chi ha detto che non si può essere asociali in due?

di GiadaPuli
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Il primo, strano incontro. ***
Capitolo 2: *** "Callifornia, here we come." ***
Capitolo 3: *** Estremi bisogni ***
Capitolo 4: *** Evviva gli asociali. ***
Capitolo 5: *** Negli occhi di Nicholas ***
Capitolo 6: *** Ho un problema. ***
Capitolo 7: *** Tutto bene. O forse no. ***
Capitolo 8: *** Pianti e solo pianti. ***
Capitolo 9: *** Newport ***
Capitolo 10: *** La pomata puzza ***
Capitolo 11: *** La cugina di Lindsay ***
Capitolo 12: *** Le sembro scemo? ***



Capitolo 1
*** Il primo, strano incontro. ***


La mia vita è piuttosto mediocre. Ho 14 anni, i genitori separati e  qualche amico. Non sono molto socievole,non amo le persone. Amo i libri, la musica, il tramonto e i cani.
Mia madre è una di quelle madri ultra quarantenni che provano ad essere alla moda, ma con scarsi risultati. Mio padre è un quarantacinquenne normale, un locale di sua proprietà e una compagna, Niente di speciale. Io mi chiamo Holly, ho 14 anni, amo i libri e odio le persone. Ma questo già lo sapete. Pensavo di non essere nemmeno lontanamente capace di innamorarmi, ma mi sbagliavo. E di grosso pure.
La sera in cui conobbi il ragazzo più o forse meno importante della mia adolescenza dovevo andare a cena da un'amica di mia madre, un'altra ultra quarantenne sbagliata. Non ne avevo voglia perchè, diciamocelo, non è proprio la migliore delle prospettive per una serata.
< Non voglio venirci.>
< Tu vieni.>

< Sì, perchè sono tua madre e tu sei sempre chiusa in casa a leggere. Adesso muoviti a prepararti.>
La partita era sempre persa in partenza, lo sapevo. Ma Dio quanto la odiavo quando faceva così. Mi misi una maglietta nera XXL, anche se io porto la M. Un paio di Jenas chiari, i più stretti che avevo e le mie inseparabili Vans grigie. Legai i miei ingestibili capelli rossi in una coda e misi un filo di matita nera sotto i miei occhi verde spento.
Mia madre appena mi vide ebbe un sussulto, ma non parlò. Meno parlavamo, meglio era.
Puntuale come un orolgio, mia madre bussò alla porta della sua amica alle 19.15 spaccate. Venne ad aprirci questa specie di snob mancata che viveva in un appartamento, con al seguito due adorabili cagnoni che mi saltarono subito addosso. Allora c'era qualcuno di positivo in quella casa.
Stravaccato sul divano c'era un ragazzo più o meno della mia età con il telecomando della Play in mano. Portava una maglietta a mezze maniche arancione e i jeans enormi scuri. Aveva i capelli tutti disordinati, color mogano, e gli occhi più neri del buio.
< Ei.>
< Ei.>
Niente di più, niente di meno. Inutile negarlo, era carino. Tanto carino. A quanto pare i cani non erano l'unica nota positiva della casa.
Non era particolarmente loquace, cenò con noi e poi si rifugiò in camera sua senza dire una parola. Sua madre, che a quanto capivo aveva come passatempo preferito sfigurare il figlio, ci spiegò che era un asociale, un ragazzo terribile e ingestibile. Si chiama Nicholas, aveva 14 anni. Odiava la scuola e andava matto per i videogiochi, che, a sentire quella strega di sua madre, erano il passatempo più sdegnoso di tutti i tempi, insieme al leggere. Dopo svariate tentativi di trattenermi dal tirarle un pugno alla Ryan Atwood, la cena finì. Chiamò a forza Nicholas che si sforzò addirittura di grugnire un saluto. Sua madre provò a salutarci più dignitosamente, ma non ricambiai il saluto. Mi ero già persa negli occhi neri e profondi di Nicholas.

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Capitolo 2
*** "Callifornia, here we come." ***


Continuavo a pensare a lui. Era un'orribile chiodo fisso che non riuscivo a togliere. Ma non ne capivo il motivo.
Voglio dire, sì, certo, era carino. Ma non era il massimo, poi non aveva mai parlato, poteva anche essere un'idiota. Ma era comunque un chiodo fisso. In questo momento poteo fare solo una cosa, ascoltare California 2005 dei Phantom planet.
"We've been on the run, druving in the sun, looking of #1..."
Che bei capelli che aveva. E il nome poi. Nicholas. Un nome così bello..
"On the stereo listen as we go, not it's gonna stop me now.."
E gli occhi. Neri come il buio e profondi come la notte.
"California here we come, right back were we started from.."
Mia mamma irrruppe improvvisamente nella stanza interrompendo i miei pensieri
< Hai intenzione di spegnere quell'orribile canzone?>
< No. Nessuna intenzione.>
< Ti avverto, ti faccio sparire il cellulare. Portami un po' di rispetto.>
< Ti avverto, ti faccio sparire i Push up. Portami un po' di rispetto.>
Uno schiaffo. Due. Prese il cellulare e se ne andò, lo stesso passo pesante di com'era venuta. Non mi aveva mai picchiato in 14 anni, che le era preso? Troppa chirurgia plastica forse. Ma ecco di nuovo i passi avvicinarsi alla porta.
< Tieni il cellulare e scusa per lo schiaffo. Preparati che vengono a cena Sophie e Nicholas. Niente storie, e niente serate passate in camera a leggere.>
< L'ha fatto anche lui l'altra volta, perchè io non posso farlo?>
< Perchè sei mia figlia. E voglio un vestito, non i jeans.>
Avevo un solo vestito nell'armadio. Era un vestito blu, senza maniche e scollato dietro. Lo indossai con un paio tacchi neri e mi raccolsi i capelli. Ero pronta per la cena più lunga della mia vita.

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CABINA DEL CAPITANO
Ciao ragazzi, questo è il secondo capitolo. Scritto di getto e senza particolari colpi di scena, non mi piace molto. Mi convincono molto di più invece il 3 e il 4, che pubblicherò successivamente
Se vi piace recensite, o anche se avete critiche (esponendole in modo educato, grazie.)
Questa storia la dedico ad Ilaria, senza la quale nemmeno l'avrei pubblicata

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Capitolo 3
*** Estremi bisogni ***


Dire che si soffocava dentro il vestito era poco. Se non mi fossi legata i capelli probabilmente mi sarei sciolta.
Mentre pensavo ai modi migliori per morire, e ascoltavo un'orrenda conversazione riguardante il Frozen Yougurt, sentì picchiettarmi la spalla. Oddio. Oddio. Oddio.
Nicholas SonoIlRagazzoPiùFigoDell'Universo mi aveva picchiettato la spalla e mi stava passando un..tovagliolo?! 
"Che palle."
Aveva la calligrafia ordinatissima per essere un tipo come, bhe, come lui. Ribaltai casa per cercare una penna
"A chi lo dici."
"Dobbiamo trovare un modo per svignarcela."
"Fosse facile, mia madre me l'ha proibito."
"Ascolta, avete un bagno? Avrei un estremo bisogno di pisciare."
"Delicato come pochi eh. Sì, abbiamo il bagno. Tranquillo, non pisciamo in giardino."
"Okay, io chiedo a tua madre dov'è il bagno e tu ti offri di accompagnarmi. Così siamo entrambi salvi."
"Okay capo."
< Scusi, signora, posso sapere dov'è il bagno?>
< Vieni, t'accompagno.>
Un po' ridendo e un po' cercando di non cadere dalle scale andammo di sopra. 
< Allora, il bagno è a destra. Prego, sfoga il tuo estremo bisogno di pisciare. Io sono in camera mia se non trovi lo sciaquone.>
Potevo finalmente leggere, in pace e senza Frozen Yougurt. Avevo appena iniziato il libro che subito sento bussare. Ho temuto il peggio: mia madre pronta ad uccidermi. Apro e mi trovo davanti Nicholas.
< Coglione! Pensavo fosse mia madre. Potevi dire che eri tu.>
< Ah mi scusi signorina vestitino.>
< Ascolta, mi ha obbligato mia madre. Odio i vestiti.>
< E io odio i completi giacca e camicia, infatti non l'ho messo.>
Ogni santissima volta che parlava finiva la frase con un ghigno, come a sottolineare la sua superiorità intelletuale. Iniziavo ad odiarlo. Ma era un odio buono in fondo.
Continuai la mia lettura, e lui inziò a girare per la mia stanza: ispezionò il letto, la scrivania piena di libri e CD, l'armadio, il piccolo bagno e la libreria. Poi, avendo esaurito le cose da curiosare, venne a sedersi sul letto con me. Un orribile modo di invadere lo spazio altrui, ma lo lasciai fare. Mi fissò con insistenza per 5 minuti buoni, fino a quando non ne potei più.

< No nulla, scusa. E' che...>
< Cosa?>
< Sei carina.>
< Ah, grazie. Anche tu non sei male.> Cioè sei superstramega figo, ma questo mica posso dirtelo.
E poi nulla, non disse più niente. Dopo poco tornò di sotto e se ne andò con sua madre.
Andai a letto solo per non sorbirmi la romanzina stressante di mia madre. Verso le 23 sentì il telefono squillare:
"Ciao sono Nicholas. Ho preso il tuo numero nell'agenda di tua madre. 
Ti ho scritto solo per dirti che d'ora in poi puoi chiamarmi Nic, per dirti che hai degli occhi bellissimi e per darti la buonanotte."
Mi esplose il cuore a leggere quel messaggio. Iniziai a fare una specie di danza lugo tutta la camera, a saltare sul letto e a fare piccoli gridolini di gioia. Ero proprio patetica. Ma dovevo anche rispondere prima o poi.
"Ciao Nic. I tuoi occhi sono neri come il buio,ma abbastanza belli. Il numero potevi semplicemente chiederlo. Notte"
E andai a dormire perchè si sà, le cose più belle durano pochi secondi, e chissà quando mi avrebbe riscritto. Infondo ci eravamo visti due volte e mi aveva detto che ero solo carina. Non dovevo emozionarmi troppo.

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Capitolo 4
*** Evviva gli asociali. ***


Erano passati due giorni dal messaggio, e non l'avevo più sentito. Intanto, la mia continua lotta con mia madre andava avanti. Riusciva a farmi venire i nervi a fior di pelle. Ogni tanto sentivo mio padre, che viveva in California. Dopo la separazione con mia madre c'era tornato a vivere dato che era originario di lì, mentre io e mia madre eravamo rimaste a Londra.
In due giorni avevo letto tre libri, ascoltato decine di CD e aspettato al telefono una quantità improbabile di tempo. Al terzo giorno, ecco il suo nome comparirmi sul display:
"Ei Holly, come stai? Ti andrebbe di uscire Mercoledì? Perchè sai, mi sembra di averti già detto che sei carina. Fammi sapere
Nic."
Non aspettai nemmeno tre secondi a rispondere questa volta, senza togliere il mio sarcasmo nel testo:
"Ciao Nic. Sai, se dici troppe volte che sono carina rischi di diventare monotono. Trova nuovi aggettivi.
Accetto il tuo invito di mercoledì, ci vediamo davanti ad Hyde Park alle 15.30
Holly."
Mercoledì era arrivato, ed io ero agitatissima. Avevo scelto la maglia grigia col teschio di One piece, i jeans corti col risvolto e le mie solite Vans grigie. Stavolta i capelli li avrei tenuti sciolti, i ricci rossi che ricadevano lungo la schiena, e avevo scelto la matita azzurra sopra gli occhi verdi.
Alle 15 ero seduta su una panchina ad Hyde park, con un libro in mano. Totalmente presa dalla lettura non l'avevo nemmeno sentito arrivare. Dio com'era bello. I capelli non erano in ordine, come sempre, ma stava comunque benissimo. Si era messo i jeans corti sotto il ginocchio, con una t-shirt bianca e le Converse arancio fluo.
< Ei carina.>
< Ei monotono.>
Siamo andati a prendere un gelato e a passeggiare lungo il Tamigi. Poi ci siamo seduti sull'erba a goderci il pomeriggio soleggiato, rarissimo a Londra.
< E' bello qui. Non ci ero mai venuto.>
< Cioè tu vuoi dirmi che sei di Londra e non sei mai venuto ad Hyde park?>
< Esatto. Non mi è mai piaciuto uscire, vedere la gente. Preferisco stare a casa. La gente mi rende nervoso, non amo la gente. Nessuno ti capisce davvero, sono troppi abituati a guardare solo all'esterno che nemmeno li sfiora l'idea di vedere come siamo fatti, il nostro carattere.>
< Completamente d'accordo. Io ci vengo solo per leggere in pace, senza mia madre e i suoi pregiudizi contro di me.>
< Ma te l'ho già detto che sei carina?>
< Si, un po' troppo.>
< No, carina dentro. Anzi proprio bella. Sei bellissima.>
E mi baciò. Un bacio dolce, innocente. Da bambini. Ma un bacio bellissimo.
Mi riaccompagnò a casa e mi baciò di nuovo prima di augurarmi buona serata.
E loro che ci definiscono asociali.

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CABINA DEL CAPITANO
Alloraaa,questo capitolo è cortissimo,vero. Da consiglio di Ilaria (la migliore) d'ora in poi saranno più lunghi giuro.
Succederanno delle cose che.....scoprirete! :)

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Capitolo 5
*** Negli occhi di Nicholas ***


Nichola's POV
Sono una persona strana, ce l'ho col mondo. Mi hanno sempre definito asociale, ma non è il termine adatto secondo me. Non è che sono asociale, è che odio le persone. O almeno la maggior parte delle persone.
Già perchè sapete, ho trovato una persona che non odio. Non sò come sia possibile, ma è piombata nella mia vita con la velocità di un uragano, travolgendo anche me. E' bellissima, simpatica ed estroversa, ma solo con me. E questo è bellissimo.
Non sò come sia successo o chi l'ha deciso, ci siamo trovati.
Ah mi ricordo bene. Quella fatidica cena, la prima volta che la vidi, a casa mia. Mia madre mi aveva obbligato a cenare con lei ed una sua amica, che aveva una figlia della mia età. La prospettiva meno allettante del mondo.
Ma poi Holly aveva varcato la mia porta, con la sua bellissima timidezza, i capelli rossi e le 200 lentiggini. Mi aveva colpito subito, ma la mia personalità ha avuto la meglio. Mi sono rintanato in camera mia subito dopo cena, senza nemmeno dirgli ciao.
Ma avevo un'altra possibilità, un segno del destino: una cena a casa sua. Era bellissima con quel vestito blu, ho preso coraggio e abbiamo parlato un po' su un fazzoletto, poi io sono andato in bagno e lei in camera sua.
L'ho raggiunta e ho ficcato il naso un po' in giro, volevo capire cosa le piaceva. Aveva dei gusti bellissimi, lei era bellissima. E gliel'ho detto. Così, di getto. E mi ha risposto che non ero male. Ero al settimo cielo.
Trovai per caso l'agenda di sua madre in corridio, e presi il suo numero. Le scrissi un messaggio, e mi rispose. Sarei potuto morire.
Ci scambiammo un po' di messaggi per qualche giorno, fino a quando presi coraggio e le chiesi di uscire. Accettò.
Dopo l'appuntamento più bello della mia vita, ci sedemmo ad Hyde park per goderci il tramonto. Decisi di smettere di pensare, la baciai. Era bellissima, l'avrei baciata per ore.
Quando la riaccompagnai a casa la baciai di nuovo, tanto per ricordargli che adesso era mia. Mia e basta.

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Capitolo 6
*** Ho un problema. ***


C'erano stati altri due appuntamenti dopo quello,in due settimane. Stavamo bene insieme, ma non capivo esattamente cosa fossimo. Amici? Amici intimi? Fidanzati?
Ci eravamo baciati ancora qualche volta, avevamo riso e chiaccherato tantissimo. Ma il dubbio mi rimaneva.
Avevamo un terzo appuntamento, sulla ruota panoramica, la sera. Le nostre madri non sapevano che uscivamo insieme, avremmo dovuto dirglielo prima o poi.
Prima di andare alla London Eye dovevamo andare a cena, quindi mi misi una gonna a vita alta verde acqua con un top azzurro, i capelli raccolti e l'eyeliner.
Mia madre non era a casa, quindi mi passò a prendere lui alle otto. Andammo a cena in questo ristorante fantastico, illuminatissimo e brillante. E' stato gentillissimo, mi ha spostato la sedia ed è stato tutto perfetto.
Poi siamo andati alla ruota panoramica. Il panorama era bellissimo, Londra illuminata di notte era sempre un'emozione. Ci siamo fermati proprio in cima. Si gira a guardarmi. Dio, era bellissimo quella sera. I capelli più spettinati del solito, camicia chiara e jeans.
< Holly, ho un problema.>
< Dimmi.> Ero già spaventata.
< Credo di essermi innamorato di te. Davvero, ho paura di si. Quando ti vedo il mondo mi sorride, solo tu mi capisci.>
< Ti amo.>
< Ti amo.>
E ci baciammo. Un bacio vero questa volta. Ci baciammo per due interi giri della ruota.
< Adesso sei la mia ragazza. Mia e basta ok? Devono saperlo tutti. Perchè anche se è presto per dirlo, io ti amo davvero.>
< Ti amo. Tantissimo.>
Nichola's POV
Dio, gliel'avevo detto. Avevo rimurginato su questa cosa per giorni, avevo deciso di creare l'appuntamento perfetto per dirglielo e ce l'avevo fatta.
Mi amava anche lei. Era incantevole quella sera, non potevo non dirglielo.
Avevo capito da un po' che le volevo più che bene, ma quella sera ci ero arrivato alla perfezione. Quando mi sorrideva io mi scioglievo. E adesso era mia.
Holly's POV
La mattina dopo mi svegliai, con la paura che fosse stato un sogno. Non lo era. 
Uscì sul balcone per prendere aria, e lo vidi. Un'enorme striscione, davanti a casa mia.
"TI AMO, HOLLY. SIAMO LAVA DI UN VULCANO CHE ESPLODE NEL BUIO DEL CIELO. SEI MIA."
La citazione di una canzone di Jacopo Sarno mi fece piangere. Piansi di gioia, urlai. Poi abbassai lo sguardo in strada, e lui era lì in piedi.
E piangeva.
< Vieni sù.>
< E tua madre?>
< E fregiamonece una volta no?>
Mia madre era in cucina a fare colazione, ma poco importava. Entrò, e mi baciò. Ci baciammo per dei minuti, con mia madre che ci guardava allibita.
Quando ci staccammo sorrise.
< Se sei felice a me sta bene.>
Disse solo questo. E noi ci ribaciammo. Sarebbe stato mio per sempre, era una promessa.

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CABINA DEL CAPITANO
Allora... Vi piace? Dovevano dirsi ti amo prima o poi. Sò che vi sembra tutto molto veloce, ma calcolate che all'inizio sono passati mesi prima che iniziarono a uscire, quindi si innamorano per bene.
Il prossimo capitolo (che devo ancora scrivere ma sò già cosa farò) sarà un colpo al cuore, giuro.
Come sempre la storia è dedicata a quella svampita della Ilaria

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Capitolo 7
*** Tutto bene. O forse no. ***


E' il 25 dicembre, quindi buon Natale. Oggi dobbiamo andare dai nonni (i genitori di mia madre) per il pranzo più enorme nella storia dei pranzi, e guidare per 100 chilometri all'andata, dormire lì e tornare 100 chilometri indietro domani.
Due giorni senza vedere Nicholas e senza poterlo sentire, visto che là non prendono i cellulari. Lui sarà in montagna, per una grigliata di famiglia. 
Adesso tutti sanno che stiamo insieme, e l'hanno accettato tutti. Lui mi ama. Io lo amo. E' tutto così perfetto.
Siamo partite stamattina alle 8, con due zaini con il ricambio. Metterò il vestito blu che ho messo alle seconda cena con Nicholas, magari mi porterà fortuna. Ci siamo messe in autostrada e mi sono messa ad ascoltare un po' di musica.
Il paesaggio attorno a noi era incantevole, un'enorme distesa di prati. Mia madre cantava felice, e ultimamente le cose tra noi andavano alla grande.
Stavamo facendo una curva, accadde molto velocemente. Un rumore di frenata, una macchina che ci passa accanto, ci capovolgiamo, il fumo, il fuoco, le urla.
Mi risveglio in un letto d'ospedale, ma vedo tutto nero. Cerco di aprire gli occhi, mi fa male la testa. Finalmente li apro. Sono in una stanza tutta bianca, come nei film. Guardo giù, ho una gamba e un braccio ingessati e una benda intorno alla testa. Non sento niente, devono avermi dato della morfina.
Un'infermiera mi si avvicina e mi guarda.
< Buongiorno cara.>
< Cos'è succeso? Dov'è mia madre?>
< Tranquilla. Avete fatto uno scontro in autostrada, la macchina si è incendiata e siete cadute in un fosso, siete vive per miracolo. Tua madre è nella stanza accanto, stà meglio di te.>
< Cos'ho io?>
< Hai un braccio rotto, e una ferita sulla testa. Ma il vero problema è la gamba. Sei rimasta incastrata, temiamo che potresti perderne l'uso, farai della fisioterapia in un centro specializzato.>
Non ricordo altro, mi riaddormentai.
Al mio risveglio mia madre e Nicholas erano accanto a me. Li abbracciai meglio che potevo col mio braccio rotto, poi Nicholas se ne andò.
< Holly, ho una brutta notizia.>
< Ho perso la gamba, vero mamma?>
< No, andrai a fare delle cure che ti faranno tornare come prima, per fortuna sei come una roccia.>
< E allora qual'è il problema?>
< Qui non ci sono dei centri abbastanza avanzati per il tuo caso, sei grave. Ma ci sono in California, da tuo padre.>
< Va bene, tanto si tratta di qualche mese giusto?>
< Veramente cucciola.. Sarebbero due anni.>
< Due anni senza te? Due anni senza Nicholas? Non ce la posso fare, mi rifiuto.>
< Preferisci smettere di camminare?>
Aveva ragione, ma cazzo. Erano sempre due anni. Che ne sarebbe stato di me e Nicholas? Ci saremmo lasciati? Insomma, un rapporto a così tanta distanza era impossibile. Ma io lo amavo, e tanto anche. Come faccio adesso?

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Capitolo 8
*** Pianti e solo pianti. ***


I bagagli erano pronti, le stampelle di riserva prese e la hostess che doveva accompagnarmi al volo era arrivata. Parenti e amici erano venuti a salutarmi. Non li avrei visti per due anni, mia mamma a parte. Piansi tanto quel giorno, ma non per gli addi. Lui non venne a salutarmi.
48 ORE PRIMA
Ero uscita dall'ospedale, avrei visto Nicholas più tardi, e dovevo dirglielo. Dovevi dirgli che andavo due anni in California per le cure alle gambe, che probabilmente quando sarei tornata a Londra lui avrebbe avuto un'altra vita e un'altra ragazza.
Mi aprì sua madre, che già lo sapeva. Mi abbracciò forte.
< E' in salotto. Mi dispiace molto Holly.>
< Grazie signora.>
Nicholas era attaccato alla televisione, ma appena mi vide mi saltò in braccio.
< Amore mio! Come stai? Dio quanto mi sei mancata.>
Scoppiai a piangere. Non ce la poteva fare. Non ce la potevo fare.
< Oddio Holly cosa c'è? Siediti qui.>
Mi sedetti sul divano. Da qualche parte dovevo iniziare.
< Nicholas, le mie gambe sono in un'orribile stato. Avrei bisogno di cure speciali, cure che a Londra non ci sono. Però ci sono in California. Nicholas, io ti amo. Ma devo andare capisci? Devo riacquistarmi le gambe.>
< Va bene, ti aspetterò. Quanti mesi starai via massimo?>
< Due anni, Nicholas.>
< No. No. No.>
Scoppiò a piangere. Piansi anch'io.
< Ti amo, più della mia stessa vita. Sei l'amore della mia vita. Ma io devo lasciarti. Io andrò in California per due anni o forse più, e tu devi rifarti una vita, una storia. Dove io non esisto.>
< No. Non te lo lascio fare da sola, vengo con te. Andiamo insieme.>

E scappai. Così, mi chiusi la porta dietro le spalle.
Lo sentivo urlare, imprecare. Io piangevo. Lo amavo, questo non era giusto. Noi eravamo destinati.
La mattina dopo preparai i bagagli, mettendoci dentro praticamente tutto l'armadio. Mio padre abitava precisamente a Newport, località caldissima con l'oceano come sfondo.
Sinceramente non ho molto da raccontare su quel giorno, piansi e basta. Mi sentivo morire, non doveva finire così. Quel giorno ruppi una mensola tirando calci e pugni in camera. Odiavo tutta questa merda, tutto.

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Capitolo 9
*** Newport ***


Arrivai in California all'aereoporto di Newport alle 18 (orario californiano). Il volo era stato noisissimo, da Londra alla California sono 12 ore. Avevo letto un libro e ascoltato un po' di musica. Avevo pensato a tutto quello che mi stavo lasciando alle spalle: Londra, quell'enorme metropoli incantevole, Hyde park, i ristoranti più buoni del mondo, le vie piene di negozi e quelle che non conosce nessuno, mia madre, la minor parte dei miei vestiti e dei miei libri. E Nicholas. Soprattutto Nicholas.
Lui doveva dimenticarmi, ce l'avrebbe fatta. Avrebbe trovato un'altra ragazza senza problemi e sarebbe riuscito a superare la sua timidezza. O questo almeno speravo per lui. Mi sarebbero mancati da morire i suoi bellissimi capelli castani, gli occhi più neri del buio, quella specie di ghigno che faceva quando parlava, tutte le sue strane manie e il fatto che mi capisse così bene. Iniziai a piangere. Mi asciuguai in fretta la faccia prima di scendere e vedere mio papà.
Mi stava aspettando all'aereoporto con un'enorme cartello col mio nome. Appena mi vide iniziò a piangere, mio padre piangeva spesso. Forse non era molto virile, ma era tenero. Corsi ad abbracciarlo.
< Ciao topolina!>
< Ciao papà! Quanto mi sei mancato.>
< Vieni, adesso portiamo le valige a casa, ceniamo e poi andiamo a letto, chissà come sarai stanca.>
< Veramente no. Non potrei andare a fare un giro a piedi dopo cena? Per vedere la zona.>
< Certo. Sei sicura di farcela con le gambe?>
< Certo.> 
Salì in macchina, la casa distava qualche chilometro. Fuori dal finestrino vedevo le spiaggie, l'oceano, i mille locali, i surfisti e le pallavoliste.
La casa di mio padre era enorme, con una piscina ed un campo da golf vicino di sua proprietà. La sua compagna è ricca. 
Si chiama Jennifer, viene dall'Ohio. E' alta, con i capelli neri e gli occhi verdi. E' un'avvocato, guadagna molto. Mio padre lavora al suo bar.
Jennifer ha due figli, Seth e Sindy. Seth è logorroico, simpatico e imbranato. Sindy è abbastanza snob, ma infondo è gentile. Abbiamo cenato con il pollo arrosto, Jennifer è bravissima a cucinare.
Dopo cena sono andata a fare una passeggiata. Mio padre voleva accopagnarmi, ma volevo andare da sola. Accesi l'Ipod e mi capitò per caso una canzone di Jacopo Sarno, con la frase più adatta del mondo.
"Con gli spilli nel cuore, negli occhi il dolore di chi sà già cos'è, la nostalgia, ma ha mille modi per mandarla via."
Newport era bellissima. Camminai in riva all'oceano. C'erano un sacco di pontili, ne scelsi uno a caso e mi ci sedetti per ammirare il tramonto. Non era male come posto dove vivere.Non era male come posto dove vivere. Il tramonto era finito, era buio. Rimasi lì per un pò, cullata dal suono delle onde. Mi chiamò mia madre,lì era mezzogiorno.
< Ciao cucciola, come stai?>
< Bene mamma, sono solo un pò triste.>
< Ti manca Nicholas?>
< Si.> Scoppiai a piangere
< No amore non piangere. Te lo tengo d'occhio io questi due anni, poi torni e finirà bene, vedrai.> < Grazie mamma, ma sinceramente spero che mi dimetichi e che vada avanti.>
< La vedo difficile. A quanto mi dice sua madre non esce più di casa dall'ultima volta che ti ha visto, è sempre chiuso in camera.>
< Spero gli passi. Adesso è tardi, torno dal papà.>
< Dove sei?>
< Su un pontile, ho fatto una passeggiata.>
< Buonanotte amore.>
< Buona giornata mamma.>

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Capitolo 10
*** La pomata puzza ***


Mi sono svegliata il giorno dopo alle 9.30. Non mi ricordavo di essere in California, e per un'attimo ho pensato che da lì a poco Nicholas sarebbe venuto a prendermi, saremmo andati a fare colazione e poi nei giardinetti. 
Poi ho aperto gli occhi.
La stanza da mio padre era molto bella. Aveva i muri azzurrini, una libreria che avevo già riempito per metà, una scrivania col computer, un letto in legno e le tende blu. Dalla finestra si vedeva l'oceano, e mi svegliai con l'odore della salsedine e il rumore delle onde.
Mio padre irruppe in stanza con la stessa leggerezza di mia madre, era quasi inquietante.
< Buongiorno principessa.>
< Giorno 'pa.>
< Come ti senti oggi?>
< Bene dai.>
< Sei pronta? Sei agitata?>
< Un sacco. Ho paura papà.>
Era il primo giorno di terapia, non sapevo ancora cosa mi avrebbero fatto. Mi alzai per fare colazione, Jennifer era già andata al lavoro e Seth e Sindy a scuola. Io avrei saltato due anni, perchè le mie gambe non si dovevano stancare troppo. Avrei avuto un'insegnante privato.
La tavola straripava di ogni cosa: brioche, ciambelle, biscotti, succo d'arancia, latte e caffè. Mangiai una brioche e bevvi una tazza di caffè. Poi mi sono vestita. Ho messo la maglia degli 883 nera con gli shorts di jenas chiari e le Vans grigie.
Alle 11.00 entrai in ospedale, un'enorme edificio tutto bianco con le tende gialline. Mi fecero entrare in questa specie di laboratorio che sapeva di disinfettante. Mi sedetti su un lettino e si avvicinò un'infermiera dal viso gentile.
< Buongiorno Holly. Pronta per la terapia?>
< Un po'. Farà male?>
< Di solito no. E' una terapia a raggi x, pensata per non provare dolore. E' una cosa lunga però. Due volte al mese per due anni, lo sai vero?>
< Sì sì.>
< Sei della California?>
< No vengo da Londra.>
< Che bel viaggietto! Allora devi stare sotto i raggi un'ora, poi fino alla prossima seduta devi mettere una pomata ogni sera. Ti farebbe bene fare una passeggiata domani, magari sul lungomare. Adesso puoi fare quello che vuoi, leggere, ascoltare musica, chiamare a casa. Basta che tieni ferme le gambe.>
< Scusi ma se è così poco perchè non si può fare più spesso?>
< Perchè i raggi hanno bisogno di tempo per agire. Buona terapia, ciao.>
< Salve.>
Mi misi a leggere, mio padre non poteva restare lì, quindi si mise nella sala d'attesa. Il libro dopo 20 minuti era diventato noioso, lo posai e mi guardai intorno.
Era in camera con un ragazzo che prima non avevo notato, biondo con le lentiggini. Notò che lo stavo guardando, e si girò.
< Ciao.>
< Ciao.>
< Piacere, Jeremy. Come ti chiami?>
< Holly.>
< Cos'hai alle gambe?>
< Incidente d'auto. Quasi le perdevo. Tu?>
< Sono caduto scalando una montagna. Non ero imbragato bene. Ma non è la prima volta che faccio questa terapia. Sono abbastanza avventuroso e imprudente.>
< Non succede niente facendola? Voglio dire, nessun dolore o cose così?>
< Bhe, la pomata puzza. A parte questo niente.>
< Sopravviverò. Di dove sei?>
< Sono di New York.>
< Nemmeno a New York hanno queste attrezzature moderne?>
< No, è una ricerca speciale fatta solo in California. Tu di dove sei?>
< Londra. Ma mio padre abita qui.>
< Fortunata, io sono qui con mia zia. Adesso dormo, è la cosa meno noiosa da fare. Ciao Holly, ci vediamo.>
< Ciao Jeremy.>
Decisi di farmi una dormita anch'io, ma prima di chiudere gli occhi l'immagine di Nicholas era ben vivida nella mia mente. Dio se mi mancava.

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Capitolo 11
*** La cugina di Lindsay ***


6 mesi dopo.
Mi svegliai con il doloroso rumore della sveglia, che suonava puntuale come ogni mattina. Papà urlava dalla cucina di svegliarsi, l'odore di fritelle che rieccheggiava per la casa.
Mi alzai dal letto a fatica e guardai il calendario: sabato. Oggi niente professor Leiminght. E' il mio insegnante privato, mi insegnava tutte le materie. Per quanto potesse sembrare interessante studiare a casa non lo era affatto. Suo padre che entrava nello studio ogni mezz'ora, il professore che spesso arrivava mentre era ancora in pigiama, e per di più suo padre ogni tanto lo invitava a pranzo. Andai in bagno e mi feci una doccia, uscì, mi asciugai e mi misi la pomata dal terribile odore. Presi una maglietta con lo stemma della sua vecchia scuola, un paio di jeans neri e le Vans grigie. Quelle non mancavano mai. I capelli rossi li lasciai sciolti e misi un filo di eyeliner sugli occhi.
Scesi in cucina e abbracciai mio padre, per poi sedermi al tavolo in cucina. Da quando ero arrivata non era cambiato molto, a parte la quantità delle cose da cucinare. 
< Pa' posso uscire più tardi?>
< Con Jeremy e Lindsay?>
< Sì. Andiamo da Starbucks e poi in spiaggia.>
< Va bene, ci vediamo oggi pomeriggio.>
< Ciao papà buon lavoro.> Dissi scoccandogli un bacio sulla guancia.
Mio padre aveva chiesto un periodo di ferie appena ero arrivata, ma adesso aveva ripreso a lavorare. Tornai in camera a prendere la borsa e notai che non era affatto cambiata da quando ero arrivata. C'erano solo più libri, le lenzuola diverse, alcune foto con mia madre sulla scrivania. E una foto con Nicholas sul comodino.
Ogni volta che chiamavo mia madre o che veniva a trovarmi le chiedevo sue notizie. Era ancora abbastanza triste, gli mancavo. E lui mi mancava. Ma doveva farsi una nuova vita, mi sentivo troppo responsabile della sua tristezza.
Suonarono alla porta. 
< Arrivo!>
Andai ad aprire. Per prima cosa vidi Linsday appoggiata alla porta, il solito sorriso smagliante di sempre. Vestita di tutto punto, bellissima. E poi Jeremy. Solite fossette, soliti capelli color del sole e solite lentiggini. Aveva una maglietta verde e un paio di jeans sotto il ginocchio.
Il mio migliore amico e la mia migliore amica, nonchè la coppia più dolce e duratura di Newport.
Forse potrebbe sembrare strano avere come migliori amci una coppia, ma invece era divertentissimo. Io e Jeremy avevamo lo stesso problema e le terapie ci avevano avvicinato. Poi mi aveva presentato Lindsay, che all'inizio era abbastanza gelosa e pensava che io piacessi a Jeremy. Si erano chiariti e noi due eravamo inaspettatamente diventate migliori amiche. Solo a loro a Newport avevo parlato di Nicholas. Sapevano tutta la storia, conoscevano il nostro amore. Mi avevano suggerito più volte di chiamarlo, ma non volevo. Già stava male, ho avuto paura che una mia telefonata peggiorasse il tutto. Però ogni tanto lo chiamavo con lo sconosciuto, solo per sentire la sua voce.
< Bambola oggi dobbiamo fare un salto in aereoporto prima di andare da Starbucks.>
Era così che mi chiamava Lindsay, bambola.
< Come mai?>
< Questioni pallosissime. Devo andare a prendere una mia cugina che viene da Boston, una che guarda prenderla a sberle è poco.>
< Ci andiamo subito?>
< Il volo arriva alle 10.>
< Allora iniziamo ad andare>
Chiusi la porta e salì nella macchina di Lindsay, che già guidava. Io e Jeremy ci sedemmo dietro, per via delle gambe.
< Come stai Holly?>
< Non sò Jeremy.>
< Hai sempre in testa quel Nicholas vero?>
< Pensavo che sarebbe stato il mio grande amore, l'anima gemella.>
< Ma perchè pensi che non starete più insieme? Infondo sei mesi sono passati, un quarto di tempo è passato. Quando tornerai sarà ad aspettarti vedrai.>
< Jeremy, c'è una cosa che non sà nessuno. Io te la dico, ma non dirlo a nessuno. Promettilo.>
< Promesso.>
< Mio padre mi ha chiesto di trasferirmi qui.>
< Per sempre?>
< Per un tempo che ci somiglia.>
Non parlammo per tutto il viaggio, la musica a palla di Lindsay che ci sfondava le orecchie. L'aereoprto non erano lontano, in venti minuti arrivammo.
L'aereoporto di sabato era affollatissimo. La California era una meta ambita, e Newport era una delle città più alla mano. Gente di ogni colore, lingua, età o religione camminava a passo veloce per andare al check inn, al ritiro bagagli o per imbarcarsi. Qualcuno sorrideva. Qualcuno piangeva o abbracciava parenti e amici. 

< Da Boston, ma ha fatto una specie di tour. Arriva da Londra.>
< Quanto mi manca Londra.>
< Vieni andiamo all'arrivo. Non imbarcarti però eh.> Disse con tono scherzoso Jeremy
< No tranquilli.>
C'erano un sacco di persone agli arrivi, ma io non le guardavo. Dato che non conoscevo la cugina di Lindsay mi incantai a guardare gli aerei partire o atterrare.
Poi mi girai verso le persone che arrivavano, per vedere se la cugina di Lindsay le assomagliava. Ad un certo punto vidi un ragazzo arrivare dalla folla. Solo che non era un ragazzo qualsiasi. Quei capelli tutti disordinati, gli occhi più blu del buio e i il solito indimenticabile ghigno. Nicholas era davanti a me, e mi correva incontro.
Mi cinse i fianchi con le mani e si chinò a baciarmi. Mi aggrappai alla sua maglietta come se avessi paura che mi sfuggisse. Le sue labbra sapevano di buono, di casa. Restammo attaccati qualche minuto, poi ci staccamo per riprendere fiato. Lo guardai negli occhi.
< Ti amo Holly.>
< Ti amo Nicholas.>
Lindsay e Jeremy ci guardarono e sorrisero.
< Holly, ti presento mia cugina. Si fermerà a Newport una settimana.>

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Capitolo 12
*** Le sembro scemo? ***


Non ci potevo credere, Nicholas era veramente davanti a me, in California.
< Come stai piccola?>
< Adesso bene.>
< Capisco il motivo del tuo discorso quando te ne sei andata. Ma io senza te non ci sò stare, davvero. Sei come ossigeno per me. Ho una novità per te, devi decidere se accettare o no.>
< Dimmi.> Ero abbastanza titubante, lo amavo, ma cos'aveva in mente?
< Io verrò a trovarti con tua madre, sempre. Staremo insieme una settimana al mese per due anni. Sarà la nostra prova: se riusciremo ad andare avanti, possiamo resistere a tutto. >
Erano già passati sei mesi, e lo avevo pensato ogni singolo giorno. La sua proposta era belllissima, ma questo significava dire a mio padre che non potevo rimanere in California per un tempo che somiglia al per sempre.
< Va bene.>
Appena lo dissi mi prese in braccio portando le mie gambe attorno alla sua vita, per dimostrare la sua enfasi. La gente dell'aereoporto non ci degnava di un'occhiata, mentre Lindsay e Jeremy sorridevano felici. Eravamo due quindicenni innamorati, che c'era di male? Il futuro ci avrebbe detto se eravamo destinati a durare per sempre. Per adesso, m'importava solo una cosa: io lo amavo, lui mi amava. Avremmo combattuto la distanza, lo giuro.
15 anni dopo.
Il vestito era troppo stretto, oddio. Lindsay mi stava intorno per riuscire ad infilarmelo, e dopo diversi sforzi immani riuscì nell'intento. Mi guardai allo specchio e scoppiai a piangere.
< Non subito, Holly. Aspetta almeno che ti abbia detto sì!>
Percorrevo la navata centrale della chiesa, cercando di non cadere dai tacchi troppo alti per i miei gusti. Mia madre piangeva già, seduta al primo banco. La chiesa era addobbata di rosso, con rose e stoffe dovunque. Ma non m'interessava, avevo occhi solo per lui.
Nicholas mi sorrideva felice dall'altare. Non era cambiato molto, nonstante avesse trent'anni. Anche il giorno del nostro matrimonio i capelli erano disordinati e l'aria da ragazzo scanzonato non la perse di certo. La mia damigella d'onore era Lindsay, il mio testimone Jeremy.
Fù una cerimonia normale, a parte Nicholas che alla risposta alla fatidica domanda al posto di "lo voglio" rispose: "le sembro scemo? Certo che lo voglio!" Suscitando una ristata generale.
Ce l'avevamo fatta, avevamo combattuto la distanza. E adesso eravamo lì, dopo quindici anni insieme. E lo amavo, più della mia stessa vita.

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