsi molto bene di come ha sconfitto i figli di Borea tutta da sola.
-Ecco, ehm... Onestamente non ve ne avevo mai parlato perchè non ne avevo voglia, ma sono caduto su Ogygia, l'isola di Calypso.- 
Annabeth sembra sul punto di lanciarsi in una delle sue dettagliate lezioni di storia greca, ma Percy la ferma prima che cominci e mi guarda con la fronte aggrottata. 
-Anche io ci sono finito... E non guardarmi così, tu, tanto lo sospettavi già, no?- dice, rivolgendosi poi ad Annabeth che lo squadra con uno sguardo stupito ed incavolato.
-Si è innamorata di te, vero?-
Annuisco.
-E tu ti sei innamorato di lei.-
Prendo tempo.
Annuisco. 
-Leo, di preciso, che cosa hai promesso?- 
Il mio cuore salta un battito. Non mi piace dover revocare quella notte in cui, guardando le stelle ed attendendo che Ogygia sparisse all'orizzonte, promisi ciò che probabilmente l'unica cosa che sarei riuscito a mantenere.
-Giurai sullo Stige che sarei tornato indietro per lei.-
Un silenzio teso e pesante piomba fra di noi, non ho il coraggio di dire nulla, tanto non c'è granchè da specificare. 
Accidenti, da quando è arrivata Amber al campo, questo impegno che mi sono preso ha cominciato a perdere importanza e ad essere seppellito nei recessi più profondi della mia mente.
-Ma non devi preoccuparti: abbiamo un piano.- dice lei, mettendomi una mano sulla spalla.
E mi spiega il complotto più strano e rischioso a cui mi sia mai successo di prendere parte.

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Capitolo 12
*** La caccia alla bandiera ***


AMBER

Comincio subito, non devo perdere tempo. Il guaio è che ce ne vuole più del previsto.

Mi faccio dimettere due giorni dopo e chiedo a Chirone se posso tornare nella stanza della Casa Grande. Imparare da sola questo genere di trasmutazione richiede concentrazione ed assoluto silenzio, cose che dubito di poter ottenere allenandomi circondata da meccanici rumorosi.

Una volta spostati i miei pochi averi, mi metto subito all'opera: di solito, quando faccio questo genere di cose con i materiali, penso ardentemente all'oggetto di partenza che si trasforma in quello di arrivo, ed il gioco è fatto.

Mi piazzo davanti allo specchio e fisso il mio riflesso: partirò dagli occhi, perché c'è meno colore da cambiare e perché la porzione di spazio su cui lavorerò sarà minore.

Mi avvicino finché non mi ritrovo ad un paio di centimetri dalla superficie.

Ho gli occhi neri, quindi penso alle mie iridi scure e ai loro riflessi, poi a quelli grigi e tempestosi di Annabeth.

Ci vogliono circa venti minuti di sforzo mentale, poi un lampo sembra attraversarli e improvvisamente schiariscono fino al colore delle nuvole cariche di pioggia che annunciano l'arrivo imminente di un temporale.

Scatto all'indietro e mi ribalto dalla sedia per l'euforia ed il senso di trionfo, finendo con le gambe all'aria, e mi metto a ridere istericamente. Quando riesco a rialzarmi, l'incantesimo è sparito. I miei occhi sono esattamente come prima, neri ed imperscrutabili. Il sorriso si scioglie e svanisce dalle mie labbra; sconsolata mi risiedo sullo sgabello e ci riprovo. La seconda volta ci metto due minuti di meno, ma ha la stessa durata di prima, e avanti così per tutto il pomeriggio, finché non riesco a lasciarli di quel colore per tutto il tempo che voglio e la trasmutazione impiega solo cinque minuti per applicarsi.

Ormai si è fatta sera, così scendo e mi dirigo al padiglione perla cena. Non ho affatto fame, ma vorrei respirare un po' d'aria e distogliere i miei pensieri da questa storia assurda. Mi chiedo perché non lo facciano fare a un figlio diretto di Ecate, più allenato ed in forma di me, senza la schiena indolenzita ed un orecchio sordo.

Forse perché nessuno di loro deve nulla a Leo, mentre io sono in debito con lui della vita.

L'ambrosia che ho regolarmente preso in questi giorni non mi ha guarito molto l'udito, ma dato che è un danno interno penso che ci vorrà più tempo, e ormai sto facendo l'abitudine a sentire solo da una parte.

Entro nel padiglione che non c'è quasi nessuno e mi siedo al tavolo di Efesto, appoggiando la testa alla superficie liscia ed emettendo un lento sospiro. Mi bruciano gli occhi, ho le palpebre pesanti ed sento che sto per addormentarmi qui, con la fronte sul tavolo e le braccia incrociate davanti a me.

Il mio orecchio buono avverte una presenza alle mie spalle.

-Ciao, Leo- bofonchio, strofinandomi le mani sulla faccia. Alzo la testa e gli sorriso, ma lui si blocca dov'è e mi fissa corrugando la fronte.

-Ma che hai fatto ai tuoi occhi? - oh, probabilmente li ho ancora grigi. Faccio forza con la mente e, anche se non sono davanti allo specchio, sento che sono tornati come prima.

Lui apre la bocca esterrefatto. -Woha! Che forza, ma come fai?- esclama, sedendosi di fianco a me. Io non dico nulla, penso che possa intuirlo da solo, e in ogni caso sono davvero senza forze, le ho a malapena per sostenere le ali.

-Leo, mi sento un'Emo sconfortata e stanca.- mi lamento, socchiudendo appena gli occhi.

Lui si siede di fianco a me e mi circonda le spalle con un braccio, mentre io mi accosto alla sua spalla. Va già meglio. Sento che ha muscoli non eccessivamente accennati, abbastanza forti da sostenere il peso di grossi attrezzi e oggetti pesanti, ma anche dal tocco leggero al punto da non suscitare il dolore dei miei lividi e da farmi sentire al sicuro. È forte, ma delicato.

Non vorrei che lo facesse qui, mentre qualche semidio comincia ad entrare nel padiglione ed a sedersi al proprio tavolo, ma abbassa la testa e poggia le labbra sulle mie. Il suo naso mi sfiora la guancia e il respiro che si infrange sulla pelle mi lasciano un'ebbra serenità dentro che non baratterei per nulla al mondo. Come ogni volta, sento il cervello azzerarsi completamente e perdo la percezione di quello che succede intorno a me. Mi viene solo da chiedermi se Leo ha le labbra così calde e morbide perché ha il potere del fuoco o sono tutte come le sue.

-Ti amo.- mi bisbiglia all'orecchio, mentre alcuni ragazzi di Efesto si siedono al tavolo squadrandoci sospettosi.

Chissà se dopo aver ritrovato Calypso me lo dirai ancora... o riserverai queste parole solo a lei.

 

Dopo cena (ovverosia dopo che Leo e gli altri hanno cenato), mi rintano nella mia stanza e piombo in un sonno denso e pesante, totalmente privo di sogni.

Quando mi risveglio ricomincio con gli incantesimi: provo con i capelli, partendo dal colore. Da bianchi, per farli diventare completamente neri ci metto circa due giorni. Per modificarne anche la lunghezza, invece, quasi tutta la settimana. Ogni giorno sono sempre più stanca, ma non posso permettermi di riposare, e lavoro anche di notte.

All'alba dell'ottavo giorno, senza che io abbia fatto o pensato nulla, mi sveglio con i capelli più corti e... blu. Devo dire che non mi dispiacciono, e decido di tenerli così.

Leo e gli altri accolgono la notizia con il massimo dello stupore, ma anche loro credono che mi stiano bene. Inoltre, imparo a ritrarre le ali nel corpo. È una cosa che credevo sapessero fare solo gli Shinigami completi, ma con un bel po' di sforzo non riesce difficile nemmeno a me.

Altri tre giorni dopo, mi ritrovo accasciata al pavimento, di fianco allo sgabello su cui mi siedo quando ho bisogno dello specchio. O meglio, un ragazzo mi “ritrova”.

Ha capelli e occhi castani, è piuttosto alto e mi rivolge un sorrisetto sghembo.

Scatto in piedi un po' barcollante ed esclamo: -chi sei, e cosa ci fai qui?! - lui alza le mani in segno di scuse ed indietreggia. Devo dire che in effetti è carino, e mi supera di ben venti centimetri.

-Mi ha detto Chirone di svegliarti, e mi ha chiesto di riferirti che tra mezz'ora c'è la caccia alla bandiera.-

-è già sera? Vuoi scherzare?- chiedo. Mi affaccio alla finestra e i miei occhi incontrano un tramonto stupendo sulla baia di Long Island. Il cielo è tinto di colori caldi che mi fanno pensare ad alcuni frutti estivi, e devo dire che mi sta anche venendo fame.

-Be'... no. A proposito, mi chiamo Max.-

 

 

Fino adesso non ho mai partecipato a Caccia alla Bandiera, semplicemente perché ogni sera io e Leo abbiamo lavorato senza sosta nel Bunker, quindi non ne ho mai avuto molto il tempo, e onestamente nemmeno la voglia. Ma oggi credo che giocherò un po', e data la mia dormita da guinness dei primati ho anche ripreso le forze necessarie per dimostrare che in quanto a combattimento sono un avversaria difficile da battere.

C'è da specificare che è un sacco di tempo che non prendo in mano una spada, ma confido nel fatto di non essere troppo arrugginita.

Max mi accompagna verso il bosco, dove gli altri aspettano il via con trepidazione.

– Sei in squadra con i ragazzi di Efesto -che ti hanno voluta a tutti i costi-, con quelli di Atena e di Poseidone. – mi informa, trottando al mio fianco. Noto che continua a lanciarmi brevi occhiate di sottecchi, e vorrei chiedergli di smetterla, ma penso che non sarebbe molto educato e soffro in silenzio.

– Chi è il tuo genitore divino? – chiedo, improvvisamente incuriosita. Lui mi sorride con orgoglio, facendo un brevissimo cenno verso il sole che tramonta.

– Apollo. Sai, probabilmente non ti ricordi perché eri svenuta, ma ti ho medicato le ferite dopo l'attacco di quello... quel Dio della Morte, ecco. – dice.

– Si chiama Shinigami. E in ogni caso grazie, hai fatto un ottimo lavoro. – rispondo, scoprendo la manica destra dove mi sono rimasti i punti di sutura di un taglio impeccabilmente ricucito che Deoniok mi ha lasciato come ricordo.

Ci avviciniamo al resto del gruppo.

– Sai combattere? – chiede all'improvviso, come se non gli piacesse il silenzio che si è creato fra di noi. Non è tecnicamente un silenzio imbarazzato, quindi a me piace, ma nemmeno questo è troppo garbato da dire e così evito di riferirglielo.

In realtà non combatto più da poco tempo prima di arrivare al Campo Mezzosangue, ma penso di essere ancora in grado di farlo. Allungo una mano di fronte a me e mi concentro appena: un rivolo di metallo fuso cresce subito e veloce in una spirale verso il mio palmo, solidificandosi in una spada dalla lama leggermente ondulata con affilate seghettature al centro. L'elsa è costituita da un'asticella leggermente ricurva che termina con due teste di serpente, mentre le loro code si intrecciano e si fondono nella parte iniziale del piatto.

– Lo devo prendere come un sì? – chiede Max, impressionato.

Io faccio spallucce e mi dirigo verso gli altri.

– Bella spada! – fa Percy. – Niente armatura? – ci vuole l'armatura? Onestamente non ne ho mai avuto bisogno... scuoto leggermente il capo e gli dico che non fa niente.

Ritiro le ali nella schiena ed ascolto la strategia: una parte di noi resterà in difesa, mentre l'altra cercherà in intrufolarsi non vista nell'area della squadra rossa, e sfruttando l'elemento sorpresa prenderà la bandiera.

Mi piace questo piano, sono brava a muovermi in silenzio e senza farmi vedere.

Il corno suona e noi partiamo.

 

LEO

Non ho mai visto Amber combattere, e sono curioso di vedere come se la cava con la spada. Le chiedo più volte se non vuole un'armatura anche lei, ma dice che non è importante e che duella meglio senza. Non sembra prestare molta attenzione alle mie parole, è lanciata in una corsa silenziosa che sembra non smuovere nemmeno l'erba dentro al bosco, verso la prima tappa del nostro attacco.

La bandiera avversaria si trova nei pressi del torrente, al limitare del bosco. È un guaio, perché raggiungerla vuol dire attraversare una parte di campo allo scoperto, e ci faremmo vedere di sicuro.

Amber si muove con parecchia sicurezza lungo il bordo della macchia di alberi, appiattendosi al suolo e valutando il miglior punto da cui attaccare. Siamo in sei: io, Annabeth, Amber, Percy e due miei fratelli. Ci raduniamo in un punto dietro ai cespugli per non essere visti.

Annabeth mi supera e si affianca ad Amber. – Propongo di modificare il piano e attaccare subito. Non c'è spazio per nascondersi– dice.

L'altra scuote leggermente la testa, senza staccare gli occhi dal campo.

– Non credo sia una buona idea. –

Ahi. Pessimo errore, tesoro. Se c'è una cosa che va saputa su Annabeth Chase è che quando si tratta di strategie militari non va assolutamente contraddetta.

La bionda si gira mostrando un certo disappunto negli occhi grigi e temporaleschi.

– Come, scusa? –

Amber non sembra aver notato la sua espressione, perchè dice, convinta: – da qui a lì saranno cento, centocinquanta metri. Se ci mettiamo a correre ci vedranno, e correranno sulla difensiva prima del nostro arrivo. –

– E sentiamo, che cosa proponi? –

– Ci sto pensando. –

– Perché non apri le ali e fai un volo a recuperarla da sola, la bandiera? – Annabeth ha proprio l'aria di essere potentemente irritata. Vorrei dire ad Amber che è meglio smetterla, ma lei non sembra aver colto il sarcasmo della domanda.

– Che gusto ci sarebbe, se bastasse volare fin lì? – dice, con voce seccata.

Si sporge appena oltre la linea dei cespugli. Noto anche io che ci sono quattro ragazzi di Ares inclusa Clarisse a montare di guardia, probabilmente sarà difficile arrivare alla meta.

– Ho un'idea. – dice Amber. Annabeth sbuffa ed alza gli occhi al cielo.

– Sentiamo. –

– Posso cambiare colore alle creste degli elmi, ed avanzare facendo finta di essere dei rossi. Finché saremo abbastanza lontani da non essere riconoscibili, cammineremo piano, per non destare sospetti, e visto che questi affari nascondono il settanta per cento del viso potremo avvicinarci parecchio. Dopodiché li attacchiamo cogliendoli di sorpresa – Se Annabeth la contraddice vuol dire che si è bevuta il cervello. Il piano è ottimo, e funzionerà di sicuro.

– C'è un unico intoppo: – come non detto. – Tu non porti l'elmo. –

Amber sorride con un'aria furba che fa quasi paura.

– Mi sono allenata giorni interi a fare questo, quando ero piccola. – preme una mano al suolo e, nello stupore generale, la terra ribollisce gorgogliante, una sfera si stacca dal resto e si modella, diventando pian piano lucida e bronzea. Qualche altro secondo, e Amber si ritrova in mano un elmo come il nostro.

La figlia di Atena sbuffa sonoramente, ma alla fine è costretta a darle ragione e le porge il suo, come facciamo tutti, e lei con un semplice schiocco di dita cambia il colore della cresta da blu a rosso.

Un attimo ancora ed usciamo allo scoperto.

 

 

Scendiamo lungo il pendio ed immediatamente catturiamo la loro attenzione, che scattano sugli attenti. Come stabilito, non corriamo e avanziamo lentamente con aria disinvolta e da bulli attaccabrighe, come ogni buon figlio di Ares che si rispetti. Le creste rosse risaltano contro l'erba verde e aranciata dal tramonto, quindi abbassano le armi e ci lasciano avvicinare, guardandoci solo con aria interrogativa come a chiederci perché siamo lì a perdere tempo e non a prendere la bandiera.

A venti metri vediamo le loro espressioni corrucciarsi improvvisamente, devono aver notato che siamo un tantino diversi dai loro compagni di squadra. Arrivati a meno di dieci metri aumentiamo l'andatura, i miei compagni stringono le dita sulle else delle spade e io tiro fuori il grosso martello dalla cintura degli attrezzi. A cinque metri gli do' fuoco.

E a meno di quattro attacchiamo.

 

 

Onestamente, non mi aspettavo che Amber fosse così brava.

Con uno scatto improvviso ed incalcolabile si tuffa in avanti roteando con precisione la spada, avventandosi contro una furiosa Clarisse che fa in tempo solo ad imprecare ed a rotolare di lato. Con orrore, vedo la lama lucida e seghettata affondare nella terra dove un secondo prima c'era la testa della figlia di Ares, per poi staccarsi e ripartire all'inseguimento.

Io mi fronteggio con un ragazzo che mi supera di trenta centimetri buoni, ma non mi lascio intimorire. Alzo il martello sopra alla testa e lo sbatto al suolo con tutta la forza che ho, facendolo sprofondare quasi completamente. Da quel punto cresce e si chiude un anello di fiamme scoppiettanti che lo bloccano senza via di fuga.

Fatto questo, corro ad aiutare Nyssa, mentre vedo Amber lottare come una furia contro Clarisse. Ogni suo colpo è più letale di quello precedente, preciso e diretto, e l'altra sembra essere in notevole difficoltà, finché ad un certo punto, da questa non parte un fendente obliquo dall'alto, velocissimo e indirizzato alla testa dell'avversaria. Si abbassa fulminea, ma la lama taglia via il pennacchio truccato dell'elmo.

Amber si toglie il resto e lo lancia lontano, come se le fosse solo d'impiccio, ed i suoi capelli azzurri spiccano contro i colori del tramonto che tingono tutto di arancione. Poi, senza dare il tempo a nessuno di capire cosa stia per fare, si avventa con violenza su Clarisse che, presa impreparata, viene spinta all'indietro e barcolla paurosamente. Uno sgambetto ed è a terra, disarmata.

È allora che l'altra si lancia verso la bandiera, la prede e la alza trionfante, con un grande sorriso stampato in volto.

 

 

 

Nota dell'autrice

dopo tanto lavoro le ho dato un po' di tregua e l'ho fatta divertire, povera Amber... spero che fin qui vi stia piacendo e che abbiano un senso le cose che scrivo, in caso contrario fatemelo sapere!!!

un bacio a tutti, come sempre vi chiedo di recensire e vi saluto!!

 

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Capitolo 13
*** Ritorno a Ogygia ***


AMBER
È passato un altro mese e fra una settimana è ottobre.
E intanto, ogni mattina mi sveglio e ho l'amara consapevolezza che quel giorno sta per arrivare, che i minuti passano troppo velocemente e che mi sento schiacciata ed azzannata da quella morsa inarrestabile che è il tempo.
Quel giorno sta per arrivare davvero. Il giorno in cui rischierò il tutto per tutto e non impedirò a Leo di fare quello che è giusto e che è necessario.
Che torni dalla ragazza alla quale ha lasciato il suo cuore.
Che si dimentichi di me.
Ho messo a punto ogni trasmutazione e distillato il contro incantesimo che, una volta arrivato su Ogygia, gli consentirà di tornare come prima e di essere riconosciuto. È un liquido lievemente azzurrino contenuto in una fialetta di vetro. Spero solo che non la perda.

Il 3 ottobre facciamo 'i bagagli' e lasciamo il Campo Mezzosangue, per raggiungere l'area stabilita e circoscritta dai quattro Dei che ci stanno aiutando, dove avverrà la penultima fase di questa operazione.
Hazel è quella che mi saluta con più tristezza, si mette quasi a piangere. Le dico che non è un saluto definitivo, ma non ne sono convinta al cento per cento nemmeno io. La abbraccio e così faccio con gli altri.
Mi lascia un po' l'amaro in bocca andarmene così di punto in bianco, e salutare i miei amici. Voglio dire, ho stretto un buon rapporto anche con Percy, che all'inizio non riuscivo neanche a guardare in faccia, ed ora devo sparire.


Argo, l'uomo con il corpo ricoperto di occhi, ci accompagna con la sua auto fino alla zona urbana, dove fermiamo un taxi che ci porti fino a Manhattan.
In macchina non parliamo granché, lo tengo solo per mano. Ho davvero paura che questa sia una delle ultime volte, e mi si stringe lo stomaco al pensiero.
-Amber- dice lui, dopo un po'. -Sono davvero il Re degli Shinigami?-
-Si.-
-E se io non volessi esserlo?-
-Credo che la carica sia cedibile. Come il Quaderno.- dico, senza staccare lo sguardo dai palazzi che scorrono di fianco alla macchina.
-Amber, d'ora in poi tu sarai il Re degli Shinigami.- dice all'improvviso, lasciandomi spiazzata. Non riesco a dire nulla. Non so nemmeno se voglio ringraziarlo.
-Leo, io non voglio assumermi questa responsabilità.- dico, sommessamente.
Lui si sporge per vedere la mia faccia. Io vedo la sua, e noto con sgomento che sembra un po' offeso.
-Ma la accetto lo stesso.- dico alla fine. Lui sorride sollevato, e mi stringe la mano.
Devo mantenerlo in vita. Devo fare in modo che non venga meno al giuramento e devo prendere l'incarico perchè qualche Shinigami potrebbe ucciderlo.
Non deve morire.

La "zona circoscritta" è il mio vecchio appartamento nel centro di Manhattan, accogliente e caldo d'inverno. Ci ho abitato da quando Sebastian è morto, un'assistente sociale mi ha aiutato a trovarlo e ogni tanto passa a vedere come vanno le cose. Dato che ha le chiavi che io sappia viene anche quando non ci sono.
Ho messo due serrature perchè quando si sta via tanto la sicurezza non è mai troppa, e una delle due si blocca ad ogni giro di chiave. Leo si offre per sistemarla, ma chissà come mai non ci sento ancora dall'orecchio sinistro, e non lo sento. Per la frustrazione trasformo l'ottone del meccanismo in panna montata.
Leo ridacchia e ci tuffa dentro in dito, infilandoselo poi in bocca. Io lo imito, in questo momento ho bisogno di qualcosa di dolce, e un paio di ditate di quella roba bianca e spumosa fanno al caso mio.
Ora che siamo dentro sono più contenta del solito di avere un assistente sociale. La stanza principale profuma di detersivo e non c'è una virgola fuori posto. L'appartamento ha un salotto -che comprende la cucina- molto ampio, illuminato a giorno da una finestra enorme che occupa tutta la parete. C'è una vista stupenda sulla città, e questa vetrata mi offre un ottimo punto di decollo quando sono di fretta o voglio semplicemente volare via da qualche parte. Un divano in pelle, una libreria colma di libri ed un televisore, tappeto e tavolino e qualche quadro costituiscono il mobilio del salotto, mentre la cucina riempie la parete consecutiva alla vetrata ed ha la penisola in marmo rosso.
-Carino! Ragazzi, che vista!- esclama Leo, correndo alla finestra ed affacciandosi di sotto. Fischia.
-Davvero un bel panorama.- commenta.
-Accomodati pure.- dico io, sorridendo. -Qualcosa da bere? Caffè?-
Leo sbarra gli occhi. -Fidati, è meglio di no. Sono fin troppo iperattivo senza bere quella roba amara.- dice, sedendosi sul divano.
Apro il frigo: rigorosamente pieno di mele, e tutte fresche. Di bevande ne ho di tutti i tipi, e tiro fuori due lattine di Coca Cola. Glie ne porgo una e beviamo.
Lui continua a guardarsi intorno incuriosito, finchè non nota una foto sulla mensola centrale.
-Quello è Sebastian?
Scoppio a ridere stringendomi lo stomaco.
-No, Leo!- anche lui ride, ma sembra confuso.
-Quella sono io da piccola!- dico, fra una risata e l'altra. Lui arrossisce appena ma non si trattiene e quasi si piega in due.
Mi alzo in piedi barcollante e prendo un'altra foto che non aveva notato.
-Questo è Sebastian.-
Smette improvvisamente di ridere e prende in mano la cornice. Fissa me e fissa il bambino nella foto e poi l'altra immagine sulla mensola.
Si alza in piedi e prende quest'altra, le mette vicine e le confronta.
-Non mi puoi biasimare se vi ho scambiati. Siete uguali.- dice, riponendole al suo posto.
Alla fine, dopo qualche minuto di silenzio, lo dico:- Vogliamo cominciare?- alza la testa di scatto, gli leggo negli occhi un concentrato di determinazione che non gli ho mai visto prima.
-Va bene.-

Lo piazzo davanti allo specchio in camera mia, e lo contemplo per un attimo. Poi mi tiro su le maniche e do segno che sto per cominciare; se mi soffermo troppo a guardarlo non riuscirò mai a farlo partire, non ne avrei la forza.
Poi, all'improvviso, fa ruotare lo sgabello e il suo viso si ritrova a un soffio dal mio.
"Eh no, se fai così come faccio a lasciarti andare da lei?" Riesco a pensare solo questo, è l'unico pensiero di senso compiuto che mi attraversa la mente prima che mi stringa a sé e mi baci.
Chissà perché questo bacio è diverso da quelli che mi ha dato fino adesso. Questo è più... Intenso. Come se anche lui sapesse che, una volta tornato da Calypso, non si potrà più nulla per farlo tornare da me.

Tutta l'operazione richiede alcune ore. Non faccio cose a casaccio perché una magia del genere può essere facilmente riconoscibile se mettessi insieme un'accozzaglia di tratti contrastanti fra di loro, e seguo il modello di un mortale che ho visto alcuni anni fa dentro a un bar. Me lo ricordo perché mi rovesciò la cioccolata calda addosso, e io per tutta risposta gli mollai un pugno sul naso.
Capelli corti e biondo scuro. Fatto.
Occhi color nocciola. Fatto.
Carnagione pallida. Fatto.
Circa sei centimetri in più. Fatto.
Viso più rotondo. Fatto.
Naso dritto. Fatto.
Questo non è più Leo. Il vero Leo è seppellito sotto tutti questi strati di magia e trasmutazione.
Si guarda indispettito allo specchio e incrocia le braccia.
-Mi piacevo di più prima- fa, con voce malinconica.
-Sono pienamente d'accordo.-

Mezz'ora dopo siamo al porto.
Il piano prevede che, con le sue conoscenze meccaniche, Leo si intrufoli nella stiva di una nave che attraverserà l'Atlantico, aspetterà che passino due giorni dalla partenza, prenderà una scialuppa e, in parole povere, si lascerà naufragare. Se tutto ve bene, Ogygia comparirà, non riconoscendo Leo. Nel caso qualcosa vada storto, invece, Ecate sarà disposta ad intervenire per tirarlo fuori dai guai.
Ha messo in una borsa lo stretto necessario per questi due giorni: cibo, la fiala di controincantesimo e il Death Note.
Non ci sarà bisogno di null'altro, secondo alcuni studi che ho fatto di recente l'isola compare solo se il naufrago è un semidio, e solo se è in pericolo di vita. Sia Leo che Percy mi hanno detto che per arrivarci sono caduti dal cielo, per un motivo e per l'altro, ma ad esempio Odisseo stava per annegare, o roba del genere... Direi che sia la stessa cosa.
***
Leo è partito.



 

LEO
Sono davvero un genio. E contemporaneamente un povero scemo, ma andiamo per gradi. Sono un genio perché la nave che ho adocchiato è particolarmente tecnologica, ma questo non mi impedisce di eludere la sorveglianza e di nascondermi in una cabina della stiva.

Sono un povero scemo perché ho accettato di prendere parte a questa storia, che in termini poveri equivarrebbe a tentare deliberatamente il suicidio.

Mi accuccio sulla rudimentale branda che c'è in questa stanzetta e mi lascio cullare dal dondolio cadenzato delle onde.

Devo dire che questa storia di starmene su una nave senza poterla guidare mi irrita un po', così per distrarmi tiro fuori alcuni attrezzi che ho nello zaino e costruisco un piccolo treno in scala, come quando ero piccolo e mia madre mi diceva che ero destinato a fare grandi cose. Ora che ci faccio caso, e provo a figurare me stesso nella pancia di questa nave che mi accompagna verso una meta che non esiste nemmeno sulle mappe, quei giorni mi sembrano appartenere ad una vita passata.

Cerco di scacciare il pensiero e penso ai lati positivi che questa situazione ha da offrirmi: primo, non morirò. Secondo, rivedrò Calypso.

Ma istintivamente, collegati a questi vengono a galla come boe anche i lati negativi: dovrò escogitare un piano per portarla via, e questo è il meno. Se davvero riuscissi a rendere fattibile questo punto, cosa farò, poi? Sceglierò Calypso o Amber?

Il solo immaginarmi in una posizione simile, conteso fra una ragazza millenaria isterica e un mezzo Dio della Morte, ma fa venire i brividi. Fra le due non saprei su chi scommettere.

C'è di bello che questo groviglio confuso di pensieri e teorie mi fa scivolare nel sonno senza che nemmeno me ne accorga.

 

-Leo...? Leo? Leo?! LEO VALDEZ!! - La voce di Amber per poco non mi spacca i timpani. Almeno saprei cosa si prova ad essere sordi. Mi giro su un fianco e allungo la mano verso lo zaino, infilandola nella tasca anteriore.

Ne estraggo un vetro circolare delle dimensioni di un cd e me lo metto di fronte alla faccia, ritrovandomi a quattrocchi con la Shinigami. È come una Videochiamata, solo che questo coso (a cui non ho ancora dato un nome) è indistruttibile e secondo Amber potrebbe funzionare anche su Ogygia. Grazie ad una serie di incantesimi (ormai è più potente di un diretto discendente di Ecate) ma come solidificato l'acqua in una lastra simile a platino, un dischetto utilizzabile come le chiamate Iride, solo che le ha rese portatili e gratuite, protetto da qualcosa che lo renda invisibile a tutte le strategie di isolamento presenti sull'isola. Secondo la sua teoria, la magia prodotta da uno Shinigami Alchimista è indipendente da quella creata da una maledizione greca, non si possono mescolare le due cose. Sarebbe come mettere l'olio nell'acqua.

-Buongiorno- bofonchio, mettendomi seduto.

-Buongiorno a te, anche se sono le due del pomeriggio.- ridacchia mestamente.

-Leo, hai ancora poco più di mezza giornata.- mi rammenta.

Grazie, Amber. Grazie di avermi ricordato che probabilmente sto per morire.

***

Il guaio è che non rischio di schiattare per il caldo e per una possibile insolazione.

Il vantaggio, è che visto che non mi ucciderà il sole, lo farà la sete.

La scialuppa su cui mi trovo è nel bel mezzo di un oceano blu e sconfinato, tutta questa grandezza intorno a me mi fa sentire piccolo ed indifeso, e cerco di non sollevare la testa oltre il bordo. Ho finito i viveri da diverse ore e il mio stomaco brontola in segno di protesta, ma non lo posso accontentare: tutte le scorte d'emergenza all'interno dell'imbarcazione sono finite a mare, o avrei ceduto alla tentazione e non sarei stato nemmeno in pericolo di vita.

Ho le labbra e la lingua talmente secche che il solo muoverle mi fa pizzicare tutto all'interno della bocca sino alla gola.

Dopo un paio di giorni sono davvero più morto che vivo, e nemmeno Amber si fa più sentire con il dischetto, ma tanto non avrei la forza per rispondere. Quanto può durare un uomo adulto senza acqua? Tre giorni, credo.

Ma io non sono un uomo adulto. Non ho nemmeno diciassette anni, e ho davvero paura che questa cosa non funzionerà. Sono incastrato tra la vita e la morte, il genere di situazione spiacevole che non posso aggiustare con un paio di attrezzi.

Prego la nonna di Amber di tirarmi fuori da qui, mi metterei a piangere ed a implorare, ma è meglio che non sprechi quelle due molecole di H2O che ho ancora nel corpo per delle suppliche che probabilmente non verrebbero ascoltate.

Poi arrivano le allucinazioni, e i morsi della fame colpiscono all'improvviso, dolorosi come pugni dritti allo stomaco che mi fanno piegare in due.

L'unica cosa che mi manca è un temporale, con tanto di onde tsunamiche. Certo. Visto che sono moooolto fortunato.

*** Il cielo si inscurisce all'improvviso e una pioggerellina fitta e leggera comincia a riversarsi sul mare crescendo velocemente di violenza ed intensità, come se qui non ci fosse già abbastanza acqua. Mi accerto che quaderno, antidoto e dischetto siano al sicuro nella borsa impermeabile e me la metto in spalla non appena vedo arrivare le prime, minacciose onde.

Una dietro l'altra sfilano sotto la scialuppa e la inclinano prima da una parte e poi da quella opposta, sballottandomi al suo interno. Sono sempre più grandi, sempre più ripide, e i tuoni rombano in lontananza. Comincio ad avere paura davvero, non tanto per il fracasso del cielo, ma perché forse Zeus ha scoperto tutto e mi sta punendo per aver tentato l'impossibile sotto il suo naso, per aver miseramente e scioccamente provato a fregarlo.

Faccio in tempo ad allacciare le cinghie dello zaino, e un'onda enorme, nera, dalla cresta bianca, spumosa ed illuminata dai lampi, mi inghiottisce.

-

Ho la faccia premuta contro una sabbia fine e bianca, che profuma di salsedine . I muscoli indolenziti mi fanno male, e ho la pelle secca a causa del sale dell'acqua marina. Sento le bretelle del mio modesto bagaglio tagliarmi l'epidermide. Bene, ho ancora la mia roba.

Non ho intenzione di muovermi. Se questo è l'aldilà, no voglio assolutamente scoprirlo. Eppure, a quanto mi è stato detto, non si va direttamente nel Tartaro o nei campi Elisi, ma c'è una specie di corte. Magari ho dormito durante il processo...

-Ehi, sei vivo?- sento il cuore sprofondare sotto la sabbia, sotto la crosta terrestre, sotto il mantello e sotto al nucleo, fino alle profondità più remote dell'inferno e oltre.

Sposto un braccio, poi l'altro, per un attimo ho l'impressione che la mia pelle si stia crepando come se fosse fatta di foglie secche autunnali, ma ignoro il pizzicore fastidioso e mi isso sulle ginocchia.

Occhi leggermente a mandorla, capelli lunghi ed intrecciati su una spalla, veste greca bianca che le arriva fino ai piedi.

Mi guarda indispettita e preoccupata insieme, come se non volesse vedermi qui ma è contenta di sapere che sì, sono effettivamente vivo.

Il mio cuore fa le capriole.

Ce l'ho fatta. O meglio, Amber ce l'ha fatta. Il piano ha funzionato.

-Chi sei?- mi chiede, inginocchiandosi di fianco a me.

-So che non mi crederesti... il mio nome è Leo Valdez.-

lei inarca le sopracciglia come di solito fanno le persone che capiscono di essere soggette ad uno scherzo.

-Cero, come no...-

-Dammi il tempo di dimostrartelo. - la interrompo, e con dita tremanti apro lo zaino estraendone la fiala di vetro, praticamente intatta.

Senza aspettare che Calypso dica niente, la stappo e butto giù d'un sorso il liquido azzurrino, che scorre caldo giù per la gola.

All'inizio non succede nulla. Poi sento come se il sole fosse a diretto contatto con la mia pelle, e per la prima volta da quando sono nato sento cosa si prova ed essere ustionati. Tutto il mio corpo comincia a bruciare e a sfrigolare, e la pelle si inscurisce, sento sulla testa i capelli crescere ed arricciarsi.

Passa qualche minuto perché il processo si completi, minuti interminabili nei quali il viso di Calypso è attraversato da un profluvio inarrestabile di emozioni: paura, sgomento, stupore, felicità, euforia.

Istintivamente esibisco il mio sorriso furbo, da “folletto”.

-Questa roba fa davvero schifo.- commento, e getto alle mie spalle la fialetta, appena prima che un paio di braccia mi travolgano con la stessa forza delle onde che mi hanno portato qui.

 

 

 

 

Angolo Autrice

voilà, ricongiunti.

Mi dispiace per i fan della AmberXLeo, ma non è ancora finita, ho in serbo qualche altra sorpresina.... spero che vi stia piacendo, commentate che le vostre recensioni mi rendono sempre felice!!!! -per questo ci tengo a ringraziare KuRaMa faN per i commenti agli ultimi capitoli!

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Capitolo 14
*** Lo Shinigami e la reclusa ***




Sto per bestemmiare potentemente.
Sono sicura che lo farò...
Non riesco a trattenermi...
-PORCO Z...-
Il fulmine che cade dal cielo squarcia la terra a pochi centimetri dal mio piede sinistro e l'onda d'urto mi sballotta lasciando il mio corpo steso al suolo. Sento l'elettricitá sfrigolare intorno a me ed i capelli mi volteggiano intorno al viso, incollandosi alle guance e alla fronte.
-E va bene!- borbotto, affranta. -Scusami, scusami davvero.- 
Mi siedo sul selciato e guardo distrattamente il vento autunnale che fa turbinare le foglie e la polvere in piccoli vortici, cercando disperatamente di non imprecare di nuovo.
Leo è partito da più di due settimane e dall'ultima volta sulla nave non l'ho più sentito. Il dischetto non funziona. Non capta la presenza dell'altro, probabilmente avevo fatto male i conti e su Ogygia non riceve il segnale. Ogni giorno ho riprovato ad accenderlo, ma lo schermo restava deturpato da linee in bianco e nero sconnesse e tremolanti. 
Il primo pensiero è che Zeus abbia scoperto tutto, ma a pensarci bene non potrebbe protestare su nulla, dato che abbiamo pienamente rispettato i patti che vincolano i naufraghi di Ogygia. Il secondo è che, per qualsiasi ragione, qualcosa sia andato storto. Mi viene un tuffo al cuore se ci penso. Ormai ho perso la metà dei battiti, il mio organismo non è stato fatto per sopportare tanto. 


Solite striscie nere e grigie. Che sfrigolano e crepitano. Ogni tanto un debolissimo scoppio. 
Poi, improvvisamente la superficie cristallina viene inondata di bianco, e sono costretta a chiudere gli occhi. Quella luce continua a trafiggermi le palpebre facendole bruciare, poi si affievolisce lentamente e, con i colori, anche i suoni si definiscono chiari e nitidi, e soprattutto spaventosi. Mare, che ondeggia, e che fa ondeggiare a sua volta un bordo plasticoso verniciato di verde . Sciabordio d'acqua, cielo indaco ed infinito, eccetto dove il sole cocente lo tinge di giallo.
Il dischetto di Leo deve essere rotolato contro la parete della scialuppa, l'inquadratura mi offre la visione intera, seppure un po' storta e sbiadita, della barca.
Ha subito una visibile modifica, perché il rosso ciliegia del Bronzo Celeste brilla fortissimo contro il verde scrostato della vernice, dove probabilmente c'era una falla. 
Leo è seduto a gambe incrociate al centro, ha il suo vero aspetto e traffica con cacciaviti e bulloni, sparsi alla rinfusa intorno a lui. 
I capelli sono più spettinati del solito, gli occhi infossati, le guance emaciate e la pelle scottata, le mani tremano visibilmente su un disco di controllo molto simile a quello di Festus, ed i cavi spessi e rudimentali passano dal centro di quest'ultimo fino al motore smembrato della scialuppa.
Leo sembra essere sul punto di una crisi isterica.  Continua ad agganciare i cavi fra di loro e ad avvitare i bulloni, ma gli occhi spalancati all'inverosimile gli conferiscono il tipico aspetto del 'se non mi muovo muoio'.
Chiamo il suo nome, ma è come se fosse messo il muto alla recezione audio, e Leo non risponde. Continuo a urlargli per mezz'ora, con le lacrime  agli occhi per la disperazione, ma nulla, assolutamente nulla.
Continua ad avvitare, collegare, saldare con attrezzi che non ho idea da dove saltino fuori, finchè non succede una cosa incredibile.

Leo si è arreso.

Sono qui a fissare lo schermo tornato vuoto da più di dieci minuti.
Non può essere, non ci credo. È impossibile che Leo Valdez si abbandoni in questo modo, letteralmente buttando a mare le possibilità di sopravvivere.

È questo che mi fa capire che deve esserci qualcosa che non va, il fatto che questo dettaglio suoni come una nota stonata in una canzone, come l'ultimo pezzo di un puzzle che però non combacia con i bordi confinanti.
Non è assolutamente da lui abbandonare così.
È chiaro come il sole che qualcuno sta cercando di fregarmi.
Non posso cambiare il mio aspetto per questo viaggio, la mia dose di poteri si è vertiginosamente abbassata da quando ho lavorato su quello di Leo, e non ne ho abbastanza per trasformarmi in un ragazzo. Mi limito a tagliatmi i capelli, li lascio rasati ai lati e lughi sul resto del capo. Mi piacciono cosi, non sono poi tanto male. Il vantaggio di avere i capelli da Punk è che stanno bene anche con un taglio maschile come questo. Ma al diavolo, il mio sesso non dovrebbe compromettere nulla, sono la regina degli Shinigami, sono alla pari di Zeus, e se questo non ha il suo peso allora non ce l'ha nemmeno il fatto che probabilmente qualcuno sta intralciando la missione.

Sto volando sulla distesa piatta e grigia dell'oceano da un bel po'. Calcolando che il piano prevedeva due giorni sulla nave e che per essere in rischio di vita Leo si sarebbe dovuto trovare in mare aperto senza bere per tre giorni al massimo, Ogygia non deve essere troppo lontana. Spero solo che un'eventuale tempesta non abbia spostato troppo la rotta della scialuppa, altrimenti ci metterei un sacco a trovare l'isola, e tanto per cambiare il tempo è la prima cosa di cui non dispongo. 
In realtà, per celare cosí bene un'intera zolla di terra, ci vorrebbe un sacco di magia, e conosco un trucco che potrebbe aiutarmi.
Mi fermo in un punto che sembra essere nel bel mezzo del nulla se non fosse per un minaccioso nembo che sbuca dalla linea d'orizzonte. E apro la mente. Il metodo è lo stesso usato dai pipistrelli: con la mente propago un'onda via etere che rimbalza contro qualsiasi incantesimo.
Una volta eseguita la prima parte resto assolutamente immobile, in attesa della risposta. Se l'isola é a diverse leghe da qui il segnale potrebbe essere debolissimo, e non lo sentirei, quindi devo tenere l'orecchio teso.
Devo aver calcolato il quadro generale davvero con poca prospettiva, perchè l'onda di ritorno mi travolge potente come uno tsunami e comincio a precipitare verso il mare.
La lastra blu e luccicante si avvicina, le ali si accartocciano contro il corpo, fin quando non riesco a riprendere e si aprono frenando bruscamente questo precipitare scombussolato come una centrifuga. 
Veniva dalla parte opposta da cui si vedono le nuvole. Comincio a volare in quella direzione, finchè in lontananza non scorgo una piccola macchiolina verde contornata da spiagge bianche, la cui magia credo verrebbe captata anche da un essere umano. 

Diciamo che avrei dovuto pianificare questa cosa un po' più meticolosamente. In breve, entrare nel monsone in arrivo da ovest ed entrare in quella barriera sarebbero più o meno la stessa cosa, tranne che nel nembo ne uscirei zuppa fino al midollo.
Precipito violentemente al suolo, sollevando un'onda di sabbia bianca fine come fiocchi di neve, che si disperde intorno a me come fumo nella corrente. 
Resto sdraiata. Non riesco a muovermi, ma so di essere sveglia perchè la polvere negli occhi mi da un certo fastidio, e le ali ripiegate sul mio corpo come una coperta sono incrociate in un modo  piuttosto scomodo. Sento uno scalpiccio di piedi sulla sabbia, e una voce mi giunge lontana all'orecchio buono.
-Oh miei dei... Non è possibile, non un altro... non ADESSO!- sbraitò, facendosi vicina. 
-Calypso, che succede...? Oh.
Merda. - È come se il mio corpo venisse sottoposto a una scarica di adrenalina ed a una dose di veleno paralizzante contemporaneamente, perchè vorrei scattare in piedi, ma ho  i muscoli rigidi come la pietra.
Perlomeno è vivo. Dal suo tono non si direbbe contentissimo di vedermi, è con un'altra ragazza, ma almeno sembra stare bene.
-No, non di nuovo!- continua ad urlare Calypso, indignata. -Ma non vedi che c'è già qualcun'altro, sull'isola?!- prosegue, rivolta ad un interlocutore che, a giudicare dalla traiettoria del suo sguardo, deve abitare sicuramente su una nuvola. 
-La regola è un'Eroe alla volta!-
-Ehm, Calypso...- si intromette Leo, con titubanza.
Lei lo ignora e aggiunge: -E stavolta è addirittura un mostro? Non è solo un ragazzo ma anche un mostro?!?!-
Questo è troppo. È decisamente troppo, la goccia che ha fatto traboccare il vaso.
Le mie ali si spalancano nei loro cinque metri di membrana nera e fremente di rabbia, oscurando minacciosamente il sole e sollevando altra sabbia insieme al mio corpo. La ragazza lancia uno strillo acuto e fa un balzo all'indietro, ma con uno scatto preciso e repentino le sono addosso, le mani strette attorno alla sua gola. 
Boccheggia ed annaspa disperatamente in cerca di aria, ma le impedisco di respirare serrando di più le dita intorno al suo collo, mentre Leo tenta di separarci senza avere molto successo.
Lo stupore di Calypso sembra più dato dal fatto che io sia una ragazza che io la stia per ammazzare, anche se conosco un modo decisamente più indolore per farlo. 
Con un battito dell'ala scaravento Leo ad un paio di metri, dove rotola nella sabbia pallida con una serie di imprecazioni.
-A chi hai dato del mostro?!- ruggisco, con le pupille tinte di rosso (lo sento perchè bruciano e ci vedo meno di solito), cosa che mi succede quando sto per uccidere qualcuno, e scuotendola come se l'istinto piu irrazionale di me bramasse solo a farle schizzare gli
occhi fuori dal cranio.
-AVANTI ABBI IL CORAGGIO DI RIPETERE CHI È IL MOSTRO! Sei tu, sei tu il mostro, che mi giudichi un essere spregevole senza sapere nulla di me!- urlo, mentre la sua pelle si fa verdognola.
-Be', mia cara, ho una piccola notizia per te:- dico, improvvisamente pacata, cosa che sembra terrorizzarla ancora di piú, -senza di me, tu non ti puoi muovere da qui.-
Ed è effettivamente vero. A conti fatti
, solo io posso trascinare Leo e quest'altra scema fuori dall'isola perchè sono la regina degli shinigami e, in parole povere, faccio quello che mi pare. 
Il punto é che se la mia priorità è che Leo sia felice, una volta tornati indietro sarò sola di nuovo.

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Capitolo 15
*** lavoro sul campo ***


LEO

Amber è in assoluto l'ultima persona che mi aspettavo di vedere. Non che mi aspettassi di vedere qualcuno in particolare, ma non sono del tutto sicuro di essere contentissimo di averla qui.
La verità è che vorrei che non fosse mai venuta, che non mi avesse cercato, che non si fosse preoccupata per me, vorrei che non stesse tentando di ammazzare Calypso, vorrei che le sue parole non fossero cosí tristemente vere.
La verità è che mi sono innamorato di nuovo di Calypso, e non posso farci nulla. So che prima o poi dovrei dirglielo e che le spezzerà il cuore, e non posso essere cosí egoista da credere che è forte e che mi dimenticherà, perchè con tutto quello che ha passato da quando è nata ciò che resta di lei è un mucchio di macerie, che ovviamente non si possono ricostruire da sole.
Per questo l'amore non è argomento da figli di Efesto, e da Leo Valdez in particolare: un cuore infranto non si può aggiustare con un paio di viti ed un saldatore. È il genere di cosa che non sono capace di riparare, e il non saper riparare qualcosa mi da sui nervi.
In realtà nemmeno lei sembra troppo contenta di essere qui, e credo che abbia visto giorni migliori: ha i capelli molto corti, la pelle secca e pesanti borse sotto agli occhi, per non parlare della sfumatura sanguigna che hanno preso le sue pupille.
Una volta che le ho separate cerco di tranquillizzare entrambe, ma Calypso é troppo arrabbiata e sconvolta, mentre Amber sembra essere sul punto di chiedermi indietro il quaderno. Le creste sui gomiti vibrano come la coda di un serpente a sonagli, e fissa l'altra con l'omicidio negli occhi.
-Okay, signore,- esordisco.-propongo di sederci da qualche parte e, senza tentare di ammazzarci l'un l'altro, senza svolazzi di penne su quaderni assassini, senza canti che farebbero svenire un elefante, parlarne con calma.-
Calypso strabuzza gli occhi con disappunto. -Non farò entrare questo mostro nel mio giardino. Scordatelo.-
Amber non dice nulla. Sta ferma e fissa la sabbia di fronte a sè, come se non trovasse nulla da commentare al riguardo. Il che, se possibile, è anche peggio. È la quiete prima della tempesta. Il mare calmo e piatto prima che le onde tsunamiche compaiano minacciose all'orizzonte.
-Per favore, Calypso, è l'unico modo che abbiamo per farti uscire da qui.- tento di sdrammatizzare.
-Ah, non ti ci mettere anche tu, non capisci che questa è un intrusione bella e buona!- sbraita, gesticolando furiosamente con le mani.
Amber scolla lo sguardo dal suolo e rivolge a Calypso uno sguardo stranito. -In che cosa? Nella vostra luna di miele?- sento i brividi farsi strada lungo la mia schiena come piccole creature striscianti. -No, tesoro, questa non è un intrusione, è solo la partenza. Di Leo, non tua.-
Sento il cuore schizzarmi in gola. Questo vuol dire che partirò solo io, e se la memoria non m'inganna, quello che Amber dice ha anche senso. Io ho solo giurato il mio ritorno. Ma non ho mai detto che l'avrei portata via dall'isola.
Nella remota speranza che non ci abbia pensato, le chiedo:- scusa un attimo, dovremmo lasciarla qui? L'hai detto anche tu che l'avresti salvata!-
Lei mi guarda come se si fosse appena accorta della mia presenza, facendo saettare gli occhi sul mio viso.
-Si, in realtà non pensavo a quello che dicevo.- fa, con sfacciata noncuranza. -A pensarci bene non credo che riuscirei a fare una cosa del genere. Con te forse si, ma lei no. È su di lei che ricade la maledizione. Non saprei come fare nemmeno volendo.- dice, con malcelato rammarico. In questo momento la sto odiando, sapevo che se mai si fossero incontrate non sarebbe mai scorso buon sangue, ma speravo almeno in un minimo di collaborazione.
-E in ogni caso,- prosegue. -il piano prevedeva salvare la vita a Leo per il giuramento, ma non di tirare fuori anche te. Se gli dei hanno deciso di punirti, avranno avuto le loro valide ragioni.-
Gli occhi di Calypso si colmano di lacrime pesanti che scorrono in piena lungo il suo viso, lasciando strisce luccicanti sulla pelle candida.
-Come puoi dire questo... Anche tu avresti appoggiato tuo padre.- singhiozza.
L'espressione di Amber cambia, e si fa più rilassata.
-No, non lo avrei fatto. Mio padre è una creatura tremenda, non meriterebbe nemmeno di vivere. Credo che farei cambio in qualsiasi momento. Anche se questo comprendesse la maledizione, la solitudine non mi dispiace cosí tanto.-
Calypso si asciuga le lacrime. -Sul serio?-
Amber annuisce mestamente.
-A causa sua ho perso tutto. Nei rari casi in cui nasce un essere vivente da un umano e uno Shinigami, il genitore più potente si fa carico del suo avvenire, scegliendo se dargli sangue mortale o misto. Lui non avrebbe sopportato l'idea di figli umani, e il mio essere metà dea della morte per SUO desiderio è costato la vita di mia madre, di mio fratello, dei miei amici. Poi, all'improvviso, ha deciso che ero troppo pericolosa, e che andavo eliminata. Aveva ucciso Seb e in breve arrivò a me.-
Sento come se la terra sotto ai miei piedi fosse fatta di gelatina, e vorrei tanto che mi inghiottisse. Amber mi ha mentito, allora, quando mi ha detto che suo padre era morto... una parte di me non ne è molto contenta, ma certamente non la posso biasimare. Quel mostro... Era davvero una creatura tremenda, non ho mai provato senso di colpa per cosa gli ho fatto, e non lo farò mai.
-Grazie a Leo sono viva, e soprattutto libera.- conclude.
Non ci sono bisogno di parole, mi lancia solo una brevissima ma eloquente occhiata, esamina il mio volto in cerca di qualcosa che le dia la conferma del fatto che ho capito.
Deoniok era il padre di Amber.


AMBER

 

Dicevo la verità. Riguardo al fatto che non so come tirare Leo fuori di qui. E a quanto pare dovró rimediare un viaggetto anche per la povera scema qui con noi, perchè senza di lei Valdez non ci può stare.
Mi metto a rimuginare sul da farsi, ma le prospettive per noi non sono delle piú rosee, e non ci salto fuori.
Non so come attivare un portale o roba simile, e trasportarli uno alla volta di peso è fuori discussione, non riuscirei ad attraversare l'atlantico.
Ma a pensarci bene, forse posso trasmutare la maledizione. Non so come fare ne se ci riuscirò, ma non credo di avere altre alternative, oltre a questa.
Il giorno dopo parto all'alba. Non voglio essere qui quando Leo e Calypso si sveglieranno, e detesto la “sensazione del terzo incomodo”, quindi la cosa non mi dispiace.
Tengo l'orecchio teso e mando altre onde via etere, che mi segnalano la presenza di una barriera. Però è strano, non c'è mai l'onda di ritorno, e il segnale arriva subito dopo l'emissione. Comincia a sorgermi il dubbio che questo scudo non sia cavo all'interno, ma che comprenda tutta l'isola. Ci sono certi punti in cui si affievolisce, e mi guardo bene dal sorpassare il limite: se dovessi perdere Ogygia non so se riuscirei a tornarci.
Cerco di passare il meno tempo possibile con quei due: ogni giorno parto presto, esploro una nuova parte dell'isola e torno molto tardi, giusto il tempo per tre ore di sonno.
Dopo qualche tempo (ai fusi orari magici ci sono abituata) mi accorgo che i punti più potenti del campo di forza si spostano. Sono in costante movimento, e si fermano solo di notte, quando tutto è immobile e scuro. La cosa mi rende irrequieta, perchè vuol dire che il suo nucleo è qualcosa di vivo e che puó muoversi di propria iniziativa, quindi trovarlo si rivelerebbe molto più difficile del previsto.
Alla fine, la risposta è talmente scontata, ovvia e vicina che me ne accorgo solo quando per poco non mi rompe la spina dorsale.

Quella che presumo essere la sesta sera su Ogygia, si rivela tristemente senza risultati, e mi vedo costretta a rientrare con qualche ora di anticipo. Sono stanca, delusa e amareggiata, ogni mio sforzo porta a scarsissimi se non nulli esiti, di cui non posso nemmeno fidarmi perché se il campo continua a mutare, non so più da che parte sbattere il muso.

Mi avvio con passo strascicato verso la spiaggia, dove godo di una bellissima vista del tramonto: il disco rosso che è il sole scompare già per metà all'orizzonte, tingendo le nuvole e l'acqua di colori caldi e dolci, tanto intensi da non farmi più distinguere la linea che separa i due regni paralleli del mare e del cielo.

Mi siedo a gambe incrociate e affondo le dita nei sottilissimi granelli di sabbia pallida, assaporandone la finezza con il tatto, e all'improvviso, nonostante sembra che tutto sia contro di me, nonostante le cose vadano a rotoli, sento come se una pace piatta e silenziosa sia calata su di me. Ma è una pace strana, perché ho il presentimento che non dovrebbe esserci, come se fosse fuori luogo. Sono stranamente rilassata, e il fatto di non saperne il perché mi inquieta. Forse è per questo che la mia calma improvvisa ha un retrogusto amaro.

Mi stringo le ginocchia al petto e appoggio la fronte sulla pelle, mentre sento delle voci in lontananza che si definiscono piano piano. Stupidamente, mi chiedo chi possa essere.

Che razza di domanda è?!

Prima che possano vedermi, scatto in piedi e mi rifugio nella macchia, dietro ad un cespuglio. Mi acquatto e tendo l'orecchio.

-... per Efesto, non posso farci nulla se non ne è in grado!- dice Leo, con una punta di esasperazione nella voce.

- Lo so, ho capito. - Risponde lei, con gentilezza. - è solo che sono stanca di stare sempre qui. Vorrei vedere cosa c'è aldilà dell'oceano, e solo lei può aiutarmi a farlo.-

silenzio per qualche secondo.

-Ehm... magari può anche essere che lei non ha tutta questa voglia di farlo...- dice Leo, con titubanza.

-Cosa vorresti dire?- esclama improvvisamente Calypso.

-Accidenti, prova ad invertire i vostri ruoli! Vista la situazione, sarebbe più che normale se non le interessasse nulla di quello che potrebbe capitare a te!-

-Perchè mai dovrebbe? Cosa le ho fatto? Valla a capire, l'irrazionalità dei mostri...-

-Non la chiamare così di fronte a me.- sbotta Leo, improvvisamente serio.

-Ma...-

-Niente ma. Non è un mostro. Mi ha salvato la vita, mi è stata vicina quando non c'era nessun altro, ha fatto tornare mia madre, e se non volesse tirarti fuori da qui, ne avrebbe tutte le ragioni. Che cosa ci guadagnerebbe ad essere di nuovo sola? A salvare una persona che l'ha chiamata mostro senza nemmeno sapere che cosa ha passato?-

-Quindi adesso è colpa mia?-

-Non sto dicendo questo.-

-Era sottinteso. È colpa mia se da quando sei tornato non la ami più? È colpa mia se in una creatura alata che ha tentato di ammazzarmi ci vedo nient'altro che un mostro? È lei che si estranea; se sta fuori tutto il giorno e non mi parla mai come potrei conoscere la sua storia?- stavolta Leo resta in silenzio.

Andiamo, Leo, dille la verità. Dille quello che ho sopportato fino adesso. Dille con chi ho avuto a che fare per ridurmi in questo stato...

sento la rabbia schiumare dentro di me e ribollire come in una pentola a pressione, e involontariamente una radiazione viene sparata fuori dal mio corpo.

La sento che cerca di propagarsi invano nello spazio finché qualcosa di troppo potente per non essere il nucleo la blocca, e la rispedisce indietro facendomi sbalzare a dieci metri dal punto in cui mi trovo. Rotolo nella sabbia e negli arbusti, la schiena che piange di dolore ed il corpo immobilizzato, mentre la mente è perfettamente lucida.

Ecco perché il campo di forza a volte era più debole in certi punti. Calypso è il nucleo stesso della maledizione, quindi la segue ovunque va.

 

ANGOLO AUTRICE

sono imperdonabile, me ne rendo conto

scusatemi per il ritardo, sono mortificata!!!!

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Capitolo 16
*** Libertà ***


AMBER

La soluzione è come una scossa violenta presa direttamente da una centrale elettrica. E posso garantire che fa male.
Mi sveglio da un breve coma sdraiata su una panchina di pietra nel giardino di Calypso. Sento subito una miriade di profumi diversi e delicati, di fiori e foglie, naturali e rigeneranti.
Devo dargliene atto, questo posto è davvero spettacolare, e lo sciabordio delle fontane mi infonde una strana calma.
Di fianco a me c'è solo Leo, quando riapro gli occhi. Sono piuttosto imbarazzata, perchè è passato un sacco di tempo dall'ultima volta che io e lui siamo rimasti soli, e ammetto che non so come cominciare a spiegargli la mia idea. 
-Che cosa stavi facendo?- non c'è rabbia nella sua voce, solo una punta di divertimento.
-Quello che faccio tutti i giorni. Cercavo un modo per farvi uscire da qui.- 
-Be, credimi, a nascondino stai perdendo colpi. Senti, perchè vuoi portare via anche Calypso? Non credo che andiate molto daccordo.-
Sospiro, e finalmente comincio a spiegargli il piano.

 Leo ha gli occhi sbarrati all'inverosimile. Ora che ha capito il mio folle intento, sembra pronto a tutto pur di andarsene via, tuttavia per fare questo ho bisogno di lei.
Così la chiamo. All'inizio si era offerto lui di andare, ma gli faccio cenno di restare sulla panchina e la raggiungo io, dentro questa caverna dal soffitto nero cosparso di brillanti cristalli che baluginano nella penombra di una lampada ad olio. 
Mi da le spalle, e traffica con delle piante sul tavolo, infilandole delicatamente in vasi dalla superficie traslucida come il mare, e cantando fra sè e sè una melodia lenta e un po' malinconica, che conosco anche io. È strano, perchè se lei è davvero qui da sola da più di tremila anni, non vedo cone facciamo a conoscerla entrambe, ma forse è qualcosa che mi ha tramandato mia madre e che esiste da millenni. Non escludo che ci sia lo zampino della nonna, però.
Apro una mano, lasciando che il palmo sia parallelo alla linea di terra, poi abbasso il pollice, l'indice ed il mignolo, ed un suono di piano  riempie lo spazio fra di noi. Lo faccio di nuovo, e ancora, accompagnando la sua voce, mentre l'incantesimo fa prendere vita un pianoforte invisibile che si intreccia alla sua voce echeggiando nell'antro. Quando finisce si volta verso di me.
-Allora,- esordisco, sorridendo prima che possa farmi domande. -Vuoi vedere Manhattan?

-Quella che hai tu è una maledizione che ti sfrutta a suo vantaggio, rendendoti il suo stesso nucleo. Quindi per spezzarla dobbiamo partire da te.
Ciò che ti è stato imposto attira inesorabilmente gli eroi naufraghi nel circolo vizioso che ti ha condannata, poi li respinge, come uno Yo-yo. Ma dato che io non sono un Eroe, sono incollata a te, e se tu non te ne vai, anche io dovrò restare qui. Leo invece farà come è successo l'ultima volta, ovverosia verrà portato nuovamente nel mondo tramite la zattera magica.- comincio.
-Anche se sono la Regina degli Shingami, non posso distruggere il sigillo, perchè è stato creato da un dio, e io non sono nemmeno una semidea, anche volendo non riuscirei a farlo. Quindi, la soluzione non è spezzare il maleficio, bensì contaminarlo.
Leo ti ha già detto come funziona il quaderno in generale, eppure non sai di alcune regole in particolare, ma andiamo per gradi. 
In primis, lui ti cederà il Death Note, senza perderne i ricordi, e questo diventerà tuo. -
Leo estrae dallo zaino il quaderno nero che spicca contro la sabbia su cui siamo seduti a formare i vertici di un triangolo. L'aria è gravida di tensione. 
Lo porge a Calypso che, con dita tremanti, lo prende e se lo appoggia in grembo. 
-E adesso?-
-E adesso, arriva il bello: una delle regole di cui non ti ha parlato è quella dello Scambio degli occhi. Ti spiego come funziona: io darò a te i miei occhi e la capacità di vedere il nome e la durata vitale delle persone, e tu darai a me metà del tempo che ti resta da vivere. Dato che sei immortale quest'ultima parte non avrà nessun effetto su di te, e la tua maledizione entrerà in contatto con una magia completamente estranea alla sua, che la contaminerà e, con un po' di fortuna, la spezzerà. A quel punto, ci basterà aspettare la zattera magica e ce ne andremo da qui.-
Calypso mi fissa stranita, come se avessi appena recitato amemoria tutti i decimali di Pigreco, ma alla fine mi sorride così apertamente e con tanta felicità che per poco non ricambio. Prima che possa farlo si lancia verso di me e mi stritola in un abbraccio. -Graziegraziegraziegrazie!- esclama, incrinandomi le costole e mozzandomi il fiato in gola. Io le do' un paio di pacche sulla spalla. -ma figurati, se non lo faccio mi toccherà restare qui con te.- questo commento falsamente acido la fa sorridere ancora di più. 
-Cominciamo subito? 
-Certo.
 
-OH MIEI DEI MA È UNA COSA PAZZESCA!- Esclama Calypso una volta terminato. Sta fissando scioccata il viso di Leo additando freneticamente qualcosa al di sopra della sua fronte.
-Che c'è? Ho uno scarafaggio in testa?- fa lui, un po' confuso. 
-No, ha solo visto il tuo nome.- ribatto un po' divertita.
Calypso sembra vittima di una crisi di iperattività, finchè qualcosa non la blocca improvvisamente. 
È ferma, in piedi e fissa con aria tetra ed assente il vuoto che le galleggia davanti agli occhi, come se cercasse di afferrare un qualche pensiero che le turbina in testa. Poi, la sua bocca si apre ed emette un grido, portandosi le mani al cuore e crollando sulla sabbia. Un attimo dopo, il tempo di sentire un forte schiocco, come uno sparo e di precipitarsi in suo soccorso, e passa tutto.
La ragazza ha grosse lacrime che sgorgano fuori dagli occhi, le mani premute sul petto, il dolore dipinto in viso. 
Riesce a respirare, e sembra essere subito in grado di alzarsi. 
Barcolla, si aggrappa alla mia spalla, sbatte le palpebre sbigottita.
-Si è... Si è rotta... Si è rotta! L'ho sentita, la maledizione si è rotta!-Esclama, elettrizzata. Leo esulta vittorioso, lei gli lancia le braccia al collo e si baciano appassionatamente davanti ai miei occhi. Resto immobile senza riuscire a non guardarli, sono sul punto di prendere su e volare via lasciando a loro soli il resto della matassa, finchè non succede qualcosa che mi fa desiderare non aver mai attuato questo piano: il cielo si tinge di rosso, la terra trema, e un'ampia crepa spacca a metá la terra con un potentissimo boato. 
Avrei dovuto pensarci prima: l'isola vacante era l'ospite di Calypso e della maledizione, creata al solo ed unico scopo di viaggiare in cerca dei malcapitati eroi. Ora che la maledizione è spezzata, anche l'isola di Ogygia deve essere distrutta.
E non c'è il tempo di aspettare che una stupida zattera magica ci tragga in salvo.

LEO

Io e Amber ci guardiamo fissi negli occhi. Ho capito cosa sta succedendo, perchè il cielo sembra essere macchiato di sangue, e non è per Zeus, no, il signore del cielo non centra niente. È semplicemente l'apocalisse.
Okay Valdez, mi dico, è ora di fare la tua parte e portarle entrembe in salvo.
Comincio a pensare intensamente ad un piano, non avrei il tempo di costruire un teletrasportatore o un elicottero, anche con Amber dalla mia finiremmo per affondare insieme all'isola.
Però ora che non c'è più nessuna maledizione ad isolarci dal mindo intero, forse il dischetto può funzionare...
-Dove sei andata dopo la mia partenza?! - le urlo, per sovrastare il ruggito della terra che trema.
-Al campo mezzosangue!- mi risponde, barcollando paurosamente.
Mi lancio sullo zaino, estracco il dischetto un po' scheggiato e lo accendo. Una cosa furba di quest'affare è che può essere rintracciato dall'altro come da un metal detector.
Lo accendo e prego che funzioni. 
Dopo qualche breve scoppiettio l'interno della cabina nove si disegna sullo schermo.
-RAGAZZI!- urlo, sperando che qualcuno mi senta.
E infatti, Nyssa compare nel disco.
-Leo?! Ma che...-
-Ora non c'è tempo, cercami subito Annabeth! Hai due minuti, Nyssa, capito?! Due minuti o qui schiattiamo tutti, MUOVITI!- 
E senza protestare, mia sorella scatta in piedi e vola fuori dalla cabina.
Ci mette due minuti per davvero, e subito un'Annabeth morta di preoccupazione fa capolino sulla superficie scheggiata dello schermo.
-Grazie a Efesto! Ascoltami, non fare domande!- dico, prima che possa chiedere qualsiasi cosa.
-Devi far decollare l'Argo II, hai capito?!- un boato enorme che scuote tutto quanto mi costringe a fare una pausa.
-Devi installare questo disco nella tastiera di guida e premere il bottone tosso sul bordo, poi imposti la velocità turbo, chiudendo le baliste di prua e digitando il codice che ora ti detto sul computer di controllo, chiaro?!- urlo, per farmi sentire oltre il frastuono.
-Io... Io non so se ce la faccio, senza di te...!-
-Invece ce la devi fare, o noi tre saltiamo in aria! Contiamo su di te, capito?! Me l'ai visto fare un sacco di volte!-
Abbiamo al massimo mezz'ora, poi qui succede il finimondo.
Amber e Calypso mi fissano con gli occhi carichi di preoccupazione, ma anche di aspettativa, il che mi incoraggia un po'. Loro dipendono da me, in questo momento, e tutti dipendiamo dalla figlia di Atena.
Annabeth è già partita in quarta, e sta per entrare nel bunker.
Una volta sulla nave esegue le istruzioni che le ho dato, fa chiudere le baliste e issa le vele, aprendo i portoni d'ingresso. 
-Leo, devi darmi il codice!- Dice allarmata, caricando i remi con qualche comando sulla tastiera.
-ESPERANZA VALDEZ!
Il centro dell'isola esplode. E io vedo solo le fiamme avvicinarsi, il calore ustionante di una magia che scoppia, che nemmeno la mia pelle può sopportare, e infine un paio di maestose, bellissime e potenti ali nere abbracciarmi come uno scudo.


AMBER
C'è odore di limone e disinfettante.
Ho un dolore allucinante alla schiena e fatico a tenere gli occhi aperti, ma rieco a mettere a fuco due lunghe file di letti affiancati da piccoli tavolini, e le ninfe che curano i pazienti. 
Volto la testa direttamente alla mia sinistra. 
Leo è chino sul mio materasso, la testa che affonda morbidamente nelle lenzuola, le simpatiche orecchie a punta che spuntano fra i ricci neri, le braccia conserte sotto alla faccia. 
-Ti sei sacrificata per proteggerci, te ne sarò grata per sempre.- 
Alzo appena la testa, movimento che fa piangere di dolore ogni cellula del mio corpo. Calypso è seduta dall'altra parte del letto, indossa un paio di jeans blu ed una maglietta del campo mezzosangue. È bellissima anche vestita cosí. 
-Ma figurati.
Anche parlare mi costa uno sforzo immane. 
-Posso capire il salvare Leo. Ma perchè hai protetto anche me?
Prendo tempo. Mi giro faticosamente verso il meccanico, che dorme accocolato contro la mia mano.
-Perchè tu puoi renderlo felice.- mi giro verso di lui, e già sento meno dolore. Forse tra poco posso alzarmi e, be', andarmene.
Insomma, non posso restare qui. In primo luogo, non nello stesso posto con questa qui che se ne va in giro avvinghiata a Leo, e in ogni caso, non voglio lasciarlo con l'imbarazzo della scelta, anche se credo di sapere chi sarebbe stata la fortunata. E poi, io porto guai ovunque vada. Se sto troppo qui potrei far saltare in aria anche questo posto. 
Chiunque abbia avuto a che fare con me è in pericolo, mio padre non era il solo nemico che avessi, e ora che ho spezzato la maledizione di Calypso, Zeus potrebbe prendere di mira il campo. 
Ma non voglio nemmeno che Leo soffra di nuovo, per la sparizione di qualcuno che ama, o che per lo meno ha amato. Lo conosco troppo bene. 
Inutile dire che ho un piano anche per questo.

Detto addio ai miei amici della cabina nove, mi avvio all'ingresso del campo, dove ci sono ad aspettarmi i famosi sette.
A Leo non è stato detto nulla. Meglio che sia rapido ed indolore.
Hazel mi lancia le braccia al collo e non posso fare a meno di tentare di consolarla con scarsi risultati. Annabeth mi abbraccia a sua volta e cosi tutti gli altri, persino Percy. 
Quando arrivo di fronte a Leo, mi fissa confuso e preoccupato, chiedendomi con sguardo supplichevole che cosa stia succedendo.
Mi limito a dargli un breve bacio sulla guancia, ignorando faticosamente i suoi occhi preganti e faccio un breve cenno a Piper.
Devo dire che questa ragazza mi è sempre piaciuta. È forte e ha accettato di aiutarmi senza esigere niente in cambio. Mi imprimo i loro visi nella memoria a fuoco, per non dimenticarmeli mai ed ascolto col cuore in gola le parole della figlia di Afrodite, cammuffate dalla parlata magica:- Leo, restituisci il quaderno della morte a Amber.-
E nessuno di loro sa più chi sono.

LEO
Oggi ho portato in giro per Manhattan Calypso. 
Anche io non ci andavo da un po', e sono stato contendo di camminare di nuovo per le Avenue della Grande Mela, vedere la frenesia delle strade e le persone, il modo metodico e privo di magia con cui i mortali portano avanti le loro vite. 
Le è piaciuta un sacco, avrà lasciato l'impronta del naso su tutte le vetrine, divorato con gli occhi ogni palazzo. 
Abbiamo visto un sacco di negozi. 
Dentro uno di questi, in particolare, ha catturato la mia attenzione una ragazza stranissima, dagli occhi neri e profondi ed i capelli bianchi. Per un puro scherzo di fantasia mi sono aspettato di vederla prendere il volo, e mi è venuto il dubbio che non fosse un qualche mostro che ho già incontrato in passato. 
Mi ha guardato per un attimo solo. 
Poi è andata via, ma nei suoi occhi ho visto... Come dire... La schiettezza di un essere libero.
Bah, le cose strane che lasciano il segno, valle a capire!

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