Ambra & Emilio - la Fabbrica

di perwinkle
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Profumava di erba ***
Capitolo 2: *** Era esattamente quello che mi mostrava ***
Capitolo 3: *** Caro Emilio, ***
Capitolo 4: *** Via S.Agostino 22 ***
Capitolo 5: *** È un po' il mio posto segreto (4b) ***
Capitolo 6: *** Improbe amor, quid non mortalia pectora cogis! ***
Capitolo 7: *** EPILOGO ***



Capitolo 1
*** Profumava di erba ***


Era a circa 200 metri da casa mia. La raggiungevo in bici in cinque minuti. Era stata abbandonata dieci anni prima; i proprietari avevano aperto un' altra sede nella zona industriale e questa, in mezzo alla campagna, era stata chiusa, ma non l'avevano demolita. Produceva piastrelle in ceramica di ogni tipo. Lì intorno se ne trovavano ancora, lucide e colorate, smaltate e decorate.

Quel giorno uscii di case alle 17.00 con la mia bici nera e raggiunsi la fabbrica. Appoggiai le mani al cancello arrugginito e controllai se tutto era al suo posto: lo stabile principale, i due forni con le colonne, alte una ventina di metri, decorate con piastrelle verde acqua, e gli altri tre edifici.

L'edera, le erbacce ed altri innumerevoli arbusti avevano invasi gli stabili. Ma, dato che i cancelli erano sempre chiusi, nessuno mai ci entrava e così, come unica vera padrona della fabbrica abbandonata, era rimasta solo l'edera.

Buttai la bici sul lato della strada e mi sedetti davanti al cancello. I forni non avevano più le porte e si intravedeva il nero dell'interno: mi persi a guardarli immaginando cosa ci fosse lì dentro. Fra una ciminiera e l'altra c'era un arbusto con delle bacche nere. E, di fianco all'arbusto, un piede. Una scarpa, precisamente, di tela bianca. La scarpa si mosse e con essa una gamba ed un corpo si alzarono. Era alto 1.70, aveva i capelli nerissimi.

Mi alzai di scatto, lo chiamai.

“Hei, tu! Sì, tu, come hai fatto ad entrare?”

“Ho scavalcato il cancello. Vieni, solo, stai attenta alle punte là sopra”.

Mi avevano sempre detto di non dare confidenza agli sconosciuti. Ma, insomma, avevo 15 anni, e se quello conosceva un modo per entrare nella fabbrica dovevo provarci. Mi diedi la rincorsa e saltai sul cancello. Fu più facile del previsto, sì che erano oramai 5 anni che visitavo la fabbrica e non ci avevo mai provato, chissà perché, paura forse.

Lo raggiunsi camminando lentamente.

“Allora, io vengo sempre qui ma non ti ho mai visto...”

“Sono Emilio, tu?”

“Ambra, ho 15 anni.

“Io 16”

“Ah”

Aveva gli occhi marrone scuro e il naso molto piccolo. Niente accenni di barba o baffi che detestavo. Profumava di erba, sembrava fosse stato in mezzo a quegli arbusti per tutto il giorno.

“Beh, e vieni qui spesso hai detto... Mah, non mi hai mai visto forse perché non sei mai entrata, io sono spesso qui fra i forni, mi perdo a contare le mattonelle azzurre”

“sono verde acqua”

“Scusa”

Era ironico? Stavo perdendo tempo mentre l'unica cosa che volevo era vedere la fabbrica.

“Senti, voglio fare un giro, mi fai vedere dove stai tu di solito?”

“Sì, certo, vieni verso la porta della centrale”

La porta non c'era più, era rimasto un foro fra i mattoncini a vista. Entrai seguendo Emilio. Era grande come spazio, ma forse solo perché era vuoto. Chissà come doveva essere quando era pieno di macchinari. Poi visitammo gli altri tre edifici con sei porte ed i due forni con le scalette alle pareti. Emilio sembrava una guida turistica. Era buffo ma allo stesso tempo affascinante. Incomincia a chiedermi chi fosse. Aspettai la fine del giro per sedermi su un cumulo di mattoni. Lui si sedette nuovamente per terra. Chiaccherammo un po' così scoprii che era al terzo anno del Liceo Classico, proprio al mio, ma, essendo in un' altra sede, non l'avevo mai visto.

Ma era estate, era giugno, giugno 1979, non avevamo voglia di parlare di scuola.

Abitava abbastanza lontano dalla fabbrica ma ci veniva quasi tutti i giorni, in bici. Gli chiesi dove fosse, volevo vederla.

“È una Graziella, era di mia madre”

Era verde chiaro ed era bellissima. Altro che la mia nuova, nera, perfetta, volgarissima bicicletta. Non potevo levare gli occhi da quell'elegante Graziella.

“Ti piace”

“Oh, la adoro”

“Vuoi provarla?”

Sorrisi ed annuii. Emilio montò sul sellino ed io mi misi in piedi sul portapacchi. Partì. Fece lo slalom fra i cumuli di mattoni, passò vicinissimo ai forni, sfiorai i loro mattoni e le loro lucide mattonelle. Sentivo l'aria sul viso, Emilio prese velocità. Urlò.

“Uhuhuhuuhuhuhuhuuu”

Ripetei l'urlo e mi sembrò di volare. La ruota si scontrò con un mattoncino e cademmo a terra. Non ci facemmo poi così male, qualche ammaccatura venne fuori i giorni seguenti. Ridemmo ininterrottamente per cinque minuti. Erano le 19.00, avrei già dovuto essere a casa.

“Sono le sette, devo andare. Tu non devi tornare a casa?”

“Sì, certo, ma non ho orari così rigidi, sai, mio padre non si accorge nemmeno se ci sono a casa”

“Ah, ok. Beh io devo proprio andare. Domani torni?”

“Alla fabbrica? Sicuro”
“Allora a domani”

Sorrisi ed ero in dubbio se abbracciarlo o meno. Tentennai quei secondi sufficienti per far provare imbarazzo ad entrambi. Quindi sorrisi di nuovo e me ne andai, senza abbracci. Emilio mi salutò con la mano.

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Capitolo 2
*** Era esattamente quello che mi mostrava ***


La mattina dopo controllai le mie gambe, sdraiata sul letto. Il livido che avevo sulla gamba destra era abbastanza grosso. Chissà che lividi erano venuti a lui.

Mi misi un vestitino bianco, mi piaceva come i miei capelli arancioni vi risaltassero.

Scesi a fare colazione con un caffè latte e due biscotti, mi lavai i denti ed uscii.

Andai nella pasticceria vicino a casa mia e ordinai una decina di pastine.

Perché tutte queste pastine Ambra, festeggiate qualcosa?”

No, no, sono per un mio amico”

Ah, certo, un tuo “amico” capisco... e com'è?”

Affamato”

Pagai ed uscii senza aggiungere altro. La pasticcera mi conosceva e non era la prima volta che stroncavo i suoi interrogatori sul nascere. Conservai i miei dolci in frigo fino al pomeriggio quando uscii in bici verso la fabbrica e le misi nel cestino. Quando arrivai, lui era già lì. Scavalcai e lo raggiunsi.

Ti piacciono le pastine?”

Dipende, quali hai?

Scoprii che gli piacevano tutte e ne finì sei o sette.

Grazie mille, sei sempre così gentile?”

Non sempre, non con tutti. Quindi ritieniti fortunato”

Ridemmo insieme. Poi a lui, tutto ad un tratto, sembrò venire un'idea.

Beh, tu mi hai portato le pastine quindi voglio sdebitarmi. Muoviti!”Si alzò di scatto, scavalcò e montò in bici. Io lasciai lì la mia bici e salii dietro la sua. Mi portò al fiume, in un punto un po' nascosto, su un'ansa. Buttò giù la bici ed iniziò ad aumentare il passo costeggiando l'argine ed attaccandosi con le mani ai rami sporgenti per non cadere. Continuammo così per un po' e e pensai che mi sarei sporcata di sicuro il vestito. Poi Emilio si bloccò e mi indicò una figura nera, non la vedevo bene, c'era lui davanti. Lo misi a fuoco ed era un copertone di una ruota di un trattore, lì se ne trovavano, c'erano solo campi nei dintorni.

L'ho rubato a mio nonno”

Cosa vuoi fare?”

Non hai caldo?”

Si levò la maglia e le scarpe, prese la ruota e la spinse in acqua. Ci si buttò dentro e mi incitò a seguirlo. Maledissi il fatto di aver indossato un vestito. Lo levai e levai pure le scarpe. Avevo un reggiseno rosa chiaro con il pizzo regalatomi dalla mamma mentre le mutandine erano bianche. Emilio non fece una piega e continuò ad incitarmi a buttarmi. Mi levai le scarpe e sentii i sassi sotto i piedi, viscidi, coperti di quelle piccole alghtte, quelle che ricoprono anche i fondali dei fiumi. Era fresca l'acqua. Presi la rincorsa e mi gettai sul copertone con lui. Mi guardò e rise. Navigammo un po', lui ci spingeva spostando l'acqua con le braccia.

Non ti sembra che si conosciamo da chissà quanto? Nel senso, ho sempre avuto bisogno di tempo per avvicinarmi alle persone. Ma io e te ci siamo conosciuti ieri e guardaci ora!”

Smise di remare per rispondermi.

Hai ragione”

Non proseguimmo quella conversazione, ci tagliò la strada una famiglia di papere ed interrompemmo bruscamente il discorso. Però era vero. Sentivo di non aver bisogno di così tanto tempo per conoscere Emilio. Era lì, era esattamente quello che mi mostrava. Non mi era servito così tanto tempo perché non avevo avuto bisogno di scavare a fondo per trovare il vero Emilio. Il vero Emilio stava lì, era lì per me come era lì per tutti, per la fabbrica, per le papere e per se stesso. Non ho mai più conosciuto nessuno di così sincero.

Le mie mani sono vecchie, Ambra”

Pure le mie”

Ci riavvicinammo alla riva dove avevamo lasciato i nostri vestiti. Erano le quattro in punto e un raggio di sole batteva esattamente su di noi. Ci sedemmo sui sassi aspettando di asciugarci. Iniziammo a parlare di musica. Beh, iniziò lui, di colpo.

Ok, canzone preferita”

Ma di adesso?”

Boh, insomma, sì, circa”

È una domanda difficile, dammi un attimo. Va bene, dell'anno scorso: Baker Street”

Oh perfetto, se avessi detto qualche canzone stupida ti avrei lasciata qui. Baker Street, fantastica”

Dimmi la tua”

Knockin' on heaven's door. Ero in 5° elementare e mia madre mi vanne a prendere un giorno a scuola, di solito tornavo a piedi da solo. Mi potò a bere una cioccolata calda con panna, era dicembre ricordo. È stata la cioccolata migliore della mia vita. Poi mi diede i soldi per il juke box e io scelsi Knockin', non so perché. E da lì è la mia preferita. Mi sa di cioccolata con panna”

Gli sorrisi.

Posso chiederti una cosa? Se vuoi puoi non rispondere...”

Vai”

Tua mamma...”

Andò via cinque anni fa con un uomo, mi salutò nella notte svegliandomi. Mi disse che sarebbe tornata, le serviva solo un po' di tempo. Alla fine si era semplicemente innamorata di quell'uomo, me lo ricordo, moro e alto. Amore, solo quello”

Non l'hai più vista?”

No”

Ah”

Guardai i suoi capelli ancora umidi luccicare al sole.

E non vorresti ritrovarla?”

Sì, certo. Ci ha inviato una cartolina, due anni fa, da Firenze. Ma non posso, no”

Ma sì che puoi. Se vuoi cercarla devi farlo, se non ora, quando?”

Se non ora quando. Se non ora, quando? Mi rimbombò nella mente. L'avevo sentito dire da qualcuno in qualche film, sicuro. Non erano parole mie. Ma mi facevano sentire come un brivido, la sensazione di tenere il mio destino nelle mie mani.

Emilio mi guardò a lungo restando zitto. Poi rispose.

Sì, se non ora, quando?”

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Capitolo 3
*** Caro Emilio, ***


Parlammo più volte del come fare per contattare la mamma di Emilio. Mi disse che si chiamava Anna, quando se ne era andata aveva 37 anni. Tutto ciò che avevamo su di lei era quella cartolina del 1977, inviata da Firenze. C'era una veduta della città, mi disse Emilio quella mattina,

Me la faresti vedere? Ce l'hai ancora, no?”

Certo, andiamo”

Era la prima volta che andavo a casa sua. Ci mettemmo dieci minuti ad arrivare con la sua Graziella. I muri erano verde chiaro ed aveva un giardino enorme, tipico delle case di campagna di là. Alla sinistra del viale che portava a casa sua c'erano una ventina di piante grasse che attirarono la mia attenzione.

Quante sono?”

Ventitré. Ti faccio vedere la mia preferita, si chiama Lophophora. So che sembra buffa, è appiattita e grassa ma a me piace molto.

È davvero buffa, questo sì”

Cercai di trattenere una risatina. Erano cinque o sei palline appiccicate, verdissime.

Te ne occupi tu?”

Sì, da un paio di anni quello che mi dà mio padre lo spendo in piante grasse. Non è che lui ne sia proprio felice”

Proseguimmo lungo il viale; Emilio mi indicò in lontananza il loro campi, il trattore di suo nonno e, arrivati alla porta di ingresso, si fermò

Che c'è?”

Prima le signore”

Non mi era mai capitato. Entrammo nell'atrio.

Ma non c'è nessuno, Emilio?”

Credo che mio padre sia da mio nonno, siamo soli”

Camera sua era al primo piano così salimmo le scale e mi ci portò. Non era molto grande rispetto al giardino. Sul balcone della finestra c'erano tre vasetti con tre piccoli cactus, di fianco c'era il letto e sopra il letto un po' di vestiti. Li scansò e si buttò sul letto. Poi strisciando raggiunse il comodino ed aprì il primo cassetto. Tirò fuori la cartolina e si girò a guardarmi. Fu in quel momento, in quello sguardo, che capii quanto ci tenesse. Mi sembrava di rivederlo bambino, mi guardava e teneva in mano quella cartolina come un appiglio, come una mano, come la mano di sua mamma.

Non voglio leggerla qui, vieni”

Lo seguii come sempre. Mi portò in giardino, ma sul retro della casa. Fra due alberi aveva costruito una specie di capanna, aveva agganciato due coperte agli alberi, poi ne aveva stese tre o quattro per terra e ci aveva messo sopra dei cuscini.

Ecco, qui vengo a leggere, quindi anche questa cartolina te la leggerò qui”

Ci sdraiammo, appoggiai la mia testa sul suo petto. Avrei voluto rimanere lì per sempre, nel silenzio. Ma iniziò a leggere.

Caro Emilio, avrai quattordici anni ora. Spero tu sia cresciuto mantenendo il tuo amore per tutto ciò che ti circonda, per gli animali, per le piante, per le persone, per la vita. Ti voglio bene, Mamma. Firenze, 25/03/1977

Tutto qui, non fece tempo ad iniziare a leggere che già aveva finito. Feci un respiro profondo pensando a cosa dire.

Effettivamente il tuo amore per la vita è rimasto”

Grazie”

Restammo un attimo in silenzio

Sai il problema qual'è, Ambra?”

Quale?”

Che da quando se ne è andata il mio amore per il tutto è aumentato ancora di più”

E qual'è il problema, non capisco”

Che non so a chi darlo. O almeno, non lo sapevo”

Lo guardai e volevo dirgli quanto anche lui fosse fondamentale per me. Volevo dirgli quanto ero felice di averlo trovato. Volevo dirgli che finalmente avevo qualcuno con cui parlare, avevo qualcuno che mi ascoltasse; avevo qualcuno con cui però potevo anche passare ore stando zitti, solo ascoltando i rumori di ciò che ci circondava; avevo qualcuno con cui andare alla fabbrica e sedermi lì e ammirare ogni piastrella, ogni mattone. Finalmente non ero più sola, non eravamo più soli, dovevo dirglielo, ora glielo avrei detto.

Ma non dissi niente. Lo abbracciai e restammo lì sdraiati, per tutto il pomeriggio.

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Capitolo 4
*** Via S.Agostino 22 ***


Quel giorno ci trovammo alla fabbrica verso le 11.00. Mi disse che aveva portato da mangiare e che se per me andava bene potevamo restare lì a pranzare. Ci sedemmo per terra sulla tovaglia che aveva portato e mi passò un panino.

Sai, ieri sera stavo guardando la cartolina e ho notato, in basso, una scritta”

Ce l'hai qui?”

Sì, vedi, qui, guarda, è piccolo e io non ci leggo”

Ok, allora, sì è molto piccolo in effetti. Ok, “via S. Agostino 22”... Emilio, questo è l'indirizzo!”

L'indirizzo?”

L'indirizzo!”

Ci mise un po' a capire. Sua madre gli aveva scritto l'indirizzo di casa sua, era evidente che volesse essere contattata.

Perché non l'hai notato prima, Emilio!”

Non so, non mi ci sono mai soffermato più di tanto prima. L'ho lasciata lì per tutto questo tempo, non avevo voglia di pensarci credo”

Beh, fatto sta che ora abbiamo l'indirizzo, possiamo scriverle!”

Subito decise.

Voglio scriverle, voglio farlo ora”

Non avevamo né carta né penna così decidemmo di andare a casa sua. Montai sulla sua Graziella ed arrivammo in meno dieci minuti, corremmo sulle scale e ci fiondammo in camera sua. Poi prese carta e penna.

Cosa le scrivo?”

Cosa le vuoi dire? Pensa a quello che si è persa, cos'hai fatto finora? Cosa vorresti da lei? Vuoi rivederla? Io non lo so, scrivi quello che senti”

Iniziò a scrivere e, mentre scriveva, leggeva ad alta voce.

Cara mamma, ho trovato solo ora il tuo indirizzo. Forse prima non volevo trovarlo, forse prima ho fatto finta di non vederlo. Perché ero arrabbiato, mi mancavi, non ero pronto, non lo so. Ma ora sono qui e vorrei raccontarti tutto di me, tutto quello che è successo in questi cinque anni. Ma come potrei, riassumere questi ultimi anni in un foglio, come? Voglio parlarti, voglio vederti. Vieni, io sono sempre qui, ti aspetto, Emilio.”

Appena ebbe finito vidi i suoi occhi alzarsi da foglio, lucidi. Era come se si fosse liberato da un peso che aveva da troppo tempo. Gli sorrisi e non sapevo cosa dirgli quando mi chiese cosa ne pensassi.

È perfetta”

Decidemmo di imbustarla il giorno stesso, comprammo i francobolli e la mettemmo nella cassetta. Poi mi guardò.

E adesso?”

Adesso aspettiamo”

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Capitolo 5
*** È un po' il mio posto segreto (4b) ***


Aspettammo 24 giorni. Era il 22 agosto quando, la mattina, mi svegliò il suono del campanello. Aprii la finestra e vidi Emilio al cancello con una lettera in mano. Gli dissi che ero in pigiama ma insisteva. Così lo feci salire.

Mi ha risposto!”

Va, leggi”

Caro Emilio, sarò da te per le ore 15.30 del giorno 23 agosto. Fatti trovare a casa. Ciao, Mamma.”

Non seguivano altre spiegazioni. Sarebbe venuta da sola? Perché veniva qui? Voleva vedere anche il padre di Emilio o no? Se io ero tormentata da così tante domande,pensai, chissà che effetto ha avuto su Emilio questa lettera.

Allora, sei felice?”

Non saprei, non proprio felice. Sono impaziente di vederla, voglio spiegazioni, voglio sapere cosa faremo ora”

Lo vidi molto agitato. Decisi che la cosa migliore da fare era distrarlo nell'attesa.

Vuoi vedere una cosa?”

Cosa?”

L'avevo colto di sorpresa cambiando argomento. Lo presi per mano e lo portai in mansarda. Aprii la finestra, quella sulla parte più bassa del tetto. Poi mi arrampicai sopra una sedia ed uscii dalla finestra. Lo esortai a seguimi ed Emilio non ci pensò due volte. Eravamo sul tetto, seduti sulle tegole rossicce.

È davvero bello, Ambra”

Sì, ci vengo spesso quando i miei non ci sono. È un po' il mio posto segreto”

Lui mi aveva portato nel suo posto preferito per leggermi la lettera. Mi aveva mostrato la fabbrica. Mi aveva portato a fare il bagno nel fiume. Mi aveva portato a casa sua e mostrato le sue piante grasse. Mi aveva postato sulla sua bici. Mi aveva portato nella sua vita. Lì, sul tetto, era la prima volta che io lo portavo nella mia.

Mi ero dimenticato, ti ho portato una brioche, buon giorno e buona colazione!”

Mi porse un cornetto e lo mangiai in due morsi. Non avevo fatto colazione. Ed ero ancora in pigiama. Per lui.

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Capitolo 6
*** Improbe amor, quid non mortalia pectora cogis! ***


La mattina dopo ero andata a casa sua la mattina, per fargli compagnia. Era solo mezzogiorno e già era in ansia. Restai a pranzare con lui e suo padre; nessuno dei due disse una parola riguardo alla madre che sarebbe arrivata in un paio d'ore. C'era una tensione tale che non sapevo cosa dire tanto mi sentivo fuori luogo. Finito il pranzo io ed Emilio ci mettemmo a lavare i piatti mentre suo padre uscì a camminare a fumarsi una sigaretta.

Dai dimmi qualcosa”

Non sono più tanto sicuro di volerla vedere”

Perché?”

Perché poi cosa farò? Cosa faremo dopo esserci parlati? Se ne andrà di nuovo? Cosa farò io? Non mi preoccupa parlarle, ma quello che succederà dopo mi terrorizza”

Aveva le mani che, tenendo la spugnetta, tremavano. Per la seconda volta, non seppi cosa dire. In effetti anche io me l'ero chiesto cosa sarebbe successo dopo. Ma mai e poi mai sarei riuscita ad immaginare cosa sarebbe realmente accaduto.

Me ne andai da casa sua verso le 15.00 e la mattina dopo mi svegliai presto, curiosa di sapere cosa fosse successo fra Emilio e sua madre. C'eravamo dati appuntamento alla fabbrica ed arrivai puntuale. C'era Emilio, davanti al cancello, con una lettera in mano. Non mi disse una parola. Me la diede, mi abbracciò. Poi mi guardò negli occhi. Non capivo, non parlavo, non parlava, non sapevo ma Emilio sì sapeva. E gli scesero un paio di lacrime. Mi uscì qualche parola come “perché” o “cos'è successo” ma non ottenni risposta. Poi mi strinse ancora più forte, mi diede un bacio sulla fronte, prese la sua Graziella e partì.

Mi sciolsi, per terra. Aprii la lettera velocemente, strappando la busta con le mani frementi ed il corpo scosso dall'emozione.

Cara Ambra, innanzitutto, voglio che tu sappia cos'è successo ieri. Mia madre è arrivata poco dopo che tu te n'eri andata. Ci siamo seduti in giardino, io e lei, soli. Mi ha raccontato del posto in cui sta ora. È ancora con quell'uomo, quello moro, quello di cui ti avevo parlato, quello per cui ci ha lasciati. Mi ha voluto spiegare le sue ragioni. Mi ha parlato di amore vero, quello che quando si prova si prova una sola volta nella vita. Quello che ti colpisce all'improvviso e che, quando ti prende, non puoi farci niente. Mi ha chiesto se avevo presente di cosa stesse parlando. E io le ho detto di sì, io le ho detto di te. Ed è grazie a te se l'ho cercata e perdonata. Tu mi hai spinto a scriverle e mi hai fatto capire le sue ragioni, perché l'amore che lei provava e che l'ha fatta fuggire è l'amore che io provo per te e io l'ho capita.

Poi, ieri, è arrivato mio padre. Non si sono parlati, nemmeno salutati. Mio padre mi ha aiutato a fare la valigia. La seguirò, Ambra. Andrò a Firenze. Voglio stare con lei, voglio recuperare il tempo perso. Non so se mai mi capirai. Ti prego, non pensare che questo sia un addio, non te lo direi mai, non a te. Appena potrai, appena vorrai, Ambra, raggiungimi. L'indirizzo lo sai, Emilio.”

Passai il resto della mattinata lì sdraiata, fra margherite e mattonelle scheggiate.

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Capitolo 7
*** EPILOGO ***


EPILOGO

 

Sono al volante, immobile, da cinque minuti buoni. Allora decido di aprire la portiera e scendere lentamente. Due passi e sono arrivata, appoggio le mani alle sbarre, il naso e gli occhi sporgono, dentro la recinzione.

È rimasto quasi tutto com'era. Sono caduti un paio di mattoncini in più e le edere sono cresciute fin sopra le ciminiere, d'altronde sono passati sette anni. Alla natura ne bastano pochi per riprendersi ciò di cui l'uomo l'aveva privata. E quando glielo lasciamo fare lo spettacolo è meraviglioso . Scavalco il cancello come facevo sempre (sempre da quando Emilio me lo aveva insegnato). Vado a sedermi esattamente dove ci eravamo visti per l'ultima volta. Penso a com'ero allora ed a come sono adesso. E poi penso a come sarei se non l'avessi conosciuto. Non sarei io, non sarei quell'io che sono ora. Chissà quante cose mi sarei persa se lui non mi avesse insegnato a vedere come vedeva lui. A vedere la bellezza ovunque, a guardarsi intorno come se si vedesse tutto per la prima volta. Mi aveva insegnato a vivere ogni esperienza, sensazione, scambio di parole o scambio di sguardi davvero appieno, come solo lui sapeva fare. Io ci avevo provato a vedere ed a vivere così; però solo dopo la sua partenza ci riuscii davvero. Solo allora, ogni cosa che facevo o vedevo pensavo a lui, a come lui l'avrebbe vissuta e così la vivevo anch'io, come lui, con lui.

Per me Emilio non se n'è mai andato. Non è stato con me solo quei 3 mesi estivi. È stato con me da quel giugno del '79 fino ad ora. Ed ora andrò a dirglielo.

Ce ne ho messo di tempo per decidermi ma finalmente lo raggiungerò. Ci siamo spediti esattamente 132 lettere da quando se ne è andato. Nell'ultima gli ho detto che sono pronta per andare da lui, che non posso aspettare oltre, l'estate è iniziata e io partirò.

Scavalco il cancello di nuovo e prendo, da sotto una pietra, lì accanto, la sua lettera. È la prima volta che la prendo in mano dopo sette anni, l'ho lasciata lì nel nostro posto, nella nostra fabbrica. È diventata marrone, dello stesso colore della terra sotto quella pietra, casa di lombrichi e maialini di terra. La scuoto facendo cadere le ultime sporcizie dal foglio. Poi apro il bagagliaio. Apro la valigia che sta di fianco al regalo per lui, una piantina grassa. Apro il beauty case verde acqua . Apro la taschina nera interna, foderata con una stoffa a pois neri. E lì la infilo. Nel posto più nascosto, più sicuro, più segreto, più vicino, vicino a me.

Metto in moto, arriverò a Firenze per le 20.00, via S. Agostino 22, l'indirizzo lo so.

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