Il Canto di Gea

di Thar Aisling
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo: La Prima Madre ***
Capitolo 2: *** Prologo: La venuta degli Uros ***
Capitolo 3: *** Capitolo 1:La Nuova Era ***
Capitolo 4: *** Capitolo 2: La Casa Degli Dèi ***
Capitolo 5: *** Capitolo 3: La Benedizione ***
Capitolo 6: *** La Partenza ***



Capitolo 1
*** Prologo: La Prima Madre ***


Il corpo morente di Gea giaceva inerte nel nulla più assoluto. Un cuore palpitante di pura energia roteava nelle sue viscere. Potere della vita, potere della guarigione, potere dell’immortalità.

Gea poteva creare e plasmare la materia, renderla viva o inerte, senziente o semplicemente statica.

Un’oscuro male però la attanagliava; la sua sopravvivenza dipendeva da un’enorme desiderio che in ogni istante della sua eterna esistenza trafiggeva il suo essere: la maternità.

Percepiva che il momento della trasmigrazione era vicino: presto avrebbe perso il suo potere, il suo corpo sarebbe collassato su sè stesso e la sua sofferenza placata dall’oblio.

Prese perciò una decisione cruciale: dare alla luce i suoi figli attingendo dalla poco energia residua, ben conscia che ciò l’avrebbe avvicinata ulteriormente e inesorabilmente alla fine.

Creò Kyrios e Anassa I due Eoni primi, depositari di tutto il potere e il sapere di Gea.

Poco prima di essere liberata dalla sua eterna sofferenza, Gea incaricò I due Eoni Primi di tenere in vita il suo nucleo, dal quale avrebbero attinto sufficiente potere per svolgere il delicato compito per il quale essi vennero creati: dare vita ai Figli di Gea, coloro che l’avrebbero custodita, difesa e rispettata in attesa della sua reincarnazione.

Quando il momento giunse, I due Eoni piansero la dipartita della Prima Madre; versarono così tante lacrime che sommersero Gea di un profondo ed esteso strato d’acqua e decisero che era giunto il momento di rendere onore alle ultime parole della progenitrice.

Anassa fece spirare un vento di fuoco sulla coltre d’acqua e con il vapore che si sprigionò creò il cielo, il quale poteva dare la vita con le sue piogge, riscaldare con la sua stella e incantare con la sua bellezza. Decise che era arrivato il momento di dare la luce il primo figlio di Gea. Nacque così Zoe, Colei che nacque sotto la benedizione degli Elementi.

Kyrios scosse lo strato superficiale del corpo di Gea e fece emergere I continenti, sui quali distribuì verdi foreste, alte montagne e sconfinate pianure.

Rese fertile il suolo emerso e creò il secondo Figlio di Gea, Antheo, Colui che nacque sotto la benedizione della Natura.

Zoe e Antheo erano di una bellezza abbagliante. Antheo era la perfetta incarnazione di Kyrios; lunghi capelli neri incorniciavano un viso perfettamente ovale, incastonato da due grandi occhi verdi. Lo sguardo volitivo e il corpo scultoreo attraevano immensamente Zoe, la cui bellezza non era meno sorprendente.

Il suo corpo esile e aggraziato era accarezzato da una lunga chioma bionda che faceva da cornice ad un viso eburneo; nei suoi bellissimi occhi blu brillava la scintilla della Vita, la fiamma del Desiderio.

Entrambi possedevano il dono di Gea: l’uso dell’Energia Vitale per continuare a percepire di quanto di divino esisteva in loro.

Il bruciante desiderio reciproco portò Antheo e Zoe a fondersi. I loro corpi si unirono, avvolti da quel sentimento quasi oscuro chiamato passione. Si persero nell’oblio del piacere e raggiunsero le vette della felicità.

Compresero quanto il donarsi sia appagante.

Gli Eterni Figli di Gea si unirono molte volte, diedero origine all’Amore,alla Felicità e al Dono. Nacque così la Progenie di Gea, Coloro che nacquero sotto la benedizione della Magia.

Ma un seme oscuro stava per essere piantato nel mondo còsì faticosamente creato dalla Prima Madre. Il suo sacrificio supremo sarebbe stato reso vano.

I Primi Figli di Gea non erano scevri dalla dualità del libero arbitrio. Essi vollero perseguire il loro desiderio di avere un figlio che unisse entrambi I loro poteri. Nacque perciò Andro, il Figlio della Colpa.

Era un semidio mortale, detentore di poteri identici ai Primi Eoni, suoi antenati.
Una chioma nera corvina incastonava un viso pallido, con occhi di ghiaccio e uno sguardo cupo e pieno malevolenza.

Volse immediatamente la sua attenzione alla cupidigia e al desiderio di essere adorato dalle masse come unico e grande Dio; attingendo anch’esso al potere di Gea diede alla luce la razza Umana liberandola dal legame con la magia per renderla sottomessa al suo volere e al suo capriccio.

Ecco che uno dei frutti della passione marcì improvvisamente.

Nella generazione di Andro non germogliarono le sublimi caratteristiche volute dalla Prima Madre; nacquero piuttosto individui bellicosi, dove ogni forma di solidarietà era nulla e la percezione era materialistica.

Benchè tali, gli uomini, possedevano ancora quella indelebile traccia divina che li avrebbe potuti rendere liberi e puri avvicinandoli alla loro natura così come progettata da Gea; ma erano schiavi di loro stessi perchè così voleva Andro.

Essi incarnavano il seme della cupidigia, lo stesso che diede forma e vita al loro Dio.

La coscienza di Andro era superiore e tutto ciò rientrava perfettamente nei suoi piani; assoggettò l’intera sua progenie con l’illusione della salvezza, profetizzata da individui scelti chiamati Gran Sacerdoti e unici figli della Progenie della Colpa a utilizzare la Magia.

Zoe e Antheo, il Bene supremo che diede origine al Male, cercarono di fermare Andro e di redimerlo dai suoi errori dettati dall’egoismo ma il mondo stava per conoscere per la prima volta la Morte.

Venerato dalle masse, Andro crebbe di potere e creò dallo stesso corpo della Prima Madre gli Uros, una razza di potenti creature assoggettate al suo volere.

Antlos, guardiano di tutte le acque di Gea.

Epeiros, protettore di tutte le terre emerse.

Aktys, custode della Luce.

Nyx, servo dell’Oscurità.

Enormi creature senzienti nate dall’essenza stessa della violenza, pura apoteosi 
dell’ istinto di distruzione e depositarie delle energie che davano la vita a tutti I Figli di Gea.

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Capitolo 2
*** Prologo: La venuta degli Uros ***


La genesi della razza Uros dettò la fine della vita mortale di Andro ma non del suo spirito.

Essi erano il simbolo del sacrilegio, una chiara sfida alla bontà dei Primi Figli e alla benevolenza della Prima Madre.

Andro raccolse dell’acqua da tutti I mari e gli oceani di Gea e instillò una parte della sua anima dando forma ad Antlos, il Guardiano delle Acque.

Era una creatura mostruosa, antenato della stirpe dei Draghi che possedeva il dono di controllare il potere dell’elemento acqua.

Andro lo aveva creato talmente grande e mestoso che quando esso camminava sui fondali più profondi, la sua testa emergeva ugualmente dall’acqua.

Il suo corpo era ricoperto da scaglie blue grandi come un’uomo; I suoi occhi giallo iridescente dardeggiavano in profonde orbite ai lati della sua regale testa.

Tutto il suo profilo era segnato da una cresta ossea che aveva origine dalla testa e terminava alla punta della coda.

Antlos era la causa dei maremoti che distruggevano intere città costiere in tutta Gea; quando esso emergeva e si alzava in volo, tutte le terre emerse temevano gli uragani che ne nascevano.

Prode di tutto ciò, Andro plasmò con la terra di tutti I continenti Epeiros, custode di tutte le terre emerse e diede a lui vita infondendo un’altra parte della sua anima.

Lo creò nella forma di un enorme verme, simbolo della morte. Il suo corpo di colore ocra, all’apparenza molle e viscoso in realtà era formato di dura pietra. Nemmeno il fuoco poteva deformarlo; Epeiros viveva nella profondità del corpo di Gea e ne distruggeva l’integrità, proprio come un verme distruggeva una mela.

Dispensatore di terremoti ed eruzioni, era una calamità anche per le popolazioni che vivevano nell’entroterra dei continenti su tutta Gea.

Andro commise poi il peccato imperdonabile: prese una dei sui figli per dare origine ad Aktys, il servo della Luce.

Serviva la scintilla della vita per dare origine a una delle sue più crudeli creazioni: contaminò con parte della sua anima una vita umana innocente non potendo crearne una nuova e le diede la nuova forma di un Angelo.

Un essere di pura luce, abbagliante e spietato che poteva incenerire esseri viventi e intere foreste. L’essenza che, a dispetto del nome, dispensava morte.

Andro, stremato ed esanime fece il sacrificio supremo: decise di assicurarsi l’immortalità diventando l’ultimo guardiano.

Oscurò il Sole con un’eclissi e l’intera Gea si fece buia per tre interminabili anni e il mondo cadde in una profonda disperazione.Tutti gli esseri viventi cominciarono una lotta alla sopravvivenza nella quale molti perirono uccisi dai loro simili. Il caos la faceva da padrone: Andro si nutrì di questi sentimenti e si fece foriero di sventura. Mutò il proprio aspetto in un raccapricciante ed enorme pipistrello e divenne Nyx, Signore dell’Oscurità.

Gli stessi figli di Andro vennero portati all’orlo dell’estinzione.

Zoe e Antheo assistettero sgomenti senza avere la possibilità di intervenire: uno scontro divino sarebbe stata la fine di Gea e di tutti I suoi figli.

Purtroppo, non avevano compreso fino in fondo a cosa mirassero I reali piani di Andro.

Approfittando del Caos, gli Uros capitanati da Andro nella sua nuova forma e gli Umani, capitanati dall’Ordine dei Gran Sacerdoti sferrarrono un violento attacco ad Adoxia.

L’obbiettivo era il Cristallo, contenitore dell’anima di Gea e fonte del potere della Progenie di Zoe e Antheo.

Esso giaceva nelle profondità della terra, sotto il Tempio del Culto di Adoxia.

Il repentino attacco sferrato non diede il tempo per una adeguata difesa: l’intera Progenie di Gea venne sterminata e la città completamente rasa al suolo.

Gli Eterni Figli videro la fine vicina, ma continuavano a non comprendere l’interesse di loro figlio per il Cristallo: sapevano solo che esso doveva rimanere integro e puro per il ritorno di Gea.

Affranti e colpevoli di essere stati la causa che generò il male decisero di sacrificare la loro immortalità per proteggere la Prima Madre.

Infusero di nuovo la scintilla della vita ai loro figli e fusero le loro anime al cristallo. L’intero mondo fù avvolto da un lampo accecante per un lasso di tempo che sembrò eterno nel quale gli Uros vennero trasformati in statue di puro cristallo celeste che si inabissarono nell’oceano circostante all’isola dove una volta giaceva Adoxia.

L’esercito di ribelli umani fù annientato, ma il loro credo e le loro tradizioni continuavano a prosperare sul continente.

Il cristallo era salvo ma la quiete di Gea era ormai un lontano ricordo: la natura e la vita erano ormai compromesse e corrotte dal male e dall’oscurità e l’umanità non faceva eccezione.

La Genesi si era conclusa. Conclusa con un’Apocalisse dettato dal destino, ma che avrebbe cambiato la storia di Gea e di tutte le sue forme di vita.

Un viaggio, dove gli Dei avrebbero trovato poco spazio.






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Capitolo 3
*** Capitolo 1:La Nuova Era ***


Il cielo plumbeo attanagliava con la sua morsa il mondo ormai da diversi giorni.

Grossi nuvoloni si stavano rapidamente unendo quasi a voler inghiottire l’isola intera.

-”Come al solito”.

Seduto su di una roccia sgretolata ormai dalle incessanti intemperie, Anam fissava vacuo l’orizzonte; la radura nella quale si rifugiava sempre più spesso gli concedeva una visione mozzafiato.

Circondato da una foresta secolare che profumava di eterno e l’erba soffice che gli accarezzava gentilmente I piedi, Yle-Dendrum non sembrava affatto come la dipingevano.

La scogliera a picco sul mare regalava una sensazione di libertà assoluta e,anche se il cielo era cupo e l’oceano burrascoso, il suono delle onde che si infrangevano sulla costa era semplicemente rilassante.

Ormai era pomeriggio inoltrato e lentamente stava calando la sera. Le ombre si allungavano sempre di più e il male era sempre in agguato.

-”Meglio che mi diriga verso il villaggio”.

Prese il suo bastone lasciato a terra e calò sulla sua chioma di lunghi capelli corvini

il cappuccio della sua tonaca nera.

Anam non temeva di fare spiacevoli incontri nella foresta; aveva un fisico scultoreo nonostante la tonaca nascondesse I suoi tratti fortemente mascolini e la sua forza non era sicuramente da meno.

Essendo nel fiore degli anni Anam era certamente un buon partito, desiderato da molte ragazze in età da marito nel suo villaggio.

Occhi di ghiaccio, di un blu abissale che scuotevano l’animo anche della persona più fredda; un volto squadrato e volitivo, incorniciava il naso perfetto e la sue labbra carnose e sensuali.

Nonostante ciò Anam sapeva che non avrebbe mai potuto. Non che lo volesse, il suo carattere era chiuso e riservato e considerava il desiderio carnale un’eventualità la quale non lo toccava minimamente.

Scese a passo lento e deciso il piccolo sentiero battuto che si inerpicava nel terreno scosceso all’interno della foresta.

Gli alberi erano talmente alti e densi,che le lore fronde oscuravano il cielo, cosicchè la foresta di Yle-Dendrum rimanesse sempre avvolta di un buio spettrale e soffocante.

Anam scivolava silenzioso sul sentiero: l’unico rumore che si udiva era il boato del temporale in avvicinamento e il leggero fruscio della sua tonaca che colpiva I piccoli arbusti cresciuti ai lati della piccola strada.

Improvvisamente il terreno tremò. Una scossa seguita da uno scricchiolio inquietante e le fronde cominciarono a scuotersi in maniera quasi innaturale.

Anam si volse di scatto e istintivamente guardò in alto: un’albero estrasse le sue radici dalla terra e cominciò a travolgere tutto quello che si trovava sulla sua strada.

L’uomo fece in tempo a spostarsi per evitare di rimanere ucciso dall’enorme essere.

Yle-Dendrum era famosa per le strane creature che la popolavano e gli alberi erano tra queste.

L’enorme albero piantò le sue radici nuovamente nel terreno e, come tuttò iniziò, tutto ebbe fine.

Anam si rialzò cercando,come poteva,di pulirsi la tonaca dalla fanghiglia: intanto aveva cominciato a piovere a dirotto e le pesanti gocce cadevano sul terreno inzaccherandolo immediatamente.

Accellerò il passo, raggiungendo in breve tempo il ponte che attraversava il fiume Tacys.

Esso era, per l’intera comunità, il bene più prezioso che garantiva la vita sull’intera isola. La sua fonte era Conca Arura, un antico vulcano spento che aveva dato origine all’intera isola che si ergeva in alto e torreggiava sulla foresta.

Il fiume, in alcuni tratti, era pocopiù di un torrente; ma avvicinandosi alla fonte o alla foce diventava un’enorme corso d’acqua il cui rombo era tale da non potere udire nemmeno il suono della propria voce.

Superato il fiume Tacys, Anam guadagnò ben presto l’uscita e si trovò nello spiazzo di terra battuta antistante il suo villaggio.

Ayge, questo era il suo nome. Una piccola comunità di abitanti che possedevano qualcosa di speciale.

Cominciò a correre, cercando di raggiungere al più presto il colonnato dell’enorme cinta di pietra che circondava Ayge.

Durante lo sforzo, il cappuccio scivolò all’indietro, esponendo Anam alla pioggia torrenziale.

Appena fu arrivato sotto al chiostro, una calda voce maschile lo accolse:

-”Bentornato Gran Sacerdote. Noto che il tempo l’ha colto impre..Uh!”

Anam si era voltato verso l’origine della voce: era Jenos, suo fedele amico da tempo immemore.

Non si era accorto che la pioggia aveva bagnato le sue vesti, appicicandole al corpo e sottolineando eccessivamente le sue forme e le sue virtù.

Jenos era tremendamente imbarazzato, il suo volto avvampò mentre un piacevole brivido gli attraversò la schiena.

Aveva sempre tenuto ad Anam, lo aveva sempre considerato come un fratello sin da quando la sua famiglia lo aveva adottato. Ma quando entrambi avevano raggiunto i quattordici anni, Jenos aveva cominciato a guardare Anam con occhi diversi. Il suo profumo lo enebriava, adorava quando,durante le cerimonie,accarezzava il suo volto per imporgli la benedizione e le sue mani forti e calde toccavano la sua pelle.

Un desiderio nascosto,una passione bruciante che ardeva all’infinito.

Anam si accorse troppo tardi e cercò di rimediare con l’indifferenza.

-”Sfortunatamente sì fratello mio. Meglio che vada di corsa a fare un bagno caldo.”

Fuggì da quella situazione imbarazzante e si volse in direzione del bagno privato posto dietro all’enorme edificio dove viveva: il Tempio di Reyma.

Jenos abbassò lo sguardo. Si vergognava di quel sentimento che ,attimo dopo attimo, era cresciuto e diventato incontrollabile.

-”Mi perdoni Gran Sacerdote. Mi accomiato.”

E con lacrime invisibili si voltò ed entrò nella Sala De Tempio, sparendo come se fosse inghiottito dall’oscurità.

-”Và pure Jenos. Ti ringrazio della premura” disse in maniera pacata Anam

-”Perdonami.” Aggiunse a bassa voce.

Jenos non lo udì perchè era già andato.

Con passo lento e a testa bassa,percorse il chiostro che lo divideva dalla stanza del bagno. Raggiunta la porta la aprì e la richiuse: il cigolio del gancio in ferro battuto gli provocò un brivido si sollievo.

Ora che era solo, si fece cullare dal tepore dell’acqua termale che scaturiva direttamente dalla terra; fece scivolare a terra le sue vesti e, nudo, entrò nell’acqua immergendosi completamente.

La sua mente cominciò ad affollarsi di una moltitudine di pensieri.

-”Jenos è mio fratello. Come può avere questi pensieri su di me?”

La domanda gli ronzava nella testa da tempo ormai. Non era un mistero per Anam che suo fratello, amico e confidente provasse attrazione per lui.

Non si era mai posto il problema di dare un chiarimento.

-”Possibile che…?”

E si addormentò, cullato dal calore del vapore e dai profumi dei fiori nella stanza.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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Capitolo 4
*** Capitolo 2: La Casa Degli Dèi ***


Jenos provò un senso di sollievo quando varcò le enormi porte di pietra del Tempio di Reyma. Entrare nel pronào del tempio gli regalava una serenità quasi mistica.

Esso si allargava a cerchio, intorno a lui, con delle grandi panche in tufo disposte ad emiciclo che si stagliavano verso l’alto soffitto.

Con gli occhi colmi di lacrime, istintivamente alzò lo sguardo verso le due statue degli Dei ,Kirios e Anassa, che sembravano fare la guardia alla piccola apertura che conduceva al Naòs, locale in cui l’accesso era consentito solo al Gran Sacerdote.

Con lo sguardo fisso verso di loro, Jenos cercò di mettere da parte I suoi desideri più materiali e di riordinare le idee per un raccoglimento più profondo; dopotutto è quello che il credo chiede ad un Celebrante.

Inspirò e ,lentamente, si avvicinò alle statue; si inginocchiò e chiuse gli occhi.

Non aveva mai provato pace più profonda. Nemmeno quando, a diciotto anni decise di entrare a fare parte dell’Ordine.

A quel tempo, era fermamente deciso a fuggire dal mondo e dalle sue regole. Si sentiva braccato, non sapeva nemmeno da cosa; quello che per lui era certo, era la voglia di vivere la sua vita esule dai rigori della società.

Dopotutto I requisiti li possedeva: era uno dei discendenti dei Primi Figli, poteva usare il Dono di Gea e possedeva un’animo fortemente incline alla solidarietà e all’amore spassionato.

-”Come posso provare Amore quando io stesso non vengo amato?”

Jenos aveva sempre vissuto un rapporto conflittuale con il suo corpo. Ogni volta che si guardava allo specchio, il suo corpo esile coronato da quella testa piccola con I capelli scuri rasati lo faceva assomigliare ad un scheletro.

Gli occhi castani infossati e il naso leggermente adunco non miglioravano di certo l’effetto finale.

Ad ogni occhiata a quella infida lastra di vetro riflettente, la sua esile bocca si contraeva in una smorfia di disgusto.

-”Perchè?!” disse piangendo ai piedi della statua

-”Perchè a me?!” aggiunse.

Il suo pianto stava diventando un profondo singhiozzo.

Non si era mai innamorato, nemmeno una volta. Fino a che, il suo adorato fratello Anam non decise di entrare come Gran Sacerdote.

Jenos aveva sempre saputo che Anam non fosse suo fratello, almeno per parte di sangue.

Complice l’età, qualcosa scattò: ecco che Jenos fu attraversato come da una scossa elettrica.

Si invaghì così tanto di Anam, che il solo pensiero di essere sempre con lui e non doverlo dividere con altri lo esaltava.

-”Posso chiamare questo Amore?” disse sottovoce continuando a pregare.

Fu in quel momento che provò una vergogna immensa; Jenos non era egoista, ma in quel frangente si stupì di non essere diverso dai Figli di Andro.

Con questa considerazione finale, ringraziò con la formula di rito gli Dei per averlo ascoltato e si alzò: era quasi l’ora della cerimonia serale.

Il pronào era immerso nel buio ad eccezione di un piccolo braciere sempre acceso, che illuminava la grande scalinata che conduceva al Naos.

Prese un tizzone con delle grosse pinze in ferro e accese I quattro incensieri presenti.

Un gradevole fumo cominciò a spargersi per l’enorme sala; accese poi le candele votive che resero la stanza menu cupa e con un’atmosfera di intensa sacralità.

Le statue, illuminate dall’incerta fiamma delle candele, emanavano un’aura positiva e calmante.

Jenos guardò I loro visi: sembravano corrucciati in una smorfia di disapprovazione.

-” E’ ciò che mi merito per I miei pensieri impuri.” soppesò mentalmente Jenos.

Posò le pinze e si diresse verso la sua Cella al di sotto della scalinata per indossare I paramenti da Celebrante.

Alla tenue luce di una candela ormai consunta, si mise la sua alba avorio e si mise sulle spalle una lunga stola viola.

Al di fuori, I fedeli stavano già prendendo posto per celebrare il Rito di Comunione.

Jenos sentì I canti sommessi dei fedeli, che chiedevano il ritorno di Gea e della pace tra I popoli.

Inspirò ed espirò una grande boccata d’aria e lentamente aprì la porta: l’ora era giunta.

I fedeli smisero di pregare e si azarono; Jenos raggiunse con grande solennità l’Altare alla base della scalinata e iniziò la celebrazione.

Fu in quel momento che Anam si svegliò. Dimenticando ogni pensiero fatto, uscì dall’enorme vasca in pietra e si asciugò velocemente.

-”La Cerimonia è già iniziata!” disse febbrilmente.

Sapeva che mancava poco all’uscita del Gran Sacerdote dalle porte del Naos e non poteva assolutamente fare tardi.

Indossò il suo abito talare bianco come la neve e sulle spalle posò una stola rosso sangue. Riavviò I lunghi capelli con una coda e mise un copricapo dorato sulla sua testa.

Afferrò la Sacra Mitra e si avviò verso le porte che dividevano il Naos dal Pronào.

Un’altro giorno stava per finire. 

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Capitolo 5
*** Capitolo 3: La Benedizione ***


La notte era rapidamente calata e la tempesta che aveva appena scosso l’isola si era finalmente acquietata.

I fedeli lasciarono il Tempio .Anam e Jenos rimasero soli nella grande struttura. La cerimonia era stata intensa ed entrambi erano incredibilmente spossati.

-”Anam” sussurrò flebilmente Jenos “desidero chiederti scusa per il mio comportameno di prima”.

-”Non scusarti. Non serve, davvero” rispose Anam prima che Jenos potesse aggiungere qualcosa.

Un velo di imbarazzo stava scuotendo la sua imperturbabile anima per la prima volta.

-”Desidero parlarti.Seguimi,per favore” disse facendo appello a tutta la sua forza e cercando di non tradire alcuna emozione.

-”Certo.” rispose Jenos con un filo di voce. Questa dichiarazione lo aveva scioccato.

Il tempio vuoto ora risuonava solo del rumore prodotto dai loro passi.

Anam, in piedi di fronte alle porte del Naos si voltò e le spalancò: Jenos rimase pietrificato.

-”Anam, cosa stai facendo?” disse Jenos sbarrando gli occhi di fronte alle azioni del fratello. Non si era accorto che il suo corpo si era irrigidito dalla sorpresa.

-”Ti sto semplicemente portando in un luogo tranquillo in cui parlare”. Anam lo disse voltandosi, guardando Jenos negli occhi e con tono informale.

-”Ma” rispose Jenos “l’accesso al Naos è interdetto al Celebrante. Il credo insegna che..”

-” Al momento ti sto parlando da fratello. Seguimi”. Anam rispose repentinamente, rendendo impossibile controbattere all’uomo. Lo disse con un tono così fermo che Jenos non potè rifiutare. Titubante, salì le scale che dal pronàos conducevano al Naos e superò le enormi porte di pietra finemente scolpite.

Jenos si trovava in un lungo corridoio di pietra, illuminato da candele poste in alcove sui due lati del muro. Non poteva più vedere Anam, l’illuminazione rendeva il luogo talmente spettrale che non si rese conto che poco più avanti le pareti viravano verso destra, nascondendo alla vista qualunque cosa.

Con le gambe tremanti, proseguì incerto verso l’unica direzione possibile; lo spettacolo che si trovò davanti lo lasciò senza fiato.

Una grande lastra di puro oro era incastonata nel muro, coperta da incisioni di squisita fattura; Era divisa in quattro sezioni e, al centro, un sigillo sembrava racchiudere l’essenza di ciò che era scritto.

Al di sotto stazionava Anam, sorridente.

-”Vieni” disse “voglio mostrarti una cosa”.

Anam si voltò e pose la sua mano sul sigillo: una luce scaturì dal suo palmo e la lastra cominciò a gemere.

-”E’ una porta!” Jenos rimase impietrito da cotanta bellezza.

Senza proferire parola, Anam scese le scale di fine marmo che apparvero dietro il passaggio appena spalancato, che conducevano ad un livello più basso; Jenos dovette seguirlo.

Guardandosi intorno, notò la differenza con l’architettura del Tempio: la roccia viva sembrava rifulgere di luce propria e l’assenza di immagini sacre lo turbava.

Dopo una discesa che parve durare un’eternità, entrambi arrivarono all’ingresso dal quale si poteva intravedere la forma circolare di un’enorme sala.

Un bagliore blu proiettava le loro ombre tremolanti sulle pareti.

Jenos finalmente lo vide: Il Cristallo di Gea era davanti a lui in tutta la sua maestosa potenza. Un’enorme pietra che incarnava la perfezione.

Anam era ancora girato di spalle, con il viso rivolto verso il Cristallo.

-”Fratello mio” iniziò “ questo è il cuore di Gea. Qui puoi trovare il vero conforto, ogni risposta ad ogni tua domanda, una soluzione ad ogni tipo di problema”.

Finalmente si voltò e il suo sguardo aveva qualcosa di soprannaturale.

-”Anam, io..”.Jenos non sapeva che cosa dire. Il suo cuore batteva veloce, la testa girava e una sensazione di leggero malesserre cominciava a prendere possesso del suo corpo.

-”Avvicinati, poni la tua mano sul cuore di tua Madre. Chiudi gli occhi e lasciati andare”. Anam prese la mano di Jenos e lo portò vicino al Cristallo.

Fu come se la sua anima lasciasse le sue spoglie mortali: si elevò così tanto che Jenos provò il vero amore. Amore per sè stesso, amore per il prossimo.

Vide I desideri della vita, I suoi desideri, una cosa effimera; Anam era con lui, lo teneva per mano e il suo sguardo era diverso.

Finalmente sembrava capirlo: la rigida corazza di Anam,lì, non esisteva più. Si avvicinò a Jenos e, con una passione travolgente, lo baciò.

Le sue preoccupazioni erano come svanite e si lasciò andare, tra le braccia del suo grande amore. I loro corpi eterei si fusero tra loro, provarono l’estasi suprema.

-”Ti amo.”

-”Anche io”. Anam socchiuse gli occhi ”perdonami se sono stato così sciocco a non ammetterlo a me stesso”

-”Non importa”. Jenos pose la sua mano sul suo viso “la Madre ci ha dato la sua benedizione. I desideri si avverano, quando li vivi completamente con il cuore”

L’assaggio di eternità aveva elevato Jenos in un paradiso che pensava non potesse esistere.

Lentamente, l’incantesimo finì ed entrambi si trovarono di nuovo nel loro corpo sdraiati uno a fianco dell’altro.

Il peso dettato da quel maledetto guscio mortale incominciava di nuovo a gravare su di lui.

Jenos cominciò a singhiozzare: il senso di colpa stava prendendo il sopravvento.

Anam, si rialzò in piedi e, dolcemente, afferrò per le mani Jenos e lo aiutò a rimettersi in piedi.

Prese delicatamente la sua testa fra le mani e lo fissò nei suoi occhi.

-”La felicità non è un cruccio. E’ la condizione indispensabile per raggiungere la meta. Vivere intensamente le passioni rendono il nostro passaggio mortale meno effimero” disse Anam. E aggiunse “voglio vivere questa mia passione nascosta a me stesso per non cadere nel rimpianto quando tutto avrà una fine”.

Con tocco gentile calò la tonaca di Jenos; mentre le mani di Anam si muovevano esperte sul suo corpo, Jenos era colmo della più alta felicità.

Provava un fremito indescrivibile nell’addome, una voglia di essere posseduto dall’uomo che aveva sempre amato profondamente.

Anam tolse tutti I suoi paramenti: il suo corpo esplosivo si ergeva davanti agli occhi desiderosi di Jenos. Furono I minuti piu intensi della vita di Jenos: il ritmico rumore dei loro respiri e quel dolce e intenso movimento dei loro corpi lo portò presto a raggiungere l’apoteosi della gioia.

Anam lo raggiunse poco dopo. Il caldo e forte abbraccio nel quale si chiusero dopo fu la conclusione perfetta di una notte che Jenos desiderava non finisse mai.

-”Dovrà restare segreto. Un segreto tra noi e la Madre” sussurrò Anam

-”Lo so, L’Ordine non lo permette” rispose Jenos “voglio solo dirti che, qualunque cosa succederà, tu avrai sempre posto nel mio cuore. Anche se questa fosse stata la prima e ultima volta”

-”Ti amo, Jenos”

-”Anche io, Anam” disse chiudendo gli occhi. -”Per sempre”.

Il sonno li vinse e lì, al di sotto dell’Antica città di Adoxia, suggellarono il loro amore e il loro ritrovato spirito. 

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Capitolo 6
*** La Partenza ***


Il sole stava calando e le ombre cominciavano ad allungarsi anche sul continente.

Il suono delle onde che si infrangevano sulla battigia,rendevano il momento del tramonto il suo preferito.

Una piacevole brezza accarezzò dolcemente I suoi capelli biondi; posandosi una mano sul viso, inizò a scrutare l’orizzonte con I suoi grandi occhi castani.

Amava rimanere nel silenzio, distante da tutto. La sua riservatezza non era certamente meno della sua risolutezza.

Zoros ricordava ancora. Erano immagini indelebili nella sua testa; immagini di una violenza innaturale, tanto forte che poteva ancora percepire l’odore del sangue e della morte.

Abbassò lo sguardo e rimirò la sua armatura: sebbene fosse stata riparata, essa lo accompagnava fin da quel giorno.

Quanto si era sentito fiero di quella armatura dorata! Quando divenne Cavaliere Scelto al servizio dell’Imperatore, sembrava che le angherie subite durante il suo status di Cadetto fossero un lontano ricordo.

Istintivamente, posò la sua grande mano sulla spalla destra.

-”Già, come dimenticare” soppesò mentalmente.

Sentiva ancora quel dolore lancinante, quando l’artiglio di Nyx passò attraverso la sua armatura come se non fosse che semplice tela.

-”Traditore!” sibilava il raccapricciante Uros.

Vedeva la scena come se fosse uno spettatore passivo.Ricordava di essere bloccato sotto il peso di Nyx e di non riuscire a muoversi; percepiva le forze scivolare via a causa di una profonda ferita che faceva perdere molto sangue. Sentiva il sapore di terra e ferro in bocca; la vista si stava ormai annebbiando.

Poi la luce. Una luce divina, indescrivibile a parole; pensava di essere morto.

Riemerse dai suoi ricordi improvvisamente. La luce era già scesa notevolmente perciò si incamminò per tornare al villaggio.

La bassa recinzione che divideva la spiaggia dalla strada, proiettava una sinistra ombra a terra.

Zoros la guardò con disgusto.

-”Sembra che tutto sia sinistro in questo villaggio”.

Si inerpicò per una piccola collinetta che nascondeva un piccolissimo villaggio costiero chiamato Nays.

Era una piccola comunità di pescatori che vivevano al limite della povertà in fatiscenti baracche che stonavano completamente con l’opulenza della Locanda Imperiale voluta dall’Imperatore.

L’enorme caseggiato era stato costruito lontano dal centro abitato e e sue pareti esterne erano interrotte solo da grandi balconi.

L’arredo di quella locanda era degno del palazzo reale: mobili in ebano finemente intagliati, tappezzeria di prima scelta e servizio di alta qualità.

Zoros attraversò la porta d’entrata, con tutto l’intento di chiudersi in camera con una di quelle ragazze comprese nel servizio.

-”Bentornato Sir Zoros!” prorruppe con voce stridula il Locandiere.

Il cavaliere si fermò e chiuse gli occhi stringendo I pugni. Non sopportava la voce di quell’ometto insignificante. Aveva un qualcosa di effemminato che faceva a pugni con la sua idea di virilità e, al momento, aveva in testa solo una cosa.

Fece un respiro profondo e si voltò verso il Locandiere.

-”Mi mandi a chiamare Genys. Le dica di salire in camera mia.” disse perentorio il cavaliere.

L’uomo al bancone si rabbuiò improvvisamente.

-”E’ arrivata una missiva imperiale per lei, Sir Zoros”.

E con le mani tremanti, allungò una busta sigillata con ceralacca.

-”Una missiva?” si chiese Zoros.

Era stato inviato dall’Imperatore in quel fetido buco di Nays senza spiegazioni, con la promessa di ricevere ulteriori istruzioni in seguito.

Senza proferire una parola, prese la lettera e salì con passo pesante le scale in legno che conducevano alle camere.

L’ultimo suono che udì il locandiere fu la porta che si chiudeva violentemente alle spalle di Zoros.

Alla luce tremolante di una candela, il viso del cavaliere era contratto in una smorfia di rabbia.

-”Segreti e ancora segreti…” disse fra sè “il capo delle guardie imperiali spedito per una missione di cui ignoro ogni cosa!”

Accartocciò la busta e la gettò sul suo giaciglio e, togliendo la sua preziosa spada dalla cintura, si sedette sul letto.

Si tolse tutti I paramenti con ineguagliabile accuratezza fino a rimanere con indosso solo gli indumenti intimi.

Si alzò e andò a rimirare la propria immagine al grande specchio.

-”Sono un capolavoro” esclamò, mostrando a sè stesso I muscoli guizzanti e quella piena viriità che, in qualche maniera, lo eccitava.

Fu allora che un timido bussare alla porta eccheggiò nella stanza; Zoros andò ad aprire e davanti si trovò Genys.

Una ragazza giovane, di rara bellezza e di rara bravura.

-” Prego, entra” disse Zoros

Genys entrò senza proferire verbo; raggiunto il letto fece scivolare a terra I suoi vestiti e rimase nuda davanti allo sguardo voglioso del cavaliere.

Lui gli si avvicinò e gli posò le mani sulle spalle guardandola intensamente negli occhi.

Poi lentamente si inginocchio, facendo scorrere le sue grandi mani sul corpo di lei.

Genys chiuse gli occhi, pronta per l’ennesimo supplizio della sua sua vita.

-”Ti prego, rivestiti” disse Zoros prorgendo I vestiti lasciati cadere.

Genys aprì gli occhi, incredula a quella rivelazione.

-”Rivestiti, ti ho detto!” disse alzando la voce

Con rapidi movimenti, la ragazza si rivestì e uscì dalla stanza.

Zoros si sedette nuovamente sul letto; per la prima volta qualcosa in lui lo aveva fermato nell’appagamento di un desiderio che era diventato ormai un’ossessione.

Dalla morte della sua famiglia, aveva vissuto come se non ci fosse un domani.

Ma un giorno l’Imperatore lo richiamò alle armi e Zoros decise che era arrivata l’ora di ricominciare a vivere, perdendo di vista I valori morali con cui era stato cresciuto.

Prese di nuovo in mano la lettera e la rimise in sesto come poteva; la ceralacca si era rotta in piccoli pezzi rossi che avevano macchiato le lenzuola.

Estrasse il foglio, lo dispiegò e lesse il messaggio.

“ Si ordina al Cavaliere Scelto Zoros, di partire con la nave marcantile che approderà alla piccola baia di Nays per il prossimo rifornimento. Direzione Isola di Alsos. Ulteriori informazioni verranno date una volta in partenza”.

-”Alsos?” pensò Zoros “comincio a capire perchè l’Imperatore ha mandato me”.

La storia si ripete. Zoros doveva andare al teatro della violenza, che sperava di non rivedere mai più ma che, in qualche modo, aveva a che fare con I piani segreti dell’impero.

SI sdraiò nel letto e chiuse gli occhi.; una miriadi di pensieri cominciarono a balenargli per la testa. Rivide il viso della moglie perduta e dei suoi due figli morti barbaramente prima di poter crescere e vedere il mondo. La lacrime cominciarono a solcargli il viso, fino a che il sonno non lo colse e pose fine alle sue sofferenze.

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