Nel segno della Vergine di Thilwen (/viewuser.php?uid=1319)
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Capitolo Primo ***
Capitolo 2: *** Capitolo Secondo ***
Capitolo 3: *** Capitolo Terzo ***
Capitolo 4: *** Capitolo Quarto ***
Capitolo 1 *** Capitolo Primo ***
Disclaimer:
I diritti di Harry Potter and co. appartengono a Madama J.K.Rowling e a tutto un
circo di gente che li ha acquistati. Niente di tutto ciò mi appartiene e io non
scrivo a scopo lucro, ma solo per “palestrare” la mia
fantasia.
Titolo:
Nel Segno della Vergine;
Autore:
Thilwen;
Beta-reader:
mise_keith;
Tipologia:
A
Capitoli;
Numero
Capitoli: Quattro;
Era:
Harry
Post Hogwarts. Precisamente nell’anno 2001.
Note:
Il
rating della storia è PG13, anzi, “Giallo”, a causa del linguaggio. Ho provato a
omettere il turpiloquio ma l’effetto dato non era lo stesso. Diciamo che è
integrante al testo.
Ovviamente
contiene spoiler sul settimo libro e si basa anche su alcune dichiarazioni
rilasciate dalla Rowling.
Questa
storia nasce da un’ispirazione particolare.
Ogni
riferimento a casi, persone o eventi realmente accaduti è
quindi da ritenersi puramente causale.
Ringraziamenti
speciali: a
Chiara, mise_keith, che legge, corregge e consiglia. E sopporta,
soprattutto.
Dediche:
A
chi, certamente non di proposito e sicuramente inconsapevolmente, mi ha dato
l’ispirazione per questa storia.
Nel
Segno della Vergine
Hermione
non era il tipo di persona da prendersela per quelle cose.
Quelle,
per lei, non erano cose importanti.
Non
rientravano strettamente in relazione con questioni fondamentali come famiglia,
salute e lavoro, non avevano molto a che fare con libri e cultura, non toccavano
alcuna creatura magica da lei eccessivamente concupita.
Non
le avrebbe mai ritenute delle cose importanti, quindi.
Non
significavano nulla, in fondo.
Quello
non significava che non la pensasse o non le volesse bene.
Non
se la sarebbe presa.
Poteva
smetterla di preoccuparsi.
«Smetterla
di preoccuparmi, il piffero!» si disse a voce alta, evitando di cadere nel
turpiloquio evidente, continuando a passarsi una mano lungo il viso e
osservando, distrutto, la prima pagina della “Gazzetta del Profeta” che giaceva
sul tavolo della cucina di casa sua e di George.
Gazzetta
che in cima citava elegantemente tale data:
“20
settembre 2001”
Avrebbe
vomitato dozzine di pallini acidi alla vista di quella data, se ne fosse stato
capace.
Di
certo il modo in cui gli si erano attorcigliate le budella non avrebbe promesso
nulla di buono per il suo apparato digerente; improvvisamente era sorto anche un
vago vuoto in prossimità del cuore.
O
forse era il cardias.
Poco
importava, perché quello che era successo lo avrebbe messo in cima alla lista
come peggior fidanzato del nuovo millennio, con tanto di corona artistica che
avrebbe ricordato vagamente il palco di corna di un cervo a
primavera.
Si
era dimenticato del compleanno di Hermione.
Di
nuovo.
Sì,
perché il misfatto aveva pure un precedente.
Ma
quella dell’anno prima, in fondo, era stata una storia a parte. Era un momento
di crisi, erano entrambi abbastanza impegnati con il lavoro e, in quelle precise
settimane di fine estate, si poteva quasi dire che non si
parlassero.
In
fondo, da quando stavano insieme, di momenti critici ne avevano attraversati
parecchi; non basta che due si vogliano bene e si desiderino per anni perché,
quando finalmente qualcosa accade, vada poi tutto liscio come
l’olio.
Loro
erano pur sempre loro,
ecco.
Due
pasticcioni sentimentali alle prese con l’ardua costruzione di una posizione
sociale nella vita.
Ma
questo era un altro discorso. Adesso, per quanto impegnati e non particolarmente
disponibili a vivere una relazione con responsabilità da adulti, le cose
andavano discretamente bene.
Però
lui si era dimenticato del suo compleanno.
Se
l’era dimenticato comunque.
Se
l’era dimenticato di nuovo.
E
per quanto Hermione difficilmente ne avrebbe fatto una tragedia, di sicuro
doveva esserci rimasta male.
Deglutì
a vuoto. Si versò un bicchiere d’acqua e lo bevette tutto d’un
colpo.
Era
proprio questo il punto; lui riusciva a farle del male anche quando tentava di
tutto per far andare le cose per il meglio.
Era
davvero una frana.
In
fondo una sfuriata avrebbe potuto sopportarla. Una lunga serie di improperi,
rimproveri e recriminazioni, magari condita di cose dove lui non c’entrava
proprio, come l’aumento del prezzo dei croccantini di Grattastinchi, o i diritti
barbaramente violati di una comunità di Goblin nordafricani, se mai ci fossero
stati Goblin in Nord Africa.
Invece
Ron sapeva perfettamente che non sarebbe andata così. Lui l’avrebbe cercata, si
sarebbe scusato tenendo gli occhi bassi e sentendo le orecchie diventare pian
piano sempre più calde e, probabilmente, rosse. Lei, a quel punto, avrebbe
sospirato sconsolata e stanca, si sarebbe passata una mano fra i capelli
mordendosi le labbra e infine avrebbe sillabato con voce piatta e incolore la
solita grigia bugia:
“Non
fa nulla, Ron. Non è importante”.
Così,
sentendosi assolto, avrebbe alzato la testa e incontrato con un mezzo sorriso i
suoi occhi, pensando che la questione fosse ampiamente chiusa lì e che, magari,
avrebbe potuto portarla fuori per cena nelle prossime
sere.
E
lì avrebbe incontrato il suo sguardo.
Se
Hermione era capace di mentire con le parole, ormai troppo stanca e impegnata
per litigare con lui come una ragazzina (tranne che per le autentiche cazzate:
per quelle potevano battibeccare per ore), con gli occhi poteva tacitamente
mandarlo all’inferno con tutte le mutande.
Il
suo sguardo sarebbe stato carico di delusione, tristezza, rammarico, come quando
l’anno prima gli aveva detto “Ti sei pure dimenticato del mio compleanno, ma non
fa nulla” e l’aveva fatto sentire un’autentica cacca di cane appena pestata da
un camionista ubriaco pronto anche a vomitarci sopra.
Insomma,
una vera e propria schifezza.
E
Ron si sarebbe talmente sentito soffocato dai sensi di colpa che non sarebbero
bastate nemmeno una cinquantina di punizioni con Piton, pace all’anima sua, per
espiare i suoi peccati.
Ma
come aveva fatto questa volta a dimenticarsi del suo
compleanno?
Fino
a due giorni prima lo sapeva. Era il diciassette, poi ci sarebbe stato il
diciotto e infine il diciannove settembre, il compleanno di
Hermione.
Poi
nei due giorni precedenti buio totale. Soltanto lavoro, lavoro per lui. E
lavoro, lavoro per lei.
«Ma
come ho fatto?» chiese alla testa rossa di George spuntata in cucina con i
capelli arruffati in maniera particolarmente strana. Doveva aver dormito in
qualche buffa posizione quella notte.
«A
fare che?» domandò l’altro, la voce impastata e lo sguardo ancora vagamente
ebete.
Si
sedette su di una sedia nei pressi del tavolo, guardandolo senza vero
interesse.
«Sai
che giorno è oggi?» continuò Ron.
«Non
ne ho la minima idea» rispose George, prima di piegarsi in avanti per leggere la
data sulla prima pagina del giornale «Ah, è il venti settembre. E allora?»
ritornò a poggiare le spalle allo schienale della sedia.
«Allora»
riprese Ron «ieri era giorno diciannove. Quindi,» proseguì non notando nessun
cambiamento nell’espressione del fratello «il compleanno di
Hermione».
Ci
fu un secondo di silenzio durante il quale George strinse appena gli occhi come
chi teme di aver capito. Poi Ron concluse: «E io l’ho
dimenticato».
«Cazzo».
«Per
il secondo anno consecutivo».
«Cazzo!»
ripeté con un po’ di più convinzione, scotendo la testa a destra e sinistra, un
po’ per disapprovazione, un po’ per vera e propria commiserazione. «Sei nei
guai».
Ron
si morse le labbra «Non credo che lei abbia voglia di fare storie; è troppo
impegnata e troppo stressata, e non è il tipo che ritiene importanti queste
cose. Però… ecco, ci sarà rimasta parecchio male. E io mi sento parecchio uno
stronzo».
«Oserei
dire che un po’ ci sei» commentò George, ormai completamente sveglio. «Ma scusa,
come hai fatto a dimenticartelo?»
L’altro
sospirò. Poi scivolò anch’egli su di una sedia di fronte al fratello. «Lo
ricordavo, fino a pochi giorni prima. Le avevo anche preso un regalo. Le avevo
proposto di cenare insieme, magari a casa sua…mmm…» Ron alzò gli occhi al cielo
gustandosi l’immagine di quello che sarebbe accaduto se avessero realmente
organizzato così la serata.
«Ron,
abbiamo capito. Va’ avanti».
«Ma
lei ha risposto che non poteva essere, aveva troppi impegni al lavoro, e che
avrebbe preferito festeggiassimo un altro giorno per poterci godere il momento…»
stirò le gambe sotto il tavolo e gettò l’ennesima occhiata alla Gazzetta del
Profeta, augurandosi in ultima chance, che si fosse sbagliato, ma la data era
sempre fissa sul ventesimo giorno di settembre. «Poi fra impegni varii non ci
siamo sentiti. E ieri non ho avuto modo di parlare né con Harry, né con Ginny,
quindi con nessuno che potesse farmi pensare alla cosa. Anche se… avrei dovuto
ricordarlo da solo».
Sospirò
e guardò il fratello con aria sconsolata: «Secondo te che dovrei
fare?»
«Tu
che cosa vorresti fare?» domandò di rimando George.
«Mah,
andare da lei, scusarmi, beccarmi la sua occhiata delusa, farmi mandare il cuore
in pezzi, per poi chiudermi nella soffitta di mamma e papà, e battermi la
schiena con un cilicio in ginocchio sui ceci, con il nostro vecchio Ghoul che mi
ulula intorno».
George
alzò un sopracciglio, grattandosi la testa poco sopra l’orecchio mancante
«Scusa, ti sembra una buona idea?»
«In
effetti la parte del cilicio non mi sconfinfera più di
tanto».
Il
ghigno che si materializzò sul volto del fratello lo inquietò non poco.
Probabilmente in quel momento percepì che doveva essere senza dubbio foriero di
guai.
Di
guai veri.
«Dimmi
un po’, Ron, » chiese «Hermione dunque è Vergine?»
Ron
guardò George come se fosse certo che avesse perso parte del cervello
dall’orecchio danneggiato. Poi, un lieve rossore d’imbarazzo frammisto a un poco
d’irritazione gli colorò il visto.
«Senti,
George, io capisco che io e Hermione possiamo sembrare un poco imbranati, che la
nostra relazione altalenante vista da fuori sembri parecchio immatura, ma
abbiamo pure la nostra età e certe cose… ecco ti posso assicurare che lei non
sia…»
«Oddio
Ron! Non mi riferivo ovviamente a questo: sarebbe difficile non sentirvi quando
talvolta vi fermate in camera tua a lungo!» proseguì l’altro ridendo «Parlavo di
segni Zodiacali!»
Ron
boccheggiò come un pesce fuor d’acqua per alcuni secondi senza spiccicare una
sola parola.
«Sì,
lo è». Concluse infine, anche se non proprio convinto.
«E
sai che significa questo?»
«Onestamente,
no».
George
sospirò, come se stesse parlando con una persona profondamente ignorante su di
un argomento fondamentale nella vita. «Significa che si tratta di persone
particolarmente intelligenti e pignole, sì, ma anche dotate di un’indole poco
romantica e particolarmente introversa».
Ron
dovette ammettere in cuor suo che Hermione ricalcava bene questa
descrizione.
«E
con questo?»
«Con
questo significa che tu, piuttosto che gettarti a capofitto in una causa
sentimentale, devi usare il cervello e cercare di farti perdonare girando la
frittata a tuo vantaggio».
L’aria
da esperto di George lo preoccupò non poco.
«Scusa,
ma tu queste cose da dove le hai scoperte? Non mi pare si studiassero tali
idiozie durante le lezioni di Astrologia a scuola» non poté fare a meno di
chiedergli.
«Ovviamente
dal grande Bunny SuperStars».
Ci
vollero alcuni secondi perché il nome fosse estratto dalla fuligginosa memoria
di Ron.
«Il
tizio che scriveva quelle fandonie su “Strega Oggi”? Leggevi il giornale della
mamma?»
George
arrossì lievemente. «Beh, guarda che poteva rivelarsi una lettura interessante,
per i nostri studi sugli interessi femminili al fine di creare prodotti per le
donne. E Bunny non scriveva solo fandonie!»
«Ma
per favore!» commentò Ron «L’unica volta che l’ho letto diceva che i Pesci
avrebbero avuto nel corso di quella giornata un fortunato
incontro».
George
manifestò il suo interesse all’aneddoto con il silenzio.
«Ho
incontrato zia Muriel quel giorno».
«Fai
come vuoi. Vai, fa’ soffrire Hermione dicendole che hai dimenticato il suo
compleanno senza un buon motivo, per la seconda volta consecutiva, così penserà
che non ci tieni per nulla a lei» sbottò con finta aria offesa il fratello,
afferrando con un gesto repentino il giornale e iniziando a
sfogliarlo.
«Hermione
non penserebbe mai una cosa simile».
Forse.
«Hermione
è una donna. Le donne credono che se tu non le renda partecipi di ogni tuo
respiro non vuoi loro bene».
«Hermione
è diversa».
In
generale.
«Se
lo dici tu, prova pure. Basta che non sconvolgi troppo il nostro Ghoul con le
tue punizioni corporali».
Ron
sospirò. In effetti, per quanto Hermione non sarebbe mai arrivata a pensare
certe cose, non si sarebbe certo fatta una risata sulla faccenda. Sarebbe stato
abbastanza doloroso per entrambi.
Forse
avrebbe potuto trovare una scusa abbastanza credibile da assolverlo e avrebbero
fatto finta di nulla.
«Senti,
George» lo richiamò dopo qualche minuto, mentre leggeva un articolo in terza
pagina «tu per caso hai qualche idea su come potrei cavarmela questa
volta?»
George
sembrava non aspettasse altro. Infischiandosene di ciò che stava leggendo, piegò
il giornale in quattro parti e se lo pose in grembo. Poi sorrise in maniera
famelica inclinando di poco la testa a sinistra. «O, sì, in effetti c’è qualcosa
che possiamo provare. Che tu puoi provare…»
Data
l’espressione e le parole del fratello a Ron, pur solo mentalmente, scappò
un’imprecazione irripetibile.
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Capitolo 2 *** Capitolo Secondo ***
Note:
Per
non so quale assurda questione informatica o simili, il testo del precedente
capitolo era tanto piccolo da essere particolarmente stancante per la lettura;
praticamente tentando di far funziona quel diavolo di Page Breeze come si deve,
o mi veniva minuscolo o mi veniva enorme.
Che
io di informatica non ci capisca una cippa (infatti mi sto laureando in
lettere…) non è un mistero, quindi
tralasciate tale insensate dichiarazioni.
Visto
che è sempre meglio una grafia meno aggraziata ma non dei lettori ciechi, ho
uniformato il testo di quel capitolo e di questo a tale
carattere.
Eccovi
il secondo capitolo: sono molto più soddisfatta degli ultimi due, parecchio
divertenti, che di questi primi più “introduttivi”, ma ogni storia ha bisogno
del suo equilibrio e della sua contestualizzazione.
Portate
pazienza e ditemi che ve ne pare.
Capitolo
Secondo
Ron avrebbe dovuto capire a
intuito che qualunque proposta del fratello, fatta con quella faccia da ladro di
lecca-lecca, sarebbe stata sicuramente una fonte sicura di
guai.
E
avrebbe dovuto ricordare quanto Hermione fosse scaltra e riuscisse a sentire la
puzza di bruciato lontano un miglio.
Oppure,
semplicemente, avrebbe potuto leggere seriamente ciò che scriveva Bunny
SuperStars nelle sue rubriche di astrologia; che i Vergine apprezzavano a pari
modo con l’intelligenza l’onestà.
Ma
nulla di tutto ciò gli passò per testa.
Purtroppo
per lui.
Mancava
ancora mezz’ora all’apertura del negozio di scherzi magici “Tiri Vispi Weasley”,
ma lui e George si trovavano già al piano di sotto, nel
retrobottega.
Ron
osservava perplesso il fratello tirare fuori da una scatola che giaceva quasi
dimenticata in un angolo del negozio un barattolo di vetro contenente un certo
numero di, si sarebbe detto a prima vista, caramelle dai colori sgargianti.
Caramelle dalla forma leggermente allungata a proiettile.
Anzi,
a guardarle bene, dovette ammettere che somigliavano parecchio a
supposte.
George
si avvicinò a lui con il barattolo in mano e un grande sorriso stampato in
volto.
«Ecco,»
disse poi porgendolo a Ron come se con un solo colpo d’occhio si potesse capirne
uso e funzioni.
«Ecco,
cosa?» domandò a quel punto l’altro,
afferrando il barattolo e scuotendolo un po’; ne uscì solo un tintinnio
ovattato. «Queste, cosa sarebbero?»
George
sospirò, come se fosse un professore costretto a ripetere per l’ennesima volta
la stessa lezione a un alunno particolarmente distratto. «In effetti, non hanno
un nome ben preciso; non le ho mai messe in commercio perché…» si bloccò, fece
spallucce, poi continuò tranquillamente. «Diciamo perché ho sempre pensato che
non avrebbero avuto buon mercato. Sono dei simulatori di malattie sintomatiche:
ti fanno venire giusto per una mezza giornata diverse macchie sul corpo e un
poco di febbre, poi passa tutto così com’è arrivato. Ideale per prendersi un
giorno di vacanza senza che qualcuno indaghi sulla veridicità dei tuoi
sintomi».
Ron
guardò nuovamente il contenuto del barattolo. Poi lo aprì e, avvicinando il
naso, ispirò profondamente; c’era un vago odore di ciliegia, limone e mandarino
dentro.
«Quindi,
io dovrei prendere uno di questi e fingere di stare male?»
«Be’,
non è che fingeresti sul serio: un poco di malessere lo avresti» ci tenne a
precisare George.
Ron
lo guardò per qualche secondo. «È assurdo. Non credo valga la pena fare una cosa
così stupida. Sentirsi male, mentire, per non pagare le proprie
colpe…»
«Mi
sa che tu stai proprio iniziando a somigliare a Hermione» buttò lì l’altro, con
un’espressione vagamente disgustata stampata in viso. «A parlare di cose giuste,
di doveri e di responsabilità».
«Be’,
insomma, non è che sia proprio una cosa da persone mature da
fare…»
«Visto, come dicevo, Hermione precisa!»
rincarò la dose George.
«Che
palle!» sbottò Ron passandosi una mano nervosamente fra i capelli. «Quindi,
secondo te, io dovrei prendere una cosa di queste, stare male e farlo sapere a
Hermione?»
«La
avvertirò io stesso non appena la pasticca avrà avuto effetto» rispose. Poi
abbassò la voce in un vago tono di falsetto «Le dirò che stai male da ieri, che
hai avuto la febbre tanto alta da delirare e che oggi ti sei ricoperto di strane
macchie rosse. Così non solo non potrà restarci male perché c’è stato un motivo
davvero valido perché tu ti sei dimenticato del suo compleanno, ma accorrerà da
te e ti farà da dolce infermiera scrupolosa».
«Be’,
direi che si preoccuperà anche non poco…»
«Ma
tu lo sai che non ha veramente motivo di farlo».
«E
tu, qui, con il negozio…»
«Me
la caverò da solo con le ragazze».
Ron
si rigirò il barattolo fra le mani, confuso. «Sai, secondo me è una bella
cazzata questa».
«Va
bene», rispose George allungando la mano destra verso il fratello. «Come vuoi
tu, non facciamone nulla. Certo che è una bella carognata scordarsi così il
compleanno della fidanzata. Anche se non te lo dirà mai, chissà come c’è rimasta
male Hermione…»
Ron
sentì un paletto conficcarsi dentro il cuore a quelle parole.
Era
vero, Hermione, in qualunque modo sarebbero andate le cose, doveva esserci
rimasta davvero male. Magari questa piccola bugia l’avrebbe a lungo andare
consolata.
Osservò
il contenuto del barattolo. Le diverse “caramelle” avevano tutte dei colori
molto accesi: rosso, giallo e arancione.
«Perché
hanno colori diversi? »
George
aveva ancora la mano destra tesa verso il barattolo «Hanno essenze e aromi
diversi, ma, fondamentalmente, dànno esito a effetti diversi. Quelle rosse ti
fanno venire delle macchie, quelle gialle delle bolle, quelle arancioni… dei
problemi intestinali».
Ron
continuò a osservarle perplesso.
Certo
che, almeno come forma, somigliavano davvero a delle
supposte.
«Senti»
disse dopo un sospiro. «Queste cose hanno una forma parecchio strana. Se devo
farle passare su per qualche orifizio posto in una determinata zona mi rifiuto
categoricamente di…»
«Tranquillo»
sorrise George ritirando infine la mano. «Si masticano e
basta»
Ron
prese in mano un confetto rosso. Fra diarrea, bolle e macchie, di certo avrebbe
preferito quest’ultime.
«George,
sei sicuro che non dànno effetti collaterali pericolosi,
vero?»
«Ma
no!» rispose quello impassibile. «Qualche macchia e un po’ di febbre per qualche
ora e poi nulla»
«Ma
poi le macchie vanno via sicuro? Hai già sperimentato tutto abbastanza, no?»
continuò Ron, soppesando sul palmo della mano il prodotto rosso
brillante.
«Ma
sì, coraggio: mica avrei potuto far provare qualcosa del cui esito non fossi
sicuro al mio fratellino?» disse George con un’espressione quasi
angelica.
Ron
continuò a guardare la roba che aveva in mano dubbioso.
Improvvisamente
gli apparve in mente la testa boccolosa di Hermione mentre lui era intento a
scusarsi dicendo: “L’ho dimenticato, non so come ho potuto”, e il suo sguardo
carico di rammarico e delusione mentre con voce piatta rispondeva: “Fa’, nulla
Ron. È evidente che non è importante”, e magari lo bandiva dal suo letto per un
paio di settimane.
Chiuse
la mano in un pugno e si strinse nelle spalle guardando il
fratello.
«Mah,
visto che non si usa come una supposta, non sarà tanto brutto
provare».
George
si limitò ad annuire con convinzione.
*
Hermione Granger era china su di
un grosso e polveroso tomo di Storia della Magia, che trattava dell’ennesima
guerra intestina fra le diverse fazioni di Goblin del Nord Europa; con la mano
destra, ogni tanto, prendeva qualche appunto su di una pergamena poggiata sulla
scrivania del suo piccolo ufficio al Ministero. Nel silenzio di quella mattina
il timido grattare della penna sul foglio sembrava un fastidioso rumore
deconcentrante.
O
forse, dovette ammettere, era lei stessa a essere particolarmente
infastidita.
E
deconcentrata.
Soffocò
uno sbadiglio con la mano sinistra e nel frattempo posò la piuma che teneva con
l’altra vicino alla boccetta d’inchiostro, per potersi stiracchiare bene e
godersi qualche secondo di riposo.
Secondo
utile a ricordarle che ieri era stato il suo ventiduesimo
compleanno.
E
che Ron lo aveva nuovamente dimenticato.
Non
riuscì a non far comparire immediatamente sul volto un’espressione stizzita al
pensiero. La cancellò in fretta, scuotendo stancamente la testa e sospirando;
conosceva Ron, non avrebbe dovuto stupirsi così tanto.
Era
sempre stato un tipo svagato, leggermente rozzo e particolarmente poco attento a
queste cose. Il suo sguardo azzurro sembrava vagare oltre la successione dei
giorni e delle settimane in un perenne stato di
distrazione.
C’era
lui, il negozio da portare avanti con George, il contemporaneo tentativo di
diventare un Auror. Raramente si ricordava che giorno fosse, meno che la
domenica, quando poteva dormire a pancia in su fino a tarda mattina tranne che
non fosse lei stessa, venuta per passare qualche ora libera con lui, a
svegliarlo accarezzandogli lentamente il volto.
Insomma,
di certo non lo aveva fatto per male: Ron era così.
In
fondo il compleanno era solo un numero, un numero che viene affibbiato a
ciascuno per questioni burocratiche.
Una
comodità sociale.
Una
stupida tradizione.
Una
scusa per viziare i bambini.
Nulla
di importante.
Però.
Beh, sì, però…
Lei,
il suo compleanno, non l’avrebbe mai
potuto dimenticare.
Ci
pensava giorni prima e quella mattina il suo primo pensiero era di ritagliarsi
uno spazio di tempo per potergli fare gli auguri come si deve. Anche
impegnandosi, non lo avrebbe mai dimenticato.
Perché
per lei Ron era troppo importante perché potesse non fare caso a una cosa
simile.
Forse
Ron lo aveva dimenticato perché in fondo lei non era tanto importante per
lui.
Scosse
la testa.
Stupidaggini.
Ron aveva dimostrato nelle situazioni realmente serie e importanti quanto
tenesse a lei. Ecco che cos’erano questi pensieri. Solamente
stupidaggini.
Questo
non poteva minimamente dimostrare che non tenesse a lei: semplicemente era una
prova lampante di quanto fosse sbadato.
Insomma,
doveva smetterla di essere delusa e rancorosa: in certe cose lui era un
pasticcione e lo sapeva.
Non
era di certo una cosa bella, ma non era così importante.
Probabilmente
se avessero organizzato qualcosa, com’era stato da lui proposto, non lo avrebbe
dimenticato.
Invece
avevano deciso di posticipare festeggiamenti e tutto, perché lei il giorno prima
aveva avuto alcune riunioni e degli incontri importanti con gli emissari di
alcune comunità magiche “non-umane”. Come aveva previsto aveva finito tardi e
sarebbe stata troppo stanca per ogni festeggiamento; l’unica cosa che avrebbe
voluto festeggiare era la carezza calda delle sue coperte.
Probabilmente
nella giornata odierna Ron si sarebbe reso conto del suo fallo e, costernato, le
avrebbe portato a testa bassa le sue scuse, insieme a una qualche proposta per
farsi perdonare.
In
fondo era anche una prospettiva divertente: doveva smetterla di angustiarsi
tanto e covare dispiacere per riuscire a tirar fuori il comico da quella
situazione.
Avrebbe
pure potuto divertirsi nel costringere Ron a trovare un modo per farsi
perdonare…
I
suoi pensieri furono interrotti da un improvviso rumore proveniente nei pressi
del piccolo camino situato alle sue spalle. Un improvviso baluginio di fiamme
verdi colse la sua attenzione e la costrinse ad alzarsi; di sicuro si trattava
di qualcuno desideroso di mettersi in contatto con lei “via
camino”.
“Probabilmente
sarà Ron,” pensò Hermione mordendosi un labbro e sperando di aver razionalizzato
l’evento abbastanza a fondo per non fare una faccia da maschera tragica al
momento delle sue scuse.
Attese
qualche secondo aspettando di vedere fra le fiamme baluginanti la sua testa
rossa.
In
effetti, appena qualche istante dopo, vide proprio apparire una testa rossa
all’interno del camino, ma il volto dell’avventore, per quanto vagamente simile,
non era quello di Ron, ma di George Weasley.
«George?»
commentò infatti Hermione nel vederlo apparire, con un tono abbastanza sorpreso;
non riusciva a trovare un motivo valido per la mistica apparizione nel suo
ufficio.
«Ehilà,
Hermione!» commentò allegramente quello dopo averla scorta. Poi, come se si
fosse ricordato solo in quel momento di qualcosa di molto brutto e grave,
trasformò la sua espressione leggera in un cruccio cupo, e si scusò dicendo.
«Perdona la mia intrusione nel tuo ufficio, spero di non averti disturbato, ma
volevo dirti una cosa…»
Istintivamente
Hermione si preoccupò: quando George tirava fuori quella faccia o stava giocando
un brutto tiro a qualcuno o era davvero successo qualcosa. Entrambe, le opzioni,
comunque, la mettevano in preallarme.
«Che
cosa è successo?» chiese quindi, vendendo che il ragazzo non continuava
spontaneamente.
George
sospirò. «Non so se sia il caso di disturbarti per questo, so che sei molto
impegnata in questo periodo,» fece una pausa che risuonò vagamente teatrale
.«Ma, vedi, pensavo fosse necessario avvisarti che da due giorni Ron sta
parecchio male: ha una brutta febbre, molto alta, e stamattina gli sono
improvvisamente comparse diverse macchie rosse sparse per il corpo. Credo abbia
preso qualche brutto virus».
Hermione,
mentre George parlava, era visibilmente impallidita. Quando quello aveva
accennato alle macchie, si era portata entrambe le mani alla bocca e aveva
singhiozzato un «Ron!» molto accorato, mentre gli occhi le diventavano
lucidi.
«Oh,
Hermione!» continuò George, aprendo il viso in un sorriso tranquillo, alla vista
dello spaesamento della ragazza. «Non sarà nulla di grave! Pensavo solo di
doverti avvertire. Non volevo farti preoccupare» scosse la testa in mezzo alle
fiamme smeraldine. «Forse avrei fatto meglio a non disturbarti a lavoro per
questo…»
«No,»
lo fermò Hermione con voce ansiosa. «No, hai fatto bene a dirmelo. Oggi non ho
molto lavoro da sbrigare, dovrei solo documentare gli incontri di ieri, ma posso
farlo in un altro momento. Chiedo un permesso e corro da
Ron».
La
testa di George si mosse avanti e indietro in un movimento di decisa
affermazione in mezzo alle fiamme. «Non è una cosa indispensabile, ma se vuoi
puoi portargli la tua assistenza, penso gli farebbe
piacere».
Hermione
si era già voltata verso la scrivania a risistemare le sue pergamene di appunti
e tutta la sua roba; un crampo di senso di colpa colpì lo stomaco di George
appena la vide chiudere il suo libro con un colpo secco e riporlo in un
armadio.
Se
le sue parole erano state capaci d farle posare un libro e interrompere gli
studi, doveva essersi preoccupata davvero.
«Allora
ci vediamo dopo,» si affrettò quindi a salutarla, aggiungendo, fra sé e sé, una
volta fuori dal camino: «E speriamo che la cosa non ci sfugga di
mano».
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Capitolo 3 *** Capitolo Terzo ***
Capitolo Terzo
In fondo la colpa era di
Ginny.
A
che serve una sorella che è la migliore amica della tua ragazza, se non per
ricordarti le date importanti (vedi voce “compleanni”), darti delle buone dritte
sui regali, e fare da ambasciatrice nei momenti di crisi
profonda?
Vada
bene che era impegnata in trasferta con la squadra di Quidditch, ma una soffiata
veloce via camino poteva anche fargliela.
Di
sicuro lei gli auguri a Hermione li
aveva fatti.
Di
sicuro una chiacchierata hot con Harry prima di andare a letto, l’aveva
avuta.
Perché,
allora, non aveva anche solo semplicemente spedito un gufo come memorandum per
lui?
In
fondo poteva immaginarlo che sarebbe finita così. Era sua sorella, porcapaletta!
Bene,
iniziava a imprecare come sua madre. O come Hermione.
Segno
evidente che la sua finta-febbre stava salendo.
Fosse
stato nel pieno delle sue condizioni fisiche avrebbe detto… beh, semplicemente
si sarebbe espresso con una metafora contenete almeno un’allusione a qualche
organo sessuale e al loro utilizzo. Con qualche personaggio della Bibbia in
mezzo, forse.
Qualche
ora addietro, aveva masticato quella cosa
gommosa per un paio di minuti prima di poterla mandare giù. Aveva davvero un
gusto di ciliegia, ma corrotto da qualcosa che ricordava la muffa e il sapore
che avrebbero dovuto avere gli amati calzini del buon vecchio
Dobby.
Aveva
gironzolato un poco per l’appartamento ancora in pigiama, sfogliando
svogliatamente il giornale e poi, alle prime avvisaglie di mal di testa, si era
infilato a letto attendendo l’evoluzione della sua
malattia.
Che
non aveva tardato ad arrivare.
Vampate
di calore, brividi di freddo, tutte le estremità gelate –beh, quasi tutte-, occhi gonfi, pesante
spossatezza, dolori ossei, muscolari e un altro pugno di disturbi dati
certamente più dall’autosuggestione che dalla pillola di
George.
Aveva
abbandonato la testa sul cuscino, mentre i pensieri si facevano via via più
vaporosi e sfuggenti. Tenere districato il reticolo delle sue riflessioni si
faceva complicato come camminare completamente immerso nell’acqua. Non
impossibile, ma di certo lento e faticoso.
A
metà mattina George aveva fatto il suo ingesso nella stanza con un sorriso
trionfale stampato in faccia.
«Ma
bene!» aveva detto, tastandogli la fronte ed esaminandogli la faccia con uno
sguardo critico.
«Io
non userei proprio “bene” come
avverbio» aveva ribattuto Ron con voce impastata e stanca.
«È
quello che ci aspettavamo, no?» George gli stava tastando il polso e,
inspiegabilmente, guardando le unghie prima che il fratello nascondesse
nuovamente il braccio sotto le coperte scosso da un brivido di freddo «Devi
stare male nella maniera più credibile possibile».
«Comincio
a pensare sia stata davvero un’idea cretina» aveva biascicato. «E non è un
qualcosa che si possa vendere. Nessuno starebbe male apposta, nemmeno per
saltare una lezione a scuola».
«Tu
non l’avresti presa per saltare un compito di Pozioni con
Piton?»
Ron
tacque. Piuttosto che fare dieci minuti di lezione con Piton (sempre pace
all’anima sua, in qualunque luogo si trovasse), avrebbe trangugiato una dozzina
di quelle porcherie.
George
non aveva atteso la sua risposta, ma alzandosi dal letto, continuando a
sorridere con espressione beffarda, aveva detto: «Penso sia giunto il momento di
comunicare alla cara Hermione il tuo stato di salute» ed era uscito,
fischiettando un motivetto da osteria.
A
Ron qualcosa di viscido era scivolato pesantemente nello
stomaco.
“Adesso
la farai preoccupare. Per nulla, poi. Sei ancora un
ragazzino!”
Quando
faceva certi pensieri, chi sa perché, la voce che sopraggiungeva nella sua mente
aveva il timbro di quella di sua madre e il tocco isterico di quella di Ginny
quand’era mestruata.
Brutta
davvero, insomma.
In
quel preciso momento se ne stava con la testa sprofondata nel cuscino, per metà
preoccupato, per metà divorato dai sensi di colpa, immerso in una condizione di
pesante disagio.
Non
era stata una buona idea.
Adesso
si sentiva come una pluffa a fine partita.
Adesso
avrebbe fatto preoccupare di brutto Hermione.
E
George aveva dietro la sua faccia da fratello premuroso, l’espressione di un
gatto che ha raffazzonato del buon formaggio da una tavola
imbandita.
“Il
dado è tratto” aveva detto qualcuno prima di lui, da quello che ricordava doveva
essere stato un Troll di montagna deciso a occupare una zona dei Lake District
con un esercito.
Forse
non era proprio il Lake District, forse non era stato un Troll di montagna, ma
l’acqua e l’esercito c’entravano di sicuro.
In
parole povere, doveva solo attendere l’evolversi degli
eventi.
E
nell’attesa era caduto in una sorta di dormi-veglia angoscioso, dove comparivano
gli occhi di Hermione ora delusi, ora preoccupati, ora rabbiosi, dove compariva
Hermione stessa, tutta intera in biancheria intima; accarezzava lascivamente
l’orlo del reggiseno e portava le mani dietro la schiena per sganciarlo: poi
improvvisamente la sua espressione diventava irritata, si rivestiva in fretta e
usciva dal suo campo visivo con aria offesa.
Hermione;
volteggiava davanti ai suoi occhi con mille abiti e colori
diversi.
Hermione;
la sua bocca si muoveva e parlava ma non riusciva a captarne le
parole.
«Ron?»
Il
suo nome nella sua bocca.
Le
sue mani sul suo viso.
Era
vestita di verde bottiglia.
Aveva
i capelli legati alla nuca.
«Ron?
Sei sveglio?»
Ron
sbatté le palpebre un paio di volte.
Non
sognava.
Hermione
era seduta al bordo del suo letto e gli accarezzava dolcemente i
capelli.
*
Hermione,
sistemati velocemente i documenti, gli appunti e i libri sparsi nel suo ufficio,
si rassettò di tutta furia i capelli e chiese a un suo superiore mezza giornata
di permesso.
Scendendo
precipitosamente le scale all’uscita del Ministero s’imbatté nel celebre e suo
quasi-cognato Harry Potter.
«Dove
vai così in fretta?» la apostrofò con un sorriso un po’ disorientato, vedendola
così agitata.
«Harry!»
annaspò la ragazza con il fiato corto fermandosi davanti a lui. «Sapevi che Ron
non sta bene?»
«No»
rispose quello aggrottando le sopracciglia.
Hermione
prese un respiro profondo per recuperare fiato e spiegare chiaramente la
situazione. «George mi ha cercata poco fa via camino e mi ha detto che da ieri
Ron ha la febbre e delle macchie rosse sulla pelle. Sostiene che non sia nulla
di grave, ma mi ha chiesto di andare da lui».
Harry
rimase in silenzio un secondo. «L’ultima volta che ho sentito Ron stava alla
grande. Anzi, siamo andati a bere una Burrobirra insieme due sere fa» disse
scrollando le spalle. «Ma ieri non gli ho neanche parlato. Potrebbe essere stata
una cosa improvvisa. Non è che ha preso il morbillo?»
«Be’,
è una malattia babbana» specificò Hermione
«Non
è detto che i maghi non possano prenderla» ribatté
l’altro.
«Di
solito viene ai bambini».
«Sì
può sempre considerare l’età mentale e non solo quella
anagrafica».
Hermione
sorrise scuotendo la testa.
«Io
non mi preoccuperei» la tranquillizzò Harry. «Sarà stata qualche indigestione da
dolci. Però credo che anche Ginny non sappia nulla della
cosa».
Hermione
pensò fosse abbastanza probabile che Ginny non fosse informata della malattia
del fratello.
L’aveva
sentita in breve la sera prima, giusto il tempo di ricevere i suoi auguri e
scambiarsi qualche convenevole.
Di
Ron non avevano parlato. Timorosa di colpire qualche nervo scoperto e di doversi
sorbire lunghi e ripetitivi discorsi a proposito delle scaramucce fra Hermione e
il fratello, Ginny doveva avere imparato ad aspettare fosse l’amica a tirare
fuori l’argomento.
Tanto
per non cercarsi grane.
Ma,
se avesse saputo che stava poco bene, di certo glielo avrebbe detto, anche solo
per averne notizie.
«Non
penso lo sappia», confermò Hermione.
«Quindi
un motivo in più per non fare quella faccia preoccupata. Sarà qualche
stupidaggine» Harry ricominciò a salire i gradini del Ministero. «Ho alcune cose
da sbrigare adesso, ma vedrò di fare un salto da Ron stasera. Salutamelo, nel
frattempo».
Le
voltò le spalle dopo averle fatto un cenno di saluto.
Hermione
sospirò continuando per la sua strada, smaterializzandosi discretamente poco
lontana dall’entrata del Ministero.
*
Ron
ci mise qualche minuto per svegliarsi, ma rimase in una strana sensazione
d’intorpidimento, completamente andato a causa della
febbre.
Infine,
quando capì che Hermione era veramente lì con lui, una strana sensazione di
tenerezza gli si propagò in petto.
«Ciao»
mormorò non appena si rese conto che, benché rauca, la voce gli usciva dalla
bocca.
«Non
volevo svegliarti» si scusò lei sorridendogli appena. «Solo che ogni tanto
aprivi gli occhi e mormoravi il mio nome, ero convinta che non
dormissi».
«Non
ero proprio addormentato» borbottò.
«Come
ti senti?»
«Mmm…’somma».
Hermione
gli accarezzò una guancia ruvida con il dorso della mano; non si era sbarbato
quella mattina «Hai dei puntini rossi in faccia e in fronte. Sembra tu abbia il
morbillo».
«Che
diavolo è il morbillo?»
Hermione
rise. «Nulla, non preoccuparti. Vuoi preparato qualcosa di
caldo?»
Ron
sospirò. La febbre lo faceva sentire già abbastanza caldo e tutto quel calore
gli stava cucinando il cervello.
«No,
grazie Hermione, non preoccuparti. Sei stata molto carina a lasciare il lavoro
per venirmi a trovare» stirò le labbra in una specie di sorriso affaticato.
«Immagino tu fossi impegnata».
«Solo
routine, nessun impegno importante».
Benché
intorpidito il cervello di Ron comprese che era questo il momento adatto per
buttar giù la storia della sua orrenda dimenticanza.
«Hermione…»
mise una nota di panico nella sua voce.
«Cos’hai?»
si agitò la ragazza «Non stai bene?»
«Che…
che giorno è oggi?»
Lei
lo guardò un istante perplessa. «Giovedì».
«No»,
Ron scosse la testa sul cuscino. «Intendo la data».
Hermione
si morse per un secondo il labbro inferiore. «Ne abbiamo Venti. È il 20
settembre, Ron».
Ron
emise un gemito teatrale sprofondando la testa di più nel cuscino. «Hermione, ma
ieri era il tuo compleanno, ed io a causa della febbre me lo sono scordato!»
La
ragazza accennò un sorriso, poi gli accarezzò i capelli.
«Oh,
Ron, figurati, non è un problema: sai che non sono particolarmente legata a
queste tradizioni e tu sei più che giustificato per non essertelo ricordato in
queste condizioni».
«Ti
giuro che fino al giorno prima lo sapevo…» continuò Ron con un annaspante tono
lamentoso «Ti ho pure comprato un regalo!»
Hermione
gli afferrò una mano nascosta sotto le coperte. «Lo apriremo insieme quando
starai meglio. Non preoccupartene adesso».
Ron,
nonostante sentisse freddo, tirò fuori la mano dalle coperte, per afferrare e
accarezzare quella di Hermione.
Aveva
uno sguardo davvero dolce in quel momento. Era tanto affettuosa che dimenticò il
senso di colpa e di ansia che gli avevano pizzicato il cuore fino a quel
momento.
Fra
qualche ora sarebbe stato meglio, Hermione sarebbe stata contenta del regalo e
avrebbe dimenticato tutto.
Ogni
cosa sarebbe andata al posto giusto e nessuno avrebbe mai saputo
nulla.
Afferrò
con la sua grande mano le dita piccole e sottili di
Hermione.
In
qualche modo quel gesto lo faceva sentire importante, in grado di
proteggerla.
Sempre.
Hermione
era visibilmente rasserenata. Abbassò lo sguardo sulla sua mano per vedere le
loro dita intrecciate teneramente.
Improvvisamente
sbarrò gli occhi inorridita. «Ron!» disse con voce
stridula.
Ron
saltò in aria per lo spavento. «Che c’è?»
«Da
quando metti lo smalto alle unghie?» lo guardò in volto con aria arrabbiata,
lasciandogli la mano.
Il
ragazzo se la portò davanti agli occhi e dovette ammettere che Hermione aveva
ragione.
Le
sue unghie erano tinte di rosso.
Anzi,
per la precisione, rosso baldracca.
Pensò
nei confronti di George una cosa che un fratello non dovrebbe mai osare pensare
nei confronti di un altro.
«Io
non lo-» boccheggiò, notando diverse macchie sulla mano e sul braccio e
rendendosi conto che avevano la stessa sfumatura di colore delle unghie. «Io non
le ho mai tinte!».
Hermione
lo guardava severa, le labbra strette in una morsa.
«Oh,
guarda, di questo ne sono certa. Forse è l’unico punto dove ti
credo».
«Ma
io non so come-»
La
ragazza si alzò ponendo le mani ai fianchi. «Di certo è un caso che siano rosse
allo stesso modo delle tue macchie della tua rocambolesca
malattia…».
«È
un caso di certo, sarà un altro effetto della mia
malattia!»
«E
che tutto ciò» proseguì Hermione alzando la voce per ridurre al completo
silenzio quella di Ron. «Abbia davvero l’aria di una fattura venuta
male».
Egli
rimase in silenzio un attimo.
«Non
so dove tu voglia andare a parare» borbottò poi.
Le
labbra di Hermione divennero ancora più sottili. Strinse di più anche gli occhi.
Un ciuffo di capelli sfuggito dalla coda vibrava pericolosamente poco sopra il
suo orecchio.
Sembrava
sul punto di esplodere in una giusta e accorata
recriminazione.
Invece,
improvvisamente esplose qualcos’altro, che costrinse Ron a stringersi sotto le
coperte e Hermione a voltarsi verso la porta e a spianare l’espressione
omicida.
Con
un crak! sordo qualcuno si era
materializzato in soggiorno e adesso correva verso la sua camera urlando con
voce lacrimosa: «Il mio bambino! Cos’è successo al mio
bambino?»
Qualcuno
che, senza nessun’ombra di dubbio, doveva essere Molly
Weasley.
***
Nota dell'autrice:
Si
presenta una guest star d’eccezione per il prossimo –ultimo-
capitolo!
Un
caldo ringraziamento va a hermione_06, che ha recensito il precedente
capitolo: come vedi la faccenda è decisamente sfuggita di mano, ma a pagarne le
conseguenza più che George, sarà il povero Ron; grazie mille per la
recensione!
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Capitolo 4 *** Capitolo Quarto ***
Capitolo
Quarto
Con
le coperte fin sopra il naso e le mani ben nascoste sotto di queste, Ron
Weasley, attendendo il trionfale ingresso di sua madre in camera, stava
brevemente facendo un sommario di tutto ciò che non avrebbe mai più fatto in
vita sua:
a)
Fidarsi
di
George Weasley;
b)
Leggere
l’oroscopo;
c)
Fingere
anche un semplice mal di testa per poltrire a letto anziché andare a fare
shopping di scarpe con Hermione;
d)
Dimenticarsi
del compleanno di Hermione;
e)
Doveva
esserci qualcos’altro, ma non gli sovveniva al momento. Aveva a che fare con le
ciliegie, comunque.
Ebbe
appena il tempo di scorgere il volto di sua madre preoccupato con i capelli
completamente in disordine e la veste tesa sul corpo grasso; poi venne
stritolato in un caldo ed eccessivamente affettuoso abbraccio
materno.
«Oh,
Ronnie! Il mio bambino! Sono scappata appena ho saputo!»
Infatti,
nel piano originario di Ron, lei non
avrebbe mai saputo.
Non
poteva credere che George fosse stato carogna fino al punto di avvertire la
madre.
Forse
era stata Hermione.
Cercò
di cogliere lo sguardo della sua ragazza oltre la stretta di sua madre; se ne
stava a braccia conserte con un’espressione profondamente offesa e l’aria di chi
pensa: “questa te la meriti”.
«Perché non mi hai avvertito subito?»
chiese sua madre cessando di abbracciarlo e accomodandosi sul bordo del letto,
proprio dove poco prima era seduta Hermione.
«Io…ecco…»
«Diciamo
che è stata una bella improvvisata» s’intromise Hermione, il volto tagliato da
un sorriso maligno.
«Oh,
caro, non fosse stato per Ginny, non l’avrei saputo…»
«Ginny?»
chiese il ragazzo perplesso.
«Ginny.
È stata avvisata da Harry».
«Harry?»
ripeté quello.
«Sì,
certo, Harry ha incontrato Hermione prima che venisse da
te-»
«Ah!»
«Che
scherzi fa il destino, vero Ron?» domandò la ragazza, aprendo teatralmente le
braccia.
Ron
si sentì un cretino.
O
meglio, più cretino del solito.
Sua
madre lo guardava con aria affranta passando lentamente le mani sulle sue
coperte.
«Dimmi
caro, come ti senti adesso?»
«Mmmf,»
bofonchiò Ron, sentendosi scuoiato vivo dallo sguardo di
Hermione.
«Hai
la febbre molto alta?»
«Credo
che la temperatura stia diminuendo» ammise con sincerità, perché iniziava a
sentirsi un poco meglio.
«Hai
mal di testa?»
«Un
po’».
«Vertigini?»
«Anche».
«Ti
fa male la gola?»
«Direi
di no».
«La
pancia?»
«No».
La
donna prese un sospiro. «Oh, queste brutte macchie rosse che hai addosso! Ti
fanno sembrare il vecchio vestito da cerimonia di zia
Muriel!»
«Con
tanto di accessori», non si trattenne dall’aggiungere Hermione, che si beccò uno
sguardo perplesso e vagamente irritato dalla signora
Weasley.
«Hai
mangiato qualcosa?» chiese invece al figlio.
«Non
ho fame» si affrettò a rispondere Ron.
«Devi
mangiare qualcosa, è assolutamente necessario!»
«Ma
non ho fame!» replicò il ragazzo.
«Non
importa» concluse la madre alzandosi, «Vado a prepararti del brodo in
cucina».
Così
dicendo, rivolgendogli un altro sguardo carico di materna tenerezza, si alzò e
sparì fuori dalla stanza in direzione della cucina.
Ron,
rimasto solo con Hermione, deglutì.
«Allora?»
chiese lei alla fine, dopo qualche minuto di silenzio.
«Cosa?»
fece il tonto lui.
«Vedo
che già stai meglio, ripresa insolita per una tanto violenta malattia» commentò
la ragazza facendo qualche passo verso il letto.
«Non
so dove tu voglia arrivare» replicò il ragazzo, non riuscendo però a sostenere
il suo sguardo indagatore.
«Allora
ti sei fatto fare la manicure da zia Muriel?»
Ron
sbuffò, fissando il soffitto con tanta disperazione che sembrava sperasse di
vedervi comparire per iscritto qualche idea per tirarlo fuori da quella
situazione.
«Scommetto
che è qualcosa che hai sperimentato con George» lo accusò. «Ma mi chiedo perché
dobbiate far preoccupare mezzo mondo in tale maniera».
«Vedi
Hermione, non è proprio così, in effetti…»
Non
continuò a parlare, sentendo chiaramente dei passi pesanti
avvicinarsi.
«Non
è proprio così, cosa?» intervenne George, facendo l’occhiolino al fratello ed
entrando nella stanza. «Ho visto che abbiamo ricevuto visite inaspettate
stamattina» con il pollice indicò qualcosa alle sue spalle e Ron comprese si
riferisse alla madre. «Buongiorno di nuovo, Hermione».
Hermione
non rispose al saluto e, piuttosto, lo guardò mordicchiandosi il
labbro.
«George»
esordì invece con tono tagliente. «Tu sai perché le unghie di Ron hanno preso
una tonalità di rosso molto vicina a quella dei rossetti di Madama
Rosmerta?»
Il
ragazzo fece un passo indietro alle accuse di Hermione, poi rivolse uno sguardo
di scusa al fratello, grattandosi i capelli poco sopra l’orecchio mancante.
«Ops» disse portandosi una mano alle labbra. «Speravo non accadesse, ma era un
rischio che si doveva pur correre».
«Cosa
stai farneticando?» lo accusò Ron puntandogli contro un dito. Poi vedendolo così
femminilmente dipinto e sentendo lo sguardo della sua ragazza e del fratello
puntato sulla sua mano, la nascose nuovamente sotto le
coperte.
«Adesso
mi spiegate di cosa parlate?» rantolò Hermione portando le mani ai fianchi e
guardando prima Ron, poi George con aria furente.
Quest’ultimo
fece spallucce. «Tanto ormai ti ha scoperto» disse al fratello
minore.
«Vedi
stamattina Ron ha provato un mio nuovo esperimento che simula una malattia
virale, con febbre e macchie varie per una mezza giornata, un giorno al massimo.
Solo che… diciamo che non era ancora pienamente testato».
Rivolse
a Ron uno sguardo falsamente colpevole «Scusami se non ti ho detto tutta la
verità, ma avevo bisogno di una cavia».
«Maledetto…
stronzo!» muggì Ron a mezza voce, temendo di essere sentito da sua madre. «Ma
perché non li provi addosso a te i tuoi esperimenti?!»
«Beh,
era necessario che restassi lucido per poter valutare oggettivamente la cosa e
tentare di risolvere il problema. Se fossi stato io stesso la cavia non avrebbe
avuto uguale effetto» un ghigno gli comparve in volto. «E poi, ammettiamolo,
così è stato davvero più divertente!»
Sia
Hermione sia Ron gli rivolsero uno sguardo omicida. George non se ne curò;
fischiettando andò ad aprire l’ultimo cassetto del comò e tirò fuori una piccola
forbice per unghie. «Sinceramente questo è l’unico effetto collaterale, speravo
di averlo superato. Al primo esperimento ti diventavano i piedi pelosi. Dammi un
pezzetto di una delle tue unghie, così potrò farti un antidoto, e si spera,
correggere il difetto nelle pillole» tagliò a Ron una parte dell’unghia del
pollice, il ragazzo si affrettò a nascondere subito la mano. «Così finalmente
potrò mettere le pillole virali sul mercato! Adesso devo solo trovare loro un
nome abbastanza interessante».
Hermione
era rimasta in silenzio negli ultimi minuti, limitandosi a gettare a turno
occhiate disgustate e piene di disapprovazione ai due
fratelli.
«C’è
una cosa che ancora non capisco», disse infine masticando le parole «Perché
cavolo Ron si è prestato a questa buffonata e perché sono stata chiamata con
tanta urgenza dal lavoro?»
«Beh»
George mostrò a entrambi il pezzettino di unghia fra il pollice e l’indice. «Io
devo preparare l’antidoto. Continuate pure fra di voi» uscì dalla stanza facendo
un cenno d’incoraggiamento a Ron.
«Mi
vuoi spiegare?» ripeté Hermione.
Ron
affondò la testa nel cuscino, sperando di poter scomparire. Giacché ciò non
avvenne, decise di gettare la spugna e dire alla ragazza tutta la
verità.
«Vedi
Hermione… era troppo brutto che io mi fossi dimenticato così senza motivo del
tuo compleanno, quindi-»
«Aspetta!»
lo bloccò Hermione alzando un poco la voce «Hai fatto tutta questa farsa per
poterti trovare una giustificazione per esserti dimenticato del mio compleanno?»
scosse la testa scioccata. «Ma non era più semplice e intelligente venire come
un cagnolino bastonato a chiedermi scusa come hai fatto le altre
volte?»
«Oh,
Hermione!» sbottò infine, disperato. Egli stesso in quel momento si sentiva
incredibilmente stupido e aveva serie difficoltà a trovare le parole per una
spiegazione sensata. «Che vuoi che ti dica… George, le sue chiacchiere, e poi,
tutta questa storia! Insomma, Hermione, tu sei Vergine!» esplose infine, proprio
mentre la signora Weasley, avvicinatasi in silenzio alla stanza, compariva sulla
porta con un piatto di brodo su di un vassoio.
«Ma
che dici, Ron!» lo contraddisse lei, arrossendo fino alla cima dei
capelli.
Molly
Weasley rimase ferma sull’uscio, le guance lievemente imporporate e un grosso
sorriso stampato in volto.
A
guardarla bene aveva anche gli occhi lucidi.
Si
schiarì appena la gola ed entrò in camera «Ti ho portato il brodo» annunciò,
posando il vassoio sul comodino. «Prendilo finché è caldo, ti
raccomando».
Gli
fece una carezza. «Adesso devo tornare a casa a preparare il pranzo per tuo
padre. Hermione, carissima» si rivolse alla ragazza con una dolcezza inusitata.
«Resti tu a prenderti cura del mio ragazzo, no?»
«Cer…
certamente, Signora Weasley» balbettò Hermione.
La
signora Weasley fece per uscire. Poi, una volta davanti alla porta si voltò
verso i due ragazzi.
«So
che non sono affari miei, cari, ma prima ecco…» iniziò con voce incerta. «Non ho
potuto fare a meno di sentire. Cara» disse rivolgendosi a Hermione con aria
commossa. «Sappi che sono pienamente d’accordo con la tua scelta e i tuoi
principi morali. Non è facile trovare ragazze con la testa sulle spalle di
questi tempi. Sono orgogliosa di te…»
«Veramente
io-» tentò di accennare Hermione.
«Io
stessa» continuò quella come se non l’avesse neanche sentita. «Ai miei tempi non
sono riuscita a essere così salda. Ma Arthur era così bello, ed eravamo tanto
giovani…» arrossì e alzò gli occhi al cielo come se stesse sognando qualcosa di
particolarmente affascinante. Ron aveva l’espressione di qualcuno prossimo a
vomitare. «Ma sono così orgogliosa della tua solidità. Sono davvero felice che
mio figlio abbia trovato una donna come te!» tirò fuori un fazzoletto con il
quale si asciugò alcune lacrime spuntate agli angoli degli occhi, si soffiò il
naso e andò via.
Quando
fu certo che si fosse smaterializzata, Ron specificò: «Io parlavo del segno
zodiacale».
«Sì,
Ron» sospirò Hermione «lo avevo capito. Anche se non ho capito cosa c’entri con
tutto questo il fatto che io sia del segno della Vergine».
Il
ragazzo scosse appena la testa. «Bah, ti dicevo, tutta quella storia di quel
tizio, Bunny SuperStars e il fatto che i Vergine siano
intelligenti-»
«È
un’idiozia che non voglio sentire, questa» lo bloccò velocemente lei, senza
nemmeno guardarlo.
Restarono
un minuto in silenzio.
«Mi
dispiace tanto» borbottò infine Ron.
«Che
tua madre sia convinta che io sia una vergine di ferro?»
Ron
avrebbe sorriso se la voce di Hermione non fosse stata così velenosa. «No. Della
storia del compleanno. Di tutto quello che è successo
oggi…»
La
ragazza non rispose. Aveva lo sguardo fisso davanti a sé e l’aria abbastanza
seccata. «Sei davvero una frana».
«È
vero. Ho pensato che ci saresti rimasta troppo male a sapere che mi ero
dimenticato del tuo compleanno così, solo perché mi era passato per testa, e che
di certo avresti preferito sapere che c’era un motivo vero dietro tutto
questo».
Tacque.
Hermione si era voltata verso di lui e aveva rotto quella sua posizione statica
di glaciale freddezza, così come, alle sue parole, si era incrinata visibilmente
la maschera di rabbia presente nel suo volto. I suoi occhi avevano brillato per
qualche secondo.
«Ti
sei quasi avvelenato perché non volevi ci restassi male perché ti eri dimenticato del mio
compleanno?» domandò tutto di un fiato.
Ron
si sentì rinascere nel notare che la sua voce si era fatta più
dolce.
«Sì».
La
ragazza scoppiò in una breve risata. Scosse la testa ripetutamente. «Oddio, sei
davvero uno stupido!» sbottò infine con aria divertita.
Si
avvicinò e si sedette nuovamente sul suo letto.
«Lo
sai già che sono stupido» ammise Ron, guardandole gli occhi adesso rasserenati,
e la bocca piegata in una sorta di sorriso arrendevole.
«Sì.
Anche che sei incredibilmente infantile. E assurdamente
imbranato».
Ron
tirò fuori le mani da sotto le coperte. Le sue unghie erano ancora
“rosso-baldracca”.
«Spero
che George trovi in fretta un antidoto. Non ho proprio voglia di andare in giro
con i guanti a settembre».
«Ti
starebbe bene» ammise Hermione.
C’era
un qualcosa di stanco sul suo viso. Non era più arrabbiata, ma quasi si poteva
dire rassegnata a lui e ai suoi continui disastri. E, in fondo, vagamente
divertita e felice di esserlo.
«Allora
mi perdoni?»
Ron
si rese conto di stare abbastanza bene da potersi sedere sul letto senza essere
preso da vertigine. Si spinse seduto a pochi centimetri dal suo volto, e inclinò
la testa per poterla baciare. Lei gli pose lesta un dito sulle labbra per
fermarlo in modo giocoso.
«Beh…
non avevi detto di aver preso un regalo per me?»
Ron
sorrise sotto il suo tocco e le baciò lievemente il dito.
Per
quanto diversa, la sua Hermione, era pur sempre una
ragazza.
Note
finali:
Così finisce questa breve storia, che, per quanto non la ritenga di certo fra le
migliori –sento che manca qualcosa, ma, se mi fossi dilungata appena di più,
temo avremmo avuto una sorta di “Pane Burro e Marmellata, capitolo secondo” e
non sarebbe stata una buona idea- spero abbia fatto passare a chi l’ha letta una
piacevole mezz’ora.
Mi
permetto di fare una piccola notazione sul personaggio di George in questa
storia: da tempo avrei voluto scrivere un piccolo tributo sui due gemelli, ma
senza scadere nel lacrimoso. In questa storia mi sono impegnata a immaginare
come George, con il suo solito charme, possa essere sopravvissuto nella sua
quotidianità nel suo lavoro senza il fratello; è vero, Ron lo aiuta, ma non può
occupare il posto di Fred, il suo contributo ai “Tiri Vispi Weasley”, può darlo
solo quale Ron. Quindi, non tanto come sperimentatore, ma come cavia. Come ha
bene notato la mia cara Beta- reader, Fred è più volte presente nella storia con
il vezzo di George di grattarsi l’orecchio mancante; è il personaggio
terribilmente spiritoso di sempre, ma gli manca in maniera evidente
qualcosa.
Due
parole anche su Hermione: qualcuno potrà giustamente appurare che, a differenza
della ragazzina combattiva e pedante che abbiamo visto per sette libri, questa
sia troppo docile e facilmente incline al perdono. Vero; ma si cresce e, in
generale, dopo i vent’anni, si riconosce il vero valore delle cose e si capisce
che l’amore è fatto anche di compromessi e, soprattutto, di tolleranza nei
confronti delle pecche della persona amata. Hermione accetta Ron, e lo perdona
perché, come sempre, sbaglia mosso da buoni propositi. Lo perdona perché tutto
ciò è terribilmente da Ron.
Ringrazio
chi ha recensito il terzo capitolo.
hermione_06:
Come vedi Hermione non ci pensa proprio a lasciare Ron, anzi si rende conto di
quanto l’affetto, in fondo, superi tutte le altre cose. George è forse quello
che ne esce meglio di tutti, ma, prendila così, non ha voluto giocare questo
brutto tiro al fratello per cattiveria, semplicemente per testare i suoi frutti
di ricercatore! Grazie mille per la recensione, spero questo capitolo finale ti
sia piaciuto.
cosmopolitan:
beh, quando arriva Molly Weasley si profilano certamente complicazioni, perché è
una donna apprensiva e soffocante come poche –no, non amo molto il suo
personaggio. Come vedi ha dato anche lei la sua parte alla storia… spero che
questo capitolo ti sia piaciuto, grazie mille per la
recensione.
Molly
McGonagall:
Ciao, grazie mille! Devo ammettere che inizialmente ci sono rimasta un po’ male
anche io, visto che, negli anni passati, ho sempre avuto un discreto numero di
buone recensioni –nel senso di
recensioni ben strutturate e non limitate al “beeeeeella, continua!” Ma va bene
così, sono contenta che comunque ci siano, anche se poche, persone che hanno
apprezzato e hanno lasciato commenti ben scritti e interessanti così come il
tuo. Non conta la quantità, ma la qualità! Ti ringrazio molto per le belle
parole e per i complimenti, e sì, hai ragione, ho una beta davvero brava! Spero
che tu abbia gradito anche questo capitolo, ti ringrazio
tantissimo!
Un
abbraccio a tutti coloro che hanno letto questa storia.
Thilwen
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